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MYSTERIUM SALUTJS

Nuovo corso di dogmatica


come teologia della storia della salvezza

a cura di
J. FEINER e M. LOHRER

edizione italiana a cura di


DINO PEZZETTA

QUERINIANA - BRESCIA
L;EVENTO SALVIFICO
NELLA COMUNITA DI GES CRISTO

con la collaborazione di

JOHANNES BETZ BERNARD DUPUY


JOSEF DUS S-VON WERDT PETER HUIZING
MAX KELLER OSKAR KOHLER
REN LAURENTIN RAPHAEL SCHULTE
ALOIS STENZEL DIETRICH WIEDERKEHR
FRIEDRICH WULF

parte Il

QUERINIANA - BRESCIA
Titolo originale dell'opera:
MYSTiERIUM SALUTIS
Grundriss heilsgeschichtlicher Dogmatik
Benziger Verlag Einsiedeln 1967

1973 by Benziger Verlag Einsiedeln


1975 by Editrice Queriniana Brescia

Con approvazione ecclesiastica


SOMMARIO

7 Collaboratori

9 Prefazione

11 Componenti parziali dell'istituzione 'Chiesa'


Il servizio divino celebrato dalla comunit cultuale e liturgica adunata in
Cristo (Alois Stenzel) - I singoli sacramenti come articolazione del sacra
mento radicale (Raphael Schulte) - L'ordinamento della Chiesa (Peter
Huizing).

229 L'eucarestia come mistero centrale (Johannes Betz)


Fondamento biblico-teologico - La storia dei dogmi - Riflessione sistematica.

389 Forme di esistenza e ministeri ecclesiali


Maria come prototipo e modello della Chiesa (Ren Laurentin) - La Oesa
come luogo di una multiforme esistenza cristiana (Dietrich Wiederkehr) -
Teologia del laicato (Max Keller) - Teologia del matrimonio. Il carattere sa
cramentale del matrimonio (Joscf Duss-von Werdt) - Feoomenologia teolo-
gica della vita religiosa (Friedrich Wulf) - Teologia dei ministeri ecclesia-
stici (Bernard D. Dupuy).

651 La Chiesa come storia (Oskar Kohler)


Il 'tempo' storico-salvifico della Chiesa - Il problema della 'teologia sto-
rica' - La storia della storiografia ecclesiastica come storia dell'autocompren-
sione della Chiesa - Epoche e 'strutture cronologiche' della storia della Chie-
sa - Sull'impossibilit di esporre la storia ecclesiastica come storia della
salvezza,
COLLABORATORI

]OHANNES BE1'Z
Nato nel 1914, dr. teol., docente di dogmatica alla F~co!t teologica
dell'Universit di Wi.irzburg.
BERNARD D. DUPUY, o. p.
Nato nel 192,5, dr. teol., direttore del centro di studi ecumenici Istina,
docente di teologia all'Istituto cattolico di Parigi e alla Facolt teo
logica Le Saulchoir .
.TosEF Duss-voN WERDT
Nato nel r932, dr. fil., dr. teol., direttore dell'Istituto per le scienze
matrimoniali e familiari.
PETER HUIZING s. j.
Nato nel 1911, dr. dir. can., dr. dir. civ., lic. fl., lic. teol., docente di
diritto canonico alla Facolt teologica dell'Universit di Nimega.
MAX KELLER
Nato nel I 939, dr. fil., preside degli studi della Paulus-Akademie.
OsKAR KouLnR
Nato nel 1909, dr. fil., docente di storia universale all'Universit di
Friburgo.
REN}: LAURENTIN
Nato nel r9r7, docente di dogmatica alla Facolt teologica dell'Univer
sit di Angers.
RAPllAEL Sc11uL TE o. s. b.
Nato nel 1925, dr. teol., docente di dogmatica alla Facolt teologica
dell'Universit di Vienna.
Auns STENZEL s. j.
Nato nel 1917, dr. teol., docente di dogmatica e liturgia al Sankt
Georgen, Scuola superiore di filosofia e teologia, Facolt teologica S. J.,
Frankfurt a. Main.

DmTRICll WrnDERKEHR o. f.
Cap. m.
Nato nel 1933, dr. teol., docente di dogmatica alla Facolt teologica
dell'Universit di Friburgo.
FRIEDRICH WuLF s. j.
Nato nel 1908, dr. tL redattore capo della rivista Geist und Leben.

Traduttore:
GIOVANNI POLETii
PREFAZIONE

In formato pi ampio di quello progettato e-con un po' di ritardo,


vede ora la luce la 2a e 3 parte del vot IV del Mysterium Salutis il
quale, assieme ai capitoli di ecclesiologia tuttora mancanti, contie-
ne anche la dottrina concernente l'azione di grazia svolta da Dio.
Sulla sua struttura, sulla sua connessione con l'ecclesiologia e sul
suo inserimento nel quadro generale dell'opera, parleremo nell'intro-
duzione alla parte 3 del vol. IV. n folto numero di collaboratori
chiamati a stilare queste due parti del volume ha aggravato non
poco il lavoro redazionale, tanto pi che la consegna dei singoli con-
tributi per vari motivi ha continuato a ritardare. Per fortuna, potr
essere di consolazione al lettore non meno che ai curatori dell'edizio-
ne il sapere che si profila ormai all'ori2zonte la fine dell'intera ope-
ra, giacch il vol. v dovr apparire come un tomo unico.
Una introduzione ai capitoli seguenti sull'ecclesiologia sarebbe su-
perflua, perch le necessarie avvertenze teoriche e pratiche sono gi
state date nella prefazione al volume IV/ r. Con un certo diritto, si
potrebbe chiedersi criticamente se, nell'ambito del Mysterium Sa-
lutis l'ecclesiologia non occupi troppo posto. Una sintesi riassuntiva
di questo o quel contributo sarebbe stata indubbiamente auspicabi-
le. Nei limiti del possibile, abbiamo anche stringato qualcuno fra i
manoscritti. Ma per valutare nella maniera pi giusta la realt dei
fatti, bisogna tener presente soprattutto quanto segue: l'ampliamen-
to dell'ecclesiologia dipende specialmente dal fatto che una conside-
revole parte della dottrina sui sacramenti, un tempo sviluppata in
un diffuso trattato a s stante, andava necessariamente integrata. E
vi si giunti anche perch svariati problemi, sinora quasi nemmeno
sfiorati dalla riflessione ecclesiologica (p. es. la presentazione della
Chiesa come sede d'una poliedrica esistenza cristiana, nonch il ca-
pitolo sulla Chiesa vista come vicenda storica), andavano pure tassa-
tivamente daborati. L'intensificato sforzo proteso a sviluppare i va-
ri temi ecclesiologic poi senz'altro anche un riflesso della ternati-
IO PREFAZIONE

ca su cui s' appuntata l'attenzione del Vaticano II. Pu benissimo


darsi, per altro, che in seguito la teologia metta di nuovo l'accento
su altri punti. Una dogmatica storico-salvifica deve in ogni caso co-
noscere bene il proprio valore e il proprio inquadramento storico.
Pu infatti accettare pacificamente 1'a propria relativit storica, pren-
dendosi la libert di affrontare e sviluppare quelle questioni che og-
gi si pongono urgentemente sul tappeto, o quanto meno che non
si debbono passar sotto silenzio, qualora si vogliano sviscerare pro-
blemi in apparenza ancora pi urgenti. La ricezione teologica criti-
ca del Vaticano II deve comunque farsi sentire con sempre maggio-
re ampiezza nel campo dell'ecclesiofogia.
Cogliamo l'occasione per ringraziare il Dott. P. Odo Lang e il
P. Lucio Simonet di Einsiedeln, per l'aiuto prestatoci nel correggere
le bozze di stampa e nel compilare l'indice analitico dei nomi di
persona.

Zilrich, 1 novembre 197 3

GLI EDITORI
CAPITOLO SESTO

COMPONENTI PARZIALI DELVISTITUZIONE 'CHIESA'

Nd cap. IV del volume precedente abbiamo cercato di concepire la


Chiesa come sacramento di salvezza. Nel corso di quelle riflessioni,
si trattava anche e soprattutto di appigliarsi alla categoria del sacra-
mentale, per mettere a fuoco il lato istituzionale visibil'e della Chie-
sa nel rapporto significativo che esso ha con la sua realt interiore
permeata dalla grazia. Ora, la visione sacramentale della Chiesa l
da noi sviluppata si d per presupposta, mentre ci accingiamo a par-
lare dei precipui momenti parziali dell'istituzione 'Chiesa', del culto
divino celebrato dalla comunit adunata in Ges Cristo, dei sacra-
menti considerati come articolazioni dell'unico sacramento radicale
costituito dalla Chiesa stessa, e dell'assetto della Chiesa. La concen-
trazione di questi tre momenti parziali in un unico capitolo non si-
gnifica affatto che essi vadano coHocati sullo stesso identico piano.
Concordano per in una cosa: verranno capiti esattamente nella loro
realt concreta, nella loro importanza e nella loro relativit, soltan-
to quando si cerchi di comprenderli in derivazione dalla stessa natu-
ra sacramentale deHa Chiesa. La visione sacramentale generica non
esclude che nelle sezioni seguenti le singole componenti parziali del-
l'istituzione Chiesa vengano presentate in tutta la loro peculiare
importanza. Che il culto divino e i sacramenti trovino il loro bravo
posto neli'ecclesiologia in genere e nel presente capitolo in parti-
colare, dovrebbe risultare evidente da s. Ci sembrato per quanto
mai utile affrontare nell'attuale contesto anche il problema dell'or-
dinamento della Chiesa e del diritto canonico. In effetti, proprio
quando ci si propone di superare una fatale giuridizzazione della
Chiesa, non si pu espungere da}l'ecclesiologia il problema teologi-
camente legittimo dell'assetto che la Chiesa deve assumere. Un rior-
dinamento del diritto canonico, poi, non andr a vuoto, unicamente
qualora nell'ecclesiologia si ponderino adeguatamente le premesse
teologiche necessarie ad un riassetto della Chiesa.
SEZIONE PRIMA

IL SERVIZIO DIVINO
CELEBRATO DALLA COMUNITA CULTUALE E LITURGICA
ADUNATA IN CRISTO

Annotazioni preliminari

Il tenore del titolo premesso alla presente sezione va ulteriormente spie-


gato. Nel capitolo che ci accingiamo a svolgere, si tratta di considerare
l'istituzione Chiesa analizzandone gli aspetti parziali. Occorre quindi
presentare qui la comunit radunata in Cristo a celebrare il culto divino
come entit fondamentale, atta a far sl che i fedeli esprimano nella loro
vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della
vera Chiesa.1 Bisogner poi additare al contempo il posto assunto dalla
comunit cultuale neo-testamentaria nel quadro della storia salvifica, la
sua costituzione intrinseca e le sue strutture, precisando pure la colloca-
zione ecclesiale del servizio divino.
Esula ovviamente dai limiti di queste nostre considerazioni il compito di
elencare, descrivere e valutare le singole estrinsecazioni di culto divino,
alle quali per altro ci richiameremo ogniqualvolta risulter utile e indi-
spensabile riagganciarsi per spiegare meglio il nostro vero assunto.
Per la verit, diamo forse l'impressione di aver usato un po' disinvolta-
mente e con leggerezza i termini presentati nel titolo. Si parla infatti di
comunit radunata a celebrare il servizio divino, di comunit cul-
tuale, e infine ci siamo premurati di aggiungervi ancora una citazione
tratta dalla costituzione sulla sacra liturgia.
Non si vorr certo intaccare il termine servizio o culto divino, che
il concetto pi vasto e flessibile. Si ammetter che alla liturgia non si
pu rinunciare, se e perch nella comunit dello Spirito effuso e nella li-
bert escatologica da questi accordata deve pur esistere un tipo di servi-
zio divino non livellabile al mero piano dell'esistenza cristiana. Un ser-
vizio divino che non soltanto deve attuarsi in maniera ben ordinata (co-
si come essa rimonta in sostanza all'istituzione del fondatore, per cui
sociologicamente irrinunciabile, e quindi ben difficilmente potr sottrarsi
ad ulteriori determinazioni positive), ma inoltre andr attuato mediante

I VATICANO n, Sacrosanctum Conciliunz (d'ora in poi SC), art. 2.


ANNOTAZIONI PRELIMINARI
13

dei segni che sono destinati a presagire gli ultimi tempi, non ancora
manifesti ma pur tuttavia gi realmente sorti all'orizzonte.
Ma il culto? Non occorre certo avere gli orecchi troppo pieni di cristia-
nesimo areligioso, di secolarizzazione, di mondo profanizzat0>> e via
dicendo, per poter nutrire l'opinione che il concetto di culto - sia
pure con le aggiunte di <muovo o cristiano - non risulti sufficiente-
mente adattabile al risvolto decisivo del servizio divino celebrato dalla
comunit escatologica. In effetti, se il termine culto viene preso soltan-
to nel suo valore per qualcosa pi d'un vuoto guscio lessicale, slavato e
quindi divenuto p-'!ricoloso, riconoscendo che esso include (in senso pa-
gano, ma anche in senso vetero-testamentario) un luogo sacro, una perso-
na sacra, un rito sacro, bisogna risolutamente affermare che Cristo fine
della legge ha posto un termine anche ad esso. Ne segue logicamente
che, quando si usa ancora una terminologia cultuale, bisogna sempre
badare attentamente alla sostanza da essa designata. In altre parole, se
d'ora in avanti risulta proibito usarla con la solita disinvoltura, resta ov-
viamente da chiedrrsi perch mai debba ancora venir usata.
Qui la risposta non pu evidentemente anticipare le considerazioni che
ci accingiamo a fare. Ne diamo quindi per ora soltanto una giustificazione
sommaria. Decisivo qui il fatto che si sappia cogliere con lo sguardo, in
tutta la sua interezza, il servizio divino celebrato dalla comunit adunata
in Cristo solo incastonato nella prospettiva della storia della salvezza.
Ora assodato che Israele aveva il suo bravo culto inteso nel senso usua-
le del termine, ed era senz'altro una comunit cultuale. Per cui, se il nuo-
vo popolo di Dio non pu essere inteso altro che in derivazione da que-
sto popolo antico, bisogna necessariamente ammettere che la comunit
cultuale d'Israele ..:ostituisce il punto zero senza il quale non pu sussistere
alcun utile sistema di coordinate, e che occorre quindi tentar di definire la
comunit cultuale di Ges Cristo in rclazioae ad esso. Se non si ha gi
in partenza la fiducia che una antichissima 1radizione di linguaggio teolo-
gico sia in grado di garantire che lo slittamento dal popolo di Dio dell' An-
tica Alleanza porti di sana pianta alla comunit salvifica escatologica, oc-
corre ovviamente accertarsene. La terminologia cultuale usata dalla Scrit-
tura, infatti, non rigida. Gi l'AT include con tutta naturalezza l'os-
servanza dei comandamenti nei suoi discorsi sul culto. E se poi nel NT
l'amor fraterno e l'apostolato possono venir espressi accentuatamente in
termini cultuali, vuol dire che l'ampiamento del servizio divino all'intera
vita viene confermato come contesto estensivo reale. Sicch, quantunque
entri in gioco sempre un'applicazione largheggiante della terminologia
cultuale, oltre ad ammettere la gi dimostrata sostenibilit del suo uso,
bisogna insistere nel ricercarne la funzione positiva. A questo proposito,
basta un accenno: il poter conservare il termine culto, come fattore
intermedio fra il servizio divino verbalmente non dissociabile in ma-
IL SERVIZIO DIVINO

niera adeguata dall'esistenza msuana e la liturgia assai restrittiva nel


suo campo, opportuno non soltanto perch si parla mantenendosi sem-
pre su quello stesso piano in cui il NT discorre del sacerdozio di Cristo e
della comunit, ma anche per un altro motivo . .E infatti verissimo che il
sacerdozio universale dei fedeli da un lato non costituisce soltanto una
faccenda meramente interiore e sentimentale, bensl un autentico sacer-
dozio effettivo sia per istituzione sia per estrinsecazione, ma dall'altro
non nemmeno limitato dalle innumerevoli restrizioni che fissano come
entro una staccionata l'area dell'azione liturgica vera e propria. Il desi-
gnare in questo senso la comunit neo-testamentaria col nome di popolo
cultuale sembra passabile e ha la sua brava tradizione alle spalle.

I. La comunit cultuale dell'Antica Alleanza

Il trattare di queste cose riveste sl un indispensabile valore utilita-


ristico, ma solo utilitaristico, rispetto al nostro assunto. La limita-
zione che cos poniamo, ci permette due cose nell'esposizione. In-
nanzitutto non abbiamo bisogno di addentrarci a spiegare il culto
inteso genericamente in senso storico-religioso; 2 in effetti, ci che
in materia di tali categorie fondamentali rispecchia il culto d'Israele,
determinante. In secondo luogo, risulta superflua l'enucleazione d;
linee genetiche; 3 qui e adesso ci basta la Antica Alleanza con le
sue istituzioni, sul cui sfondo p. es. la lettera agli Ebrei fa risaltare
la novit e il carattere definitivo della comunit di salvezza esca-
tologica.
Si pu quindi dare per presupposto che ogni culto (e pcrtan,tc.
anche quello d'Israele) risponda all'esperienza del divino, csternan-

2 Cf. l'art. Culto (E. LENGELING) e la relativa bibliografia in: D:if n, 203-231.
3 Si pu tralasciare in questa sede di esaminare come, sulla via verso il pmo
monoteismo, anche il culto dovesse venir deputato, e altresl come il pericolo
d'una baalizznzione da parte della religione cimanea avesse provocato ricadute e
apostasie, rendendo necessarie di tanto in tanto delle riforme dcl culto. Nel nostro
caso di scarso interesse sapete se i passi di Ex. 25 e Num. IO vadano fani da
tate cosl addietro, da far si che uno speciale sacerdozio rimonti con sicnrczza a
Mos; se i sacerdoti avessero inizialmente a che fare, come loro compito spcci!co,
con l'interrogazione di Dio e con l'emissione di oracoli; se e come, e quanto a
lungo, l'offerta di sacrifici sia stata riservata al sacerdozio pre-gcrarchico dcl re (che
nelle religioni vetero-orientali occupa sempre il posto centrnle, incarnando l'ele-
mento da cui tenuto assieme il mondo), o rispcttivaml!nte al patriarca, al capo-
trib, ccc.
<:OMUNIT CULTUAl.E !IELL'ANTICA ALLEANZA 15

dosi nella preghiera, negli inni e nei canti, nel sacrificio. Il suo
scopo una presa di contatto, un incontro, un interscambio con la
divinit, al fine di ottenere una mediazione e un'aggiudicazione della
salvezza. A sua volta, la divinit deve mostrarsi munifica, con la
sua presenza e la sua azione salvatrice (le pratiche magiche non so-
no in contrasto con queste idee e con questi sforzi, ma anzi li at-
testano e li confermano, sia pure in maniera distorta). Sebbene la
istiruzione risulti verificabile nella maniera pl spiccata e genuina
in connessione con fa religione rivelata e le sue istituzioni, la realt
si aderge dietro tutti i luoghi, i tempi, i riti e i personaggi sacri: 4
sempre Dio che pone le condizioni per auto-rivelarsi, che apre la
via per ascoltarlo, che definisce e delimita l'abilitazione al culto,
creando cosl la propria comunit cultuale. Al pari di quanto avviene
in tutti gli altri culti, anche per il culto d'Israele valgono le cate-
gorie di puro (impuro), di sacrale (profano). Esse si traducono poi
in benedizione (bestemmia), in vita (morte), in prossimit (lonta-
nanza), vengono evocate efficacemente per autorizzazione di Dio nel-
la celebrazione cultuale, arrivando cos a creare per il culto un po-
deroso insediamento nella vita. 5

4 Cose tutte che ha anche Israele. Tanto per citare alcuni possibili malintesi e
demolirli in partenza, diciamo subito che tali esteriorit>> non dicono assoluta-
mente nulla contro l'interiorit dell'azione cultuale (l'unico uomo corporeo-spiri,
tuale non viene disintegrato), esattamente come la lapidaria declassazione fatta da
Hebr. 9,13 s. - purit delln carne purit della coscienza - non dice proprio nulla
contro la grazia presente (la svalutazione ~purit meramente cerimoniale, leviti-
ca qualifica l'Al\eanza come Alleanza della Legge, che in quanto tale non pu
dare alcuna grazia).
s In un'epoca come la nostra, caratterizzata gi da una spassionata desacralizza-
zione, da una ad.dirittura dolorosa consapevolezza che bisogna render presente Dio
in questo mondo mediante la fede, la speranza e la carit (e non in primo luogo
mediante l'istituzione), quanto mai necessario non lasciarsi offuscare lo sguardo
in modo da poter cogliere due dati di fatto: innanzitutto che l'estraniamento, la
rifrazione, la stilizzazione ec:c. sono veicoli quasi insostituibili della trascendenza e
al contempo ingredienti d'ogni azione cultuale umana (perch anche nella religio-
ne rivelata, pur essendo la condiscendenza di Dio e la visita da lui fatta all'uomo
le parole d'ordine decisive, In trascendenza e la re-ligio non si possono affatto ne-
gare); e in secondo luogo che il culto cosi inteso - azione umana compiuta in
questo mondo, eppure non di questo mondo - pu elevare la creatura al punto
da darle via libera verso il mondo.
16 IL SERVIZIO DIVINO

a. Israele il popolo detto di Jahw

Ecco il Credo primitivo d'Israele: Un Arameo errante era mio pa-


dre; egli scese in Egitto e vi dimor come straniero con poca gente,
e l divent una nazione grande, potente e numerosa. Allora gli egi-
ziani ci maltrattarono, ci oppressero e c'imposero un duro servaggio.
Ma noi gridammo al Signore Iddio dei nostri padri, ed egli udl la
nostra voce, riguard alla nostra miseria, ai nostri travagli e alla
nostra oppressione, e il Signore ci trasse dall'Egitto con mano po-
tente e con braccio disteso, con grandi terrori, con miracoli e con
prodigi. Egli ci ha condotti in questo luogo e ci ha dato questo pae-
se, terra dove scorre il latte e il miele (Dt. 26,5b-9; cfr. 6,20-25;
Jos. 24,2b-13). Jahw il creatore e il conservatore di tutto; Jahw
il Signore dei tanti popoli, il Signore della loro storia, che poi
la storia della salvezza. Ma ecco ora l'idea che Israele si fa di Dio e
di se stesso: Oggi hai impegnato il Signore ad esserti Dio ... , e il
Signore ha impegnato te oggi ad essergli un popolo speciale (Dt.
26,17 s.). Fra la moltitudine dei popoli, Dio si scelto un popolo
(contrapponendolo ai molti ~WTJ e trasformandolo in uno speciale
1tt6c;), e in risposta a questo suo gesto gli eletti aderiscono con ri-
conoscente amore al Dio da loro scelto (Dt. 7,6; 6,4; 11,1). In tal
modo, essi realizzano il loro dogma nazional~, il complesso indis-
solubile religioso-popolare 6 di essere il popolo di Dio, ossia, in
forza dell'appartenenza di sangue a questo popolo concreto, di es-
sere di Dio e di averlo in una maniera peculiarissima, non realiz-
zabile per altre vie. 7 l'immeritata predilezione di Dio (Dt. 7,7),
che santifica il popolo eletto, che spinge Dio a prender dimora in
seno al suo popolo di elezione (Ex. 25-40), per glorificarsi in esso
nel passaggio dalla santit ontologica ma meramente statica della vo-
cazione all'imperativo Siate santi, perch io, Signore Dio vostro,

6 Potrebbe essere anche questa una ragione per cui, come autodesignazioni, si
sono scelti i sostantivi qahal ed ekklesla, e non termini cultuali derivanti da casa.
7 Un accenno atto ad attestare che questa mutua appartenenza e questo vicen
devole impegno non sono stati progettati per passare in seconda linea rispetto alla
vera comunione di vita, lo si ha nella stipulazione del Patto con Abramo (Gn. 15;
cf. l'analoga presentazione in Jer. 34,18 ss.): nella vita degli animali squartati, vista
come elemento di mediazione, sono presenti e vengono collegati fra loro ambedue
i contraenti.
...
COMUNIT CULTUALE DELL'ANTICA ALLEANZA

sono santo! (Lv. 19,2; cfr. Dt. 7,6; 26,19). Quello d'Israele un
popolo santo, eletto e coinvolto in un'Alleanza (Ex . .24,4-8) in cui
Dio assume l'iniziativa di stipulazione in maniera cosi energica, che
il Patto stesso in prima ed ultima analisi si regge sulla fedelt di
Dio. Sicch la realt di questa AHeanza va decifrata prendendo ~e
mosse da qui. Allora scorgiamo in essa l'eternit, l'irrevocabilit (Ex.
32,13; Lv. 26,42; Dt. 4,31), soprattutto allorch tale fedelt viene
superata al punto di trasformarsi in amore: Quando Israele era
fanciullo, io }'amavo (Os. n,1; analogamente; anche in Isaia la
santit come quintessenza della divinit assurge a piattaforma di ba-
se per il Dio della salvezza: Is. 41,14; 43,3; 47,4}. Per volont di
questo Dio - che secondo la teologia della preistoria il creatore,
il Signore, l'unico Iddio - , talie specialissimo Patto di Alleanza de-
ve essere caratterizzato da una perenne universalit. Certo, l'elezio-
ne a popolo particolare di propriet esclusiva costituisce la radice di
quel fenomeno che oggi si chiama nazionalit. Esso per non viene
scelto e predestinato ad un dispotismo autosufficiente ed egocentri-
co,8 bensl ad una missione fra i popoli del mondo, ad una testimo-
nianza apostolica (Is. 43,10; 49,6; 60,3; Jer. r,5). Se Jahw si
abbandona ad una cosl stretta intimit con Israele, l'O fa perch es-
so assurga a segnale inalberato della visita compiuta da Dio alla sua
creatura. Il regno di sacerdoti (Ex. 19,6) rappresenta certo anche
a tutt'oggi un duro enigma che d molto da fare all'esegesi. Ma
in sostanza ci dice sempre: questo popolo sacerdotale, ossia
vicino a Dio,9 ha accesso a lui. sacerdotale per la sua vita vissuta

8 Non desta alcuna meraviglia che l'esprei;sione Gott mit uns ( = Dio con noi)
possa degenerare in tanti modi, trasformandosi in appagamento delle crociate mo-
ralistiche, in legittimazione dell'egoismo politico, in massiccia e meccanica fiducia
cultuale nel Dio che sta in mezzo al suo popolo. La critica dei profeti quanto
mai eloquente, e tremenda la minaccia espressa per bocca di Osea (I,9; 2,25):
Il 'Non-mio-popolo' intendo chiamarlo 'Mio-popolo'.
9 La radicale avvicinarsi fa da sfondo alla parola ebraica indicante il sacer-
dote. Le risposte al quesito Tutti re? (con tarda eco in 2 Mc. 2,17) e Tutti sa-
cerdoti? (cf. Nm. II ,29) sono assai diverse fra gli esegeti. A titolo di orienta-
mento, si veda: G. FoHRER, 'Priesterliches Konigtum, Ex. 19,6', in: ThZ 19 (1963)
359-362. Qui non abbiamo nemmeno bisogno di prender posizione in merito: la
nostra afiermazione infatti si mantiene in certo qual modo al di l delle divergenze.
Oltretutto se in Ex. 19,6 l'enunciazione centrata su re e sacerdote, ci mppresCll-
ta ancora un riflesso della indissolubile compenetrazione dell'elemento popolare e
religioso in Israele. E costituisce anche un solido appoggio per dimostrare che il
18 IL SERVIZIO DIVINO

per amor di Dio, neli'osservanza dei suoi comandamenti. Questo


culto esistenziale non primieramente una doverosa prestazione, ben-
s un'accettazione vissuta della volont di comunione espressa da
Dio nei confronti della sua creatura. un elemento che, in quanto
onere ed onore, ci viene a dire che Jahw Signore dell'Alleanza gran-
deggia e si glorifica nel suo popolo d'Israele, ergendolo a segno e
ad invito per gli altri popoli (Dt. 4,6). Israele ne ha la consapevolez-
za nella lode e nel ringraziamento, nei lamenti che innalza quando
ha l'impressione di essere abbandonato da Dio; lo conosce in teo-
ria, 10 quando sente di esser stato eletto a propriet di Dio non per
suo vanto e piacere, bens per svolgere una missione, per essere la
punta di diamante del penetrante volere immanentistico della san-
tit di Jahw,11 per la salvezza dei molti attraverso i pochi, dei
grandi e dei potenti attraverso i deboli e i sofferenti.

b. Il culto d'Israele, popolo dell'Alleanza

Una descrizione d'Israele come popolo peculiare di Dio non si pu


dare senza far ricorso a termini cultuali. La segregazione per via di
scelta santit in maniera cos spiccata, che si prolunga quasi auto-
maticamente nella legge di santit (Lv. 17-26), co} suo ritornello
Siate santi, perch io, Signore Dio vostro, sono santo. Santit,
glorificazione del Dio dell'Alleanza, costituiscono l'unica risposta sa-
tisfattiva alla domanda che si chiede il perch di tale elezione. Don-
de a carattere sacerdotale del popolo, acquisito tramite il servizio
divino d'una appartenenza esistenziale a Dio, ulteriormente accentua-

re rimaneva pur sempre il detentore de!la mediazione messianica. Anche gli stessi
profeti non riescono ad immaginare la salvezza prescindendo dalla dinastia di
Davide.
10 I! passo di Gn. I 2,r ss. la pi esplicita enunciazione della teoria d'una sal-
\TZZa universale. Lo jahwisca riconosce che Israele deve essere il sacramento per
la salw1.za del mondo, il dcutcronomista anc;or pi1 chiaramente.
11 :I'!. una formulazione dataci da G. v. Rad, Theologie des Alten Testaments I,
Miinchen 41962, p. 2r9 (trad. it. Teologia dell'AT, Paideia, Brescia). La necessit
di divenire proseliti un risultato di questa convinzione. Per quanto concerne le
modalit concrete di conversione dei pagani a Jahw, esistevano diverse tradizioni
escatologiche. Ne un'ulteriore prova ancora l'incertezza della comunit cristiana
primitiva: prodigiosamente colpisce nel segno pi l'intuizione che il pensiero di
una convinzione sistematica dcl mondo pagano da parte degli apostoli, che racool-
gono e mettono al sicuro la messe.
...
COMUNIT CUL'fUALE DEI.L'ANTICA ALLEANZA 19

to dalla requisizione per l'ufficio di mediazione nei confronti e a


vantaggio degli altri popoli. Se Israele diventa un autentico popolo
soltanto grazie aH'elezione, corrisponde logicamente a questo stato
di cose il fatto che, in Israele, stato, nazione, popolo vengano cul-
tualizzati (mentre per i pagani si dovrebbe parlare d'una stata-
lizzazione della religione e del culto}.
Circa la posizione predominante tenuta dal culto in questo popo-
lo, che divenuto tale proprio grazie alla munificenza e alfa 1ibera
autoobbligazione di Dio, non vi pu essere alc~n dubbio. Se esso
un popolo ove inabita Jahw, il primo e perpetuo modo di ono-
rarLo ovviamente il culto praticato nei santuario. L infatti dimo-
ra Jahw (Dt. 12,5 ss.; 2 Cron. 7,1 ss.), l si vede il suo volto
(Dt. 16,16; Is. r ,12), l lo si incontra e si tratta con lui (Ex. 29,
42 ss. ). Per farla breve, Dio traduce in atto la salvezza progettata
nel Patto di Alleanza realizzandola nel culto. Una prova ulteriore
di questa verit costituita dal fatto che le leggi cultuali di Mos
vengono promulgate su ordine di Jahw (Ex. 40,r; Lv. 1,1; Nm.
5, l ) . Per cui, perfettamente logica la sanzione: chi trasgredisce
questa legge, va reciso dal popolo (Gn. 17,14; Ex. 12,15,19; Lv.
7,20; Nm. 9,13).

Ci permettiamo, a questo proposito, di riportare ancora alcune citazioni


eia G. v. RAD, Theologie des Alten Testaments, che possono illustrare me-
glio la posizione preminente tenuta dal culto nella vita d'Israele. La S.
(= la Scrittura sacerdotale, che va senz'altro considerata come un'opera
storica) deve dimostrare in tutta seriet come il culto, storicamente af-
fermatosi nel popolo d'Israele, costituisca il fine della comparsa e dello svi-
luppo dcl mondo. In e!Ietti, la stessa creazione stata preordinata a que-
sto I;n_elc (op. cit., I, 247; l'ultima constatazione qui addotta viene ab-
bondantemente legittimJta dal fatto che il racconto della creazione ripor-
tato da questa fonte polarizzato sul sabato). <(Sul Sinai, Jahw stesso
istituisce il culto d'Israele (ibid. ). La configurazione delle disposizioni
da te cl al Deuteronomio... costituisce (per) un tutto unico, giacch nella
successione di tali parti si rispecchia la progressione liturgica d'una festa
c11!t11alc, e precisamente della festa in cui si rinnova l'Alleanza di Sichem.
Dal fatto che il decorso liturgico dell'evento cultuale abbia dovuto offri-
re il quadro per una vasta opera letteraria teologica, si pu arguire anco-
ra una volta quanto risultasse difficile ad Israele sviluppare teoricamente
per conto proprio i contenuti teologici (op. cit., I, 233).
20 I!. SERVIZIO DIVINO

Non pu ovviamente esser compito delle presenti disquisizioni il


parlare del culto d'Israele in quanto esso dovette esprimersi median-
te una grammatica religioso-naturale, reagendo come gli altri an-
che con la preghiera, l'inno, il sacrificio, ecc. all'esperienza di Dio,
e in quanto (come assunto eminentemente popolare) risulta in larga
misura loegato a fattori culturali e sociologici. Il culto degli autoctoni
cananei incontrato sul posto ha qui il suo bravo influsso, esattamen-
te come il fatto che un popolo di agricoltori seminomadi non pu e
forse nemmen vuole rinnegare completamente il modello agrario
deile proprie feste (che non si pu disconoscere nel massot, neUa
festa delle [sette] settimane, nella festa d'autunno!). Ma se ci ri-
sulta in certo qual modo tanto ovvio e si deve ammettere come qua-
si inevitabile, bisogna per affermare con tanta maggior decisione che
Israele ha fondato il proprio culto in maniera tutta diversa dalle
religioni antecedenti e limitrofe ad esso. Queste conoscono infatti
un cosmo profondamente sacrale, caratterizzato dalla presenza mol-
teplice e diffusa dappertutto del divino, la cui esperienza si ri-
tiene possa venir fatta in numerose ierofanie (sostantivo coniato da
M. Eliade). Ora, appunto questo onnipresente divino sopranna-
turale che si cerca di propiziarsi nel: culto, assicurandosi i suoi doni
di salvezza. E ovviamente conoscono anche il peccato, che porta rot-
ture e distorsioni in questa esperienza, rendendo pericoloso il con-
tatto con la divinit ed esigendo pertanto una purificazione.
Tale motivazione del culto di uso corrente. AI di l dell'attimo
fuggente, sempre e mai disponibile, esso costituisce una presa di
contatto con hl vera vita, sottratta al flusso della caducit, un atto
con cui si sfiora l'eternit. Le feste con cui si celebra il nuovo an-
no, garantiscono l'inesauribile fluire di questa vita. I miti del dio
della fecondit, che viene tenuto prigioniero nel mondo sotterraneo
per poi tornare a risorgere vittorioso, sintetizzano il ciclico riappa-
rire dell'energia vitale. Non questa la sede adatta per presentare
come sorprendente, poderosa ecc. su tale sfondo, la motivazio-
ne completamente diversa del culto d'Israele. Ma un rilievo lo pos-
siamo pur sempre fare: al di fuori d'una religione rivelata, come
avrebbe potuto succedere ci che successo in Israele? successo
infatti questo: che nel suo culto (e in seno a questo popolo ci non
costituisce soltanto il cuore della concezione religiosa che esso si ta
l:OMUNIT CULTUALE DELL'ANTICA ALLEANZA 2I

di s, ma dell'idea stessa che nutre di s!) penetra la storia. Bisogne-
rebbe forse parlare in maniera ancor pi tagliente. In effetti, per
noi uomini d'oggi, storia e storicit sono divenute per un ver-
so delle cifre universali che talvolta non si pronunciano ormai pi vo-
~entieri senza prima vagliarle accuratamente; ma per altro verso (pro-
prio nella loro polarizzazione sul futuro e sugli spazi da esso aperti),
sono circondate da un'aura oosl affascinante, che in tutta sobriet
dobbiamo decisamente affermare: Israele fonda il proprio culto (os-
sia il proprio elemento mediatore di salvezza) su fatti contingenti.12
Ora, ci senz'altro grandioso. Dice infatti nientemeno che questo
popolo - con tutta certezza, anche se in maniera per nulla ovvia
- realizza il ruolo fondamentale della sua elezione. Dice che esso
1'a considera come un passaggio dalla storia universale ad una storia
speciale (la storia della salvezza}, che costitutiva per il popolo
stesso. Quale risultato si abbia da questo balzo, lo si pu arguire
dalla parola Costitutivo, che viene a dirci: sostentatori per il si-
gnificato e la missione di questo popol'O, per i suoi impegni e le sue
promesse, divengono ora dei fatti contingenti. Avvenimenti, insom-
ma, fino a quel momento destituiti d'ogni funzione rappresentativa,
i quali comunque potevano tutt'al pi, in quanto epifenomeni, mo-
strarsi utili per far riconoscere l'elemento retrostante e perenne del-
la vicenda religiosa. E invece Israele individua in essi - nella libe-
razione dall'Egitto, neHa stipulazione dell'Alleanza, nella peregrina-
zione in mezzo al deserto, nella guerra santa e nella conquista della
Terra Promessa - le tappe d'un'azione divina di stampo creatore:
in essi infatti ha incontrato il suo Dio, diventando cosl il di lui
popolo.
La luce decisiva viene proiettata su questa affermazione dalla con-
creta celebrazione cultuale: la parola d'ordine si chiama adesso a-
nmnesi. Che la si traduca con ricordo o memoria, le parole
da sole non cambiano la sostanza. Se si tiene presente che Jahw ed
Israele sono alternativamente soggetto ed oggetto di questa memo-

12 E ci non soltanto in contenuti centrali come l'elezione, il Patto di Alleanza,


ecc., ma anche nell'intera gamma dell'apparato cultuale (se cosl si pu dire): vedi
i luoghi santi (Gn. 23; 26,23 ss.; 28,lo-22; 32,1 s.), i giorni e i tempi santi (Pa-
squa: liberazione dalla schiavit; festa settimanale: stipulazione dell'Alleanza, do-
nazione della terra promessa; festa dei Tabernacoli: peregrinazione guidata attra-
"erso il deserto).
22 IL SERVIZIO DIVINO

ria, ossia che non si ricorda soltanto Israele, 13 ma si commemora


anche Israele presso Jahw,14 si evoca ovviamente pure la munifi-
cenza di ] ahw e si attribuisce ef1cada a tale celebrazione di culto.
Ma il risvolto decisivo si afferma in tutta la sua forza creatrice d'una
presenza, soltanto nell'oggi tipico dell'anmnesi. Ecco come esso
viene formulato dal trattato della Mischna, per quanto concerne la
festa di Pasqua: In ogni singola epoca, si obbligati a conside-
rare se stessi come se si fosse stati tratti dall'Egitto di persona. Per-
mane infatti per noi tutti il dovere tassativo (stabilito nella Scrit-
tura): E in quel giorno spiegherai che cosa significa questo a tuo
figlio, dicendo: Si fa cosl in memoria di tutto quello che il Si-
gnore oper per me, quando uscii daH'Egitto. 1.1 Ci avviene quando
nell'assemblea cultuale echeggia l'esortazione: Israele, ascolta le
leggi e le prescrizioni che io oggi proclamo ai vostri orecchi: impa-
ratele dunque e custoditele, per metterle in pratica. Il Signore, Id-
dio nostro, ha fatto con noi un patto al monte Oreb. Egli fece que-
sto patto non coi nostri padri, ma con noi, che siam qui oggi tutti
quanti ancora in vita (Dt. 5,1 ss.).
In tal modo, il tempo dell'istituzione viene elevato ben al di so-
pra del suo rango, sino a diventare il momento <<numero uno di
una autentica storia in fase di decorso. Sicch assurge a tempo fon-
tale, che detiene un ruolo creatore e ha la forza di sostentare i lun-
ghi tempi susseguenti. Su di esso s'impernia anche al momento at-
tuale la potenza dell'anmnesi intesa come evento storico, in cui la
fede viene corroborata, la speranza rinvigorita e la carit accresciu-
ta (dr. Ex. 14,31; Dt. 7,18 s.; 6,5). infatti in grado di accordare
ad una persona o ad un avvenimento una presenza cosl reale,1 6 da

B Se s'insiste nell'affermare con la massima incisivitI che il fine determinante


quello di mettere Israele di fronte alle richieste accampate da J ahw, ingaggiandolo
a glorificare il Signore, tanto chiaro che ci rispecchia la peculiarit del rapporto
con Dio: Jahw assume e mantiene sempre la sovrana iniziativa.
14 G. v. RAn, op. cit., I, 255.
15 F-x. 13,8 - Pesacbim 10,5.
16 P. Brunner ('Zur Lehre vom Gottesdienst', in Leiturgia 1, 212) cita W. Marx-
sen: L'azione dell'oggetto costituisce qui un balzo, che si attua nella categmia
del tempo e dello spazio. Il fotto normale la ricomparsa del passato nel pre-
sente; ma si pu constatare anche l'assunzione del futuro nel presente. Per quan
to concerne la quali1 creatrice di questo tempo primordiale, cf. Ps. n4. P. evi-
dente che qui non si svolge un processo analogico, quale si riscontra p. e~. Ps.
COMUNIT CULTUALE DELL'ANTICA ALLEANZA 23

far partecipare la gente qui e adesso all'irreiterabile esodo, all'irri-


petibile stipulazione dell'Alleanza.

c. Posto tenuto dal culto d'Israele nella storia salvifica

Per noi che viviamo nella luce proiettata dalla lettera agli Ebrei,
non risulta facile scrutare a fondo l'Antica Alleanza. Difatti, puntan-
do lo sguardo attraverso quel fascio luminoso fatto di novit, di
adempimento, di realizzazione definitiva, si incappa nei prodromi,
nella preparazione, nel sintomo premonitore dell'AT, come anna-
spando nell'oscurit. Tuttavia, nel contesto. della storia salvifica re-
sta pur sempre moho di positivo da dire in merito al culto d'Israe-
le: cose che non si possono sorvolare, e che nella lettura retrospet-
tiva ricevono la loro brava conferma.
I sacrifici d'Israele non sono vuote affermazioni o inani tentativi
di autopuri.ficazione, d'interferenza umana su Dio. Essi producono
invece l'espiazione (cui tende la maggior parte dei riti sacrificali),
placano l'ira, conseguono la riconciliazione, mantengono in efficienza
la comunit cultuale e rinfocolano l'Alleanza con Dio. Certo, ne-
cessaria qui una catena di atti singoli, e ci che essa pone in essere
risulta in certo qual modo di corta durata. La lettera agli Ebrei
non far ovviamente fatica a porre in risalto su questo sfondo o a
mettere in rilievo come la necessit d'una continua ripetizione costi-
tuisca in ultima analisi una prova d'insufficienza e d'impotenza. Ma
anche cosl, resta pur sempre vero: proprio questo culto, questo rito
sacrificale, costituisce un fatto autorizzato da Dio, istituzionalizzato
per comando esplicito di Dio e destinato ad una ininterrotta con-
tinuit. Non bisogna ovviamente dimenticare che la sua sopravvi-
venza a termine indissolubilmente legata a quella d'una Alleanza
con Dio perennemente esposta al pericolo, di una Alleanza per la
cui sussistenza in fondo non esiste alcuna tangibile garanzia. La ca-
ducit e debelezza di tale Alleanza vengono sentite in maniera cosl
incisiva, che l'anelito e l'attesa puntano con sempre crescente insi-
stenza su una nuova AUeanza (]er. 3r,3r-34; Ez. 36,24-31). Tut-

89,1013, dove s'introduce nella narrazione biblica dt!lla creazione riportata dalla
Genesi la poesia (da quel momento ritenuta innocua) delle cosmogonie extra-bibliche.
IL SB-RVIZJO DIVINO

tavia, sebbene sia divenuto inevitabile il far assurgere un resto17


ad alfiere della speranza, persino nei pi .spietati discorsi profetici
permane ancora e sistematicamente il ripiegamento su un resto di
Israele. Sicch il suo culto continua a rimanere il pegno d'un as-
senso divino pi forte dell'incredulit e deUa testardaggine, che fi-
nir per toglier di mezzo i molti sacrifici con un unico sacrificio an-
cor di l da venire.
Pertanto, i sacerdoti d'Israele sono degli autentici mediatori
(quantunque, in linea con la peculiare fisionomia di questa Allean-
za, si configurino pi come plenipotenziari di Dio nei confronti del
suo popolo, anzich come avvocati del p<>polo nei confronti di Dio).
Essi sono degli eletti, sono gli unici che hanno immediato accesso
a Jahw (Nm. 3,38; Ex. 33,7-u); per cui, incarnano la dimostra-
zione che l'impetrazione e il sacrificio cultuale non sono artifici uma-
ni, bensl istituzioni di Dio e quindi opere degne di sicura accettazione.

2. Il culto di Ges Cristo

A prima vista, potrebbe forse sembrare sproporzionato l'attardarsi ad


analizzare diffusamente il culto dell'Antica Alleanza. Ma non affatto
cosl. La novit dell'Alleanza escatologica e defnitiva 18 sar senz'altro una
pienezza d'offerta inimmaginabile da ogni epoca passata, ma non per que-
sto cesser di essere l'adempimento di tale Antica Alleanza e delle pro-
messe ad essa collegate. Abbiamo gi dimostrato come questa fosse ap-
punto la convinzione di coloro che si trovarono costretti a riconoscerne
dolorosamente e ad annunciarne implacabilmente la provvisoriet. Anche

17 Al pi tardi col fallito tentativo di Esdra Neemia, tendente ad identificare


quasi in maniera legislativa i rimpatriati dall'esilio con la comunit ideale, facendo-
si cosi assurgere al famoso resto-, non pi possibile evitar di ammettere quanto
segue: Non l'intero Israele (secondo la carne) eletto-, per cui si arriva inelut-
tabilmente all'affel'tnazione integrativa non tutti gli eletti provengono da questo
Israele (Is. rx,10; 54,5; 45,22; Zach. 2,n.15; 8,22).
18 Dal carattere di tempo primordiale attribuito da Israele all'esodo e alla con-
quista della Terra Promessa, si arguisce che l' Alleanza cosi stipulata ed adem-
piuta costituisce una categoria interpretativa non soltanto in senso retroattivo (quel-
la fra Dio ed Abramo un'Alleanza, come lo anche quella fra Dio e No, che
in entrambi i casi insorgono da una situazione di esodo), ma anche in senso av-
veniristico: se vero che il futuro promesso e sperato il futuro d'Israele, al-
trettanto vero che esso dovr essere una nuova Alleanza (nuovo Esodo, nuova
Terra Promessa).
CULTO DI GES CRISTO

la marcatura dell'indicativo dogmatico Israele secondo la carne = Israe-


le di Dio non pu venir concepita in altro modo, fuorch nel senso che
Israele destinato a rinnovarsi. La stessa convinzione vien nutrita da
quanti si guardano indietro, e non riescono a scorgere altro che la rea-
lizzazione della promessa. Cosl fa la lettera agli Ebrei, e cosl. pure Pao-
lo in molti altri passi. Pur sempre nuovo, d'accordo, ma soltanto nella
continuit. Nessuna disobbedienza sarebbe mai stata abbastanza grave da
portare al disastro: No, non vero che le promesse di Dio non siano
state mantenute, Dio non ha affatto respinto il suo popolo, che cono-
sceva gi in antecedenza (Rm. 9,6; 11,2). Nessuna via che conduce a
Dio, al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, sempre fedele all'Al-
leanza, passa tagliando fuori Israele, primizia santa, radice sacra, olivo
nobile (Rom. u,16-24). Tanto quelli che si trovano nell'ombra, quan-
to quelli che avanzano nella luce, sanno tutti beniSsimo una cosa: l'uni-
co popolo di Dio elevato a questa posizione dall'unico Dio dell'Allean-
za divenuto un popolo nuovo, giacch ha ricevuto una nuova interio-
rit, come era stato detto per bocca del profeta: Metter la mia legge
in loro, e la scriver nei loro cuori (]er. 31,33).

Come si vede, era auspicabile e pienamente giustificato lo sforzo di


penetrare nel mondo cultuale del popolo dell'Antica Alleanza. Dal
quale, non esiste passaggio alla comunit cultuale escatologica senza
colui che il traguardo d'ogni elemento provvisorio (Rom. rn,4;
Gal. 3,16), sicch per l'intero arco dell'avvenire nessuno potr get-
tare altro fondamento oltre quello gi posto, cio Ges Cristo (I
Cor. 3,1 r ). In Ges Cristo infatti, Dio ha reallizzato in maniera as-
solutamente insuperabile la sua volont di alleanza. Quest'uomo
Dio, Dio in veste umana e uomo in veste divina. Questo medio,
questo mediatore incarna il messaggio celeste; in lui, abbiamo l'in-
carnazione del desiderio nutrito da Dio di accomnnarsi al suo po-
polo e all'umanit in genere. In lui, lia loro salvezza non soltanto
aggiudicata in maniera definitiva (desumibile dall'evento intra-sto-
rico dell'incarnazione), ma nel suo nucleo centrale, in quel suo fon-
do e in quel suo principio che Ges Cristo, ormai anche
realizzata. In lui presente il Regno di Dio: ancora in boccio, d'ac-
cordo, ma pure allo stadio effettivo, tanto veco che i padri parla-
no di auto-basilia. E siccome egli il Messia promesso, che non
pu assolutamente sussistere senza il suo popolo, in lui sussiste an-
che la Chiesa; la quale per, al tempo deHa sua vita e della sua
attivit terrena, non si estende oltre i limiti del suo corpo. Ora,
26 IL SERVIZIO DIVINO

ci costringe a parlare innanzitutto e per principio del mistero cul-


tuale di Ges Cristo, capo del suo corpo.
Egli in persona l'apparizione umana dell'amore riconciHante e
redentore di Dio, come pure il grande officiante del culto prestato al
Padre in nome dell'umanit. Sicch, senza alcun intento polemico e
senza alcuna esplicita condanna, dobbiamo dire che tutto l'apparato
transitorio precedente risulta ormai vecchio e sorpassato. ~ ap-
punto in questa prospettiva, che vanno viste fo parole e le azioni di
Ges miranti ad abrogare l'antico; in effetti, non viene condannata
da lui (soltanto) l'estrinsecazione concreta, suppergi nel senso in-
teso dalla critica profetica del culto. La guarigione del paralitico
(Mc. 2,r-12) costituisce una radicale svalutazione del culto sacrifi-
cale: 1'a remissione dei peccati, infatti, non ormai pi legata al sa-
crificio cultuale espiatorio offerto nel Tempio. L'affermazione con-
cernente l'impurit (Mc. 7,r5) qualcosa di ben pi alto d'una me-
ra istruzione etica. A questo proposito, ecco una citazione da E. Ka-
semann: Chi contesta che l'impurit penetri nell'uomo dall'esterno,
Intacca direttamente le premesse e Ia lettera della Tora, nonch
l'autorit di Mos stesso.19 Il repulisti fatto da Ges nel cortile an-
tistante al Tempio (Mc. rr,15-18) culmina non da ultimo nel fatto
che l'autentico Tempio sacrificale viene sbrigativamente scavalcato:
ora 1'a distinzione fra area sacrale e profanit risulta surclassata.20
C' poi addirittura l'affermazione esplicita: Qui v' Uno pi gran-
de del Tempio (Mt. 12,6), che perfettamente esatta, giacch qui
c' qualcosa pi della mera presenza di Dio per via di grazia, in
quanto c' Dio stesso incarnato. E con la massima incisivit, egli
annunzia un altro Tempio nel giro di tre giorni (Mc. 14,58). Ci
conduce proprio al centro dell'azione cultuale esplicata da C':res.
AHorch, nell'istante in cui si sfascia il tempio del suo corpo (]o.

!9 'Da5 problem des historischen Jesus', in: Exegetische Versuche und Besinnun-
gen r, Gottingen 1960, p. 207.
2ll Per quanto concerne l'interpretazione della ripulitura del cortile dei pagani
come preannuncio messianico, d. E. l.oHMBYER, Kultus und Evangelium, Gouin-
gen 1942, 44-,51. La parola Tempio, tramandataci ripetuta per ben sei volte,
pone all'esegesi parecchi problemi. Non si pu ovviamente contestare che qui esi-
ste oggettivamente un nesso con questa azione segnaletica; in tal caso per, il verbo
tx~d)..).fw, in quanto affermazione duratura, assume uno spiccatissimo carattere
di chiave esplicativa.
CUL'ro DI GESll CRISTO 27

2,19-22), il velario del Tempio giudaico si lacera da cima a fondo,


si fa palese l'abrogazione di tutti i sacrifici e quindi del Tempio
stesso.
Non occorre che ci mettiamo a sottolineare in questa sede alcun
asserto soteriologico in quanto tale: basta che ci riagganciamo ad es-
si. Dio (Padre) ha mandato Dio (Figlio) nella carne. Questo media-
tore, il Santo di Dio (Mc. 1 ,24), e l'unico Giusto, con atto d'amo-
rosa obbedienza si fatto per noi peccato e maledizione (2 Cor.
5,21; Gal. 3,13), offrendo in veste sacerdotale il sacrificio espiato-
rio immacolato, universalmente valido, che vince tutte le potenze
del male, spezza tutti i vincoli, apre tutte le chiusure. Con Cristo,
quindi giunto alla fine, spirato (ed abrogato: Hebr. 7,18; 8,13;
rn,9) il sacerdozio levitico (Hebr. 4,14 - 10,18). Il Ges terreno
investito del sacerdozio, nella sua vita e nella sua morte: lui stesso
la vittima sacrificale (Mc. 10,45; Rom. 8,34; 2 Cor. 5,19; Eph. 5,2;
Hebr. 10,5). Dotato di poteri sacerdotali il Trasfigurato, il cui sa-
cerdozio una funzione permanente (Hebr. 8,1 s.): sempre intento
ad intercedere per noi (Rom. 8,34; Hebr. 7,25; 9,24) in quanto ac-
cettato per l'etermta come vittima sacrifica.le dinanzi al trono di
Dio, come perenne espiazione, e confermato nella sua qualifica di
supremo offerente (Hebr. 5,9 s.; Apoc. 5,6). Cosl detto una volta
per sempre ci che era cominciato quando il Verbo si fatto carne,
quando questo Ges di Nazaret divenuto il nuovo uomo di Dio
nato in terra, il secondo Adamo in cui sono delineati tutti gli al-
tri uomini. cosl stabilito irrevocabilmente che fuori di lui non vi
pu essere salvezza, giacch egli non soltanto ne ha parlato, ma la
incarna di persona. Ne consegue logicamente che non basta ascoltare
il racconto della sua vita, morte e risurrezione, per imparare ubbi-
dientemente una dottrina, ma bisogna attingere da esse 1'a salvezza.
In effetti, la morte e la risurrezione, l'ascensione al cielo e l'assi-
dersi alla destra del Padre dicono che il dialogo tra Padre e Figlio
intavolato una volta per sempre in maniera interminabik Da quan-
do il Figlio ha attraversato tutte codeste peripezie, in cui egli -
in rappresentanza di noi tutti - impar che cosa significhi obbe-
dire (Hebr. 5,8), la risposta del Padre si concretizza nel manife-
starlo Figlio di Dio con potenza (Rom. IA; Act. 2,36), che ora in
quanto trasfigurato gli accorda il potere di attrarre a s tutti (Jo.
IL SERVIZIO DIVINO

12,32), di divenire princ1p10 di eterna salvezza per tutti (Hebr.


5,9): e ci, attraverso l'invio dello Spirito di filiazione (]o. 1,12;
16,7; Rom. 8,15), in cui Egli edifica il suo corpo. Essere kyrios, Si-
gnore, significa essere capo in tutta pienezza e potest.
Il culto dell'Unigenito giunto ormai al suo traguardo: Dio, che
ci ha riconciliati con se stesso per mezzo cli Cristo (2 Cor. 5,18).
Se prima non era ancora stato dato lo Spirito, non essendo ancor
glorificato Ges (]o. 7 ,39 ), adesso invece, quando gi Cristo in
virt dello Spirito eterno ha offerto se stesso quale vittima immacola-
ta a Dio (Hebr. 9,14), lo Spirito c'. Siccome Ges ha ormai ria-
vuto quella vita che in supremo abband-Ono filiale aveva consegnato
nelle mani del Padre (Le. 23,46), riottenendola in trasfigurazione
kyriale, condivide ovviamente anche il potere d'inviare lo Spi-
rito santo come Spirito suo proprio (Act. 2,33). Ci significa che,
nel Pneuma, egH pu donare la sua presenza, anzi addirittura se
stesso. Quest'ultima rimozione di diaframma rende possibile sulla
terra l'epifania della Chiesa, ossia la manifestazione del suo corpo,
costruito ed animato dal suo Spirito.

3. Il culto della comunit escatologica

Da quanto abbiamo sin qui detto, riswta assodato: ogni celebra-


zione cultuale con cui la Chiesa onora Dio, viene a collocarsi sul
tracciato verso il Padre aperto dal sacrificio di Ges. Soggetto del
servizio divino rimane sempre lui, che nessuna via pu aggirare; lui,
che ha evocato il tempo ultimo e irrevocabile, il secondo Adamo, il
Pneumatico per eccellenza (Mc. r,10), il dispensatore dello Spirito
(Le. 4,18).
L'espressione in Cristo, nel Signore, non informa soltanto
l'esistenza del singolo cristiano, ma anche e soprattutto la comunit.
Per quanto concerne questa espressione lessicale, sono significative,
anzi addirittura stereotipate, specialmente le intestazioni delle episto-
le paoline: I Cor. 1,2; Eph. 1,1; Col. 1,2 (cf. Hebr. 2,u, che la
Bibbia di Gerusalemme traduce cosl: Il Salvatore e i santificati
formano un tutto unico). Qui si rispecchia la preminenza della so-
CULTO DELLA COMUNIT ESCATOLOGICA

vranit e del regno di Dio annunciata dai sinottici, che risponde in


pieno all'attesa messianica. Questa non riguarda in primo luogo l'in-
dividuo, bensl l'intera comunit nazionale e cultuale: 1'a Chiesa,
e soltanto tramite la sua mediazione l'individuo, il fine del disegno
salvifico architettato dal Dio dell'Alleanza.
Orbene, se e perch le cose stanno cosl, non c' affatto bisogno
di dimostrare che il tipico risvolto in Cristo deve necessariamen-
te essere l'impostazione orientativa e determinante anche del culto
divino celebrato dalla comunit. Tutto deve infatti svolgersi nel
Cristo, 1'a cui umanit esemplare esige lo si qualifichi come ultimo
Adamo, in cui posto ogni fondamento e si. apre ogni prospettiva
futura. Tutto in Cristo capo, in cui unicamente come suo corpo la
umanit perviene ad essere ci che i pensieri di Dio l'hanno prede-
stinata ad essere: Tutti siete un sol uomo in Cristo (Gal. 3,28);
la pi compatta unit viene ad intrecciarsi con la pi intatta indi-
vidualit.21
Di conseguenza, non pu esistere alcuna definizione pi esaurien-
te del culto tipicamente cristiano di quella che ce lo presenta come
riunione nel nome di Ges (Mt. 18,20; I Cor. 54; cui si aggiun-
gono i molti passi contenenti i verbi cruv<l.~ala~ avvPXEala.~). Tanto
pi che la Chiesa fondata sull'avvento deUa salvezza, il cui pun-
to di culminazione costituito dal mistero della Pasqua; il suo
un autentico esodo, il cui avvio non pu essere senza scopo e il cui
sacrificio non pu restare privo di accettazione, e che nella ricchezza
della sua realt non si pu afferrare se non nella molteplicit dei
concetti esprimenti la Pasqua, quali schiavit-libert (Rom. 8,21;
Gal. 2,4; 5,13), morte-vita (]o. 5,24), tenebra-luce (Col. l,13; Act.
26,18). In questo continuo esodo si ha la massima attuazione
dell'Alleanza, per cui i redenti si adeguano davvero plasticamente
al loro Signore cultuale, diventando suo popolo peculiare, un popolo
santo, sacerdotale (Apoc. 5,10; I Pt. 2,5.9 s'inseriscono in un contesto

21 Questa scoperta occupa una posizione centrale, e come tale viene vista e va-
lorizzata p. es. da Teilhard de Oianlin, in cui l'onda cosmica tende ad assorbire
ogni ego in quel misterioso super-ego, che realizza al contempo la socializza-
zione e la personaliZ2azionc; oppure nella formula ecclesiologica Una persona in
molte persone, proposta da H. MOHLEN, Una mystica persona, Paderbom Z1967,
(trad. it., Citt Nuova, Roma).
30 IL SERVIZIO DIVINO

pasquale),22 una nazione eletta, chiamata, ecc. Se nel NT.


per descrivere l'evento di Cristo (e precisamente nella sua totalit,
fatta di capo e corpo), ci si aggrappa tanto volentieri a termini cultua-
H riservandoli proprio a questo scopo, vuol dire che la cosa senz'al-
tro giusta e aderente alla realt. Ci viene ulteriormente confermato
dal fatto che la Chiesa se stessa e si rinnova continuamente attin-
gendo alla celebrazione dei misteri cultuali divini: col battesimo, che
inserisce le nuove leve nel transito pasquale di Cristo (Rom. 6,3 ss.)
e fonda la comunit del nuovo popolo di Dio; con la celebrazione
dell'eucarestia, che rende presente il sangue della nuova Alleanza
(Mc. 14,24 e par.), facendo assurgere a rinnovato evento l'Alleanza
per la comunit intenta al culto e per l'intera Chiesa.
Ecco quindi che cos' la riunione nel nome di Ges: la pro-
fessione di fede nell'evento escatologico impersonato da Ges Cri-
sto, nel Kyrios visto come il grande agente alla cui sovranit e po-
test ci si abbandona, nella comunit considerata come realizzazione
escatologica ddla quahal di Jahw,23 nel valore salutare di tale
raduno, perch l'individuo santo e direttamente in contatto con
Dio soltanto in grembo alla comunit (I Cor. 10-14 ne sono un'elo-
quente testimonianza). Il motto emblematico la presenza: 24 la
presenza di Dio in Cristo (Mt. 18,20; 1 Cor. 14,24 s.), spinta ad
un punto tale, che nell'assemblea viene annunciato non soltanto il
verbo di Cristo, bens Jo stesso Verbo Cristo (2 Cor. 4,5). <~Cristo
logico ed escatologico costituiscono quindi sicuramente i primi e
pi noti aggettivi qualificativi del servizio divino celebrato dalla co-
munit. Poi entra, nel campo visivo, la mta cui tendono tali affer-
mazioni per realizzarsi in pieno: il servizio divino officiato dalla co-

22 Per avere una prova che i due passi di Apoc. 5,10 e r Pt. 2,5.9 non mancano
di contesto pasquale, cf. J. Bt.!NZLER, 'Eine Bcmcrkung zum Geschichtsrahmen des
Johannesevangelium', in: Bihl. 36 (r955) 30 s.: qui l'autore fa notate come il
sacrificio pasquale sin nell'ultima epoca dcl Tempio debba esser rimasto sempre
l'eccezione, mentre ad ogni israelita era consentito il diritto di offrire sacrifici per-
sonali.
23 Essa si sperimenta con la massima incisivit nell'incontro liturgico centrale del-
l'eucatestin, che un'anticipazione del mangiare e bere nel suo regno, dotata di
forza evocativa finch egli ritorner (I Cor. n,26) e, in quanto commemorazione
della sua morte, da non consumare mai fuorch come banchetto di gioia (Act. 246).
24 Motto insistentemente ribadito e sottolineato nell'art. 7 della SC.
CULTO DELl.A COMUNIT ESCATOl.OGICA 31

munit degli ultimi tempi pneumatico . 25 Gli agiografi infatti si


preoupano di additare il nuovo e ultimo popolo dell'Alleanza, fa-
cendo vedere come la promessa dell'effusione e della presenza dello
Spirito si sia adempiuta. Si parla di una caparra, e ci rappresen-
ta senz'altro una limitazione; ma essa non va affatto a spese della
constatazione positiva che lo Spirito ormai presente. Questa cer-
tezza di possedere lo Spirito costituisce la comunit e la sua auto-
coscienza: lo Spirito universalmente diffuso (Mc. 1,8), costituti-
vo agli effetti della comunit (Mc. 3,28 ss.), non intermittente con
possibilit di revoca, bensl perenne (Le. 11,13; Act. 2,38 s.; 19,2).
Possedendo lo Spirito in maniera cos indivisibile, la comunit si sente
abilitata ad essere adoratrice in spirito e verit (Jo. 4,20-24; la
frase Dio Spirito non rappresenta in primo luogo una descri-
zione essenziale, ma denota invece la realt, la vicinanza, l'accessibi-
lit di Dio; dr. Eph. 2,18); in questo Spirito sa che presente il
suo Signore; sa di essere il tempio e quindi il luogo del cuho divino
(Eph. 2,21 s.; r Cor. 3,16); ha la consapevolezza di essere grazie a lui
dispensata dalla sfera cultuale e sacrale (cosi come questa ci vien
descritta in Hebr. 12,18-21 ), dalla sede sacrale soprelevata, dalia
persona e dal rito sacrale (Hebr. 13,13). Ora il luogo preferito di
tale esperienza dello Spirito, inteso come energia realizzatrice dell'a-
zione escatologica di salvezza espletata da Dio in Cristo, l'assem-
blea che si riunisce appunto nel nome di questo Ges (Act. 5,1-n;
r 5 ,2 8 ). .E. proprio l'assemblea adunata a celebrare il culto di Dio,
che fa sperimentare lo Spirito, facendo toccar con mano come egli,
unico pur nei molti (Eph. 4.4), tramite la molteplicit dei suoi doni
trasformi la Chiesa in ci che essa deve essere per autorizzazione e
incarico di Dio: un corpo vivo, differenziato in molti membri (i
Cor. 12-14 ). Queste sono dunque le dimensioni fondamentali del
culto celebrato dalla comunit di Ges Cristo: cristologico, pneu-
matico, escatologico. Tutte qualit che gli competono in quanto de-
rivanti dalla realt del Signore Ges Cristo, assiso alla destra del

25 Bisogna tornare a questa designazione. Il termine spiritualizzazione, come


connotazione caratteristica, non soltanto intrinsecamente equivoco, ma anche di
fatto abusato nel senso d'una accentuazione (ellenizzante) del fattore meramente
interiore e spiritualistico, d'un mero indiri1.zo moraleggiante.
IL SERVIZIO DIVINO

Padre, perennemente intento ad inviare lo Spirito, sempre identi-


co ieri, oggi e per l'eternit (Hebr. 13,8).
Dove si trova e qual questa comunit cultuale? La risposta a
questo interrogativo gi stata data in quanto siam venuti sin qui
dicendo, per cui occorre soltanto metterla ancora bene a fuoco. Essa
esiste dove e quando si forma il corpo di Cristo, in cui il suo Spirito
plasma la comunit coagmentata attorno a} Signore del culto; dove e
quando la di lui realt cultuale u. e diventa sempre pi la nostra
realt di quaggi. Si crea quando la sua Pasqua e la sua Pentecoste
divengono il nostro modellato per via di grazia: perch il Padre suo
anche il Padre nostro; perch nd Primogenito noi siamo divenuti
tanti fratelli (Rom. 8,29); perch insieme a lui noi abbiamo alle
spalle una autentica morte ed ormai nostra una iniziata risurrezio-
ne; perch adesso, l dove c' lo Spirito, risulta vero anche per noi
l'asserto dall'intimo di chi crede in me, come dice la Scrittura, sca-
turiranno fiumi d'acqua viva (Jo. 7 ,38 s. ). Il che equi val~ a parlare
del battesimo e della cresima (Mt 3,11; Le 3,16; Act. 19,5 s.; Mc
l,8; Act. l,5; 2,38 s.), dei sacramenti, ricevendo i quali si diventa
membri di Cristo e della comunit (I Cor. 12,12 s.; Gal. 3,27 s.).
Significa parlare dei sacramenti dell'iniziazione per l'ra della Chie-
sa, che viene a collocarsi fra n sacrificio da cui viene redento il mon-
do e il ritorno del Signore. Esiste l, dove la morte e la risurrezione
di Ges non sono ancora di fatto morte e risurrezione di tutti gli
uomini; l dove la parusa presente ancora soltanto avvolta nel
mistero pasquale,27 tanto per usare questa espressione favorita della
costituzione sulla liturgia. Nel tempo insomma, in cui la comunit
cultuale adunata nel nome di Ges ancora un popolo prescelto per

26 e.on questa espressione non s'intende indicare soltanto la linea ascensionale


dell'obbedienza prestata dal Figlio, ma altresi la risposta ad essa data dal Padre.
Un culto accettato soltanto culto nel vero senso della parola, un sacrificio accolto e
portatore di frutto sacrificio in senso pieno.
rr Per spiegarci questo fatto, la Scrittura ci porta non soltanto lo stretto in-
treccio dei poli morte-risurrezione, ma anche il sottinteso derivante in certo qual
modo dal centro dottrinale, atttaverso la sorprendente allocuzione ai battezzati che
vengono interloquiti come sepolti con lui (cf. Rom. 6.-4; Col. 2,12; 3,3). Discorso,
questo, che da un lato salva la realt della nuova ctea2ione e della rinascita, e
dall'altro in grado di riservare senz'ombra di fanatismo un'ulteriore modalit fe-
nomenica tuttora di l da venite. In tal modo, essa lascia il debito spazio alla
segretezza della vocazione e della santificazione, alla fragilit della sovranit di
filiazione, alla solitudine e all'esttaneit della comunit in questo mondo.
CULTO DELLA COMUNIT ESCJ\TOLOGICA
33

essere cos inserito in una missione. In tal modo stata pronunciata


una parola. d'ordine decisiva, atta a verificare se la comunit offician-
te risponda davvero all'esigenza ad essa posta di essere la presenza
del culto di Ges Cristo, che l'Inviato per eccellenza.
Non questa 1'a sede adatta per analizzare in lungo e in largo
il meraviglioso interscambio - di cui i padri parlano volentieri -
che si attua nell'evento-Cristo, e che deve improntare anche il cul-
to della comunit, se vuol essere il suo culto e non invece qualcosa
di appiccicatovi come elemento estraneo. Giacch quel Dio che in
Cristo si riconciliato il mondo (2 Cor. 5,19), non solo ci permet-
te la ricezione riconoscente, ma ce la impone in maniera cos tassa-
tiva, che persino i nostri gesti d'offerta non possono essere null'al-
tro, fuorch un lasciarci completamente assorbire dalla sua inesora-
bile predilezione. Bisogna rammentare per altro ancora una volta
che, quando ci si chiede dove e quando esista la comunit cultuale
di Ges Cristo, occorre parlare del battesimo e della confermazione.
Il motto missione ci fa conoscere profondamente e con nettezza di
contorni sino a qual punto battesimo e cresima siano elementi costi-
tutivi basilari della comunit cultuale escatologica. Ci resta ancora
da sviscerare qui quel fattore, che la teologia chiama <~carattere di
questi due sacramenti iniziatici.
Nel trattato sui sacramenti, se ne parler in una maniera cosi dif-
fusa e circostanziata, che qui non n possibil'e n necessaria. Sic-
come la pregnante concezione di un Tomaso d'Aquino oltrepassa di
parecchie lunghezze l'ambito obbligatorio della definizione magiste-
riale della Chiesa, e non nemmeno divenuta patrimonio di molte
teologie insegnate nelle scuole, essa ovviamente non pu venir fatta
assurgere a base di partenza. Ma la maniera in cui egli concepisce il
carattere come spirituale, impresso nell'anima (formulazioni da-
te dal concilio di Firenze e di Trento), il modo in cui lo interpreta
come facolt fisica di partecipazione al sacerdozio di Cristo, ele-
vandolo a presupposto per la cooperazione al culto cristiano (con la
dignit di autentico strumento nelle mani del gran sacerdote Cristo;
la controprova ce la d lui stesso, affermando che un'abilitazione del
genere al culto non risuha n necessaria n possibile nell'AT}, co-
stituiscono degli indirizzi assai fruttuosi ed utili. Essi infatti danno
a vedere come questi due sa<:ramenti dell'iniziazione, in quanto con-
Il. SERVIZIO DIVINO
34

ferenti il carattere, fondano un particolare rapporto con la Chiesa vi-


sibile. Alla Chiesa edificata sulla parola e sul sacramento, che va
qualificata intrinsecamente come comunit cultuale, vanno attribuite
le seguenti propriet: fenomenicit storica, permanenza indefettibile
della realt salvifica del Signore del suo culto. Risulta quindi chiama-
ta a vivere esemplarmente la realt e la perennit del gran sacer-
dozio del suo fondatore, la di lui Pasqua e Pentecoste: morta al pec-
cato, vivente per Iddio in forza della grazia vittoriosa ( cf. I Pt. 3,
r 8 ). Sicch questi due sacramenti consacrano l'individuo inserendo-
lo nel popolo sacerdotale di Dio, e il loro indelebile suggello lo im-
pegna a servire come membro, a tenersi a disposizione, ad accetta-
re la missione. 211 In una parola, essi fanno partecipare al sacerdozio
comune della comunit santa.

a. Il sacerdozio comune

Del sacerdozio di cui sono investiti tutti i fedeli, non si parla


soltanto nella prima lettera di s. Pietro. Ma il secondo capitolo di
questa ce ne offre i testi classici (vv. 5 e 9): E voi pure, come pie-
tre vive, costruitevi in modo da formare una casa spirituale, un san-
to sacerdozio, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio, per mezzo
di Ges Cristo. Voi per siete stirpe eletta, sacerdozio regale, na-
zione sacra, popolo tratto in salvo, affinch annunziate le meraviglie
di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce ammirabile.
Sono testi tratti da uno scritto che, con diverse motivazioni e svaria-
te sfumature, si sempre voluto caratterizzare come un condensato
di catechesi battesimale. Quali che siano le riserve che si possono fa-
re nei confronti di tali tentativi, essi riescono comunque a sottoli-
neare una cosa: che qui si fanno delle affermazioni circa la nuova
ed ultima fase della storia salvifica. Parlano di questa vicenda contras-

18 Per ulteriori chiarificazioni in merito, d. A. STENZEL, 'Cultus publicus. Ein


Beitrag zum Begriff und ekklesiologischen Ort dcr Liturgie', in: ZKth n (1953)
195 ss.; 100 s. Se in questo studio si ribadisce con una certa puntigliosit che, no-
nostante l'inscindibilit del segno e del carattere esterno validamente conseguito,
Ia Chiesa viene cosl eo5tituita in quella dimensione significativa che rappresenta
la sede specifica della comunit cultuale, non bisogna ovviamente dimenticare che
- a causa dell'unione intra-sacramentale fra segno e segnato -, soltanto la realt
della grazia in grado di colmare questi asserti.
CULTO DELLA COMUNIT ESCATOLOGICA 35

segnata dall'effusione deHo .Spirito, la quale trasferisce i privilegi


dell'antico al nuovo popolo di Dio, e con la creazione del nuovo de-
nuncia l'abrogazione del vecchio. Discorrono quindi della Chiesa e
del grande Dono a lei fatto (che in Israele era solo una !Jromessa,
mentre ora una realt adempiuta), presentandoli in maniera cos
spiccatamente positiva, da far s che sotto questo aspetto non entri-
no ancora nel campo visivo i relativi risvolti intra-ecclesiali.29 Detto
tra parentesi sar forse buona cosa andare ancor pi al solido: che
cosa poi possa tuttora essere il mero sacerdozio ministeriale, non
si pu qui ancora pretendere di arguirlo, giacch in tal modo si ne-
gherebbe la coestensione audace del sacerdozio comune, ampia come
l'intero popolo di Dio, mettendola in concorrenza con esso, poco
importa con quale preminenza in gerarchia e peso. Il modo in cui la
primissima tradizione intende queste parole, . confermativo. Lo stac-
co non intra-ecclesiale, bens o nei confronti di Israele e rispettiva-
mente del sacerdozio levitico (e in tal caso il motto oggettivamen-
te Spirito effuso, che adempie quanto sinora era impedetto e tran-
sitorio), oppure nei confronti del mondo (con motti programmati-
ci quali testimonianza, rappresentanza, elezione ).30 I passi ci-
tati dalla I Pt. sono cos impregnati di allusioni all'AT, che anche
la loro comprensione ne risulta influenzata in maniera determinante.
In effetti, la risonanza della critica cultuale profetica non si spinge
cos innanzi, da far s che i Sacrifici spirituali (v. 5) possano dire

29 Rappresenta una piccola mancanza di buon gusto (del resto quasi inevitabile
data la struttura del lavoro), il fatto che la LG del Vaticano II riporti la maggior
parte delle a1fermazioni facenti al caso nostro nel capitolo sul laici. Tuttavia, pre-
scindendo dagli asserti correttivi (in cui si dice che non si deve pensare ad una
pe<:uliare qualit dei laici contrapposta alla gerarchia), la nuova terminologia offre
un valido aiuto. In effetti, invece di parlate come sinora si era sempre fatto di
sacerdozio universale (espressione facilmente esposta a malintesi, perch concepi-
ta come un contrapposto al sacerdozio speciale o magari addirittura intesa come
un sacerdozio generalizzato, nel senso di diluito, improprio), la costituzione par-
la di sacerdozio comune.
30 Ecco almeno due testi significativi al proposito: Omnes sacerdotes... quo-
niam membra sunt unius sacerdotis (AGOSTINO, De Civ. Dei xx, 10: OChr 48,
720); Omnes enim in Oiristo regeneratos crucis signum eflicit reges, sancti vero
Spiritus unctio consecrat sacerdotes, et praeter istam specialem nostri ministcrii
servitutem, universi spirituales et rntionales christiani agnoscunt se regii generis
et sacerdotalis officii esse consortes (LEONE M., Sermo 4,1: PL 54, 149 A). Per ul-
teriori accenni, vedi ancora: GIUSTINO, Dial. 116,J: GoooSl'EED, 234; TERTULLIA-
NO, De exhort. cast. vn, 3: CChr 2, 1024; AMBROGIO, De sacram. IV, 3: CSEL 73,47.
Il,. SERVIZIO DIVINO

di aver gi trovata la loro debita ed esauriente valutazione con le


espressioni interiori, moventi dal cuore, o con similari qualifica-
zioni etko-ascetiche. Certo, sarebbe un madornale equivoco lasciarsi
fuorviare dal concentrato linguaggio cultuale indicante questi sacrifi-
ci, sino a perder di vista il suo ampliamento aH'intero raggio della
vita cristiana. Ma d'una vita cristiana che va vista, logicamente, come
derivante spiritualmente dallo Spirito santo. Sl, poich in defini-
tiva appunto questo che sostiene e giustifica il vertice dell'afferma-
zione, ossia il commiato dall'antico popolo di Dio perch ormai
presente il nuovo. Se poi questo sacerdozio comune pu venir iden-
tificato con la realizzazione total'e della fede professata da questi
pneumatici, ovviamente non ormai pi lecito chiamarlo impro-
prio. No, perch la spiritualit dei suoi sacrifici non pu danneggiar-
ne la realt, la visibilit, la sacramentalit. La qualifica di sacramen-
tale, ora citata, va ovviamente attribuita in senso lato alla Chiesa
intera nei confronti del mondo, cosl come il v. 9 intende la testimo-
nianza dell'annunzio delle meraviglie di Dio estesa oltre i limiti del-
la mera comunit. In tal modo, accanto alfa proclamazione del ca-
rattere sacerdotale del nuovo popolo di Dio, viene alla ribalta anche
la sua missione profetica. Il servizio che esso deve prestare alla Pa-
rola, analogamente a quello costituito dai suoi sacrifici, deve irrag-
giarsi su tutta l'ampiezza che comunemente si chiama testimonianza.
La maniera con cui il nostro passo della prima lettera di Pietro tra-
duce con la Septuaginta l'espressione di Ex. r9,6, rendendola con
sacerdozio regale, non ci permette ovviamente in base al mero te-
sto di aggiungere alle qualifiche di sacerdotale e profetica anche quel-
la di regale, come peculiarit intrinseca della comunit cultuale
escatologica. Comunque sia per, resta pur sempre vero un fatto: se
noi indaghiamo sull'avvento del sacerdozio comune, questa triade -
derivante dall'articolazione degli uffici messianici - ha ormai alle
spall'e una linea di tradizione cosi lunga, che la possiamo utilizzare
come sussidio espositivo, sfruttandola con non minore disinvoltura
di quella usata dalla LG del Vaticano 11. 11 D'altro canto, pi che di
aiuto non pu servirci, giacch le realizzazioni esistenziali si ribel-
lano ad ogni inquadramento schematico.

31 Cf. LG, art. 31; Ad genter, art. I5.


CULTO DELLA COMUNIT ESCATOLOGICA
37

Per quanto concerne l'ufficio profetico del sacerdozio comune, il


motto programmatico testimonianza (che dimostrer al contem-
po incisivamente quanto poco i singoli uffici si possano in coscienza
concepire dissociati fra loro). L'intera gamma della fede, della spe-
ranza, della carit vissute in seno alla Chiesa rientra in questa cate-
goria (tenendo presente che un'altra realt certamente da menziona-
re qui poi il Sentimento di fede nutrito dal! popolo di Dio). Si
tratta di atteggiamenti vissuti di fronte al mondo, in ogni ambiente
ove si crede, nel matrimonio, nella famiglia, nella professione, nella
societ, di un'estrinsecazione insomma il cui nome potrebbe essere
quello di apostolato dei laici. Tale apostolato laico non deve per
esaurirsi nel campo prettamente istituzionale; deve invece restare una
realt coraggiosa, quasi una sfida al relativo. campo (quella che i fran-
cesi p. es. chiamavano prsence, quando si rendevano conto del-
l'esperimento fatto dai preti operai). Si tratta qui di scoprire l'azio-
ne svolta da Dio nel mondo e di svelarla ad esso; di portare avanti
una critica alla societ prendendo le mosse dalla fede (senza rispar-
miare nemmeno la Chiesa). Ma poi anche di sforzarsi di render viva
la parola e la sua autorit, in modo che non ci si limiti soltanto a
sollevare dei problemi o ad esporre dei dubbi, ma si arrivi anche con
spirito pionieristico a trovare delle vie. Il tutto certo con senso di
responsabilit, ma altresl con tutta distensione e superiorit, con
l'audacia di chi osa considerare la fantasia e il rischio solidi veicoli
dello spirito.
Logicamente, la vera funzione sacerdotale si pu arguire da que-
sto soltanto in maniera assai inadeguata (secondo la giustificazione
con cui Paolo, in Rom. 15,16, chiama i frutti del proprio l>avoro
apostolico 'ltpocrq>op&. ). nostra intenzione parlare solo per inciso
di ci che a questo proposito bisognerebbe dire qui, e che nella co-
stituzione sulla liturgia del Vaticano II ci viene ribadito con la mas-
sima energia: la piena e attiva partecipazione di tutto il popolo
aUa liturgia, vista come diritto e dovere inerenti al battesimo; la pre-
rogativa che i fedeli hanno di offrire l'ostia immacolata, non sol 4

tanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparando ad


offrire se stessi.12 E non siamo tenuti nemmeno ad esaminare i po-
teri cultuali e sacramentali spettanti ai laici cristiani in circostan-
31 se, art. 14, 48.
IL SERVIZIO DIVINO

ze ordinarie e straordinarie: 1' si tratta infatti di azioni centrali e in-


contestate, se il motto programmatico su questo terreno sacer-
dotale. Tuttavia, queste funzioni assai prossime all'apparato salvi-
fico della Chiesa non debbono distogliere il nostro sguardo dall'am-
pliamento con cui esse vengono spiegate nella Scrittura, p. es., come
cooperazione ed edificazione (Act. BA; Rom. 16,3 ss.; I Cor. 12),
come autorizzazione ed esortazione alla mutua intercessione, al per-
dono vicendevole (Col. l,24; 3,13; Eph. 6,18 s.; ]ac. 5,16). Occorre
per soprattutto non sminuire i compiti che s'impongono in fun-
zione mediatrice alln comunit sacerdotale per la vita del mondo
(]o. 6,52). La consecratio mundi 34 pu magari oggi non apparir-
ci pi la parola programmatica, oberata com' da coartazioni stori-
che e verbalmente in stridente contrasto con la secolarizzazione.
Ma resta pur sempre valida, ogniqualvolta la Chiesa prende a diret-
tiva del proprio lavoro l'impegno di affermare nel mondo non il pro-
prio Sacramento, bensl la propria causa (res); quelia di colma-
re gli uomini e il loro mondo di fede, speranza e carit. Cosa che ella
fa presentandosi vitalmente come sale della terra, come citt col-
locata sul monte; il che non denota arroganza e compiacenza di s,
bensl missione e rappresentanza, accompagnate dallo sforzo di por-
tare gli uomini ad intendersi fra loro, a conciliarsi, a vivere insieme
d'amore e d'accordo. E infine presentandosi come segno tangibile
della svolta avvenuta come sacramento d'unit,35 come arra di spe-
ranza.
Il servizio regale del sacerdozio comune ha naturalmente esso
pure i suoi risvolti intra-ecclesiali.36 Rientrano in esso la consapevo-
lezza e la relativa prassi inducenti alfa convinzione che il sacerdoiio
ministeriale esiste a vantaggio suo, per cui il sacerdozio regale ha
pure il diritto e il dovere di cooperare all'impostazione e alla gestio-

ll I bid., art. 79.


34 una formulazione enunciata da Pio xn al 2 Congresso mondiale dell'apo-
stolato dei laici: AAS 49 (19,7) 927; confermata dal magistero ecclesiale con la
sua assunzione nella Lumen Gentium, art. 34; dr. M.-D. U.1ENU, 'I laici e la COn
secratio mundi', in: G. BARAUNA (a cura di), De Ecclesia II, 289-307 {trad. it.
La Chiesa del Vaticano II, Vallecchi, Firenze).
l5 Questa formula, tisalente a Cipriano, assurge a tema esplicito nell'art. 1 della
LG. Cf. anche in materia gli artt. 7.13.17; ormai tradizionale, e tichiama l'idea
sbozzata da Paolo con le espressioni Corpo, plroma di Cristo.
36 Tratteggiati nella LG, art. 37,
CULTO DELLA COMUNIT ESCATOLOGICA
39

ne della vita ecclesial:e, cominciando dalle pi piccole comunit sino


ai concili ecumenici. Ma torniamo a ripetere che il vero risvolto me-
diatore di tale sacerdozio viene maggiormente in luce, ossia ci appa-
re nella sua genuina essenza, solo allorch la parola d'ordine si chia-
ma servizio al mondo. In effetti, alie cose di cui sopra indubbia-
mente necessario fare l'abitudine; ma c' anche da rilevare che la
prassi attuale non traccia ancora confini precisi in materia. Non
quindi un mero caso, il fatto che questo aspetto di servizio al mondo
venga prima di quello poc'anzi menzionato, nella costituzione sulla
Chiesa, ove compare con le parole chiave libert, abnegazione,
vita santa. Servizio al mondo per disincepparlo e liberarlo, por-
tandolo a divenire ci che intrinsecamente , rendendolo capace in
quanto creatura derivante da Dio di indirizzarsi a lui (Rom. II,36;
I Cor. 8,6; Phil. 3,20 s.). Occorre aiutare il mondo e la gente che vi
abita a riconoscere il fascino della bramosia di potere come un'illu-
sione, come una infausta chiusura in se stessi e quindi come una
mancanza di salvezza. Occorre prestare come sempre il servizio rea-
le, seguendo l'esempio del .Signore nd deserto e quello del martirio
affrontato dalla Chiesa primitiva, rifiutandosi di adorare il potere
politico, il piacere, il pane. Occorre saper riconoscere questi pomposi
idoli anche in molti andazzi del momento, nelle molteplici segre-
te seduzioni dd nostro tempo, ora sottili ora pignolamente stilisti-
che, prendendo da essi le debite distanze con elevata forza d'animo;
e ci, quand'anche l' abnegazione possa risultare l'unica maniera
adatta a realizzare tale libert dei figli di Dio. Bisogna fare tutto que-
sto con la netta consapevolezza che non esistono ormai pi avversari
invitti ed invincibili, da quando il kyrios Ges ha vinto le forze e le
potenze del male, accordando anche ai suoi discepoli la facolt di par-
tecipare con la fede a guelfa vittoria che vince il mondo (]o. 5 ,4).
Si tratta infatti della stessa fede che, allorch essi sono di Cristo in
questo modo, dice loro: tutto vostro (r Cor. 3,23), vostro que-
st'intero mondo da plasmare continuamente, giacch gloria Dei
vivens homm>. 31

11 IRENEO, Adv. Haeres. IV 20,2: PL 7, ro37 B.


IL SERVIZIO DIVINO

b. Il sacerdozio ministeriale

Che dopo aver parlato del sacerdozio comune bisogni parlare anche di
quello particolare, non dovrebbe esserci necessit di dimostrarlo. E reci-
procamente, non dovrebbe nemmeno destar meraviglia che se ne parli
soltanto ora. Se infatti nel NT il sacerdozio esiste soltanto come parteci-
pazione al sommo sacerdozio di Cristo, e tale partecipazione sussiste in-
nanzitutto (nel1a sua sostanza e nel suo riconoscimento, comprovati am-
bedue dall'uso del1a terminologia cultuale) nella dignit sacerdotale del
nuovo popolo di Dio, nel sacerdozio comune di tutti i fedeli, tanto chia-
ro che esso andava esaminato per primo. Tuttavia, non bisogna dimen-
ticare che il culto, e rispettivamente la comunit cultuale, con l'analisi
precedente non sono state ancora sufficientemente sviscerate sotto l'aspet-
to pi determinante agli effetti del nostro assunto, ossia in quanto sono
costitutivi per l'istituzione Chiesa. Occorre affrontare qui il sacerdozio
ministeriale {e allora verr sul tappeto anche la parola programmatica
liturgia).

Non ci accingiamo qui ad esaminare l'ufficio gerarchico vero e pro-


prio esistente in seno alla Chiesa, ma ci limiteremo soltanto ad ana-
lizzarne In componente sacerdotale. Diciamo subito per che essa, in
quanto potest parziale dell'unico Ordine sacro, non pu considerar-
si sottratta alla dimensione fondamentale messa cos enfaticamente
in evidenza dai documenti del Vaticano 11: servizio. 311 Con ci si
afferma la sua relativit di fronte al complesso della Chiesa, che detta
i parametri di base. Per dirla in maniera concreta, esso dice relazio-
ne col suo sacerdozio comune, che accorda a tutti i membri della co-
munit sacerdotale un immediato accesso a Dio (Rom. 5,2; Eph. 2,
18; Hebr. 4,16; 10,19-22). Il sacerdote ministeriale non si presenta
come rappresentante di Dio santo ad un popolo non santo. L'unico

38 Non bisogna dimenticare qui che con ci si solleva una crttJca alle modalit
storiche aberranti di autocomprensione e di prassi, lanciando un programma per
l'avvenire. Si tratta per d'un servizio che non si pu concepire come una presta-
zione di grado inferiore alla potest; certo, sar necessario sicuramente lottare a
lungo, perch sotto un certo aspetto ci si sente quasi a disagio di fronte all'ele-
ganza teoretica della coordinazione da fare fra i due termini, ma nonostante tutto
la sua enunciazione ci deve restare permessa. Per quanto concerne il servizio in-
teso come destinazione fondamentale, cf. la LG, art. 18.20 e altri. Una bella for-
mulazione che merita di esser ricordata, quella contenuta nel Messaggio dei
Padri Conciliari al mondo, che essi indirizzano ai fratelli ...al cui servizio stia
mo in quanto pastori (AAS '4 [1962] 824).
CUl.TO DELLA COMUNlT ESCATOLOGICA 41

Sommo Sacerdote, nel quale e nella cui opera risulta eliminato e quin-
di abrogato tutto quanto conteneva il sacerdozio l~vitico, non lascia
al suo agire alcuno spazio per una funzione a pro della Chiesa analo-
ga a quella espletata dal sacerdozio levitico nei confronti d'Israele e
della sua Alleanza. Ma allora, dove si trova lo spazio distinto, tipi-
camente suo? Propriamente parlando, non pu essere un sacerdozio
di fronte alla Chiesa, bens soltanto un sacerdozio incardinato in essa.
Non pu mettersi in concorrenza -col sacerdozio comune, se e in
quanto esso assieme all'altro non pu venir inteso fuorch come par-
tecipazione all'unico sacerdozio della Nuova Alieanza. Risulta vie-
tata pure queI!a dissociazione, dietro la quale insorgerebbero interro-
gativi di questo tipo: Che cosa riservato al sacerdote? Che cosa
pu lecitamente fare anche il non sacerdote?. Resta quindi assoda-
to soltanto questo: la peculiarit del sacerdozio mi,nisteriale deHa
Nuova Alleanza pu consistere unicamente in. una particolare moda-
lit di autorizzazione ad attuare ci che la Chiesa nel suo comples-
so.39 Viene pertanto a collocarsi nella dimensione dd sacramento del-
la Chiesa,40 ma non rappresenta affatto un plus nella facolt di es-
ser figli di Dio. A titolo di ulteriore conferma, si pu forse accenna-
re a c10 che Agostino prospettava com~ soluzione per attenuare le
tensioni, protrattesi per lunghi secoli in seno alfa Chiesa primitiva,

39 Che soltanto l'intera Chiesa sacerdotale renda possibile il servizio particolare,


risulta evidente dalla necessit di essere battezzati, prima di venir ordinati ad
uno speciale uflicio gerarchico; un'argomentazone tratta soltanto dalla rappresen
tanza di Cristo capo, invece, ben difficilmente riuscirebbe a dimostrarlo.
40 Con questo asserto, si stabilisce una differenza essenziale e non solo di gra
do (LG, art. 10). Non per altro che qui si ritratti subdolamente !'ufficio di
servizio. Anzi, proprio questo aspetto di servizio, che pacatamente e quasi co-
me cosa ovvia sottolinea un testo della costituzione liturgica (art. 48): I fedeli...
rendano grazie a Dio, offrendo l'ostia immacolata non soltanto per le mani del sa
ccrdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi. K. RAHNER, Kleines
tbeol. \V/iirtcrbr1ch, 300 (trad. it., Di%ionario di teolol',ia, Morcelliana, Brescia), affer
ma a huon diritto: Il sacerdozio comune, visto sulla scala definitiva dei valori,
quello pi elevato. Con questa indicazione, non si concilia certo la tendenza n
considerare il sacerdozio comune come assolutamente non-sacramentale, come me-
ramente interiore, come passivo ccc. Il fatto che ai laici si assegni un numero
sempre maggiore di funzioni nell'impostazione e nell'amministrazione della Chie-
s:1, rnnpn'sc11ca qlli un correttivo, come lo rappresenta pure l'indiscussa partecipa-
zione attiva alla liturgia, sanzionata dal magistero ecclesiale gi nell'enciclica Me-
diator Dei, e concretizzata nella SC (art. 79) nell'amministrazione di certi sacra-
mentali. Per l'intera problematica, d. Y. Congar, articoli pertinenti in LThK vm,
1963, 754 s,
42 IL SERVIZIO DIVINO

fra carismatici e investiti delle potest gerarchiche: il vero ammini-


stratore dei sacramenti l'intero Cristo, ossia Cristo assieme a tutti
coloro che per la fede, speranza e carit, sono santi; essi infatti so-
stentano e rendono possibile il servizio prestato dal sacerdote mini-
steriale.
Ora, ecco che cos' la peculiare modalit di attuazione di ci che
la Chiesa incarna come complesso: in nome di Cristo si assume con
pieni poteri il ruolo di capo, e si agisce in rappresentanza di tutti i
membri proprio in quella dimensione, in cui bisogna porre in essere
con validit ufficiale il segno archetipo e fontale della Chiesa. Di
quella Chiesa che, oltre il ponte della necessit di mezzo, riveste
altissima importanza anche per la cosa in s, senza per questo in-
taccare il fatto che la <(cosa preordinata direttamente al sacerdo-
zio comune, e fa potest di ordine non sgrava affatto il soggetto in-
vestito dall'obbligo di servire questo sacerdozio nella fede, neHa spe-
ranza, nella carit, nel lavoro e nella sofferenza, nel rendimento di
grazia e nella testimonianza. Parola e sacramento sono i grandi ele-
menti costitutivi di quel segno primordiale che la Chiesa. Le irri-
nunciabili funzioni del sacerdozio ministeriale 41 si trovano qui spic-
catamente sul loro terreno. La parola in quanto mandato di potere
non va per circoscritta e limitata soltanto al rito sacramentale e
curtuale, ma sta anche a disposizione della giurisdizione pastorale.
E in quell'istituto di salvezza che la Chiesa: designazione, questa,
che non a tutti gli orecchi suona bene, ma che deve inculcare e far
vedere come questa realt fenomenica, storicamente modellata, della
salvezza (indipendentemente dai fatti contingenti, dalle prescrizioni
positive ecc. da cui inevitabilmente accompagnata) venga sempre
stimata al disotto del suo prezzo, quando non la si valuta sotto il
profilo sacramentale. Nella costituzione LG, la Chiesa professa co-
munque con la massima energia questa idea che si fa di s. In tal
modo viene a dimostrarsi insufficiente anche il discorso, oggi talvol-
ta scandalosamente sbrigativo, che parla d'un valore meramente so-

41 Chi tad11ce con animosit l'aggettivo irrinunciabile con non chiunque


autorizzato a tutto, dovrebbe tener presente che questo stato di cose ha la sua
ragion cli essere soprattutto e in fondo nei carismi rettameme intesi esistenti nel-
l'unico corpo formato da molti membri, ed ora aflora anche nella cesura fra sa-
cerdozio comune e saccrdo-.do gerarchico.
CULTO OELl.A COMUNIT ESCATOLOGICA 43

ciologico, d'una pura funzione ordinatrice deU'ufficio gera1chico ec-


clesiale. Alla Chiesa serve non l' ordine, bens l'ordine di Cristo,
in cui chi Maestro e Signore lava i piedi ai discepoli (Jo. 13,14).
Sino a qual punto poi ci sia un dono e un carisma, resterebbe ancor
da vedere; se non altro, dando uno sguardo alla storia della Chiesa.

c. La liturgia

Parlando del sacerdozio degli insigniti del potere gerarchico, viene


sul tappeto la parte delle istituzioni del nuovo popolo di Dio, visto
proprio sotto l'aspetto di entit cultuale, che resta ancora da tratta-
re. Il sacerdote colui che, per incarico del:la Chiesa e quindi in for-
ma uflciale, annunzia ad una comunit esistente almeno potenzial-
mente, la parola di Dio, per cui sono affidati a lui i sommi gradi di
intensit sacramentale di questa parola. 42 In altri termini, ora di
analizzare il posto tenuto dalla liturgia. il momento di esaminare
la liturgia, ovviamente non nel senso in cui le renderebbero giustizia
frasi come l'intera vita cristiana servizio di Dio, liturgia, ecc.,
bensl guardando a come essa in ordine al sacramento Chiesa attua-
lizza l'operato sacerdotale di Cristo, realizzandolo mediante i segni
neHa Chiesa e per la Chiesa, nell'ordine esigito dalla comunit e col
sostentamento di essa. 43 Tenteremo pertanto di definire la sua collo-
cazione nel quadro ecclesiale. Il sacramento fontale Chiesa sussi-
ste soltanto in fase di sviluppo. I molti segni corrispondenti a que-
sta necessit non sono soltanto cos irrinunciabili come il lieto mes-
saggio non si pu assimilare a fondo senza il battesimo e l'eucarestia,
ma anche cos preminenti come la Chiesa prevale sui singoli membri.
La liturgia rappresenta quindi qualcosa pi d'una mera azione di sta-
to, dovuta al collettivo della salvezza.
Possiamo dire che con d sia gi sintetizzato ci che ce ne dice,

4l K. RAHNER, 'L'aggancio teologico per la determinazione dell'essen7.a del sa


cerd01.io gerarchico', in Concilium 3/r969, ed. it., rrr-u:z.
4l A questo punto delle nostre considerazioni, non ormai pi necessario esa-
minare sino a qual punto questi segni debbano essere espressione del.la fede e
varco d'accesso alla comunicazione nell'amore. Ammesso pure che il concetto di li-
turgia abbia sublto parecchie modifiche (ce ne fa edotti E.J. LF.NGELING, 'Liturgia',
in: DzT 11, 203-231), questo nesso d'int.,rdipcndcnza fra segno e oggetto designa
to rimane fuori discussione.
IL SERVIZIO DIVIN'O
44

con una certa enfasi, fa costituzione sulla sacra liturgia del Vaticano
n? Ecco la sua formulazione: La liturgia il culmine verso cui ten-
de l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la
sua virt (SC, 10 ). Qualora fosse lecito passare qui sotto silenzio
l'elemento attuazione attraverso i segni, addotto neUa definizione
di liturgia, la giustificazione per una formulazione del genere si po-
trebbe facilment~ trarre dall'oggetto designato. Nulla per ci accorda
tale permesso, sicch ci troviamo di fronte ad un'affermazione sor-
prendente. L'espressione culmine e fonte s'intende ovviamente ri-
ferita alla vita ecclesiale al di qua della linea tracciata dal battesimo.
Questo asserto conciliare non quindi senz'altro dell'opinione che
l'essere-sotto-il-vangelo significhi aver ormai lasciato alle spalle, assie-
me alla legge, anche ogni forma di culto. E di primo acchito, esso
non sembra allinearsi del tutto nemmeno alla grande preoccupazione
del concilio, che quella di far passare ogni elemento istituzionale
in secondo piano. Sicch, qualora non si voglia considerare tale af-
fermazione come una mera espressione verba1'e, bisogner ascoltarla
con la massima attenzione.
Si arriva cosl indubbiamente ad un'alta collocazione della liturgia
sulla scala di valori. Qui bisogna valutare, integralmente e in tutta
la sua utilit, quale importanza provenga alla dimensione della desi-
gnazione dal composto somatico-spirituale dell'uomo, dal fatto che la
fede d'ogni tipo per la sua affermazione ed espressione risulta ine-
vitabilmente rinviata sul piano del religioso daHa componente in-
carnatoria d'ogni epoca della Chiesa, dalla collocazione nella sto-
ria salvifica di questa stessa Chiesa, che le permette il culto dell 'ra
intermedia: un culto che annuncia e rende presente l'schaton, ap-
punto perch in esso si possono porre in essere dei segni effettivi,
esibitivi, che si staccano dalle solite e usuali realizzazioni. Qui si
pu forse rinunciare al binomio nevralgico sacrale-profano, perch
tale rinuncia si addke alla cosa. Purch non si ritenga di poter cosl
avvicinare pericolosamente il tempo ultimo ad un'apocalittica che
non prende abbastanza sul serio una storia tuttora in decorso; pur-
ch si sappia quanto poco la testimonianza possa sussistere .senza
una rappresentazione, capace di evitare l'anonimato privo di struttu-
razione e di configurazione precisa. Occorre saper vedete i segni del-
la fede come epifania, come dotati di un loro ancoraggio alla realt
CULTO DELl.A COMUNIT ESCATOI.OGICA 45

di Ges Cristo, Segno fontale del Dio Salvatore (Tit. 2,11; I ]o. I,
r ss. ), e a grandi linee sempre additanti la visione beatifica ( r Cor.
13 ,12 ), cosl come con tutta chiarezza ce lo affermano le paro1'e d'isti-
tuzione dell'eucarestia (Mc. 14,25): Chiesa e avvento del Regno di
Dio allo stadio finale non coincidono; funge da interregno l'ra della
Chiesa, che viene ad inserirsi fra l'ultima cena e la nuova cena da
celebrarsi nel Regno di Dio.
Ci che qui si accennato solo stringatamente, ci dice per molto
sulla fondamentale importanza rivestita dalla liturgia. Occorre poi
anche rilevare che non si mai completamente all'altezza di questo
termine fissato, per cui, a tale titolo bisogna accordare alla liturgia
un valore impegnativo sempre attuale. Ma la formulazione culmine
e fonte, che fa assurgere la liturgia ad una cosl superlativa dimen-
sione duratura della realizzazione della vita cristiana, esige senz'altro
un 'ulteriore chiarificazione. La via pi spiccia per arrivarvi, e a causa
dell'eminente ecdesialit di questa azione anche la pi immune da
sospetti, quella costituita dalla comunit intenta a celebrare l'euca-
restia. Non c' ovviamente bisogno di imbastire qui una teologia
compatta. Basta soltanto additare ci che essa manifesta, in qual mi-
sura la Chiesa in questa celebrazione sostanziale diviene se stessa ed
presente a se stessa (le indicazioni vita cristiana attinta da essa e
polarizzata su di essa rientrano infatti tra i pi familiari ed indiscus-
si tpoi della teologia!). Se l'art. 7 della costituzione sulla liturgia
mette in risalto, a buon diritto e con una retorica ben difficilmente
non avvertibile, la presenza del Signore del culto Ges Cristo in
seno alla sua comunit, da cui attinge la liinfa vitale ogni sacerdozio
comunitario nelle sue origini e nelle sue estrinsecazioni, vuol proprio
dire che essa sussiste qui con una densit insuperabile. Nell'assem-
blea celebrativa, la Chiesa presente in maniera esemplare. presen-
te come convocazione, come segno perenne sottratto al nostro tem-
po e superbamente inalberato dell'attuale munificenza di Dio; pre-
sente come raduno, come corpo che vive in maniera ideale e in forma
di caparra l'universale profferta salvifica di Dio; 44 presente come co-

44 La documentazione in materia non manca affatto. Ne un eloquente esem


poi la stessa Scrittura, quando parla della comunit come d'un'entit che non
solo ha un tempio, ma un tempio (2 Cor. 6,16; Eph. 2,21; cf. I Cor. 14,23 ss.);
quando parla della legge della fraternit, che deve eliminare le discordie quando
IL SERVIZIO DIVINO

munit conviviale, dietro cui si aderge il mangiare coi pubblicani e


peccatori, il raccogliere rottami d'umanit dalle vie e dalle piazze,
dalle strade e da lungo le siepi (Le 14,21 ss.). Sussiste qui pertanto
come comunit di mensa aperta, che sa di avere una missione per
la vita del mondo (Jo. 6,51) e di non essere destinata a gavazzare
nel piacere. Tutte idee che riecheggiano il pensiero d'un grande pa-
dre della Chiesa: ... Quae cum ipsius capitis corpus sit, se ipsam
per ipsum discit offerre (AGOSTINO, De Civ. Dei x,20: CChr 47,
294). Una Chiesa che, dalla parola esibitiva Corpo per voi intesa
come suo verbo del cuore, sa che trae origine e forza tutta la sua
predicazione della lieta novella.45 Una Chiesa animata dalla netta con-
sapevolezza che qui non solo celebra un pi potente sacramento, ma
rende pre5ente se stessa come Chiesa. Sl, perch nell'insuperabile
esodo del mistero pasquale vive il proprio perfectum praesens, e
nel predicare sinch egli venga (r Cor. u,26) evoca il proprio fu-
turo gi incominciato, celebrando la gl1oria crucis che pur sem-
pre una gloria della croce, e facendo brillare la realt escatologica.
Questa la visione che appariva determinante agli occhi dei pa-
dri, informandone l'ecclesiologia: una ecclesiologia che, nella sua
grande impostazione unitaria (e certo non immune dai pericoli in-
siti in ogni strutturazione a senso unico), si fonda sull'eucarestia.
La cellula embrionale della Chiesa la comunit adunata a celebra-
re il culto divino, che comunione nell'unico pane e nell'unico ca-
lice, comunione col corpo di Cristo. Noi, pur essendo molti, for-
miamo un unico corpo (r Cor. 10,16 s.): un testo che, al pari di
tutti quelli esprimenti questa profonda verit centrale, non pu far
a meno di presentare inscindibilmente abbinate la dimensione ver-

vi radunate in assemblea,. (I Cor. u,18.20}. Per quanto concerne la ecclesia,. co-


me sede dello Spirito, v' un bellissimo testo patristico: cTunc dabitur ei qui lo-
quitur ut dicat ea quae utilia sunt unicuique, et audies quae non cogitas, et pro-
ficies in iis quae Spiritus sanctus dabit tibi per eum qui instruit... Propterea unu-
squisque sollicitus sit ire ad ecclesiam, locum uhi Spiritus sanctus floret,. (lPPOJ.rro,
Traditio Apostolica 41: BOTTE, 88). Pertinente (e pronunciata in un contesto li-
turgico) anche l'affermazione deil.l'Ipponense: Hoc est sacrificium Ouistiano-
rum: multi unum corpus in Christo,. (AGosTINo, De Civ. Dei X, 6: CChr 47, 279).
45 Cf. le conferme che ce ne vengono date nel decreto sul ministero e la vita
sacerdotale Presbyteror11m Ordinis, art. 6: Non possibile che si formi una CO
munit cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della
sacra eucarestia,.; art. 5: ...l'eucarestia si presenta come fonte e culmine di tutta
l'evangelizzazione.
CULTO DELLA COMUNIT ESCATOLOGICA
47

ticale del culto diretto a Dio e quella orizzontale della comunione


instaurantesi fra gli uomini. In altri tetinini, perfettamente giusto
accordare il nome di Ecclesia alla comunit locale (come usa fare
continuamente la Scrittura), estendendolo anche a coloro che, dive-
nuti sancti col partecipare ai sancta, si sforzano di vivere la
legge di questa celebrazione come Chiesa locale. Allora non resta
da fare che il passo conducente alla Chiesa univ.ersale, concependola
come l'insieme di tutti coloro che, attingendo alla stessa fonte,46 si
. tengono in comunione fra loro. In tal modo, risulta evidente non
soltanto la massima esiste l'eucarestia perch esiste la Chiesa, ma
anche quella inversa esiste la Chiesa perch esiste l'eucarestia.
tassativo prendere lo spunto dall'eucarestia; e non soltanto per-
ch qui sarebbe pi facile, ma perch questa la preponderante real-
t di fatto: appunto perch esiste la Chiesa che deriva dal battesi
mo e viene celebrata nell'eucarestia, pu e deve esistere la predi-
cazione, pu e deve esistere la potest direttiva. Non necessario
portare qui dettagliatamente la prova apodittica dimostrante l'esi
stenza e la concreta ampiezza della liturgia d'istituzione divina ed
ecclesiale,47 adducendo la ragione che 'p. es. essa verr su~ tappeto
quando si dovranno trattare i sacramenti, e che servirebbe a con-
fermare quanto abbiamo sin qui detto. Potr invece risultare assai
pi illuminante giustificare l'alto valore rivestito dalla liturgia nella
vita della Chiesa (e quindi anche dd singolo individuo), raffrontan-
dolo ancora una volta alle vedute e alle esigenze derivanti da quel
fenomeno che oggi si designa col nome di <~secolarizzazione. Sul
suo fondamentale diritto all'esistenza, non tocca a noi impancarci a
discutere. Fa un po' troppo luogo comune l"idea che il pensiero bi-
blico gli ebbia aperto la strada, che esso sia incrementato dal sen-
timento dell'infinita grandezza di Dio, che miri ad essere un affran-
camento dello Spirito il quale soffia dove vuole. Per quanto vasto
possa esser stato il ricupero da realizzare, e per quanto doloroso
possa a tutt'oggi ancora essere, nulla potr mai scardinare l'idea che
Dio trascendente non inabita in nessun luogo, mentre Dio comunica-

46 Cf. il contributo sempre degno di essere letto di F. KA!l'TENBUSCH, 'Der Quell


ort der Kirchenidee', in: Festgabe A.v. Harnack, Tiibingen :i921, 143-172.
47 Per ulteriori disquisizioni in materia, cf. p. es. A. STENZEL, 'Cultus publicus',
io: ZKTb 75 (1953) 204-213.
lL SERVIZIO DIVINO

tore di se stesso esiste dappertutto. Ma il diritto e lo spazio dell'am-


biente in cui assurgono a tema esplicito l'adorazione e la preghiera,
la proclamazione della Parola e la professione aperta della sua auto-
rit, non possono venir contestati daHa secolarizzazione. Ci equi-
varrebbe a spogliare la mondanit, la fraternit umana (e qual-
siasi altra idea programmatica del genere) della loro ultima apertura
e abnegazione, rinchiudendole nell'arroganza (magari inconscia e in-
confessata) dell'autoaffermazione, e rendendole cosi delle virt fili-
stee.
Ges Cristo il Verbo indirizzato da Dio al mondo, che rimane
tale sempre e dappertutto, identico e irrevocabile. Se la funzione di
capo rivestita dal Dio fattosi uomo si pu descrivere come cosi dif-
fusa (caritas Dei diffusa in cordibus nostris, Rom. 5 ,5) e l'in-
carnazione non pu certo essere un attributo esclusivo contrario al-
lo Spirito, deve esistere il <~segno prolungantesi sull'arco del no-
stro tempo: il segno appunto in cui l'Ultimo presente dappertutto
sussiste corporeamente e quindi integralmente sul posto. Sicch
il suo Spirito, che la mediazione per antonomasia, costituisce pur
sempre una presenza; ma per giunta acquista anche presenza con una
tale attualit, che prima della Chiesa e del suo avvento non era
mai esistita neUa parola, nel sacramento e nel culto presi insieme.
Oltretutto poi, nemmeno la Pentecoste si pu sbrigativamente con-
trapporre alla massima caro cardo salutis di Tertulliano. Il se-
gno liturgia il luogo in cui l'oggetto segnato (che poi ovvia-
mente non solo render possibile 1'a liturgia del profano, ma ad-
dirittura la incrementer) riunito nel suo nome, prende coscienza
di s elevandosi mediante la parola e il segno, e rendendo cosi
attuato, afferrabile e quindi pienamente umano l'incontro con Dio.
Tali azioni (liturgiche) appartengono all'intero Corpo della Chiesa,
lo manifestano e lo implicano (costituzione sulla liturgia, art. 26);
costituiscono quindi un'autocomunicazione di Dio tramite il segno.
Per cui, rappresenta soltanto una semplice rivelazione d'uno stato
di cose il fatto che si parli cosi frequentemente della otxoo{], ossia
dell'edificazione del corpo, quando viene sul tappeto l'argomento del-
la comunit adunata a celebrare il culto. Qui infatti la vera sede
della Chiesa, qui avviene l'incontro del mondo con Dio e la sua
grazia.
ALOIS STENZEL
49

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SEZIONE SECONDA

J SINGOLI SACRAMENTI
COME ARTICOLAZIONE DEL SACRAMENTO RADICALE

I. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

I. La problematica proposta in questa sezione

Per venir rettamente intese, le considerazioni che ci accingiamo a


svolgere nella presente .sezione, vanno inquadrate alla luce delle pre-
messe esposte nel:le introduzioni sia del 1 sia di questo IV volume.
Come l abbiamo spiegato, il piano d'impostazione che abbiamo scel-
to per questa dogmatica, si stacca volutamente da una esposizione
chiusa e compatta della teologia sacramentale dogmatica. In tal mo-
do, abbiamo mirato a controbilanciare, almeno in parte quel so-
vrappeso che stato loro imposto, nello schema generale della dog-
matica, dal trattato tradizionale sui sacramenti. 1 Comunque la si
pensi al proposito, le dj.squisizioni che intraprendiamo sono state
istradate sul: binario tracciato da questo principio fissato in partenza,
senza per altro che questo debba venir presentato come l'unico ade-
rente alla realt; e non altrimenti va inteso anche }'aspetto fonda-
mentale di stretta aderenza alla storia salvifica, cui l'intera opera si
intenzionalmente ispirata.2 Abbiamo cosi posto una delimitazione,
in base alla quale nostra intenzione allinearci. Questa sezione del
libro dovr quindi dare per presupposte non poche nozioni trattate
m precedenti passi dell'intera presente opera, e per certi altri ar-

1 Mysterium Salutis 1v/1, 18.


2 Una dogmatica orientata in senso storico-salvifico corrisponde quindi sicura-
menit alle prospettive (del Vaticano n).. ., anche se con ci non si presa una
decisione anticipata circa il modo in cui debba presentarsi una teologia storico-sal-
vifica, e non viene posta in discussione una legittima pluralit di teologie (My-
steriu'" Salulis r/r, 5).
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI JI

gomenti, magari qui attesi come cosa ovvia, rimandare agli altri con-
tributi accolti in questo volume parziale o nel v volume che se-
guir, senza nemmeno continuar a richiamare ~'attenzione sui rela-
tivi passi. Per l'esattezza, diciamo questo riferendoci innanzitutto al
IV capitolo Il nuovo popolo di Dio come sacramento di salvezza,
e pi precisamente alla sua II sezione La Chiesa come sacramento
di salvezza: 3 le questioni col svolte non vanno certo ripetute qui,
ma sempre tenute presenti si. Ci non pu ovviamente impedirci
di articolare meglio determinate affermazioni, senza le quali il fine
propostosi da questa nostra sezione non potr venir raggiunto. Inol-
tre - e anche .a questo proposito le cose dovrebbero essere chiare
- , non si pu attendersi di trovare qui ripetuto ci, o addirittura
tutto ci, che un tempo ci si preoccupava di offrire sotto il titolo
De sacramentis in genere; oppure di vedervi realizzate tutte le
esigenze che oggi si potrebbero accampare nei confronti d'una teo-
logia sacramentale specifica, compilata esaurientemente come tale.
Di andare incontro a queste ultime pretese, non ce lo permette n
n principio strutturatore scelto. per la presente opera, n lo spazio
posto a nostra disposizione.
Il considerare la Chiesa come sacramento di salvezza, e tanto pi
attenendosi alla formula che concepisce la Chiesa come sacramento
fontale o radicale (sacramento di base) e come tale la designa, rap-
presenta una recentissima conquista e al contempo un rilancio de-
gH sforzi dogmatico-sistematici posti in atto dall'ecclesiologia. Oggi,
come gi si ampiamente dimostrato,4 essa pu rkhiamarsi tranquil-
arnente alle dichiarazioni del Vaticano 11. In effetti, la visione sacra-
mentale della Chiesa pu mostrare il nesso, cosl importante in una
prospettiva storico-salvifica tra Cristo, sacramento dell'incontro con
Dio, e i singoli. sacramenti intesi come articolazioni e attualizzazio-
ni della Chiesa, in quanto sacramento radicale,' nonch ulteriori
utilissimi risvolti. Tuttavia, bisogna non dimenticare qui che tutti
gli spunti ecdesiologici formali rimangono pur sempre insufficienti,
fintanto che la stessa Chiesa vivente resta un mistero di fede. Per
la stessa ragione, va accuratamente evitato anche un impiego esa-

l Mysterium Salutis, rv/r, 347-437 e rispettivamente 377-437.


