a cura di
J. FEINER e M. LOHRER
QUERINIANA - BRESCIA
L;EVENTO SALVIFICO
NELLA COMUNITA DI GES CRISTO
con la collaborazione di
parte Il
QUERINIANA - BRESCIA
Titolo originale dell'opera:
MYSTiERIUM SALUTIS
Grundriss heilsgeschichtlicher Dogmatik
Benziger Verlag Einsiedeln 1967
7 Collaboratori
9 Prefazione
]OHANNES BE1'Z
Nato nel 1914, dr. teol., docente di dogmatica alla F~co!t teologica
dell'Universit di Wi.irzburg.
BERNARD D. DUPUY, o. p.
Nato nel 192,5, dr. teol., direttore del centro di studi ecumenici Istina,
docente di teologia all'Istituto cattolico di Parigi e alla Facolt teo
logica Le Saulchoir .
.TosEF Duss-voN WERDT
Nato nel r932, dr. fil., dr. teol., direttore dell'Istituto per le scienze
matrimoniali e familiari.
PETER HUIZING s. j.
Nato nel 1911, dr. dir. can., dr. dir. civ., lic. fl., lic. teol., docente di
diritto canonico alla Facolt teologica dell'Universit di Nimega.
MAX KELLER
Nato nel I 939, dr. fil., preside degli studi della Paulus-Akademie.
OsKAR KouLnR
Nato nel 1909, dr. fil., docente di storia universale all'Universit di
Friburgo.
REN}: LAURENTIN
Nato nel r9r7, docente di dogmatica alla Facolt teologica dell'Univer
sit di Angers.
RAPllAEL Sc11uL TE o. s. b.
Nato nel 1925, dr. teol., docente di dogmatica alla Facolt teologica
dell'Universit di Vienna.
Auns STENZEL s. j.
Nato nel 1917, dr. teol., docente di dogmatica e liturgia al Sankt
Georgen, Scuola superiore di filosofia e teologia, Facolt teologica S. J.,
Frankfurt a. Main.
DmTRICll WrnDERKEHR o. f.
Cap. m.
Nato nel 1933, dr. teol., docente di dogmatica alla Facolt teologica
dell'Universit di Friburgo.
FRIEDRICH WuLF s. j.
Nato nel 1908, dr. tL redattore capo della rivista Geist und Leben.
Traduttore:
GIOVANNI POLETii
PREFAZIONE
GLI EDITORI
CAPITOLO SESTO
IL SERVIZIO DIVINO
CELEBRATO DALLA COMUNITA CULTUALE E LITURGICA
ADUNATA IN CRISTO
Annotazioni preliminari
dei segni che sono destinati a presagire gli ultimi tempi, non ancora
manifesti ma pur tuttavia gi realmente sorti all'orizzonte.
Ma il culto? Non occorre certo avere gli orecchi troppo pieni di cristia-
nesimo areligioso, di secolarizzazione, di mondo profanizzat0>> e via
dicendo, per poter nutrire l'opinione che il concetto di culto - sia
pure con le aggiunte di <muovo o cristiano - non risulti sufficiente-
mente adattabile al risvolto decisivo del servizio divino celebrato dalla
comunit escatologica. In effetti, se il termine culto viene preso soltan-
to nel suo valore per qualcosa pi d'un vuoto guscio lessicale, slavato e
quindi divenuto p-'!ricoloso, riconoscendo che esso include (in senso pa-
gano, ma anche in senso vetero-testamentario) un luogo sacro, una perso-
na sacra, un rito sacro, bisogna risolutamente affermare che Cristo fine
della legge ha posto un termine anche ad esso. Ne segue logicamente
che, quando si usa ancora una terminologia cultuale, bisogna sempre
badare attentamente alla sostanza da essa designata. In altre parole, se
d'ora in avanti risulta proibito usarla con la solita disinvoltura, resta ov-
viamente da chiedrrsi perch mai debba ancora venir usata.
Qui la risposta non pu evidentemente anticipare le considerazioni che
ci accingiamo a fare. Ne diamo quindi per ora soltanto una giustificazione
sommaria. Decisivo qui il fatto che si sappia cogliere con lo sguardo, in
tutta la sua interezza, il servizio divino celebrato dalla comunit adunata
in Cristo solo incastonato nella prospettiva della storia della salvezza.
Ora assodato che Israele aveva il suo bravo culto inteso nel senso usua-
le del termine, ed era senz'altro una comunit cultuale. Per cui, se il nuo-
vo popolo di Dio non pu essere inteso altro che in derivazione da que-
sto popolo antico, bisogna necessariamente ammettere che la comunit
cultuale d'Israele ..:ostituisce il punto zero senza il quale non pu sussistere
alcun utile sistema di coordinate, e che occorre quindi tentar di definire la
comunit cultuale di Ges Cristo in rclazioae ad esso. Se non si ha gi
in partenza la fiducia che una antichissima 1radizione di linguaggio teolo-
gico sia in grado di garantire che lo slittamento dal popolo di Dio dell' An-
tica Alleanza porti di sana pianta alla comunit salvifica escatologica, oc-
corre ovviamente accertarsene. La terminologia cultuale usata dalla Scrit-
tura, infatti, non rigida. Gi l'AT include con tutta naturalezza l'os-
servanza dei comandamenti nei suoi discorsi sul culto. E se poi nel NT
l'amor fraterno e l'apostolato possono venir espressi accentuatamente in
termini cultuali, vuol dire che l'ampiamento del servizio divino all'intera
vita viene confermato come contesto estensivo reale. Sicch, quantunque
entri in gioco sempre un'applicazione largheggiante della terminologia
cultuale, oltre ad ammettere la gi dimostrata sostenibilit del suo uso,
bisogna insistere nel ricercarne la funzione positiva. A questo proposito,
basta un accenno: il poter conservare il termine culto, come fattore
intermedio fra il servizio divino verbalmente non dissociabile in ma-
IL SERVIZIO DIVINO
2 Cf. l'art. Culto (E. LENGELING) e la relativa bibliografia in: D:if n, 203-231.
3 Si pu tralasciare in questa sede di esaminare come, sulla via verso il pmo
monoteismo, anche il culto dovesse venir deputato, e altresl come il pericolo
d'una baalizznzione da parte della religione cimanea avesse provocato ricadute e
apostasie, rendendo necessarie di tanto in tanto delle riforme dcl culto. Nel nostro
caso di scarso interesse sapete se i passi di Ex. 25 e Num. IO vadano fani da
tate cosl addietro, da far si che uno speciale sacerdozio rimonti con sicnrczza a
Mos; se i sacerdoti avessero inizialmente a che fare, come loro compito spcci!co,
con l'interrogazione di Dio e con l'emissione di oracoli; se e come, e quanto a
lungo, l'offerta di sacrifici sia stata riservata al sacerdozio pre-gcrarchico dcl re (che
nelle religioni vetero-orientali occupa sempre il posto centrnle, incarnando l'ele-
mento da cui tenuto assieme il mondo), o rispcttivaml!nte al patriarca, al capo-
trib, ccc.
<:OMUNIT CULTUAl.E !IELL'ANTICA ALLEANZA 15
dosi nella preghiera, negli inni e nei canti, nel sacrificio. Il suo
scopo una presa di contatto, un incontro, un interscambio con la
divinit, al fine di ottenere una mediazione e un'aggiudicazione della
salvezza. A sua volta, la divinit deve mostrarsi munifica, con la
sua presenza e la sua azione salvatrice (le pratiche magiche non so-
no in contrasto con queste idee e con questi sforzi, ma anzi li at-
testano e li confermano, sia pure in maniera distorta). Sebbene la
istiruzione risulti verificabile nella maniera pl spiccata e genuina
in connessione con fa religione rivelata e le sue istituzioni, la realt
si aderge dietro tutti i luoghi, i tempi, i riti e i personaggi sacri: 4
sempre Dio che pone le condizioni per auto-rivelarsi, che apre la
via per ascoltarlo, che definisce e delimita l'abilitazione al culto,
creando cosl la propria comunit cultuale. Al pari di quanto avviene
in tutti gli altri culti, anche per il culto d'Israele valgono le cate-
gorie di puro (impuro), di sacrale (profano). Esse si traducono poi
in benedizione (bestemmia), in vita (morte), in prossimit (lonta-
nanza), vengono evocate efficacemente per autorizzazione di Dio nel-
la celebrazione cultuale, arrivando cos a creare per il culto un po-
deroso insediamento nella vita. 5
4 Cose tutte che ha anche Israele. Tanto per citare alcuni possibili malintesi e
demolirli in partenza, diciamo subito che tali esteriorit>> non dicono assoluta-
mente nulla contro l'interiorit dell'azione cultuale (l'unico uomo corporeo-spiri,
tuale non viene disintegrato), esattamente come la lapidaria declassazione fatta da
Hebr. 9,13 s. - purit delln carne purit della coscienza - non dice proprio nulla
contro la grazia presente (la svalutazione ~purit meramente cerimoniale, leviti-
ca qualifica l'Al\eanza come Alleanza della Legge, che in quanto tale non pu
dare alcuna grazia).
s In un'epoca come la nostra, caratterizzata gi da una spassionata desacralizza-
zione, da una ad.dirittura dolorosa consapevolezza che bisogna render presente Dio
in questo mondo mediante la fede, la speranza e la carit (e non in primo luogo
mediante l'istituzione), quanto mai necessario non lasciarsi offuscare lo sguardo
in modo da poter cogliere due dati di fatto: innanzitutto che l'estraniamento, la
rifrazione, la stilizzazione ec:c. sono veicoli quasi insostituibili della trascendenza e
al contempo ingredienti d'ogni azione cultuale umana (perch anche nella religio-
ne rivelata, pur essendo la condiscendenza di Dio e la visita da lui fatta all'uomo
le parole d'ordine decisive, In trascendenza e la re-ligio non si possono affatto ne-
gare); e in secondo luogo che il culto cosi inteso - azione umana compiuta in
questo mondo, eppure non di questo mondo - pu elevare la creatura al punto
da darle via libera verso il mondo.
16 IL SERVIZIO DIVINO
6 Potrebbe essere anche questa una ragione per cui, come autodesignazioni, si
sono scelti i sostantivi qahal ed ekklesla, e non termini cultuali derivanti da casa.
7 Un accenno atto ad attestare che questa mutua appartenenza e questo vicen
devole impegno non sono stati progettati per passare in seconda linea rispetto alla
vera comunione di vita, lo si ha nella stipulazione del Patto con Abramo (Gn. 15;
cf. l'analoga presentazione in Jer. 34,18 ss.): nella vita degli animali squartati, vista
come elemento di mediazione, sono presenti e vengono collegati fra loro ambedue
i contraenti.
...
COMUNIT CULTUALE DELL'ANTICA ALLEANZA
sono santo! (Lv. 19,2; cfr. Dt. 7,6; 26,19). Quello d'Israele un
popolo santo, eletto e coinvolto in un'Alleanza (Ex . .24,4-8) in cui
Dio assume l'iniziativa di stipulazione in maniera cosi energica, che
il Patto stesso in prima ed ultima analisi si regge sulla fedelt di
Dio. Sicch la realt di questa AHeanza va decifrata prendendo ~e
mosse da qui. Allora scorgiamo in essa l'eternit, l'irrevocabilit (Ex.
32,13; Lv. 26,42; Dt. 4,31), soprattutto allorch tale fedelt viene
superata al punto di trasformarsi in amore: Quando Israele era
fanciullo, io }'amavo (Os. n,1; analogamente; anche in Isaia la
santit come quintessenza della divinit assurge a piattaforma di ba-
se per il Dio della salvezza: Is. 41,14; 43,3; 47,4}. Per volont di
questo Dio - che secondo la teologia della preistoria il creatore,
il Signore, l'unico Iddio - , talie specialissimo Patto di Alleanza de-
ve essere caratterizzato da una perenne universalit. Certo, l'elezio-
ne a popolo particolare di propriet esclusiva costituisce la radice di
quel fenomeno che oggi si chiama nazionalit. Esso per non viene
scelto e predestinato ad un dispotismo autosufficiente ed egocentri-
co,8 bensl ad una missione fra i popoli del mondo, ad una testimo-
nianza apostolica (Is. 43,10; 49,6; 60,3; Jer. r,5). Se Jahw si
abbandona ad una cosl stretta intimit con Israele, l'O fa perch es-
so assurga a segnale inalberato della visita compiuta da Dio alla sua
creatura. Il regno di sacerdoti (Ex. 19,6) rappresenta certo anche
a tutt'oggi un duro enigma che d molto da fare all'esegesi. Ma
in sostanza ci dice sempre: questo popolo sacerdotale, ossia
vicino a Dio,9 ha accesso a lui. sacerdotale per la sua vita vissuta
8 Non desta alcuna meraviglia che l'esprei;sione Gott mit uns ( = Dio con noi)
possa degenerare in tanti modi, trasformandosi in appagamento delle crociate mo-
ralistiche, in legittimazione dell'egoismo politico, in massiccia e meccanica fiducia
cultuale nel Dio che sta in mezzo al suo popolo. La critica dei profeti quanto
mai eloquente, e tremenda la minaccia espressa per bocca di Osea (I,9; 2,25):
Il 'Non-mio-popolo' intendo chiamarlo 'Mio-popolo'.
9 La radicale avvicinarsi fa da sfondo alla parola ebraica indicante il sacer-
dote. Le risposte al quesito Tutti re? (con tarda eco in 2 Mc. 2,17) e Tutti sa-
cerdoti? (cf. Nm. II ,29) sono assai diverse fra gli esegeti. A titolo di orienta-
mento, si veda: G. FoHRER, 'Priesterliches Konigtum, Ex. 19,6', in: ThZ 19 (1963)
359-362. Qui non abbiamo nemmeno bisogno di prender posizione in merito: la
nostra afiermazione infatti si mantiene in certo qual modo al di l delle divergenze.
Oltretutto se in Ex. 19,6 l'enunciazione centrata su re e sacerdote, ci mppresCll-
ta ancora un riflesso della indissolubile compenetrazione dell'elemento popolare e
religioso in Israele. E costituisce anche un solido appoggio per dimostrare che il
18 IL SERVIZIO DIVINO
re rimaneva pur sempre il detentore de!la mediazione messianica. Anche gli stessi
profeti non riescono ad immaginare la salvezza prescindendo dalla dinastia di
Davide.
10 I! passo di Gn. I 2,r ss. la pi esplicita enunciazione della teoria d'una sal-
\TZZa universale. Lo jahwisca riconosce che Israele deve essere il sacramento per
la salw1.za del mondo, il dcutcronomista anc;or pi1 chiaramente.
11 :I'!. una formulazione dataci da G. v. Rad, Theologie des Alten Testaments I,
Miinchen 41962, p. 2r9 (trad. it. Teologia dell'AT, Paideia, Brescia). La necessit
di divenire proseliti un risultato di questa convinzione. Per quanto concerne le
modalit concrete di conversione dei pagani a Jahw, esistevano diverse tradizioni
escatologiche. Ne un'ulteriore prova ancora l'incertezza della comunit cristiana
primitiva: prodigiosamente colpisce nel segno pi l'intuizione che il pensiero di
una convinzione sistematica dcl mondo pagano da parte degli apostoli, che racool-
gono e mettono al sicuro la messe.
...
COMUNIT CUL'fUALE DEI.L'ANTICA ALLEANZA 19
Per noi che viviamo nella luce proiettata dalla lettera agli Ebrei,
non risulta facile scrutare a fondo l'Antica Alleanza. Difatti, puntan-
do lo sguardo attraverso quel fascio luminoso fatto di novit, di
adempimento, di realizzazione definitiva, si incappa nei prodromi,
nella preparazione, nel sintomo premonitore dell'AT, come anna-
spando nell'oscurit. Tuttavia, nel contesto. della storia salvifica re-
sta pur sempre moho di positivo da dire in merito al culto d'Israe-
le: cose che non si possono sorvolare, e che nella lettura retrospet-
tiva ricevono la loro brava conferma.
I sacrifici d'Israele non sono vuote affermazioni o inani tentativi
di autopuri.ficazione, d'interferenza umana su Dio. Essi producono
invece l'espiazione (cui tende la maggior parte dei riti sacrificali),
placano l'ira, conseguono la riconciliazione, mantengono in efficienza
la comunit cultuale e rinfocolano l'Alleanza con Dio. Certo, ne-
cessaria qui una catena di atti singoli, e ci che essa pone in essere
risulta in certo qual modo di corta durata. La lettera agli Ebrei
non far ovviamente fatica a porre in risalto su questo sfondo o a
mettere in rilievo come la necessit d'una continua ripetizione costi-
tuisca in ultima analisi una prova d'insufficienza e d'impotenza. Ma
anche cosl, resta pur sempre vero: proprio questo culto, questo rito
sacrificale, costituisce un fatto autorizzato da Dio, istituzionalizzato
per comando esplicito di Dio e destinato ad una ininterrotta con-
tinuit. Non bisogna ovviamente dimenticare che la sua sopravvi-
venza a termine indissolubilmente legata a quella d'una Alleanza
con Dio perennemente esposta al pericolo, di una Alleanza per la
cui sussistenza in fondo non esiste alcuna tangibile garanzia. La ca-
ducit e debelezza di tale Alleanza vengono sentite in maniera cosl
incisiva, che l'anelito e l'attesa puntano con sempre crescente insi-
stenza su una nuova AUeanza (]er. 3r,3r-34; Ez. 36,24-31). Tut-
89,1013, dove s'introduce nella narrazione biblica dt!lla creazione riportata dalla
Genesi la poesia (da quel momento ritenuta innocua) delle cosmogonie extra-bibliche.
IL SB-RVIZJO DIVINO
!9 'Da5 problem des historischen Jesus', in: Exegetische Versuche und Besinnun-
gen r, Gottingen 1960, p. 207.
2ll Per quanto concerne l'interpretazione della ripulitura del cortile dei pagani
come preannuncio messianico, d. E. l.oHMBYER, Kultus und Evangelium, Gouin-
gen 1942, 44-,51. La parola Tempio, tramandataci ripetuta per ben sei volte,
pone all'esegesi parecchi problemi. Non si pu ovviamente contestare che qui esi-
ste oggettivamente un nesso con questa azione segnaletica; in tal caso per, il verbo
tx~d)..).fw, in quanto affermazione duratura, assume uno spiccatissimo carattere
di chiave esplicativa.
CUL'ro DI GESll CRISTO 27
21 Questa scoperta occupa una posizione centrale, e come tale viene vista e va-
lorizzata p. es. da Teilhard de Oianlin, in cui l'onda cosmica tende ad assorbire
ogni ego in quel misterioso super-ego, che realizza al contempo la socializza-
zione e la personaliZ2azionc; oppure nella formula ecclesiologica Una persona in
molte persone, proposta da H. MOHLEN, Una mystica persona, Paderbom Z1967,
(trad. it., Citt Nuova, Roma).
30 IL SERVIZIO DIVINO
22 Per avere una prova che i due passi di Apoc. 5,10 e r Pt. 2,5.9 non mancano
di contesto pasquale, cf. J. Bt.!NZLER, 'Eine Bcmcrkung zum Geschichtsrahmen des
Johannesevangelium', in: Bihl. 36 (r955) 30 s.: qui l'autore fa notate come il
sacrificio pasquale sin nell'ultima epoca dcl Tempio debba esser rimasto sempre
l'eccezione, mentre ad ogni israelita era consentito il diritto di offrire sacrifici per-
sonali.
23 Essa si sperimenta con la massima incisivit nell'incontro liturgico centrale del-
l'eucatestin, che un'anticipazione del mangiare e bere nel suo regno, dotata di
forza evocativa finch egli ritorner (I Cor. n,26) e, in quanto commemorazione
della sua morte, da non consumare mai fuorch come banchetto di gioia (Act. 246).
24 Motto insistentemente ribadito e sottolineato nell'art. 7 della SC.
CULTO DELl.A COMUNIT ESCATOl.OGICA 31
a. Il sacerdozio comune
29 Rappresenta una piccola mancanza di buon gusto (del resto quasi inevitabile
data la struttura del lavoro), il fatto che la LG del Vaticano II riporti la maggior
parte delle a1fermazioni facenti al caso nostro nel capitolo sul laici. Tuttavia, pre-
scindendo dagli asserti correttivi (in cui si dice che non si deve pensare ad una
pe<:uliare qualit dei laici contrapposta alla gerarchia), la nuova terminologia offre
un valido aiuto. In effetti, invece di parlate come sinora si era sempre fatto di
sacerdozio universale (espressione facilmente esposta a malintesi, perch concepi-
ta come un contrapposto al sacerdozio speciale o magari addirittura intesa come
un sacerdozio generalizzato, nel senso di diluito, improprio), la costituzione par-
la di sacerdozio comune.
30 Ecco almeno due testi significativi al proposito: Omnes sacerdotes... quo-
niam membra sunt unius sacerdotis (AGOSTINO, De Civ. Dei xx, 10: OChr 48,
720); Omnes enim in Oiristo regeneratos crucis signum eflicit reges, sancti vero
Spiritus unctio consecrat sacerdotes, et praeter istam specialem nostri ministcrii
servitutem, universi spirituales et rntionales christiani agnoscunt se regii generis
et sacerdotalis officii esse consortes (LEONE M., Sermo 4,1: PL 54, 149 A). Per ul-
teriori accenni, vedi ancora: GIUSTINO, Dial. 116,J: GoooSl'EED, 234; TERTULLIA-
NO, De exhort. cast. vn, 3: CChr 2, 1024; AMBROGIO, De sacram. IV, 3: CSEL 73,47.
Il,. SERVIZIO DIVINO
b. Il sacerdozio ministeriale
Che dopo aver parlato del sacerdozio comune bisogni parlare anche di
quello particolare, non dovrebbe esserci necessit di dimostrarlo. E reci-
procamente, non dovrebbe nemmeno destar meraviglia che se ne parli
soltanto ora. Se infatti nel NT il sacerdozio esiste soltanto come parteci-
pazione al sommo sacerdozio di Cristo, e tale partecipazione sussiste in-
nanzitutto (nel1a sua sostanza e nel suo riconoscimento, comprovati am-
bedue dall'uso del1a terminologia cultuale) nella dignit sacerdotale del
nuovo popolo di Dio, nel sacerdozio comune di tutti i fedeli, tanto chia-
ro che esso andava esaminato per primo. Tuttavia, non bisogna dimen-
ticare che il culto, e rispettivamente la comunit cultuale, con l'analisi
precedente non sono state ancora sufficientemente sviscerate sotto l'aspet-
to pi determinante agli effetti del nostro assunto, ossia in quanto sono
costitutivi per l'istituzione Chiesa. Occorre affrontare qui il sacerdozio
ministeriale {e allora verr sul tappeto anche la parola programmatica
liturgia).
