a cura di
Paola Perazzi, Gabriella Poggesi, Susanna Sarti
© Copyright 2016 Soprintendenza Archeologia della Toscana
© Copyright 2016 Comune di Prato
© Copyright 2016 Edifir-Edizioni Firenze s.r.l.
Via Fiume, 8 – 50123 Firenze
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Responsabile editoriale
Elena Mariotti
Stampa
Pacini Editore Industrie Grafiche
ISBN 978-88-7970-771-8
In copertina
Stele di Sansepolcro (n. 21), particolare
In IV di copertina
Bronzetto votivo della Raccolta Guasti Badiani, Prato
Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro
pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato
tra SIAE, AIE, SNS e CNA, ConfArtigianato, CASA, CLAAI, ConfCommercio, ConfEsercenti il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni
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pensation foreseen in art. 68, codicil 4, of Law 22 April 1941 no. 633 and by the agreement of December 18, 2000 between SIAE,
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L’ombra degli Etruschi
Simboli di un popolo fra pianura e collina
Museo di Palazzo Pretorio, Prato
19 marzo 2016-30 giugno 2016
Mostra
Evento promosso da
Comune di Prato - Assessorato alle Politiche Culturali
Museo di Palazzo Pretorio
Matteo Biffoni, Sindaco di Prato
Simone Mangani, Assessore alle politiche culturali
Coordinamento
Rita Iacopino, Paola Perazzi, Gabriella Poggesi, Susanna Sarti
Progetto di allestimento
Francesco Procopio
Elisabetta Santi
Segreteria organizzativa
Andrea Coveri, Gianfranco Ravenni
Marta Gelli (Società Cooperativa Culture)
Traduzioni
Ilaria Paoli, Silvia Taverni
Ufficio stampa per il Museo di Palazzo Pretorio
Maria Lardara (Società Cooperativa Culture)
Strutture d’allestimento
Biagiotti e Bertini s.a.s.
Assicurazione
Lloyd’s
L’audioguida della mostra è stata realizzata sulla piattaforma on line izi.TRAVEL ed è disponi-
bile gratuitamente per tutti i dispositivi mobili.
Enti prestatori
Il Polo Museale Regionale della Toscana (Museo Archeologico Nazionale di Firenze, Galleria
e Museo di Palazzo Mozzi-Bardini e Villa Medicea di Cerreto Guidi); Casa Buonarroti; il Centro
di Documentazione Archeologica di Sant’Agata, Scarperia e San Piero; il Museo Archeologico
Comprensoriale del Mugello e della Val di Sieve, Dicomano; il Museo Archeologico Comunale
Francesco Nicosia, Artimino; il Museo Civico Archeologico di Fiesole.
Inoltre
Associazione Culturale ONLUS Mu.S.A. – Musei Sant’Agata; Gruppo Archeologico di Scan-
dicci; Gruppo Archeologico di Scarperia; Gruppo Archeologico “L’Offerente” di Prato.
Catalogo
a cura di
Paola Perazzi, Gabriella Poggesi, Susanna Sarti
Autori
Maria Chiara Bettini, Museo Archeologico Comunale Francesco Nicosia, Artimino
Eleonora Bechi, collaboratore Soprintendenza Archeologia della Toscana
Luca Cappuccini, Università degli Studi di Firenze
Giuseppina Carlotta Cianferoni, Polo Museale Regionale della Toscana
Luca Fedeli, Soprintendenza Archeologia della Toscana
Adriano Maggiani, Università degli Studi di Venezia
Andrea Magno, collaboratore Soprintendenza Archeologia della Toscana
Marco De Marco, Museo Civico Archeologico, Fiesole
Giovanni Millemaci, collaboratore Soprintendenza Archeologia della Toscana
Lucia Pagnini, collaboratore Soprintendenza Archeologia della Toscana
Laura Paoli, Museo Archeologico Comprensoriale del Mugello e della Val di Sieve, Dicomano
Paola Perazzi, Soprintendenza Archeologia della Toscana
Gabriella Poggesi, Soprintendenza Archeologia della Toscana
Susanna Sarti, Soprintendenza Archeologia della Toscana
Cristina Taddei, collaboratore Soprintendenza Archeologia della Toscana
Gregory Warden, Franklin University, Switzerland
Referenze fotografiche
Soprintendenza Archeologia della Toscana
Antonio Quattrone
Nicola Amico (VAST-LAB)
Paolo Gucci
© Foto Scala Firenze (p. 93)
Grafica della copertina e della Carta delle “pietre fiesolane”
RovaiWeber design
Realizzazione editoriale
Edifir-Edizioni Firenze
Indice
Presentazioni
9 Andrea Pessina, Soprintendente Archeologo,
Soprintendenza Archeologia della Toscana
11 Matteo Biffoni, Sindaco di Prato
Simone Mangani, Assessore alle Politiche Culturali
13 Introduzione
Paola Perazzi e Gabriella Poggesi
133 Bibliografia
Presentazione
Andrea Pessina
Soprintendente Archeologo
Soprintendenza Archeologia della Toscana
9
Presentazione
Il racconto prevalente del patrimonio storico culturale della nostra Città ha spesso
oscillato tra l’epoca d’oro dei Lippi e la proiezione verso il futuro, incarnata dal
Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, senza quasi mai posare gli occhi
sull’antecedente storico che nella Piana tra Firenze e Pistoia – per tacere del Mon-
talbano, del Mugello e della Val di Sieve – scopre le nostre radici.
L’ombra degli Etruschi segna, sotto questo profilo, un passaggio importante, l’oc-
casione di un viaggio che evidenzia le origini di un vasto territorio attraverso l’e-
splorazione del sacro e dell’oltretomba, un viaggio illuminato da preziosi reperti
provenienti da tutta la Toscana, alcuni dei quali mai visti prima.
Il Museo di Palazzo Pretorio ospita una produzione di pregio tra cippi, stele e bron-
zetti al fine di raccontare una storia ricca di suggestioni ed al fine di sottolineare
la ricchezza del nostro patrimonio archeologico; un patrimonio che nel recente
ritrovamento di Gonfienti ha una delle testimonianze più importanti.
Gli studiosi raccontano la città etrusca di Gonfienti come una realtà vivace, dina-
mica sul fronte commerciale, punto di riferimento per l’area della Piana e del tutto
plausibilmente impegnata in un continuo scambio con gli altri paesi del Mediterra-
neo, in particolare la Grecia.
L’ombra degli Etruschi è anche e soprattutto l’occasione per ricordare che il lega-
me che unisce la Piana alla Collina ha origini antichissime: Fiesole, Artimino, Gon-
fienti sono le principali tappe di un viaggio nella storia, un viaggio reso evidente
dalla seconda parte di questo percorso, caratterizzata dalla “pietre fiesolane”, fon-
damentali per comprendere l’organizzazione della società etrusca.
Una mostra che pone il territorio pratese al centro della Toscana attraverso una
ricostruzione frutto del lavoro congiunto e della collaborazione tra il Comune di
Prato e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, con la Soprin-
tendenza Archeologia della Toscana e il Polo Museale Regionale della Toscana. Un
viaggio affascinante alla scoperta delle nostre origini, costruito grazie alla capacità
di dialogo tra istituzioni e territorio.
11
Introduzione
Paola Perazzi, Gabriella Poggesi
13
2-3. Gonfienti, edificio residenziale etrusco arcaico
che mostrano la stessa matrice culturale attraverso diversi elementi, quali alcune
produzioni artigianali o scelte decorative, ma soprattutto attraverso la capillare
presenza delle “pietre fiesolane”, cippi e stele in arenaria con funzione funeraria,
che segnano il territorio fra pianura e collina, distribuiti da Fiesole alla piana Fi-
renze-Prato-Pistoia, dal Montalbano al Mugello-Val di Sieve, in un’area da sempre
identificata come “agro fiesolano”.
Nel percorso espositivo si possono apprezzare ventiquattro esemplari scelti fra le
stele e i cippi più rappresentativi sia dal punto di vista iconografico che geografi-
co, fra le quasi cinquanta attestazioni ad oggi note, che con l’occasione sono state
riunite nel catalogo che accompagna la mostra e che ospita il corpus completo di
questa classe di materiali.