4 Cf. Mysterium Salutis 1v/1, 377-437.
S Mysterium Salutis 1v/1, 16-17.
52 l SACRAMENTI

gerato deU'idea di 'sacramentale',6 proprio in relazione ad una pi


ampia e completa comprensione della Chiesa. Ora, questo richiede
da noi oltre al resto di non fraintendere il tema della presente se-
zione, pensando magari che la Chiesa fosse intesa e concepita gi da
un pezzo nella sua essenza e nelle sue estrinsecazioni vitali come sa-
cramento o sacramento di base, grazie ad una visione teologica
pre-acquisita ormai da lungo tempo; per cui, adesso, basterebbe sol-
tanto arguire per via esplicativa e deduttiva che cosa siano i sin-
goli sacramenti, visti come articolazioni od attualizzazioni di una
Chiesa cosl concepita gi in antecedenza. Viceversa, noi dobbiamo
qui riconsiderare pi a fondo, anzi integrare ulteriormente, le osser-
vazioni fatte nel IV capitolo,7 che parlano del carattere (meramente)
analogo del concetto di Sacramento, quando esso viene riferito
a Cristo, alla Chiesa, e poi anche ai sacramenti propriamente det-
ti (e magari ancora ad altri) realizzazioni della vita di questa Chie-
sa. Ogni elevazione ad assoluto d'un principio ordinativo, per quan-
to fruttuoso esso possa anche dimostrarsi nel suo campo, risultereb-
be qui assai gravida di conseguenze. Si, perch ci riserveremo di lu-
meggiare pi avanti in questa stessa sezione il carattere analogico qui
appena accennato, se il nostro averlo tratto in campo non vuol es-
sere una scusa a buon mercato. L'idea che ci si fa della Chiesa e
quella che ci si fa dei sacramenti, si implicano e si spiegano a vi-
cenda. Qui succede press'a poco quello che avviene neUa questione
della mutua dilucidazione e compenetrazione del trattato sulla Tri-
nit con quello sulla cristo1'ogia. 8 Allo stesso modo infatti, non si
pu acquisire una corretta immagine della Chiesa senza una suffi-
den temente profonda visione delle estrinsecazioni vitali di questa
Chiesa, soprattutto di quelle azioni che noi chiamiamo sacramenti in
senso stretto (ma non soltanto di esse!); e H concetto pi ampio di
queste stesse realizzazioni non si pu evincere, se non alla luce di
un valido, seppur ancora sempre provvisorio, ritratto della Chiesa.
Ora, non si pu onestamente dimenticare che questa idea della
Chiesa vista come sacramento fontale o radicale, cos come di fatto
stata di recente acquisita (o riacquisita) nella storia della teologia

6 Mysterium Salutis IV/ I, 17.


7 Mysterium Salutis IV I r, 389-394.
Cf. anche l'intera sezione col riportata.
8 Cf. al proposito l'articolo di R. SamLTE, Mysterium Salutis m/r, 69-79.
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
.53

e per lo pi viene insegnata, se analizzata pi da vicino, presenta


parecchi lati deboli e numerosi limiti, .che sono proprio quelli <la
esaminare accuratamente in questa sezione. Non si pu infatti s!ug-
gire all'impressione che le affermazioni concernenti la Chiesa \:Ome
sacramento fontale vengano acquisite e caldeggiate, pi di quanto
sia ragionevole e oggettivamente permesso, da un concetto di sacra-
mento prefissato, dato quasi per ovvio e presupposto, e quindi non
pi sufficientemente controllato, quale in questi ultimi decc::nni si
sbrigativamente incominciato ad applicare, con una certa restrizio-
ne, ai (singoli) sacramenti. Ora, in questo uso ormai invalso, si an-
nida una sottile ma incontestabile problematica, e affonda i} suo in-
trico la radice di numerose difficolt e insufficienze. Consciamente o
inconsciamente, si parte con troppa faciloneria da un concetto ba-
silare gi fissato in partenza, dato per presupposto come abbastanza
chiaro, di sacramento. In tal modo, risulta ovviamente difficile sfug-
gire ad un circolo (in questa forma ingiustificato, e quindi vizioso),
che tiene imprigionata la conoscenza teol~gica, vincolandola in ma-
niera nient'affatto oggettiva ad un concetto di sacrnmento sostan-
zialmente inadeguato {come dimostreremo fra breve), perch in que-
sti ultimi decenni inteso in senso troppo ristretto. In effetti, che
cosa significhi la Chiesa vista come sacramento fontale o radicale,
lo si viene a dimostrare pi o meno consapevolmente facendo leva
sul concetto di sacramento accettato gi in partenza come sufficien-
temente chiaro, seppure con determinate misure precauzionali mi-
ranti ad evitare i malintesi; e soltanto dopo, si passa ad esporre i
(singoli) sacramenti, mettendoli meglio e pi esattamente in luce
partendo dalla natura cos concepita (e ora supposta pienamente va-
lida) della Chiesa.9 La problematica insita in questa impostazione
nota ormai da un pezzo; e risolveda compito dell'ecclesiologia e

9 La maggior parte dei tenta!Jvt sinora proposti di concepire la Chiesa come sa


cramento fontale o basilare portano in s qualche consistente traccia degli elementi
poc'a117.i criticati. Occorre per altro non dimenticare che sinora si (quasi) sempre
trattato di riacquisire questa visione della Chiesa. In un'impresa del genere, oltre
tutto, era si pu dire impossibile muoversi battendo una via diversa da quella
di partire dal gi noto. Ovviamente, il travaglio provocato da un tale procedi-
mento risulta oggi palese, tanto pi che i corrispondenti risultati della ricerca re-
sponsabile nel campo biblico e della storia dei dogmi per la maggior parte man-
cano ancora del tutto.
I SACRAMENTI
54

della teologia sacramentaria anche odierne. Del resto, le cose non


vanno diversamente nemmeno in un altro settore, che senz'altro ci
interessa da vicino, vale a dire nella questione concernente il rap-
porto fra parola e sacramento, tanto pi che entrambi vanno conce-
piti prendendo lo spunto dalla Chiesa. 10
In questa sede, dobbiamo per lo meno dare uno sguardo ad un
altro problema, cercando di appurare se circa i sacramenti si possa
dire davvero tutto, qualora si considerino come attualizzazioni e au-
torealizzazioni della Chiesa vista come sacramento radicale e soltanto
cos. di palmare evidenza come qui tutto dipenda dai significati
che si vogliono dare al concetto di sacramento, allorch si preten-
de renderlo applicabile in maniera analogica, qualunque essa sia, a
Cristo, poi alla Chiesa, e infine ai sette (singoli) sacramenti (e ma-
gari persino ad altre cose ancora). Che qui abbiano ovviamente il
diritto di dire un po' la loro anche nozioni bibliche, inteUettuali,
storico-dogmatiche, antropologiche e di attualit contemporanea, per
ora riteniamo basti soltanto accennarlo. Potrebbe infatti risultare
che un tale concetto di sacramento, tuttora da acquisire in maniera
nuova e critica, ma pur sempre pi aderente alla realt di quello
nutrito sino adesso, se applicato alla Chiesa dia o capti decisamen-
te pi di quanto ancora al momento attuale possano far presagire le
apparenze. Si pensi soltanto all'antico eppur sempre attuale proble-
ma concernente il binomio parola e sacramento (a proposito del
quale, lasciamo per ora completamente aperta la questione del come
vada interpretata questa e che li congiunge). Per altro verso, que-
sta sacramentalit della Chiesa ora compresa in maniera pi profon-
da potrebbe rivelarsi tale, da attualizzarsi in quakosa che va de-
cisamente oltre le mere sette estrinsecazioni oggi denominate spe-
cificamente sacramenth>. Inohre, queste espressioni di vita eccle-
siale dette appunto sacramenti, se esaminate nuovamente sulla ba-
se della loro essenza comune, si potrebbero presentare pi vaste e
complesse di quanto sarebbe immaginabile qualora essi venissero vi-
sti e concepiti (soltanto) come autorealizzazione della Chiesa. Resta
infatti ancora da vedere se l'essenza (sotto un certo aspetto comune)

to Cf. in materia W. KASPER, 'Wort und Sakrament', in: Glaube und Geschichte,
Mainz 1970, 285-310, spcc. 289-295.
CONSTDEllllZJONI PllELlMINARl
55

dei (sette) sacramenti, ossia la loro sacramentalit, riesca a spie-


garsi completamente allo sguardo, quando si concepiscano come
estrinsecazione vitale deUa Chiesa soltanto. Occorrerebbe per lo me-
no dire prima chiaramente che cosa significhi, nel caso nostro, il
termine Chiesa. Allora per, il problema della partecipazione
di Dio, di Cristo, dello Spirito santo, degli uomini (o degli indivi-
dui) e de1' mondo, resta ancor da affrontare. Eppure non si pu
passare sotto silenzio. Proseguendo nelle nostre considerazioni, dob-
biamo tener sempre ben presenti i problemi qui accennati, quantun-
que - come gi abbiamo premesso - siamo obbligati ad attenerci
all'assunto della nostra sezione, e quindi non possiamo elaborare una
completa (e aggiornata) teologia sacramentaria (nel senso di svolge-
re un trattato completo e a s stante De sacramentis in genere).

2. La problematica posta oggi da una teologia sacramentale generica

Da quanto siam venuti sin qui dicendo, si deduce subito anche auto-
maticamente di fronte a quali compiti e difficolt concreti venga og-
gi a trovarsi l'elaborazione d'una teologia generale dei sacramenti. I
nuovi problemi cristologici ed ecclesiologici che s'affacciano ora alla
ribalta esigendo una soluzione, debbono - come adesso non c' pi
nemmeno bisogno di dimostrare - avere un influsso diretto anche
suHa comprensione di quelle azioni salutari, che continuano peren-
nemente a realizzare e a trasmettere nell'oggi, per via ecclesiale e
tramite segni efficaci, la salvezza per i molti conseguita dalla per-
sona e dall'opera di Ges Cristo. A tutto ci, si aggiungono poi og-
gi pi che mai la generale rifioritura e H deciso rilancio della teo-
logia, specie in seno alla Chiesa cattolica, verificatisi durante e so-
prattutto dopo il Vaticano 11. Per questa ragione, come pure sotto
la spinta delle generalizzate componenti storico-spirituali dell'epoca
attuale, che sembra caratterizzata spesso e sin troppo uni1'ateralmente
dalla tecnica e dal pensiero funzionalistico terreno posto in primo
piano, la teologia sacramentale in genere stata rimessa in discus-
sione, specie nei suoi fondamenti. Ora, questo un fenomeno di
portata tanto pio vasta ed immediata, in quanto i sacramenti van-
no trattati con senso di responsabilit, sia nella teologia teorica
l SACRAMENTI

sia in quella pratica. Sicch, dagli anni


'20 in poi, i moti di rin-
novamento liturgico sono stati e sono tuttora lo spunto per una
nuova riflessione sulla teologia sacramentale: basti solo ricordare in
questo contesto la teologia dei misteri, con tutta la serie di molte-
plici discussioni da essa suscitata, non soltanto nel settore liturgico
o in quello della teologia sacramentale; ma sono stati e sono anche
i risultati delle pi recenti ricerche nel campo dell'antropologia, del-
la scienza delle religioni, deU'esegesi, della storia dei dogmi, della
dogmatica speculativa. indiscusso che la dottrina sacramentale cri-
stiana versa oggi pi che mai in una crisi grave, derivante per altro
non da una sola radice. Senza esser intenzionati a svolgere qui una
riflessione completa sull'argomento, riteniamo utile al nostro assun-
to richiamare l'attenzione, a titolo esemplificativo, sui fatti seguenti.

Accanto allo spirito del tempo universalmente improntato alla tecnica


odierna, di per s piuttosto restio ad una concezione personale e sa-
cramentale della realt, pulsa oggi anche una consapevolezza (spes~o ov-
viamente inarticolata) e una nostalgia sovente repressa ma sempre riaf-
fiorante di ci che rientra nel patrimonio fondamentale della fede cri-
stiana, della sua attuazione personale, individuale e comunitaria, con-
cretizzantesi appunto anche nelle estrinsecazioni sacramentali. Ora, su
queste tendenze generali del pensiero storico, non di rado in apparenza
contraddittorie, hanno influito i risultati de1la pi recente esegesi bi-
blica, nonch gli sforzi pasti in atto nel campo della storia dei dogmi
e dall'odierna filosofia, senza che per altro si possa dire che i problemi
pratici e speculativo-teologici da e~se suscitati sono gi risolti. Di con-
seguenza, risulta sempre pi difficile ritrasmettere candidamente la dot-
trina sui sacramenti, forse ancora qualche decennio fa abbastanza calma
e tranquilla, relativamente omogenea, senza prima sottoporla ad un rie-
same teologico spinto in profondit. Un semplice .sguardo dato -alle mol-
teplici difficolt che s'incontrano nell'assimilazione teologica dei singoli
sacramenti, cosl come essi oggi ci si presentano, ci pu sufficientemente
istruire al proposito. Le questioni teologiche concernenti l'eucarestia so-
no qui forse le pi salienti. Eppure gi da lungo tempo siamo quasi alle
stesse anche per quanto riguarda il battesimo; per tacere poi comple-
tamente dei sacramenti non riconosciuti dalle Chiese protestanti. Queste
discussioni teologiche sui singoli sacramenti debbno per riflettersi ne-
cessariamente su una dottrina sacramentale generale, portata avanti con
senso di responsabilit.

Sul numero dei sacramenti non intendiamo qui ancora sofl:ermarci a


CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
57

riflettere; diciamo subito tuttavia che esso va concepito partendo da


un principio teologico, sicch non pu risultare indifferente agli ef-
fetti d'una teologia sacramentaria general-e da elaborarsi. Assai pi
importante per un'altra questione. Se non si vogliono veder dis-
solversi i sacramenti, n nel loro concetto teologico giustificativo n
nel loro uso pratico, ossia nella conoscenza della loro intrinseca ed
essenziale appartenenza a~ substrato fondamentale della Chiesa di
Ges Cristo, allora la teologia sacramentaria, anche in quanto gene-
rale (comunque s'intendano poi i cosiddetti sacramenti singoli), si
trova automaticamente coinvolta nel problema che, nell'odierna ri-
flessione teologica, si deve cercar di risolvere basandosi sulla storia
della vita e della teologia di questa Chiesa.

Evidentemente, oggi non si riesce pi con la tranquilla sicurezza che si


aveva in passato, a mantenere il trattato dei sacramenti nell'ordinato
quadro sinora usuale. La suddivisione nei due grandi capitoli fondamen-
tali De sacramentis in genere e De sacramentis in specie ormai
divenuta estremamente problematica, perfino nei riguardi di questa stessa
successione. Sotto la spinta dei pi recenti risultati della ricerca esege-
tica, storico-dogmatica e liturgica, ma altresl per considerazioni di ca-
rattere sistematico, non ormai pi insolito, specie in campo protestan-
te, veder trattare i singoli sacramenti non pi compatt.mente e in u"
unico luogo della dogmatica, ma trovarseli invece rimandati ai singoli
trattati in cui vengono a collocarsi meglio in base alle concezioni poc'an-
zi esposte. Di consegue112a, una vasta trattazione De sacramentis in ge-
nere viene spesso tralasciata completamente. Tuttavia, se non si vuol
rinunciare miseramente ad un concetto almeno in parte ancora comune
di sacramento, visto come un elemento cristianamente e teologicamente
legittimo, anzi addirittura necessario, continua senz'altro ad imporsi tas-
sativamente l'obbligo di svolgere la teologia sacramentaria generale, sep-
pure magari riconoscendo che deve lasciarsi sottoporre ad una radicale
ristrutturazione. In effetti, essa non pu semplicemente venir aggirata al-
la larga mediante la ripartizione dell'analisi dei singoli sacramenti svolta
in altri trattati, cosl come lo stesso concetto di sacramento, riconosciuto
pur sempre come teologicamente legittimo, importante e necessario, de-
ve restare applicabile a parecchie realizzazioni pienamente ecclesiali. Ci
tanto pi vero, se rammentiamo come oggi si applichi nuovamente as-
sai pi che in passato il termine sacramento anche a Ges Cristo
stesso e alla Chiesa, considerandolo un concetto teologicamente dovizioso
e istruttivo.
I SACRAMENTI

Da queste riflessioni, si arguisce facilmente con quanta urgenza s'im-


ponga anche a noi uomini d'oggi il problema della collocazione della
teologia sui sacramenti in genere nel quadro complessivo della dog-
matica. A prima vista, la questione sembrerebbe risolvibile in ma-
rtiera relativamente facil'e. Se infatti assodato che i sacramenti
trasmettono a modo loro la salvezza apportata da Ges Cristo e af-
fidata alla Chiesa, comunicandola ai singoli uomini come estrinseca-
zione vitale di questa Chiesa - dando qui per presupposta la sem-
plice e usuale definizione di sacramento - , allora la dottrina ge-
nerale sui sacramenti troverebbe quanto meno la sua giusta e ade-
guata collocazione nell'ambito dell'ecclesiologia, che a sua volta se-
gue sensatamente e oggettivamente la cristologia (abbinata alla so-
teriologia). Guardando le cose pi da vicino, per, si noter che
con questa sua coHocazione in seno all'ecclesiologia si potr dar com-
pleta soddisfazione teologica alla dottrina sui sacramenti in genere,
soltanto qualora prmza, nei trattati (effettivamente) preliminari di
teologia sistematica, in tutti i passi abbia davvero trovata la debita
considerazione anche esplicitamente la teologia sacramentale desti-
nata a venir esposta tematicamente solo in un secondo tempo. Sl,
perch soltanto quando sia stato espressamente spiegato tutto i} ne-
cessario per preparare una presentazione ampia e teologicamente sod-
disfacente della teologia sui sacramenti in genere, e al debito posto,
si potr attuare un suo inquadramento nell'ecclesiologia. Diversa-
mente, tutto quanto si dovr responsabilmente dire sui sacramenti
in genere, finir per sfondare questa cornice ecclesiologica. La ra-
gione sta ovviamente nel fatto che i sacramenti (comunque s'inten-
n
dano e qualunque ne sia numero specificamente accettato) non so-
no in primo luogo una dottrina, bensl un'espressione di vita con-
areta, e lo sono in grado decisamente pi alto e tangibile di
quanto si pu dire lo sia l'oggetto di altri trattati sistematici.

Ne consegue che Ia preoccupazione e i compiti della teologia sui sacra-


menti in genere, da sviluppare in maniera appunto speciale e compatta
a suo luogo, deve necessariamente risultare presente, efficace ed incisiva,
gi in tutti gli altri trattati. Occorre prendere davvero sul serio, senz'al-
tro pi di quanto effettivamente si sta facendo adesso, le estrinsecazioni
di vita ecclesiali e sacramentali della Chiesa (come pure della liturgia in
genere), guardandole come qualcosa di ben superiore ad un mero locus
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI 59

theologicus. Qui ovviamente non pu trattarsi semplicemente di ad-


durre soltanto dei testi liturgici, e in tal senso sacramentali, portandoli
magari come prove attinte dalla tradizione in favore di determinati
insegnamenti (cosa che, a tempo debito, si deve anche fare). La vita ec-
clesiale, invece, effettivamente vissuta in quelle realizzazioni che noi chia-
miamo sacramenti, deve oltre al resto offrire un orizzonte comprensivo e
una luce atta a permettere una visione teologico-cristiana del mistero co-
stituito da Dio e dall'uomo, in cui Dio e uomo s'incontrano e alla cui
retta comprensione si sforza appunto di accostarsi la teologia.

Basta dare uno sguardo ad uno dei problemi oggi pi pressanti del-
la teologia sui sacramenti in genere, e precisamente alla questione
se sia possibile ricavare un valido e responsabilmente sostenibile
concetto di sacramento, per riconoscere di primo acchito l'esattezza
di quanto abbiamo detto. Esso infatti divenuto problematico (os-
sia degno di riesame) in maniera del tutto nuova. Che sia stato
sin da sempre un concetto spiccatamente aperto, mai univocamente
ed esclusivamente definito o anche soltanto fissato dal lessico uni-
ver.sale cristiano, lo sta a dimostrare la ricerca storica, che quanto
pi si dilunga tanto pi ce lo fa vedere chiaramente. Questa pro-
blematica viene ulteriormente acutizzata dal1e questioni poste sul
tappeto dalla teologia controversistica e dall'ecumenismo, come pu-
re dalla gi sovente menzionata applicazione nuova o riacquisita del
concetto di sacramento a Ges Cristo e alla sua Chiesa: appli-
cazione, questa, che adesso viene preordinata e anche deve venir
preordinata aU'altra, cio a quella designante in maniera tipica i
riti specifici di salvezza. In effetti, questo (nuovo o ripristinato)
uso del termine sacramento pu richiamar.si al linguaggio biblico
con autorit maggiore di quanto non possa fare quell'altro.
L'intrico di problemi posti dall'applicazione del termine o del
concetto di sacramento a Ges Cristo, alla Chiesa, e alle (sette)
azioni salvifiche vigenti nella Chiesa (e magari ad altro ancora, co-
me p. es. alla parola), salta subito agli occhi non appena osservia-
mo con la necessaria attenzione le differenze essenziali qui riscon-
trabili, per non arrivare poi ad incongruenze assurde. Quando Ges
Cristo viene designato col nome di sacramento fontale deHa nostra
salvezza, si pensa di fatto a lui personalmente, alla sua persona che
abbina in s la natura divina ed umana tramite l'unione ipostatica
60 I SACRAMENTI

gi a suo tempo da noi spiegata, all'opera salvifica da lui svolta per


noi. Di fronte a tutto ci, la Chiesa gi un sacramento derivato.
Essa infatti s 7t.1}pwet Xp~cr"toii, ma soltanto in quanto suo
corpo, cui egli si contrappone in quanto capo, o - per meglio dire
- , in derivazione dal quale e insieme al quale essa pu essere sa-
cramento. La Chiesa, come popolo di Dio (Padre) e corpo di Cri-
sto formato da molte persone come membra, non rappresenta uni-
camente la somma di molti, ma consta tuttavia pur sempre di tante
persone. Guardando la Chiesa alla luce deH'unico (Dio)-Uomo Ge-
s Cristo, sacramento fontale della salvezza, noi rileviamo che essa
il sacramento radicale per partecipazione all'essere del suo capo e
Signore, cosicch non rappresenta un'altra persona accanto o sotto
Cristo, bensl proprio ci che qui si indica coi termini di corpo di
Cristo o di popolo di Dio. Essa incarna infatti la comunit (da in-
tendersi ovviamente come mistero) di molte persone, costituenti le
membra di questa Chiesa, che insieme a Cristo deve espletare la sua
funzione vitale, continuando a realizzare quanto il Signore ha (gi)
realizzato. Il carattere analogico e la differenza di applicazione del
concetto di sacramento in entrambi questi due casi vengono in
luce automaticamente, senza che per il momento siamo nemmeno
obbliigati a svilupparli ulteriormente. E diversa ancora l'applica-
zione, se poi anche la Chiesa e i sacramenti (intesi qui al plurale,
nel senso corrente e tradizionale dei sette segni efficaci di salvezza)
debbono cadere sotto l'unico concetto di sacramento. Sl, perch
a prima vista sembrerebbe esente da problemi l descrivere i riti
sacramentali come estrinsecazioni vitali od attuazioni della Chiesa,
di modo che i singoli sacramenti derivino fa loro designazione con-
cettuale dalla Chiesa stessa, dalla sua natura e dalla sua (unica)
funzione fondamentale. Ci che la Chiesa intrinsecamente ., ci
che spiega la sua vita e la sua funzione vitale, si realizza ed con-
tenuto nelle s11e singole azioni; sicch, partendo da un tutto com-
plessivo, esse possono chiamarsi davvero <~sacramenti (sempre e
ancora in senso partecipativo), beninteso solo in quanto esse da par-
te loro attuano ci che la Chiesa come sacramento fondamen-
tale (in Cristo e con Cristo), e, utilizzandoli come estrinsecazioni
singole della propria unica vita, di volta in volta modella ed opera.
Per quanto tutto ci possa apparire evidente e qui sia anche ogget-
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI 61

tivamente giusto, non si pu per altro dimenticare che restano sul


campo delle madornali incongruenze. Resta infatti da chiedersi
p. es. da dove si debba attingere il criterio per dimostrare quali rea-
lizzazioni singole della vita della Chiesa siano davvero sacramenti
da designarsi con questo nome, e quali invece no. In effetti, in-
dubbio che la Chiesa non attua la sua propria essenza soltanto nei
sette sacramenti. A tal proposito, basta ricordare il problema posto
dall'asserto parola e sacramento. Inoltre, nei sacramenti si rile-
va adesso come prima una ben precisa costituzione essenziale, una
cui componente (almeno e proprio nei sacramenti principali) un
elemento materiale. Ora, se tali componenti rientrano essenzial-
mente nel sacramento in quanto tale, resta poi da domandarsi come
queste componenti materiali vadano concepite per essere attualizza-
zioni (parziali) della Chiesa. Ci sarebbe quindi da chiedersi non pi
soltanto chi, ma altresl che cosa faccia parte della Chiesa. Nelle sue
estrinsecazioni sacramentali, la Chiesa si serve di beni o valori estra-
nei per esprimersi in essi e persino trasmettere la salvezza mediante
essi, oppure il' mondo ~ateriale stato gi da un pezzo messo a sua
completa disposizione, sicch il mondo materiale si accompagnereb-
be ormai da lunghissimo tempo alla Chiesa? Per adesso, ci basta
solo intavolare il problema. Che la sua soluzione rivesta alta impor-
tanza per la teologia del' mondo, dovrebbe essere di palmare eviden-
za. Resta per subito da decidere quale ampiezza debba assumere il
sacramento come concetto.
Tuttavia, quand'anche si voglia riservare in certo qual modo il
concetto di sacramento soltanto ai (sette) riti salvifici della Chiesa
(o vigenti nella Chiesa), gli interrogativi permangono egualmente.
La Bibbia infatti non conosce ancora questo concetto come concetto
comune superiore, applicabde ai singoli riti. Esso quindi un con-
cetto coniato dalla Chiesa e rispettivamente dalla teologia, per cui
deve lasciarsi continuamente sottoporre ad un riesame critico, ten-
dente ad appurare la sua effettiva e legittimamente sostenibile giu-
stificazione. In seguito, dovremo tentar ancora di avviare determinate
decisioni in merito ad una comprensione comune del concetto di sa-
cramento. Da quanto abbiamo sinora detto, dovrebbe comunque es-
sere ormai apparsa abbastanza chiara la problematica posta sul tap-
I SACRAMENTI

peto da una teologia sui sacramenti m genere. Il resto verr debita-


mente esaminato a suo luogo nelle considerazioni seguenti.

3. Possibilit d'una introduzione a far comprendere la categoria


del sacramentale

Non si pu disconoscere che il sa<:ramentale, cosl come va inteso nel


senso giuridico cristiano, sembra esser divenuto estraneo all'uomo
odierno. Esso incontra le sue difficolt nella ingenua conoscenza e
valutazione della realt simbolica ecclesiastico-sacramentale (un tem-
po piuttosto facile adesso assai meno). Le ragioni di questo fatto so-
no molte e svariate. In parte si tratta magari di semplici malintesi;
lo si pu supporre gi soltanto perch esistono anche parecchi feno-
meni, i quali denotano un accentuato anelito mirante a captare ci
che contenuto nell'evento sacramentale, anche in fatto di valore
sperimentale. Tuttavia, maggior peso potrebbe avere il legame da
un lato inevitabile, ma dall'altro continuamente problematico, alle
concretizzazioni storiche verificatesi nella vita sacramentale vissuta
del:la Chiesa, nella cui trasmissione alle generazioni successive, assie-
me ai riti e alle forme espressive non si sono tramandati sempre nel-
la stessa misura anche il corrispondente spirito, l'imprescindibile Co-
noscenza e la necessaria comprensione. Se per esaminiamo pi da
vicino le difficolt che impediscono oggi di capire il sacramentale,
vediamo che si possono forse ricondurre alle cause seguenti.
La difficolt maggiore nasce indubbiamente dalla carenza di fede
in Dio, amara caratteristica del nostro tempo. In effetti, la vita sa-
cramentale pu venir in qualche modo concepita e animatamente vis-
suta, soltanto qualora esista una consapevolezza sufficientemente sve-
glia del Dio personale, di un Dio che interessa l'individuo personal-
mente e anche in quanto inserito nella comunit, di un Dio che si
pu conoscere e sentire mentre agisce in questo nostro mondo e si
mantiene in contatto personale con l'uomo, per quanto misteriosa
possa anche essere la sua spiegazione. Ora, nella misura in cui
manca tale cosciente fede in Dio, s'incontreranno anche tante pi
diflicolt nell'accettare la vita sacramentale cristiana. In questa sede
non possiamo .addentrarci ad esaminare pi da vicino questa profon-
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

dissima radice dell'odierna stentata comprensione del fattore sacra-


mentale; essa va per tenuta presente in tutta la sua gravit.
Ed ecco ora la seconda difficolt da non dimenticare. Quand'an-
che l'esistenza e l'azione di Dio non vengano propriamente negate,
serpeggia oggi per un cosciente o per lo pi addirittura inconscio
spiritualismo, una specie di moderno gnosticismo, che si oppone alla
comprensione del sacramento, anzi perfino alla stessa valida sussi-
stenza della religione e della consapevole credenza in Dio. Iddio vie-
ne immaginato o sentito cosl accentuatamente nella sua trascenden-
za, da far sembrare che non resti pi alcuno spazio per una tale pre-
senza e operativit di Dio nella Chiesa e nel mondo, quale la tradi-
zionale coscienza di fede cristiania ritiene di dover conservare nei
confronti dei sacramenti. Gli uomini d'oggi sono sin troppo facil-
mente propensi a respingere tutto questo armamentario, specialmen-
te l'uso dichiarato essenziale di materiali come l'acqua, il pane e il
vino, l'olio, o di determinati gesti e forme espressive corporee, re-
legandolo nella magia, invece di credere che il Dio sopra-mondano
si sia legato per accordare all'uomo la salvezza a tali futili cose ter-
rene (come si usa dire). In questa categoria rientrano pertanto an-
che le difficolt derivanti dal legame al fatto storicamente avvenuto,
perdurante nella sua efficacia, cui la nostra vita e la nostria salvezza
per volere di Dio debbono restare vincolate: l'accettazione della sal-
vezza trasmessaci nei sacramenti, di quella salvezza che Ges Cri-
sto ci ha apportata precisamente tramite la sua vita e morte concre-
ta, reale e storica. Anche in questi problemi, oggi non meno assil-
lanti, non possiamo purtroppo -addentrarci ulteriormente in questa
sede. Nondimeno, l'accettazione per fede di questo mistero di sal-
vezza costituisce, stando a r Cor. 1-2, proprio l'accettazione della
sapienza di Dio rivelantesi ed estrinsecantesi nella croce di Cristo,
indispensabile per l'accettazione cosciente del fattore sacramentale
cristiano.
Infine vi sono delle difficolt minori, non certo dure come le pre-
cedenti da toglier di mezzo. Esse riguardano i sacramenti come azio-
ni rituali segnaletiche ed efficaci, personali ed ecclesiali. Si concen-
trano in fondo su una certa miopia di fronte alla realt in genere,
su una periferica superficialit dell'idea che ci si fa dell'esistenza e
della vita umana nelle azioni quotidiane ma pure eminentemente
I SACRAMEN'rl

umane, che hanno il loro movente nel febbrile attivismo del nostro
tempo. Risulta difficile riconoscere e vedere il mondo, le cose create
e gli uomini, presi tanto singolarmente quanto nella loro interdi-
pendenza di natura col mondo e la storia, scorgendone la strut-
turazione intima, considerandoli come reali e al contempo ancor da
realizzare, come (gi) dotati di significato eppure continuamente da
dotare di nuove accezioni e di nuovi significati. Stiamo ora nuova-
mente toccando delle questioni che qui non possono venir risolte,
ma che di fronte al nostro tempo, e soprattutto alla sua inumana
frenesia, non possono venir sottaciute da chi ritiene la vita sacra-
mentale degna di esser vissuta e presa in considerazione.
Prendendo le mosse dall'uhimo rilievo or ora fatto, tenteremo di
indicare con tutta la necessaria stringatezza una via provvisoria, ma
a tutt'oggi ancor battibile, per accostare il mondo del sacramentale;
e lo faremo, rammentando che questo mondo del sacramentale, se-
condo la nostra fede cristiana, l'unico mondo in cui viviamo, quan-
tunque sia pur sempre in attesa del'la sua perfezione escatologica. A
tale scopo, si pu descrivere provvisoriamente il sacramento nell'ac-
cezione cristiana, senza ancora esser tenuti a specificarne tutti i mo-
menti essenziali, presentandolo cosl.: nei sacramenti, si tratta d'un
evento interpersonale, ecclesiale, compiuto impiegando a mo' di se-
gno, cose, simboli, gesti e parole, in cui il sentimento interiore dei
cointeressati si manifesta in modo cosi palese, che i mezzi usati
fanno agire efficacemente anche sul piano personale e vitale la ri-
soluzione della volont (e del cuore) in essi venuta ad esprimersi.
Le persone cointeressate di cui si tratta nell'evento sacramentale,
sono in definitiva Dio e l'uomo. Qui ovviamente ha luogo una certa
forma di rappresentanza. Tramite questa mediazione personale, ma
altrcs corporea e materiale, ra comunicazione personale fra Dio e
l'uomo per la salvezza di quest'ultimo non viene affatto impedita:
il sacramento costituisce invece una delle pi1 intense possibilit di
incontro con Dio che si abbiano in questa vita. Certo, esso fa sentire
con infinita nostalgia l'affliggente <<non ancora della tanto agogna-
ta salvezza e della promessa vita in comunione con Dio; ma mette
in luce anche la fede avvalorata dalla vittoriosa speranza escatologica.
Quando si tenta di far (nuovamente) accettare la categoria del
sacramentale di stampo cristiano all'intelligenza dell'uomo, soprat-
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

tutto odierno, sviluppandola provvisoriamente nelle sue componenti


essenziali, si pu benissimo partire innanzitutto da determinate mo-
dalit di comportamento personale, universalmente incontestate per-
ch praticate tutti i giorni. Il rendersi conto di queste modalit,
adottate sin da sempre nella vita quotidiana e anche sempre impa-
rate per via conoscitiva e sentimentale, e quindi ben note, che
improntano la realizzazione della vita personale e le sue espressio-
ni, oppure influenzano e plasmano in svariati modi l'essere dell'in-
dividuo mediante il mondo e gli altri uomini, offre infatti una pos-
sibile ma al contempo anche necessaria comprensione preliminare,
per far capire certi momenti essenziali di ci che avviene specifica-
mente nei sacramenti cristiani, quand'anche essi abbiano inoltre qual-
che peculiarit che nella vita meramente naturale non compare
(ancora). D'altro canto, dobbiamo limitarci qui a dare soltanto l'ab-
bozzo a grandi linee d'un possibile avvio alla comprensione del sa-
cramentale. Tutte le altre pur non inutili implicanze antropologiche,
gnoseologiche e filosofiche ad essa collegate non possono qui venire
sviluppate, e meno che meno venir dilucidate e risolte. Possiamo
per altro appoggiare~ alle presentazioni fattene nelle corrispondenti
sezioni dell'intera presente opera, ove si riflette espressamente sulla
materia che qui, dato l'assunto propostoci, va soltanto accennata.

Appare senz'altro evidente e affiora chiaro anche alla coscienza dell'uo-


mo odierno che egli non si limita semplicemente ad esistere, che la
sua vita, e il suo essere non decorre solo automaticamente e senza
la profonda importanza accordatagli, ma ha invece un senso, o rispet-
tivamente abbisogna di un senso. Conosce il fatto e la necessit che
la vita umana venga sistematicamente modellata, in svariate forme, tan-
to dall'individuo stesso quanto dalla comunit. Ce lo dice chiaramente
una espressione popolare, quando afferma che qualcuno Sa (o non sa)
cosa farsene della vita. E proprio l'esperienza del travaglio costituito
dalla minaccia di veder andar perduta la possibilit di formazione ve-
ramente umana, la -sensata auroconoscenza personale, la significativit
della vita nelle sue singole estrinsecazioni fenomeniche, nota gi da un
pezzo come il rischio pili sinistro incombente sulla vicenda umana in
genere. L'interrogativo sul senso da dare alla vita, oggi forse posto con
maggior insistenza di quanto mai si sia fatto in passato, e che non si
pu n si deve eludere appigliandosi alla mera esistenza del mondo e del-
l'uomo, scopre ineluttabilmente, gi solo come interrogativo sollevato
coscientemente sin da sempre, la conoscenza che tutti hanno dell'impos-
66 I SACRAMENTI

sibilit che il mondo, le singole cose e gli avvenimenti siano privi di


senso nel complesso della realt oggettiva e personale. Soltanto un sen-
so in qualche modo percepito, seppure non ancora intravisto chiara-
mente e con nettezza di contorni, desta qualche legittima e fondata spe-
ranza di subodorare nelle e quasi <~dietro le apparenze fenomeniche
frontali dcl mondo e dell'esistenza, anzi a causa e per tramite di queste
apparenze, una importanza e un senso, offrendo cosl la possibilit
e imponendo anzi il dovere di indagare per trovarli. L'uomo sa di pos-
sedere il coraggio di accettare tutto come sensato, e quindi di aver fi-
ducia nel mondo e nelle cose.
Se tutto questo vero gi per l'esistenza, per il mondo e le cose in
genere, l'uomo conosce e sente tanto pi intensamente come ovvio e
misteriosamente importante, al contempo e insieme, anche il proprio set-
tore, ossia il settore tipicamente umano. Si pu pensare qui alle reazioni
emotive suscitate in lui dalla contemplazione della natura, p. es. di
un paesaggio o di qualche avvenimento; oppure, assai pi intensamente
ancora, all'importanza rivestita per lui dal gioco prima e dall'arte poi.
L'uomo conosce dappertutto !'importanza palese o ancor nascosta, ma
incalzante sempre alla scoperta, di tutto questo; sa quindi che esiste
qualcosa, in ordine a cui un elemento visto e sperimentato pu e
deve pur sempre ancora venir esaminato. manifestamente viva questa
consapevolezza, attivata e confermata dovunque dalla vita quotidiana, di
una scienza e coscienza acquisite personalmente (sia dall'individuo sia
dalla comunit), che poggiano sulla base portante d'un sentirsi interlo-
quiti e toccati gi da un pezzo provato per esperienza. Ci che non
ha niente da dire, che non significa niente, in definitiva il nulla;
mentre ci che esiste, ha evidentemente qualcosa da dire, altrimenti non
lo tempesteremmo di domande, n ci soffermeremmo con calma a scan-
dargliarlo e a saggiarlo.
Siamo poi convinti che, nel caso nostro, non si tratta soltanto e nemme-
no in primo luogo del valore informativo-significativo di meri dati o di
semplici notificazioni esteriori. Il fatto assodato dall'esperienza in-
vece questo: mentre impariamo (coscientemente) a conoscere e perce-
piamo .il mondo, le cose, e soprattutto le altre persone, le facciamo
agire su di noi. Sappiamo infatti bene come il binomio aver importan-
za e incidere sia inscindibile. Se di un dato elemento non subodoria-
mo almeno l'importanza, non ci esponiamo neppure volentieri al rischio
che esso influisca su di noi. Ci che non nulla e non significa nulla,
non ci influenza n ci d mai un brivido vitale. E oltretutto, noi non
veniamo soltanto influenzati in molti modi passivamente, a-personalmen-
te e materialmente, ma ci attendiamo e desideriamo altresl che ci av-
venga attraverso il varco d'una apertura da noi coscientemente attuata,
ove possono irrompere le cose, la realt e soprattutto gli altri uomini.
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

Ne viene una sollecita compartecipazione, un interscambio personale nel


dar parte e nel prender parte cui d adito il fattore influenzante affer-
rabile e comprensibile. Il non potere o non voler percepire nulla come
espresso dall'altro, e non lasciarsi assolutamente pi influenzare, la
stessa identica cosa: il crollo e la fine della sfera personale, l'ina-
nizione e la morte della vita personale umana.
A questo dato di esperienza viva e quotidiana dalle infinite sfaccettature
(perch valido per ogni realt da noi conosciuta), qui soltanto vagamen-
te accennato, corrisponde un altro elemento, che rappresenta per sol-
tanto l'altra faccia dello stesso identico stato di cose. Alludiamo alla
certezza, a tutt'oggi ancora tetragona perch inerente all'uomo stesso (per
quanto disumanamente egli si comporti, o per quanto inumana sia
la situazione in cui versa), dell'esistenza della possibilit originariamen-
te connaturata, universalmente sperimentata, continuamente attuata e
quindi ormai divenuta un fatto indiscusso, di esprimersi, ossia di ma-
nifestarsi personalmente, di estrovertersi quasi spingendosi oltre la me-
ra esistenza fisica; e quando non si ha pi alcuna estrinsecazione vitale,
ormai la morte. La propria esistenza personale, il proprio intimo, e
quindi in primo luogo i pensieri e i moti della volont annidati nella
propria sfera interiore, esigono per essere se stessi una espressione in
e attraverso un altro. L'anima, che un elemento spirituale, o psi-
chico, o comunque sempre innanzitutto puramente interiore, si in-
carna, si estrinseca esprimendosi in un altro, nel (proprio!) corpo.
Noi sappiamo sino a qual punto sconcerti un volto ebete, perch privo
d'espressione personale. Un viso spiritualizzato, invece, qualcosa di
ben pi alto d'una mera maschera anatomico-materiale. Sl, perch la
espressione d'una ricca sfera interiore, e quindi impressiona personalmen-
te. Gli atteggiamenti psichici e mentali, i sentimenti e i moti della vo-
lont risultano reali e personalmente incisivi, soltanto allorch si espri-
mono mediante gesti, parole e altre cose, e unicamente cosi riescono ad
impressionare. Abbiamo cosi descritto che cosa in senso genuino e com-
plessivo si possa chiamare simbolo o segno. Guardando pi a fon-
do, si possono scoprire, accanto al corpo visto come simbolo umano e
personale primario, tutta una serie di altri simboli, che rientrano nel-
l'uomo concreto, sia considerato come individuo sia come inserito nel
tessuto comunitario. Qui bisogna menzionare in primissimo luogo il lin-
guaggio umano nelle sue infinite forme espressive dell'essere personale,
il discorso, la parola, visti come simbolo designante la persona, capace
di coglierla e di darle un mordente. Oltre a questo, andrebbero ricor-
dati gli svariati atteggiamenti somatici, il linguaggio delle mani e del
volto. E in aggiunta, si potrebbe accennare alle molte forme con cui
l'uomo riesce ad esprimersi tramite le cose che lo circondano. S'inco-
mincia dalla sistemazione della casa o dell'appartamento, che viene ar-
68 I SACRAMF.NTl

tedato con le diverse cose di cui egli si serve per curare la propria vita,
per darle un'impronta e farla assurgere ad espressione del proprio io,
cosicch essa possa venir tipkamente individuata e riconosciuta dagli
altri come dotata d'un inconfondibile stile.
Una modalit tutta particolare di esprimersi qui indubbiamente il re-
galo, ossia l'appigliarsi a qualcosa di gi esistente, che come tale c'
gi da un pezzo, ma che ora viene colmato supplementarmente di un
significato nuovo, speciale, costituito dalla mente e dal cuore, anzi dalla
persona stessa del donatore di cui manifesta l'affetto. Facendolo, il do-
natore stesso vuole e pu accostare l'altro, nella cosa e attraverso la
cosa offerta in regalo. Il mazzo di rose, donato in una determinata oc-
casione con un particolare intento del cuore, sotto l'aspetto scientifco-
naturale e botanico pu anche essere (e rimanere) un affastellato di fiori
naturali chiaramente individuabili; ma come regalo, porta in s qualcosa
di promanante dalla persona, che lo fa diventare ben pi di quello che
esso in s e per s. In effetti, porta con s percettibilmente ed inci-
sivamente la persona del donatore nella misura voluta dai sentimenti
del suo cuore, affinch tramite questo mezzo essa venga riconosciuta dal-
l'altro proprio nella sua disposizione d'animo affettiva, suscitando nella
controparte una impressione reattiva personale. L'invito a cena, l'orga-
nizzare un pasto in comune come attestazione d'amicizia, significano
sempre qualcosa, e non certo quel!o che potrebbe apparire in primo pia-
no, ossia il bisogno di nutrirsi o la dichiarazione d'una necessit che si
vuol placare. Nell'agire comune invece, nel mangiare assieme, sebbene
quest'azione abbia <<gi di per s un contenuto significativo ed effica-
ce (necessario per natura, e quindi non arbitrario ma pur sempre spic-
catamente umano), deve trovar espressione e attuarsi anche un al-
tro fatto, eminentemente personale, che non pu essere meramente in-
tellettuale, ma deve invece estrinsecarsi soltanto in realizzazioni vive:
l'<(essere dell'amicizia. Occorre anche sottolineare, qui, come si tratti
d'un avvenimento cui partecipano ambedue le persone tramite un segno
comune: lo spirito di entrambe infatti s'incontra sotto l'emblema del
segno nello stesso identico fattore intermedio, p. es. nella cena consu-
mata assieme, dove trova modo di esprimersi in proporzione proprio al-
l'interesse che esse hanno l'una per l'altra. E attraverso quest'azione si-
gnificativa compiuta in comune avviene qualcosa: dopo di essa infat-
ti, si va per la propria strada diversi da come ci si era riuniti, o me-
glio ancora, grazie a tale segno, dopo ci si trova anche nella lontananza
pi uniti di quanto non lo si fosse prima di tale estroversione dello
spirito d'amicizia. Sicch il segno produce qualcosa nelle persone coin-
teressate.
Possiamo inoltre accennare anche al fatto che il fenomeno poc'anzi pro-
spettato si delinea pure in seno alle molteplici comunit umane. Esisto-
CONSIDERAZIONI ~RELIM!NARI

no atteggiamenti personali collettivi, che assumono del pari un'impronta


individuale e multi-personale, dandovi un'espressione fisica ben percet-
tibile. Si pensi soltanto a quelle forme oggi assai massicce di espressio-
ni collettive che sono p. es. i cortei di dimostrazione, in cui magari at-
traverso una marcia fatta in comune si mira ad esprimere un atteggia-
mento e un sentimento personale e ideologico comunitario, che si af.
ferma incisivamente anche in manifestazioni esteriori. Sappiamo benissi-
mo che qui il marciare preso <dn se stesso non fa percepire n concre-
tizza assolutamente quello che s'intende far capire: l'intenzione va
soggiunta e dichiarata, appunto perch d'altro canto proprio il mero
dirla a parole viene sentito come insufficiente ed inefficace. Gli esempi
di questo genere si potrebbero addurre a migliaia. Cogliamo l'occasione
per rammentare anche le numerose modalit di rappresentanza personale,
che ha pure il suo mordente. Una comunit pu scegliere uno dei suoi
membri, creandolo suo portavoce responsabile e dotato di pieni poteri
delegati; come pure, viceversa, molti possono sostenere e portare ad ese-
cuzione la causa d'un singolo individuo.
Senza dilungarci per ora a sviluppare questo assunto, dobbiamo per su-
bito accennare anche all'incidenza che acquista la natura dell'uomo sotto
l'influsso della determinazione storica. L'uomo non esiste semplicemente
come individuo, bensl come persona incardinata nella comunit; e nem-
meno la comunit contemporanea del tutto indipendente, autonoma
e a s stante. L'esistenza e la vita umana sono invece fortemente in-
fluenznte da ci che possiamo chiamare alternarsi delle generazioni nel-
!'alveo storico. Ogni singola generazione viene modellata non soltanto
dalla vita degli individui appartenenti alla sua generazione, vita che si
esprime esercitando un mutuo influsso su tutti i coetanei, ma anche dal-
le generazioni precedenti e dalle impronte storiche da esse incise a fuoco
sulla vita umana. Per il nostro assunto, accanto a molte altre conseguen-
ze, ci comporta un altro fatto, su cui dobbiamo qui richiamare l'atten-
zione: come la vita umana in genere viene concepita e ritrasmessa di
generazione in generazione, in definitiva al contempo e inscindibilmente
da persona a persona, cosl sappiamo per esperienza che vengono ritra-
smesse, comunicate e passate in consegna anche le forme espressive e le
modalit d'impostazione di quest'unica vita umana, quand'anche essa si
presenti incarnata in molte persone e in molte generazioni. La storicit
della vita umana e la storicit delle estrinsecazioni e forme di tale vi-
ta non sono due cose diverse, bens la stessa identica cosa. Non esiste
alcuna vita umana nelle sue concrete realizzazioni (qui accennate in mo-
do ampio, seppure per nulla affatto esauriente), se non calata nei sim-
boli e nei modellati espressivi gi storicamente affermati, scoperti e
plasmati per via umana, volontaria e personale; e ci, sia che si pensi
all'individuo, sia alle molteplici forme collettive di comunit umana. Sto-
I SACRAMENTI

ricit della vita umana significa pertanto al contempo anche storicit


delle estrinsecazioni di vita umana, di simboli e forme espressive uma-
ne, con tutto quanto ci trae con s.
Ora, questo implica ovviamente qualcosa che non si pu trascurare. ln-
nanzirutto risulta chiaro dai rilievi sin qui fatti che, assieme alla vita e
alle sue forme espressive, va trasmessa anche la scoperta o la spie-
gazione del senso rivestito dalle modalit espressive ed effettive della
vita (associata) umana contenute nel bagaglio della tradizione. Se sem-
pre vero che il simbolo o l'espressione sono perennemente dotati d'una
carica e indirizzati da una persona ad un'altra, e racchiudono quindi
lo spirito e le relazioni di queste persone, tanto logico che non po-
tr mai esistere la consegna d'un mero simbolo. Con la consegna del
simbolo, va invece trasmessa anche la carica spirituale ad esso inerente,
e viceversa. Per dirla in altri termini: una generazione non pu limitarsi
soltanto a trasmettere alla seguente la vita, sia pure accompagnata
dalle forme espressive e dai simboli della convivenza umana e perso-
nale nel frattempo affermatisi. Essa invece tenuta a dare alla gene-
razione seguente, col dono e la forma della vita, anche lo spirito che la
impronta. In effetti, soltanto l'assimilazione dello stesso spirito permette
anche di accollarsi i simboli e le forme espressive gi in partenza saturi
d'una carica spirituale. D'accordo che qui rimangono pur sempre intatti
la personalit e la libert spirituale di tutti gli uomini, anche nei con-
fronti della tradizione di vita umana con tutte le sue forme di manife-
stazioni vitali modellate dall'afflato personale. Come l'esternarsi della
persona deve sempre avvenire con senso di responsabilit e in pieno ri-
spetto della verit, pur lasciando impregiudicata la spontaneit dell'auto-
comunicazione, cosl deve attuarsi anche l'assunzione della vita personale
e dello spirito insito nelle forme espressive gi plasmate in antecedenza.
Partendo da queste considerazioni, si pu trovare via libera per com-
prendere esattamente che cosa qui si possa chiamare tradizione (intesa
in duplice sensoJ, e altresi che cosa significhi vivere per se stessi e pla-
smarsi a nuovo modellandosi liberamente. In ogni caso, ci vien data la
possibilit di comprendere l'effettiva esistenza di forme vitali ed espres-
sive, accettandole liberamente (o meglio, accollandosele con senso. di re-
sponsabilit, oppure distaccanJosene con altrettanto senso di responsabi-
lit). Ricordiamo che si tratta di forme che possono sussistere gi da in-
tere generazioni, oppure che stanno subendo modifiche storiche, oppure
infine che si presentano come modalit espressive universali e quindi in-
derogabili della vita umana. L'importanza di queste considerazioni agli
effetti della vita concreta ecclesiale e sacramentale nell'alveo della sto-
ria di palmare evidenza.
In quanto siam venuti sin qui dicendo, risulta per altro sottintesa an-
che una premessa, che per ora non siamo tenuti a sviscerare ulterior-
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI 71

mente, in quanto verr analizzata sotto il profilo teologico a suo tempo.


Si tratta del fatto che l'essere umano, visto genericamente e nel suo in-
sieme, risulta fondamentalmente inserito in un senso universale, per cui
ha un senso (il che per altro, oggi, non va esente da problemi sotto
l'aspetto filosofico). In effetti, soltanto se ci vero, si pu parlare -
come abbiamo fatto noi - dell'unico spirito (da intendersi qui ovvia-
mente non in senso idealistico), che impronta del suo modellato la vita
umana associata e coordinata, impregnandola al punto che la trasmissio-
ne della vita (dapprima meramente biolOgica) pu e deve andar accom-
pagnata dalla tradizione dello spirito umano, il quale si esternato e
continua ad esternarsi nelle molteplici forme espressive della vita umana
impostata su schema personale, come si pu rilevare chiaramente e in
maniera incontrovertibile p. es. nel linguaggio 1.1mano.
Un altro ottimo spunto, partendo dal quale si possono far capire deter-
minati momenti del fattore sacramentale tipico del cristianesimo, po-
trebbe essere la conoscenza della peculiarit e irreiterabilit di certe rea-
lizzazioni, di certi giorni e di certi periodi della vita, che sono un caro
retaggio dell'uomo e fanno inderogabilmente parte della sua esistenza.
Questi sono innanzitutto una realt gi di per se stessi; ma poi, sicco-
me l'uomo non esiste soltanto in una dimensione spazio-temporale, me-
diante la rappresentazione, la riattivazione commemorativa e la confer-
ma ripetitiva, vengono continuamente resi attuali ed efficaci nel presente.
Basti pensare alla nascita e alla morte, al banchetto e al colloquio, al ma
trimonio, alla famiglia, a tante altre date importanti sotto il profilo in
dividuale o sociale, a molti periodi, a parecchie fasi ed istituzioni della
vita. Sono tutte forme ed estrinsecazioni vitali dotate di un loro carat-
tere designato e designante, potenziato ed incisivo, accompagnato spesso
al contempo da incarichi di servizio e da investiture che le improntano e
le portano ad effetto. Ci che qui stiamo dicendo, vale del resto tanto
per la vita individuale, quanto in larga misura anche per la vita strut
turata sulla base comunitaria. Gli avvenimenti storici della comunit na-
zionale e statale non coinvolgono soltanto la generazione direttamente in-
teressata, ma improntano invece, poco importa in quale forma, anche la
vicenda umana delle generazioni successive. E persino il ricordo ce-
lebrato nelle feste commemorative, quali i grandi giubilei o centenari,
che a prima vista potrebbe apparire solo una solennizzazione sociale e
statale, nella misura in cui viene inteso ed esternato in maniera perso-
nale genuinamente responsabile (ogni altra sua forma non sarebbe affat-
to un ricordo umano!), pu e deve costituire una percezione del senso
storico, assurgendo a richiamo ad una ulteriore impostazione storica per-
sonale ed espressiva dell'esistenza umana, e assumendo cosl un incisivo
mordente in quanto segno. Che qui vengano sul tappeto importanti pro-
blemi concernenti il senso della storia umana in genere, nonch la pa-
I SACRAMENTI

lese assurdit dell'impostazione data dall'uomo alla storia (che origina-


riamente non avrebbe assolutamente dovuto essere cosl insensata), non
lo si pu affatto dimenticare. Ma proprio questo ha a che fare con l'es-
senza dei sacramenti cristiani, perch in diretto rapporto con la nostra
fede e col senso immesso nella storia da Dio, da quel Dio che si erge
al di sopra d'ogni assennatezza e dissennatezza con cui l'uomo usa ma-
nipolare la storia, di quel Dio che pu riempire di nuovo significato per-
sino l'assurdo, colmandolo magari addirittura di efficacia salvifica (cf.
r Cor. 1-2 ). Ed ecco la croce come segno ed energia produttiva di sal-
vezza, e pertanto l'evento sacramentale, portati al centro dell'orizzonte
visivo.

I sacramenti cristiani sono appunto forme espressive vitali di que-


sto genere, di tipo speciale sl, ma pur sempre di questo genere, che
si lasciano facilmente inquadrare nella cornice sinora esaminata, per
cui non dovrebbero affatto urtare contro difficolt d'assimilazione
razionale, o addirittura contro l'incomprensione. Sono forme espressi-
ve comuni dell'unico evento vitale che si estrinseca e si attua in
molti modi fra Dio e l'uomo, forme espressive che vengono con-
cepite e assorbite, nella loro complessit, come esistenti originaria-
mente (nell'evento della creazione) e quindi genuinamente ovvie,
ma anche come storicamente e liberamente modellate; ora, proprio
in quest'ultima loro peculiarit si cela il mistero, innanzitutto il
mistero di Dio, ma poi anche quello dell'uomo e della sua libert.
Le forme espressive vitali di tipo sacramentale vengono improntate
dall'unico Spirito di comunione di vita istituita da Dio. Quest'unico
Spirito rivela anche cosa realmente ed efficacemente ci venga da-
to (cfr. r Cor. 2,12-16); esso percepisce ci che in ultima analisi
deve venir trasmesso in tutta la sua palese realt ed efficacia: la sua
propria persona, vita altamente espressiva da assimil'are, vita che,
portata alle soglie della coscienza in quanto tale, si realizza da s ri-
spondendo esplicitamente. Che le forme espressive vitali ed eccle-
siali cos intese, ossia i sacramenti cJtistiani, risultino improntate
essenziaJ:mente e irrinunciabilmente ad un evento storico ben deter-
minato, disposto personalmente, ossia alla croce del Signore, lo sta
a dimostrare la loro insostituibile peculiarit, sulla quale torneremo
pi diffusamente in seguito. La via d'una possibile introduzione alla
comprensione del fattore sacramentale cristiano, che ci siamo as-
S1'0RIA DEI.LA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI
73

sunti l'impegno di additare, sfocia qui necessariamente nella discus-


sione teologica vera e propria, la quale a sua volta poggia nuova-
mente su un'accettazione personale, per altro non pi annoverabile
fra le ammissioni comprovabili per via meramente razionale, vale a
dire sull'accettazione della fede donata da Dio.

II. STORIA DELLA VITA SACRAMENTALE DELLA CHIESA


E VICENDE DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI
DA ESSA SVILUPPANTESI

In questa parte delle nostre considerazioni, cercheremo di spiegare


la categoria del sacramentale sotto l'aspetto teologico, nella misura
richiesta daUa sezione che stiamo svolgendo. Stando a quanto abbia-
mo gi trattato, tale categoria pu designare soltanto una serie di
fatti specificamente cristiani. Per quanto sia pur sempre possibile e
sensato sviluppare anche un'analisi piuttosto scientifico-religiosa della
categoria del sacramentale (che nel caso conterebbe certo molti ele-
menti verificabili pure nell'ambito cristiano), qui ci proponiamo in
partenza ed esplicitamente di sviscerarne il lato tipicamente cristia-
no; e ci, senza che questa dichiarazione previa abbia la pretesa di
contestare il diritto accampato dalla scienza religiosa, oppure impli-
chi automaticamente un dua:ismo, un supernaturalismo o altre posi-
zioni del genere.
Ora, se l'assunto il fortore sacramentale cristiano, non possiamo
partire da un a priori qualsiasi; dobbiamo invece sforzarci di co-
gliere con lo sguardo e individuare che cosa ci si presenti sin dal-
l'inizio nella vita della Chiesa e come vita della Chiesa, di destinato
(poi) in un senso ancor ulteriormente da precisare n chiamarsi Sa-
cramento. La trattazione cosi intesa va svolta ovviamente alfa luce
della teologia cristiana. Ci implica per noi a questo punto deter-
minati momenti di sforzo teologico, di cui intendiamo tener conto
articolando la riflessione nel modo seguente. Siccome il molteplice e
ricco evento ecclesiale, chiamato vita sacramentale o complesso dei
sacramenti, non intrisecamente e in primo luogo un'idea o una
dottrina, n una teoria, n un costrutto di pensiero, bensl fin dai
I SACRAMENTI
74

primordi della Chiesa un avvenimento vivo ed attuale che si svolge


in molteplici e svariate realizzazioni, prima di qualsiasi riflessione
teologica (seppure non senza di essa), un primo punto dovr espor-
re concisamente proprio questo: la vita della Chiesa nei suoi sacra-
menti, vista come fonte e piattaforma di partenza di ogni teologia
sacramentale, e quindi anche come base per l'elaborazione d'una ca-
tegoria del sacramentale valida sotto il profilo cristiano. Al pari di
altre realt di fede attuate e vissute, in un secondo tempo anche la
vita sacramentale poi assurta ad oggetto di predicazione cristia-
na e di riflessione teologica. Ora, ci implica sin dall'inizio anche
l'adozione di adeguati termini, concetti e costrutti lessicali preesi-
stenti, come pure lo sviluppo di corrispondenti forme verbali ed
espressive nuove. Di conseguenza, in secondo luogo daremo uno
sguardo alla storia semantica e morfologica dei termini uaT'i]pLoV
e sacramentum, sempre in riferimento al nostro assunto. Il risulta-
to di tale analisi richiama poi il passo successivo, ossia il tentativo
di delineare a grandi tratti la nascita e l'evoluzione della teologia
dei sacramenti, mettendone a fuoco la peculiarit di realizzazioni vi-
tali e attualizzazioni della Chiesa. E infine, sar doveroso dare an-
cora uno sguardo alle linee evolutive storiche e gerarchiche di que-
sto patrimonio ecclesiale.

r. Vicende storiche della vita della Chiesa nei suoi sacramenti

Come gi abbiamo accennato, la conoscenza della vita ecclesiale e


sacramentale vissuta di fatto dalla Chiesa sin dai primordi della sua
esistenza fondamentale per ogni valida teologia dei sacramenti. In
pratica per, nell'usuale esposizione del trattato De sacramentis in
genere, essa viene per lo pi omessa o sorvolata, o comunque sem-
pre data incontrollatamente per presupposta. Si svolge s la storia
lessicale e concettuale dei sostantivi ucrT'i]pLOV e sacramentum,
in generica relazione all'idea di sacramento che ci si accinge a svi-
luppare; ma ben difficile si riservi il debito posto al riscontro, per
lo meno altrettanto importante, anzi preminente, della vita concre-
ta e dell'agire pratico della Chiesa, e della coscienza cristiana inten-
ta a documentare che cosa accada nei sacramenti, da chi vengano
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI
75

amministrati e su chi si polarizzino. Badiamo bene che qui non ci


riferiamo subito direttamente, o soltanto, a fatti storici e a sviluppi
concernenti la liturgia e la piet: risulter ben chiaro tra breve.
Come il fatto della creazione, e quindi la reale esistenza del crea-
to, antececle la teologia di Dio creatore, del mondo e dell'uomo co-
me esseri creati; e come l'avvento di Cristo precede la cristologia e
la stessa dottrina trinitaria, cosi anche l'effettiva realizzazione dei
sacramenti sin dai primordi della Chiesa va intesa e riconosciuta
come vita concreta e reale di questa Chiesa, come scaturigine fon.
tale e motivazione legittimante della teologia che studia i sacramen-
ti, qualunque fisionomia possano aver presentato le sue fasi inizia-
li. Con questa constatazione, d'aspetto a prima vista piuttosto ba-
nale, non s'intende affatto svalutare o addirittura negare l'essenzia-
le e giustificato intreccio, con ripercussioni di mutua interferenza,
esistente fra teologia e prassi della vita (e quindi anche del culto).
Tuttavia, occorre afferrare nella sua fondamentale importanza il fat-
to che l'attuazione vitale delle azioni e dei riti chiamati in un secondo
tempo sacramepti precede, sin ~'inizio, la loro penetrazione
teologica. Pertanto, se la categoria del sacramentale va chiarita, o
magari riacquisita o inquadrata in maniera nuova, accanto alle ricer-
che storiche di carattere lessicale e concettuale sono urgentemente
necessarie anche ricerche di questo tipo, che vanno poi completate
da una esatta visione d'insieme dei risultati di ambedue le branchie
dell'indagine istituita. Soltanto dopo si potranno fare delle afferma-
zioni valide in merito ai fondamenti biblici e patristici d'una reali-
stica teologia dei sacramenti.
Non riteniamo necessario in questa sede sviscerare dettagliata-
mente la storia della nascita e dei primi sviluppi di quelle sin-
gole realizzazioni ecclesiali che poi verranno a chiamarsi sacramenti:
tutto ci sar compito della trattazione concernente ogni sacramen-
to particolare. Ci limiteremo quindi unicamente a prospettare ci
che sembra indispensabile per la solida elaborazione d'una teologia
cristiana dei sacramenti in genere. 11
Innanzitutto ormai assodato il fatto che, in seno alla Chiesa,

Il Cf. qui ancora una volta quanto gi abbiamo detto circa la problematca po-
srn dalla teologia dei sacramenti in genere (v. sopra pp. 55-62).
I SACRAMENTI

sussiste fin dai primordi la realizzazione viva, concepita come ovvia


e inderogabile, inerente alla natura della Chiesa stessa, di ci che
in un secondo tempo, poco importa per quali ragioni, stato enfa-
ticamente raggruppato sotto il concetto di sacramento. Come ci
informano e ci spiegano le fonti da cui necessariamente attingiamo
le nostre nozioni (teologiche) sulla vita della Chiesa primitiva, rien-
tra sin dai primi giorni come ovvio nel genuino evento vitale della
Chiesa p. es. il compimento di quegli atti che, con linguaggio cri-
stiano (!), si chiamano battesimo e confermazione; poi ancora
di quello che si chiamer in seguito (o si chiama subito) lo spezzar
del pane o eucarestia. 12 A questo punto non siamo obbligati a di-
squisire sulla legittimit o illegittimit di questo modo di agire della
Chiesa; in effetti, nella vita della Chiesa primitiva, sono esistiti in-
dubbiamente anche parecchi fatti dapprincipio in certo qual modo
mutuati per tradizione e sentiti ancora come comandati, ma che pi
tardi sono stati decisamente abbandonati. Qui la nostra attenzione
si appunta invece su quelle estrinsecazioni vitali effettive, che in un
secondo tempo sono state designate col nome di sacramenti ed
hanno poi avuto dalla stessa Chiesa una conferma storica definiti-
va,13 suppergi non molto dissimile da quella del cosiddetto ca-
none racchiudente i libri della sacra Scrittura. Detto tra parentesi,
il metterci sin d'ora a fissare o a discutere il numero di tali estrinse-
cazioni, ossia dei sacramenti, esulerebbe qui completamente dal no-
stro assunto e danneggerebbe persino le riflessioni che stiamo fa-
cendo, perch verrebbe nuovamente svisato proprio ci che adesso
pi c'importa. Comunque, a titolo paradigmatico possiamo senz'altro
accennare qui al battesimo e all'eucarestia. Il resto verr esaminato
a suo luogo.
Guardando le cose puramente dall'esterno, si pu innanzitutto
constatare che la comunit cristiana, non diversamente dalle altre
comunit religiose del suo tempo (e d'ogni tempo), desunse da qual-
che parte o svilupp di bel nuovo per conto suo certi riti religiosi,

!2 Cf. al proposito, fra i primi scritti neotestamentari, spcc. r Cor. Negli !111i
degli Apostoli, questo stato di cose viene gi presentato nel contesto d'una rifles-
sione teologica. Cf. p. es. Act. 2 e passim.
13 Cf. in materia il problema dell'istituzione dei sacramenti Ja parte di Cristo,
che esamineremo in seguito, spec. alle pagine 165-172.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI
77

certe modalit di comportamento e di assetto, che comunque sono


divenuti suo stabile patrimonio. E sin qui, non c' nulla di speciale.
Questo fo.tto andrebbe chiariw dalla scienza della religiionei, c~
sussiste a buon diritto, e specialmente dalla fenomenologia religiosa.
Viste in questo modo e soltanto in questo modo, le realizzazioni vi-
tali di questa comunit religiosa, ossia della cristianit, designate pi
tardi col nome di sacramenti, sarebbero allora pi o 'meno delle for-
me vitali ed espressive, dei simboli e delle azioni simboliche di stam-
po individuale e comunitario, in cui si estrinsecano le preoccupazio-
ni e gli impulsi vitali di tale gruppo.
Che per nella vita della giovane Chiesa, nel cui seno prese l'av-
vio l'elemento sacramentale in oggetto, si trattasse decisamente di
qualcosa d'assai pi elevato (e continui a tutt'oggi ad essere cosl),
lo si pu presumere a ragion veduta dal fatto che questa Chiesa con-
siderava se stessa come l'adempimento di ci che riteneva di essere
e di significare in quanto comunit religiosa Israele, e quindi anche,
pi o meno fedelmente e illuminatamente, il giudaismo del tempo.
Pertanto, oltre a Ges guardato come capo cui i cristiani si richiama-
vano, rientrano nel senso esistenziale e vitale effettivo di questa co-
munit cristiana, anche e soprattutto nelle sue essenziali estrinseca-
zioni comunitarie di vita, quegli stessi momenti intrinseci che da-
vano un senso all'esistenza e alla vita d'Israele. La giovane Chiesa
infatti riteneva di essere il nuovo Israele, ossia il vero Israele: nuo-
vo s, ma pur sempre nello stadio di perfezione, sul prolungamento
della linea storica ininterrotta, seppure adesso conclusa, d'una uni-
ca storia (della salvezza), concepita e creduta per fede come in de-
finitiva guidata e realizzata da Dio stesso tanto nell'antico quanto
nel nuovo Israele. Di conseguenza, dovrebbe apparire evidente che
parecchie azioni religiose comunitarie, parecchi esercizi di piet, pa-
recchi riti importanti collettivi e privati sono stati mutuati per tra-
dizione, oppure sostanzialmente perfezionati per via della novit,
oppure addirittura abbandonati per sempre. 14

Tutto ci va tenuto presente nel caso nostro; ma non giunge ancora a


toccare sul vivo l'assunto che qui c'interessa. No, perch, nonostante il
fatto assodato delle concezioni, delle forme espressive vitali religiose mu-

14 Cf. al proposito p. es. il tema del concilio degli Apostoli, Act. 15,1-35.
I SACRAMENTI

tuate, sempre constatabili sotto il profilo storico, risulta evidente innan-


zi tutto il fatto storico d'una notevolissima abrogazione, in parte priva
di qualsiasi rincalzo sostitutivo, di riti e di estrinsecazioni religiose co-
munitarie. Basti soltanto pensare a cose di essenziale importanza quali
la circoncisione e il Tempio. Ma, per rimanere sempre nello stesso qua-
dro, qui potrebbe pur sempre trattarsi magari soltanto di un abbandono
di queste, e dell'assunzione di forme recentemente scoperte o anche de-
sunte per la prima volta da altre comunit religiose (fatto pure avvenuto),
naturalmente abbandonandone o variandone l'interpretazione.

Sta di fatto per, che proprio a questo punto si deve intravedere


bene l'unico elemento decisivo. In effetti, qui non si tratta affatto
soltanto e in primo luogo della mera constatazione che sussistono
davvero quelle operazioni destinate in un secondo tempo a chiamarsi
sacramenti, quasi che }a pura esistenza di tali riti potesse avviare,
spiegare e giustificare la riflessione teologica seria e responsabile su
cui noi puntiamo. L'elemento decisivo non infatti che sia esistito
{ed esista tuttora) qualcosa sul tipo dei sacramenti, poco importa se
ricalcato su .riti gi preesistenti o no, bensl che cosa avvenga in essi,
che cosa si crede, si attesta e si proclama succeda in tali azioni. Si
deve avere chiaro dinanzi agli occhi che cosa si pensato sin dai pri-
mordi della Chiesa avvenisse sotto il velo di determinati simboli;
ma occorre tener presente poi altresl che tale azione o tale evento
si sono visti e quindi realizzati come indispensabili per la vita della
Chiesa, e pertanto anche per la salvezza. Per dirla ancora in altri
termini: insufficiente (per il nostro specifico assunto) affermare
che nella Chiesa p. es. si sempre battezzato sin dall'inizio. Bi-
sogna invece rilevare ed asserire che qui non si affatto mutuato
uno sconosciuto rito esteriore, ma si per contro attuato e con-
cepito con netta e precisa consapevolezza un elemento completamen-
te nuovo, indirizzato ad una corrispondente precisa finalit: quella
di far partecipare e permettere di partecipare alla morte di croce
subita per i molti dal Signore Ges Cristo, gi avvenuta nel tem-
po e annunciata come la salvezza per antonomasia, nonch (tanto per
accennarla soltanto per inciso) alla sua risurrezione. 15 Analogamente
si pu procedere per quanto concerne l'eucarestia: il fatto che sia

15 Cf. a titolo esemplificativo 1 Cor.; Rom. (p. es. 6 e passim); Jo. 2.; Act. 2; ccc.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 79

esistito sotto molte forme e motivazioni un tipo di convito religio-


so, forse qui mutuato nei suoi lineamenti esteriori, non costituisce
affatto il punto di stacco. L'importante che sotto il suo aspetto
fenomenico esteriore si inteso, realizzato e valorizzato proprio que-
sto: Tutte le volte che voi mangiate questo pane e bevete il calice,
celebrate (non tanto con l~ parole, quanto con l'agire simbolico-ver-
bale) la morte del Signore, finch egli venga (1 Cor. rr,26). Come
si pu rilevare, qui ci si riferisce in maniera insolitamente concreta
ed eccitante (dr. I Cor. 1,18-25 e altrove) all'evento della croce e
alla sua inderogabile importanza salvifica.
Sicch, per centrare qui direttamente il nostro assunto, che
qu~llo di mettere a fuoco e valorizzare la storia della vita della Chie-
sa nei suoi sacramenti, specie neHa fase primordiale, per giungere
a compilare una teologi.a sacramentale pienamente valida sotto il
profilo cristiano, vanno ponderate bene le considerazioni che ci accin-
giamo ora ad esporre. Ci che ci dicono le fonti a nostra disposizio-
ne, in sostanza questo: la cristianit primitiva avev.a la netta con-
sapevolezza d'un evento da parte di Dio; sapeva che Dio stesso ave-
va fatto e creato qualcosa di definitivo e irreiterabile, rivelandosi ed
operando, come adempimento d'un annuncio dato in precedenza,
mani.fiestandosi in maniera stwicamente tangibile nei giorni di
Ges. 16 Ora questo, proprio questo va creduto, procl~mato e rea-
lizzato, portato ad effetto anche e precisamente tramite l'evento se-
gnaletico. Per cui, proprio ci che costituisce l'autentico ed essen-
ziale contenuto della fede, l'Ea:yyO..~ov, incarna e vive questa gio-
vane comunit; o meglio ancora, poprio Dio ha fatto sl che questa
comunit sia, viva e debba continuar a realizzare (assieme a lui) ci
ch'egli ha compiuto.17 Dio, Jahw, il Dio d'Abramo, d'Isacco e di
Giacobbe, il Dio e Padre di nostro Signore Ges Cristo, attraverso
questo suo Figlio messo in croce e risorto, ha operato la salvezza
dell'uomo e del mondo effettuandola in modo tale, che la sua realiz-

16 Cfr. su questo l'orizzonte teologico gi spiegato sul discorso di Pietro nella


festa di Pentecoste come viene riportato in Act. 2,14-17.
17 a. in materia, come pure per le ulteriori considerazioni che faremo su que-
sto punto, l'analisi del concetto neotestamentario di mysterion che svilupperemo
pi avanti, alle pp. 89"97 Ci che l vedremo di esaminare particolareggiatamente,
trova gi qui nella presente riflessione fondamentale una sua prima valutazione.
80 I SACRAMENTI

zazione sia adesso la Chiesa. E questa Chiesa attua il proprio essere


e la missione insita in esso vivendo intensamente ed effondendo con
salutare funzione mediatrice, come partecipazione a quest'unica azio-
ne .salvifica di Dio Padre, tramite e con il suo capo di cui il crwcx.
e il 7t:{)pwcx., quest'unica salvezza che poi la stessa vita accordata-
le da Dio. Ora, precisamente questo che avviene, in quelle azioni
che pi tardi si chiameranno sacramenti (a tale proposito, non oc-
corre ci addentriamo qui ad esaminare altre modalit di questa me-
diazione di salvezza, che pure esistono di fatto: ne parleremo in altra
sede). Di conseguenza, ci che in ultima analisi interessa non una
idea, n la scoperta o la coltivazione di forme espressive dello spi-
rito umano (e in questo senso ecclesiale), n altre quisquilie similari.
Il fattore decisivo invece senz'altro il seguente: Dio ha operato la
salvezza, ed essa si realizzata, per cui deve tradursi in atto come
gi realizzata. Qui noi constatiamo (e si tratta innanzitutto soltanto
della constatazione d'un fatto storicamente percettibile, in linea col
tema da noi preso in esame), che la salvezza realizzata come Chie-
sa, come vita pulsante ed incisiva di questa Chiesa, si estrinseca in
forme espressive umane percettibili, tangibili o comunque si
vogliano chiamare, e quindi in azioni conaetamente sperimentabili
nel tempo deJla Chiesa. Che in fondo si tratti de]]'Evcx.yy.wv, della
salvezza, della vita stessa di Dio, la quale come gi realizzata deve
rivelarsi ed attuarsi in questo evento ecclesiale e fluire attraverso
esso, risulta chiaro ed esplicito sin dai primordi,13 malgrado l'insuf-
ficiente conoscenza che se ne aveva e (soprattutto) la scarsa realiz-
zazione pratica che conseguiva nel campo etico. 19 .

Viste in questa luce, le modalit di attuazione, le stesse forme


espressive, sono state concepite e trattate sin dall'inizio nella loro
relativit e secondariet (come lo sta ad attestare chiaramente la
storia dei sacramenti), pur ovviamente senza che in linea di principio si
sia mai rinunciato ad esse. L'elemento decisvo ci che avviene;
viceversa, ci che perviene ad esprimersi in forma semantica ed ope-

IS Precisamente negli scritti ncotcstrunentari, come vedremo ancora nelle sezio-


ni successive,
19 Che in queste considerazioni risulti inclusa in maniera non molto dissimile
gi anche la parola, la predicazione delb parola, dovrebbe apparire chiaro gi
sin da ora. Comunque, vi torneremo sopra in seguito.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 81

rativa, pu venir impostato nei modi pi svariati. Partendo da que-


sti dati, risulta quindi anche ben comprensibile e assodato come i
sacramenti non siano in primo luogo un'azione dell'uomo diretta a
Dio, bensl originariamente un'azione di Dio 'diretta all'uomo, ovvia-
mente compiuta non (pi) senza la compartedpazione degli uomini.
Sempre movendo da questa posizione, va concepita oltrettutto anche
la caratteristica depressione o discrepanza che si rileva tra il fat-
tore reale e gi realizzato nel sacramento da un lato, e il malde-
stro zoppicarvi dietro dell'adempimento etico-personale del nuo-
vo essere accordato all'uomo nel sacramento dall'altro. Per averne
una conferma, ci basta solo .ricordare gli imperativi continuamente
emergenti dagli indicativi verbali, specie negli scritti di S. Paolo.20
Sicch, ci che pi c'interessa quanto ci accingiamo ad esporre
adesso. evidente come ci che soltanto in un secondo tempo viene
teologiciimente approfondito, sviluppato e riflettuto, avviene gi da
un pezzo movendo da Dio in direzione nostra, come suo ucr'ti)p~ov
e in linea con le sue disposizioni. Che poi egli in queste disposizioni
del suo ucr-c1)p~ov abbia coautorizzato proprio anche la Chiesa, affi-
dandole magari anche il compito di definire meglio persino le moda-
lit di trasmissione di quest'unica salvezza, lo si deve arguire dall'ef-
fettivo evento di salvezza perpetuatosi nella vicenda della Chiesa;
sicch in ogni caso non pu costituire un problema imperniato su
un a priori gi conosciuto in partenza. In questo senso, dovrebbe
ormai essere apparso chiaro altres come, nelle presenti considera-
zioni, non si tratti di ricavare un panorama sui fatti della liturgia
primitiva, e quindi sul primo delinearsi d'un evento liturgico-cultua-
le in seno alla Chiesa. D'accordo che anche le ricerche di questo ge-
nere sono teologicamente rilevanti e necessarie. Ma la finalit che ci
siamo proposti qui, invece quella di constatare la realt d'un fatto
avvenuto, che movendo da Dio e dalla Chiesa si crea un'espressione
(accanto ad altre modalit) nell'evento liturgico-cultuale, ossia sacra-
mentale. Ora, proprio partendo da ci che ed avviene, che si pu
comprendere e spiegare quanto ne l'espressione. Non che sia
stato costruito qualcosa di simile ai sacramenti, ricalcando un mo-

2ll Cf. al proposito: Rom.; I Cor.; F,pb. ecc., passim. Ulteriori precisazioni si
possono trovare in R. Sc11NACKENBURG, Neutestamentlilhe 1"heologic, Miinchcn 1963,
spec. a p. xo2 ss., assieme alla bibliografia col addotta.
82 J SACMMENTI

dello gi preesistente, per procurarsi la salvezza tramite esso; e la


giovane Chiesa non si considera una scuola 6loso6ca, n il NT una
filosofia o una gnosi che si dia un'espressione per comunicarsi. 21 La
Chiesa si presenta invece come un'entit promanante da Dio stesso
e cooperante con lui. In una parola: senza la fede nell'evento della
croce verificatosi ad opera di Dio che continua anche attualmente a
verificarsi come gi realizzato, non si pu nemmeno dire che cosa la
Chiesa sia, che cosa debba essere e che cosa realizzi, secondo lo spirito
e il programma ad essa accordato (manifestamente afferrabile nel
NT).22 Sicch, quando riconosciamo che nella Chiesa primitiva (e poi
in continuazione) si amministra il battesimo, si celebra l'eucarestia,
ecc., tutto ci va inteso come l'unico evento salvifico in fase di mol-
teplice estrinsecazione operativa, che si (gi) realizzato, e in quan-
to tale deve ulteriormente diffondersi e concretizzarsi, movendo da
Dio Padre e passando per Ges Cristo, neHa Chiesa vivificata e ani-
mata dallo Spirito santo. precisamente questo evento che va visto
e creduto, se si vuol ottenere la chiave per intraprendere delle ri-
cerche teologicamente significative nel campo storico lessicale e con-
cettuale, come pure liturgico ed ecclesiologico, non meno che per
capire a fondo le considerazioni di teologia sistematica in cui ci ac-
cingiamo ora ad addentrarci.

2. Storia lessicale e concettuale del VO"'ti)pLov e del sacramentum


in rapporto alla teologia dei sacramenti

Considerazioni preliminari

Nelle pagine seguenti, vedremo di abbozzare soltanto le linee fonda-


mentali determinanti della storia terminologica e concettuale del no-
stro assunto. Avvertiamo inoltre, come tra breve faremo rilevare, che
non possiamo nutrire attese irreali ed esagerate nei confronti dei ri-
sultati ottenuti dalle nostre ricerche.

21 Cf. a tale proposito la problematica suscitata dai cristiani di Corinto, e la rea-


zione appostavi da S. Paolo, specialmente nella 1 Cor.
22 a. in materia p. es. I Cor. 2; IO-II; Col.; Eph. E poi lo sviluppo dei passi
neotestamentari concernenti il myslerio11, posto qui di seguito.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACKAMENTI

Occorre innanzitutto prender atto del fatto storico che, seppure


in maniera assai diversa, nel decorso storico della vita della Chiesa e
della teologia cristiana, il termine e il concetto di uMTtPLOV e soprat-
tutto di sacramentum sono stati adoperati in una maniera tipica, che
preciseremo poi ancora meglio, per designare comunemente quegli
atti o riti chiamati oggi specificamente sacramenti, senza per altro
che essi siano stati riservati soltanto a questi. L'indagine su questa
vicenda storica, a tutt'oggi non ancora conclusa, soprattutto abbina-
ta ad altre conoscenze terminologiche e concettuali, deve renderci
cauti di fronte ad affermazioni precipitate, ma per altro verso anche
assai sensibili nel percepire molte sfumature che spesso vengono sin
troppo sbrigativamente trascurate.
Intendiamo procedere innanzitutto in modo da mettere bene a
fuoco l'elemento decisivo di questa vicenda lessicale e concettuale,
per poi trame le necessarie conseguenze per la nostra odierna teolo-
gia sacramentale. Si tratta in primo luogo di analizzare i due termi-
ni e rispettivamente i due concetti, di uM1]pLov e sacramentum. Per
evitare di andare ad impelagarci in inutili dettagli di ricerca stori-
co-filologica, sottolineiamo subito un fatto decisivo: evidente che
qui non ci troviamo affatto dinanzi ad un campo lessicale spiccata-
mente biblico, o anche solo particolarmente preso in considerazione
nella Bibbia. Anzi, l'espressione di cui ci stiamo interessando com-
pare solo rarissimamente nella sacra Scrittura, e per di pi non nel
senso che forse a tutta prima ci attenderemmo agli effetti della teolo-
gia sacramentale d'uso corrente, per quanto concerne il termine sa-
cramenta>>. Ci vale ancora addirittura per gli interi primi secoli del-
la Chiesa. Ci troviamo quindi - e la cosa estremamente impor-
tante per le nostre considerazioni storiche d'impronta lessicale e con-
cettuale, se queste vogliono avere un senso - di fronte allo scon-
certante fatto che un'espressione, frequentemente usata e abbastanza
chiaramente percettibile nel settore ellenistico, compare invece nella
Bibbia quanto mai di rado, ma nei passi per noi decisivi con un'ac-
cezione peculiare, mentre pi tardi verr stranamente fatta assurgere
a termine tecnico prettamente cristiano e teologico. Tale processo
inoltre avvenuto in una maniera che a tutt'oggi non ha ancora uni-
vocamente definito questo concetto, esponendolo anzi ad una inces-
sante discussione, spintasi fino alla proposta di lasciar cadere una
I SACRAMENTI

volta per tutte il tanto dibattuto termine. 23 Quasi non bastasse, la stes-
sa identica espressione (sacramentum, mysterion) continua pur sem
pre a persistere anche con un'accezione diversa. Di conseguenza, vien
subito fatto di chiedersi se si potr riuscire a dimostrare, in maniera
attendibile sotto il profilo storico-terminologico, in primo luogo co-
me si sia adottata tale espressione, e in secondo luogo come la si sia
applicata, nonostante il permanere di altre accezioni, in modo cos
peculiare a determinate estrinsecazioni di vita ecclesiale, per altro
esattamente numerate solo dopo un intero millennio, senza nemme-
no riservarla esclusivamente ad esse. Nel rispondere a questo interro-
gativo, non si pu abbandonarsi, come palesemente succede fin trop-
po spesso, all'illusione d'una prevedibile logica. Come in tanti altri
casi, anche qui bisogna constatare sotto l'aspetto storico-lessicale la
esistenza di qualche fatto, per spiegare il quale non si pu addurre
alcuna stringente e intuitiva logica di sviluppo. :E un rilievo, questo,
che rimane sin troppo spesso inavvertito in rapporto alla storia del
concetto di sacramento. Guardando ai risultati sinora ottenuti dalla
ricerca (dei quali verremo a parlare fra breve), non si pu nemmeno
scartare del tutto l'idea che qui, soprattutto col sostantivo sacramen-
tum, ci si trovi davanti ad una situazione simile a quella che gi co-
nosciamo molto pi chiaramente, ma non per questo meno tormen-
tosamente, ad es. per i termini missa o 1tp6awito"V,persona.24 Questi
termini considerati nella loro storia e insieme nel significato che vo-
gliono esprimere, possono rammentarci di che cosa siano capaci le
lingue vive e la creativit concettuale teologica, indipendentemente
da ogni presumibile logica. In tal modo, finisce per venir ridimensio-
nato ogni risultato della storia terminologica e concettuale; ma ri-
sulta al contempo messa in luce l'inderogabilit dei suoi risultati,
giacch la lingua appunto vita.
Sotto la spinta dell'interesse che ci attira nello sguardo d'insieme

23 Cf. in materia p. es. A. SKOWRONEK, Sakrament in der evllnf!.e/ischm Theologie


der Gegenwart, Paderborn 1970, p. 57 (su K. Barth); E. JiiNGEl., 'Das Sakrament -
Was ist das', in: E. JiiNGEL - K. RAllNER, Was ist ein S11kr11ment?, Frciburg,
I971, pp, II3J.
24 Per quanto concerne la missa, cf. J.A. JuNGMANN, 'Messe' 1, in: 1-ThK 7
(1962) 321, con annessa bibliografia. Per quanto riguarda il significato di prso.
ponpcrsona, cf. Mysterium Salutis 11/1, 440-460, 485496; u/2, 309-332, E inol-
tre, la cristologia in Mysterium Salutis m/r.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI

che ci accingiamo a dare fra breve, spronandoci a lumeggiare stori-


camente l'origine del nostro concetto di sacramento applicato pro-
prio alle estrinsecazioni vitali della Chiesa cosl denominate, sarebbe
oggettivamente legittimo, e nella ricerca sulla storia dei dogmi cui
interessa molto il linguaggio magari addirittura pi significativo, ana-
lizzare in primo luogo il termine e il concetto di sacramentum. Tut-
tavia, per ragioni di brevit, abbiamo deciso di presentare l'elemento
per noi decisivo nell'articolazione seguente; altrimenti sarebbero ri-
sultate inevitabili delle ripetizioni.

a. Il vcr-.1}pLOV nel mondo greco e nell'ellenismo

forse gi assai sintomatico il fatto che persino il termine VCT't'{ipLov


etimologicamente misterioso. 25 Non c' una vera unanimit nem-
meno per quanto concerne la sua origine sebbene il farlo derivare da
ue:w ( = chiudere la bocca, le labbra) sembri l'ipotesi pi probabile.
In ogni caso, il uei't'TJPLOV si presenta sin dall'inizio con una spiccata
e stabile impronta di concetto religioso. L'uso di questa espressione,
nel mondo greco ed ellenistico, si pu riassumere nella maniera se-
guente. Nel nostro contesto, accenniamo innanzitutto al concetto cul-
tuale di mistero. Usato quasi esclusivamente al plurale, esso designa
i culti misterici, e pi propriamente la celebrazione cultuale presa
nel suo insieme, e in derivazione da essa anche specialmente la rela-
tiva consacrazione (iniziazione). Questi misteri promettono o accor-
dano agli iniziati la salvezza (awi:T}plct ). Agli iniziati, come momento
essenziale, imposto il dovere d'un assoluto silenzio, sicch i miste-
ri per principio non conoscono affatto una separazione fra iniziati e
non iniziati. Il comando di tacere non si riferisce ovviamente all'esal-
tazione della speranza nell'aldil trasmessa agli iniziati stessi dai mi-
steri, e nemmeno ai responsi cultuali degli di dei misteri; riguarda
invece i veri e propri avvenimenti e riti che si attuano nelle celebra-

25 Nella presenta7jone della storia lessicale e concettuale che ci accingiamo a fa-


re, utiliz7.iamo soprattutto e largamente la massa di materiale offertaci da G. BnRN-
KAMM, 'mysterion', in: ThWNT Iv (1942) 809-834. Cf. inoltre gli articoli corri-
spondenti in LThK e RGG, con la relativa bibliografia riportata in fondo. Noi
stessi vi aggiungeremo poi a suo luogo delle osservazioni pertinenti, per quanto
ce lo consentir lo spazio accordatoci.
86 I SACRAMENTI

zioni misteriche stesse in quanto venivono concepite come un incon-


tro con la divinit, e altresl l'interpretazione di questi misteri.
Accanto all'uso della terminologia misterica nell'incantesimo (per
indicare la stessa azione magica, le formule divinatorie, i talismani e
i mezzi impiegati nell'incanto), si pu individuare un altro uso del
ucr-.T)ptov nel campo della filosofia, dove viene coscientemente ad
inserirsi da Platone in poi. Qui il momento decisivo non si trova pi
nel settore cultuale, quanto piuttosto nel quadro dottrinale. Il colle-
gamento fra le due modalit d'impiego sta nella preoccupazione co-
mune di aiutare il soggetto a contemplare il divino, e quindi a divi-
nizzarsi. Stando alle idee e al linguaggio di allora, la conoscenza o
contemplazione abbraccia un campo assai pi vasto di quello che a
prima vista potrebbe sembrare a noi uomini d'oggi. Sintomatico per
il nostro assunto il fatto che in Platone, si pu ancora parlare di
una presa a prestito della terminologia, la quale per in definitiva
porta proprio lo sforzo filosofico umano ad esprimersi (sia pure nel-
1'alto senso inteso da Platone). Nell'epoca pi tardiva, specialmen-
te neo-platonica, le (antiche) dottrine cultuali misteriche e la filoso-
fia tendono sempre pi accentuatamente a fondersi tra loro, sino a
formare una certa unit.
C' infine da segnalare anche una sua accezione lessicale piuttosto
profana. Prendendo l'avvio dall'idea religiosa insita in esso (che del
tutto non scompare mai), il termine ucrtT)ptov viene usato per desi-
gnare anche il segreto intimo, familiare o comunque privato, e alla
fine per indicare il segreto in genere. Per l'esattezza, questo uso si
incontra relativamente di rado. Potrebbe quindi tornare utile appu-
rare quale percorso segua il passaggio semantico dal settore religioso-
cultuale a quello genericamente profano, non viceversa, giacch il
concetto religioso ha continuato a conservare i} suo intrinseco peso.
Nella gnosi, si verifica poi una traslazione interpretativa dei miste-
ri, che vengono trasferiti sul mito dell'uomo primitivo celestiale. L'i-
dea dei misteri risulta ora influenzata in maniera determinante da
questo mito di redenzione. I ucr-.T)p~ct vengono pertanto concepiti
come universali, ponendo peraltro l'accento sull'aklil, sull'occulto
mondo dei cieli, nonch sull'origine e sulla redenzione dell'uomo. Da-
to il sincretismo insito nella gnosi, non proviamo pi alcuna meravi-
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI

glia allorch vediamo anche qui usato il sostantivo ucr{]pLa. per de-
signare libri sacri, riti segreti e formule di scongiuro, come pure dot-
trine esoteriche di vario genere.

b. Il ucr-.i)pLOV nell'AT

Sullo sfondo preparato dal mondo greco e dall'ellenismo, l'uso del


termine ua-t1}pLov nell'AT si staglia in vivida luce. Considerando la
cosa sotto il profilo meramente teorico, per ovvie ragioni il sostanti-
vo vcrilPLOV potrebbe comparire soltanto nei libri dell'AT compi-
lati originariamente in greco (Sapienza e Maccabei), e poi ancora
nella LXX. Ora, stranamente, esso (per es. nella LXX) non si trova
ripartito nell'intero AT, bensl soltanto negli scritti datanti dall'epoca
ellenistica e, precisamente in Tob., Giud., Sap., Sir., Dan., e 2 Macc.,
fuori dai quali si incontra rarissimamente (in tutto circa 20 volte).
Il fatto che la designazione ucrtjpLa. (plurale!) appaia riferita ai cul-
ti misterici condannati dalla sacra Scrittura e quindi ad ogni idola-
tria, non desta proprio alcuna meraviglia. Sintomatico invece che
il termine ucrn')pLov sia stato pi tardi accettato dai rabbini nel pa-
trimonio ebraico come sostantivo mutuato, analogamente a quanto
successo nel mondo latino con la parola mysterium (che si ritrova
gi in Cicerone). Accanto all'uso ora accennato, compare anche la
poc'anzi accennata accezione profana: piani segreti del re, segreti di
guerra, segreti confidati fra amici, e poi il colloquio a quattr'occhi, la
cerchia dei confidenti e la consulenza stessa, sono tutte cose che oc-
casionalmente vengono chiamate ua-tTjpLa., per sempre e soltanto
negli scritti di compilazione pi tarda.
Pi importante il passo di Sap. 6,22, per il suo aggancio a con-
cezioni misteriche, almeno nel linguaggio esteriore. L'insegnamento
che spiega l'origine e la natura della sapienza, viene descritto come
una rivelazione misterica. Non si pu per altro sorvolare un fatto
decisivo, che salta subito agli occhi dal raffronto con l'uso greco-elle-
nistico: la sapienza (i misteri della sapienza) viene apertamente an-
nunziata a tutti sin dalle sue origini risalenti alla creazione, per cui
in rapporto ad essa non ci sono, n ci debbono essere, dei non-inizia-
ti. Inoltre, non ci vien detto assolutamente nulla circa riti cultuali,
88 I SACRAMENTI

n circa un mito di redenzione. Il possesso della sapienza (o dei mi-


steri della sapienza) non in definitiva il risultato d'uno sforzo uma-
no: essa viene invece accordata come un dono da Dio stesso, in ri-
sposta alla preghiera e all'apertura di cuore (dr. Sap. 6-7; 8,19-9,18).
Nel libro di Daniele compare sulla scena un momento nuovo:
quello escatologico. Il VO"'t'TJPLO'll assume qui, in determinati passi, il
senso d'un segreto escatologico: il velato annuncio degli eventi
futuri prestabiliti da Dio. Agli effetti del nostro assunto, vanno sot-
tolineati soprattutto gli elementi seguenti: il fattore escatologico vie-
ne rivelato sotto oscuri simboli; la loro spiegazione ed interpretazio-
ne sono riservate esclusivamente a Dio, che ha tutto a sua libera di-
sposizione. Egli il Rivelatore dei segreti per eccellenza: titolo,
questo, che appare come una specie di nome designante Dio stesso
(cfr. Dn. 2,28.29.47). Il nesso d'interdipendenza esistente, anche nel-
la fr.aseologia espressiva, tra segreto (uO"'t'TJpLov, uO''t'TJpLa.) e atto di
rivelazione ( .'!toxa..Un't'EL'll) messo sempre in evidenza. E infine, va
tenuta ben presente anche la mediazione umana stabilita da Dio per
la rivelazione dei misteri nel libro di Daniele (clr. Dn. 2,27-30.46-
48 ). Per quel che riguarda poi i manoscritti di Qumran, a quanto
possiamo constatare, valgono in sostanza gli stessi rilievi fatti per il
tardo AT.26
Nella letteratura apocalittica, troviamo un nesso in certo qual mo-
do pi stretto e un accordo di fondo con i culti misterici e con la
gnosi. Tuttavia, ancora una volta bisogna non trascurare qui la pecu-
liare caratteristica che si mantiene: i misteri non dkono relazione al
destino della divinit stessa, ma solo a ci che questa dispone e sta-
bilisce. La ricezione dei misteri non viene inoltre intesa come divi-
nizzazione. Si palesa quindi chiara la polarizzazione sulla rivelazione
escatologica.
Teniamo perci ben presente che il termine uo-"t"iiPLO'll possiede un
contenuto significativo, degno di considerazione per il nostro assunto,
solo in due passi dell'AT (Sap. 6,22 e Dn. 2).

26 Cf. al proposito E. VocT, 'Mysteria in textibus Qumran', in: Ribl. 37 (1956)


247-257; R. RtGAUX', 'Rvlation des ffi}'Stres et perfection Qumran et dans le
Nouveau Testament', in: NTS 4 (1957/58) 237-262; R.E. BROWN, The Pre-Chri-
stian Concept of Mystery', in: CBQ 20 (1958) 417-443; J. GNILKA, 'Dic Verstockung
Israels', in: StAuNT 3 (Miinchen 1961) 177-179.
STORIA DELLA TEOLOGIA Dl!I SACRAMENTI

c. Il uO"t'l'jpiov nel NT

Alla luce dei risultati che abbiamo potuto raccogliere circa l'uso del
sostantivo ua"t'l'jpiov nel mondo greco, nell'ellenismo e nell'AT, si
possono fare delle interessanti constatazioni anche per quanto con-
cerne il NT. Rileviamo innanzitutto questo: il termine ucr-c1)piov
compare anche qui soltanto in pochi passi; quelli fra essi che rive-
stono davvero un'importanza decisiva hanno inoltre una fisionomia
tale, da permetterci solo a stento di capire chiaramente cosa inten-
dano dire. Addidamo poi anche subito un risultato della ricerca, se-
condo cui i passi del NT qui citati si pu dire non dipendano per
nulla, n come derivazione n come ulteriore sviluppo, dall'accezio-
ne terminologica da noi riscontrata nell'AT: l'uso dell'espressione
ucr-c1)piov assolutamente autonomo. Si pu per altro toccare con
mano che i relativi estensori hanno ritenuto il vocabolo particolar-
mente adatto ad esprimere il loro assunto. Raccomandiamo poi an-
cora una volta di ricordare, scorrendo le pagine seguenti, una cosa
assai importante per il contesto che ci acdngiamo a svolgere: l'espor-
re in maniera esauriente l'intero complesso del ucrt1}pLO'll nel NT non
orienta nella finalit che qui ci siamo proposta.n
Nei vangeli il termine uu-c1)pwo1 compare soltanto nel misterioso
discorso di Ges che si sottrae da una spiegazione completa e davve-
ro soddisfacente, riportatoci in Mc. 4,1 r s. e paralleli (Mc.: ucn1J-
pLov; Mt. e Le. ua-cT)pLa). Esso designa il mistero del Regno di Dio,
inserito sl nel contesto della parabola del buon seminatore, ma tutta-
via inteso apertamente cosl com'. Il ua-c'l'jpLo'll -cijc; ~acnulac; -cou
0Eov in definitiva Ges stesso, nella sua veste di Messia. Questo
uu'tf)pLov stesso o la sua conoscenza (Mt. Le.) o viene dato (Ooo-caL)
ai discepoli; un puro dono gratuito di Dio (Padre), un mero regalo
(teologicamente passivo!), e quindi non il risultato d'uno sforzo uma-
no, qualunque esso sia. Non sembra inopportuno richiamarci qui al
grido di giubilo sfuggito a Ges (cfr. Mt. I I ,25-30 e par.). Va poi
rilevato il carattere decisionale (giudiziario) rivestito dal termine, per

n Oltre ella letteratura contenuta nella bibliografia gi addotta, uti!i7.ziamo qui


anche i commenti alle lettere paoline I Cor., Col., Eph.; spec. H. Sou,Jl!R, Der
Brief an die Epheser, Diisseldorf l1962 ( trad. it., Lettera agli Efesini, Paideia,
Brescia); J. GN1LKA, 'Der Epheserbrief', In: HThKNT x . .z, Freiburg 197I.
I SACRAMENTI

cui il vo-TI'iptov va concepito anche come richiamo all'opzione in fa.


vore della fede. Non andiamo certamente errati, se in questo com-
presso di affermazioni vediamo in certo qual modo compreso tutto
ci che Ges stesso secondo Mc. I ,15 asserisce: l'avvento del Regno
di Dio, in Jul e attraverso lui presso coloro a cui Ges stato in-
viato (in definitiva a tutti gli uomini, giacch stato mandato ai
peccatori), e che ora si lasciano cogliere dalla sua parola, anzi da lui
stesso, perch l'hanno avuto in dono. 11 peculiare carattere realistico
di vO"t"i)pt.0v a lui inerente, che esiste e vien dato da conoscere, va
sottolineato sin da adesso anche qui; va riscontrata la realt dell'av-
vento del mistero, che ci vien rivelato e trasmesso in quanto tale, te-
nendo presente che la modalit di sussistenza (se cosl si pu dire) del-
la realt a noi posta dinanzi proprio quella di Ges, della i;ua
persona, della sua vita, della sua opera.1a
Negli scritti paolini e deutero-paolini del NT, la linea accennata
nei vangeli viene fatta svettare sino al punto di culminazione: qui il
va't'l')ptov appare strettamente connesso al krygma di Cristo, quasi
facente un tutto unico con esso e sviluppato coerentemente sotto il
profilo teologico. Ges Cristo il va't'iJp~ov 't'ou Eov il mistero di
Dio (Padre): Col. 2,2; dr. 1,27; 4,3; poi ancora r Cor. 2,1 (v. l)
assieme a 2,7; e con riferimenti pi generici I Cor. 2,1-16; Eph.
3,3 ss.; I Tim. 3,16. Lo stretto vincolo intercorrente fra va"t'Tiptov e
krygma di Cristo ci viene presentato in maniera solidamente concreta,
tangibile ed esplicita, soprattutto nell'espressione .oyoc; 't'ov a"t"a:vpov
(dr. I Cor. 1-2). :E: appunto qui che sta il fattore ultimo e decisivo.

Il contenuto qui appena abbozzato del concetto di va"t'1)p~ov va ulte-


riormente sviluppato. Prima per, vediamo di gettare ancora un breve
sguardo sull'uso solito, piuttosto generico, che il NT fa del termine
va't'1)ptov. Tale sostantivo infatti viene adoperato anche in modo da
non riferirsi esclusivamente, direttamente e immediatamente alla rive-
lazione salvifica avvenuta in Cristo e all'evento della sua realizzazione, per
cui non s'identifica sic et simpliciter col krygma di Cristo. Ci vale ad
es. per il passo r Cor. 14,2 e per il fenomeno della glossolalia ivi de-
scritto. Viceversa, in pi stretta connessione coll'arcano di Cristo per-
ch sua compartecipazione, sta ovviamente il mysterium lsraeh~ di
28 Guardando le cose nel loro insieme, si rileva gi chiaramente anche qui una
giustificazione biblica neotestamentaria d'importanza decisiva, che autorizza a de-
signare teologicamente Ges Cristo come sacramento dell'incontro con Dio.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMEf':Tl

cui si parla in Rom. I 1,25 ss., e specialmente quello della sua salvezza
(escatologica). La stessa cosa si pu dire per quanto concerne la risurre-
zione dei morti di cui tratta 1 Cor. 15. Tuttavia, il contenuto importante
agli effetti del nostro assunto, racchiuso in questi passi e in altri si-
milari, potr benissimo inserirsi ed avere il suo peso nel discorso incen-
trato sul mistero di Cristo. Per quanto riguarda le applicazioni d'intona-
zione apocalittica del termine va-ti}pLov (cf. ad es. 2 Tess. 2,3 ss.; Apoc.
17 ,5-7 ), non riteniamo necessario sviscerarle ulteriormente in questa sede.

I passi che ci presentano quasi enfaticamente Cristo e l'agire salvifi


co di Dio in Cristo e tramite Cristo come il va't'fipi.ov di Dio, si
trovano specialmente in I Cor., Col., Eph. (cf. anche Rom. 16,25 ss.).
Qui di seguito, vedremo di dare subito un riassunto dei risultati ese-
getici, anche in vi'Sta di altre affermazione del NT che chiariscono og-
gettivamente i veri e propri passi ove si parla de} vcrti)pLov. Per
dirla in termini preliminari il vaTf)pLov la storia preparata in Dio
creatore di tutto, dapprima tenuta ancora nascosta, ma poi nella
pienezza dei tempi portata a compimento in Ges Cristo. Sicah
essa, in quanto v!f"ti)pLov di Dio, abbraccia la creazione, la reden-
zione e la perfezione escatologica, con la particolarit che soprattut-
to le ultime due tappe realizzative della salvezza, pur essendo pia-
nificate sin da prima della creazione del mondo, erano per rima-
ste ancora celate antecedentemente agli eoni nella mente di
Dio creatore. Dio stesso che porta ad esecuzione e rivela il u!f"ti'J-
pLov, traducendolo in atto. Esso dunque non affatto un evento in-
tramondano, ossia un avvenimento che si sviluppa e sboccia dalle
leggi autonome del mondo e degli uomini, immesse originariamente
come embrione fontale nella creazione stessa. Si invece rivelato ed
effettuato come un evento apportatore di qualcosa di prettamente
nuovo da parte di Dio.29 Si attua si nel mondo e tramite la cooptazio-
ne del creato, anzi persino del creato distorto (incarnazione nella car-

29 Bisogna ovviamente non sorvolare troppo sbrigativamente il fatto che nell'unico


mysterion di Dio rientra come atto originario divino proprio anche la creazione:
atto, questo, che d l'avvio a tutto e perdura (d. Gn. 1,1 e Jo. 1,1-18, con l'espli-
cita affermazione teologica ivi contenuta). Con ci non si nega per affatto che nel
NT, specie in Col. ed Eph., la diretta azione salvifica di Dio stia in primo piano
nell'interesse e nella predicazione come qualcosa di prettamente nuovo. Tuttavia,
ad es. proprio la lettera agli Efesini esige che non si riconosca e non si faccia
riconoscere come Dio della salvezza nessun altro, all'infuori del Dio della creazio-
ne (d. spec. Eph. 3,9 e passim).
I SACRAMENTI

ne del peccato; croce; morte), nel vtrti)pto'V concreto; ma anche e


proprio qui resta pur sempre un gesto inconcepibilmente libero, as-
solutamente imprevedibile (cfr. I Car. 2,7 ss.), munifico e poderoso
di Dio (P.adre) stesso. Non si tratta affatto d'un enigma che viene ri-
solto e quindi eliminato, per cui il suo carattere di arcano sarebbe
stato tolto di mezzo e abrogato con la realizzazione e la rivelazione.
Esso viene invece rivelato precisamente in quanto tale. E proprio que
sto l'assunto di r Cor. 2, ove Paolo addita concretamente il vO"'t"TJPLO'V
di Dio: esso viene proclamato con gesto potente ed efficace, ricono-
sciuto con spirito di fede e accolto nel )..6yoc; -tou a-ravpoii, nella
croce del KvpLoc; -.i'jc; 06;11c;. Questa la sapienza di Dio. La realt
complessiva - Dio e il tutto, assieme agli uomini e all'intera sto-
ria - viene quindi percepha, ossia conosciuta, rioonosciuta e
pregustata, solo allorch viene accettata, ossia creduta, attuata e vis-
suta con animo permeato di fede e nello Spirito di Dio, proprio
questa sapienza divina, rivelata e realizzata come va-n]pLov appunto
nella croce del Signore (dr. r Cor. 2,Io-16). Soltanto accogliendo
con fede e accettando questo vCM:ilptov, si comprende che cosa
sia la creaturalit del tutto e la sua destinazione uhima, che cosa
sia l'uomo, che cosa sia la realt, quale sia il senso reale dell'agire
di Dio nel mondo, cio della storia; in una parola, che cosa Dio
abbia munifcamente e gratuitamente progettato. di darci e accorda-
toci di fatto (dr. r Cor. 2,12 coi capp. r-2; Mc. 4,n par.).
Rli.entra inoltre in questo vcr"t{ipLo'V, che esso da parte di Dio
(Padre) si sia realizzato in Ges Cristo (dr. le continue forme ver-
bali all'aoristo, p. es. in Eph. r e 3), ma al contempo in modo tale
da continuar a mantenere la sua efficacia (dr. Eph. 3,ro e 2,n-22).
Anche in questa senso, la sua rivelazione ed attuazione non compor-
tano affatto la sua dissoluzione, la sua eliminazione o la sua fine. In
effetti, non vuol dire che quanto un tempo era ua"t{jptov, sia adesso
una realt rivelata, e quindi non pi va't"Tjpiov. Viceversa, il
va-tTjpiov sinora nascosto in Dio si tramutato ora in un va"ti]ptov
rivelata, e rientra nella sua stessa natura che venga ulteriormente
rivelato, ossia proclamato con la massima incisivit, perennemente
realizzato e reso efficace proprio in quanto (gi) rivelato ed attuato
(si tenga presente ancora una volta l'aoristo}. insito in questo
va't"Tjpiov che esista una olxovola: disposta da Dio stesso, in cui
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI
93

esso proprio in quanto rivelato e realizzato venga portato dapprima


in esecuzione e poi a perfezione.
Precisamente a questo punto entra in scena la Chiesa, con la sua
caratteristica natura. Essa infatti la pienezza del Regno di Cristo
(Col. 2,3), gi instaurata (aoristo!) nell'alto dei cieli (cfr. Eph. 3,10;
2,6 nel significato qui inteso), come il vcr't{ipLov (gi) rivelato, ep-
pure destinato tuttora a mantenersi sempre efficace ed incisivo. Ci
che Dio agendo in questo modo ha rivdato, ora la Chiesa; e que-
sto essa deve essere, predicare e trasmettere, in quanto vcrTI'}pLov
in lei (gi) realizzato e rivelato, ma pure tuttora da rivelare al mon-
do e ai potentati. Possiamo riassumere il tutto con parole nostre,
dicendo che la Chiesa il vcr'tT]pLov di Dio concreti.r.zatosi in un
evento storico, e che adesso, nel tempo della Chiesa, questo
uCTTTJPLO\I pur essendo gi verificato, resta tuttora da rivelare e da
tradurre in atto. E ci, per poter essere poi, nello stadio di perfe-
zione definitiva ed escatologica, grazie alla sua crescita (dr. Eph.
2,20 ss.) e alla sua completa ricapitolazione nel suo capo Ges Cri-
sto (Eph. r,ro), l'inesausto retaggio e possesso di Dio Padre (Eph.
1,14), per la propria inebriante e piena gioia di vivere (clr. Jo.
15,rr; 16,24; 17,13; 10,ro), e per la gloria di Dio Padre (Eph.
1,14; cf. I Cor. 15,24-28).
importante rilevare che, secondo Col. ed Eph. (cf. in materia
spec. Eph. 3,1-12), alla Chiesa risulta effettivamente assegnata una
peculiare funzione nell'ambito dell'unico VCT'tTJPLO\I di Dio, che tut-
to abbraccia. Ora - ecco il punto decisivo - tutto ci rientra nel-
l'incomprensibilit (cf. r Cor. 1,17 - 2,16), oppure, la stessa cosa,
nell'insondabile ricchezza (Eph. 3 ,8 del vcrn']pLov di Dio, e scaturi-
sce dallo stesso unico decreto misericordioso di Dio (cf. Eph. l,19;
3,10 ss.). La Chiesa in quanto mistero realizzato, concretizzatosi in
Cristo - la Chiesa formata da giudei e pagani (cfr. Eph. 2,rr-19),
da parte di Cristo contrapposta al mondo e alle sue potenze (dr.
Eph. 3,9 ss. e passim) come suo 11wa (Eph. 1,23 e passim) e
it:i}pwa (Epb. 1,23; 4,13) - deve essere assieme a Cristo e in
dipendenza da lui (in quanto suo crwa! ), come sorte assegnatale
(cfr. Eph. 1,n) e nella maniera tutta particolare accordatale, il ve-
ro uO"tT)pLov, accollandosi il compito di rivelarlo e di mantener vi-
vo il suo mordente. Da quando e perch Ges Cristo ha compiuto
I SACRAMENTJ
94

la sua opera storico-salvifica ( cfr. la martellante continuit con cui


si insiste sulla passione e morte in croce di Ges), e si costituita
la Chiesa, si anche inaugurato da parte di Dio un nuovo adesso
(cfr. il vvv in Eph. 3,10), vale a dire il tempo (operativo della Chie-
sa in quanto unico vO"'t'1}piov di Dio, rivelato eppure ancor da rive
lare di fronte al mondo pubblico, realizzato eppure ancor da realiz-
zare (Eph. 3,9 s.), senza che per questo (cosa da non trascurare)
Dio Padre e Cristo cessino da parte loro di continuare a portar
avanti con sovrana libert il mysterium da essi avviato. 30
La Chiesa stata predestinata (cfr. Eph. r,11, assieme a 3,9 s.);
ci significa che stata fatta partecipare, che stata cointeressata
proprio nel senso poc'anzi accennato al uO"'t'1}piov di Dio. Ora, che
la categoria del sacramentale della Chiesa intesa nel suo pieno senso
(destinata pi tardi a svilupparsi) abbia qui il suo legittimo anco-
raggio cristiano, nonch la sua piena giustificazione, dovrebbe risul-
tare gi chiaro; ci riserveremo per di metterlo ulteriormente in lu-
ce in seguito.
C' poi ancora una cosa su cui dobbiamo appuntare la nostra at-
tenzione. Rientra nella obtovola del u<TTI')pLov, cosl come Dio l'ha
liberamente architettata e realizzata di fatto, che accanto e in se
no alla Chiesa (vista sulla scorta delkt lettera agli Efesini decisa-
mente come Chiesa universale), si abbia anche l'investitura del sin-
golo individuo o di singoli individui ad .un particolare incarico. Ci
di palmare evidenza per quanto concerne la missione affidata al
l'apostolo Paolo, e lo si arguisce chiaramente dalla teologia e dal
linguaggio da lui usato in Col. ed Eph. (cf. Col. 1,23-29; Eph. 3).
A lui stato affidato l'incarico di amministratore della grazia di
Dio (Eph. 3,2), per metterlo al servizio della predicazione a be-

30 Bisogna tenere ben presente questo rilievo, specie in vistn della compilazione
d'una teologia dei sacramenti. Talvolta infatti ci si sente rinfacciare troppo sbri-
gativamente e ottusamente di insistere a torto nel mettere in luce i sacramenti e
la Chiesa, perch facendo leva su di essi si ascrive un alibi a Dio. In Eph. 3,112,
la. sovranit di Dio viene conservata nella sua assoluta integrit; eppure tanto
ovvio che egli ( ! ) intende rivelare ed attuare il suo mistero attraverso la Chiesa
(e quindi non pi senza di lei). Il problema della spiegnzone (ontologica e teo-
logica) di questa cooperazione ancora una volta una questione divefia, che sus-
siste di fatto; il che per altro non infirma per nulla la validit delle asserzioni
originarie fatte dal NT.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 95

nefcio degli altri (Eph. 3,2 assieme a 3,7 s.). 31 Tuttavia, sempre
nello stesso -senso, vengono menzionati anche gli apostoli e i pro-
feti beninteso neotestomentari (cf. Eph. 2,20; 3,5; Col. 1,6 s. 23-
29). Inoltre si pu ricordare il noi dalle molteplici accezioni (d.
I Cor.; Col. ed Eph. passim), che non si limita affatto ad esprime-
re un'esistenza e un dovere cristiano piattamente livellati, ma si ar-
ticola invece in peculiarissime funzioni di servizio (cf. Eph. 4,1-16),
quasi svettanti sopra il comune esser cristiani. Da qui si pu ar-
guire che da un lato non esiste in concreto alcun membro della
Chiesa privo d'una sua propria posizione, e dall'altro che risultano
assodate anche determinate funzioni di servizio e ben definiti grup-
pi esplicanti tali funzioni.
Occorre in.fine accennare alla finalit del uai:1'}pto'll, e conseguente-
mente allo scopo cui sono preordinate l'esistenza e la missicne della
Chiesa. Lo stadio di perfezione dell'intero cosmo (cf. Col. l; Eph.
3.9), la ricapitolazione di tutto in Cristo (d. Eph. l,IO) e la ricon-
segna definitiva e gloriosa dell'universo al Padre (d. r Cor. 15,
24-28; Col.; Eph. ), costituiscono il futuro escatologico (d. gi Eph.
l,IO e passim). Nonostante la gi avvenuta (e in tal senso insupera-
bile) rivelazione e realizzazione attuatesi con l'avvento di Cristo, la
86~rx rimane tuttora avvolta nel mistero (d. Col. l,27; 2,3). Per la
Chiesa, vale ancora come compito ci che Cristo ha compiuto in s
come opera per la Chiesa (cf. Col. l,18 ss.; Eph. 1,17; 2,14 ss.; 5,
25), ossia l'accollarsi da parte sua tutto quanto si addossato lui
(cf. I Cor. l,17 s. 26; 2,8.12-16), completandolo e sostenendolo
con ferma speranza pur in mezzo ai patimenti (~.l\jltLi;, cf. Col. 1,
24 s.; Eph. 3,13), ovviamente adesso gi in forza del: uaT{ipLo'll di
Dio Padre realizzatosi in Cristo. Nel contesto di cui ci stiamo oc-
cupando, va tenuto presente anche questo momento escatologico che
attualizza la croce nell'unico mistero di Dio, in quanto la Chiesa.
Per concludere provvisoriamente queste osservazioni, test fatte
soltanto a brevi cenni come ci eravamo proposti, sul uai:l}ptov nel

31 Per il momento non riteniamo necessario sviscerare pi a fondo il fatto che


in Eph. 3,I-I I all'apostolo Paolo sia stato assegnato un incarico specialissimo ed
irreiterahile, in rapporto al mistero di Dio e quindi per il bene della Chiesa (col
che, per altro, non detto che soltanto lui fosse investito d'una missione pe-
culiare).
I SACRAMENTI

NT, sar opportuno badare ancora ad un altro fatto. Per i problemi


posti dali'a storia delle parole, dei concetti e della teologia, potreb-
be esser utile partire decisamente non da un contenuto concettuale
di ucr-r1'JpLO\I preesistente, gi in certo qual modo definito con net-
tezza di contorni, e quindi suscettibile di offrirsi automaticamente
all'applicazione, allorch con esso negli scritti neotestamentari si de-
ve mettere in luce proprio l'evento verificatosi in Cristo. D'accordo,
il termine deve pur avere (avuto) in s qualcosa di atto a farlo ri-
tenere appropriato. Tuttavia, bisogna constatare che, ovviamente,
solo partendo dall'evento-Cristo prima conosciuto e predicato, si
giunti a stivare nel termine e nd concetto tutto quanto ora noi
riusciamo faticosamente a dedurne. Non si pu infatti dimenticare
come lo stesso identico avvenimento venga annunciato, concepito e
fatto valere in tutta la sua pienezza, anche avvalendosi di tante al-
tre espressioni lessicali e formulazioni fraseologiche. Sl, perch si
sono prese le mosse proprio dall'evento vissuto, e quindi storico, di
Ges. Ora, sono innanzitutto queste a costituire ci che poi sta-
to conosciuto (seppure mai pienamente afferrato) e stivato nella pa-
rola. Non si potr mai passare sotto silenzio quanto occorre tener
sempre ben presente, per comprendere l'evoluzione del concetto di
ucr't'TJPLO\I in quanto concetto di sacramento.