38 Non bisogna dimenticare qui che con ci si solleva una crttJca alle modalit
storiche aberranti di autocomprensione e di prassi, lanciando un programma per
l'avvenire. Si tratta per d'un servizio che non si pu concepire come una presta-
zione di grado inferiore alla potest; certo, sar necessario sicuramente lottare a
lungo, perch sotto un certo aspetto ci si sente quasi a disagio di fronte all'ele-
ganza teoretica della coordinazione da fare fra i due termini, ma nonostante tutto
la sua enunciazione ci deve restare permessa. Per quanto concerne il servizio in-
teso come destinazione fondamentale, cf. la LG, art. 18.20 e altri. Una bella for-
mulazione che merita di esser ricordata, quella contenuta nel Messaggio dei
Padri Conciliari al mondo, che essi indirizzano ai fratelli ...al cui servizio stia
mo in quanto pastori (AAS '4 [1962] 824).
CUl.TO DELLA COMUNlT ESCATOLOGICA 41
Sommo Sacerdote, nel quale e nella cui opera risulta eliminato e quin-
di abrogato tutto quanto conteneva il sacerdozio l~vitico, non lascia
al suo agire alcuno spazio per una funzione a pro della Chiesa analo-
ga a quella espletata dal sacerdozio levitico nei confronti d'Israele e
della sua Alleanza. Ma allora, dove si trova lo spazio distinto, tipi-
camente suo? Propriamente parlando, non pu essere un sacerdozio
di fronte alla Chiesa, bens soltanto un sacerdozio incardinato in essa.
Non pu mettersi in concorrenza -col sacerdozio comune, se e in
quanto esso assieme all'altro non pu venir inteso fuorch come par-
tecipazione all'unico sacerdozio della Nuova Alieanza. Risulta vie-
tata pure queI!a dissociazione, dietro la quale insorgerebbero interro-
gativi di questo tipo: Che cosa riservato al sacerdote? Che cosa
pu lecitamente fare anche il non sacerdote?. Resta quindi assoda-
to soltanto questo: la peculiarit del sacerdozio mi,nisteriale deHa
Nuova Alleanza pu consistere unicamente in. una particolare moda-
lit di autorizzazione ad attuare ci che la Chiesa nel suo comples-
so.39 Viene pertanto a collocarsi nella dimensione dd sacramento del-
la Chiesa,40 ma non rappresenta affatto un plus nella facolt di es-
ser figli di Dio. A titolo di ulteriore conferma, si pu forse accenna-
re a c10 che Agostino prospettava com~ soluzione per attenuare le
tensioni, protrattesi per lunghi secoli in seno alfa Chiesa primitiva,
c. La liturgia
con una certa enfasi, fa costituzione sulla sacra liturgia del Vaticano
n? Ecco la sua formulazione: La liturgia il culmine verso cui ten-
de l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la
sua virt (SC, 10 ). Qualora fosse lecito passare qui sotto silenzio
l'elemento attuazione attraverso i segni, addotto neUa definizione
di liturgia, la giustificazione per una formulazione del genere si po-
trebbe facilment~ trarre dall'oggetto designato. Nulla per ci accorda
tale permesso, sicch ci troviamo di fronte ad un'affermazione sor-
prendente. L'espressione culmine e fonte s'intende ovviamente ri-
ferita alla vita ecclesiale al di qua della linea tracciata dal battesimo.
Questo asserto conciliare non quindi senz'altro dell'opinione che
l'essere-sotto-il-vangelo significhi aver ormai lasciato alle spalle, assie-
me alla legge, anche ogni forma di culto. E di primo acchito, esso
non sembra allinearsi del tutto nemmeno alla grande preoccupazione
del concilio, che quella di far passare ogni elemento istituzionale
in secondo piano. Sicch, qualora non si voglia considerare tale af-
fermazione come una mera espressione verba1'e, bisogner ascoltarla
con la massima attenzione.
Si arriva cosl indubbiamente ad un'alta collocazione della liturgia
sulla scala di valori. Qui bisogna valutare, integralmente e in tutta
la sua utilit, quale importanza provenga alla dimensione della desi-
gnazione dal composto somatico-spirituale dell'uomo, dal fatto che la
fede d'ogni tipo per la sua affermazione ed espressione risulta ine-
vitabilmente rinviata sul piano del religioso daHa componente in-
carnatoria d'ogni epoca della Chiesa, dalla collocazione nella sto-
ria salvifica di questa stessa Chiesa, che le permette il culto dell 'ra
intermedia: un culto che annuncia e rende presente l'schaton, ap-
punto perch in esso si possono porre in essere dei segni effettivi,
esibitivi, che si staccano dalle solite e usuali realizzazioni. Qui si
pu forse rinunciare al binomio nevralgico sacrale-profano, perch
tale rinuncia si addke alla cosa. Purch non si ritenga di poter cosl
avvicinare pericolosamente il tempo ultimo ad un'apocalittica che
non prende abbastanza sul serio una storia tuttora in decorso; pur-
ch si sappia quanto poco la testimonianza possa sussistere .senza
una rappresentazione, capace di evitare l'anonimato privo di struttu-
razione e di configurazione precisa. Occorre saper vedete i segni del-
la fede come epifania, come dotati di un loro ancoraggio alla realt
CULTO DELl.A COMUNIT ESCATOI.OGICA 45
di Ges Cristo, Segno fontale del Dio Salvatore (Tit. 2,11; I ]o. I,
r ss. ), e a grandi linee sempre additanti la visione beatifica ( r Cor.
13 ,12 ), cosl come con tutta chiarezza ce lo affermano le paro1'e d'isti-
tuzione dell'eucarestia (Mc. 14,25): Chiesa e avvento del Regno di
Dio allo stadio finale non coincidono; funge da interregno l'ra della
Chiesa, che viene ad inserirsi fra l'ultima cena e la nuova cena da
celebrarsi nel Regno di Dio.
Ci che qui si accennato solo stringatamente, ci dice per molto
sulla fondamentale importanza rivestita dalla liturgia. Occorre poi
anche rilevare che non si mai completamente all'altezza di questo
termine fissato, per cui, a tale titolo bisogna accordare alla liturgia
un valore impegnativo sempre attuale. Ma la formulazione culmine
e fonte, che fa assurgere la liturgia ad una cosl superlativa dimen-
sione duratura della realizzazione della vita cristiana, esige senz'altro
un 'ulteriore chiarificazione. La via pi spiccia per arrivarvi, e a causa
dell'eminente ecdesialit di questa azione anche la pi immune da
sospetti, quella costituita dalla comunit intenta a celebrare l'euca-
restia. Non c' ovviamente bisogno di imbastire qui una teologia
compatta. Basta soltanto additare ci che essa manifesta, in qual mi-
sura la Chiesa in questa celebrazione sostanziale diviene se stessa ed
presente a se stessa (le indicazioni vita cristiana attinta da essa e
polarizzata su di essa rientrano infatti tra i pi familiari ed indiscus-
si tpoi della teologia!). Se l'art. 7 della costituzione sulla liturgia
mette in risalto, a buon diritto e con una retorica ben difficilmente
non avvertibile, la presenza del Signore del culto Ges Cristo in
seno alla sua comunit, da cui attinge la liinfa vitale ogni sacerdozio
comunitario nelle sue origini e nelle sue estrinsecazioni, vuol proprio
dire che essa sussiste qui con una densit insuperabile. Nell'assem-
blea celebrativa, la Chiesa presente in maniera esemplare. presen-
te come convocazione, come segno perenne sottratto al nostro tem-
po e superbamente inalberato dell'attuale munificenza di Dio; pre-
sente come raduno, come corpo che vive in maniera ideale e in forma
di caparra l'universale profferta salvifica di Dio; 44 presente come co-
BIBLIOGRAFIA
J SINGOLI SACRAMENTI
COME ARTICOLAZIONE DEL SACRAMENTO RADICALE
I. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
gomenti, magari qui attesi come cosa ovvia, rimandare agli altri con-
tributi accolti in questo volume parziale o nel v volume che se-
guir, senza nemmeno continuar a richiamare ~'attenzione sui rela-
tivi passi. Per l'esattezza, diciamo questo riferendoci innanzitutto al
IV capitolo Il nuovo popolo di Dio come sacramento di salvezza,
e pi precisamente alla sua II sezione La Chiesa come sacramento
di salvezza: 3 le questioni col svolte non vanno certo ripetute qui,
ma sempre tenute presenti si. Ci non pu ovviamente impedirci
di articolare meglio determinate affermazioni, senza le quali il fine
propostosi da questa nostra sezione non potr venir raggiunto. Inol-
tre - e anche .a questo proposito le cose dovrebbero essere chiare
- , non si pu attendersi di trovare qui ripetuto ci, o addirittura
tutto ci, che un tempo ci si preoccupava di offrire sotto il titolo
De sacramentis in genere; oppure di vedervi realizzate tutte le
esigenze che oggi si potrebbero accampare nei confronti d'una teo-
logia sacramentale specifica, compilata esaurientemente come tale.
Di andare incontro a queste ultime pretese, non ce lo permette n
n principio strutturatore scelto. per la presente opera, n lo spazio
posto a nostra disposizione.
Il considerare la Chiesa come sacramento di salvezza, e tanto pi
attenendosi alla formula che concepisce la Chiesa come sacramento
fontale o radicale (sacramento di base) e come tale la designa, rap-
presenta una recentissima conquista e al contempo un rilancio de-
gH sforzi dogmatico-sistematici posti in atto dall'ecclesiologia. Oggi,
come gi si ampiamente dimostrato,4 essa pu rkhiamarsi tranquil-
arnente alle dichiarazioni del Vaticano 11. In effetti, la visione sacra-
mentale della Chiesa pu mostrare il nesso, cosl importante in una
prospettiva storico-salvifica tra Cristo, sacramento dell'incontro con
Dio, e i singoli. sacramenti intesi come articolazioni e attualizzazio-
ni della Chiesa, in quanto sacramento radicale,' nonch ulteriori
utilissimi risvolti. Tuttavia, bisogna non dimenticare qui che tutti
gli spunti ecdesiologici formali rimangono pur sempre insufficienti,
fintanto che la stessa Chiesa vivente resta un mistero di fede. Per
la stessa ragione, va accuratamente evitato anche un impiego esa-
to Cf. in materia W. KASPER, 'Wort und Sakrament', in: Glaube und Geschichte,
Mainz 1970, 285-310, spcc. 289-295.
CONSTDEllllZJONI PllELlMINARl
55
Da quanto siam venuti sin qui dicendo, si deduce subito anche auto-
maticamente di fronte a quali compiti e difficolt concreti venga og-
gi a trovarsi l'elaborazione d'una teologia generale dei sacramenti. I
nuovi problemi cristologici ed ecclesiologici che s'affacciano ora alla
ribalta esigendo una soluzione, debbono - come adesso non c' pi
nemmeno bisogno di dimostrare - avere un influsso diretto anche
suHa comprensione di quelle azioni salutari, che continuano peren-
nemente a realizzare e a trasmettere nell'oggi, per via ecclesiale e
tramite segni efficaci, la salvezza per i molti conseguita dalla per-
sona e dall'opera di Ges Cristo. A tutto ci, si aggiungono poi og-
gi pi che mai la generale rifioritura e H deciso rilancio della teo-
logia, specie in seno alla Chiesa cattolica, verificatisi durante e so-
prattutto dopo il Vaticano 11. Per questa ragione, come pure sotto
la spinta delle generalizzate componenti storico-spirituali dell'epoca
attuale, che sembra caratterizzata spesso e sin troppo uni1'ateralmente
dalla tecnica e dal pensiero funzionalistico terreno posto in primo
piano, la teologia sacramentale in genere stata rimessa in discus-
sione, specie nei suoi fondamenti. Ora, questo un fenomeno di
portata tanto pio vasta ed immediata, in quanto i sacramenti van-
no trattati con senso di responsabilit, sia nella teologia teorica
l SACRAMENTI
Basta dare uno sguardo ad uno dei problemi oggi pi pressanti del-
la teologia sui sacramenti in genere, e precisamente alla questione
se sia possibile ricavare un valido e responsabilmente sostenibile
concetto di sacramento, per riconoscere di primo acchito l'esattezza
di quanto abbiamo detto. Esso infatti divenuto problematico (os-
sia degno di riesame) in maniera del tutto nuova. Che sia stato
sin da sempre un concetto spiccatamente aperto, mai univocamente
ed esclusivamente definito o anche soltanto fissato dal lessico uni-
ver.sale cristiano, lo sta a dimostrare la ricerca storica, che quanto
pi si dilunga tanto pi ce lo fa vedere chiaramente. Questa pro-
blematica viene ulteriormente acutizzata dal1e questioni poste sul
tappeto dalla teologia controversistica e dall'ecumenismo, come pu-
re dalla gi sovente menzionata applicazione nuova o riacquisita del
concetto di sacramento a Ges Cristo e alla sua Chiesa: appli-
cazione, questa, che adesso viene preordinata e anche deve venir
preordinata aU'altra, cio a quella designante in maniera tipica i
riti specifici di salvezza. In effetti, questo (nuovo o ripristinato)
uso del termine sacramento pu richiamar.si al linguaggio biblico
con autorit maggiore di quanto non possa fare quell'altro.
L'intrico di problemi posti dall'applicazione del termine o del
concetto di sacramento a Ges Cristo, alla Chiesa, e alle (sette)
azioni salvifiche vigenti nella Chiesa (e magari ad altro ancora, co-
me p. es. alla parola), salta subito agli occhi non appena osservia-
mo con la necessaria attenzione le differenze essenziali qui riscon-
trabili, per non arrivare poi ad incongruenze assurde. Quando Ges
Cristo viene designato col nome di sacramento fontale deHa nostra
salvezza, si pensa di fatto a lui personalmente, alla sua persona che
abbina in s la natura divina ed umana tramite l'unione ipostatica
60 I SACRAMENTI
umane, che hanno il loro movente nel febbrile attivismo del nostro
tempo. Risulta difficile riconoscere e vedere il mondo, le cose create
e gli uomini, presi tanto singolarmente quanto nella loro interdi-
pendenza di natura col mondo e la storia, scorgendone la strut-
turazione intima, considerandoli come reali e al contempo ancor da
realizzare, come (gi) dotati di significato eppure continuamente da
dotare di nuove accezioni e di nuovi significati. Stiamo ora nuova-
mente toccando delle questioni che qui non possono venir risolte,
ma che di fronte al nostro tempo, e soprattutto alla sua inumana
frenesia, non possono venir sottaciute da chi ritiene la vita sacra-
mentale degna di esser vissuta e presa in considerazione.
Prendendo le mosse dall'uhimo rilievo or ora fatto, tenteremo di
indicare con tutta la necessaria stringatezza una via provvisoria, ma
a tutt'oggi ancor battibile, per accostare il mondo del sacramentale;
e lo faremo, rammentando che questo mondo del sacramentale, se-
condo la nostra fede cristiana, l'unico mondo in cui viviamo, quan-
tunque sia pur sempre in attesa del'la sua perfezione escatologica. A
tale scopo, si pu descrivere provvisoriamente il sacramento nell'ac-
cezione cristiana, senza ancora esser tenuti a specificarne tutti i mo-
menti essenziali, presentandolo cosl.: nei sacramenti, si tratta d'un
evento interpersonale, ecclesiale, compiuto impiegando a mo' di se-
gno, cose, simboli, gesti e parole, in cui il sentimento interiore dei
cointeressati si manifesta in modo cosi palese, che i mezzi usati
fanno agire efficacemente anche sul piano personale e vitale la ri-
soluzione della volont (e del cuore) in essi venuta ad esprimersi.
Le persone cointeressate di cui si tratta nell'evento sacramentale,
sono in definitiva Dio e l'uomo. Qui ovviamente ha luogo una certa
forma di rappresentanza. Tramite questa mediazione personale, ma
altrcs corporea e materiale, ra comunicazione personale fra Dio e
l'uomo per la salvezza di quest'ultimo non viene affatto impedita:
il sacramento costituisce invece una delle pi1 intense possibilit di
incontro con Dio che si abbiano in questa vita. Certo, esso fa sentire
con infinita nostalgia l'affliggente <<non ancora della tanto agogna-
ta salvezza e della promessa vita in comunione con Dio; ma mette
in luce anche la fede avvalorata dalla vittoriosa speranza escatologica.
Quando si tenta di far (nuovamente) accettare la categoria del
sacramentale di stampo cristiano all'intelligenza dell'uomo, soprat-
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
tedato con le diverse cose di cui egli si serve per curare la propria vita,
per darle un'impronta e farla assurgere ad espressione del proprio io,
cosicch essa possa venir tipkamente individuata e riconosciuta dagli
altri come dotata d'un inconfondibile stile.
Una modalit tutta particolare di esprimersi qui indubbiamente il re-
galo, ossia l'appigliarsi a qualcosa di gi esistente, che come tale c'
gi da un pezzo, ma che ora viene colmato supplementarmente di un
significato nuovo, speciale, costituito dalla mente e dal cuore, anzi dalla
persona stessa del donatore di cui manifesta l'affetto. Facendolo, il do-
natore stesso vuole e pu accostare l'altro, nella cosa e attraverso la
cosa offerta in regalo. Il mazzo di rose, donato in una determinata oc-
casione con un particolare intento del cuore, sotto l'aspetto scientifco-
naturale e botanico pu anche essere (e rimanere) un affastellato di fiori
naturali chiaramente individuabili; ma come regalo, porta in s qualcosa
di promanante dalla persona, che lo fa diventare ben pi di quello che
esso in s e per s. In effetti, porta con s percettibilmente ed inci-
sivamente la persona del donatore nella misura voluta dai sentimenti
del suo cuore, affinch tramite questo mezzo essa venga riconosciuta dal-
l'altro proprio nella sua disposizione d'animo affettiva, suscitando nella
controparte una impressione reattiva personale. L'invito a cena, l'orga-
nizzare un pasto in comune come attestazione d'amicizia, significano
sempre qualcosa, e non certo quel!o che potrebbe apparire in primo pia-
no, ossia il bisogno di nutrirsi o la dichiarazione d'una necessit che si
vuol placare. Nell'agire comune invece, nel mangiare assieme, sebbene
quest'azione abbia <<gi di per s un contenuto significativo ed effica-
ce (necessario per natura, e quindi non arbitrario ma pur sempre spic-
catamente umano), deve trovar espressione e attuarsi anche un al-
tro fatto, eminentemente personale, che non pu essere meramente in-
tellettuale, ma deve invece estrinsecarsi soltanto in realizzazioni vive:
l'<(essere dell'amicizia. Occorre anche sottolineare, qui, come si tratti
d'un avvenimento cui partecipano ambedue le persone tramite un segno
comune: lo spirito di entrambe infatti s'incontra sotto l'emblema del
segno nello stesso identico fattore intermedio, p. es. nella cena consu-
mata assieme, dove trova modo di esprimersi in proporzione proprio al-
l'interesse che esse hanno l'una per l'altra. E attraverso quest'azione si-
gnificativa compiuta in comune avviene qualcosa: dopo di essa infat-
ti, si va per la propria strada diversi da come ci si era riuniti, o me-
glio ancora, grazie a tale segno, dopo ci si trova anche nella lontananza
pi uniti di quanto non lo si fosse prima di tale estroversione dello
spirito d'amicizia. Sicch il segno produce qualcosa nelle persone coin-
teressate.
Possiamo inoltre accennare anche al fatto che il fenomeno poc'anzi pro-
spettato si delinea pure in seno alle molteplici comunit umane. Esisto-
CONSIDERAZIONI ~RELIM!NARI
Il Cf. qui ancora una volta quanto gi abbiamo detto circa la problematca po-
srn dalla teologia dei sacramenti in genere (v. sopra pp. 55-62).
I SACRAMENTI
!2 Cf. al proposito, fra i primi scritti neotestamentari, spcc. r Cor. Negli !111i
degli Apostoli, questo stato di cose viene gi presentato nel contesto d'una rifles-
sione teologica. Cf. p. es. Act. 2 e passim.
13 Cf. in materia il problema dell'istituzione dei sacramenti Ja parte di Cristo,
che esamineremo in seguito, spec. alle pagine 165-172.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI
77
14 Cf. al proposito p. es. il tema del concilio degli Apostoli, Act. 15,1-35.
I SACRAMENTI
15 Cf. a titolo esemplificativo 1 Cor.; Rom. (p. es. 6 e passim); Jo. 2.; Act. 2; ccc.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 79
2ll Cf. al proposito: Rom.; I Cor.; F,pb. ecc., passim. Ulteriori precisazioni si
possono trovare in R. Sc11NACKENBURG, Neutestamentlilhe 1"heologic, Miinchcn 1963,
spec. a p. xo2 ss., assieme alla bibliografia col addotta.
82 J SACMMENTI
Considerazioni preliminari
volta per tutte il tanto dibattuto termine. 23 Quasi non bastasse, la stes-
sa identica espressione (sacramentum, mysterion) continua pur sem
pre a persistere anche con un'accezione diversa. Di conseguenza, vien
subito fatto di chiedersi se si potr riuscire a dimostrare, in maniera
attendibile sotto il profilo storico-terminologico, in primo luogo co-
me si sia adottata tale espressione, e in secondo luogo come la si sia
applicata, nonostante il permanere di altre accezioni, in modo cos
peculiare a determinate estrinsecazioni di vita ecclesiale, per altro
esattamente numerate solo dopo un intero millennio, senza nemme-
no riservarla esclusivamente ad esse. Nel rispondere a questo interro-
gativo, non si pu abbandonarsi, come palesemente succede fin trop-
po spesso, all'illusione d'una prevedibile logica. Come in tanti altri
casi, anche qui bisogna constatare sotto l'aspetto storico-lessicale la
esistenza di qualche fatto, per spiegare il quale non si pu addurre
alcuna stringente e intuitiva logica di sviluppo. :E un rilievo, questo,
che rimane sin troppo spesso inavvertito in rapporto alla storia del
concetto di sacramento. Guardando ai risultati sinora ottenuti dalla
ricerca (dei quali verremo a parlare fra breve), non si pu nemmeno
scartare del tutto l'idea che qui, soprattutto col sostantivo sacramen-
tum, ci si trovi davanti ad una situazione simile a quella che gi co-
nosciamo molto pi chiaramente, ma non per questo meno tormen-
tosamente, ad es. per i termini missa o 1tp6awito"V,persona.24 Questi
termini considerati nella loro storia e insieme nel significato che vo-
gliono esprimere, possono rammentarci di che cosa siano capaci le
lingue vive e la creativit concettuale teologica, indipendentemente
da ogni presumibile logica. In tal modo, finisce per venir ridimensio-
nato ogni risultato della storia terminologica e concettuale; ma ri-
sulta al contempo messa in luce l'inderogabilit dei suoi risultati,
giacch la lingua appunto vita.