Così come il popolo etrusco traspone se stesso nelle figure di pietra in occasione
della morte, allo stesso modo traspone se stesso nelle figure di bronzo in occa-
sione della preghiera. Questo tema dei bronzi votivi è stato illustrato focalizzando
l’attenzione su Gonfienti e sullo spazio immediatamente circostante, dove fin dal
Settecento sono noti esemplari di offerenti, talvolta prodotti in serie, ma anche di
elevato livello artistico. Lo stesso elevato livello artistico che traspare dalla nota
kylix a figure rosse attribuita al pittore ateniese Douris – che veniva tenuta appesa
con un chiodo ad una parete della sala da pranzo della più grande residenza ad
oggi scavata –, riccamente decorata con rappresentazioni mitologiche legate sia
al mondo degli dei e degli eroi che dell’Oltretomba. La coppa, ormai diventata il
simbolo più raffinato della città etrusca, testimonia in modo inequivocabile l’eleva-
to livello economico e culturale raggiunto dagli Etruschi di Gonfienti e il loro pieno
inserimento entro una vasta rete commerciale, in grado di intercettare i prodotti
dalla Grecia attraverso i mercati dell’Adriatico.
Una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi anni nel territorio a
Nord dell’Arno è senz’altro quella dell’insediamento etrusco arcaico di Gonfienti,
ubicato in prossimità del borgo omonimo, a cavallo fra i Comuni di Prato e di Cam-
pi Bisenzio, in quella parte di pianura – compresa tra il fiume Bisenzio, il torrente
Marinella e il piede del rilievo della Calvana con l’altura di Pizzidimonte – radical-
mente trasformata negli ultimi vent’anni dalla realizzazione dell’Interporto della
Toscana Centrale 1.
Si tratta di una città di nuova fondazione, pianificata con orientamento NE-SW
– tenuto conto delle caratteristiche naturali della pianura e del suo andamento ri-
spetto alla linea obliqua di scorrimento delle acque dalla Calvana verso il Bisenzio
– e costruita con criteri urbanistici del tutto innovativi, sulla base di uno schema
regolare con strade ortogonali, sulle quali si affacciano complessi residenziali deli-
mitati da canali drenanti e organizzati in forme modulari, come nella città etrusca
di Kainua-Marzabotto di là dall’Appennino e nella Roma arcaica.
I centri di Gonfienti e di Marzabotto – che condividono non solo le fondamentali
scelte urbanistiche e architettoniche, ma soprattutto la funzione di controllo ter-
ritoriale con relativa viabilità e scambi commerciali – sembrano parte di un pen-
siero coerente, di un meditato progetto volto a semplificare le relazioni fra Etruria
Settentrionale ed Etruria Padana, fra costa tirrenica e costa adriatica, fra Arno e
Bisenzio da un lato, Setta e Reno dall’altro.
L’identificazione dell’insediamento di Gonfienti ci aiuta anche a comprendere e
giustificare la presenza di alcuni manufatti etruschi, in precedenza privi di chiari
collegamenti con la realtà del territorio nelle fasi più antiche della sua storia; l’area
pratese, e soprattutto quella compresa fra il piccolo borgo di Pizzidimonte – si-
tuato a mezza costa a ridosso del rilievo della Calvana – e la piana di Gonfienti, è
nota infatti per aver restituito fin dal Settecento oggetti etruschi di bronzo, anche
di alta qualità.
Nel 1734, fra i materiali più antichi della collezione del nobile pratese Innocenzo
Buonamici, erudito canonico della cattedrale, lo studioso e scrittore Anton Fran-
cesco Gori ricorda un bronzetto etrusco di devota di età arcaica proveniente da
Prato. Lo stesso Buonamici, nella sua Istoria di Prato, dice che «infiniti sono gl’idoli,
le medaglie e i monumenti d’antichissima maniera che nelle vicinanze di Prato si
scavano giornalmente sotto terra, [...] solamente dirò che più di cento tra mone-
te, bolle ed idoli di vetustissima fattura ritrovati in questi contorni sono capitati
nelle mie mani, e nel mio piccolo studio [...] è singolarissimo un idoletto d’argento
d’eccellente lavoro […]». Nel 1726 l’abate Casotti, appassionato di antichità, era
entrato in possesso di quattro bronzetti etruschi scoperti nelle vicinanze di Prato,
come racconta al Gori: «mi son capitati alle mani quattro idoletti […] trovati due
braccia sotto terra da un contadino un quarto di miglio fuori dalla città sulla strada
fiorentina» 2.
21
1. Offerente di Pizzidimonte, Londra, British Museum
dalla capigliatura a krobylos resa mediante sottili incisioni; nella armoniosa forma
del corpo, teso sotto il tipico mantello semicircolare etrusco drappeggiato sulla
spalla sinistra, riccamente decorato e mosso da pieghe, che sembrano determi-
nate dalla forza della muscolatura; nell’attenzione per i particolari, dall’alta fascia
incisa che profila la veste ai bordi dei calzari a punta, fermati da lacci. Databile agli
anni compresi fra il 480 e il 460 a.C., l’opera può essere attribuita a una bottega di
area etrusco-settentrionale, ove l’artigianato aveva raggiunto alti livelli qualitativi,
sviluppando nel settore della bronzistica una propria significativa produttività 5.
L’altura di Pizzidimonte, per le sue caratteristiche naturali, ci appare perfetta per
immaginarvi un luogo sacro sovrastante la viabilità antica, anche se una recente
e attenta rilettura della Vita di Baccio Bandinelli del Vasari (1569) mette forte-
mente in dubbio l’esistenza di un contesto archeologico canonico, introducendo
l’ipotesi di una tesaurizzazione del tutto casuale, dettata piuttosto dalla necessità
di mettere al sicuro materiali preziosi 6; Vasari infatti ricorda che i Medici, durante
Numerosi sono i bronzetti votivi di età arcaica noti nel territorio fiorentino-fie-
solano; da quelli restituiti dal centro di Firenze 20 a quelli di Fiesole 21; da quelli
provenienti dall’area di Castello - Sesto Fiorentino 22 al bronzetto maschile recu-
perato agli inizi di questo secolo nello strato di riempimento di un canale nella
zona di Olmicino, I Balestri, di particolare importanza perché potrebbe essere il
segno della presenza di un’area sacra in questa precisa area, dove già verso la
fine del VII secolo a.C. sembra esistere un edificio di prestigio 23. Anche l’area di
Pietramarina ha recentemente restituito due esemplari di bronzetti votivi, ma
di orizzonte ellenistico; questa presenza è in ogni caso di notevole interesse,
perché conferma l’esistenza di un edificio sacro – per ora in età ellenistica, ma la
prosecuzione della ricerca potrà riservarci sorprese – su questa imponente for-
tezza d’altura occupata almeno a partire dall’Orientalizzante recente e dotata di
grande potenzialità di controllo sui transiti, dominando visivamente vasti spazi,
da Monte Morello alla Calvana, dall’Abetone alle Apuane, dalle colline del Chianti
al Falterona fino al mare 24.