Siccome il ucr't'TjpLO\I come termine e come concetto da un lato era pron-


to, ma dall'altro era ancora totalmente aperto, non affatto strano che
anche singoli momenti di ci che nella sua pienezza nel NT si chiama
vcr-.Tjpiov, si siano potuti designare con questo termine, pur senza intac-
care l'unit. Cosl ad es. secondo r Cor. 15,51 la risurrezione dei morti
pu chiamarsi ucr't'1)pLov, appunto come momento parziale dell'unico
mistero di salvezza; e cosl anche l'unica salvezza profferta ai giudei e ai
pagani, o la salvezza escatologica d'Israele, secondo Rom. 11. Troviamo
qui la chiave neo-testamentaria atta a spiegare il fatto, sul quale torne-
remo ancora, che ben presto anche singoli eventi della vita e dell'opera
di Ges, specie quelli in cui egli si rivela ed agisce in qualit di Messia,
vengono designati col nome di vcni)pLov. Del resto, altrettanto succede
col termine EtHx.yy.LO\I, che nel NT viene oggettivamente ad identificarsi
con l'unico u1n1)pLoV test descritto. Risulta quindi facile vedere come
il sostantivo ucni)pLOV, partendo dall'accezione arcano agire di Dio in
ordine alla salvezza, abbia potuto svilupparsi anche in notificazione del-
la salvezza. Ci, inoltre, non rappresenta soltanto o addirittura intrinse-
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 97

camente una evoluzione pi che altro lessicale e concettuale, ma affonda


invete le sue radici nella cosa stessa, Il vcr-.i)p~o'Y, ossia la realt ed ope-
rativit di Dio, vanno predicati per farli assurgere ad oggetto di fede;
ma a sua volta, questo predicarli dietro autorizzazione contribuisce a
realizzarli, anzi li realizza di conserva.32

Tutto sommato, possiamo fare la seguente constatazione: il ucrTfipLo'J


costituisce nel NT un concetto strano, che riceve il suo tipico si-
gnificato neotestamentario dall'effettivo avvento della salvezza, per
cui d a vedere di non avere alcun rapporto coi culti m.isterici.33
Dalle disquisizioni fatte in materia, risulta abbastanza comprensi-
bile che cosa dimostri la vicenda della sua ulteriore evoluzione con-
cettuale: ogni qualvolta si deve indicare l'intera opera espletata da
Dio in Cristo e attraverso Cristo, oppure un suo momento essen-
ziale, si pu parlare di ucr"t"iJpiov; e ci, pur rimanendo sempre per
principio aperta la questione di che cosa intenda a suo luogo espri-
mere e mettere in rilievo questa parola, aUorch viene adoperata.
Inoltre - e nemmeno questo va dimenticato - continuano a re-
stare in uso anche le altre accezioni del termine, sicch rima.ne tut-
tora sempre aperta la vicenda dell'ulteriore evoluzione concettuale
cui esse vanno incontro. Ed proprio questa che ora dobbiamo bre-
vemente esaminare.

d. Il significato di uCT't'TJPLO\I e sacramentum


nella primitiva epoca patristica

Per quanto concerne l'ra dei padri della Chiesa, continuiamo pur-
troppo a mancare di opportuni e soprattutto ben dettagliati nonch
complessivi risultati della ricerca, sull'effettivo contenuto semantico
e concettuale di ucr"t"TjpLov e sacramentum. 34 Malgrado tutto l'apprez-

32 Cf. al proposito p. es. il peana innodico al mistero di Cristo in r Tim. 3,16.


ll ~Visco nel suo insieme, il 'mysterion' rappresenta nel NT un concetto raro,
che non lascia mai trapelare alcuna relazione coi culti misterici. L dove relazioni
del genere si possono riscontrare (come ad es. nei testi dei sacramenti) il concetto
non si trova; mentre dove s'incontra questo, mancano quelli: G. BoRNKAMM in
ThWNT 4 (1942) 831.
34 Cf., per quanto riguarda la trattazione seguente, i relativi articoli in LT hK,
RGG, ThWNT; poi ancora A. KoLPING, Sacramentum Tertu/lianeum, Miinster 1948,
I SACRAMENTI

:ziab'ile lavoro sinora fatto in questo campo, gli interrogativi pi


scottanti restano tuttora sul tappeto. La maggior parte dei risultati
offertici dalla rkerca, infatti, provengono da indagini che purtroppo,
consciamente o inconsciamente, erano partite da un concetto di sa-
cramentum gi prefabbricato, e per di pi assai tardo, ristretto, co-
sl come in seguito alla fissazione sublta dal tardo medioevo in poi
era stato modellato per indicare i riti denominati oggi specificamen-
te sacramenti. Tenendo presente questo fatto, le considerazioni
che ci accingiamo a formulare andranno necessariamente accolte so-
lo con riserva, in attesa di nuovi risultati d'una urgente ricerca ancor
da fare in questo campo.

Nell'insieme, occorre ricordare inoltre che i termini ucrn'}p~O\I e sacra-


mentum, con le rispettive interpretazioni, non hanno a tutt'oggi ancora
conseguito una univoca e incontestata fissazione concettuale, nelle lingue
post-classiche e moderne. Ora, ci vale in misi.ira ancor maggiore per i
tempi primitivi della Chiesa. L, infatti, entrambi i vocaboli possiedono
una infinit di accezioni e di sfumature di significato, che nelle nostre lin-
gue vengono per lo pi occultate dalla vasta gamma di possibili traduzio-
ni, e quindi sin troppo facilmente trascurate. Per cui, qualora non si pre-
stasse sufficiente attenzione a questo fenomeno, si rischierebbe ancora
una volta di sorvolare disinvoltamente, nel tentativo di tracciare le
linee semantiche dei sostantivi che ci stanno a cuore, gli intimi nessi in-
tercorrenti fra i singoli contenuti diversi da mettere in luce. La caccia
alla linea storico-teologica dell'insorgenza del concetto specifico di sacra-
mento, che ovviamente in questo momento al vertice dei nostri interessi,
non pu farci perdere di vista l'intrinseca miscelatura di questo contenuto
concettuale con gli altri, che qui non abbiamo bisogno di sviscerare ulte-
riormente. In questo senso va intesa anche l'articolazione del panorama
seguente, che non persegue finalit di storia dei dogmi nell'ra patristica
o di storia concettuale, ma viene invece offerto in vista dei compiti in-
combenti a questa sezione dell'ecclesiologia. Di conseguenza, per ragioni
che risulteranno ancor pi evidenti in seguito, tratteremo diffusamente
solo la prima epoca patristica.

aa. Il uat"fipiov. L'uso del termine ucrt"fiPLO\I nel periodo pnm1tl-


vo, immediatamente post-apostolico, <iella Chiesa presenta lo stesso
quadro che abbiamo riscontrato nella sacra Scrittura. Il sostantivo

oon la relativa bibliografia ivi riportata. Per il resto, faremo i debiti richiami a
luogo opportuno.
STORIA DELLA' TEOLOGIA DEI SACRAMl!NTI 99

viene di fatto usato raramente, e non si riesce a coglierne alcuna


fissazione semantica che in qualche modo almeno preluda ai nostri
sacramenti. Data la mancanza di complete statistiche verbali, bi-
sogna anche lasciar perdere per il momento qualsiasi valutazione
circa la priorit di una sua determinata accezione. L'analisi del con-
tenuto concettuale di uot"1'1p~o'll, in alcuni (pochi!) passi riecheggian-
te il nostro (per altro solo nella misura in cui si pu rilevare con
chiarezza), lascia tuttavia intravedere alcune linee che hanno i loro
primi spunti principalmente nel NT (e nell'AT), ma che pi tardi
tradiscono anche parecchi influssi provenienti dall'esterno.
In primo luogo - e la cosa ben comprensibile - , il sostantivo
ucr't'1)p~o'll s'incontra, e quasi sempre al plurale, nelle opere dei pri-
mi scrittori cristiani come termine tecnico, per designare i culti mi-
sterici pagani o le dottrine esoteriche rifiutate specialmente dagli
gnostici. Questo uso lessicale, particolarmente vistoso negli scritti
apologetici, offre .anche lo spunto per raffronti e contrapposizioni
fra la genuina essenza del cristianesimo e le dottrine :filosofiche, re-
ligiose propugnate dallo gnosticismo e dai riti misterici. Non si sa
bene in quale misura tale linguaggio, o magari una mentalit auto-
noma, non originariamente biblica, in seno alla .cristianit fosse gi
di uso corrente, ossia all'ordine del giorno p. es. nella catechesi,
nella liturgia e nella teologia. Il concetto sembra comunque che sia
andato solo lentamente acquistando nel linguaggio cristiano una cre-
scente importanza, che poi si sviluppa in accezioni concettuali sem-
pre pi consapevoli e sfrondate da sovrastrutture. Le ragioni di que-
sto tardivo cambiamento, per quanto ci consta, possono stare nel
fatto che pian piano era andata sfaldandosi la primitiva ritrosia di
fronte all'uso d'una terminologia religiosa e filosofica specifi<'.amen-
te pagana.
Per quanto concerne l'impiego tipicamente cristiano del sostanti-
vo 1.r.uin'l')p~o'll, la suaccennata evoluzione giunge a far s che ben pre-
sto, ma pur sempre partendo palesemente dall'idea dell'unico miste-
ro di Dio rivelatosi nell'azione salvifica da lui espletata attraverso
Ges Cristo secondo gli scritti neotestamentari, specie r Cor., Col.
ed Eph., il termine venga applkato anche ai singoli episodi della
vita e dell'opera di Ges, in quanto si scorge in essi una particolare
importanza agli effetti della salvezza. Bisogna non dimenticarlo mai:
IOO .1 IACllAMJ!NTI

l'espressione ucrt"fipLov indica pur sempre il concreto agire salvifico


svolto da Dio Padre a beneficio nostro tramite Cristo, e quindi non
soltanto un fatto che appare arcano e misterioso all'intelletto uma-
no. Qui si potrebbe menzionare S. IGNAZIO, Eph. 19,1, ove la ver-
ginit di Maria, il di lei parto e la morte del Signore ven-
gono chiamati vcni)pLtx: modalit di linguaggio, questa, che si ba-
sa contestuahnente sul patrimonio ideale del NT, specie di I Cor.
ed Eph. Sebbene qui possano arieggiare delle risonanze echeggianti
il linguaggio gnostico,15 in Ignazio, a causa di altre sue affermazio-
ni, riteniamo si debba riscontrare nel passo citato pi che altro il
contenuto neotestamentario di vaTf)pLOV. Tutto sommato, la stessa
cosa si pu dire anche di Giustino. Degno di particolarissima men-
zione il passo di IGNAZIO, ad Magn. 9,r: un testo straordinaria-
mente ricco agli effetti del nostro assunto, sul qual~ dovremo an-
cora ritornare in seguito.36 Qui infatti, l'evento della nascita della
nostra vita tramite lui (Ges Cristo) e la sua morte viene chiamato
uo-n')pLov: un mistero che ha un diretto rapporto col giorno del Si-
gnore (domenica), e attraverso il quale i cristiani sono giunti alfa
fede e perseverano in essa, hanno insomma. ricevuto la fede. Con
quest'ultima formula (aoristo!), si accenna indubbiamente al batte-
simo. In una parola, ritroviamo qui i momenti principali del
vc:rTf)pLov di cui si parla in Eph. 1 ,3-14 e 3,1-12, e riuniti in un'uni-
ca proposizione.
Nell'attuale contesto, si possono subito addurre anche quei passi,
il cui effettivo significato continua tuttora a restare difficilmente af.
ferrabile. Si tratta di IGNAZIO, ad Trall. 2,3 e di Didach 1r,1 r. Tut-
tavia, comunque vadano esattamente concepiti,37 essi abbinano pur
sempre fra loro Chiesa e uc:r'tTjp~ov: al momento buono, si fa ca-
pire che la Chiesa viene concepita come quella presenza (passiva-

3S Cf. in materia H. SCHLIER, Religiomgeschichtlicbe Untersuchungen zu den


Ignatiur-Briefen, Giessen 1929.
36 G. Bornlwnm (in ThWNT, 813) probabilmente non ha rilevato l'importanza
di questo testo. Cfr. la nostra ulteriore sua valutazione pi sotto a pp. 125 ss.
37 I testi suonano cosl: Bisogna per che anche i diaconi, i quali sono mini-
std dei misteri di Ges Cristo, piacciano in ogni modo a tutti; essi infatti non sono
diaconi dei cibi e delle bevande, bensl ministri della Chiesa di Dio (IGNAZIO, ad
Trilli. 2,3). Ogni vero e provetto profeta che nel suo agire mira al mistero terreno
della Chiesa, ma non insegna tutto quanto fa come cosa che deve essere fatta, deve
risultare sottratto al vostro giudizio (Did. II,II ).
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACkAMENTI IOI

mente ricettiva e attivamente cooperativa) del ua-t"fipw-.i di Dio in


Cristo, vista anche come rappresentanza ecclesiale e individuale, quale
viene intesa gi in I e 2 Cor., Col., Eph. e I Tim., non meno che poi
ad es. in IGNAZIO, aJ Sm. r ,2 e in akri passi similari. Nell'insieme,
permane notevole la rarit dell'uso concettuale, come pure l'assolu-
ta marn:anza di genuine reminiscenze delle concezioni misteriche (pa-
gane) e della loro terminologia, sebbene essa, p. es. in IGNAZIO, aJ
Magn. 9,1, avrebbe potuto farsi sentire.
Un'altra ramificazione semantica, sempre derivante dalla stessa in-
terpretazione (autonoma) dell'unico ua"ri)pLO'J di Dio ofterta aal NT,
adopera questo termine per citare figure ed avvenimenti tipologici
dell'AT. Cosl ad es. per Giustino, l'Antica Alleanza dc; ua"ri)pLO'J
't"OV XpLa-tou. 38 In questo senso, ua"tT)pLO'J costituisce pi o meno un
sinonimo di mxpa(3o11), <1U(3olov, -iu1to. Questa accezione e il
corrispondente uso del sostantivo ua-iT)pLo-.i (come poi anche quello
di mysterium e sacramentum in latino) sono destinati a mantenersi
vivi per secoli. Nel primo periodo continua a conservare la premi-
nenza il carattere di evento: i personaggi o gli avvenimenti saL'vi-
fd dell'AT erano gi in certo qual modo delle realizzazioni previe
dell'unico disegno salvifico di Dio, e rispettivamente della sua rea-
lizzazione definitiva in Ges Cristo. Da quest'ultima accezione con-
cettuale di ua-tT)p1.0v, ovviamente non si diparte pi alcuna via che
conduca all'altra applicazione, che vige preponderante soprattutto
nella teologia alessandrina. Ora, siccome questa caratterizzata an-
che nel resto del suo tessuto da una particolare affinit cot patrimo-
nio ideale neoplatonico e gnostico, risulta ben comprensibile come,
in questo quadro, la corrispondente categoria del mistero (o dei mi-
steri) venga intesa nel senso da far concepire le dottrine e le verit
del cristianesimo come mistero o misteri. E in realt, pure questo
uso del termine u<TtilpLo-.i destinato ad assumere una grande im-
portanza per il futuro della Chiesa. Il sostantivo si conservato :fin
nelle nostre lingue moderne, per significare un arcano che si pu ri-
conoscere ed afferrare soltanto per via di fede. Che poi qui si sia
proseguito il cammino, passando dal mistero al dogma della
dottrina cristiana, tenendo presenti le considerazioni test fatte non

38 Giustino, Dial. 44.


102 I SACRAMENTI

desta pi aliCUila meraviglia. Tuttavia, anche qui non bisogna di-


menticare che, in seno all'antica Chiesa, l'amalgama unitario com-
posto dalla salvezza, dalla vita e dalla dottrina veniva ammesso co-
me ovvio e scontato. Il Signore Salvatore anche come Maestro, e
in quanto Maestro pure il portatore della salvezza, come gi fa
capire IGNAZIO, ad Magn. 39 Ora, che su questa linea venga svilup-
pato e portato avanti solo un lato della completa visione paolina del
va-n'ipt.0v, un dato di fatto ovviamente da non sorvolare. In ef-
fetti, nessun periodo della Chiesa riesce ad eludere ta propria <<Uni-
lateralit nella conoscenza e nella valutazione dell'incomprensibile
ua-.i)p~o'il. Degna di particolare attenzione in questo campo an-
che 1a concezione di Origene, il quale fa una di~tinzione tra l'unico
grande u<r"tTJp~o" (quello costituito dalla triplice manifestazione del
Logos nell'incarnazione, nella Chiesa, nella Scrittura) e i ucr.i)pta.
in genere, che ( soltantoJ>) partecipano ad esso. 40 In questa presa
di posizione, si potrebbe ipotizzare persino una relativa sottovalu-
tazione dei sacramenti, specie ianche dell'eucarestia, nei confronti
magari della parola pi spirituale della Scrittura o di altro.
Infine bisogna accennare anche all'uso liturgico-cultuale del con-
cetto di u<T'ti}ptov, esaminando un pochino pure la terminologia del-
le celebrazioni dei misteri in genere. L'intero complesso dell'evolu-
zione avutasi in questo campo ancora ben lungi dall'essere vaglia-
to a fondo. Parecchie osservazioni in materia invitano ad andare
piuttosto cauti coi riassunti e le fissazioni di risultati. Tuttavia, pos-
siamo sin da adesso aff.ermare questo: proprio perch nei primi tempi
prevale ancora la ritrosia dei cristiani nei confronti della concettua-
lit (formale) religiosa di stampo pagano, i riti cultuali cdstiani non
vennero da principio denominati vcrtjpLo\I e ucr'tTJPL, nell'ambito
dei paesi di lingua greca. Giustino ne un l~mpante esempio. Quan-
tunque in lui le categorie misteriche sostengano una parte di tutto
rilievo, egli non le impiega si pu dire mai per designare le celebra-

39 Sintomatico in IGNAZIO, ad Magn. 9,I s. l'intimo nesso intercorrente fra vi-


vere secondo Ges Cristo, vivere secondo la domenica e vivere secondo il
mistero, tramite cui abbiamo ricevuto la fede, per venir trovati discepoli di
Ges Cristo, unico nostro Dottore (cf. Mt. 23,8).
40 Cf. H.U. v. BALntASAlt, 'Le mystre d'Origne', in: RSR 26 (1936) 513-562;
27 (1937) 38-64.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 103

zioni cristiane.41 Qui soltanto l'evoluzione successiva porta un cam-


biamento; essa per non rientra ormai pi nel periodo di cui espres-
samente ci stiamo occupando.
bb. Sacramentum. La primitiva vicenda lessicale e concettuale di
sacramentum desta qui il nostro particolare interesse, gi solo per
il fatto che il nostro termine tecnico odierno deriva direttamente da
esso. La cosa tanto pi degna d'attenzione, in quanto il latino ave-
va gi mutuato il termine va-ti)piov usato nella Bibbia (greca), ac-
cogliendolo anche come radicale semantica (mysterium), gi sin da
prima che si destasse un interesse cristiano per tale concetto. Sic-
ch, anche nell'ambiente latino, avrebbe potuto benissimo continuar
a sussistere l'espressione vO"'t'i)pLov - mysterium. Vien quindi conse-
guentemente da chiedersi, quale possa essere stata la ragione che ha
fatto preferire il termine sacramentum per designare comunemente
quelle estrinsecazioni vitali della Chiesa (sebbene questa stessa paro-
la, come successo per quella greca ua't'-npLov, continui egualmente
a sussistere sull'arco di interi secoli anche per indicare parecchie al-
tre cose).
Per quanto concerne l'uso classico di sacramentum,42 ci sia per-
messo di spendere qualche breve parola circa la sua etimologia, giac-
ch essa pure pu avere la sua corresponsabilit nell'applicazione cri-
stiana (d'impronta nuova e specifica) del sostantivo sacramentum. La
radice sacr esprime una. relazione col divino-numinoso; i termini sa-
crum, sacrae, consecrare mettono inoltre sempre in risalto anche il
momento giuridico e pubblico del fatto, mentre ad es. l'espressione
res religiosa indica quakosa di privatamente consacrato. Siccome il
suffisso -mentum designa prevalentemente il mezzo o lo strumento, il
termine sacramentum pu star ad indicare il mezzo che consacra (sa-
crat), o rispettivamente attraverso il quale uno consacra, e allora ab-
biamo il significato etimologico attivo; ma poi pu indicare anche
ci che viene consacrato o consacrato {sacratum - sacrum), e in tal
caso abbiamo l'accezione etimologica passiva; e infine pu indicare

41 a. in materia A. KoLP!NG, Sacramentum Tertullianeum, cit., 105 s.


42 Per quanto diremo in seguito, v. spec. A. KoLPING, Sacramentum Tertullianeum,
cit.; d. anche CHR. MoHRMANN, 'Sacramentum dans les plus andens textes chr-
tiens', in: HThR 47 (1954) 14M52.
I SACRAMENTI

l'azione consacratrice (sacratio, consecratio). Partendo da questo si-


gnificato fondamentale affiorante gi nell'etimologia, e agganciando-
si ad esso, il sacramentum assurto sotto il profilo semantico ad
espressione tecnica, usata specialmente per designare il giuramento
di fedelt alle bandiere fatto dai soldati. In questa accezione, esso
si presenta come un caso particolare dello iusiurandum, e ha a che
fare col settore del divino e del diritto pubblico. In questo senso,
H sacramentum anche il mezzo consacratorio del giuramento emes-
so ed accettato come consacrazione. Poi sacramentum pu significare
anche la cauzione in denaro da depositare in un luogo sacro prima
dell'inizio d'un processo civile; cauzione che resta in uso al sacra-
rium qualora il processo venga perduto. Qui si tratta quindi quasi
d'una elemosina sacra, intesa come automaledizione per il caso di
infedelt o di insincerit. Ora, ambedue i significati - giuramento
militare e cauzione processuale - si fondano in definitiva sullo stes-
so elemento, vale a dire sulla consacrazione giuridica e pubblica del
giuramento mediante un'automaledizione per l'eventualit d'uno
spergiuro. Dai singoli momenti riecheggianti nell'etimologia e nella
semasiologia, risulta abbastanza chiaro che nell'antichit il termine
socramentum pu comparire occasionalmente in testi che trattano
dei misteri cultuali e di fotti similari, esponendoli o magari confu-
tandoli. Non riteniamo necessario per sviscerare ulteriormente que-
sto argomento: crediamo basti cosl.
Per quanto riguarda l'uso cristiano di sacramentum, occorre con-
statare in primo luogo che gi sin da prima di Tertulliano, il qua-
le, primo fra gli scrittori latini, usa in parecchi modi sacramentum
come espressione teologica, il sostantivo era onnai da ]ungo tempo
in voga nel campo cristiano. Nelle prime versioni della Bibbia (dif-
fusesi in Africa), il termine sacramentum la parol'a con cui cor-
rentemente si traduce va'!1}ptov. un dato degno di attenzione,
perch il sostantivo mutuato mysterium esisteva gi da un pezzo,
tanto vero che pi tardi esso verr impiegato nell'Italia frequente-
mente, e nella Vulgata persino di preferenza (29 volte contro r6).
Non si riesce pi a capire esattamente perch nel periodo primitivo
si sia adoperato sacramentum e non mysterium, per rendere il ter-
mine uc ..ti}ptov. L'opinione pi probabile tende ad ammettere che
a tutta prima si volessero generalmente evitare lie parole straniere
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI I0.5

greche (cf. anche i sostantivi verbum e sermo per 1.6yo, e molti


altri esempi); inoltre si mirava per ostensibilmente anche a scan
sare i termini u<Ttjptov (ua"TJPt~) per il loro significato spiccata-
mente pagano (come del resto si faceva per altre locuzioni, che sug-
gerivano troppo facilmente un'idea cultuale pagana o qualcosa di
affine) e infine non si pu far a meno di tener presente anche il
lato irrazionale d'una spontanea scelta lessicale fatta da gente piut-
tosto incolta, come succede non di rado pure in altri campi.'
Imbattendosi nella parola s11Cramentum come traduzione di
ua-n'}pi.ov nelle versioni bibliche, si coglie gi una prima accezione
cristiana. Essa deve innanzitutto aver designato ci che al tempo di
t-a1ii versioni s'intendeva esprimere col termine ua-n'}p~ov, nei cor-
rispondenti passi della Bibbia. Una prima applicazione teologica cri-
stiana, consapevole e destinata a fare epoca, della parola sacr1tmen-
tum si riscontra in Tertulliano. In lui, essa indica ovviamente nei
corrispondenti passi innanzitutto quanto viene reso in questo modo
nelle versioni deUa Bibbia. Resta per a.litro ancor da vedere, se qui
non si possano gi individuare delle sfumature. Inoltre, come na-
turale, egli usa il sostantivo anche nell'accezione corrente (classica)
del suo tempo. Per quanto concerne i passi che al momento c'inte-
ressano, essi s'inquadrano in prevalenza entro la cornice dd signi-
ficato suggerito dalla Bibbia. Cosl il termine sacramentum designa in
primo luogo l'economia di salvezza in genere instaurata da Dio, e
in tale ambito specialmente l'ardo personarum sussistente in Dio,
in quanto quest'ordo si ricollega intrinsecamente con la oikonomia
salutis (TertulJliano conserva qui ]'espressione greca!). Siccome si
tratta d'un mistero occulto di salvezza, egli lo chiama socramentum
(-a), oltretutto quand'anche si stia parlando di res sacrae arcanae di
marca eretica. Poi usa sacramentum per indicare la salvezza messia-
nica, come (e perch) essa era stata celatamente preparata negli av-
venimenti e nelle figurae delil'Antica Alleanza riscontrabili nell'AT,
manifestandosi indi in maniera non appariscente e velata anche nella
vita terrena di Ges, e nei suoi singoli episodi. Da questa modalit
d'impiego di sacramentum (gi definitivamente radicata in r Cor.,
Col., Eph. e altrove) venuta a svilupparsi (ricalcando il va-cfip~ov

43 Cf. al proposito Ctta. MoHRMANN, art. cit.


I06 1 SACRAMENTI

inteso in senso biblico cristiano), risultava ormai palesemente aper-


ta la via che avrebbe condotto anche al sacramentum come regola e
professione di fede.
Da menzionare in modo tutto speciale l'applicazione di sacra-
mentum ai riti cultuali. Anche qui appare determinante la traduzio-
ne di uo-n')p~ov con sacramentum. Tertulliano trova questo uso or-
mai affermato da lungo tempo. In effetti, l'espressione sacramentum
(-a) viene applicata tanto al battesimo quanto all'eucarestia, visti co-
me avvenimenti salvifici cultuali. Esulerebbe dal nostro assunto il
metterci ad analizzare a fondo il complesso ed intrkato stato di cose
che qui gi si delinea; per cui, ci proponiamo di sviscerarlo accu-
ratamente nella trattazione dei singoli sacramenti. Quel che per ora
c'interessa ed assume non trascurabile importanza questo: in Ter-
tulliano, l'espressione sacramentum viene applicata aH'eucaristia co-
me evento cultuale non soltanto perch essa una manifestazione
della salvezza (che gi nell'Antica Alleanza si verificava in moltepli-
ci modi), ma invece anche perch accorda un'attiva partecipazione
al suo attuarsi. Viene quindi in luce l'applicazione del carattere fon-
damentale etimologico attivo di sacramentum. La stessa cosa vale
per il battesimo. Per ambedue i sacramenti, bisogna per altro ag-
giungere che Tertulliano non offre ancora alcuna teologia sacra-
mentale. Egli infatti ad esempio non riflette espressamente sulla
eucaristia e sul battesimo per poi, una volta riscontratovi qualche
lato in comune, collocarli consapevolmente sotto la categoria di Sa-
cramento. Questa in effetti non esiste ancora, per cui egli nemme-
no la sviluppa (cosa che verr fatta invece soltanto da Agostino).
Di conseguenza, non si pu affermare sbrigativamente che in lui il
termine sacramentum stia ad indicare il battesimo e l'euaaristia.
Adopera invece occasionalmente tale vocabolo in riferimento a que-
sti due <datti cultuali, per enuclearne una componente essenziale,
senza che per ahro appaia chiaro che intenda designare con tale
termine l'eucaristia o il battesimo nella piena accezione teologica a
lui disponibile. Non ripensa mai le due azioni salvifiche alla luce
di questa categoria, o quanto meno guardandole come veri e propri
sacramenth>. importante rendersene pacatamente conto.
Per quanto concerne il battesimo, in Tertulliano si fa luce poi
ancora un'altra specifica applioazione di sacramentum. Usa infatti
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI

l'immagine del giuramento di fedelt alle bandiere per indicare le


=
promesse battesimali cristiane ( sacramentum), in quanto esse rap-
presentano un'obbligazione d'impegnarsi al servizio di Dio.
Ci che insomma si pu qui percepire per la prima volta in Ter-
tulliano, si riscontra in maniera analoga anche in Cipriano e in al-
tri scrittori latini, senza per altro che si possa constatare gi un'ul-
teriore evoluzione sostanziale. Per cui non ci sentiamo in dovere di
addentrarvici ulteriormente. La nascente teologia sacramentale sca-
turisce da molte e svariate fonti, se sappiamo tener presenti }a con-
cettualit in essa usata e l'esposizione apologetica giustificativa. Re-
ciprocamente poi, anche i concetti e i vocaboli impiegati hanno a
loro volta esercitato un progressivo influsso sull'andamento della ri-
flessione: cosa che risulta per la prima volta ben accertabile in Ter-
tulliano, in quanto egli si richiama per es. nuovamente al significa-
to etimologico originario di sacramentum.
In Agostino,"' si riscontra per di fatto per la prima volta un
interesse che si pu chiamare davvero teologico-sacramentale, seb-
bene esso si limiti ancora e sempre quasi esclusivamente al battesi-
mo e all'eucarestia. In via generale c' da dire innanzitutto che Ago-
stino continua tuttora ad usare sacramentum e mysterium (ambedue
senza vera delimitazione vicendevole) per molte cose, adoperandoli
spesso come sinonimi di figura, prophetia, velamen, allegoria, sym-
bolum ecc. Guardando tutto questo in pi stretta correlazione al
nostro assunto, dall'uso generico di sacramentum si possono enuclea-
re tre gruppi di significati. In primo luogo si chiamano sacramenta
numerosi riti ed azioni salvifiche, specialmente del Vecchio e del
Nuovo Testamento. In questa C1iltegoria rientrano il battesimo, l'eu-
caristia, l'ordinatio, l'unctio, la Pasqua; ma anche la professione
monastica, il simbolo di fede, la sacra Scrittura, e via dicendo. Poi
sacramentum compare spesso come sinonimo di figura o simbolo. E
infine, come capita specialmente anche con mysterium, pu indica-
re l'arcano e persino il dogma cristiano nel suo carattere di fede e
di obbligazione. In complesso per, rimane ancora sul' tappeto una
infinit di accezioni e di applicazioni che si stentano a classificare
chiaramente.

44 Cf. per quanto ci accmg1amo a dire, le collezioni di testi (con relativa bi-
bliografia) riportate in G. VAN Roo, De Sacramentis in genere, Roma x966, 2I-3.5
108 I SACRAMENTI

In riferimento all'interesse teologico-sacramentale di Agostino, si


pu dire brevemente questo: come si pu per la prima volta appu-
rare chiaramente in lui, egli definisce il sacramento come un sacrum
signum, come un signaculum o visibile verbum. Questa definizione
di sacramentum divenuta praticamente determinante per lia suc-
ces9iva storia della teologia sacramentale, quantunque. tale sacra-
mentalit venga ripensata da Agostino propriamente .solo in rap-
porto al battesimo e all'eucarestia. Tuttavia, la visione cosl svilup-
pata, la concettualit abbozzata e altresl 1a restrizione d'angolatura
(non direttamente perseguita da Agostino stesso), risultano di note-
vole importanza sotto il profilo teologico e storico. Di conseguenza,
riteniamo sia significativo raccogliere assieme, per quanto possi-
bile, le principali affermazioni di Agostino determinanti per l'avve-
nire (sebbene variamente interpretate).

Il contributo pi importante per il futuro indubbiamente la concezio-


ne e la spiegazione del sacramento come sacrum signum o visibile verbum
(sacrum ). Rientra in questa inquadratura la definizione specifica di sacra-
mento come un segno denotante una cosa sacra proprio nell'ambito del-
l'evento cultuale (celebratio), ove essa contenuta e trasmessa. Nel pre-
sente contesto, sar utile rilevare come in Agostino la concezione dei sa-
cramenti come verba visibilia non costituisca ancora in primo luogo una
vera definizione teologica. La sua concezione del sacramento come se-
gno si fonda invece innanzitutto sulla sua tipica posizione filosofico-me-
tafisica e gnoseologica. Il termine segno, da lui usato, va inteso prima
di tutto come incastonato su questo sfondo. I segni hanno in comune il
fatto di essere res (significantes), che fanno pervenire alla coscienza qual-
cos'altro, e precisamente la res significata. Per i sacramenti, sono poi
particolarmente caratteristici i signa data, che vengono scambiati fra es-
seri viventi allo scopo di esprimere e suscitare emozioni e pensieri affetti-
vi. Ora, siccome ci avviene per l'uomo principalmente tramite il linguag-
gio, quindi tramite il senso dell'udito e, sia pure in misura pi ridotta,
tramite il senso della vista, l'espressione verbum visibile va intesa proprio
rifacendosi a questo: la parola un (mero) segno per trasmettere attra-
verso l'udito. Tutti gli altri segni, in quanto tali, sono pertanto quasi
anche delle parole ( verba ). Qualora essi operino avvalendosi del senso
della vista, tali segni possono sensatamente chiamarsi pure verba visi-
bilia.

Orbene: se Agostino descrive i sacramenti come segni, la spiegazio-


ne del signum come verbum visibile ovviamente data per presup-
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI I09

posta. Che determinati signa possano addirittura essere e chiamarsi


sacrtJmenta, lo pu fare soltanto i.m determinato verbum ~quasi
aggiuntivo o specificamente interpretativo). La parola (verbum) qui
intesa poi la parola rigorosamente obbligata alla rivelazione (di
salvezza), che entra come componente essenziale nei sacramenta in
quanto signa sacra. Adesso sl che risulta comprensibile 1ia definizio-
ne di sacramentum offerta da Agostino: signum sacrum o sa-
crae rei signum o ancora invisibilis gratiae visihilis forma. Per-
tanto, l'elemento che nel sacrgmentum si contrappone al verbum
cosl inteso, costituisce quindi gi di per s una res significans, un
signum; eppure esso diventa un sacramentum soltanto mediante un
verbum, che rientra nella dimensione della parola rivel!ata o salvi-
fica. Il capirlo decisivo, per comprendere a fondo l'intima strut-
tura del sacramentum - elementum-verbum - nella mente di
Agostino.
Fra le altre affermazioni riguardanti i sacramenta, dobbiamo men-
zionare ancora suppergi le seguenti. Agostino esige dal segno an-
che una certa analogia o una coordinazione con la cosa da desi-
gnare. Questa, la res sacramenti, non viene ancora sempre definita
in maniera precisa, ma poi in definitiva la grazia salvifica, che va
trasmessa e rispettivamente viene di fatto trasmessa. Questa res con-
tiene, ma d'altro canto al contempo , ci che nel presente contesto
intendono esprimere i termini virtus ed effectus (oltretutto non di
rado sinonimi appunto della res ). Inoltre, per i sacramenti, Ago-
stino richiede come caratteristica l'istituzione da parte di Cristo, e
rispettivamente dalla disciplina apostolica. Nel sacramento infatti
agi-sce Cristo stesso: lui che battezza. Lo Spirito santo poi produce
interiormente il dono della grazia. In tal modo, viene gi dato un
indirizzo risolutivo al problema della necessit o meno della santit
personale del minister sacramenti: l'efficacia dei sacramenti indi-
pendente dallo stato di santit personale dell'amministratore. Non
priva di forte mordente rimasta infine la distinzione che Agosti-
no ritenne di dover fare, nella polemica antidonatistica circa il bat-
tesimo e i suoi effetti di grazia, che ha trovato poi la sua sedimen-
tazione nella dottrina del carattere sacramentale.
110 I SACRAMENTI

e. Risultati

Le osservazioni sin qui fatte sull'effettivo impiego dei termuu


ua-.i)piov e sacramentum nei primi tempi della Chiesa e nella primi-
tiva ra patristica, per quanto ci riguarda, stentano a far apparire
giustificato o fanno sembrare un po' troppo superficiale l'afferma-
zione che uan'}pLov e sacramentum siano state delle stabili denomi-
nazioni per designare i sacramenti cristiani.45 Sl, perch ci che in
un'affermazione del genere deve chiamarsi sacramento, risulta sen-
za tutte le garanzie influenzato intempestivamente dal nostro con-
cetto odierno (tipicamente cristiano o comunque scientifico-religioso
in senso lato). In effetti, per quanto finora si pu intravedere, nei
primi secoli vengono in questo senso chiamati ua-.'l}pLOV o sacra-
mentum soltanto il battesimo e l'eucarestia; anzi, per meglio dire,
questi termini vengono riferiti ad essi . in un particolare contesto.
Ora, l'esatto significato di questo uso lessicale resta ancor da pre-
cisare; sl, perch il pi delle volte si cita soltanto un singolo aspet-
to di tal!i sacramenti, p. es. l'acqua, le promesse battesimali, il
pane e il vino, e via dicendo, chiamandoli semplicemente sacra-
mentum. Saltuariamente, ma pure sin da~ principio, accanto al bat-
tesimo e all'eucarestia, vien chiamato ua-.f,piov-sacramentum per al-
tro con un'intonazione un po' diversa anche il matrimonio, che vie-
ne normalmente inserito in un contesto cristologico-soteriologico, o
rispettivamente ecclesiologico. Come abbiamo potuto vedere, in que-
sto c31mpo soltanto la teologia di Agost!ino porta un sostanziale
cambiamento.
Resterebbe quindi ancor da chiedersi se, nel .periodo che va sino
ad Agostino, uU't1')pLov e sacramentum inseriti in tale contesto si sia-
no sentiti e usati gi consapevolmente come una categoria capace di
esprimere il fattore comune riconosciuto e ripensato come tale,
incanalato proprio sulla linea di quella sacramentalit dei sacra-
menti che pi tardi verr di fatto enucleata. Ci infatti presupporreb-
be che gi sin d'allora ahneno l'eucarestia e il battesimo si fossero
considerati in certo qual modo per via riflessa come dotati d'una sa-

45 Cosl ad es. G. BORNKAMM 'ut:r'l'1JP~O'I', in: ThWNT 4 (1942) 832, e parec-


chi altri autori assieme a lui.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI Ili

cramentalit comune, e che quest'ordine di idee avesse poi trova-


to la sua sedimentazione nell'uso comune coscientemente aa:ettato
del termine sacramentum. Ora, stando alle affermazioni delle fonti di
cui disponiamo, non dovrebbe essere cosl. Certo, per, che non de-
ve esser passato molto tempo, prima che incominciasse a destarsi il
nuovo interesse teologico di cui si fatto portavoce Agostino.
In ogni caso, guardando le cose nel loro insieme, resta ancora da
appurare con maggior precisione quale significato esatto abbia l'uso
di uo-'t'i}pto\I e sacramentum nel contesto cultuale. Non bisogna quin-
di parlare sbrigativamente in maniera globale e generalizzata (quasi
riecheggiando i .uO"'t'i}pia dei culti misterici) delle celebrazioni cul-
tuali cristiane: occorrerebbe prima documentarne esattamente l'esi-
stenza. In effetti, si constata che in questo primo periodo si tratta qua-
si esclusivamente solo del battesimo e dell'eucarestia, quando si ado-
pera l'espressione ucrii}p~ov e rispettivamente sacramentum, riferen-
dosi all'evento cultuale sacramentale. Quasi non bastesse, s'impa-
ne pur sempre ancora il dovere di enucleare il nesso intercorrente fra
l'evento cultuale di volta in volta realmente indicato con l'uso di
questo vocabolo, e i fatti o gli eventi salvifici in esso effettivamen-
te rappresentati - nella mente della Chiesa primitiva! - , o co-
munque celebrati. verissimo che non di rado (come gi abbia-
mo visto) si chiamano ua-ri}pLa tutta una serie di avvenimenti suc-
cedutisi nella vita di Ges (nascita del Logos da Dio, incarnazione,
concezione e natale, battesimo da parte di Giovanni, passione, morte
di croce, risurrezione, ascensione, ecc.). Ma in questi casi non si pen
sa per nulla ad un evento cultuale, bens agli avvenimenti stessi (in
Ignazio p. es. insistendo persino sul realismo storico della vicenda),
nella loro realt di rivelazione e di salvezza. Strano a dirsi, non esisto-
no proprio delle celebrazioni delle gesta salvifiche del Signore (de-
signate avventatament.:! con un plurale generalizzato) di stampo eccle-
siastico-cultuale, che si richiamino a singoli avvenimenti della vita di
Ges (e ad altri fatti similari) e, perch questi si chiamano uO"'t'TJPLCJ.,
possano poi esse pure chiamarsi cosl perfino come rappresentazioni
cultuali. Semmai si debba parlare di celebrazioni cultuali dei cristia-
ni, stando alle fonti di cui disponiamo si debbono sottintendere in
concreto soltanto il battesimo {abbinato alla confermazione) e l'eu-
II2 I SACRAMENTI

carestia.''~
Sintomatico per il fatto che in esse, sempre nel modo
tipico di ciascuna, si festeggia soltanto l'unico ua--t'l')p~ov. E con
esso, si designa nell'insieme l'unico evento-Cristo nel NT chiamato
enfaticamente uo--tiJp~ov, con speciare puntualizzazione sulla morte
di croce e sul suo frutto (risurrezione), visto per sempre come azio-
ne salvifica (nel senso pi ampio) esplicata da Dio Padre nei nostri
confronti. Precisamente in questo consiste la vera connotazione cri-
stiana della celebrazione cultuale nella mente della Chiesa di quel
tempo, che poi quella che qui c'interessa. Osserviamo bene l'as-
sunto completamente diverso dei culti misterici; ma teniamo presen-
te anche, come contrasto di tonalit in seno allo stesso campo cri-
stiano, p. es. l'intenzione propostasi dal medioevo con la messa in
scena dei suoi misteri, i quali vogliono appunto rappresentare in
forma teatrale gli episodi pi salienti della vita di Ges. Possono
esser esistiti anche nel; primo e secondo secolo prodromi d'una Ce-
lebrazione dell'anno liturgico. Si commemorano indubbiamente
come eventi salvifici singoli avvenimenti della vita di Ges; ma non
esistono (ancora) assolutamente feste commemorative vere e pro-
prie, bensl soltanto l'unica commemorazione dell'unico ua't'i)p~ov.
Giorni festivi e commemorativi dedicati a singoli avvenimenti s'in-
troducono soltanto in un secondo tempo, e, qud ch' pi importan-
te, vengono solennizzati proprio mediante l'unica celebrazione del-
l'eucarestia, quantunque essa come centro della festa venga inqua-
drata sotto il tema del giorno. Se queste e similari osservazioni
risultano fruttuose, soltanto ricerche ulteriori e impostate in ma-
niera nuova potranno portare maggiori chiarificazioni nel problema
concernente la derivazione del nostro concetto di sacramento dall'ef-
fettivo uso del termine uo-T'lip~ov, adottato per indicare determinate
azioni cultuali cristiane che solo pi tardi sarebbero state chiamate
specificamente sacramenti.

46 Crediamo sensato allegare qui assieme anche la confcnnazione (cresima), anche


se a suo luogo dovremo poi dire ancora qualcosa circa il complesso unitario del
sacramento d'iniziazione (o dei sacramenti d'iniziazione). Il maJrimonio, quantun
que venga esso pure chiamato ua-i;1}pr.o11 nel senso sopra indicato in quanto de-
rivante dal mistero Cristo-Ollesa {cf. le considerazioni fatte sopra e la trattazione
dello stesso sacramento del matrimonio), non rientra nel presente contesto. Torne-
remo a parlarne in seguito, analizzandolo proprio in quanto sacramento.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMEN'II

3. Nascita e prime vicende storiche della teologia sui sacramenti


in genere

Di fronte ai risultati di cui poc'anzi abbiamo preso atto, al nostro


assunto s'impone di appurare come si sia giunti teologicamente a
quella consapevolezza di fede, che ha trovato la sua sedimentazione
nella primitiva storia della vita ecclesiale-sacramentale e della sua
concezione, come pure (in parte) anche nelk:i. storia lessicale e concet-
tuale, rendendosi cos} sia pure faticosamente e frammentariamente
da noi afferrabile. Abbiamo gi additato in precedenza parecchi spun-
ti evolutivi. Ora dobbiamo farli entrare nel nostro campo visivo in
maniera un pochino sistematica. Come dovrebbe risultare sufficiente-
mente comprensibile dai risultati sinora presi in esame, dovremo li-
mitarci a tutta prima solo a tentar di ricalcare in maniera generica ma
ben afferrabile nelle sue linee la storia delle primissime avvisaglie di
un ripensamento teologico, che tender poi a coagularsi in una teo-
logia sacramentale. Al punto in cui siamo con la nostra trattazione,
questa impresa si prefigge ovviamente lo scopo di rappresentare la
sezione pratica della teologia sistematica svolta nella presente bran-
chia della dogmatica.

Il fatto di fronte a cui ci troviamo in sostanza questo: ci che molto


pi tardi si chiamer Sacramento (d'altronde in un senso ancor meglio
da precisare), sussiste fin dai primi giorni della Chiesa come sua gamma
di realizzazioni vitali, per alcuni di questi sacramenti (che finiranno per
essere sette) afferrabile immediatamente nella maniera pi netta, per altri
captabile solo in prosieguo di tempo. Il successivo termine tecnico di
sacramento fa la sua comparsa soltanto dopo alcuni secoli, ad es. in
Agostino, e viene adoperato per designare determinate estrinsecazioni ec-
clesiali con un'accezione tale, che si cristallizzi a poco a poco in esso, co-
me in un'espressione tecnica, una specie di teologia che ripensa i (o me-
glio, alcuni) sacramenti in quanto tali. Ovviamente, resta ancora da ve-
dere se l'espressione tecnica cosl impostata intenda abbracciare totalmen-
te ci che tali realizzazioni manifestano nel loro complesso vitale. D'al-
tro canto per, il sostantivo e il concetto di UO"'t'TtPLO'll (e di sacramen-
tum) preesistono gi da lungo tempo con un loro contenuto spiccatamen-
te cristiano, sin dalla compilazione degli scritti neo-testamentari, senza
peraltro che in questi ultimi vengano usati per indicare quei riti che so-
lo pi tardi riceveranno il nome di sacramenti. Viene cosl da chiedersi
ll4 I SACRAMENTI

se ambedue i significati da principio affioranti con una accezione diversa


abbiano qualche relazione intrinseca fra loro e, nel caso essa sussista per
davvero, in che cosa consista esattamente questo nesso. Questa questione,
che di per s sembra avere un'aria da storia linguistica e concettuale, ri-
veste per noi uomini d'oggi un'importanza tutta speciale, perch, dalla
sua soluzione, dipende l'aliquota di diritto teologico che si pu ricono-
scere al nostro odierno concetto di sacramento (o magari ad un concetto
da riacquisire di bel nuovo cn maggiore pienezza), in base alla Scrittura
e alla vita della Chiesa. La domanda scottante infatti questa: il nostro
concetto di sacramento si sviluppato in maniera teologicamente legit-
tima e va conservato intatto, quantunque risulti chiaro che esso nella
Bibbia non compare (ancora)? Le corrispondenti azioni ecclesiali, pur
senza venir denominate sin dal principio uCT-ritp1.0'11 - sacramentum, con-
tengono tuttavia in s la sostanza che ne giustifica la ragion d'essere? Op-
pure, per dirla in altro modo: per quanto concerne la loro denominazio-
ne (comune), i sacramenti possono richiamarsi davvero al UO"'t'"iPLO'll del
Nuovo Testamento? Fintanto che la teologia, soprattutto la teologia si-
stematica, avr anche una funzione critica, non si potr mai eludere que-
sto problema. In effetti, l'esistenza della categoria dei sacramenti, ma al-
tres} la sua odierna problematica, sono innegabili. Il problema quindi
unicamente questo: bisogna dimostrare, in base alla teologia ~iblica e
sistematica, che per lo meno non illegittimo applicare sensatamente
e giustamente quest'unica categoria a Cristo, alla Chiesa e ai sacramen-
ti, inquadrandoli sotto questa cornice paradigmatica in maniera teolo-
gicamente accettabile.

Diamo inizio alle nostre considerazioni puntando subito lo sguardo


sulle finalit propostesi da questa sezione; ovviamente, non potr e
non dovr essere nostra intenzione sviscerare completamente la mate-
ria in discussione. Siccome nella prima parte che stiamo esaminando
si tratta di giungere a concepire e a presentare i (singoli) sacramenti
come articolazioni e attualizzazioni di quel sacramento radicale che
la Chiesa, scegliamo come palesamente e anche oggettivamente op-
portuno spunto di partenza per le nostre riflessioni quegli asserti neo-
testamentari che si possono cogliere specialmente in 1 Cor., Col. ed
Eph. Vedremo come, facendo leva su di essi, giungeremo esattamente
al centro della questione che qui dobbiamo esaminare. L'elemento de-
cisivo non sta qui nella comparsa d'un determinato vocabolo, e nem-
meno nell'accentuazione gi riflessa d'un fattore comune in certi riti
di salvezza compiuti dalla Chiesa. Si tratta invece di constatare l'espli-
citazione dell'unico evento, in Col. ed Eph. chiamato enfaticamente
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 115

uu't'ftpiov (ma non soltanto cosi), come genuina seppure molteplice


realizzazione eclesiale della salvezza concreta accordataci da Dio. Si
tratta di vedere come esso si realizzi pur essendo gi realizzato, qua-
lunque possa esserne a tutta prima l'espressione terminologica; si
tratta di accostare il ucrn)piov, che continua ancora sempre ad attuar-
si in quanto tale, e secondo i disegni salvifici di Dio deve attuarsi
appunto tramite la Chiesa, e in essa pubblicamente anche attraverso
e in determinate azioni significative, per cui nel tempo della Chiesa
costituisce una specie di evento concretizzato in eventi (ecclesiali).
Abbiamo anc:he gi preso atto del reperto terminologico pretta.men-
te cristiano: il sostantivo (il concetto) di uaTf)piov (e poi anche
quello di sacramentum), quando nel periodo immediatamente succes-
sivo a quello neotestamentario trova un'applicazione prolungata o
derivata dall'unico uu-ri)pt.0v di Dio (concepito cosl enfaticamente
specie in I Cor., Col. ed Eph.), viene talvolta impiegato in maniera
quasi retrospettiva per designare singoli episodi salvifici della vi-
ta (terrena) di Ges Cristo, in quanto in essi l'unico ua"'fipiov si
gi palesato in modo decisivo; e de~ pari, guardando avanti nel tem-
po della Chiesa in maniera quasi avveniristica, viene poi applicato
a quelle azioni vitali della Chiesa, in cui l'unico e identico ul1't'1)piov
si estrinseca palesandosi in maniera speciale. Vedremo come effetti-
vamente siano esistite sin dal principio consapevolmente nella Chie-
sa tali realizzazioni, concepite anche come tali, e precisamente non
in numero qualunque. Ora, quando ci si sganci una buona volta dal-
l'idea (oggi un po' troppo impulsiva, ma non per questo del tutto
ingiustificata), che tali eventi nella vita deHa Chiesa, per il solo fatto
di venir concepiti e realizzati in derivazione dall'unico dichiarato
fJ.UO''ti)piov di Dio, dovessero necessariamente chiamarsi anche subito
ua"-fip~ov-sacramentum, le cose si vedono sotto una luce diversa. Per
farla breve, qualora si lasci da parte innanzitutto la questione della
concettualit esteriore e si badi in primo luogo alla cosa in s (co-
munque la si voglia denominare), entra nell'orizzonte visivo qualcosa
che fa riconoscere con sufficiente chiarezza come qui ci troviamo di-
nanzi ad una non illegittimamente evoluta categoria cristiana e teo-
logica, ossia appunto a quella della sacramenta,lit. Il compito che
stiamo per accollarci, pertanto quello di scoprire il fonda-
mento neotestamentario su cui si basa l'effettiva evoluzione storica,
II6 I SACRAMENTI

teologica e concettuale successiva, enudeandolo in modo tale da po-


ter poi raccogliere tutti gli elementi possibili e necessari per ricavar-
ne un concetto pi solido di sacramento.

Nei risultati delle nostre precedenti ricerche sulla storia pmruuva della
vita vissuta dalla Chiesa nei suoi sacramenti, nonch sulla storia concet-
tuale biblica del ucrffiptov, possediamo effettivamente la chiave capace
di spiegarci come il cristianesimo neotestamentario concepisse sia Ges
Cristo come ucrt'llptov di Dio Padre, sia la Chiesa come sacramento,
giacch questa in quanto crwa. e 'lt.1}pwa. di Cristo costituisce ancora
lo stesso ucrffiptov di Dio inteso nella maniera poc'anzi pi diffusamen-
te spiegata. Adesso, su queste basi possiamo costruire; tanto pi che lo
sviluppo di tale argomento era gi previsto come compito spettante alla
corrispondente sezione nell'altra parte del presente volume. Ci nondi-
meno, dobbiamo gi sin d'ora elaborare il necessario per far compren-
dere i singoli sacramenti. Dobbiamo gettare i ponti biblico-teologici che
portano dalla visione neotestamentaria di Cristo e della Chiesa come
vCT"t'llptov di Dio, alla giustificazione teologica di chiamare ucrtjpta.
anche quei riti salvifici in derivazione da esso, cosl come di fatto sem-
pre avvenuto, poco importa con quali sfumature, nel corso della storia
della teologia. Sappiamo per ora di non poter pi, o comunque di non
poter in primo luogo, andar in cerca di concetti; dobbiamo invece co-
gliere la cosa, qualunque sia poi il modo in cui essa pu venir conce-
pita. E qui troviamo assodato che esiste s un solido ponte fra il
ucrt1}ptov e ci che successivamente assumer il nome di sacramento
(i), sebbene il relativo termine (da noi troppo avventatamente atteso o
addlrittura esigito) non venga poi addotto per designarlo (-i).

L'argomento che ci proponiamo e ci accingiamo a svolgere, si pu


certo affrontare in diversi modi. Per ragioni di praticit, prendiamo
come punto di partenza l'interpretazione di Eph. 3 riportata in pre-
cedenza, specialmente per l'uso esplicito ed enfatico che in essa si fa
del termine ucn'l)ptov. L'esegesi,., ritrova questo ua-.i)p~ov descritto
grandiosamente e sviluppato sotto diversi aspetti, anche in altri pas-
si della stessa lettera, sebbene l tale vocabolo non venga affatto usa-
to. Una volta visto e ammesso questo, pur senza trovarci costretti a
dimostrare pignolamente in questa sede la legittimit della nostra

"1 Per le disquisizioni seguenti, ci basiamo sui pi recenti commentari fatti ai


relativi scritti del NT. a., circa il punto che stiamo per svolgere, spec. J. GNILKA,
'Der Epheserbrief', in: HThKNT x/2, Freiburg 1971.
STORIA Dl!LLA TEOLOGIA Dl!I SACRAMENTI II]

conclusione, ci troviamo gi indirizzati allia sostanza di quelle realiz-


zazioni ecclesiali imperniate su un avvenimento, che poi verranno (o
potranno venir) denominate stringatamente battesimo ed eucare-
stia. Ora, fatto questo passo e riconosciutolo come oggettivamente
legittimo e teologicamente necessario, comincia a parlare, risponden-
do al nostro interrogativo, anche rutta una serie di altri testi del NT,
con a capo almeno quegli asserti neotestamentari fondamentali che
notoriamente vanno intesi come riferiti al battesimo e ahl'eucarestla,
e inoltre ci fanno conoscere l'idea, fondata su NT e da esso attestata,
che di tali riti si faceva la Chiesa primitiva, ossia la Chiesa dell'ra
neotestamentaria.
Non spetta certo a noi dimostrare dettagliatamente qui, per i sin-
goli sacramenti (nostri di oggi), come ciascuno di essi si presenti qua-
le evento dell'unico uO'Ti)p~ov di Dio, e quindi quale attuazione di
ci che la Chiesa, e vada pertanto inteso cosl: tutto ci toccher
alila trattazione d'ogni singolo sacramento metterlo in evidenza, a luo-
go e a tempo opportuno. Qui ci limiteremo soltanto a coglierne i
singoli momenti, nella misura in cui ci s'attaglia al concetto generi-
co di sacramento, preso di mira in questa sezione.
Come dimostra l'esegesi, il ua"t1)p~ov di Dio nominato testual-
mente in Eph. 3,3-12 risulta gi sviluppato grandiosamente in Eph.
2,14 ss., senza peraltro che l si riporti il sostantivo stesso. Allo stes-
so modo, risulta gi fondamentale per quanto addotto in Eph. 3
nonch in Eph. 2, ci che era stato espresso, sia pure con altra termi-
nologia, nelle solenni parole introduttive di questa lettera (1,3-14).
Di conseguenza, possiamo affermare: l dove esiste, si attua, o co-
munque si esprime ci che enfaticamente per il suo contenuto si
chiama il van'1pw.1 di Dio, l risulrta possibile e legittimata dalla cosa
stessa la medesima denominazione, vale a dire quella di u~i')pLo'll,
quand'anche i corrispondenti autori neotestamentari da parte loro
non abbiano ancora fatto lo stesso. Ora, per dirla in breve, quell'uni-
co myster~um s'identifica oggettivamente (in una maniera che ci ri-
serviamo di precisare ancora meglio) con quanto usando un'altra fra-
seologia vien chiamato p. es. la benedizione di Dio Padre (cf. Eph.
1,3 ss.), 48 oppure, in un altro passo, l'evento del battesimo o l'even-

48 Per far capire cosa sia la benedizione spirituale con cui egli (Dio Padre)
ci ha benedetti in Cristo dall'alto dei cieli (Eph. 1.3), Gnilka scrive: Siccome
II8 I SACRAMENTI

to del cosiddetto spezzar del pane, e via dicendo. Tutto ci, a mero
titolo esemplificativo.

Ritorniamo per un momento al concetto tutto particolare e ormai auto-


nomamente cristiano, assai dovizioso ma al contempo anche unitariamente
comprensivo, di ucrTr')pLov, cosl come ci si presenta in Col. ed Eph. non-
ch in r Cor. Teniamo davanti agli occhi gli sviluppi riscontrati poc'anzi,
e guardiamo adesso alle affermazioni che nel medesimo contesto si dimo-
strano oggettivamente sintonizzate sull'onda captata dal uCT"t'TJpLov. Ram-
mentiamo la peculiarissima essenza della Chiesa e il significato della sua
esistenza secondo Eph., che la vede come ucr"t'TJpLov di Dio realmente
presente nel mondo, destinata ad attingere la linfa vitale dal suo capo
per continuar a crescere fino a divenire il tempio perfetto e definitivo di
Dio, ma contemporaneamente a cooperare alla rivelazione e alla attuazio-
ne di quest'unico UCJ""t''fipLov, nei confronti del mondo e delle sue po-
tenze, nei confronti dei non ancora cristiani, per giungere a quella ricapi-
tolazione di tutto ci che Dio ha progettato, e che ora (cf. Eph. 3,ro
e la spiegazione datane sopra) egli intende realizzare tramite Cristo e il
suo sangue, proprio coinvolgendovi la Chiesa in quanto UCT"t'TJPLOV "t'OU
0Eou. Riassumendo il tutto, possiamo affermare che la Chiesa il u-
O't'i)pLOV di Dio ormai realizzatosi, creato a nuovo pur nell'antico e dal-
l'antico, in quell'attuazione del ucr"t'TipLov di Dio costituita da Ges Cri-
sto e dalla sua opera - la Chiesa - , la quale sl il mysterium realizza-
to, ma che in quanto tale deve continuar ad attuarsi nel tempo sino a
raggiungere lo stadio perfetto.
La Chiesa di cui stiamo parlando, in Eph. concepita in tutta evidenza
come Chiesa universale (pur lasciando impregiudicata l'importanza delle
singole comunit in quanto bc.x.11crr'.ctL), come crwa e itli')pwrx di Cri-
sto. Ora, vista in questo modo, la Chiesa non affatto una mera astra-
zione, n un'iposrasi ideale, n tanto meno una personificazione lette-
raria o campata sulle nuvole. No, perch - e questo un punto che
adesso c'interessa molto - le stesse affermazioni che la concernono, si

per la benedizione il concentrato dell'intera eulogia, e si presenta quindi come


una via che parte dall'elezione, passa per la gratificazione, la rivelazione d'un ar-
cano, la prediC11zione e la fede, per giungere poi sino alla suggellatura ad opera
dello Spirito santo, bisogna cominciare dall'ultima stazione di questa lunga tra
fila (ossia dalla benedizione da intendersi all'aoristo). Con la suggellatura, si ac-
cenna ovviamente al battesimo. Esso il punto storico in cui si sperimentata
la benedizione, se nell'eulogia questa viene spiegata anche nella sua dimensione
spingentesi fino a Dio. Fede e battesimo in quanto suggellatura costituiscono l'atto
di fondazione dell'esistem:a cristiana. Si pu pertanto affermare che l'eulogia rap-
presenta tematicamente una autoriflessione della comunit cristiana derivata dal suo
stesso farsi cristiana, che esalta con la lode e la professione di fede l'agire di Dio
nei suoi confronti (Comm. 61; cf. la nota precedente).
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI

trovano espresse, in linguaggio stranamente uguale eppure pi sfumato,


anche in forma grammaticale imperniata sul noi (e magari sul voi).
Per dirla in altri termini: la Chiesa non soltanto il cosmo redento -
da redimere - e nemmeno le potest e dominazioni, e neanche sempli-
cemente gli uomini in quanto tali. La Chiesa invece proprio la comu-
nit umana creata a nuovo, tratta dall'antico e (ti)conglobata, composta
di giudei e pagani. Prendendo le mosse dall'eterno ed originario di-
segno salvifico di Dio, chiaro che questo s'indirizza a tutti gli uomini
(e all'intero mondo). Visto cosl, il piano salvifico di Dio accampa un
grande postulato: che tutti gli uomini e quindi l'intero mondo vengano
(di nuovo) condotti a salvamento. Per dirla in altre parole, l'opera di
Cristo mirava concretamente alla riconciliazione e alla ricucitura dell' in-
naturale separazione fra giudei e pagani provocata dal peccato: se-
parazione che rappresenta (o rappresentava) peraltro solo la manifesta-
zione dell'estraniamento e del distacco degli uomini da Dio. La Chiesa
per non (pi) soltanto il mero postulato e scopo escatologico, ma non
neppure la risultante gi perfetta del volere salvifico divino in atto di
realizzarsi nella storia. Questa infatti ormai il Regno di Dio nel suo
stadio perfetto, verso cui la Chiesa si protende. La Chiesa quindi per
l'esattezza il .va'tTJP~O\I di Dio che sta realizzandosi sotto forma di un
adesso (gi) realizzato (cf. ancora Eph. 3,10). E a questo punto ci
significa: la Chiesa sussiste l dove si ha una comunit salvifica precisa-
mente di questo tipo. La vita di questa Chiesa si svolge come tale pro-
tirio l, dove questo VO"'tTJP~O\I si attua nella maniera or ora descritta. Il
che significa, nuovamente in altre parole e concludendo il ciclo di pen-
siero, che la Chiesa consta di uomini concreti, di giudei e pagani, per
i quali - come abbiamo rilevato caratteristico dello stesso .vaT'l)pto\I
di Dio - vale gi l'aoristo ma al contempo anche l'imperativo escato-
logico-sacramentale. Chiesa sono gli uomini coadunati da Dio in co-
munit, nei confronti dei quali il suo vu-ri)pto\I si gi mostrato effi-
cace, ma per i quali e attraverso .i quali esso deve ancora continuar a
realizzarsi fino allo stato di assoluta perfezione. Chiesa sono i cristiani,
ossia coloro per i quali non solo vero che Ges Cristo morto e risor-
to appositamente, ma vero altresl che essi sono gi morti con lui, han-
no gi ricevuto la benedizione, sono stati elevati al fianco di Cristo e
quindi contrapposti al mondo e alle sue potenze (d. in materia ancora
Eph. 1,3-14), per poi d'altronde cooperare alla realizzazione dell'unica,
intera impresa salvifica, morendo ancora con lui in maniera apportatrice
di salvezza (= realizzando in s il vcr'ti)pto\I di Cristo in forza del nuo-
vo potere loro accordato). Cristiani sono coloro per i quali e ai quali
gi avvenuto qualcosa che li tocca personalmente, non solo semplicemen-
te nel senso che ha gi avuto luogo l'evento della croce in quanto tale,
con tutta la si1a pienezza incisiva e rivelatrice esplicatasi per i molti.
I20 I SACRAMEN'l'I

No, perch questo vale pure per tutti gli uomini e per l'intero mondo.
Ora gli uomini, secondo il disegno salvifio nascosto in Dio ancor pri-
ma di tutti i secoli (eoni), non sono gi automaticamente Oiiesa per il
solo fatto di esser uomini, e non lo sono neppure soltanto in forza del-
l'evento della croce {verificatosi sotto Ponzio Pilato e in questo senso
richiedente l'aoristo), che appronta definitivamente la salvezza per tutti
gli uomini. Gli uomini debbono invece diventare Chiesa, o meglio anco-
ra essere tramutati in Clllesa, da un avvenimento che li tocca anche
personalmente. Questo comunque ci che nella vita della Chiesa si ren-
de visibile perennemente dal principio in poi, e ha trovato la sua sedi-
mentazione gi nella riflessione neotestamentaria, chiarissima in Col., Rom.
Eph., ma altresl in numerosi altri passi.
Per gli uomini elevati a Chiesa, ossia per i cristiani, si ha quindi un
decisivo plus: in essi e con essi avvenuto personalmente qualcosa di
aggiuntivo promanante da Dio stesso, un evento che, se va messo a
fuoco in rapporto a questi divenuti cristiani, esige ancora una volta un
particolare aoristo accanto e dopo quello espresso dall'evento della
croce avveratosi sotto Ponzio Pilato. Ora, questo appunto l'evento, ac-
cennato p. es. in Eph. 1,3, ddla benedizione con cui siamo stati bene-
detti (d. l'analisi di questo versetto da noi fatta poco sopra). Quello
da noi qui inteso secondo la testimonianza neotestamentaria costituisce
quindi, dopo e in forza dell'evento della croce, una specie di ulterio-
re evento verificatosi per i divenuti cristiani e con la loro collabora-
zione personale: proprio un altro evento, la cui peculiarit sta per
precisamente nel fatto che, nel suo nucleo centrale, ancora appunto
quell'unico e primo, ossia il uCT'tT)pLov di Dio. E se noi ci chiediamo
sin da adesso quale sia, in base all'idea neotestamentaria, l'evento qui
inteso, ci troviamo rimandati a quel fatto che si chiama battesimo (te-
nendo presente che, stando alla nostra odierna enumerazione dei sacra-
menti, possiamo ammettere come compresa in esso anche la conferma-
zione). Basta un breve sguardo dato ai testi pi decisivi, per averne su-
bito la palese conferma. sufficiente per noi richiamarci soltanto ai passi
della lettera agli Efesini che, a parere degli esegeti, stanno in rapporto
diretto col battesimo. Essi sono per noi particolarmente eloquenti, pro-
prio perch tali passi fanno venire in luce la gi rilevata identit sostan-
ziale con ci che nella stessa lettera si chiama enfaticamente ucr-ri)p~ov
di Dio. Citiamo specialmente: Eph. 1,3-14, al cui proposito abbiamo gi
descritto il significato della benedizione; la sigillatura del v. x3 s. al-
lude nuovamente al battesimo (movendo dalla circoncisione); e inoltre
Col. 2,xr s. ed Eph. 4,30. Allo stesso modo va inteso il brano di Eph.
2,4-7, e partendo da esso, si pu riallacciarsi poi anche a I Petr. l,3, a
Col. 2,13 ss., a Tit. 3,5, e infine ad IGNAZIO, ad Tr. 12,3. La stessa cosa
viene riportata ancora da Eph. 5, seppure sotto un'altra sfumatura. Pren-
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 121

dendo le mosse da questi testi, quelli di I Cor. I o e I 2, agli effetti del


nostro assunto, sono altrettanto eloquenti quanto Rom. 6. Su altri passi
non possiamo diffonderci in questa sede; per ulteriori ragguagli, riman-
diamo alla trattazione sul battesimo stesso (cf. Mysterium Salutis, v).
Non intendiamo per trarre subito delle conseguenze avventate. Teniamo
invece presente ancora questo: Dio (Padre) stesso - ce lo dice chiaro,
come gi abbiamo visto, la lettera agli Efesini (ma non solo essa) -
anche dopo l'evento della croce verificatosi sotto Ponzio Pilato, e
quindi pure dopo la realizzazione del suo mistero di salvezza, continua
tuttora a far realizzare quest'unico ua"ti)p~o'll gi realizzatosi: fa sl, ed
la stessa cosa, che gli uomini sperimentino questo stesso ucT""t'TJPLOV
come rivelazione e al contempo come nuova realt (di salvezza), cosic-
ch questi uomini diventino, siano Chiesa coi tratti essenziali sunno-
minati, e collaborino poi anche al raggiungimento dello stadio perfetto.
Per dirla ancora in altri termini: Dio, in forza dell'evento della croce, fa
assurgere nuovamente questo stesso ad evento, nel continuo qui e
adesso del tempo della Chiesa, ad un evento in cui nel modo suo tipico,
per determinati uomini personalmente e nominativamente interloquiti e
chiamati in causa, tale uO'"t'TJpLO'V gi realizzato diviene realt rivelativa
e salvifica, movendo dal Padre e passando per Ges Cristo, come attua-
zione della Chiesa che il suo corpo. E dopo che la Chiesa cosl
divenuta e continua nuovamente a divenire, Dio fa sl che l'unico e
sempre identico uO""t"i)pLO'll seguiti poi a realizzarsi ulteriormente trami-
te questa Chiesa ed i suoi membri, appunto come cooperazione al rea-
lizzarsi del mistero nella vita stessa della Chiesa. Sl, perch il segreto
di Dio manifestatosi nell'evento della croce, dopo essersi avverato, una
volta accostato agli uomini li interessa personalmente, venendo accordato
a loro come rivelazione e al contempo come realt. E questo mistero
rivelato e reale, come gi sappiamo, per tale da dover venir ulterior-
mente rivelato e realizzato da questi partecipanti (che sono membri del-
la Chiesa e quindi Chiesa). E tutto ci deve avvenire nel duplice sen-
so che gi abbiamo riscontrato: a beneficio dei non ancora cristiani e
del mondo (cf. Eph. 3,6-11 unitamente a 1,3, la cui spiegazione si pu
trovare in J. GNILKA, loc. cit.), come pure a gloria di Dio Padre (cf.
ad es. Eph. 1,14, abbinato a 2,r8 e 1,3).

Dopo tutto ci che abbiamo sin qui detto, riteniamo appaia sufficien-
temente chiaro che il ua"t"i]pLo'V di Dio calato nel tempo, nella vita
della Chiesa, per volere stesso di Dio debba essere un evento incar-
nato negli eventi, e che tali realizzazioni promananti da11l'unico u-
ai:i)pLov si possano poi, o addirittura si debbano, con piena giustifica-
zione teologica chiamare a loro volta ucr"t"i}ptov (sacramentum). Quali
I22 1 SACRAMENTI

eventi poi intrinsecamente lo siano, una cosa che ovviamente non


possiamo stabilire e dichiarare a priori sotto il profilo teologico. Que-
sto, 'Come gi abbiamo sottolineato, lo potr rilevare soltanto l'esame
dell'effettivo decorso seguito dalla vita della Chiesa. Senza prendere
decisioni premature, noi appunteremo naturalmente la nostra atten-
zione soprattutto su quegli eventi ecclesiali che formano il tema della
presente sezione. La questione di altri eventi o realizzazioni ecclesiali
che, coerentemente col nostro assunto, potrebbero eventualmente pu-
re a buon diritto chiamarsi sacramenti, non sarebbe da trascurare,
ma non potr egualmente venir esaminata in questa sede. Qualcosa
dovremo per altro aggiungere ancora, allorch verr suh tappeto il
problema Parola e sacramento e quello dei sacramentali.

Uno sguardo gettato sul periodo della Chiesa neotestamentaria ci per-


mette adesso di rilevare un fatto decisivo. Possiamo sintetizzarlo breve-
mente cosl: una volta compiutasi l'opera di salvezza effettuata da Ges
Cristo (croce - risurrezione - invio dello Spirito santo), esistevano i pri-
mi, ossia coloro ai quali il ve1'rlip~ov si era confidato in maniera emi-
nentemente personale; possiamo pensare tranquillamente agli apostoli, o
comunque alla primitiva comunit cristiana presa in senso stretto, senza
dover affrontare un'ulteriore problematica. E da quando esistono i pri-
mi (cf. anche Eph. 2,19 s., 3,5 e Col. x,26), questi formano per la pri-
ma volta la Chiesa, cosicch da allora comincia senz'altro a valere ci
che ad es. Ja lettera agli Efesini afferma circa l'essenza e la missione
della Chiesa. Per cui, da quel momento, il uCT"tilp1.0v di Dio gi realizza-
to eppur ancor sempre da realizzare non si attua pi senza la Chiesa;
ci significa che esso si attua ora coinvolgendo gli uomini (gi) divenuti
cristiani, i membri della Chiesa, come soggetti perennemente partecipan-
ti (per via ricettiva) e cooperanti (per via abilitativa) al va...-1]ptov di
Dio. Sicch, chi deve esser ammesso a partecipare a questo mistero di
salvezza per chiamata personale, lo riceve adesso tramite la coopera-
zione degli uomini gi insediati in questo mistero e incaricati di attuarlo
in quanto membri della Chiesa.49 E con questo ci troviamo ormai di
fronte a quel fatto, che in linguaggio cristiano si chiama battesimo. Pos-
siamo richiamarci in materia al testo emblematico di Act. 2,38 ss.: Fra-
telli, che cosa dobbiamo fare? E Pietro rispose loro: Fate penitenza e

49 Cf. Eph. l,13. L'accesso alla speranza, al pari dell'abilitazione a ricevere lo


Spirito, strettamente legato all'ingresso nella comunit (J. GNIJ.KA, Der Ephe-
serbrief, cit., 91). Ora, come vedremo ancora in seguito, tale ingresso avviene at-
traverso il battesimo, che costituisce, quindi, un effettivo venir accolti in seno
alla comunit. Cf. anche I Cor. 12,12 s.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 123

ciascuno ( ! ) di voi si faccia battezzare nel nome di Ges Cristo, per la


remissione dei vostri peccati 1 e riceverete il dono dello Spirito santo
(cf. al proposito anche Act. 8,26-40, ove traspare palesemente la teolo-
gia del compilatore). Non occorre ci dilunghiamo oltre a sviluppare que-
sto spunto.50 Che poi qui sia incluso al contempo un preciso riferimen-
to anche alla cresima, lo sappiamo gi e l'abbiamo pure menzionato po-
c'anzi.
Analogamente a quanto succede per i testi che vanno interpretati come
riferiti al sacramento del battesimo, il rilievo dovrebbe valere anche per
quei testi neotestamentari che vanno letti come riferiti all'eucarestia. 51
Se il ua-t1}ptov di Dio di cui parla Eph. 3 si concretizza anche e pro-
prio nel sangue di N.S. Ges Cristo (d. Eph. l,7; 2,13), nel suo olocau-
sto (5,25), nella sua morte di croce (cf. 1 Cor. l,18 - 2,16; Epb. 2,16
ecc.), ovviamente non ormai pi molto lungo il passo che porta al-
l'asserto di I Cor. 11,25 s.: Questo calice il nuovo patto nel mio san-
gue... Fate questo in memoria di me ... Tutte le volte che voi mangiate
di questo pane e bevete il calice, celebrate (solennizzandola con una ce-
rimonia) la morte del Signore, finch egli venga. Per quanto concerne
questo brano, non occorre certo fare molte elucubrazioni per trame la
legittima conseguenza teologica che anche l'eucarestia (o la sua celebra-
zione) va considerata come un'attuazione tale dell'unico ua-t1}piov, da
poter portare addirittura il nome di mysterium fidei. La distinzione
dal battesimo (sebbene in questo gi l'unico uCT'tTJpLOV diventi sin da
adesso un'autentica realt), e conseguentemente la possibilit di par-
lare di due sacramenti, sono palesi. Se il battesimo costituisce l'at-
tuazione dell'unico ua-t1}ptO'll compiuta dalla Chiesa a beneficio degli
uomini che stanno per inserirsi in essa e per partecipare al suo prezio-
so retaggio (d. Epb. 1 ,14), inteso nel senso della benedizione (Epb. 1 ,3)
fondamentale e giustificante, iniziatrice della nuova vita, l'eucarestia co-
stituisce invece l'attuazione ancora e sempre dello stesso ucrTi)pto'll, in-
tesa per adesso come autorealizzazione di tale ua-t'{ipiov gi rea-
lizzato, da parte della Chiesa sotto e con il suo capo, a gloria di Dio
Padre (Epb. 1,14; 2,18.22; 5,1 s.) ma non senza la compartecipazione
sacrificale dello stesso fedele interessato. La benedizione di cui si parla in
Eph. 1,3 (battesimo) non ancora un adempimento, ma solo un impe-
gno preso nei confronti di Dio. Inoltre, il battesimo viene amministrato
solo una volta, all'inizio della vita cristiana. Ora, ci che l stato ac-
cordato in via di principio, va realizzato. Il uO""t{)pto'\I infatti sl l'olo-
causto di Ges Cristo; ma ad esso, come ad un fatto gi realizzato ep-

.IO Cf. al proposito le disquisizioni sul sacramento dcl battesimo, nel susseguen-
te voi. v.
5 1 Per quanto concerne i relativi testi, nonch il loro sviluppo, rimandiamo alla
corrispondente sezione del presente volume alle pp. 230-258.
124 I SACRAMl!NTI

pur ancora da realizzare, partecipano anche i gi credenti, ossia i bat-


tezzati e quindi assegnatari di questo va..-fip~ov a gloria di Dio Padre,
giacch la loro porzione di eredit costituisce anche la loro missione (cf.
Eph. x,u ss. e passim). Sicch il uCM:ilp~ov cosl attuato costituisce nel
tempo della Chiesa una via e al contempo un viatico, affidato a lei da
celebrare con una solenne cerimonia non soltanto una volta e al princi-
pio, ma frequentemente e con viva partecipazione, come espressione vi-
tale della Chiesa stessa. La sua celebrazione un accostarsi a Dio, rice-
vendo dall'alto la forza per edificare il tempio di Dio (cf. Eph. 4,1-16 e
I,II-I4j 2,19-22).
Inoltre, se le affermazioni fatte in I Cor. 6-7 circa l'essenziale connessio-
ne a Cristo della corporeit e della sessualit umana proprio in base al
mistero della redenzione, assieme alle considerazioni fatte in Eph. 5 e
in altri passi similari, sussistono a buon diritto e vengono anche valoriz-
zate pienamente sotto il profilo teologico, appare ancora una volta suffi-
cientemente chiara la derivazione di un sacramento dall'unico v-
tr't'i}p~ov delineata dallo stesso NT: il matrimonio come sacramento.52
In precedenza abbiamo poi gi accennato anche alla distribuzione dei
servizi, pure intrinsecamente inclusa nel va-ri)pLov, fatta dal Signore in
seno alla sua Chiesa (cf. Eph. 4,7-17).53 Movendo da qui, la teologia sa-
cramentale basata sul NT potr additare la via che si diparte dall'unico
mistero di Dio, da realizzarsi appunto anche mediante un incarico dato
a singoli membri della Chiesa in quanto tali, per giungere a quel fatto
che tempi successivi avrebbero poi chiamato sacramento dell'ordine.
Inoltre ancora, se rientra nel bagaglio contenutistico essenziale del v-

S2 Dato che non possiamo qui approfondire ulteriormente la cosa, si teng11 pre-
sente almeno quallto segue. Paolo, in r Cor. 6,13 - 74, usa il sostantivo uwa.
in un senso prettamente specifico. Per dirla in linguaggio moderno, egli lo usa
per indicare l'uomo con esplicita inclusione della sua corporeit e sessualit. Che
quest'ultima vi sia direttamente interloquita, stando al contesto non v' alcun
dubbio. La risurrezione di questo uwa. al contempo addotta, richiama oltre il
resto anche il cap. I 5. Parlando di questo uwa., ci vien detto inoltre che ap-
partiene al Signore, che tempio dello Spirito. Ora, per l'uomo, per In sua re-
denzione, guardando qui espressamente proprio anche alla sua corporeit e ses-
sualit, stato pagato un carissimo prezzo; e ci costituirebbe la base su cui
poggia l'obbligo della glorificazione di Dio in questo uwa:. La contrapposizione
fra Kvpi.o, e O'Wa: nel v. 13 non da trascurare; essa subisce per una caratte-
ristica sfumatura. C.Onsiderando i due versetti abbinati assieme, nel loro riferi-
mento al gi menzionato prezzo del riscatto - mistero della redenzione - essi
mirano in definitiva a ribadire che l'uomo tutto del Signore, non da u,\timo an
che e proprio nella sua corporeit e sessualit, ma altres che il matrimonio di cui
in 7,4 non affatto in contraddizione con tale appartenenza (diversamente da quan
to si era detto in 6,15 s.). Al pi tardi assieme ad Eph. 5, l'accenno alla presa
in considerazione del matrimonio come sacramento movendo dall'unio ua't'1'}p,o\I
della redenzione risulta evidente.
si Cf. sopra, p. 93.
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 125

a"ti)p~ov,ossia del mistero della croce - per ripartire ancora una volta,
per le ragioni gi addotte, dal nostro testo fondamentale - il fatto che
esso abbia operato la redenzione, la remissione dei peccati (Eph. 1,7)
e la rappacificazione con Dio (Eph. 2,u-22), effettuandole per in mo-
do da farle tradurre in atto una volta ancora dalla Chiesa in seno alla
Chiesa, e quindi alla corrispondente presenza dei relativi membri della
Chiesa, lo sguardo dovrebbe avere visuale libera per cogliere gi le prime
avvisaglie del sacramento della penitenza.
E infine si pu accennare anche all'unzione degli infermi, cosl come essa
ci viene delineata in Jac. 5,13 s.: l'impegno ecclesiale di determinati mem-
bri nei confronti dell'individuo colpito dalla malattia, per la sua salvezza.

Che questi brevi cenni servano qui soltanto ad additare una possibile
via per dimostrare la legittimit teologica di ci che una valida teolo-
gia sacramentalie, partendo dalla sua base neotestamentaria, tenuta
a sviluppare, risulta chiaro dalla stessa finalit propostasi daHa presen-
te sezione. Va anche qui escluso, sia prima che dopo, ogni cosciente
o inconscio a priori. Tuttavia, badando alla vicenda storica effettiva-
mente vissuta dalla Chiesa e proprio anche alla sua consapevolezza
teologica, una tale via non si pu ormai pi dichiarare impercorribile.

Per concludere queste riflessioni, ci sia permesso di richiamarci ad un


testo delle lettere di Ignazio, che addurremo come esempio sintomatico
per la situazione esistente nei primissimi tempi, in merito al nostro pro-
blema circa la nascita d'una teologia sacramentale mediante l'introduzio-
ne del ucrTI]p~ov nella sua concettualit specifica: un esempio assai in-
dicativo per quanto concerne il non ancora e al contempo !'eppure
gi della possibile evoluzione concettuale sacramentale, agli effetti della
vita cristiana (intesa nel suo pieno senso neotestamentario) impostata sa-
cramentalmente, movendo dal uCT'tTJp~ov citato nella lettera agli Efesini
verso il vero e proprio sacramento. Ci riallacciamo ai risultati delle
ricerche storiche lessicali e concettuali, da noi presentati qualche pagina
addietro. In IGNAZIO, ad Magn. 9,1, uno dei pochissimi passi dei padri
apostolici in cui compare il termine ua"'t"fip~O\I, si parla del vcr'l1P~OV
tramite il quale noi abbiamo ricevuto la fede. 54 La forma verbale

~ Ora, se coloro che erano rimasti fedeli alle annichc usanze, sono giunti
(ij).bov) ad una nuova spera112a, non osservando pi il sabato ma vivendo secondo
la domenica, in cui anche la nostra vita nata (vl-tE~Ev) attraverso lui (Ges
Cristo) e la sua morte - cosa che alcuni negano - , un mistero (ucr-n')p~ov) tra-
mite il quale abbiamo ricevuto la fede (o meglio: il credere: s~ oi'.i vctc"i]pcov
H.d.~otv 't6 'll:ICM'Eumi) e grazie al quale perseveriamo, per venir trovati discepoli
126 I SACRAMENTI

espressa all'aoristo designa un avvenimento ben determinato, al pari del-


l'altra formulazione riportata gi prima: coloro che SQno giunti ad una
nuova speranza. Ambedue gli asserti vogliono indicare i cristiani, che
vengono contrapposti agli ebrei o sabbatizzanti. Cristiani sono pertan-
to quelli che, tramite un evento (aoristo), hanno raggiunto il loro stato
attuale, vale a dire quello di cristiani. Da coloro che si sono /atti cri-
stiani, si esige come connotazione tipica che vivano osservando la do-
menica, o come si diceva prima, secondo Ges Cristo (ibid. 8,2) op-
pure secondo il cristianesimo (ibid. 10,1 ), che poi la stessa cosa.
Il giorno del Signore (domenica) viene definito nella sua peculiarit, me-
diante la proposizione nel quale anche la nostra vita nata attraverso
lui (Ges Cristo) e la sua morte. La nascita della nostra vita tramite
Ges Cristo e la sua morte designa certamente in primo luogo l'evento
della croce, che d origine alla domenica in quanto tale. Esso viene per
presentato al contempo come ucrriip~ov, ossia come un fatto attraverso
il quale in un determinato (unico) avvenimento il cristiano divenuto
cristiano. Ora, i passi all'aoristo riferentisi ai cristiani non dicono rela-
zione (semplicemente e soltanto) all'evento stesso della morte di Ges
Cristo.55 Dovrebbe ormai esser chiaro che qui si pensa anche al batte-
simo. Sicch, il vivere secondo la domenica appare qui equivalente al
vivere secondo il utrn')p~O'V. Il ua-r{]p~ov che trasmette la fede (il
credere) a mo' di evento, rimonta al va-nlp~ov attuatosi al tempo del-
la reggenza di Ponzio Pilato (IGNAZIO, ad Magn. 11 ). A tal proposito,
arguendo dall'analisi da noi sinora condotta, possiamo subito rilevare:
l'evento della croce il vcri:fip~ov realizzato, che per deve tuttora rea-
lizzarsi per quanti debbono farsi cristiani. Guardando le cose globalmen-
te quindi, il ucrn')pLov, pur senza esser formulato expressis verbis nel
suo significato ultimo, dovrebbe indicare da un lato lo stesso avvento del.
la salvezza (suppergi nel senso inteso da Eph.), e dall'altro sl ancora
lo stesso, ma in quanto deve venir partecipato all'individuo in un evento

cli Ges Cristo nostro unico dottore. Come potremo vivere senza di lui ... h (IGNA-
ZIO, aJ Magn. 9,1 ).
ss Sempre parlando dello stesso evento, un po' pi avanti ci vien detto: ...per-
ch abbiate la piena certezza della nascita, della passione e della risurrezione av-
venute al tempo della reggenza di Ponzio Pilato: tutte cose veramente e indub-
biamente compiute da Ges1 Cristo, speranza nostra, dalla quale ci auguriamo
nessuno di voi si distsccbi (IGNAZIO, ad Magn. n). Degno di rilievo il fatto che
qui il termine ua-n']p~ov non compaia. Da questo passo risulta poi assodato che
in 9,1 non vengono mezionate soltanto la morte e la risurrezione di Cristo, co-
me rileva il Bornkamm (ThWNT 4 [1942) 831). 11 verbo .va:d..M.> non com-
pare in Ignazio per indicare la risurrezione di Ges. Con ci ovviamente non si
nega che la nascita della nostra (!) vita tramite lui, avvenuta quel giorno che sa-
rebbe poi divenuto la domenica, abbia il suo intrinseco nesso es$Cnziale con la
risurrezione di Cristo. Ma nel caso nostro, nemmeno le pi sottili sfumature van-
no trascurate.
S'fORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 127

(che esige ancora una volta l'aoristo), per venir da lui realizzato anche
nella vita con una perseveranza (9,1) estendentesi su tutto il ciclo esi-
stenziale. Se poi riflettiamo ancora sul come la domenica in quanto tale
sia stata concretamente solennizzata, affiora ovviamente la possibilit che
si alluda non soltanto al battesimo, ma anche alla celebrazione tipica del-
la domenica, ossia all'eucaristia vista pure come uC""t"1)pLO\I.

Se le considerazioni sin qui fotte sono valide ed hanno una solida ra-
gion d'essere, abbiamo qualche buon risultato da tirare: nel NT af-
fonda gi le sue radici una incipiente teologia sacramentale, quantun-
que vi si delinei solo molto implicitamente. importante constatare
come, dall'unico va-n')pLov, cosl come esso appare concepito in ma-
niera autonoma e formulato nel NT, venga in luce il legittimo e pos-
sibile spunto evolutivo che porta alla designazione di parecchi riti cli
salvezza col nome di urJ"cfipLO'V-sacramentum. Per quanto com:erne
l'effettiva evoluzione storica lessicale e concettuale del vcrtfipLO\I (sa-
cramentum) e la storia della teologia dei singoli sacramenti stessi,
per quanto abbiamo potuto vedere, rimarr ovviamente da esaminare
ancora il senso derivato, di volta in volta diverso, con cui si usato
tale concetto. Nella parte sistematica, dovremo scrutare ancor pi da
vicino parecchi momenti, parecchie esigenze legittime, ma da accam-
pare a nuovo o quanto meno da ribadire a nuovo, per avere un con-
cetto veramente valido di sacramento. Qui occorrer tener presente,
non da ultimo, che, nel concetto di sacramento concepito in deriva-
zione dal ua-rfipLov neotestamentario, deve restare perennemente te-
matica l'attivit di Dio (Padre), il quale ha operato e continua tuttora
ad operare la salvezza tramite Ges Cristo suo Figlio. Ora, la stessa
cosa vale anche per Ges Cristo, e in derivazione da lui per la Chiesa
in quanto suo crwa. e 'lt:i'.Jpwa.. Questo ed altro ancora dovr venir
accuratamente vagliato a suo luogo.

4. Momenti essenziali dell'ulteriore evoluzione e dichiarazioni


del magistero ufficiale della Chiesa

Grazie allo sguardo panoramico che abbiamo dato alla storia lessica-
le e concettuale fino ai tempi di Agostino, e alle considerazioni che ab-
128 I SACRAMENTI

biamo fatte sull'origine d'una incipiente teologia dei sacramenti ri-


montante al NT (nel senso or ora visto nella sezione precedente), ab-
biamo adesso la possibilit di cogliere pi chiaramente l'ulteriore ef-
fettiva evoluzione della dottrina sacramentale in genere. Qui non c'in-
teressa ovviamente la vicenda storica in quanto tale. Dovremo invece
far vedere quale via abbia imboccato quello specifico interesse teolo-
gico, che si appuntato proprio sulfa Sacramentalit dei sacramen-
ti. La teologia dei singoH sacramenti presi uno per uno rappresenta
gi un altro capitolo.
Ricapitolando i risultati collezionati dalle due sezioni precedenti,
dovrebbe ormai apparire chiaro che (al pi tardi) con Agostino -
magari senza che nemmeno egli lo volesse - si verificata di fatto
una restrizione di visuale. Da lui in poi infatti (o comunque, per noi,
in modo da lui in poi chiaramente afferrabile), si guarda sempre pi
al sacramento come ad un segno compiuto per via ecclesiale. Il ca-
rattere di evento dei sacramenti, intesi come realizzazione vitale della
Chiesa scaturente dall'evento della croce nel senso delineato ad es.
dalla lettera agli Efesini, ancora cosl vivo nella teologia pi antica,
passa ora in secondo piano. Ci si va sempre pi concentrando sull'a
comprensione della cerimonia rituale. Nel periodo che va sino al me-
dioevo, accanto alle riflessioni iniziate da Agostino (che in lui per al-
tro non rivestono ancora un carattere esclusivo), assumono una posi-
zione particolare d'un certo spicco le definizioni di Isidoro di Si-
viglia. In liui, il carattere di anmnesi e quello di mistero 56 rivestito

56 Eo modo agimus Pascha, ut non solum mortem et resurrectionem Ouisti in


memoriam revocemus, sed etiam cetera (quae circa eum attestantur) ad sacramcn-
torum significationem inspiciamus. Propter initium enim novae vitae, et propter
novum horninem, quem iubemur induere, et exuere vetcrem, expurgantes vetus
fennentum,, ut simus nova conspersio, quoniam Pascha nostrum immalatus est
Christus; proptcr hanc ergo vitae novitatem primus mensis in anni mensibus ce-
lebrationi paschali attributus est (Etym. 6,17,13-14: PL 82,248 AB. Sacramentum
est in aliqua celebratione, cum res gesta ita fit ut aliquod significare intclligalur,
quod sancte accipiendum est. Sunt autem sacramenta baptismus et chrisma, cor-
pus et sanguis. Quae ob id sacramenta dicuntur, quia sub tegumentum corporalium
rerum virtus divina secretius salutem eornndem sacramentorum operatur unde et a
secretis virtutis, ve! a sacris sacramenta dicuntur. Quae idoo fructuose penes Ec-
clesirun fiunt, quia sanctus in ca mancns Spiritus cundcm sacramentorum opera-
tur effectum. Unde seu per bonos scu per malos ministros intra Dei Ecdesiam
dispensantur, tamen qui Spiritus sanctus mystice illa vivifica.e, qui quondam apo-
stolico tempore visibilibus apparcbat operibus, ncc bonorum meritis dispensatorum
omplliicanrur, quia neque qui plantat est aliquid, neque qui rigat, sed qui incre-
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 129

dai sacramenti si presenta ancora netto e percettibile. Tanto prima


quanto dopo, le dispute teologiche si accendono principalmente intor-
no all'evizione del battesimo e dell'eucaristia come sacramenti, seb-
bene poi, man mano che ci si addentra nel medioevo, si vadano pren-
dendo sempre pi in (;Onsiderazione tematicamente anche gli altri sa-
cramenti, che vengono trattati neJlia teologia dei sacramenti in genere.
L'interesse di questa dottrina sacramentale in via di formazione si
va concentrando sempre pi, e in senso restrittivo, sulla tematica se-
guente, che ci accingiamo brevemente ad esporre.

Innanzitutto ci si sforza con sempre maggior lena di elaborare un con-


cetto di sacramento generico, applicabile a tutti i sacramenti: sforzo,
questo, che d origine a svariate definizioni pi o meno ampie. Sinto-
matica per il nostro assunto p. es. quella messa avanti da Ugo di S. Vit-
tore: sacramentum est corporale vel materiale elementum foris sensi-
biliter propositum ex similitudine repraesentans, et ex institutione si-
gnificans, et ex sanctifcatione continens aliquam invisibilem et spiritua-
lem gratiam.57 Sicch, per lui, risulta essenziale agli effetti d'un sacra-
mento che esso debba presentare in primo luogo quandam similitudi-
nem ... ad ipsam rem cuius est sacramentum, poi che vi sia l'istituzione
(da parte di Cristo) in base alla quale il segno rappresenti la grazia, e
infne che vi sia la santificazione del segno, per cui quando il sacerdote
lo amministra esso effonda effettivamente la grazia. Per noi importante
quindi rilevare come non venga pi menzionato esplicitamente un es-
senziale aggancio retrospettivo all'evento della croce. In Tommaso d'A-
quino, noi troviamo infine un concetto di sacramento cosi vasto, da per-
mettergli di comprendere tutti i riti salvifici vetero- e neotestamentari (da
esso dati per presupposti). A lui per interessa in modo particolare met-
tere in evidenza anche il carattere segnaletico e santificativo dei sacra-
menti. Che inoltre in Tommaso appaia messo in risalto, pi forse di
quanto non si usasse al suo tempo, pure il momento storico salvifico,
Io si rileva dal come egli consideri caratteristico per i sacramenti il ri-
wnlto commemorativo, rappresentativo della salvezza e orognostico.
Nelle questioni concernenti l'istituzione dei sacramenti da parte di Ges
Cristo, che viene richiesta come essenziale, riecheggia certo ancora la
consapevolezza del necessario riaggancio dei sacramenti all'opera salvi-

mentum dat Deus; unde et Graece mysterium dicitur quod sccrctam et reconditam
habeat dispositioncm (Etym. 6,19,39-42: PL 82, 255 CD). Circa i problemi sol-
levati dalla conCe2ione dei sacramenti nutrita da Isidoro e altri, cf. anche R. SCHUL-
TE, 'Die Messe als Opfer der Kirche. Die Lchre friihrnittelalterlicher Autoren iiber
das eucharistische Opfer, in: LQF 35 (Miinster r959}, 1328.
'SI De sacr. christianae fidci 1. 9,2: PL 176, 317 C.
I SACRAMENTI

fica di Cristo, sebbene questa non assurga pi cosl chiaramente e con-


cretamente a tema esplicito come sarebbe desiderabile. Le difficolt cile
si oppongono alla dimostrazione concreta dell'istituzione dei sacra-
menti da parte di Ges Cristo, sono state intraviste sin dal principio, e
si cercato di risolverle in vari modi. Agli effetti del nostro assunto,
sintomatico il fatto che il riaggancio inculcato dal NT proprio all'evento
della croce, e quindi anche all'attivit di Dio (Padre) non vengono di-
menticati, ma nemmeno pi articolati a parte nella teologia dei sacramen-
ti. ~ appunto in questo contesto, che va inserita anche la questione del
numero dei sacramenti. Agli inizi la si prende a malapena in considera-
zione; in Pier Damiani, si rileva lo sforzo di rintracciarne il numero pi
grande possibile, al punto che una volta egli menziona ben 12 sacra-
menti. Soltanto nella prima ra scolastica si presenta come ovvio il nu-
mero di 7, sicch ci si sforza addirittura di addurre dei motivi di con-
venienza per avallare questo numero. Tuttavia, non si trascurano affat-
to le difficolt insite nella questione.
Un'attenzione tutta particolare viene poi dedicata al segno esteriore del
sacramento, che si cerca di analizzare nella sua struttura. L'evoluzione
gi avviata da Agostino (seppure con intenzione un po' diversa), una
volta recepito l'aristotelismo, imbocc la strada sfociante nell'uso espli-
cito e valido sino ai giorni nostri delle espressioni materia e forma,
mutuando (almeno in modo formale e nozionistico) la concezione fonda-
mentale dell'ilemorfsmo. Malgrado la fruttuosit di questo pensiero e
di questa modalit espressiva e intellettiva, affior per anche subito la
difficolt di indicare cli fatto con esattezza per i singoli sacramenti tali
elementi costitutivi, vale a dire la materia e la forma. Qui, nel decorso
del tempo, un moddlo nozionale sotto un certo aspetto pur possibile, ha
finito inavvertitamente per tramutarsi in un momento oggettivo e strut-
turale considerato (indebitamente) come essenziale, con tutte le imma-
ginabili conseguenze negative per gli sforzi posti in atto dalla teologia
nell'intento di farsi un concetto universale dei sacramenti.
Successivamente, nel medioevo venne imbastita nel quadro della teologia
sacramentale anche la dottrina dell'opus operatum e dell'opus operantis.
Degno di rilievo il fatto che questo modo di vedere ed esprimere le
cose stato assunto nella teologia sacramentale mutuandolo dalla cristo-
logia e dalla dottrina sui meriti di Cristo. In questo passaggio, potreb-
be pure essersi espressa fra il resto anche la consapevolezza (magari trop-
po poco esplicitamente mantenuta e ribadita) che i sacramenti derivano
da Cristo Ges, considerato come autentico sacramento di Dio. La
stessa idea basilare potrebbe anche fare da sfondo alle argomentazioni
teologiche fatte circa i sacramenti visti come causa gratiae. Gi Pietro
Lombardo aveva sottolineato, accanto al carattere di segno, anche la cau-
salit di grazia inerente ai sacramenti. Nella questione concernente que-
STORIA DELLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 131

sta causalit ex opere operato, non si trov per alcuna soluzione uni-
voca o accettata da tutti, non appena si tratt di definire l'esatta moda-
lit di tale processo causale. Assai istruttiva al proposito la soluzione
proposta da Tomaso d'Aquino. Egli suddivide differenziandolo il modo
di agire causale. Per lui, la causa principalis della grazia sacramentale
Dio stesso. Ci viene chiarito meglio facendo il raffronto con Cristo
(e anche prendendo le mosse da lui): la sua natura umana l'instru-
mentum coniunctum, i sacramenti sono invece gli instrumenta sepa-
rata della grazia che viene comunicata. Nonostante tutta l'insufficienza
che si pu forse riscontrate in questa concezione, l'attivit di Dio (Pa-
dre) resta comunque salvaguardata nell'evento sacramentale, anzi tenuta
bene in vista con una evidenza pi unica che rara in quel tempo. Nelle
epoche successive per, le cose andarono ben diversamente. Trattando
dei sacramenti, la teologia li and guardando sempre pi soltanto nella
loro causalit (sia pure strumentale), senza lasciare pi un posto essen-
ziale e tematico all'agire di Dio stesso, visto concretizzato soprattutto nel-
l'evento della croce. Si pu inoltre accennare anche al sintomatico fatto
che, in seguito al progressivo restringersi dell'orizzonte visivo della teo-
logia sui sacramenti in genere, si potuto (e guardando allo stato delle
cose forse si addirittura dovuto) giungere, nel concepire il sacramento
principale costituito dall'eucarestia, all'infelice distinzione fra sacramen-
tum e sacrilicium: una distinzione, le cui conseguenze a tutt'oggi non
sono ancora da noi state completamente superate.

La dottrina sacramentale in fase di evoluzione, qui presentata solo a


grandi tratti,sa divenne oggetto di fissazioni ecclesiastiche promulgate
in determinate occasioni soltanto dal medioevo in poi. stato so-
prattutto il concilio di Trento, che si occupato in larga misura di
questa materia e ha emanato dichiarazioni ben precise. Guardando a
queste definizioni e alle altre determinazioni, noi ripensiamo al fine
di tali asserti, che non possono quindi venir fraintesi e presentati co-
me un dettagliato compendio teologico della dottrina sacramentale
della Chiesa. Siccome per essi hanno mantenuto un valore determi-
nante per il periodo susseguente, conservandolo sino ai nostri giorni,
vediamo di menzionare qui i momenti pi importanti di queste de-
limitazioni tridentine.

58 Per una pi ampia conoscenza della vicenda storica passata dalla dottrina sui
sacramenti in genere, siccome lo spazio ci permette qui soltanto una presentazione
estremamente stringata e quindi assai incompleta, dobbiamo rimandare ai vecchi
manuali di dogmatica e di storia dei dogmi. Cf. inoltre: G. VAN Roo, De sacra-
mentis in genere, Roma 31966,
I SACllAME.NTl

Quantunque la Chiesa stessa parli anche di sacramenti vetero-testamen-


tari (al loro tempo validi e a loro modo efficaci agli effetti della salvezza,
DS 1348, 1602), per i sacramenti della Chiesa di Ges Cristo assodato
che sono stati istituiti da lui (DS 1601, 1864, 2536, 3439 s.), specie per
quanto riguarda la sostanza (Ds 3857). Che cosa poi costituisca tale
sostanza e come la relativa istituzione vada esattamente intesa, resta an-
cor da decidere. In ogni modo, la Chiesa non ha alcun potere su quella
sostanza dei sacramenti (DS 1728, 3857): il che sottolinea in fondo la
sua dipendenza di principio dal Signore nell'elargizione della salvezza.
Stando alla loro natura, i sacramenti, sebbene costituiscano intrinseca-
mente ciascuno una unit a s stante, sono per altro composti di mate-
ria (elemento, res) e forma (parola), vedi (Ds 1262, 1312, 1671,
3315), sono segni visibili (Ds 3315, 3857 s.) o simboli della grazia
invisibile (ns 1639). Sono mezzi di grazia, che, in quanto forza san-
tificatrice (Ds 1639) o causa strumentale (ns lp9), designano e con-
tengono la grazia loro peculiare in modo tale, da produrla per via di
mediazione ex c..~ere operato (DS 1608, 3544 ss.), e non quindi per me-
rito autonomo del ministro o del ricevente. L'esatta modalit di questa
produzione strumentale della grazia non viene spiegata. Eppure, stan-
do alla necessit di salvezza dei sacramenti occasionalmente ribadita. (Ds
1604), l'indirizzo assunto dagli asserti sembra orientarsi proprio su una
effettiva causalit (strumentale}. L'opus operatum non va inteso in ma-
niera sbagliata, quasi che i sacramenti producano il loro peculiare effet-
to in modo automatico e meccanico, o addirittura ancora in modo che
ha del magico. La trasmissione della grazia invece, nella sua realt e
nella sua misura, dipende anche essenzialmente dalle disposizioni del
soggetto ricevente (come condizione beninteso, non come causa), ossia
dalla fede che si apre e si abbandona alla grazia sacramentale, e altresl
dall'intenzione di chi la riceve (Ds 782, 1606, 1677) e di chi l'ammini-
stra. Qui risulta d'altronde chiaramente discernibile la consapevolezza
della dipendenza d'ogni grazia, anche e soprattutto di quella sacramen-
tale, da Cristo e dalla Chiesa. Ecco perch esiste la formula secondo cui
il ministro deve avere almeno l'intenzione di fare ci che fa la Chiesa
(DS 161I ss., 1617).
La grazia accordata dai sacramenti corrisponde a ci che ogni singolo sa-
cramento designa e contiene per via simbolica, e costituisce un effetto
tipico, seppure causale e strumentale, prodotto dal sacramento stesso.
La grazia sacramentale la grazia della giustificazione (ns 1604, 1696,
ecc.), oppure un suo sviluppo e un suo incremento (DS 1638, 1310-
1313 ); sicch una grazia calibrata sull'efficacia simbolica specifica di
ogni singolo sacramento (ns 1310-1313). Alcuni sacramenti producono
poi un particolare carattere sacramentale (ns 1313, 1609), per cui non
possono venir ripetuti. Ai sacramenti - cosa che interessa la Chiesa
STORIA DBLLA TEOLOGIA DEI SACRAMENTI 133

nel suo insieme - , spetta la necessit di salvezza (necessit di mezzo,


DS 1604), che si concretizza in ogni singolo membro della Chiesa a se-
conda del modo in cui egli ne membro. In base alla natura dei sacra-
menti, visti come mezzi salvifici istituiti da Ges Cristo cui Dio (Pa-
dre) ha dato ogni potere e come tali affidati alla Chiesa, un singolo
membro della Chiesa pu~ amministrare un dato sacramento soltanto in
forza dell'autentico potere promanante da Cristo e rispettivamente dalla
Chiesa (Ds 1610, 1684, 1697, 1710, 1777). Per amministrare validamen-
te ed efficacemente un sacramento, sono necessarie inoltre l'esatta rea-
lizzazione per quanto concerne materia e forma e altresl la retta in-
tenzione, mentre non necessario invece lo stato di grazia e di giusti-
ficazione (ns 1310, 1612, 1617). Parallelamente, per il ricevente in-
dispensabile l'intenzione sufficientemente conscia di ricevere il sacramen-
to (prescindendo ovviamente da casi speciali, come quello costituito dal
battesimo dei bambini); occorre poi tener presente che per ogni singolo
sacramento si richiedono condizioni diverse. Il numero dei sacramenti
neo-testamentari ammonta a non pi n meno di sette (ns 1601 ). Es-
si possiedono peraltro una dignit, una necessit di mezzo e un'impor-
tanza diverse, ai fini della salvezza (Ds 1603, 1639).

Da tutto quanto mettono in rilievo queste definizioni e le al'tre deter-


minazioni in materia, emerge anche immediatamente la distanza in-
tercorrente fra una teologia sacramentale di uso comune, che si rial-
la-ccia in prevalenza a queste fissazioni circa i sacramenti in genere
propendendo a costruire soltanto su di esse, e una teologia sacramen-
tale che si rif invece di nuovo al NT e aUa prima ra patristica. La
cosa stata intuita da tempo. Sicch (a~ pi tardi) dagli inizi di que-
sto secolo, si nota lo sforzo di ricuperare la grande pienezza della
vita sacramentale e di comprenderla pi a fondo. Le unilateralit di
parecchie formulazioni e di molte problematiche legate al l'oro tem-
po, da noi oggi riscontrabili dappertutto (e per noi oggi cosl anti-
patiche), vanno superate puntando su una dottrina della vita eccle-
siale e sacramentale aggiornata alle concezioni attuali. Gli spunti orien-
tati in questo senso, gi esistenti nella pi recente teologia, hanno
ora avuto la loro brava convalida nel concilio Vaticano n. Le idee
ivi ricuperate vanno di conseguenza trasposte nella nostra odierna
teologia dei sacramenti in genere, e portate avanti anche in base ai
risultati offertici dalla pi recente esegesi. Soltanto l'integrazione di
tutti i momenti riconosciuti come essenziali e necessari, come pure
la messa in luce del particolare risvolto d'ogni singoln sacramento, e
134 I SACRAMENTI

infine l:a definitiva radiazione dall'albo d'ogni problematica inogget-


tiva e superata, possono aiutare la nostra odierna teologia sacramen-
tale ad uscire dal pericoloso vicolo cieco in cui sembra essersi arenata.

III. I SACRAMENTI COME EVENTO ECCLESIALE DI SALVEZZA


TENTATIVO DI INQUADRAMENTO SISTEMATICO

Annotazioni preliminari

Grazie alle riflessioni e ai risultati sinora conseguiti, adesso non


siamo soltanto in grado di sottolineare ancora una volta l'innegabile
fatto, oggi quanto mai assillante, dell'insufficienza e della necessit
cli chiarificazione da cui caratterizzato il concetto corrente di sa-
cramento; possiamo infatti anche gi indicare con esattezza che cosa
debba (ancora) fare una teologia dei sacramenti in genere, per avan-
zare sulla via che conduce ad una concezione pi valida, e meglio
corrispondente all'odierno stato dell'esegesi e de1Ja teologia sistema-
tica, del sacramento in genere. Le considerazioni che ci accingiamo
a fare non potranno quindi limitarsi soltanto a ripetere cose gi
note, ma meno che meno a sorvolare su quanto abbiamo gi riscon-
trato in precedenza, e sugli spunti pi o meno espticitamente gi
enucleati per una legittima e pi pregnante teologia sacramentale.
La necessit teologica di riallacciare coscientemente il nostro con-
cetto di sacramento (magari riconquistandolo di sana pianta) al
ua't"T)p~ov neotestamentario inteso nel senso gi spiegato, stando a
quanto abbiamo detto, non pu venir messa in dubbio. In tal mo-
do, pu dirsi ormai presa la decisione basilare previa per l'afferma-
zione seguente: i sacramenti, in quanto vengono concepiti come azio-
ni significative nella vita peculiare della Chiesa, vanno intesi come
derivanti dalla natura stessa della Chiesa, cosl come questa natura
ci appare rivelata nel NT quale uatjpLov di Dio, tenendo presente
che essa deriva a sua volta ili proprio essere, il proprio compito e
persino l'idea che si fa di s, da quel uaT{]ptov di Dio che Ges
Cristo in tutta la sua pienezza. La via della comprensione da noi
{NQUADRAMENTO SISTEMATICO 13:;

additata non pu venir invertita. Di conseguenza, occorre mettere


ben chiaro che i (singoli) sacramenti, e quindi il fattore sacramen-
tale in genere, derivano da quel ua"ti)p~ov, e l'idea che ci si fa di
essi pu e deve esser attinta unicamente da esso. Facendo questa
constatazione, si additano anche subito certe lacune, a riempire le
quali deve estendersi )a teologia dei sacramenti in genere, quand'an-
che su questo o quel punto la cosa possa apparire (ancora) inusitata.59
Fra queste laame, si possono menzionare brevemente a titolo esem-
plificativo le seguenti, che risulteranno poi determinanti anche agli
effetti delle riflessioni successive.

Stando al concetto di ua"ti)p~ov quale si presenta a noi nei passi pi


decisivi del NT, nell'evento fondamentale di salvezza che trova la sua
espressione nel termine uCT'ti)p~ov inteso nel senso lato accennato sopra,
ci si viene a dire che Dio (Padre) istituisce e produce la salvezza. E que-
sta viene definita pi precisamente come un evento, in cui il disegno di
salvezza rimasto celato in Dio prima di tutti gli eoni voleva e vuole la
riconciliazione e la riunione dei separati per colpa del peccato. Si parla
con energia proprio anche di quel Dio che (gi) ha creato il tutto, e per
altro verso opera questa salvezza (che va ricreata e riplasmata a nuovo)
e questa rivitalizzazione tramite la morte in croce di suo Figlio Ges
Cristo, facendola poi estrinsecarsi (ulteriormente) nello Spirito santo.
Con ci, ci troviamo per forza rimandati interiormente a ponderare nel
debito modo innanzitutto l'aspetto fondamentale trinitario dell'evento sa-
cramentale, e non soltanto appena in via di principio (e quindi arrestan-
doci magari al mero lato esteriore), bensl proprio a causa e nel senso

59 Sino a qual punto oggi si sente dappertutto, non da ultimo anche in campo
protestante, il bisogno di ripensare a nuovo la teologia sacramentale, facendola
ogiietto di riconsiderazioni e chiarificazioni veramente radicali, lo pu dimostrare la
seguente citazione: Li teologia per... non pu evitare di porre in atto tutti gli
sforzi per procacciarsi un concetto sufficientemente giustificato sotto il profilo ese-
getico e sistematicamente sostenibile di sacramento. Nel concetto di sacramento
infatti, si tratta al contempa di decidere non solo quale sia il rapporto storiro-rc-
ligioso fra cristianesimo e religione misterica, hensl anche quale sia il rapporto
di teologia fondamentale vigente fra rivelazione e natura, quindi fra Dio e mondo,
e infine di decidere se nell'escatologia trova la sua motivazione l'ontologia, o vi-
ceversa quest'ultima che trova la sua ragion d'essere in quella. Un semplice
sguardo dato alla storia della teologia d a vedere come nella concezione del sa-
cramento escatologia e dottrina della creazione risultino abbinate in un rapporto
strettissimo, rigorosissimo, ma anche quanto mai problematico ... - (E. JiiNGEL, 'Was
ist ein Sakrament. Ersrer Vortrag', in: E. ]iiNGEL - K. RAHNEll, W as ist ein Sa
krament, Freiburg x971 1 28 s.}. Sicch, una teologia sacramentale gestita respon-
sabilmente non pu cercar di scansare la problematica test delineata.
I SACRAMENTI

dell'effettivo e concreto agire di Dio Padre tramite il Figlio suo Ges


Cristo donatosi nello Spirito santo per i molti, e quindi a causa del-
l'effettiva (ulteriore) compartecipazione primaria di queste tre divine Per-
sone anche all'evento sacramentale concreto realizzantesi hic et nunc (il
quale non contiene proprio null'altro all'infuori di quello!).
Inoltre, oggi come oggi, una valida teologia sacramentale non pu pi
fare a meno d'una teologia della creazione ponderata abbastanza a fondo,
che si sviluppa gi coscientemente anche nella visione teologica della
natura dell'evento sacramentale. Ci vero gi a causa dell'unicit di
Dio, che produce la creazione e la salvezza (in quanto la si definisce in
senso stretto, e quindi la si distingue dall'universo creato), esternandole
come suo, come unico vcr'ti)p~ov. Perci occorre mettere bene in risalto
anche la fondamentale unit di tutto il creato e della sua storia, sia di
tipo naturale sia d'impronta soprannaturale, dimostrandone la de-
rivazione da un solo Autore primordiale. Il concetto di utn1}p~o'll del
NT, infatti, abbraccia di fatto tanto la creazione, quanto la redenzione,
quanto anche Ja perfezione escatologica. Per motivi ben comprensibili,
nel NT l'accento vien posto ovviamente sul momento intermedio, vale
a dire sulla redenzione. Il fattore decisivo per resta pur sempre la po-
larizzazione della salvezza concretamente attuata nel creato sulla perfe-
zione escatologica, avviata dall'evento storico della redenzione. Ad ogni
elemento che sta di fronte a Dio (=creato), e quindi ad ogni storia,
fa infatti da sfondo un unico piano, ossia il disegno divino (di sal-
vezza) che prevede la communio escatologico-definitiva, ma gi real-
mente e concretamente messa in cantiere nella creazione, fra Creatore e
creatura, fra Dio e uomo; e ci, proprio nel senso inteso dal vcr'tlJp~ov
menzionato in Col. 1,4-5.10-23 ed Eph. 3 (e anche altrove), comunque
vada il corso della storia. Inoltre, la teologia della creazione va debita-
mente inserita in questo contesto anche perch, nell'evento della reden-
zione e della salvezza, e conseguentemente pure dei sacramenti, non ha
avuto e non ha luogo una nuova creazione di carattere assoluto, ma il
particolarissimo avvenimento dell'agire di Dio (creatore e Padre) trami-
te Ges Cristo nello Spirito santo si attua proprio coinvolgendo il (gi)
creato, anzi addirittura il creato sfigurato dalla colpa. Gi qui pertanto,
ci si offrirebbe un'occasione di riflettere a fondo sul momento del mi-
stero della croce prospettato in I Cor. 1-2, manifestamente essenziale
agli effetti dell'evento sacramentale. Sicch va riconsiderata bene la com-
partecipazione degli uomini (basata sul reale concorso che essi avreb-
bero dovuto darvi per istituzione divina) al uCT'tTJpto'\I in fase di ulte-
riore realizzazione; e ci, proprio anche gi sotto l'aspetto della creatu-
ralit dell'uomo, plasmato nella sua inconfondibile peculiarit. E infine
(probabilmente soltanto dopo), bisogner cercar di sviluppare cd analiz-
zare alla luce della teologia, specie della teologia concernente la crea-
INQUADRAMENTO SISTEMATICO 137

zione, l'inclusione in esso addirittura di cose materiali, che pure in


certi sacramenti sembra la pi essenziale.
Con questi accenni, vediamo per delinearsi anche un altro compito,
insopprimibile agli effetti delle considerazioni da farsi nel campo della
teologia sacramentale. Si tratta della questione concernente ci che si
pu chiamare storia di Dio abbinata a quella dell'uomo, con partico-
lare riferimento appunto all'evento sacramentale. Sul mistero di salvezza
posto in essere da Dio, attuatosi in maniera tutta speciale precisamente
nella crocifissione sotto Ponzio Pilato, incidono infatti particolari mo-
menti di cui bisogna tener debitamente conto. Si tratta precisamente di
questo: il carattere di anmnesi dell'evento sacramentale, che non pu
coartare n il fatto storico della crocifissione, n la presenza attuale del
vcr't'i}p~ov nell'evento ecclesiale, ma esige invece di venir lumeggiato
sotto il profilo teologico. E non molto diversamente stanno le cose in
rapporto al momento escatologico.
Tenendo presente questo (e altro ancora, che qui non ormai pi neces-
sario addurre dettagliatamente), lo sguardo pu ora appuntarsi libera-
mente sui riti segnaletici ecclesiali, ossia sui sacramenti stessi, esami-
nandone come momenti degni di considerazione i seguenti aspetti im-
mediati. In primo luogo quello che ora ci accingiamo a vagliare. Nei sa-
cramenti, si tratta in ultima analisi della comunicazione, anzi della comu-
nione tra Dio e l'uomo; ora i sacramenti sono, a loro modo specifico,
appunto un evento di comunicazione tra Dio e l'uomo. Le persone coin-
teressate hanno la loro parte personale in questo evento, in cui tale co-
municazione ha luogo in una maniera tipica per i sacramenti, che agi-
scono per via di trasmissione nella modalit derivata dah'unico ucr'ti)ptov
neotestamentario. L'elemento mediatore fra Dio (Padre) e l'uomo ori-
ginariamente e in Jefinitiva il Logos di Dio, e in derivazione da lui
gli altri mezzi da lui autorizzati. Ci vale sino all'elemento creato, sia
materiale sia personale, che in sostanza riceve da Cristo la sua qualifica
di mezzo. Questo fattore mediante, di volta in volta diverso, costitui-
sce in questo senso un segno, che va concepito per come un elemento
non soltanto conoscitivo, bensl anche operante ed effettivo. Per cui,
nell'evento sacramentale, si ha tanto una rivelazione quanto una effi-
cace estrinsecazione dell'unico ul1't'TJPLO'll. L'efficace azione esplicata da
Dio nella mediazione sacramentale comporta quindi, nella sua incisivit,
anche un divenire e quindi un essere (mediato e <muovm>), e per di pi
anche un incremento della partecipazione gi accordata inizialmente. Sic-
ch bisogna ricordare anche il contesto storico, sempre beninteso nel qua-
dro fondamentale di tutti i momenti qui addotti: i sacramenti derivano
dall'evento della crocifissione, avvenuta sotto Ponzio Pilato. Tale even-
to si visto accordare da Dio (Padre) la peculiarit - che rientra es-
senzialmente in esso proprio in quanto !.l.VO"'tTJp~ov concreto di Dio -
I SACRAMENTI

cli risultare rappresentabile, ossia di poter venire (ulteriormente) rea-


lizzato nell'istante attuale della vita della Chiesa, quantunque di per
s sia gi realizzato. Questa particolarit non stata affatto concessa ad
ogni singolo avvenimento verificatosi nella vita terrena di Ges Cristo
(ad es. non all'incarnazione, non ai miracoli, non alla trasfigurazione fi-
nale cli Ges, ecc.). Il vl7"t'1)p~ov di Dio, realizzatosi nell'evento storico
della croce, risulta quindi per sua concessione rappresentabile, ap-
plicabile al singolo individuo, e persino vivibile da ciascuno ad ogni
momento in seno alla Chiesa.
La suaccennata doverosa inclusione della teologia della creazione, come
pure della riflessione teologica sulla potenza e presenza di Dio, costituti-
ve della storia e concretamente estrinsecantisi, contribuir poi a far evi-
tare anche solo l'apparenza di un'impostazione magari intrisecamente ma-
gica o dualistica della teologia sacramentale. Il Dio creatore e il Dio
redentore sono poi sempre lo stesso ed unico Dio, per cui anche il loro
modo di agire va concepito nella sua compatta unit. Guardando le cose
in questa luce, si pu quindi considerare escluso anche ogni esagerato
carattere di eccezionalit rivestito dall'evento sacramentale, in rappor-
to alla normalit della vita tanto del singolo individuo quanto della
comunit. Ci che inerente al fattore sacramentale come propriet ti-
picamente sua, si pu documentare con sufficiente chiarezza. Il suo ca-
rattere di vi:r"ti)p~ov tutt'altro che quello d'un fatto o d'un evento
miracoloso. Qui occorre ovviamente mettere del pari in luce come i sa-
cramenti partecipino a loro volta al carattere di vU't'fip~ov rivestito da
Dio stesso, nonch dal suo eterno disegno esecutivo (di salvezza). Ci
per altro non deve condurre a concepire o a presentare i sacramenti, pre-
si nei loro elementi e nelle loro strutture essenziali, come eventi asso-
lutamente straordinari e meramente soprannaturali. In effetti, non po-
chi dei loro momenti essenziali si presenteranno come non specificamente
distintivi e validi soltanto per essi, bensl invece come momenti dell'essere
genericamente gi infuso nel mistero della creazione, e delle sue moda-
lit di esistere e di realizzarsi. Non per questo gli eventi sacramentali si
possono appiattire, presentandoli come avvenimenti qualsiasi della vita.
Essi infatti rivestono un carattere speciale persino nell'ambito dell'inte-
ra vita comune vissuta dalla Chiesa con Dio.
Tenendo presente tutto questo, anche la celebre questione riguardante il
binomio parola e sacramento dovr venir sottoposta ad una nuova
riconsiderazione, e precisamente come problema gi intavolato. Al pi
tardi qui, si rileva poi come si debbano prendere determinate decisioni
preliminari gi di stampo filosofico-concettuale, come pure di teologia
fondamentale. Bisogna battersi per una riunificazione (almeno generica)
di concetti quali parola, <<simbolo, linguaggio, segno, e via dicen-
do. Risulta poi ancora una volta evidente la necessit d'una nuova spie-
INQUADRAMENTO SISTEMATICO 139

gaaione, anche antropologica, del fattore sacramentale. Le risposte ai


problemi da trattate nel quadro della teologia fondamentale dovranno es-
se pure venir debitamente prese in considerazione. Tanto per fare un
esempio, c' da chiedersi cosa significhino in sostanza frasi come queste:
Dio parla; Dio agisce in maniera storica_; la Chiesa annuncia la
parola di Dio. Le risposte (date con senso di responsabilit pur calibra
ta sullo stato attuale della teologia) a questi interrogativi matureranno
ben presto le loro conseguenze, anche e proprio nel campo della teo-
logia sacramentale.
Di fronte a questa complicata problematica, quello che ora ci accingia-
mo a dire rappresenta soltanto un tentativo di cogliere e comprendere
meglio la natura del fattore sacramentale. Esso va per affrontato, pro-
prio in vista dell'assunto propostosi dalla presente sezione, che riguarda
appunto i (singoli) sacramenti come attualizzazione di quel sacramento
radicale che la Chiesa.

r. Premesse di teologia della creazione

Come ci apparso chiaro dall'esame della lettera agli Efesini e di


altri passi similari, la realizzazione del uui)p~ov non si attuata e
non si attua attingendo alla potenza gi inerente al mondo e alla sua
efficacia, ma si esplica per nel mondo e mediante l'elemento creato.
Ci troviamo cosl rimandati a scorgere una prima motivazione del
fattore sacramentale gi nell'azione c.reativa di Dio (oggi intesa non
di rado come azione fon tale salvifica di Dio stesso). Scaturh:ce pro-
prio da qui il fine delle riflessioni che ci proponiamo di fare, cer-
cando di lumeggiare sotto l'aspetto biblico e teologico la realt della
creazione in vista appunto del fattore sacramentale. Ci legittimo
e necessario, anche per il fatto che resser creato, ossia la creaturalit
d'ogni essere tratto dal nulla, anche queila dell'uomo e persino del-
l'uomo Ges Cristo, permane in eterno, facendo perennemente da
sfondo all'essere donato da Dio, comunque esso risulti trasfigurato
nello stadio escatologico. In effetti, il rapporto fondamentale crea-
tore - neatura, instaurato da Dio stesso, continua infallantemente a
sussistere, includendo naturalmente l'insormontabile distinzione fra
Dio e l'essere da lui derivante. Ci che ci accingiamo ad esaminare
adesso, verr ovviamente analizzato nelle sue componenti sostanziali
e vagliato a fondo anche in altri trattati. Il che per altro non pu
i SACRAMENTI

dispensarci dal menzionarne qui e dal metterne in luce i momenti


pi i.tnportanti per comprendere il fattore sacramentale, presentan-
doli in maniera completa, seppure anche relativamente concisa. Ci
proponiamo di farlo in una maniera che possibilmente non presenti
alcun saccente pregiudizio filosofico o di altro genere, per cui il ten-
tativo affrontato da questa sezione risulterebbe condannato gi in
partenza al fallimento. Ricordiamo per altro che le implicazioni filo-
sofiche e anche teologiche andranno sviluppate tematicamente in al-
tra sede.
Dobbiamo quindi ana1!i.zzare l'essere creatore di Dio e l'essere crea-
to della sua creatura, specialmente dell'uomo, vagliandoli in ordine
alla sacramentalit. Lo facciamo subito qui in una visione unitaria
~i legittima, perch giustificata altrove, sapendo che ogni entit
creata con relativa vicenda storica stata chiamata all'esistenza da
Dio e da lui destinata intenzionalmente all'esecuzione del suo
vo-n'Jp~o'll: proprio da quel Dio che si rivelato come Dio Padre,
Figlio (Logos) e Spirito santo. Se in queste considerazioni vogliamo
attenerci alla suaccennata visione di fondo del NT, cosl come essa
nel presente contesto pu da noi esser clta in maniera particolar-
mente istruttiva ad es. in Col. ed Eph., dobbiamo usare subito in
tutto e per tutto le categorie personali. Nella J:ettera agli Efesini in-
fatti, il va"riJp~o'll viene esaltato in maniera enfatica come rivelato e
attuato da Dio, che al contempo creatore dell'universo e Padre del
Signore nostro Ges Cristo. Siamo cosl pressantemente invitati a con-
siderare l'unit di Dio e insieme della sua opera, come pure l'unico
movente del!l.'intera azione di Dio, permettendo ad essi di espri-
mersi nelle nostre affermazioni singole. Questo unico movente di
ogni azione divina ci viene addotto in Eph. 1,3-14, specialmente nel
v. 5 (e 10): per amore. Questa formula, asciutta ma che pure di-
ce tutto, viene collocata enfaticamente in testa all'asserto,. come am-
missione di trovarsi di fronte ad un fatto impenetrabile." Ora, al-
l'arcano di questo amor di Dio, partecipa globalmente tutto quanto
costituisce il v1ni)pto'll di Dio: la creazione, l'elezione, la predesti-
nazione, la redenzione e la perfezione finale. Sicch, se vogliamo apri-
re il fattore sacramentale alla scoperta del vO"t'l)ptov 'tou eou

6J J. GNILKA, Der Epheserbrief, cit. 72, a proposito di Eph. r,5.