Sotto la spinta dell'interesse che ci attira nello sguardo d'insieme
glia allorch vediamo anche qui usato il sostantivo ucr{]pLa. per de-
signare libri sacri, riti segreti e formule di scongiuro, come pure dot-
trine esoteriche di vario genere.
b. Il ucr-.i)pLOV nell'AT
c. Il uO"t'l'jpiov nel NT
Alla luce dei risultati che abbiamo potuto raccogliere circa l'uso del
sostantivo ua"t'l'jpiov nel mondo greco, nell'ellenismo e nell'AT, si
possono fare delle interessanti constatazioni anche per quanto con-
cerne il NT. Rileviamo innanzitutto questo: il termine ucr-c1)piov
compare anche qui soltanto in pochi passi; quelli fra essi che rive-
stono davvero un'importanza decisiva hanno inoltre una fisionomia
tale, da permetterci solo a stento di capire chiaramente cosa inten-
dano dire. Addidamo poi anche subito un risultato della ricerca, se-
condo cui i passi del NT qui citati si pu dire non dipendano per
nulla, n come derivazione n come ulteriore sviluppo, dall'accezio-
ne terminologica da noi riscontrata nell'AT: l'uso dell'espressione
ucr-c1)piov assolutamente autonomo. Si pu per altro toccare con
mano che i relativi estensori hanno ritenuto il vocabolo particolar-
mente adatto ad esprimere il loro assunto. Raccomandiamo poi an-
cora una volta di ricordare, scorrendo le pagine seguenti, una cosa
assai importante per il contesto che ci acdngiamo a svolgere: l'espor-
re in maniera esauriente l'intero complesso del ucrt1}pLO'll nel NT non
orienta nella finalit che qui ci siamo proposta.n
Nei vangeli il termine uu-c1)pwo1 compare soltanto nel misterioso
discorso di Ges che si sottrae da una spiegazione completa e davve-
ro soddisfacente, riportatoci in Mc. 4,1 r s. e paralleli (Mc.: ucn1J-
pLov; Mt. e Le. ua-cT)pLa). Esso designa il mistero del Regno di Dio,
inserito sl nel contesto della parabola del buon seminatore, ma tutta-
via inteso apertamente cosl com'. Il ua-c'l'jpLo'll -cijc; ~acnulac; -cou
0Eov in definitiva Ges stesso, nella sua veste di Messia. Questo
uu'tf)pLov stesso o la sua conoscenza (Mt. Le.) o viene dato (Ooo-caL)
ai discepoli; un puro dono gratuito di Dio (Padre), un mero regalo
(teologicamente passivo!), e quindi non il risultato d'uno sforzo uma-
no, qualunque esso sia. Non sembra inopportuno richiamarci qui al
grido di giubilo sfuggito a Ges (cfr. Mt. I I ,25-30 e par.). Va poi
rilevato il carattere decisionale (giudiziario) rivestito dal termine, per
cui si parla in Rom. I 1,25 ss., e specialmente quello della sua salvezza
(escatologica). La stessa cosa si pu dire per quanto concerne la risurre-
zione dei morti di cui tratta 1 Cor. 15. Tuttavia, il contenuto importante
agli effetti del nostro assunto, racchiuso in questi passi e in altri si-
milari, potr benissimo inserirsi ed avere il suo peso nel discorso incen-
trato sul mistero di Cristo. Per quanto riguarda le applicazioni d'intona-
zione apocalittica del termine va-ti}pLov (cf. ad es. 2 Tess. 2,3 ss.; Apoc.
17 ,5-7 ), non riteniamo necessario sviscerarle ulteriormente in questa sede.
30 Bisogna tenere ben presente questo rilievo, specie in vistn della compilazione
d'una teologia dei sacramenti. Talvolta infatti ci si sente rinfacciare troppo sbri-
gativamente e ottusamente di insistere a torto nel mettere in luce i sacramenti e
la Chiesa, perch facendo leva su di essi si ascrive un alibi a Dio. In Eph. 3,112,
la. sovranit di Dio viene conservata nella sua assoluta integrit; eppure tanto
ovvio che egli ( ! ) intende rivelare ed attuare il suo mistero attraverso la Chiesa
(e quindi non pi senza di lei). Il problema della spiegnzone (ontologica e teo-
logica) di questa cooperazione ancora una volta una questione divefia, che sus-
siste di fatto; il che per altro non infirma per nulla la validit delle asserzioni
originarie fatte dal NT.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 95
nefcio degli altri (Eph. 3,2 assieme a 3,7 s.). 31 Tuttavia, sempre
nello stesso -senso, vengono menzionati anche gli apostoli e i pro-
feti beninteso neotestomentari (cf. Eph. 2,20; 3,5; Col. 1,6 s. 23-
29). Inoltre si pu ricordare il noi dalle molteplici accezioni (d.
I Cor.; Col. ed Eph. passim), che non si limita affatto ad esprime-
re un'esistenza e un dovere cristiano piattamente livellati, ma si ar-
ticola invece in peculiarissime funzioni di servizio (cf. Eph. 4,1-16),
quasi svettanti sopra il comune esser cristiani. Da qui si pu ar-
guire che da un lato non esiste in concreto alcun membro della
Chiesa privo d'una sua propria posizione, e dall'altro che risultano
assodate anche determinate funzioni di servizio e ben definiti grup-
pi esplicanti tali funzioni.
Occorre in.fine accennare alla finalit del uai:1'}pto'll, e conseguente-
mente allo scopo cui sono preordinate l'esistenza e la missicne della
Chiesa. Lo stadio di perfezione dell'intero cosmo (cf. Col. l; Eph.
3.9), la ricapitolazione di tutto in Cristo (d. Eph. l,IO) e la ricon-
segna definitiva e gloriosa dell'universo al Padre (d. r Cor. 15,
24-28; Col.; Eph. ), costituiscono il futuro escatologico (d. gi Eph.
l,IO e passim). Nonostante la gi avvenuta (e in tal senso insupera-
bile) rivelazione e realizzazione attuatesi con l'avvento di Cristo, la
86~rx rimane tuttora avvolta nel mistero (d. Col. l,27; 2,3). Per la
Chiesa, vale ancora come compito ci che Cristo ha compiuto in s
come opera per la Chiesa (cf. Col. l,18 ss.; Eph. 1,17; 2,14 ss.; 5,
25), ossia l'accollarsi da parte sua tutto quanto si addossato lui
(cf. I Cor. l,17 s. 26; 2,8.12-16), completandolo e sostenendolo
con ferma speranza pur in mezzo ai patimenti (~.l\jltLi;, cf. Col. 1,
24 s.; Eph. 3,13), ovviamente adesso gi in forza del: uaT{ipLo'll di
Dio Padre realizzatosi in Cristo. Nel contesto di cui ci stiamo oc-
cupando, va tenuto presente anche questo momento escatologico che
attualizza la croce nell'unico mistero di Dio, in quanto la Chiesa.
Per concludere provvisoriamente queste osservazioni, test fatte
soltanto a brevi cenni come ci eravamo proposti, sul uai:l}ptov nel
Per quanto concerne l'ra dei padri della Chiesa, continuiamo pur-
troppo a mancare di opportuni e soprattutto ben dettagliati nonch
complessivi risultati della ricerca, sull'effettivo contenuto semantico
e concettuale di ucr"t"TjpLov e sacramentum. 34 Malgrado tutto l'apprez-
oon la relativa bibliografia ivi riportata. Per il resto, faremo i debiti richiami a
luogo opportuno.
STORIA DELLA' TEOLOGIA DEI SACRAMl!NTI 99
44 Cf. per quanto ci accmg1amo a dire, le collezioni di testi (con relativa bi-
bliografia) riportate in G. VAN Roo, De Sacramentis in genere, Roma x966, 2I-3.5
108 I SACRAMENTI
e. Risultati
carestia.''~
Sintomatico per il fatto che in esse, sempre nel modo
tipico di ciascuna, si festeggia soltanto l'unico ua--t'l')p~ov. E con
esso, si designa nell'insieme l'unico evento-Cristo nel NT chiamato
enfaticamente uo--tiJp~ov, con speciare puntualizzazione sulla morte
di croce e sul suo frutto (risurrezione), visto per sempre come azio-
ne salvifica (nel senso pi ampio) esplicata da Dio Padre nei nostri
confronti. Precisamente in questo consiste la vera connotazione cri-
stiana della celebrazione cultuale nella mente della Chiesa di quel
tempo, che poi quella che qui c'interessa. Osserviamo bene l'as-
sunto completamente diverso dei culti misterici; ma teniamo presen-
te anche, come contrasto di tonalit in seno allo stesso campo cri-
stiano, p. es. l'intenzione propostasi dal medioevo con la messa in
scena dei suoi misteri, i quali vogliono appunto rappresentare in
forma teatrale gli episodi pi salienti della vita di Ges. Possono
esser esistiti anche nel; primo e secondo secolo prodromi d'una Ce-
lebrazione dell'anno liturgico. Si commemorano indubbiamente
come eventi salvifici singoli avvenimenti della vita di Ges; ma non
esistono (ancora) assolutamente feste commemorative vere e pro-
prie, bensl soltanto l'unica commemorazione dell'unico ua't'i)p~ov.
Giorni festivi e commemorativi dedicati a singoli avvenimenti s'in-
troducono soltanto in un secondo tempo, e, qud ch' pi importan-
te, vengono solennizzati proprio mediante l'unica celebrazione del-
l'eucarestia, quantunque essa come centro della festa venga inqua-
drata sotto il tema del giorno. Se queste e similari osservazioni
risultano fruttuose, soltanto ricerche ulteriori e impostate in ma-
niera nuova potranno portare maggiori chiarificazioni nel problema
concernente la derivazione del nostro concetto di sacramento dall'ef-
fettivo uso del termine uo-T'lip~ov, adottato per indicare determinate
azioni cultuali cristiane che solo pi tardi sarebbero state chiamate
specificamente sacramenti.
Nei risultati delle nostre precedenti ricerche sulla storia pmruuva della
vita vissuta dalla Chiesa nei suoi sacramenti, nonch sulla storia concet-
tuale biblica del ucrffiptov, possediamo effettivamente la chiave capace
di spiegarci come il cristianesimo neotestamentario concepisse sia Ges
Cristo come ucrt'llptov di Dio Padre, sia la Chiesa come sacramento,
giacch questa in quanto crwa. e 'lt.1}pwa. di Cristo costituisce ancora
lo stesso ucrffiptov di Dio inteso nella maniera poc'anzi pi diffusamen-
te spiegata. Adesso, su queste basi possiamo costruire; tanto pi che lo
sviluppo di tale argomento era gi previsto come compito spettante alla
corrispondente sezione nell'altra parte del presente volume. Ci nondi-
meno, dobbiamo gi sin d'ora elaborare il necessario per far compren-
dere i singoli sacramenti. Dobbiamo gettare i ponti biblico-teologici che
portano dalla visione neotestamentaria di Cristo e della Chiesa come
vCT"t'llptov di Dio, alla giustificazione teologica di chiamare ucrtjpta.
anche quei riti salvifici in derivazione da esso, cosl come di fatto sem-
pre avvenuto, poco importa con quali sfumature, nel corso della storia
della teologia. Sappiamo per ora di non poter pi, o comunque di non
poter in primo luogo, andar in cerca di concetti; dobbiamo invece co-
gliere la cosa, qualunque sia poi il modo in cui essa pu venir conce-
pita. E qui troviamo assodato che esiste s un solido ponte fra il
ucrt1}ptov e ci che successivamente assumer il nome di sacramento
(i), sebbene il relativo termine (da noi troppo avventatamente atteso o
addlrittura esigito) non venga poi addotto per designarlo (-i).
48 Per far capire cosa sia la benedizione spirituale con cui egli (Dio Padre)
ci ha benedetti in Cristo dall'alto dei cieli (Eph. 1.3), Gnilka scrive: Siccome
II8 I SACRAMENTI
to del cosiddetto spezzar del pane, e via dicendo. Tutto ci, a mero
titolo esemplificativo.
No, perch questo vale pure per tutti gli uomini e per l'intero mondo.
Ora gli uomini, secondo il disegno salvifio nascosto in Dio ancor pri-
ma di tutti i secoli (eoni), non sono gi automaticamente Oiiesa per il
solo fatto di esser uomini, e non lo sono neppure soltanto in forza del-
l'evento della croce {verificatosi sotto Ponzio Pilato e in questo senso
richiedente l'aoristo), che appronta definitivamente la salvezza per tutti
gli uomini. Gli uomini debbono invece diventare Chiesa, o meglio anco-
ra essere tramutati in Clllesa, da un avvenimento che li tocca anche
personalmente. Questo comunque ci che nella vita della Chiesa si ren-
de visibile perennemente dal principio in poi, e ha trovato la sua sedi-
mentazione gi nella riflessione neotestamentaria, chiarissima in Col., Rom.
Eph., ma altresl in numerosi altri passi.
Per gli uomini elevati a Chiesa, ossia per i cristiani, si ha quindi un
decisivo plus: in essi e con essi avvenuto personalmente qualcosa di
aggiuntivo promanante da Dio stesso, un evento che, se va messo a
fuoco in rapporto a questi divenuti cristiani, esige ancora una volta un
particolare aoristo accanto e dopo quello espresso dall'evento della
croce avveratosi sotto Ponzio Pilato. Ora, questo appunto l'evento, ac-
cennato p. es. in Eph. 1,3, ddla benedizione con cui siamo stati bene-
detti (d. l'analisi di questo versetto da noi fatta poco sopra). Quello
da noi qui inteso secondo la testimonianza neotestamentaria costituisce
quindi, dopo e in forza dell'evento della croce, una specie di ulterio-
re evento verificatosi per i divenuti cristiani e con la loro collabora-
zione personale: proprio un altro evento, la cui peculiarit sta per
precisamente nel fatto che, nel suo nucleo centrale, ancora appunto
quell'unico e primo, ossia il uCT'tT)pLov di Dio. E se noi ci chiediamo
sin da adesso quale sia, in base all'idea neotestamentaria, l'evento qui
inteso, ci troviamo rimandati a quel fatto che si chiama battesimo (te-
nendo presente che, stando alla nostra odierna enumerazione dei sacra-
menti, possiamo ammettere come compresa in esso anche la conferma-
zione). Basta un breve sguardo dato ai testi pi decisivi, per averne su-
bito la palese conferma. sufficiente per noi richiamarci soltanto ai passi
della lettera agli Efesini che, a parere degli esegeti, stanno in rapporto
diretto col battesimo. Essi sono per noi particolarmente eloquenti, pro-
prio perch tali passi fanno venire in luce la gi rilevata identit sostan-
ziale con ci che nella stessa lettera si chiama enfaticamente ucr-ri)p~ov
di Dio. Citiamo specialmente: Eph. 1,3-14, al cui proposito abbiamo gi
descritto il significato della benedizione; la sigillatura del v. x3 s. al-
lude nuovamente al battesimo (movendo dalla circoncisione); e inoltre
Col. 2,xr s. ed Eph. 4,30. Allo stesso modo va inteso il brano di Eph.
2,4-7, e partendo da esso, si pu riallacciarsi poi anche a I Petr. l,3, a
Col. 2,13 ss., a Tit. 3,5, e infine ad IGNAZIO, ad Tr. 12,3. La stessa cosa
viene riportata ancora da Eph. 5, seppure sotto un'altra sfumatura. Pren-
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 121
Dopo tutto ci che abbiamo sin qui detto, riteniamo appaia sufficien-
temente chiaro che il ua"t"i]pLo'V di Dio calato nel tempo, nella vita
della Chiesa, per volere stesso di Dio debba essere un evento incar-
nato negli eventi, e che tali realizzazioni promananti da11l'unico u-
ai:i)pLov si possano poi, o addirittura si debbano, con piena giustifica-
zione teologica chiamare a loro volta ucr"t"i}ptov (sacramentum). Quali
I22 1 SACRAMENTI
.IO Cf. al proposito le disquisizioni sul sacramento dcl battesimo, nel susseguen-
te voi. v.
5 1 Per quanto concerne i relativi testi, nonch il loro sviluppo, rimandiamo alla
corrispondente sezione del presente volume alle pp. 230-258.
124 I SACRAMl!NTI
S2 Dato che non possiamo qui approfondire ulteriormente la cosa, si teng11 pre-
sente almeno quallto segue. Paolo, in r Cor. 6,13 - 74, usa il sostantivo uwa.
in un senso prettamente specifico. Per dirla in linguaggio moderno, egli lo usa
per indicare l'uomo con esplicita inclusione della sua corporeit e sessualit. Che
quest'ultima vi sia direttamente interloquita, stando al contesto non v' alcun
dubbio. La risurrezione di questo uwa. al contempo addotta, richiama oltre il
resto anche il cap. I 5. Parlando di questo uwa., ci vien detto inoltre che ap-
partiene al Signore, che tempio dello Spirito. Ora, per l'uomo, per In sua re-
denzione, guardando qui espressamente proprio anche alla sua corporeit e ses-
sualit, stato pagato un carissimo prezzo; e ci costituirebbe la base su cui
poggia l'obbligo della glorificazione di Dio in questo uwa:. La contrapposizione
fra Kvpi.o, e O'Wa: nel v. 13 non da trascurare; essa subisce per una caratte-
ristica sfumatura. C.Onsiderando i due versetti abbinati assieme, nel loro riferi-
mento al gi menzionato prezzo del riscatto - mistero della redenzione - essi
mirano in definitiva a ribadire che l'uomo tutto del Signore, non da u,\timo an
che e proprio nella sua corporeit e sessualit, ma altres che il matrimonio di cui
in 7,4 non affatto in contraddizione con tale appartenenza (diversamente da quan
to si era detto in 6,15 s.). Al pi tardi assieme ad Eph. 5, l'accenno alla presa
in considerazione del matrimonio come sacramento movendo dall'unio ua't'1'}p,o\I
della redenzione risulta evidente.
si Cf. sopra, p. 93.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 125
a"ti)p~ov,ossia del mistero della croce - per ripartire ancora una volta,
per le ragioni gi addotte, dal nostro testo fondamentale - il fatto che
esso abbia operato la redenzione, la remissione dei peccati (Eph. 1,7)
e la rappacificazione con Dio (Eph. 2,u-22), effettuandole per in mo-
do da farle tradurre in atto una volta ancora dalla Chiesa in seno alla
Chiesa, e quindi alla corrispondente presenza dei relativi membri della
Chiesa, lo sguardo dovrebbe avere visuale libera per cogliere gi le prime
avvisaglie del sacramento della penitenza.
E infine si pu accennare anche all'unzione degli infermi, cosl come essa
ci viene delineata in Jac. 5,13 s.: l'impegno ecclesiale di determinati mem-
bri nei confronti dell'individuo colpito dalla malattia, per la sua salvezza.
Che questi brevi cenni servano qui soltanto ad additare una possibile
via per dimostrare la legittimit teologica di ci che una valida teolo-
gia sacramentalie, partendo dalla sua base neotestamentaria, tenuta
a sviluppare, risulta chiaro dalla stessa finalit propostasi daHa presen-
te sezione. Va anche qui escluso, sia prima che dopo, ogni cosciente
o inconscio a priori. Tuttavia, badando alla vicenda storica effettiva-
mente vissuta dalla Chiesa e proprio anche alla sua consapevolezza
teologica, una tale via non si pu ormai pi dichiarare impercorribile.
~ Ora, se coloro che erano rimasti fedeli alle annichc usanze, sono giunti
(ij).bov) ad una nuova spera112a, non osservando pi il sabato ma vivendo secondo
la domenica, in cui anche la nostra vita nata (vl-tE~Ev) attraverso lui (Ges
Cristo) e la sua morte - cosa che alcuni negano - , un mistero (ucr-n')p~ov) tra-
mite il quale abbiamo ricevuto la fede (o meglio: il credere: s~ oi'.i vctc"i]pcov
H.d.~otv 't6 'll:ICM'Eumi) e grazie al quale perseveriamo, per venir trovati discepoli
126 I SACRAMENTI
cli Ges Cristo nostro unico dottore. Come potremo vivere senza di lui ... h (IGNA-
ZIO, aJ Magn. 9,1 ).
ss Sempre parlando dello stesso evento, un po' pi avanti ci vien detto: ...per-
ch abbiate la piena certezza della nascita, della passione e della risurrezione av-
venute al tempo della reggenza di Ponzio Pilato: tutte cose veramente e indub-
biamente compiute da Ges1 Cristo, speranza nostra, dalla quale ci auguriamo
nessuno di voi si distsccbi (IGNAZIO, ad Magn. n). Degno di rilievo il fatto che
qui il termine ua-n']p~ov non compaia. Da questo passo risulta poi assodato che
in 9,1 non vengono mezionate soltanto la morte e la risurrezione di Cristo, co-
me rileva il Bornkamm (ThWNT 4 [1942) 831). 11 verbo .va:d..M.> non com-
pare in Ignazio per indicare la risurrezione di Ges. Con ci ovviamente non si
nega che la nascita della nostra (!) vita tramite lui, avvenuta quel giorno che sa-
rebbe poi divenuto la domenica, abbia il suo intrinseco nesso es$Cnziale con la
risurrezione di Cristo. Ma nel caso nostro, nemmeno le pi sottili sfumature van-
no trascurate.
S'fORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 127
(che esige ancora una volta l'aoristo), per venir da lui realizzato anche
nella vita con una perseveranza (9,1) estendentesi su tutto il ciclo esi-
stenziale. Se poi riflettiamo ancora sul come la domenica in quanto tale
sia stata concretamente solennizzata, affiora ovviamente la possibilit che
si alluda non soltanto al battesimo, ma anche alla celebrazione tipica del-
la domenica, ossia all'eucaristia vista pure come uC""t"1)pLO\I.
Se le considerazioni sin qui fotte sono valide ed hanno una solida ra-
gion d'essere, abbiamo qualche buon risultato da tirare: nel NT af-
fonda gi le sue radici una incipiente teologia sacramentale, quantun-
que vi si delinei solo molto implicitamente. importante constatare
come, dall'unico va-n')pLov, cosl come esso appare concepito in ma-
niera autonoma e formulato nel NT, venga in luce il legittimo e pos-
sibile spunto evolutivo che porta alla designazione di parecchi riti cli
salvezza col nome di urJ"cfipLO'V-sacramentum. Per quanto com:erne
l'effettiva evoluzione storica lessicale e concettuale del vcrtfipLO\I (sa-
cramentum) e la storia della teologia dei singoli sacramenti stessi,
per quanto abbiamo potuto vedere, rimarr ovviamente da esaminare
ancora il senso derivato, di volta in volta diverso, con cui si usato
tale concetto. Nella parte sistematica, dovremo scrutare ancor pi da
vicino parecchi momenti, parecchie esigenze legittime, ma da accam-
pare a nuovo o quanto meno da ribadire a nuovo, per avere un con-
cetto veramente valido di sacramento. Qui occorrer tener presente,
non da ultimo, che, nel concetto di sacramento concepito in deriva-
zione dal ua-rfipLov neotestamentario, deve restare perennemente te-
matica l'attivit di Dio (Padre), il quale ha operato e continua tuttora
ad operare la salvezza tramite Ges Cristo suo Figlio. Ora, la stessa
cosa vale anche per Ges Cristo, e in derivazione da lui per la Chiesa
in quanto suo crwa. e 'lt:i'.Jpwa.. Questo ed altro ancora dovr venir
accuratamente vagliato a suo luogo.