Questa notevole diffusione di bronzetti votivi in età arcaica sembra connotare
e confermare la particolare vitalità che in questo stesso periodo caratterizza il
“territorio fiesolano”: l’esistenza di numerosi luoghi di culto e un nuovo approc-
cio nei confronti del mondo del sacro appaiono collegati alla riorganizzazione
del comprensorio, che vede in collina la strutturazione di Fiesole, in pianura la
fondazione di Gonfienti e la centuriazione degli spazi circostanti fino al sestese e
alle porte di Firenze, dove il guado dell’Arno si riconferma punto focale per i col-
produzione del 475-470 a.C. circa 28, delimita le due scene figurate principali. Nella
prima, due giovani armati di lancia incedono verso destra preceduti da Eros, il
dio alato alla guida di un carro trainato in volo da una coppia di cigni. Nell’altra i
due giovani, armati rispettivamente di spada e di lancia, sono raffigurati in com-
battimento contro due guerrieri, che le ali connotano come esseri sovrannaturali,
armati di lancia e scudo rotondo, l’uno, di arco l’altro; forse un terzo è caduto a
terra ai loro piedi, dove però la decorazione è particolarmente lacunosa. Il petaso,
caratteristico copricapo a larga tesa, sembra identificare con Teseo uno dei due
giovani protagonisti di entrambe le scene, dal momento che l’eroe ateniese è mol-
to frequentemente raffigurato con tale tipo di cappello. Il compagno è probabil-
mente Piritoo, vicino a Teseo in più di una delle sue imprese. La presenza di Eros
su un lato e di esseri alati sovrannaturali sull’altro assicurano l’attribuzione del ciclo
iconografico ad un mito non altrimenti noto, che solo ipoteticamente potrebbe
41
2. “Pietre fiesolane” nell’antica esposizione del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
Al centro la stele Peruzzi (n. 14), che si distingue per la sua monumentalità; a destra la stele del
Trebbio (n. 9); a sinistra la stele di Sant’Agata (n. 10)
11. Cippo del Mecchio (n. 43) 12. Tular da Gavignano, Rignano sull’Arno
Rignano sull’Arno) o la presenza di ben due tular (segni etruschi di confine) con il
nome di Fiesole, l’uno iscritto su una parete rocciosa in località Fontesanta (Bagno
a Ripoli), l’altro – di avanzata età ellenistica – rinvenuto in località Gavignano (Rigna-
no sull’Arno, fig. 12), quindi lungo la via di crinale che, attraverso i Monti del Chianti,
congiunge la media valle dell’Arno alla costa tirrenica 22.
databili al V secolo a.C., un periodo altrimenti poco noto in ambito mugellano. Per
quanto concerne infine l’antica viabilità etrusca di Val di Sieve vanno richiamati
gli elementi desumibili sia dagli scavi del santuario di Poggio Colla, le cui indagini
sono cominciate negli scorsi anni Sessanta e vanno tuttora proseguendo 43, sia da
quelli di Poggio San Martino presso Frascole, la cui area attrezzata è stata inaugu-
rata nel 2013 44. A questi ritrovamenti vanno aggiunti quelli, noti da tempo, dalla
convalle del Moscia 45 nel territorio di Londa, i rinvenimenti presso Molino di Vico
vicino a Pontassieve, occorsi nel 2007 46, e gli scavi condotti dal 2010 sulla sommi-
tà di Monte Giovi, a Pontassieve – Vicchio di Mugello 47.
61
1. Stele n. 1 (in alto a sinistra), stele n. 27 (in basso a sinistra), stele n. 16 (in basso a destra) (da Gori
1737-1743, vol. III, tav. XVIII)
3. Documento di vendita della stele n. 14, Soprintendenza Archeologia della Toscana, Archivio
storico, anno 1893
nella chiesa di Santa Maria a Peretola (n. 13), la stele da Sant’Agata (n. 10) da poco
donata al Museo fiorentino dal Cav. Ajazzi, proprietario del campo dove era stata
trovata, e ricorda la stele del Trebbio (n. 9) promessa dal proprietario Antonio de
Witt 20. Inoltre, illustra il cippo che era murato nella chiesa di San Tommaso (n. 5)
«demolita per far posto in piazza Vittorio Emanuele alla nuova fabbrica Chiari, e
precisamente all’angolo di via de’ Cardinali», mettendolo in relazione con un bron-
zetto trovato pochi anni dopo nella terra di riporto 21.
Tali monumenti diventano presenze indispensabili nei manuali di etruscologia, a
partire da L’Art étrusque di Jules Martha, dove viene sottolineato il loro carat-
tere funerario 22; Joseph Durm, in Die Baukunst der Etrusker disegna la stele di
Londa I, considerandola un’opera decisamente originale 23. Inoltre, alcune “pietre
fiesolane” vengono menzionate nella letteratura da viaggio, ad esempio l’inglese
George Dennis ricorda la stele di larth ninie che ha visto a Palazzo Buonarroti,
mentre Lino Chini, dopo aver ricordato il monumento di Londa al Museo di Fi-
renze, aggiunge «e chi sa quanti altri ancora ne contiene quel suolo [il Mugello]
poiché un altro poco appresso vi fu scoperto» 24.
6. Luigi Adriano Milani nel giardino del Museo Archeologico Nazionale di Firenze
Luigi Milani vuole dare a questi manufatti un ruolo di primo piano nel Museo Topo-
grafico dell’Etruria, per cui chiede ai Buonarroti le due celebri stele, con l’intento
di esporle nella stanza dedicata a Fiesole e al suo territorio, insieme alla stele Pe-
ruzzi dell’Antella (dal 1743-44 nella Villa di Varlungo del Sig. Andrea Chiavistelli) 25
acquistata per il museo fiorentino nel 1893 (fig. 3) e ad altre che ottenne in dono,
quali la stele di vipia vetes (n. 4) e il cippo di Artimino (n. 8) donati dal Conte
Passerini, e la stele ricordata dal Chini (n. 3), donata nel 1871 dal Marchese Carlo
Strozzi. Inoltre, Milani riesce ad acquistare la stele di Sant’Ansano (n. 17), cosicché
può affermare che tali monumenti «adesso parlano, non essendo più sparsi ed
isolati» 26. Nel 1893, durante i lavori per costruire la cantina nella casa colonica del
podere Bellosguardo, viene ritrovato un cippo in località San Piero a Strada, pres-
so Montebonello (Pontassieve), che tuttavia è rimasto in proprietà privata.
Nel 1903, Milani riceve in dono per il Museo il monumentale cippo di Settimello (n.
2) dal conte Gamba Ghiselli, proprietario della villa di Settimello «posseduta avanti
il 1853 dal marchese Ugoccione Gherardi, l’antico proprietario dell’altra villa, detta
la Mula, fra Sesto e Quinto Fiorentino» 27, dove si trova ciò che resta di una tomba a
tholos. Decide di collocare il cippo nel giardino del Museo sulla sommità del tumu-
lo della tomba a tholos di Casale Marittimo, così da offrire ai visitatori un esempio
di come dovessero essere impiegati in antico questi segnacoli funerari (figg. 4-6).
È quindi innegabile l’impegno profuso dal direttore del Museo (e a partire dal 1907
Soprintendente) 28, per acquisire questi monumenti e renderli protagonisti del suo
progetto di museo del territorio, conferendo a tali oggetti una connotazione iden-
titaria di una larga zona gravitante intorno all’antica Fiesole etrusca (fig. 7), che si
amplierà sempre di più grazie alle continue scoperte. Anche il Comune di Fiesole
vorrebbe dotare il suo museo di esemplari di questi monumenti, tanto che nel 1895
chiede l’autorizzazione per eseguire un calco della stele di larth ninie 29, oggi in pos-
sesso del Museo Civico.
Oscar Montelius, nella sua opera La civilisation primitive en Italie depuis l’ intro-
duction des métaux (1910) fa una prima lista delle pietre conosciute, ma solo
nel 1932 Filippo Magi soddisfa l’esigenza, più volte manifestata dagli studiosi
anche dopo Milani, di un corpus di questi monumenti, raggruppando 20 esem-
plari e definendone le caratteristiche principali (nn. 1-20). Si tratta di monumenti
in arenaria decorati a rilievo, costituiti da un corpo principale (stele o fusto) e
un coronamento (antemio o pigna), siano essi stele ad una o due facce, oppure
cippi a quattro facce o di forma sferoidale. Di essi Magi fa una analitica tipologia
utilizzando le lettere dell’alfabeto, tipologia che verrà completata nel 1966 da
Francesco Nicosia 30, cosicché per convenzione oggi si continua ad usare la co-
siddetta classificazione Magi-Nicosia 31.
Due nuovi cippi di Artimino forniscono l’occasione a Francesco Nicosia per con-
tinuare il corpus di Filippo Magi, il quale aveva nel frattempo rese note altre tre
“pietre fiesolane”: la stele cosiddetta di Sansepolcro (n. 21), il cippo di Montemur-
lo (n. 22), la stele a lira Londa II (n. 23) 32. A questi seguono la stele di Camporella
(n. 24) e i cippi di Artimino II e III (nn. 25-26), cosicché il corpus arriva a com-
prendere 26 esemplari, 11 dei quali cippi 33, a cui si aggiunge la stele di Casale 34.