INQUADRAMENTO SISTl!MATICO

esaltato in Eph. I, siamo obbligati anche a concepire gi l'evento del-


la creazione, e quindi anche tutto quanto ne derivato ed stato
avviato a divenire, ivi inclusa anche ogni storia (o comunque si vo-
gl!ia chiamare l'evento vitale instaurato fra Dio e la sua creatura, con
alla testa l'uomo, come inquadrati sotto questa categoria fondamen-
tale). Soltanto in questo modo risulta anche refutato gi in partenza
ogni sia pur vago indizio di fatto miracoloso o magico, qualunque
sia l'elemento specifico che si vuol metterne in evidenza (perch non
ogni realt proveniente da Dio si pu sbrigativamente qualificare co-
me sacramentale, se non si vuol annaspare in mere e vuote tau-
tofogie ).

a. Sul linguaggio e il simbolismo dell'elemento creato

Esaminando il concetto neotestamentario di uu"t1}pw..1, specialmente


quello riportato in Col. ed Eph., avevamo riscontrato che l'unico
u<T"tTJpLov di Dio denota al contempo una realt e una rivelazione. Il
ucrt"fiPLOV che viene rivelato e quindi risulta manifesto, azione e
attuazione; una realizzazione di Dio (Padre), compiuta in modo
tale, da presentarsi in quanto realt operata anche contemporanea-
mente come rivelazione dello stesso Dio in persona, ma altresl come
rivelazione degli intenti della sua volont, ossia del suo amore
(Eph. r ,3 ss.). Inoltre, abbiamo rilevato che il mistero di realt
(salvifica) e di rivelazione attuato, e cosi inteso, viene predisposto da
Dio stesso ad un'ulteriore rivelazione, ossia alla predicazione, ad una
continuit d'efficacia, cio a venir ininterrottamente realizzato anco-
ra,61 finch si sar tramutato in perfezione (escatologica). Infine ab-
biamo constatato che quest'unico vasto ucrtjpLo'V abbraccia tutto
l'agire di Dio: creazione, redenzione e perfezione escatologica. Ades-
so concentriamo il nostro sguardo innanzitutto sul primo di questi
elementi, vale a dire sulla creazione. Accingendoci a considerare i
momenti di teologia della creazione contenuti nei sacramenti, per
non partire da uno spunto pure giustificato ma forse ancora un tan-

61 Rimandiamo qui alle considerazioni gi fatte in precedenza, pp. 89-97. Le argo-


mentazioni col sviluppate vanno ora utilizzate, applicandole ovviamente con sguar-
do tematicamente interessato al mistero della crea2.ione.
I SACRAMENTI

tino sospetto, prendiamo come base di partenza gli stessi passi scrit-
turali che finora ci hanno sempre accompagnati. Qui si aggiunge poi
nel nostro campo visivo anche l'altro fattore (che per meglio dire
ancora lo stesso), quello che dappertutto nella sacra Scrittura descri-
ve il comportamento fondamentale di Dio: l'agire e l'operare di Dio
viene sempre concepito come parola, come discorso; e la parola
rivelatrice e istruttiva di Dio costituisce sempre al contempo anche
un operare con gesto potente. ormai sufficientemente noto come
questa coscienza biblica di fede risulti percettibile nel vocabolo da-
bar e nell'uso che se ne fa: esso indica al contempo parola e azio-
ne (realt); quest'ultima, poi, denota tanto l'avvenimento (evento),
quanto anche l'essere ormai realizzato. Quasi non bastasse, un da-
to di uso corrente che proprio anche l'azione creativa di Dio si espli-
chi sempre nella parola e con la parola: Dio parla, e la cosa esiste.
Noi dobbiamo quindi sviscerare questi dati biblici, qui ovviamente
appena aocennati ma altrove diffusamente esposti, applicandoli al
nostro assunto. Non affatto detto che per questo dimentichiamo
come, in questa materia, si tratti di un problema sempre ulterior-
mente approfondibile, eppur mai dd tutto risolvibile sotto il pro-
filo teologico (e anche filosofico). 62
Possiamo sintetizzare brevemente in forma di tesi quello che ab-
biamo qui esposto, dicendo: ogni entit creata, in quanto tale, al
contempo realizzazione di Dio e parola, espressione, discorso di
Dio. Comunque si voglia definire l'ente creato in quanto tale, esso
porta in s come carattere di fondo essenziale, invincibile e assohi-
tamente valido, il fatto di essere sempre qualcosa di derivante da
un essere completamente dive~so, inteso nel senso prettamente teo-
logko di quest'espressione, tanto come realt quanto. come parola.
Ora, ci implica parecchi fatti che val proprio la pena di esaminare
attentamente.
In riferimento a Dio visto come Autore primordiale del UO"'TTJp~ov
e pertanto d'ogni entit creata, bisogna affermare questo: l'agire
creativo di Dio viene inteso gi nell'AT come un operare assoluta-
mente privo di qualsiasi analogia, per cui svela gi il carattere di

62 Non riteniamo necessario ripetere qui, sviscerando la presente questione di


teologia della creazione, le affermazioni bibliche gi analizzate altrove. Esse si
possono vedere a loro luogo.
INQUADRAMENTO SISTEMATICO 143

vcr-ri]p~ov di tale agire, senza tuttavia cancellarlo. Ci si esprime fra


il resto anche nel verbo bara, usato esclusivamente per Iddio. Se ne
trova una reminiscenza ancora in Eph. 2,10 (letto nel contesto com-
plessivo dei solenni asserti conoernenti il vcrti}pLoV enunciati in
questa lettera), in quanto il mistero della redenzione ci viene pre-
sentato impiegando la terminologia della creazione.11.l L'assoluta so-
vranit e la potente iniziativa di Dio nelf atto creativo, come pure
conseguentemente nella sua incisiva contrapposizione al mondo e al-
l'uomo, che egli plasmandoli dal nulla ha chiamato (e chiama) al-
l'essere e alla storia, si esprimono nella formula affermante che Dio,
mediante la decisione della sua volont, crea (e conserva nell'essere)
il mondo e l'uomo. Qui bisogna tener presente come gi Israele ab-
bia acquisito la coscienza teologica (di fede) che il mondo non esi-
ste affatto di per se stesso o per necessit intrinseca, ma nemmeno
per una necessitas inerente a Dio, comunque la si voglia imma-
ginare. L'azione creatrice di Dio non neppure una sua necessit
di natura, che avrebbe quindi dovuto estrinsecarsi per forza; in-
vece una decisione assolutamente libera e volontaria del suo ineffa-
bile amore. 64 L'essere creato quindi, qualunque esso sia, un'entit
che ha preso consistenza tramite la parola liberamente pronunciata
da Dio, dimodoch, siccome questa sua creaturalit si mantiene sta-
bile, esso in questo senso anche sempre un'entit pronunciata da
Dio, e perci al contempo anche autentico discorso, genuina espres-
sione rivelativa di questo amore di Dio. L'ente creato in quanto
discorso di Dio non viene inteso daM.a Bibbia quasi che Dio abbia
semplicemente voluto o addirittura dovuto parlare, instaurando un

11.l Cf. in materia J. GNILKA, op. cit., p. 130. Il mistero della redenzione com
porta infatti (e rivela) proprio che Dio difenda la sua creazione. In questo con-
testo, sentiamo cosa dice il dotto autore: Nel concetto-rL itif.v-ra (Eph. 1,10 e 3,9),
si documenta l'idea per principio unitaria del mondo nutrita dall'epistola. Questa
unitariet risulta agevolata dalla fede nella creazione che si aveva nell'antica ra
biblica. Dio ha creato tutto quanto (3,9). Lo sviluppo avviatosi con Cristo (1,10)
mira appunto alla riconquista dell'unit... Bisogna richiamare pressantemente l'at-
tenzione sul fatto che l'interesse orientato al superamento del dualismo esistente
si lascia alle spalle la concezione statica del mondo, sicch la dinamica dcl quadro
del mondo presentato da Eph. va considerata qui come la sua pi notevole ca-
ratteristica (J. GNrLKA, op. cit., 65). L'importanza di questo fatto va conveniente-
mente sfruttata anche nella teologia sacramentale.
64 Eph. r,5, considerato nel suo insieme, vale in tutto il suo peso tanto per
la redenzione, quanto anche per la creazione.
I SACRAMENTI
1 44

monologo con se stesso o pronunciando delle parole per conto suo.


Viceversa, l'elemento creato un discorso indirizzato da Dio a
qualcuno: innanzitutto pensato per qualcuno (Eph. r,4), e poi
anche realmente ed efficacemente pronunciato per qualcuno (cf. ad
es. ls. 41,1.25). Il discorso di Dio sempre un'allocuzione a qual-
cuno. Dio non crea nulla soltanto per essere e fare il creatore. La
parola creatrice di Dio, articolata ed esistente in ogni singolo essere
creato, non sussiste come fine a se stessa. Dio non parla cosl, tanto
per parlare - il che finirebbe per essere una forma di emanantismo,
di monismo o di panteismo - , ma patia invece per essere ascoltato
ed inteso. L'el'emento creato, in quanto realt attuata, sempre gi
anche qualcosa di indirizzato a qualcuno, qualcosa in cui Dio stesso
si presenta come avvolto nel ua"tTJp~ov. II mero esser pronuncia-
to - ecco qui un'altra conseguenza - non gi automaticamente
la cosa intesa. L'elemento creato risulta pienamente esistente in quan-
to pronunciato e raggiunge la sua pienezza significativa nel senso
voluto dall'intenzione primordiale di Dio, soltanto allorch come
discorso e realt pervenuto allo scopo per cui stato ideato, vale
a dire quando stato percepito e assimilato personalmente.
Non occorre che ci diffondiamo qui ulteriormente a dimostrare
come ogni entit cre-ata, e l'universo creato preso nel suo insieme,
siccome sono venuti alla luce e vengono conservati nell'essere tra-
mite la parola di Dio, sono pertanto logicamente anche un'espressio-
ne di Dio. Lo stato di cose qui prospettato pu venir articolato e
afferrato concettualmente in parecchi modi. Comunque sia, le cose
create si rivelano come poste in essere da Dio, per cui esprimen-
dosi manifestano anche tale derivazione da lui, e in questo senso
parlano davvero di Dio. Viste in questo modo, le cose sono quel
che sono e lo palesano anche chiaramente. Ma siccome non parlano
di s e per s, bensl in derivazione da Dio, le cose hanno sempre da
dire pi di quanto sono in s e per s. Oltre a ci che sono in
s e per s, manifestano proprio anche il loro derivare da Dio e
altresl il loro essere preordinate alla percezione, che vanno ben al
di l del loro mero essere intrinseco. Ora, nella realt creata median-
te la parola, appare evidente anche gi il suo compito di mediazione,
infusovi da Dio e reso efficace per suo espresso volere. In effetti -
e non occorre ci diffondiamo qui a dimostrarlo - , l'essere creatore
INQUADRAMENTO SISTEMATICO 1 45

inerente a Dio non costituisce per lui una necessit naturale, come
pure la realt posta in essere per venire afferrata come espressione
di Dio affidata alla decisione personale di accogliere e voler per-
cepire. Nemmeno hl creaturalit dell'uomo una sua necessit in-
trinsecamente naturale; no, perch un modo di essere che sfreccia
pi in alto di ogni necessit, in quanto accreditato come derivante
dall'amore, e da accettarsi in tutta libert con un'opzione personale
presa dinanzi a Dio. La creatura deriva dalla persona ed , ordinata
alla .persona. Sicch, dobbiamo concepire ogni entit creata come
azione e parola del Dio personale (seppure in primo luogo ancora e
soltanto nel senso del principio del ucr-ri)p~ov), come sua espres-
sione personale. Sotto questo aspetto, ogni elemento creato porta
gi in quanto tale un carattere personale voluto da Dio, poich mo-
vendo da lui nulla esiste per necessit inconsapevole o preterin-
tenzionale, ossia a-personale.
Questo rapporto di fondo e di origine ( = rapporto di creazione)
si mantiene per finch l'elemento creato continua ad esistere. Ora,
se visto in questa luce ogni essere creato permane in stato di non-
necessit tanto divina quanto creatural'e (1' ens contingens resta
sempre contingens ), e quindi sotto l'egida del potere di Dio ispi-
rato dall'amore, di palmare evidenza che il contenuto intrinseco
dell'entit realizzata per via creativa come espressione di Dio ri-
mane fondato su Dio stesso: in effetti, come gi bene sappiamo, la
realizzazione e la rivelazione del u<r-r{jptov non comportano affatto
la sua diminazione. Per cui, il significato e l' importanza d'ogni
singolo essere creato continuano a restare nascosti in Dio anche do-
po la sua reali:.:zazione, giacch nulla viene o pu venir scardinato
dal suo rapporto fondamentale con Dio. Pur essendo un'espressione
di Dio, l'elemento creato non ancora la sua ultima parola. Con-
siderato a tutta prima in se stesso, anzi soltanto un vocabolo
preconizzato ad una sempre possibilie locuzione {ulteriore) di Dio.
Come la singola parola (il singolo vocabolo) non ha un senso gi
di per se stessa o unicamente un significato ultimo, ma riceve invece
il senso ad essa attribuito soltanto da chi parla, e nel contesto d'una
proposizione ben determinata (pur senza per questo venir abusata.'),
cosi succede anche per ogni singolo essere creato. Qui in effetti ba-
sta prestare attenzione alla possibilit, ora gi nppars.1 evidente e
I SACRAMENTI

fondata sul mistero stesso della creazione, che l'elemento creato sia
suscettibile d'una ulteriore accezione in quanto mezzo espressivo e
operativo di Dio. Come <('discorso di Dio, l'essere creato non
qualcosa di irreiterabile e definitivo, ma partecipa (gi) al u1n'l'JpLov
di Dio in quanto elemento realizzato s, ma pur sempre ancor da
realizzare. L'essere creato non si limita soltanto ad avere la propria
origine (unica e conclusa) da Dio, ma presenta invece una continua
derivazione da lui, finch seguita ad esistere; e ci nel senso d'un
evento, d'un dialogo, in cui il singolo elemento creato, considera-
to come vocabolo (usato occasionalmente o anche frequentemente)
secondo il volere personale di Dio (o altres della creatura abilitata a
farlo), viene inserito nel contesto significativo di volta in volta vo-
luto, :finch si attuer la ricapitofozione completa in un'unica parola
di quanto stato detto nel corso della storia da Dio e dalla creatura.65
Guardando le cose in questa foce, risulta quindi proibita - sotto il
profilo teologico ed ontologico - ogni definizione inappeUabile
del singolo elemento creato. O quanto meno, la definizione potreb-
be venir accettata soltanto come misura minima dell'ente preso
in considerazione. L'apertura verso la possibilit d'una pi pregnan-
te ricettivit dell'essere, ossia in ahri termini l'apertura dell'onto-
logia verso l'escatologia, va salvaguardata sin dalle origini, cio sin
dal mistero della creazione.

b. Sulla potenzialit insita neH'elemento creato, vista come


possibilit di configurarsi e come abilitazione ad operare

Ci che qui ci accingiamo brevemente ad accennare, fluisce come di-


retta conseguenza dalle considerazioni test fatte, che 2bbiamo enu-
cleate esaminando il mistero della creazione dal concetto di vcr't''l'Jptov
neotestamentario. Innanzitutto l da vedere che ogni elemento
creato, a~ pari dell'universo preso nel suo insieme, a causa della sua
realizzazione costituisce una palese manifestazione della potenza di
Dio (cf. Rom. r,20). La creatura potentia come poderosit realiz.

65 Cf. Eph. 1,10. L':vl.timpoJ..cu.ouaila:t, ossia il ricapi1olare, cfkttivamcntc una


espressione originariamente mutuarn dal bagaglio nozionale della rc1orica, sebbene
nel caso nostro abbia assunto un significato incomparabilmente pi profondo. Pro-
prio quello cui ci riferiamo nella presente disquisizione.
INQUADRAMENTO SISTEJl.1ATICO 147

zata e al contempo rivelata di Dio, proprio nel senso riscontrato al


punto precedente. Siccome la creatura non esiste di per se stessa,
bensl soltanto in derivazione da Dio, essa pu e deve esistere soltan-
to perch Dio potente, e appunto allo scopo che noi abbiamo enu-
cleato prima come risvolto caratteristico del mistero della creazione
(che ora esige di venir applicato in continuazione). Il poter essere,
la potenzialit di essere, la facolt di essere qualcosa, sono essi pu-
re doni accordati da Dio, e quindi reali ed efficaci. Creando nella
maniera poc'anzi descritta, Dio, attingendo alla propria non-neces-
sit, accorda all'elemento da creare l'essere, per lui ideato ma non
tassativamente necessario, ossia la possibilit effettiva di essere se
stesso, quindi il potere e il fatto di essere questa determinata entit.
1l potere della creatura pertanto la potenza accordata da Dio, l'es-
sere derivantele da Dio che l'abilita anche ad essere realmente se
stessa. Il rapporto creatore-creatura, come gi abbiamo visto parec-
chie volte, continua sempre a sussistere finch la creatura esiste. Per
cui, l'essere della creatura sempre infallantemente un essere rice-
vente e al contempo ricevuto: ed entrambi ad essa derivanti da Dio.
Per cui, l'elemento creato in quanto realizzato anche sempre, per
munifico dono di Dio, un trovarsi in grado di essere intrinsecamente
quel che Dio vuole, un possedere l'autorizzazione e la potentia di de-
rivare effettivamente da Dio e, siccome ci lo manifesta, di parlare
e di agire in nome di Dio, secondo quanto stato ideato da Dio
stesso nei confronti suoi o in quelli di altri. Dio, tramite la sua po-
tente parola creatrice, accorda all'elemento creato contingente e di
per s impotente ad essere, la facolt di esser quel che di fatto
(ossia di essere una cosa completamente diversa da lui, e quindi
nient'affotto un'emanazione divina o qualcosa dd genere}.
Ne segue immediatamente un ulteriore fatto. Questa potenzialit
dell'elemento creato in quanto tale da Dio non pu venir considerata
come statica e definitiva. Quel tanto di potenzialit che la creatura
possiede, non sta radicato in essa, bens in Dio creatore. La rosa
di possibilit che essa presenta, non pu venir conosciuta per pro-
prio conto o messa spocchiosamente in preventivo dalla creatura stes-
sa, per la semplice ragione che una tale potenza creaturde autonoma
non esiste. Tale potere rimane celato nel vcr"t'1]p~ov di Dio. Solamen-
te ci che si gi rivelato come potentia - per via di realizzazione
I SACRAMENTI

o anche per via di promessa o di preannuncio divino - , pu venir


indicato e constatato, ossia a posteriori, come necessaria efficacia
rivelativa di Dio. Siccome per il vcr-ti}(M\I resta tale, come gi
abbiamo visto, cosl la potenzialit della creatura in quanto onnipo-
tenza divina rimane escatol'Ogicamente aperta. Usando il linguaggio
da noi scelto, possiamo affermare: in quanto vocaboli, le creature
sono state create in vista d'una ulteriore autocomunicazione perso-
nale divina (e inoltre anche creaturale umana, come vedremo presto),
per un'espressione sempre nuova nel corso del dialogo; sicch, an-
che parole gi usate possono magari ad un dato momento trasmet-
tere qualcosa di non ancora assolutamente espresso, in quanto abili-
tate a farlo da chi le pronuncia. Attingendo al vocabolario gi da
lungo tempo esistente, alla lingua gi in uso, il poeta pu comporre
una lirica completamente nuova, contenente qualcosa di sinora inau-
dito come comunicazione personale.
Ora, rientra manifestamente nella natura della creaturalit perso-
nale, vale a dire speciale e tipica dell'uomo, non solo di soggiacere
a questa fondamentale interpretazione e a questo potenziamento da
parte di Dio (in maniera passiva), ma di aver persino ricevuto la
facolt di attingere appunto alla potenzialit accordatagli per agire
lui stesso attivamente, inventando nuovi significati, attivando pote-
ri e ritrasmettendo potenzialit. Si allude in primo luogo alla con-
cessa libert di autodisposizione. L'uomo ha ricevuto in dono ~a po-
test e l'autorizzazione di contribuire di .persona a sviluppare il
vCT'"t"TJpLov del proprio essere creato da Dio. Possiede appunto grazie
a Dio la libera potest di attuare, con senso di responsabilit perso-
nale, tutto ci che in potentia capace di fare. Partendo da qui, si
potrebbe imboccare e battere la via che conduce a spiegare il vero
$enso della gioia creativa accordata all'uomo, dehle poliedriche ca-
pacit e doti tramite le quali l'uomo riconosce l'essere e la vita aper-
tagli dinanzi come cariche potenziah, che egli si premura di svilup-
pare, di plasmare e di portare ad esprimersi. Qui per dobbiamo
contentarci di questo accenno. Per quanto concerne il nostro assun-
to, occorre tener presente come l'uomo sia ovviamente <momo nel-
la sua accezione fondamentale; ma quale fisionomia avr in quanto
essere effettivamente realizzato, una cosa posta in suo potere,
un problema ancora aperto nel senso del potere donatogli da Dio.
INQUADRAMENTO SISTEMATICO 1 49

All'interrogativo che cosa in fin dei conti sia l'uomo, non si pu


quindi rispondere senza guardare alla vicenda storica dell'uomo sca-
turente da Dio, posto dinanzi a ltui e affiancato da lui, nel decorso
delle attuazioni della potenza esistenziale e vitale concessagli lungo
l'arco della storia.
E c' infine un'altra cosa ancora, su cui dobbiamo richiamare l'at-
tenzione. Nella potenzialit della creatura, e soprattutto dell'uomo,
rientra anche la possibilit, anzi l'abilitazione ad esprimersi effica-
cemente in un altro. Qui andrebbe nuovamente riconsiderato sotto
questo aspetto, ci che abbiamo sviscerato a fondo qualche pagina
addietro.66 La convivenza umanamente degna di pi persone, attuata
tramite i vari mezzi di comunicazione - dialogo, gesti, altre moda-
lit espressive, cose materiali regalate - , vista in questa luce, non
comporta in sostanza altro che una forma ontologica comunicata a
vicenda, ossia un nuovo essere (perch attuato per la prima volta), e
quindi molteplice arricchimento dell'essere: in breve, ci che in ul-
tima analisi deve valere anche per i sacramenti, visti come mezzi e
segni di comunicazione personale. Contestualmente, va tenuto pre-
sente pure il fatto che insita nella potenzial~t personale dell'uomo
la facolt di esprimersi personalmente in certe cose, che non solo
sono diverse dal soggetto stesso, ma di per s non sono neppure
umane. Per dirla in altri termini, all'uomo in quanto persona ac-
cordato il potere di tradurre in atto la potenzialit passiva deNa crea-
tura materiale (res) in misura tale, da metterla in grado di trasmet-
tere un valore tipicamente umano: nel segno da lui stesso elevato a
simbolo, l'uomo perviene all'obiettivo cui mira impiegando questo
mezzo espressivo. Egli pu quindi comunicare ad un oggetto di per
s inanimato una forza notificante e un'energia attiva che tale ogget-
to intrinsecamente non possiede affatto, ma che con l'abilitazione
accordatagli manifesta con la massima incisivit e gli permette di
esplicare. Fra i tanti possibili esempi in materia, ci sia permesso qui
di ricordare soltanto quelli della musica, delle arti figurative, e in
particolare proprio anche qud!lo della parola pronunciata. Per quan-
to concerne il nostro assunto, evidente che la misura della ca-
rica entitativa di comunicazione e di mordente immessa in tale mez-

li6 Cf. sopra, pp. 65i2.


150 I SACRAMENTI

zo personale e anche da esso decifrabile non deriva da ci che il


mezzo impiegato in s e per s, bensl da colui che ha il potere
{sia pure datogli per concessione) di calarsi dentro il mezzo in pro-
porzione al suo atto di volont, cosl da giungere all'altro per tale
tramite. Tocca alla voluta e quindi cosciente attuazione della propria
potenzialit il compito di comunicarsi personalmente all'altro per
questa via. E tocca ovviamente pure all'attuazione della corrispon-
dente potenzialit dell'altro il compito di verificare se e in qual mi-
sura egli si lasci realmente ed efficacemente raggiungere da colui che
gli si sta comunicando. In effetti, solo la cosciente apertura all'{ auto-)
comunicazione dell'altro, ossia l'agevolazione intenzionalmente voluta
della donazione deH'altro, permette di arrivare alla reale comparte-
cipazione all'essere altrui. Risulta qui evidentissimo il riferimento
alla questione di teologia sacramentale concernente le condizioni in
base alle quali i singoli sacramenti possono produrre i loro effetti.

c. Sul risvolto trinitario insito in ogni elemento create

Non soltanto in base agli asserti circa il uaTI]p~o'll 'tov GIEov della
lettera agJ.'i Efesini, bens anche a causa di numerosi altri passi del
NT, siamo obbligati a tener ben presente dinanzi al nostro sguardo il
risvolto trinitario di fondo gi per la stessa realt della creazione.
Ci non trae la sua intima giustificazione soltanto dall'evento deUa
redenzione, sebbene questa ci abbia concretament aperto g~i occhi
per vederlo e vi abbia apportato qualcosa di inauditamente nuovo
(cosa sulla quale torneremo poi). Sempre nell'ambito della teologia
della creazione, dobbiamo stringatamente enuclearlo per chiarire me-
glio il nostro assunto.
La nota massima, secondo cui le operationes divinae ad extra
communes sunt tribus personis, non pu limitarsi soltanto a rap-
presentare una sentenza riassuntiva e completa riguardante lo stato
di cose qui prospettato; seguendo la linea tracciata dalla Scrittura,
occorre invece fare teologia della creazione tenendo debitamente con-
to altresl deUa distinzione delle persone divine.61 Possiamo quindi

61 Si pu qui rimandare in materia alle corrispondenti disquisizioni fatte in


Mysterium Salutis 11/c. Cf. poi inoltce anche R. ScHULTE, in: Mysterium Salutis
INQUADRAMENTO SISTEMATICO

enunciare questo, in forma di prima tesi: ogni essere creato, in un


senso tutto particolare, reso di pubblica ragione anche nel mistero
della creazione realizzato e rivelato, deriva da Dio Padre. Egli infat-
ti l'cipxil, l'Autore per antonomasia o -t. 1tcl'.l"t!1 (I Cor. 8,6).
Le affermazioni fatte in precedenza sul rapporto creatore-creatura
vanno quindi lette come riferite specialmente a Dio Padre, suppergi
come ~'appellativo 1't6~ nel NT viene notoriamente applicato specifi-
camente a Dio Padre. Poi, sempre in linea con la sacra Scrittura, la
stessa realt della creazione con tutte le sue implicazioni va conce-
pita come derivante dalla ciyci'ltT) o dalla Evooxl11 di Dio Padre. Il ca-
rattere di ucrt{]pLov rivestito da questo fatto, secondo Eph. r e 3 (e
altri passi ancora), contiene a sua volta quel! duplice elemento for-
mante un tutt'uno, che a questo punto possiamo formulare nella ma-
niera seguente: l'essere creato costituisce, in una maniera tipicamente
sua (ossia in embrione per via creativa, ma destinata ovviamente a
svilupparsi nel corso della storia), la gi realizzata tiyti.'ltTJ ed Eooxla.
di Dio Padre, per cui una reale estrinsecazione e conseguentemen-
te anche gi una (prima e fondamentale) manifestazione d.i questo
benevolo amore divino. Nel linguaggio nostro, ci significa che gi
l'essere creato solo in quanto tale, ossia la natura , intrinseca-
mente non-necessario, cio una realt non dovuta, gratuitamente da-
ta, e quindi un mero dono di Dio. L'essere creato, nella sua realt
derivante da Dio (Padre), un autentico dono che oltretutto palesa
chiaramente la sua intrinseca natura di regalo fatto dall'amor di
Dio, e in tal modo, fungendo da mediatore (gi in via di principio),
d modo di attuarsi e manifestarsi alla tiyli'ltT) di Dio. (Solo cosl, in-
fatti, risulta sensata e concludente l'argomentazione di Rom. 1,16-
2 3 ). Che poi qui ci siano delle implicanze assai importanti per la teo-
logia della creazione, specie anche in riferimento all'uomo, dovreb-
be esser gi chiaro senza che dobbiamo diffonderci a svilupparlo ul-
teriormente proprio adesso. In ogni caso, vista in questa luce, la
formula che designa l'essere creato in quanto tale chiamandolo ens
ab alio, diviene suscettibile d'un non trascurabile approfondimento.
Tanto pi poi, quando s'inquadri in un'unica visione complessiva ci

m/1, 72-79 (circa l'aspetto patrogenctioo, cristoccntrico e pneumatico che va


tenuto presente in ogni teologia).
I SACRAMENTI

che abbiamo test detto con quanto ci accingiamo a dire sul Logos e
sullo Spirito.
Queste affermazioni possono venir ulteriormente condotte avan-
ti, dando uno sguardo al profondo significato della formula creatio
ex nihilo. Per quanto sgraziata possa sembrare, essa per in gra-
do di esprimere qualcosa di eminentemente positivo. Quel che pro-
priamente intende ribadire, non tanto l'assoluta mancanza di mate-
ria prima, quanto piuttosto il lato inconcepibile e ineffabile dell'a-
zione creatrice di Dio. Va sottolineato infatti non il fatto che prima
non esisteva <<nullia, bensl che tutto proviene da Dio, e quindi che
accanto a lui non c' nessuno e nulla da cui potrebbe pure derivare
qualcosa. Gi per questo solo fatto risulta di per s superato ed
escluso qualsiasi dualismo, messo fuori causa qualsiasi aspetto magico
proprio anche per l'evento sacramentale, sebbene esso possa a torto
insinuarsi di continuo nella mente. Pi importante ancora per il'
rilevare in questa formula l'essenza di qualsiasi causa impellente in
Dio stesso. In effetti, se proprio si pu addurre qualche movente
in forza del quale l'essere creato esiste, non restano che Dio stes-
so e il suo comportamento archtipo, la .ycbtTJ di Dio Padre (Eph.
1 ,5 ). Entra cos in campo il uui:i}pLov dd decreto fon tale di Dio Pa-
dre, che subisce qui la sua (prima!) estrinsecazione e rivelazione.
L'asserto di fede sintetizzato nella frase creatio ex nihilo intende
per affermare (anche) questo: la creatura non un essere provenien-
te dal nulla. L'origine dell'elemento creato non il nuUa, ma in-
vece la yr~:rt'l') e la Eooxla di Dio Padre. E ci ovviamente come
ua-i:1)pLov. L' ex nihilo significa la gratuit, ossia l'essere dona-
to gratis, in modo assolutamente non obbligato e non causato, da
quella scaturigine fontale che lo stesso Dio Padre.
In secondo luogo, ogni essere creato va fatto assurgere a tema di
considerazione come creato tramite il Logos, ripensandolo in vista
proprio della teologia sacramentale che ci proponiamo di elaborare.
Vediamo di enuclearne qualche momento, importante aglri effetti del
nostro assunto. Ogni essere creato un'espressione di Dio Padre (e
della sua &.yci1t'l')), enunciata per mediante il suo Verbo (parola}.
Per cui, ogni creatura anche discorso pronunciato da Dio col
suo unico Verbo, e quindi partecipazione all'intrinseca natura di Lo-
gos di quest'unica parola di Dio. Sicch ogni elemento creato de-
INQUADRAMENTO SISTEMATICO

rivante anche dal Logos porta in s una logicit, risultando in


questo senso perfettamente logico. proprio da questo fatto, che
i tratti essenziahl della creatura vista come discorso di Dio analiz-
zati parecchie pagine addietro traggono il loro particolare valore
assiomatico. Le creature esistono tramite il Logos, ossia, sono de-
gli elementi profferiti ed enunciati per amore da Dio, a motivo del-
la relazione personale da lui intrattenuta col suo Logos. Nulla di
ci che c', esiste senza il1 Logos; il che equivale anche a dire che
esso porta in s il carattere autentico (non qualche carattere) del
Logos. Gi solo agganciandosi a questo, si pu intendere e svilup-
pare il risvolto per principio eloquente dell'elemento creato. O, per
dirla con ]o. 1,4-5.9 ss., siccome l'essere creato proviene da Dio
tramite il Logos, che la luce, costituisce pur sempre esso pure una
luce promanante da Dio. Per esprimerci ancora in altri termini, l'es-
sere creato esiste perch risulta affermato e ribadito dal Verbo, e
quindi fondamentalmente da Dio stesso, sicch chi vuol dire la ve-
rit, deve affermare anche il creato in tutta la sua notoriet accorda-
tagli pure dal Logos; anzi, la creatura (personale) pu e deve affer-
marsi nel Logos. 68 Il voler accettare per vero, infatti, altro non si-
gnifica fuorch cogliere Dio nel suo Verbo, accettare il suo Verbo ed
annunziare la sua reale verit.
Inoltre, possiamo vedere qui come l'essere creato partecipi nel
modo concessogl!i anche al 1tp 't"ll E6v del Logos: l'essere espres-
sione dell'amor divino, che costituisce il tratto essenziale basilare
della creatura esistente tramite il Verbo, non significa un essere in-
viato nel senso d'un estraniamento da Dio o dal proprio essere,
bensl un essere interloquito per trovare corrispondenza, un vero e
autentico esistere tendente ad una vita munificante donata ma in-
dipendente con Dio e per Dio (Padre), in un'espressione di risposta

68 Qui si pu rimandare certo, seppure rispettando bene la distinzione, al testo


di ]o. 8,54: Gesi1 rispose: 'Se io glorifico me stesso, la mia gloria nulla: ma
c' il Padre mio che mi glorifica, di cui voi dite: il nostro Dio; ma non l'avete
conosciuto. Io sl che lo conosco; e se dicessi d non conoscerlo, sarei bugiardo co-
me voi. Ma io lo conosco e osservo le sue parole'. Ges dt.-ve affermare se stesso
in nome di Dio, per osservare, ossia ribadire la parola (di Dio). Ebbene, fatte le
debite proporzioni, la stessa cosa dobbiamo ribadire qui per la realt in quanto af-
fermata da Dio, nonch per la verit che dal canto suo deve affermare la creatura.
Questa autoaffermazione non affatto superba presunzione, bensl servizio presta-
to a Dio.
l SACRAMENTI

data da se stessi appunto attraverso lo stesso Logos, che il 1tP<;


"t'V 0e6v per antonomasia. La otxovola. defila ay<i.1tt] di Dio mira
infatti a far s che l'essere creato (specie l'uomo, beninteso) venga
assunto nell'intima sfera vitale di Dio stesso, proprio come essere
vero e realizzato (donato per via creativa) dinanzi a Dio e per Id-
dio, tramite il Verbo e nel Verbo. 69 La creatura, accettando e con-
cependo se stessa, concepisce e percepisce l'elemento donato e reso
esplicito dal Verbo divino. Ci non comporta per altro affatto una
connotazione di capricciosa ed arbitraria indipendenza od autosuffi-
cienza, e meno che meno una spocchiosa autoaffermazione. No, per-
ch la creatura, mentre sente di derivare dal Logos esprimendosi
cosl come concetto ed estrinsecandosi personalmente, esprime an-
che la propria entit derivante da Dio tramite il suo Verbo, intesa
ora ovviamente come elemento accolto, accettato come verit, in un
autentico ossia verace discorso di risposta riconoscente al suo Autore.
Infine, ogni essere creato tale nello Spirito di Dio, ossia pla-
smato nel senso e nello Spirito di Dio. Dalla relazione di fondo in-
tercorrente fra Padre e Figl!io (Logos), ossia dallo Spirito d'amore,
d'unione e di armonia personale, la &:y&:m1 di Dio Padre passante per
il Logos si esterna neill'essere creato. Il risvolto intenzionale ed
espresso dell'essere creato, il lato eloquente della creatura in quanto
talte, vengono infatti sostentati proprio dalle intenzioni e dallo Spi-
rito di Dio, che amore. Vista in questo modo, ogni creatura oltre
che logica anche pneumatica.70 Lo si pu desumere p. es. dai
momenti dell'essere creato che ora ci accingiamo ad esaminare. La
specificazione <(per amore, che s'attaglia perfettamente al ucrTi]p~ov,
denota anche la peculiarit nello Spirito di Dio inerente al mi-
stero della creazione, e quindi altresl il rapporto fondamenta!~ crea-
tore-creatura. L'armonica convivenza fra Dio e la creatura una

69 Cf. al proposito Eph. 1,4 (vedere in merito 1 commento di ). GNILKA, op.


cit.; ]o. 14-17.
70 Preferiamo usare qui l'agge1tivo pncumatirn, perch soprattutto nella lin~ua
tedesca le morfologie ideale o spirituale sono cosl scialbe, da non lasciar pi\1
nemmeno Individuare il significato da noi qui inteso. E anche l'aggettivo spiri-
tuale incontra difficolt similari, che peraltro non mancano nemmeno al quali
ficativo pneumatico. In ogni caso, intendiamo riferirci qui ad una propriet che
spetta ad ogni essere creato, indubbiamente anche prima (e dopo) ogni ulteriore
distinzione in spirituale e materiale. Il lato pneumatico qui enucleato in-
sito in ogni creatura, anche in quella materiale ...
INQUADRAMENTO SISTEMATICO 155

tipica operazione ad extra svolta dallo Spirito di Dio. Si enun-


cia cos la perfetta corrispondenza fondamentalmente mantenuta da
Dio con se stesso, l'assoluto non estraniamento che lo caratterizza.
Il fluire dell~ creazione da Dio non comporta alcuna alienazione,
alcun allontanamento; fonda invece una comunione creativa divina
nello Spirito. La pienezza di Spirito e la possibilit di spiritualizza-
zione della creatura mediante la traduzione in atto della potenzialit
dell'uomo, a lui accordata per concessione, vanno viste proprio sot-
to questa luce. Si pu poi accennare alla fondamentale incastonatura
dei molti elementi creati nell'intero universo: il non rifiutarsi della
creatura ad accettare le leggi di natura, il coesistere delle creature in
forma di universo ordinato, e non di ammassamento (caos) disim-
pegnato od ostile, l'originaria possibilit di comunicazione esistente
fra le creature, specie fra gli esseri personali, realizzantesi perfino
mediante cose materiali cui si pu infondere un afflato spirituale.
Il consensus universalis del cosmo pu insomma venir conside-
rato come una manifestazione di quanto stiamo dicendo. Va inoltre
aggiunto, come cosa forse pi importante, il risvolto entusiasmante
del creato, che si esprime negli inni e nelle liriche, specie nei salmi
composti dinanzi a Dio e diretti a Dio. Si pu rilevare inoltre quel
fatto che si potrebbe chiamare l!a fiducia archtipa nell'essere, os-
sia la fiduciosa convinzione che l'essere e la vita hanno un senso.
Qui si tratta infatti sempre, in prima ed ultima analisi, di com-
prendere un fatto incomprensibile: la contrapposizione nello Spi-
rito fra Dio e la creatura, come pure la consapevolezza di avere un
unico senso. Questa fiducia promanante dall'unico Spirito trae con
s poi anche l'apertura e l'entusiasmo per il senso eternamente nuo-
vo, e quindi la relativa interpretazione datante sin dalle origini che
si d alla vita percepita e concepita nello Spirito. Guardando le cose
in questa luce e considerando tutto nel suo insieme, l'uomo in quan-
to elemento spirituale andrebbe definito non tanto come essere capa-
ce di autocoscienza, quanto piuttosto come soggetto personale creato
capace di affiancarsi a Dio nell'unico Spirito.
Lo Spirito andr poi definito ancora come la ouva.~c; di Dio, dal-
la quale la creatura trae il suo essere e nel quale lei stessa pu di-
venire ovvau; nel senso voluto da Dio. Questa ovvaic;, vista co-
me Spirito di Dio, non assume nessun piglio arbitrario n suggeri-
I SACRAMENTI

sce alcuna velleit di autosuffi.denza o di .arbitrario dispotismo. Ta-


le Spirito fa invece conoscere il proprio essere reatore sl, ma per
concessione, lasciandolo trapelare in tutte le sue dimensioni sotto
forma di carismi, che, sotto l'impulso dello stesso Spirito di Dio,
vanno portati ad esplicarsi in tutto il lbro rigoglio.
E con questo possiamo concludere la presente breve panoramica
sui fatti fondamentali, da sviluppare nel quadro della teologia della
creazione. Essi dovranno ovviamente trovare il loro necessario com-
pletamento nelile considerazioni circa la storicit e l'effettivo decorso
storico dell'evento vitale instauratosi fra Dio e la creatura, che ora
ci accingiamo ad affrontare.

2. Momenti della storia salvifica

Dopo aver preso sin qui in considerazione il uCM"1)piov di Dio nella


sua istituzione, cosi come esso si esprime e si attua nel mistero del-
la creazione, dobbiamo ora affrontarne il secondo momento, che in
sostanza al'tro non se non lo sviluppo dell'avvio dato all'evento vi-
tale. Come prima cosa bisogna dare qualche cenno sulla storia in
genere, e poi parlare del suo decorso concreto accompagnato dai suoi
decisivi avvenimenti episodici e vitali, nella misura in cui ci risulta
importante per il nostro assunto.

a. Sulla pregnanza storica della potenziaHt attiva personale

Oggi si ha una consapevolezza forse assai pi netta che non in altri


tempi, e non occorre dilungarsi a dimostrarlo dettagliatamente, del
fatto che l'essere umano creato e quindi l'essere stesso dell'universo
stato da Dio legato alfa storia (sebbene con questa constatazio-
ne si sollevi un problema che abbisogna ancora di parecchi schiari-
menti, soprattutto quando sia necessario distinguere nettamente la
storia dalle vicende di cui si occupano prima la protologia e
poi anche l'escatologia). Il mero fatto della storicit non ha alcun
bisogno di venir qui dimostrato. Olltretutto, ne abbiamo gi esami-
nato l'avvio nella potenzialit accordata da Dio specialmente alla
INQUADRAMENTO SISTEMATICO 1'7

creatura d'impronta personale.71 Per il contesto di cui ci stiamo inte-


ressando, tuttavia utile rammentare subito ed energicamente come
tutti i dati di teologia della creazione ricavati nella sezione preceden-
te non vadano dimenticati, ma anzi proprio sistematicamente appM-
cati al caso concreto. Pu dunque per principio non interessare il
prendere in considerazione quell'evento vitale dell'esistenza umana
che noi chiamiamo storia, intesa solo come vicenda personale o
presa nel suo insieme come storia dell'umanit, analizzandola a tutta
prima alla sprovvista e magari inavvenitamente in se stessa, vale
a dire come svolgentesi per conto suo e quindi cosl anche compren-
sibile nel suo significato ultimo. Per quanto legittimo possa anche es-
sere l'adottare, nell'ambito di ci che interessa il settore della co-
siddetta scienza storica (profana), questo punto di vista ristretto
(tuttavia per essa oggettivamente giustificato), ossia intramondano,
bisogna per al contempo affermare teologicamente che l'essere uma-
no rappresenta per principio e sempre un essere in derivazione da
Dio e arcospetto di Dio nel senso gi rilevato, anzi pur sempre un
essere con Dio; e ci, senza affatto negare che Dio sia esistito per-
sonalmente sin dal principio, sia stato continuamente presente ed
attivo, seppure ovviamente come Dio. Occorre quindi accostare con
la massima seriet sin dall'inizio e lungo tutto il cammino il conte-
nuto di quel va""t1jpt0'11 di Dio, che abbraccia e denota globalmente n
decreto primordiale, la creazione, l'elezione, la redenzione e la per-
fezione escatologica.

Una volta preso atto di questo e tenendolo sempre presente, si pu ora


accennare brevemente ai fatti seguenti. La storia e la coscienza storica, os-
sia la consapevolezza che la storia una componente essenziale dell'uo-
mo, implicano che l'uomo non va visto soltanto sotto il profilo individua-
le, bensl anche come essere comunitario. Ci vero tanto per quanto
concerne l'intera umanit, vista come un'entit che non soltanto la
somma (addizionata) di tutti gli uomini (d'ogni luogo e d'ogni tempo),
ma sostanzialmente assai di pi, quanto per ci che riguarda le singole
comunit umane, sempre in atto di costituirsi nelle forme pi svariate.
Dio va concepito come l'Essere (divino) che sta di fronte all'individuo
inserito nella comunit, ma al contempo come colui che sta di fronte
alla comunit (in linguaggio biblico: popolo) composta di persone. In

71 Cf. al proposito quanto dicevamo sopra, pp. 146-150.


I SACRAMENTI

questa luce, si pu e si deve quindi parlare anche di una storia persona-


le o individuale, allorch si guarda alla vita in comune vissuta da Dio
con l'individuo, ma poi altres d'una storia vissuta da Dio col suo popolo,
senza per altro dimenticare che i due fattori costituiscono una compatta
unit indissolubile, perch originaria.
Ora, guardando alla sacramentalit che va spiegata attingendo al [lUO"'tTJ-
ptov neotestamentario, l da vedere che le singole attuazioni umane e
personali dell'esistenza umana (i cosiddetti actus humani) non avven-
gono soltanto per poi trascorrere e cadere in un praeteritum assoluto.
La storia si costruisce invece proprio sul fatto che gli atti compiuti per-
sonalmente, in quanto passati, costituiscono a loro volta una realt con-
cretizzata. Essi infatti plasmano e improntano l'adesso. Sicch la storia
non mai qualcosa di trascorso, bens qualcosa di divenuto, di realiz-
zato, che e rimane costitutivo per il cosiddetto presente, anzi addirit-
tura per l'avvenire. Nel linguaggio da noi gi proposto, possiamo formu-
lare tale stato di cose anche nella maniera seguente: gli atti compiuti
personalmente ( actus humani), attuando le potenzialit in essi pree-
sistenti, costituiscono il potenziale del presente proiettato verso il fu-
turo. Pertanto, quantunque l'avvenimento storico non sia semplicemen-
te il presente, esso non rappresenta un evento completamente passato,
bensl, in quanto potenzialit umano-personale (individuale e comunita-
ria) gi attuata, la realt di adesso, che a sua volta rappresenta per gli
uomini d'oggi una potenzialit per le loro disposizioni ed attuazioni
aventi un'incisivit sulla storia. In effetti, l'uomo contemporaneo non si
trova mai di fronte un mondo vergine e completamente indeterminato,
bensl un mondo profondamente modificato sotto l'aspetto storico. La
potenzialit creaturale tipica dell'uomo viene attuata sia dagli individui
sia dalle comunit in maniera tale, da far insorgere proprio quella carat-
teristica continuit di possibili e concretizzati eventi che noi chiamiamo
storia; la quale, poi, non affatto la mera somma o magari soltanto la
serie successiva di ben individuabili atti trascorsi, bens la configurazio-
ne umana e personale dell'uomo e del mondo assurta a realt odierna,
che costituisce a sua volta la possibilit e la prospettiva del futuro. Il fat-
tore plasmato dall'uomo viene sempre assunto nell'essere storico dell'u-
manit vivente nel mondo. In effetti, ci che di fatto l'esistenza umana
oggi, risulta essenzialmente improntato a ci che con libera disposizione
si modellato attingendo alla realt e alla possibilit esistente ieri: la
tradizione nel miglior senso della parola, vista come potere modellato
<deri, ereditato dal presente per il futuro. Ne consegue fra il resto anche
questo: l'essere dell'uomo (e pertanto anche quello del mondo) non
si pu cogliere con lo sguardo esclusivamente sotto il profilo ontologico
astratto. L'essere umano esiste invece nella sua reale concretezza, nella
misura in cui si affermano le attuazioni storiche della carica potenziale
IMQUADRAMENTO SISTEMATICO 159

insita nella creaturalit umana. Ovviamente, quantunque ogni actus


humanus a suo modo faccia storia, bisogna per ammettere che tali
atti rivestono un'importanza molteplice e diversa. Tuttavia, assodato
che nessun vero actus humanus risulta mai a-storico o anti-storico.
Esistenza umana ed attivit umano-personale s'intrecciano e s'intessono
quindi sempre nella storia gi in corso; per cui, visti in questa luce,
risultano anche gi sempre sotto tale profilo predeterminati. Unicamente
il punto iniziale assoluto della storia di cui ci stiamo occupando, scaturi-
sce da una pura poten~ialit: l'atto creativo di Dio, inteso come princi-
pium dell'essere creato calato nella storia in genere. Nemmeno il pri-
mo vero actus humanus (qualunque esso sia stato) si pu ormai pi
supporre e comprendere senza questa previa azione decisiva di Dio. E
da allora in poi, l'oggi viene continuamente improntato in tutte le sue
dimensioni da quanto gi stato disposto e dalla libert storica delle
persone capaci di fare la storia viventi al momento: libert che perseve-
ra indefettibile, perch radicata nel mistero stesso della creazione.
E ora veniamo subito al fatto determinante, anche e soprattutto per il
nostro assunto riguardante la teologia sacramentale: dal decorso con-
creto dell'evento vitale vissuto in comune fra Dio e l'uomo (decorso che
d'altronde noi possiamo individuare soltanto nella luce della rivela-
zione stessa), constatiamo come Dio stesso si attenga a qesta legge es-
senziale della storia, in definitiva tracciata da lui in persona, o meglio,
come lui stesso si sia legato ad essa. Ci che I'AT chiama Patto di Al-
leanza con gli uomini, precisamente questo fatto (visto nel suo aspetto
formale): l'agire di Dio assieme all'uomo nell'alveo della storia, che la-
scia per impregiudicate tanto la divinit di Dio quanto la creaturalit
dell'uomo. Per cui, agli effetti pratici, i successivi atti storici di Dio risul-
tano gi predeterminati da tutti gli atti antecedenti, compiuti nel frat-
tempo da Dio stesso, ma altresl dagli uomini. Basta uno sguardo dato al-
la storia della salvezza vista nella sua inconcepibile e concreta realt di
fatto - incarnazione nella carne del peccato, passione e morte di croce,
ecc. - , per farcelo apparire palese in maniera lampante. Rientra quindi
intimamente nel uO''t"TJP~O'll di Dio di cui parla Eph. I e 3, che Dio nella
sua Alleanza con gli uomini si sia legato mediante la parola data anche a
questa legislazione storica, pur senza aver abdicato al proprio potere di
continuar a svolgere mediante la stessa parola un'attivit creatrice, libera,
sostentata dal medesimo amore. Il rapporto intercorrente fra antica e
nuova Alleanza, visto come qualcosa d'inauditamcnte nuovo pur nella
sua reale continuit, costituisce una sua conferma, un segno di rivela-
zione e al contempo una realt sperimentata. Appigliandoci al linguag-
gio da noi gi usato, possiamo dire: il dialogo intavolato da Dio con la
sua creatura sin dall'alba della creazione porta in s un contesto dialogi-
co da lui stesso autorizzato, in cui le rnccessive proposizioni enunciate
160 I SACRAMENTI

dalle persone cointeressate dichiarano non detto ci che prima non era
mai stato profferito, oppure lo sottacciono. Persino la contraddizione
(colpa) viene ascoltata; e Dio ha rivelato la potenza del suo amore, in cui
egli mediante lo stesso suo Verbo tollera e sopporta questa contraddizio-
ne (la morte di colui che la vita), per realizzare cosl nell'unica storia,
e non eludendo il divenuto (sia pure deforme), la ricapitolazione defini-
tiva di tutto quanto stato detto nel suo ultimo Verbo che abbrac-
cia tutto, perch porta in s il 'lt1)pwa. di Dio e l'essere dell'uomo, e
assurge cosl ad autentico adempimento escatologico del primo pensiero
del suo amore.72 L'importanza di questi dati di fatto per la comprensione
della vita sacramentale dovrebbe risultare evidente.

b. Peccato e redenzione visti come concretizzazioni storicamente


attuate e storicamente incisive dell'attivit creaturale e divina

Le prospettive ancora piuttosto formali rivelate in precedenza


(seppure gi desunte da eventi concreti) vanno ora concretizzate
in vista del nostro vero assunto, osservando l'effettivo decorso
storico della simbiosi instaurata da Dio con l'uomo. La creazione
compiuta da Dio, intesa come scaturigine e avvio della storia di cui ci
stiamo occupando, stata ormai sviscerata a sufficienza. L'importan-
te adesso iL rilevare come la storia effettiva e concreta si sia inau-
gurata, senza per altro presentare sin dall'inizio un piano di decorso
fissato in maniera deterministica. Qui debbono venir valorizzate a
fondo tanto la libert modellatrice deUa storia, divina e creatrice,
quanto quella umana e creata. Per dirla in altri termini, Dio non si
affatto esaurito nella sua parola creatrice, non ha ormai finito di
parlare, n ha per nulla portato all'espressione defnitiv~ la propria
autocomunicazione, al punto di non agire davvero pi in questo tipo
di storia, creando magari qualcosa di nuovo quando la sua volont
glielo suggerisce. Lo sta a dimostrare con sufficiente chiarezza il de-
corso effettivo dell'agire divino in seno alla storia. Appare quindi
evidente in partenza che a
creato non affatto l'ultima parola di
Dio, che l'uomo in quanto immagine di Dio non rappresenta affatto
il di lui alibi nella storia, nemmeno per un po' di tempo: ci sareb-
be autentico deismo. Per cui, dobbiamo riconoscere la divina pre-

72 a. in materia Eph. 1,3-14, spec. r ,ro; vedi anche J. GN!LKA, op. cit., 80 s.
INQUADRAMENTO SISTEMATICO 16r

senza di Dio nella stori1', con tutte le sue implicazioni, sin dail.-
l'alba della creazione. Questa presenza di Dio - come abbia-
mo gi visto - anche trinitariamente differenziata. Sot-
to questo aspetto, vanno valorizzate appieno le affermazioni
contenute p. es. in Eph. 1,10 e 3,9 (in relazione a Dio Pa-
dre), in ]o. 1 (per il; Log.os) e nei corrispondenti passi gi dell'AT
(per lo Spirito). Ancora come abbiamo gi visto, l'uomo in quanto
fatto ad immagine e somiglianza di Dio stto creato e chiamato
sin dalle origini alla comunione vitale con Dio. Tramite questa for-
mazione dell'uomo, la libert di Dio si calata nell'Alleanza e nella
sua storia, sicch da quel momento in poi ogni disposizione umana
e personale presa dall'uomo, grazie all'autorizzazione comunicatag!ii,
ha anche le sue ripercussioni storiche su questa Alleanza e sulle sue
modalit fenomeniche d'impronta storica. Dio infatti non ha model-
lato l'uomo come conformit (gi realizzata) al suo verbo creativo,
ma lo ha invece chiamato e preordinato alla libera corrispondenza
personale, abilitandolo cosl a rispondere (con senso di riconoscenza)
in maniera libera, personale, attiva.

Si spiega cosl (ora) il significato della storia della rovina e della sal-
vezza nel suo decorso concreto. Non occorre che ci dilunghiamo qui a
sviscerarlo. Le sue fasi decisive possiamo indicarle nell'evento del pec-
cato (originale) e nell'evento della croce. Per quanto concerne il nostro
assunto, dobbiamo guardare alle implicazioni comportate dal peccato ori-
ginale e dal peccato in genere per la comunione vitale fra Dio e l'uomo,
giacch la cosa determinante per comprendere il mistero della reden-
zione e quindi i sacramenti. Che cosa s~tto questo aspetto significhi il
peccato, lo si pu dedurre con la massima chiarezza nel nostro contesto
da ci che l'uomo sin dalla sua origine e conseguentemente da ci che
gli era stato assegnato come compito vitale, nonch dalla caterva di con-
seguenze del peccato che si accollata il Logos di Dio facendole assur-
gere a mistero di salvezza.
L'essere originario dell'uomo come dono e compito assegnatigli da Dio
va individuato nella sua qualit di immagine di Dio, che per sua intrin-
seca natura vien descritta nella maniera pi chiara con l'altra formula-
zione dello stesso fatto, vale a dire con quella che si riscontra ad es. in
Ps. 8,6: l'uomo stato adornato della gloria e dello splendore di Dio
(kabod e badar), ed per benigna concessione poco meno che Dio.
Sicch, pur lasciando impregiudicata la perenne incomparabilit di Dio,
grazie all'atto creativo di Dio l'uomo risulta inserito nel ucrt"fipiov di
I SACKAMENTt

Dio e quindi incaricato di collaborarvi: egli, quantunque sia una creatu-


ra, nel kabod e nell'hadar si trova in una posizione particolare di fronte
al mondo. Visto in questa luce, il mondo lo spazi.o storico in cui
si svolge la vicenda vitale fra Dio e l'uomo. Esso il mondo di Dio e
dell'uomo, considerato come mezzo in cui Dio e l'uomo si esprimono,
incontrandosi in vicendevole comunicazione personale. Questa dignit
concessa all'essere umano costituisce il compito di modellare la storia a
lui assegnato; un compito che egli deve svolgere, in primo luogo accet-
tandola e cercando di coglierla come un dono di Dio, e quindi per la
gloria di Dio (Padre) come dice l'apostolo (cfi:. Eph. 3,14 e passim), e in
secondo luogo esercitando anche il potere sovrano concessogli da Dio nei
confronti del mondo, nel senso gi spiegato. Qui non si tratta ovviamen-
te d'una pretesa di sovranit, bensl d'una assegnazione di sovranit, che
deve irradiare da Dio e venir ri.Hessa dalla creatura sul mondo a gloria
di Dio.
Quel comportamento storico umano che si chiama peccato, visto -in rela-
zione al nostro contesto, significa in sostanza questo: contraddizione con
la parola creatrice divina vista come espressione del suo amore; mancata
accettazione e quindi intenzionale rifiuto della dignit concessa all'uomo;
conseguente deturpazione della gloria e dello splendore (kabod e badar)
originariamente accordati da Dio all'uomo per uno sviluppo degno di Dio
e dell'uomo, libero e personale, delle facolt umane. In tutto ci, in-
clusa la mancata accettazione, anzi la ripulsa di quel dono che l'uomo
stesso, uscito dalle mani di Dio. Con la disdetta data all'amicizia e alla
comunione vitale offerte da Dio, sofferenza e morte con tutte le relative
implicazioni sono divenute una triste realt storica, posta in essere dal-
l'uomo. Da quel momento, l'esistenza umana si tramutata in una realt
storica destinata in origine a non essere per nulla quella che di fatto:
una vicenda caratterizzata dal peccato estraniante da Dio, dal dolore e
dalla morte, dalla rovina e dalla non-vita.
Ora, stando all'unanime testimonianza della sacra Scrittura; specie del
NT, il vcrtTjpLov della redenzione non consiste affatto in uno scavaka-
mento, in una finta di non udire e di non vedere l'azione posta dall'uo-
mo in quell'evento che si chiama peccato. Sebbene esso abbia comporta-
to un estraniamento e una deformazione, Dio, accettando egualmente
questa realt svisata mediante l'assunzione della carne peccatrice da par-
te del suo unico Verbo, ossia rispettando e portando avanti storicamente
il dialogo o la via improntati a questa deludente risposta umana, ha vo-
luto lo stesso mantenere il suo decreto primordiale .tv .. ~ vcrt'r}p~. Da-
to che non necessario sviluppare qui tale fatto in tutti i suoi singoli
momenti, vedremo di enuclearne soltanto gli spunti pi importanti per
il nostro assunto.
Fissando lo sguardo su Dio Padre, dobbiamo menzionare qui in primo
INQUADRAMENTO SISTEMATICO

luogo l'ineffabile intervento sul fatto compiuto umano, avvenuto sia pure
a causa del comportamento peccaminoso dell'uomo, la consegna del Fi-
glio unigenito alla carne del peccato (cfr. Rom. 8,3 e passim) e alla mor-
te; il tutto come rivelazione e al contempo come potente opera del suo
amore salvifico. La olxovola. del ucrtiJp~ov nascosto in Dio sin prima
degli eoni non si vede quindi posta nella necessit di ricominciare dal
principio in maniera assoluta. Il mistero della redenzione si realizza nello
stesso Verbo di Dio, sempre beninteso grazie all'ineffabile onnipotenza
dell'amore di Dio (cfr. Eph. 1,5 ss.), accogliendo l'operato storico dell'uo-
mo. Il Padre d avvio alla salvezza non tramite il suo Logos divino in
quanto tale, e soltanto attraverso lui, bensl tramite il Logos incarnato
nella carne peccatrice. Ora, in tal modo, almeno per questo Logos, viene
a crearsi una modalitA completamente nuova di presenza storica. Che il
Logos fosse presente sin da sempre in mezzo al mondo, e quindi anche
nella vicenda vitale storica fra Dio e l'uomo, l'abbiamo gi ribadito. Tut-
tavia, pur lasciando impregiudicato questo fatto, il Logos di Dio entra
quasi aggiuntivamente e di bel nuovo nella storia facendosi uomo: una
presenza, questa, che prima non si era mai avuta ed era destinata a durare
esattamente per l'arco di tempo d'.una vita umana. Ci implica molte cose
da rilevare, tanto pi che questo Figlio di Dio, Ges Cristo, entrato con-
cretamente nella storia e operante in essa, da questo preciso momento in
poi finisce per essere il uO"t'lipi.ov di salvezza, il sacramento di salverza
per antonomasia e in persona.
Agli effetti della teologia sacramentale, possiamo prospettare il quadro
nella maniera che ora diremo. La salvezza e la vita destinate all'uomo da
Dio Padre in base al suo decreto di reden't.ione, ossia l'essere dell'uomo
sotto la grazia redentiva, deve essere una configurazione ad immagine di
questo Ges Cristo (cfr. Rom. 8,29; I Cor. 15,47; 2 Cor. 3,18; 4,4 s.;
Phil. 3,20 s.; di volta in volta con le sfumature messe in luce dai passi
addotti). Ora, tale configurazione ad immagine non deve ricalcarsi sol-
tanto sul Logos di Dio in quanto (unicamente) divino, ma attuarsi invece
proprio nella partecipazione al va'flptov di Dio, che si rivelato e reso
efficace con Ges Cristo e in Ges Cristo nell'evento della croce. A que-
sto punto, occorre tener presente che il Logos di Dio non ha assunto la
natura umana nella sua configurazione originaria, modellata dal Dio crea-
tore, facendola assurgere cosl a sacramento di salvezza. Si invece inse-
rito nella natura umana sfigurata dal peccato. Ha assunto l'esistenza uma-
na non nello stato di immagine di Dio in cui era stata creata, bensl
nello stato in cui si era storicamente tramutata a causa del peccato.
proprio tramite questa accettazione della natura umana storicamente con-
figurata e tramite l'avvento nella storia subito per obbedienza da questo
Incarnato, che si attuata la salvezza, ossia che il v<T"t'TJptov di Dio Pa-
dre si rivelato e realizzato in quanto mistero di redenzione. Ora, le im-
I SACRAMENTI

plicanze concernenti la teologia sacramentale sono di palmare evidenza,


per cui non riteniamo necessario addurle dettagliatamente in questa se-
de: lo si far al momento di trattare i singoli sacramenti. Facciamo tut-
tavia notare una cosa: quantunque abbiamo gi additato l'agire creativo
di Dio, chiamando perci l'elemento creato in quanto tale discorso,
espressione, anzi estrinsecazione di Dio, non per lecito vedervi ancora
l'alienazione (innichili.mento) di cui si parla riferendosi a colui che
eguale a Dio (al Figlio di Dio) in Phil. 2. La parola creatrice e l'agire
originario di Dio costituiscono la sua estrinsecazione per amore diretta al-
la sua gloria. Per cui la creatura, sebbene sia al di sotto di Dio, non si
pu qualificare come una deficienza divina, e quindi come una aliena-
zione di Dio. Altra cosa tutta diversa la knosis accettata dal Figlio di
Dio su incarico del Padre, di cui si parla in Phil. 2. Nell'evento di Cristo,
bisogna effettivamente riconoscere e professare per fede I'autoalienazione
di Dio, il suo ingresso nella opcpl} oouMiu inteso come entrata nella na-
tura umana sfigurata. Agli effetti della teologia sacramentale, ne viene
questa conseguenza: nei sacramenti (come in genere nell'ordine della gra-
zia), il fattore kenotico non si fonda gi sul segno o sul carattere ver-
bale (visti come estrinsecazione e autocomunicazione), bensl sull'elemen-
to umano peccaminoso ormai posto in essere, nel quale Dio interviene
facendo calare il proprio Figlio nella carne del peccato e realizzando tra-
mite tale evento attuato il mistero della redenzione.73
Infine indispensabile ricordare l'invio dello Spirito santo, visto come
avvenimento della storia salvifica che storicamente fa seguito all'evento
(storico) della croce, ovviamente come suo momento essenziale. La pre-
senza di questo Spirito, in quanto Spirito di Cristo risorto che egli ci in-
via dal Padre, costituisce appunto la peculiare dinamica dell'energia co-
noscitiva ed operativa della Chiesa, vista nella sua natura accordatale da
Dio Padre come ucrt1}pLov sussistente nell'intervallo fra l'avvento (stori-

73 Prendendo lo spunto da questo ordine di idee, ci sarebbe anche la possibilit


di rispondere alle difficolt sollevate da K. Barth, quando pensa che i sacrementi
(intesi alla maniera cattolica) sarebbero un imprigionamento e un'inclusione di Dio
nell'oggetto (Die Lehre von den Saleramenten, 467). Bisogna rispondergli anzitutto,
come gi abbiamo riscontrato sopra, che il calarsi nel segno, l'esprimersi perfino
mediante cose materiali, non comporta affatto un imprigionamento. L'esprimersi de-
nota anzi un liberarsi nei confronti dell'altro. Poi occorre rammentare il mistero
dall'incarnazione e quello della croce, ripensandoli in tutta la loro reale concre-
tezza. Qui sl che possiamo indubbiamente parlare di un ilarsi prigioniero.. da
parte di Dio! :t:: lui stesso che lo fa sulla croce, in alleanza coi peccatori, ttamite
suo Figlio. Il dari;i prigioniero che Dio fa sacrificando suo Figlio, se lo accettiamo
e lo riteniamo per fede, costituisce il nostro essere imprigionati in Cristo a sal-
vezza nostra, nella libert dei figli di Dio. Un luogo privilegiato di questo evento
l'accostarsi a questo dono di Dio, imprigionato nella parola e nel segno sa-
cramentale, che in sostanza soltanto una partecipazione al 11a-n')p~ov di Dio
crocifuso e della nostra vita.
INQUADRAMENTO SISTEM.\TICO

co) di Cristo e la parusa o anakefalosis. Teniamo a sottolineare che ri-


veste un interesse sostanziale l'esaminare a fondo la peculiarit di questo
Spirito e ddla sua presenza. Al pari del Logos, anche lo Spirito ~ stato
presente a suo modo sin da sempre nel mondo, sin dall'alba della crea-
zione, come Spirito di Dio.74 E in tal modo tuttora sempre presente.
Ma grazie all'evento (storico) della Pentecoste, che rientra nel ciclo della
crocifissione e della risurrezione pur essendone a suo modo separato,
egli stato inviato dal Padre e dal Figlio (fattosi uomo nella carne di
peccato, morto sulla croce e risuscitato dal Padre!), acquistando cosi nel-
la Chiesa (e quindi nel mondo) una presenza mai avuta prima. Non va
qui trascurata la corrispondenza con l'incarnazione nella carne del pecca-
to vista come modalit storica cli presenza, sebbene v'intercorrano diffe-
renze determinanti. Il comunque da vedere come lo Spirito, che anima
la Chiesa proprio in quanto u<TTi)p~ov cli Dio, sia appunto lo stesso Spi-
rito che il Figlio di Dio morto e risorto invia dal Padre, perch in de-
rivazione d.a questo evento (cli salvezza) e nel modo da esso storicamen-
te improntato sia presente in maniera totalmente nuova. Questa presen-
za dello Spirito divino cli Ges Cristo fa assurgere la Chiesa a quello
che destinata ad essere, se essa va designata come presenza della sal-
vezza operata da Cristo e quindi come <(sacramento, con tutte le relative
implic!12ioni. lo Spirito che non elimina affatto il ucr-ci'}p~ov e lo
~xlivoalcv della croce, ma anzi lo fa riconoscere ed agire in quanto ta-
le (cf. I Cor. r - 2 ! ). Questo Spirito e la sua modalit di concessione, e
quindi di presenza, spiegano poi anche il momento spiccatamente esca-
tologico della salvezza realizzata e della sua presenza nella Chiesa vista
come sacramento di tale salvezza. La Chiesa sl la presenza e il sacra-
mento della salvezza, ma non ancora il vero e proprio Regno di Dio. In
quanto comunit, essa ha ricevuto lo Spirito come capa"a (Eph. 1,13 s.).
Ora, anche questo rientra nella modalit storico-salvifica di realizzazione
del ucr-c-fip~ov di Dio, che trova poi nei sacramenti la propria specifica
estrinsecazione e riveluione. Il ucr-c1)p~ov realizzato l'anakefaliosis
(= ricapitolazione) ormai attuata della vicenda storica trascorsa dall'uma-
nit con Dio, ma tuttora proiettata verso la perfezione.

3. Sul problema concernente l'autore, l'unit


e la molteplicit (numero) dei sacramenti

Nel presente paragrafo, come pure in quelli successivi, cercheremo


di attirare l'attenzione su alcuni frutti che si possono cogliere dalle
74 Cf. al proposito quanto abbiamo detto sopra a. p. I53 s. e Mysterium Salutis

II/I, 82-107.
166 I SACRAMENTI

nozioni sinora acqumte per costruire un'aggiornata teologia sacra-


mentale, pur senza che sia questa la sede adatta per dilungarci a svi-
scerarlo difEusamente.75 Ci atteniamo sempre al tema del presente
capitolo. La prima questione che ci si presenta, quella notissima
circa l'istituzione e il numero dei sacramenti. Dopo tutte le consi-
derazioni fatte, dovrebbe risultare ormai evidente che il probllema
dell'istituzione dei sacramenti va posto su una base nuova e assai pi
ampia. Se si dovesse semplicemente ripetere col Tridentino (cosa che
certo non sarebbe nelle intenzioni n del recente concilio, n delle
dichiarazioni ecclesiali) che tutti i sacramenti vanno .ritenuti a Jcsu
Christo Domino nostro instituta (ns 1601; cf. ns 1864; 2536), tut-
to dipenderebbe da che cosa esattamente si voglia intendere adesso
per sacramenti, da che cosa significhi istituzione, e infine da
chi si pensa sia Ges Cristo nostro Signore, il quale non stato
per nulla un fondatore di religione nel senso superficiale della pa-
rola, ma ha invece dichiarato di essere stato inviato e incaricato da
un Altro. Se l'impostazione da noi seguita sinora e le idee da essa
ricavate sono giuste, possiamo premettere al complesso di problemi
la considerazione seguente: se i singoli sacramenti vengono conce-
piti in derivazione dall'unico u~p~ov inteso in senso neotestamen-
tario, come sue singole attuazioni ecclesiali, l'indirizzo generico di
pensiero da seguire adesso risulta ormai tracciato. Dovrebbe esser
gi chiarissimo sino a qual punto l'angolo di visuale deve allargarsi,
per giungere ad affermazioni aderenti alla realt e non prematura-
mente restrittive. Siccome le determinazioni del magistero ecclesiale,
avvenute in epoca relativamente tarda, vanno concepite come proma-
nanti dal loro proprio contesto storico, pur senza contraddirle di-
rettamente possiamo richiamare l'attenzione sui fatti seguenti.
:t doveroso considerare (ancora una volta) i sacramenti nel qua-
dro dell'unica oLxovola. divina, dell'unico vo"tTJpLov di Dio. In que-
sta prospettiva, si amplia di parecchio lo sguardo, che si era fissato
con troppa insistenza soltanto sull'istituzione dei singoli segni sa-
cramentali. Nel frattempo infatti, noi abbiamo riscontrato come, no-
nostante tutta la legittimit di determinate astrazioni o di inquadra-

75 La questiOJJe del carattere sacramentale verr da noi esaminata nel Voi. v, in


connessione col battesimo.
lNQUADRAMENTO SISTl!MATICO

ture parziali, non si possa perder di vista il quadro complessivo, se


non si vuol arrivare ad enunciazioni unilaterali, incapaci di coglie-
re nel suo insieme la vita fluente da Dio verso di noi. Ci esige al
punto in cui siamo che i sacramenti vengano considerati come con-
cretizzazioni singole dell'unico wn')pLo'll, ili quale abbraccia l'intero
complesso storico (salvifico), che spiega la comunione vitale fra Dio
e l'uomo nelle sue molteplici estrinsecazioni. Siccome il ua"t-ijpLo'll
denota una rivelazione e al contempo una realt, non lecito fare
avventatamente una distinzione fra il segno preso in se stesso e il
suo contenuto, ritenendo di poter ascrivere quest'ultimo all'istitu-
zione di Ges Cristo e quello invece nella sua struttura intrinseca
alla Chiesa, considerando poi cosi bell'e risolto il problema. In ef-
fetti, lia grazia salvifica non va affatto separata da ci in cui si mani-
festa ed agisce, esattamente come la vita non si pu considerare dis-
sociata da ci in cui si esterna e si esprime. Ne abbiamo gi par-
lato a sufficienza a suo luogo.76 In questo momento, rivestir un'im-
portanza decisiva il prendere veramente sul serio il va"ti)pLo'll e
quindi anche i sacramenti, in cui esso agisce rivelandosi, conside-
randolo un evento in cui sono cointeressati essenzialmente tanto Dio
quanto l'uomo, in un'operazione comune che si esprime di volta in
volta in un avvenimento. La questione concernente l'autore dei sa-
cramenti non pu pretendere di concentrarsi subito ed esclusivamen-
te su chi abbia direttamente istituito un determinato elemento se-
gnaletico integrante, o su chi sia stato l'autentico modellatore della
struttura formale o dello schema operativo d'una tale azione segnala-
trice. Sar buona cosa richiamare qui l'attenzione sull'importante di-
stinzione tra vita, espressione vitale e forme di espressione vitale.
La vita si esprime in un evento concreto e, nel farlo, pu servirsi di
forme gi preesistenti. Ora, i sacramenti sono evidentemente in
primo luogo appunto un evento, una vita esprimentesi nella media-
zione (che si comunica rivel:andosi e agisce imprimendosi). Viste in
questa luce, le forme espressive rappresentano qualcosa di seconda-
rio e possono venire sviluppate attingendo ad una realt preesisten-
te, senza per questo recare alcun danno all'originalit e all'unicit
dell'evento vitale trasmesso. Siamo quindi obbligati a distinguere

76 Cf. sopra, spec. pp. 146-1,)'0.


168 I SACRAMENTI

bene fra il nucleo essenziale tipico del sacramento, che poi l'unico
.vll't'i)pio'\I gi retiizzato ma pur sempre i.n atto di realizzarsi hic et
nunc,77 come reale evento vitale verificantesi qui e adesso tra Dio e
questo uomo concreto posto in questa sua situazione salvifica, da
un lato, e il sacramento in quanto esiste ed a portata di ma-
no come forma d'azione resa possibile, dall'altro. Quest'ultimo fatto
si esprime p. es. nella formula (assai probliematica) secondo cui la
Chiesa <~possiede i sacramenti (con possibilit di tradurli in atto};
mentre il primo fatto indica la vita della Chiesa nel suo concreto
evento esfrl'essivo.
Guardando all'evento sacramentale nella sua attuazione concreta,
la questione dell'istituzione dei sacramenti viene a coincidere con
quella dell'Autore dello stesso .ua"t1)pLov; s, perch sono poi la stes-
sa identica cosa. Per cui, indubbiamente in primo luogo Dio Pa-
dre che va indicato come l'origine per antonomasia, sia ad intra nel-
la Trinit sia ad extra nel creato, ed altresl come l'unico e concreto
Autore del vcr-ci)pLov; ancora e sempre llui, che accorda anche ad
altri la possibilit di cooperare attivamente, beninteso nel modo ti-
pico da lui concesso, all'unico evento vitale in fase di continuo svi-
luppo storico. Sono tutte cose gi da noi dimostrate in precedenza,
per cui qui ci basta soltanto applicarle assennatamente. In altri ter-
mini, possiamo tentare di risolvere il problema della paternit e del-
l'istituzione dei sacramenti in maniera non (pi) statica, sganciata da
ogni altra prospettiva di storia della salvezza. Quanto emerge dall'in-
quadratura nuova (o meglio, ricuperata, non affatto in contraddi-
zione con gli asserti enunciati p. es. dal Tridentino, ma anzi ne com-
penetra ancor pi a fondo l'assunto, soprattutto tenendone presente
la fisionomia legata al suo tempo (che rientra essa pure ne} vcr"t'i)piov
di Dio!).18

77 Per quanto concerne queste formulazioni, cf. i risultati delle nostre analisi
neotestamentarie, addotti sopra a pp. 93 s. e 113-127.
78 L'affennazione fatta dal Tridentino, secondo cui i sacramenti sono stati tutti
istituiti da Ges Cristo, non intende certo escludere l'attivit, anzi la causalit di
Dio Padre! La corrispondente fiss82ione non pu assolutamente venir intesa in que-
sto modo. Qualcosa di analogo succede poi anche con gli asserti concernenti l'effi.
cacia che i sacramenti posseggono di produrre la grazia: se vengono indicati come
mezzi di grazia, non si deve per assolutamente affermare, neanche implicitamente,
che siano gli unici mezzi, di cui Dio si serve per comunicare la grazia sua e ri-
spettivamente di Ges Cristo, e quindi se stesso.
INQUADRAMENTO SISTEMAnco

Sicch, anche nella presente questione, dobbiamo prendere molto sul se-
rio la paternit divina d'ogni cosa creata e di tutta la storia, ivi inclusa
la reale ed efficace energia operativa aggiunta da Dio stesso alla natura
intrinseca delle creature, e quindi anche le disposizioni storicamente in-
cisive prese dall'uomo nell'ambito dell'unico vcni)pLov di Dio; per cui,
Dio stesso si tiene legato, col Patto di Alleanza da lui liberamente sti-
pulato, persino a tali decisioni creaturali, pur senza minimamente abdi-
care per questo alla propria sovrana libert divina. Di conseguenza, una
sostanmale compartecipazione della creatura alla fissazione di determi-
nate forme espressive della vita comune, istituita da Dio ma decorrente
nella storia, non solo non va esclusa, ma anzi positivamente attesa. Un
semFilice sguardo dato al conOl'Cto VO"t'TJPLOV dell'evento della croce,
da cui i sacramenti in genere derivano, pu dimostrare direttamente un
fatto: la sostanziale fissazione di questo mistero, la croce, stata fatta
non in base ad una determinazione primordiale divina, bensl ad una
disposizione storica (oltretutto peccaminosa) umana.79 Ora, ci che vale
per lo stesso ucr'ti)piov (storicamente realizzato), non pu certo pi
risultare strano per le forme espressive usate nelle attuazioni ecclesiali.
Qui ovviamente non si pu pi partire da un a priori, bensl soltanto da
un accurato esame dei fatti storici successi nella vicenda salvifica, per dare
qualche ragguaglio sui singoli sacramenti: cosa che faremo analizzandoli.
Ci che or ora abbiamo rilevato circa l'agire di Dio Padre in relazione
all' istituzione dei sacramenti, vale in maniera corrispondente per Ge-
s Cristo, per lo Spirito santo, come pure per la Chiesa in quanto
vcr't1]p1.0v autorizzato e investito da Dio, anche senza che ci mettiamo
qui a darne le ragioni dimostrative. Limitiamoci soltanto a puntualiz-
zare questo: stante l'azione storica svolta da Dio nel senso suaccennato,
non pu rivestire un interesse cosl pressante l'ascrivere senza tante spie-
gazioni semplicemente a Ges Cristo l'istituzione dei sacramenti, ma-
gari perfino in ogni singolo elemento. Le considerazioni che abbiamo
fatte, ci hanno condotti invece a riconoscere perfino il senso dei cosiddet-
ti influssi extra-biblici sulla configurazione (esteriore, formale) delle
forme rituali nell'evento sacramentale (quando tali influssi risultino di-
mostrati), portandoci ad afferrarli nel loro significato pi profondo. Dal-
l'esame dell'azione salvifica svolta da Dio nella storia non si pu dedur-
re alcun a priori, in base a cui Dio ed anche i cristiani non avrebbero
potuto di per s appigliarsi ad alcun elemento gi preesistente nella sto-
ria, per imbastire ci che costituisce lo <<schema del rito sacramentale.
Sempre movendo da questa constatazione, si dovrebbe rivedere e supe-
rare anche quell'altra fraseologia teologica non di rado facente capolino
qua e l, secondo cui Ges o la Chiesa avrebbero preso o mutuato
qualche elemento da altrove, sicch questo rappresenterebbe per princi-
79 Cf. in materia quanto abbiamo detto sopra, pp. 160-165.
170 I SACRAMENTI

pio una specie di corpo estraneo e quindi falsificante. Il uu't''f)ptov del


Logos di Dio calatosi nella carne del peccato, in un limitatissimo arco
dell'esistenza umana, per la redenzione del mondo, provoca anche la sal-
datura dell'evento sacramentale, specie nelle sue forme espressive, alla
cornice limitata delle disposizioni di stampo storico-temporale e terri-
toriale.

Con le disquisizioni sin qui fatte, dovrebbe risultare poi inquadrata


nella sua. giusta luce anche la questione del numero dei sacramenti.
Certo, ancora una volta bisogna partire anche qui dall'unico vu't''f)ptov
di Dio, che giunge ad esternarsi qui e adesso alla maniera gi indi-
cata in quegl!i eventi salvifici chiamati specificamente sacramenti.
Di fronte a quest'unico mistero di salvezza, senz'altro legittimo par-
lare di Ges Cristo in persona come dell'unico e solo sacramento.
C.Ome gi abbiamo visto, i reperti neotestamentari ci hanno offerto
la possibilit e il destro di capire come in un unico secondo tempo
anche la Chiesa, in quanto uwa e 1t.-fipwa di Cristo, si possa chia-
mare sacramento, e altresl determinati (non quanti si vogliano a
piacere) riti di salvezza neil'a vita della Chiesa possano portare lo stes-
so nome. appunto da questo fatto, che dobbiamo prendere le mos-
se, per scoprire e verificare il nesso intercorrente fra l'unico v1n'J'iptov
di Dio attuatosi nell'evento della croce, e i sacramenti come sue
realizzazioni ecclesiali.
Guardando le cose globalmente, occorre innanzitutto rilievare che
l'unico vu'1)ptov di Dio - ossia, nel caso nostro, la vita della Chie-
sa - non si estrinseca n si rivela soltanto in quel fatto che si pu
chiamare vita sacramentale. Questa infatti sl una manifestazio-
ne peculiare, ma non l'unica veramente incisiva, del mistero di Cri-
sto. Sotto questo aspetto, come pure suNa base dei reperti storici, si
pu gi riconoscere come sia spettato alla facolt dispositiva umana,
cristiana ed ecclesiale (sia pure costituita da Dio stesso), stabilire
quali partico1'ari realizzazioni vitali della Chiesa abbiano dovuto ac-
quisire e abbiano mantenuto di fatto anche la denominazione di sa-
cramento in derivazione dall'unico va"t'l'Jp~ov. Con l:'introduzione
del termine sacramento e con la sua corrispondente affermazio-
ne, di per s non si per ancora detto nulla circa questa, n circa
le altre realizzazioni vitali della Chiesa che non hanno ricevuto tale
designazione; in effetti, sono esistite nella Chiesa delJre epoche in cui
INQUADRAMENTO SISTEMATICO

la vita in parola e le relative attuazioni erano gi delle realt, senza


per altro che avesse avuto luogo una loro adeguata fissazione con-
cettuale. Per cui, sia per quanto riguarda le singole attuazioni chia-
mate sacramenti, sia anche e in primo luogo per quanto riguarda
l'unico grande fatto chiamato nel NT va-riipw.i di Dio, bisogna cer-
car di enucleare l'intimo nesso oggettivo intercorrente fra il sacra-
mento e i sacramenti. Osservando le cose in questa luce, la fis-
sazione del loro numero in quanto tale passa in seconda linea.

Una volta preso atto di tutto questo, si vede chiaramente come sia sem-
pre l'unico e solo uo"tliptov che subisce svariate modalit di attuazione,
senza per altro venir suddiviso in ciascuna di esse. L'unico uO"tTJptov
al momento di rivelarsi ed attuarsi, non sta per una parte in ci che
si chiama sacramento del battesimo, per un'altra parte in ci che si
chiama eucarestia, e via dicendo. Quantunque la realt della realizzazio-
ne vitale concreta, presa di mira dai singoli cointeressati al (singolo)
evento sacramentale, sia diversa - una volta si tratta dell'inserzione
nella Chiesa vista in quanto uc-ti)ptov di Dio; un'altra magari della
realizzazione del mistero Cristo-Chiesa nel sacramento del matrimonio;
un'altra ancora della celebrazione pubblica e reale del mistero della cro-
ce con una partecipazione attiva e personale {eucarestia), e via di questo
passo - , il VO'"t'TJptov di cui parliamo presente sempre tutto intero, e
non frammentariamente. Allo stesso modo, si noti anche questo: sebbe-
ne esistano molti eventi battesimali singoli - ossia il battesimo ammi-
nistrato a ciascun individuo singolo da inserire come membro nella Chie-
sa - (ai quali va quindi applicato anche l'aoristo nel senso da noi rile-
vato parecchie pagine addietro), si tratta pur sempre dell'unico battesi
mo, ossia dello stesso unico vCT"t'TJptov come battesimo. I molti eventi
battesimali verificantisi in seno alla comunit non moltiplicano il sa-
cramento del battesimo, n ripetono l'unico va-"t'1}p~ov: sono invece an-
cora e sempre l'unico mysterium. lo stesso vale per l'eucarestia: le
molte messe sono l'unico evento della croce realizzantesi sotto forma di
cena. E non diversamente succede con le altre attuazioni dell'unico my-
sterium chiamate sacramenti. Sicch, adottando questa prospettiva,
non esistono nemmeno i molti matrimoni (come sacramento), ma esiste
invece sempre l'unico mistero Cristo-Chiesa, tutto intero nelle sue sin-
gole attuazioni.
172 1 SACRAMENTI

Se queste considerazioni vengono intel!ligentemente condotte avanti


ed applicate per spiegare i singoli sacramenti, anche sotto il profilo
ecumenico non dovrebbe comportare pi alcuna insormontabile diffi-
colt l'attribuire al numero dei sacramenti il giusto peso teologi-
co, n pi n meno; e ci, lasciando impregiudicate le altre realiz-
zazioni vitali della Chiesa che non hanno ricevuto tale designazione,
senza che per questo se ne abbia gi una precisa e soprattutto chia-
ra valutazione. Sulle ragioni che hanno suggerito l'impiego del-
l'espressione sacramento, abbiamo gi parlato, rilevando come non
si possano qui conteggiare n a priori n a posteriori le disposi-
zioni storico-ecclesiali. Il resto ce lo dovr dimostrare l'analisi det-
tagliata dei sacramenti.

4. Sulla partecipazione personale divina ed umana


ai sacramenti in quanto azioni rituali della Chiesa

Partendo dalle nozioni che abbiamo ricavate dalla parte biblica e


patristica deNe nostre riflessioni, come pure dalla visione d'insieme
piuttosto sistematica antecedente, siamo ora in grado anche di co-
gliere alcuni momenti decisivi per comprendere meglio la parteci-
pazione personale di coloro fra i quali si svolge l'evento sacra-
mentale. Dovrebbe infatti risultare ormai di palmare evidenza come
non basti affatto esaminare adesso la questione del ministro e del
soggetto ricevente del sacramento, intesi nel senso usuale. Ci pro-
poniamo quindi di richiamare brevemente l'attenzione sui fatti se-
guenti.
Siccome necessario ancora e sempre tener dinanzi agli occhi le
nozioni concernenti l'unico mistero di salvezza posto in essere da
Dio, bisogna .ribadire innanzitutto che sarebbe troppo poco limi-
tarsi soltanto a mettere in risalto il !"<lto ministeriale umano dell'even-
to sacramentale, facendone soltanto (come succede per lo pi) una
questione di condizioni minimali da osservare. Sar quindi buona
cosa far valere in tutta la loro portata gli asserti neotestamentari.
Per i sacramenti, proprio perch in essi ha luogo soltanto un'ul-
teriore realizzazione dell'unico uO""tTjpw\I di Dio gi realizzato, vale
INQUADRAMENTO SISTEMATICO 173

questo principio: la manifestazione e la realizzazione del mistero di


salvezza, anche e proprio in ognuna delle sue modalit di attuazione
sacramentale, risulta legata .all'iniziativa e all'azione di Dio (Pa-
dre). Stando alla lettera agli Efesini, ci vale anche l e dove tra-
mite Cristo e quindi tramite la Chiesa stato rivelato e viene rea-
lizzato anche al presente. Il fatto di aver inviato il Figlio non com-
porta per nuhloa una messa a riposo del Padre. La formula sovente
usata da Paolo, secondo cui Dio Padre agisce in Cristo, mira a
sottolineare appunto questo. L'espressione in Cristo denota, oltre
il resto, l'attivit svolta da Dio per la redenzione dell'uomo, metten-
do in rilievo l'azione salvifica espletata dal Padre per il bene della
comunit attraverso Cristo.80 Ci si afferra persino lessicalmente, al-
lorch nel qualificativo i}ya'ltT}voc; di Eph. r,6 ci viene additato il
movimento discendente da Dio Padre verso Cristo, e da Cristo ver-
so di noi.81 Ora, ci che si rileva per il ucr't1)ptov in genere, val~ con-
seguentemente anche per gli eventi succedentisi nella vita della
Chiesa, nei quali questa col suo intervento si attua in quanto
ucr'ti)piov di Dio (d. Eph. 3,6-u), ossia anche e proprio nei riti (in
un secondo tempo) chiamati sacramenti (d. al proposito gi Eph.
r ,3-14). Tale attivit di Dio Padre anche nell'evento sacramentale
appare evidente p. es. in Eph. 1,3; 2,4-7; Col. 2,13 ss., e in altri
passi similari. Una teolbgia sacramentale solidamente basata sul NT,
seppure sempre intenta anche ad evolversi ulteriormente, non pu
affatto esimersi dal sottolineare debitamente questo dato rivelativo
e salvifico dell'opera svolta continuamente da Dio Padre proprio nei
sacramenti e attraverso i sacramenti. II mero ricorso alla trascen-
denza e all'universale presenza attiva di Dio non sufficiente a dar-
ne una spiegazione. La concreta modalit rivelativa ed operativa di
Dio Padre vista in azione nell'evento della croce va applicata, in sen-
so corrispondente, altresl alla vita sacramentale.
Le stesse osservazioni si possono e debbono fare, ovviamente con
!IO J. Gnlka continua a ribadirlo nel suo commentario all'epistola agli Efcsini:
Questo vero nello stesso identico modo tanto per il Preesistente, quanto per
l'Umanato e il Glorificato. Sl, perch in lui Dio sintetizza il suo proposito di
l'Cdcnzione (r,9; 3,n), in lui ha pure scelto noi sin da prima della creazione
(1,4). In lui noi abbiamo la redenzione (r,7), esattamente come in lui siamo stati
segnati col sigillo dello Spirito (r,13) ... L'intero essere personale di Cristo stato
da Dio preordinato a noi {p. 68 ).
81 Cf. in materia J. GN1LKA, op. cit., loc. cii.
174 I SACRAMENTI

le debite sfumature qui non riportabili in tutti i loro dettagli, in


rapporto a Cristo e alla Chiesa. Cristo e rimane il capo della Chie-
sa, che la completa sempre attivamente, per cui essa contin~amen
te il O'W di Cristo da lui derivante. Cristo stato dato alla Chie-
sa come capo, dice Eph. 1,22, come grazia perenne, ed esercita atti-
vamente questo suo essere capo soprattutto nei sacramenti. Ora, se
Cristo si chiama xecpa.:q e la Chiesa crwa., ci avviene anche per
salvaguardare ~'individualit di Cnisto nei confronti della Chiesa:
vedi Eph. 2,16; 5,2.25. Egli non delega semplicemente tutta la pro-
pria attivit alla Chiesa. Ecco perch ad es. in Eph. 5 viene puntua-
lizzata abbastanza chiaramente pure l'attivit di Cristo nell'evento
del battesimo. Non diversamente succede anche con gli altri sacra-
menti. La partecipazione e il cointeressamento della Chiesa al
ucr-.i)p~o"ll sempre, in prima ed ultima analisi, un dono, ovviamen-
te d'un tipo cosl particolare, da far sl che questo dono in quanto
tale accordi proprio a questa Chiesa in quanto corpo di Cristo l'in-
dipendenza e l'efficacia intrinseca (pur lasciando intatta l'incessante
attivit di Dio e di Cri.sto, cui accennavamo poc'anzi), che affonda
le sue radici nell'incarico e nell'autorizzazione a cooperare alla rea-
lizzazione dell'unico ul:T'ti)p~O"ll di Dio. Ecco il retaggio, la com-
partecipazione al destino di Ges Cristo e alla sua croce, in senso
ricettivo passivo e cooperativo attivo. Per cui, se i sacramenti
vanno concepiti come auto-realizzazioni del1a Chiesa, come at-
tuazioni inerenti alla sua stessa natura, ci pu avvenire unicamen-
te con questa essenziale riserva, che cio essa venga intesa come
crwa. e ni)pwa di Cristo, e quindi a lui unita, giacch anche e pro-
prio nei riti sacramentali le viene accordato tale potere di collabora-
zione all'atto stesso in cui Cristo attua il suo essere-capo.
Una situazione similare, seppure ancora una volta con una sfu-
matura diversa, si riscontra per quanto concerne il rapporto fra la
Chiesa e i suoi membri, e viceversa. Per esempio, rispetto 3 coloro che
debbono farsi cristiani, la Chiesa costituisce sempre gi sin da pri-
ma il uO"t1}p~o"ll realizzato di Dio, che ora deve realizzarsi anche in
loro. per loro il sacramento di salvezza. Secondo la lettera agli
Efesini (ed altri passi del NT), essa il uwa e 1ti)pwrx. di Cristo,
e in derivazione da lui il fattore dinamico, vitale e vitalizzante, che
assume il ruolo di mediazione fra Cristo e "t't rciiv't'a, nei con-
JNQUADRAMl!NTO SISTl!.MATio 175

fronti dei non ancora cristiani e del mondo non ancora sal-
vo (cfr. Eph. 1,3-14 e 3,5-13). Qui per, come gi abbiamo
ribadito sopra,112 la Chiesa non affatto una specie di personi-
ficazione, bens} la comunit di Cristo e di Dio (cfr. anoora Eph.
1 ,3-14), formata di uomini vivi (i quali, come gi credenti e
grazie al battesimo, sono membri della Chiesa, e quindi persona!~
mente partecipanti e cointeressati al ucrr1ipLov. Il Signore glorificato
istituisce molti uffici carismatici in quel suo corpo (Eph. 4,11 ss.)
che la Chiesa.8.'l Questi lavorano in essa, sotto la di lui guida, all'e-
dificazione del suo corpo per farlo giungere alla perfezione (Eph.
4,13-16). Ora, ci comporta che il uO"t1ipi.ov di Dio costituito dalla
Chiesa, la quale deve attuarsi come tale portando a sua volta il mi-
stero ad attuarsi tramite lei, non si rivela n si estrinseca se non at-
traverso la corrispondente opera attiva dei suoi singoli membri (o
gruppi di membri), impegnati a farlo dal potere, loro comunicato dal
capo in seno alla Chiesa, di cooperare alla realizzazione del ua-t~pLov
di Dio Padre. Sicch rientrano nell'attuazione del ucrn'}pLov, e quindi
nei sacramenti in quanto suoi eventi verificantisi hic et nunc, ap-
punto anche gli uomini che agiscono qui e adesso in questo senso
e con questi intenti, operando su incarico e autorizzazione in manie-
ra ecdesial-e, sacramentale e personale. La natura del sacramen-
to, che va concepita teologicamente secondo l'idea neo-testamentaria
in derivazione dall'unico uO"t~piov, non si pu quindi affatto coglie-
re senza includervi gli uomini personalmente e concretamente chia-
mati e cointeressati, in quanto membri della Chiesa e rispettivamen-
te di Cristo. Essi e la loro attivit, corrispondente a ciascun sacra-
mento (operante in maniera attiva o accogliente in maniera passi-
va), rientrano quindi anche in una valida deofinizione di sacramen-
to. Che poi movendo da qui si possa giungere a sviluppare il senso,
la portata e anche i limiti delle usuali affermazioni sui ministri e

82 Cf. sopra, pp, n8-12,.


8.'l Per ora nonci addentriamo nemmeno ad esaminare di quale tipo siano gli
uffici carismatici qui di proposito chiamati cosi, n ad appurare se fra di essi sus-
sistano differenze essenziali. Per adesso c'interessa soltanto constatare come ogni
membro della Chiesa e di Cristo detCllj!a per via di grazia la propria posizione
inconfondibile e insostituibile nel corpo di Cristo, nel tempio di Dio. L'investitura
concreta e l'adempimento dci doveri da essa promananti, in un determinato kair6s
della Chiesa e da parte di quel suo singolo membro, una questione tutta di-
versa, che qui non vien neppure messa in discussione.
176 I SACRAMENTI

sui ricevitori del sacramento, ci basta soltanto accennarlo. I det-


tagli pi minuziosi vanno esposti nella Uattazione dei singoli sacra-
menti.

5. Sulla struttura del segno sacramentale

Abbiamo ormai ribadito a pi riprese che noi dobbiamo concepire


i sacramenti, in derivazione dal utrt"J)p~o" del NT, come eventi di
salvezza, sicch essi in quanto tali sono poi ancora l'unico ucrn')pi.o'll
realizzatosi e rivelatosi nell'evento della croce ora di nuovo in atto
di realizzarsi. Abbiamo accennato parecchie volte anche come, mo-
vendo da questo fatto, lo stesso concetto di sacramento debba neces-
sariamente subire un essenziale ampliamento, o meglio, un sostan-
ziale approfondimento. La stessa cosa va tenuta presente or-a, al mo-
mento in cui ci accingiamo a fare qualche rilievo sulla struttura dei
sacramenti, sempre e ancora in quanto sono attuazioni ecd'esiali del-
l'unico mistero di salvezza. lS venuto ormai il momento di decidere
se si vuole accontentarsi dell'angusto _concetto di sacramento colti-
vato sinora, che badava quasi esclusivamente al mero segno (sacra-
mentale) o al puro e semplice rito segnaletico, oppure si vuole inve-
ce cogliere la pienezza visualizzata della comunicazione personale fra
Dio e l'uomo intesa nel senso poc'anzi descritto. Ci sembra evidente
che occorre appligliarsi a quest'ultimo partito. Rientrano quindi chia-
ramente neUa struttura intima del rito sacramentale visto come atto
di comunicazione tra persone, Dio e l'uomo (tanto per accenna~lo
qui brevemente), innanzitutto queste persone stesse con la loro pre-
fissata compartecipazione resa esplicita; vi rientra poi la precisa mo-
dalit concreta della loro compartecipazione attiva personale (che
di volta in volta diversa a seconda che si tratti di Dio Padre, di Cri-
sto, della Chiesa, del ministro, del soggetto ricettivo, senza la qua-
l-e concretezza reale ed efficace non avviene nulla); inoltre occorre
tener presente la configurazione di ciascun evento (che ovviamente
diversa per ogni singolo sacramento), e infine magari anche i se-
gni o le azioni segnaletiche usate, con la loro peculiare strutturazio-
ne. Tutti questi accenni danno a vedere come sia necessario mettere
Ill:QUADRAMENTO SISTEMATICO 177

bene in chiaro se adesso col termine sacramento s'intenda indica-


re il concreto evento salvifico, oppure soltanto la forma espressiva
sacramentale preesistente, modellata in antecedenza, possibilmen-
te da attuarsi e da realizzarsi nelle sue prescrizioni (cerimoniali o
d'altro genere).84 Una cosa dovrebbe comunque risultare evidente:
appigliandosi allo schema usuale materia-forma, che a suo luogo ap-
pare pure sensato, sotto certi aspetti anche teoricamente fruttuoso,
ben difficilmente si perverr a cogliere lo stato di cose qui prospet-
tato nella sua struttura complessiva. E non sar sufficiente nemme-
no riflettere sui sacramenti visti come segni o riti significativi, esclu-
dendo le persone cointeressate - Dio e l'uomo - e gli actus posti
in essi, senza i quali i segni finiscono per risultare completamente
vuoti.
Bisogna pertanto accennare qui al fatto che il sacramento in quan-
to tale, ossia in quanto evento attuale del uO'ti}p~ov gi realizza-
to, non pu verificarsi fuorch attraverso una decisione apposita,
presa coscientemente con un atto personale dai partecipanti. L'ele-
mento cui si allude quando si parla di intenzione del ministro
e del soggetto ricevente, in realt costitutivo agli effetti dell'e-
vento, quando lo si concepisca nella maniera giusta. Difatti, qualora
i diretti compartecipanti non vogliano fare ci che riguarda questo
uO"-ri}p~ov, qualora il ministro da parte sua non voglia dare ci che
da lui si esige in quanto dispensatore, e qualora il soggetto riceven-
te non voglia lasciarsi investire da questo evento provenientegli da
Dio (tramite mediazione), l'evento sacramentale non pu divenire
una comunicazione personale, n tanto meno risultare fruttuoso. Vie-
ne cosl in campo quel fattore che si pu chiamare fede, purch non
s'intenda tale fede in modo superliciale. Non questa la sede adatta
per analizzare che cosa comportino la fede e il credere come dono e
come decisione personale: questo andr fatto altrove. Resta comun-
que assodato che questa fede (questo credere) un elemento costi-
84 Non bisogna dimenticare (l'abbiamo gi fatto notare in precedenza) che il sa-
cramento viene considerato per lo pi in astratto, come possibile rito salvifico
preesistente, come bene della Chiesa amministrato e da distribuire al momen-
to giusto. Il carattere di evento essenzialmente ad esso inerente, con tutti i suoi
momenti concreti, viene cosl per lo pi colto e messo in luce in maniera insufli
ciente. Qualora per si giunga a superare questa ristretta visione dei sacramenti,
non pochi problemi della teologia sacramentale finiranno per dimostrarsi mera-
mente fittizi.
I SACRAMENTI

tutivo dell'effettivo evento sacramentale. Altrimenti esso non avreb-


be luogo, giacch nessuno risponderebbe all'appello ad un possibile
cointeressamento (attivo) o ad una partecipazione (ricettiva) all'unico
vO"'ri)p~ov di Dio, gi da un pezzo realizzato eppur da lui destinato
a realizzarsi ancora incessantemente.
Che cosa intendiamo dire affermando questo, lo si pu arguire da
un momento essenziale dell'evento sacramentale, vale a dire dall'a-
namnesi (specificamente sacramentale). Deve risultare chiaro che,
per la riuscita dell'evento sacramentale, necessario che i partecipan-
ti - Dio, la Chiesa, l'uomo singolo - si presentino consapevol-
mente, rap-presentando se stessi e la loro propria vicenda vitale
dinanzi a Dio, in modo da inserirsi cosl con tutto il loro essere (af-
fermatosi e configuratosi storicamente} nel ucrtitp~ov, o da parteci-
pare ad esso. Ora, l'anamnesi si propone appunto questo. Da parte
di Dio (e di Cristo}, l'anamnesi comporta la possibilit di offrire per
via di grazia il uCT't"fip1ov (gi) realizzato e rivelato, come presenza
configurata, concretizzata, data in partecipazione adesso per H fu-
turo e per lo stadio escatologico. Ci chiama l'interloquito ad inse-
rirsi nel kair6s dell'evento salvi.fico, da essa reso possibile nell'istan-
te attuale. li chiamato poi deve immettervisi tale quale in realt:
cosa che avviene rammentando ci che si di fatto (ci che si di-
venuti nella propria vicenda vitale). Ora, tutto questo trova il suo
posto nell'unico ua't"1)p1ov, che al contempo entit realizzata, anm-
nesi, realt e arra escatologica. Stando a tutto quanto adesso sappia-
mo circa l'unico ua't"i)pio11 di Dio, enfaticamente chiamato cosl, che
poi la Chiesa, e che pur essendo gi realizzato deve tuttora conti~
nuar a realizzarsi nella Chiesa e tramite la Chiesa, appare evidente
quale importanza rivesta questo momento (parziale) del fatto sacra-
mentale qui chiamato anmnesi. A questo proposito, c' poi ancora
una csa da tener presente: il momento commemorativo o ricorde-
vole inerente all'evento sacramentale non affatto uno slancio re-
trospettivo. In effetti, come non si nega n si pu negare il carattere
genuinamente storico del vero evento della croce accaduto Sotto
Ponzio Pilato, cosl nei sacramenti non si tratta di una commemo-
razione intesa in senso retrospettivo, retro-evocativo, quale si pu
avere p. es. in un giubileo o in altre celebrazioni similari, per eleva-
ti che siano. Il vcrti}ptov di Dio ormai realizzato (in maniera indub-
1NQUADRAMENTO SISTEMATlCO 1 79

biamente e prettamente storica), di cui ora ci stiamo occupando in


quanto calato nei sacramenti, non per nulla un praeteritum.
L'anmnesi tipicamente sacramentale incomparabile come l ua"'t'TJ
p~ov stesso. Vive infatti attingendo al:l.'attualit del ul1't1)pw11 realiz.
zato, eppure ancor da realizzare in vista degli schata di Dio. Ci
motivato (oltre il resto) dal fatto che per volere di Dio Padre la
Chiesa appunto questo suo va-riJp~ov, in una maniera perenne-
mente attuale e reale che trova la sua motivazione nel decreto con-
cernente la peculiare modalit realiizzativa del ua-t1}p~ov nascosto
in Dio (gi) sin da prima degli eoni, in quel Dio che ha stabilito
di notificare e realizzare questo suo mistero in quanto tale. 85 Per cui,
esso partecipa tanto al carattere di eternit quanto anche alla sto-
ria attuale, decorrente in modo da permetter di applicarle l'aoristo,
ma non mai una forma lessicale esprimente un praeteritum. Lo si
rileva pure da ci che s. Paolo dice di questo unico ua-.T}piov, allor-
ch parla di :vixxEq>a.a.lw1nc;. Anch'essa in effetti una realt at
tuata, ma tendente alla perfezione finaJle. 86 Ora, il sacramento com-
porta precisamente la compartecipazione accordata e accolta a que-
sta anakefaliosis, a questa ricapitolazione di tutto quanto (sino-
ra) avvenuto nell'individuo coinvolto nell'evento sacramentale, e
altresl nella Chiesa vista come comunit dei credenti, intenta a pro-
damare e a celebrare le grandi gesta di Dio a gloria di Dio Padre.87
Rientra infine nell'intima struttura essenziale dei sacramenti, se essi
debbono legittimamente chiamarsi cosl in derivazione dall'unico
va-.i}p~ov, che essi attualmente, nel loro divenire, condividano al
contempo il suo carattere di rivelazione e di operazione effi-
cace. Il sacramento infatti, essendo un evento attualizzato del-
l'unico mistero di salvezza realizzato eppure ancora da realiz-
zare, riveste in questo 'Senso sempre un carattere di rivelazione, os-
sia di proclamazione, oppure (cosa che stando all'esatta interpreta
zione poi ancora e sempre la stessa), un carattere di parola. Nel
medesimo tempo, l'evento sacramentale partecipa alla carica attiva

11.S Cf. in materia l'elaborazione del concetto neotestamentario di mistero da noi


fatta in precedenza, alle pp. 91 ss.
86 Cf. al proposito le dotte disquisizioni su questa idea s1ilate da J. GNILKA,
op. cit., 81 s.
87 Cf. sull'argomento Eph. 13-14; 2,18-22; 3,20 s.; I Petr. 2,4-10 e passim.
180 I SACRAMENTI

del mistero adempiuto. Come questo per la parte gi realizzata esige


l'aoristo, cos - l'abbiamo gi veduto - esige l'evento sacramentale
a ripetizione: l'evento ecclesiale rievoca qui e adesso la realt di fat-
to, skch si deve parlare di essa come d'un elemento ora realizzato
nell'ambito del ua-Ti)pLov. 88 Occorre tenerlo ben presente, quando
si spiega l'intima struttura di tale avvenimento. Non molto diversa-
mente stanno le cose anche per quegli elementi dell'evento sacramen-
tale che vengono desunti dal mondo materiale e inseriti nell'evento,
quali ad es. l'acqua (con la relativa applicazione: immersione o infu-
sione), il pane e il vino, e via dicendo. I particolari pi precisi ver-
ranno esposti accuratamente nella trattazione dei singoli sacramenti,
perch fu presentazione piuttosto schematica che se ne fa del trattato
De sacramentis in genere devia l'attenzione dal vero assunto, an-
zich permetterne una visione pi approfondita.

6. Peculiarit dei sacramenti in quanto eventi rivelativi e operativi.


Opus operatum, Parola e sacramento

Prendendo le mosse dalla spiegazione del concetto neotestamenta-


rio di uO"t'l')pLov, in quanto trova applicazione lecita e largamente
comprensiva ai sacramenti si possono acquisire anche delle nozio-
ni suscettibili di far ullteriormente approfondire le questioni concer-
nenti l'opus operatum e la parola e sacramento. Che poi qui
dipenda ancora tutto dal se e come s'intenda il Sacramento, visto
in quanto evento ecclesiale di comunicazione tra Dio e l'uomo, rite-.
niamo sia ormai stato messo in chiaro. Dalle considerazioni sin qui
da noi fatte, fluiscono alcuni spunti che aprono la via alla soluzione
dei problemi prospettati. Il tentativo di presentare il problema in
tutta la sua ampiezza e di additarne la possibile soluzione non pu
qui nemmeno venir affrontato, giacch non si pu sensatamente ac-
costarlo senza un adeguato bagaglio di ricerche e di studi sulla sto-
ria dei dogmi e sulla teologia sistematica. Limitiamoci quindi a
citarne alcuni aspetti, che rientrano nel tema propostoci in questa
sezione.