Grazie allo sguardo panoramico che abbiamo dato alla storia lessica-
le e concettuale fino ai tempi di Agostino, e alle considerazioni che ab-
128 I SACRAMENTI
mentum dat Deus; unde et Graece mysterium dicitur quod sccrctam et reconditam
habeat dispositioncm (Etym. 6,19,39-42: PL 82, 255 CD). Circa i problemi sol-
levati dalla conCe2ione dei sacramenti nutrita da Isidoro e altri, cf. anche R. SCHUL-
TE, 'Die Messe als Opfer der Kirche. Die Lchre friihrnittelalterlicher Autoren iiber
das eucharistische Opfer, in: LQF 35 (Miinster r959}, 1328.
'SI De sacr. christianae fidci 1. 9,2: PL 176, 317 C.
I SACRAMENTI
sta causalit ex opere operato, non si trov per alcuna soluzione uni-
voca o accettata da tutti, non appena si tratt di definire l'esatta moda-
lit di tale processo causale. Assai istruttiva al proposito la soluzione
proposta da Tomaso d'Aquino. Egli suddivide differenziandolo il modo
di agire causale. Per lui, la causa principalis della grazia sacramentale
Dio stesso. Ci viene chiarito meglio facendo il raffronto con Cristo
(e anche prendendo le mosse da lui): la sua natura umana l'instru-
mentum coniunctum, i sacramenti sono invece gli instrumenta sepa-
rata della grazia che viene comunicata. Nonostante tutta l'insufficienza
che si pu forse riscontrate in questa concezione, l'attivit di Dio (Pa-
dre) resta comunque salvaguardata nell'evento sacramentale, anzi tenuta
bene in vista con una evidenza pi unica che rara in quel tempo. Nelle
epoche successive per, le cose andarono ben diversamente. Trattando
dei sacramenti, la teologia li and guardando sempre pi soltanto nella
loro causalit (sia pure strumentale), senza lasciare pi un posto essen-
ziale e tematico all'agire di Dio stesso, visto concretizzato soprattutto nel-
l'evento della croce. Si pu inoltre accennare anche al sintomatico fatto
che, in seguito al progressivo restringersi dell'orizzonte visivo della teo-
logia sui sacramenti in genere, si potuto (e guardando allo stato delle
cose forse si addirittura dovuto) giungere, nel concepire il sacramento
principale costituito dall'eucarestia, all'infelice distinzione fra sacramen-
tum e sacrilicium: una distinzione, le cui conseguenze a tutt'oggi non
sono ancora da noi state completamente superate.
58 Per una pi ampia conoscenza della vicenda storica passata dalla dottrina sui
sacramenti in genere, siccome lo spazio ci permette qui soltanto una presentazione
estremamente stringata e quindi assai incompleta, dobbiamo rimandare ai vecchi
manuali di dogmatica e di storia dei dogmi. Cf. inoltre: G. VAN Roo, De sacra-
mentis in genere, Roma 31966,
I SACllAME.NTl
Annotazioni preliminari
59 Sino a qual punto oggi si sente dappertutto, non da ultimo anche in campo
protestante, il bisogno di ripensare a nuovo la teologia sacramentale, facendola
ogiietto di riconsiderazioni e chiarificazioni veramente radicali, lo pu dimostrare la
seguente citazione: Li teologia per... non pu evitare di porre in atto tutti gli
sforzi per procacciarsi un concetto sufficientemente giustificato sotto il profilo ese-
getico e sistematicamente sostenibile di sacramento. Nel concetto di sacramento
infatti, si tratta al contempa di decidere non solo quale sia il rapporto storiro-rc-
ligioso fra cristianesimo e religione misterica, hensl anche quale sia il rapporto
di teologia fondamentale vigente fra rivelazione e natura, quindi fra Dio e mondo,
e infine di decidere se nell'escatologia trova la sua motivazione l'ontologia, o vi-
ceversa quest'ultima che trova la sua ragion d'essere in quella. Un semplice
sguardo dato alla storia della teologia d a vedere come nella concezione del sa-
cramento escatologia e dottrina della creazione risultino abbinate in un rapporto
strettissimo, rigorosissimo, ma anche quanto mai problematico ... - (E. JiiNGEL, 'Was
ist ein Sakrament. Ersrer Vortrag', in: E. ]iiNGEL - K. RAHNEll, W as ist ein Sa
krament, Freiburg x971 1 28 s.}. Sicch, una teologia sacramentale gestita respon-
sabilmente non pu cercar di scansare la problematica test delineata.
I SACRAMENTI
tino sospetto, prendiamo come base di partenza gli stessi passi scrit-
turali che finora ci hanno sempre accompagnati. Qui si aggiunge poi
nel nostro campo visivo anche l'altro fattore (che per meglio dire
ancora lo stesso), quello che dappertutto nella sacra Scrittura descri-
ve il comportamento fondamentale di Dio: l'agire e l'operare di Dio
viene sempre concepito come parola, come discorso; e la parola
rivelatrice e istruttiva di Dio costituisce sempre al contempo anche
un operare con gesto potente. ormai sufficientemente noto come
questa coscienza biblica di fede risulti percettibile nel vocabolo da-
bar e nell'uso che se ne fa: esso indica al contempo parola e azio-
ne (realt); quest'ultima, poi, denota tanto l'avvenimento (evento),
quanto anche l'essere ormai realizzato. Quasi non bastasse, un da-
to di uso corrente che proprio anche l'azione creativa di Dio si espli-
chi sempre nella parola e con la parola: Dio parla, e la cosa esiste.
Noi dobbiamo quindi sviscerare questi dati biblici, qui ovviamente
appena aocennati ma altrove diffusamente esposti, applicandoli al
nostro assunto. Non affatto detto che per questo dimentichiamo
come, in questa materia, si tratti di un problema sempre ulterior-
mente approfondibile, eppur mai dd tutto risolvibile sotto il pro-
filo teologico (e anche filosofico). 62
Possiamo sintetizzare brevemente in forma di tesi quello che ab-
biamo qui esposto, dicendo: ogni entit creata, in quanto tale, al
contempo realizzazione di Dio e parola, espressione, discorso di
Dio. Comunque si voglia definire l'ente creato in quanto tale, esso
porta in s come carattere di fondo essenziale, invincibile e assohi-
tamente valido, il fatto di essere sempre qualcosa di derivante da
un essere completamente dive~so, inteso nel senso prettamente teo-
logko di quest'espressione, tanto come realt quanto. come parola.
Ora, ci implica parecchi fatti che val proprio la pena di esaminare
attentamente.
In riferimento a Dio visto come Autore primordiale del UO"'TTJp~ov
e pertanto d'ogni entit creata, bisogna affermare questo: l'agire
creativo di Dio viene inteso gi nell'AT come un operare assoluta-
mente privo di qualsiasi analogia, per cui svela gi il carattere di
11.l Cf. in materia J. GNILKA, op. cit., p. 130. Il mistero della redenzione com
porta infatti (e rivela) proprio che Dio difenda la sua creazione. In questo con-
testo, sentiamo cosa dice il dotto autore: Nel concetto-rL itif.v-ra (Eph. 1,10 e 3,9),
si documenta l'idea per principio unitaria del mondo nutrita dall'epistola. Questa
unitariet risulta agevolata dalla fede nella creazione che si aveva nell'antica ra
biblica. Dio ha creato tutto quanto (3,9). Lo sviluppo avviatosi con Cristo (1,10)
mira appunto alla riconquista dell'unit... Bisogna richiamare pressantemente l'at-
tenzione sul fatto che l'interesse orientato al superamento del dualismo esistente
si lascia alle spalle la concezione statica del mondo, sicch la dinamica dcl quadro
del mondo presentato da Eph. va considerata qui come la sua pi notevole ca-
ratteristica (J. GNrLKA, op. cit., 65). L'importanza di questo fatto va conveniente-
mente sfruttata anche nella teologia sacramentale.
64 Eph. r,5, considerato nel suo insieme, vale in tutto il suo peso tanto per
la redenzione, quanto anche per la creazione.
I SACRAMENTI
1 44
inerente a Dio non costituisce per lui una necessit naturale, come
pure la realt posta in essere per venire afferrata come espressione
di Dio affidata alla decisione personale di accogliere e voler per-
cepire. Nemmeno hl creaturalit dell'uomo una sua necessit in-
trinsecamente naturale; no, perch un modo di essere che sfreccia
pi in alto di ogni necessit, in quanto accreditato come derivante
dall'amore, e da accettarsi in tutta libert con un'opzione personale
presa dinanzi a Dio. La creatura deriva dalla persona ed , ordinata
alla .persona. Sicch, dobbiamo concepire ogni entit creata come
azione e parola del Dio personale (seppure in primo luogo ancora e
soltanto nel senso del principio del ucr-ri)p~ov), come sua espres-
sione personale. Sotto questo aspetto, ogni elemento creato porta
gi in quanto tale un carattere personale voluto da Dio, poich mo-
vendo da lui nulla esiste per necessit inconsapevole o preterin-
tenzionale, ossia a-personale.
Questo rapporto di fondo e di origine ( = rapporto di creazione)
si mantiene per finch l'elemento creato continua ad esistere. Ora,
se visto in questa luce ogni essere creato permane in stato di non-
necessit tanto divina quanto creatural'e (1' ens contingens resta
sempre contingens ), e quindi sotto l'egida del potere di Dio ispi-
rato dall'amore, di palmare evidenza che il contenuto intrinseco
dell'entit realizzata per via creativa come espressione di Dio ri-
mane fondato su Dio stesso: in effetti, come gi bene sappiamo, la
realizzazione e la rivelazione del u<r-r{jptov non comportano affatto
la sua diminazione. Per cui, il significato e l' importanza d'ogni
singolo essere creato continuano a restare nascosti in Dio anche do-
po la sua reali:.:zazione, giacch nulla viene o pu venir scardinato
dal suo rapporto fondamentale con Dio. Pur essendo un'espressione
di Dio, l'elemento creato non ancora la sua ultima parola. Con-
siderato a tutta prima in se stesso, anzi soltanto un vocabolo
preconizzato ad una sempre possibilie locuzione {ulteriore) di Dio.
Come la singola parola (il singolo vocabolo) non ha un senso gi
di per se stessa o unicamente un significato ultimo, ma riceve invece
il senso ad essa attribuito soltanto da chi parla, e nel contesto d'una
proposizione ben determinata (pur senza per questo venir abusata.'),
cosi succede anche per ogni singolo essere creato. Qui in effetti ba-
sta prestare attenzione alla possibilit, ora gi nppars.1 evidente e
I SACRAMENTI
fondata sul mistero stesso della creazione, che l'elemento creato sia
suscettibile d'una ulteriore accezione in quanto mezzo espressivo e
operativo di Dio. Come <('discorso di Dio, l'essere creato non
qualcosa di irreiterabile e definitivo, ma partecipa (gi) al u1n'l'JpLov
di Dio in quanto elemento realizzato s, ma pur sempre ancor da
realizzare. L'essere creato non si limita soltanto ad avere la propria
origine (unica e conclusa) da Dio, ma presenta invece una continua
derivazione da lui, finch seguita ad esistere; e ci nel senso d'un
evento, d'un dialogo, in cui il singolo elemento creato, considera-
to come vocabolo (usato occasionalmente o anche frequentemente)
secondo il volere personale di Dio (o altres della creatura abilitata a
farlo), viene inserito nel contesto significativo di volta in volta vo-
luto, :finch si attuer la ricapitofozione completa in un'unica parola
di quanto stato detto nel corso della storia da Dio e dalla creatura.65
Guardando le cose in questa foce, risulta quindi proibita - sotto il
profilo teologico ed ontologico - ogni definizione inappeUabile
del singolo elemento creato. O quanto meno, la definizione potreb-
be venir accettata soltanto come misura minima dell'ente preso
in considerazione. L'apertura verso la possibilit d'una pi pregnan-
te ricettivit dell'essere, ossia in ahri termini l'apertura dell'onto-
logia verso l'escatologia, va salvaguardata sin dalle origini, cio sin
dal mistero della creazione.
Non soltanto in base agli asserti circa il uaTI]p~o'll 'tov GIEov della
lettera agJ.'i Efesini, bens anche a causa di numerosi altri passi del
NT, siamo obbligati a tener ben presente dinanzi al nostro sguardo il
risvolto trinitario di fondo gi per la stessa realt della creazione.
Ci non trae la sua intima giustificazione soltanto dall'evento deUa
redenzione, sebbene questa ci abbia concretament aperto g~i occhi
per vederlo e vi abbia apportato qualcosa di inauditamente nuovo
(cosa sulla quale torneremo poi). Sempre nell'ambito della teologia
della creazione, dobbiamo stringatamente enuclearlo per chiarire me-
glio il nostro assunto.
La nota massima, secondo cui le operationes divinae ad extra
communes sunt tribus personis, non pu limitarsi soltanto a rap-
presentare una sentenza riassuntiva e completa riguardante lo stato
di cose qui prospettato; seguendo la linea tracciata dalla Scrittura,
occorre invece fare teologia della creazione tenendo debitamente con-
to altresl deUa distinzione delle persone divine.61 Possiamo quindi
che abbiamo test detto con quanto ci accingiamo a dire sul Logos e
sullo Spirito.
Queste affermazioni possono venir ulteriormente condotte avan-
ti, dando uno sguardo al profondo significato della formula creatio
ex nihilo. Per quanto sgraziata possa sembrare, essa per in gra-
do di esprimere qualcosa di eminentemente positivo. Quel che pro-
priamente intende ribadire, non tanto l'assoluta mancanza di mate-
ria prima, quanto piuttosto il lato inconcepibile e ineffabile dell'a-
zione creatrice di Dio. Va sottolineato infatti non il fatto che prima
non esisteva <<nullia, bensl che tutto proviene da Dio, e quindi che
accanto a lui non c' nessuno e nulla da cui potrebbe pure derivare
qualcosa. Gi per questo solo fatto risulta di per s superato ed
escluso qualsiasi dualismo, messo fuori causa qualsiasi aspetto magico
proprio anche per l'evento sacramentale, sebbene esso possa a torto
insinuarsi di continuo nella mente. Pi importante ancora per il'
rilevare in questa formula l'essenza di qualsiasi causa impellente in
Dio stesso. In effetti, se proprio si pu addurre qualche movente
in forza del quale l'essere creato esiste, non restano che Dio stes-
so e il suo comportamento archtipo, la .ycbtTJ di Dio Padre (Eph.
1 ,5 ). Entra cos in campo il uui:i}pLov dd decreto fon tale di Dio Pa-
dre, che subisce qui la sua (prima!) estrinsecazione e rivelazione.
L'asserto di fede sintetizzato nella frase creatio ex nihilo intende
per affermare (anche) questo: la creatura non un essere provenien-
te dal nulla. L'origine dell'elemento creato non il nuUa, ma in-
vece la yr~:rt'l') e la Eooxla di Dio Padre. E ci ovviamente come
ua-i:1)pLov. L' ex nihilo significa la gratuit, ossia l'essere dona-
to gratis, in modo assolutamente non obbligato e non causato, da
quella scaturigine fontale che lo stesso Dio Padre.
In secondo luogo, ogni essere creato va fatto assurgere a tema di
considerazione come creato tramite il Logos, ripensandolo in vista
proprio della teologia sacramentale che ci proponiamo di elaborare.
Vediamo di enuclearne qualche momento, importante aglri effetti del
nostro assunto. Ogni essere creato un'espressione di Dio Padre (e
della sua &.yci1t'l')), enunciata per mediante il suo Verbo (parola}.
Per cui, ogni creatura anche discorso pronunciato da Dio col
suo unico Verbo, e quindi partecipazione all'intrinseca natura di Lo-
gos di quest'unica parola di Dio. Sicch ogni elemento creato de-
INQUADRAMENTO SISTEMATICO
dalle persone cointeressate dichiarano non detto ci che prima non era
mai stato profferito, oppure lo sottacciono. Persino la contraddizione
(colpa) viene ascoltata; e Dio ha rivelato la potenza del suo amore, in cui
egli mediante lo stesso suo Verbo tollera e sopporta questa contraddizio-
ne (la morte di colui che la vita), per realizzare cosl nell'unica storia,
e non eludendo il divenuto (sia pure deforme), la ricapitolazione defini-
tiva di tutto quanto stato detto nel suo ultimo Verbo che abbrac-
cia tutto, perch porta in s il 'lt1)pwa. di Dio e l'essere dell'uomo, e
assurge cosl ad autentico adempimento escatologico del primo pensiero
del suo amore.72 L'importanza di questi dati di fatto per la comprensione
della vita sacramentale dovrebbe risultare evidente.
72 a. in materia Eph. 1,3-14, spec. r ,ro; vedi anche J. GN!LKA, op. cit., 80 s.
INQUADRAMENTO SISTEMATICO 16r
senza di Dio nella stori1', con tutte le sue implicazioni, sin dail.-
l'alba della creazione. Questa presenza di Dio - come abbia-
mo gi visto - anche trinitariamente differenziata. Sot-
to questo aspetto, vanno valorizzate appieno le affermazioni
contenute p. es. in Eph. 1,10 e 3,9 (in relazione a Dio Pa-
dre), in ]o. 1 (per il; Log.os) e nei corrispondenti passi gi dell'AT
(per lo Spirito). Ancora come abbiamo gi visto, l'uomo in quanto
fatto ad immagine e somiglianza di Dio stto creato e chiamato
sin dalle origini alla comunione vitale con Dio. Tramite questa for-
mazione dell'uomo, la libert di Dio si calata nell'Alleanza e nella
sua storia, sicch da quel momento in poi ogni disposizione umana
e personale presa dall'uomo, grazie all'autorizzazione comunicatag!ii,
ha anche le sue ripercussioni storiche su questa Alleanza e sulle sue
modalit fenomeniche d'impronta storica. Dio infatti non ha model-
lato l'uomo come conformit (gi realizzata) al suo verbo creativo,
ma lo ha invece chiamato e preordinato alla libera corrispondenza
personale, abilitandolo cosl a rispondere (con senso di riconoscenza)
in maniera libera, personale, attiva.
Si spiega cosl (ora) il significato della storia della rovina e della sal-
vezza nel suo decorso concreto. Non occorre che ci dilunghiamo qui a
sviscerarlo. Le sue fasi decisive possiamo indicarle nell'evento del pec-
cato (originale) e nell'evento della croce. Per quanto concerne il nostro
assunto, dobbiamo guardare alle implicazioni comportate dal peccato ori-
ginale e dal peccato in genere per la comunione vitale fra Dio e l'uomo,
giacch la cosa determinante per comprendere il mistero della reden-
zione e quindi i sacramenti. Che cosa s~tto questo aspetto significhi il
peccato, lo si pu dedurre con la massima chiarezza nel nostro contesto
da ci che l'uomo sin dalla sua origine e conseguentemente da ci che
gli era stato assegnato come compito vitale, nonch dalla caterva di con-
seguenze del peccato che si accollata il Logos di Dio facendole assur-
gere a mistero di salvezza.
L'essere originario dell'uomo come dono e compito assegnatigli da Dio
va individuato nella sua qualit di immagine di Dio, che per sua intrin-
seca natura vien descritta nella maniera pi chiara con l'altra formula-
zione dello stesso fatto, vale a dire con quella che si riscontra ad es. in
Ps. 8,6: l'uomo stato adornato della gloria e dello splendore di Dio
(kabod e badar), ed per benigna concessione poco meno che Dio.
Sicch, pur lasciando impregiudicata la perenne incomparabilit di Dio,
grazie all'atto creativo di Dio l'uomo risulta inserito nel ucrt"fipiov di
I SACKAMENTt
luogo l'ineffabile intervento sul fatto compiuto umano, avvenuto sia pure
a causa del comportamento peccaminoso dell'uomo, la consegna del Fi-
glio unigenito alla carne del peccato (cfr. Rom. 8,3 e passim) e alla mor-
te; il tutto come rivelazione e al contempo come potente opera del suo
amore salvifico. La olxovola. del ucrtiJp~ov nascosto in Dio sin prima
degli eoni non si vede quindi posta nella necessit di ricominciare dal
principio in maniera assoluta. Il mistero della redenzione si realizza nello
stesso Verbo di Dio, sempre beninteso grazie all'ineffabile onnipotenza
dell'amore di Dio (cfr. Eph. 1,5 ss.), accogliendo l'operato storico dell'uo-
mo. Il Padre d avvio alla salvezza non tramite il suo Logos divino in
quanto tale, e soltanto attraverso lui, bensl tramite il Logos incarnato
nella carne peccatrice. Ora, in tal modo, almeno per questo Logos, viene
a crearsi una modalitA completamente nuova di presenza storica. Che il
Logos fosse presente sin da sempre in mezzo al mondo, e quindi anche
nella vicenda vitale storica fra Dio e l'uomo, l'abbiamo gi ribadito. Tut-
tavia, pur lasciando impregiudicato questo fatto, il Logos di Dio entra
quasi aggiuntivamente e di bel nuovo nella storia facendosi uomo: una
presenza, questa, che prima non si era mai avuta ed era destinata a durare
esattamente per l'arco di tempo d'.una vita umana. Ci implica molte cose
da rilevare, tanto pi che questo Figlio di Dio, Ges Cristo, entrato con-
cretamente nella storia e operante in essa, da questo preciso momento in
poi finisce per essere il uO"t'lipi.ov di salvezza, il sacramento di salverza
per antonomasia e in persona.