I due nuovi cippi mancano anch’essi di contesto, essendo quello detto Artimino II
proveniente dalla Villa medicea e il cippo Artimino III reimpiegato come paracar-
che veniva utilizzato come contrappeso per spostare i vasi di limoni all’interno di
una residenza privata (fig. 11); recentemente un frammento di stele è venuto alla
luce a Gonfienti (n. 46) e un altro verosimilmente attribuibile ad una base di cippo
(n. 47) è stato recuperato dalla Pieve di San Leonardo ad Artimino.
Si può quindi ancora una volta aggiornare l’elenco di questi oggetti monumentali
che, con le loro forme e immagini, raccontano un importante pezzo di storia del
territorio etrusco che, tra VI e V secolo a.C., include la Val di Sieve, il Mugello, la
piana fiorentina e il pistoiese.
Il record epigrafico fiesolano fino all’inizio del V secolo a.C. non è molto abbon-
dante, conseguenza della particolare struttura sociopolitica di questa città stato 1.
1. Le iscrizioni di Artimino (1) e di Quinto Fiorentino (2) (da Nicosia 1972 e Pallottino 1963)
73
(fig. 1,2), di termini del linguaggio sacrale (nuna 5) e di altri meno perspicui, il tut-
to inciso sulle ante del grande portale d’accesso all’ipogeo e sul pilastro centrale
della camera.
Questi testi presentano caratteristiche settentrionali, nell’uso di kappa per il fo-
nema /k/, di san per la sibilante continua; sono dunque stati realizzati da scribi
perfettamente consapevoli delle norme ortografiche di questa regione dell’Etruria
e attestano l’esistenza di un sistema affermato di insegnamento/apprendimento
della scrittura.
Le caratteristiche paleografiche, con lettere piuttosto allungate, alpha di forma
tendenzialmente angolosa con traversa il più delle volte montante rispetto al duc-
tus della scrittura, theta piccolo e con punto, sembrano rimandare a un tipo di
scrittura forse di lontana origine meridionale, che si afferma saldamente nel Nord
proprio nell’Orientalizzante recente e della quale troviamo sicure tracce anche al
di là dell’Appennino, in primo luogo nel più antico dei due cippi di Rubiera della
fine del VII secolo a.C. 6.
Qui, alla fine del VI secolo ritroviamo la grafia elegante già osservata nelle iscrizioni
lapidarie di Volterra e Fiesole, ad esempio nella bella urna di un arunth malame-
nas 28, da datare a circa il 510 (fig. 5,d).
Nel Fiesolano, probabilmente alla svolta del secolo, si data un cippo della serie
caratteristica denominata C 29 (n. 25). Sulla fascia perimetrale, alla sommità del
corpo parallelepipedo, è incisa un’epigrafe di difficile lettura. La mia proposta è la
seguente: mi larθia lartsniia 30 (fig. 4,9).
Il testo è complesso. L’epigrafe propone infatti un prenome maschile (larθ) al ge-
nitivo arcaico (larθia) e un secondo elemento della formula onomastica che ha
l’aspetto di un gentilizio (larstniia). Se al genitivo, esso sembra però interpretabile
come un nome femminile.
Per il termine larstniia, si può ricostruire la seguente trafila: a partire dal comune
nome individuale (prenome) laris, con l’aggiunta del suffisso (di provenienza?) –
te 31 e del suffisso derivativo – na, si ottiene un gentilizio *laristena, la cui forma del
femminile è *laristenai. Al genitivo, il gentilizio femminile diviene *laristenaia che,
in conseguenza della caduta di alcune vocali per effetto di una sincope precoce,
e del passaggio della sequenza – naia a -neia e quindi a – niia, fenomeni ben noti,
porta alla forma conservata lar(i)st(e)niia 32. Il significato sarebbe dunque “(figlio)
di una *Laristenai”.
Gentilizi femminili usati come metronimici di personaggi maschili non sono del
tutto isolati in Etruria in età arcaica. Si confronti il noto caso di avile laucieia della
necropoli arcaica di Volsinii 33. Più difficile che si tratti di una forma inusitata di ge-
nitivo di un gentilizio maschile, come invece sembra il caso per l’iscrizione etrusca
da Roma araz laraniia 34.
Dal punto di vista della grafia, particolarmente significativa appare la forma di
alpha, con asta curvilinea molto ripiegata a sinistra, che si ritrova su ceramiche di
fine VI secolo, ma che diviene abbastanza comune assai più tardi.
Una cronologia non alta è richiesta anche dalla forma, ormai influenzata dal feno-
meno della sincope, del secondo elemento della formula onomastica. Ne dovreb-
be conseguire una datazione almeno agli inizi del V secolo a.C.
A riprova nella forte mobilità dei modelli monumentali ed epigrafici nei tre am-
bienti territoriali confinanti, è opportuno citare anche il cippo, di pura tipologia
fiesolana, di recente rinvenuto presso Colle Valdelsa, che reca l’iscrizione di un
velθur aχu, 35 che sembra discendere, per ciò che attiene i caratteri epigrafici, diret-
tamente dalla tradizione della stele di lauchusie kurtes, ma che presenta anch’esso
una scrittura allineata con il ductus elegante del gruppo fiesolano (fig. 5,c).
Riassumendo, tra l’ultimo quarto del VI e i primi decenni del V secolo a.C. nel
territorio di Volterra, Fiesole e la Valdelsa si attivano scuole scrittorie locali che
esprimono abili incisori e lapicidi, che elaborano, su un modello comune, lievi va-
rianti locali.
La relativa abbondanza dei documenti attesta una fase di particolare prosperità
del distretto, che è dimostrata per il settore fiesolano dalla fondazione o rideco-
razione del tempio nell’area urbana, e nella strutturazione del centro urbano di
Gonfienti 36.
L’epilogo
L’ultimo documento, con il quale si conclude probabilmente anche l’esperienza
delle “pietre fiesolane”, è costituito da una epigrafe che fa riferimento a tutt’altra
tradizione scrittoria. Sulla costola della grande stele femminile del museo di Ar-
timino è incisa con bellissimi caratteri l’iscrizione vipia vetes 38 (figg. 4,10 e 6). La
grafia è quella corsivizzante, una grafia nata probabilmente a Chiusi all’inizio del
V secolo a.C., probabilmente su sollecitazioni di alfabeti calcidesi (cumani) tardo
arcaici 39. Malgrado la presenza di un tau di forma molto evoluta (che trova con-
fronti soprattutto nel IV secolo a.C.), la datazione alta della iscrizione sulla stele,
da circoscrivere alla prima metà del V secolo (primo quarto?) mi sembra indiziata,
oltre che dalle basi di pietra di Chiusi con tre serie alfabetiche redatte con questa
grafia 40, soprattutto da alcuni frammenti ceramici provenienti dal grande scarico
relativo a un’area di santuario (?) recentemente esplorato a Ortaglia (Peccioli),
che con la loro precisa datazione archeologica costituiscono una eccellente op-
portunità di confronto. Si tratta del frammento del ventre di una anfora greco-
orientale datato al V secolo a.C. e di un frammento di vaso di impasto buccheroide
datato tra VI e primi decenni del V secolo 41.
83
2. La stele in corso di restauro
Un’iscrizione si trova anche sul lato della stele ritrovato a vista in fase di scavo,
sebbene non sia ancora possibile determinare l’esatta disposizione delle lettere
e quindi capire se la stele fosse stata iscritta più di una volta.
Le lettere e i segni di interpunzione presenti sono 46 e, sebbene non sia ancora
possibile determinarle con esattezza, sono visibili 24 lettere di un’altezza media
di 3 cm; il numero totale delle lettere risulterebbe dunque 70. Per il momento,
visto il restauro in corso, sono leggibili solo poche parole, ma l’ortografia sug-
gerisce una datazione nel periodo arcaico, più precisamente nella seconda metà
del VI secolo a.C., in armonia con la lettura del contesto archeologico per il quale
è stato definito il terminus ante quem del 500-480 a.C.