88 Cf. Eph. 1 e 3; vedere sull'argomento ]. GNILKA, op. cii., 166 s.


INQUADRAMENTO SISTEMATICO I8I

Analizziamo innanzitutto la questione della modalit operativa dei


sacramenti. Per l'esattezza, abbiamo enunciato gi in precedenza de-
gli assiomi importanti agli effetti del nostro assunto: assiomi che ora
non v' alcun bisogno di ripetere. evidente che l'interrogativo con-
cernente 1a modalit operativa dei sacramenti ha gi un angolo di
visuale ristretto perch vi si enuclea solo un momento dell'evento
sacramentale, che nella sua pienezza costituisce invece una realizza-
zione rivelativa ed efficace del ua-n')p1ov realizzato (gi nell'evento
del!la croce). Si nota subito come la problematica ristretta designata
con la formula ex opere operato susciti immediatamente anche
parecchie difficolt. Il problema include inoltre i suoi momenti di sto-
ria della teologia, giacch, guardando le cose sotto il mero profilo della
storia dei dogmi, problema e formula provengono dail campo della
soteriologia. Sono infatti stati posti e coniati puntando lo sguardo
sulla morte di Cristo in croce e sulla sua incisivit soteriologica. Gi
solo da questo fatto (in vista della spiegazione neotestamentaria del-
l'evento della croce come u11...')1ov di Dio), si rileva sino a che punto
si guarda all'opera di Cristo. La visione e il corrispondente arma-
mentario concettuale vengono poi trasferiti sui sacramenti. Non in-
tendiamo affatto sottovalutare come in essi abbia comunque trovato
espressione (seppure non del tutto esauriente) l'intimo nesso inter-
corrente fra Ges Cristo, la sua opera e i sacramenti. L'intento sot-
tinteso nella formula ex opere operato, specialmente nella sua con-
trapposizione all'ex opere operantis, agli effetti dei sacramenti si
pu enunciare nel modo seguente "(ricordando che per esporlo dob-
biamo col!locard a tutta prima anche noi entro un orizzonte ristretto):
negativamente, si vuol dire che la grazia dei sacramenti non viene
prodotta da un'azione (indipendente) dell'amministratore o del rice-
vente, con particolare riferimento a quanto stato gi messo in ri-
lievo a proposito dell'autentica. giustificazione; positivamente poi, la
formula intende asserire che alla valida posizione del segno o del rito
sacramentale annessa anche la garanzia divina d'un'efficacia corri-
spondente. Al vasto intrico di difficolt sollevate da questa formula,
nonch dalla loro usualle spiegazione, abbiamo gi accennato.
Movendo dallo spunto di carattere generale da noi riacquisito,
possiamo enucleare e mettere in evidenza i seguenti momenti: abbia-
mo gi dimostrato con solidi argomenti come l'evento sacramentale
I SACRAMENTI

non escluda affatto la concreta attivit operativa di Dio (Padre) e di


Cristo nello svolgimento del fatto sacramentale. Se ci esatto, non
per una felice idea quella di spiegare l' opus operatum dicendo
che nel sacramento il ministro sarebbe soltanto un rappresentante
di Cristo. Una frase del genere pu sl venir intesa nella maniera giu-
sta, ma pu purtroppo anche venir fraintesa, qualora con essa si lasci
balenare in qualsiasi modo l'idea d'una assenza di Cristo (e tanto pi
di Dio Padre). Allorch si afferma che il ministro del sacramento agi-
sce nomine Christi et Ecclesiae, bisogna ricordare che questi non
si fanno neanche lontanamente rappresentare come assenti. L'abbia-
mo gi messo pi volte in evidenza.89 Per cui, anche qui occorre pren-
dere in considerazione con la massima seriet Dio (Padre), come ini-
ziatore del ucrt"l]pLov anche nella sua realizzazione sacramentale. Dio
per, come gi abbiamo spiegato, tramite l'evento comunicativo sa-
cramentale ha offerto, non imposto di forza agli uomini la sua sal-
vezza. Ora, visto in questa luce, il sacramento costituisce innanzitut-
to un possibile e potente fatto segnaletico, che da parte di Dio, e
precisamente in virt del ua-n'}pLov gi realizzatosi nell'evento della
croce, porta in s qui e adesso la garanzia di efficacia, ancor prima che
l'uomo da parte sua ricorra ad esso, lasciandosi coinvolgere in questo
evento. Quando egli lo fa, al posto assegnatogli in questo evento co-
municativo offerto alla sua libera opzione, non che produca qual-
cosa di sua autonoma iniziativa: si limita soltanto ad entrare in ci-
clo, rispondendo con fede all'appello di Dio. Senza la manifestazione
e l'attestazione di questa convinzione (di fede), infatti, gli uomini non
porrebbero altun atto suscettibile di aprirsi all'evento sacramentale.
Tale assenso dato al richiamo di Dio rappresenta la condizione indi-
spensabile, perch il uMT)pLov gi realizzato di Dio torni a realiz-
zarsi per l'uomo ben intenzionato, qui e adesso disposto a recepirlo.
Questo trovarsi disposti equivale a cogliere l'evento espressivo gi
da un pezzo approntato da Dio, accettandolo come una possibilit e
un'energia divina. La formula ex opere operato, se vuot avere una
accezione valida, mira in fondo a mettere in evidenza ci che nel NT
stato concentrato nel concetto di ua-~fipLov (senza per altro che
esso, come abbiamo visto, abbia avuto gi intrinsecamente per con-

89 Cf. a questo proposito quanto abbiamo detto sopra.


INQUADRAMENTO SISTEMATICO

tenuto proprio questo). La fduda nell' opus operatum si polarizza


quindi non sul rito segnaletico in quanto tale (sebbene lo si compia
esattamente e con tutta confidenza), bens sullo stesso Dio Padre,
visto come colui che entro e tramite questo segno rivela e vuol ren-
dere efficace la corrispondente comunicazione tra s e l'uomo.
Sempre partendo ancora dallo spunto che pi volte abbiamo enu-
cleato, possibile ora dire qualcosa anche sull'a questione tuttora
aperta concernente il binomio parola e sacramento, senza per que-
sto che tale problema si possa risolvere in tutta la sua estensione. :B
sufficientemente noto come anche questo interrogativo abbia le sue
ra
implicazioni, i suoi forti addentellati con la storia dei dogmi e teo-
logia controversistica. Nella maggior parte dei casi, la soluzione di
questo problema viene cercata dando per scontata una cosa ancor da
dimostrare: che sia gi chiaro sin daJil'inizio della discussione cosa
significhi ad es. nel nostro contesto il termine parola, oppure, per
altro verso, cosa voglia dire in questa discussione il termine sacra-
mento. Si cerca inoltre troppo sbrigativamente un concetto supe-
riore su cui si dovrebbe trovarsi tutti d'accordo, individuandolo ma-
gari in quello di mezzo salvi.fico o di modalit predicativa. Ep-
pure tutto continua a restare problematico esattamente come prima.
Il motivo sta in parte nena terminologia non sufficientemente elabo-
rata. Bisogna quindi chiedersi, come primo passo, proprio che cosa
s'intenda indicare precisamente coi sostantivi parola e sacramen-
to, nella formula emblematica paro1'a e sacramento. Tanto per fa-
re un esempio, qualora la parola s'intenda assai concretamente co-
me <(predica, come annuncio concretamente proclamato qui e ades-
so su incarico della comunit, logicamente non si pu pi parla-
re di sacramento (che allora si presenta come un fattore
astratto); per avere un sacramento, bisogna scendere sullo
stesso gradino di concretezza, parlando ad es. di questo evento batte-
simale in atto qui e adesso, di questa celebrazione dell'eucarestia, e
via dicendo. Sicch, quando non si contrappongono pi fra loro sem-
plicemente parola e sacramento, bensl ad es. predica e battesimo cia-
scuno come evento concreto, possono anche gi venire in campo
prospettive ben circoscritte, che permettono di collocare il problema
su un piano pi giusto. Allora apparir anche abbastanza chiaro se il
problema parola e sacramento stato posto in maniera significa
I SACRAMENTI

tiva e assennata. In via generale, si possono distinguere in modo ade-


guato (come per Io pi sembra), e donde esattamente si ricava la ra-
gione distintiva e la sua legittimazione? Non potrebbe essere piut-
costo che ambedue i termini, parola e sacramento, sotto un cer-
to aspetto coincidano, e sotto un altro presentino delle differenze?
Non val quindi la pena di cercare un modo di pensare che sappia te-
ner conto imparzialmente di entrambi i fatti, sia nella loro unit (che
verr pure in luce), sia anche nella loro diversit? In effetti, perfino
l'usuale suddistinzione in parola ed elemento, fatta in seno alla
struttura del segno sacramentale, porta all'insorgere di parecchi equi-
voci. Sl, perch la suddistinzione strutturale qui intesa, apportata in
maniera intelligente, sussiste anche nell'ambito della parola pronun-
ciata nella predica, seppure in maniera diversa.
Attingiamo ora al1e considerazioni che abbiamo svolte basandoci
sul concetto di va-n]ptov riportato con insistenza nel NT, e altresl
dando per scontata la legittimit delle nozioni ivi acquisite, specie
nella sezione concernente i presupposti di teologia della creazione
esigiti dalla vita ecclesiale e sacramentale. Le conseguenze che se ne
possono trarre sono parecchie: ci limiteremo ad indicarne le princi-
pali. Intanto, abbiamo visto che l'essere creato e la sua realt (desti-
nata a svilupparsi sull'arco della storia) si possono concepire come
discorso di Dio. Soprattutto l'essere creato d'impronta personale,
poi, in grado per autorizzazione ricevuta di esprimersi in un altro
e quindi di parlare tramite un altro. La vita personale si svolge ap-
punto in un vasto e poliedrico ciclo di eventi espressivi espliciti,
parlanti ed incisivi. Vista sotto questo profilo, l'a vita personale
sempre fatto espressivo, e quindi parola. E sotto tale concetto di
parola cadono ovviamente tutti i fatti espressivi. Tra essi, uno
tutto speciale indubbiamente que1lo che noi chiamiamo linguaggio,
sebbene non sia affatto l'unico espediente espressivo. Qualora per
indicare l'uso del linguaggio in senso specifico (e altresl originario)
si adoperi a termine <~parola, vero che non si contesta alle altre
azioni espressive e comunicative il carattere di <~parola, ma sarebbe
quanto meno doveroso allora non chiamarle pi parola, soprattut-
to proprio quando si tratta di distinguere l'una dalle altre. Sennonch
esistono per anche eventi espressivi composti, formati p. es. da
gesti (eloquenti) e da discorsi articolati che li accompagnano. Ora,
INQUADRAMENTO SISTEMATICO

i sacramenti vanno annoverati evidentemente in questo gruppo. Per


cui, la contrapposizione eventualmente fatta tra parola e sacra-
mento deve tenerlo ben presente.
Di conseguenza, se occorre davvero rilevare una differenza tra pa-
rola e sacramento, bisogna innanzitutto indicare esattamente e sullo
stesso piano di concretezza che cosa s'intenda designare, ossia p. es.
la predica tenuta alla comunit da un lato, e l'evento battesimale dal-
l'altro, e cosl di seguito per le altre celebrazioni della parola (d'acce-
zione speciale) e per gli altri eventi sacramentali. Il problema, inta-
volato cosl in maniera assai pi chiara, risulter certo molto pi fa-
cilmente risolvibile di quanto non sia apparso nella discussione por-
tata avanti sinora. Inoltre in questo problema, sempre movendo dal
va-tfipi.ov neotestamentario, si dovrebbe dimostrare chiaramente co-
me la vita ecclesiale sia un tutto unico, che si rivela e manifesta in
svariati modi. Per cui, ogni distinzione qui apportata non potr esse-
re che inadeguata. Sicch, qualunque atto di stampo ecclesiale in
sostanza il va'tf)pLO'll in fase di realizzazione, perch la Chiesa in-
tenta ad estrinsecarsi. Viste le cose in questa luce, non sussiste quin-
di (ancora) alcuna differenza tra questo e quel tipo di azioni. Un mo-
mento essenziale della (possibile) distinzione si dovrebbe individua-
re nel fatto seguente: nel sacramento - o meglio, in questo deter-
minato evento sacramentale, p. es. del battesimo - il singolo in
quanto tale (sia pure inserito anche in un gruppo o in una comunit,
per sempre come individuo) viene interloquito nella sua individua-
lit (indipendentemente, anzi con inclusione della sua posizione
nella societ), in cui egli si trova radicato anche come credente (e co-
me morente!); e viene chiamato in causa precisamente in questa sua
peculiare situazione di esistenza. Al suo essere esistenziale viene ri-
volto un appello, appunto perch egli (mosso dalla parola gi a lui
indirizzata) lo convogli intenzionalmente in questo evento. Nella pre-
dicazione, che si dirige sl alla comunit ma in essa ai singoli indivi-
dui, quest'ultimo momento personale sussiste <dn obliquo, non in
linea diretta ed espl'icita. Facciamo un esempio concreto. La parola
della predicazione dice Fate penitenza e fatevi battezzare ( cfr. Act.
2,38, nel contesto col riportato); nel battesimo si dice invece: N.
io ti battezzo ... , citando il nome proprio e celebrando il corrispon-
dente rito sacramentale. Oppur~, predicando si lancia un appello:
186 I SACRAMENTI

Fate penitenza e riconoscetevi peccatori!. Mentre nell'evento sa-


cramentale succede questo: l'individuo singolo confessa i suoi reali
peccati, rivelandoli ed esprimendoli, mettendosi cosl in qualit di
peccatore, con queste colpe esplicitamente sciorinate dinanzi a Dio,
di fronte al misericordioso tribunale di Dio. E cosl avviene per tutti
gN altri sacramenti. La parola della predicazione rivolta indubbia-
mente anche ai singoli ascoltatori raggruppati nella comunit. Resta
per ancor sempre da vedere se e fino a qual punto l'interloquito si
lasci preparare al (possibile) evento salvifico. Nell'evento sacramen-
tale invece, questa decisione gi stata presa, viene espressa aperta-
mente nell'istante stesso in cui l'interessato, gi incitato dalla paro-
la (predicata), compie degli atti diretti proprio a questo evento che
sta per realizzarsi in lui e con lui, convogliando questa attuazione
esplicita di se stesso appunto in questo preciso evento sacramentale.
Senza ta1e decisione e relativa esplicitazione, il sacramento non si
realizzerebbe affatto.
Con queste considerazioni, non abbiamo ovviamente toccato tutto
quanto rientra nella problematica condensata nella formula parola
e sacramento.llO Riteniamo per che per il nostro assunto sia suffi-
ciente aver accennato agli stretti nessi vigenti nell'ambito dell'unico
evento vitale della Chiesa, o meglio ancora, fra Dio e l'uomo in rap-
porto alle molteplici espressioni di quest'unica vita. Il prendere in
considerazione isolatamente uno o l'altro evento finirebbe per ri-
sultare in contraddizione con l'unit della vita, non solo, ma anche
per trascurare la molteplice intima ed essenziale connessione, il soli-
do coordinamento e la perfetta armonia esistenti fra le realizzazioni
vitali (pur distinguibili) della Chiesa, a tutto danno della valida vi-
sione teologica.

7. Sui cosiddetti sacramentali

Se ora dobbiamo dire ancora qualcosa circa i sacrmentali, faccia-

!IO Circa la problematica parola e sacramento, su cui esiste una vasta lettera-
tura, cf.: W. KASPER, 'Wort und Sakrament', in: Glaube und Gescbichle, Mainz
1970, 285-310; A. SKOWRONEK, Sakrament in der evangeliscben Theologie der Ge-
genwart, Miinchen 1971, con relativa bibliografia.
INQUADRA.'.IEN'JO SISTBMATICO

mo notare che non intendiamo riferirci ad altro fuorch a quanto


appare gi prospettato dal terna di questa nostra sezione. Nelle ana
lisi sinora fatte, ci siamo sforzati di mettere meglio a fuoco attin-
gendo al NT ci che in esso viene designato col nome di vcri;i)pLov,
e che destinato poi a realizzarsi e a rivelarsi come vita vissuta dal-
la Chiesa nel tempo. L'assunto della sezione che stiamo svolgendo,
era proprio quello di cogliere con lo sguardo lunica vita della Chie-
sa, in quanto si realizza (precipuamente) nei sacramenti. Con l'oc-
casione, abbiamo constatato in parecchi modi quale rigoglio dispie-
ghi questa vita della Chiesa, che poi conosce anche estrinsecazioni
altrettanto ricche e molteplici. Abbiamo appuntato intenzionalmen-
te il nostro sguardo su quegli speciali riti salvifici che, in quanto at-
tuazioni dell'unica vita della Chiesa, si chiamano appunto sacra-
menti. Abbiamo anche cercato di porre in rilievo il senso e la porta-
ta di tale denominazione. Nonostante la variet di vedute, ci ca-
pitato pi v~lte di sottolineare come i cosiddetti sacramenti rappre-
sentino sl delle essenziali e persino insostituibili estrinsecazioni vi-
tali della Chiesa, ma non per questo si possano qualttcare come le
uniche forme vitali espressive della Chiesa, accanto alle quali non
si potrebbe riscontrare nella Chiesa alcun'altra forma vera, reale e
perfino essenziale di vita. Potremmo formulare tutto questo anche
nel modo seguente: quel vu<ti)pLov, che la Chiesa e al contempo
deve realizzare, si attua sl in maniera tutta speciale nei sacramenti,
ma non soltanto ed esclusivamente in essi. Non quindi detto che,
una volta considerati ed esposti i sacramenti, si sia gi sciorinata
dinanzi agli occhi l'intera vita della Chiesa in tutta la sua pienezza
e in tutte le sue manifestazioni. Su questo punto, basta accennare
soltanto a quali impegni di vita vengano additati ai cristiani in
quanto tali (se non addirittura in quanto uomini) in Mt. 25. Per
cui, si potrebbero indicare come inderogabili tante altre cose, quali
ad es. (e non in coda alla classifica) le numerose componenti della
vita comunitaria costituite dalla predicazione, dalla catechesi, dalla
diaconia e via dicendo.
In connessione ai sacramenti visti come peculiarissime estrinse-
cazioni vitali della Chiesa, a questo punto dobbiamo menzionare an-
che quelle forme espressive di carattere ecclesiale e personale che, a
motivo di determinate considerazioni prescrittive, vengono chiamate
188 l SACaA!lllENTl

sacramentali. Non possiamo qui addentrarci in questioni storiche,


dogmatiche, magisteriali, giuridiche o similari, che oggi si pongono a
valanga in questo campo. Per quello che interessa il nostro assunto,
l'accenno ai sacramentali pu servire a richiamare l'attenzione sulla
rigogliosa capacit espressiva ecclesiale sviluppatasi nel corso dei se-
coli. Ci riveste un particolare interesse anche perch, nel decorso
del tempo, per determinati riti salvifici numericamente ben circo-
scritti, stata fissata l'espressione sacramento, mentre per parec-
chi altri, che pure occasionalmente erano anch'essi stati chiamati
cosl, tale designazione stata di nuovo lasciata cadere. La mutua de-
limitazione fra sacramenti e sacramentali non quindi mai stata
per principio una cosa stabilita tassativamente.
Come abbiamo potuto rilevare gi nelle nostre disquisizioni pre-
cedenti, specie prospettando una possibile introduzione diretta a far
comprendere la categoria del fattore sacramentale,91 e altres ad-
ditando le premesse di teologia della creazione inerenti alla vita sa-
cramentale, rientra essenzialmente sia nella vita umano-personale sia
in quella comunitaria che tanto l'individuo singolo quanto la comu-
nit si esprimano in molteplici forme, e in questo modo diano una
impostazione alla loro vita. Non occorre affatto che torniamo a ri-
peterlo, ma pur sempre ancora questa la chiave che pu farci ca-
pire anche il senso dell'istituzione e dell'uso di quelle forme espres-
sive vitali, destinate poi in un secondo tempo a chiamarsi sacra-
mentali. Grazie sempre elle suaccennate considerazioni, dovrebbe
risultare sufficientemente spiegato altresl che cosa si debba dire cir-
ca la legittimit di impostare forme espressive, :fissandone la por-
tata e la carica incisiva, circa la loro effettiva esistenza e i loro
limiti.
Ora, quali tra le tante forme espressive ecclesiali debbano chia-
marsi specificamente sacramentali, una cosa che viene indubbia-
mente fissata per convenzione ecclesiale.92 Almeno qui dunque, si
tratta senz'altro di disposizioni e fissazioni umai;ie, ecclesiali, posi-
tive, e quindi ovviamente sempre aperte a modifiche d'ogni genere,

9~ Cf. al proposito quanto si detto sopra, pp. 62 ss.


92Per quanto concerne i sacramentali, cf. speoalmente M. UlHRER, 'Sakra-
mentalien', in LThK 9, Freiburg 21964, 233-236; Sacramentum Mundi 4, Freiburg
1969, 341-347.
INQUADRAMENTO SISTEMATICO

suscettibili di revisione e di rimpasto. Cosi nei tempi pi recenti,


stato in -certo qual modo definito dalla costituzione sulla liturgia del
concilio Vaticano II che cosa s'intenda in campo ecclesiastico per
sacramentale: Segni sacri, per mezzo dei quali, ad imitazione
dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della Chiesa, ven-
gono ottenuti effetti soprattutto spirituali ( n. 60). In via generica,
si annoverano fra i sacramentali pi o meno i seguenti segni o riti:
consacrazioni e benedizioni, esorcismi, acqua santa e oggetti bene-
detti. Viste le -cose nel loro insieme, riteniamo si debba superare in
vista d'una visione pi approfondita anche la formulazione non ec-
cessivamente felice ad imitazione dei sacramenti. Diremmo piut-
tosto che i riti, gli usi, le benedizioni e gli oggetti ecclesiali ora chia-
mati specificamente sacramental!i., sono stati qualificati con que-
sto termine rifacendosi ancora ai sacramenti intesi in senso ristretto,
preoccupato solo del segno in quanto tale (e in questo senso a imi-
tazione), e sono stati poi interpretati teologicamente cosl, princi-
palmente per delimitarli dai veri e propri sacramenti. Dalle ri-
flessioni fatte in precedenza, dovrebbe risultare assodato che lo spun-
t~ migliore si pu trarre dall'unica vita della Chiesa, la quale gi
all'epoca del NT si rivelata e manifestata in molteplici realizza-
zioni; essa infatti d offre il destro di chiarire il senso, la possibilit,
ma anche i criteri d'impostazione, per una amministrazione auten-
ticamente ecclesiale e responsabile di tali forme espressive, prospet-
tandone anche non da ultimo le possibilit di sviluppo e di forma-
zione legate ai vari tempi e luoghi. Ci ovviamente non pu avveni-
re senza tener calcolo sotto il profilo teologico, accanto alla pano-
ramica dei sacramenti da noi qui abbozzata, anche della liturgia e
della vita cristiana in genere; in effetti, soltanto dalla sintesi, os-
sia dall'esame della vita vissuta e della carica potenziale di futuri
sviluppi ad essa inerente, che si possono ricavare dei validi enunciati
circa le forme rivelative, attestative ed espressive della vita cristiana.

RAPHAEL SCHULTE
BIBLIOGRAFIA

Breve selezione. Rimandiamo esplicitamente anche alla bibliografia


riportata nelle opere qui addotte

I. Dizionari

Dzt I 217-260: 'Chiesa' (J. Schmid, Y. Congar, H. Fries, H. Kiing)


(Bibliogr.)
II 188-.206: 'Sacramento' (P. Neuenzeit, H.R. Schiette)
356-365: 'Simbolo' (H.R. Schiette)
LThK 9 218-232: Sakrament (K. Priimm, R. Schnackenburg, J. Fin-
kenzeller, K. Rahner, E. IGnder) (Bibliogr.)
232 s.: Sakramentale Gnade (P. Lakner)
233-236: Sakramentalien (M. LOhrer) (Bibliogr.)
240-243: Sakramententheologie (K. Rahner)
1205-1208: Symbol (F. Herrmann, F. Mayr)
RGG V 1321-1329: Sakramente (E. Kinder, E. Sommerlath, W. Kreck)
ThW IV 809-834: Mysterion (G. Bornkamm)
SM 4 327-341: Sakrament (e) (R. Schulte) (Bibliogr.)
Hl-347: Sakramentalien (M. LOhrer) (Bibliogr.)

2. Opere dogmatiche e altri manuali

J. AuBR, Allgemeine Sakramentenlehre... : Kleine Katholische Dogmatik


(Regensburg 1971) (Bibliogr.).
HPTh, vol. I, Freiburg 1964.
Sacrae Theologiae Summa (ed. Patres Soc. Jesu Fac. Theol. in Hispania
Prof.) IV Madrid 21962 (Bibliogr.).
M. ScHMAUS, Katholische Dogmatik 1v, Miinchen 61964 (trad. it. Dog-
matica cattolica, Marietti, Torino)
- Der Glaube der Kirche 1 e 11, Miinchen 1969/70.

3. Opere singole

J.ALFARO, 'Cristo, Sacramento de Dios Padre: la iglesia, Sacramento de


Cristo glorificado', in: Greg 48 (1967) 1-27.
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SEZIONE TERZA

L'ORDINAMENTO DELLA CHIESA

I. Costituzione sociale

a. Comunit sacramentale di fede

La particolarit dell'ordinamento della Chiesa cattolica corrisponde


alla peculiarit della comunit ecclesiale cattolica. Gi nella sacra
Scrittura, gli uomini che accettano la comunione col Signore morto
e risorto come real't di redenzione e di salvezza, vengono consi-
derati come formanti una comunit anche fra loro. Formano infatti
degli ordinati gruppi comunitari in comunione gli uni con gli altri.
La comunione sacramentale col Signore, sperimentata per via di fe-
de nel battesimo e nell'eucarestia, costituisce al contempo il terre-
no di coltivazione da cui fluisce la comunione che vincola i membri
fra loro. In effetti, si concede di accedere al battesimo e all'eucari-
stia soltanto a quegli uomini che professano l'unica fede, impostan-
do la propria vita sull'unico vangelo, dimostrandosi intenzionati a
conservare l'unione e la pace con tutti i fratelli e le sorelle. Quelli
che infrangono tale ordinamento, debbono venir esclusi dalla comu-
nit. La riammissione pu avere luogo soltanto quando risulti ma-
nifesta Ira prontezza ad accettare di nuovo la professione di fede, la
impostazione di vita allineata al vangelo, l'assetto di pace coi fra-
telli. L'inclinazione a questa prontezza va provata e dimostrata con
la penitenza.
Questa comunit sacramentale di fede innanzitutto comunit di
tutti i fratelli e sorelle nel Signore, comunit di tutti i santi. Gi
nel periodo immediatamente successivo all'ra apostolica, in tutte
le Chiese sorge il vescovo come emblema personale e custode perso-
nale dell~ comunione interna. La comunione fra le varie Chiese si
esprime specialmente nella comunione fra i loro vescovi. Questa
194 ORJlINAMENTO DELLA CHCl!SA

unit va poi appoggiandosi sempre pi chiaramente sulla comunio-


ne col Vescovo di Roma. Il vescovo in primo luogo il presidente
della liturgia. Eg)!i l'antesignano anche nella predicazione del mi-
stero di fede celebrato nella liturgia. Presiede anche al giudizio che
stabilisce chi debba essere ammesso o no alla comunit intenta a ce-
lebrare la liturgia, chi debba venirne escluso, chi dopo aver fatto
~ debita penitenza possa venirvi riammesso. Il suo ruolo di pre-
minenza non esclude affatto la partecipazione attiva della comunit
allo svolgimento di tutti questi compiti, ma anzi la d per ovvia e
presupposta. Queste svariate funzioni sono poi state concepite e de-
signate come potest diverse: potest consacratoria, potest
magisteriale, potest direttiva. E pure l'unit e il carattere par-
ticolare di tali funzioni corrispondono alla pecul!iarit della comu-
nione sacramentale dei fedeli.
Questo ordinamento della comunione sacramentale di fede il
nucleo centrale dell'intero assetto ecclesiale, ed destinato a re-
starlo per sempre. Nel corso dei secoli, col crescere delle piccole
Chiese che si tramutano in Chiesa mondiale, i compiti e i servizi da
svolgere sono andati moltiplicandosi; e inoltre, si sono andati an-
che ulteriormente differenziando. Pian piano and formandosi cosi
l'ordinamento della Chiesa: l'organizzazione della curia pontificia con
le sue Congregazioni di cardinali, i suoi uffici e segretariati, i suoi
organi giurisdizionali e le sue rappresentanze in tutto il mondo; poi
l'organizzazione del:la direzione diocesana, dei decanati, delle par-
rocchie; l'organizzazione delle forme direttive collegiali della Chie-
sa, quali i concili ecumenici, i sinodi episcopali, i concili provincia-
li e regionali, lte conferenze episcopali, i consigli presbiterali e pa-
storali; l'organizzazione della vita religiosa dei grandi Ordini e delle
associazioni ecclesiastiche; le nonne per il culto divino, per l'ammi-
nistrazione dei sacramenti, per i beni patrimoniali delie Chiese, per
i monasteri, per i seminari e per altri possedimenti ecclesiastici; le
pre9Crizioni per il mantenimento della disciplina ecclesiastica, per
l'organizzazione dei tribunali e dei dipartimenti giuridici, e per tan-
tissime cose ancora. Ma tutto questo ordinamento ecclesiale ha un
unico significato e un unico scopo: proteggere la vita e la crescita
della comunione sacramentale di fede. Il criterio determinante che
regge l'intero assetto della Chiesa e ogni sua branchia, per quanto
COSTITUZIONE SOCIALE

vaste siano le istituzioni e vincolanti siano le norme concernenti la


predicazione della fede, rimane sempre quell'o di servire la vita sa-
cramentale, la vita di fede e la missione della comunit ecclesiale in
mezzo al mondo.
Questa concezione dell'ordinamento ecclesiale come assetto della
communio, ossia della comunit che vive e cresce attingendo la sua
linfa all'eucarestia, si riflette in tutti gli aspetti di tale ordinamen-
to. La visione da noi tratteggiata proietta anche un fascio di luce
sulla pecul1iarit dell'ordinamento ecclesiale rispetto ad altre norme
e regolamentazioni giuridiche meramente intra-mondane. La diffe-
renza fondamentale sta nel fatto che i rapporti fra i credenti della
comunit ecclesiale - le responsabilit, le esigenze, gli obbl!i.ghi,
l'autorit, l'obbedienza - , come del resto nell'ambito della stessa
celebrazione eucaristica, non potranno mai venir dissociati dal! vin-
colo che lega tutti nel Signore e tramite il Signore.

b. Chiesa del diritto - Chiesa della carit

Ne viene come prima constatazione di fatto, che nell'ordinamento


ecclesiale risultano per principio eliminate le opposizioni fra Chie-
sa giuridica e. Chiesa caritativa, fra legge e spirito, fra legame e li-
bert, fra comunit e persona, fra interessi comuni e interessi pri-
vati, fra istituzione e ispirazione, nonch fra tutte le coppie cate-
goriali similari. L dove tali opposizioni minacciano egualmente di
insorgere, appunto compito dell'ordinamento ecclesiale l'appianarle.
Chi in nome della carit, dello spirito, della libera ispirazione
ecc., favorisse lo scardinamento dell'assetto ecclesiale, tenderebbe di
fatto aNa dissoluzione della stessa comunit ecclesiale. Qualunque
comunit pretendesse di sussistere senza alcun assetto vincolante,
finirebbe per suicidarsi. Abbiamo gi visto come lo stesso nucleo
centrale dell'intero ordinamento della Chiesa (la comunione sacra-
mentale di fede) presupponga un assetto, se vuole affermarsi nella
propria esistenza nel! modo che gli tipico. Quasi non bastasse, an-
che nel campo religioso non risulta possibile alcuna stabile collabo-
razione senza una chiara ripartizione e fissazione delle responsabilit,
delle competenze, dei diritti e dei doveri. Tanto per fare un esem-
ORDINAMENTO DELLA CHIESA

pio, sarebbe assurdo enunciare delle tesi dogmatiche sulla collegia-


lit episcopale o sulla responsabilit dei laici in seno alla Chiesa,
qualora al contempo ci si rifiutasse di organizzare tale collegiaNt o
responsabilit in modo da renderne possibile anche la traduzione in
pratica. Ora, a conseguire tale mta, non si pu arrivare senza isti-
tuzioni e regole che tutti gli interessati debbono osservare e rispettare.
Per altro verso, nell'ordinamento ecclesiale per principio inam-
missibile fondare l'istituzione e fissare la regola in maniera cosl as-
soluta, da far sl che esse soffochino o anche solo inibiscano la li-
bert d'obbedienza al Signore e la guida del suo Spirito. In effetti,
~esclusivo scopo dell'istituzione e della regola proprio quello di
tutelare e incrementare tale libert. Per cui, l'ordinamento della
Chiesa non sar mai e poi mai l'ultima ed assoluta norma d'azione.
Anche in seno alle istituzioni ecclesiastiche e nel quadro delle vi-
genti norme canoniche, tanto 11'agire del singolo quanto quello del-
la comunit infatti contemporaneamente sempre anche un agire
che trae la sua linfa dal diretto legame collegante il singolo perso-
nalmente e tutti globalmente al Signore. Quest'ultimo anzi sta per-
fino al primo posto. Tanto vero che questo legame non pu mai
(nemmeno in un solo uomo!) venir sacrificato ell'interesse comu-
ne. Lo stesso ordinamento ecclesiale deve sempre restare aperto
all'eventualit che tale vincolo superiore possa richiedere all'uomo,
in certe circostanze concrete, di mettersi necessariamente al di fuo-
ri dell'istituzione e della norma fissata dall'ordinamento positivo del-
la Chiesa. Lo Spirito del Signore infatti non un elemento insor-
gente ogni tanto e saltuariamente, bensl la perenne istanza critica
per principio ultima e definitiva in seno all'ordinamento ecclesiale.
L'ultima norma non mai la legge, bensl ~a discrezione degli spiriti.

c. Malleabilit dell'ordinamento della Chiesa

Questo principio assiomatico cosl fondamentale, da dover venir


inserito nello stesso ordinamento della Chiesa. Si accennato spes-
so aMa :flessibilit del diritto canonico, alla sua capacit di adatta-
mento alle pi diverse circostanze, additandole come il carattere
originalissimo che lo distingue a ragion veduta dal diritto civile.
COSTITUZIONE SOCIALE 197

Nel corso dei secoli si sono sviluppate diverse tecniche, le quali


in caso di bisogno legittimano la manipolazione delle prescrizioni
positive emanate dalla Chiesa, sia da parte dell'autorit superiore
sia da parte del singolo fedele. La tecnica pi antica senz'altro
la oikonoma (lat. dfspensatio): un'espressione generica che denota
la libert di abolire totalmente o parzialmente la legge, per motivi
superiori esigiti da circostanze concrete. Nella canonistica scolastica
medievale, questo ampio concetto venne accuratamente specificato:
la dispensatio la determinazione dell'autorit di annullare per da-
ti casi l'obbligatoriet d'una prescrizione; fa dissimulatio il non-
intervento in una situazione contrastante con la legge, che si lascia
correre facendo finta di non vedere o ignorandone l'esistenza; la
tolerantia la sopportazione di qualcosa che non si ritiene legitti-
mo; la licentia il permesso di derogare da una norma universal-
mente valida; la excusatio l'atteggiamento con cui, in determinate
circostanze, ci si ritiene svincolati da una prescrizione. La distinzio-
ne tra sfera del diritto e sfera della coscienza (forum externum et
forum conscientiae), pure caratteristica dell'ordinamento ecclesiale,
rende possibile l'adattamento delle norme ecclesiastiche allo stato
di coscienza individuale. In tale contesto, merita di esser menzio-
nata anche la consuetudo contra legem: l'abitudine ormai invalsa
di agire in modo contrario alla legge, che finisce per abrogare o mu-
tare la legge stessa, sicch la regola di comportamento scelta di fatto
da una comunit viene messa al di sopra della norma legale. Queste
e altre tecniche peculiari dell'ordinamento ecclesiale sono appun-
to l'espressione del principio assiomatico secondo cui la salvezza dei
fedeli, persino la salvezza d'un singolo individuo, riveste maggior
peso delile istituzioni e delle norme, senza per altro che con ci ven-
ga buttata a mare la necessaria funzione svolta da istituzioni e norme.

d. Collegialit

La visione dell'ordinamento ecclesiale come assetto della communio


mette in luce anche il carattere intrinseco deUa struttura sociale del-
la Chiesa, che connotato da una tipica collegialit. Il lato tipico
di questa collegialit non dato dal fatto che i fedeli in seno aHa
ORDINAMENTO DELLA CHIESA

Chiesa locale, le Chiese locali fra loro, il vescovo coi suoi sacerdo-
ti, i vescovi tra loro formano una comunit, in quanto uomini che
nutrono le stesse idee o sono incaricati d'un compito comune. Sta
invece nel fatto che la loro origine e il loro perenne vincolo sono
costituiti dall'unione sacramentale di tutti e di ciascuno col Signore.
Un ordinamento ecclesiale pu emanare prescrizioni per l'ammissio-
ne alla comunit dei credenti, fissandone le condizioni e stabilendo
chi sia rompetente a decidere in merito a tale ammissione. La vera
e propria accettazione in seno a questa comunit non per un
atto arbitrario, lasciato ai fedeli o all'autorit: invece l'atto sa-
cramentale del battesimo, che viene compiuto in nome e co] potere
del Signore. La comunit o l'autorit ecclesiale non possono dispor-
re a loro piacere dell'ammissione dei soggetti a membri del corpo
sociale. Chi. entra in questo collegio, lo fa in qualit di inviato e
autorizzato personalmente e direttamente da Cristo. Proprio gra-
zie e questo, egli viene ad inserirsi nella comunit di tutti coloro
che sono stati battezzati nello stesso identico modo in Cristo.
La stessa cosa vale per la co.filegialit nella gerarchia. Anche qui
infatti, l'ordinamento ecqlesiale pu emanare prescrizioni circa le
condizioni e J.e competenze necessarie per venir insediati in un ufficio
gerarchico. Ma l'insediamento stesso ancora una volta l'atto sacra-
mentale ddla consacrazione. Il oonsacrato si aderge direttamente
inviato da Cristo e responsabile solo di fronte a lui, come tutti i
suoi confratelli nell'ordine sacro. Nemmeno l'insediamento nell'uf-
ficio gerarchico un atto autonomo de~ vescovo, o del collegio epi-
scopale o del papa. Affermando questo, si esprime in maniera pi
concreta e completa ci che 's'intende dire con l'espressione astrat-
ta, quando si asserisce che i vescovi reggono le loro Chiese in for-
za del diritto divino. In termini concreti infatti, ci significa che
i vescovi, in forza della loro missione canonica, detengono s un po-
sto bene specificato in seno all'ordinamento ecclesialie, sicch i loro
doveri, la loro responsabilit, le loro attribuzioni in rapporto ai
fedeli, ai sacerdoti e religiosi, ai loro colleghi vescovi e aD papa,
sono chiaramente determinati; ma significa altresl che nell'esercizio
del loro ufficio, nonostante tutto, restano sempre al primo posto la
missione personale ricevuta dal! Signore e la responsabilit diretta da
essi accollatasi di fronte a lui. La missione da essi ricevuta dal Si-
COSTITUZIONE SOCIALE 199

gnore non si esaurisce completamente in quella ricevuta dal papa n


co6ncide totalmente con essa, al punto che la .tnissione avuta dal
Signore si debba commisurare su quel!la avuta dal papa. ~ vero an-
zi proprio il contrario: la missione ricevuta dal papa rimane subor-
dinata a quella ticevuta dal Signore, sicch la prima sta al servizio
della seconda. Il vescovo riceve la sua missione dal papa per poter
espletare la missione impostagli dal Signore. E questo non vale sol-
tanto per i vescovi. Si pu infatti dire altrettanto esattamente e pro-
priamente che i sacerdoti e i diaconi esercitano il loro ufficio per
diritto divino, che i laici attestano la loro fede nel mondo per
diritto divino, e che i cristiani coniugati impartiscono un'educazio-
ne cristiana ai loro figli sempre per diritto divino.
Sotto questo profilo, il sacramento non soltarito un incontro per-
sonale co} Signore, bensl anche il momento determinante nelle rela-
zioni intercorrenti tra i fedeli. Dal sacramento, l'assetto ecclesiale
riceve la sua esistenza, la sua peculiarit, le sua validit e hl sua
finalizzazione. Ma riceve anche la sua impronta relativistica, giacch
resta pur sempre legato all'ispirazione perennemente libera, mai im-
brigliabile da norme ecclesiiali, dello Spirito del Signore. Qualora
l'ordinamento ecclesiale perdesse questo vitale substrato nutritivo,
non rimarrebbe che un vuoto e morto formalismo.

e. Societ perfetta?

La strutturazione sociale della Chiesa come comunit sacramentale


di fede, che costituisce al contempo il fondamento teologico dell'as-
setto ecclesiale, si differenzia considerevolmente dall'arillidosa co-
struzione della cosiddetta societas perfecta, ossia della societ per-
fetta fino a poco tempo fa di uso corrente in teologia fondamentale
e nei trattati sul diritto pubblico della Chiesa. Stando a questa ipote-
tica costruzione, Cristo avrebbe istituito una societ soprannaturale
perfetta, che verrebbe a collocarsi indipendente accanto e sopra la
societ perfetta ma naturale dello Stato. In questa societ sopranna-
turale perfetta, egli avrebbe accordato a Pietro la piena e suprema
investitura giuridica: la potest legislativa, esecutiva e giudiziaria; e
agli altri apostoli, la stessa potest, seppure in subordinazione a Pie-
tro. Tale potere giuridico sarebbe poi passato al papa, e rispettiva-
200 ORDINAMENTO DELLA CHIESI\

mente ai vescovi. Questi reggerebbero quindi la Chiesa con un po-


tere rimontante in definitiva a Cristo, ri.sultando cos autorizzati ad
emanare le leggi della Chiesa.
Non questa la sede adatta per esporre dettagliatamente la cri-
tica che va fatta a tale costruzione, traendo gli argomenti dall'ese-
gesi scritturale e dalla storia dellla Chiesa. Tale costruzione artificio-
sa non basta a legittimare l'ordinamento ecclesiale, innanzi tutto
perch riduce la validit deU'assetto ecclesiale ad un potere giuridi-
co meramente astratto, dissociato dalla preminente missione degli
apostoli, che vengono inviati nel mondo come testimoni, come aral-
di del Signore e come mediatori della sua sacra energia; per cui, l'or-
dinamento ecclesiale viene strappato dal suo terreno nativo, costitui-
to proprio dalla comunione sacramentale di fede. Ci ha poi le sue
conseguenze per la valutazione della forza vincolante dell'ordinamen-
to ecclesiale, sia nei confronti degl'i uomini ad esso legati, sia anche
nei confronti degli ordinamenti giuridici intra-mondani.

f. Chi vincolato all'ordinamento ecclesiale?

Stando al Codice di Diritto Canonico e all'insegnamento (unanime,


almeno sino a poco tempo fa) dei teologi e dei canonisti, l'ordina-
mento ecclesiale cattolico per principio vincolante per tutti i battez-
zati. L'ordinamento ecclesiale stesso pu eventualmente dispensare
i cristiani non cattolici da determinate norme. Nel Codice di Diritto
Canonico per, ci avvenuto soltanto per quei cristiani che non so-
no mai appartenuti alla Chiesa cattolica, per quanto riguarda la for-
ma canonica deNe nozze e l'impedimento matrimoniale impediente
della diversit di religione. Le restanti prescrizioni, quali ad es. gli
impedimenti matrimoniali provenienti dalla differenza d'et, dalla
parentela o affinit di sangue e via dicendo, vengono considerati vin-
colanti per tutti i cristiani.
Prescindendo dal serio dubbio che fa esitare chiunque a conside-
rare impegnativi gli ordinamenti e l1e prescrizioni ecclesiali, per gli
uomini che non conoscono affatto e comunque non possono capire
come tali ordinamenti siano vincolanti anche per loro, una posizione
intransigente del genere risulta gi per principio inaccettabile. Qua-
COSTITUZIONE SOCIALE 20!

lora per si fondi la forza vincolante dell'ordinamento ecclesiale uni-


camente su un potere trasmesso da Cristo al1a gerarchia, che accam-
pa diritti nei confronti di tutti i battezzati in Cristo, ne segue di fat-
to logicamente una tale forza impegnativa universale dell'ordinamen-
to della Chiesa. Oltretutto, questa opinione sembra dipendere anche
da una teologia del battesimo a forte tinta giuridico-materiale. Il
battesimo viene qui visto come un mezzo, tramite il quale viene
impresso nell'anima un sigillo indelebile. Grazie ad esso, tale ani-
ma diviene un'irrevocabile propriet di Cristo, per cui cade natu-
ralmente anche sotto quel potere che si considera rappresentante
del potere di Cristo.
Qualora invece si guardi l'ordinamento ecclesiale non come un
dato a s stante, bensl come un assetto della communio cattolica
gi preesistente, bisogna ovviamente presupporre la fede nella com-
munio per avere la forza vinco1'ante dell'ordinamento ecclesiale. L'auto-
rit e le attribuzioni esistono in seno alla comunit cattolica soltan-
to a motivo della comunione sacramentale di fede, per il bene della
quale sono state ricevute dalle mani de} Signore. Chi non ci crede,
oppure non vuol parteciparvi, rende l'autorit e la competenza ec-
clesiale letteralmente impotenti e incompetenti nei propri confronti.
La pretesa di render vincolante l'ordinamento ecclesiale per gl!i uo-
mini che si mettono fuori da tale struttura, non ha il minimo senso,
non presenta alcuna ragione veramente ecclesiale.

g. Chiesa e Stato

La teoria della societ soprannaturale perfetta, che potrebbe accam-


pare i propri diritti nei confronti degli ordinamenti giuridici deUa
societ naturale perfetta, o magari addirittura avanzare pretese di
validit persino sopra di essa, risulta oltretutto inapplicabile alla
realt. facciamo notare che tale costruzione teorica data suppergi
dalla met del sec. xrx, quando essa era gi senz'altro irreale. Nella
societ medievale, religiosamente unitaria, in cui quasi ancora non
si parlava di una distinzione fra Chiesa e Stato, ma sussisteva sol-
tanto una societ nel cui seno si distinguevano unicamente due auto-
rit - l'ecclesiastica e la civile - , l'ordinamento ecclesiale veniva
202 ORDINAMENTO DELLA CHIESA

automaticamente accettato da tutti. Oggi invece, di fronte alla so-


ciet pluriforme e tanto pi di fronte agli Stati prevalentemente non
cattolici, anzi addirittura non cristiani, la pretesa di far riconoscere
e valere l'ordinamento ecclesiale cattolico assurda, sia in via di
principio sia in via di fatto. Perfino la validit dell'ordinamento
ecclesiale nell'assetto giuridico d'un paese in prevalenza cattolico non
pu basarsi sull'autorit dei dirigenti ecclesiastici, ma deve invece
poggiare unicamente sulla volont politica del popolo. Tuttavia, al
pari d'ogni altra comunit ecclesiale, anche la comunit ecclesiale
cattolica potr sempre esigere, grazie al diritto umano universal-
mente riconosciuto alla libert di religione, il diritto assoluto ad una
libera organizzazione interna. Nd decreto sull'apostolato dei laici,
il concilio Vaticano n, facendo leva sui prindpi deHa costituzione
dogmatica sulla Chiesa e sulla costituzione pastorale sulla Chiesa
nel mondo, ha dichiarato che la traduzione in atto dei principi cri-
stiani nel governo dello Stato, nella politica e nelle altre branchie
della sfera intra-mondana, affidata all'autonoma attivit dei cat-
tolici in quanto cittadini dello Stato e del mondo. Di conseguenza,
per questi settori, ogni legame ad un ordinamento intra-ecclesiale
risulta escluso.

h. Potere proprio - potere rappresentativo?

Nel presente contesto, si pu accennare anche al fatto che Iia con-


cezione qui sviluppata non permette di applicare la nota distinzio-
ne fra due diversi tipi di potest ecclesiale, vale a dire quella del
potere proprio (potestas propria) e del potere rappresentativo
(potestas vicaria), all'ordinamento ecclesial'e cattolico, n autorizza
a giustificarla sotto il profilo teologico. Il potere proprio spettereb-
be alle autorit ecclesiastiche, esattamente come spetta il potere a
tutti i detentori di un'autorit in seno ad una societ. Grazie a
tale potere, essi potrebbero fare ci che fanno le autorit d'ogni
altra societ: emanare leggi, prendere misure amministrative, giu-
dicare, dispensare da prescrizioni generali, e tante altre cose di que-
sto genere. Il potere rappresentativo spetterebbe loro in forza d'una
autorizzazione di Cristo, muniti della quale essi potrebbero farsi
DIRITTO DIVINO E DilllTTO UMANO 203

avanti in nome della sua persona, Grazie a tale potere, essi sareb-
bero in gr:ado di r:imettere i peccati, di consacrare, di dispensare dai
voti, di sciogliere matrimoni, e via dicendo. Dalla suaccennata vi-
sione della comunit ecclesiale e dell'ordinamento in essa vigente,
appare tuttavia abbastanza chiaro che una distinzione fra potere con-
naturato e pote.re ricevuto da Cristo non pu affatto esistere. In ef.
fetti, nessuna funzione, nesstlllQ attribuzione, nessuna potest e nes-
sun diritto vigente in questa comunit propriet sua, e quindi
non derivante da Cristo. Il superiore, il predicatore, il presiden-
te della celebrazione eucaristica, il ministro del sacramento, tutti
quanti accettano questa direzione e ricevono il sacramento e ascol-
tano la parola, non stanno mai di fronte agli altri da sol!i e in
nome proprio, nemmeno sul cosiddetto piano giuridico dell'ordina
mento ecclesiale. Responsabilit, attribuzioni, diritti, doveri, e in-
somma tutti i rapporti giuridici vigenti all'interno dell'assetto ec-
clesial'e sono al contempo rapporti coi fratelli cristiani e con Cristo,
e ricevono il loro stigma di validit solo ed esclusivamente dall'unio-
ne sacramentale con lui. Con questo, non si vuol dire che l'intero
ordinamento ecclesiale e tutti i rapporti in esso esistenti siano sa-
cramentali in senso stretto; si afferma sol'tanto che essi fluiscono in
definitiva dall'unione sacramentale con Cristo e sono indirizzati al-
l'unione con lui. Non si possono neanche per un istante e sotto un
solo aspetto dissociare da essa, tramutandosi in un assetto proprio,
indipendente, umano o intra-mondano, se non vogliono perdere il
loro contenuto specifico, la loro finalit e il loro valore.

2. Diritto divino e diritto umano

a. Impostazione del problema

Nella teologia e nella canonistica classica, il diritto divino consi-


ste in una serie di norme poste dall'autorit divina. Esse formano
anche il nucleo centrale fisso, immutabile dell'ordinamento eccle-
siale. Da questo diritto divino, si distingue il diritto umano, co-
stituito da prescrizioni che vengono emanate dall'autorit ecclesia-
stica (o quanto meno col suo consenso). Queste possono eventual-
204 ORDINAMENTO . DELLA CHIESA

mente venir cambiate, o per un certo tempo - se non addirittura


per sempre - venir abrogate dalla stessa autorit. Il diritto divi-
no, si usa abitualmente suddistinguere in diritto naturale e diritto
positivo. Il diritto naturale s'intende formato dal complesso delle
norme che si possono derivare dalla natura dell'uomo creata da Dio,
cogliendole quindi tramite l'osservazione naturale di questa natura,
senza bisogno di alcuna rivelazione. Il Codice di Diritto Canonico
qualifica soltanto assai di rado esplicitamente una determinata nor-
ma come norma di diritto naturale. Tanto per fare un esempio, il
can. 1068 I del C!C dichiara che l'impotenza sessuale in atto e
permanente rende nullo il matrimonio per diritto naturale; il can.
r405 r stabilisce che il permesso di leggere libri proibiti non di-
.spensa affatto dal divieto, esistente in questo campo per diritto na-
turale, di leggere libri pericolosi per la fede e i costumi; il can.
r935 2 sancisce che in forza del diritto naturale si obbligati a
denunciare ai superiori ordinari le trasgressioni delle leggi penali
ecdesiastiche, qualora tali infrazioni comportino un pericolo per la
fede e la religione, oppure possano in qualsiasi altro modo nuocere
alla comunit ecclesiale.
Il diritto divino positivo s'intende formato dal complesso delle
norme impegnative contenute nelta rivelazione. Nel CIC, questo di-
ritto divino positivo viene visto soprattutto come la carta costitu-
zione immutabile della comunit gerarchica della Chiesa. Vediamo
alcuni canoni specifici del Diritto Canonico. Can. 1322 2: per
legge divina, tutti gli uomini sono tenuti ad accogliere con spirito
di fede il vangelo e ad entrare neNa Chiesa di Dio. Can. IO?= per
ordinazione divina, nella Chiesa esistono chierici e laici ben distinti
fra loro, sebbene non tutti i chierici siano d'istituzione divina. Can.
948: la differenza fra chierici e laici un effetto dell'ordinazione,
per cui, al pari della consacrazione stessa, si basa su un'istituzione
divina; i chierici si distinguono dai laici al fine di gov.ernare i fe-
deli e amministrare il culto divino. Can. 196: il potere di giurisdi-
zione e di guida, sussistente in seno alla Chiesa per istituzione di-
vina, si suddivide in potest di foro esterno e potest di foro
interno o di coscienza, in potest sacramentale o non-sacramentale.
Can. 108 3: per istituzione divina, la sacra gerarchia consta in for-
za deU'ordine di vescovi, presbiteri e ministri; in ragione del potere
DIRITTO DIVINO E DIRITTO UMANO 20.5

giurisdizionale, consta di pontificato supremo e di episcopato subor-


dinato. w. 109: nel pontificato supremo si viene insediati per pre-
ciso diritto divino, purch si siano verificate le condizioni della legit-
tima elezione e della relativa accettazione dell'incarico. Can. 219: il
pontefice romano legittimamente eletto, appena accettata l'elezione,
ottiene per diritto divino la piena potest di giurisdizione suprema.
Can. 329 1: per istituzione divina, i vescovi vengono preposti alle
Chiese locali. Can. roo 1: la Chiesa cattolica e la Sede Apostolica
rivestono il carattere di persone morali per tassativa istituzione di-
vina; le altre persone morali di rango inferiore esistenti in seno alla
Chiesa ottengono tale carattere o per prescrizione dello stesso diritto,
o per concessione speciale del competente superiore ecclesiastico da-
ta con decreto fonnale a scopo religioso o caritativo.
Nell'ordinamento ecclesiale, in merito al diritto divino, insorgono
numerosi problemi. Soprattutto per quanto concerne il diritto natu-
rale, -vien fatto di chiedersi sino a che punto l'autorit ecclesiastka
sia autorizzata a rilasciare delle dichiarazioni impegnative, vincolanti
allo stesso diritto naturale. In merito al diritto divino positivo, c' da
domandarsi in qual misura le suaccennate prescrizioni del Codice di
Diritto Canonico includano di fatto, un'organizzazione immutabile
deUa comunit ecclesiale, modellata cos per autorit divina.

b. Autorit ecclesiastica e diritto naturale

A questo punto, non prendiamo le mosse dal concetto statico, soste-


nuto dalla scolastica, di una natura umana eternamente identica a se
stessa, da cui si potrebbero dedurre tutta una serie di norme di
diritto naturale pure eternamente uguali a se stesse; partiamo invece
dell'esigenza fondamentale, insita nellb stesso essere umano, che gli
uomini debbono affermarsi ed evolversi nella loro esistenza cosciente
e nel mondo. Come poi gli uomini siano tenuti ad affermarsi nella
loro esistenza e ad evolversi, dipender sia dall'e possibilit concrete
di cui dispongono, sia anche dalla loro libera scelta. Le possibilit
concrete di cui dispongono, vengono fissate soprattutto dal grado di
evoluzione che l'uomo ha raggiunto. La scelta sar tanto pi libera,
quanto pi sar in gioco l'evoluzione dell'uomo stesso. Quanto pi
206 ORDINAMEN'CO DELLA CHIESI\

l'uomo impara a dominare la natura mediante la sua propria natura,


tanto maggiore la libert di cui dispone per sviluppare se stesso.
Per cui, anche le esigenze di diritto e di giustizia che si pongono
agli uomini, vengono concepite in fase di perenne evoluzione. Certe
norme che vengono considerate come di diritto naturale, quali Non
rubare o Non uccidere, hanno nel nostro mondo odierno un con-
tenuto assai pi ampio di quello che avevano nell'antico Israele. La
giustizia sociale, l'uguaglianza razziale, l'aiuto per lo sviluppo, l'a-
spirazione al disarmo, la libert di religione e di pensiero, la facolt
di esprimere la propria opinione e tante altre cose ancora si presen-
tano oggi come requisiti necessari per l'esistenza e per lo sviluppo
dell'umanit. Si potrebbero chiamare postulati di diritto naturale
che vengono ad imporsi aU'uomo d'oggi. Nelle epoche trascorse, que-
sti postulati non sono stati accampati: non potevano ancora venir
avanzati. E a tutt'oggi, nelle diverse parti del mondo, tali postulati
hanno ancora un contenuto assai diverso.
Un ordinamento giuridico esiste di gi, per organizzare in manie-
ra impegnativa la collaborazione necessaria per l'esistenza e lo svi-
luppo dell'umanit. In effetti, i postul'ati di diritto naturale non
possono venir realizzati fuorch in un sistema di diritto positivo
vincolante. Divengono davvero un diritto, soltanto nel quadro del
diritto positivo. E il diritto positivo autentico diritto, soltanto al-
lorch si adegua a tali postulati. Una differenza fra mere norme giu-
ridiche positive e mere norme di diritto naturale non esiste affatto.
Per rispondere al!l'interrogativo concernente la competenza della
autorit ecclesiastica ad emanare dichiarazioni impegnative in ma-
teria di diritto naturale, occorre fare una distinzione tra il com-
pito incombente a tale autorit all'interno delia comunit ecclesiale,
e quello a lei incombente fuori di essa.
L'evoluzione del~'umanit, anche per quanto riguarda le esigenze
di giustizia, procede anche e proprio in seno alla Chiesa. Lo svilup-
po d'una societ fortemente improntata sia gerarchicamente che so-
cialmente all'eguaglianza tassativa di tutti gli uomini, ai diritti del-
l'uomo, alla responsabilit personale, all'autonomia, alla sussidiarie-
t, alle forme democratiche di collaborazione ecc., non pu passare
inosservata nemmeno agli occhi della Chiesa. L'ordinamento eccle-
siale deve risultare esemplare proprio in vista di questo sviluppo.
DIRITI'O DIVINO B DIRITTO UMANO 207

Rientra nella rosa dei doveri intra-ecclesiali stabilire sino a qua!


punto questi recenti postulati esigano norme vincolanti anche nel
quadro dell'ordinamento della Chiesa. Sotto molti aspetti, L'assetto
ecclesiale si di fatto evoluto in maniera esemplare: vedi ad es. ri-
spetto al postulato dell'eguaglianza razziale con la formazione del cle-
ro e della gerarchia indigena, nonch rispetto al postulato defil'aiuto
per lo sviluppo con la fondazione di missioni e di opere missionarie.
In altri settori invece, soprattutto per quanto concerne le esigenre
dell'organizzazione amministrativa, c' si da constatare uno sviluppo
ma uno sviluppo che rimane visibil!mente in arretrato rispetto all'evo-
luzione riscontrabile fuori della Chiesa.
Il postulato dell'assoluta uguaglianza di tutti assurge a diritto,
oltre il resto, allorch chiunque si sente leso nei suoi diritti, pu ri-
volgersi al giudice, anche quando la colpa di tale offesa dei supe-
riori. I canonisti chiedono sempre pi pressantemente una giurisdi-
zione ecclesiastica sull'amministrazione. A tutt'oggi, contro una mi-
sura amministrativa presa dai superiori che si ritiene lesiva del pro-
prio diritto, si pu ricorrere soltanto a una istanza amministrativa
superiore, val'e a dire ad una congregazione cardinalizia romana. Sino
a poco tempo fa, contro la sentenza emessa da una congregazione
cardinalizia, non esisteva altro mezzo giuridico fuorch la proposta
di una nuova trattazione della causa da presentare alla stessa congre-
gazione. Da qualche tempo per, la riforma della Curia, istituendo
una giurisprudenza ecclesiastica sull'amministrazione, ha fatto un
modesto passo inizial'e in avanti, concedendo la possibilit di inter-
porre appello alla Segnatura Apostolica contro la sentenza d'una
congregazione cardinalizia, quando da tale sentenza ci si senta lesi
nel proprio diritto. Resta per sempre sul tappeto un'obiezione: che
cio 'questo collegio d'appello ancora formato da cardinal'i che so-
no al contempo membri di parecchie congregazioni. Ora, gli organi
giudiziari debbono essere indipendenti dagli organi amministrativi.
Non s'intende con questo affermare che i vertici amministrativi va-
dano controllati dai giudici; si dice invece soltanto che necessario
rispettare i diritti di ciascuno, anche nei confronti dei superiori.
L'evoluzione degli ordinamenti giuridici civili esula sl dall~ com-
petenze ecclesiastiche, ma non si pu affatto dire sottratta ad ogni in-
flusso da parte della Chiesa. Rientra infatti nel'autentico apostolato
20~ ORDINAMl!NTO DELLA CHIESA

dei laici cattolici il dovere di contribuire a dare un'impostazione cri-


stiana allo sviluppo dell'umanit, e quindi anche all'evoluzione del di-
ritto. Ci per altro non esclude aftatto che 1~ comunit ecclesiale pre-
sa globalmente possa anche prendere <rnfficialmente posizione di
fronte a problemi di diritto e di politica, come avviene ad es. nellie
encicliche sociali diramate dai papi. Tali encicliche hanno qualcosa da
dire anche a mohi milioni d'uomini che stanno fuori della Chiesa, sep-
pure non con l'autorit del magistero ecclesiale (magisterium eccle-
Jiasticum ), il cui genuino compito viene definitivo come fedele tra-
smissione ed interpretazione della dottrina rivelata (doctrina revela-
ta, can. 1322). Le fonti della rivelazione non pongono nemmeno il
problema d'una legislazione e d'una giurisprudenza nazionale e in-
ternazionale. L'autorit di queste encicliche sociali e di altre dichia-
razioni si.miliari poggia unicamente sulla stima goduta su scala uni-
versale dal capo di una comunit ecclesiale estesa in tutto il mondo,
che si aderge per principio sopra qualsia.si interesse nazionale e di
altri gruppi. In questo caso, si potrebbe parlare d'una autorit mo-
rale propria, giacch essa non consiste nella fede nella missione rice-
vuta da Cristo n viene riconosciuta come tale, ma riceve il suo in-
cisivo influsso dalle modalit umane e sociali di comportamento.

c. Diritto divino positivo

Quanto stato detto su~ rapporto intercorrente fra postulati di di-


ritto di natura e diritto positivo, vale analogamente anche per i
postulati deUa rivelazione in rapporto al diritto ecclesiale positivo.
Un postulato fondamentale in questo settore che l'ammissione ca-
nonica all'ufficio gerarchico costituisce al contempo una missione sa-
cramentale ricevuta da Cristo. Risulta per chiaro dall'esegesi e dal-
la storia ecclesiastica che istituzioni quali il pontificato supremo, la
carica episcopale, l'ufficio sacerdotale e diaconale, nella configurazio-
ne concreta sotto cui si presentano oggi, non sono stati istituiti in
tutto e per tutto da Cristo, n da lui .fissati per i secoli. Il contenuto
concreto attualmente posseduto da questi uffici e it rapporto vigente
fra loro sono tanto la realizzazione d'un dato gi esistente nella Scrit-
tura, quanto anche il risultato d'una evoluzione storica. Oltretutto,
DIRITTO DIVll'IO E DIRITTO UMANO 209

nemmeno i dati scritturali concernenti la missione e l'autorit, quan-


tunque rimontino direttamente a Cristo, sono tutti e assolutamente
di diritto divino. Si dovrebbero invece qualificare di diritto umano-
divino un agire intrapreso da Dio con l'uomo, in forme compren-
sibili agli uomini, quindi storicamente e socialmente condizionate.
Noi oggi, senza l'aiuto dell'esegesi e quindi d'una scienza, non riuscia-
mo pi a capire cosa significhi ad es. dare a qualcuno la chiave del
regno dei cieli; per Pietro invece, sarebbe risultato incomprensi-
bile se Ges gli avesse detto Ti d la suprema giurisdizione su tut-
ti i vescovi e su tutte le Chiese.
Per una teologia dell'ordinamento ecclesiale e per la sua esatta
valutazione, anche nel dialogo con le altre comunit ecclesiali cristia-
ne, importantissimo mettere in chiaro le conseguenze derivanti
da questa storicit. Si pu accettare che il collegio attuale dei vesco-
vi, sotto la presidenza del vescovo di Roma, secondo la credenza del-
la Chiesa cattolica incarni la successione del collegio apostolico, in
segno al quale Pietro aveva la preminenza. In altri termini, ammis-
sibile ~he il collegio episcopale odierno possa venir considerato l'at-
tuale concretizzazione del dato biblico riguardante gli apostoH. e
Pietro, e che in questo senso possa venir quali6cato di diritto di-
vino o di istituzione divina. Ma onestamente impossibile pre-
sentare l'intero contenuto dell'attuale ordinamento ecclesiale con-
cernente il papa e i vescovi come un blocco immutabile di diritto
divino. La fede cattolica pu sl vedere nella missione del papa
e dei vescovi un incarico promanante da Cristo, collegato in conti-
nuit storica con ia missione originaria di Pietro e degli altri apo-
stoli; ma questa stessa fede non pu ostinarsi a ritenere che in fu-
turo la medesima missione, con la stessa identica continuit storica,
non possa realizzarsi anche in altre forme concrete.
AUorch il primo sinodo episcopale (nell'ottobre 1967) prese in
esame lo schema dei punti principali per la revisione del Codice di
Diritto Canonico, fu fatto subito presente che occorre usare estre-
ma cautela nell'applicare la qualifica di diritto divino a norme con-
crete dell'ordinamento ecclesiale. infatti impossibile, come im-
possibile nell'agire di Cristo stesso, separare nell'agire della Chiesa
e quindi anche nell'ordinamento ecclesiale i~ fattore prettamente
divino da quello meramente umano. La peculiarit di Cristo e
2:r;o ORDINAMENTO DELLA CHIESA

della comunit vivente del suo Spirito sta proprio nel fatto che l'e-
lemento divino risulta abbinato a quello umano. Si discusso se il
sinodo episcopale possa essere un collegio di consulenza per il papa,
oppure un organo decisionale assieme a lui. Si parlato a torto in
quell'occasione di diritto divino: per la collegialit dei vescovi,
contro il primato del papa. Eppure, badando al diritto divino, non
esiste risposta a questa alternativa. L'unico criterio applicabile
costituito qui dalla maggiore o minore utilit per un efficace gover-
no della Chiesa.
Nei problemi concreti dell'ordinamento ecclesiale, bisogna tener
ben presente che l'intero ordinamento ecclesiale riveste un valore re-
lativo e una funzione relativa in seno alfa comunit della Chiesa. Il
compito assegnato a Pietro e agli altri apostoli non mai stato in pri-
mo luogo quello di costruire un sistema di norme vincolanti. Essi
debbono invece avere sperimentato come loro primo diritto ci che
lo stesso Signore aveva vissuto come suo diritto: la piena libert
di dare testimonianza alla verit, esigendo il riconoscimento della ve-
racit di tale testimonianza. Poteva anche succedere occasionalmente
che si dovesse intervenire con autorit e dare delle prescrizioni, quan-
do la cosa appariva necessaria per assicurare la veracit del vangelo:
nel campo della professione di fede, nell'impostazione deUa vita, nel-
l'unione fraterna. Questa autorit di creare un ordinamento e il ri-
conoscimento di tale autorit poggiavano sulla veridicit della pre-
dicazione e stavano al suo servizio. Pietro deve innanzitutto essersi
sentito chiamato ad una particolare responsabilit nel, servizio ai
suoi fratelli. Se egli si fosse trovato costretto ad elaborare delle pre-
scrizioni vincolanti in materia, l'avrebbe dovuto spiegare di persona.
La missione assegnata ai Dodici da Cristo non in primo luogo e
direttamente una specie di norma giuridica costituzionale. Il diritto
gerarchico, al pari del diritto ecclesiastico in genere, non esiste per
conto proprio, come un tutto chiuso in se stesso con una validit in-
trinseca ed autonoma; esiste invece soltanto come possibile strumen-
to al servizio dell'evangelizzazione, che annuncia a tutti la salvezza
offerta dal Signore.
Con questo non si nega affatto il momento divino sussistente nel-
l'ufficio gerarchico ecclesiale. Quantunque le forme fenomeniche con-
crete dell'ufficio gerarchico nel corso dei secoli possano mutare, quan-
OBBEDIENZA ECCLESIALE 2II

tunque anzi cambino di fatto e debbano necessariamente cambiare,


resta comunque sempre assodato che l'ufficio gerarchico non soltan-
to una investitura data dal popolo di Dio raggruppato nella Chiesa,
bens anche una trasmissione della missione assegnata da Cristo. La
comunit ecclesiale non pu disporre a piacimento dell'ufficio gerar-
chico. Un movimento che volesse attaccare con piglio rivoluziona
rio le strutture gerarchice esistenti, sarebbe inammissibile in seno al-
la comunit ecclesiale cattolica. Le evoluzioni operantisi nell'ordina-
mento ecclesiale traggono la loro legittimazione dal loro nesso col
tessuto strutturale preesistente. Pu anche accadere - e purtroppo
non di rado accaduto di fatto-, che gruppi di cristiani intenziona
ti a non rompere i ponti col Signore, si stacchino praticamente dal.
I'organica unit della Chiesa cattolica. Spesso tale rottura andava
ascritta al fatto che l'organizzazione non stava pi, o quanto meno
non abbastanza chiaramente, al servizio dell'evangelizzazione. Ma la
separazione non trover mai una motivazione giuridica nel vangelo:
dinanzi alla coscienza cristiana, sar sempre una colpa e un torto.
Nello sforzo verso l'ecumenismo, alle Chiese cristiane non s'im-
pone in primo luogo l'obbligo di battersi per giungere in definitiva
ad una collaborazione pratica, da svolgere in pace e in mutua esti-
mazione, ma sempre con spirito disimpegnato, cos da restare giu-
ridicamente separate. Esse tendono invece all'unit impegnativa,
di fatto e di diritto. Anche questo compito di ripristinare un'unit
giuridica effettiva in sostanza un postulato di diritto divino. In
quali forme tale unit finir per realizzarsi o per poter attuarsi, oggi
non ancora possibile prevedere. Caratteristico a questo proposito
il fatto, che il momento pi profondo e decisivo di questo sforzo
il desiderio di giungere ad una celebrazione comune, non solo pra
tica ma anche giuridica, dell'eucarestia o della cena. Qui l'ordina-
mento ecclesiale ci appare di nuovo come un assetto della comunio
ne eucaristica col Signore, e tramite lui con i fratelli.

3. Obbedienza ecclesiale

La tipica conformazione della comunit ecclesiale come comunit sa-


cramentale di fede impronta il carattere tutto particolare dell'asset-
2I2 ORDINAMENTO DELLA CHIESA

to ecclesiale, e quindi anche la peculiare validit di tale ordinamento.


Le prescrizioni ecclesiali vincolanti obbl'igano per un verso in manie-
ra pi ampia che non le leggi del diritto civile, ma per altro verso
hanno una validit meno ampia, o meglio, meno assoluta.

a. Obbedienza alle prescrizioni ecclesiastiche

Le leggi del diritto civile non accampano alcuna pretesa di obbe-


dienza. In questo ordinamento giuridico non si esige obbedienza: si
pretende soltanto che le leggi vengano osservate o non trasgredite. Il
consenso interno - bench venga desiderato anche per altre ragioni
- non rientra nel contenuto dell'assetto giuridico civile. La massima
finis legis non cadit sub lege (lo scopo della legge non cade sotto
la legge) si riferisce appunto a questo fatto.
Ebbene: nell'ordinamento ecclesiale, questo assioma non vige as-
solutamente. Nell'assetto ecclesiale, l'ordinamento della societ e del-
la collaborazione esige senz'altro il consenso interiore e l'assenso co-
sciente. L'intero ordinamento ecclesiale, almeno nella concezione qui
data per presupposta, indirizzato precisamente a questo. L' impor-
re e ~evincere l'osservanza esteriore o la mera non trasgressione
d'una prescrizione, senza alcun riferimento all'impostazione interiore
della mente nei suoi confronti, in seno alla Chiesa un autentico as-
surdo. Il diritto ecclesiastico va appreso e tradotto in atto da tutti i
membri, ma non come diritto estorcibile. La sua validit poggia sulla
libera accettazione deli'a comunit, che lo accoglie con spirito di fede.
Tutto ci influisce sul modo in cui debbono venir forgiati i regola-
menti e le prescrizioni in seno all'ordinamento ecclesiale. Un procedi-
mento meramente formale, in cui la prescrizione viene semplicemen-
te imposta senza porre '11 contempo in atto tutti i mezzi per procurar-
le il consenso di tutti gfi interessati, senz'altro uno sbaglio nel qua-
dro d'un ordinamento ecclesiale. Questo vale non soltanto per le for-
me di governo dittatoriali o per le strutture amministrative e politi-
che di stampo oligarchico, ma altres per i cosiddetti sistemi democra-
tici. Un metodo di delibernzione, in cui la met pi uno soverchia
sbrigativamente la met meno uno senza l'ontanamente preoccuparsi
del voto di quest'ultima, risulta pure riprovevole nel campo deUa
~BBEDIENZA ECCLESIALE 2r3

Chiesa. una vecchia regola canonistica, conservata tuttora nel Co-


dice di Diritto Canonico, che le prescrizioni riguardanti personalmente
tutti debbono anche venir accettate personalmente da tutti. La comu-
nit ecclesiale ha Ila consapevolezza di agire bene, allorch agisce col
consensus, ossia con l'accordo morale di tutti.
L'ordinamento ecclesiale deve poi garantire nella misura pi alta
possibile che le delibere vengano prese soltanto dopo aver consulta-
to tutti gli interessati; che tutti ne ricevano la necessaria informa-
zione; che le misure normativa da prendere vengano chiaramente mo-
tivate; che nelle innovazioni si abbia riguardo per tutti, anche per
c-0loro che non trovQno per nuHa facile adeguarvisi; che i regola-
menti e le prescrizioni siano ben differenziati, e si adattino ai biso-
gni, alle vedute e alle usanze delle diverse Chiese locali.

b. Valore relativo dell'ordinamento ecclesiale

La comunit sacramentale di fede non in primo luogo una piramide


gerarchica, in cui tutti i doni dello Spirito fluiscono sulla moltitudine
soltanto dal vertice, ossia passando attraverso il potere gerarchico de-
rivante dalla consacrazione e dalla giurisdizione. Essa invece in-
nanzi tutto una comunit fraterna di tutti nel Signore, in cui tutti -
come suoi fratelli e sorelle - sono per principio eguali. Il suo Spi-
rito concede i propri doni a tutti, come vuole. sempre lui che agi-
sce, nell'agire sacramentale e direttivo della gerarchia. Ma agisce al-
tresl in coloro cui egli accorda il dono della parola, o il dono della
profezia, o queMo della scienza, o quello del consiglio, o il talento or-
ganizzativo, o qualunque altro fra i molti talenti. Tutti sono tenuti
a riconoscere l'azione dello Spirito nei doni della consacrazione e del
governo pastorale, e appunto per questo debbono ascoltare le persone
cui questi doni sono stati concessi. Ma tutti, anche la stessa gerarchia,
sono obbligati pure .ad ascoltare l'azione svolta dallo Spirito in que-
gli uomini cui egli ha accordato uno dci tanti altri doni. Il presentare
il papa, il vescovo od il sacerdote come un altro Cristo in terra
pu dare un'idea distorta dei rapporti anche in seno all'ordinamento
e all'organizzazione della Chiesa. Ogni cristiano chiamato ad essere
un al'tro Cristo, nel senso per che deve farsi guidare dallo Spirito
di Cristo. Nell'obbedienza allo Spirito, sia che questi agisca nella po-
2r4 ORDINAMENTO DELLA CHIESA

test di ordine e di governo pastorale, sia che agisca in uno dei molti
altri doni, ciascuno vive in definitiva l'unica obbedienza all'unico pa-
pa, vescovo, sacerdote e carismatico, che poi il Signor nostro Ges
Cristo.
Succede per continuamente che quest'obbedienza sostanzialmente
unica venga a conflitto con determinate prescrizioni o altri regol'a-
menti della Chiesa. Abbiamo gi rilevato come, per la coscienza
personale, l'obbedienza allo Spirito stia sempre al di sopra dell'ob-
bedienza alla legge, e come !!'ordinamento ecclesiale debba necessa-
riamente mantenersi aperto a quest'obbedienza superiore. Pu an-
che darsi che quest'obbedienza di fondo venga a trovarsi in con-
trasto con determinate norme o con determinate forme di eserci-
zio dell'ufficio gerarchico. La storia ce ne offre esempi a iosa, atti a
dimostrare come uomini veramente mossi dall'alto, per autentica
ispirazione del vangelo, sono arrivati a tale contrasto. L'antichissi-
ma dottrina della correzione fraterna offre gi una legittimazione a
tale contrasto, che ~'autorit non pu ignorare tranquillamente solo
perch essa costituirebbe un'opposizione ai superiori o al diritto.
Si pu addirittura attendersi che gli impulsi al rinnovamento e al-
l'ulteriore evoluzione nella Chiesa in genere non provengano dai di-
rigenti e dagli amministratori, i quali debbono essere pi che altro
i custodi delll'ordine esistente e costituito, per cui assumeranno sem-
pre un atteggiamento piuttosto negativo o quanto meno diffidente
nei confronti delle nuove ispirazioni. L'obbedienza ecclesiale non
esclude affatto situazioni di conflitto. Tali situazioni anzi sono per-
fino necessarie per un sano sviluppo. Le nuove prospettive e le
nuove forme d'esperienza della fede si presentano per lo pi con
una intensit e un'attrattiva tale, da condurre facilmente a prese di
posizione unilatera!~, a un radicale ripudio del passato e del presen-
te. Per far giungere ad una equilibrata maturazione il nuovo, assie-
me a quanto di buono c' nel sussistente, risulta per lo pi inevi-
tabile un periodo di conflitto. Possiamo qui richiamarci anche alla
tradizione canonica della consuetudine contraria alla legge, che pre-
suppone ovviamente una situazione di conflitto fra l'ordinamento
nuovo e quello gi sussistente. Il conflitto non viene rifiutato in
partenza. In effetti, nel corso del tempo, la consuetudine acquista
forza di legge e finisce per soppiantare l'assetto vigente in preceden-
OBBEDIENZA ECCLESIALE

za. Stando alla stessa tradizione, H valore legale della consuetudine


poggia sul consenso dei legittimi superiori. Il nuovo ordinamento
deve insomma venir accettato da tutti, e non pu condurre fuori dal-
l'unit della comunit ecclesiale, la cui custode la gerarchia. Una
nota inconfondibile dell'autentico e legittimo contrasto in seno alla
Chiesa costituita proprio dal fatto che in esso non sono in gioco
interessi di gruppo o posizioni di partito, ma si ha invece la consa-
pevolezza di servire l'intera comunit del'.la Chiesa in cose essen-
ziali, che toccano tutti i cointeressati.
Nondimeno, la rapida evoluzione delle forme di mentalit e di
vita richiede anche nelle Chiese una maggiore apertura al progresso
e una maggiore :flessibilit. Il mezzo pi idoneo ad ottenerle sta nelfa
pi vasta informazione, nella pi intensa comunicazione e nella pi
larga consultazione possibile.

c. Obbedienza comune

In seno all'ordinamento ecclesiale, oggi esiste gi una tendenza al'-


l'informazione, alla comunicazione e alla consultazione su scala pi
vasta. A livello dell governo centrale della Chiesa si ha il sinodo epi-
scopale; a livello diocesano, decanale e parrocchiale, lavorano i con-
sigli presbiterali, i consigli pastorali, i consiglli parrocchiali (comita-
ti diocesani). In molti paesi si sono gi iniziati esperimenti che vanno
anche oltre. Finora per questi nuovi organi - tranne le conferenze
episcopali - sono soltanto corporazioni consultive. una questio-
ne di pastorale pratica se essi debbano acquisire anche facolt deci-
sionali. Si tratta infatti di sapere soprattutto se tali istituzioni siano
realmente rappresentative in rapporto alle varie correnti esistenti in
seno alle Chiese, cosicch ciascuno possa portare in piena libert il
proprio contributo al dialogo e alla formazione delle delibere. :B ov-
viamente opportuno che la fissazione del tempo, del luogo di raduno,
dell'ordine del giorno, della direzione assembleare e via dicendo, si
debbano affidare a determinate persone. E evidente altres che non si
potranno prendere delle decisioni definitive contro i legittimi supe-
riori. Ma non dobbiamo dimenticare nemmeno che tali disposizioni,
di per s ragionevol'i, possono anche venir fatte oggetto di abuso,
al fine di coartare nuovamente il libero influsso di questi organi e
216 ORDINAMENTO DELl.A CHIESA

dei loro membri, per scansare nuovamente il necessario dialogo su


problemi scottanti, per buttar polvere negli occhi e sotto la parvenza
della collegiallit continuar a governare in maniera assolutistica. Qua-
lora ci succeda per davvero, tali istituzioni non conducono alla con-
cordia, bensl ad aspri conflitti.
La comunicazione e la consultazione possono realmente funziona-
re bene in seno alle Chiese, sol!tanto quando la vecchia concezione
dell'obbedienza verticale (ossia dell'obbedienza cui tenuta la mas-
sa di fronte al vertice gerarchico) avr lasciato il posto alla convin-
zione delfa necessit e della giustezza dell'obbedienza orizzontale,
vale a dire all'obbedienza comune verso il Signore. Non compito
della gerarchia imporre od ostentare a tutti le proprie vedute, la
propria ispirazione e piet. Lo Spirito del Signore pu distribuire
conoscenza, ispirazione, piet e tante altre buone cose ancora, do-
ve e a chi vuole. E a questo Spirito, dovunque e a chiunque si ri-
veli, debbono prestare ascolto tutti i membri della Chiesa, dentro
e fuori dalla gerarchia. Il governo pastorale della Chiesa, visto co-
me compito peculiare della gerarchia, deve preoccuparsi soprattutto
di favorire il pi possibile l'o sviluppo e la fioritura dei doni elar-
giti dallo Spirito (a tutti e dappertutto!), opponendosi invece deci-
samente a tutto quanto non proviene dallo Spirito, a tutto quanto
non onesto ma interessato, a tutto quanto sa di costrizione, a tut-
to quanto falso e menzognero. Ecco il servizio che la gerarchia de-
ve prestare a tutti, affinch siano concordemente uniti e i doni di tut-
ti incrementino l'unit. Il servizio invece che tutti debbono prestare
alla gerarchia, quelfo di riconoscerla ed onorarla come segno inal-
berato dal Signore e come garante dell'unit di tutti. Cos l'obbe-
dienza unilaterale, minorenne e infantile si evolve in un'obbedienza
comune d'impronta vicendevole, nell'unica obbedienza determinan-
te verso lo Spirito del Signore.

d. Ordinamento ecclesiale e vita religiosa personale

L'evoluzione intra-ecclesiale che porta all'obbedienza comune, cor-


risponde pienamente ai postulati del vangelo e della teologia. Tut-
tavia essa non va immune dalle tendenze democratizzanti della so-
0BBEDIENZA RCCLES1ALE 217

ciet odierna. Presuppone infatti un'indipendenza sociale, senza cui


una tale evoluzione non si potrebbe avere nemmeno in seno alla
Chiesa. n concilio Vaticano II, assieme all'esigenza d'un cristiane-
simo maggiorenne e responsabile, ha necessariamente caldeggiato al
contempo anche l'esigenza d'una assai pi approfondita formazione
e istruzione religiosa. I regimi patriarcali sono inevitabili, anzi ad-
dirittura necessari, in una comunit di minorenni. Sar bene per
rendersi conto che noi, nel processo maturativo della comunit ec-
clesiale verso la maggiore et, siamo appena agli inizi. Non desta
quindi alcuna meraviglia, se dobbiamo constatare che la Chiesa sta
passando una crisi di maturazione; e meno ancora dobbiamo mostrar-
ci sorpresi se questa crisi di maturazione si manifesta con i sintomi
pi vistosi nei sacerdoti e nei religiosi. Da un lato si sente la spinta
a liberarsi dall'autorit patriarcale e da un diritto coercitivo; ma
dal1'altro non si ancora abbastanza maggiorenni per vivere in ma-
niera indipendente e con senso di responsabilit la propria fede e
la propria vocazione.
Ora, in una situazione come questa, specialmente nel settore del-
la vita religiosa personale, l'ordinamento ecclesiale non pu ormai
pi operare a forza di prescrizioni vincolanti, ma deve invece preoc-
cuparsi molto pi dell'istruzione e della formazione. Parecchie fra
le pi recenti mutazioni dell'assetto ecclesiale sono orientate appun-
to in questa direzione. Le prescrizioni riguardanti il digiuno prima
della comunione sono state fortemente semplificate; i precetti del
digiuno e dell'astinenza sono stati ridotti al minimo; rn divieto di
leggere libri proibiti non pi una prescrizione canonica tassativa,
ma rimasto soltanto una direttiva per la condotta etica personale;
i documenti ecclesiastici concernenti tali materie pongono l'accento
pi sull'istruzione che suNe prescrizioni; le comunit religiose ten-
<lono ad una maggiore flessibilit nel seguire i dettami della regola
concernenti l'assetto della giornata, il silenzio, i tempi d'orazione e
tante altre cose. lnol'tre, si pu constatare una specie di formazione
di consuetudine, in cui si manifesta la medesima tendenza. Cosi p.
es. l'obbligo di assistere alla messa le domeniche e le feste vien
raccomandato sempre meno come prescrizione canonica strettamen-
te impegnativa; anche tra i sacerdoti che prendono sul serio la ne-
cessit della preghiera personale rego~are, se ne incontra un nume-
218 ORDINAMENTO DELLA CHIESA

ro sempre maggiore di quelli che scelgono di loro iniziativa le pre-


ghiere, i salmi- e le lezioni per l'orazione quotidiana, considerando
le prescrizioni ufficiali in materia pi come linee direttive che non
come leggi canoniche vincolanti; la casuistica legale incentrata su co-
se del genere appartiene ormai definitivamente al passato. Nei vesco-
vi e nei sacerdoti che si battono per la dissociazione dell'ufficio ge-
rarchico dal celibato, si nota pure n desiderio di svincolare una scel-
ta che tocca cosl profondamente la vita personale da prescrizioni
canoniche vincolanti.
Pur senza esprimere alcun giudizio su tutti questi sintomi, biso-
gna tuttavia ammettere che un nuovo ordinamento ecclesiale dovr
fare i conti ancor pi seriamente con queste tendenze. Il vero cam-
po dell'assetto ecclesiale (e deP diritto in genere) l'ordinamento
dei rapporti sociali e delle relazioni inter-personali, non l'inquadra-
mento della vita individuale e personale. A quest'ultimo livello, le
norme canoniche vincolanti possono avere un valore pedagogico:
per coloro che in fatto di religione sono ancora minorenni, e per
gli uomini non ancora adulti. Quando si ha da fare con cristiani
adulti, le prescrizioni tassative non hanno pi alcun significato per
questo settore. La tesi secondo cui comunione ecclesiale e diritto
si escludono a vicenda, palesemente falsa quando si riferisce al-
l'ordinamento dell'agire comune; ma non del tutto erronea quan-
do si tratta invece della vita religiosa individuale e personale. Il
comportarsi religiosamente qualcosa di ben diverso dall'ubbidire
ad una legge ecclesiale positiva. Allorch uno va a messa ra dome-
nica perch prescritto, non compie ancora un atto autenticamente
religioso; agisce invece davvero religiosamente, soltanto allorch que-
sto suo atto inoltre un'estrinsecazione dd suo ossequio personale
e de11a sua fedelt a Dio. Per un immaturo nel campo religioso, in-
vece, l'obbedienza ad una legge di cui egli non scorge il valore in-
trinseco, ma l'osserva egualmente per rispetto all'autorit ecclesiale
che egli considera come una rappresentanza dell'autorit divina, pu
davvero essere implicitamente un atto religioso. Sono molti quelli
che hanno vissuto la loro religiosit in questo modo, e ve ne sa-
ranno ancora sempre molti che agiscono cosl e non riescono a fare
diversamente. Sicch, per molti, l'obbedienza al precetto ecclesiale
di ascoltare la messa la domenica stato e continuer ancora ad es-
DIRITTO COME DIRITTO DI SERVIZIO 219

sere un'autentica espressione della loro religiosit, quand'anche es-


si non comprendano molto il valore dell'eucarestia per la loro vita
di fede. Ma per i cristiani adulti e ormai maggiorenni, che capisco-
no il valore intrinseco di quanto la legge prescrive, la legge di-
venuta superflua. Chi comprende il valore dela celebrazione euca-
ristica agli effetti della vita di fede cattolica, percepir al contempo
anche la propria responsabilit e quindi l'obbligo morale di par-
teciparvi.
La coerente applicazione dei principi qui enunciati viene a com-
portare che l'ordinamento ecclesiale, tanto nei suoi precetti quanto
nelle punizioni che irroga, si va limitando sempre pi all'inquadra-
mento della vita comunitaria pubblica della Chiesa, lasciando l'in-
tero settore della coscienza personal\: e della vita religiosa personale
alla catechesi, alla predicazione e alla pastorale, eventualmente con
prescrizioni concernenti questa attivit. L'orazione personale, la pe-
nitenza, il digiuno e l'astinenza, l1a frequenza con cui si deve assi-
stere .alla celebrazione dell'eucaristia e confessarsi, insomma lfin-
tera gamma della vita religiosa personale sembra destinata a non
cadere pi sotto la regolamentazione canonica. In tai taso, ovvia-
mente non si potrebbero nemmeno pi comminare o prendere mi-
sure disciplinari ecclesiastiche per trasgressioni occulte delle prescri-
zioni ecclesiali; le sanzioni i questo genere verrebbero riservate in-
vece soltanto a quelle modalit di comportamento che minacciano ~
comunit ecclesiale nella sua esistenza o nella sua attivit.

4. Il diritto come diritto di servizio

Dalla concezione fondamentale dell'ordinamento ecclesiale, visto co-


me assetto vincolante per la comunione sacramentale di fede esi-
stente fra gli uomini che grazie alla loro unione col Signore sono
uniti anche fra loro, e la cui unione vicendevole vuor essere l'espres-
sione e il segno del vincolo che collega ciascuno personalmente e
tutti insieme a lui, risulta influenzata anche la visione dei rapporti
vigenti nell'ambito di quest'ordinamento, i quall comportano diritti
e doveri vicendevoli. Questa visione si pu abbmzare col termine
programmatico di diritto di servizio.
220 ORDINAMENTO DELLA CHIESA

a. Funzionalit dell'ordinamento ecclesiale

Innanzitutto affermiamo questo: nell'ordinamento ecclesiale non pu


esistere alcun diritto posseduto da quakuno in esclusiva, solo nei
confronti di un ahro, e quindi suscettibile di provocare una scissione
e un conflitto sul piano religioso. I doni dello Spirito accordati a cia-
scuno servono all'edificazione del corpo, della Chiesa, e soltanto do-
po, di riflesso, allb sviluppo della personalit del soggetto. Le pre-
scrizioni ecclesiali esistono appositamente per far giungere nella mi-
sura pi vasta e migliore possibile i doni dello Spirito ad affermarsi
nel loro buon diritto. Non si tratta di imbastire organizzazioni per-
fettamente funzionanti, bens principalmente di far s che le organiz-
zazioni risultino utili e profittevoli alla vita religiosa dell'uomo. Nel
quadro dell'assetto ecclesiale, devono venir inserite delle misure pre-
cauzionali per un ininterrotto controllo sul buon funzionamento del-
le sue istituzioni e prescrizioni.
Si pu ovviamente discutere se una prescrizione canonica tragga
la sua validit unicamente dall'autorit del legislatore, oppure se
essa abbisogni inoltre dell'accettazione da parte della comunit cui
destinata. Questa per sarebbe una questione pi che altro teorica
ed astratta. Quand'anche infatti ci si attenga alla teoria che la vali-
dit formale dipende soltanto dal1'autorit, il quesito in pratica non
ancora affatto risolto. La prescrizione avr praticamente e realmen-
te adempiuto il suo compito, unicamente qualora sia possibile por-
tarla effettivamente ad esecuzione, ossia qualora le persone interes
sate abbiano davvero la buona volont di tradurla in atto. Fintanto
che cos non , e particolarmente quando si pu anzi prevedere il
contrario, il lancio d'una pur valida prescrizione soltanto un
mero formalismo. E in questo modo non si serve nessuno, anzi, si
scredita e si snerva la genuina validit dell'ordinamento ecclesiale
preso nd suo insieme. Le prescrizioni di validit meramente forma-
le non sono soltanto inutili, ma dannose. Un esempio sintomatico
in materia potrebbe essere quello d'una organizzazione giudiziaria
perfettamente progettata, impostata scientificamente sotto il pro-
filo giuridico, alla quale poi nella gran maggioranza delle province
della Chiesa manca di fatto il necessario personale. Un altro esem-
pio calzante quel'lo d'una prescrizione, di per s legittima e ragio-
ll!RITTO COMll DIRITTO Dr SERVIZIO 221

nevole sotto l'aspetto logico, concernente la disciplina ecclesiastica,


il cui mantenimento risulta per assolutamente impossibile in seno
aHe strutture sociologiche odierne. Anche molti convinti assertori del
celibato sacerdotale ammettono che il .restare aggrappati alla validit
legale di questa legge, in un territorio in cui la maggior parte dei
sacerdoti non riesce ad osservare questa legge (e neNa situazione in
cui versano risulta loro anche moralmente impossibile osservarla),
senza aver alcuna intenzione di mutare almeno un pochino tale si-
tuazione, esattamente il contrario d'un ordinato assetto con cui si
servono davvero gli uomini. Cosl facendo, i superiori pongono tali
sacerdoti ma anche se stessi fuori della legge.

b. Disciplina ecclesiastica

Un autentico diritto di servizio esige quindi che si vogliano seria-


mente portare le prescrizioni ad avere anche una validit pratica. In
effetti, l'ordinamento ecclesiale non sussiste per fonnulare ideali
astratti, lasciando per il resto Ila vita reale al caso e al mero arbitrio.
I precetti che impongono per principio di partecipare all'eucarestia
e alla restante vita ecclesiale, debbono venir osservati anche nella
prassi. Per conservare la comunione ecclesiale cattolica, va diven-
tando sempre pi chiaramente necessario che Jle Chiese locali e in
primo luogo le parrocchie, ove gli uomini vivono e rappresentano
nella maniera pi diretta la loro comunione cattolica, siano davvero
comunit sacramentali di fede, e si presentino come tali anche
all'esterno. In questa prospettiva, la recessione delJl'ecclesialit or-
mai constatabile dappertutto pu venir valutata persino come un
sintomo positivo. Agli uomini che appartengono a queste comunit
per motivi diversi dalla convizione di fede personale, magari con la
pretesa di partecipare alla sua vita, non si rende alcun servizio, o
per lb meno alcun servizio autenticamente ecclesiale, quando non si
spieghi loro che una tale partecipazione in qualit di membri
insensata e persino falsa. E meno che meno si -rende un servizio
alla comunit stessa. Anche qui, occorre oggi usare parametri di-
versi da quelli usati in passato. Una Chiesa composta di preti e re-
ligiosi cui affidata la cura dei laici, accampa esigenze diverse e me-
222 ORDINAMENTO DELLA CHIESA

no impegnative d'una Chiesa intenta a rendersi conto che tutti i fe-


d.di sono inviati nd mondo come testimoni deP vangdo. Ora, che
la Chiesa cattolica abbia optato per quest'ultima soluzione, stato
dichiarato esplicitamente in parecchi documenti del concilio Vati-
cano II, il quale lo ha ribadito con energia. Abbiamo gi accennato
alle esigenze positive che in seguito a questo vengono poste all'or-
dinamento ecclesiale, per quanto concerne l'organizzazione d'una re-
te informativa per tutti e il diritto d'intervento di tutti. Vi si pu
qui aggiungere un'esigenza negativa, e precisamente quella di un mi-
gliore riassetto della disciplina ecclesiastica. Se una Chiesa vuole
accreditare Ila propria missione in seno al mondo attuale, dovr ne-
cessariamente riesaminare con spirito critico la veracit della testi-
monianza cristiana che sta dando con la parola e con le opere. Il li-
bro v del Codice di Diritto Canonico, intitolato Dei delitti e delle
pene, che poggia tuttora interamente sulfa fictio juris d'un giu-
dice penale ecclesiastico e d'una relativa giurisprudenza ecclesiasti-
ca, sarebbe meglio lasciasse il posto ad un assetto disciplinare con
tutt'altra funzione. In esso ovviamente non si parler pi di puni-
zioni, che mirerebbero a vendicare la trasgressione della l'egge e a
correggere il trasgressore; si parler invece di misure tendenti a pro-
teggere e conservare le comunit ecclesiali come comunit sacramen-
tali di fede, assicurandone la testimonianza nel mondo. Non si trat-
ter pi allora di giudicare 1'a coscienza e la responsabilit morale
dei trasgressori delle leggi ecclesiastiche, bens di dimostrare che le
Chiese si distanziano da determinate convinzioni o modalit di com-
portamento, desiderando di non considerare le persone che vi stan-
no dietro come loro esponenti, giacch altrimenti la peculiarit deMa
Chiesa e la sua testimonianza corrono il rischio di perdere il loro
contenuto e il loro mordente. Anche qui sar importantissimo che
l'assetto ecclesiale organizzi lla formazione della delibera per tali fac-
cende, cosicch la comunit vi si riveli chiaramente, e non si man-
tenga in piedi una procedura suscettibile di dar l'impressione che
alcuni possano imporre forzosamente a tutti la loro convinzione
personale.
DUIITTO COME DIIl.lTTO DI SERVIZIO 223

c. Prestazione di servizio

Il carattere di servizio rivestito dall'ordinamento ecclesiale esige,


inoltre, che l'esercizio delle funzioni direttive o di altri uffici gerar-
chici si presenti di fatto come autentico servizio, prestato agli uo-
mini che si trovano ad aver da fare con esso. Cosi, tanto per por-
tare un esempio, non si fa certo capire di voler aiutare gli uomini
caduti in difficolt matrimoniali, quando a forza di regolari pro-
cessi, corredati di udienze, di escussioni di testi e di perizie, di gros-
si fascicoN, di atti, si arriva infine a constatare se sia possibile o
no una dichiarazione di nullit o uno scioglimento di matrimonio.
In tal modo, infatti, il giudizio ecclesiastico si presenta agli uomi-
ni non come un servizio fraterno, bensl come un potere dispotico,
che in forza della sua autorit accampa delle esigenze a cui essi so-
no sottoposti. Lo sforzo ecclesiale potr apparire un vero servizio
offerto a'fila vita religiosa personale degli uomini, soltanto allorch
essi si sentiranno compresi personalmente nei loro problemi, allor
ch riusciranno a capire che quanti hanno a che fare con loro in
nome della comunit ecclesiale, condividono personalmente la loro
situazione e sono disposti a dar loro una mano, giungendo poi a de-
cisioni veramente responsabili, sostenibili di fronte a Dio, alla loro
coscienza e alla Chiesa.
In via generale, si pu affermare che in un ordinamento della
Chiesa va per principio evitata !a trattazione impersonale, for-
malistica, di situazioni spiccatamente personali. Si pensi a questo
proposito non soltanto ai casi di difficolt matrimoniali, ma anche e
soprattutto alle difficolt inerenti alla questione dei rapporti fra ce-
libato e voti religiosi. La prima preoccupazione della Chiesa dev'es-
sere proprio quella di assistere e aiutare nel loro travaglio gli uo-
mini che versano in tali situazioni, offrendo loro il' modo di giun-
gere per loro conto a decisioni responsabili. E una volta che abbia-
no deciso di chiedere effettivamente la dispensa, non ha pi senso
dedicare ancora alla richiesta processi che si protraggono per mesi
ed anni. Sar utile che dalla direzione centrale della Chiesa venga-
no emanate delle linee orientative fondamentali da tener presentr.
in tali decisioni, sia per quanto riguarda la materia, sia per quanto
concerne la procedura. E sar pure ammissibile che la direzione cen-
224 ORDINAMENTO DELLA CHIESA

trale della Chiesa ritenga auspicabile un controllo generale sui rela-


tivi processi. Tuttavia, si stenta a vedere come oggi sia ancora de-
siderabile che lia direzione centrale si riservi l'ultima decisione in
queste faccende e in altre similari: cosa che comporta necessaria-
mente perdite di tempo, inutili spese per la trasmissione e spesso
per la traduzione degli atti, ma soprattutto una trattazione imper-
sonale di faccende quanto mai personali. In tali frangenti, un siste-
ma burocratico spesso la causa per cui essai frequentemente i cu-
ratori d'anime che hanno da fare con gli uomini e si sentono respon-
sabili nei loro confronti, non osano nemmeno pi additare loro la
via ufficiale e decidono sbrigativamente per conto loro: con co-
scienza pi o meno retta, e col pericolo di perdere di vista i ne-
cessari prindpi operativi. Una soluzione abbastanza buona potrebbe
quindi essere quella per cui il vescovo o la conferenza episcopale
instaurano per il loro territorio una regolamentazione intelligente,
atta per lo meno a garantire che tali faccende vengano curate da
persone competenti a ci appositamente deputate. Queste potranno
poi anche badare a che il tempo richiesto delle prescrizioni formali
venga ridotto al minimo. Ma costituirebbe un servizio ancor mi-
gliore, qualora la stessa direzione centrale dell'a Chiesa intraprendes-
se una decentralizzazione di queste procedure.
L'ordinamento ecclesiale dovrebbe oggi far sl che i parroci locali e
i loro collaboratori pastorali possano trattare personalmente con gli
uomini di cui sono responsabili, senza essere tanto legati ad inutili
formalit e a pedantesche procedure. Al contempo per, bisogner
provvedere a che essi siano ben istruiti, al punto da poter accollarsi
con polso fermo la responsabilit del proprio territorio. Almeno una
cosa deve comunque apparire assolutamente chiara: che nella di-
scussione su un ordinamento ecclesiale cosl impostato, e sui relativi
problemi, valgono soltanto gli argomenti incentrati su un autentico
ed efficace servizio da prestare alla cura d'anime. Qual'ora vi inter-
venissero anche motivi d'altro genere, quali il mantenimento di po-
sizioni di potere, di uffici burocratici e di investiture gerarchiche, o
addirittura di entrate finanziarie, si pu star certi che una tale poli-
tica ecclesiastica non solo provocherebbe enormi danni spirituali, ma
rappresenterebbe anche la rotta pi sicura per colare a picco.
DIRITTO COME DIRITTO DI SERVIZIO 225

d. Al servizio deH'uomo

Nelle pagine precedenti, abbiamo cercato di abbozzare la base teolo-


gica d'un ordinamento ecclesiale adeguato all'odierno concetto di
Chiesa, accennando anche almeno ad alcune fra le pi importanti
conseguenze che trae con s questo concetto di Chiesa per la revisione
dell'assetto ecclesiale. L'ordinamento della Chiesa in definitiva la
organizzazione del lavoro spirituale di servizio ai singoli uomini; per
cui, innanzitutto la comunit locale che deve poter organizzare li-
beramente il vero e proprio servizio. L'ordinamento ecclesiale infat-
ti comincia dalla base, non dal vertice defila gerarchia. La diocesi or-
ganizzer il lavoro di servizio in seno alle parrocchie non oltre la mi-
sura necessaria o auspicabile per l'unit della diocesi stessa, e per il
resto imposter 1%eramente il proprio lavoro al servizio della par-
rocchia. Lo stesso principio vale per quanto concerne i rapporti delle
diocesi con le province ecclesiastiche e rispettivamente con le confe-
renze episcopali, e per queste in rapporto alla direzione centrale del-
la Chiesa latina. Dovrebbe rappresentare uno dei criteri da seguire
per la revisione del Codice della Chiesa latina, quello di far si che
esso contenga soltanto le norme vincolanti necessarie o auspicabili per
l'unit di tutte le Chiese di rito latino. Per il resto, a livello di ordi-
namento ecclesiale, il compito delle istanze centrali potr consistere
in una prestazione specializzata di servizio alle Chiese locali, nella
misura in cui queste ne hanno bisogno per la loro organizzazione. Un
nuovo Diritto Ecclesiastico uniforme, dettagliato sin nei minimi par-
ticolari, per tutte quante l'e Chiese di rito latino, si deve considera-
re ormai escluso, date le forti differenze sussistenti nel tipo e nello
stadio evolutivo deHe varie culture, anche religiose. Al contempo
per, riveste un ruolo importante anche la grande differenza di con-
tatti con altre Chiese cristiane e con altre religioni: un ruolo nei
confronti del quale rorganizzazione ecclesiastica deve mantenersi
aperta, e al quale, da parte delle altre comunit ecclesiali cattoliche
che non hanno tali contatti n li conoscono per esperienza, non deb-
bono per lo meno venir posti degli inutiN intralci.
Anche in seno alle Chiese locali, l'ordinamento ecclesiale dovr
sempre ricordarsi di essere un'organizzazione al servizio dei singoli
uomini. E pure in questo settore dovr restare sempre aperta la pos-
226 OKDINA114ENTO DELLA CHIESA

sibilit d'una azione pluriforme. Qualora si voglia servire l'esperien-


za religiosa e l'attivit ispirata alla fede d'un determinato gruppo di
fedeli con una speciale e nuova forma d'organizzazione, che si stacca
dalle forme unitarie prescritte o non s'inquadra nella cornice delle
istituzioni gi esistenti, bisogna ovviamente far posto anche aM.a nuo-
va forma. Ora, una forma canonica ormai nota da un pezzo, ma at-
tualmente usata con sempre maggior frequenza e adattissima allo
scopo, il cosiddetto esperimento. Sotto l'aspetto dell'ordinamen-
to ecclesiale ogni esperimento consentito, purch non minacci l'u-
nit di tutti. Un tempo di rapida evoluzione come il nostro esige da
una parte un alto grado di apertura nei confronti di nuove forme
organizzative; dall'altra per, richiede anche una buona dose di pru-
denza, affinch tanti uomini ormai incapaci di tener dietro a questa
evoluzione o troppo lenti nel seguirla non perdano i contatti con la
comunit ecclesiale, cui sono legati e di cui ancora abbisognano. An-
che qui, la base per una soluzione degli inevitabili conflitti si potr
trovare soltanto nello spirito di mutuo servizio. Se le nuove forme
sono veramente autentiche, i valori in esse racchiusi finiranno per
venir comunicati dai fedeli pi progrediti anche a tutti gl'i altri; e
se il vincolo che lega alle fonne gi esistenti davvero genuino,
ovvio che i valori in esse espressi si vorranno anche conservare per
tutti. Quando manca questa positiva volont di comunicazione e di
collegamento, quando si formano dei partiti in lotta gli uni contro
gli altri e tendenti ad escl'udersi a vicenda, si ormai prossimi allo
scisma. Fedelt ad un ordinamento ecclesiale (malgrado tutte le ten-
sioni sussistenti in esso, che anzi possono legittimamente sussistervi),
vuol dire fedelt all'unione che stringe tutti in un solo abbraccio.
Nella comunit sacramentale di fede, questa unit non costituisce
soltanto una libera decisione d'ogni fedele cattolico, ma altresl il pre-
cetto fondamentale dato dal Signore - in cui e per cui questa unit
sussiste - ad ogni singolo indivi<luo e a tutti insieme. Il primo ed
ultimo servizio che deve svolgere l'ordinamento eccl'esiale, il ser-
vizio al testamento di Ges, che tutti siano una cosa sola: una cosa
sola non solo di fatto, per libera opzione dell'uomo impegnativa per
alcuni e per altri no, bensl anche di diritto, per ordine impartito da
Cristo a ciascuno personalmente e a tutti quanti assieme, ossia nel-
DIRITTO COME DIRITTO DI SERVIZIO 227

l'unit del sacramento, in cui tutti sono uniti fra loro dal pensiero
polarizzato su di lui.
Un ordinamento ideale della Chiesa si pu avere soltanto in una
comunit ecclesiastica ideale. Per cui, all'atto pratico non esister
mai. Le considerazioni test fatte prestano facilmente il fianco al rim-
provero di essere troppo idealistiche e di non tener conto del!la real-
t. Si pu rinfacciare loro soprattutto di pretendere troppo dalla con-
vinzione e dall'esperienza di fede d'ogni singolo cattolico, attribuen-
do invece un valore troppo scarso ai vincoli religioso-sociali. Abbia-
mo gi detto per che in pratica siamo ancora nella fase iniziale agli
effetti dello sviluppo. La realizzazione dei postulati che oggi si pon-
gono ad un ordinamento ecclesiale, esige tempo e pazienza; fino al
momento in cui si tradurranno in atto, ci saranno ancor da superare
molte tensioni e numerosi conflitti. Le mte ideali devono fare i
conti con la realt, se non voglfono ridursi a meri fuochi di paglia.
Tuttavia, anche vero che l'ordinamento della realt deve per prin-
cipio orientarsi sull'ideale. Questo vale in maniera tutta particolare
e radicale per una comunit come la Chiesa. Un ordinamento eccle-
sial~ pu essere davvero un assetto degno della Chiesa, unicamente
allorch il suo indirizzo fondamentale rester sempre quello di ser-
vire alle finalit presentate come ideali dalla fede nel Signore; diver-
samente, esso finir per scadere, declassandosi ad una forma qua-
bnque di formalismo farisaico.

PETER HUIZING

BIBLIOGRAFIA

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3. Sull'obbedienza

A. Mi.iLLER, Das Problem von Befehl und Gehorsam im Leben der Kir
che, Einsiedeln 1964.
CAPITOLO SETTIMO

L'EUCARESTIA COME MISTERO CENTRALE

Il mistero, che lta Chiesa, raggiunge la sua densit massima nell'eu-


tarestia. In essa la Chiesa si manifesta come il popolo radunato di
Dio nel suo pellegrinaggio attraverso il tempo e il cui viatico co-
aa
stitiirto Cristo stesso. Nel convito della cena la Chiesa realizza
nd modo pi profondo la sua essenza di corpo universale e $acra-
mentale di risto, in essa avviene la perfetta integrazione del Chri-
stus individualis nel Christus totalis, si attua la manifestazione spa-
zio-temporale del Cristo glorioso. Pertanto proprio in questo sa-
cramento che viene in chiar_o il permanente innesto della Chiesi!, in
Cristo. In esso questi r~alizza neNa misura pi abbondante la sua
presenza nella Chiesa. In quanto Signore glorificato egli presente
in mmie;;- invisibile con la sua persona nella comunit radunata.
Nella parola e nel gesto anamnestici di questa diviene presente con
latitudine pneumatica anche la sua opera salvifica di un tempo. Egli
diviene presente corporalmente e si offre in cibo attraverso gli ele-
menti del banchetto. La presenza sostanziale del suo corpo e del suo
sangue costituisce la propriet dell'eucaristia, che la rende il verti-
ce dei sacramenti. Naturalmente essa continua a denunciare il carat-
tere di proY.!~oriet proprio del periodo della storia della salvezza
nel quale noi viviamo; continua ad essere celebrata fino a quando
eg!_i ritorner (I Cor. n,26). L'eucarestia ci arreca il Signore, ma
no~--n~n;Sa gloria, bens nel suo nascondimento nel simbolo. In
tal modo essa rivela la coesistenza del 'gi' e del 'non-ancora'. Nel-
l'eucarestia si riflette altresl il carattere gerarchico fondamentale del
la Chiesa; il rapporto che intercede tra Cristo e la Chiesa si configu-
ra nel rapporto tra il sacerdote e il popolo. Anche il duplice carat-
tere della Chiesa, co~~~to e come comunit di salvezza, ri-
splende nell'eucarestia. Questi pochi accenni per ora possono bastare;
sono sufficienti a dirci come in realt l'eucarestia sia un mistero
centrale.
SEZIONE PRIMA

FONDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO

L'essenza e la realt dell'eucarestia, stando alla testimonianza del


Nuovo Testamento, hanno il loro fondamento nelJi'istituzione da
parte di Ges. La liturgia e la teologia della Chiesa, che hanno fatto
seguito, in fondo non si considerano altro che come sviluppo delle
fondamentali asserzioni neotestamentarie.