Agli effetti della teologia sacramentale, possiamo prospettare il quadro
nella maniera che ora diremo. La salvezza e la vita destinate all'uomo da
Dio Padre in base al suo decreto di reden't.ione, ossia l'essere dell'uomo
sotto la grazia redentiva, deve essere una configurazione ad immagine di
questo Ges Cristo (cfr. Rom. 8,29; I Cor. 15,47; 2 Cor. 3,18; 4,4 s.;
Phil. 3,20 s.; di volta in volta con le sfumature messe in luce dai passi
addotti). Ora, tale configurazione ad immagine non deve ricalcarsi sol-
tanto sul Logos di Dio in quanto (unicamente) divino, ma attuarsi invece
proprio nella partecipazione al va'flptov di Dio, che si rivelato e reso
efficace con Ges Cristo e in Ges Cristo nell'evento della croce. A que-
sto punto, occorre tener presente che il Logos di Dio non ha assunto la
natura umana nella sua configurazione originaria, modellata dal Dio crea-
tore, facendola assurgere cosl a sacramento di salvezza. Si invece inse-
rito nella natura umana sfigurata dal peccato. Ha assunto l'esistenza uma-
na non nello stato di immagine di Dio in cui era stata creata, bensl
nello stato in cui si era storicamente tramutata a causa del peccato.
proprio tramite questa accettazione della natura umana storicamente con-
figurata e tramite l'avvento nella storia subito per obbedienza da questo
Incarnato, che si attuata la salvezza, ossia che il v<T"t'TJptov di Dio Pa-
dre si rivelato e realizzato in quanto mistero di redenzione. Ora, le im-
I SACRAMENTI
II/I, 82-107.
166 I SACRAMENTI
bene fra il nucleo essenziale tipico del sacramento, che poi l'unico
.vll't'i)pio'\I gi retiizzato ma pur sempre i.n atto di realizzarsi hic et
nunc,77 come reale evento vitale verificantesi qui e adesso tra Dio e
questo uomo concreto posto in questa sua situazione salvifica, da
un lato, e il sacramento in quanto esiste ed a portata di ma-
no come forma d'azione resa possibile, dall'altro. Quest'ultimo fatto
si esprime p. es. nella formula (assai probliematica) secondo cui la
Chiesa <~possiede i sacramenti (con possibilit di tradurli in atto};
mentre il primo fatto indica la vita della Chiesa nel suo concreto
evento esfrl'essivo.
Guardando all'evento sacramentale nella sua attuazione concreta,
la questione dell'istituzione dei sacramenti viene a coincidere con
quella dell'Autore dello stesso .ua"t1)pLov; s, perch sono poi la stes-
sa identica cosa. Per cui, indubbiamente in primo luogo Dio Pa-
dre che va indicato come l'origine per antonomasia, sia ad intra nel-
la Trinit sia ad extra nel creato, ed altresl come l'unico e concreto
Autore del vcr-ci)pLov; ancora e sempre llui, che accorda anche ad
altri la possibilit di cooperare attivamente, beninteso nel modo ti-
pico da lui concesso, all'unico evento vitale in fase di continuo svi-
luppo storico. Sono tutte cose gi da noi dimostrate in precedenza,
per cui qui ci basta soltanto applicarle assennatamente. In altri ter-
mini, possiamo tentare di risolvere il problema della paternit e del-
l'istituzione dei sacramenti in maniera non (pi) statica, sganciata da
ogni altra prospettiva di storia della salvezza. Quanto emerge dall'in-
quadratura nuova (o meglio, ricuperata, non affatto in contraddi-
zione con gli asserti enunciati p. es. dal Tridentino, ma anzi ne com-
penetra ancor pi a fondo l'assunto, soprattutto tenendone presente
la fisionomia legata al suo tempo (che rientra essa pure ne} vcr"t'i)piov
di Dio!).18
77 Per quanto concerne queste formulazioni, cf. i risultati delle nostre analisi
neotestamentarie, addotti sopra a pp. 93 s. e 113-127.
78 L'affennazione fatta dal Tridentino, secondo cui i sacramenti sono stati tutti
istituiti da Ges Cristo, non intende certo escludere l'attivit, anzi la causalit di
Dio Padre! La corrispondente fiss82ione non pu assolutamente venir intesa in que-
sto modo. Qualcosa di analogo succede poi anche con gli asserti concernenti l'effi.
cacia che i sacramenti posseggono di produrre la grazia: se vengono indicati come
mezzi di grazia, non si deve per assolutamente affermare, neanche implicitamente,
che siano gli unici mezzi, di cui Dio si serve per comunicare la grazia sua e ri-
spettivamente di Ges Cristo, e quindi se stesso.
INQUADRAMENTO SISTEMAnco
Sicch, anche nella presente questione, dobbiamo prendere molto sul se-
rio la paternit divina d'ogni cosa creata e di tutta la storia, ivi inclusa
la reale ed efficace energia operativa aggiunta da Dio stesso alla natura
intrinseca delle creature, e quindi anche le disposizioni storicamente in-
cisive prese dall'uomo nell'ambito dell'unico vcni)pLov di Dio; per cui,
Dio stesso si tiene legato, col Patto di Alleanza da lui liberamente sti-
pulato, persino a tali decisioni creaturali, pur senza minimamente abdi-
care per questo alla propria sovrana libert divina. Di conseguenza, una
sostanmale compartecipazione della creatura alla fissazione di determi-
nate forme espressive della vita comune, istituita da Dio ma decorrente
nella storia, non solo non va esclusa, ma anzi positivamente attesa. Un
semFilice sguardo dato al conOl'Cto VO"t'TJPLOV dell'evento della croce,
da cui i sacramenti in genere derivano, pu dimostrare direttamente un
fatto: la sostanziale fissazione di questo mistero, la croce, stata fatta
non in base ad una determinazione primordiale divina, bensl ad una
disposizione storica (oltretutto peccaminosa) umana.79 Ora, ci che vale
per lo stesso ucr'ti)piov (storicamente realizzato), non pu certo pi
risultare strano per le forme espressive usate nelle attuazioni ecclesiali.
Qui ovviamente non si pu pi partire da un a priori, bensl soltanto da
un accurato esame dei fatti storici successi nella vicenda salvifica, per dare
qualche ragguaglio sui singoli sacramenti: cosa che faremo analizzandoli.
Ci che or ora abbiamo rilevato circa l'agire di Dio Padre in relazione
all' istituzione dei sacramenti, vale in maniera corrispondente per Ge-
s Cristo, per lo Spirito santo, come pure per la Chiesa in quanto
vcr't1]p1.0v autorizzato e investito da Dio, anche senza che ci mettiamo
qui a darne le ragioni dimostrative. Limitiamoci soltanto a puntualiz-
zare questo: stante l'azione storica svolta da Dio nel senso suaccennato,
non pu rivestire un interesse cosl pressante l'ascrivere senza tante spie-
gazioni semplicemente a Ges Cristo l'istituzione dei sacramenti, ma-
gari perfino in ogni singolo elemento. Le considerazioni che abbiamo
fatte, ci hanno condotti invece a riconoscere perfino il senso dei cosiddet-
ti influssi extra-biblici sulla configurazione (esteriore, formale) delle
forme rituali nell'evento sacramentale (quando tali influssi risultino di-
mostrati), portandoci ad afferrarli nel loro significato pi profondo. Dal-
l'esame dell'azione salvifica svolta da Dio nella storia non si pu dedur-
re alcun a priori, in base a cui Dio ed anche i cristiani non avrebbero
potuto di per s appigliarsi ad alcun elemento gi preesistente nella sto-
ria, per imbastire ci che costituisce lo <<schema del rito sacramentale.
Sempre movendo da questa constatazione, si dovrebbe rivedere e supe-
rare anche quell'altra fraseologia teologica non di rado facente capolino
qua e l, secondo cui Ges o la Chiesa avrebbero preso o mutuato
qualche elemento da altrove, sicch questo rappresenterebbe per princi-
79 Cf. in materia quanto abbiamo detto sopra, pp. 160-165.
170 I SACRAMENTI
Una volta preso atto di tutto questo, si vede chiaramente come sia sem-
pre l'unico e solo uo"tliptov che subisce svariate modalit di attuazione,
senza per altro venir suddiviso in ciascuna di esse. L'unico uO"tTJptov
al momento di rivelarsi ed attuarsi, non sta per una parte in ci che
si chiama sacramento del battesimo, per un'altra parte in ci che si
chiama eucarestia, e via dicendo. Quantunque la realt della realizzazio-
ne vitale concreta, presa di mira dai singoli cointeressati al (singolo)
evento sacramentale, sia diversa - una volta si tratta dell'inserzione
nella Chiesa vista in quanto uc-ti)ptov di Dio; un'altra magari della
realizzazione del mistero Cristo-Chiesa nel sacramento del matrimonio;
un'altra ancora della celebrazione pubblica e reale del mistero della cro-
ce con una partecipazione attiva e personale {eucarestia), e via di questo
passo - , il VO'"t'TJptov di cui parliamo presente sempre tutto intero, e
non frammentariamente. Allo stesso modo, si noti anche questo: sebbe-
ne esistano molti eventi battesimali singoli - ossia il battesimo ammi-
nistrato a ciascun individuo singolo da inserire come membro nella Chie-
sa - (ai quali va quindi applicato anche l'aoristo nel senso da noi rile-
vato parecchie pagine addietro), si tratta pur sempre dell'unico battesi
mo, ossia dello stesso unico vCT"t'TJptov come battesimo. I molti eventi
battesimali verificantisi in seno alla comunit non moltiplicano il sa-
cramento del battesimo, n ripetono l'unico va-"t'1}p~ov: sono invece an-
cora e sempre l'unico mysterium. lo stesso vale per l'eucarestia: le
molte messe sono l'unico evento della croce realizzantesi sotto forma di
cena. E non diversamente succede con le altre attuazioni dell'unico my-
sterium chiamate sacramenti. Sicch, adottando questa prospettiva,
non esistono nemmeno i molti matrimoni (come sacramento), ma esiste
invece sempre l'unico mistero Cristo-Chiesa, tutto intero nelle sue sin-
gole attuazioni.
172 1 SACRAMENTI
fronti dei non ancora cristiani e del mondo non ancora sal-
vo (cfr. Eph. 1,3-14 e 3,5-13). Qui per, come gi abbiamo
ribadito sopra,112 la Chiesa non affatto una specie di personi-
ficazione, bens} la comunit di Cristo e di Dio (cfr. anoora Eph.
1 ,3-14), formata di uomini vivi (i quali, come gi credenti e
grazie al battesimo, sono membri della Chiesa, e quindi persona!~
mente partecipanti e cointeressati al ucrr1ipLov. Il Signore glorificato
istituisce molti uffici carismatici in quel suo corpo (Eph. 4,11 ss.)
che la Chiesa.8.'l Questi lavorano in essa, sotto la di lui guida, all'e-
dificazione del suo corpo per farlo giungere alla perfezione (Eph.
4,13-16). Ora, ci comporta che il uO"t1ipi.ov di Dio costituito dalla
Chiesa, la quale deve attuarsi come tale portando a sua volta il mi-
stero ad attuarsi tramite lei, non si rivela n si estrinseca se non at-
traverso la corrispondente opera attiva dei suoi singoli membri (o
gruppi di membri), impegnati a farlo dal potere, loro comunicato dal
capo in seno alla Chiesa, di cooperare alla realizzazione del ua-t~pLov
di Dio Padre. Sicch rientrano nell'attuazione del ucrn'}pLov, e quindi
nei sacramenti in quanto suoi eventi verificantisi hic et nunc, ap-
punto anche gli uomini che agiscono qui e adesso in questo senso
e con questi intenti, operando su incarico e autorizzazione in manie-
ra ecdesial-e, sacramentale e personale. La natura del sacramen-
to, che va concepita teologicamente secondo l'idea neo-testamentaria
in derivazione dall'unico uO"t~piov, non si pu quindi affatto coglie-
re senza includervi gli uomini personalmente e concretamente chia-
mati e cointeressati, in quanto membri della Chiesa e rispettivamen-
te di Cristo. Essi e la loro attivit, corrispondente a ciascun sacra-
mento (operante in maniera attiva o accogliente in maniera passi-
va), rientrano quindi anche in una valida deofinizione di sacramen-
to. Che poi movendo da qui si possa giungere a sviluppare il senso,
la portata e anche i limiti delle usuali affermazioni sui ministri e
!IO Circa la problematica parola e sacramento, su cui esiste una vasta lettera-
tura, cf.: W. KASPER, 'Wort und Sakrament', in: Glaube und Gescbichle, Mainz
1970, 285-310; A. SKOWRONEK, Sakrament in der evangeliscben Theologie der Ge-
genwart, Miinchen 1971, con relativa bibliografia.
INQUADRA.'.IEN'JO SISTBMATICO
RAPHAEL SCHULTE
BIBLIOGRAFIA
I. Dizionari
3. Opere singole
I. Costituzione sociale
d. Collegialit
Chiesa locale, le Chiese locali fra loro, il vescovo coi suoi sacerdo-
ti, i vescovi tra loro formano una comunit, in quanto uomini che
nutrono le stesse idee o sono incaricati d'un compito comune. Sta
invece nel fatto che la loro origine e il loro perenne vincolo sono
costituiti dall'unione sacramentale di tutti e di ciascuno col Signore.
Un ordinamento ecclesiale pu emanare prescrizioni per l'ammissio-
ne alla comunit dei credenti, fissandone le condizioni e stabilendo
chi sia rompetente a decidere in merito a tale ammissione. La vera
e propria accettazione in seno a questa comunit non per un
atto arbitrario, lasciato ai fedeli o all'autorit: invece l'atto sa-
cramentale del battesimo, che viene compiuto in nome e co] potere
del Signore. La comunit o l'autorit ecclesiale non possono dispor-
re a loro piacere dell'ammissione dei soggetti a membri del corpo
sociale. Chi. entra in questo collegio, lo fa in qualit di inviato e
autorizzato personalmente e direttamente da Cristo. Proprio gra-
zie e questo, egli viene ad inserirsi nella comunit di tutti coloro
che sono stati battezzati nello stesso identico modo in Cristo.
La stessa cosa vale per la co.filegialit nella gerarchia. Anche qui
infatti, l'ordinamento ecqlesiale pu emanare prescrizioni circa le
condizioni e J.e competenze necessarie per venir insediati in un ufficio
gerarchico. Ma l'insediamento stesso ancora una volta l'atto sacra-
mentale ddla consacrazione. Il oonsacrato si aderge direttamente
inviato da Cristo e responsabile solo di fronte a lui, come tutti i
suoi confratelli nell'ordine sacro. Nemmeno l'insediamento nell'uf-
ficio gerarchico un atto autonomo de~ vescovo, o del collegio epi-
scopale o del papa. Affermando questo, si esprime in maniera pi
concreta e completa ci che 's'intende dire con l'espressione astrat-
ta, quando si asserisce che i vescovi reggono le loro Chiese in for-
za del diritto divino. In termini concreti infatti, ci significa che
i vescovi, in forza della loro missione canonica, detengono s un po-
sto bene specificato in seno all'ordinamento ecclesialie, sicch i loro
doveri, la loro responsabilit, le loro attribuzioni in rapporto ai
fedeli, ai sacerdoti e religiosi, ai loro colleghi vescovi e aD papa,
sono chiaramente determinati; ma significa altresl che nell'esercizio
del loro ufficio, nonostante tutto, restano sempre al primo posto la
missione personale ricevuta dal! Signore e la responsabilit diretta da
essi accollatasi di fronte a lui. La missione da essi ricevuta dal Si-
COSTITUZIONE SOCIALE 199
e. Societ perfetta?
g. Chiesa e Stato
avanti in nome della sua persona, Grazie a tale potere, essi sareb-
bero in gr:ado di r:imettere i peccati, di consacrare, di dispensare dai
voti, di sciogliere matrimoni, e via dicendo. Dalla suaccennata vi-
sione della comunit ecclesiale e dell'ordinamento in essa vigente,
appare tuttavia abbastanza chiaro che una distinzione fra potere con-
naturato e pote.re ricevuto da Cristo non pu affatto esistere. In ef.
fetti, nessuna funzione, nesstlllQ attribuzione, nessuna potest e nes-
sun diritto vigente in questa comunit propriet sua, e quindi
non derivante da Cristo. Il superiore, il predicatore, il presiden-
te della celebrazione eucaristica, il ministro del sacramento, tutti
quanti accettano questa direzione e ricevono il sacramento e ascol-
tano la parola, non stanno mai di fronte agli altri da sol!i e in
nome proprio, nemmeno sul cosiddetto piano giuridico dell'ordina
mento ecclesiale. Responsabilit, attribuzioni, diritti, doveri, e in-
somma tutti i rapporti giuridici vigenti all'interno dell'assetto ec-
clesial'e sono al contempo rapporti coi fratelli cristiani e con Cristo,
e ricevono il loro stigma di validit solo ed esclusivamente dall'unio-
ne sacramentale con lui. Con questo, non si vuol dire che l'intero
ordinamento ecclesiale e tutti i rapporti in esso esistenti siano sa-
cramentali in senso stretto; si afferma sol'tanto che essi fluiscono in
definitiva dall'unione sacramentale con Cristo e sono indirizzati al-
l'unione con lui. Non si possono neanche per un istante e sotto un
solo aspetto dissociare da essa, tramutandosi in un assetto proprio,
indipendente, umano o intra-mondano, se non vogliono perdere il
loro contenuto specifico, la loro finalit e il loro valore.
della comunit vivente del suo Spirito sta proprio nel fatto che l'e-
lemento divino risulta abbinato a quello umano. Si discusso se il
sinodo episcopale possa essere un collegio di consulenza per il papa,
oppure un organo decisionale assieme a lui. Si parlato a torto in
quell'occasione di diritto divino: per la collegialit dei vescovi,
contro il primato del papa. Eppure, badando al diritto divino, non
esiste risposta a questa alternativa. L'unico criterio applicabile
costituito qui dalla maggiore o minore utilit per un efficace gover-
no della Chiesa.
Nei problemi concreti dell'ordinamento ecclesiale, bisogna tener
ben presente che l'intero ordinamento ecclesiale riveste un valore re-
lativo e una funzione relativa in seno alfa comunit della Chiesa. Il
compito assegnato a Pietro e agli altri apostoli non mai stato in pri-
mo luogo quello di costruire un sistema di norme vincolanti. Essi
debbono invece avere sperimentato come loro primo diritto ci che
lo stesso Signore aveva vissuto come suo diritto: la piena libert
di dare testimonianza alla verit, esigendo il riconoscimento della ve-
racit di tale testimonianza. Poteva anche succedere occasionalmente
che si dovesse intervenire con autorit e dare delle prescrizioni, quan-
do la cosa appariva necessaria per assicurare la veracit del vangelo:
nel campo della professione di fede, nell'impostazione deUa vita, nel-
l'unione fraterna. Questa autorit di creare un ordinamento e il ri-
conoscimento di tale autorit poggiavano sulla veridicit della pre-
dicazione e stavano al suo servizio. Pietro deve innanzitutto essersi
sentito chiamato ad una particolare responsabilit nel, servizio ai
suoi fratelli. Se egli si fosse trovato costretto ad elaborare delle pre-
scrizioni vincolanti in materia, l'avrebbe dovuto spiegare di persona.
La missione assegnata ai Dodici da Cristo non in primo luogo e
direttamente una specie di norma giuridica costituzionale. Il diritto
gerarchico, al pari del diritto ecclesiastico in genere, non esiste per
conto proprio, come un tutto chiuso in se stesso con una validit in-
trinseca ed autonoma; esiste invece soltanto come possibile strumen-
to al servizio dell'evangelizzazione, che annuncia a tutti la salvezza
offerta dal Signore.
Con questo non si nega affatto il momento divino sussistente nel-
l'ufficio gerarchico ecclesiale. Quantunque le forme fenomeniche con-
crete dell'ufficio gerarchico nel corso dei secoli possano mutare, quan-
OBBEDIENZA ECCLESIALE 2II
3. Obbedienza ecclesiale
test di ordine e di governo pastorale, sia che agisca in uno dei molti
altri doni, ciascuno vive in definitiva l'unica obbedienza all'unico pa-
pa, vescovo, sacerdote e carismatico, che poi il Signor nostro Ges
Cristo.
Succede per continuamente che quest'obbedienza sostanzialmente
unica venga a conflitto con determinate prescrizioni o altri regol'a-
menti della Chiesa. Abbiamo gi rilevato come, per la coscienza
personale, l'obbedienza allo Spirito stia sempre al di sopra dell'ob-
bedienza alla legge, e come !!'ordinamento ecclesiale debba necessa-
riamente mantenersi aperto a quest'obbedienza superiore. Pu an-
che darsi che quest'obbedienza di fondo venga a trovarsi in con-
trasto con determinate norme o con determinate forme di eserci-
zio dell'ufficio gerarchico. La storia ce ne offre esempi a iosa, atti a
dimostrare come uomini veramente mossi dall'alto, per autentica
ispirazione del vangelo, sono arrivati a tale contrasto. L'antichissi-
ma dottrina della correzione fraterna offre gi una legittimazione a
tale contrasto, che ~'autorit non pu ignorare tranquillamente solo
perch essa costituirebbe un'opposizione ai superiori o al diritto.
Si pu addirittura attendersi che gli impulsi al rinnovamento e al-
l'ulteriore evoluzione nella Chiesa in genere non provengano dai di-
rigenti e dagli amministratori, i quali debbono essere pi che altro
i custodi delll'ordine esistente e costituito, per cui assumeranno sem-
pre un atteggiamento piuttosto negativo o quanto meno diffidente
nei confronti delle nuove ispirazioni. L'obbedienza ecclesiale non
esclude affatto situazioni di conflitto. Tali situazioni anzi sono per-
fino necessarie per un sano sviluppo. Le nuove prospettive e le
nuove forme d'esperienza della fede si presentano per lo pi con
una intensit e un'attrattiva tale, da condurre facilmente a prese di
posizione unilatera!~, a un radicale ripudio del passato e del presen-
te. Per far giungere ad una equilibrata maturazione il nuovo, assie-
me a quanto di buono c' nel sussistente, risulta per lo pi inevi-
tabile un periodo di conflitto. Possiamo qui richiamarci anche alla
tradizione canonica della consuetudine contraria alla legge, che pre-
suppone ovviamente una situazione di conflitto fra l'ordinamento
nuovo e quello gi sussistente. Il conflitto non viene rifiutato in
partenza. In effetti, nel corso del tempo, la consuetudine acquista
forza di legge e finisce per soppiantare l'assetto vigente in preceden-
OBBEDIENZA ECCLESIALE
c. Obbedienza comune
b. Disciplina ecclesiastica
c. Prestazione di servizio
d. Al servizio deH'uomo
l'unit del sacramento, in cui tutti sono uniti fra loro dal pensiero
polarizzato su di lui.
Un ordinamento ideale della Chiesa si pu avere soltanto in una
comunit ecclesiastica ideale. Per cui, all'atto pratico non esister
mai. Le considerazioni test fatte prestano facilmente il fianco al rim-
provero di essere troppo idealistiche e di non tener conto del!la real-
t. Si pu rinfacciare loro soprattutto di pretendere troppo dalla con-
vinzione e dall'esperienza di fede d'ogni singolo cattolico, attribuen-
do invece un valore troppo scarso ai vincoli religioso-sociali. Abbia-
mo gi detto per che in pratica siamo ancora nella fase iniziale agli
effetti dello sviluppo. La realizzazione dei postulati che oggi si pon-
gono ad un ordinamento ecclesiale, esige tempo e pazienza; fino al
momento in cui si tradurranno in atto, ci saranno ancor da superare
molte tensioni e numerosi conflitti. Le mte ideali devono fare i
conti con la realt, se non voglfono ridursi a meri fuochi di paglia.