La stele è stata trovata riutilizzata nelle fondazioni del tempio monumentale ar-
caico 3, come parte di una delle file di blocchi che dovevano sostenere il fronte
est della struttura del podio (fig. 3). La linea dei blocchi, insieme ad altri resti delle
strutture di fondazione, era alloggiata nel taglio di uno strato di terra scura, che
includeva una grande quantità di vasi in bucchero da banchetto databili nei pe-
riodi orientalizzante e arcaico, fornendo un terminus post quem al terzo quarto
del VI secolo a.C. Considerando che il tempio monumentale si data al 500-480
a.C. sulla base di un’antefissa ora al Museo di Dicomano, è molto probabile che la
stele fosse esposta nel santuario di fase pre-monumentale. Scavi recenti hanno
portato alla luce strutture ovali, probabilmente capanne, precedenti al tempio e
quindi coeve con la fase della stele, la quale è importante non solo per la presen-
za dell’iscrizione, ma anche perché proveniente da un contesto non funerario. Si
pensa dunque che la stele monumentale fosse esposta come simbolo di autorità
connesso alla fase più antica del santuario. Il suo riuso nelle fondazioni del tempio,
di difficile spiegazione, potrebbe invece essere riferibile alla pratica di riuso di ele-
menti architettonici 4 che ha caratterizzato la vita del santuario di Poggio Colla 5.
La distruzione del tempio monumentale arcaico, nelle cui fondazioni fu interrata la
stele, è segnata da azioni rituali che suggeriscono l’imitazione di passaggi propri
di un rito di sepoltura del corpo umano 6. Elementi del tempio, per esempio i bloc-
chi modanati e almeno cinque basi di colonne, furono deliberatamente rimossi,
Note
1
Sigla di scavo 2015-001. Lungh. max 1.20; 3
Vedi Thomas 2016.
largh. max 0.64 m; spess. max 0.20 m. 4
Warden 2012b.
2
Un consorzio di università americane ed eu- 5
Warden 2010 e Warden 2013.
ropee. Vedi http://www.poggiocolla.org. 6
Warden 2012b, pp. 88-110.
Gregory Warden, Una scoperta recente: la stele iscritta del santuario etrusco di Poggio Colla 85
Corpus
delle “pietre fiesolane”
Già nota nel Settecento come proveniente conosciute. È integra, ma le superfici sono
da Fiesole e subito dopo passata in pro- danneggiate da profonde solcature. Sulla
prietà della famiglia Buonarroti, la stele, ret- faccia principale, un guerriero stante verso
tangolare con il lato superiore arrotondato sinistra, vestito con un perizoma, tiene una
e una breve risega in basso, ha una forma lancia e un’ascia. Il personaggio mostra dun-
particolare rispetto alle altre stele fiesolane que entrambe le insegne del suo rango che,
nel richiamo al mondo militare e guerriero,
costituiscono i simboli della sua auctoritas
politica e religiosa. Alla destra della figura,
nel campo dietro la gamba sinistra, cor-
re verticalmente un’iscrizione che riporta il
nome del defunto cui era dedicata la stele,
larθia niniés (Benelli 2007, p. 170). Dal punto
di vista stilistico, sono stati evidenziati alcu-
ni caratteri ionici (Bruni 1997, p. 40 e Bruni
2000), che ne hanno suggerito una datazio-
ne entro il terzo quarto del VI secolo a.C.
[E. B.]
Il cippo, di forma parallelepipeda con co- testa retrospiciente, hanno gli occhi grandi,
ronamento “a cipolla”, presenta sui quattro le fauci spalancate da cui fuoriesce la lin-
lati una decorazione di “trofei vegetali” a gua, la criniera segnata da grandi ciocche
bassorilievo, con girali, palmette e fiori di a fiamma, la coda sinuosa desinente in una
loto, inquadrata da quattro leoni angolari voluta.
resi ad altorilievo. I leoni, rampanti con la Il cippo rappresenta senz’altro l’esempla-
re più monumentale dell’intera classe delle
“pietre fiesolane” e, anche per questo, si di-
stingue dai tipi più diffusi. Sono peculiari la
forma e soprattutto la scelta decorativa: il
tipo dei leoni sembra derivare da modelli di
area nord-ionica, che presentano la stessa
geometria delle teste e una simile stilizza-
zione del naso, delle fauci e della criniera. Al
repertorio ionico dell’ultimo trentennio del
VI secolo a.C. rimandano anche i complessi
trofei fitomorfi, che occupano i quattro lati
del cippo, e lo schema del fregio inferiore
con palmette erette, contrapposte a fiori
di loto penduli, raccordati da volute ad S,
motivo peraltro che ricorre su molte stele
fiesolane.
Il cippo appartiene ad una categoria di
semata sepolcrali non comuni: i più simili
per forma e dimensioni sono due cippi in
marmo, l’uno conservato al Museo Bardini,
l’altro venuto alla luce a Pisa in località La
Figuretta, entrambi attribuibili ad una bot-
tega pisana, attiva nella seconda metà del
VI secolo a.C., specializzata nella realizza-
zione di segnacoli funerari in marmo, oltre
a cippi emisferici e “a cipolla”, cippi a clava,
basi con protomi di ariete agli angoli (vedi
da ultimo Maggiani 2014a).
Ultimo quarto del VI secolo a.C.
[G.C. C.]
Lastra a forma di “lira”, coronata da una È uno dei più interessanti monumenti del
palmetta a sette foglie, impostata su due tipo c della classificazione Magi-Nicosia,
girali contrapposte, legate da una fascia per la decorazione su entrambi i lati, il ric-
orizzontale decorata a guilloche a rilievo; co apparato decorativo accessorio e la
sullo spessore della pietra, una doppia se- presenza della base inferiore desinente in
rie di linguette concave contrapposte. Sul un incastro per il fissaggio. Il segnacolo
corpo, entro una cornice scanalata, una era dedicato ad una donna etrusca di no-
decorazione a basso rilievo su entrambe le bili origini, come testimoniano il trono su
facce. Sul lato A, una figura femminile di cui siede, la ricchezza delle vesti e dei gio-
profilo a sinistra, seduta su elegante sedia, ielli che indossa. Il ramoscello con i frutti
con la mano sinistra appoggiata sulla gam- del melograno, forse retaggio del mito di
Persefone, richiama la funzione funeraria
ba e la destra alzata a tenere un rametto
della stele. Interessante la specularità dei
di melograno con tre frutti. La donna ha
movimenti su entrambe le facce, dove, alla
un velo sulla testa, indossa una lunga veste
mano destra alzata della donna, corrispon-
e calzari ricurvi; al collo porta una collana.
de, sull’altro lato, l’arto destro della sfinge.
Sul lato B, è raffigurata una sfinge alata di
Ultimi decenni del VI secolo a.C.
profilo a sinistra, con mento pronunciato e
capelli raccolti in trecce dietro l’orecchio, Magi 1932, p. 13, n. 3; Magi 1958; Nicosia 1966a, p.
la zampa anteriore sinistra a riposo, la de- 159; Cappuccini 2009, pp. 85-86, n. 1.
stra alzata e le zampe posteriori in posizio-
ne seduta. [La. P.]