I. La cena di Ges secondo i racconti neotestamentari dell'istituzione

a. I racconti dell'istituzione

Ne possediamo quattro:
I Cor. 11,23-26: lo infatti ho ricevuto dal Signore ci che a mia volta
vi ho trasmesso: il Signore Ges, la notte in cui fu tradito, prese il pane,
(v. 24) e, dopo aver reso grazie (Euxapi<T't{Jcra.i;), lo spezz e disse: 'Que-
sto il mio corpo, che (dato) per voi. Fate questo in memoria di me'
(v. 25). Similmente, dopo la cena, prese il calice e disse: 'Questo calice
la nuova alleanza nel mio sangue. Tutte le volte che ne berrete, fatelo
in memoria di me' (v. 26). Ogni volta, infatti, che voi mangiate questo
pane e bevete questo calice, voi annunciate la morte del Signore, fino a
quando ritorner.
Le. 22,15-20: E quando giunse l'ora, egli si mise a tavola, e gli apostoli
con lui {v. 15 ). Ed egli disse loro: 'Ho ardentemente desiderato mangia-
re con voi questa pasqua, prima di soffrire (v. 16) poich vi dico: Non
la manger pi finch non trover il ~uo adempimento nel regno di Dio'
(v. q) E prese un calice'. recit la preghiera di ringraziamento e disse:
'.Prendetelo e dividetelo fra voi; (v. 18) poich vi dico: d'ora innanzi
non berr pi del frutto della vite, finch non verr il regno di Dio'.
(v. r9) E prese del pane, recit la preghiera di ringraziamento, lo spez-
z e lo diede loro con le parole: 'Questo il mio corpo, che sar dato per
voi. Fate questo in mia memoria' (v. 20) E allo stesso modo (prese) dopo
la cena il calice con le parole: 'Questo calice la nuova alleanza nel mio
sangue, che viene versato per voi'.
FONDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO .z3x

Mc. 14,22-25: E mentre essi mangiavano; egli prese del pane, disse la
benedizione (E).oyi)11a) (su di esso), lo spezz e lo diede ad essi di-
cendo: 'Prendete, questo il mio corpo' (v . .z3) E prese un calice, disse
la preghiera di ringraziamento (Exa.pLU'ti)O"at;) e lo diede ad essi, e tutti
vi bevvero (v. 24). Ed egli disse loro: 'Questo il mio sangue dell'allean-
za, che versato per molti ( v. 2 5) In verit vi dico: io non berr pi del
frutto della vite fino a quel giorno in cui lo berr di nuovo nel regno
di Dio'.
Mt. 26,26-29: E mentre essi mangiavano, Ges prese del pane, disse
la benedizione, lo spezz e lo diede ai discepoli con le parole: 'Prendete,
mangiate, questo il mio corpo' (v. 27) E prese un calice, disse la pre-
ghiera di ringraziamento e lo diede loro con le parole: 'Bevetene tutti;
(v. 28) perch questo il mio sangue dell'alleanza, che versato per
molti a remissione dei peccati (v. 29) Ma io vi dico: D'ora innanzi non
berr pi di questo frutto della vite .fino a quel giorno in cui lo berr di
nuovo con voi nel regno del Padre mio'.

aa. Visione generale. Un primo sguardo generale sui racconti 1 mette in


chiaro che tutt'e uattro le rico i si riferiscono ad un unico e mede-
simo jlvvenimento, a ' tima cena di Ges prima della sua passione-:Que-
sta cena viene4nnunciata dai Sinottici (Mc. 14,16: Mt. 26,19; Le. 22,13.
15) come celebw~.<J~la pasqua, nel suo svolgimento per non viene
descritta come tale in maniera pi precisa. I racconti pteferiscono ilmi-
tarsi a sottolineare due riti conviviali ti icamente iudaici, e cio i gesti
di ~es su eane e i vi~o, a oro benedizl@e e distribuzione ai discepo-
li. Nel far ci Ges non si limita alle usuali formule giudaiche di bene-
dizione, ma conferisce al pa.ru:Hilfkrro .lfila...ri:laziQn.~qj!_~_ immola-
to nella morte. e, aL vino, una relazioni.! con il suo sangue. versato, attua-
lizzando cosi la nuv~"'""alleanza escatologi~a & nrc; gif
con u~~ini; infine
stabilisce un legame tra la sua ultima cena e il futuro banchetto nel re-

1 Della ricca bibliografia citiamo J. )EREMIAS, Die Abendmahlsworte Jesu, GOt-


tingen 193' 11967 (trad. it. Le parole dell'ultima cena, Paideia, Brescia); H. LEs-
SIG, Die Abendmablsprobleme im Lichte der ntl. Forschung seit 1900 (Diss. foto-
mec.) Bonn r953; H. ScHilRMANN, Der Paschamablbericht Lk 21, (7-r4) 15-18,
Miinster 1953; lo., Der Einset:.ungsbericht Lk 22,19"20, Miinster 19,5; lo., Der
Abendmahlsbericht Lk 22,7-38, Leip:zig 31960; ID., 'Le parole di Ges durante la
cena alla luce dei suoi gesti', in: Condlium 10/r968, ed. it., pp. 1713-1725; J. BETz,
Die Eucharistie in der Zeit der griechischen Viiter, I/r, Freiburg 1955, l-81, 140-156;
11/1, Frciburg 21964; E. ScHWEIZER, 'Das Abendmahl im NT', in: RGG 1, 31957,
10-21; P. BENOIT, 'I racconti dell'istituzione dell'eucarestia e il loro valore', in: Ese-
gesi e teologia, Roma i:964, r63-204; J. CoPPl!NS, 'Die Euchsristie. Sekrament und
Opfer des Neuen Bundes: Fundament der Kirche', in: J. GJBLEll", Vom Cbristus
zur Kircbe, Wien 1966, 159-201; F. I-IAHN, 'Die alttestamentlichen Motive in der
urchristlichcn Abendmahlsiiberlieferung', in: EvTh 27 (1967) 337-374; B. SANDVIK,
Das Kommen des Herrn beim Abendmahl im NT, Ziirich 1970.
232 EUCARESTIA

gno di Dio, che significa l'unione perfetta tra Dio e l'uomo. Questi ele-
menti costituiscono la sostanza fondamentale comune a tutti quattro i
racconti.2
Ma necessario tener presenti anche le dtfferenze che si possono notare
nei testi. Oltre alle minori divergenze stilistiche balzano agli occhi le se-
guenti oggettive differenze: per quanto concerne il rito esterno della ce-
.!!!. secondo Paolo i ges ane sarebbero ~~~-~nut! lpriml!J della cena,
mentre quelli sul qlice sarebbero avvenuti o diessa. In Mc./Mt. i
due orQIDL di gesti vengoOQ__campWti ~nsie~el e, secondo ogni verosimi-
glianza, assumono il senso di conclusione d? a celebrazione pasquale ( 14,
17-21). Il testo lucano, a prima vista, riproduce l'ordine di successione
p, olino, ma la posticipazione di wcrctv't"W~ potrebbe anche far pensare al-
la CO ~one mardana) del rito del pane alla conclusione del banchetto.
Per quanto concem-le parole d1 Gesu, le aggfi!Dte ai lQgia del pane e del
calice hanno lo stesso senso materiale, ma una differente collocazione nei
divf!lli racconti; Paolo riporta un'aggiunta (abbreviata) a proposito del
.1211)e, mentre.. Mc. /Mt ne hannn una a proposito del calice, e Le. a pro-
posito di entrambi. u.@ formula del calice J!'<>i ha in tutti i testi gli stessi
termlf!.i predicativi, ma un diverso e opposto ordine in Paolo e Le., da
una parte, e in Mc./Mt., dall'altra_ Infine 1n Mc. e Mt. mafica del tutto
l'ordiQe di ripetere il rjro ordine che jn Paolo si trova due volte e in Le.
una. Ecco quindi la prima visione d'insieme: i quattro racconti dell'isti-
tuzione naJ;!!ill?JQ_~atto. Di essi, il paolino e il lucano, da una parte
il marciano e il matteano, dall'altra, fotmano delle unit rigorose e rap-
presentano, di volta in volta, le variazioni tipiche di due correnti di tra-
dizione. alla cui base sta, a sua v.2!!.a..,_ una t~adizione primitiva. Paolo e
Marco costituiscono le manifestazioni principali, e indipendenti tra loro,
di queste due correnti.

bb. Carattere liturgico. Quanto al lorQ_gl'.ill~JeJ~ru;r_ario per molti aspet-


ti, i racconti della cena devono essere conillk.r.~!LY.!1!1 tradizione liturgica

--
della comunit.
I.
. --
Il racconto si distingue da quanto precede mediante un chiaro av-
vio, vale a dire con la concorrente ripetizione di xa:t l~i6vtw"V in Mc.
14,22 confrontato co~ x'4.~-8-"(Mt. "26:i6-21), e in Pacl~-;.;:;~diante l'im
piego dell'enfatico appellativo cultuale XVPLO~. 2. La mancanza di CO
.JQ[e, che mette in evidenza soltanto ci che deve valere per ogni ripe-
tizione della celebrazione, ma trascende (anche se non del tutto) i det-
tagli storici del convito istitutivo di Gesti, pu essere spiegata in base
alla proclamazione liturgica. 3. In base ad essa si spiegano anche gli

2 C-ompaiono perci i termini decisivi: xlv iip-rov, EuxapLai:Ei:v/E.oy-Ei:v, (!iir


liOVllL), !7Wa., 'ltO-ti)p1ov, a!a., !i1a.tf)x1}, l1tp, OUX'tL, ~llO'LEla.
l'ONDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO 233

inviti rivolti ai partecipanti: Prendete, mangiate, bevet~ 3 che si trova-


no nella tradizione sinottica, nonch l'espressione pa~o-lucana per
~>, l'ordine di ripetere il rito, la presentazione del calice come di una
entit nota ('t" 1to pLov). 4. All'uso litur ico ri andano anche la pre-
gnanza e a r atezza di alcune formulazioni, in particolare e e pro-
posizioni interpretative, ma soprattutto la tel}d.enza al parajklismo, con-
statabile in tutti i racconti. che emerge in Paolo mediante l'cr'tlv delle
formule di istituzione e il comando di ripetere il nto che s1 incontra
due volte, in Luca mediante il duplice .yw\/ e le incidentali partici-
piali aggiunte alle fonnule del pane e del calice, e in maniera pi ac-
centuata in Mc./ Mt. mediante l'assimilazione del rito del calice a quel-
lo del pane, della formula del calice a quella del pane. 5. In I Cor.
I1 2 lo stile non aolino ), in Mc. la narrazione solennemente iera-
tica e sostituisce lo stile se arco, tra scono or1g1ne Cul-
ftuale dei testi. Quale sia il loro luogo di origine ce lei a1ce l~invol'!cro
linguistico semitizzante. Infatti non sono sorti da un terreno ellenistico,
ma giudeo-cristiano. 6. Paolo infatti, mediante la coppia di concetti
'ltrtptxa~&.VEw : '!tet aoLo6\/rtL che riflette la tecnica della trasmissione
.r.abbinica, definisce espressamente il suo racconto co~ osis; inol-
tre il xal prima di 1tapowxa indica che la r~ezione della tradizione av-
viene al!Q._!!esso modo della trasmissione. qindi nel quadro di una ca-
tena di tradenti UJIWli. Essa ha la sua origine nell'uomo storico Ges;
ma 'in 'a:n: 1ou Kvplou si pu vedere anche un accenno al Signore glo-
rificato che domina l'intera tradizione. Da tutto ci risulta che i raccon
ti neotestamentari dell'istituzione non sono stati formulati direttamente
dai loro testimoni, ma rappr~o .un - e addirittura il pi antico
- brano di vangelo anteriore ai vangeli, traggono origine dal culto della
comunit f< per il loro .Jorito J~!J,fil!Js!ko Jtffond1m9_J'<.Joro radici nella
comynit pal~11~in~se. Essi ci descrivono l'ultima cena df Gesti-non in
m~ca, elencando tutti i particolari degni di essere cono-
sciuti, ma operando una semplificazione alla luce e nella prospettiva di
ci che ha valore per la celebrazione liturgica della comunit.
cc. Epoca di composizione dei racconti. Se la formulazione linguistica
dei racconti neotestamentari dell'ultima cena am iamente desunta dal
culto della comunit sorge il problema se anche il lpro contenuto a 1a
un'uguale origine, se cio sia stato elaborato all'interno del culto oppure
si radichi.. nella t:ealt..s101:ica.Mtulti_ma cena di Ges. Per chiarire que-
sto problema dobbiamo studiare l'antichlt~-;-Fevoluzione della tradizio-
ne. Un primo punto di partenza er conoscere l'antichit dei testi rap-
presentato . a a oro mtro uzione nel NT. In r Cor. 11 Pao o incu ca la
sua paradosis della cena verso llifj7; egli l'ha partecipata per la pri-

3 L'invito a mangiare, a bere per pu anche risalire allo stesso Ges.


234 EUCAll'ESTIA

ma volta ai co~ 51; egli stesso l'ave".! ricevuta pochi anni


prima~asione dd suo ingresso nella comunit dei cristiani come
una formula fissa nella sostanza, anche se non nef particolari. Deve per-
ci -risalire agli inizi degli anni 40. Rispetto a ci i .inottid scriYono
il loro vangelo solo molto tardi, Mai:co verso il zo. Luca e Matteo an-
cora pi tardi. Essi ~ - e ci non pu essere dimenticato - non
fanno che accogliere un patrimonio gi :fissato, per cosi dire de~li ele-
menti di_costruzione gi pronti. Quanto poi questi siano antichi non pu
essere dedotto dalla data del loro ingresso nel NT, ma in base a criteri
obiettivi. Alcuni studiosi o delle vie filolo iche e considerano pi
antk_o il racconto che ha il ma ior numero e smi e quindi pos-
siede la maggiore vicinanza linguistica alla forma aramai!dl originaria.
y.. Si considera cosl come pi antico il testo marciano.4 Nondimeno il gra-
do di colore semitico presente nellp lingua d informa piuttosto sull'arte
della traduzione che sull'antichit e lo stato del mOdell tradotto e non
rivela necessariamente una maggiore o minore vicinanza obiettiva all'ori-
gine della cena. Un passo avanti viene compiuto dallo studio attento al-
la storia redazionale. per il QllSk la composizione letteraria dci versetti
eu,aristici dell'istituzione va tenuta presente assieme agli anticlli versetti
del banchetto pasquale. I versetti di Le. 22,15-18 (come pure it paral-
lelo Mt. 14,25) non alludono all'antica pasqua 'giudaica, Ml. a.quella rin-
novata dei cristiani, vale a dire all'eucaresti,a.5 Che il calice pasquale di
Le. 22,17 s. debba essere inteso escatologicamente e quindi, in fondo,
eucaristicamente, quanto nella composjzjone lucana yiene pi accen-
nato che chiaramente espresso dall'aggiunta espHcativa al racconto dd-
l'istituzione, mentre in Mc 14,24-25 l'identificazione pi eyidente e
ftbik. La composizione tJlUciana peKi pu verisimilmente essere con-
siclctaui pi recente, in quanto questo testo ebbe a disposizione pi tem-
po per raggiungere una forma matura. Ancor pi istruttivi sono i dati
rituali dei racconti. Su questo punto Paolo e Luca, con la loro notizia
dopo la cena, ci presentano la
significativa successione: pane -. piat
to forte - calice. Tale successione non farebbe Tie imitare la cena di
istitu_zione di Ges, lo svolgimento di un'& celebrazione pasquale. In Mc.
f /Mt. invece le due az1oru eucadsttehe sono urufiate e, alieno idealmen-
\ te, staccate dalla cena normale. In tal mOdo esse vengono sempre pi
situ.ate alla fine della celebrazione (cf. anche Did. 10,6). A questa prassi
accenna forse la stessa trasposizione dell'wcr11v'twc; in Le. 22,20. Gi nel
midrash di Paolo all'antico racconto dell'istituzione si pu vedere la
tendenza a separare la comunione sacramentale dal banchetto normale (cf .
. ---=---------------- .
4 Tesi sostenuta da J. ]El!.BMJAS, op. cit., 16_j-183, cosl~ da P. BBNOIT, op.
cit. e da 'Ceci est mon corps', in; NRTh 80 (1958) 1027; altri nomi
in
5
J.
.L__DuPoNT,
Brn, op. cit., n/1,
2 quanto ha dimostrato H.
2,. ScHi!RMANN, Der Paschamahlbuicht, cit.
FONDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO

r Cor. n,21.33 s.). Comunque il racconto sinottico della cena pi for-


temente condizionato dall'evoluzione litur ca, che tende a smtettzzare,
uniforma azioni euc 'che. Perci in esso si ve>
nuto accentuan arallelismo lin istioo. Ora l'azione sul ca-
lice viene stilizzata in ana ogia a que a sul pane. Ma soprattutto la sen-
tenza marciana del calice Questo il mio san e dell'alleanza ha rag-
giunto la maggiore uni ormazione possibile con sentenza e pane
<~Questo il mio corpo. Ma tale opera di parallelismo pu essere stata
compiuta solo in un secondo tempo. Se la forma parallela delle parole di
benedizione fosse stata la forma originaria, non avrebbe permesso che
sorgesse una formulazione divergente e probabilmente. avrebbe presen-
tato la coppia 0'6.p~/ata; invece di quella O"Wa/ala. Da tutto questo
si pu arguire che la forma della tradizione aolino-lucana sia nel com-
plesso la pi antica, "anc e se non in tutti i particolari. In questo senso
depone anche il fatto che in essa pi fortemente accentuata l'antichis-
sima cristologia del Servo di Dio.
In base a[Paolo e Lu~ possibile ricostruire una forma antica del rac-
conto della cena, la cui figura potrebbe essere la seguente: 6 -
Il SignoreGes, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, rese le
grazie, lo spezz e lo diede ad essi dicendo: Questo il mio corpo,
che dato per voi. Fate questo in memoria di me. Lo stesso, dopo la
cena, fece con il calice dicendo: Questo calice la nuova alleanza nel
mio sangue, che viene versato per voi. Fate questo in memoria di me.
Questa forma del racconto, che pu ben risalire ai primi quarant'anni,
richied~!!.~ parola di spiegazione. Significative sono, ad esempio,
le incidentali .p.ar,t_i:jQiali aggiunte alle parole sul pane e sul calice; sen-
za di esse solo con molta difficolt si potrebbe comprendere il senso
deH'a21ione. Nell'itppo:fi:iiione ~~na _deL.P.l!!!I;_ manca _del tutto il
o~o6filY.~'11 che si trova in Le., per cui ne sorge una formula sintetica
tipica dello s~~~- dell'apostolo, ma impossibile in aramaico; il participio
quind~trebbe essere origiuario. Paolo lascia cadere anche l'aggiunta
lucana del calice <{versato per molti~. che obiettivamente origina da Is.
,53,10.r2 eha il suo pendant anche in Mc./Mt. Essa pure potrebbe es
sere originaria e non-soltanto---uiiafonniiZ'ione simmetrica secondaria o
un prestito da Mc. 1 La ripetizione paolina del precetto istitutivo per s
potreb~essere un parallelismo formalmente liturgico, ma potrebbe an-
che essere<rer tutto or1gmar1a, m quanto condizionata dalla separazione
rituale del calice dal pane. Quanto alle idee questo racconto originario
fortemente influenzato dalla cristologia del Servo di Dio, che dal pun-

6 Tentativi di ricostruzione, leggermente diversi, si hanno in H. ScHi.iRMANll,


Einsettungbericht, dt., 81; J. BETZ, op. cit., n/1, 16; J. CoPPENS, op. cit., 168.
7 Cosl J. CoPPBNS, op. cit., 167 s.
EUCARESTIA

to di vista linguistico segnalata dai termini mx.pEOlOO'tO, 0~06EVOV,


7tp TCO...wv, oia.1'1)xT), txxuw6EVO'V. Anche la forma della tradizione
~a, che nel complesso si presenta in una figura pi recente, tra-
disce ancora l'influsso della cristologia del Serva di Dio, ad esempio nel-
l'aggiunta del calice. Inoltre questo racconto contiene alcune formula-
zioni antichissime. Tra esse, oltre ali' Ev.oye:~v (invece di EXCX.PLCl'tE~V),
si deve menzionare a osizione ebraica delle parole nell apposlZlone par-
ticipiale deJ calice, ma soprattutto accentuato ~ml ISmO U1t p W!.W'll
al posto dilmo Qv. Esso ha la sua radice in Is. 53,12, ha un signifi-
cato (inclusivo) universale (per la moltitudine, cio per tutti) e pu es-
sere considerato antico, mentre l'v~1e_il~y_ va inteso piuttosto come
un'acclamazione li~_urgica secondaria e un chiarimento linguistico. Anche
l'invito..J. aanF pu essere antico e originare da Ges, se egli stesso non
mangi del pane. Un particolare problema sollevato dalla mancanza in
Mc. dell'ordine di ripetere l'eucarestia. Tale mancanza ~u essere
interpretata nel senso Che Gesfi non avrebbe avuto affatto l'intenzione di
istituire. qualcosa e che l'eucarestia, in ultima analisi, sarebbe sorta sol-
tanto dalla prassi conviviale generale della comunit. A ci si oppone
il fatto che proprio lo strato J:ri1Lantico della tradizione conservato in
Paolo e in Luca contenga il logion esI!.licito. Inoltre il carattere della
cena quale nuova pasqua implica l'idea della ripetizione, come del re-
sto implicata anche dalla prospettiva escatologica di Mc. 14,25, che
caratterizza il calice eucaristico come un'anticipazione che unisce al ban-
chetto del regno di Dio. Infine in Mc. l'inserimento del racconto cul-
tuale nella storia della passione potrebbe aver spostato l'accento, men-
tre d'altra parte per l'evangelista la celebrazione potrebbe essere stata
cosl naturale da fargli ritenere superflua la citazione esplicita del comando.
dd. La figura originaria della tradizione sulla cena. La stretta affinit
materiale e linguistica della tradizione paolina con quella marciana ci
autor~--s~pporre-Peslstenza -C!Tillia.. iraaE~lone originaria comune. Quan-
to al \fon tenuto I essadoveV'aronsistere della benedizione e distribuzione
del pane e aelcalice (durante un banchetto), del loro riferimeil'fo al cor-
po~sangue dr Gesu 119nCh alla sua morte espiatrice; essa. conteneva
inoltre la costituzione della nuova alleanza, la prospettiva del cnvito nel
regno di Dio e l'ordine della ripetizione. Naturalmente non possibile
ricostruire per mtero laligUra linguistica della tradizione originaria; es-
sa, anche se definita come paradosis (I Cor. II ,2 3 ), non sarebbe una
entit fissata letteralmente fin nell'ultima sillaba. Certamente la forma
comune lucano-paolina vicina alla tradizione originaria; in quest'ulti-
ma per si devono -inserire anche gli antichissimi cJ~~~_!_i__ marciani,
come EoyE~V, v1tp 1tO.wv, ma anche l'invito a mangiare.
Attenzione merita anche la forma originaria e iniziale delle parole sul
calice. La sua versione paolina i:ovi:o i: r:oi:i}p~ov ii 'I.a.~ v'} 8Lcx.ih'}X'l)
J'ONDAMENTO BIBUCOTEOLOGICO 237

a-.tv '\/ ~ tQ atci-.~ ci smhra la pi antica perch contiene meno


parallelismi; inoltre l'espressio~ 'V "<i'l o:i:a.-.~ neL~ comp;re-per lo
pi stereotipata coroe citazione (Rom. 3,25; 5,9; Eph. 2,13; I ]o. 5,6;
Apoc. 7,14; 22,14), quindi antica. La formulazione marciana -.oii"t"6
fo"t"w -. al.ci .ou "tTIS S~o:~iixnc invece viene ripresa solo pi tardi in
Hebr 2.20; ro,29; 13,20. Essa si presenta abbastanza chiaramente co-
me imitazione e rilettura del testo-modellQ Ex. 24,8, afferma esplicita-
mente l'identit di calice e san ue e u essere com resa come illustra-
zione della versione paolina. Infatti gi per quest'ultima si eve tre
che se l'espressione 'll "t"@ ata"t"~ si rjferisce soltanto all' alleanza o al
calice o alla loro identificazione (sottolineata dall' <r"t"l'll), il contenuto
del calice viene in ogni caso specificato, in ultima analisi, dal sangue,
per cui pu essere visto come personificazione e realizzazione dell'allean-
za. Ci si potrebbe immaginare l'antica formula paolina del calice come
la foJmula originaria usjta da!la bocca di Ges; potrebbe per - e
chi lo vorrebbe negare? - essere anche una formula sintetica affinata
da l'uso cultuale. Si pu persino evidenziare una forma originaria delle
parole ...m e 10e, dalla quale poterono svilupparsi come da un unico
ceppo le ~e versioni. Basterebbe formulare nominativamente coroe
't" yap altX. ou (Ft' dami) il testo tv ..-<!) a.i'..a-.~ (bedami) concepito in
forma causale per avete un'espressione da cui, in maniera relativmen-
te facile, si potrebbero dedurre sia la formulazione paolina che qiJella
marciana d~logion del caHce, anzi si potrebbe spiegare l'intero logion
lucano del calice con la sua particolare divergenza tra la costruzione no-
minativa e il suo dativo relativo a.tct"t~. Quest'ultima forma originaria
del logion del calice avrebbe potuto suonare cos: 't"OU"tO -. 1tO"t'llPLO\I 'ii
xo:Lvi) SLa~fix11, 't" yap attX. .ou 't" txxuw6E'llO'V 1tp Tto)..)..w'V.
La tradiziorut.2!"iginaria della cena che abbiamo ro osto a randi linee,
rimane pur sempre ra icata nell'ambito della Chiesa, non pu cio es-
sere senz'altro .identificata con la lettera delle espressioni usate da Ges.
Anche senza questo la descrizione dei gesti origina dalla comunit; ma
anche ~le di Ges sono pervase della fede di essa e condizionate
dalla s_a lit!,l_i[a-: Si pone cos il problema: hanno esse subito in questo
modo un~formazione sostanziale? Non potrebbe essere accaduto che
un banchetto dt addio relativamente semplice, in se_guito e alla luce del-
i3r-1las.qua, sia stato riempito di un contenuto cristologico e soteriologico,
come suppongono alcuni critici, di modo che il banchetto neotestamen-
tario ..del Signore non sarebbe un'istituzione di GsI in un senso vero e
rigoroso, ma soltanto una sua posteriore imitazione, la concezione che
la comunit postpasquale avrebbe avuto del suo significato per la pro-
pria esistenza, l'espressione di un'autocomprensione cristologicamente ar-
ticolata della comunit primitiva? 8
8 t questa la spiegazione dell'interpretazione puramente esistenziale, quale vie-
l!UCAKESTIA

In questo contesto non sembra superfluo notare che il dogmatico non


obbli&1to a sostenere a tutti i costi un'istituzione espHcita d~ cena
da parte del Ges storico e una tradizione fedele fin nelle parole delle
sue affermazioni, un'institutio in specie immutabili. Potrebbe anche par-
lati:: di un'inrtitutio in genere, che troverebbe implicita nella fondazione
di una comunit di salvezza, attribuendo cosl la creazione della cena
allo Spirito santo. Ma il problema sollevato sopra ha una propria impor-
tanza e un interesse specifico anche per il dogmatico come per ogni cre-
dente.
Prima di giudicare sul nesso storico tra l'antichissimo banchetto bibli-
co e il Ges storico dobbiamo indagare sul senso e sul contenuto teo-
logico di quella celebrazione. Dobbiamo quindi vedere anzitutto quale
sia Ja pretesa teologica dei raccnnti per poi esaminarne la credibilit
storica.

b. Senso della cena di Ges secondo i racconti neotestamentari


dell'istituzione

aa. La cena nel quadro della sua prassi conviviale in generale.


L'ult,~gia cena di Ges, in quanto suo testamento nella forma di un
ba1fhetto, in. fondo un fenomeno sui generis. Essa comunque non
del tutto priva di rapporti con la sua vita e con il suo tempo. Ci
sono dei fatti che permettono di accedere ad una sua mlghore com-
prensione. Non si tratta di un fatto improvviso, ~sl di un fatto
pensato da lungo tempo (Le. 22,15; cf. ]o. 6,51 ss.), non di un caso
singolo, ma dell'esito _!!ignificativo di U.!!.~ prassi conviviale esercitata
cau....zelo. Ges non cura soltanto la quotidiana comunione deUa ta-
vola con i suoi discepoli, ma ban<;_hett~_~on ogni sorta di persone,
persino con i peccatori e i pubblicani (MZ;~~6), e ci.CL in funzione
dimostrativa e con scandalo dei fari!_Ci. La comunione co~Male se-
condo la concezione_giudaica significa solidariet con i commensali.
In quanto messaggero escatologico di Dio egli documenta cosl l:'inte-
re~~ di Dio ~! essi. n suo atteggiamento conviviale gi una rea-
lizzazion~ del convito messianico, in quanto lo sposo con essi
(Mc. 2,19), un segnoescat0Iog1c0<1el-filtfo che la sovra01t egale
di Dio incombe ed g! presente con la sua azione, ins~ pre-

ne proposta in maniera significativa da W. MARXSl!N, Das Abendmahl alr christo-


logisches Problem, Giitersloh 1963.
FONDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO 239

ludio e anticipazione del convito nuziale escatologico nel regno di


Dio (Mt. 22,1-14; 25,1-13; 8,n).
Il banchetto messianico _, a maggior ragione, l'a nutrizione delle
migliaia di perso~ fatto che deve essersi compiuto soltanto una
v.$.!,a, ma c e r erisce 5el vo te, in Mc. e Mt. nei doppioni ori-
ginanti da tradizioni diverse.9 Certi tratti della narrazione, come il
suo-ConcenttirsTiiteramente sull'azione di Ges, la menzione del
luogo solitario e la divisione della folla in gruppi, ci presentano
1'azione come la ripetizione del miracolo della manna nel deserto e
1
Ges come il nuovo Mos, cosa che Giovanni afferra chiarissima-
mente (]o. 6,14.32). Non a caso i gesti di Ges vengono caratteriz-
zati da un'inflessione eucaristica. Egli, come nella cena, svolge il ruo-
lo del padre di famiglia ebraico: pronuncia la benedizione, spezza il
pane e lo distribuisce. Questa descrizione - e in modo particolar-
mente chiaro il termine evxa.p~O"rE~V in Mc. 8,6; Mt. 15,36; ]o. 6,II
- fa venire alla mente l'ultimo banchetto di Ges, durante il qua-
le il nuovo Mos celebra e affida ai suoi il nuovo convito dell'atleanza.
Il suo senso e il suo contenuto sono -stati e ven ono s esso e vo-
lentieri spiegati piu pro on amente ricorrendo all'idea della pasqua. 10
Infatti secondo i Sinottici Ges compl la sua ultima cena come con-
vit!?_..E_~~e (Mc. 14,16 s.j Le. 22,15); veramente secondo ]o. 18,
28 essa ebbe luogo un_ giorno prima della festa. Per questo il carat-
tere pasquale del banchetto d'istituzione di Ges stato fino ai no-
stri giorni energicam~te contestato. 11 Comunque stiano le cose per
quanto riguarda la coincidenza cronologica della pasqua e della ce-
na, chiari indizi testimoniano che la vicinanza della pasqua giudaica
ha influito sulla celebrazione di Ges. La consuetudine della pasqua
offriv-;d~lle ;trutture rituali e delle categorie ideali in cui Ges po-
teva infondere il suo nuovo contenuto. Cosl egli ~:lareJ? sua
euca~estia si serve della frazione del pane che antecedeva il vero
e proprio pasto e della (terza) coppa della henedizione. 12 Inoltre

' Mc. 6,31#; Mt. 14,14-21: Le. 9,n-17; Mc. 8,1-10; Mt. 15,32-39; Jo. 6,11~.
10 !!. quanto stato fatto in maniera convincente da J. lEaRMJAS op dr , }J-82.
11 R. FENEBl!llG, Cbristlicbe Passafeier und Abendmahl, Miinchen 1971, ritiene
superata la controvenia, in quanto il racconto dell'istituzione una sedimentazione
della celebrazione cultuale cnlti'ana. ------
12 Lo- svoJgrienfoproaenagJiato della pasqua giudaica descritto da J. JERE
MIAS, op. cit., 79 S.
EUCARESTIA

l'interpretazione giudaica dei tipici elementi della pasqua (azzimi,


erbe amare, agnefilo) offriva dei punti ,;Ii aggancio per l'illustrazione
delsuoi doni. Dal punto di vista materiale essi sono certamente qual-
cosa di completamente nuovo, che supera la vecchia pasqua giudai-
ca,13 E'a che pur sempre riallaccia ad essa. La pasqua,.e.Ea la profon-
dissima memoria che Israele faceva delle gesta salvi.fiche comeiute
da..Dio in ;ggitto (Ex. 12,14), l'attualizzazione conviviale dc:ll!, sua
~nza, e insieme uno sguardo pieno di..peranza _gettato sulla sal-
vezza ecatologica, un'attesa del messia e del suo~ proprio in
questa notte. 14 Ges _rjprende la memoria e l'attesa rivolte alle ge-
sta salvifiche di Dio e d loro compi!!!rolo: egli compie l'offerta dei
suoi doni eucaristici nel senso di una presentazione della nuova real-
~ifica, eh~ viene costituita nella sua persona e nd suo abban-
donarsi orte espiatrice, costituisce la nuova alleanza e anticipa
il compimento salvifico d la basilia. Come l'antica pasqua giudai-
ca, anche quella nuova da lui istituita nO.tl.1.!c_>ltanto un ricordo sog-
getthrn di coloro che la celebrano, ma un'oggettiva attualizzazione
Icultuale della realt salvifica escatologka. In quanto nuova pasqua
la cena di Ges deve essere ripetuta - anche senza un ordine espli-
cito.
Infine, l'ul'tima cena di Ges viene illustrata anche dal suo carat-
tere di banchetto d'addio. Di un tale banchetto parla il tardo giudai-
smo..1. sul modeHo di Isacco in Gen. 67, a proposito dei patriarchi e
dei messaggeri di Dio. 15 Non si tratta semplicemente d~o preso
per l'ultima volta, ma di uno speciale atto testamentario. Di fronte
alla mo~te l'uomo di Dio attinge ancora una volta nel banchetto la
forza vitale e distribuisce una benedizione. . nella quale, per cosl dire,
raccoglie e sintetizza la sua intera vita. Il banchetto di addio uni-
.~ irrepetibile, e la benedizione di addio vale per coloro che sono

13 t quanto compare nella maniera pi evidente in Mc., che annuncia un han


chetto pasquale (14,16), ma poi racconta l'istituzione dell'eucarestia (14,22-25). Lo
stesso va detto per 1-c. 22,15-20; infatti la pasqua menzionata ai vv. 15-18 non
quella giudaica, ma la pasqua trasformata (mutata nelle sue funzioni) in senso cri-
stiano, cio l'eucarestia, come ha giustamente riconosciuto J. Schiirmann.
Secondo F. HAHN, op. cit., 354 s., alla base di Le. 22,15-20 sta una celebrazione
giudaico-cristiana della pasqua senza l'agnello e con un solo calice, il cui vertice
conclusivo rappresentato dall'eucarestia.
14 Documenti in J. }ERl!MIAS, op. cit., ,50-,56.
151 Cf. ]uh. 22,1-9; 31,22 s.; Test. Nepht. 1,2.
f(INDAMENIO BIBLICOTEOLOGICO

fisicamente presenti. Ges infrange le categorie correnti. Egli, ve-


ro, non p.angia gri elementi del convito eucaristico, ma imparte ad
essi l~ sua benedizione, .fhe rivolge come istituzione permanente a
tutte le generazioni future, in quanto egli ha acquistato la salvezza per
tutti. La cena di Ges porta a compimento il senso del banchetto di
addio, la comunicazione della benedizione.
bb. Cena e sovranit regale di Dio. Quanto l~ena origini dal-
l'intera vita e attivit di Ges, e sia quindi comprensibile soltanto
in quest'ot_tk;, quanto lo stesso Ges sintetizzi ed esprima le sue
profondissime intenzioni nella cena, cosa che emerge anche dal fat-
to che egli la mette esplicitamente in rapporto con la sovranit re-
gale di Dio, cio con il centro del suo messaggio. Gi da lungo tempo
la piet giudaica si rappresentava il: rewo di Dio con l'iromagine
del banchetto solenne escatologico. 16 Nella -sua predicazione Ges
riprende que~magiiepm. 8,u; 22,1-14); lo stesso far nella
cena, che svolger nella cosiddetta ottica escatologica, nella prospet-
tiva e nelfa dinamica dell'imminente basilia. Qg_t'ultima l'oriz-
zonte entro cui ci diviene possibile fa com~sione-~TI~~~o eu-
car~~-~~~~o aspetto escatologico ci tramandato da tre logia, il
doppione di Le. 22,16 e 18, che precede il racconto dell'istituzione,
e il logion isolato di Mc. 14,23, connesso con la sentenza eucaristica
del calice, che rappresenta certamente la redazione linguisticamente
pi Gciginaria. l11__9Uesti versetti Ges assicura solennemente che non
ma~_: non berr .Ei. Non si tratta di un voto di astinenza, ma
pinttostQ della rinuncia a partecipare al ~sto eucaristico, quindi
\l uni!_ profezia della sua morte. Ma questa profezia non rimane la sua
ultima parola: nella trionfale certezza della vittoria ;i.1'...non-pi egli
fa seguire l'escatologico bere-di-nuovo nel regno (compiuto) di Dio.
Ci sar quindi una continuazione della sua ultima cena. Ma la sua
morte e la basilia non stanno tra loro in un rapporto puramente
esteriore; anzi proprio l'a~etl'aziooe della morte. che egli subisce
in vista della basilia, a introdurre in quest'ultima, nella quale egli
berr con i suoi il nuovo vino escatologico. In questa promessa vie-
ne i1roclamata la speranza della resurrezione e la convinzione che con
la sua mortt... subita in vista della basilia, ha inizio una nuova tappa

' Cf. Is. 25,6; 65,13; Ien. etiop. 62,14; Apoc. sir. Bar. 29,8; Pirqe Ab. 3,20.
EUCARESTIA

della realizzazione di quest'ultima. Ci risalta ancor pi chiaramente


dalle altre affermazioni di Ges che dobbiamo esaminare dettaglia-
tamente. In questo evento conviviale egli ;encle gi presente la sua
morte, l'anticipa cultualmente. E porge degli alimenti totalmente
nuovi, cio se stesso, come rivelano le parole di benedizione pronun-
ciate sul pane e sul vino. Infatti l'intero evento conviviale situato
nella scia, nell? djnams della basilia, di qui attinge la sua reah,
un'anticipazione del regno finale di Dio. Ma rivolgiamoci ora a quan-
to di nuovo e di peculiare Ges ci offre nella cena.

cc. Senso e natura dell'eucarestia vera e propria. Come sostanza


eucaristica dell'intero evento, in tutti i racconti, emerge il doppio
atte di benedizione e di offerta del pane e del calice. In questo modo
Ges ripete due tipici gesti del banchetto giudaico, la frazione del
pane e Ja .ili~.!!!'f@one- dcl calice, unto d1 apertura e di conclusio-
ne di ogni banchetto solenne giudaico, non soltanto di quello pasqua-
le. Il complesso concet~razion~ del pane omprende il ren-
der!_ e l'elevare il pane dalla tav01i, 1 pronunciare la benedizione
(Berakha), fo spezzare la focaccia di pane e l'offrirla ai commensali.
Il senso principale de rito ;ta nell'impartizione della benedizione,
co11I1Cssa con il pane, ai_parte<;~P_l!!lti in modo da unirli in comunio-
n~viale. Lo stesso scopo si ~oT"r-~ggiungere con la distribuzio-
ne del calice della benedizione. Quindi il momento principale del-
l'evento conviviale va ravvis-;n nell'atto di donazione o di offerta.
Con esso per ogni volta connessa una benedizione, la proclama-
zioE_e della Berakh!!J che vuole essere una celebrazione rammemo-
rante .eJjc;Qn_Qg_ent~_~r _k.g~he di Dio, che si oggettiva-
no nel dono in questione. L'azione convivial'e e, in essa, specialment~
!'offerta, non soltanto un puro m~~~to -~-~~!!!C:~z__no~_indispensa
bile ecreriuiio""accOenfale~ ma 'acquista una densit di senso teolo-
gico, un'importanza sacramentale. Ges ~glie fa formula della Be-
rakha e il gesto conviviale culminante nell'offerta quale espressione
anmnestic:i .leITa--sua--azione-salvifica~Tnoltre-conferisee .. un senso e
un contenuto speciali ai doni. Vengono cosl in luce tre aspetti fon-
damentali: -.
I. rannuncio della nuova realt salvifica nella parola profetica;
2. la prefigurazione simbolica dell'azione salvifica di Ges me-
diante i gesti conviviali;
FONDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO 243

3. la concretizzazione della realt salvifica Ges nei doni con-


viviali.
Questa unione di azione e parola ricorda istintivamente il feno-
menQ_ biblico der segno profeti~, che annunoa con la pfbla
e simbole ia in un'azione le gesta future di Dio. L'ot er non in-
tende soltanto ormare, ma r1con uce 'evento futuro !,J:al.1Sa-
li.tl.4!Y!na. Il profeta lo anticipa annunciandolo e indicandolo, e in
certa misura lo at~siccheSI- parlato di un legame sacramen-
tale tra segno e realt intesa, in quanto quest'ultima compare ine-
iudibilmente quando venga compiuta l'azione. 17 La categoria dell'ot
pu illus rare la pienezza di realt propria della cena,11 ma non forse
scandagliarla con sicurezza e comp etezza. Comunque l'offerta euca-
ristica non indica sohanto una realt escatologica, ma anche la dona,
la rende presente. La cena di Ges il vertice supremo dell'ot.
I. La parola di Ges come prodamazi9ne...della s11e morte e del-
la realt salvifica da essa fondata.
l!:'._'agire SaJ.-;Tilc~ @i Jahv nel passato e nel futuro era gi i.li tema
doffinante della celebrazione gndaica della pasqua. Ma con i suoi
gesti ~;ristici Ges proclama e attualizza la nuova re~l!....~scatolo
gica di salvezza, realt che egl'i in quanto apportatore definitivo del-
la salvezza irgroduce con la sua ..!Q2I!:e. Egli, come abbiamo gi vi-
sto, colloca la sua cena nell'orizzonte del regno attuato di Dio, la
rende anticipazione i questo regno. La ~ssibilit di ci dischiu-
sa dallia sua morte. Cosl, con parola chiara e profonda, ~li colloca
la sua morte l centro della sua celebrazione dell ena. Egli si ril-
laccia allil-"Ber a s pane e sul caPice, anamnestica gi per natu-
ra, e la formula in maniera nuova; a proposito del pane dichiara
..fl:i;: il suo cotp0 viene dato per gli uomini (Le. 22,19; cfr. I Cor.
11,23; ]o. 6,51), e a proposito del calice afferma che il suo sangue
vi~versato per i molti (Mc. 14,24; cfr. Le. 22,20). Le due af-
fermazioni si radicano obiettivamente in Is. ,53,10 ss., annunciano
la sua morte come imminente - i participi hanno significato futuro
- , definiscono il' suo destino come un martirio cruento o come un
saciifu:.i!Lmartiriale della vita (qui il concetto di sacrificio inteso
17 Cf. G. FomrnR, Die symbolischen Handlungen der Propheten, Zilrich 196!!2, 93.
18 Cosl J. DuPoNT, op. cit., 1033 s.; J. BETZ, op. cii., 11/1, p. 42; 2II; riserve
crilliche in H. ScHOAMANN, 'Le parole di Ges durante la cena', in: Concilium
10/ 1968, ed. it., x724.
244 EUCARESl'IA

in un senso lato, non cultuale), come una morte espiatrice universa-


le. In tal modo egli si presenta come il Sc;ty9 sofferente di Dio o
anche come il Giusto sofferente. All'effusione del sangue accenna
gi il semplice concetto di sangue, e a maggior ragione l'es,pressione
san~e dell'allean~ (Mc. 14,24), che, sulla base di Ex. 24,8, con-
sidera il sangue come materia cultuale del saqifiQo separata dal cor-
pp e quindi la morte di ~e un'immolazione cultuale; in rap-
portQ......a ci poi ra costruzione versato per i molti, concepita ori-
ginariamente in forma martiriale, acquista in un secondo tempo una
a~ntuazion~ __9!1ltuale. La morte di Ges avviene v1tp 1to..W'\I
(Mc. 14,24) e, come quella del Servo di Dio di Is. 53,10 ss., una
mor~ espiatrice p_er l'intera umanit. Per il giudaimo conte~pora
neo tutti i sacrifici cultuali, compresa la sofferenza det giusto, in
particolare il martirio, avevano una virt espiatrice per i peccati
pr~pr~ c.'.:. al~~!,19 l'avevano per perch da parte di Dio c'era la be-
nevola volont di accettarli.
La morte di Ges produce riconc~iazione, comunione con Dio,
fonda la nuova_diathke, l)rr~vocab_ile_~to escatolbgico <;!! sal-
vezza tra Dio e l'umanit. Ma la diathke per definizione azione
------ '"-
di Dio. Secondo I Cor. 5,19 Dio stesso a operare la riconcilia-
z~ la comumone. L'espiazione . quindi un'espiazione prodotta
da Dio. E ci~ espr~~so nelle~ parole di Ges che ~1. descrivono
il sacrificio della sua vita con i passivi o~o6tVO\I, E:xxvw6svo\I. Essi
costituiscono un semitismo e alludono con vener!lzione all'a~di
l
i vo liono uindi resentare Ges non come uno strumento pas-
\ sivo, ma come l'organo dell'agire di Dio. Ne 'o bedienza alla mis-
sione ricevuta dal Padre egli affronta la morte al posto nostro e in
nostro favore, celebra e testimonia la riconcil'iazione di Dio con noi,
e cosl. costituisce una nlU)va diathke.
2. I gesti della cena come rappresentazione simbolica dell'azio-
ne salvifica di Ges.
Alla parola profetica Ges unis~e l'azione simbolica, che chiari-
sce e rende presente quanto le parole affermano. A tal fine eglt
sceglie i gesti del onvito giudilicOSulp~ul calice. Cos egli

19 Documenti in E. LoHSI!, Martyrer und Gottcsknecht, Gottingcn 2r963, su cui


cf. F. liAHN, op. cit., p. 360.
I'ONDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO 245

prende il pane, lo eleva, vi pronuncia sopra la benedizione, lo spez-


za e lo distribuisce. Il senso primario del'la frazione non propria-
mente (la distruzione, ma la W,partizio!!$.Jdella focaccia di pane. Al-
lo stesso modo egli eleva il calice (un palmo sopra la tavola}, ro-
nuncia l'a benedizione e lo fa circo are. a e "zione e 'offerta
sono gli atti portatori di simbolo. Il senso dell'offerta chiaro. Che
cosa invece significa la benedizione, la Berakha? 20 E: un riconoscen-
te inno di lode ~ Dio per questi doni, e rivela l'essenza di benefici
ogget!iy_ati di Dio. Ringraz1an o essa riconosce c e i oni sono ope-
ra e ~ficjo di Dio, ravvisa in lui la loro origine e li riporta a
lui per...P..r.i.!!E.PJo, ne~ sentimento. Essi quindi hanno una struttura
f~enrale anjlllpestica e insieme sacrificale. Con i due gesti con-
viviali menzionati Ges simboleggia e attualizza la sua imminente
tmorte espiatrice. Egli la rende trasparente con gli atti che accom-
p;g;lano--Tdoni. La preghiera sacrificale di ringraziamento pronun-
ciata sui o~_.,!.iflette la sua sottornissio~l Padre nel compimento
dell'opera della salvezza. Che cosa concretamente ci significhi _per
lui __~ in luce dall'altro gesto: l'offe.rta degli alimenti agli uo-
mini ~ch se ne cibi.po simboleggia la donazjooe della sna vita
nell'a morte per essi, teit:imonia come egli si sia completamente do-
ni!.2_ agli uomini. Il rorr{port~mento .conviviale -simbolico di Ges
ha (nelle sue due fasi) l'esplicita struttura fondamentale di un atto
di donazione l rende trasparente e presente la sua azione salvifica,
che 11sieme 'dedizione al Padre e dQ_nazione agli uomini. E non
soltanto l'atto del porgere, ma anche il ,ti.po di doni che vengono
dati come cibo e bevanda caratterizza lui e il suo agire. Come il
ciba.. e~totiliriente per l'uomo, per cui il suo es~e particolare
deve essere sacrificato, assunto e assorbito nell'essere degli uo-
mini, p;--costruirne l'esistenza, cos egli e.sjste per gli uomini, d
la sua vita terrena alla morte, non per perdere il suo essere pro-
p_rio, ~a-per-ricuperarlo presso Dio e donarlo"- agli uomini a loro
sa.!Yezza. NeU'offerta del _cibo Ges svela la sua natura profondissi-
,uia: egli un essere per Dio e un essere per gli uomini, nel quale
coincidono essere ed agire. Ma i doni non sono soltjnl:9 il simbolo
della sua persona, essi sono la sua persona stessa.
20 Al riguardo cf. J.-P. AunEr, La Ddach, Paris 1958, 376-400, e i suoi arti-
coli in RB 6' (1958) 371-399 e in Studia evangelica: TU 73, Berlin 1959, 643-662.
EUCAll.ESUA

3. L'identificazione dei doni conviviali con la persona salvifica


di Ges.
Ges prodama la nuova natura dei suoi doni conviviali nelle co-
siddette ro sizioni inter retative, che si possono chiamare me-
glio sentenze di benedizione o di speci cazione. Eg 1 ama pa-
ne se~mente suo corpo (Le.: dato) e il contenuto del cali-
ce la nuova alleanza nel suo sangue (z Cor. u,24; Le. 22,20) o
il suo sangue dell'alleanza, che versato per molti (Mc. r4,24).
Queste speoinCllZioni predioamentali 2' costituisrono il cuore degli
enunciati eucaristici. I concetti corpo e Sangue non possono es-
sere .presi dicotomicamente come parti dell'uomo, ma devono esse-
re presi nel senso dell'antropologia semitica, per la quale'}'uomo non
ha un corpo, ma corpo. Il termine atjja perci, come la corrispon-
dente radice ebr./aram. (probabilmente basar/bisra; secondo alcuni
g!P_h/gupha), significa la concreta persona fisica. Anche il concetto
ata ssiede un ricco contenuto. Nell'AT ebraico esso indica spes-
so il sangue come evento, l'e usione e sangue. a ne sio-
ne viene in chiaro uanto la vita sia legata, radicata nel sangue. Il
sangue perci considerato nell'AT m a o e a Vl a (Dt.
12,23; Lev. l7,1r.14), esso anzi, specialment~ nel caso dell'effusio-
ne, pw stare anche l?er la persona vivente consanguine~-(Gn. 4,10;
2 Mach. 8,3; Mt. 27,4). In quanto sostanza vivente esso riserva-
to ~Na potest discrezionale di Dio, serve come elemento cultuale
di sacrificio privilegiato, sottratto alla discrezione umana e non
pu essere bevuto.
Il (contenuto del) calice viene proclamato come la .Qoova allean-
za .nel sangue di Ges. C~~-~~ atan venga riferito diretta-
mente alla diathlee o al cal'ice, in ogni caso si esprime un'identifi-
cazione di calice, sangue e ~nza. La nuova alleanza, promessa in
~------ - , . y -~~--~ - . _ .. _ , _ .........

21 Per la loro giusta interpretazione non se!l2a importanza la loro collocazione


nello ...svolgimento della cena. I logia del pane e .del calice sono separati dal piat!o
~per cui dCivevano essere compresi autonomamente e non il connessione tra
loro. In questo senso per i nomi-predicato si pu parlare di un parallelismo si-
nonimico o anche climatico, ma con di 110 parallelismo sintetico, e quindi neppure
di una coppia concettuale correlativa (come ad es. o-api; at.a), che dif!cilmente
potrebbero costituire soprattutto i termini diversi usati in Pls/Lc. La duplicitl dei
doni da una parte si spiega con il carattere del banchetto fesJivo, che accenna alla
b11rilia, e quindi alla pienoz aena
salvezza escatologica, e dall'altra, in quanto
uso giuridico semitico, sottolinea l'importanza e il valore giuridico dell'istituzione.
FONDAMENTO BIBLICl>-TEOLOGICO 247

Jer. 31,31, fondata nel !._angue di Ges e oggettivata nel calice. La


alleanza la sovrana e benevola garanzia dNa comunione persona-
~ anzi personalissima, di Dio con il suo lo simbolo a ro-
priato della qu e la. bevanda versata. Per fondare l'alleanza Dio
si serve di un mediatore. Un tempo questi fu Mos. Ma anche il
Servo di Dio deuteroisaiano di Is. 42,6 e 49,8 rta il titolo onori-
fico di alleanza de popo o, a i mediatore dell'aJtleanza. Nella
fl>ersona di Ges Dio si legato, in maniera fondamentale e irre-
~vocabile, all'umanit. Ges ratifica questo patto con la ~orte e
come segno di esso dona se stesso in bevanda.
Egli non si accontenta dell'accenno cifrato dei sempl'ici con~etti
predicativi corpo, sangue, alleanza, ma li chiarisce con degli attri-
buti participiali. O:>sl egli spiega che il suo corpo viene dato
(Le. 22,19) e il suo sangue versato (Le. 22,20; Mc. 14,24r.-Que-
sti dati _!_i.chiamano alla mente Is. 53,10 ss. e ci presentano la sua
persona come il Servo sofferente di Dio, che eer, secondo g1!i stes-
si versetti e ancor pi chiaramente secondo Is. 52,13.15, sar trion-
falmente riabilitato da Dio, e secondo 42,6 e 49,8 personifica l'al-
leanza. Ges attende la~orj.fi~one anche per se st~,Q{ altrimenti
non potrebbe affatto disporre in questo modo del suo corpo e del
suo sangue; egl'i emmcia questa sicurezza nell'ottica escatologica
(Mc. 14,25; Le. 22,16.18). Quindi le parole d1 benedizione nella
loro forma pi antica (tramandataci da Paolo e Luca attestano che
il dono della cena Ges, ti Servo di Dio che va incontro ad una
morte espiatrice, il totus Christus passus, che cammina verso la vit-
toria escatologica.
Un altro fondamento teologico per il medesimo tema fondamen-
tale enunciato dal predicato marciano del calice: il mio sangue
de~!'E.Za. Esso evidentemente imita Ex. 24,8 1 in cui Mos con-
sacra_il patto del Sinai asperge~do il sangue della vittima immolata
per met sull'altare di Jahv e per met sul popolo, simboleggiando
cosl la comunione di alleanza tra i due. Il sangue, in quanto sepa-
rato dal corpo, funge qui da materia cultuale del sacrificio, presup-
pone Puccisione del sacrificato, ma dventa sacrificio solo in virt
dell'ofkrt~-rult~aie.22 Analogamente il sangue di Ges viene visto
-------~--

22 Bu.Ll!llBBCK 11, 368.


EUCARESTIA

come parte essenziale del sacrificio cllituale nella sua separazione dal
c~, nonch come rappresentazione dell'intera persona (che ~a
sentenza del pane compare designata dal concetto awa. ). Questo
modo di vedere include la conseguenza che anche la morte di Gesti
viene_ concei)it;~ffieOJrerta sacrilicale ciiTtU~e e non pi come sa-
crificio della vita nel martirio. Lo stesso Ges si presenta come il nuo-
vo Mos e come il sommo sacerdote. La lettera agli Ebrei ha ri-
flettuto su que~~~-~ncezi~. portandola ad un alto grado di espli-
~ne: Ges il nuovo sommo sacerdote che con il proprio san-
gqe entrato nel sanmarjo celeste CH.,ebr. 9,12 ). Rispetto al pre-
dicato paolino-lucano del calice la nuova alleanza nel mio sangue
il predicato marciano il mio sangue dell'alleanza deve essere con-
siderato cronologicamente posteriore, non soltanto a motivo dell'ac-
centuato parallelismo nella formulazione, ma anche a motivo detla
liturgizzazione materiale dell'evento narrato.
Le enunciazioni predicative esaminate delle proposizioni di defi-
nizione, prese per s, ci presentano Ges ~ale salvatore cheJi sa-
crifica, ma iilpratka--si riieriscono-anh~- al soggetto delle p.toposi-
zioni caratterizzando cosl concretamente i doni conviviali, per cui
ne risulta la loi;o identit con la persona saivi6ca di Ges. In Paolo
e Giovanni ci dato di vedere che questa identit venne intesa fin
da prinjpio ~:11-_g'identit Lontico-reale enunciante la presenza
di Ges nei doni conviviali. A questa interpretazione della presen-
za reale se ne contrappone certamente una idealista che ammette
soltanto un'identificazione logica e simboli~'dTClonl con il ~orpo e
il sangue di Ges; in base ad es~.a gli {!le1J:!9!.ti sigrtHiciio, designa-
no o simboleggiano il corpo e il sangue di Ges. Questa concezio-
~~ i;;t~~;t0la5U.a esE!ess10ne classica nella moderna teoria si.m-
{ i?_olica f'rotes~ante.ii G~~;-ilm~stro-del discorso in parabol;; nell'a
cena avrebbe ompiuto un'azione simbolica, indicante secondo alcu-
ni la sua morte e secondo altri la sua vita.2'i In questa conzione
l'azione di Ges durantuGancheito viene quasi spontaneamente
in primo piano. Ora anche noi abbiamo attribuito un'elevata impor-

23 L'idea di fondo proviene da C. v. Weizsiicker; essa fu sviluppata ed e\abo


rata a partire da A. v. Jiilicher.
24 Rappresentanti in H. LESSIG, op. cit., 310 ss.; 5or ss.; J. BETZ, op. cit., 1/r,
59~4; 11/I, 48 SS.
FONDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO 249

tanza di significazione ai gesti conviviali di Ges. La teoria simbolica


ptl> fonda la sua concezione sulle parole e::;plkative, che essa in-
terpreta~.imbol~ente: In questo senso il pane spezzato ~he
distribuito significherebbe la morte sensibile di Ges mentre il vi-
no versato e il suo colore rosso significherebb~.~J'.~fEusione del san-
~~- Ma a ci si obietta che jcon la frazion.udel pane non affatto
connes~~-J'..~~~ della sua distruzione, che il vino non versatotma
bevutQ,, che H suo colore rosso non viene affatto affermato. La scel-
t~di q~i p~nti di confronto corrisponde pi alla sensibilit mo-
derna che a quella di allora. Soprattutto per, come si vedr, la let-
tera del~~izioni in questione non va interpretata in maniera
pu~llle~t.e simbolica.

Lo stesso NT ce ne offre la spiegazione autentica con la concezione del-


la presenza reale che inveruamo in Paolo e Giovan,ni. Qu~zione
per non -ha-la sua origine n n~lla teologia personale dei testimoni
menzionati n nel giudaismo n nell'dlerusmo, per cur, in Ultima analisi,
deve risalire a Ges:-Nafirali:iieiife"'CSSi"ton arantita d sem-
plic~~lettera__de e proposizioni. Ne ure l'ta-tl'll, un tempo molto invoca
to, una prova valida, in quanto nella Bi ia viene usato anche metafo-
ricam~iii~~=comeao es. m Mt. r3,37 s.; Le. 8,2I; ]o. 8,12. Nondimeno i
nostri lofk__ sono del tutto aperti all'identit reale, hanno persino una
a.filnit linguistica secondo questa direzione. l. Punto di partenza il
fatto__E!e iOrto-=oomesr evmce da 'tofrto -t 1to-ttl~v - , soggetto
e non si riferisce all'azione conv1v1ale ma ai doru. Anche nella pasqua
giudaica-si accennava a spec1ah elementi conviviali (azzimi, erbe amare).
2. Non si deve trascurare il fatto che le proposizioni di definizione met-
tono in luce 'una struffiitalinguistica TIVersa da quella delle solite enun-
ciazioni met'rork e e a crutura. 1mancano le parttcelleoompara-
tivk,- -ca-rauetlsi:rne delle arabofe esplicite, come wt; (Mc. 4,31 ), oihwt;;
wt; (Mc. 4,26) o oo~6v G"t~'\I (Mt. 13,31 ecc.). Se cio, come vuole la
teoria simbolica, la persona o l'o era salvifica di Ges, dovesse essere
illustrata <l!l un con ronto con 1 paneer vmo ovre e stare-aiiCh co-
11JC_..saggettc'>-C!e1feproposizioni e non comeToro predicato. Parttnenti
innegabile la-dflerenza linguist!Cil"ctefle parole della cena rispetto alle
semplici metafore, ad es. rispetto alla sentenza di Le. 8,2I: Mia ma-
dre e mieCfratfil sono-Oioro che ascoltano la parola di Dio o a quella
di Mt. r3,37: Il campo il mondo. In queste metafore le entit in
comparazione vengono citate per nome, ma non come realizzazione con-
cret!!_ (come.qiesto-qu1), benSi'in v1rru del loro contenuto concettuale
ideale_~__!_~~~~~so tr~o. Anche nelle affermazioni che il Gesfi gio-
BUCAitESTIA

vanneo fa su di s: do so o il ane di vita 6 8 la luce del mon-


c:IQ_ (8,12), il termine di comparazione viene preso ne suo s1 cato
generale e traslato e non come cosa concreta. Ma nelle parole delfa C.C-
na si ha l'identificazione di un concreto con un altro concreto. Ed
ljffiin'm'" costituisce la sua originalit. 3. Un terzo pun.tQ d8 sottolineare
l'olterta dei dom. PreSa per S essa potrebbe fungere da semplice sim-
bolo_ dell'immolazione di Ges, ma in connessione con le chiare propo-
sizioni di defimztone sottolriea la realt del contenuto enunciato in que-
sto modo e non in un altro. L'offerta di guanto stato co caratteriz-
zato e la carattecipazione di quanto stato offerto accennano a Jlll_..5ell-
Q... realistico. In questa stessa direzione si muove anche il carattere di
cibo e bevanda dei doni.zs U~ento non deve essere anzitutto visto
come immagine o concepito come idea, ma mangiato. Se Ges voleva
esprimere il significato salvifico che la sua persona aveva per noi trovava
proprio nella forma dell'alimentazione il mezzo adatto. 4. Il motivo ese-
getico ~cisiv~ per l'interpretazione realistica delle parole di benedizio-
ne di s rappresentato dalla~fede antjhjMjma della Chiesa, che in-
cont o nel NT sia in Paolo e e in Giovanni. La presenza reale non
pu essere tratta a storia e religioni, n dal giudaismo n dal-
l'ellenismo. Nel giudaismo era tolto all'uomo ogni potere sul sangue, so-

~
rattut1'LWi era vietato di berlo. Il giudeo-cristianesimo radicale infatti
J. op!fine~TICe aersan~e 16 confermando cosi ancora una vol-
a rede delle epoche pi antic7 nella presenza reale. Questa fede pe-
r non va spiegata neru>ure cm;ne un'interpretazione ellenistica. Per il
1
pensiero ellenistico infatti la non consiste nell'unione n il
,C<lI.PO-J!!.a nella separazione da esso. Come potre be a ora l'ostilit, am-
messa universafulente, dell'ellenismo contro il corpo aver influito sulla
feck_nella presenza reale? La presenza reale non mutuata n dal g\u-
daismo n dall'ellenismo e neppure da un magismo popolare. La sua ori-
gine ..nu ssere ravvisata soltanto nel Ges storico. Secondo la lettera
delle parole di benedizione egli identifica concretament~__i doni convi-
viali offerti con la sua persona che si sacrifica. I logia quindi non vanno
concepiti metaforicamente, ma letteralmente e realisticamente. Egli si
d ai suoi come cibo da mangiare. La cena di Ges quindi un testa-
mento e un'autocomunicazione nella forma degli alimenti conviviali.

25 Cf. P. BENOIT, op. cii., p. 189. Benoit spiega esegeticamente la presenza Sen-
sibile e cfisica dcl Signore (188-197).
26 Al riguardo cf. J. BBTZ, op. cit., 1/1, 27-35; 11/1, 142; 219 s.
FONDAMl!NYO BIBUCO-TEOLOGICO

c. L'origine nel Ges storico della cena


comportante la presenza reale

In quanto testamento e autocomunicazione di Ges nella forma de-


gli alimenti conviviali. la cena possiede un senso caratteristico, un
contenuto inedito. Insieme per solleva l'interrogativo: un tale sen-
so e contenuto si addice 'n generale alla figura del Ges storico qua-
le d viene presentata datla tradizione sinottica?
Il ri~ondurre ...a CCs bili atti esteriori, della cena, i gesti convi-
viali sul pane e sul yino non causa di particolari difficolt. Il pro-
blema verte invece sul [contenuto della cena. In quanto l'a relazio-
ne del banchetto alla morte di Ges e alla hasilia si inserisce nel
suo messaggio. Velati accenni alla morte pervadono l'intera predica-
zione sinottica (Mc. 2,20; Le. 12,50; 13,33); alfa base delle tre fa-
mose profezie della passione (Mc. 8 3 l; 9,31; 10,32 ss.) sta una
1

sentenza semplice del tipo di Le. 9.44 Ges fa anche degli accenni
alla sua futura glorificazione, ad esempio nel logion originario del
segno di Giona (Le. n,32),11 in quello della ricostruzione de]t tem-
pio distrutto (Mc. 14,59 con ]o. 2,19), nell'affermazione davanti al
sinedrio, secondo la quale egli siede~ alla destra della Potenza
(Mc. 14,61 s.). t-kll'a cena Ges annuncia che berr di nuovo il
vino nella basilia e conde.isa la sua convinzione e la sua certezza
del valore e della vittoria della sua morte, come pure del significato
salvifico dell'a sua persona, in un segno, che non -solo allude a ue-
sta reat, ma anc e a con tene come ono e strumento salvezza.
La presenza real~ comprensibile soltanto come evento escatologico.
In maniera inaudita, nella sua eucarestia, <;ies cglloca la sa per-
sona al centro deMa salvezza, e la d come dono salvifico sotto la
figura di un alimento. Quest'idea per non entra improvvisamente e
non. sta priva di relazioni all'interno del suo messaggio globale, ma
.Wuttosto ]a sacramentalizzazione, la condensazione e la radicaliz-
zazione del suo diritto aH'exousia avanzato anche altre volte. Certa-
mente fUiOVo il rivestimento conviviale che qui assume. Ma la pre-
tesa di essere il salvatore assoluto pervade l'intera sua predicazione.
Egli infatti .gi ritiene l'ultimo e definitivo araldo della basili"'i; della

Z1 Invece la formulazione di Mt. 12,40, con il suo annuncio dclla resurttzione,


potrebbe essere una spiegazione postpasquale.
252 EUCARESTIA

volont sovrana di Dio, che raggiunge, comprende, santifica e salva


tutto. Egli non si limita ad annunciare la basilia, ma, riempito di
Spirito santo(1~4~IsT,l rende resente gi ne1 suor miracoli (Mt.
l;,4s.r,- nella sconfitta del regno de ~onio (Mt. 12,28), nella
sua persona (Le. lo,23 s.; 17,21). Egli rappresenta la de6nirivJl e
irrev~rsTIJile offerta della salvezza che Dio fa -agli uomini. Per que-
sto si intrattiene a tavola con i peccatori e i pubblicani (Mc. 2,15 s.),
perdona i peccati (Mc. 2,5 ). Egli joaltre l'assolqta situazione di
decisione per gli uomini; infatti esige una fede incondizionata per
s e per il suo evangelo (Mc. l,15), minaccia un giudizio inesora-
bile per gli increduli (Mt. I I ,20-24 ), fa dipendere dall'adesione a
lui la salvezza eterna (Mc. 8a8; Le. 12,8), chiama gli uomini alla
sua sequela incondizionata (Mt. 4,19; Mc. ro,21). Tutto ci implica
un dir.iuo.._aasoluto che egli difenck_rn_.ooirezza estrema ( ln ve-
rit vi dico). Tate diritto scaturisce dal ~ rapporto speciale con
Dio,~,29rto che si esprime nella invocazio~ima Abba (Mc.
14,36), si riflette nel nome assoluto il Figlio (Mt. u,27; Mc.
12,6; 13,32), e si c_oncretizza nel suo atteggiamento verso la Thora.
Non che egli si limiti a criticare, correggere le interpretazioni tra-
dizionali di questa Thora, le tradizioni degli antichi (Mc. 2,25 s.;
7,8-13), e a dare egli stesso una nuova e vincol'ante interpretazione
di essa (Mc. 2,27; 3A s.; Mt. 5,21-48); con il divieto -del divorzio
(Mt. 5,28; 19,8 s.) e della vendetta (Mt. 5,36 s.), con la moralizza-
zione della purezza cultuale (Mc. 7,15 ), egli introduce anche dei
f,ambiame~ti nella Thora. E in tal modo con;J?i~ del'le c~se che com:
1
petono~lo a Dio, ponendosi cos dalla parte di Jahv. N~IJa cena
egli. porta al suo culmi_~ questa_Ji~e!:__~L co~~otta. In essa egli-si I
arroga gli stessi diritti sovrani dell'a divinit attribuendo al suo cor-
po..__e... al .suo ~a~~~--':1I'} __sig.~i!_<:~~~ _C:!i~ ___ti:a.~c_~Q4~J.~_!!l_Q!!~~i un
significato salvifico, e in particolare disponendo con autorit del suo
sangue e trasformando un dono riservato a Dio in offerta di salvez-
z_a p.e.cgJ.! uomini. Con ci egli ha in r_~alt istituito una _!1.J!QY.a dia-
th/.;~io un nqovQ ..9.!'.<!!ne divino - ed ha eliminato l'antica al-
leanza. Ma l'a svolta che qui vediamo operarsi nella storia della
salvezza era ~~~~entalm~nte gi ..~-wa-preannunciata-d~-Ges nel-
le parole enigmatiche Ciena-cnstruzToneaeTtempiosis:entee della
riedificazione di un tempio nuovo (Mc. 14,58; cfr. 13,2). Anche se
110NDAMENTO BIBLICO-TEOLOGICO 253

la lettera esatta delle parole uscite dalla bocca di Ges non pi


ricostruibile, comunque certo che egli ha annunciato la fine del
vecrhio _tempio e l'avvio di un nuovo ordine divino. Il tempio era
il luogo per eccellenza della presenza speciae di Dio. Ma nella sua
autocoscie~za ~es_~.!_pi del tempio _(Mt. u,~~ egli, nella sua
corporeit, il luogo in cui si fissata, in maniera escatologicamen-
te irrevocabile, la presenza di Dio. Ora nel.'la cena egli istituziona-
lizza questa presenza fissata corporalmente. Se Eri~~ ci era apparso
come il caso di decisione assoluto, ora egli si presenta come il pe-
gno della salvezza per coloro che si sono decisi in suo favore. La
sua persona .fisica rimane il cardine della salvezza. Cosl la cena, no-
nostante l'improvvisazione della sua materialit, si sviluppa organi-
camente sulla base del messaggio del Ges storico. Egli soltanto
la ragione esplicativa sufficiente di questo contenuto. Nella cena egli
s1 costituisce centro vivo 4ella chiesa.

2. La cena secondo gli altri libri del NT

a. L'et pi antica

Stando aLNI... e alla Didach si pu individuare la forte accentua-


zione escatologica della cena pii.i antrca.28 Secondo Act. 2,46 i pri-
mi cristiani~zavano nelfecase-il pane e prendevano il cibo con
gioia (escatologica). Il foro sguardo era rivolto in avanti. quanto
testimonia anche l'eloquente for~~~~~ione Maranatba 1r
Co"'-I_~~-~;.-"'i5'iJ: ro,6: cfr. Apoc 22,20). Dal punto di vista iingui-
stico essa pu essere compresa sia (come indicativo (Il nostro Si-
gnore venuto) che come (imperativot( Vieni, Signore nostro! ).
Apoc. 22,20 e il contesto di Did. ro,6 sug~riscono il secondo si-
gnificato, anche se le pi antiche formule di professione di fede so-
no spesso ~~~cepite in forma di acdamaziom. In Dzd. ro;o1'invito
concerne l'eucarestia, alla quale possono accostarsi soltanto i santi.
Si pu quTnJI interpretare il Maranatha nerSensaclie"hi--ve~di
Cristo non.....______
~.--
attesa soltanto afia fi~M.-o-
. .,_____ dei tempi, ma gi qui e ora
28 Al riguardo d. E. K1LMAR'TIN, L'ultima cena e le prime celebrazioni eucari-
stiche nella Chiesa, in Concilium 10/1968, ed. it. 1628-1640.
EUCARESTIA

nel convito,29 anzi negli stessi alimenti del convito. In questo senso
orientano. l'interpret~iop.e il grido di giubilo Hosanna 30 rivolto al
Messia, aggiunto in Did. lo,6, e l'a~tlchisslmo ..attrffiuto pneumati-
co che le professioni di fede applicano al cibo e alla bevanda cul-
tuali (r Cor. 10,3 s.; Did. 10,3). L'eucarestia quindi, ~ Risor-
f
to (Rom. l,4; r Cor. 1.5.45; 2 Cor. 3,17), appartiene alla sfera pneu-
matica, alla sfera della resurrezione. In questa sfera, secondo r Cor.
15,44, c' .AnCOr~}Ji awa:, ma non pi in <n!anto terrestre ('fvi~lt6v)
bensl in guanto m1Euarnc6v. Esso non pi~ottgposto alle leggi
spazi0:-temporalh__ma aperto alle possibilit di Dio, comunicabile a
tutti (cfr. Jo. 6,62; 7,39; 16,7). ------
Le pi antiche concezioni eucaristiche vengono in luce anche .nel-
le preghiere conviviali di Dl. 9-10. Se anche nella forma attuale i
ve~2 ss.; 10,2-5 sono dei testi che trattano deJil'agape, in origi-
ne essi dOVeVSOO eS-Sere .CUCarlstici:~I Quando ringraziano per la Vi-
ta, la ~noscenza e l'lmmortaiit(9,3; 10,2) essi non alludono a dei
beni salvifici di tipo ellenistico, bensl ai doni_.e_aradisiaci di Gn. 2,9
e 3,22, cui accenna anche Apoc. 2,7; 22,2.14.19. Coiiformemente al
famoso schema tempo delle origini e tempo finale, la piet tardo-giu-
daica sj 3ttend~..!!.~!l''~~~--~!~JQl9-gk.i:>...JL.riqnovamento dei doni del
paradiso. in questo senso che qui viene intesa l'eucarestia. Essa
quindi, gi nei tempi pi antichi, si presenta ovunque come un'en-
tit con un nuovo essere pneumatico, e di conseguenza viene intesa
realisticamente.

b. Paolo

In Paolo,32 che cita per primo ed l'interprete pi significativo del


raccQJlto dell'isti~e, l'eucarestia funge da indice dell'intera real-

29 C.OSl anche O. CutLMANN, Die Christologie des NT, Tiibingen 21958, 218 (trad.
it. Cristologia del NT, Il Mulino, Bologna); B. SANDVIK, op. cit., pp. 13-36.
30 B. SANDVIIC, op. dt., 37-40.
31 I testi della Did. 9,1-10,5, nella loro forma attuale, riflettono un'agape, cui
in 10,6 viene associata un'eucarestia sacramentale; cosi con la maggior parte degli
interpreti anche J.P. AUOET, op. cii., 410 ss., 423. Ma i testi hanno conservato
anche il patrimonio eucaristico di un corrispondente uso pi antico. Pi dettaglia-
tamente in J. BETz, 'Die Eucharistie in der Didach', in: ALW 11 (1969) lo-39.
32 Della bibliografia citiamo H. v. SonEN, 'Sakrament und Ethik bei Paulus', in:
Vrchristentum und Geschichle 11 Tiibingen 1951, 239-275; G. BoRNKAMM, 'Her-
FONDAMENTO BTIILICC>-TEOLOGICO

t salvifica cristiana. Ess! il banchetto dd Signore (I Cor. II,20),


{banchetto quindi che il Kyrios glorificato pervade e colma con la
I sua potenza salvifica. Senza privare la celebrazione del suo orienta-
mento~ della sua dimensione escat.ologici (II ,26), l'apostolo ne
mette in luce i tratti caratteristici corrispondenti alla sua teologia
dlla ~roce: essa ravvisa il suo ineludibile punto di orientamento
nel Christus crucifixus. Il pane anzi il corpo di Ges abbandonato
alla ...morte e il calice il nuovo ordine della sal'vezza fondato nel
suo sangue, cio nella sua morte ( II ,24 s. ). Questo mangiare e be-
re quindi equjyale ad un annuncio anamnestico della morte d,l Si-
gn.2-~ ( r r ,26 ); infatti tale alimentazione presuppone la morte di
Ges~ e la riattualizza: quanto proclama esplicitamente la didasca-
lia (xa't'a:yy..Ew). Idee analoghe stanno alla base di 10,18-22. In
quanto, secondo Mal. 1,12, designa l'eucarestia come 't'pli:TC~fa
Kuplou, cio come altare sacrificale di Dio (Ez. 44,16), ponendoPa
cos formalmente in parallelismo con i banchetti sacrificali giudaici
e pagani, Paolo concepisce pure essa come un banchetto sacrificale,33
che richiama l'evento sacrificale che ne sta alla base. Particolare in-
teresse merita la materia dei doni conviv1afi. A differenza dei sacri-
fici idolatrici ( ro,18) essi costituiscono una realt ontologicamente
qualificata e significativa. Essi sono un cibo e una bevanda pneuma-
tici 0~-;-3-;,iliiiSeinpre partecipazione al corpo e sangue di Q.es
( ro,r6), indicando con ci nell'effetto finale la loro identificazione
con il corpo e il sangue sacrificati, ed ora glormcati, di Ges; rap-
presentano cio dei modi di manifestarsi dell\i sua persona. La stes-
sa situazione emerge dall'affermazione secondo cui l'assunzione in-
degna d~li alimenti costituisce una c~Jpa commessa nei confronti
del corpo e del sangue di Ges, colpa che attira il giudizio di Dio
(II ,27-3;f Casi di malattia e di morte avvenuti a Corinto fanno

renmahl und Kirche bei Paulus', in: Studien zu Antike und Christentum Il, Miin
chen 21963, r38176; E. KAsEMANN, 'Anliegen und Elgenart der paul. AbendmahJ.s..
lchrc', in: Exeget. Verruche und Besinnun11,en 1, Tiibingen l96o, n-34; P. NEUEN
ZBIT, Das He"enmahl. Studien zur paul. Eucharistieau/Jassung, Miinchen 196o;
J.J. MEUZEU.AR, Der Leib des Messias ( ...in den Paulusbriefen), Assen 1961; L.
0EQUEKER - W. ZumEMA., 'L'eucarestia secondo son Paolo', in: Concilium ro/!968,
ed. it., 1641-16,1; J. BETZ, op. cit., u/1, 102-129; H. ScHLIER, Das Ende der Zeit,
Freiburg 1971, 201-215 (trad. it. La fine del tempo, Paideia, Brescia).
33 Cosl anche S. AALEN, 'Das Abendmahl als Opfermahl m NT', in: Novum
Test. 6 (1963) u8-152, qui 130-143.
EUCARESTIA

pensare proprio a un tale giudizio (II ,30 ss.), in cui si riflette il ca-
rattere di cibo paradisiaco proprio del banchetto del Signore. L'euca-
restia per ovunque un unico pane, con il quale il Kyrios compagi-
na, in senso reale-sacramentale, i molti nel suo corpo ecclesiale ( 10,
17), naturalmente non in maniera magica; infatti il sacramento non
esclude, bensl include la fede e l'ethos ( 10,1-II; u,27-34).

c. Giovanni

Giovanni non riferisce l'istituzione della cena; al suo posto riporta


i discorsi di addio ch contengono degli accenni ad ~a (13,34 s.;
1,,1-8.12; 17,17.19), tuttavia il grande discorso del pane (6,26,63)
offre profonde prospettive sul s~~to. 34 In questo discorso il Ge-
s giovanneo parlL_davanti a tutto il popolo di ci e della sua pas-
sione in maniera cosl. aperta che non si riscontra mai nel Ges sinot-
tico, ma che solo il Glorificato pu fare per bocca dei predicatori
ispirati del:la Chiesa. Il discorso prende le mosse dal miracolo del pa-
ne, esso stesso gi fortemente stiJlizzato in senso eucaristico.35 Il pro-
logo del discorso getta un ponte tra il pane caduco e quello vero,
escatolo.giro e che dura per la vi.la eterna, il pane cio che dar il
Figlio dell'Uomo (v. 27). Ed di esso che tratta il vero e proprio di-
sco~ (6, 1-63). Il suo genere letterario oggi a ragione viene con-
siderato co un m ras cristo' co del testo scrittura e citato al
v. 3 1: Diede loro in cibo un pane disceso cie o e dell'evento
storico-salvifico che ne sta alla base.36 Il passo citato non si trova
con gueste esatte parole nell''AT, ma una combinazione di (Ps. 78,
24 e) Ex. 16,4 e x6,x' e mette in luGe come sfondo il miracolo del-

34 Bibliografia: X. LON-DuFOUR, 'Le mystre du pain de vie', in: RSR 46 (1958)


481-523; H. ScHURMANN, 'Joh 6,51c - ein Schliissel zur grossen joh. Brotre<lc', in:
BZ 2 (1958) 244-262; ID., 'Die Eucharistic als Rcpriisenration und Applikation des
Heilsgeschehens nach Joh 6,53-58', in: Tfh7, 68 {1959) 3045; 108-n8; R. ScHNA-
CKENBURG, 'Die Sakramente im Johannesevangclium', in: Sacra Pagina II, Paris
19,9, 235-254; Io., Dar Joh-Evange/ium Il, Freiburg 1971, 41-102; J. BETZ, op
cit., 11/1, pp. 167-200; ]. GxBLET, 'L'eucarestia nel vangelo di Giovanni', in: Con-
cilium 10/1968, ed. it., 1652-1661; H. KLOs, Die Saleramente im Job-Evgl., Stut-
tgart 1970; inoltre nota 36.
3S Cf. 64: pasqua; 6,n (23): ringraziamento e distribuzione; 6,12: raccolta dei
frammenti rimasti .
.l6 P. BoRGEN, Bread /rom Heave11, Leidcn 1965.
FONDAMENTO BIBL!CQ.TEOLOGICO 2'J7

la manna narrato in Ex. 16. Perci gi nella prima parte del discor-
so (6,26-51) stanno sullo sfondo un mangiare reale 1m0 ch, in ma-
niera pi attenuata, un bere reale, cio il bere che ha per oggetto re
acque di Ex. 17 (6,35; cf. 4;4; 7 38), per cui il riferimento al con-
1

creto mangiare e bere dell'eucarestia (6,53-58), non costituisce un


semplice corpo estraneo e un contrasto nel discorso,37 bensl ne rap-
presenta il rompimento conseguente. La prima parte del discorso
quanto meno aperta alla seconda propriamente eucaristi~ ( vv. 5 l
c-58), e secondo alcuni esegeti stata scrma proprio in funzione del-
l'eucarestia (cf. vv. 28.31.35.48-51-b).
Il discorso svolge l'idea del pane celeste. Questo titolo non spetta
gi ad un pane che, come la manna ha dal cielo soltanto) la sua ori-
gine esterna, ma so tanto al pant.,..che{produceja vita etema (vv. 33.
50 s.53 s.57 s.). Lo stesso Ges, nella sua umanit concreta - cosl
afferma la prima parte del discorso (vv. 32-51b) - , $ il pane di vi-
ta in rsona disceso dal cielo, il pane che si fa proprio nella fede.
Secondo 6,51c per Gc::sii dar in futuro un pane, cio a Sua carne
per la vita del mondo. Questa affermazione, da una parte, si riferi-
sce alla morte di Ges e conclude il discorso cristologico me~afori
co, mentre, dall'altra, come un'eco .del racconto dell'istituzione, trat-
ta dell'eucarestia diventando cosl il centro dell'intero discorso. Se
la persona di Ges, secondo la prima sezione del discorso (6,32-51b),
personifica l'idea del pane di vita, secondo la seconda sezione (vv.
51c-63) egli la reahzza in 2!1aniera sacramentale reale nell'eucar;.stia.
Rimane incertQ__se il termine caratteristico cr&:p!; sia stato mutuato
oppure creato dallo stesso Giovannt Esso, anche in connessione con
or.!a. (vv . .53 ss.), non designa ~separata nel sacrificio dat san-
gue, bensl, come il binomio ebraico carne e sangue, l'intero uomo

-
Ges (d. l,14), come conferma la coruinuazione mediante il prono-
me personale me nel v . .57 Il termine riprende le affermazioni
di katabasis del discorso metaforico. Inoltre la denominazione del-
)' eucarestia quale carne, in particolare del Figlio dell'Uomo (v. 53),

37 R. BuLTMANN, Das Ev. des Johannes, Gi:ittingen r963, p. 162, e al suo se-
guito G. Bornkamm, H. Koster, E. Schult7., E. Lohse considerano i versetti eucari-
stici 6,,rc-63 come aggiunta di un redattore ecclesiastico. Contro questa tesi si ~
levato E. RucKSTUHL, Die lilerarische Einhet des Jobannesevangelium, Freiburg
19,1, pp. 220 ss.
EUCJIRESTIA

ne connota la relazione all'incarnazione e alla glorificazione. La con-


nessione con !>incarnazione in verit esplicit'1ta anche dall'idea di
missione del v. 57. Secondo Giovanni per l'incarnazione tende al-
l!a morte sacrificale (3,16; 12,27; I Jo. 4,9 s.). L'eucarestia d va-
lore alla morte sacrificale perch la carne data per la vita del
mondo ( 6 ,5 1 ), perch la carne viene mangiata e il sangue viene
bevuto, il che presuppone sempre la morte. In fondo per la glo-
ri:ficazione caratteristica del Figlio deWUomo (1,51; 3,13 ss.; 8,28;
12,32) a rendere possibile la cena (6,62). Essa infatti crea il pre-
supposto per l'invio dello Spirito (presente in Ges) (7,38; 16,7) e
rende la carne di Ges comunicabile e vivificante. Il Pneuma infat-
ti, come il divino in Ges (Rom. l,4; I Cor. 15,45; 2 Cor. 3,17;
I Petr. 3,18), cosi anche ci che caratterizza l'eucarestia e la rende
vivificante. Vivificante' non gi la carne presa per se stessa, ma
il Pneuma, che in verit legato alla Stl1'X ( 6,63 ).38
Lo stesso si deve dire per il sangue di Ges1 stando a Jo. 19.34
e I Jo. 5,6-8. Dal fianco apertOdi." Ges morto, il quale muore CO
me vero agnello pasquale nella stessa ora in cui nel tempio vengono --
immolati ~gilell"Cpasffi!.1!._li.t scatilrf~ono~_co~e da una persona vi-
va, sangue ed acqua, in quanto sono pervasi dar Pneuma (7,38 s.;
19,36 insieme a Zach. 12,IO), e rifl~or.io nei ~~cramenti del bat-
te~mo e della cena. :t chiaro quindi che la morte di Ges non
una fine, bens dischiude nuove_ possibilit, chiaro che Ges in
quanto FigliQ....di Dio non viene soltanto nell'acqua ma anche nel
sangue della cena, e ci sempre a motivo dello Spirito (z Jo. 5,6 ss.).
Il quarto evngeJlista pertanto non pone l'eucarestia soltanto in re-
lazione con la morte, ma anche esplicitamente in relazione con l'in-
carnazione e la glorificazione. L'eucarestia la caro Christi, [JaSSa.
et__glorificata, e in quanto carne e sangue del Figlio dell'Uomo essa
]a presenza sacramentale d'CIFevento salvifico Ges.

38 L'interpretazione antropologica del v. 63, secondo la quale soltanto lo spirito


credente dell'uomo, e non il senso carnale, comprenderebbe l'eucarestia (Giovanni
Crisostomo, J. Pascher, H. Kahlefeld, G. Bornkamm), lacera il contesto dell'espo-
sizione giovannea.
SEZIONE SECONDA

LA STORIA DEI DOGMI

I. I padri apostolici e gli apologisti

Fin dalle origini il banchetto del Signore venne posto al centro


della vita cristiana, e non anzitutto come oggetto di speculazione
bensl come oggetto della pratica liturgica e ddl'esperienza 9J fede.
Sotto il velo dei simboli la fede cercava l'incontro con Cristo, fu per-
ci soltanto in -~~to che il banchetto del Signore venne staccato
dal pranzo normale e connesso, sull'esempio della sinagoga, con il
culto della parola, nel quale il credente incontrava Cristo nella pa-
rola. Molto presto la Chiesa si preoccupa di spiegare l'istituzione di
Ges ~ lo fa anzitutto con la concezione e la designazione, che si
impone subit.o..z del convito del Signore come eucarestia. Attorno a
ci si articola una vasta e profonda teologia del banchetto del Si-
gnore. Il termine ha il suo fondamento nei racconti neotestamentari
dell!'istitq?k>_ne che traducono la Berakha di Ges con E.oyEt'll ('COsl
Mc./ Mt. a proposito del pane), ma ancora JJi.Jili! con Euxa.pt.a~Ei:'ll
(Paolo/Le. in generale e Mc./Mt. a proposito del calice). L'uso Iln-
guistico 1_in -~eguito viene ampliato: Exa.p~l1"fl<i designa non soltan-
to I~ preghiera sui doni, ma anche l'intera azione e1 infine, g!i ele-
menti consacrati.2 Il punto di partenza e di aggancio costituito
daJtl'idea deila Berakha giudaica,3 che esprime la lode riconoscente a
Dio ~r la sua azione e i suoi doni 1 indica la derivazione di un be-
ne da Dio e il suo costante riferimento a lui. In campo cristiano
questo significato viene ulteriormente chiarito. Qui, pi accentuata-
mente che nel greco profano, EXa.rmr~la. non indica soltanto il sen-
timento d.Lriconoscenza, ma anche la sua esteriorizzazione. Lette-

1 Al riguardo d. TH. ScHERNJANN, Exapw"Tla und txo:ptCT"TF.~V in ihrem Bedeu-


tungswandel bis 200 n. Chr'., in: Philologus 69 (1910) 375-410.
l 1Passi documentari in J. BETZ, op. cit., 1/1, p. 157.
3 Cf. i lavori di J.-P. Audet, citati pi sopra.
260 EUCARESTIA

talmente anzi lo stesso greco EVXctpl.O''t'-W significa 'mi comporto co-


II\e una persona gratificata. Vi compare in primo piano, quasi spon-
taneamente, la_ karis elargita da Dio. EvxapLCT't'Lct aUora equivale a
pensiero. ricordo dell'azione salvifica di Dio. La funzione anamne-
stica dell'eucarestia viene espressamente e chiaramente messa in lu-
ce dai padri. 4 Questo convincimento fondamentale sintetizzato nel-
la maniera pi concisa da Teodoro di Mopsuestia: l'EvxapLcr't'lct
l'interpretazione dei doni di Dio.5 Nella cena H ringraziamento si
riferisce io pcimo luogo all'opera redentrice di Ges, ma con Ire-
neo si estende anche all'azione creatrice di Dio, azione avvenuta me-
diante il Logos.
Se l'eucarestia, in quanto derivazione di un dono da Dio, ri-
cord2. in quanto restituzione di guesto medesimo dono a Dio
sacrificio, Questo concetto era gi stato elaborato da Filone,6 e i
padri del secondo secolo stabiliscono energicamente P'equazione eu
carestia - sacri{kio. Per Giustino le preghiere e i ringraziamenti
sono gli unici sacrifici perfetti e graditi a Dio,7 e secondo Ireneo
noi sacrifichiamo ringraziando per il suo beneficio (donafio) e con-
sacrando i doni della sua qeazione.1 Questo sacrificio riconoscente
non un'opera autarchica dell'uomo nei confronti di Dio, ma un
sacri-fido spirituale (Ducrlcx .oyLxi)) della l'ode e del riconoscimento
di Dio, sacrificio che r non esclude, bensl include il dono visi-

-
bile. L'offerta riconoscente colloca 1 ne a s era i Dio, come
fa anche la parola di ringraziamento, in quanto proclama su di essi
e in essi l'azione sal'vifica. Cosl questi doni vengono interiormente
specificati dall'azione di Dio commemorata, ne divengono l'oggetti-
vazione e assumono il nome di eucarestia. In questo modo allora
vieRe ia lslf: 110 altro aspetto del ringraziamento: la funzione con-
sacratoria. Sintomatico al riguardo altresl l'uso transitivo del ver-
bo. Nelfa conoezione paleocristiana del banchetto del Signore in

4 Cosl la Lettera di Barnaba ."3; G1uS'I'INO, Dial. rr7 ,3: Corp. Apol. n, 4r8;

CLEMENTE AL., Strom. VII 79,2: GCS m 56,17; G10VANNI Cais., In Mt. hom. 23,
3: PG '7 ,331: I misteri tremendi vengono detti eucarestia, perch sono la me-
moria di molti benefici.
s In Ps. 34,rB: Sf 93, 188, 14 s.
6 De spec. leg. 1 19s; 224; 297; 298; De vict. 4; 9. Cf. De plant. 130 s.
1 Dial. II7,2: COl'p. Apol. II 418.
B Adv. baer. IV 18,6: Ss. Chr. 100, 612.
STORIA DEI DOGMI 261

quanto eucarestia elJ!erge perci una profonda visione d'insief!le. Es-


so si presenta come un'assunzione riconoscente e un riconoscimento
sacrificale dell'azione salvifica di Dio in Ges Cristo, vale a dire co-
me una sua attuazione cultuale. su questa idea di fondo che ri-
flettono i padri greci.
Ci evidente soprattutto in Ignazio di Antiochia (morto verso il
no).~ Per lui il convito del Signore unione con Ges Cristo stes-
so (Eph. 20,2; Magn. 1,2; 7,3), con la vita per eccellenza (Tr. pr.).
In Cristo, ad onta di ogni negazione gpostica, Dio venuto nella
carne (Eph. 7,2) e ci ha redenti nef suo sangue (Eph. 1,1; Sm. 2).
Ma l'eucarestia - e con ci Ignazio riprende un motivo di fondo che
si trova presente in tutta la patristica greca - l!_ verifica della cri-
stologia. Perci il vescovo pu descrivere con colori eucaristici la sua
interiore aspirazione mistica a Cristo. lo desidero il pane di Dio,
cio la carne di Ges Cristo, e come bevanda desidero il suo san-
gue, cio l'eterno convito di amore (Rom. 7 ,3 ). Il sacramento del-
la cena per lui la carne del nostro salvatore Ges Cristo, che ha
sofferto per i nostri peccati e che il Padre nella sua bont ha risusci-
tato (Sm. 7 ,1), .l'unica carne del nostro Signore Ges Cristo e
l'unico calice che unisce al suo sangue (Philad. 4), esso quindi uni-
sce aJ Cristo storico. ed ora glorjticatq. Mediante l'eucarestia, in ul-
tima analisi, Ignazio cetca sempre di incontrare lo stesso Ges Cristo
(Magn. 1,2; 7,3). Essa cio per lui una medicina di immortalit e
un antidoto affinch non si muoia ma si viva sempre in Ges Cristo
(Eph. 20,2). Ritorna qui, con un rivestimento linguistico pi accen-
tuatamente ellenistico, la concezione, vista gi nella Didach, del rin-
novato c!_~o paradisiaco che conferisce la vita e l'immortalit.10
Il sec. n fa suo coscientemente il theolbgumenon giovanneo che
vede nell'incarnazione eucaristica una continuazione sacramentale del-
la missione di Gesu nella carne (}o. 6,57), e in questa luce spiega il
----
sacramentOrn base all'incarnazione. Questa concezione acquista una

' Per la bibliografia cf. W. B1EDER, 'Das Abendmahl im christlichen Lebens


zusammenhang bei lgnatius von Antiochien', in: Ev'fh 16 (1956) 75-97; H. KosTER,
'Geschichte und Kultus im Johannesevangelium und bei lgnatius von Antiochien',
in: ZThK 54 (1957) 56-69; S.M. GIBBARD, The Eucharist in the lgnatian Epistles,
TU 93, Berlin 1966, 214-218.
IO Gli eretici invece, nelle loro celebrazioni separate (cf. Sm. 7,1; Eph. 5,3;
Magn. 7,2; Fil. 4), secondo Trall. 6,2 banno una medicina mortale.
EUCARESTIA

grande importanza nella patristica greca. Essa viene valorizzata con


molta chiarezza gi da Giustino Martire (morto verso il 165).11 Per
lui il banchetto del Signore memoria non soltanto della passione di
Ges~ ma anche della sua incarnazione,13 anzi egli assume quest'ul-
tima quale model~ per comprendere l'eucarestia. In Apol. 1 ,66 egli
scrive: 14

Noi non li assumiamo come il pane ordinario e come la solita bevanda.


Piuttosto, allo stesso modo con cui il nostro silvatore Gesu Cristo, di-
ven carne mediante il Logos di Dio aveva assunto) la carne e il
sangue, cosl - come o stato insegnato - anche e o o, c e me-
diante 1!!18 preghiera al Logos originante da lui (Dio) (o mediante una
preghiera originante da lw) divenuto eucarestia, appunto quella car-
ne e quel sangue divenuti il Ges incarnato, come infatti (in generale)
la carne e il sangue vengono tratti dal cibo mediante le trasformazioni
della nutrizione.

Con ci Giustino vuol dire che l'incarnazione eucaristica avviene al-


la stessa maniera di quella storico-salvifica. Il risultato in entrambi
i casi l'unica e medesima carne, l'unico e medesimo sangue di Ges.
L'apologista 15 spiega la possibilit interna dell'incarnazione eucari-
stica mediante l'assilil~one nutritiva naturale. Questo paragone
contempla che il Logos assuma gli alimenti, li incorpori e li trasformi
in s .Proprio nella mediazione del Logos stanno il valore e fo di-
gnit del sacramento.
Similmente, ricorrendo all'analogia dell'incarnazione, anche Ire-
neo. di Lione 16 descrhze il fattQ...Q_ella cena. Gfli elementi ricevono il
Logos di Dio e diventano eucarestia, corpo e sangue di Cri~to. 17
L'eucarestia quindi consiste anche di due realt, una celeste e l'al-

11 O. CASEJ., 'Die Eucharistielehre des hl. Justinus Mairtyr', in: Der Katholik 1
94 (I914) 153 ss.; Otilio del N. Jesus in Rev. Esp. de Teol. 4 (I944) 3-58.
12 Dial. 41,1: Corp. Apol. I 138; 70: Corp. Apol. I 2;4.
13 Dia/. 70: Corp. Apol. I 254.
14 Apol. 1 66. Corp. Apol. r 180/2.
15 Per l'esegesi dei testi cf. J. BETZ, op. cit., 1/1, pp. 268 ss.; O. PERLER, 'Lo-
gos und Eucharisrie nach Juninus I. Apol. c. 66', in: DTh 18 (1940) 296-316.
16 Al riguardo cf. il recente J.P. DE JoNG, 'Der urspriingliche Sinn von Epiklese
und Mischungsritus nach der Eucharistielehre des hl. lreniius', in: ALW 9 (1965)
28-47.
17 Adv. haer. V 2,3: Ss Chr. 153, 36; d. anche IV 18,5: Ss Cbr. 100, 6u s.
STOllIA DEI DOGMI

tra terrestre . 18 Essa cio, in ultima analisi, comunica il Logos, che


viene ricevuto come farmaco della vita,1~ e si deve mangiare e
bere come pane dell'immortalit.2ll Mediante il Los..os allora i corpi
nutriti dall'eucarestia raggiungono la resurrezione. 21 Cosl la cena ga-
rantisce l'inserimento, negato dalla gnosi, del ~rpo nella salvezza,
allo stesso modo che con l'offerta dei doni testimonia la bont della
creazione.22

L'opera mi ore rodotta dal sec. u costituita dall'elaborazione della


liturgia eucaristica. Se nei canoni sv' uppatts1 pt tar mcontriamo elle
configurazioni e delle formulazioni solide ci si spiega bene pensando
agli sforzi precedenti condotti su larga scala, in ogni caso la Chiesa
primitiva si considerava essenzialmente come la comunit della comunio-
E.:.: Quale m turita avesse raggiunto la lltut ia verso il 200 lo vediamo
in maniera esemp are gran e preg tera contenuta ne or amento
ecclesiastico di Ippolito, che ci presenta il patrimonio tradizionale 3 e
generalizzato in una visione e formulazione del tutto individuali. Sotto
il motto txap~inWE\I questa preghiera cdebra l'o era salvifica di Dio
in Cristo, Che raggiunto sua sintesi nell'istituzione e 'eucarestia.
Segue poi una parte dedicata a una riflessione teologica. Ecco il testo
integrale: 74
Ti ringraziamo, o Dio, per mezzo del tuo diletto servo Ges Cristo, che
tu ci hai inviato negli ultimi tempi come redentore, salvatore e messag-
gero dclla-nia decisione. Egli il tuo Logos, unito a te inseparabilmente;
per suo mezzo tuhai creato ogni cosa. Secondo il tuo beneplacito lo hai
inviato dal cielo nel seno della Vergine, ed in esso diventato carne e
si most~iC>qUiire tuo Figlio, generato Ctallo Spirito santo e dalla Ver-
gine. Per rompiere la tua volont e acquistarti un popolo santo che aprl
le sue mani alla passione in modo da salvare mediante essa coloro che
credono in te. E quando si consegn volontariamente alla passione per
vincere la morte, per spezzare le catene del diavolo, per illuminare i giu-

18 Adv. haer. IV 18,.5: SChr. xoo, 6n s.


19 Adv. haer. nr 19,r: H.o.VEY II 102.
10 Adv. haer. IV 38,r: SChr. 100, 946/48. Anche secondo l'Epideixis 57: BKV
II 62.5 i fedeli bevono il Signore e ricevono n suo Pneuma.
21 Adv. haer. V 2,3: SChr. 153,36.
J1ll Adv. haer. IV I8,4! SChr. 100, 6o6.
ZI L'organizzazione ecclesiastica intende presentare la tradilio apostolica. Alcuni
versetti sull'opera salviifu:a di Ges si trovano anche nella Lettera di Barnaba ,,3;
d. ]. BFrz, op. cit., n/1, 166.
J4 Versione latina riprodotta in A. HANGGI - I. PAHL, Prex eucharistica, Fri-
bourg, 1968, 81. La patria dell'anafora contestata. Alcuni studiosi (come ].A.
Jungmllllll) la cercano a Roma, altri (J.M. Hanssens) in Egitto, e altri ancora, pi
a ragione, in Siria (G. Dix).
EUCARESTIA

sti, per porre una pietra miliare e annunciare la resurrezione, egli prese
il pane, ringrazi e disse: Prendete e mangiate! Questo il mio corpo
che stato spezzato per voi. Lo stesso fece con il calice dicendo: Questo
il mio sangue, che viene versato per voi. Ogniqualvolta fate questo, fa-
telo in mia memoria.
Memori della sua morte e resurrezione noi quindi ti offriamo il pane e
il calice ringraziandoti di averci trovati degni di stare al tuo cospetto e
di seryirti. Ti preghiamo: manda il tuo santo Spirito su~uesto offerta
d~hiesa. Raccogliendola nell'unit d a tutti i santi,e se ne ciba-
no, la pienezza dello Spirito santo che ne fortifichi la fede nella verit,
affinch6 ti celebriamo e lodiamo mediante il tuo servo Ges Cristo, per
mezzo del quale salgono a te l'onore e la gloria, a te, Padre, e al Figlio
insieme allo Spirito santo nella tua Chiesa santa, ora e nell'eternit.
Amen.
Abbiamo qui un'opera classica, insuperabile. Particolare importanza per
noi ha il passo che riflette seguendo il racconto dell'istituzione e che espri-
me la convinzione dogmatica degli anni intorno al 200. Esso tiene presen-
te l'intero evento e, nel memores, mette in risalto quale sua prima ca-
rat.~ristica l'anamnesis, che per non viene fatta soltanto a questo pun-
to, ma gi nella precedente proclamazione dell'opera salvifica di Dio in
Cristo. La memoria comunque ha Juggo alla maniera di un'offerta cultua-
le: memores offerimus. Neppure l'offerta avviene soltanto qui; l'intero
svolgimento dell'eucarestia ha un carattere offertoriale. Cosl la celebra-
zione avv~nuta allo stesso modo della memoria, pure essa sacrificale,
dell'opera salvifica di Ges. Que~.Ja..~egazione della messa data
nella Chiesa dei primi tempi Infine, nell'epiclesi _si prende coscienza di
un'altra caratteristica fondamentale dell'intero e.Y&nto. II punto culmi-
nante del suo significato non sta tanto nella consacrazione quanto piutto-
sto in una omnnjone feconda. che ha luogo nell'orizzonte ecclesiale. Que-
ste intuizioni di fondo circa il carattere dell'euca~tia quale anamnesis,
prosohora. epic/esis, ricompaiono nelle altre liturgie (posteriori). L'epicle-
si ass.umc. sempre dj pi la forma di un'epiclesi consacratoria. In Egitto
viene posta prima del racconto dell'istituzione.

2. L'eucarestia nella teologia alessandrina

Gli alessandrini 25 ravvisano l'essenza e la dignit del cristianesimo


nella partecipazione al Logos divino, che ci divenuto accessibile in
Ges Cristo. Strumento preferito, anche se non l'unico, per la comu-

25 Al riguardo cf. P. TH. WMELOT, 'L'Eucharistie dans l'cole d'Alexandrie', in:


Divinitas 1 {1957) 71-91.
STORIA DEI DOGMI

nione con il_1=ggos per essi .1$ucarestia. Con la Chiesa uniyersale


essi, - anche i primi pensatori Clemente e Origene di orientamen-
to spiritualistico - , riconoscono nell'eucarestia il corpo e il sangue
di Cristo e finisc,Qno per considerarla il totus Christus.u Ma ci che
rende cos importante ai loro occhi la cena i il fatto che essa, in ul-
tima analisi, il corpo e il sangue del Logqs, 27 1( suo mdo sacra-
mentale di manifestarsi, la sua oggettivazione. Secondo demente il
cibo () il Kyrios Gesl il Logos di Dio, il Pneuma diventato carne,
la carne celeste santificata,:zi; secondo Origene esso il pane sostan-
ziale del Padre nostro e quindi il_ vero cibo, cio la carne di Cri-
sto, il Logos secondo l'essere, che diventato carne. 29 Diviene cosl
chiaro che il Lo~s diventa presente in virt dell'anamnesi incarna-
toria, che rimane il fondamento portante della dottrina eucaristica
a~ndrina. Cosl pensano Eusebio di Cesarea, Atanasio, Serapione
di Thmuis, Diclino, Cirilk1, e inoltre i cappadoci Basilio, Gregorio di
Nazianzo, Gregorio di Nissa.
La recezione del Logos sotto le spede di un alimento corporale non
costituisc; per ad Alessandria l'unico e il pi importante modo di
c.Qmunione. Essa. pil!,ttosto-i:ipica dei cristiani semplici, i pistid (per
i quali Clemente scrive il Pedagogo). Il cristiano perfetto invece, lo
gnostico._ si comunica in un modo pi spirituale. Il Logos soprat-
tutto il ~!velatore e il maestro di certe idee, il suo don la cono-
scenza e la verit, e di queste entit ci si impadronisce in maniera
SQiritE;le. QuestasOIUzione . sostenuta gi da Clemente negli Stro-
-l!!_ata. In quanto per lb gnostico il cibo costituito dalla suprema vi-
si~ immediata, la carne e il sangue del Logos sono per. lui la com-
prensione intuitiva della potenza ed essenza diyjna, il mangiare e il
bere il Logos divino sono la conoscenza di questa essenza -divina, la
comuni~zione pi spirituale del LoB?s. 30 A questo proposito Clemen-
te cita significativamente Platone! Questa concezione spiritualistica
infatti, e non quella della presenza reale, rappresenta la vera elleniz-

2.1Documenti riportati pi sotto a p. 359.


TI CLEMENTE, Paed. r 6,42,3: GCS I n5,20-n; RIGENE, In Ex. hom. 13,3:
GCS VI 274,13; In Lev. hom. 9,10: GCS VI 438,18; In Num. hom. 7,2: GCS
VII 39 s.; In Mt. ser. 86: GCS XI 199,2r.
28 Paed. 1 6,43,3: GCS I n6,2-4. Il Logos visto come nutrimento sacramen-
tale anche in 41,3 42,2 s.; 47,2.
:B De oratione 274: GCS u 365,22-1+
266 EUCARESTIA

zazione dell'eucarestia. Per i primi alessandrini la cena perfetta la


appropriazione Pirituale del Lo~s, aJ:lo stesso modo che ogni ap
propriazione spirituale del Logosdiventa ~.ma cena.
Questa via percorsa in maniera ancor pi r@icale da Origene.
A volte egli accosta tra di loro la recezione fisica del corpo e del san-
gue di Cristo e l'audizione spirituale della Parolill,31 ma per principio
d la preminenza al secondo modo di comunicarsi che quello dei
sapientiores e di coloro che hanno un senso pi profondo.32 Quin-
di la P ola romossa alla dignit di vero sacramento del Logos e
di vero contenuto dell'eucarestia, come mostra a sua esegesi del
racconto dell'istituzione. Il pane e la bevanda, che Ges proclam
suo corpo e suo sangue, nop__~ebbero state le realt che ~_gg_ tene-
va in mano, .Q!a la Parola, che nutre le anime e inebria i cuori,
~meNa cui sacramentalit quel pane deve essere spezzato e quella be-
vanda versata.33 Origene spinge_ ancora pi avanti la svalutaiione
dei do deUa cena a plicando a questa affermazione di Ge-
s Mt. t5,II (Non quello che entra a a occa contamina l'uomo,
ma quello che esce da essa), nonch Rom. 14,23 e I Cor. 8,8 per
risolvere cos il pro..g!~ma della comunione indegna. Ci che santifi-
ca tu.omo non sarebbe il cibo consacrato - altrimenti ne ver.rebbe
santilicato anche il comunicando indegno - , ma la coscienza dell'uo-
mo~il suo ethos (che da lui viene definito anche come nutrimento
dell'anima). La manducazione in. . guanto tale non di utilit, come
nqn di danno la non manducazione. Se apporta qualChe utilit lo
fa in vf;t'-deIa preghiera pronunciata sugli elementi, capace di illu-
min~re.34 Questa concezione, che anzitutto deduce tutti gli effetti de]
sacramen;;d~Tla-to soggettivo del ricevente, ma poi riconosce come
momento operativo oggettivo la Parola, deve essere concepita come
il tent:WYQ..4i risolvere il difficile problema della comunione indegna
e di valorizzare la disposizione soggettiva del ricevente; essa inoltre
]'espressione di uno spiritualismo ellenistico. Ma ha anche un aspet-

30 Stroma/a v 10,66: GCS II 370,20.


31 In Ex. ham. 13,3: GCS VI 274,5-13; In Num. bom. 16,9: GCS VII 1;!2,4 s.;
In ]a. tam. 32,24: GCS IV 468, 13-16.
ll In Lev. ham. 13,6: GCS VI 477,15 ss.); In Mt. ser. 86: GCS XI 198,15; In
]a. tam. 32,24: GCS 468,15.
33 In Mt. ser. 85: GCS XI 196, 19-197,6 .
.M In Mt. tam. n,14: GCS x ,57,II-58,14.
STORIA DEI DOGMI

to positivo: nella sottolineatura della Parola quale contenuto del sa-


cramento si enuncia un postulato genuinamente cristiano, cio la sa-
cramentalit della Parola; purtroppo la si sottolinea a discapito del-
l'elemento visibile.
L'idea della. comunione spirituale esprime un aspetto giust~. Con-
trapporla p~~l!~ comunione orale, come fa Origene, equivaPe a ri-
durre l'istituzione di Ges. La successiva teologia e piet alessan-
dri~ha-tacrtamente corretto le esagerazioni di Origene ed ha pra-
ticato la comunione spirituale assieme a quella orale. La tesi di fon-
do rimane che la cena comunica il Logos, Ila nutrizione dello spirito.35
Atanasio_~_EQrta_ un approfondimento soterioloako. Il Logos per
lui non un cgmunicatore di idee, ma di salvezza. di redeozi.Qne. Ora
la salvezza con~~te nella divinizz~~l'uomo, compreso il suo
cor~u essere operata soltanto dal Logos e ne presuppone Ii'incar-
nazione. Noi veniamo divinizzati non dalla partecipazione al corpo
di un uomo, ma in quanto riceviamo il corpo del Logos.31. !Poich
il co~~~}_ l..ogos, l'eucarestia, in ul'tima analisi, e comunica il
P~. 37 Questa visione pneumatico-soteriologica verr poi svilup-
pata fino in fondo da Cirillo di Alessandria,38 in uno dei momenti
culminanti della teologia patristica della cena. L'eulogia m~ca,
come eg~ ama chiamare il sacramento, ha come propriet la prero-
gativa Qj._y_i:!}~omunicatrice della vita, in....5J!1anto il corpo del
Log~,Jp.fatti il corpo di Cristo, sia quello storico che quello eucari-
stico ~t_l~!.9.~L!.~
. alla sinteS lelia vita; 39 ed precisamente unito
ad esso in maniera diretta :io e sostanziale, anzi costituisce una cosa
sola con esso 42 e gli appartiene (direttamente), come il corpo di un

lS Cf. EusEBIO, Comm. in Ps. 77,25: PG 23,920; De ecci. theol. 1 20,34 s.:
GCS IV 86,31-87,1; ATANASIO, Epist_ fesi. 7; LA11:sow, 101.
36 ATANASIO, Epirtula ad Maximum phil.: PG 26, 1088 C; cf. anche Ps. Cu-
SOS'l'OMO, Hom. de pascha 2,18: Ss Cbr. 36,91.
37 Ps.-ATANASIO, probabilmente MARCELLO DI ANCIRA, De incarna/ione et con
tra Arianos 16: PG 26, 1012: dl Pneuma comunicatore di vita la carne del Si-
gnore, poich essa origina dal Pneuma vivificante. Tutto ci che origina dal Pneu-
ma pneuma. CIRILLO AL., In ]o. (6,64) comm. 4,3: PG 73, 604.
38 A. STRUCKMANN, Die Eucharistielehre des hl. Cyrill von Alexandrkn, Pa-
derborn 1910.
l9 In ]o. comm. 4,2: PG 73,y76, ecc.
40 Quod unus sit Christus: PG 71,1360.
41 x1dt' V1;6Cl"f0tcnv : Contra Nest. 1 prooem.: ACO 1 1,6 pp. 15,37.
42 In ]o. (6,54) comm. 4,2: PG 73,576, .580 CD.
268 EUCl'.RESTlh

uomo appartiene a quest'ultimo ed posseduto da lui.~ Per esprimere


ci Cirillo si serve della formula cr.p~ i.ola "t"oii .6you,"" che ritorna
anche Jldt.un.~mo anat;-~~;~o di Efeso (ns 262 ). Queste ~aJfer
mazioni ci dicono che il corpo storico di Cristo, come quello eucari-
stico, non appartiene a se stesso, non possiede in s la propria au-
tonomia, la propria sussistenza, ma nel Logos. Ne consegue che i doni
offerti..._tt@~fqrmati_!tel_c~~ e nel sangue di Cristo, pi propriamen-
te nella forza e nella potenza ( Ov'llt.t.\c; xat 'lltP'(E\a.) del Logos, diven-
gono comunicatori di vita. 45 Cirillo fa sua l'idea di trasformazione,
gi da lungo tempo in circolazione. Egli, sulla base del principio eu-
caristico dell'incarnazione, illustra la struttura ontica dei doni consa-
crati, ne considera il rapporto con il Logos sotto il profilo della sus-
sistenza.46 Ci significa che _gli elel!lenti sostentati e dominati dal
Logos diventano il suo corpo e il suo sangue. Cirillo descrive que-
sta trasformazione prevalentemente come dinamica, com<:_J.fil~ tra-
sformazione nella potenza del Logo$. Egli non ha portato avanti il
totale scandaglio ontologico del suo postulato nel senso di una tra-
sformazione sostanziale, ma rimasto fermo al concetto dinamico di
sostanza. Riassumendo, della spiritualit alessandrina si pu dire che
nel banchetto del Signore essa cerca il Logos. E lo pu cogliere perch
qui esso compie un'incarnazione sacramentale. Cos in questa conce-
zione rimane ancora in primo piano l'umanit di Ges, che in verit
viene irradiata dall'idea del Logos.

3. Gli antiocheni preefesini

In maniera infinitamente pi forte l'umanit e l'opera salvifica di Ge- .


s ve~centuate dalla teologia orientale~cheacf Antiochia svi-
lupp un tipo-;;tonomo in cui inAui~~?~ _e_i~---~~~~tan.i~~~-E:otivi
del pensiero ~e!!Jj~iso-palestinese. Questa teologia vuole essere inten-
tenzi~~lmente una teologia ~ritturale, ma non un'elaborazione di
43 Apol. contra Orient. 96/97: ACO I 1,7, ,s/9; Apol. contra Theodoretum 86:
ACO I 1,6, 143,1, ss.
4t Molti documenti, specialmente nelle opere antinestoriane.
45 Frammento su Mt. 26,26: TU 61, p. 2,,; d. anche il Frammento su Le. 22,19:
PG 72,9u.
46 Similmente MARCO EREMITA, Adversu.1 Nestorianos 8,23: KuNZE rr,24.
STORIA DEI DOGMI

audaci allegorie bensl l!!_l'esegesi del senso letterale. Essa si rivolge


al concreto e allo storico, il suo interesse particolare quindi diretto
all'umanit-pi- a di Ges e alla sua opera salvifica. E ci vkne in
luce proprio nell'eucarestia,47 qut const erata soprattutto come sacra-
mento dell'umanit di Ges. Ora inoltre viene sviluppata l'idea di
a~nesis. Per quanto concern~.!'estensione delle azioni salvifiche ri-
cordate, anche qui viene tenuta p~ l'incarnaiione: ma l'accento
posto sull'esecuzione e sul compimento dell'opera salvifica, quin-
di su.fi-morte--e- resurrezione 'di Gesti. AiiCI1e dei teologi che, cOOie
Eusebio di Cesarea e i tre cappadoci, sono influenzati dalla teologia
alessandrina-d.i LOgos sottolineano pi fortemente degli alessandrfui
il ricordo derla morte, certamente anche in base alle loca.li uadizioni
liturgiche. Se l'intera opera redentiva di Ges, dall'incarnazione _alla
glorificazione, oggetto dell'anamnesis, la sua realizzazione l'intero
evento _ella enanellla sua struttura fondamentale. Perci gli elemen-
ti del convito e l'azione liturgica compiuta con e su di essi vengono
detti simbOro e tipo dell'opera salvifica. Ci significa Che Iacena
riceve la sua impronta mtenore e liSU"a vera specificazione da que-
st'ultima, alfu stesso mOdo che }a copia la riceve dal mOdello, e in
essa il modello viene espresso, si manifesta, si fa presente, accade ora
in essa. Questo punto stato esposto con estrema chiarezza da Gio-
vanni rtsostomo.L.., il teologo dell'anamnesis, in un testo classico,
che comm~~taC"c;sl-la cessazione dei sacrifici- veterotestamentari:

Non sacrifichiamo anche noi tutti i giorni? Certo, anche noi sacrifichia-
mo (quotiClianamente\ ma celebrando la memoria della sua morte; ma
questo un sacrificio solo, non molti. Come uno e non molti? Perch
egli -stato-offerta__$.Qlt.!!Jito una ~a. co;;quer sacrdic10 offerto nel
Santp_ dei santi. Questo un tipo di quello, e parimenti il nostro un
tipo di quelo. Noi _infat_ti ~~ia~() sempre lo __~!_esso J_<;~sto},3on oggi
questo e .c!Pm.ani quell'agnello, ma sempre lo stesso. Si tratta quinli di
un unico sacrificio (")fferla):-Ts~~~.. allo~;-m~Tt Cristo perch in mol-
ti luoghi si fa l'offerta? Affatto. Piuttosto si deve dire che si tratta sem-

47 Sulla dottrina eucaristica antiochena cf. L. LECUYER, 'La th~logie de l'ana


phore sclon les Pres de !~cole d'Antioche', in: L'Orient Syrien 6 (1961) 385-412.
48 Documenti in J. BETZ, op. cit., 1/1, pp. 217-142.
* A. NAEGLE, Die Eucharistielehre des hl. ]ohannes Chrysostomus, Frciburg
1900; G. F1TTKAU, Der Begrifj des Mysteriums bei Johannes Chrysostomus, Bonn
1953.
270 EUCAJtESTIA

pre dell'unico Cristo, qui e l nella sua totalit, un unico corpo. Ora
come l'Offerto in molti luoghi un corpo (soltanto) e non molti corpi,
cosl si ha anche un unico sacrificio (l)va"ltx =
azione sacrificale). Il no-
stro Smmo Sacerdote colui che ha offerto il sacrificio {della croce)
che ci purifica. Noi offriamo anche ora ci che stato offerto un tempo
ed inesauribile. E il sacrificio presente vien fatto in memoria di quello
compiuto un tempo. Egli infatti dice: Fate questo in mia memoria! Al-
lora fu offerto nientemeno che il Sommo Sacerdote, e noi in tutti i
tempi continuiamo ad offrire la stessa cosa, o meglio: compiamo una
memoria del sacrificio.,,

Il Crisostomo afferma l'identit non so1'tanto dell'unico Cristo offer-


to in tutte le messe, ma anche l'identit della nostra azione sacrificale
con q~ella di Ges sulla croce; il termine !)vala. comprelde entrambi
gli...aspetti. Anche Teodoreto ripete che noi non offriamo un sacrifi-
ci diverso (da quello di Ges), ma UIJ.Lmemoria def medesimo. 51
Questa identi!~~~]!:!.~.P in virt del vim:olo_ dell'anamnesis. Mediante
essa lazione salvifica compiuta da Cristo un tempo acquista un nunc
neNa liturgia.52 quanto ammette anche T~._di Mopsuestia; 53
secort~~j:Q_~a<J!~.~.S.~. vi~Q_~ sacrificato sotto forma simbolica,
egli muore. risuscita dai morti e sale_fil_cielo.54 Ma Teodoro fa qual-
cosa di pi: mette in relazione certe ~rti della messa con detenni-
nati e.~ella vita redentrice di ~S "<c;t:--i:-,5,985.). Inoltre pone
l'accento interamente sull'~p.!_cl'E'.~i ~~L~-Spirit~ santo, che mette in
paralldi.!imQ con la resurrezione. Nei due casijg Spirito vivifica il
cot:pa motto di Ges ( 15 ,26 ), lo unisce definitivamente e intima-
mente alla divinit, gli conferisce l'immortalit e il potere di ren-
dere 'immortali anche altri.55 In tal modo Teodoro temporalizza il mi-
ste!_Q_~ induce ad una spiegazione allegorica_?._ella mes~.P_!:!.re a
concepire l'epicl~i;i_ g;>m~JL.EtQ_~proprio atto di consacrazione.
L'accentuazione dell'anamnesis, nell'ambito della teologia antioche-
.na,,_~si estende and1e alla concezione <leCJQ;:;i--conviviali consacrati,

50 In Hebr. hom. r7,3: PG 63.131; per l'esegesi cf. J. BETZ, op. cit., 1/1, p. r9r.
51 In Hebr. 8,4-5: PG 82,736.
Sl! Altre testimonianze sono riportate pi sotto a pp. 344 s.
!B Su ci cf. F.J. REINE, The Eucharistic Doctrine and Liturgy of the Mystagogicat
Catecheses of Theodore of Mopsuestia, Washington 1942; J. QuASTEN, 'The Litur-
gical Mysticism of Theodore of Mopsuestia', in: Theolog. Studies 15 (1954) 431-439.
54 Cat. r5,20: ST 145. 497; 16,n: ST 145, 551.
~ Cat. r5,10: ST r45, 475; I2 ST 145, 479; 16,rr ST 145, 551.
STORIA DEI DOGMI 271

che qui vengono identificati molto pi esplicitamente con il corpo e


il sangue immolati
.._._ __ del Ges storico. Ad una tale identificazione, in
~.

fondo, induce anche la visione_ dell'eucarestia co~~ F_!Squa. La stes-


sa identificazione avviene anche l dove l'eucarestia viene citata come
prova in favore della realt del!l'umanit di Ges.56 Chiarissimamente
il segno di uguaglianza tra il~ storico e quello eucaristico po-
sto da Giovanni :Fisostomo, che per questo viene detto Doctor eu-
char_~stiae. Per lui il s~cramento il ~ che giaceva nel presepio,
che Ges ha distribuito nel suo ultimo banchetto, che Giuda tradl,
che venne inchiodato e trafitto, ma che la morte non riusci a tratte-
nere ed ora siede sul! trono .in cielo. Il calice contiene il sangue sgor-
gato dal costato di Ges.57 A causa di questa identit Teodoro di
MQPsu~s1:ia -respingeiil~9ne degJi elementi co~~q~_!! ~
me simboli; essi sono realmente il corpo e il sangue di Cristo,58 il
cadavere inanimato, deposto nel sepolcro, secondo il racconto del-
l'istituzione," il corpo risorto, collmato di Spirito, immortale e di-
stributore di immortalit, secondo l'epiclesi.60 Anche gli Atti di Tom-
maso ( 158 ), le Costituzioni a stoliche (VII 2 5 ,4 ), Efrem 61 e Teodore-
to,62 ammettono l'identit del corpo sacrament e e t que o storico.
Gregorio di Nissa, che si sforza di operare una sintesi tra la concezio-
ne alessandrina e quel!la antiochena, sottolinea l'identit del corpo eu-
caristico..ron g,uello iocarnato. Che anche nella teologia antiochena ven-
ga visto nel primo il Christus totus cosa ben comprensibile su un ter-
reno linguistico influenzato semiticamente.63
L'identit, avvertita dalla fede, del corpo sacramentale di Cristo

SII ADAMANZIO, De recta in Deum fide: GCS 184,14; EFREM, Adv. baer. 47,8;
BKV 61 [RilcKER] 166; GIOVANNI CRis., In 1 Cor. hom. 24,,: PG 61~204.
~ Molti documenti sono raccolti in In :r Cor. bom. 24: PG 61,200-20,.
sa Frammento su Mt. 26,26: TU 61,133 s.
59 Cat. 15,26: ST 14,,50,17.
60 Cat. 1,,10: ST 14,,47.:1; 12: ST l45A79; x6,u: ST l45,.:i.:i1.
61 De fide 19,2. Cf. anche E. BscK, 'Die Eucharistie bei Ephriim', in: Oriens
Christ. 38 (1954) 41-67.
t12 In :r Cor. II,28: PG 82,317.
l Cf. i documenti citati pi sotto a p. 360. La recezione della comunione viene
vista come un incontro con Cristo, cosl CIRILLO DI GBRUS., Cat. myst. ,,21: SChr
126,170; TEODORO Dr MoPs., Cat. 16,28: ST 14,s79; EFREM, In diem nat. iDom.:
BKV [ZINGERLE] 42. Nel complesso concorda anche l'affermazione di Giovanni Cri
sostomo, secondo cui Cristo giacerebbe ucciso sull'altare; cosl in De sacerd. 3A:
PG 48,642 ecc.; cf. anche C11t1LLO DI GERUS., Cat. myst. 5,10: SChr 126,160.
EUCARES1'1A

con quello reale viene fissata dal pensiero mediante l'idea di trasfor-
mazione. I doni del banchetto non sono pi delle semplici cose na-
turali, ma sono riempiti e trasformati dallo Spirito santo. Infatti la
trasfor~ione avviene in quanto lo Spirito santo - secondo Gre-
gorio di Nissa lo stesso Logos - tocca, prende, trasforma gli ele-
men. li rende corpo e sangue di Ges. I termini usati per connota-
re fa trasformazione, E'tcit~ciMw, ET111tOLE~v ecc. 64 e simili, espri-
mono un riordjnamepto per Qllanto concerne il eossesso, la funzione
e la potenza. Il concetto di trasformazione, esattamente come l'es-
senza viene assunto in maniera prevalentemente dinamico-funzionale
e non -~cora portato fino all'ultima profondit ontol~gica. "La tra-
sformazione e l'essenza del:l'eucarestia non sono accessibili ai sensi, ma
soltanto conoscibili da parte del pensiero che credei secondo Giovan-
ni Crisostomo esse sono essenzialmente 'llOT}'t6v.65 Questa caratteriz-
zazione per non intende esprimere una spiritualizzazione e una ridu-
zione del sacramento, bensl garantirne il nascosto plusvalore sopran-
naturale, cui allude anche l'attributo eucaristico tremendo ( q>pLX'toc;,
q>O~Epoc;).