Tuttavia, anche vero che l'ordinamento della realt deve per prin-
cipio orientarsi sull'ideale. Questo vale in maniera tutta particolare
e radicale per una comunit come la Chiesa. Un ordinamento eccle-
sial~ pu essere davvero un assetto degno della Chiesa, unicamente
allorch il suo indirizzo fondamentale rester sempre quello di ser-
vire alle finalit presentate come ideali dalla fede nel Signore; diver-
samente, esso finir per scadere, declassandosi ad una forma qua-
bnque di formalismo farisaico.
PETER HUIZING
BIBLIOGRAFIA
3. Sull'obbedienza
A. Mi.iLLER, Das Problem von Befehl und Gehorsam im Leben der Kir
che, Einsiedeln 1964.
CAPITOLO SETTIMO
FONDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO
a. I racconti dell'istituzione
Ne possediamo quattro:
I Cor. 11,23-26: lo infatti ho ricevuto dal Signore ci che a mia volta
vi ho trasmesso: il Signore Ges, la notte in cui fu tradito, prese il pane,
(v. 24) e, dopo aver reso grazie (Euxapi<T't{Jcra.i;), lo spezz e disse: 'Que-
sto il mio corpo, che (dato) per voi. Fate questo in memoria di me'
(v. 25). Similmente, dopo la cena, prese il calice e disse: 'Questo calice
la nuova alleanza nel mio sangue. Tutte le volte che ne berrete, fatelo
in memoria di me' (v. 26). Ogni volta, infatti, che voi mangiate questo
pane e bevete questo calice, voi annunciate la morte del Signore, fino a
quando ritorner.
Le. 22,15-20: E quando giunse l'ora, egli si mise a tavola, e gli apostoli
con lui {v. 15 ). Ed egli disse loro: 'Ho ardentemente desiderato mangia-
re con voi questa pasqua, prima di soffrire (v. 16) poich vi dico: Non
la manger pi finch non trover il ~uo adempimento nel regno di Dio'
(v. q) E prese un calice'. recit la preghiera di ringraziamento e disse:
'.Prendetelo e dividetelo fra voi; (v. 18) poich vi dico: d'ora innanzi
non berr pi del frutto della vite, finch non verr il regno di Dio'.
(v. r9) E prese del pane, recit la preghiera di ringraziamento, lo spez-
z e lo diede loro con le parole: 'Questo il mio corpo, che sar dato per
voi. Fate questo in mia memoria' (v. 20) E allo stesso modo (prese) dopo
la cena il calice con le parole: 'Questo calice la nuova alleanza nel mio
sangue, che viene versato per voi'.
FONDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO .z3x
Mc. 14,22-25: E mentre essi mangiavano; egli prese del pane, disse la
benedizione (E).oyi)11a) (su di esso), lo spezz e lo diede ad essi di-
cendo: 'Prendete, questo il mio corpo' (v . .z3) E prese un calice, disse
la preghiera di ringraziamento (Exa.pLU'ti)O"at;) e lo diede ad essi, e tutti
vi bevvero (v. 24). Ed egli disse loro: 'Questo il mio sangue dell'allean-
za, che versato per molti ( v. 2 5) In verit vi dico: io non berr pi del
frutto della vite fino a quel giorno in cui lo berr di nuovo nel regno
di Dio'.
Mt. 26,26-29: E mentre essi mangiavano, Ges prese del pane, disse
la benedizione, lo spezz e lo diede ai discepoli con le parole: 'Prendete,
mangiate, questo il mio corpo' (v. 27) E prese un calice, disse la pre-
ghiera di ringraziamento e lo diede loro con le parole: 'Bevetene tutti;
(v. 28) perch questo il mio sangue dell'alleanza, che versato per
molti a remissione dei peccati (v. 29) Ma io vi dico: D'ora innanzi non
berr pi di questo frutto della vite .fino a quel giorno in cui lo berr di
nuovo con voi nel regno del Padre mio'.
gno di Dio, che significa l'unione perfetta tra Dio e l'uomo. Questi ele-
menti costituiscono la sostanza fondamentale comune a tutti quattro i
racconti.2
Ma necessario tener presenti anche le dtfferenze che si possono notare
nei testi. Oltre alle minori divergenze stilistiche balzano agli occhi le se-
guenti oggettive differenze: per quanto concerne il rito esterno della ce-
.!!!. secondo Paolo i ges ane sarebbero ~~~-~nut! lpriml!J della cena,
mentre quelli sul qlice sarebbero avvenuti o diessa. In Mc./Mt. i
due orQIDL di gesti vengoOQ__campWti ~nsie~el e, secondo ogni verosimi-
glianza, assumono il senso di conclusione d? a celebrazione pasquale ( 14,
17-21). Il testo lucano, a prima vista, riproduce l'ordine di successione
p, olino, ma la posticipazione di wcrctv't"W~ potrebbe anche far pensare al-
la CO ~one mardana) del rito del pane alla conclusione del banchetto.
Per quanto concem-le parole d1 Gesu, le aggfi!Dte ai lQgia del pane e del
calice hanno lo stesso senso materiale, ma una differente collocazione nei
divf!lli racconti; Paolo riporta un'aggiunta (abbreviata) a proposito del
.1211)e, mentre.. Mc. /Mt ne hannn una a proposito del calice, e Le. a pro-
posito di entrambi. u.@ formula del calice J!'<>i ha in tutti i testi gli stessi
termlf!.i predicativi, ma un diverso e opposto ordine in Paolo e Le., da
una parte, e in Mc./Mt., dall'altra_ Infine 1n Mc. e Mt. mafica del tutto
l'ordiQe di ripetere il rjro ordine che jn Paolo si trova due volte e in Le.
una. Ecco quindi la prima visione d'insieme: i quattro racconti dell'isti-
tuzione naJ;!!ill?JQ_~atto. Di essi, il paolino e il lucano, da una parte
il marciano e il matteano, dall'altra, fotmano delle unit rigorose e rap-
presentano, di volta in volta, le variazioni tipiche di due correnti di tra-
dizione. alla cui base sta, a sua v.2!!.a..,_ una t~adizione primitiva. Paolo e
Marco costituiscono le manifestazioni principali, e indipendenti tra loro,
di queste due correnti.
--
della comunit.
I.
. --
Il racconto si distingue da quanto precede mediante un chiaro av-
vio, vale a dire con la concorrente ripetizione di xa:t l~i6vtw"V in Mc.
14,22 confrontato co~ x'4.~-8-"(Mt. "26:i6-21), e in Pacl~-;.;:;~diante l'im
piego dell'enfatico appellativo cultuale XVPLO~. 2. La mancanza di CO
.JQ[e, che mette in evidenza soltanto ci che deve valere per ogni ripe-
tizione della celebrazione, ma trascende (anche se non del tutto) i det-
tagli storici del convito istitutivo di Gesti, pu essere spiegata in base
alla proclamazione liturgica. 3. In base ad essa si spiegano anche gli
' Mc. 6,31#; Mt. 14,14-21: Le. 9,n-17; Mc. 8,1-10; Mt. 15,32-39; Jo. 6,11~.
10 !!. quanto stato fatto in maniera convincente da J. lEaRMJAS op dr , }J-82.
11 R. FENEBl!llG, Cbristlicbe Passafeier und Abendmahl, Miinchen 1971, ritiene
superata la controvenia, in quanto il racconto dell'istituzione una sedimentazione
della celebrazione cultuale cnlti'ana. ------
12 Lo- svoJgrienfoproaenagJiato della pasqua giudaica descritto da J. JERE
MIAS, op. cit., 79 S.
EUCARESTIA
' Cf. Is. 25,6; 65,13; Ien. etiop. 62,14; Apoc. sir. Bar. 29,8; Pirqe Ab. 3,20.
EUCARESTIA
come parte essenziale del sacrificio cllituale nella sua separazione dal
c~, nonch come rappresentazione dell'intera persona (che ~a
sentenza del pane compare designata dal concetto awa. ). Questo
modo di vedere include la conseguenza che anche la morte di Gesti
viene_ concei)it;~ffieOJrerta sacrilicale ciiTtU~e e non pi come sa-
crificio della vita nel martirio. Lo stesso Ges si presenta come il nuo-
vo Mos e come il sommo sacerdote. La lettera agli Ebrei ha ri-
flettuto su que~~~-~ncezi~. portandola ad un alto grado di espli-
~ne: Ges il nuovo sommo sacerdote che con il proprio san-
gqe entrato nel sanmarjo celeste CH.,ebr. 9,12 ). Rispetto al pre-
dicato paolino-lucano del calice la nuova alleanza nel mio sangue
il predicato marciano il mio sangue dell'alleanza deve essere con-
siderato cronologicamente posteriore, non soltanto a motivo dell'ac-
centuato parallelismo nella formulazione, ma anche a motivo detla
liturgizzazione materiale dell'evento narrato.
Le enunciazioni predicative esaminate delle proposizioni di defi-
nizione, prese per s, ci presentano Ges ~ale salvatore cheJi sa-
crifica, ma iilpratka--si riieriscono-anh~- al soggetto delle p.toposi-
zioni caratterizzando cosl concretamente i doni conviviali, per cui
ne risulta la loi;o identit con la persona saivi6ca di Ges. In Paolo
e Giovanni ci dato di vedere che questa identit venne intesa fin
da prinjpio ~:11-_g'identit Lontico-reale enunciante la presenza
di Ges nei doni conviviali. A questa interpretazione della presen-
za reale se ne contrappone certamente una idealista che ammette
soltanto un'identificazione logica e simboli~'dTClonl con il ~orpo e
il sangue di Ges; in base ad es~.a gli {!le1J:!9!.ti sigrtHiciio, designa-
no o simboleggiano il corpo e il sangue di Ges. Questa concezio-
~~ i;;t~~;t0la5U.a esE!ess10ne classica nella moderna teoria si.m-
{ i?_olica f'rotes~ante.ii G~~;-ilm~stro-del discorso in parabol;; nell'a
cena avrebbe ompiuto un'azione simbolica, indicante secondo alcu-
ni la sua morte e secondo altri la sua vita.2'i In questa conzione
l'azione di Ges durantuGancheito viene quasi spontaneamente
in primo piano. Ora anche noi abbiamo attribuito un'elevata impor-
~
rattut1'LWi era vietato di berlo. Il giudeo-cristianesimo radicale infatti
J. op!fine~TICe aersan~e 16 confermando cosi ancora una vol-
a rede delle epoche pi antic7 nella presenza reale. Questa fede pe-
r non va spiegata neru>ure cm;ne un'interpretazione ellenistica. Per il
1
pensiero ellenistico infatti la non consiste nell'unione n il
,C<lI.PO-J!!.a nella separazione da esso. Come potre be a ora l'ostilit, am-
messa universafulente, dell'ellenismo contro il corpo aver influito sulla
feck_nella presenza reale? La presenza reale non mutuata n dal g\u-
daismo n dall'ellenismo e neppure da un magismo popolare. La sua ori-
gine ..nu ssere ravvisata soltanto nel Ges storico. Secondo la lettera
delle parole di benedizione egli identifica concretament~__i doni convi-
viali offerti con la sua persona che si sacrifica. I logia quindi non vanno
concepiti metaforicamente, ma letteralmente e realisticamente. Egli si
d ai suoi come cibo da mangiare. La cena di Ges quindi un testa-
mento e un'autocomunicazione nella forma degli alimenti conviviali.
25 Cf. P. BENOIT, op. cii., p. 189. Benoit spiega esegeticamente la presenza Sen-
sibile e cfisica dcl Signore (188-197).
26 Al riguardo cf. J. BBTZ, op. cit., 1/1, 27-35; 11/1, 142; 219 s.
FONDAMl!NYO BIBUCO-TEOLOGICO
sentenza semplice del tipo di Le. 9.44 Ges fa anche degli accenni
alla sua futura glorificazione, ad esempio nel logion originario del
segno di Giona (Le. n,32),11 in quello della ricostruzione de]t tem-
pio distrutto (Mc. 14,59 con ]o. 2,19), nell'affermazione davanti al
sinedrio, secondo la quale egli siede~ alla destra della Potenza
(Mc. 14,61 s.). t-kll'a cena Ges annuncia che berr di nuovo il
vino nella basilia e conde.isa la sua convinzione e la sua certezza
del valore e della vittoria della sua morte, come pure del significato
salvifico dell'a sua persona, in un segno, che non -solo allude a ue-
sta reat, ma anc e a con tene come ono e strumento salvezza.
La presenza real~ comprensibile soltanto come evento escatologico.
In maniera inaudita, nella sua eucarestia, <;ies cglloca la sa per-
sona al centro deMa salvezza, e la d come dono salvifico sotto la
figura di un alimento. Quest'idea per non entra improvvisamente e
non. sta priva di relazioni all'interno del suo messaggio globale, ma
.Wuttosto ]a sacramentalizzazione, la condensazione e la radicaliz-
zazione del suo diritto aH'exousia avanzato anche altre volte. Certa-
mente fUiOVo il rivestimento conviviale che qui assume. Ma la pre-
tesa di essere il salvatore assoluto pervade l'intera sua predicazione.
Egli infatti .gi ritiene l'ultimo e definitivo araldo della basili"'i; della
a. L'et pi antica
nel convito,29 anzi negli stessi alimenti del convito. In questo senso
orientano. l'interpret~iop.e il grido di giubilo Hosanna 30 rivolto al
Messia, aggiunto in Did. lo,6, e l'a~tlchisslmo ..attrffiuto pneumati-
co che le professioni di fede applicano al cibo e alla bevanda cul-
tuali (r Cor. 10,3 s.; Did. 10,3). L'eucarestia quindi, ~ Risor-
f
to (Rom. l,4; r Cor. 1.5.45; 2 Cor. 3,17), appartiene alla sfera pneu-
matica, alla sfera della resurrezione. In questa sfera, secondo r Cor.
15,44, c' .AnCOr~}Ji awa:, ma non pi in <n!anto terrestre ('fvi~lt6v)
bensl in guanto m1Euarnc6v. Esso non pi~ottgposto alle leggi
spazi0:-temporalh__ma aperto alle possibilit di Dio, comunicabile a
tutti (cfr. Jo. 6,62; 7,39; 16,7). ------
Le pi antiche concezioni eucaristiche vengono in luce anche .nel-
le preghiere conviviali di Dl. 9-10. Se anche nella forma attuale i
ve~2 ss.; 10,2-5 sono dei testi che trattano deJil'agape, in origi-
ne essi dOVeVSOO eS-Sere .CUCarlstici:~I Quando ringraziano per la Vi-
ta, la ~noscenza e l'lmmortaiit(9,3; 10,2) essi non alludono a dei
beni salvifici di tipo ellenistico, bensl ai doni_.e_aradisiaci di Gn. 2,9
e 3,22, cui accenna anche Apoc. 2,7; 22,2.14.19. Coiiformemente al
famoso schema tempo delle origini e tempo finale, la piet tardo-giu-
daica sj 3ttend~..!!.~!l''~~~--~!~JQl9-gk.i:>...JL.riqnovamento dei doni del
paradiso. in questo senso che qui viene intesa l'eucarestia. Essa
quindi, gi nei tempi pi antichi, si presenta ovunque come un'en-
tit con un nuovo essere pneumatico, e di conseguenza viene intesa
realisticamente.
b. Paolo
29 C.OSl anche O. CutLMANN, Die Christologie des NT, Tiibingen 21958, 218 (trad.
it. Cristologia del NT, Il Mulino, Bologna); B. SANDVIK, op. cit., pp. 13-36.
30 B. SANDVIIC, op. dt., 37-40.
31 I testi della Did. 9,1-10,5, nella loro forma attuale, riflettono un'agape, cui
in 10,6 viene associata un'eucarestia sacramentale; cosi con la maggior parte degli
interpreti anche J.P. AUOET, op. cii., 410 ss., 423. Ma i testi hanno conservato
anche il patrimonio eucaristico di un corrispondente uso pi antico. Pi dettaglia-
tamente in J. BETz, 'Die Eucharistie in der Didach', in: ALW 11 (1969) lo-39.
32 Della bibliografia citiamo H. v. SonEN, 'Sakrament und Ethik bei Paulus', in:
Vrchristentum und Geschichle 11 Tiibingen 1951, 239-275; G. BoRNKAMM, 'Her-
FONDAMENTO BTIILICC>-TEOLOGICO
renmahl und Kirche bei Paulus', in: Studien zu Antike und Christentum Il, Miin
chen 21963, r38176; E. KAsEMANN, 'Anliegen und Elgenart der paul. AbendmahJ.s..
lchrc', in: Exeget. Verruche und Besinnun11,en 1, Tiibingen l96o, n-34; P. NEUEN
ZBIT, Das He"enmahl. Studien zur paul. Eucharistieau/Jassung, Miinchen 196o;
J.J. MEUZEU.AR, Der Leib des Messias ( ...in den Paulusbriefen), Assen 1961; L.
0EQUEKER - W. ZumEMA., 'L'eucarestia secondo son Paolo', in: Concilium ro/!968,
ed. it., 1641-16,1; J. BETZ, op. cit., u/1, 102-129; H. ScHLIER, Das Ende der Zeit,
Freiburg 1971, 201-215 (trad. it. La fine del tempo, Paideia, Brescia).
33 Cosl anche S. AALEN, 'Das Abendmahl als Opfermahl m NT', in: Novum
Test. 6 (1963) u8-152, qui 130-143.
EUCARESTIA
pensare proprio a un tale giudizio (II ,30 ss.), in cui si riflette il ca-
rattere di cibo paradisiaco proprio del banchetto del Signore. L'euca-
restia per ovunque un unico pane, con il quale il Kyrios compagi-
na, in senso reale-sacramentale, i molti nel suo corpo ecclesiale ( 10,
17), naturalmente non in maniera magica; infatti il sacramento non
esclude, bensl include la fede e l'ethos ( 10,1-II; u,27-34).
c. Giovanni
la manna narrato in Ex. 16. Perci gi nella prima parte del discor-
so (6,26-51) stanno sullo sfondo un mangiare reale 1m0 ch, in ma-
niera pi attenuata, un bere reale, cio il bere che ha per oggetto re
acque di Ex. 17 (6,35; cf. 4;4; 7 38), per cui il riferimento al con-
1
-
Ges (d. l,14), come conferma la coruinuazione mediante il prono-
me personale me nel v . .57 Il termine riprende le affermazioni
di katabasis del discorso metaforico. Inoltre la denominazione del-
)' eucarestia quale carne, in particolare del Figlio dell'Uomo (v. 53),
37 R. BuLTMANN, Das Ev. des Johannes, Gi:ittingen r963, p. 162, e al suo se-
guito G. Bornkamm, H. Koster, E. Schult7., E. Lohse considerano i versetti eucari-
stici 6,,rc-63 come aggiunta di un redattore ecclesiastico. Contro questa tesi si ~
levato E. RucKSTUHL, Die lilerarische Einhet des Jobannesevangelium, Freiburg
19,1, pp. 220 ss.
EUCJIRESTIA
-
bile. L'offerta riconoscente colloca 1 ne a s era i Dio, come
fa anche la parola di ringraziamento, in quanto proclama su di essi
e in essi l'azione sal'vifica. Cosl questi doni vengono interiormente
specificati dall'azione di Dio commemorata, ne divengono l'oggetti-
vazione e assumono il nome di eucarestia. In questo modo allora
vieRe ia lslf: 110 altro aspetto del ringraziamento: la funzione con-
sacratoria. Sintomatico al riguardo altresl l'uso transitivo del ver-
bo. Nelfa conoezione paleocristiana del banchetto del Signore in
4 Cosl la Lettera di Barnaba ."3; G1uS'I'INO, Dial. rr7 ,3: Corp. Apol. n, 4r8;
CLEMENTE AL., Strom. VII 79,2: GCS m 56,17; G10VANNI Cais., In Mt. hom. 23,
3: PG '7 ,331: I misteri tremendi vengono detti eucarestia, perch sono la me-
moria di molti benefici.
s In Ps. 34,rB: Sf 93, 188, 14 s.
6 De spec. leg. 1 19s; 224; 297; 298; De vict. 4; 9. Cf. De plant. 130 s.
1 Dial. II7,2: COl'p. Apol. II 418.
B Adv. baer. IV 18,6: Ss. Chr. 100, 612.
STORIA DEI DOGMI 261
11 O. CASEJ., 'Die Eucharistielehre des hl. Justinus Mairtyr', in: Der Katholik 1
94 (I914) 153 ss.; Otilio del N. Jesus in Rev. Esp. de Teol. 4 (I944) 3-58.
12 Dial. 41,1: Corp. Apol. I 138; 70: Corp. Apol. I 2;4.
13 Dia/. 70: Corp. Apol. I 254.
14 Apol. 1 66. Corp. Apol. r 180/2.
15 Per l'esegesi dei testi cf. J. BETZ, op. cit., 1/1, pp. 268 ss.; O. PERLER, 'Lo-
gos und Eucharisrie nach Juninus I. Apol. c. 66', in: DTh 18 (1940) 296-316.
16 Al riguardo cf. il recente J.P. DE JoNG, 'Der urspriingliche Sinn von Epiklese
und Mischungsritus nach der Eucharistielehre des hl. lreniius', in: ALW 9 (1965)
28-47.
17 Adv. haer. V 2,3: Ss Chr. 153, 36; d. anche IV 18,5: Ss Cbr. 100, 6u s.
STOllIA DEI DOGMI
sti, per porre una pietra miliare e annunciare la resurrezione, egli prese
il pane, ringrazi e disse: Prendete e mangiate! Questo il mio corpo
che stato spezzato per voi. Lo stesso fece con il calice dicendo: Questo
il mio sangue, che viene versato per voi. Ogniqualvolta fate questo, fa-
telo in mia memoria.
Memori della sua morte e resurrezione noi quindi ti offriamo il pane e
il calice ringraziandoti di averci trovati degni di stare al tuo cospetto e
di seryirti. Ti preghiamo: manda il tuo santo Spirito su~uesto offerta
d~hiesa. Raccogliendola nell'unit d a tutti i santi,e se ne ciba-
no, la pienezza dello Spirito santo che ne fortifichi la fede nella verit,
affinch6 ti celebriamo e lodiamo mediante il tuo servo Ges Cristo, per
mezzo del quale salgono a te l'onore e la gloria, a te, Padre, e al Figlio
insieme allo Spirito santo nella tua Chiesa santa, ora e nell'eternit.
Amen.