Stele ovoidale, in origine coronata da un an- Già considerata testa di serie del tipo (Magi
temio, pertinente al tipo c della classificazione 1932 e Bocci 1963), i caratteri dell’iscrizione vi-
Magi-Nicosia (Magi 1958, fig. 2, ne propone una pia veteś (prenome e gentilizio della defunta)
ricostruzione). Su entrambe le facce, è presen- incisa sullo spessore la fanno scendere cro-
te una decorazione fitomorfa a bassorilievo nologicamente almeno al primo quarto del
con ampia palmetta a nove petali, sorgente da V secolo a.C. (Maggiani 1982, p. 148, nota 3 e
volute listate, che si prolungano incorniciando supra), salvo ipotizzare un riutilizzo del mo-
il monumento e sottolineandone la forma. numento con l’apposizione del nome di una
La palmetta di marca greco-orientale – moti- discendente (Nicosia 1966a, p. 152, nota 19).
vo frequente nei monumenti di scuola fieso-
lana, prescelto anche per le stele di analogo Corpus Inscriptionum Etruscarum, n. 35; Milani
tipo di Camporella (n. 24) e di Settignano 1898, p. 126; Milani 1912, p. 280; Magi 1932, p. 14,
(n. 33) e con precedenti in loco negli avori di n. 4, tav. III, 1; Magi 1958, pp. 203-205, tav. LXVI,
Montefortini – per la forma armoniosa aper- 2, fig. 2; Bocci 1963, pp. 209-210; Nicosia 1966b,
p. 282; Nicosia 1974, p. 24, n. 21, tav. VI; Martelli
ta a ventaglio ricorda quella dei preceden-
1979, pp. 40-41, tav. XII, 2; Maggiani 1982, p. 148,
ti coronamenti con palmetta a nove petali
nota 3; Torelli-Masseria 1992, F. 106, p. 116, n.
della terrazza-altare cortonese del Tumulo 82.4; Capecchi 1996, p. 61; Poggesi 1997, p. 70,
II del Sodo, nonché quella sul lato minore di fig. 27; Maggiani 2005; Camporeale 2009, p. 18,
un’urna da Volterra dei decenni finali del VI fig. 13; Pagnini 2011a, p. 419, p. 421, fig. 5; Poggesi
secolo a.C., per la quale sono stati richiama- 2012, p. 18.
ti confronti tra i bronzi di Castel San Mariano
(Cateni-Maggiani 1997, pp. 89-91). [M.C. B.]
Il cippo, murato su una parete esterna della stra tiene un lituo con la destra e ha la mano
chiesa di San Tommaso, con in vista il grifo sinistra poggiata sul fianco; ai piedi, calcei
e uno dei leoni, per molto tempo è stato repandi. Sulla faccia opposta, un grifo ram-
interpretato come lo stemma degli Ago- pante verso sinistra, con becco semiaperto
lanti o come l’impresa di qualche famiglia e lingua appuntita. Sulle altre due facce, due
di popolo. La scelta di lasciare in vista le leoni rampanti.
figure animali appare non casuale nella cir- Il monumento appartiene al tipo C3 della
costanza del riutilizzo medievale del pezzo, classificazione Magi-Nicosia, anche se la pre-
in quanto un grifo e un leone rampanti po- senza della figura umana e della sua carat-
tevano risultare assai più familiari e signifi- terizzazione sacerdotale lo avvicinano piut-
cativi, per il mondo iconografico dell’epoca, tosto al cippo Inghirami tipo C1 (n. 6) e alla
di una figura umana di non facile compren- stele di Frascole (n. 28).
sione. Ultimo quarto del VI secolo a.C.
Le quattro facce del cippo, privo del coro-
namento e del codolo di base, presentano Magi 1932, p. 14, n. 5; Capecchi 1989, p. 182; Capecchi
un campo figurato ribassato sormontato da 1996, tab. 1, p. 159; de Marinis 1996, pp. 151-152.
una cornice a linguette. Sulla faccia princi-
pale, una figura sacerdotale volta verso sini- [E. B.]
[E. B.]
Sul lato A è raffigurato il defunto eroizzato, 31) e quello di Pian de’ Poggioli (n. 38) – i quali
barbato, in armamento oplitico (elmo attico, presentano anche un’immagine di grifo o di
scudo, lancia, pugnale, corazza, schinieri). Sul felino seduto sulle zampe posteriori analoga
lato B si conserva forse un piede di profilo a a quella del cippo artiminese – collegandola a
sinistra. Sul lato C, un grifo alato seduto sulle quella dell’esemplare di Settimello e dell’alta-
zampe posteriori, con l’anteriore sinistra sol- re di Fiesole (Bruni 1994).
levata. Mentre il kyma dorico della cornice Ultimi decenni del VI secolo a.C.
sommitale ricorre in numerosi esemplari, la
decorazione accessoria della base – con li- Milani 1898, p. 126; Milani 1912, p. 78, p. 280; Magi
1932, p. 15, n. 8; Nicosia 1966b, p. 278, p. 282; Ni-
stello cordonato e palmetta tra due viticci a S cosia 1974, p. 24, n. 20, tav. VI; De Marinis 1986;
coricate e contrapposte con riempitivi a goc- Torelli-Masseria 1992, F. 106, p. 116, n. 82.4; Bru-
cia, di ispirazione greco-orientale – ha con- ni 1994, pp. 75-76, fig. 32; Capecchi 1996, p. 158;
sentito di attribuirlo alla stessa officina che ha Poggesi 1997, p. 70; Pagnini 2011c, p. 419, figg. 3-4;
Poggesi 2012, p. 18.
prodotto il cippo di via de’ Bruni (n. 36), uno
dei cippi del Palazzo dei Vescovi di Pistoia (n. [M.C. B.]
La stele tipo b2, di forma trapezoidale con alle braccia, è coperto da un grande scudo
in alto una palmetta a sette foglie su due circolare bombato con bordo piatto; le gam-
volute orizzontali e contrapposte, ha una be sono protette dagli schinieri. L’armatura
decorazione accessoria sommariamente di tipo oplitico richiama l’attenzione sulla
realizzata. Priva dell’incastro alla base, ha classe sociale di appartenenza del defunto.
l’antemio lacunoso e presenta una scheg- 530-480 a.C.
giatura sull’angolo destro inferiore.
Sul pannello anteriore, ribassato, un guerriero Milani 1889c; Magi 1932, p. 15, n. 9; Nicosia 1966a, p.
armato, di profilo a sinistra, indossa un elmo 159; Cappuccini 2009, pp. 86-87, n. 2.
a calotta con grande cimiero e tiene con la
destra una lancia. Tutto il corpo, dal collo fino [La. P.]
[La. P.]
Si conserva solo la parte centrale della stele plia: indossano una sorta di corazza, della
che, seppure priva di coronamento, appar- quale restano visibili numerose laminette
tiene al tipo b2 della classificazione Magi- ai fianchi, sottili e ravvicinate; portano un
Nicosia. È decorata con una treccia e una elmo con lungo cimiero, ma senza paragna-
fascia di linguette sullo spessore, con una tidi, e degli schinieri semplici.
scena di commiato nel campo figurato. I 500-490 a.C.
due guerrieri, di profilo uno di fronte all’al-
Magi 1932, p. 16, n. 11; Nicosia 1966a, p. 159; Capecc-
tro, hanno le mani destre occupate nel ge- chi 1996, p. 162; Cherici 2012, p. 119, fig. 11; Settesoldi
sto di saluto, mentre con la sinistra tengono 2012.
una lancia. Ambedue sembrano barbati e
appartengono al tipo di guerriero in pano- [E. B.]
[E. B.]
[E. B.]
Magi 1932, p. 17, n. 15; Magi 1933, pp. 68, pp. 78-80;
De Marinis 1961, n. 93; Nicosia 1966a, p. 159; Cerchiai
2008, p. 442, fig. 6.
[E. B.]
Gori 1734; Magi 1932, pp. 17-18, n. 16; Magi 1933, tav.
IV, fig. 2; Nicosia 1966a, p. 159; Cappuccini 2009, pp.
89-90.
[M. D.M.]
La stele trapezoidale conserva solo la par- avvolto intorno ai fianchi; tiene con la mano
te centrale, con la scena di libagione di un destra un kantharos e con la sinistra una
uomo barbato a sinistra e un giovane a piccola oinochoe. La scena, di non facile
destra. L’adulto indossa un mantello orla- lettura, ha offerto argomenti per discutere
to lungo fino al ginocchio e calzari ai piedi; sulla presenza in Etruria dei riti legati al dio
ha la mano sinistra sollevata all’altezza del del vino, Dioniso/Fufluns/Bacco, ed è sta-
petto, mentre con la destra regge un kan- ta interpretata come «proiezione mitica […]
tharos. Il coppiere indossa solo un panno della trasmissione del potere gentilizio del
defunto all’erede che gli ha eretto la stele e
che lo onora con l’offerta del vino, affidata
al vaso potorio dalle grandi anse, fatto ap-
posta per passare di mano» (Colonna 1991,
p. 118).
