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Gli anni che videro la vita e l'opera di Dante sono, per la storia
della musica italiana, particolarmente oscuri. Mancano fonti che testi
monino una civiltà polifonica appena paragonabile alla ormai seco
lare fioritura d'Oltralpe; mancano documenti musicali che riguardino
la lirica monodica di derivazione trobadorica. Rimangono le fonti
della Lauda ducentesca 1 nell'Italia centrale, che si collocano negli ul
timi decenni del XIII e nei primi decenni del XIV secolo. Non vi è
però chi non veda che questa testimonianza è - presa isolatamente -
insufficiente a darci una ragione storica dell'Ars Nova fiorentina, che
sgorga - sembra improvvisamente - dopo il 1325 con caratteristiche
distinte e compiutamente autonome dalle esperienze francesi con
temporanee: ed è proprio in una esperienza di lirica monodica e di
tecnica polifonica anteriori, cioè del tempo di Dante, che dovremmo
trovarne le radici.
Si capisce allora il fiorire di tante ipotesi difficilmente control
labili: vi è chi sostiene che la civiltà monodica fiorentina di fine
Duecento si basava solo sulla tradizione orale: quindi esisteva, ma
non ne abbiamo i documenti2; altri cerca nella poesia toscana « di
transizione » e nella poesia stilnovista la testimonianza di una fiori
tura musicale, parallela alle forme poetiche, e dall'evoluzione di queste
12 Ibid., w. 93 sgg.:
diss'io, " ma a te com'è tanta ora toltaί "
ed elli a me: " Nessun m'è fatto oltraggio,
se quei che leva quando e cui li piace,
più volte m'ha negato esto passaggio
13 De vulgari eloquentia, II, m, 5: « Cantiones per se totum quod debent
officiunt ».
Voce superiors
a
< Batt.3 Batt.3 Ban.ii Batt.ia
35 Convivio, III, χ. In altro passo (I, i, 16) Dante cosi sottolinea il distacco
stilistico e di contenuti dalla Vita Nuova: « ... altro si convene e dire e operare ad
una etade che ad altra; perché certi costumi sono idonei e laudabili ad una etade
che sono sconci e biasimevoli ad altra... ».
36 Al η. LXII delle Rime viene posta nell'ediz. cit. de Le opere di Dante la can
zone « Cosi nel mio parlar voglio esser aspro »: in età matura, quindi. E l'ampiezza
della forma, la varietà delle immagini, e soprattutto l'ardimento linguistico lo testi
moniano (si pensi alle rime in « etra », « ezzi », « orza », « atra », « erza » ecc., e le
si confrontino con gli ideali « aulici » espressi nel De Vulgari eloquentia).
37 Purgatorio, XII, v. 110.
dolcemente e divote
seguitar lei per tutto l'inno intero
avendo gli occhi alle superne rote.
51 Ibid., XXX, ν. 10. Nel Liber responsorialis, p. 263, troviamo: « Veni de Libano
Sponsa mea, veni de Libano, veni » (Cantico dei Cantici, iv, v. 8). Il che spiega anche
le « tre volte » riferito quindi alla parola « veni ».
52 Sia il « Benedictus », tratto dai Vangeli e dal Salmo CXVII, v. 26, sia « Ma
nibus date liba plenis », tratto da Eneide, VI, v. 883, sia « Veni sponsa », si riferi
scono all'imminente arrivo di Beatrice dal cielo.
53 Purgatorio, XXX, v. 82.
54 Ibid., XXXI, v. 98. Salmo L, v. 9 (è indicato nel Liber Usualis, p. 11, e nel
Graduale Romanum, pp. 1, 3, 4, come « Antiphona in Dominicis ad aspersionem aquae
benedictae ». Il canto si ricollega quindi direttamente con la purificazione di Dante
attraverso l'immersione nel fiume Lete).
55 Purgatorio, XXXII, v. 33.
« Alto » e « basso » - si evince dal contesto - sono notazioni che riguardano sia
l'altezza che l'intensità.
59 Ibid., II, ν. 46. Anche solo nel Liber Usualis molti sono i canti con queste
parole. A p. 1068 è in stile fiorito, precedendo un Graduale. Nella sua stesura
salmodica si ritrova a pp. 153 sgg.
In-e- xi-tul-sra-el deAE-gy- pto + Do-mus Ja-cob de po-pu- lo bar- ba- ro.
64 Purgatorio, XXVII, ν. 8.
65 Communio, in Liber Usualis, p. 1727.
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74 Ad esempio, in Paradiso, XXI, cioè nel cielo di Saturno, Dante immagina che
il canto non gli si faccia udire perché è ormai superiore alle possibilità sensibili umane.
Laudamus te
[ecc.]
Ancor più negativo, nei confronti della polifonia del suo tempo,
Giovanni de Muris 84 :
83 Paradiso, VII, ν. 1.
84 Johannes de Mûris, Spéculum Musicae, VII, ix, pubblicato in C. E. H.
de Coussemaker, op. cit., II, ρ. 394.
con ciò non intendiamo proibire che ogni tanto, specialmente nelle feste
e nelle solennità, durante le Messe e gli Uffici divini, si eseguiscano con
sonanze (che facciano gustare la melodia), come, per esempio, le ottave,
le quinte, le quarte e simili, cantate però sul semplice canto ecclesiastico
di modo che l'integrità di questo canto resti illibata; e nulla si muti della
tradizionale musica tanto più che tali consonanze sembra accarezzino
le orecchie, provochino la devozione [...]
85 Paradiso, I, ν. 78.
Anche ammesso che il canto della prima corona fosse solo a due voci
in imitazione, l'ingresso di un'altra corona con le stesse caratteristiche
della prima comporta una struttura di almeno quattro voci in canone.
Il rondellus ducentesco è l'unica composizione polifonica che ci
può dare un'immagine di una simile struttura imitativa, limitata però
abitualmente alle tre voci, non più. Dante non conobbe probabilmente,
per la lontananza geografica e per la datazione tarda, quei componi
menti inglesi (come il famoso Summer is icumen in) caratterizzati
da una maggiore complessità polifonico-imitativa89. Crediamo quindi
di essere nel vero, quando consideriamo queste strutture dantesche
come creazioni di fantasia. A tanta complicazione polifonica, Dante
fa corrispondere una serie di immagini di luce e movimento:
Poi che Ί tripudio e l'altra festa grande
si del cantare e si del fiammeggiarsi
luce con luce gaudiose e blande90
Guido Salvetti