4. I padri greci dopo Efeso

Dopo l'Efesino si attenua la grande, profonda e vasta vmone del


~o. Anche negli ~e~f'Sfaffievolls~la visione anamnestico-
cristologica. Sintomatico al riguardo H fatto che in essi e quasi
ovunque 66 scompaiono le affermazioni di una trasformazione, che vie-
ne__ anzi direttamente negata. La parola d'ordine al riguardo data
sorprendentemente dagli antiocheni Nesmrjo Euterio di Tiana. Teo-
doreto di Ciro e dall'autore dell'Epistula ad Caesarium. 67 Essi affer-
mano che il pane e il vino rimangono ci che sono, non subiscono
alcuna trasformazione neUa natura (puO'L, ouaia), ma soltanto un

64 Documenti pi sotto. Cf. J. BETZ, op_ cit_, 1/1, pp. 308-318.


65 In Mt. hom. 82A: PG ,8,713.
66 Fanno eccezione SEVERO DI ANT., Epist. ad Misael: BaoOKS 11/2, 238; Apoph-
te[l.mata Patrum: PG 65,160: Cristo converte il suo corpo in pane!
67 NESTOllIO, Liber Heraclidis 1/1, 41: DRIVER-HoDGSON, 32; u/1, 237. EurEllIO
DI T1ANA, Antilogie: TETZ, 12 s.; Epistola ad Caesarium: PG 52,570; TEODORETO,
Eranistes 1: PG 83,56; II, 168.
ETORIA DEI DO<lMI 273

cambiamento i nome, che la fede accetta. Gli elementi vengono det-


ti corp2._ e sangue esu, come ~:!.Cristo si definito pane
di vita e vite. Il fatto comunque non si riduce ad un puro cambia-
mento_..di_ nome e a un sem lice evento linguistico. Secondo Euterio,
Teodoreto e altri gli elementi, che rimangono ne a oro natura, ri-
cevono inoltre la grazia dello Spirito, quindi un incremento sopran-
naturale, ed per questo che vengono detti corpo e sangue di Cri-
sto.68 M~tivo per cuf si nega la trasformazione non e costimtto
soltanto dalle apparenze e da un concetto non chiarito di sostanza,
bensl primariamente dalla cristolog_ia. Contro un monofisismo, che
risolve l'umanit di Ges nella sua divinit, questi antiocheni sotto-
lineano ii perr~e immutato deMe due nature in Cristo anche dopo
la ~-~~su~ezione - e corroborano il ,4~o&_~~~..9.-~E!!tologico con un
du~fisismo eucaristico, in quanto Ja continuazione delle specie sem-
bra ad essi~--y~i(fo_ modello dimostrativo. Infatti la cristologia e
la celebrazione eucaris~_QgQjondamentalimente d~~.
L'argomento convince anche altri. A motivo delle due nature in Cri-
sto persino i rigidi calcedoniani p~,ea GeJa.sio (m<_?rto nel 49.6),~_:g_f,~em
di Antiochi(mortoner.545T'
------ e, implicitamente, anche Leonzio di
Gerusalemme,71 negan~ la trasformazione della natura degli demen-
ti, e persino il monofi--;1;-,:a--FHoss~iia.'Cli-Mabh'ug-~;;nc~d~~que-
sta tesi.72
Il periodo succes?ivo al Calcedonese n~__ segna pi un progres~o
de~~--<.!L.!!1~~~~~~ r~ardevoli .!!!2!!~6siti Timoteo Elero, Seve-
ro e Filosseno, che, dal punto di vista dogmatico-materiale, erano dei
monofisiH..,.ei di~~_:!1.=_ di fatto, ma a-~he i calt~4on~ (influen-
zati da essi) Leonzio di Bisanzio, gli imperatori Giustiniano e Mas-
senzio, concentrano .nu.to il lQ!:Q_j_i:i_t~g!M(!__ sulla par.~ecipazione al Lo-
gos. Contro l'opinione di Nestorio,73 secondo cui il corpo e il sangue
di Ges avrebbero gi di per s un significato redentivo a causa della

68 Secondo NESTORJO, Liber Heracl. 1/1,58: DRIVER-HODGSON, 55, nel pane noi
vediamo il corpo, poich Cristo lo ha preso come suo pr6sopon (modo di manife-
starsi).
'fl De duobur Naturis in Chnsto tr. 111: THIEL, 541.
' In Fozio: PG rn3,980.
11 Adv. Nestorianos 53: PG 86,1728.
12 Tract. de trinitate et incarnat.: CSCO 2/27,roo.
7J Li ber Ileraclidis I I ,38 s., 4r: DRIVER-HODGSON 29,30,32 s.
EUCARESTIA
2 74

passione redentrice, essi ripetono incessantemente che ogni salvezza


proviene dal Logos, e se l'eucarestia viene creduta operatrice di sal-
vezza, lo solo perch comunica il Logos. I monofisiti e i calcedo-
niani insistono sulla formula: corj>o del Logos 74 o di Dio. 15 E quando
vengo~tate;1ainorte e la resurrezione non ven~ connesse di-
rett~~!1!.~--~~.!1__(.;()rE_9 __~caristico (come in Giovanni Crisostomo),
ma con il Logos (corpo del Logos, dell'Incarnato, Crocifisso, Risor-
to ).76 La diy!!!~!.~~~l Logos diffonde la sua luce su tutto, l'umanit di
Ges ritorna in seeoridopano. Ti Trnte-;-cit;1~-Ied- popolare, in-
soddfsfat~ dell;-t~ologia amatta e nutrita continuamente dalla pre-
dicazip~_realis.tlca della liturs!!1 si_crea una compensazione: con dei
racconti di miracoli massicciamente ultrarealistid si dimostra - an-
che ed opera di monofisiti - che la cena del Signore realmente e
lett~cg,mg__ sacrificato .~LGes ~iL&uo sangye versato."
In teologia lo Pseudo-Cesario di Nazianzo e, pi efficacemente, Ata-
nasio ~a ribadiscono la presenza reale con la formula 11-t -t
CTW(.Lt1 -toO X~;ov ~vov}:78'"11Scondo-acfduceper;i;o una dimo-
strazione cristologie~ in favq~~.9ell.l!..9eperibilj~elfa carne di Ges
prima della resurrezione ricorrendo al!l'wsilio della deperibilit del-
l'ostia.79 Per quanto possa essere carente, poich non tiene presente
la distinzione tra modo di essere naturale e modo di essere sacra-
mentale, questa ~~~_:o~~e-~~a m._ _ogni__ ~.a..~() I~ fe<!_:_::alistica del
suo autore.
-- Un~--~tesi degli sforzi precedenti viene tentata alla fine dell'ra
patristica da Giovanni Damasceno nell'opera De fide orthodoxa, 4,
1 3. Anzitutto egli determina la collocazione del sacramento nel qua-
dro...della..re~t. cristiana. Esso eleva a Di 1\1omo 'daauto, corri-
- -.......
--...~ ---
sponde alla sua natura corporeo-spirituale, nutre I~'anima come un
74 Cakcdoniani: LEONZIO DI BISANZIO, Adv. Nest. et Eutychianos: PG 86,1384;
GIUSTINIANO, Ep. contro i Ire capitoli: BAA [Sct!WARTZ] 52; Conf rectae /idei
BAA [SCHWAR"fZ] 74; MASSENZIO, Dial. contra Nes/o,-ianos: ACO 1v/2 [ScttwARTZ]
30.s.
7S Timoteo Eluro la rende formula corrente.
76 Cf. SEVERO, Frammento su Le. 22,19: Mai C/ass. Auct. x, 438 s.; Epist. ad Vic-
torem: PO 12,262 s.
77 Cf. tra gli altri Apophtegmata Patrum; G10VANNI RuFo, Plerophoriae; ANA
STASIO SINAITA, Ennarrationes utiles; CIRILLO DI Se., Vita Euthymii, ecc.
78 Ps ...CEsAiuo: PG 38,n32; ANAS'l'ASIO, Viae Dux 23: PG 89,297. Del resto la
formula si trova 11i in SEVF.RO, Frammento su Le. 22,r9: Mai C/ass. Auct. x, 438.
7" Viae Dux: PG 89,297.
STORIA DEI DOGMI 275

cibo pneumatico,lll quindi non sottoposto alle condizioni della di-


gestione (PG 94, rr52). Egli non rW.ette esplidtatnente l'idea del-
l'anamnesrs, ma la applica nella figura del principio incarnatorio. Ri-
prende invece coscientemente l'idea di trasformazione, che secondo
lui avv.iene mediant~-J;disre~~--dell-;;spfrito san t~-;~grCeliiienti
( 1145 ). Dio unisce ad essi la sua divinit e li rende corpo e sangue
( I J4 I). Il pne<feff!a-COIDunfonenon'<il pane--orain-ar;,-ma il pa-
ne unito alla divinit (1149), il corpo nato dalla Vergine (u41),
il c~~po del Croci6sso(1149). Giovanni qumdi'"nonamniette alcun
dubbio circa l'identit del corpo eucaristico di Cristo con quello
reale.81 Ora egli applica i prindpi cristologici fondamentali anche al
corpo e al sangue eucaristici e afferma che essi sono uniti ipostati-
camente con la divinit e che le due nature sono unite ipostaticamen-
te nel corpo di Cristo da noi ricevuto.ai Se egli qui descrive il risul-
tato dell'eucarestia come un'unione ipostatica con la divinit deve
aver pensato an~h;Ta--suaattuUion;rome~n'unione ipostatica degli
------. ------
elementi con il Logos; egli la definisce soprattutto e in generale co-
me unione con la divinit. Si preoccupa espressamente di togliere
l'ultimo velo dal come del mistero (I 14 5), ma ci offre delle stimola-
zioni per una ricerca nella direzione da lui seguita.

5. I padri latini

La dottrina eucaristica dei latini non cosl compatta e ricca_gl.pro-


spettiv~S,Qlll~.9.~~lla A<:L&~,c.L. . b..l!f.b~ J.1! .~.u...t?~.~ l'idea fon-
damentale._tl~!l_a__~n.?E:!~_ d.:l_l'..?.P~~a. r~-~~1:1tEice_i _1!1ell1.?.i:i~..~?.~ -~i va-
le ad attua1izzazione. L'interesse particolare dell'occidente per ri-
vol~; ai~~~ti del convito. Gi Tertulliano li identifica in ma-
niera sorp~~~d~ntemnte ili!~ ~()~)L5<?_rp~-~ }L<>an,g):!~__di _Ges.
Medi.mte il pane Cristo reQ.~e.s_e_!!te__(.r.~P!~t:se~_!(l83 il....1mo cor-
PQ, niente di esso pu cadere in terra, 64 le mani delinquenti lo pro-
--~.--........... ......._.........._ ....................... -~~......- -

80 PG 94,II37.
81 In ultima analisi l'eucarestia il nostro Signore Ges Cristo, che disceso dal
ciclo,.: PG 94,1I37.
ai De imaginibus 3,26: PC 94,I348.
8J Adv. Mare. I,r4: CC I'455
84 De cor. mil. 3: CC 2,ro43.
EUCAJIESTIA

fanano. 85 Se in Adv. Mare. 4>40 Tertulliano definisce il banchetto


dd Signore <~fi~i;t.SQ.!1?Q~, questa definizione non intende in al-
cun modo volatilizzare simbolisticamente la realt del corpo, ma al
:ontrari.9 la vuole sotto}ineare,_~-~~i:i-tirei essa iEitenc!: __~~~orsi
alla tesi gnostica della irrealt e fantomaticit del corpo storico di
Ges ...'u~ fm!~i~ri. ____ un fant~_IE.iJE~-;.;s) ma, in quanto
manifestazione concreta, eresuppone un corpus,IJIJ inten!_endo per
corP!f.!_ la reaJJi..in ~~le."L;~aresff... qumdi talmente~ re-
lazione con il corpo storicc:> di Ges da dimostrare la realt di que-
st'ultimo. Ma anche - cosl continua TertuHiano - la substantia
co~poris, lltipo -concrew~~~q_uest~ -~;f;~~:-~!~t~~~n~~-~~ Ge-
s, e precisamente medi~11:t_c:_}'~~i_~~!~ -~~-~!IE,gUe. Per cui la carne
connotJda realt del corpus men.tt il san~e me~!EJE_1uce il ca-
r~_f!!:!lC In tal modo la carne e a sangue vengono viste co-
me.dduflrti c:o_9rdil)_~teJ.r.?._lQt:Q...J.n..ultima__analisi guin~LY..~!!fil>DO
intese.. dirotomisticameE~ si ann.Y:!!f!~ .. g!~. q1:!L~ E:>,roblema_fil}vido
di conseguen~~)a~na. Tertulliano documenta anche l'altro aspet-
to essenziale delf eucarestia, il suo carattere sacrificale: egli la defini-
sce sacrificium 88 e o_bla~io 8'J e afferma la sua connessione interna con
il sacrificio di Ges con la frase: rursus mactabitur Christus.90
Cipriano si scaglia contro le celebrazioni eucaristiche che certuni
com.p,iya_IlQ...i.Qltant<LfQP_Lacgua, ~!.~)I _Y!!!,o. 91 Il sangue redentore
di G.~ .~:nel__c_a_!ice_ ~gl~E.!9.~,.q_~st'lli!.!.!P.Q..(;_QQJj~ne del .~o, che
in quanto s_a!!&!!_f!._4! _Ges viene indicato e manifestato (ostendi) gi
nell' AT. 92 Infatti qu-e;t;-fa-tecfe-iil'concssa- -;;r~-di Cipriano che
degli acquari: nella cena si riceve il corpo e il sangue di Ges. 93
L'uso del pane e del vino prescritto gi dalla Scrittura. U vino

8S De idol. 7: CC 2,no6. Sui doni conviviali d. ancora De orat. 6: CC 1,261;


De pudic. 9,16: CC 2,1298; De spect. 13: CC 1,239; De res. mort. 8: CC 2,931;
Ad ux. 2.4 s.: CC 1,388 s.
86 Adv. Mare. 4.40: CC r ,656.
lfl Cosl anche De carne Chr. II: CC 2,894 s.; in Adv. Prax. 7,8: CC 2,rr66 si
parla anche di un corpus di Dio.
88 De orat. 19: CC 1,268; De cu/tu fem. 2,n: CC l,366.
"' De cor. mii. 3: CC 2,ro.n; Ad 11x. ~.s: CC 1,393.
!lO De pud. 9,n: CC 2,1298.
91 Ep. 63: CSEL 3,701-717, la prima monografia eucaristica.
92 Ep. 63,2: CSEL 3,702; 63,13, CSEL 3,7n.
93 Ep. 6p_5: CSEL 3,714; 57,2: CSEL 3,652; 58,1.9: CSEL 3, 657.665; cf. an-
cora Ep. 15,1: CSEL 3,514; 16,2: CSEL 3,519; De laps. 15 s.: CSEL 3,248.
STORIA J>EI DOGMI
277

allude in particolare alla passione di Ges, come fa del resto anche


il suo si~~oli~mo naturale; esso presuppone la pigiatura, il -;ngue
di Ges presuppone il torchio della sua passione.94 La nostra azione
un~-E.~~!.<?. e un sacrificium ed ha un rapportc essenziale con la
passione di Ges: Il sacrificio che noi offriamo la passione del
Signo.r:~....~--<ff.kru: offerto il san&ll_:_~i Cristo.96 Il sacrificio di Cri-
sto viene quindi reso presente nel sacrificio dei cristiani; cosl Ci-
priano illustra l'idea di memoria.
Gli elementi del banchetto non simboleggiano soltanto la passio-
ne di Cristo, ma anche il popolo cristiano. L'unico pane formato da
molti chkhl-dl'grano, il vino spremuto da molti grappoli, rappre-
sentano.TCpopolo unito in Cristo, mentre la mescolariZa deiI'acqua
con il vino rappresenta l'unione con Cristo.97 Degno di nota il
fatto che l'unit del popolo della Chiesa non soltanto il frutto ma
anche il presupposto del convito del Signore, nel quale si esprime.
Questa c~n~ezione significa che la presenza di Cristo gi nella sua
comunit un momento iniziale dell'eucarestia e un atto essenziale
della Chiesa. Agostino svilupper questa visione. Al di fuori della
Chiesa non ci sono battesimo ed eucarestia validi.911
Lo stesso Ambrogio, nelle sue catechesi De Mysteriis (da ora ci-
tato M) e De Sacramentis (da ora citato: 5), tratta prevalentemen-
te della__x~tlt~_d_~l corpo e sangue di Ges. Nel sacramento presen-
te il corpo nato dalla Vergine e crocifisso,99 il corpo di Dio,-anzi Ct-
sto stesso. 100 Contro tutte le apparenze le cose stanno davvero cosl
in virt..sl~ll~ P.~rol11 di Ges,11 ~he ancora oggi risuona nella sua
persona,102 nella quale gli elementi ricevono una nuova desigria:zOrie
(significari, nuncupari),rn1 che per esprime la realt. Infatti la paro-
la di Cristo (Sermo) trasforma - come in Giovanni Crisostomo -

94 Ep. 63,7: CSEL 3,705.


" Ep. 63,15: CSEL 3,713.
!16 Ep. 63,9: CSEL po8.
"' Ep. 63,13: CSEL 3,7u s.; cf. anche 69,5: CSEL 3,754.
98 Ep. 70,2: CSEL 3,768; De unit. 8: CSEL 3,217.
99 M 9,53: CSEL 73,n2.
100 M 9,58: CSEL 7p15.
101 S 4,p3: CSEL 73,56.
102 S 44,14: CSEL n,52.
103 M 9,54: CSEL 73,u3.
EUCARESTIA

i doni, il che Ambrogio svolge con una ricca terminologia. 104 Se la


parola di Cristo crea ci che non , pu anche mutare ci che gi
esiste, pu fondare e trasformare le nature.IQ5 Veramente il corpo e
il sangue di Ges divengono presenti non nella loro forma (species)
connaturale,106 ma soltanto in una similitudo, 1111 affinch l'orrore di
front;-;;l~angue umrionoh'tfattenga-oatsacramento. Ma si riceve
la grazia e la forza della (nuova) natura, 1' con cui egli intende la
potenza dinamica e non ancora l'essenza metafisica di una cosa. 11"'
Egli non-~i p.;~eqil p~blelli"a deT m~;~~~--~-;i-;pera la-traslor-
mazione. La sua posizione il metabolismo. Ambrogio testimo-
nia anche il carattere sacrificale. L'offerta del sacrificio l'illustra-
zione ( signi/ic~ri) ~ell!_.Elortd, _4ella ~~).!!'Iezione e a_.mensione di
Ges. 110
Tra i latini Gerolamo, il diligente lettore di Origene, accanto al-
la ~!~!!~- .r:eaJ!~~!~IL.!1~.-~Q~e _l!IJQI~.. ...illl_,l!pirituale, u~~mu
nione che avviene non soltanto nel sacramento, ma anche nella let-
tura d~lla -&ritt~-r~;;:iii"'fell~--;;-;~~-C~ist;-~iene continuamente sacri-
ficato.112 Ilario di Poitiers, influenzato dalla teolbgia greca, spiega la
cenll._del Signore soprattutto nell'ottica dell'incarnazione m e come
un m;;~--oggettrvo CnaturaiiSY, ~~~- ~~ft~~t~- vo1-;;-tarki"~aeu'unine
con Dio. Per lui il Cristo che permane neNa carne, 114 il Verbum
caro, ci che nel sacramento unisce la sua natura fisica ed eterna. 115
Densa di problemi e discussa fino ai nostri giorni la dottrina
di A.gQ_stino, il quale si muove tra realii>mo .. s.imb_Q}J~1110 e. s_Qiritua-
1-i.~m9"'116-Co~e ~escovo egli .rende testimonianza alla f~de .ec~ksia-

IOI P11 dettagliatamente pi so1to a pp. 373 s.


105 M 9,52: CSEL 73,1u.
106 M 9,54: CSEL 73,n3; S 4>420: CSEL 73,54.
107 S 4A.20: CSEL 73.,54; 6,1,3: CSEL 73,n
10! S 6,1.3: CSEL 73,73.
109 S 6,1,3: CSEL 73,72 s.; M 9,52: CSEL 73,112.
110 S 5,4,25: CSEL 73,69.
111 In Ecci. 3,12: CC 72,278.
112 Ep. 21,26: CSEL 54,129.
m De Trin. 8,13.15: PL 10,246, 247 s.; 10,18: PL 10,356 s.
m De Trin. 8.16: Pt ro,249.
115 De Trin. 8,13: PL ro,246.
11 6 Gli studiosi protestanti (ad es. Harnack, Loofs, Seeberg, Holl ecc.) interpreta
no Agostino come puro simbolista. Gli autori cattolici pi antichi lo interpretano nel
senso del realismo e del metabolismo, cosl Schanz e Lecordier. L'indagine cattolica
pi recente {K. Adam, G. Rauschen, F. Hofmann, J. Ratzinger) cerca una posizione
STORIA DEI DOGMI 279

stica neMa presenza reale. Cosi dichiara che il pane posto sull'altare
e il contenuto del calice, santificati dalla parola di Dio, sono il cor-
po e il san~~-~- tisto. 117 La carne, nella quale cam~?..V..ll._i_fri
sto ce l'ha do~ata-~ cibo; ch1Ta-mangia, prima l'adora. 11~ Cristo
stesse) -ql1al1do--~lTc-eva 'Questo il mio corpo' teneva indubbiamente
neMe sue mani il proprio corpo.119 Nella cena egli sacerdote e
vittima. 120 Qllestorealismo 121-pr subisce una notevole sospensio-
ne e un indebolimento l dove il teologo Agostino interpreta il mi-
st~_::f ~ignific~~-che egli - il che nella luce della fede uniVer-
sale d~N~-Chiesa ancora possibile - spesso ribadisca. la distinzio-
ne modale tra corpo sacramentale e corpo nat~ral~--di. G~ii-; 22 ma
non l~-Ioro' id:Cntit. Per lui intatti la--cena-' primariamente ed es-
5~;;~~1!1~~~ setmo. La chiama signum, 1 il.-fi,~ra, 124 --Siiiiilitudo 125
del corpo e del sangue; nello stesso senso comprende anche il ter-
mine sacramentum. 126 H segno _!'.!Q~.!. alla vi~J?lle..,elatoni~...e
Ag~sti_.t:iC>.h11_della realt vera e propria (res ), come la cosa concreta
rimanda all'idea, tuttavia rimane sostanzialmente al di ~-~ sua
profondit ontologica. L'identit di nome tra segno e siwim~to
non.sffonda sull'identit (della natura), ma soltanto sulla somiglian-
za (similitudo), cosicch secundum quendam modum il sacramento
'-----~---- __ _____
del c~l-po-d.icristo corpo ai cristo e. H sacramento -
..._,, .....
del sangue di

intermedia, un ccentro oscillantei. (M. Schmaus). Bibliografia: K. ADAM, Die Eu-


cht11istielehre des hl. Augustinus, Paderborn 1908; F. HoFMANN, Der Kirchenbegrifl
des hl. Augustinus, Milnc:hen 1933, pp. 390-413; J. RATZINGER, Volk und Haus Got-
tes in Augustins Lehre von der Kirche, Milnc:hen 19.:i4; W. G!!SSEL, Eucharistische
Gemeinschaft bei Augustinus, Wiit:zburg 1966; W. S1MONIS, Ecclesia visibilis et invi
sibilis, Fra.nkfurt 1970, 109 ss.
117 Sermo n7: PL 38,1099; 2H,2: PL 38,nr6; 272: PL 38,1246 ;s.; cf. Sermo
Guelf. 7,1: Mise. Agost. I (G. MOR1N] 462.
ns En. in Ps. 98,9: PL 37,1264.
119 Bn. in Ps. 33.1.10: PL 36,3o6.
llll Civ. Dei 10,20: CSEL 40,1,481.
UI Altri documenti in K. AvAM, op. cit., 62 s. I Sermones Denis 3 e 6, con le
loro affermazioni realistiche, sono certamente inautentici.
122 G. Sermo 57,7: PL 38,389; 71,IT,17: PL 38,455; I12,4; PL 38,645; 272:
PL 38,1246 s.; In ]n. tr. 25,12: PL 35,1602; 27,2,3,5: PL 35,I6I6 s.; Civ. Dei 2I,
20,25: CSEL 40,2,552 s., 564-567; En. in Ps. 98,9: PL 37,1264 s.
123 C. Adim. 12: CSEL 24,140.
124 En. in Ps. 3,I: PL 36,73; cf. Doctr. chr. 3,16,24: CSEL 80,94.
125 Ep. 98,9: CSEL 34,530.
126 Spec. Civ. Dei xo,5: CSEL 40,r,452.
280 EUCARESTIA

Cristo sangue di Cristo. 127 Che la realt autentica (res), il corpo e


il S~!!g~__di_yes, non sia conte~i:;t;direttamentnef segni-cQi;'sa-
ci:_~.!_i.L_J!!li!. ri!llanga_~sterna ad essi 1 Agostifio lo insegna anche ricor-
dando ....c:he i 1:1,ttivi,_glL~~!s:l~- i_ <:.l!!J:?l'ici indegni, ricevon~ !~_5_!1rne
e il sangue di Cristo soltanto nel segno, non nella verit:-solo sacra-
mento. ma non re.i_isa:ns-rever~m-r:i-pre.senzii di Ges in noi,
dopo la sua ascensione, da lui vista nella sua maest, nella sua
provvidenza, nella sua grazia, non neMa sua carne. 131 D'altra parte
per~~~L~jt~o-PadredcllaChiesa estende la-;;;-dell'euca~ia: per
lui._,g_1,,1_~fl11~!!!1..! ...~~!1-.t._soltant~_J.l corpo individuale di Cristo, ma
anch~ _q!!ell9___!!~iversale, ecclesiale.L il totus Christus c_f!l.ut~cor
pus, l'unit molteplice dei cristiani in Cristo,132 (infine) la societas
dei pred!:.t!n,}lti_J}_ella ecclesia sancta.m Noi riceviamo quell'o che sia-
mo,134 e siamo quello che riceviamo. 135 Come fondazione biblica di
ci vale la formulazione di I Cor. 10,17: Unus panis, unum corpus
multi sumus. La cena quindi un atto essenziale della Chiesa in
qu~Dt()_l:~~EE.._di Cristo, l'attuazione deMa unit tra Cristo e i cri
stiani, in cui la relazione ontologica a Cristo e ai fratelli non ha
luogo su piani diversi, nel primo caso su un piano realistico e nel
secondo su uno simbolico, ma un'unit centrata in Cristo.
L'unit con Cristo e i fratelli, la res ips(J. del sacramEJ.to,__ in
ultima analisi di natura personale-~pirituale ed a ci che punta
<i~t!!_ffi.<::!!.te --~_g_ostin<?..:_Essa viene realizzata nella fede, nella spe-
ranza e nella carit. 136 Cosl il centro di gravit si sposta dai doni con-
viviali consacrati all'atto, all'azione spirituale dei partecipanti che
acquista un significato costitutivo. Agostino predica instancabilmen-

121 Bp. 98,9: CSEL 34,_531.


128 Ep. 185,II,50: CSEL 57,43.
129 Civ. Dei 21,25: CSEL 40,2,567.
130 Civ. Dei 21,25: CSEL 40,2,567; In ]o. tr. 26,18: PL 35,1614; 27,u: PL 35 1
1621; Sermo 131,1: PL 38,729; Ep. 185,u,50: CSEL 57.43
JJI In ]o. tr. 50,13: PL 35,1763.
132 Sermo 227: PL 38,noo s.; 272: PL 38,1247; Guelf. 7: Mise. Ag. r, 463; Ep.
187,6.20: CSEL 57,99; In ]o. tr. 26,15: PL 35,1614; Civ. Dei 22,10: CSEL 40,2,
614. Su questo punto cf. i lavori di W. Gessel e W. Simonis.
IJJ In ]o. tr. 26,15: PL 35,1614.
134 Sermo 272: PL 38,1247.
llS Sermo 227: PL 38,nor; Sermo Guelf. 7: Mise. Ag. 1,463.
l36 Cosl traduce efficacemente l'idea di Agostino il Scrmo Denis 6,2 (cf. Sermo
229), certamente inautentico.
!'TORIA Dlll DOGMI

te la comprensione spirituale dell'eucarestia, intendendo con ci non


soltanto - come altri padri - il riconoscimento della sua natura
empiricamente indimostrabile di corpo e sangue di Ges, ma anche
la sua piena recezione interiore ron il cuore, e non soltanto con la
bocca,137 l'unione di carit con Cristo e i fratelli. Mangiare e bere la
carne e il sangue di Ges vuo~ dire rimanere in Cristo e averlo
permanentemente in s. 138 Vale qui il famoso assioma: crede et
manducasti. 139 In questo modC?~r Um._om;Q.t..Q..g_rificak vi~~n
taneamente in pri.OWpiano. Infatti ogni opera, che serve alla comu-
nione con Dio, ogni autotrascendimento amante in Di~. in Cristo e
negli uomini, un sacrificio, e il sacrificio esteriore e visibile una
oggettivazione, un segno, sacramentum del sacrificio interiore.11 Co-
s la Chiesa stessa viene offerta in ci che viene offerto. 141 Insieme
per il sacrificare della Chiesa ha anche un rapporto essenzial~ ron
il sacrificio della croce di Cristo, ne costituisce la memoria,142 il sa-
cramentum}43 la presenza attulle, Crlstoiiifatt viene5attifii:ato ogni
giorno_..P~_l'_ il .2<?~~t4 versa ogni giorno il suo san~e. 145 L'atto sa-
crificale del capo Cristo presente neli'agire della Chiesa, la quale
in quanto suo corpo impara da lui a sacrificarsi. 146
La Chiesa oggettiva l'offerta di s e il sacrificio di Ges nei doni
del pane ~ d~f~ino, d- ad essi un-oiien1:amento 'ii"Tiio:-veram-;;te
per Agost~oessrnon si identificano ~on-il corpo e il sangue di Cri-
sto, ne sono soltanto if sacramentum, il S$,no. Ma che cosa sono al-
lora in-uhima.:iiial'is?-Alium__p,_idetur, ~liud intelligitur. 147 Essi sono
ben pi che delle cose ~ali, sono dei simboli, delle eso_ttazioni
per f; f~d~--;;-~~irsT spiritualmente con Cristo e i fratelli, sono an-
che molto di pi che degli ausilli puramente didattko-noetkr dei
contrassegni soggettivi. Essi cio, in virt ddl'opera dello Spirito

m In Jo. /r. 26,!2: PL 35,1612.


138 In Jo. tr. 26,18: PL ,r614.
139 In ]o. tr. 25,u: PL 35,1602.
140 Civ. Dei 10,5-6: CSEL 40,1,452-456.
141 Civ. Dei lo,6: CSEL 40,1A56.
142 C. Faust. 20,18: CSEL 25,559.
143 Civ. Dei 10,20: CSEL 40,1,48x.
144 Ep. 98,9: CSEL 34,531.
145 Sermo 216,3: PL 38,1078.
1<46 Civ. Dei lo,20: CSEL 40,1.481.
l.r7 Serino 272: PL 38,1247.
EUCARESTIA

santo/ 48 ricevono una santifcazione,149 diventano qualcosa di nuovo


e possono ci che prima non potevano, 150 bevono lo Spirito,151 pro-
ducono un fructus spiritualis, 152 sono un mezzo di cui si vive,153 spi-
ritualis alimonia. 1'54 Il corpo di Cristo per pu vivere solo dello
Spirito di Cristo. 115 Anche se Agostino non dice ~~~~nt.~ che lo
r
Spirito ( rispettivamenie la ~frazfa prende i .doiii"e si unisce a:d essi,
esiste comunque un certo n~SS()_._t_rli! __ e_~~!_. f2rse :_i_ajJ.yyj_lDa alla
concezione del nostro padr dell!a Chiesa se si pensa che le specie sa-
cramentali ricevano dall'offerta e dalla consacrazione un rapporto
oggettivq-intenzionale_Q~res ipsai__C!!_!!. il cor~ e il sangue di
Ges e con la comunione con Cristo e i fratelli, un rapporto che
per non consiste soltanto neNa coscienza credente dei partecipan-
ti, ma altres una realt oggettiva, che qualifica gli elementi, per
cui questi producono un diritto alla comunione con Cristo, la qua-
le a sua volta diviene operante a seconda della recezione spirituale
soggettiva. Perci gli indegni mangiano non iJt corpo di Ges ma la
propria condanna.
Il dottore di lppona nella questione della presenza reale rimane
perci molto indietro rispetto alla fede pi~a della Catholica. Se d
chiediam~ iuali ne slano r~gi~ci possiamo ravvisacl;"inun atteg-
giam~!<?.~~- f()ndo platonico, che svaluta il visibile riseetto all'invi-
sibile, in J111a cdsto!Ogi-imeita, aenon tiene in dovuto conto il
signif~~!() !<>.!?-.9~.en~~~-dell'inca.m.W.one in quanto tale e vede Ge-
s escli.ifilyamente come maestrp, e infine in un antropocentrismo ti.-
pi~!!Jente occidentale, che guarda all'utile per l'uomo e alla presta-
zj~necl;. esibire.Ma un motivo importante, forse decisivo, per lo
svuotam~nt del contenuto sacramentale oggettivo potrebbe es~ere
l'ecclesiologia unilaterale di Agostino, ra quale non vuole ammettere
e
il c~feriment_cil_una qualsiasi grazia -q{";1ndi"anche del -ro;po di
Cristo agli eretici fuori della Chiesa, e limita la Chiesa ai santi. Non

' 48 Trin. 34,10: PL 42,874.


149 Sermo 227: PL 38,uo1; 234,2: PL 38,1u6; Sermo Guelf. 7: Mise. Ag. 1,
462; C. Faust. 20,13: CSEL 25,552.
ISO Cf. Sermo Guelf. 7: Mise. Ag. 1,462.
1s1 Sermo 'J7,7: PL 38,389.
152 In ]o. tr. 26,u,12: PL 35,16o1 s.
153 In Jo. tr. 26,13: PL 35,1602 s.
154 Sermo 57,7: PL 38,389.
~ Ibid.
STORIA DEI DOGMI

a caso Agostino ha argomentato in maniera particolarmente spiritua-


listica proprio neNa polemica antidonatista. Incontriamo cos ~n Afri-
ca, !_.!!_Q!ige~.~-.Qr_iente e in Agostino a Occidente, un notevole spi-
ritualismo, nutrito da radici teologiche in parte uguali e in parte
diverse. Significato permanente ha l'intreccio agostiniano dell'eucare-
stia nell'essere della Chiesa.
Con il suo simbolismo, che__~ara radicalmente il segno (sacra-
mentum) da!!~ realt significata (rrs), Agostino ba addossato una
grave ipoteca all'ulteriore wilup.po dell'et successiva. La sua po-
sizione ebbe molta influenza. In seguito il simbolismo agostiniano e
il realismo ambrosiano-liturgico in parte si intrecciano tra di loro e
in parte entrano in reciproca tensione. In un primo tempo il pen-
siero a~2~!~~o stato interpretato e completato semplicemente
in maniera realistica. Cosi fanno ad esempio Fausto di Riez e Gre-
gorio-Magno. Il primo accentua soprattutto l'idea della trasforma-
zione. IS6 .nu:ntte.Jl secondo sottolinea il carattere sacrificale. Cristo,
che in quanto risorto non muore pi, soffre ancora per noi in virt
della nostra offerta nel mistero. Ogniqualvolta gli offriamo il sacri-
ficio del!_l,l__ ~'::lll_P.assione rappresentiamo di nuovo (reparamus) la sua
passione. 157 Anche Isidoro di Siviglia ha pensato ad una sintesi di
realisnio e simbolismo. 1511 Nel sacramento, sotto l'involucro delle cose
cor~~ee, abbiamoall'opera la virtus divina. 159 Isidoro esibisce una
doppia caratterizzazione del banchetto del Signore, caratterizzazio-
ne che far storia. Esso sacrificium ( = sacrum factum ), in quanto
viene cel!:bratq_ mediante la prex mystica come m~.ltlJ.Le.as
sione del Signore, ed sacramento in quanto mediante lo Spirito
santo diventa corpo e sangue di Cristo e quindi eucarestia, cio bo-
na gratia, e ci perch non c' nulla di meglio del corpo e del san-
gue di Ges. 160 E cosl la presenza reale ritorna in primo piano. So-
lo che a lungo andare un'armonizzazione non poteva sciogliere la

156 Ps.-Gl!ROLAMO, Hom. 38: PL 20,271-276; tramandato anche come Ps.-Cesario


in PL 67,1052-1056 e sotto il nome di Isidoro in PL 83,1225-1228.
IS7 GREGORIO, Hom. in Evang. 2,37,7: PL 76,1279 A; similmente in Dial. 4,58:
PL 77425D.
158 Su ci d. J.R. GEISELMANN, Die Abendmablslehre an der Wende der christ-
/ichen Spiitantike zum Frubmiltelalter, Miinchen 1933.
IS9 Etym. 6,1940: PL 82,255 C.
1ro Etym. 6,19a8: PL 82,255 B.
EUCARESTIA

obiettiva tensione tra realismo e simbolismo. Essa porter alla bat-


taglia che verr decisa nel medioevo.

6. Tra patristica e scolastica: la prima controversia eucaristica

Durante tutto il medioevo domina incontrastata la fede che il cristia-


no .oe1l'eucarestia.. partecipa alla m12tte....~a:ificale di Cristo. Ne te-
stimone la .fioritura d_ell~~allegoresi rammemorativa della messa,161
che connette i singoli riti e le singole preghiere della messa con de-
e.
terminati eventi -della vita Cli Ges. rende la messa un rivivere
drammaticamente il destina .di.Ges. Colui che diede questa conce-
zione al medioevo fu Amalaro di Metz. 162 Essa si imposta ovunque
contro l'isolata opposizione di Floro di Lione e, pi tardi, di Al-
berto Magno. Ma il grande problema del primo medioevo 163 era
rappresentato dal _gnte1n1tQ.. ~!_~Q.ziale _.~~g!L~Jemeoti COJ!S!!_rati, si
discuteva cio sul diritto o sul torto del realismo e del simbolismo.
In un primo tempo entrambe le correnti trovano i loro aderenti; la
prima rappresentata da Akuino e Amalaro, per qualche aspetto
anche da Floro e Incmaro di Reims, e la seconda da Beda e, da
ultimo, da Giovanni Scoto Eriugena. La tensione tra le due ten-
denze conduce alla prima ~ntroversia eucaristica, iniziata dall'abate
t
di Corbie Pascasio Radberto nell'844. Per lui il banchetto del Si-
gnore ~on- soltanto una forza divina, ma ci che in esso viene
~!!l}~~o. La c~~ sacramentalenoiClfVe~-~- da
qu"~ll~ nata da
164
Maria e morta sulla croce. In virt della consacrazione gli elemen-
ti ~ntano la~gura die, in quanto similitudo, contiene in s la
realt spirituale. Come il metabolismo Pascasio si arre~ta af~he
dell;u~sfor~azione;. egli non _s!jnt~!~~ ~ora ~u_!_~me.

161 Esposizione classica in A. FRAN7., Die MeHe im deutscben Mittelalter, Freiburg


1902, Darmstadt 1963, pp. 311-740. Cf. ancora R. ScHULTf., 'Die Messe als Opfer der
Kirche', in: LQF 35 (1959).
162 A. KOLPING, 'Amalar von Metz und Ftorus v. Lyon', in: ZKTh 72 (1951) 424
462.
163 Su ci cf. J.R. GEISELMANN, Die Eucbaristielehre der Vorscbolastik, Paderborn
1926; Io., Die Abendmah/Ilebre (Indice).
164 Liber de corpore et sanguine Domini 1,2: PL 120,1269 B; 12,1: PL 120,1310
C; 21,9: PL 120,1340 C.
!'TORIA DEI DOGMI

L'asserita identit tr~~ eucaristico e quell'o storico di Ges


solleva una viv~ ..P..:..~~I".~- da parte di Rabano Mauro~u~~~;~o,
e pi violento di tutti Ratramno, lui pure monaco di Corbie. Egli
insiste suli~ud!fferenza tra il segn~ e il signifiato, differenza che ca-
ratterizza con i concetti di veritas e imago. I doni consacrati sono
il corpq~- il _!~~-di Cristo itLYruL~J:ta maniera, secondo una
intell'igenza spirituale (spiritualiter) e non concreta (corporaliter). 165
Essi sono dei simboli (figura, similit1Jdo) e. in quapto tali. nella vi-
sione platonizzante del monaco hanno un chiaro distacco ontico dal-
la veritas, ma insieme anche un3 certa partecipazione ad essa. E ci
tanto pi in quanto mediante la consacrazione ricevono una poten-
tia divina e formano un'unit con questa, diventano appunto corpo
e sangue di Ges (cap. r6). Essi quindi non hanno una potenza si-
gnificativa, ma neppure reale. Ratramno al riguardo parla anche di
trasformazione ad opera del Logos (cap. 2 .5 ), ma nega espressamente
un mutamentOfaterfore dell'essenza degli dementi e ammette sol-
tanto una crescita nella virtus. Egli quindi, come ad es. Teodoreto
e il papa Gelasio, non pensa ancora in maniera assolutamente anti-
metabolistica (Geiselmann), ma, a mio avviso, sta ancora con un
piede nel metabolismo 1'66 accingendosi per a superarlo, in quanto
pone degli interrogativi sull'essere degli el~menti e nega esplicita-
mente la loro trasformazione ontologica.
In seguito 167 (dopo Ratramno) il realismo sar sostenuto da Aimo-
ne di Halberstadt, Ratero di Verona, Responsio cuiusdam anonymi,
Attene di Vercelli, Erigere di Lobbes, Fulberto di Chartres, Gerar-
do di Cambrai.

7. La seconda controversia eucaristica sotto Berengario


e la difesa della presenza reale nella scolastica

Il periodo decisivo nell'evoluzione della dottrina eucaristica inau-


gurat~ da --~~reng11tiQ .9.LI~u_!.s_l! .ia.8.8)~ 68 che con la sua ontologia

165 De corpore et sanguine Domini 74: l'L 121,158 BC.


166 Cf. ancora J.F.
FAHEY, Tbc Eucharistic Teaching of Retramn of Corbie, Mun-
delein, Jll. USA 1951.
!67 Pi dettagliatamente in JR. GEJSELMANN, Vorscholastik, 258-281.
IQ Il suo scritto De sacra coena edito da W.H. Beekenkamp ('s Gravenhegc
286 EUCARESTIA

sensualistica e acuta dialettica intende interpretare razionalisticamen-


te l'eocarestia. Muovendo dal concetto agostiniano cli sacramento
qual'e signum gratiae egli distingue in mani~~a radicale il segno dal
sjgnificato. Il co e il san e di Cristo sono la res sacramenti, ma
non il sacramentum -stesso (cio gli elementi signi canti , e neppure
soQQ_~g~,t~nuti realmente in quest'ultimo, ma sono presenti spiri-
tualmente per l'uomo interiore. Gli elementi, a loro volta, median-
te la consacrazione subisconoso~~_!!!O U11_<:_?Inbiamento cli significato
e non di essere; diventall,Q__ dei simboli (figurae), il sacramentum del
corpo e del sangue di Cristo e quindi lo strulJ!ento di stimolo per
lo .spjtlto ad llDitsi, alla fine, spiritualmente con il totus Christus
celeste. Cos, mediante essi, la vir,tus djpj!!a diviene o~rante nei
partecipanti. Berengario quindi respinge rigorosamente ~senza
rea& e la trasformazione perch equivarrebbero a far scendere dal
cielo il corpo di Ges, la cui moltiplicazione o anche divisione in
molte partiunculae carnis Christi significherebbe..._ quanto agli ele-
menti, la d1struz1one della loro sostanza e la continuazione senza
soggetto degli accidenti dopo la consacrazione, il che secondo Be-
rengario rappresenta qualcosa di semplicemente impossibile anche
a Dio.
Con ci era posto in maniera radicale il problema del contenuto essenzia-
le dei doni della cena. Berengario e la sua soluzione incontrano una vio-
lenta o.pposizione, specialmente da parte di Adelmanno di Liittih, Ugo
di res e Durando di Troarn. Essi ribadiscono che i doni consacrati
sono oggettivamente identici corpo e al sangue di Ges, ne costitui-
scono le species, cio il modo di presentarsi. Berengario fu inoltre con-
dannato diverse volte (nel 10,0 a Vercelli, nel 10,1 a Parigi, nel 1054 a
Tours'). Al sinodo lateranense del 1059 egli dovette sottoscrivere la pro-
fessione composta dal cardinale Umberto di Silua C!lRdiEla., la quale si at-
tiene allalet.teta._dtlla sua critica, contiene in maniera chiara ed energica
l'affermata identit_e_~ -spjrra~J~y!ril<fa .aLfil!Ug-fogi dial~i: Il
pane e il vino, che vengono deposti sull'altare, dopo la consacrazione non
sono soltanto sacramentum, ma anche il co o reale il san ue reale del
nostro Signore Gesu r1sto e vengono toccati, spezzati dalle mani dei sa-
e
cerdoti tritati dai denti dei fedeli in maniera sensibile e non soltanto
come (vuoto) sacramento, ma in verit (os 690). Questa formula, nel

1941). Cf. ancora P.G. MEuss, Die Abc-ndmahlehre Berengars (Diss. datti!.), Tiibin-
gen 19.u; P. ENGELS, 'De Eucharisticleer van Bcrcngarius v. T.', in: Tiidschr. v.
Tbeol. ' (196,:i) 363-392.
STORIA DEI DOGMI

suo genere letterario, deve essere vista come una con/essio (non come un
trattato), come una affermazione clw i oppo e ioteozjona1mente alla ne-
0

gazione della presenza reale da parte di Berengario.1m Soltanto cosl deve


essere compreso il suo massiccio ed esagerato realismo. Essa considera il
dono co~...!Q"~.t.o ~~~- unit_l~differenziata di segno e contenuto e del
corpus Domini afferma una sensibilit analoga a quella del dato spazio-
temporale. La confessio giusta come testimonianza del fatto della pre-
senza reale del corpo di Cristo nel segno, ma equivoca ed erronea se ve-
nisse iniesarome affermazione sul suo modo di essere presente.
Berengario non si diede per vinto. La sua rinnovata critica poneva in
maniera ineludibile di fronte al roblema dcl modo con cui mantenere e
spiegl!re ~iii:~logicamente l'( insopprirm e 1 entu e corpus
eucaristico con il corpo nato da Maria di fronte alla diversit dCi modi
di manifestazione. Inizia cosl ~!Lil.. 1019 la spiegazione ontologica del
sacram to. L ranco di Bee e Guitmondo di Ave o la soluzio-
n~: il cor~ di_Ges resent . Lanfranco
spiega ter_t:en_~s substantias converti in essentiam Dominici corporis. 110 E
Guitmondo caratterizza la consacrazione come la trasformazione di una
(cosa) esist_ente in qualcosa d'altro gi esistente e come un substantialiter
tran,mutari dc:di clementi. 171 L'intera sostanza degli elementi, pur per-
manendo gli accidenti, viene trasformata nell'intera sostanza dcl corpo
del Sis.!!ore. Ove substantia si intende (non come per Berengario la
cosa naturale empirica, ma 1 "e dell'es-
sere della cosa. La identit del corpo eucaristico di Cristo con quello sto-
rico viene quindi limi.tata alla sostanza, che non presente in maniera
spazio-temporalmente circonscrittiva, ma definitiva, come un tutto nelle
singole parti del segno. La spiegazione cosl raggiunta trov la sua formu-
lazione nella seconda formula romana di giuramento sottoposta a Beren-
gario nel 1079. Essa sottolinea la identit degli elementi consacrati con il
corpo e iJ _sangue storici di Ges crocifisso in virt della trasformazione
sostanziale. Questa identit non consiste soltanto nel segno e nella po-
tenza, ma anche nell'autenticit della natura e realt della sostanza
(ns 700 ), quindi nell'essere.

LanfrancQe Gnitmondo jo snstanza banno gi concepito l'idea della


transustanzia~ione, che nd suo principio non vuole essere altro ate

lfJ!I K.-H. KAmlLER, Die Abendmahlrlchre der Kardinalr Humbert und ibre Be
deutung fur dar gegenwiirtige Abendmah/rgerpriicb (Diss. datti!. Leipzig x966, pp.
n-92; L. HoDL, 'Die confessio Berengarii von to59', in: Scholastik 37 (.1962)
370-394.
no De sacramento corporir et sanguinir Chrirti: PL 150, 430 C.
m De corporir et sanguinis Christi veritate: PL 149,1444 B, 1450 B, 1481 B. Su
cib cf. P. HAUGNESSY, The Eucharirtic Doctrine of Guitmund of Aversa, Roma 1939
288 EUCAl\ESTIA

una conferma e spiegazione ontologica della presenza reale. Il ter-


mine tecnico formale 'transustanziazione' 172 lo troviamo, in verit,
soltanto verso il 1140/42 nelle Sentenze di Rolando Bandinelli (ed.
Gietl 23 z) che usano la significativa espressione transsubstantiatio
sanguinis ( ! ), che implica l'idea..J.r.iM>_s~!bile della produzione del
s~e di __Cri~t~:_Alla ricerca di un uso corretto del termine, che
inizia gi nel u6o con Stefano di Tournai e con la Glossa di Bam-
berga (Cod. Patr. 128), si impegnata la -~~uola__Q.Q!'!~ preoc-
cupatl!.__Q.~J~'esattezza lingu.isti~a.{Simone di Tournai, Radulfus Ar-
dens, il Magister Sirnon). Transustanziazione significa che le sostan-
ze, terrene veng~~ trasferite in un unico momento in una sostanza
supe.r.iw:e_gj_L~~~e. In questo senso il primo concilio lateranen-
se parla oome di una cosa ovvia di transsubstantiatis pane in !corpus
et vino in sanguinem (Ds 802). Con ci esso intende enunciare sol-
tanto il fatto della trasformazione ontologica.
Con il ricorso aUa sostanza si era raggiunta una certa_.Yhl.9ne del-
l~_t~ra interiore del sacramento. Comunque era in questo modo
che si do-;;~a-giustifcare logicamente la creduta identit reale dei
doni eucaristici con il corpo e il sangue di Ges. La sostanza da
quel...IDQ~ diventata i}I concetto-chiave EEr la cg_mprensione del
1!1-~ Ma in principio-nonsTave~i'ri.fora un concetto~o e
sodisfac~n~~--c!i sostanza, bensl soltanto un'idea e un'intuizione va-
-~- All'illustr~~i~ne-d~lla sostanza-~ dei fat-~d-es~a connessi venne
in seguito-dedkatQ un. .Pf!r..t!csi!ar.~ if!t<'.r~sse. Prima per di prosegui-
re nella trattazione di questo tema ci sia permesso fare un'altra os-
servazione. La E_rima scolastica non rimasta come inchiodata al-
l'aspet.t.Q._ontologi~~-d~ila Cna, maba corit:iiuiito--ancciia-~ne
il rapport~ T;;. ~wrla 'd1fa" salvezza, concretamente con la Chie-
sa quale orizzonte onnicomprensivo. In questo contesto ora il du-
plice aspetto agostiniano di sacramentu41 - res sacramenti venne
trasformato in una triade mediante l'ihtro~ii_z@:i~:~J.i_Lg:noine. me-
dio re_s_!_f saci:_'!!!!!!J!Um: 173 sacramentum tantum sono le specie e

172 a. al riguardo L. HODL, 'Der Transsubstantiationsbegrifl in dcr scholastischen


Theologie des 12. Jahrhunderts', in: RThAM 31 (1964) 230-259.
173 Per quanto segue cf. L. HoDL, 'Sacramentum et res - Zeichen und Bezeichne-
tes. Eine hegriffsgeschichtliche Arbeit zum friihscholastischen Eucharistietraktat', in;
ScolaJtik 38 (1963) 161-182.
STORIA DEI DOGMI

ci che a esse connesso; res sacramenti primariamente la realt


conno~I!~~-~ conte~~ nelle s~e, ij corpo e il sangue di Ctjsto, e
secondariamente l'unit cli amore nella Oiiesa, cui accennano sia gli
elementi che il corpo e il sangue di Cristo. Per distinguer1'i ora il
corpo sacramentale del Signore e il suo corpo vengono categorizzati
come res et sacramentum; l'incorporazione nella Chiesa diviene
all~r~r; ~;;;;tantum, che solo significata e lJ.rul..j:_Qntenuta perch
deve essere realizzata continuamente dal comunicando con I.a fede
e il comportamento. L'es;ensione della res sacramenti alla Chiesa eb-
be come conseguenza che la designazione originaria dell'eucarestia
quale corpus mysticum diventasse sempre pi attributo della Chie-
sa.174 n ternario appena visto: sacramentum tantum - sacramentum
et res - res tantum, viene introdotto dalla Summa Sententiarum (pri-
ma derli:;j.1 }, divulgato da Pietro" Lombardo 175 e sanzionato uffi-
cialmente dal papa Innocenzo III (ns 415/793); esso rappresenta
una caratteristica della dottrina eucaristica della prima scolastica.
Passiamo ora a trattare dell'evoluzione del concetto di sostanza. 176
Gi Be~l?:g:~~~ aveva Eark..!..~J!Lptate1Va e_j~endendo con
ci il soggetto e la totalit delie propriet. In questa direzione si

--
continu a portare avanti la riflessione. I primi scolastici - ad ec-
cezione di Gilberto di Poitiers _____- .. ...nella
,_, __ __
,.. ....... ________
, .,

ra una_p~!~ll.-E..ura, maf soggetto e il sostrato concepito ancora


_'"" ----oo-
materia non.... vedevano
-
corporalmente, il portatore delle qualit, mentre nella forma sub-
stantiaii;-d__y_~~i!!.-iora]eno"inegaJ.Iiiiaroente la sintesi e la to-
talit deJle___pt:.QE_riet__ ~_!i_s~iali. I due concetti offrivano una klmi-
nologia aristotelica, ma .!':2n gi la concezione reahnente aristote-
lica d~wt~a, nella qu;i~-1~-mai:~ria.vTenepens;;a-come.poten
za pura, la forma come pi profondo fondamento ontologico delle
propriet e la sostanza come unit dei due momenti. Comunque la

174 Maggiori dettagli in F. HoLBOC:K, Der eucarisl1sche und mystische Leib Cbristi,
Roma 1941; H. DE LU11AC, Corpus mysticum, Paris 2 19'9 (!rad. it. Gribaudi, To-
rino).
17$ Summa Sent. 6,3: PL 176,140; PIETRO LoMBARDO, IV Sent. d. 8 c. 7: Qua-
racchi, 791 s. Ugo di S. Vittore ha i tre momenti species (segno) - veritas (realt) -
virtus (potenza). Su Ugo cf. H.R. SCHLETTF., 'Die Eucharistielebre Hugos von St.
Viktor', in: ZKTh 81 (19,9) 67-100; I63-210, qui 168.
176 Su quanto segue d. H. ]ORISSEN, Die Entfaltung der Tronssubstantiationslehre
bis tum Beginn der Hochscholastik, Miinster 196,.
EUCARESTIA

terminologia aristotelica citata offriva un buon punto di aggancio


per una piena aristotelizzazione, che procedette solo gradualmente
e giunse a compimento dopo il 1200 con la recezione detla .filosofia
peripatetica della natura. La comprensione della trasformazione si
orient natut&m~teJn base...alla,..Qinprensione
..
della sostanza .
~----

Una prima tesi spiegava quest'ultima essenzialmente come materia-hypo-


~asis, come so~to (corporale), sostrato e portatore ddla totalit degli
a.cc@en. Nell'eucarestla-;--scondo questa teoria, il soggetto viene tra-
sformato in opposizione diretta alle trasformazioru naturali, mentre la
f~~-~b_.s_~tJT'JtJq!h riman__,onsezyata come somma delle pl!Jriet; con-
tinua per a sussistere la virt operativa e nutritiva degli menti con-
sacrati. Questo orientamento trov il suo campione pi rappresetifativo in
Pietro Cantore (ca. u95) ed ebbe una certa diffusione tra la 6.ne del sec.
xitCJ'mLZlO aelsec; xi: 17q~usta''frasformazione parziale non poteva
sod<islaie:-Venn perciosuperata da una seconda teoria che, pi ampia
e gi pi accentuatamente aristotelica, concepis~ostanza come unit
di_1111.te_.c:, forma subst~ntialis, e quindi la transustanziazione come tra-
sformazione di quesq tq!!lit. Poich ora inizialmente la form~tan
ziale viene CC?ncepita ~cora (sensualisticamente) come totalit indif-
f~!~ .. AJ.-~ti, ma insieme la si crede trasformata, la sussi-
stenza delle propriet negli elementi consacrati viene qualche volta
dihJarata apparenz.11.. ad esempio dalle ententiae Divinitatis (ca. n45)
e dal commentario porretano alla lettera ai Corinti (Cod. Paris. Ars. ur6,
ca. 1150). Questa soluzione insostenibile venne accantonata allorch fu in-
trodcu.t.l!._una distinzione tra le propriet ess_'W,Ziali e ...s.mdle_.JlQ.ll... essenziali,
e la forma subSiiiiiliiltivenri.e dffierenziata dalla forma accidentalis. Ci
fondamentalmente avviene gi nel citato rommentario, ma questa distin-
zione divenne feconda per l'eucarestia soltanto con Alano di Lilla (ca.
I I 8 5 / 90 ). Egli considera la transustanziazione come una trasformazione
della materia e della forma sostanziale, menti: &lL~ccidenti vengono con-
servati.178 La teoria della trasformazione totale acquista presto terren. Sa.
-------

171 Su Pietro Cantore d. H. JoRISSE.N, op. cit., 87-cn. Altri aderenti sono Inno-
cenzo m (PL 217,86o ss.), la Ps.-Glossa di Poitiers, Pietro di Poitiers (PL 2u,1246),
Simone di Toumai, Radu1fo Ardente, Magister Maninus, la Summa Breves su"t dies
hominis (H. JoRISSl!N, op. di., 95-114), inoltre Roberto Courson (H. }ORISSEN, op.
cit., 117-120). Anche Rolando di Cremona limita la transustanziazione alla substa,,lia-
materia, ma considera la forma gi in un senso progredito come fondamento onto-
logico (e non come semplice somma) delle propriet (H. Jo11rssEN, op. cit., 123-13,).
178 ALANO, De fide cath. l,,s: PL 210,360 C; Regulae theol. 107: PL 210,678
BC. Cf. H. JmussBN, op. cit., 75-87. Ad Alano si riallacciano Stefano Langton, Gof-
fredo di Poitiers, Guido di Orchelles, Guglielmo di Am:erre (H. JoRISSl!N, op. cii.,
137-142) e i grandi scolastici.
STORIA DEI DOGMI

t in seguito perf~.Q...lllU.3-_dalla recezione dell'ilemorfismo aristotelico, cosa


che accadr d2po i1 x200. I.ii materia viene spgliata delta sua COri>orali-
t, smaterializzata, mentre la forma sostanziale viene distinta dalle proprie-
t sostanziali in quanto loro fondamento ontologico. Questa aristoteliz-
zazione compare chiaramente nel commentario alle Sentenze di Alessan-
dro di Hales verso il 1225. La transustanziazione la trasformazione del-
l'intera sostanza (quindi della materia e della forma) e soltanto della so-
stanza, mentre le propriet (sostanziali e accidentali) rimangono e sussi-
stono senza soggetto. Questa convinzione condivisa da Alberto Magno,
Tommaso, Bonaventura, Riccardo di Mediavilla, Erveo Natale.

La concentrazione sulla primaria res sacramenti comportava inoltre


una chiara cristolbgizzazione della cena, lle emerge dal fatto seinien-
~ mentndmo 8Ilora gn effetti aena grazia nel comunicando veni-
vano fatti risalire allo Spirito santo e il corpus Christi veniva consi-
derato (soltanto) come suo strumento di salvezza, il cardinale !]m-
berto riduce ~'intervento dello Spirito e della Trinit alla consacra-
zione,-~oncpisce come res sacr(Jmenti il corpus Christi singulare dal
quale deriva direttamente l'opera di salvezza nel comunicando.17' Ol-
tre a ci_.!L~~ose sempre pi fortemente alla coscienza come uhi-
mo contenuto autentico del sacramento il totus Christus."" La diffi.-
colt consisteva nel fatto che in occidente i termini corpus, caro e
san~ ~~~o considerati parti defil'organismo. Nondimeno l'instinc-
tus fidei ha sempre considerato la comunione come un incontro con
l'in~~~sona di ~to. Berengario proclamava l'unione spirituale
con il totus Christus ne.!.la cena mentre screditava la fede nella__pre-
senza reale sconveniente assunzione di portiunqllae (particulae) CM-
nis Chrlsti. E ~si il problema tornava ad essere discusso. Anche per
Lanfran_E2__[_Jotus Christus pu essere raggiunto soltanto nella co-
munio~e spirituale, presente soltmto nell'anima. Ma l'idea della
transustanziazione aiut ad andare avanti. Guitmondo nota che il
corpo presente secondo l'intera sua sostanza in ogni parte deH'ostia;
la frazione non lo divide (PL 149, 1450 C). Dalla parte di Cristo al
Cristo totale conduce l'idea che al corpus appartiene anche la vivi-
ficazione attraverso il sangue e l'anima e che l'umanit di Ges
1~ Dial. 31; su ci cf. J.R. GEISfoLMANN, Abendmablslehre, dt., 71s.; K.-H. KAN-
DLER, op. cit., 102 s., 106 s. Nei Libri tres adv. Simon. n 39, apparsi quattro anni
pi tardi, Umberto pensa ancora pneumatocentricamente.
tao Per quanto segue cf. J.J. Ml!GIVERN, Concomitance and Communion, Fribourg
I963.
EUCARESTIA

unita ipostaticamente con la divinit. Gugl'ielmo di Champeaux


(t n22), fondatore della scuola dei Vittorini, il primo a nomina-
re tutti i momenti che f.anno parte del contenuto sacramentale totus
Christus: corpo, sangue, anima, divinit.1ll0a In questo modo ne vie-
ne ~-C:~~!'.i_go il principio materiale. L'et successiva elabora anche
il principio formale, cio _!~~?.?~!~cui-~ singoli momenti divengo-
no presenti. Essi cio non lo divengono allo stesso modo, emerge
piuttosto.... una differenziazione e strutturazione del contenuto. Per
se (Algero di Liittich), e vi verborum (Ugo di S. Vittore) il pane vie-
ne_ trasformato soltanto nel corpo e il vino soltanto nel sangue, e
precisamente secundu_m substantiam. Le altre realt vengono con-po-
st.e, rese presenti. a causa deNa loro unione con il corpo e il sangue.
Per la concomitanza di ci che presente soltanto successivamente
(Guglielmo di Auxerre ca. 1220) si impone come termine tecnico il
conce.mt di _Q.~f~.i_a, 181 che compare per la prima volta in Ric-
cardo Fishacre (prima del x245) e viene usato in maniera esclusiva
da Tommaso. La dottrina della concomitanza costruisce sulla transu-
stanziaziQge, sy[~~ fonda la presenza oggettiv;-dd totus Chris-
tus. Essa PC!l'.~ ..!J,.on ha proposto, n l'intendeva dirett~mente, la CO
munione soltanto sotto la specie del pane, in ogni caso l'ha promos-
sa in quanto ~e-haeSlliito Ta gmstillcazTone. 112 -

Come frutto secondario di questi sforzi si ebbe anche una chiarificazione


dellLfarIJ:la. d~lla consacrazione, 1ai del problema quindi delle parole essen-
ziali per rendere-presenl:e-l~ res sacramentale. L'antichit aveva concepito
l'intero .(:anone eucaristico come un'unit anamnestico-consacr;;t'Oria.""Essa
veniva d~isa ci.a Isidoro di Siviglia nerprefa?:io <oratio".i.E.inta)e nel ca-
none consacratorio (oratio sexta dal Te igitur fino al Pater noster), in cui
il c~~~-;."e-COntiiiiava..anmliere una composizione organica, che aveva
come contenuto si_~.Jl..Qi:Y!.i:tire p~~sl'..nte del coQ1f e del sangue del Signo-
re che il loro,J:ss.et.c:..!i~rri..lli1LfIT]E~ti!2. in mo o da arrecareasalvezza
al comunicando. Era pi che naturale che in questa composizione le pa-

!Sila J.J. MEGIVERN, op. cit., 107.


181 In principio vengono ancora usati altri concetti come connexio, conunctio, unio
(Ugo di S. Caro), associatio, coniugatio (Alessandro di Hales); d. J.J. MEGIVERN,
op. cit., 183 ss., 190.
lllZ J.J. MEGIVEliN, op. cit., 243.
1.u Il processo della storia dei dogmi, oltre che da JR. GEISELMANN, Abendma-
blslehre, cit., pp. 86-156, descritto da J. BRINKTRINE, 'Zur Lehre der mittelalterli-
chen Theologen iiber die Konsekrationsform', in: ThGl 46 (1956) 188-207; 260-275.
STOllIA DEI DOGMI

role del Signore _acquistassero un pa,rticolare risa!~ (cosi ad es. in Am-


brogio, Radberto ecc.), anche se vennero lasciate ancora a lungo unite
al canone. Ad es. la Confessio del 1079 attribuisce la consacrazione alla
saq_~--~ratio e ai verba redemptorft: Ma quanto pi in seguito progredi-
sce la cristologizzazione della eucarestia, la diretta res sacramenti viene
circos~t!~_~lla sostanza del corpo e del san~e e l'fletto sSivifico viene
derivato direttamente da questi e non pi d~o Spirito santo (Umberto),
quanto pi chiaramente (a partire da Anselmo di Canterbury) nel dibat-
tito con i greci si distingue nei sacramenti tra momenti essenziali e mo-
menti non essenziali, quanto pi chiaramente la consacrazione viene situa-
ta in un unico momento,184 tanto pi evidentemente le parole del Signore
emergono come il principio della presentificazione. Esse_ vengono allora
caratterizzate es ressamente come orma consecratJonis.JBS Pietro di Poi-
tiers infin~-"f~ ritiene la orma esclusiva e a consacrazione, che esercita
tutta la sua efficacia anche senza il nesso con le altre preghiere del canone.
Viene cosl eliminato ogni altro rinci io consacratorio, come ad es. la con-
secratio per contactum,116 ma.insieme viene anc e i ranta compagine
del canone.187 Intorno al n8o le parole dell'istituzione (erano) considera-
te la forma essenziale, unica ed esclusiva della consacrazione. 188

La presenza del corpo di Cristo per modum substantiae doveva ri-


suscitare anch~-il problema d~l suo divenire presente. Come ci si
doveva i~~aginare la transustanziazione? Che cosa ne dell'e
sostanze naturali del pane e del vino? Al riguardo la prima scola-
stica ha tentato di dare delle risposte IIJ.!ll.to concrete, riferite bre-
vemente q~ Pietro Lombardo. 189 Possiamo definirle con le espressio-
ni seguenti: trasfo;mazione, consustanziazione, annichilazione, tra-
sforma:t.ione positiva deUa sostanza (transustanziazione in senso
stretto).

184 C.Osl Ugo di Langres, Giovanni Fecamp, Bruno di Asti; Ildeberto di Tours e
Stefano di Autun vedono il momento della conversione nella levtJJio, cf. I.R. GEI
SELMANN, Abendmahlslehre, cit., 119 s.
115 Ivo di Ow:tres, Summa Sententiarum, 111 scuola di Anselmo di Laon, Senten-
tiae Divinitatis; cf. J.R. GEISELMANN, Ahendmabl:rlebre, cit., 121 ss.
116 La teoria, secondo cui la mescolanza di un elemento consacrato con un altro
non consacrato ne produrrebbe la conversione, compare nella Missa Praesanctificatr>-
rum {venerdl santo) e si trova in Amalaro di Me12, nello Ps.-Alcuino, in Berndldo
di Costanza, Ruperto di Deutz e in alcuni glossatori dcl Decretum Gratiani, come
Stefano di Tournai, Giovanni Faventin, Rufino; su ci cf. J.R. GEISELMANN, Aben-
dmahlslebre, cit., 15:u.
117 JR. GEISELMANN, Abendmahlslehre, cit., 131.
188 J.R. GEISELMANN, Abendmahlslehre, cit., 255.
189 N Sent. d. 11 cl. 2: Quaracchi, 802 s.
294 EUCARESTIA.

a. Una prima teoria afferma che le sostanze del pane e del vino it!_l!aeia-
Cef!lem materiam re solvi (I bid. c~--2)~ 5r iffsofvereobero-iiegt-
elementi
fonlamentali;T'quali -p-;i - ed cosl che si deve completare questa teo-
ria - con.fluirebbero nel corpo di Cristo, ne acquisterebbero la forma.
La materia quindi ci che rimane in comune tra il Qunto di partenza e
quello..~ Ll""'consacrazioiieon-srst:e'I1ef 1~tto--che la materia fonda-
mentale ,.tb.e...rimaw:_omune acqi,U~ta una nuova forma. Questa <Heoria
della trasformazione nella prima s~;tic8 vi~~-'WStenuta soltanto da
Guglielmo di Thierry (f II49), che paragona la trasformazione del pane
nel corpo di Cristo con la sorte di ~n~-~C:Jl!,,~i vino gettata ~c:[oceano,
che viene .!~~bita (PL 180, 350 s.). Soltanto d...QP_Q_TQ!!!.~2.- Questa so-
luzione riesce a fare scuola.
b. Una~~~~;;;-~~ delle sostanze del pane e del vino sostenu-
ta dall.a._t,~.!i! della consStaiiilaZr0ne. Essa professa un '1mpanai0ne del
Log~oo.iii~T-~~i~-~-Cf,f sa!?~ue~~~~~-~~~le_ sostanze per-
manenti degli elementi. Questa sOfuzione furante ra prima sCOlastica vie-
ne difesa soltanto da autori anonimi (d. PL 149, 1430.1492) e da
nessun autore famoso; 190 alcuni la tollerano. i pi la respingono, cosl Pie-
tro Lombardo, Ugo di S. Vittore (De Sacr. II 8,9), Pietro di Capua; i
grandi scolastici (Guglielmo di Auxerre, Alessandro di Hales) la respin-
gono decisamente. Alberto-Magno-e--'BOiiiiVemITTa-Ta ritengono-7c)ntraria
ali~ rhze.~gn~ mentre per Tommaso (S. Th. m, q. 75, a. 2) e Riccardo
di Med.iaWJa eretica:Nonfiffieil in seguito riesce ad avere nuovo im-
pulso. Infatti per.Giovanni Duns Scoto 191 .e:1sa non contro la Scrittura,
bensl, tenendo conto dell'onnipotenza divi~:6.1;soficailleirt--so5telble,
dev~-~.!?--~~~re .t.~e_~t~.. <:~_!!le _n!_J_n, __ r~11k. in . ~!!~- a_~~ __~~io~!_della!
l Chiesa_guida,~~Q.illo_P.!~~~~U-3!!!2.: Cosl pens.s:.t!!.!!!19 ~!!C:!i.~LI1omi!1filisti.I I
e, In opposizione a questa teoria altri scolastici spiegano la transustan-
ziazion~Jllf~.!!land~.~he. ~e -~()St~~Z.~.~~g!!_. ~le~!1!i ~~C>.~~~9~1.....vengono
annientate, sostituite dlla sostanza del corpo e del sangue di Ges. Que-
sta teoria della annichilazione trova nel scc. xn e agli inizi del sec. XIII
una considerevole risonanza, 192 anche se in verit le si oppone presto una
violenta resistenza,193 destinata a crescere dopo il i200. I grandi scola-

190 Essa viene attribuita agli almariciani, come accusa contro Ruperto di Dcu1z;
quest'accusa viene respinta da G. Gerberon (PL 167,23r94) e ai nostri giorni da
R. Haacke in RThAM 32 (1965) 20-42.
l91 In W Sent. d. rr q. 3 n. 9.14.15: V1vts 17,357, 375 s.
l9J Secondo Jorissen (op. cit., pp. 26-55) si devono citare i seguenti nomi: (pro
babilmente Pietro Abelardo), Rolando Bandinelli, Magister Udo, la Glossa ordinaria
al Decretum Gratiani, Uguccione, la scuola di Pietro Cantore, Roberto Courson,
Goffredo di Poitiers, la raccolta erlanghiana di Quaestiones (Cod. lat, 260), Gu-
gliebno di Auvergne (nella forma della teoria della successione) e Rolando di
Cremona.
iro L'annichilazione respinta da quasi tutti gli autori che sostengono la con-
STORIA DEI DOGMI

stici 194 non la respingono come eretica, ma come teologicamente falsa;


secondo Tommaso (S. Th. m, q. 75, a. 3) l'annientamento in contrasto
con la tz:asformazione _che signific_1t. comunaJ?.2:_! dei due termini nella na-
tur aell' essere ({bil:' ad 3). Secondo Duns Scoto la cessazione della so-
stanza~~!. eleE_te.~t~...S.C>!.l_~ide_r~-~~~r.-~...._ S!reb~.t::. l!f!?;.J:'"..'!!~ilatio, tuttavia
la consacr:~ione non mi:a_tt() !'n_ni.~#E~o,.~!~~L~()lt~!!!~.Le~~~~~an
zifil~~lme{iii"<iiiifo essere ctef pane: simplidter esse eius), ma non
l'essere sostanziale in llenerale, cessa e segue l'essere-qui (hic esse) del .cor-
po Cll"G!isto.m NoDcl~o I'annihilaiotfsorge a n:va.vlianel nomi-
nalis!!!_{):_guglielm~ di 99.t~m....Pu concepire la transustanziazione, che
egli accetta soltanto oin base alla definizione ecclesiastica, soltanto come
distruzione ..clLll.P.a. ~ostanza e come successione dell'altra,196 in quanto al-
trimenti al corpo di cci~i0-S1 "8w-;;ngerebhe 'ilna"sempre nuova sostanza.
Anche per Gabriele Biel la transustanziazione una cessazione della so-
sta~a del pane'"e-qiilldf annkhlazione',"'ma-non"aruillillZloie""in quan-
to s~e-unaentit P'ositiva. 197

d. L'annientamento delle sostanze non si addice all'essere di Dio.


In realt, cos-perci ;a;;;.una-qua;t~-s-pkg-;ziOne,-ia._ consamzio-
ne eu.:~.!_stica non_~- !!!L~t!Q_l.lgatiY.Q_ di Dio, bensl un atto intera-
mente positivo, cio un trasferimento di essere in un essere preesi-
s!~Ill!i. il su2_fine noi"il}lliia;-m_-aarcontrario\iil esse m~us,
come nota Ugo di San Vittore (De- Sacr."il-8,9). Essa quindi non
soltanto un cambiamento di essenza o transustanziazione in senso
lato, ma ~~_!!asformazion'I_.~~ale, cio una transustanzia-
zione. i!Ls_ens.u...s.t~.2.. .. ,ro~J!!!P.ligL!!!l_!l~~-intimo..~~~ a
quo ~-!.~~jnus ad qUf!_!!f., quindi non soltanto una successione (suc-
cessio), ma..JJAa...decivazione - naturalmente realizzata soltanto dal-
!'onnipotenza di Dio - , appunto l'elevazione della sostanza degli

versione positiva della sostanza; d. i loro nomi alla nota 198; soltanto Innocenzo
m e la Summa Ne transgrediaris rinunciano ad una condanna esplicita.
194 Alberto Magno ritiene che la teoria dell'annichilazione sia la spiegazione pi
vera, ma non la segue, perch respinta dai sancti (In IV Sent. d. I I a. 7: BoR-
GNET 29,285. Pi tardi, nel De corpore Domini d. 3 tr. JII c. I,8: BoaGNET 38,312,
Ia respinger decisamente.
195 Ox. 1v d. II q. 4 n. 15: V1vF.s 17,376; un po' diversllJilente E. IsERLOH,
Gnade und Eucbaristie in der philosopbischen Theologie des Wilbelm von Ockbam,
Wiesbaden 1956, J62.
196 In N Sent. q. 6 L.
197 Canoni:r Mi:rsae Expositio, lect. 41 s. 9&/d; similmente In N Sent. d. u
q. l a. 3 dub. 6 N, cit. in R DAMERAU, Die Abendmablslehre des Nominalismus
inbesondere des Gabriel Biel, Giessen 1965, 210.
EUCAltESnA

elementi a quella del corpo e del sangue di Cristo. Questa teoria


positiva della transustanziazione trova sempre pi aderenti nel sec.
XII; anche i grandi pensatori dell'alta scolastica, Alessandro, Alber-
to, Bonaventura e, a maggior ragloiie, Tommaso, la seguono.' 911 Sol-
tanto essa rende ragione della trasformazione eucaristica. La sua ca-
ratt~d.ltka_e peculiarit rispetto alleJtasfurmazi~.i naturali dall'A-
quinate vista nel! fsttQ che l'intera sostanza, e non soltanto la for-
ma, viene trasformata, e precisamente in una sostanza preesistente,
nel fatto che noesiste alcun soggetto comune per il punto di par-
tenza e quello finale e che gli accidenti degli elementi continuano a
esistere senza soggetto anche dopo la consacrazione (S. Th. m, q.
75, a. 4 e 8). Concretamente la tesi dell'Aquinate la seguente: la
materia de~ pane trl!~ta in qella _del_ corpo di Ges, la for-
ma del pane a sua volta trasformata in quella del cor1>9 cio, se-
condo l'antropologia tomasiana, nell'a~ima di Cristo, e precisamente
ll nell'anima in quanto questa conf~e r~-m corporeum, non l'esse
animatum (q. 75 a. 6 ad 2). su questo punto che pi tardi si im-
pe~l.3__.rj_tica dei nominalisti.
Dda presenza di Cristo secundum modum substantiae Tommaso
sa ~4elle.. conseguenze interessanti. Il corpo di Cristo presen-
te con le sue propriet in~e (intrinseca accidentia ), compresa la
estensione ( q. 76, a. 1, a. 4, a. 5 ad 3) vi reaUs concomitantiae. Esso
per non presente alla maniera dell'estensione locale, ma appunto
per modum substantiae (q. 76, a. 3), cio nel tutto e in ogni sin-
gola parte (q. 76, a. 4 ad I). n corpo di Cristo non neppure
preserue come in un luogo, n definitive n circumscr!J!!ive, in quan-
to la relazione al luogo una propriet esteriore. Per s neppure la
sostanza del pane ~.Presente in esso locaUter, ma il pane il por-
tatore della -sua estensione e perla s~a-m~xHazione anche nel luo-
go, mentre l1'estensione del corpo di Cristo presente soltanto per

1'8 In Jorissen (op. cit., 2'64) emergono i seguenti nomi: Roberto di Melun, la
Ps.-Glossa di Poitiers, la Glossa di Bamberga (Cod. Patr. 128) e di Monaco (Clm
22 288), Simone di Toumai, Radulfo Ardente, Magister Martinus, Innocenzo III
(Lotario di Segni), la Summa Ne transgrediars di Gerardo di Novara, Stefano
Langton, Guido di Orchelles, Guglielmo di Auxerre, Ugo di S. Caro, Erberto di
Auxerre, Giovanni di Treviso, la sintesi delle Sentenze Fila mag;stri, il com
mento delle Sentenze Par. Nat. lat. 3032, Riccardo Fishacre, Alessandro di Hales,
Riccardo di Melitona, Lectura super quartum Sententiarum, Alberto Magno nella
sua opera tardiva De corpore Domini, Tommaso, Bonaventura.
STOlllA DEl DOGMI 297

la mediazione della sostanza e alla maniera della sostanza, quindi


non localmente (q. 76, a. _5). Cristo quindi, a rigore, nel sacra
mento in maniera statica, in esso egli non viell~ tocato in s, ma sol-
tanto indirettamente _e -per accidens rispetto alle species. L'essere di
Cristo nel sacramento non equivale al suo esse secundum se, ma
una certa relazione ( habitudo) tra lui e il sacramento. Se cessano le
specie cessa anche la relazione ad esse e quindi la presenza di Cristo
nel sacramento (q. 76, a. 6).
L'illustrazione della transustanziazione nel suo processo e nel suo
risultato C?stituisce il grande tema e la grande opera deNa scolastica.
L'idea fondamentaile permanente l'idenuit 1SOStanziale deti do.ai
consacrati CO!J. la persona fuica di Ges, quindi il fatto delia ee:sen-
za reale e della conversione sostanziale; a ci onnessa l'idea del-
l'esistenza di una dimensione profonda degli elementi, la quale sa-
rebbe disponibile soltanto all'agire creativo di Dio. Se alcuni auto-
ri ammettono, con Tommaso e Bonaventura, clie )a conversione so-
stanziale _1:!,_na verit rivelata implicita e un articolo di fede, 199 con
ci essi intendono la reartdella trasformazione delle essenze. Qu@-
to al modo di presenza invece, quindi per l'interpretazione metafi-
sica del fatto, non si parla alfa stessa maniera di un obbligo di fe-
de. Pietro di Capua lo dichiara esplicitamente libero;:llll Tommaso
d'Aquino r~pinge come eretica Ia_~~one (S. Th. m, q.
75, a. 2c), ma per l'interpretazione positiva del processo di conver-
sione non invoca la fede bens} la ragione (q. 75, a. 3). I successori
sono ancora pi miti nel giudicare la consustanziazione.
La spiegazione scolastica deH~J~:_ese~a_ ~~~~.~~ia~~~-~~~tologia
a noi oggi appare fortemente ondizio~~!!_4tJJ91lll2-~~E~~rale.
Non si deve per dimenticare che essa serve a gani.tttire la presepza
reale. La grande scolastica per - a differenza del succ<"sivo nomi-
nalismo - non si abbandonata alle argomentazioni d1 filosofia

1'.19 Jorissen (op. cit., u-24) come testimoni evidenti di questa concezione men-
ziona Alano di Lilla, Baldovino cli Ford, la Summa de poenitent1a iniungenda, co-
me testimoni meno chiari menziona Stefano di Tournai, Pietro Mangiatore, Prepo-
sitino, la Summa contra haereticos, Garnerio di Rochcfort. Per Tommaso d. S. Th.
III, q. n. a. 2c e Script. super N Sent. d. 10 d. 8 q. 2 a. 1; per Bonaventura,
cf. In N Seni. d. n p. Ia e q. 1s. 1: Quaracchi IV, 24ra; (d. H. JoRISSBN,
op. cii., 50 ss.).
200 Cf. il testo della sua Summa (Miinchcn CLm 14508) in H. JoRISSEN, op. cit.,
24.
EUCARESTIA

naturale, ma ha conservato i grandi aspetti storico-salvifici e ~ote


riol.'ogici del sacramento. Prova di ci il fatto gi citato secondo
cui l'incorporazione dei comunicandi nel corpo ecclesiale di Cristo
eri__yj~~1!. come res sacramenti. Le prospettive storico-salvifiche sono
fortemen;--m_~;-~-;.isalt;;--;d es. da Rupey!o di Deutz, un impor-
tante rappresentante della teologia monastica:-P~rli l'eucarestia
la contrae~~~:1.1~ .<:._~ J:irne4~C?.._11ll!!. E~~~~!!oft:.. P.!;mQr~l~;ar&utto
paradisiaco mangiato nel peccato, attraverso il quale Adamo voleva
raggiungere la somiglianza con Dio. 201 Al cibo mortale di allora Dio
oppone -!!..!!_pane deNuita, cb..e rea.1!Q~_!e_4i_Y._i!_!~a. 8 Cristo esten-
de .Ja sua carne, che fino alla sua morte appartiene a lui soltanto, alla
Chiesa e cosl eleva l'uomo a Dio.203 Se per Ruperto l'eucarestia la
grande correzion~ __diyina dell~Q!dine dtlJD011do distmtw, nella vi-
sione pf individualistica della salvezza che si riscontra in Alberto
Magno 204 essa il C?~P.!~~nJQ_gel se~J!~~ella yita intera,:zos in quan-
to rappresenta il raggiungimento del bene supremo e la pregustazio-
ne deMa beatitudine.206 Essa infatti produce il nostro accesso al Padre
mediante il Fig1!o13J7_ ~-E~.2_f~~~.5ii.~~sM ~ 11.Q.~~~_!~el Logos,
che produce la transustanziazione del pane nel corpo di Cristo, si
incorpora i comunkandi elevandoli a s. 208 Questa prospettiva di
descensus-ascensus, da descrivere in termini neoplatonici, da Alberto
trovata gi n.e.L~Q.~-~~~a.~J._:sato cot!le un_~!to ~~oziale
e che egli interpreta come..mi.r.r.iQ_gell'.Ql.!!~LQ!ll1 Padre a noi e da noi
.a.L&_c!!_e.D Questa concezione, accentuatamen-;-;t-;;~ic(;."8alvific~ del
terrni.p_~missa per non inizia con Alberto, ma si trova gi nella
----------- --- -- ---------- - ---------------

:Ili Dial. DI: PL 170,595 ss .


. 2112 In Cant. IV: PL 168,905 ss.
;m Div. Olf. II n: PL 170,43. Altri documenti in W. KAHLES, Geschichte alr
Liturgie - Die Geschichtstheologie des Rupertus von Deut:r., Miinster 1960, pp.
67-84, 232.
;1114 De Myst. missae: BoRGNET 38; De corp. Dom.: BoRGNET 38; In IV Seni.
d. 8-13: Bo.1.GNET 29, 173-399. Su ci cf. A. KOLPING, 'Eucharistia als Bona gratia',
in: BGPhTbMA Suppi. IV, Miinster 1952, 24~278.
:ms De Myst. missae tr. III c. 1,1: BoRONET 38, 75.
JOti De Myst. missae prol. 8: BollGNl'll' 38, ;;.
;m De Myst. missae III 13,2: BoRGNET 38, 124.
n De corp. Dom. d. 3 tr. IV c. 3: BoB.GNET 38, 325; d. IV c. 2: BoRGNET 38, 332.
200 De Myst. missae m .23,3: BoRGNF.T 38, 165; De corp. Dom. d. 6 tr. 1 c. 2,4:
BollGNET 38, 358.
STORIA DEI DOGMI 299

tradizione, ad es. in Ugo di S. Vittore e nel papa Innocenzo 111,110 in


seguito compatir anche in Tommaso (S. Th. m, q. 83, a. 4 ad 9).
Il modo di vedere fondamentalmente storico-salvifico compare an-
che ~]J'accentuato carattere sacrificale dell'eucarestia 1 che per il me-
d.ievo ~i;i~er~-( dramm;tiro fla--Vfta~~-passione di CrisiO:Que-
sta fede sta al.J.a..b.a.s.c_a~_proprio dell'allegoresi rammemorativa
della messaJ!k>ra largamente diffusa. La parte 'Cle]a.messaprim del
canone veniva voleruferT"spiegatacol ricorso alla vita nascosta e al-
l'insegnamento pubblico di Ges mentre il canone veniva spiegato
pensando aHa_ sua passione e i riti .~~ froctio pensando a[a resur-
rezione e all'ascensione. li papa Innocenzo III conferma questa tra-
dizione, alla quale neppure Tommaso pu sottrarsi (cf. S. Th. m,
q. 8 3, a. 1-,- a. 3 :a.-51; mermeilsuo-contemporaneo Guglielmo Du-
rando la sint~~_ya nel suo ~J_i_onale divinot'l:'m offjciorum. Senza
successo sono invece le proteste che contro di essa devano Floro di
Lione e Alberto Magno. La loro idea fondamentale quella del-
1'anam~~~c l'alleg_oresi :i~~ che un metodo ~i elaboraz_~_!!Lcond.i
...:ioIJ,!!tO dal tempo. Alberto preferisce attenersi alla lettera dei testi
Jella-;;s;;-an'Chegli ribadisce energicamente il carattere sacrificale
dell'evento. L'offerta sacramentale dei doni per lui una rappresen-
tazione dell'offerta cruenta di Ges sulla croce.211 Ma l'azione del
sacerdo~~-..~~-JID.:ipmolaiio, e ~~~he questo termine consacra il
rapporto con la morte sacrificale di Ges; infatti immolatio l'obla-
tio occisi ad cultum Dei. 212 Questa offerta cultuale di un ucciso non
signifi~.. ~oltanto Ia rappres~_t_~!~~... filL@.fb~_jlJ!.Q..rt~....JLo_g!,iere
e !"applicare Fzione.sacrilicae di Cristo. Ritualmente l'oblatio trova
la sua espre~~~~-ne'fnter~ -azi~~e eucaristica che va dall'offertorio
alla comunione, essa si condensa e si spiega nell'offertorio, ma non
cessa con esso, bensl si estende a tutto il canone, come dimostra il
memores of}ertimus dopo la consacrazione.m Nella sintesi di grande
stile Tommaso va pi avanti. Egli non rende il carattere sacrificale
tema esplicito di una quaestio ma lo assume come principio struttu-

210 UGO, De Sacr. n 8,r4: PL 1761 472 AB; INNOCENZO, De sacri altllf'is myste-
rio 6,12: PL 217, 913 B.
211 De corp. Dom. d. 6 tr. n 4,4: BoRGNET 38, 408. Sull'oblatio cf. la sintesi di
A. KoLPING, op. cii., pp. 265 ss.
112 In N Sent. d. 13 F a 23: BoRGNBT 29, 37r.
213 De corp. Dom. d. 6 tr. u 44: BoRGNET 38, 408.
300 EUCARESTIA

rale generale del trattato nell'eucarestia. La messa rappresentazio-


ne ..<: ..P~t~~~a,~-~n~ _4e11~.Passio hris!j (S. Th. III, q. 83 a. 1, a. 2),
ma anche iti...!.e2t~ssa un sacrificio, in quanto viene offerta (q. 79,
a. 5c; q. 83, a. 4c). A.llii-i;;;;i~~;~~~~ano noo-solt~nto i partico-
lari rituali, -specialmente il segno di croce (q. 83, a. 5 ad 3-9), ma
soprattutto la con~rnione__cJ~intel:a., stmttura onti_~q_ndo del
sa~r~m~nto. In quanto vi sacramenti di volta in volta le sostanze del
corPo.. e c:l!;!l sangu_e_ div_~!i_g_ono pr~~nti J''l.llla ~3-!.l!._all'altra, in
questo modo la separazione deMe due realt avvenuta nella morte di
Ges viene resa presente, consacrata e ancorata nell'essere dei do-
ni.214 Perci anche Tommaso coHoca nella cons~~azione [~tto_ffer
toriak.decisivo.(.q_82, a. 10}. Il carattere sacrificale della messa vie-
ne inv:~pre ~~. ~scurato d_ll}l~___teo!_ogi~-~-e!_!~!QQ. ...l~ioevo,
che si dedica con tanto pi zelo ai problemi di filosofia della natura
concernenti l'eucarestia.

8. Il tardo medioevo posteriore a Tommaso

Tommaso rappresenta il vertice incontestato, ma non il punto finale del-


la de>HtlnJl ~ol~~!I:~ ~l!Jl~'<_l!ffil"_e..stia.. L'epoca tie gli fece- segiiifu'"rontinua
a ritenere...llD__ fa~to incontestato la presenza reale. Ma nell'interpretazione
ontologica alcuni teologi" seguono ...deIIc:. Y:L~~i11c;r_sc;__ da quella di Tom-
lllll9_, Il dibattito viene continuato anche a proposito-clelfnatura della
transustanziazione. Giovanni. Du.n!! ~ot_o rn~t_te !.n 91!11.P.Q. nl1()~i__!l..llm:tti.
Se per Tommaso la transustanziazione la trasformazione e il passaggio
dire.tta_deJla.s.os.tanza.dd-1>..!tJl~. ~l!_.'l_u~l~a ..~c:l ~orpo e, rispettivamente, il
procedere diretto dclla_s_CCQn.da .dall!l_prima - a tal riguardo viene usato
il termine poco felice 'productio' - , essa non questo in senso proprio
e stretto...per._Duns .S!:Q.to, il quale non vede cosl rigoroso il nesso tra i
due termini. La sua impostazione_c:ris_tocentrica muove dal corpo preesi-
stente_.di Cristo in.. jelo, il quale nel sacramento dCll'aTtare non ri~ve
un nuovo ..esse.. simplic#er, ma un nuovo esse htc, che sostituisce e fa se-
guito all'essere-qui della sostanza dei pane. 215 Per questo in Duns Scoto
la transustanziazione ticeye l'attributo caratterizzante addqtva - ve-
214 S. Th. m, q. 74, a. I; q. 76, a. 2; q. 78, a. 3; Script. s. IV Sent. d. II, q. 2,
a. I, qc:I, I.2.
m Ox. IV d. IIq. 3 n. 23 s.: VIVs t7, 389. Su Duns Scoto d. H.J. STORFF,
De natura transrnbstantiationis iux/a I. Duns Scotum, Firenze-Quaracchi 1936; A.
E1CKLER, 'Die Transsubstantiationslehre in der Schau des Duns Skotus', in: ThGl
39 (1949) 138-145; E. 1Sl!RLOH, Gnade und Eucharistie, 16o ss. (altra bibliografia).
STORIA DEI DOGMI 301

ramente l'adductio non deve essere concepita in maniera locale - , e


consiste essenzialmente in una suc,s.lia. mh.st/J.tltianun. Ma che ne della
sostaMa. ~~LE!!.'!~-~~;s~ ~~-t~--~~-~~- .!!PJ~~i!!!.~eJ!te __ l'.a.i:mJhilazione,
perch punto finale CJlla trasformz1one non il nulla ma, positivamen-
te, il corpo di Cristo. In ultima analisi egli, rifiutando l'annientamento
e la diretta conversione del pane, no!_!. d alcuna ~oluzione .!Ul1:!.c;guro-
blema. L'idea de_!l'_~~!t' hic _~_ ~~1~ s_uccess!o viene ripresa dai nominali-
~ti,216 come Gua_H~mo -~'11m!.,]ieUQ._..Qi._~Jy, Gabriele Biel.217 In tal
modo al co!P_Q eucaristico di Cristo viene attribuita la localit, come fa
senza alcun -timoreTaliiigua utilfgi&, "osi~~~!__~mmaso vole_va fos-
_se evitata. L'essere-qui del corpo celeste per s significa una rerazon-del
~~des!!'.!!.~_!g[_elementi consa_gati. Del resto gi Tommaso usa en pas-
sant la categoria -~lazi(_?~~~-i! sacrament~ come habitudo Chri-
sti alla specie (S. Th. III, q. 76, a. 6c e ad 3). Oltre a Giacom~etz
questo"'aspetto viene esposto chiaramente soprattutto da Durando di S.
Pourain, che parla formalmente di una presenza relazionale del corpo
di Cristo: il corpo~~ Cris_tQ._~_!!~s11.~~~one_rj_g:_y~Dio
una nuova relazione, in quanto s9_s_t~_.{Q<?fl_ in __ gyfillto quantit), alle
species sacraieii.iH; J>i cui-es~ diviene presente sotto queste con la sua
sostanza (non con la sua quantit). La quantit renderebbe impossibile la
presenza del corpo. 211 Contro queste tendenze e posizioni Erveo Natale di-
fende la dottrina dell'Aquinate.
In generale il problema del rapporto tra sostanza e quantit domina la
dottrina euc~~;.i~ ..!':... ~3!!!.r.~ ... da~ TO.ffi.!P...!.S..9.J.!Lm!surt1 . _@z.~bile .219 E
proprio su questo punto l'Aquinate viene criticato e modificato. Egli
aveva concepito la quantit come accidente assoluto che non fa che ag-
giungersi alla sostanza. Nella conversione eucaristica rimane la quantit

216 Bibliografia: G. BUESCHEll, The EuchaTistic Teachina of William of Ockham,


Washington 19,0; E. ISERLOH, Gnade und Eucbaristie, cit.; ID., 'Der Wert der
Messe in der Diskussion der Theologcn vom Mittelalter bis z. 16. Jhdt', in: ZKTh
83 (1961) 44-79; R. DAMERAU, Die Abendmahlslehre des Nominalismus insbesonde-
re des Gabriel Biel, Giessen 1963; H.A. OeERMAN, Spiitscholastik und Reforma-
Jion 1, Ziirich 1965, 2,2-262; K. PLOTNIK, 'Tr1111ssubstantiation in the Eucharistic
Thcology of Giles of Rome, Henry of Gent and Godfrcy of Fontaines', in: Wahr-
heit und Verkiindiguna (Miscdlanea M. SCHMAus) n, Paderbom 1967, rn73-1086;
Io., Hervaeus Natalis OP and the Controversies over the Real Presence and Tra11s-
subst11ntiation, Paderborn 1970.
217 a. i commentari a Seni. IV d. II c. I in GUGLIELMO OcKHAM, In I-IV Seni.
reportatio, Lyon 1495; PrEno DI ALLIACO, Quaestiones super libros sententiarum,
Strasburg 1490; GABRIF.I. B1EL, Commentarium in IV libros sententiarum, Ti.ibin-
gen 1,01.
218 In IV Seni. d. n q. r, Lyon 1,63, f. 274vb.
219Ad es. nell'esposizione che lserloh fa della dottrina di Ockham questo pro-
blCIDa occupa 79 pagine (op. cit., 174-253). Al riserbo invita G. Biel, che sottoli-
nea soprattutto l'aspetto esistenziale nell'eucarestia; su ci d. H.A. OeERMAN, op.
crt., 2J4
302 EUCill!STIA

degli elementi assieme agli altri accidenti, diventa addirittura il fonda-


mento sostanziale di questi ultimi dopo la trasformazione della sostanza.
Ma la quantit ineliminabile del corpo celest di Cristo diviene presente
non modo quantitativo (extensivo) bensl di seguito (concomitanter) e alla
maniera della sostanza, quindi in maniera inestesa. Contro ci i nomina-
listi @4Iermano che la sostanza in s (gi) quantitativa, la 9!!!0tit quin-
di sarebbe-~n-modoCliesseremCliiin8liITQeiliScistanza;-per cui Ockham
la concepisce come un co~tto~tativdlia-meoesima;UJ sostanza
e quantit quindi in ultima analisi sarebbero realmente identiche, anche
se distinguibili logicamente. Ora nell'eucarestia il corpo di Cristo divie-
ne pregni~Q.~Q_ la sua sostanza, ma senza estensione. Come risolve
il nominaJislnQ_.SJ!~!!l_ ap~~?Gi~cilo.Romiio-isungU.e-unarunzione
interna della .quantit, che rende per principio la sostanza quanta, e una
funzione esteriore che le conferisce l'estensione nello spazio. Ora nell'eu-
carestia la quantit esercita soltanto la sua prima funzione.m Si parla di
quantitas in se e di quantitas extensa, che indica la divisione delle par-
ti e il loro distribuirsi nello spazio. Il corpo eucaristico di Cristo (in quan-
to sostanza) un quantum (in se), ma non un quantum extensum. A spie-
gazione di ci Ockham formula un'idea interessante: egli pensa che la
quantitas della cosa si concentri nella sostanza, si condensi in un punto.
Perci la sostanza rimane in fondo come quantitativa, ma rimane anche
presente circoscrittivamente nello spazio, senza che abbia luogo l'esten-
sione, la divisione delle sue parti.222 A tali argomentazioni non si potr
negare la nota di considerevoli. Ma ci che rende perplessi il fatto
che queste argomentazioni di filosofia della natura invadono l'intera eu-
carestia e soppiantano gli altri aspetti, come l'idea di sacrificio e di
anamnesis.
Anche altre posizioni dell'alta scolastica vengono criticate e modificate.
Cosl. ._ag__ e~~~ip_J_~ concezione di Tommaso, secondo cui la transustan-
ziazione__~.l!!:.eQ~. uJl. :P~~~gma12@~_:ae.1J~--;;~st~1_1_za, i:e~~~ti.!e _del pane
nella sostanza del corpo, viene in fondo valutata come un'annichllazione
segreta=~diC~bfS"Qgp c;vitare. E contro la tesi tomasiana, secondo cui la
forma, delJ>.1;!!1JL irapass.~~e nell'anima di Cristo, viene sollevata l'obie-
zione che una conversione della 'rriatrii ne1fo spirito impossibile; ma
allora si deve cercare il terminus ;;;r;;;;',n nefa materia:-cos;fatti an-
che Enrico diGarif'(t 1293n:nsegria' cli ia m~t~ri~ del pane viene tra-

iDI In W Sent. q. 4L ad ' (secondo E. lsERLOH, op. cit., 195 s.); cf. G. BUESCHER,
op. cit., 67 ss., 143.
221 EGrnro, Theoremata de corp. Chrirti, Theor. 6, Venezia 1502, f. 9xvb; testi
in K. Pr.oTNIK, Hervaeus Natalis, cit., 2r.
212 Cf. R. DAMERAU, op. cit., 183; E. ISF.RLOH, op. cii., 190 ss. Il significato di
questa idea esposto troppo brevemente da lserloh. Se vedo bene, in essa si
hanno le radici del calcolo infinitesimale, che verr poi sviluppato da Nicol Cu-
sano, Newton e Leibniz.
STORIA DEI DOGMI

sformata in quella del corpo, ma la forma del pane viene trasformata in


quella forma diversa dall'anima spkituale di Cristo che conferisce l'esse
corporeum.m Il teologo agostiniano Egidio Romano (t I316) fa trasfor-
mare la n:i.~~!..9~~.L.-~g~~~-della .~!~a ma.~~g!!~~ dalla~uan
tit, soltanto nel corpo...inteso.. .c.ame. .. parte ma.t~~. i:ISII'uomo (corpus
pars), e precisamente mediante l'informazione da parte dell'anima di Cri-
sto, che rende la materia del pane e del corpo una cosa sola.224 Ancora
pi chiari divengono gli autori seguenti. Secondo Goffredo di Fontaines
(ca. 1290) la conversione eucaristica presuppone in entrambi i termini
una communicatio in materia, nel nostro caso: nel pane e nel corpo. La
materia del pane per non viene annichilata, ma rimane aliquo modo non
quidem in se, sed in alio, rimane anche sotto la nuova forma. 225 Questa
linea continuata da Durando di S. Pourain. Egli pure parte dalla com-
municatio in materia e spiega cosl la transustanziazione: la materia del
pane perClea siia]QfmaeVfe""nejiisJi'iii~-~QllO la fgrm;"dI"f:Q.mo di Cri-
sto, come il nutrimento iviene sussunto sotto quella di colui che lo man-
gia. Dalle trasf9~-~az~oni Q,atur_!!1L~ell~__ euca~~~tica si distinguerebbe sol-
tanto per U.~1!4?. modo, _9o ~-1.~~~bJ.!!fI..:'.!t.!!...~.Eon -~tto il profilo della
sostanza.226 In tal modo abbiamo una semplice trasTorniaziorii!,una natu-
r'rizzazione e razionalizzazione del mistero. Una conseguenza estrema da
questi presupposti tratta da Giovanni Quidort di Parigi: egli sostiene
la consustanziazione, per cui nel 1305 perde la sua cattedra a Pa-rigi. L'eu-
carestia per lui un festum de impanatione. La sostanza del pane rimane
sotto i suoi accidenti, ma non nel proprio suppositum, viene piuttosto
tratta nell'(essere e nel) suppositum Christi. Questi assume la paneiras,
e precisamente mediante il suo corpus (caro) pars, cosicch queste due
corpO'l'eitates si scambiano i loro idiomata, possono essere dette l'una
dell'altra (panis est corpus Chrti e viceversa). , Ma esiste soltanto un
corpus caro, ed il suppositum Christi, che possiede la corporeitas.m In
generale la consustanziazione conquista ora le maggiori simpatie. In oppo-
sizione a Tommaso e riallacciandosi a Duns Scoto,m nel nominalismo la
si ritiene non_~C?f.lt!atill,_ll.l~--~riJti,i.~a, ~-~!?,.~~ e'?~s}bile; Ockham la ritie-

rDJ Quodl. IX q. 9 (ed. Paris 1518) f. 37ov, cit. da K. PWJ:NIK, Hervaeur Na-
talis, cit., 33.
2M Theoremata de corp. Chrirti, Prop. 26-34; testi documentati in K. PLOTNIK,
Hervaeus- Natalis, cit. '-7 ss.
225 Quodl. IX q. 2,11; testi in K. PLOTNrK, Hervaeus Natali!, cit., 38.
l3lll ltr IV Seni. d. Il q. 2, testi in K. PLOTNIK, Hervaeus Natalis, cit., 53-57.
Durando ha un precursore nell'anonimo discepolo di Giacomo di Metz, nell'auto-
re del Ms. Vat. lat. U'J., e un compagno nell'anonimo commentatore della scuola
di Giacomo di Metz, nell'autore del Ms. Vat. lat. 985.
f1fll Testi della Determinatio in K. Pwl'Nnc:, Hervaeus Natalir, 57-59.
228 In IV Sent. d. II q. 3 n. 9.13-15: VIVS 17, 357, 372-375.
EUCAltl!STlA

ne addirittura rationabilior, 229 ed Enrico di Langenstein pitJ conforme alla


Scrittura.ai In favore di essa agli occhi dei nominalisti depone il princi-
pio di economia, in quanto essa non richiede la continuazione miracolosa
degli accidenti senza soggetto; infatti il numero dei miracoli deve essere
ritenuto il pi piccolo possibile e i fatti, per quanto possibile, devono es-
sere spiegati in maniera naturale. Nondimeno i nominalisti continuano a
rimanere fedeli alla transustanziazione a motivo della decisione concilia-
re presa dalla Chiesa al Lateranense 1v; cosl, oltre a Ockham e Tommaso
di Strasburgo, pensano molti altri autori. 231 In maniera pi radicale pensa
Giovanni Wyclif, il quale insegna che gli elementi consacrati permangono
nd loro stato naturale, contengono concomitanter e sacramenta/iter il
corpo e il sangue di Cristo, che devono essere ricevuti spiritualiter. Il
concilio di Costanza ha condannato come errori di Wyclif il remanen-
tismus,m la negazione della sussistenza degli accidenti senza soggetto
e la negazione della presenza reale (os II.SI ss.).
Un giudizio complessivo sulla dottrina eucaristica del tardo medioevo pu
affermare che non soltanto e non tanto singole posizioni sono insoddisfa-
centi e si prestano a critica, ma l'atteggiamento complessivo: l'interesse
della teologia ridotto alla presenza reale e alla transustanziazione, e
precisamente - il che ancora peggiore - ali'aspetto filosofico-naturale
di queste realt. Il significato storico-salvifico e religioso dell'eucarestia
viene trascurato. Il carattere sacrificale della messa non vi svolge pi un
ruolo apprezzabile, anche se non viene trascurato del tutto.233 Nella teo-
logia l'eucarestia diventata un campo per speculazioni metafisiche -
ed snaturata nella pratica. Manca la grande sintesi teologica. Era inevi-
tabile che sorgesse l'impressione che la dottrina della Chiesa irraziona-
le e pu essere mantenuta soltanto con la repressione. Veniva cosi pre-
pairato il terreno per la Riforma.

9. La dottrina dei riformatori

L'eucarestia, che pur nell'esercizio esteriorizzato del tardo medioevo


rappresentava ancora il cuor~_9ellaChl~!U'!.,,!1J?:_noQ() c!~L~iJ()_gQgma,
'~-- --'~-YA--.c.- -~-.,,io~

229 In N Sent. q. 6 CE.


2lO Testo in R. DAME.RAu, op. cit., 41 nota 27.
231 Co5l Marsilio di lnghen (R. DAMERAU, op. cit,, 57 s.), Pietro di Ailly (lbid.,
62), Enrico di Hessen (Ibid., 68 s.), Nicol di Dinkelsbiihl (lbid., 89), Gabriele
Biel (Ibid., 20, ss.), Giovanni Wesel.
232 C.ontro Hus viene sollevata a torto l'accusa di remanentismo.
2'lJ Ad es. lo stesso Biel ha fatto delle lunghe considerazioni sulla quantit, qua
lit, spazialit dell'ostia, egli per menziona solo brevemente il carattere sacrificale,
che vede in una quaedam imago passionis Cbristi repraesenttZJiva (Lect. 85 F in
R. DAMERAU, op. cit., 225, nota 184).
STORIA DEI ))()G.MI 305

nella Rifo~_!.div~~-.!.'_qgget~<Ld~_ati~.l.9_tte. Non era soltanto la


prassi deterioratL.della messa, ma la stessa ide~ cattolica fondamen-
..... .. '"-

tale della -!Jlessa come sacrificio a sollevare la protesta dei riforma-


tori in base al loro principio fog_d..wentak._ckll.L~Q{~ gratia. Consi-
derare il sacramento dell'altare come il sacrificio che la Chiesa offre,
secondo Lutero equivale a rendere un dono e il testamento di Dio
un'opera buona dei cristiani, una prestazione umana. Come Lu-
tero anche Zuinglio e Calvino respingono dedsamente il carattere
sacrificale dffa" messa, e qundICarume romano -e--specialmente la
mes_sa ~&.ata e -y; sua applicazi~!-~. vivi e ai defunti. Invece i ri-
formatori D4 non poterono trovarsi d'accord~~_cont~~~sitivo
dei doni della cena, anzi su questa differenza naufrag l'unit della
Riforma.-~ tuttL~rdi I!. proposito 9~1 cali~_fil_lajci. Su que-
sto punto la Riforma dimostra non soltanto fa sua fedelt all'istitu-
zione dLGe.siL.J!~.!...!!!!,<;he il sacerdoziQ di tut!li.ha!~ati, lLc!!fil;ru-
zione della...s1l:u.UY.ta gerars;hica dellLChiesa. Il calice ai laici doveva
cosl. diventare il Ji~O della nuova comprensione deUa Chiesa e un
problema carico di e~otfvit.------------- --------- ----- --
Ulderico ZUTng1io"23rcostruisce la sua teologia sulla base del rap-
porto diretto che intercede tra l'uomo e Dio. Cristo presente nella
Parol1a:-~-1~-Spirit'"santo-pr0d~~-~dir~t"imente la fede. In questo
sistema i sacramenti non comunicano la grazia, ess.i.Q@_d~L.!i~
(obbligat~fil~4~ffi~-I:~-~ . ~~!~:- co~}iilit( I.;;:-:cena positivamente
una <~rimemorazione e un ringraziamento pubblico per l'azione sa-
crifical'e compiuta un tempo da Ges, azione che non tollera alcuna
ripetizione ed esclude daH'eucarestia il carattere sacrificale. Siccome
il corpo di__~_~ stato localizzato in cielo dall'ascensione, esso non
pu essere reali~r i~ t~rr~ 'erpne.llil Seconcti-Jo: .
6;63 esso non sa-
rebbe neppure adatto a nutrire l'anima.237 Il pane non il corpo di
214 Sulla controversia eucaristica dei Riformatori cf. W. KoHLER, Zwingli und
Luther I, LeiP2ig 1924; 11, Giitcrsloh 19,3; E. B1ZER, Studien wr Geschichte des
Abendmahlrstreites im 16. Jahrhundert, Giitcrsloh 1940; H. GRASS, Die Abend-
mahlslehre bei Luther und Calvin, Giitersloh 21954; W.H. NF.USER, Die Abendmt1bl-
J/ehre Melanchthons in ihrer geschichtlichen Entwiclelung (r51!)-1530), Neukirchcn
1968.
l.15 Su Zuinglio, oltre al Kohler, cf. C. GESTRICH, Zwing/i als Theologe, Zurich
1967, 137 ss.
1l6 Subsidium sive coronis de eucharistia: CR 91, 467, 477.
ZJ7 Amica exegesis, id est: expositio eucharistiae negocii ad Martinum Lutherum:
CR 92,6n
306 EUCARESTIA

Cristo, ma soltanto lo significa. L"est' delle parole dell'istituzione


va Jp.teso tropicamente. Il Christus totus diviene (direttamente) pre-
sente nell'anima mediante la fede: edere corpus per Zuinglio signifi-
ca_ credere c_orpus caesum. 238 Come Zuinglio pensano anche Ecolam-
padio, Bucero e Carlostadio.
Martino Lutero 239 considera l'eucarestia summa et co~pemfium
Evangel~!/~_.1?~ ..\T":~~A-~~o-c~~!._f!!l~~~!1E~e nella prese~a cor-
poraj~ cli Cristo ..Jlz;!Ln.filiis, che egli ritk!_:l~_ una continuazione della
sua incarnazione. In primo tempo egli sostiene semplicemente la pre-
senza reale sostanziale del corpo cli Cristo e la valorizza soltanto co-
me M.ru~_t.'?._~ remissione ..9ei ~ca ti, eh~.. egli. pensa sil!.J!.. vero
no del\a cena; in seguito per, nella lotta contro il fanatismo, a
partire dal 1526 la pone al centro come caratteristica del sacramento.
Essa ha il suo insopprimibll~--fondame~to-~el1'a Paroht di Dio, nella
Scrittura, il cui~~!(.~!:fil_omptcndere.~oltant<>._fo~e una reale
identilk_~jQpe. 241 I termini biblici corpo (carne) e sangue ven-
gono da l!li i.!_iterpretati (come ordinafiamente) come parti di Cri-
.fil.Q...lf2 Al totus Cbrtstus egli perviene mediante la dottrina dell'ubi-
quit: il corpo glorificato di Cristo inscindibilmente legato alla di-
viJli!A..~r:_teci.J>a~cj~lu_~~JP!.~~~~~.}E..Yill.._:lla CO,!!l~io
ne degli idiomi tra le due nature.:34l Ora nel sacramento dell'altare
Cristo_J~~..!?... ~~~-~~~!.':}! al pane e al vino e cosi rende per noi
comprensibile, certa e sal'Vifu:a-la-s~a--onnfpr~~~~~.244 Egli si scosta
dalla dottrina cattolica della concomitanza, perch nel frattempo essa
238 Subsidium: CR 91467.
239 Una lista delle numerose afEermwoni di Lutero sull'eucarestia si trova in
H. PETERs, Realprilsenz.. Lutbers Zeugnis von Christi Gegenwart im Abendmahl,
Berlin 2x966, pp. 207 ss. Per la bibliografia citiamo anche: H. WBNSCHKHWill'Z (a
cuza), Lutberische Abendmahlslehre beute, GOttingcn 1960; J. DIESTl!LMANN, Kon-
se/eralion. Luthers Abendm11hlsglaube in dogmatisch-liturgjscher Sicht, Berlin x960;
H.B. MEYER, Lutber und die Messe, Paderborn 1965; L. HAusAMMANN, Rea/prii-
sen% in Luthers Abendmahlslehre: Studien zur Geschicbte und Theologie der Re-
formation (Miscellanea -E. B1ZER), Neukirchen 1969, 1,57-173; C. Fx. WISI~FF,
Abendmabl und Messe. Die Kritik Luthers 11m Messopfer, Berlin 1969.
;z.l(J De captivi/ate babylonica ecclesiae praeludtum ( r 5io ): W A 6,52 5.
241 Una lettera ai cristiani di Strasburgo contro lo spirito di fanatismo (1524):
W A 15,394: Dass diese Worte Christi 'Das ist mein Leib' noch /est steben ( 1527 ):
WA 23,157;Kurus Bekenntnis vom hei/igen Sakrament (1544): WA 54,156 s.
242 Vom Abendmahl Cbristi, Bekenntnis ( 1528 ): W A 26,282 s.
7A3 Dass diese Worte Christi...: WA 23,133; Interpretazione dei cc. 3-4 di Gio-
vanni (nelle Predigten .r5J8"r540): WA 47,76 s.
244 Dass diese Worte Christi...: WA 23,1.:;r.
STORIA DBI DOGMI

dovette pagare il fio a giustificazione della prassi della comunione sub


una. Egli ~i distanzi: pure della transustanziazione,245 che per lo pi
considera un'opinione teologica privata e non un dogma.246 Lutero de-
sidererebbe moltissimo evitare il problema dell'ontologia dei don~ eu-
caristici, ma non pu evitarlo del tutto. Per parte sua si orienta secon-
do la ~onsustanziazione anora favorita. In ogni caso il' pane e il vino
vengono mantenuti nella loro consistenza. Formano per un'unit sa-
cramentale ron j] coq;o-e il simgue, divengon~ un pan~ di carne e un
vino di sangue, un essere e una cosa sacramenta1e.2f1 Questa unio sa-
cramentalis, che sostanziale, Lutero la paragona all'unione cristol'O-
gica, _nella quale le nature esistono imm~te.)18 Di questo contesto fa
parte anche la famosa formula nel pane, con il pane e sotto il.pa-
ne.2., La SoUda Declaratzo VII, 35 spiega questa formula nel senso
del!a- consustanz1az1one, mentre lo stesso Lutero non usa mai questo
termine. E ci dagli studiosi pi recenti viene spie,&!!2....!!Q!!S~una
carenza speculatiVa"<IfLutero, ma come un risc:;:rbo ~.!_fron~21esto
probiema.2!lti All'analisi della presenza reale egli non particolarmente
infressato anche petth per lui if sacramento essenzialmente actio
e usus.--Per questo si dovrebberO evitare la conservazione e l'adora-
~ione delle ostie. La durata della presenza-~ale ;C~stende dall'usus
dell;p~~deN'istituzione fino alla...wztptio e, rispettl;;;~"'trte, alla
consumazione delle particole rimaste.251 Nei confronti del carattere
sacrificale _dc:!ht mes;t Lutero~ dice __~ __n.<>....?U..~C>.:..~~so. Tale carat-
tere sconvolgerebbe il carattere fondamentale e il senso deM'istitu-
zione, falserebbe il dono che Dio ci ha fatto rendendolo un'opera
dell'uomo ~Jayore ~io.252 ~~di ~r-tut~ti-;ifu"r~~t~;i-;- mes-
sa un'offesa e un pregiudizio nei confronti del sacrificio della cro-
ce. Al massimo essa potrebbe essere un sacrificio di ringraziamen-

245 Contra Henricum R.egem Angliae (1.:i22}: WA ro/II, 208.


246 De capt. bab.: WA 6,.:io8; Vom Abendmahl Cbristi: WA 26,461 s.
211 Vom Ahendmahl Cbristi: WA 26,445.
i~ Ibid.: WA 26,440.
249 lbid.: W A 26, 447. Spesso im Brot (nel pane); in e untcr Brot (in e
sotto il pane}: Ibid.: WA 26, 264 s.}; Grosser Katechfrmus: WA 301,223.
m J. GRNEWALD - U. AsBNDORF in Lutherische Abendmablslehre beute, 21 e
25; A. Plm\as, Realprizrenz, cit., 97 s.; L. HAUSAMMANN, Realpriisenz, cit., p. r68.
2SI Lettera n. 3894: WA Br. 10,348; Sol. Decl. vn, 86: BSLK rno1.
252 De capt. bah.: W A 6,520.
EUCARESTIA

to, in quanto oltre aH'accettazione di un dono essa anche me-


moria.253
Giovanni Calvino 254 si preoccupa di gettare un ponte tra Lute-
r~--~_Zuinglio. Sulla ~ia di Agostino, egli parla non di una identit
sostanziale, ma di~~--~?rrispondenza (ana~~-!!~~~erit,
insieme per afferma una reale partecipazione al corpo e al sangue
di Cristo mediante il sacramento. Quest'ultimo non un mezzo
di gr.azia,255 m.~ neppure un_~ezn.Q..Y!.l.01..Q e_ .Y.0. .. _r,nplice contrasse-
gno, bensl un indice che rende certi de1'l'azione di Dio mediante lo
Spirito santo, azione connessa con il sacramento. Calvino inoltre par-
la realisticamente come la Bibbia di una recezione del corpo e del
sangue di Cristo, i quali anche per lui rappresentano il dono della
cena e connotano il totus Christus nelfa sua morte e resurrezione.:&
Calvino per non intende questa recezione come un ingerire Cristo
oralmente in e sotto gli elementi: un tale tipo di presenza reale a
lui sembra perversa superstitio/57 errore stupido. 258 L'est dei rac-
conti dell'istituzione va inteso solo metaforicamente. 259 Piuttosto si
deve dire che il corpo di Cristo dal giorno dell'ascensione, e a mo-
tivo di essa, rimane nel suo luogo celeste; la multilocazione lo di-
struggerebbe.260 Cristo non viene umiliato al punto da essere in-

253 Vermabnung zum Sakrament des Leibes und Blutes Christi (r530): WA 30/
II, 614.
254 Le principali testimonianze sull'eucarestia sono la Confessio Fidei de Eucha
ristia (r537): OS 1,435 = CR 37,7u; Petit Traict de la Saincte Cene (1541):
CR. .33.42~460; Institutio christiana IV, 17: OS 5,342-417 = CR 30,1002-1051;
Presa di posizione contro gli artt. 5-9 della Sorbona (1544): CR 35,14 s.
Per la bibliografia, oltre a H. Guss, Die Abendmah/slehre, cit., d. W.M. Nrn-
Sl!L, Calvins Lehre vom Abendmahl, Miinchen 21935; In., Die Theologie Calvins,
Miinchen 21957, 210-225; H. GoLLWITZER, Coena Domini, Mtinchen 1937; H. CHA
VANNl!S, 'La prsence relle che2 st. Thomas et che2 Calvin', in: Verbum Caro 13
(1959) 151-170; W.F. DANKBAAR, Johannes Calvin, Neukirchen 1959, rn ss.; H.
]ANSSEN, 'Die Abendmahlslehre Johannes Calvins', in: TH. SARTORY (a cura), Die
EuchtZTistie im Verstndnis der Konfessionen, Reck\inghausen 1961, 204-220; M.
THURIAN, Eucharistie, Mainz 1963, 254-255; P. ]ACOBS, 'Pneumatische Rcalpriisenz
bei Calvin', in: Rev. d'Hist. et de Phil. rei. 44 (1964) 389-401; K. Mc. DONNELL,
John Calvin, the Church and the Eucharist, Princeton N.J. 1967; J. GoTTSCHALK,
Vie Gegenwart Christi im Abendmahl, Essen i966, 48-64.
255 Com. Tig., art. 17: CR 35,740.
256 Inst. IV, 17,n: OS 5,354 = CR 30,roro.
257 Cons. Tig., art. 21: CR. 35,74r.
2511 lnst. IV, 17,22: OS ;1,372 s. = CR 30,1021.
259 Ihid.; parimenti Cons. Tig., art. 22: CR 35 ,741 s.
2l!ll Tnst. IV, 17,29: OS 5,384-387 = CR 30,ro28-1030.
STORIA DEI DOGMI

serito in elementi caduchi. 7111 La partecipazione al corpo celeste di


Cristo prodotta dallo Spirito santo. Esso il vinculum communi-
cationis, la congiunzione tra il comunicando e Cristo, per cosl dire
un can.al-e attraverso il quale ci perviene tutto quello che Cristo ed
ha. 7112 Cosl mediante lo Spirito veniamo attratti a Cristo e riceviamo
non la caro Christi ipsa, ma la vita che scaturisce dalla sostanza della
sua carne.211.l Gli effetti per sono come se Cristo fosse presente con
il suo corpo.2114 Ci tuttavia vale solo per i credenti eretti, non ha
luogo invece una manducatio impiorum.1b5 Se oggi viene attribuita a
Calvino una presenza reale pneumatica di Cristo nella cena, non si
deve trascurare la differenza rispetto alla comprensione cattolica e
luterana del concetto di presenza reale: secondo quest'ultima con
questo concetto non viene intesa soltanto la presenza personale di
Cristo operata dallo Spirito santo, ma anche la presenza reale della
sostanza del corpo e del sangue di Cristo in e sotto gli elementi.