Fine VI-inizi V secolo a.C.
[E. B.]
[E. B.] 20
Lastra di arenaria di forma trapezoidale e sulla parte superiore, oltra a diffuse trac-
leggermente rastremata verso l’alto, priva ce di calce, che fanno supporre il reimpiego
dell’antemio e dell’appendice di fissaggio. della stele in una muratura. La decorazio-
Sono presenti scheggiature sul lato sinistro ne, a bassorilievo, occupa un solo lato ed
è distribuita su due pannelli sovrapposti. In
alto, una scena di simposio: al centro, un
uomo barbato, semirecumbente sulla kline,
con una kylix nella destra, si rivolge ad una
donna, seduta accanto a lui su di un trono
ad alta spalliera con i piedi poggiati su uno
sgabello. La donna, che regge un fiore nel-
la mano destra e porta grandi orecchini a
disco, indossa un lungo chitone aderente a
maniche corte, il tutulus e i calcei repandi. A
sinistra è un giovane coppiere nudo, stante,
che regge nella mano sinistra sollevata un
colum e nella destra un simpulum. In basso,
un cavaliere nudo, che regge le redini con
la mano sinistra, mentre nella destra teneva
con ogni probabilità una frusta, o una lan-
cia, oggi scomparsa, che doveva essere di-
pinta sul fondo.
La stele, appartenente al tipo b1 della clas-
sificazione Magi-Nicosia, rivela notevoli so-
miglianze con le stele di Travignoli (n. 16),
Peruzzi (n. 14) e con il frammento da Fie-
sole, via Corsica (n. 15). I rapporti stilistici
più stretti sono con la stele di Travignoli,
tanto che già il Magi ipotizzava che i due
pezzi potessero essere opera della stessa
bottega.
Fine VI secolo a.C.
[G.C. C.]
Il cippo, con fusto parallelepipedo e corona- figura del cippo di via de’ Bruni a Firenze (n.
mento a pigna, presenta su una faccia una 36). La lancia o hasta caratterizza il rango
figura virile verso destra, con lancia nella del defunto, parimenti al personaggio sulla
mano sinistra; sugli altri lati, un fregio di lin- stele di Peretola (n. 13, Bruni 2002).
guette in alto e riquadri verticali nel campo. Ultimi decenni VI-inizi V secolo a.C.
Del monumento, individuato e riconosciu-
to da Renato Piattoli nel 1933, non si co- Magi 1934, pp. 407-411; Piattoli 1934, pp. 401-405;
Nicosia 1966a, p. 149, nota 1, n. 22, pp. 152-154; Nicosia
noscono le circostanze del ritrovamento.
1974, p. 22, n. 18, tav. V; Bruni 1994, p. 78; Capecchi
Francesco Nicosia ha individuato puntuali 1996, tab. 1, n. 22; Bruni 2002, pp. 316-317, nota 144;
confronti col cippo di Artimino, Podere Gru- Perazzi 2008, pp. 637-638; Pagnini 2011d, pp. 84-85.
molo (n. 8), riconoscendovi la mano dello
stesso scultore, oltre a forti analogie con la [Lu. P.]
La stele di tipo c, con la caratteristica forma tratta dell’immagine della defunta che sta
ovoidale rastremata verso l’alto, presenta il portando un’offerta.
lato posteriore levigato. Sulla faccia princi- Ultimi decenni del VI-inizi V secolo a.C.
pale è raffigurata una figura femminile stan-
te di profilo a sinistra, con lunga veste ade- Magi 1932, p. 21; Magi 1958, pp. 201-207; Nicosia
rente – che solleva con la mano sinistra –, 1966a, p. 149, nota 1, n. 23.
il tutulus in testa e i calcei repandi ai piedi;
nella mano destra stringe una melagrana. Si [E. B.]
Di forma ovoidale rastremata verso l’alto, con grana, attributo legato al mondo degli Inferi.
codolo inferiore e mancante dell’antemio. La stele è da confrontarsi, per caratteristi-
Presenta su un lato una figura femminile di che tipologiche e decorative, con le altre
profilo verso sinistra con lungo chitone, tu- di tipo c della classificazione Magi-Nicosia.
tulus e calcei repandi, che tiene con la mano Ultimi decenni VI-inizi V secolo a.C.
destra una melagrana; sull’altro lato, una pal-
Bocci 1963; Rilli 1964, pp. 82-85; Nicosia 1966a, p.
metta a sette petali. Sulla faccia principale, 149, nota 1, n. 24; Nicosia 1974, p. 26, n. 22, tav. VII.
viene proposta l’immagine della defunta in
viaggio verso l’Aldilà, con in mano la mela- [Lu. P.]
Cippo parallelepipedo aniconico con coro- di una delle facce minori, già letta ś.arθia //
namento sferoidale, tipo C2 della classifica- arstniia identificando in ar(n)θ arstni il de-
zione Magi-Nicosia; decorazione a rettangoli funto (Nicosia 1966c), riletta mi:larθia/[?]arst
inscritti in cavo sulle quattro facce – forse [---]a da Rix, secondo la recente proposta di
alludenti alla porta degli Inferi – con kyma Maggiani recita mi larθia / larstniia (Maggiani
dorico al sommoscapo. L’iscrizione di pos- 2005; vedi anche Maggiani supra).
sesso parzialmente abrasa, incisa con grafia Trova i migliori confronti per forma e de-
arcaica sui listelli superiore e laterale sinistro corazione nel cippo di Sandetole (n. 44) e
nella faccia C dell’esemplare di Montemurlo
(n. 22). Lo stesso motivo decorativo – sem-
pre semplificato rispetto alla versione arti-
minese – è presente anche nel cippo fram-
mentario del Mecchio di Rignano (n. 43) e in
quello de La Castellina di Quinto Fiorentino
(n. 39), che mostra le maggiori divergenze.
Fine VI-inizi V secolo a.C.
[M.C. B.]
[E. B.]
[La. P.]
[La. P.]
Della pietra si conserva tutta la parte su- mità del monumento, anch’essa decorata,
periore, costituita da una sfera compressa di cui sopravvivono tracce di lunghi petali,
superiormente e appiattita nella parte infe- forse riferibili ad una grande rosetta.
riore, dove resta lo stacco di un elemento La pietra è stata considerata un prototipo
cilindrico distrutto al momento del ritrova- dei successivi cippi di tipo A (cfr. anche per
mento. L’appendice, che stando ai dati d’ar- la disposizione della decorazione, il cippo di
chivio era alta circa cm 30 e non era de- Travalle, Baldini 2012), anche se la presenza
corata, doveva permettere il fissaggio del dell’appendice cilindrica porta a ipotizzare
manufatto all’interno di una base di pietra. una connessione con un elemento paralle-
Sulla superficie, consunta e levigata per la lepipedo; in questo modo essa potrebbe
prolungata giacitura nella Sieve, restano costituire il coronamento sferoidale di un
tracce di una decorazione a bassorilievo grande cippo di tipo C, rendendo il monu-
disposta in fasce orizzontali sovrapposte e mento di Barberino un incunabolo di tutta
separate da cornici. Dal basso, sul registro la serie delle “pietre fiesolane”.
principale alto circa cm 18, si conservano La scena del registro principale, nonostante
silhouettes riconducibili a personaggi ma- il precario stato di conservazione, non trova
schili e femminili in processione, rappre- confronti puntuali e potrebbe rappresen-
sentati di profilo, con un braccio sollevato tare la processione connessa al compianto
e mano poggiata sulla spalla della figura del defunto a cui era dedicato il prestigioso
che precede. Una treccia rilevata compre- manufatto.
sa tra due listelli separa il registro da una 600-580 a.C.
fascia superiore, occupata da una catena Nicosia 1967, pp. 273-275, fig. 3, tav. XLIX, a; Ca-
di fiori di loto e palmette; segue un’altra pecchi 1984, pp. 38-39, nota 19, n. 30; Cappuccini
cornice con doppio tralcio avvolto in anelli 2009, p. 91, n. 8.
e anch’esso compreso tra listelli orizzontali
rilevati, che circoscrive una zona sulla som- [L. C.]