Abbiamo qui un'opera classica, insuperabile. Particolare importanza per
noi ha il passo che riflette seguendo il racconto dell'istituzione e che espri-
me la convinzione dogmatica degli anni intorno al 200. Esso tiene presen-
te l'intero evento e, nel memores, mette in risalto quale sua prima ca-
rat.~ristica l'anamnesis, che per non viene fatta soltanto a questo pun-
to, ma gi nella precedente proclamazione dell'opera salvifica di Dio in
Cristo. La memoria comunque ha Juggo alla maniera di un'offerta cultua-
le: memores offerimus. Neppure l'offerta avviene soltanto qui; l'intero
svolgimento dell'eucarestia ha un carattere offertoriale. Cosl la celebra-
zione avv~nuta allo stesso modo della memoria, pure essa sacrificale,
dell'opera salvifica di Ges. Que~.Ja..~egazione della messa data
nella Chiesa dei primi tempi Infine, nell'epiclesi _si prende coscienza di
un'altra caratteristica fondamentale dell'intero e.Y&nto. II punto culmi-
nante del suo significato non sta tanto nella consacrazione quanto piutto-
sto in una omnnjone feconda. che ha luogo nell'orizzonte ecclesiale. Que-
ste intuizioni di fondo circa il carattere dell'euca~tia quale anamnesis,
prosohora. epic/esis, ricompaiono nelle altre liturgie (posteriori). L'epicle-
si ass.umc. sempre dj pi la forma di un'epiclesi consacratoria. In Egitto
viene posta prima del racconto dell'istituzione.
lS Cf. EusEBIO, Comm. in Ps. 77,25: PG 23,920; De ecci. theol. 1 20,34 s.:
GCS IV 86,31-87,1; ATANASIO, Epist_ fesi. 7; LA11:sow, 101.
36 ATANASIO, Epirtula ad Maximum phil.: PG 26, 1088 C; cf. anche Ps. Cu-
SOS'l'OMO, Hom. de pascha 2,18: Ss Cbr. 36,91.
37 Ps.-ATANASIO, probabilmente MARCELLO DI ANCIRA, De incarna/ione et con
tra Arianos 16: PG 26, 1012: dl Pneuma comunicatore di vita la carne del Si-
gnore, poich essa origina dal Pneuma vivificante. Tutto ci che origina dal Pneu-
ma pneuma. CIRILLO AL., In ]o. (6,64) comm. 4,3: PG 73, 604.
38 A. STRUCKMANN, Die Eucharistielehre des hl. Cyrill von Alexandrkn, Pa-
derborn 1910.
l9 In ]o. comm. 4,2: PG 73,y76, ecc.
40 Quod unus sit Christus: PG 71,1360.
41 x1dt' V1;6Cl"f0tcnv : Contra Nest. 1 prooem.: ACO 1 1,6 pp. 15,37.
42 In ]o. (6,54) comm. 4,2: PG 73,576, .580 CD.
268 EUCl'.RESTlh
Non sacrifichiamo anche noi tutti i giorni? Certo, anche noi sacrifichia-
mo (quotiClianamente\ ma celebrando la memoria della sua morte; ma
questo un sacrificio solo, non molti. Come uno e non molti? Perch
egli -stato-offerta__$.Qlt.!!Jito una ~a. co;;quer sacrdic10 offerto nel
Santp_ dei santi. Questo un tipo di quello, e parimenti il nostro un
tipo di quelo. Noi _infat_ti ~~ia~() sempre lo __~!_esso J_<;~sto},3on oggi
questo e .c!Pm.ani quell'agnello, ma sempre lo stesso. Si tratta quinli di
un unico sacrificio (")fferla):-Ts~~~.. allo~;-m~Tt Cristo perch in mol-
ti luoghi si fa l'offerta? Affatto. Piuttosto si deve dire che si tratta sem-
pre dell'unico Cristo, qui e l nella sua totalit, un unico corpo. Ora
come l'Offerto in molti luoghi un corpo (soltanto) e non molti corpi,
cosl si ha anche un unico sacrificio (l)va"ltx =
azione sacrificale). Il no-
stro Smmo Sacerdote colui che ha offerto il sacrificio {della croce)
che ci purifica. Noi offriamo anche ora ci che stato offerto un tempo
ed inesauribile. E il sacrificio presente vien fatto in memoria di quello
compiuto un tempo. Egli infatti dice: Fate questo in mia memoria! Al-
lora fu offerto nientemeno che il Sommo Sacerdote, e noi in tutti i
tempi continuiamo ad offrire la stessa cosa, o meglio: compiamo una
memoria del sacrificio.,,
50 In Hebr. hom. r7,3: PG 63.131; per l'esegesi cf. J. BETZ, op. cit., 1/1, p. r9r.
51 In Hebr. 8,4-5: PG 82,736.
Sl! Altre testimonianze sono riportate pi sotto a pp. 344 s.
!B Su ci cf. F.J. REINE, The Eucharistic Doctrine and Liturgy of the Mystagogicat
Catecheses of Theodore of Mopsuestia, Washington 1942; J. QuASTEN, 'The Litur-
gical Mysticism of Theodore of Mopsuestia', in: Theolog. Studies 15 (1954) 431-439.
54 Cat. r5,20: ST 145. 497; 16,n: ST 145, 551.
~ Cat. r5,10: ST r45, 475; I2 ST 145, 479; 16,rr ST 145, 551.
STORIA DEI DOGMI 271
SII ADAMANZIO, De recta in Deum fide: GCS 184,14; EFREM, Adv. baer. 47,8;
BKV 61 [RilcKER] 166; GIOVANNI CRis., In 1 Cor. hom. 24,,: PG 61~204.
~ Molti documenti sono raccolti in In :r Cor. bom. 24: PG 61,200-20,.
sa Frammento su Mt. 26,26: TU 61,133 s.
59 Cat. 15,26: ST 14,,50,17.
60 Cat. 1,,10: ST 14,,47.:1; 12: ST l45A79; x6,u: ST l45,.:i.:i1.
61 De fide 19,2. Cf. anche E. BscK, 'Die Eucharistie bei Ephriim', in: Oriens
Christ. 38 (1954) 41-67.
t12 In :r Cor. II,28: PG 82,317.
l Cf. i documenti citati pi sotto a p. 360. La recezione della comunione viene
vista come un incontro con Cristo, cosl CIRILLO DI GBRUS., Cat. myst. ,,21: SChr
126,170; TEODORO Dr MoPs., Cat. 16,28: ST 14,s79; EFREM, In diem nat. iDom.:
BKV [ZINGERLE] 42. Nel complesso concorda anche l'affermazione di Giovanni Cri
sostomo, secondo cui Cristo giacerebbe ucciso sull'altare; cosl in De sacerd. 3A:
PG 48,642 ecc.; cf. anche C11t1LLO DI GERUS., Cat. myst. 5,10: SChr 126,160.
EUCARES1'1A
con quello reale viene fissata dal pensiero mediante l'idea di trasfor-
mazione. I doni del banchetto non sono pi delle semplici cose na-
turali, ma sono riempiti e trasformati dallo Spirito santo. Infatti la
trasfor~ione avviene in quanto lo Spirito santo - secondo Gre-
gorio di Nissa lo stesso Logos - tocca, prende, trasforma gli ele-
men. li rende corpo e sangue di Ges. I termini usati per connota-
re fa trasformazione, E'tcit~ciMw, ET111tOLE~v ecc. 64 e simili, espri-
mono un riordjnamepto per Qllanto concerne il eossesso, la funzione
e la potenza. Il concetto di trasformazione, esattamente come l'es-
senza viene assunto in maniera prevalentemente dinamico-funzionale
e non -~cora portato fino all'ultima profondit ontol~gica. "La tra-
sformazione e l'essenza del:l'eucarestia non sono accessibili ai sensi, ma
soltanto conoscibili da parte del pensiero che credei secondo Giovan-
ni Crisostomo esse sono essenzialmente 'llOT}'t6v.65 Questa caratteriz-
zazione per non intende esprimere una spiritualizzazione e una ridu-
zione del sacramento, bensl garantirne il nascosto plusvalore sopran-
naturale, cui allude anche l'attributo eucaristico tremendo ( q>pLX'toc;,
q>O~Epoc;).
68 Secondo NESTORJO, Liber Heracl. 1/1,58: DRIVER-HODGSON, 55, nel pane noi
vediamo il corpo, poich Cristo lo ha preso come suo pr6sopon (modo di manife-
starsi).
'fl De duobur Naturis in Chnsto tr. 111: THIEL, 541.
' In Fozio: PG rn3,980.
11 Adv. Nestorianos 53: PG 86,1728.
12 Tract. de trinitate et incarnat.: CSCO 2/27,roo.
7J Li ber Ileraclidis I I ,38 s., 4r: DRIVER-HODGSON 29,30,32 s.
EUCARESTIA
2 74
5. I padri latini
80 PG 94,II37.
81 In ultima analisi l'eucarestia il nostro Signore Ges Cristo, che disceso dal
ciclo,.: PG 94,1I37.
ai De imaginibus 3,26: PC 94,I348.
8J Adv. Mare. I,r4: CC I'455
84 De cor. mil. 3: CC 2,ro43.
EUCAJIESTIA
stica neMa presenza reale. Cosi dichiara che il pane posto sull'altare
e il contenuto del calice, santificati dalla parola di Dio, sono il cor-
po e il san~~-~- tisto. 117 La carne, nella quale cam~?..V..ll._i_fri
sto ce l'ha do~ata-~ cibo; ch1Ta-mangia, prima l'adora. 11~ Cristo
stesse) -ql1al1do--~lTc-eva 'Questo il mio corpo' teneva indubbiamente
neMe sue mani il proprio corpo.119 Nella cena egli sacerdote e
vittima. 120 Qllestorealismo 121-pr subisce una notevole sospensio-
ne e un indebolimento l dove il teologo Agostino interpreta il mi-
st~_::f ~ignific~~-che egli - il che nella luce della fede uniVer-
sale d~N~-Chiesa ancora possibile - spesso ribadisca. la distinzio-
ne modale tra corpo sacramentale e corpo nat~ral~--di. G~ii-; 22 ma
non l~-Ioro' id:Cntit. Per lui intatti la--cena-' primariamente ed es-
5~;;~~1!1~~~ setmo. La chiama signum, 1 il.-fi,~ra, 124 --Siiiiilitudo 125
del corpo e del sangue; nello stesso senso comprende anche il ter-
mine sacramentum. 126 H segno _!'.!Q~.!. alla vi~J?lle..,elatoni~...e
Ag~sti_.t:iC>.h11_della realt vera e propria (res ), come la cosa concreta
rimanda all'idea, tuttavia rimane sostanzialmente al di ~-~ sua
profondit ontologica. L'identit di nome tra segno e siwim~to
non.sffonda sull'identit (della natura), ma soltanto sulla somiglian-
za (similitudo), cosicch secundum quendam modum il sacramento
'-----~---- __ _____
del c~l-po-d.icristo corpo ai cristo e. H sacramento -
..._,, .....
del sangue di
1941). Cf. ancora P.G. MEuss, Die Abc-ndmahlehre Berengars (Diss. datti!.), Tiibin-
gen 19.u; P. ENGELS, 'De Eucharisticleer van Bcrcngarius v. T.', in: Tiidschr. v.
Tbeol. ' (196,:i) 363-392.
STORIA DEI DOGMI
suo genere letterario, deve essere vista come una con/essio (non come un
trattato), come una affermazione clw i oppo e ioteozjona1mente alla ne-
0
lfJ!I K.-H. KAmlLER, Die Abendmahlrlchre der Kardinalr Humbert und ibre Be
deutung fur dar gegenwiirtige Abendmah/rgerpriicb (Diss. datti!. Leipzig x966, pp.
n-92; L. HoDL, 'Die confessio Berengarii von to59', in: Scholastik 37 (.1962)
370-394.
no De sacramento corporir et sanguinir Chrirti: PL 150, 430 C.
m De corporir et sanguinis Christi veritate: PL 149,1444 B, 1450 B, 1481 B. Su
cib cf. P. HAUGNESSY, The Eucharirtic Doctrine of Guitmund of Aversa, Roma 1939
288 EUCAl\ESTIA
--
continu a portare avanti la riflessione. I primi scolastici - ad ec-
cezione di Gilberto di Poitiers _____- .. ...nella
,_, __ __
,.. ....... ________
, .,
174 Maggiori dettagli in F. HoLBOC:K, Der eucarisl1sche und mystische Leib Cbristi,
Roma 1941; H. DE LU11AC, Corpus mysticum, Paris 2 19'9 (!rad. it. Gribaudi, To-
rino).
17$ Summa Sent. 6,3: PL 176,140; PIETRO LoMBARDO, IV Sent. d. 8 c. 7: Qua-
racchi, 791 s. Ugo di S. Vittore ha i tre momenti species (segno) - veritas (realt) -
virtus (potenza). Su Ugo cf. H.R. SCHLETTF., 'Die Eucharistielebre Hugos von St.
Viktor', in: ZKTh 81 (19,9) 67-100; I63-210, qui 168.
176 Su quanto segue d. H. ]ORISSEN, Die Entfaltung der Tronssubstantiationslehre
bis tum Beginn der Hochscholastik, Miinster 196,.
EUCARESTIA
171 Su Pietro Cantore d. H. JoRISSE.N, op. cit., 87-cn. Altri aderenti sono Inno-
cenzo m (PL 217,86o ss.), la Ps.-Glossa di Poitiers, Pietro di Poitiers (PL 2u,1246),
Simone di Toumai, Radu1fo Ardente, Magister Maninus, la Summa Breves su"t dies
hominis (H. JoRISSl!N, op. di., 95-114), inoltre Roberto Courson (H. }ORISSEN, op.
cit., 117-120). Anche Rolando di Cremona limita la transustanziazione alla substa,,lia-
materia, ma considera la forma gi in un senso progredito come fondamento onto-
logico (e non come semplice somma) delle propriet (H. Jo11rssEN, op. cit., 123-13,).
178 ALANO, De fide cath. l,,s: PL 210,360 C; Regulae theol. 107: PL 210,678
BC. Cf. H. JmussBN, op. cit., 75-87. Ad Alano si riallacciano Stefano Langton, Gof-
fredo di Poitiers, Guido di Orchelles, Guglielmo di Am:erre (H. JoRISSl!N, op. cii.,
137-142) e i grandi scolastici.
STORIA DEI DOGMI
184 C.Osl Ugo di Langres, Giovanni Fecamp, Bruno di Asti; Ildeberto di Tours e
Stefano di Autun vedono il momento della conversione nella levtJJio, cf. I.R. GEI
SELMANN, Abendmahlslehre, cit., 119 s.
115 Ivo di Ow:tres, Summa Sententiarum, 111 scuola di Anselmo di Laon, Senten-
tiae Divinitatis; cf. J.R. GEISELMANN, Ahendmabl:rlebre, cit., 121 ss.
116 La teoria, secondo cui la mescolanza di un elemento consacrato con un altro
non consacrato ne produrrebbe la conversione, compare nella Missa Praesanctificatr>-
rum {venerdl santo) e si trova in Amalaro di Me12, nello Ps.-Alcuino, in Berndldo
di Costanza, Ruperto di Deutz e in alcuni glossatori dcl Decretum Gratiani, come
Stefano di Tournai, Giovanni Faventin, Rufino; su ci cf. J.R. GEISELMANN, Aben-
dmahlslebre, cit., 15:u.
117 JR. GEISELMANN, Abendmahlslehre, cit., 131.
188 J.R. GEISELMANN, Abendmahlslehre, cit., 255.
189 N Sent. d. 11 cl. 2: Quaracchi, 802 s.
294 EUCARESTIA.
a. Una prima teoria afferma che le sostanze del pane e del vino it!_l!aeia-
Cef!lem materiam re solvi (I bid. c~--2)~ 5r iffsofvereobero-iiegt-
elementi
fonlamentali;T'quali -p-;i - ed cosl che si deve completare questa teo-
ria - con.fluirebbero nel corpo di Cristo, ne acquisterebbero la forma.
La materia quindi ci che rimane in comune tra il Qunto di partenza e
quello..~ Ll""'consacrazioiieon-srst:e'I1ef 1~tto--che la materia fonda-
mentale ,.tb.e...rimaw:_omune acqi,U~ta una nuova forma. Questa <Heoria
della trasformazione nella prima s~;tic8 vi~~-'WStenuta soltanto da
Guglielmo di Thierry (f II49), che paragona la trasformazione del pane
nel corpo di Cristo con la sorte di ~n~-~C:Jl!,,~i vino gettata ~c:[oceano,
che viene .!~~bita (PL 180, 350 s.). Soltanto d...QP_Q_TQ!!!.~2.- Questa so-
luzione riesce a fare scuola.
b. Una~~~~;;;-~~ delle sostanze del pane e del vino sostenu-
ta dall.a._t,~.!i! della consStaiiilaZr0ne. Essa professa un '1mpanai0ne del
Log~oo.iii~T-~~i~-~-Cf,f sa!?~ue~~~~~-~~~le_ sostanze per-
manenti degli elementi. Questa sOfuzione furante ra prima sCOlastica vie-
ne difesa soltanto da autori anonimi (d. PL 149, 1430.1492) e da
nessun autore famoso; 190 alcuni la tollerano. i pi la respingono, cosl Pie-
tro Lombardo, Ugo di S. Vittore (De Sacr. II 8,9), Pietro di Capua; i
grandi scolastici (Guglielmo di Auxerre, Alessandro di Hales) la respin-
gono decisamente. Alberto-Magno-e--'BOiiiiVemITTa-Ta ritengono-7c)ntraria
ali~ rhze.~gn~ mentre per Tommaso (S. Th. m, q. 75, a. 2) e Riccardo
di Med.iaWJa eretica:Nonfiffieil in seguito riesce ad avere nuovo im-
pulso. Infatti per.Giovanni Duns Scoto 191 .e:1sa non contro la Scrittura,
bensl, tenendo conto dell'onnipotenza divi~:6.1;soficailleirt--so5telble,
dev~-~.!?--~~~re .t.~e_~t~.. <:~_!!le _n!_J_n, __ r~11k. in . ~!!~- a_~~ __~~io~!_della!
l Chiesa_guida,~~Q.illo_P.!~~~~U-3!!!2.: Cosl pens.s:.t!!.!!!19 ~!!C:!i.~LI1omi!1filisti.I I
e, In opposizione a questa teoria altri scolastici spiegano la transustan-
ziazion~Jllf~.!!land~.~he. ~e -~()St~~Z.~.~~g!!_. ~le~!1!i ~~C>.~~~9~1.....vengono
annientate, sostituite dlla sostanza del corpo e del sangue di Ges. Que-
sta teoria della annichilazione trova nel scc. xn e agli inizi del sec. XIII
una considerevole risonanza, 192 anche se in verit le si oppone presto una
violenta resistenza,193 destinata a crescere dopo il i200. I grandi scola-
190 Essa viene attribuita agli almariciani, come accusa contro Ruperto di Dcu1z;
quest'accusa viene respinta da G. Gerberon (PL 167,23r94) e ai nostri giorni da
R. Haacke in RThAM 32 (1965) 20-42.
l91 In W Sent. d. rr q. 3 n. 9.14.15: V1vts 17,357, 375 s.
l9J Secondo Jorissen (op. cit., pp. 26-55) si devono citare i seguenti nomi: (pro
babilmente Pietro Abelardo), Rolando Bandinelli, Magister Udo, la Glossa ordinaria
al Decretum Gratiani, Uguccione, la scuola di Pietro Cantore, Roberto Courson,
Goffredo di Poitiers, la raccolta erlanghiana di Quaestiones (Cod. lat, 260), Gu-
gliebno di Auvergne (nella forma della teoria della successione) e Rolando di
Cremona.
iro L'annichilazione respinta da quasi tutti gli autori che sostengono la con-
STORIA DEI DOGMI
versione positiva della sostanza; d. i loro nomi alla nota 198; soltanto Innocenzo
m e la Summa Ne transgrediaris rinunciano ad una condanna esplicita.
194 Alberto Magno ritiene che la teoria dell'annichilazione sia la spiegazione pi
vera, ma non la segue, perch respinta dai sancti (In IV Sent. d. I I a. 7: BoR-
GNET 29,285. Pi tardi, nel De corpore Domini d. 3 tr. JII c. I,8: BoaGNET 38,312,
Ia respinger decisamente.
195 Ox. 1v d. II q. 4 n. 15: V1vF.s 17,376; un po' diversllJilente E. IsERLOH,
Gnade und Eucbaristie in der philosopbischen Theologie des Wilbelm von Ockbam,
Wiesbaden 1956, J62.
196 In N Sent. q. 6 L.
197 Canoni:r Mi:rsae Expositio, lect. 41 s. 9&/d; similmente In N Sent. d. u
q. l a. 3 dub. 6 N, cit. in R DAMERAU, Die Abendmablslehre des Nominalismus
inbesondere des Gabriel Biel, Giessen 1965, 210.
EUCAltESnA
1'8 In Jorissen (op. cit., 2'64) emergono i seguenti nomi: Roberto di Melun, la
Ps.-Glossa di Poitiers, la Glossa di Bamberga (Cod. Patr. 128) e di Monaco (Clm
22 288), Simone di Toumai, Radulfo Ardente, Magister Martinus, Innocenzo III
(Lotario di Segni), la Summa Ne transgrediars di Gerardo di Novara, Stefano
Langton, Guido di Orchelles, Guglielmo di Auxerre, Ugo di S. Caro, Erberto di
Auxerre, Giovanni di Treviso, la sintesi delle Sentenze Fila mag;stri, il com
mento delle Sentenze Par. Nat. lat. 3032, Riccardo Fishacre, Alessandro di Hales,
Riccardo di Melitona, Lectura super quartum Sententiarum, Alberto Magno nella
sua opera tardiva De corpore Domini, Tommaso, Bonaventura.
STOlllA DEl DOGMI 297
1'.19 Jorissen (op. cit., u-24) come testimoni evidenti di questa concezione men-
ziona Alano di Lilla, Baldovino cli Ford, la Summa de poenitent1a iniungenda, co-
me testimoni meno chiari menziona Stefano di Tournai, Pietro Mangiatore, Prepo-
sitino, la Summa contra haereticos, Garnerio di Rochcfort. Per Tommaso d. S. Th.
III, q. n. a. 2c e Script. super N Sent. d. 10 d. 8 q. 2 a. 1; per Bonaventura,
cf. In N Seni. d. n p. Ia e q. 1s. 1: Quaracchi IV, 24ra; (d. H. JoRISSBN,
op. cii., 50 ss.).
200 Cf. il testo della sua Summa (Miinchcn CLm 14508) in H. JoRISSEN, op. cit.,
24.