[C. T.]
La stele, di forma ovoidale, era murata in 3) e con quella di Camporella (n. 24), a tal
un edificio a Settignano, presentando in vi- punto che tutte e tre sono state attribuite a
sta la faccia decorata a palmetta, un tipo di produzioni di una medesima bottega (Mar-
reimpiego piuttosto raro (Capecchi 1989, p. telli 1979, pp. 40-41). Per il lato B il termine
182). Sulla faccia principale è rappresentata di confronto più vicino è di nuovo riscon-
una figura femminile stante, con calcei re- trabile nel pezzo di Camporella, nonostan-
pandi ai piedi, nell’atto di sollevare con la te la presenza in esso del triplice nastro di
sinistra un lembo della veste. Sul lato po- raccordo fra le volute di base e talune lievi
steriore, una grossa palmetta a sette petali, differenze nella composizione.
contornata da girali terminanti a voluta. Ultimi decenni VI-inizi V secolo a.C.
Appartenente al tipo c della classificazione
Magi-Nicosia, la stele presenta i paralleli più Martelli 1979, pp. 40-41, nota 9, tav. XII, 2; Capec-
immediati, per l’affinità e le molteplici coin- chi 1984, pp. 38-39, nota 19, n. 33; Capecchi 1989,
[C. T.]
Lastra trapezoidale priva di parte del coro- verticale affiancato da due gole a linguette.
namento e della base, con superficie scalfita Attribuibile al tipo b2, ne costituisce tuttavia
e scagliata. Il coronamento (perduto) era su un esempio non canonico (Capecchi 1984).
viticci a S orizzontali contrapposte con riem- Lo stato frammentario ne consiglia l’attri-
pitivi a goccia. Sulle facce A-D, un tondino e buzione al generico periodo di diffusione
fascia a guilloche, persi sul lato A. Sulla fac- della classe.
cia A, pannello ribassato delimitato da ton- 530-480 a.C.
dino (solo in alto), listello e gola a linguette
concave. Lo specchio interno fu spianato per Capecchi 1984; Gunnella 1984; Millemaci 2006, p.
l’esecuzione di un’epigrafe romana (Gunnel- 61; Perazzi 2010, pp. 383-385.
la 1984). Sui fianchi C-D, pannello ribassato
delimitato da listello con, al centro, tondino [C. T.]
Il cippo a corpo parallelepipedo ricomposto centrale identico a quello presente sui cippi
da due porzioni longitudinali, manca di poco di Artimino I (n. 8), Pistoia I (n. 31) e di Pian
meno della metà del coronamento cipollifor- de’ Poggioli (n. 38). Similitudini si riscontra-
me. Sulla faccia principale, una figura maschi- no anche col cippo di San Tommaso (n. 5),
le stante verso sinistra, tiene nella destra una ma la raffigurazione del defunto eroizzato
lancia; indossa un elmo di tipo corinzio, calcei in aspetto di guerriero, per la presenza della
repandi ai piedi e una sorta di brevissima cla- lancia e dell’elmo, richiama piuttosto quella
mide intorno al polso sinistro. Sulle altre tre della stele di larth ninie (n. 1).
facce, tre singole figure di animali rampanti Terzo venticinquennio del VI secolo a.C.
verso sinistra e retrospicienti verso destra;
sulla faccia opposta a quella con figura uma- Capecchi 1984, pp. 38-39, nota 19, n. 36; de Marinis 1989;
na, un grifo; sulle altre due, un leone. de Marinis 1991, pp. 293-295; de Marinis 1994, pp. 72-73,
Il cippo, che appartiene al tipo C3, presen- figg. 28-31, pp. 75-76; de Marinis 1996, pp. 150-151.
ta, alla base dei riquadri decorati, una fascia
con motivo a S contrapposte con palmetta [E. B.]
[L. F.]
[L. F.]
Cippo a fusto parallelepipedo, con coro- II (n. 25), anche se con misure, caratteristi-
namento cipolliforme e codolo inferiore che formali e decorative diverse, e al cippo
troncoconico, riconducibile al tipo Cı della di Montemurlo (n. 22).
classificazione Magi-Nicosia. Sulle quattro Seconda metà VI-primi decenni V secolo a.C.
facce, due viticci a girale in alto e motivo a
rettangolo verticale incavato, nel resto del de Marinis-Nicosia 1992, pp. 612-613, tav. CIX, a; Ca-
campo. pecchi 1996, p. 154, n. 39, pp. 158-159, tab. 1 n. 39,
Il motivo decorativo a rettangolo, che po- p. 166, nota 52.
trebbe rappresentare la porta degli Inferi,
avvicina il monumento al cippo di Artimino [Lu. P.]
Stele frammentaria, tronca all’altezza delle Montemurlo (n. 22), mentre la posizione
spalle e poco sotto le ginocchia della figura della mano sinistra poggiata verticalmen-
che vi è rappresentata. Il retro incavato e te sul fianco si ritrova puntualmente nelle
le fiancate logore sono dovuti al lungo uso figure dei cippi di San Tommaso (n. 5), In-
della pietra come cote. Si conserva la parte ghirami (n. 6), via de’ Bruni e di Montemur-
centrale di una figura virile volta a sinistra lo, ma anche sulla stele di Frascole (n. 28).
che impugna una lunga asta nella mano Fine VI-inizi V secolo a.C.
destra, mentre la mano sinistra è poggiata
verticalmente sul fianco. Capecchi 1996, p. 154, n. 40, p. 163, note 5, 12, p. 165,
Il motivo iconografico della figura maschi- note 34, 35, p. 167, nota 70.
le con l’asta trova riscontri solo su cippi,
come quello di via de’ Bruni (n. 36) e di [E. B.]
[Lu. P.]
[M.C. B.]
Si conserva solo la metà superiore del cip- un cerchio. Le facce del cippo sono de-
po; il lato C è quasi interamente asportato corate con una specchiatura rettangola-
da un’ampia e profonda scheggiatura; i lati re verticale, incavata entro una cornice;
B e D sono parzialmente conservati. quest’ultima è ornata, nel breve segmento
Il cippo è ascrivibile al tipo C (sottotipo superiore, con un motivo a meandro reso
C2 o C3) della classificazione Magi-Nicosia. in bassorilievo e costituito da una greca di
Presenta fusto aniconico, parallelepipedo tre elementi.
e un po’ rastremato in alto; è sormonta- V secolo a.C.
to da un coronamento sferoidale, legger-
mente depresso nella parte sommitale, Fedeli 2013.
con consunta decorazione incisa, presu-
mibilmente un fiore a più petali iscritto in [L. F.]
[L. F.]
Inedito.
[G. M.]
Frammento attribuibile ad una base di cip- rale sinistro e posteriore, raccordate da una
po, pur nella consapevolezza che non si palmetta nell’angolo risultante. Faccia po-
possa escludere totalmente la sua pertinen- steriore e parte superiore del fianco sinistro
za ad una base di statua o di altare. Inca- inornati.
vo sub-cilindrico eccentrico e parzialmente Questo frammento – che meriterà una
rilavorato in epoca contemporanea; fianco più ampia analisi – mostra i legami della
destro, base e parte inferiore del fianco si- “scuola fiesolana” con la tradizione tardo
nistro mutili. orientalizzante che aveva caratterizzato
Dell’apparato ornamentale, che consente di la produzione eburnea “locale”, nella qua-
attribuire l’esemplare alla “scuola fiesolana”, le ricorre non occasionalmente il motivo
si conservano una cornice a linguette e toro delle guilloches accoppiate, oltre a quello
sulla fronte e parte delle bande a guilloches frequentissimo delle guilloches scempie.
marginate da listelli che incorniciano lo Ultimi decenni del VI-inizi V a.C.
specchio superiore: una accurata guilloche
semplice, delimitata da un largo listello, in Poggesi 1997, p. 101; Pagnini 2011b, p. 485, c, fig. 9.
corrispondenza della faccia frontale; sottili
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Finito di stampare in Italia nel mese di marzo 2016
da Pacini Editore Industrie Grafiche - Ospedaletto (Pisa)
per conto di EDIFIR-Edizioni Firenze