EUCARESTIA
210 UGO, De Sacr. n 8,r4: PL 1761 472 AB; INNOCENZO, De sacri altllf'is myste-
rio 6,12: PL 217, 913 B.
211 De corp. Dom. d. 6 tr. n 4,4: BoRGNET 38, 408. Sull'oblatio cf. la sintesi di
A. KoLPING, op. cii., pp. 265 ss.
112 In N Sent. d. 13 F a 23: BoRGNBT 29, 37r.
213 De corp. Dom. d. 6 tr. u 44: BoRGNET 38, 408.
300 EUCARESTIA
iDI In W Sent. q. 4L ad ' (secondo E. lsERLOH, op. cit., 195 s.); cf. G. BUESCHER,
op. cit., 67 ss., 143.
221 EGrnro, Theoremata de corp. Chrirti, Theor. 6, Venezia 1502, f. 9xvb; testi
in K. Pr.oTNIK, Hervaeus Natalis, cit., 2r.
212 Cf. R. DAMERAU, op. cit., 183; E. ISF.RLOH, op. cii., 190 ss. Il significato di
questa idea esposto troppo brevemente da lserloh. Se vedo bene, in essa si
hanno le radici del calcolo infinitesimale, che verr poi sviluppato da Nicol Cu-
sano, Newton e Leibniz.
STORIA DEI DOGMI
rDJ Quodl. IX q. 9 (ed. Paris 1518) f. 37ov, cit. da K. PWJ:NIK, Hervaeur Na-
talis, cit., 33.
2M Theoremata de corp. Chrirti, Prop. 26-34; testi documentati in K. PLOTNIK,
Hervaeus- Natalis, cit. '-7 ss.
225 Quodl. IX q. 2,11; testi in K. PLOTNrK, Hervaeus Natali!, cit., 38.
l3lll ltr IV Seni. d. Il q. 2, testi in K. PLOTNIK, Hervaeus Natalis, cit., 53-57.
Durando ha un precursore nell'anonimo discepolo di Giacomo di Metz, nell'auto-
re del Ms. Vat. lat. U'J., e un compagno nell'anonimo commentatore della scuola
di Giacomo di Metz, nell'autore del Ms. Vat. lat. 985.
f1fll Testi della Determinatio in K. Pwl'Nnc:, Hervaeus Natalir, 57-59.
228 In IV Sent. d. II q. 3 n. 9.13-15: VIVS 17, 357, 372-375.
EUCAltl!STlA
253 Vermabnung zum Sakrament des Leibes und Blutes Christi (r530): WA 30/
II, 614.
254 Le principali testimonianze sull'eucarestia sono la Confessio Fidei de Eucha
ristia (r537): OS 1,435 = CR 37,7u; Petit Traict de la Saincte Cene (1541):
CR. .33.42~460; Institutio christiana IV, 17: OS 5,342-417 = CR 30,1002-1051;
Presa di posizione contro gli artt. 5-9 della Sorbona (1544): CR 35,14 s.
Per la bibliografia, oltre a H. Guss, Die Abendmah/slehre, cit., d. W.M. Nrn-
Sl!L, Calvins Lehre vom Abendmahl, Miinchen 21935; In., Die Theologie Calvins,
Miinchen 21957, 210-225; H. GoLLWITZER, Coena Domini, Mtinchen 1937; H. CHA
VANNl!S, 'La prsence relle che2 st. Thomas et che2 Calvin', in: Verbum Caro 13
(1959) 151-170; W.F. DANKBAAR, Johannes Calvin, Neukirchen 1959, rn ss.; H.
]ANSSEN, 'Die Abendmahlslehre Johannes Calvins', in: TH. SARTORY (a cura), Die
EuchtZTistie im Verstndnis der Konfessionen, Reck\inghausen 1961, 204-220; M.
THURIAN, Eucharistie, Mainz 1963, 254-255; P. ]ACOBS, 'Pneumatische Rcalpriisenz
bei Calvin', in: Rev. d'Hist. et de Phil. rei. 44 (1964) 389-401; K. Mc. DONNELL,
John Calvin, the Church and the Eucharist, Princeton N.J. 1967; J. GoTTSCHALK,
Vie Gegenwart Christi im Abendmahl, Essen i966, 48-64.
255 Com. Tig., art. 17: CR 35,740.
256 Inst. IV, 17,n: OS 5,354 = CR 30,roro.
257 Cons. Tig., art. 21: CR. 35,74r.
2511 lnst. IV, 17,22: OS ;1,372 s. = CR 30,1021.
259 Ihid.; parimenti Cons. Tig., art. 22: CR 35 ,741 s.
2l!ll Tnst. IV, 17,29: OS 5,384-387 = CR 30,ro28-1030.
STORIA DEI DOGMI
'J6I Vom dem heiligsten Opfer der Messe ( 1'25 ). Su ci cf. E. KoMPOSCH, Die
Messe als Opfer der Kirche. Die Lehre Kaspar Schatzgeyers (Diss. datti!.). Miin-
chen 1962.
:111'111 Opuscola omnia, Lyon 1538, pp. 341 s. Cf. W. BAUM, The Teaching of the
1'71 Su ci cf. H. ]EDIN, Krisis und Abschluss des Trienter Kom:ils IJ62/63,
Freiburg 1964, 43 s.
m H. JEDIN, op. cit., 46ss.; E. lsl!JU.OH, 'Das tridentinischc Messopfcrdekret in
seinen Bcziehungen zu der Kontroverstheologie seiner Zeit', in: Il ConciliG di
Trento e la Riforma tridentina, Roma 1965, 401-439.
STOJllA DBI DOGMI
dono sia il canone che la forma della messa propria della chiesa
cattolica (c. 6, 7, 9 ).
tamento. Il carattere sacrificale della messa egli lo vedeva nel fatto che
questa, in virt della duplice consacrazione e della separazione del corpo
dal sangue di Ges, uruL_~resentazione commemorativa dell'unico
r~e sacrificio cruento. La semplice riproouzlofieru"Uii evfitO sacr.11.cale
non . senZiJlt~ questo un sacrificio. Perci altri teologi continua-
rono a cercare dei tra a1Iliente saCrihcali nella messa. Nella presenza
distinta del corpo e del sangue di Ges Suarez ve eva non soltanto un
simbolismo ma anche un evento sacrificale a livello sacramentale. Ma si
cercava soprattutto una distruzione, sia delle specie eucaristiche che dello
stesso Cristo eucaristico. Su~- vide nella cessazione delle sostanze
natiirali dqli elemen$i, Cana nella fw:iQne dell'ostia; De Lugo e, pi
tardi, Franzelin la videro nel fatto che Cristo~ uniformi all'umile stato
ll di cibo {status declivio:];nii.uncianao alle funzioni sensibili, momento
che in seguito verr illustrato anche da A. de Cienfuegos; Bellarmino, in-
fine, v ione del sacramento al momento del-
{, la comunione. Alla duplice consacrazione con la sua ten a separatrice
il Lessio attribuisce -una forza tale cl).~~ vi verborum e i~ produr-
rebbe la reale uccisione di Ges, se questa non fosse per accidens impe-
dita daII'Iiipassibilit del cristo glortoso. Non Sl pot quiiiar fare molto
con il realismo della concezione sacrificale n si prest sufficiente atten-
zione all'autocomprensione della liturgia.
Pi che alla distruzione Suarez m conferisce valore all'oblazione dei doni.
Egli getta cosl il_.EQnte verso la teoria dell'oblazione, de ravVlsi:'essen-
za del sacrificio _non nClla "diSiruZTiie;-iiialiCWOfferta della vittima. Su
questa linea si muovono j maestri deII':E'.Coie franaise {come p:-'de Brul-
le, Oliere Lebrun), che vedono la messa comepartecipazione all'oblazione
di Gew al Padre suo. Il testimone classico di questa.. teoria V. Ihalbo-
.~ Egli predica con grande calore un sacrificio celeste di Cristo, che
continua il suo atto sacrificale della croceeche-nella messa asSuiiie forma
spazio-temporale, in quanto Cs;istq__Q._ella consacrazione compie lo stesso
atto sacrl!icale __g>mpiutc.u!!Lt:~mi?o sulla :rosi.icti'e-or.!..f.2!DPe J..'Llielo.
Si parla sempre di pi di un. vero sacrilicio celeste di Cristo e Io si costi-
tuisce anello di congiunzione tra il s~~~TfiClQ--;lella croce e quello della
messa. Alcuni seguaci di questa teoria ammettono per ~ messa un vero
e att~~~-~acrilicale ~~-,2~.Lr!fil!?. ..fil()r,,j,s.ato, rom-sePunico
sacrificio di Ges non fosse valido una volta per tutte. Secondo M. de la
Taille poi il sacrificio redentivo di Ges costituito del suo esplicito atto
di oblazi~ nella cena e dell'immolazione cruenta sul Golgotha. Nell'eu-
carestia la Chiesa continua l'oblazione della cena, Offre aI Paare il Cristo
reso presente dalra transustaoz1azi,pne.m Nel complesso i teologi conside-
rano sempre pi la duplice consacrazione come una uccisione -mistica,
cio sacramentale, di Cristo (;on L. Billot) e insieme co~ la sua offerta
al Padre.
All'atteggiamento dogmatico fondamentale in quei secoli corrisponde an-
che la prassi eucaristica. Anche in essa la presenza reale se ne sta in pri-
mo piano dominante e isolata. La piet orientata all'adorazione del Si-
gnore presente, essenzialmente un culto di adorazione; il tabernacolo ac-
quista una posizione dominante nell'architettura e nel culto. La comu-
nione, soprattutto nel giansenismo si fece rara e veniva ricevuta fuori del-
la messa. Nella polemica antiri:formatoria quest'ultima veniva vista sol-
tanto come l'opera del sacerdote consacrante. Che anche i fedeli concor-
rano al sacrificio in virt del sacerdozio universale, un concetto che
scompare dalla coscienza. -
219 'Mysteriengegenwart', in: JLW 8 (1929) 145; d. anche O. CASEL, Das chri
stlicbe Kultmy:rterium, Regensburg 41960, 79. Per la bibliografia di e su Case! cf.
O.D. S.urrAGADA, in: ALW x/r (1967) 7-77.
STORIA lll!I DOGMI
280 'Le mystre eucharistique dans les perspective de la Bible', in: NRTb 77 (1955)
561-580; Io., 'Prsence eucharistique et transsubstantiation', in: IrniJwn 33 (1959)
139-164.
231 Su ci cf. E. ScHILLEBEECKX, LA presenza eucaristica, Roma 1968; J. PoWERS,
Die Euchariie in neuer Sicht, Freiburg 1968 {trad. it. Teologia eucaristica, Que-
niana, Brescia).
EUCARESTIA
212 F. Selvaggi scrisse due articoli sul problema della sostanza nell'eucarestia in
Gregorianum 30 (1949) 745 e 37 (r956) r6-33. Lo seguono R. Masi, M. Cuervo, J.
C. Tomer. Sulla discussione d. C. Vou.r.RT, 'The Eucharist: Controversy in Trans-
substantiation', in: Theol. Studies 22 (1961) 391-425.
283 J. TERNUS, 'Dogmatische Physik in dcr Lehre vom Altarsakramenti>', in: StdZ
82 (1937) 220-230; C. COLOMBO, 'Teologia, filosofia e fisica nella dottrina della tran-
sustanziazione', in: LA Scuola cattolica 83 (19.:;5) 89-124.
lB4 Ceci est mon corps, Neuchatel-Paris 1955, spec. 31.
285 Oltre a J. de Baciocchi si devono ricordare anche A. VANNESTE (secondo J.
PoWERS, op. cit., x25 s.) e E. ScHJLLEBEECKX.
S1"0RIA DEI DOGMI
290 Essa viene sostenuta anche da R. SoNNEN, 'Neubesinnung auf die Eucharistie
a1s Sakrament', in: Kat. Blattl!t' 90 (l965) 490-501, qui p. 491. Pet J- PoWERS, op.
dt., 189, la sostanza connota il significato e gli effetti di un ente.
29 1 Cosl P. Sc::HOONENBERG in Concilium 4/1967, ed. it., 97-1n.
292. Die eucharistische Gegenwart, 84-rn7.
STORIA DEI DOGMI J2 I
RIFLESSIONE SISTEMATICA
a. Scrittura
b. Tradizione
La Chiesa antica sviluppa la fede nella presenza attuale eucaristica
cli Ges s.otto. -ch!~-E~<;>~: in lui essa vede il larg!!9r~--~}~ond.atore
del suo convito __S@CJ@l,_~tii.!~. e AL so~mo sacerdote del suo sacri-
ficio. 6 Per la prima idea essa trovava una prova scritturale in Prov.
9,1-5.1 Anche Ireneo fa testimonia quando dichiara che Ges pro-
clam il calice suo sangue, con il quale i.Debrier il nostro sangue, e
assicur che il pane il suo corpo, con i l quale fortilica i nostri
corpi.8 La presenza attuale diventer poi una delle idee predilette
degli alessandrini. In quanto per essi il vero contenuto dei doni con-
viviili il LOgos, quale loro largitore non pu entrare in questione
che quest'ultimo. Clemente entusiasta lo annuncia come il nostro
nutritore, che ci presenta la sua carne e il suo sangue, se stesso,
comenutrimento-adeguato e come bevand~-di immortalit.9 Secondo
Origene Ges esercita sempre la sua attivit come all'ultima cena,
quindi anche -per-coloro Che la celebrano att;;almente~ 10 Con partico-
lare calore, Teofilo di Alessandria espone la nostra idea: Cristo og-
gi ci ospita, oggi Cristo ci serve, Cristo, l'amico degli uomini, ci
offre il riposo ... Jl re della gloria si lascia pregare, il Figlio di Dio
d rj.cevimento 1 il Dio-Logos divenuto carne ci incoraggia ad an-
darvi.11 Energicamente come nessun altro, Gi~vanni Ctrsostomo ad
Antiochia ribadisce la presenza attuale di Cristo nella cena, che per
lui diventa l'incontro personale del cristiano con il Cristo quale
imbanditore del convito. n banchetto eucaristico ha lo stesso valore
del convito di istituzione compiuto un tempo da Ges, infatti nei
due casi lo stesso Ges consacra e porge la stessa vittima, appagan-
do cosl il mutuo desiderio. 13 Citiamo ancora un testo: Cristo
presen.t~_fill.fh~-~~a_:__ Q?h11_h~_~a volta servi a tavola, vi serve an-
che_ora. Non_~__}nfatti un uom~- a_~:.~lclie--i-oflerte divengano il
corpo e il sangue di Ges, ma lo stesso Crist~ crocifisso per noi.
--------------------..:--------
6 Per le testimonianze preefesine dei padri greci cl. J. BETZ, Eucharistie, cit., r/r,
86-139.
7 I testimoni sono ad es. Cipriano, Atanasio, Diimo, Teofilo e Cirillo di Ales-
sandria (PG 73,588), Basilio, Macario di Magnesia.
8 Adv. haer. V 2,2: S. Cbr. 1,53, 32.
9 Paed. I 6A2,3: GCS I II5,20-24; Potrept. xn 120,3; GCS I 85,4 s.
IO In Mt. comm. ser. 86: GCS xr 198,22 ss. Altrove (GCS XI 99,17-21) Origene
afferma: Ma colui che prende il calice e dice: 'Bevetene tutti', non si allontana da
noi quando beviamo, ma beve anche lui con noi (in quanto presente nel singolo);
noi cio non possiamo mangiare di quel pane e bere del frutto della vera vite da
soli e senza di lui.
n Ps ...C1RILLO, Hom. zo in coen. myst: PG 77,1017 A.
12 a. tra l'altro In Mt. hom. 50,3: PG 58,507; In Mt. hom 82,5: PG 58,744;
In 2 Tim. bom. 2.4; PG 62,6I2. Altri testi in J. BETz, Eucharistie, cit., 1/1, pp. 102 ss.
RIFLESSIONE SISTEMATICA 333
c. Magi5tero
Per realizzare un'opera cosl grande, Cristo sempre presente nella sua
Chiesa.~. gi__~odo .fil?.C.-tle nelle. azioni li!:EF..s_i~e. presente nel sacri
fido della messa -~!u:!ella persona..dtl_f!linistro - ~~Offerti5SfUiia
volta sulla croce, offre ancora se stessc:i per il ministero dei sacerdoti' -
sia soprattutto sott_J~_ speJ~.~ca~!~~~~J?.r~~!!~..fQl!J~ -~'!a virt
nei sacramenti, di modo che quando uno battezza Cristo stesso Che Diit-
tezza. prelifJ!!~_riellit~~la, giacch lui che parla quando nella
Chiesa si legge la sacra Scrittura. presente infine quando la Chiesa pre-
ga e loda, lui che ha promesso: 'Dove sono due o tre riuniti nel mio no-
'mezzoa
mc,--i--sono:- in loro'.
In quest'opera cosl grande, con la quale viene resa a Dio una gloria per-
fetta e gli _QQl)lUP .,,~IJ.EQQQ__S_!!!!_!!!_c~fi!.!Q_~~~9_~ _sempre a s la Chie-
sa, sua sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per"mezzo Cli1ui
rende il culto all'eterno Padre.
Giustamente perci la liturgia ritenuta come l'eS<;Idzio del sacerdozio
di Gc:s Cristo; in essa, per mezzo di segni senSibili, vTeiie-s1g.ificat e,
in modo -~a essi proprio, realizzata la santificazione dell'uomo, e viene
esercitato dal corpo mistico di Ges Cristo, cio dal capo e dalle sue
membra, il culto pubblico integrale.
Perci ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e
del suo corpo, che la Chiesa, azione sacra per eccellenza, e nessun'altra
azione dalla Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia la
efficacia.
d. Illustrazioni sistematiche
D La citata lettera dei vescovi tedeschi giustifica l'ordine soprattutto affermando che
la presid~!_ .~e!!~ -~a costituisce il vertice della missione del ministro promanante
da CiiStO che l'attualfazwoiie algesff-dclta cena- 1a rappre-senrazile pi fiiiensa
Qltristo (n. 47). Se l'ordinazione nelle Chiese della Riforma adempia le condizioni
dellSccessione apostolica, prootema-nonanora rTsOli. Cf:~ 'Zur
Disktis~ionunfCfiC-Bcdl!tlt'llng-cles ~-dm-VoH~iijf"der Eucharistie', in: Catho-
lica 26 (l972) 86-107; J. HAMER, 'Die ekklesiologische Terminologie des Vaticanums
11 und die protestantischen .11.mter', ibid., r46-r53; W. AVERBECK, 'Gegenseitige Aner-
kennung des Amtes?', ibid., 172-191; W. BEINERT, 'Amt und Eucharistiegemeinschaft',
ibid., 154-171.
RIFLESSIONE SISTEMATICA
3.39
24 Civ. Dei xo,6: CSEL 40/I,454: Verum sacrificium est ornne opus, quod agitur,
ut sancta socictate inhaereamus Deo.
25 Cf. sopra pp. 259 s.
340 EUCARESTIA
35 Ep. 63,17: CSEL 3,714: ... pass1oms eius mentionem in sacrificiis omnibus
facimus, passio est enim Domini sacrificium quod offerimus.
36 Cf. J. BETz, Eucharistie, cit., 1/r, 217-242; cf. anche GAUDENZIO DI BRESCIA,
Tr. pasch., 2,u: vinum ... in figura psssionis offertur.
37 Civ. Dei 10,20: CSEL 40/1,480 s.
38 Cool TERTULLIANO, De pud. 9: CC 2,1298: Cristo viene nuovamente ucciso e
in quel convito sieder nuovamente a tavola. METODIO DI OLIMPO, Symp. 3,8: GCS
35,21 s.: Il Logos scende anche ora in mezzo a noi e si spoglia di s nella memo-
ria della sua passione ... Cristo si spoglia, si umilia e muore. TEOFILO DI ALESSAN-
DRIA, Hom. de coena myst.: PG 77,roq: Il Figlio viene sacrificato volontaria-
mente, oggi non dagli avversari di Dio, ma da se ~tesso, per manifestare la sua pas-
sione salvatrice,.. TEODORO DI MoPs., Cat. 15,20; ST 145,497: Cristo, che in cielo,
che per noi morto, risorto e salito in cielo, anche ora viene sacrificato attraverso
i simboli. Se nella fede consideriamo con i nostri occhi le azioni commemorative che
ora vengono svolte, giungiamo a vedere che egli ancora una volta muore, risorge e
sale in cielo, cose che egli un tempo ha fatto in nostro favore. AoosTINO, Ep. 98:
CSEL 34,5 30 s. Cristo non stato sacrificato una volta nella sua persona, e non
viene tuttavia sacrificato per il popolo nel sacramento ad ogni festa pasquale, anzi
ogni giorno?. GREGORIO MAGNO, Dial. 4,58: PL 77,425 CD: Colui che vive im-
mortale e incorruttibile, in questo mistero della sacra oblazione viene nuovamente
ucciso. Nella liturgia romana delle feste principali (Natale, Epifania, Ascensione,
Pentecoste) si incontra un caratteristico badie.
39 Cf. CrPRIANO, Ep. 63,17: CSEL 3,714: la passione di Cristo il sacrificio che
noi offriamo. Ps.-CrRILLO DI G1rnus., Cat. myst., 5,10: SChr. I26,r5): Noi sacri-
fichiamo il Cristo ucciso per noi.
RIFLESSIONE SISTEMATICI\
34.5
nel quale afferma che anche ora noi offriamo il sacrificio del grande
sacerdote offerto una volta, ... nessun altro, ma sempre il medesimo,
perch noi compiamo una memoria di quel sacrificio.40
Anche il medioevo vive della fede che nella messa partecipiamo attiva-
mente alla vita e alla passione di Cristo. Tale fede trova fin da Amalaro
di Metz un'espressione decisamente storicizzante nella spiegazione allego-
rica della messa, che non altro che il rivestimento condizionato dal tem-
po della giusta idea dogmatica fondamentale della presenza attuale comme-
morativa. Che non si tratti di una ripetizione (reiteratio) della passione
di Cristo, lo precisa il Decretum Gratiani.41 Nella sua forma vera la pre-
senza attuale commemorativa compare nei grandi maestri dell'alta scola-
stica. Per Alberto Magno l'eucarestia memorile amarinimae pasrionir
Christi et transitus Christi ex hoc mundo ad Patrem, 42 nonch spiritualis
mactatio e immolatio. 43 Chiarissimamente si esprime Tommaso. Per lui il
sacrificio nella Chiesa non niente altro che il sacrificio di Cristo, la
sua commemoratio. 44 Nei molti particolari rituali, specialmente nei segni
di croce, egli vede delle allusioni allegorizzanti alla passione.45 Ma gli rie-
sce di radicare anticamente la morte di Ges nella consacrazione, in quan-
to presentifcazione, vi verborum, separata del corpo e del sangue.46