IO. Il concilio di Trento

La reazione cattolica 7116 alle dottrine dei riformatori si impegn so-


prattutto sul sacrificio della messa e, in secondo luo_go,. sulla pre-
senza reale (Eck).-i~ ~f' er-i~dl~~t~ da~;~~~a -dei ;ifor;;tori,

261 Petit Traict e la Saincte Cene: CR 33A6o.


P62 Inst. 1v, 17,12: OS ,,3,5 s. = CR 30,roro s.; lnst. 1v, 17,22.33: OS 5,
372 s., 391-394 = CR 30,ro21, 103 s.
2llJ Inst. IV, 17,32: OS 5,391 = CR 30,1032 s.
2154 Inst. IV, 17,18: OS 5,36' = CR 30,1016 s.
265 lnst. IV, 17,33: OS ,,391-394 = CR 30,1033 s.
266 Citiamo qui gli antichi teologi controvcrsisti: Tommaso Murner, Gerolamo
Emser, Giovanni Eck., Giovanni Cocleo, Ambrogio Pelargo, Bertoldo Piirstinger
di Chiemsce, Michele Helding, Giovanni Gropper, Eberardo Billick, Giorgio Wit-
zel; autori non tedeschi: Girolamo di Monopoli, Giovanni Antonio Pantusa, Jo-
dokus Chlichtovaeus, Giovanni Fisher. Della bibliografia ricordiamo: N.M. HALMEJI,
Die Messopferlehre der vortrid. Theologen, Fribourg 1944; E. lsEJILOH, Die Eucha-
rzstie in der Darstellung es Jobannes Eck, Miinster 1950; ID., Der Kampf um die
Messe in den ersten Jahrtehnten er Auseienanderseti:ung mit Lutber, Miinster
19,2; F.X_ ARNOLD, 'Vorgeschichte und Einfluss dcs Trienter Messopferdekretes', in:
Die Messe in er Glaubensverkiindigung (Miscellanea J.A. JuNGMANN), Freiburg
219,3, pp. n4-r61; J. MoHR, Der Opfercharakter er Messe in der Apologia und
im Hyperaspismus des Ambrosius Pelargus, Speyer 1965; J. KoTTEJI, Die Eu-
charistielehre in den Katecbismen des I6. ]ahrhunderts bis zum Erscheinen des Ca-
techismus Romanus, Miinster 1969.
310 BUCARE STIA

secondo cui la messa sarebbe un'offesa e un deprezzamento della


croce di Cristo. Di fronte ad una tale critica si imponeva il compito
cli mette~ in luce l:unit che intercede trajl sacrificio della croce
e quello della messa. Ora per tornava a verificarsi di nuovo la
mancanza di -unapratica teologia del sacrificio. Certamente non esi-
stevano dubbi di sorta sul carattere sacrificale della messa, risultava
per difficile stabilire in che cosa esso consista. Si rimandava natu-
___
ralmente al :i;~~~;~ del11a.., ~;;;,-;;o,;;ti;della
. ........._ ____
soltanto che la memoria veniva intesa come un affare soggettivo
~-----
morte di Cristo,

della coscienza. Perci Eck dichiarava che la m~~-l_ID...aJlQria e,


oltre a ci.-..llll...sacrificio. Tra i teologi pretridentini emergono Ga-
spare Schatzgeyer 11J7 e il cardinale Caietano. Particolarmente il se-
condo derma che la mess~ id~ntica ... ___ ,,,, ____ ,._...
~- -
al sacrificio della croce di
Cristo, non ~-la ripetizjQne, ma la contin~ione _dLguest'ultimo,
non il suo completamento, ma una sua parte. 2118
In ritardo, la grande risposta della Chiesa fu data dal concilio di
Trento, che annover fin da 12rincipiQ...teuc~r.~g_~ tra L~i punti
principali. Esso per, con danno per il problema, ne tratt i singo-
li aspetti essenziali isolatamente e non come unit. Anzitutto venne
consolidata la prema real. D-e-1;~!!.~azio~-l~Z?. 15 5 l) tra
loro indipendenti portarono allo stesso risultato concreto e, come
effetto finale, al decreto sull'eucarestia emanato neHa XIII sessione
del 15 5 I.268a Il precedente lavoro conciliare, in conformit con lo
stile teologico dell'epoca, si era concentrato completamente sui ca-
noni_d_efiQi.!Qri; ad essi, aU'ultimo momento, furono fatti precedere
otto _91pitoli dottrinali (ns 1635-50), che vennero approvati senza
lungo dibattito. Essi noii"h-anno 1a--~tessa forZ"a-es-pressiva -degli ana-
tematismi, rappresentano piuttosto un documento pastorale (Jedin),
fanno per vedere-ahi-;rament -f" tenienze""1i10imentaff-dei pa-
dtL~iliari. Nel decreto si tratta prevalentemente del fatto eUa
presenza reale. Il canone 1 (ns 1651) definisce la presenza vera,

'J6I Vom dem heiligsten Opfer der Messe ( 1'25 ). Su ci cf. E. KoMPOSCH, Die
Messe als Opfer der Kirche. Die Lehre Kaspar Schatzgeyers (Diss. datti!.). Miin-
chen 1962.
:111'111 Opuscola omnia, Lyon 1538, pp. 341 s. Cf. W. BAUM, The Teaching of the

Cardinal Caietan on the Sacri/i-ce of Mass1 Roma 1958.


2ti8a Per i particolari cf. H. }RmN, Geschichte des Konzi/s von Trient III Frei-
burg 1970, 32-52 e 268-291 (trad. it. Il concilio di Trento III, Morcelliana, Brescia).
STORIA DEl DOGMI JII

reale e sostanziale, e non soltanto simbolica, metaforica e semplice-


mente dinamica, dd corpo e del sangue di Cristo insieme alfa sua
anima e alla sua divinit nel sacramento dell'altare. Il canone 2 met-
te in luce il fondamento ontologico e il .presupposto logico neces-
sario della presenZi reale,-insegiian<Io la conversione dell'iitera so-
stanza del pane nel corpo e dell'intera sostanza del vino nel sangue
di Cristo; insegna inoltre la continuit della figura degli elementi
e la cessazione deil'a loro ~t;;z~--~-dl~hiara-il termmetransustan-
ziazione categoria adatta ad esprimere questo mistero. Come fanno
capire le illustrazioni del IV capitolo dottrinale (Ds 1642) e le af-
fermazion}~ importa~1 padri con~!!_iari,169 il concili~ con questo
termine intendeva dogmatizzare soltanto il semplice fatto, ma non
il pi ampio theologumenon sul modo filosofico-naturale della tra-
sformazione, intendeva soprattutto delimitare la fede nei confronti
dell'errore, e non decidere su deHe questioni agitate tra le scuole
cattoliche. Anche se i padri conciliari, come figli del loro tempo,
hanno pensato la transustanziazione soltanto con dei concetti ari-
stotelici,. quest~--;~filosofica del loro pensiero non ~per
questo cang~ta.Zlll Del resto il concilio tira le concrete conseguen-
ze- logiche dalla presenza reale: esso definisce la presenza del totus
Christus in -giifparte aette due specie {c. 3), la durata delle~ede
sime extra usum (c. 4), H dovere di adorare e conservare le specie
consacrate (c. 6-7), l'assunzione non soltanto spirituale, ma anche
sacramentale (corporale) di Cristo nella comunione (c. 8), la licei-
t per il sacerdote di comunicarsi da s (c. 10). Esso inoltre con-
danna la limitazione del frutto deU'eucarestia alla remissione dei
peccati (e. .5), richiede una degna preparazione mediante la confes-
sione (c. II) e la comunione almeno una volta all'anno {c. 9).
Gi nel r .5 .5 I si prese a trattare la questione, scottante dal pun-
to di vista politico-ecclesiastico, deNa comunione sotto le due specie

2119 Nel 1,47 il vescovo tradizionalista Tommaso Campeggio di Feltre vorrebbe


sostituire il concetto di transustanziazione, odioso ai protestanti, con quello pi
semplice di conversio (CT v, 1009 ss.; H. JEDJN, op. cit., 45). Melchiorre Cano
ritiene legittimo in s il termine, ma non appartenente all'oggetto della fede, se si
professa soltanto la conversione eucaristica (CT vn/1,r24ss.; H. }EDIN, op. cit., 271).
Z1'J Al riguardo cf. K. RAHNER, 'La presenza di Cristo nel sacramento della cena
del Signore', in Saggi sui sacramenti e sulla escatologia, Roma 196.5, 173-2r7;
E. ScmLU!Bl!ECKX, La presenza eucaristica, Roma 1968.
312 EUCAllESTIA

ovvero del calice ai laici, ma soltanto nel l 562 si giunse ad una


decisione.711 La sessione XXI anatematizza l'affermazione secondo cui
sarebbe necessaria per la salvezza la duplice comunione (c. 1 : ns
173 r); anatematizza pure la comunione ai bambini privi dell'uso
di ragione (c. 4) e definisce H diritto della Chiesa nell'introduzione
della communio sub una (c. 2) come pure il suo fondamento dog-
matico, la presenza concomitante del lotus Christus sotto la specie
del pane (c. 3).
Infine, nella sessione XXII del 1,562 venne promulgato anche il
decreto -~ifdo delle messa,272 dopo che iJ.i concilio si era oc-
cupato della materia gi nel 1547 e nel 1551/2. L'idea fondamen-
tale portante l'unit di sacrificio della croce e sacri.fido della mes-
sa. In base al sacrificio viene sviluppata anche la concezione della
messa presente nei capitoli dottrinali (questa volta sviluppati pi
abbondantemente). Essi fondano l'identit di croce e sacrificio del-
la messa nell'identit del sacerdote offerente e della vittima (cap.
2: ns 1743). L'identit dell'azione sacrificale non venne enunciata
esplicitamente a motivo della distinzione cruento-incruento - ci
per avvenuto con il Catechismo Romano II 4,76 - , essa tut-
tavia implicita; la messa infatti viene intesa come rappresentazione,
memoria perdurante e applicazione (repraesentatio, memoria, appli-
catio) del sacrificio della croce (cap. l: DS 1740). La cena fu l'of-
ferta cultuale che Ges fece di se stesso (ibid.). I 9 canones defini-
scono con accento antiriformatorio il fatto che la messa un vero
e proprio (proprium) sacrificio (c. r: DS 1751), ma non un'offesa e
un deprezzamento della croce (c. 4). Il comando dell'istituzione di
Ges significa insieme l'istituzione del sacerdozio, per cui i sacer-
doti offrono il corpo e il sangue di Ges (c. 2 ). La messa non
soltanto un sacrificio di lode e di ringraziamento e neppure un me-
ro ricordo del sacrificio della croce, ma un sacrificio espiatorio per
i vivi e i defunti (c. 3). Altri anatematismi definiscono la liceit della
messa privata (c. 8), della messa in onore dei santi (c. 5) e Jifen-

1'71 Su ci cf. H. ]EDIN, Krisis und Abschluss des Trienter Kom:ils IJ62/63,
Freiburg 1964, 43 s.
m H. JEDIN, op. cit., 46ss.; E. lsl!JU.OH, 'Das tridentinischc Messopfcrdekret in
seinen Bcziehungen zu der Kontroverstheologie seiner Zeit', in: Il ConciliG di
Trento e la Riforma tridentina, Roma 1965, 401-439.
STOJllA DBI DOGMI

dono sia il canone che la forma della messa propria della chiesa
cattolica (c. 6, 7, 9 ).

II. I secoli dopo il Tridentino

La dogmatica dei secoli successivi viene determinata dal Tridentino e dal-


l'alta scolastica, nonch dalla polemica antiprotestante, e pochissimo_dalla
concreta vita litu!&i.ca. La tripartizione, praticata anche a Trento, del
trattato in presenza reale - sacramento - sacrificio fa scuola; difficil-
mente si tenta -un'integrazione di questi aspetti parziali in un concetto
onnicomprensivo di sostanza. Nel problema della transustanziazione ven-
gono r~el~~~~~ speculativamente l~~izioni e le enunciazioni del me-
dioevo.1 tomisti (dal Bllluart a F. Diekamp), nondl Suarez, Lessio, Fran-
zelm ecc., considerano la conversione come una productio, rispettivamen-
te re-productio, del corpo gi esistente di Gesu senza una sua moltiplica-
zione; gli scot"sti e i teologi gesuiti Bellarmino, Toledo, Vasquez e Gre-
gorio di Valencia invece sostengono la sua adductio, ma senza mutamento
di luogo. Nessuna di queste teorie, che si scontrano con i confini del
mistero, pienamente soddisfacente.
Tema fortemente dis~~-fo quello del carattere. sacrificale Jltll!L.!1JeS-
sa.2'13 II Tridentino aveva da una parte, insegnato che quest'ultima una
rappresentazione e applicazione memoriale del sacrificio della croce (ns
1740) e qimd1 un sacr1hc10 relativo, faIT'altra parte per l'aveva anche
definita come verum et proprium sacrificium e quindi dichiarata in qual-
che. modo un sacrificio assoluto, o meglio un vero e proprio sacrificio
in s, quindi in un atto simbolico (il che non significa un sacrificio aute>-
nomo). Ora ci si chiedeva: in he cosa si fonda il carattere sacrificale del-
l'euca~!i~.LL'.interrogatiyg presuppo~_co~~-~! sacrificio; che pe-
r veniy!!_ desunto dalla fenomenologia religiosa. Un grande influsso ebbe
Gabriel_~ .'\rasq1,1~J1i.~ir~~..Ja.._s~ ia~a.. ~~q_QdQ..QJ.Lall'es~~ del sa-
crificio, oltre all'oblazione della vittima, appartiene anche la distruzione
di q~s~'.t1l!im.~,_perch ~~!tanto c-0sl si ~prime il poter~ assolut9 che Dio
ha di disporre della vita e della morte. Lo stesso Vasquez per fece va-
lere soltanto per il sacrificio storico della croce il momento dell'annien-

273 Un'esposizione dettagliata si ha in F.X. RENz, Die Geschichte des Messopfer-


Begrif}es II, Freiburg 1902, 203-506; M. LEPIN, L'ide du sacri/ice de la Messe
d'aprs les theologiens depuis l'origine iusqu'il nos iours, Paris 1926; d. anche
H. LAIS, Gedanken zu den Mesropfertheorien, in Theol. in Geschichte rmd Ge-
genwart (Miscellanea M. SCHMAus), Miinchen 1957. 67-88. Utile materiale si trova
anche nei manmi di dogmatica, ad es. F. DraKAMP - K_ JOssEN, Kath. Dogmatik
III, Mililster 1954, 207-216; I. F1LOGJlASSI, De ss. Eucharistia, Roma 61957, 373-395.
BUCAIU!STI.\

tamento. Il carattere sacrificale della messa egli lo vedeva nel fatto che
questa, in virt della duplice consacrazione e della separazione del corpo
dal sangue di Ges, uruL_~resentazione commemorativa dell'unico
r~e sacrificio cruento. La semplice riproouzlofieru"Uii evfitO sacr.11.cale
non . senZiJlt~ questo un sacrificio. Perci altri teologi continua-
rono a cercare dei tra a1Iliente saCrihcali nella messa. Nella presenza
distinta del corpo e del sangue di Ges Suarez ve eva non soltanto un
simbolismo ma anche un evento sacrificale a livello sacramentale. Ma si
cercava soprattutto una distruzione, sia delle specie eucaristiche che dello
stesso Cristo eucaristico. Su~- vide nella cessazione delle sostanze
natiirali dqli elemen$i, Cana nella fw:iQne dell'ostia; De Lugo e, pi
tardi, Franzelin la videro nel fatto che Cristo~ uniformi all'umile stato
ll di cibo {status declivio:];nii.uncianao alle funzioni sensibili, momento
che in seguito verr illustrato anche da A. de Cienfuegos; Bellarmino, in-
fine, v ione del sacramento al momento del-
{, la comunione. Alla duplice consacrazione con la sua ten a separatrice
il Lessio attribuisce -una forza tale cl).~~ vi verborum e i~ produr-
rebbe la reale uccisione di Ges, se questa non fosse per accidens impe-
dita daII'Iiipassibilit del cristo glortoso. Non Sl pot quiiiar fare molto
con il realismo della concezione sacrificale n si prest sufficiente atten-
zione all'autocomprensione della liturgia.
Pi che alla distruzione Suarez m conferisce valore all'oblazione dei doni.
Egli getta cosl il_.EQnte verso la teoria dell'oblazione, de ravVlsi:'essen-
za del sacrificio _non nClla "diSiruZTiie;-iiialiCWOfferta della vittima. Su
questa linea si muovono j maestri deII':E'.Coie franaise {come p:-'de Brul-
le, Oliere Lebrun), che vedono la messa comepartecipazione all'oblazione
di Gew al Padre suo. Il testimone classico di questa.. teoria V. Ihalbo-
.~ Egli predica con grande calore un sacrificio celeste di Cristo, che
continua il suo atto sacrificale della croceeche-nella messa asSuiiie forma
spazio-temporale, in quanto Cs;istq__Q._ella consacrazione compie lo stesso
atto sacrl!icale __g>mpiutc.u!!Lt:~mi?o sulla :rosi.icti'e-or.!..f.2!DPe J..'Llielo.
Si parla sempre di pi di un. vero sacrilicio celeste di Cristo e Io si costi-
tuisce anello di congiunzione tra il s~~~TfiClQ--;lella croce e quello della
messa. Alcuni seguaci di questa teoria ammettono per ~ messa un vero
e att~~~-~acrilicale ~~-,2~.Lr!fil!?. ..fil()r,,j,s.ato, rom-sePunico
sacrificio di Ges non fosse valido una volta per tutte. Secondo M. de la

:n De Missae sacrificio, disp. n s. 2. Maggiori particolari in F.X. RENZ, op. cit.,


II, 3ooss.
:m Das Opfer des alten und des neuen Bundes, Regensburg 1870. Altri sosteni-
tori di questa teoria sono J.A. Moler, H. Klee, H. Simar, P. Schanz, G. Peli, M.
ten Hompel, M. Lepin.
Z76 Cosi giil. Suarez, i Salmaticesi, inoltre M. Lcpin; R. GARRIGOU-LAGRANGI!, De
eucharistia, Torino 1944, 290-300; I. F1LOGRAss1, op. cii., 395 ss.; I.A. DB ADAU4A,
Sacrae Theol. Summa IV, Madrid 1962, 315 s.
STOllIA DBI 00GMJ 315

Taille poi il sacrificio redentivo di Ges costituito del suo esplicito atto
di oblazi~ nella cena e dell'immolazione cruenta sul Golgotha. Nell'eu-
carestia la Chiesa continua l'oblazione della cena, Offre aI Paare il Cristo
reso presente dalra transustaoz1azi,pne.m Nel complesso i teologi conside-
rano sempre pi la duplice consacrazione come una uccisione -mistica,
cio sacramentale, di Cristo (;on L. Billot) e insieme co~ la sua offerta
al Padre.
All'atteggiamento dogmatico fondamentale in quei secoli corrisponde an-
che la prassi eucaristica. Anche in essa la presenza reale se ne sta in pri-
mo piano dominante e isolata. La piet orientata all'adorazione del Si-
gnore presente, essenzialmente un culto di adorazione; il tabernacolo ac-
quista una posizione dominante nell'architettura e nel culto. La comu-
nione, soprattutto nel giansenismo si fece rara e veniva ricevuta fuori del-
la messa. Nella polemica antiri:formatoria quest'ultima veniva vista sol-
tanto come l'opera del sacerdote consacrante. Che anche i fedeli concor-
rano al sacrificio in virt del sacerdozio universale, un concetto che
scompare dalla coscienza. -

I2. La nuova riflessione del sec. XX

La ristretta, schematica visione post-tridentina stata messa in di-


scussione )!~l nostro secolo. La prima e pi duratura correzione non
venuta dalla speculazione, ma dal movimento liturgico che si
imposm_ all'interno della Chiesa e ha condotto ad una nuova rifl~
sione suHe idee fondamentali di culto, sacramento, anzi dell'intera
realt cristiana. Anche l'intensificata ricerca esegetica, storico-litur-
gica e storico-dogmatica ha arrecato significativi contributi. Un pas-
so imPQr.tank._nel campo della_J2!assi f!!.JLci~ di PiLl_sulla
co~u._nione l!.9ru,l, che stabiliva come scopo principale dell'eucare-
stia non la sua adorazione, ma la santificazione dei fedeli, e jocqrag-
giava i cristiani alla comunione uotidi.@_a. Se il movimento litur-
gico inten eva raggiungere una pi attiva partecipazione dei fedeli
al rulto, doveva preoccuparsi anche di una migliore comprensione
e di una grrfiguraziof?._e pi ~!~uente -~~Ll!!edesimO.m-fuso scav
pi a fondo e scopri la verit sepolta secondo cui il sacramento

m Mysterium Fidei, Paris 3193r.


m Impulso cd aiuto fu fornito al movimento liturgico anche dalla diffusa feno-
menologia, soprattutto nella persona di R. Guardini.
316 EUCAltBSTIA

non soltanto un mezzo oggettivo di erma, ma !'_agire salvifico


pe_rsonale dLCcistn .iD noi, l'incontro con il redentore e la sua opera
di ~la partecipazione alla red~e. Questa visione insie-
m~~~alvgi~~rsonale, il cui significato per la Chiesa, per
1'a vita e per la teologia, difficilmente pu essere esagerato, stata
difesa come da nessun altro da Odo Casel. Egli insegnava a consi-
derare la liturgia come la p~~dT;;.azione salvifica divina sotto
il velo dei __simboli.219 Ora si ridivenne- coscienti che i fedeli parteci-
pano attivamente al sacrificio e che questa attivit trova il suo
giusto compimento nella comunione, che perci venne n~en
te.jntegrata nella messa. Questi sforzi ricevettero la loro sanzione
ecclesiastica ufliciale ad _.2Eera di Pio XII con l'enciclica Mediator
Dei (1947) e ancora di pi da parte cfd.-;x)flciJ.ioVatic~no II. Nella
sua costituzione liturgica quest'ultimo dichiara..f~uctestia continua-
zione del sacrificio della croce cli Cristo, memoria della sua morte e
resurrezione ( 47G quindi partecipazione al mistero pasquale (
6 ), e persegue in generale una maggiore trasparenza e forza espressi-
va delle forme liturgiche.
Gli sforzi teologici non -sono stati diretti soltanto verso i diversi
singoli segni, ma ~e.X~ il segno in quanto tale. E l'interesse
particolare non venne soltanto-'&p~rte-d.d;-liturgia e della dot-
trina teocentrica dei misteri, che considerava il simbolo sacramen-
tale ...coroe espressione e __~t~!_q_.4L!ll!tJall~~J1'aaj_~ sal-
vifica_djy~~~iuta un temeo. Esso venne anche da parte della
corrente orientata antropocentricamente deH'esistenzialismo teologi-
~ che riflett pi a fond;;J;ignifi.c~to del i@_~J'?~~f'UOmo. Il
simbolo non soltanto un rimando gnoseologico a ci che non
presente, ma roprattutto un'.i.rn.~Q~.ffermaziQ.t)._C:_ ~~lla.._wsona, la qua-
le pu esprimersi, interpretare e comunicare solt~ in_J~lm9rto
CQ!1.. le cose e mediante esse. li !:!J!nbolo _ ~n fenomeno antropolo-
gico~amertaie. L'i"nello, che l'uomo pone al ditc;<l~lla su~ spo-
sa, qtiiifrosa di pi del suo valore materiale e artistico; esso
espressione dell'amore, segno defila donazione di s e ricordo ino-
bliabiledfiln-a-~rta ora. Nel dono il donatore si d intenzionalmen-

219 'Mysteriengegenwart', in: JLW 8 (1929) 145; d. anche O. CASEL, Das chri
stlicbe Kultmy:rterium, Regensburg 41960, 79. Per la bibliografia di e su Case! cf.
O.D. S.urrAGADA, in: ALW x/r (1967) 7-77.
STORIA lll!I DOGMI

te al donato. I simboli sono quindi un'espressione essenziale della


persona e un mezzo di incontro. In quest'ottica -;,ra si avvia una
nuova riflessione anche a proposito de!- sacramenti, per i quali il
principio fondamentale di Tommaso_ dice: sacramentum est in ~e
nere signi _(S. Th . .m. q. 60, aa. 1-3). Essi sono dei simboli, con i
quali, Dio riveste la sua autocomunicazione agu uomini. Perci le
cose usate come segno nel sacramento acquistano un significato e una
funzione nuovi. subiscono un cambiamento di significato, una ttan-
s~ionalizzazione, ttansfinalizzazione o ttansignificazione, espressio-1
ni che dicono tutte fa stessa cosa. La tradizionale dogmatica di scuola
aveva considerato rsigni.tiitOdT segni del pane e del vino nella cena
soltanto sotto l'aspetto ontologico-naturale, soltanto in base ~ loro
essere statico prima e dopo la consacrazione. Ora la loro funzione
V!iene vi11ta nerll'insb:ne dell'evento. Se in s erano dei semplici
mezzi biologici di nutrizione, neTI'eucare5tia essi divengono~
e strumento dell 'autodedizj.one di Cristo ai suoi nella sua carne e
nel suo sangue. Ontiamente essi divengono dei semplici ~~ti,
ma Euf1Zionalmente divengono segno dell'incontro personale di Cri-
stq con i suoi Senza cl.ubbia questa concezione rappresenta un ar-
ricchimento. Il primo ad elaborarla fu J. de Baciocchi.., Egli fece
scuola, specialmente in Olanda.281 Sotto questo profilo venne nuo-
vamente discusso il problema del senso e del significato della tran-
sustanziazione e del suo rapporto con la trans.ignificazione.
Anche per un al'tro aspetto il tema della transustanziazione venne
messo i".l__ ~to, in quanto gi da lungo tempo~_.,4ibattutl!J.1!...l?FO-
blematica connessa al coQ_c__tto di s~. La fisica moderna aveva
messo in luce che esso non pu essere applicato al pane e al vino
nel senso rigoroso che ha assunto nelle scienze naturali. Al riguar-
do non era neppure necessario arrivare al punto di riservarlo, come
facevano alcuni scienziati, soltanto all'essere personale o, come fa-
cevano altri di considerare sostanza solo l'insieme del mondo ma-
teriale. Persino l dove lo si usa anche per le singole sostanze ma-

280 'Le mystre eucharistique dans les perspective de la Bible', in: NRTb 77 (1955)
561-580; Io., 'Prsence eucharistique et transsubstantiation', in: IrniJwn 33 (1959)
139-164.
231 Su ci cf. E. ScHILLEBEECKX, LA presenza eucaristica, Roma 1968; J. PoWERS,
Die Euchariie in neuer Sicht, Freiburg 1968 {trad. it. Teologia eucaristica, Que-
niana, Brescia).
EUCARESTIA

teriali ci se ne serve soltanto ..P.er indicare gli insiemi atomici e


m~~lari, che rivelan-.;-;;~-;~~-~hi:ra ~~--;;g:;;;~~-;--d~Ne.propriet
fisico-chimiche costanti. Ma il pane e il vino' in questo senso non so-
no d~ ~9stanze, bensl dei conglomerati, quindi un miscuglio di
sostanze. Sor~~ -~ii~~-iCprobi~m;:-- ~h~ cosa in rJ'~~ T-transu-
stanziazione? forse una mol'teplicit di trasformazioaj .~anzia
li? Ora mentre una corrente ritene;con-F .. Sel~;ggTd~e la sostan-
;;-de_s!Le!~~~ti, di cl.li p-;-G-ir dognia, f;s8--u;~-g;~~d~~za fisica-
mente rilevante e la transustanziazione una spiegazione fisica (anche
se non una giustificazione) di un evento accessibile,282 un'altra cor-
rente, al s~ito di J. Ternus e C. Colombo,283 dichiarava che la so-
stw;-~ell'~arestla-fiQ..ii). ~!"!lia~<lIJ_-~_~-~~?~! .s~~~~~~- di meta-
~~i~q, ..cio l'intima realt metem,e!!Jgi, quindi da non concepirsi fisi-
camente, cidF~ieme che chiamiamo pane e vino. La transustanzia-
zione sarebbe quindi ~-~m_tQ _tr,~fi,,s!~2...Sh~ ~~.C?Jl_.~L lll~Y~ !~vello
delle strutture fisico-chimiche, per cui una fisica eucaristica super-
flua. Questa opini_qne_.!i .L~ta a:!!l.J2ifil!!.ente.
Se il concetto di ~g~!.~.~-~1.!- ..".'~~.PEC.~~?. ~.B!L~~menti eucari-
stici nel senso rigoroso della filosofia della natura, esso rimane co-
mun~rezioso, addirittura indispensabile per definire la realt
vera...e.. ..~. la q~ak-~r non-pu-~Se";~ vi;t; solt-;ruo-;etafisi-
camente. Altri infatti l'hanno trattata in maniera dichiaratamente
teologica. Secondo il teologo riformato F.J. Leenhardt 284 l'essenziale
del~e. ~e .o.J~ )()~<2-~~?~!~z~-uJt!!Oa:-c:C>~~ibil' roit~to -~n la fe-
de, fa_ygl@Jigi.P!<.? che.il}.e~_e ~i _realizza. Se nella cena questa
volont trasforma il ..pane_n.elm1-p~Lte._a~_4i Cristo, ~nh_!rdt parla
senza Jimore di_ un.Il tran~"Y.~!~Xl~J~m. Questa elaborazione del con-
cetto ha influenzato anche degli autori cattolici.2l!S Cosl ad es. J. de
BaciocchLv.ede.la.Jm$tit.a delk _Q~ jg,,i_ eh.e es~~ s()~~uie.r_Cristo,

212 F. Selvaggi scrisse due articoli sul problema della sostanza nell'eucarestia in
Gregorianum 30 (1949) 745 e 37 (r956) r6-33. Lo seguono R. Masi, M. Cuervo, J.
C. Tomer. Sulla discussione d. C. Vou.r.RT, 'The Eucharist: Controversy in Trans-
substantiation', in: Theol. Studies 22 (1961) 391-425.
283 J. TERNUS, 'Dogmatische Physik in dcr Lehre vom Altarsakramenti>', in: StdZ
82 (1937) 220-230; C. COLOMBO, 'Teologia, filosofia e fisica nella dottrina della tran-
sustanziazione', in: LA Scuola cattolica 83 (19.:;5) 89-124.
lB4 Ceci est mon corps, Neuchatel-Paris 1955, spec. 31.
285 Oltre a J. de Baciocchi si devono ricordare anche A. VANNESTE (secondo J.
PoWERS, op. cit., x25 s.) e E. ScHJLLEBEECKX.
S1"0RIA DEI DOGMI

il quale il punto universale di riferimento di tutte le creature e,


lui solo, pu transustanziare il pane e il vino. 236 Si raggiungeva cosl
una p~~~-!~~O.~~~~oQ_e A~U~rmine.
La configurazione teologica del concetto di sostanza non rima-
sta l'unica. Qu11~i _at.J:~~t:.J~_!_ intensiva fu quella al!tr91>Ql.ogica. U pa
ne e il vino sono dei prodotti cUlhraJC-che]'.~~l:!l? f~!.11!.l!,,~J'uo
mo sc;rv~dosi di cose naturali. Egli non si limita ad assumere le
cose nel loro u:i~;: .ma ;;;-~ora, con{~tjf~ J~.c:l ~-~-1!0 s~so e un
fine nuovi, crea sempre nuovi contesti di riferime~to ~~ ~ in
lui st~s;o--il lor~~~~gret~p~t~..~ii ~rl~~t;;_~~t;:-Egli quindi pro-
getta iL:m>_,!P..Q.~4~!_}.n .9.."!~t<?.~~C:!i.J3-. --~dte 287 afferma che il con-
testo di riferimento delle cose all'uomo costituisce l'essere dell'esi-
stente, i.J._primo costitutivo, e se si consid;;~;;~- I~ ~~-fu b"ase
ad.;;so, p~ ;;;re (kt:t;; anche sostanza. Di contesti di riferimento
ne esistono molti e di rango diverso e sottostanno a cambiamenti sto-
rici, ~h~p~i-~ul terreno- Jf q~es p~~;~ppo~-ti-~t;~bi;ro es~~;- de-
signati come una specie di transustanziazione storica. Tali mutamen-
ti del con~~~9 _.Qt .!!f!!r~II!~P!Q__e. d_el "s..gs~, ~ecQn.4<>. . W~~~J_J?PS..S.2..no
essere pi profondi, cio pi ontologicamente determinanti che un
cambiamento fisico-chimico. Nd caso dell'eucarestia il contesto di
riferimen-t~:-i~tltuito
--.L.h ............ .
..divinamente e quindi assolutamente vincolan-
te e determinante ontologicamente, il banchetto. La conversione
eucaristica non ha bisogno di essere p~~s-ai.. come -i:asformzfne
dei fonq!P._!!!;~tLl~Q:M~k~ .de.g).L~~n,ti.288 Analoga la spie-
gazione del Catechismo olandese: La propriet o l'essere delle co-
se materiali -~~;i;t~ -in ci ~he g~!'!. _sQn9__ p~r .1''1.!0~Q,_f.~l:l.911'.I! a
modo suo. Cosl, per noi la propriet del pane di essere nutrimen-
to .tei_;~~~~ per l'uomo. Nel pane della messa, questo essere divie-
ne quale~.:;~~ !f(totalmente diverso: il corpo di ;~s _9me ,lllltri-
mento per la vit~. ete;~a:~89 --S~i terr~~~ di q~esta concezione, de-

2M 'Presence eucharistique', in: Irnikon 33 (r959) I5I.


:lB7 Il contributo alla discussione del 1959 si trova in M. ScHMAUS (a cura), Ak-
tuelle Fragen tur Eucharistie, Miinchen r960, 190-195 e in B. WELTE, Auf der Spur
des Ewif!.en, Freiburg 1965, 464467.
;zss We!te - lo si noti con cura - propone alla discussione come ipotesi di lavo-
ro la sua opinione. Egli intende rimaner fedele alla dottrina della Chiesa, in partico.
lare a quella del Tridentino.
289 GlaubensverkiiundigtmJ!. fiir F.rwacbsene, Nijmegen 1968, 385.
320 EUCAB.ESTIA

terminata antropologicamente, della sostanza 200 si possono dare tanto


dei -~amf'11-t!...rit4i~...dLsecso, di fine,. di significato, di contesto,
quindi delle transignificazioni ( transfinalizzazioni), quanto delle
transustanziazioni, senza che per questo avvenga una trasforrr~
zione interna dell'essere delle cose. I concetti infatti vengono usati
da alcuni autori come equivalenti.291
Questo concetto di sostanza cosl concepito stimola al confronto
con qQt.llo antico d~ll..Lt~.()1~_4Ls_cuo1'a_ cJ~ica. La relazione tra-
scenqentale della sos~~lr~ viene qui tematizzata e vista
essa stessa pi dinamicamente, pi funzionalmente, pi umanamen-
te. E cliu1PJL...J.m danno. In molti il carattere statico-concreto del
concetto sc~l.astico ~;ci""a Ul\-~;nso di in~oddi~fZi-;~~-;--in q~ non
SCCentl,1!,.~~-~to ali~~~-<?!~-~ all~_~_t,ivi!~__9J P.io eh~ ~~gono_nell'eu
carestia. Ma anche il nuovo concetto ha '1esu~-~sidie e i suoi pe-
ricoli. Esso suggerisce l'idea che la sostanza stia soltanto nel campo
delle significazioni uman~, delle.fudicazionT"d.T-sen-so:Cfelle specifi-
cazioni dei fini, in quel campo deH'essere quindi che rimane aperto
alla capacit um;ma .di.di&l2Q!lle, nel campo dimensionale della fun-
zione e del fenomeno. Qui i mutamenti della sostanza ( cosl inte-
sa) in realt.Jl.Q.1!. ~~~~~~~<:.3!!~~~h.e_~!':llL~!!Ilsign_~-~~ioni o del-
le -wmsfio.@li.~zj_2!1i. Ma questo concetto di sostanza, che odora un
po'_ di ~~atismo (di fine della metafisica), rispetto alla conce-
zione classic-;costituisceiln't:emiazfone~.,'essere possiede una pro-
fondit che l'nom.Q__p_u_intuit_e_J!!.~ ..c?:~~-~~tr~~~~~-~~ere, e
rimane invece aperta al sovrano agire creativo di Dio. Non a caso
ed esplicitamente come correzione del concetto antropologico di so-
stanza E. Shilleebeeckx afferma che g!!_l!!_r_~lt,_;t!~girale, per quan-
to da noi pl~sma-ra;-non~~f-unir~o,t!<:> dell'uomo e che a maggior
ragione laJ.:~11.lt~--Q~.1!.'~ll.ffe'_ss_ttI_. soltanto- azione di Dio, una pre-
messa oggettiva per la fede, e ch~-q;;i~d(fa trn~.;;st;;ziazione non
si esaurisce nella transignificazione,292 ma si estende fino alla pro-
fondit d~IF.ssere. - -- --

290 Essa viene sostenuta anche da R. SoNNEN, 'Neubesinnung auf die Eucharistie
a1s Sakrament', in: Kat. Blattl!t' 90 (l965) 490-501, qui p. 491. Pet J- PoWERS, op.
dt., 189, la sostanza connota il significato e gli effetti di un ente.
29 1 Cosl P. Sc::HOONENBERG in Concilium 4/1967, ed. it., 97-1n.
292. Die eucharistische Gegenwart, 84-rn7.
STORIA DEI DOGMI J2 I

Anche un altro concetto-chiave dell'eucarestia ha sublto un'illu-


strazione e un arricchimento ant~logici. Il teologo olandese P.
Schoonenbe!s. i3!l3 ha Tatto-illi'an;iisi del fenomeno presenza che
ha incontrat~~~iw- f;~re.i94-s~;;~d~-q~e;tc; autore-1a-~~~a
non si~nifica i)l._s_Sllt;~;:n~--~itl!!l_:Z.:iQn~it --~-,e~~e!1z.~!~- ~p~ali,
cio un rapporto con altri oggetti e, implicitamente, con altre azio-
ni. La vera presenza _P.:e.!~O.!!_~g~ca__ ra.~f!() .cc>n cl.i:~.~ per-
sone, libera autocomunicazione della persona e apertura agli aftri;
essa~l~fine, consiste nell;;~procii:,-~ignific~_jg~...0.~!~~ e si
fonda sull'intercomunicazione. Quest'ultima si serve della corporei-
t, nla_p~ser~i anche in assenza di essa. La presenza personale
ha diversi gradi;-~~-f(;~e fondWie~-tali si possono elencare la
presenza solo offerta e la presenza vista anche come dono. La sua
forma perfe.t!!l co~ituita_~~)fl!.U.!~~~aj~~iol}~_!1,11:_~clj~~ e accol-
ta vicendevolmente, l'unione <li presenza spaziale e personale. Ma
c' ~-;;-Che-unapresenz~LS18bilita .WLUJ.l.J.P~o (lettera, dono), nella
quale il mezzo ~ive_:i_!,a_ il segp..2_.. B~!l-~_?muni~a-~iC!.~~---~~-~' secondo
Schoonen_herg. quasi._... ttansustanziato. Nell'eucarestia sarebbe pre-
sente pers9nalm~t~ Jl Sig,nor...risg_~<;U~.~rificato, e ci gi prima
della consacrazione, nella comunit celebrante nonch nella parola e
nell'azione sacramentale. Questa sua presenza personale Cristo la
renderebb~_ ~!!~or~ pi_fi_J!.1!!~~!!1-~~-c;- p~~- P.I?f~~~~~~~-~fficace
mediante la sua presenza sotto le specie del pane e del vino, la
----....---- --------. ------.. --- -.. - --- --- . r--..-
quale per non la forma pi alta di presenza, ma so1tanto un mez-
zo. Egli diverrebbe presente ~oltanto com donat-;;: m-; an-
che.-:::--_e_gQ__pl,!Q_far!!?.!'~!~~~o lui_=-~~~~- dono. Il pane e il vino
diverrebbero dei semplici sewi nei quali egli compie la sua obla-
ziQ!l~_di __s_(_ Gli elementi non ~bbero .. aJcuna trasformazione fi-
sica, ma piuttosto una conver~Qf!.~- dL~egnp. Secondo Schoonen-
berg- quindTia- . trans~ta~zi;;rione una t!~~~~~Z.?.~io~~ o tran-
significazione,, __ ~~ ~d una pro_!?n,di~~- c~e ~lo Cristo raggiunge, e

29J Sono fondamentali le trattazioni di Schoonenberg su 'De tegenwoordigheid',


in: Verbum 26 (1959) 148-157; 314-327; 31 (1964) 39.5-415; Heraut 89 (1959)
106-ni. Su ci cf. Herder-Korrespondem: 19 (1965) 517; R. SoNNEN, Neubesinnung,
cit., 496 ss.; E. SCHILLEBEECKX, La presenza eucaristica, pp. 125 ss.; J. PowERs, op.
cit., 132-136; 146-153.
294 Cf. DE HAES (J. PowERs, op. cii., 145); R. SoNNEN, op .cit., 496; E. ScmLLE-
BEECKX, op. cit., 135
322 EUCARESTIA

nella quale l'autore sposta la presenza di Cristo sotto le specie


interamente alla sua presenza nella comqnit.2911 Il teologo olande-
se vede quindi la presenza eucaristica di Cristo essenzialmente come
fa p.!_es~!!..E~;s_(}~~~LW~!!Ql~_ti~gi Q!~tq .C:()!!!~-4C!!!ator~nella co-
munit, presenza che diviene pi intensa in virt dei segni che rea-
lizzano la sua donazione di s.296 In modo analogo si esprimono
L. s~tS'~ ). P~ers~197 ~
Questa posizione, che si concepisce come accostamento al senso
odierno della vita, suggerisce un confronto con la concezione tradi-
zj~ale. Senza dubbio la concezione personale della presenza rap-
pr~senta-un progresso :rlspeo
a-quell liflOra prevaienfe:arrentara
in s~~Q._Cos!!lOl~~o. Anche la funzione ~ransignificativa degli ele-
menti consacrati in quanto segno dell'autodedizione di Cristo alla
sua Chiesa....Ll!l_l'idea stimolante. Il problema per se l'evento eu-
caristico, pi pr~d~;m:eiiie fa ronversione ontica degli elementi con-
viviali, sia descritto esaustivamente e abbastanza chiaramente con i
termini 't~~~&~-~ ~-~~7i~fin-;llZzazion~~--Qci--sTdOvci dire
quant~~egtte:.) ~~-~!IE~!~: mel!~lOii~}f. PE~~~- ,e~~ _s_~?~P:.~~ono
_
l'identit...Q!l!if<t!eale dei doni conviviali con il Cristo corporeo, sot-
tolineata dalla tracllii(;fi~. 'q~~r m~ento quindi che il concetto di
transustanzjazjooe.lo.tende_g3ran__tjre. Per quanto concerne la presen-
za personale di Cristo nell'eucarestia, stando al primo concetto egli
presente come donatore nella comunit cel'ebrante. Egli per
e
presente_a~ai~-'come Q<;).,!lO, ptcisament non-soltanto in maniera
intenzionale, come tra gli uomini il donatore presente nel suo do-
no, ma..rea/jJgr -~ corporalter, come pu fare soltanto Cristo. Que-
sto fattQ.. ~~ acce~n~t da Scnoonei&rg, ma ..nh veii'e-coperto dai
concettLi.li ~ wruiini~f~.zio~e .e. transfinalizzazione. Essi ~ ricliiedono
quindi di essere completati da-q;eno
<Ji'traiSstanziazione, l'evento
eucaristico_deve ess~re l.e!;ftj~t,9 esau_rientem~nte. Se in una visione
nuova il significato dell'eucarestia viene colto con la formula Cri-
sto nel culto della comunit e la comunione viene descritta come
il Cristo che nel vincolo deHo Spirito si unisce alla comunit,298 una
295 Citazioni di Schoonenherg in E. ScmLLEBEECKX, op. cit., 129.
296 Cf. Herder-Korrespondenz 19 (r965) 519; E. SettILLEBEECKX, op. cit., 129 s.
m L. SMITS, Vragen vondom de Eucharistie, Roermond 1965; J. Powus, op.
cit., 189-197.
2'J8 J. PowERs, op. cit., 119, 195.
.STORIA DEI DOGMI
323

tale concezione rimane comunque al di qua della tradizione cattoli-


ca, la quale professa l'identit sostanziale dei doni con Cristo e,
oltre a ci, la presenza sacrificale del!la sua azione di offerta, di cui
nella nuova visione si parla appena.
Tenendo conto di tali tendenze, Paolo VI nell'enciclica Mysterium
fidei ( r 96 5) precis il problema e il concetto della transustanzia-
zione. Egli si oppone a che quest'ultima venga ridotta a transigni-
ficazione e ttansfuiill7:iiizione'(i: -ii):"&s--sarehbe"-puttosiO-rr fon-
damento-per llnuovo -sigllificato e per il nuovo fine degli elementi
(n. 46). I nQ;f co;-cettf vengno"'quindi~;)SfutCrome aspetti
inte~ativi. Ma a ragione stato notato che la transustanziazione
non "iappresita"solfnto'lf 'fondamento-petilr novo-sigiiliicato e
per il nuovo fine, m~ _c~1..~t.Q...fillche_il. contt:.ig_i.Q.~~3 citierive-
reb1:>~_41um~~tL~timi; il pane e il vino hanno ricevuto da Dio un
nuovo s!@ificato e. un nuovo fine. 299 Quindi, la transustanziazione,
la tta~7igcificazfone-e fa fransbnalizzazione devono essere viste in-
trecciate indissolubilmente tra di loro.

299 O. SEMMELROTH, Eucharistische Wandlung, Kevelaer I9J7, 19 ss.


SEZIONE TERZA

RIFLESSIONE SISTEMATICA

I. Contesto dogmatico e concetto complessivo dell'eucarestia

La dogmatica deve illustrare l'eucarestia sotto tutti i profili ed ela-


borarne un conc~_!_tq_ comprn~~v_Q~Q~ ..._U.LJSj_enza. Punto di par-
tenza pu essere soltanto il suo carattere di ..testam~1:1t<;>.,_~i eredit,
di istituzione del Signore, cosl come viene testimoniato dai raccon-
ti neotestamentari dell'istituzione. Ad esso corrisponde, quale atto
fondamentale dell'uomo, l'aSCQlt.Q,....___,w il ricevere e l'azione obbediente .
_ _ _ _ ....,..._ - - - - - -- --,--
Cosl nella sua spiegazione la dogmatica si vede sempre t1mandata
anche all'esecuzione del testamento e alle esperienze di fede ad es-
sa connesse. La dogmatica non pu arrestarsi a ci che pi evi-
dente, al funzionale e al fenomenale, deve invece penetrare nel pro-
fondo-clel.!l.a...sos.tan.y. Nella pratica della cosa, la Chiesa e la sua
teologia nel corso dei 'Secoli, sotto la luce dello Spirito santo, hanno
acquistato delle concezioni che non possiamo trascurare senza im-
pover.ird interiorrnenl:e-.L~ -
---~-----------~~
srrllttilra foC:arilatoriidella-cenadel Si-
gnore secondo Giovanni e i padri, la sua dimensione ecclesiale se-
condo Agostino, la visione anamnestico-storico-salvifica dei greci,
l'idea di sacrificio dell'antico canone romano, l'esame ontologico del-
la presenza reale neHa scolastica medievale, l'ottica antropologico-
personale delfa teologia pi recente in sostituzione di quella pura-
mente statico-oggettiva, sono tutti momenti che devono essere inse-
riti in unil. ... s.Lntesi dogmatica. Natu-r~Tmente -non-"EasiTtmitarsi a ri-
petere le formul~--della t~adizione. Ogni singola generazione si acco-
.
sta al sacr~mero ~~~ ~Ila determnata precomprensione, formula cer-
te domande e te~ta di d~re ddle risposte in base ;1 proprio peculia-
re contesto di vita. In tal modo entrano in gioco un momento esi-
, stenziale,Ja . storidt e 1~ C:o!ldizionate~~~. si e~~;a--in ~~ C:irC:~o er-
1 meneutico . p_c;r__ ~L iil. prnpr!_a _e.si~t.eii?~ v~en!! . ~C?IT!P.re.sa .alla.Juce. del-

l'eucarestia e l'eucarestia alla luce -~e!!_a. . p~()p_ria e_si_~~~nza. Ci per


- ,_... - - - '
e-~-~-.. ~ --
RIFLESSIONE SISTEMATICA
J2j

deve avvenir~ in -~~~~-~~-~.~_0J9gi!:amei::i!_<:Jegittj~. Norma su-


prema rimane fa volont istituente di Ges. Normative non sono le
intuizioni di un sing~f;~di~id~~:-si. chiami pure Agostino, neppure
il sentimento della vita di una singola generazione, sia pure rifor-
matrice come la nostra, e neppure le concezioni filosofiche e ideolo-
giche di un'epoca, ma piuttosto l_l!J~d~__o_filfillie_iki ~Q}L(QQf.l--!O
cora giunti a una fine), 1'a 9.l!~k_vive della Scrittura, della predica-
zione e dell'esi;~T~~~&lla- Chiesa~ - ---- - ------ - --m--
Secondo la Scrittura la ce11a__jJ_g>no totale_he ~.!!l!Ja__c:U_ ~al
Padre e agli uomini, l'eredit e quindi la presenza permanente del-
la sua p~rsona e deUa sua opera, dell'unico evento Ges Cristo. Es-
sa rappr~senta una concentraiiOne seriza8Jiitl{;gi;-aena-sa1Vezza nella
sua persona. Per questo, viceversa, la cristologia l'orizzonte -pros-
simo per la comprens~on~_dell'eucar~ti~~~comesed;-e~ po-
tessirrio--ddurr~--filrt"o~ticamente deUe chiare proposizioni eucari-
stiche, si tratta piuttosto di confil4erare l'._orig!~ali~- del_J~ento
di Ges, di tener conto _li -_~fr_~~~!l!__~_arist~11~-q~lh_ristolo
gia; ad es. -p- ~'t'p~~~- di Calcedonia non pu essere applicato au-
tomaticamente al banchetto del Signore. Comunque rimane vero che
la cristol10gia offre lo sfondo sul quale risaltano pi chiari i contor-
ni del sacramento.
a. Un primo aspetto utile la cosiddetta cristologia cosmica,1
il misterioso
-- -.
.. ..
rapporto- con
--~--- -
Cristo dell'intera realt.
................ ,..... -. --- --.:--'.-
-L'irteroproget-
to del inonct9 o!J\l'~!~ ultima anausrm-Gesu Cristo (Col. 1,15 ss.;
Eph. 1 ,1~ ecc.). Se gi i-,t_Q.g~;-~~;~-9i~Jl1-yJn~si_:v~YC::11,!.C:: ~i_.tutte
le id_e~--4~U~-~t::~!?.!!.~- .~)L l_!'!e~_i~t<>~c::.AJ. ~~a, per opera del quale
tutto stato fatto (]o. 1 ,3 ), il Logos nsarkos il fine assoluto di
tut_~_le-~gse, ~fl__P.art~cQl~t~-.9~gl{E.~min({Cor1~ii),- -e preci~ente
come l'uomo Ges incarnato, crocifisso e glorificato alla destra di
Dio. In quanto giudice che deve ritorn11!c;: __~_1-l~ P~!U.sJa c;:g!i~_}l pun-
to fnal'e deHa. s!_()ria in!~Ja (Mc. 14,62; Mt. 25,31 ss.), in quanto ri~
sort~, prlmogenito e prototipo di tutti coloro che muoiono ( 1 Cor.
15,23), in quanto capo della vita (Act. 5,31; Hebr. 2,ro} egli atti
rer tutti a s. In Cristo tutte le cose, e a maggior ragione gli uo-

1 Cf. anche J. DE BACIOCOU, 'Prsence eucharistique', in Irnikon 33 (r959) 160,


162 ss.
BUCARE.STIA

mini, sono predestinate (Eph. 1,5.10). Poich ha voluto Cristo, Dio


ha voluto anche tutto il resto. Ora nel sacramento "deifltare viene
in .lu~-if~~~t~;;;;tti~~~~to del!l'in~er~_g~ione. Le cose ma-
teriali vengono colte da Cristo e trasformate nel suo corpo, vengo-
no elevate alla fo~;;up;~;ddla relcione -iTiiStO:clie soltanto
egli pu produrre. L'eucarestia quindi Li celebrazione de} mistero
segreto del mondo e della storia. Nell'ottica escatologica (Mc. 14,
25) Ges stesso.X~~ p~a.JD:l.l~l.I ~~-c:.J'.l.l_!ltic!e!zione_~eJ~nchetto
del regno.
b. La sua natura viene illustrata anche da altri fatti cristologici
fon_damentali. L'incarnazione la ~c~ione personale irrevo-
cabile ,di_ Dio __ad ~~o, la manifestazione di Dio in forma uma-
na, l'inserimento di un'umanit totale nella persona del Logos. Que-
sto coinvolgimento di lliQ._ talimente intenso che il Logos. diventa
il fondamento sostanziale di questa -;i~it, le conferisce Li sua so-
stanza. Il convito dl Signore per il testamento di Cristo. Per
questo i padri greci fo consideravano come una incarnazione sacra-
n;i.entale, come un'asswiE_~~~trasfo~~~<?,!ltol~ca dei d~
ni onviviali da parte del Logos, per cui e in cui questi perdono il
loro"";;;-r~--~atu-;;1;,-div~no il suo corpo e il suo sangue, che da
lui sono sostenuti ipostatica.mente. L'analogi3.___ ru__gJ!t9Jogia ed eu-
c~restia .Y~.LOhre. Il celebre inno a Cristo della Chiesa primi-
tiva riferito da Phil. 2,6-II presenta l'incarnazione come un abbas-
same_~!o_ffi._ Dio, il quale, senza perder;la- s~'.ntura~rinuncia alla
dignit divina esterna e proprio in questo modo manifesta la sua
gloria e la raggiunge definitivamente; si potrebbe quasi parlare di
un ~-~~~-~~~~.4! pio (d. Hebr. 10,5 ss.). Ora il convito 4~~__!ano
re pu essere considerato come l'abbassamento al livello del cibo -
il th~~igu-;eniide!IO- s1aius-aeffijirrr;~-0Ii'~--;;;." ~;?etto giusto.
Ma il punto pi basso della discesa di Ges non gi hncarn~ione,
ma 1'a sua morte in croce; certamente con l'u~~nit Ges assume
anche]l dover:monre, ma l'accettazione della n;~;i~-- di ~oce come
espiazion;p;-g1C~mini, con i quali egli solidarizza, fu una sua
libera azione. Ges infatti realizza il suo essere in misura piena, egli
~-il ~~~~ 1 __1_'~!~.~~-~sser~-':_~ ~E_to, di persona ed opera. Ana-
2 a. De Lugo e Franzelin, sopra pp. 313 ss.
lllPLESSIONE SISTEMATICA 327

logamente gli elementi del convito simbolessiano e rappresentano


sia il suo essere che la sua azione salvilica. Ora quest'Ultima ha il
suo s-;;;;;;;n
nel fatto che egli accetta -~inserj.megtQ.Jn..l>io, il
suo essere as8Uni:o ..aa-U10-oon.ffu~ sua sostanza e si consuma to-
talmente nella dedizione radicale al Padre e agli uomini. Egli conser-
va questo amore anche in mezzo ai tormenti della croce (Le. 23,34)
e a quelli ancora maggiori dell'abbandono di Dio (Mc. 15,34; Le.
23,46). Contro ogni appare~, questa morte non una separazio-
ne da Di~ ma up. ritorno a lui, un doloroso rimettersi aTui. Il
Padre accoglie questo sacrificio, da lui provocato, Jel Figlio suo, e
a motivo dell'eccellenza del soggetto, della vittima e dell'azione sa-
crificale, non pu rifiutarlo. Ci significa che egli risuscita il Croci-
fisso a una vita trasfigurata, non pi sottomessa all~ limitazioni spa-
zio-temporali e nella quale Ges dispone del suo corpo in una ma-
niera insospettata. Ed appunto quello ch'egli fa nella cena.

c. La morte di_Ges_ guindi non rappresenta soltant~ il. sigillo


eterno dd suo destino personalei ma anche la svolta nel destino
dell:fu1~~~-.!lffiarut. Gesr~;;;Tsoltanto una pe~n;~ata
ma anche il rappresentfil:!te di tutti gli uomini, con i quali solidariz-
za, al posto e in favore dei quali prende ~u di STa morte di ~e.
n
n tal modo-egli capostipite di una nuova umanrt,ci atUr a
s come primogenito (z Cor. 15,23) e guida della vita (Act. 5,31;
Hebr. 2,ro ), ci porta con s al Padre. Ma ci non avviene automa-
ticamente. vero che egli ha compiuto la redenzione da solo, senza
di noi. Ma la sua-applicazione a nolnOiavvleiie senza il nostro con-
senso, essa deve e vuole essere ratificata da noi. Il luogo in cui il
Glorifcatomanfsta la vaii<:lita e l'universalit escatologica della
sua opera salvifa ~JiJ. Chi~!.:....Jissa_~ l'in~~grazione .~L!';.tif.!!E in-
dividualis al Christus totalis, all'agostiniano Christus caput et c.J!.'..J!YS.
E soltant~ 'in-base a--(jieSF-cliristus-unTversalis slsvela fessenza
dell'eucarestia. Essa e la Chiesa sono co-;r intl'm~ffi~f;-t'~-T~tte;;ciate
----~----
che si costituiscono a vicenda. Non a caso concordano neHa designa-
zione ~L~S!:l!P~--~-~lsto.!;,. Questo co~cett~ ;5prim;fe~;~~;- della
Chie.a . .D~lJ1c\lD.Q!ma pi profonda, la descrive come l'unit dei
molti irte mediante Cri'StO,'Zome la manifestazione visibile del Gl~
L'
rifca to. ~~pressione~ -ViiiiOapefi--aesii.--non sohant~. in un sen-
EUCARESTIA

so metaforico-sociologico, ma in uno molto pi reale. Essa il po-


polo....~LE.~.S~L"..~ animato dalla parolii. di Cristo, segnato e
plrasmato nei sacramenti dalla sua-oper'sarvifici,"' colmato del suo
santo Spirito, e persino nutrito con il suo corpo e il suo sangue per
essere-~paginato come corpsua:-Se non i:iJtio"clingaOD., pro-
prio la cQQ.nessione -~on Kt:~~-r~stLl!__cp_~!!_~is~t:J~qrjg_ine, dal punto
di vista della storia delle idee, del th~olofil!~Q.!l~Qlino_lella Chie-
sa_~O!!l<E.5~~-~L_~~:!_O. In ogni caso H convito del Signo~~ l'at-
tuazi<:l~ ..Pi.!..!:n..!~a-~_J~ro~~~~-della Chiesa_ .9..11~~. corJK> di_Cristo.
In esso infatti Cristo prende c~!J?..02~L~egni .~!_cramentali e si con-
seg_!!~__&_~ni, al fine-dri~corf,orarseli, non so'fu. spiritualmente
ma anche in m~~9>.ora!_c::_totale, di renderli suo corpo e di
coinvolgerli cosi nel suo movimento sacrificale per elevarli al Padre.
Il sacramento deU'altare_L9!!indi .~!~.~~!l:!~~!!~A~.Lcristiano
nell'evento sacrificale Ges Cr!.t,o. Ora questo il vero contesto in
cui deve ess~~- vista l'eu~;;~tia e che non certamente rivelato
dalla semplice fenomenologia liturgica e da una mera illustrazione
dogmatica. Come si vede, il convito del Signore un'istituzione
compk51a....La direzione ...de.L!!l:1_2 __s_c:-~?--~~- ~-~~l'!_a;r!to ~g~-~he va
da Dig_ aJ!'E_omo (come pensa Lutero), per cui l'uomo sarebbe il
punto termin~k;ma anche sempre il movimento che va dall'uo-
mo a. Dio.__che_Iimane sempre il punto finale. Si tratta di un movi-
mento sacrificale~~--ncii"per-n~ii'--p~s-;iamo iniziare e portare a
compimento con le sole nostre forze, ma l'oblazione sacrificale di
Ges Ctls_t_<.>_1_ cui la Chiesa partecipa con il suo concorso, e precisa-
mente p~.r jp.s~rlc~-- .C:ff . CriS.to.. e-n.eliaforz~- .. d.~lfo"-Spfrftosanto. Per
questo uno ch~-v~gu; p~~ipare di pieno diritto all'eucarestia de-
ve sempre essere gi battezzato, deve essere gi nd corpo di Cri-
sto. Qui la Chies,~.. vi~~J!__~~<:_e:5-ser~.. C:P.~-~qi:p~uti_9isto. Perci
i doni conviviali ~e:L.P.~~- e:. cf_elyin.o. non .S9P.Q_~q_ltfil1JQ dei simboli
sacram;ntaJi . ~<:l~w~u!os.arjfi_jp gJ_i:isg>, ma an1!_s~m_ll!~_je1'Ja
Chiesa stessa. Quindi la partecipazione della Chiesa al sacrificio del-
1~-~-fl!~_ f?rm_~l!l~n ~-qua~!Jormal~~~~=-d~ sacrificio del-
la messa. 3 L'eucarestia l'integrazione, essa pure sacrificale, della
~- -
3 M. SCHMAUS, Katholiscbe Dogmatik 1v/r, Miinchen 61964, 416 s. (tra. it.
Dogmatica cattolica, Marietti, Torino); Io., Der Glaube der Kirche 11, Miinchen
1970, 368.
RIFLESSIONE SISTEMATICA

Chiesa nel sacrificio di Cristo; la Chiesa non soltanto effetto del-


1'eucaresti~1l:10 pres}:!_EeOS!9__ i.11-.9.~~-i!!O -~-fraoorafr[ci:. 'Nessu-
no ha visto cosl chiaramente e ribadito energicamente questo punto
quanto Agostino. Nel Sermo 272 egli afferma: Se siete corpo e
membra di Cristo, il. vostro ~i~_!ero_ (m,J'.Sf.erllim)_~_y~ne_ P.~o
Sl,lll'altare: voi ri~.!L~,2Stro mistero. Voi dite 'amen' a___9);!ello
che siete. - ------ -----------~ .. ------
La cena il testamento sacrificale di Cristo al fine di ricondurre
il mond~-~l.. Padre. Ges stesso, con la sua persona e la sua opera,
il . cPJ.!.t~l!11to. Egli non roltant ilrondtoreSiOric~- ma-~i!,che l'au-
tore_~~~~t~--~--<:>B!?i!l.!.to, in quant~~g:~~l5~t<:>... ?~.-~ _E?tere
di disporne. La Chiesa pu agire soltanto in virt sua e nel suo no-
me. Egli. rimane presente tra i suoi come autore e contenuto del
suo testa~;~to, '"rome~;gg~tood~r;~rifl~i; ~ -~~n;~--;itima.-Di con-
a
seguenza il ~;;'Ctic)-<lCpres;~.z; -adat'to. svolgere rfuwra ricchez-
za di ----<--........,,.
realt del sacramento.
..
~~-...-
Non si deve inoltre.. tr~srurre il suo
approfondimento personalistico che caratterizza la teologia pi re-
cente. ~r~~~ neL~~n~>~!,l~~el_!t:~~e-~on... ~~~i.fica .1:1!1......E1ero
essere p~~._e;Q~SJ:9<:~.~~ . ~!! 1111_m:_qt~~Q~F_si. t1e.r.f.9_f@J.1..1'Q .~- an_e.,!Kler!o,
cio C!,I~~Qcl.!rlo _e.....~.D~_!~ come in Eph. 5,29 viene detto di Cristo
nei confronti della Chiesa. Il concetto implica due aspetti: la premi-
nente. attiyj!!.._P.9!!!~1! ..4!, Q-j~~Q_~J!! ..S.1:1.~ ~~~~tt_~i~i,~e_d~ .P..ar.t.~-della
Chiesa, per cui si realizza u_n~ !e~r-~! S.~?_n~c11_zk>ne. La presenza
di Cristo rife;icarestia si pu articolare in tre aspetti:
I. la presenza o~~~nte persona!~ e pneumatica (presenza attuale)
del Cristo glorioso come prhtcip~tis. . ;;gens nell'azione sacramentale
(la principale presenza attuale);
2. la presenza anamnestica della sua opera di salvezza compiuta
un tempo (p~esen~a . attuare anamnesia, memoria1~J; ... ' .. ' -
3. la presenza sostanziale della persona fisica di Cristo sotto le
specie del pane e del vino, che nella teologia aella scuola viene de-
finita se;pli;e;;;ente"pre~enza real~.
Per quanto concerne la spiegazione concettuale si noti ancora:
tutt'e tre i modi di presenza sono pneumatici e reali, non ioltanto
pensati. Merifre per ta uadiziri.e scor:istica designava come presen-
z'real~H modo menzionato al terzo posto come fisico, ora gli au-
tori parl~Ii()''di presenza reale 'r"iferendosl. alla presenza attual'e men-
EUCAl.ESTIA

zionata al numero 1. Questo modo linguistico non. in s impossi


bile, in quanto queMa presenza attuale reale. Il modo linguistico
per, se vuole evitare il sospetto di un'interpretazione tendenziosa,
non pu nascondere fa differenza tra i modi di presenza ma dovreb-
be metterla in luce. Poich la presenza fisica di Cristo sotto le spe-
cie costituisce il proprium dell'eucarestia, possiamo con la tradizio-
ne considerarla come .la presenza reale.

2. La pr.incipale presenza attuale i Cristo

Che lo stesso Cristo glorioso sia presente e operante neN'eucarestia


quale principalis agens rappresenta l'antichissima convinzione dei
secoli, che nell'epoca moderna stata messa in ombra, ma della qua-
le ha ripreso sempre pi coscienza la teologia dei misteri.4 Essa ha
il suo valido fondamento nella Scrittura, nella tradizione e nel ma-
gistero.

a. Scrittura

Il Ges terreno siede a tavola con i suoi discepoli, ma anche con i


peccatori e i pubblicani, si att~i~,.4!..l.~~anditore di convito
climoillaiid.Ci.~fI'aci:OiJiscendenza di Dio verso gli smarriti. An-
che il regno co;piut~-<liDio:-I'uuazione-toiaTedlfa volont di
Dio, da lui annunciato con }'immagine del banchetto escatologico
re
che Dio imbandisclMf:-8-,Jl;-22, I I 4 "Del-quiiteservelo Stesso
Signore (Le. l2,37). Nella sua ultima cena egli annuncia, nell'ottica
cosiddetta escatologica, il non-pi del mangiare e bere, ma insieme
anche un compimento (Le. -ii,rlGsrequllidfWi bere-di-nuovo
(MC.-!4;2_:;f n1la--basilia. Se ora a questa promessa f;;-Ic:(;;",79 s.)
vengono aggiunti, e in Mc. (14,22 ss.) vengono fatti precedere, i lo-
gia eucaristici deH'istituzione, tale connessione a suo modo ci fa ca-
pire de -'I'ucarStia rappresenta un'anticipazione del convito esca-
tologiCQ_,_)n ~-i Ges~ funge da ospitante. If'miigfare-e -u-nere
del
risorto con i suoi (Le~ 24,j~.41; Jo."21,9-14) non pu certamente
4 Oggi, a volte, essa con l'etichetta presenza reale viene presentata come un nuo-
vo modo di vedere l'eucarestia.
RIFLESSIONE SISTEMATICA 331

essere ritenuto un'azione eucaristica, comunque esso mette in luce


il fatto che il Gl'Orifcato continua la sua comunione conviviale con
i suoi. Paolo testimonia la p.reser;~~permrtedCCriStonT.bandet
to 4el Signore in quanto lo proc!~a la piet_!~_ pneum~tica che ii
alla generazione dell'eso.@_Qistribuiva la ~y~da spirituale (r Cor.
10,4). E che Cristo continui ancora oggi a fare ci risul'ta dal pas-
saggio s~~--salda.~re -~al banchetto dell'istituzion.e, compiuto da
Ges a Gerusalemme, alla celebrazione di Corinto (r Cor. u,26).
Coloro che vi partecipano iQ.I Cor...!?i.;~:.~~-yeng'?,!!?_presentati .co-
me partecipi dell'altare, in quanto prendono parte alla tavola
del Sigt!ore cfe oome un banchetto presieduto dal Kyrios. 5 Il Ge-
s giov;~~~~--rib~disc~cl;e.. H~pane del cifopWvleii soltanto
da Dio (]o. 6,32 s.), che egli stesso dar un cibo per la vita eterna
( 6,27 .5 I), il quale per sar reso posS'lff-soltanto" dlla sua glori-
ficazione (6,62). In Apoc. 3,20 Ges attende di mettersi a cena con
gli uomini. La presenza attiva cli Cristo nel cul>to ( e8senzia!iitnte eu
caristico fdclia.C'llie'Sa" , in ultim~-anahS-Cxmtenuta nell'idea del
sommo sacerdote Ges, quale viene proclamata dalla lettera agli
ebrei. Essenza e compito del sacerdote di offrire dei sacrifici a
Dio (Hebr. 5,3). Proprio a tal fine il Figlio di Dio si fatto prepa-
rare un corpo da offrire come vittima a Dio (rn,5-10). Egli infatti ha
anche cmpiuto 'iina--~olta~t-;ti:-;;--ifsa;;.ificio di s (7,27; 9,r4),
con H proprio sangue penetrato nel santuario celeste (9,12) e vi
rimane sacerdote in eterno ( 7.3 .24) per intercedere continuamente
come nostro mediatore (7,25; 9,24; 12,24) di modo che tutti gli
altri sacrifici hanno perduto il loro valore (rn,9-14); il sacrificio di
Ges ha invece assunto validit e forma eterne. Cosl l'autore di Hebr.
ha delineato lo sfondo dogmatico del culto cristiano.

b. Tradizione
La Chiesa antica sviluppa la fede nella presenza attuale eucaristica
cli Ges s.otto. -ch!~-E~<;>~: in lui essa vede il larg!!9r~--~}~ond.atore
del suo convito __S@CJ@l,_~tii.!~. e AL so~mo sacerdote del suo sacri-

5 In generale ha importanza il titolo 'Kyrios' in quanto riflette una posizione cul-


tuale di Ges. In quanto Kyrios Ges viene invocato (Rom. 10, I2 s.; I Cor. 1,2;
16,22) e produce i carismi cultuali (d. I Cor. I2A s.; Eph. 4,II s.; Act. 19,5 s.), com-
preso il ringraziamento (Eph. 5,20; Col. 3,17).
l!UCARESrIA

ficio. 6 Per la prima idea essa trovava una prova scritturale in Prov.
9,1-5.1 Anche Ireneo fa testimonia quando dichiara che Ges pro-
clam il calice suo sangue, con il quale i.Debrier il nostro sangue, e
assicur che il pane il suo corpo, con i l quale fortilica i nostri
corpi.8 La presenza attuale diventer poi una delle idee predilette
degli alessandrini. In quanto per essi il vero contenuto dei doni con-
viviili il LOgos, quale loro largitore non pu entrare in questione
che quest'ultimo. Clemente entusiasta lo annuncia come il nostro
nutritore, che ci presenta la sua carne e il suo sangue, se stesso,
comenutrimento-adeguato e come bevand~-di immortalit.9 Secondo
Origene Ges esercita sempre la sua attivit come all'ultima cena,
quindi anche -per-coloro Che la celebrano att;;almente~ 10 Con partico-
lare calore, Teofilo di Alessandria espone la nostra idea: Cristo og-
gi ci ospita, oggi Cristo ci serve, Cristo, l'amico degli uomini, ci
offre il riposo ... Jl re della gloria si lascia pregare, il Figlio di Dio
d rj.cevimento 1 il Dio-Logos divenuto carne ci incoraggia ad an-
darvi.11 Energicamente come nessun altro, Gi~vanni Ctrsostomo ad
Antiochia ribadisce la presenza attuale di Cristo nella cena, che per
lui diventa l'incontro personale del cristiano con il Cristo quale
imbanditore del convito. n banchetto eucaristico ha lo stesso valore
del convito di istituzione compiuto un tempo da Ges, infatti nei
due casi lo stesso Ges consacra e porge la stessa vittima, appagan-
do cosl il mutuo desiderio. 13 Citiamo ancora un testo: Cristo
presen.t~_fill.fh~-~~a_:__ Q?h11_h~_~a volta servi a tavola, vi serve an-
che_ora. Non_~__}nfatti un uom~- a_~:.~lclie--i-oflerte divengano il
corpo e il sangue di Ges, ma lo stesso Crist~ crocifisso per noi.
--------------------..:--------
6 Per le testimonianze preefesine dei padri greci cl. J. BETZ, Eucharistie, cit., r/r,
86-139.
7 I testimoni sono ad es. Cipriano, Atanasio, Diimo, Teofilo e Cirillo di Ales-
sandria (PG 73,588), Basilio, Macario di Magnesia.
8 Adv. haer. V 2,2: S. Cbr. 1,53, 32.
9 Paed. I 6A2,3: GCS I II5,20-24; Potrept. xn 120,3; GCS I 85,4 s.
IO In Mt. comm. ser. 86: GCS xr 198,22 ss. Altrove (GCS XI 99,17-21) Origene
afferma: Ma colui che prende il calice e dice: 'Bevetene tutti', non si allontana da
noi quando beviamo, ma beve anche lui con noi (in quanto presente nel singolo);
noi cio non possiamo mangiare di quel pane e bere del frutto della vera vite da
soli e senza di lui.
n Ps ...C1RILLO, Hom. zo in coen. myst: PG 77,1017 A.
12 a. tra l'altro In Mt. hom. 50,3: PG 58,507; In Mt. hom 82,5: PG 58,744;
In 2 Tim. bom. 2.4; PG 62,6I2. Altri testi in J. BETz, Eucharistie, cit., 1/1, pp. 102 ss.
RIFLESSIONE SISTEMATICA 333

C' un sacerdote ad attuarne la figura esterna e a pronunciare le pa-


role di un tempo. Ma 1'a forza e la grazia provengono da Dio. Egli
dice 'Questo il mio corpo'. La parola trasforma i doni.13 Signi-
ficativa la visione personalistica che emerge da questa concezione.
La presenza attiva di Cristo nella cena trova espressione anche
nel fatto che egli viene creduto come il sommo sacerdote della cele-
brazione sacramentale dell'a chiesa e proclamato tale nella conclusione
genera;ddle preghiere. Clemente Romano definisce Ges il Sommo
sacerdote delle nostre offerte (cap. 36). Secondo Ignazio di Antio-
chia Ges, in uanto sommo sacerdote, la porta che conduce al
Padre, attraverso la guale passa a resa il. 9,1), e vescovo
1

terr~o immagine e rappresentant~ del vescovo invisibile Cristo


(Magn. 3 1 2; Eph. 6 1 1). Su terreno fecondo cadde l'idea ad Ales-
sandria, in cui B,~,_!:ilone aveva -proclamato il Logos vero__~mmo sa-
cerdote. I teologi cristiani assumono la formula itpx~pEc; Myoc; e
considerano Ges come il mediatore ddle preghiere umane a Dio e
dei doni che Dio ci fa. Ma in seguito Aria, richiamandosi a Hebr.
3,2 (Dio lo ha costituito sommo sacerdote), sfrutter questa con-
cezione pe~ la sua dottrina della ~!~azione ddLogos, mentre i suoi
seguaci citano anche l'antica formula di preghiera per Cristo. La
difesa cristiana segul due vie. Nella liturgia d'Oriente si mut l'an-
tica conclusione della preghiera in una forma coordinata secondo
lta quale ci si rivolgeva al Padre e al Figlio e allo Spirito, e non pi
come prima mediante il Figlio nello Spirito. Nella teologia invece si
riflett sulla Scrittura e si ravvis nell'umanit di Ges H suo som-
mo sacerdozio, come confermava l'Efesino (DS 261). Sommo sacer-
dote quincU ...LiLLogos in virt ~JYI" ~~ la cui decisione
nella morte .. e nella risurrezione ~sti~!~~-~ -~~~-attivit _di s00uno
sacerdote. ~~~tivit -~a Gio~.!!!!Lrisostomo viene r~dotta al-
l'opera salvifica del Ges_ terreno; ~u._:sto ~~C:..-~~!._ribuisce al Glo-
rificato, che siede alla destra di Dio, una rinnovata attivit-Y-Non-
dimeno egli riinane sommosacetdotesecond<i" l,.~i~~ in quanto
noi ora compiamo il suo sacrificio di un tempo come memoria/5
nella quale il sacerdote funge da sua immagine. La presenza e l'at-

13 Hom. de prod. Judae r,6: PG 49,380.


14 In Hebr. hom. 13,3: PG 63,107.
IS 111 Hebr. hom. 17,3: PG 63,13i.
EUCAl!RSTIA
334

tivit del Glorificato sono quindi mediate e relative. Anche Teodo-


ro di Mopsuestia pensa in questa direzione. Secondo lui Cristo il
sommo sacerdote celeste, ma lo diventato in virt della sua morte
e della sua risurrezione.16 In cielo egli non esercita una nuova atti-
vit intercessoria, ma attira a s gli uomini con l'aiuto dello Spi-
rito santo mediante i sacramenti, che significano e rappresentano la
realt Cristo (Cat. I2,2). Nell'eucarestia il sacerdote, che a sua
volta immagine del sommo sacerdote celeste, riproduce il cammino
del sommo sacerdote Ges." Poich la presenza di Cristo una pre-
senza mediata dalla Chiesa, viene in primo piano lo Spirito santo
quale vincolo di unione tra Cristo e la Chiesa. Egli infatti compie
anche la consacrazione, 18 Cosi la crisi ariana ha indotto a riflettere
sul carattere di mediazione - il che non significa inautenticit -
della presenza di Cristo.

c. Magi5tero

Anche il magistero ecclesiastico testimonia la principale presenza at-


tuale di Cristo. U rapporto tra la croce e il sacrificio della messa
viene.._qescritto cos dal Tridentino: < una e medesima la vittima,
uno e m-;d;;j~~ coi~C~h~ ~;;sacrifica attr~v~-;-i~i~i;-t~-;~dei sa-
cerdoti e un tempo sacrific se stesso sulla croce (ns 1743). La
Chiesa CQ!!J.ungl_!~__(>~~~-~~--iE~C.-~!_~!~~~!~_nell_!_~~a lipn-gia la pre-
senza efficace del suo Signore; e lo fa non soltanto rivolgendo a Dio
le s;~-preghlere-<<iiediante-Cristo quale mediatore, ma_anche con
il saluto Dominus vobiscum, che apre tutte le azioni cultuali e,
fin d;if;O'tichltr19--~~h~-T;;ucarestia. Questo saluto non esprime
. soltanto un pio desiderio, ma una promessa, la promessa e la ga-
. ---,.--------------- --- ...... ------ -
--~-
1 ranzia cne Cristo realmente in mezzo alla sua comunit. La rispo-
sta defila.roillt;.rut- ~et-cum-spir[io iuo"-iivl'come-l:risto sia pre-
sen1e: -~g!i. ~-presente mediante lo Spi_rj_toi che riempie l'intera co-
munit, ma, in q~anto carisn:"la dei ministe~, in modo particolare

16 Cat.15,15 s.: ST 14,5,.487-489.


11 Cat.15,21: ST 145,497-499.
1s Cat.15,10-12: ST 145,475-481; 16,II: ST 145,551-553.
19 Cosl gi nella Eucharistia di Ippolito, d. HANGGr-PAHL, Prex eucharistica, Fri-
bourg 968, 80.
RIFLESSIONI! SISTEMATICA
335

il sacerdote. Soltanto in virt dello Spirito i cristiani possono par


tecipare @J_d~Q. <;he Crist~ fa di s al Padre, Soltanto in virt dello
Spirito diviene po~ileCIOCF.iePio i1-=-accogTeiio un postulato
della teologia dei misteri - afE~iukL~~~!~!-.Et"!les~ns_!!_~~_tua
enciclica _~~iator Dei: Ipse est, qui per Ecclesiam baptizat, do-
cet, i:~Ki!1 s.<:>!Ji,t, offert, .~t (ns 3806). Infii,uVaticiiho II,
nella costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium, art. 7, ha po-
sto chiaramente in luce la presenza attuale di Cristo nell'intero culto:

Per realizzare un'opera cosl grande, Cristo sempre presente nella sua
Chiesa.~. gi__~odo .fil?.C.-tle nelle. azioni li!:EF..s_i~e. presente nel sacri
fido della messa -~!u:!ella persona..dtl_f!linistro - ~~Offerti5SfUiia
volta sulla croce, offre ancora se stessc:i per il ministero dei sacerdoti' -
sia soprattutto sott_J~_ speJ~.~ca~!~~~~J?.r~~!!~..fQl!J~ -~'!a virt
nei sacramenti, di modo che quando uno battezza Cristo stesso Che Diit-
tezza. prelifJ!!~_riellit~~la, giacch lui che parla quando nella
Chiesa si legge la sacra Scrittura. presente infine quando la Chiesa pre-
ga e loda, lui che ha promesso: 'Dove sono due o tre riuniti nel mio no-
'mezzoa
mc,--i--sono:- in loro'.
In quest'opera cosl grande, con la quale viene resa a Dio una gloria per-
fetta e gli _QQl)lUP .,,~IJ.EQQQ__S_!!!!_!!!_c~fi!.!Q_~~~9_~ _sempre a s la Chie-
sa, sua sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per"mezzo Cli1ui
rende il culto all'eterno Padre.
Giustamente perci la liturgia ritenuta come l'eS<;Idzio del sacerdozio
di Gc:s Cristo; in essa, per mezzo di segni senSibili, vTeiie-s1g.ificat e,
in modo -~a essi proprio, realizzata la santificazione dell'uomo, e viene
esercitato dal corpo mistico di Ges Cristo, cio dal capo e dalle sue
membra, il culto pubblico integrale.
Perci ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e
del suo corpo, che la Chiesa, azione sacra per eccellenza, e nessun'altra
azione dalla Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia la
efficacia.

d. Illustrazioni sistematiche

La presenza attuale di Cristo non connota soltanto l'origine storica,


ma quella._.Eermanente,. dellji. _n~tr~ salvezza in Q:!~to. Qpstl .. pre-
sente in ogni azione .d(!lla Chie_sa, specialm_~nte.Jn _quella sa~.!.amen
!-!!l'e. E ci l'eucarestia lo ha in com1:1Qe con glj alm.. Jacramenti. Essa
p~r ha ~~-die qualcosa di'propri~: in ~ssa l'autosacrificio di Cristo
diviene presente insieme alla vittima in una maniera pure essa sa-
EUCARESTIA

cri.6.cale (questo punto dovr essere esaminato pi a fondo). Cristo


diviene presente pme soggetto del sacrificio, quindi come gran sa-
cerdote sacrificatore, ma anche come vit~a, ~ome <rwa: OL~6.l!:;vov.
Egli per non compie un nuovo sacrificio. Duru
Scoto ha posto il
problema se nella messa il Cristo glorioso stess,o compia un nuovo
aU.Q. di offe!~ _tl,J?adr.e.,_~~ion~ .ri,.spondt;_Q~ati\!filllente.~ Infatti
una....tak tesi eliminerebbe l':qi&.1tcd; della croce, ridurrebbe la messa
da un'a~~;,,n~;j_r ;d.~~~ n~o~-;;-;-~soluta azione sacrificale di Ges
os~~ranoocosl II"Sc:i:Uicfo della croce. lrcrealt ques?ufiiffioCosti-
tuisce la svolta assoluta decisiva del destino, il passaggio fondamen-
tak'd;irappresentante dell'umanit dif'abbandono di Dio alla co-
munione con lui. In cielo quindi Ges non si sacrifica con un nuovo
a.u.9 al Padre; invece rr--suo.attosarificale de} Golgotha ha acqui-
sta~? una form~ __:ter~~_!- s1 )Jllpresso_ sull'inter?~essere. E ogni
ulteriore salvezza consiste nell'integrazione degli uomini in quest'u-
nic~q,1.._1~ ~ Eersona salvifica. Ed quanto avviene appunto nel ban-
chetto del Sig~~~-e:se- quindi si parlato di un'oblatio del Signore
glorioso nella messa, non la si deve intendere come un nuovo atto,
ma soltanto come la perennit dell'azione sacrificale compiuta una
..JZOha. 21 ---------- - - - - - - - -

L'integrazione nell'evento sacrificale Ges Cristo viene realizzata


fondamentalmente nella fede (che, in quanto dedizione a Dio, essa
stessa--di -natur;-;acrificale), dal punto di vista ontologico-sacramen-
tale opera nell'uomo al momento del battesimo, che incorpora in
cristo e, con il char~~te;-indelebilis, stabllsc-lla""reTaZIOOe inestin-
guibile dell'uomo con Cristo, attuata dal punto di vista etico dal
sacrificio dtll!!...vita dei cristiani (Rom. 12,r), e nella forma pi in-
tensa__dall' eucar~~t:-;,--~he'-=- rome 'vearemo-ineglio-=-e-0n.1empora-
neamem~--i~'"d.~~-cose: H sacrificio attualizzato di Cristo e il sacrifi-
ci~--~~IiZzanie Cfr cristiani. Cristo ci mette in mano il suo sacri-
ficio affinch vi collaboriamo. Noi quindi, ontologicamente mediante
il battesimo e attivamente mediante l'eucarestia, diventiamo dei sa-
cerdoti. -s-econdo i-Prr. 2, 5:9T ci:istianl"sono-iiii sacerdOzi<i saiifo e

20 Quaest. quodlib. xx 22.24: V1vs 26,312 s


21In questo senso R. GARRIGOU-LAGRANGE, 'An Christus non solum virtualiter sed
actualitcr olferat missas', in: Angelicum r9 (1942) 105-u8, qui 1 r4 ss; I.A. DE ADAL
MA, Sacrae 1'heol. Siimma Iv, 316.
RIFLESSIONE SISTEMATICA
337

regale abilitato ad offrire a Dio un sacrificio spirituale. In virt del


comune sacerdozio tutti i credenti sacrificano nella messa. L'intera
Chiesa, rappresentata neUa comunit cultuale locale, sacrifica, tutti i
battezzati prendono parte al sacrificio, e specialmente i presenti sa-
crificano assieme al sacerdote, che li rappresenta non soltanto in virt
di una delegazione dal basso, ma come rappresentante di Cristo,
capo della comunit. Gli elementi del pane e del vino offerti sono
segno anche del sacrificio deHa Chiesa.
Ma che la vittima della Chie11.~_..$_Lklentifichi con la vittima Ges,
che essa venga trasformata nel corpo e nel sangue di Ges, non
cosa che possa essere prodotta a discrezione dei fedelisattilianti;
per fare- cr necSS'aria una particolare abilitazione, che soltanto
l'ordine conferisce. Il Lateranense IV del 1215, contro i valdesi e
i fraticelli, che attribuivano ad ogni buon cristiano il potere di con-
sacrare, definisce come dogma che soltanto il sacerdote vahdamen-
te consacratopuocompieieqtrestos.cramento;>-(Ds 8o2)~Tcollt:ro
i Riformatori, che ritenevano soltanto il sacerdozio comune di tutti
i battezzati, ma non quello mi~;terial~iCTrld~~d-;;-~-~
che Cristo, cii!e-parole 7 Fat~ ~ in memoria di me', ba or-
dinato gli apostoli sacerdoti e ha stabilito--he -ITsariiCiOOeF suo
corpo e del su-o-sange venisse compiuto da essi>~(ns' 1752;"d:-n-
che 1740). Si ammetter ili_e_,.,...yp'esegesi puramente .filologica non
pu ricavare l'istituzione del sacerdozio dall'ordine dCripctere' la
eucarestfa..'Aronfatto con- rl santo sacramento IaCliiesa:-onbSua
i~t~~i~ine profonda, ha riconosciuto che il potere di consacrare
espresso nell'ordine dell'istituzione suivale a una specie di potere
di disporre -d~f~~rp;;--d.i Cristo. M;-~~ tale pot~~pr~ppone uno
speciale rapp;rto con-CnsiO e una particolare abilitazione, insom-
ma una speciale impronta di Cristo. Tutto ci viene conferito dal-
l'ordine. Esso fa sl. che l'ordinato possa fungere in persona (forma,
nomine) Christi e renJeriie pisen1eiF-.Corpo.2rE-Hili"dmente cor-
risponde ;ifid'.~~ nootesfameiilana dlofdiiie il fatto che ogni bat-
tezzato possa, senza una speciale deputazione, assumere il ruolo di
Cristo quale signore del banchetto, quale pater familias nell'assero-

22 11 potere di consacrare e di assolvere definiscono nella maniera pi profonda, ma


non esclusiva, la natura e la funzione del sacerdozio. Sul problema cf. Schreiben der
de11tschen BischOfe iiber das priesterliche Amt, Trier 1969, n. 31.
EUCARESTIA
338

bl~a eucaristica.23 Nel rapporto tra il sacerdote e il popolo si riflet-


te il rapporto tra Cristo e l'uomo, si illumina la struttura fonda-
mentale della salvezza, cio la sua origine extra nos. Cristo quindi
diviene espressamente presente nel sacerdote, come afferma chiara-
mente il Vaticano II nella costituzione liturgica Sacrosanctum Con-
cilium (art. 7). Ma la presenza del soggetto del sacrificio e del gran-
de sacerdote Cristo nel sacerdote terreno una presenza diversa da
quella della vittima Cristo nell'ostia. Quest'ultima fonda un'identi-
t ontico~reale e sostanziale, la prima soltanto un'identit dinami-
ca, relazionale e giuridica, la quale -si fonda sulla particolare rela-
zione a Cristo, radicata nel character indelebilis sacramentale, e ri-
chiede una conformazione etica a Cristo.

3. La presenza memoriale del sacrificio di Cristo:


il c(ll'at/ere sacrificale dell'eucarestia

La principale pre!!_~nza attuale del grande sacerdote. celeste Cristo


non ~imifi.s_I!_ in~i~it;--eg1T non
d-guarfa--aaToiltano:-ma median-
te lo Spirito Sl!!!~~~--1:1_(_!_~_ ~-~i-~1!! e_!n,_p~!!-s.<:il.~~~!lel ~cerdote,
dando cosl uno sviluppo alla sua opera salvifica di un tempo. In-
fatti in ques(ultima egli si_ -~--~~1!!~~~-~- ~onato in maniera totale
e radicale, ha ~~q~i~t"~to" a salvezza una ~olta-per.. tiiiiC,lia com-
1

piuto un'azione valida per tutta l'eternit. Perci il tempo rucces-


sivo non pu essere altro che uno svolgimento dell'unica azione
salvifi~;,-rispettivam~nt~-fi~-;~~~nto-~gl uomnCm essa:-Ura la
Scrittura, quando vuole indicare con un unico termine la peculia-
dt e 1'a ricchezza dell'azione redentrice di Ges, parla di essa come
di un sacrificio.

D La citata lettera dei vescovi tedeschi giustifica l'ordine soprattutto affermando che
la presid~!_ .~e!!~ -~a costituisce il vertice della missione del ministro promanante
da CiiStO che l'attualfazwoiie algesff-dclta cena- 1a rappre-senrazile pi fiiiensa
Qltristo (n. 47). Se l'ordinazione nelle Chiese della Riforma adempia le condizioni
dellSccessione apostolica, prootema-nonanora rTsOli. Cf:~ 'Zur
Disktis~ionunfCfiC-Bcdl!tlt'llng-cles ~-dm-VoH~iijf"der Eucharistie', in: Catho-
lica 26 (l972) 86-107; J. HAMER, 'Die ekklesiologische Terminologie des Vaticanums
11 und die protestantischen .11.mter', ibid., r46-r53; W. AVERBECK, 'Gegenseitige Aner-
kennung des Amtes?', ibid., 172-191; W. BEINERT, 'Amt und Eucharistiegemeinschaft',
ibid., 154-171.
RIFLESSIONE SISTEMATICA
3.39

a. Note introduttive al concetto di sacrificio

Una breve riflessione su questo concetto pu essere qui di qualche


utilit. In maniera generalissima, il sacrificio l rinuncia (non lo
scambio) di un bene in vist_a_di-~n valore su_periore, soprattutto cli
una persona. Esso qi.Ildi si fonda ~~tt;-~d~a dell'~omo e si
realiz_za in molti modi (ad es. ne1'la vita della madre, nell'impegno
del s~.daoo-ecc.):n suo ruolo particolare viene svolto nella reli-
gione. Qui esso pu esser~.~nc(ifro. . . conAg~tino24-~~~i~-J;;li.
zione fondam~.ntak _dell'uomo al mistero assoluto, che chiamiamo
Dio, co~~- F~~pirazione a ~iun~:~~ ~~ione "Zon Dio e qu~
di ad uscire 4.~~a.. A.i.~1'.C:!E_io~~~-dall'insi~~-?~ll~~~!~nza. Ma
il sacrificio in senso pieno la personificazione, la manifestazio-
ne di questa dedizione in un'azi~~~-oill--Wi'esperfenavissuta. La
. . . . . . . . . . . . _. . . . . . ._--------rr . -----..-----. - ------
forma suprema costituita d41 'immoiazione martiriale della vita
nel riconoscimento della sovranit assoluta di Dio. La forma nor-
male della dedizione a Dio il s~!:ificio cultaleil'!. ..tt~g!~.!Q!l~~ of-
ferta di .. ~- dono;- che.5taf-p~;to dell'orante e deve testimoniare it
suo atteggiamento. Per la y~~--~eligjpn~_guesta offerta il ritorno
all' ori~_?i u-1?:~~ ricevuto, essa quindi_~~~~ caratter~-~)Ingra
ziamento, come viceversa-Il ringraziamento in quanto derivazione di
un bene dall'origine porta dei tratti sacrificali.25 Il sacrificio vive del-
l'attesa che Dio accetti H dono e conceda la sua comunione,-sa che la
doni i;; ffi;;.f;i~ii.'Fi70;3'(;~~ifi~i~ <li-~piazi~~~-,- oppi.ire1-<:onfermi
e consolidi (sacrificio di lode e di ringraziamento). Quindi il senso
fondamentale del sacrificio in primo luogo la traslazione in Dio di
un dono, ma in fondo la traslazione dello stesso orante. Per questo
il dono viene sottratto. alfa disponibilit dell'uomo, viene distt].!,ttO
(ucciso, bruda1:o, immerso; vrsaiOf-ra--aisl:rui~ne in qu~~to tale
non la cosa principale, ma soltanto un mezzo per raggiungere il fi-
ne, eh.~ consiste nel conseguimento della comunione. Alla comunio-
ne serve- in m<Xlo parco1ar. TI"ciivifo sacrifica1, nel quale l'uomo

24 Civ. Dei xo,6: CSEL 40/I,454: Verum sacrificium est ornne opus, quod agitur,
ut sancta socictate inhaereamus Deo.
25 Cf. sopra pp. 259 s.
340 EUCARESTIA

si ciba della vittima donata a Dio e a lui appartenente, per radicare


cos nuovamente la sua vita nell'origine. 26
Il concetto di sacrificio sufficientemente vasto per comprendere
l'if':tera~ra salvifica di Ges. Il sacrificio di Ges raggiunge il suo
punto culminante nell'atto della croce. Ma l'autore della lettera agli
Ebrei ( <;5-i"ofe (Govii.nrir3~1-0;12,27) concepiscono gi l'incar-
nazione come avviamento al sacrificio. Specialmente 1a resurrezione,
in quanto momento interiore dell'atto della croce, ne costituisce la
conferma e l'accreditamento da parte di Dio. Naturalmente l'accento
principale neL~tto di sacrificio posto suUa morte. Il NT in
Ges lo caratterizza sia come totaTe dedizione martii:iale che come
sacrificio cultuale. Nel primo senso si esprim~l rac~nto dell'istitu-
zione della pi antica tradizione paolino-lucana; il logion del pane
e, in questo contesto, anche la menzione del versamento del sangue
riproducono l'accento martiriale di Is. 53. La formula martiriale
dell'a dedizione, rispettivamente dell'autodedizione di Ges si
trO'll!_Jlllche.J~_altri testi del NT 'Zl e descrive in maniera compren-
siva l'i!Iltera attivit -siiJV11iCii<li-ces. Nel secondo senso la sua
morte .ri~~-.f?1?.2!:_esentata alla maniera di un sacrificio cultuale. Co-
sl il logion marcia:n~-del "allc-eon~TOrmu1a-aer sangue del ca-
lice~alogia di Ex. 24,8, la presenta come il grande sacrificio
cultuale cos;fco~--~- lmpITciamerite presnfa Ges1Cfome -11 gran sa-
cerdote del mo11do. Funzione parimenti sacrificale-cuhuale hanno i
gruppi di concetti 1tM)ta., ?lvaia, 7tpoa-q>opci.28 Ma in primo piano non
sta il modo tecnico di esecuzione del sacrificio, la divisione del cor-
po e-~~~ __ do: delle parti del sacrificio, bensl l'essenziale of-
ferta a Dio; quanto me~lu~e--soprailiittc5 l'espressione com-
plessiva offrire se stesso (Hebr. 9,14.25 ).
Il suo sacrificio inesauribile, compiuto una volta per tutte, Ges
lo ha lasciato ai suoi come testamento nella forma di_ un banchetto.
Ora significativo a priori che quanto pi il banchetto si presenta
come essenzial'e anamnesis del sacrificio di Ges tanto pi esso cor-

16 Su ci cf. V. WARNACH, 'Vom Wesen dcs kultisehcn Opfers', in: B. NEUNllEUSER,

Opfer Christi und Opfer der Kirche, Diisseldorf 1960, 29-74.


27 Mc. ro,45; Jo. 3,16; Gal. 1,4; 2,20; Eph. 5,2.25; r Tim. 2,6; Tit. 2,14.
28 mi<ry;c:t: I Cor. 5,7. 1'uafa/MEIV: I Cor. 5,7; Eph. 5,2; Hehr. 9,23.26; 10,5.8.12;
11pocrcpopci/11poC1cpipm1: Eph. 5,2; Hebr_ 5,7; (7,27); 9,14.25.28; 10,8.10.12.14.
llIFLESSIONE SISTEMATICA 341

risponde, nella sfera dell'esecuzione, al sacrificio di Ges, prende


dei tratti sacrificali, un sacrificio conviviale. E in realt ne risulta
- in seguito ne addurremo nei particolari la prova dogmatica -
che l'eucarestia non soltanto rende presente il sacrificio di Cristo, ma
anche, nell'atto simbolico, un'offerta sacrificale-cultuale. Si hanno
cosl i seguenti passaggi che costituiscono il carattere sacrificale della
messa:
I. l'eucarestia come sacrificio attualizzato di Cristo o come pre-
senza attuale memoriale di quest'ultimo;
2. l'eucarestia come atto anamnestico-sacrificale della Chiesa o co-
me sacrificio attualizzante delfa Chiesa;
3. il rapporto tra i due aspetti, che non pu essere caratterizzato
come accostamento n come successione, ma come presenza dell'uno
in e con l'altro. Gi qui possiamo formulare sinteticamente: la mes-
sa la stessa presenza attuale sacrificale del sacrificio di Cristo.

b. L'eucarestia come sacrificio attualizzato di Cristo

Che l'eucarestia sia la prese~emorial~_del s-~~~~~? di Cri-


sto rappresenta l'affermazione fondamentale di ogni dottrinadlla
messa. In tal senso si pronunciano la Scrittura, la tradizione e il ma-
gistero ecclesiastico.
aa. Scrittura. Nell'ultima cena Ges annuncia la sua morte, sia come
dedizione martiriale che come dedizione sacrificale-cultuale. E la sim-
boleggia ~itresl con l'azione conviviale. Se la Berakha, in quanto de-
rivazione d~i"dclitl da DTen quanto loror!condllZIOne a ni;,-ha
gi sempre in qualche modo dei tratti sacrificali, -amaggior-r~giooe
essi sono presenti in questo caso, in cui Ges mediante i doni spiega
la sua esistenza di sacrificio, il suo originare dal Padre e il suo ritor-
nare a lui. In particolare il sangue reso presente un simbolo reale
della !IlQ!'.t~jI Cor. u,25; Mc. 14,24). Ancor pi chiaramente Ges
svela il suo desti;~ mediante il suo-donarsi q"i:iafe-Cibo;--Jando..llsuo
corpo e il ~"uosangue Tiiaoo-egli renCfe-presenieTa sua morte, ma
anche la sua resurrezione, in quanto torna a disporre di s. Dandosi
in cibo egl!i simboleggia la sua morte espiatrice U1tp 1to..wv, cio al
posto e in favore dei molti, si presenta come il principio edificatore
342 EUCAllESTIA

della nostra esistenza davanti a Dio, assume i comunicandi nella sua


dedizione sacrificale al Padre. Cosl, nell'unit di parola ed azione, la
cena la presenza attuale memorialie, la rappresentazione effettiva 29
del sacrificio di Cristo e - possiamo anticipare gi qui - essa
stessa, come azione, un sacrificio. L'ordine di ripetere l'eucarestia
poi caratterizza la cena com~. a~!"!!esi!__c;__q!,!_indi come _pres_IZa at-
tual_ d~!t~~~o-CrISio .."garantisce l'uguaglian;-~nti~ di contenu-
to della celebraiine ripetitiva con il banchetto fondatore di Ges.
Secondo Paolo con il mangiare e il bere eucaristici connessa la
prod@tazione__(xa.-.a._xr~~.E'::'._)___de~~-~A..el Signore (I Cor. II,
26), che in quanto evento presente v.iene enunciata .nella parola e
desi~at:i_p.~]'82-,i.>~e. Ifparaltelismo del-;~cramento deM'altare con
i biincbetti sacrificali ...giudaici e-~~ Cor. Io,18-22 mette
in chiaro che anche il primo deve essere considerato ___o~ ban-
chetto.....urilii,e_. Ma un banchetto sacrificale presuppone la morte
della ~ttim~1J~.t~J:>J.!~sce ~J'es_E8_1:1~ Se poi la lettera agli Ebrei te-
matizza pi fortemente la morte di Ges come sacrificio cultuale del
gr~acerdote (9,rr-28), difficilmente ci avvenuto senza che si
tenesse p~~Jtiirg1a-ooncreta-:1.attare J~i--~~rifici ( 13,rn:
i)v014C7"n'JpiO'll), il cui a~so era Vletato aLmemb~~ dell'antica al-
leanza, connota~vola della cena, che a sua volta richiama anche
la croce. L'evangelo di Giovanni presenta lamoriescrificale di Ce-
~on-gi con i termini CT6.PE e __a.:~ (6,53), in quanto qui essi non
devono essere intesi in maniera cultuale-sacrificale, ma antropolro-
gicamente, bensl ricorrendo ad altre locuzioni. In quanto carne di
Ges, Che e-Jata per la vitaClf'm-onaoV. 5xc), l'eucarestia indica
la sua.-mo.t.te,...che.....:viene ricordata mediante l'assunzione della carne
e del sangue. Second~--;9~3-3-~~~-Q;~h- m~~re._comervero-agnelk>
pasquale. Il sangue uscito dal suo costato .fluisce fin nella cena e
ne indica l'origine nella morte di Ges.
bb. Tradizione. Anch'essa testimonia il banchetto del Signore qua-
le presenza attuale memoria!~ della morte sacrificale di Ges. Gi
Ignazio di Antiochia lo definisce la carne del nostro redentore, che
ha ..~erto p~r..}_nos!ri e._~cat!_c:4._~_s!ata risuscitata dalla bont del
-~>.M " -~---------- ...,..._

29 Cosl P. BRUNNER, Grundlegung des Abendmahlsgespriichs, Kassel 19.54, u ss.,


che si richiama a R. Otto.
RIFLESSIONE SISTEMATICA
343

Padre (Sm. 7,r), quindi lo considera come un'entit contrassegnata


dalla morte e resurrezione. La sua affermazione in Rom. 4,1 non
soltanto umanamente comprensibile ma anche dogmaticamente im-
portante: lo sono frumento di Dio e devo essere triturato dai den-
ti delle fiere .affinch possa diventare il pane puro di Cristo. L'imma-
gine del pane di Cristo, che viene preparato dal martirio, va letta
nella luce dell'eucarestia, alla quale va anzitutto applicata. Il rappor-
to dell'eucarestia con la morte sacrificale di Ges connotata anche
dal suo appellativo molto diffuso pascha;'!ll esso emerge chiaramen-
te nella derivazione, etimo~-Camente falsa ma aogmaticameiit elo-
quente, del termlildalgteo 1t~.3rJTVincolo intimo tra Iii mor-
te sacrificale di Ges e lia celebrazione eucaristica della chiesa fis-
sa l'idea d.Ca*1mnem-creata dallo ;ie5;J. Ges:1lini"!i1;-se l' ap-
propriata esplicitamente. Molte anafore orientali proclamano (in
maniera pi o meno lunga) il mistero di Cristo prima del racconto
dell'istituzione,?2 i prefazi occidentaJ.ti proclamano il mistero delle
singole feste. Nell'a parte riflessivo-interpretativa immediatamente
successiva la litl.!~a riflette sul suo agire, che definisce esplicitamen-
te an!zmnesis servendosi dellaTormTaquasi-ori'mpreSflte }it'ii'ij'lloi.
'ltpoaq>po~_-:::_memores offerimus - e come oggetto del pensiero
cita pt>imariamentela-morte e la- resuneZi.on~Cpa<ttf,-Clie"iiiquan
to contribuiscono alla formazione della liturgia ne sono anche gli in-
terpreti competenti, sottolineano non meno chiaramente Panamne-
sis, 34 cosi ad es. Giustino (Dial. 41), Eusebio (Dem. ev. I lo,18.25.
28.37), ma soprattutto gli antiocheni Giovanni Crisostomo e Teodo-
ro. Secondo Cipriano l'eucarestia la memoria dell'offerta sacrificale
di Cristo (Ep. 63,r4.r7), anzi direttamente offerta della passio Do-

'!li Testi in J. BETZ, Eucharistie, cit., I/I, 186 s.


li Cosl MELITONE DI SARDI, Omelia pasquale 46: S:r. Chr. 123,84; IRENEO, Adv.
haer. Iv 10,1: SCbr. 100.492 e Demonstratio 25: BKV [VEBER] Il 601); la tesi
sar ripresa da TERTUl..LIANO, Adv. ]ud. 10: CC 1,1380; IPPOLITO, Frammento: S.
Chr. 36,35.
32 Cosl soprattutto i canoni delle liturgie siriaco-occidentale-antiochena, bizantina,
ma anche siriaco-orientale. Particolarmente significative l'anafora di Ippolito, la lett.
clementina delle costituzioni apostoliche (vm 12,Jo-34), la liturgia egiziana di Basi-
io. La migliore raccolta di teui liturgici quella di A. HANGG1-I. PAHL, Prex eucba-
ristica, cit.
JJ Questa anamnesis speciale manca nelle liturgie siriaco-orientali, che per co-
noscono l'idea.
34 Cf. J. BETZ, Eucbaristie, cit., I/I, 156-196.
344 EUCARESTIA

mini,35 per Gregorio di Nazianzo partecipazione alla passione di


Cristo (or. 4,52). E se 1'a patristica definisce gli elementi saramen-
tali simboli del corpo e del sangue di Ges, questa espressione non
viene usata semplicemente in un senso ontico-statico, ma soprattutto
in un senso funzionale-evenenziale. 36 L'evento che si produce con e ne-
gli elementi simboleggia il destino di Ges. In termini agostiniani,
ci significa che l'eucarestia il sacramentum dell'evento sacrificale
Ges, di cui si deve dire: ipse offerens, ipse et oblatio. 31 Che l'anam-
nesis nella Chiesa antica venisse intesa letteralmente come presenza
attuale e non soltanto come reminiscenza storica emerge daH"unpo-
nente serie di affennazioni che, in quanto eco della liturgia, didliara
che il destino sacrificale di Ges consumatosi un tempo oggi si fa
nuovamente evento.38 Lo stesso senso ha la proposizione secondo cui
noi offriamo il sacrificio di Cristo o il Cristo sacrificato.39 In base a
tutto ci esiste un'identit sostanziale tra l'azione sacrificale di Cri-
sto e il sacrificio della Chiesa. E qui bisogna citare Giovanni Crisosto-
mo, che ha espresso nella maniera pi chiara questo stato di fatto nel
testo dd commentario alla lettera agli Ebrei, che gi conosciamo, e

35 Ep. 63,17: CSEL 3,714: ... pass1oms eius mentionem in sacrificiis omnibus
facimus, passio est enim Domini sacrificium quod offerimus.
36 Cf. J. BETz, Eucharistie, cit., 1/r, 217-242; cf. anche GAUDENZIO DI BRESCIA,
Tr. pasch., 2,u: vinum ... in figura psssionis offertur.
37 Civ. Dei 10,20: CSEL 40/1,480 s.
38 Cool TERTULLIANO, De pud. 9: CC 2,1298: Cristo viene nuovamente ucciso e
in quel convito sieder nuovamente a tavola. METODIO DI OLIMPO, Symp. 3,8: GCS
35,21 s.: Il Logos scende anche ora in mezzo a noi e si spoglia di s nella memo-
ria della sua passione ... Cristo si spoglia, si umilia e muore. TEOFILO DI ALESSAN-
DRIA, Hom. de coena myst.: PG 77,roq: Il Figlio viene sacrificato volontaria-
mente, oggi non dagli avversari di Dio, ma da se ~tesso, per manifestare la sua pas-
sione salvatrice,.. TEODORO DI MoPs., Cat. 15,20; ST 145,497: Cristo, che in cielo,
che per noi morto, risorto e salito in cielo, anche ora viene sacrificato attraverso
i simboli. Se nella fede consideriamo con i nostri occhi le azioni commemorative che
ora vengono svolte, giungiamo a vedere che egli ancora una volta muore, risorge e
sale in cielo, cose che egli un tempo ha fatto in nostro favore. AoosTINO, Ep. 98:
CSEL 34,5 30 s. Cristo non stato sacrificato una volta nella sua persona, e non
viene tuttavia sacrificato per il popolo nel sacramento ad ogni festa pasquale, anzi
ogni giorno?. GREGORIO MAGNO, Dial. 4,58: PL 77,425 CD: Colui che vive im-
mortale e incorruttibile, in questo mistero della sacra oblazione viene nuovamente
ucciso. Nella liturgia romana delle feste principali (Natale, Epifania, Ascensione,
Pentecoste) si incontra un caratteristico badie.
39 Cf. CrPRIANO, Ep. 63,17: CSEL 3,714: la passione di Cristo il sacrificio che
noi offriamo. Ps.-CrRILLO DI G1rnus., Cat. myst., 5,10: SChr. I26,r5): Noi sacri-
fichiamo il Cristo ucciso per noi.
RIFLESSIONE SISTEMATICI\
34.5

nel quale afferma che anche ora noi offriamo il sacrificio del grande
sacerdote offerto una volta, ... nessun altro, ma sempre il medesimo,
perch noi compiamo una memoria di quel sacrificio.40

Anche il medioevo vive della fede che nella messa partecipiamo attiva-
mente alla vita e alla passione di Cristo. Tale fede trova fin da Amalaro
di Metz un'espressione decisamente storicizzante nella spiegazione allego-
rica della messa, che non altro che il rivestimento condizionato dal tem-
po della giusta idea dogmatica fondamentale della presenza attuale comme-
morativa. Che non si tratti di una ripetizione (reiteratio) della passione
di Cristo, lo precisa il Decretum Gratiani.41 Nella sua forma vera la pre-
senza attuale commemorativa compare nei grandi maestri dell'alta scola-
stica. Per Alberto Magno l'eucarestia memorile amarinimae pasrionir
Christi et transitus Christi ex hoc mundo ad Patrem, 42 nonch spiritualis
mactatio e immolatio. 43 Chiarissimamente si esprime Tommaso. Per lui il
sacrificio nella Chiesa non niente altro che il sacrificio di Cristo, la
sua commemoratio. 44 Nei molti particolari rituali, specialmente nei segni
di croce, egli vede delle allusioni allegorizzanti alla passione.45 Ma gli rie-
sce di radicare anticamente la morte di Ges nella consacrazione, in quan-
to presentifcazione, vi verborum, separata del corpo e del sangue.46

cc. Magistero ecclesiastico. Il magistero ecclesiastico esprime inces-


santemente la sua comprensione della messa quale sacrificio anamne-
stico di Cristo nel memores offerimus della litu_r_g!a e ;l'O ha fatto
con chiarezza conciliare a Trento contro i -riformatori. Questi ultimi
ritenevano soltanto ""W; sacrificio soggettivo di-rhigraziamento e di
memoria, ~a intendevano tener lontano o~ea di sacrifici?_jal
sacramentt'.)}r.!_quanto atto di pura donazione_ di Dio.47 Contro ci il
Tridentino, nella XXII sessione, definisce che la messa un vero e
proprio sacrificio (c. I: os 17 5 I) e non soltanto un sacrificio di lode
e di ringraziamento o una vuota memoria del sacrificio della croce,
ma piuttosto un sacrificio espiatorio per i vivi e i defunti (c. 3: os

40 In Hebr. hom. 173' PG 63,13I.


41 P. III De consecr. dist. 2 c. 7I: FKIEDBERG I 1341.
42 De corp. Dom. d. 2 tr. II c. 4,2: BoRGNET 38,224 s.; d. 6 c. l: BoKGNF.T 38,352.
43 De corp. Dom. d. 3 tr. Ili c. 2,3: BoRGNET 38,319.
44 S. Th. m, q. 22, a. 3, ad 2; cf. anche q. 73, a. 4c e ad 3; a. 5c; q. 79, a.2c;
a. 7c; q. 80, a. IO ad 2; a. 12 ad 3; q. 83 a. re.
45 S. Th. l!l, q. 83 a. 1 ad 2,3; a. 3 ad 1,7; a. 5 ad 39.
-1<1 S. Th. m, q. 74 a. 1; q. 76 a. 2 ad l; q. 78 a. 3 ad 1,2; Scr. s. IV Sent. d.
II q. 2 8. l qd. I.2.
47Cf. LUTERO, wA 30 Il 614.
EUCARESTIA

1753). Il decreto sul sacrificio della messa descrive l'essenza dell'eu-


carestia affermando che Ges ha lasciato alla sua diletta sposa, la
Chiesa, un sacrificio visibile (cotne vuole la natura umana). In esso
dovev_:i_ essere reso_E!~ent~ (re,o/.~!.~~tari)__iJ~rificio~o un
tempo offerto sulla croce, conservata la sua memoria fino alla fne
dei tempi e appHcata la sua virt salvifica in remissione dei peccati di
tutti i giorni (c. I: DS I 740 ). La messa non soltanto non un ml-
traggio e un deprezzamento del sacrificio della croce (c. 4: ns 1754),
ma vin~;~_dlrittUra-id~~tifiata- con esso:
Si insegna espressamente
l'identit, sia p~rf. croce'<:heper!'alire, del sacerdote offerente e
della vittima (c. 2: ns 1743). Tuttavia la menzionata diversit feno-
menica.Jkl_Y,_QQ QJ._ ~~~.!~~i~y!!__ 4;_ -~~!.1!!~.!~-~plicitamente an-
che l'identit dell'azione sacrificale, la quale per implicita e sar
affermata esplicitamente dal Catechismus Romanus (u 4,76). Inol-
tre nei capitoli dottrinali del 1552, non promulgati, si affermava che
la messa non soltanto raffigura, ma contiene in s il sacrificio della
croce.48 L'intenzione delle affermazioni tridentine l'identit del sa-
crificio della messa e di quelio della croce. 49 Il Vaticano II ricalca le
affermazioni di Trento quando nella costituzione liturgica presenta
l'eucarestia come presentificazione (repraesentari, art. 6), continua-
zione (perpetuare) e celebrazione della memoria (memoriale) della
morte e resurrezione di Ges (art. 47).
dd._..Eif!!!_sione sistematica. Da quanto precede si pu dedurre che
l'essenza fond;mentale -dell'euai:es-da"-costituita dall;-pr~~a at-
tuale della morte sacrificale di Ges. La m~;~ q~f~di un sacrificio
rel~tiVO,i'tiasiia-en1e1ecfifamietna nell'azione assoluta della croce
di-Ges, cne rende ptesen1e.-otaper comec!iViene presente-Pazio-
rie sfvdtca passata? r:::aESposta non pu essere che questa: essa non
di~iene pres-ente-Tn maniera assoluta e in s, ma in simbolo e in ma-
niera' :Jativ:"IlSmOolo~anzrecn'assegnatoaaI!aitQ.J:hsJ,_!!.., esso
u-; dato "reato al suo essere fisico aggiunge un senso nuovo, un si-
gnifica to-e-una-armensl.On-nuova;subisce- ~n-a-- tr"ansignifcazione e

48 CT VII 478, T8 s.: Memoriam renovat iam pcracri (se. sacrilicii) ncc illud
figurat tantum quemadmodum vetera, sed re ipsa in se comprehcndit.
49 Su ci cf. B. NEUNHEUSER, 'Die numerische Identitiit von Kreuzesopfer und
Messopfer', in: ID., Opfer Christi und Opfer der Kirche, Dusseldorf 1960, pp.
139-151.
RIFLESSIONE SISTEMAnCA
347

transfnalizzazione. Ges stesso ha conferito alla cena il nuovo signi-


cato di presenza della sua azione sulla croce, e il Glorificato realizza
tale significato con uno spessore ontologico senza precedenti. L'azio-
ne salvifica, compiuta una volta, viene resa presente non soltanto
nella coscienza credente dei partecipanti, ma oggettivamente nell'e-
vento sacramentale e con gli elementi che, per cosl dire, vivifica quasi
ne fosse l'anima. Che e come un evento passato possa senza ripeti-
zione diventare pres_:_~_~_?[&:.!!iva. e id~tif.c~! sostanzialm~~con
essa nmaneun mistero, si pu per dire ancora qualcosa, oltre ai
motivi gi menzionati (del momento simbolico e istituzionale). Le
azioni reaentnci "CllGes n.ons.ono ..sempI.lcemen.te-pasSat';l>nsl in
quanto azioni del Logos esse attingono l'eternit, hanno un caratte-
re di perennit.50 Anzi, in quantQ..Qecisioni umane di Ges, es~ sono
rivolte e riferite totalmente e radi~~_;_~'.~~~t, f.ondano delle
condizio.TC1ietemit'-=come~ es. la morte dell'uomo. Ma l'eter-
nit comprende contemporaneamente tutti i momenti de1' tempo pas-
sato. Le azioni salvifiche di Ges rimangono vivente presenza nel
Glorificato e, secondo Tommaso, partecipano della virtus divina.!IJa
Per l'attuJizzazion~ concreta d esse necessar1aTa."CllleSa.Che, in
quanto corpo di Cristo, partecipa delle possibilit del Glorificato e
il suo agire sacramentale vive gi delle forze della basilia; anzi, la
stessa azione sulla croce di Ges, ad onta di tutte le apparenze, un
evento della basilia, l'imporsi della volont salvifica di Dio nelle
condizioni pi ostili.51

c. L'eucarestia come sacrificio della Chiesa

Come abbiamo visto, l'eucarestia il sacrificio attualmente presente


di Ges Cristo e con questo sacrificio si identifica non fenomenica-
ment~, ma sostanzialmente. Il suo senso e n suo fine l'integrazione
dei cristiani nell'azione sacrificale di Cristo, mentre la loro elevazione

so Cf. E. SonLLEBEECKX, Cristo sacramento dell'incontro con Dio, Roma 1962,


pp. 67ss. Cf. anche M. SCHMAUS, Kath. Dogmatik 1v/1, Miinchen 61964, 73; F.X.
DuRRWELL, Gelebtes Pascha, Bergen-Enkheim 1965, II,14.
so.. S. Th. lii, q. 56, a. r; su ci d. P. WEGENAER, Heilsgegenwart, Miinster
1959, !r86; 120 s.
SI Sul problema d. J. BETZ, 'Die Gegenwart der Heilstat Christi', in: Wahrheit
11nd Verkiindigung (Miscellanea M. SOIMAus) II, Paderborn 1967, pp. 1807-1826.
EUCARESTIA

d Padre rappresenta la cristificazione massima degli uomini. Ci


implica una conform112ione a Cristo e al suo atteggiamento sacrifica-
le. Tale conformazione avviene fondamentalmente gi nella fede, che
nella sua figura fondamentale di fiducia equivale a dedizione a Dio.
L'interiore atteggiamento sacrificale della Chiesa ora nell'eucarestia
viene personificato in un evento esterno, esso pure sacrificale, in un.a
offerta cultuale. Ora il momento del 'Sacrificio distingue la cena dagli
altri sacramenti. Ad esempio anche il battesimo e la penitenza sono
an4mnesis dellra morte e resurrezione di Ges 1 essi per non sono
tacrilicio. Certamente la confessione pu essere o presup~rre un
grande sacrificio interiore, ma il suo segno esteriore di peg!tenza non
!!!l.. sagificio, b~nsl-~nprocedf~~iito giudiziario' imitazion~--;-;ttua
lizzazione del giudizio sui peccati e i peccatori che stato compiuto
in Ges. Nell'eucarestia invece viene attualizzata la dedizione fillri-
ficale di G~ _al,~adre sulla croce, e ci ne1"B:figur~ simbolica ad es-
sa ~egyat~ di un sacrificio S!!_~e, nel cui svolgimento diviene pre
sente sostanzialmente la stessa vittima Ges. Nel sacramento dell'al'-
tare abbiamo quind~ uno spessore particolare della realt. Il sacrifi-
cio cruento di Cristo nel sacrificiocltUale-aerra-chiesa .acquista un
nuovo modo spazio-temporale di presentazione, sviluppa cos la sua
ricchezza e produce ~'integrazione dell'umanit nel Christus totalis.
Nelle pagine seguenti consideriamo l'eucarestia quale sacrificio (anam-
nestico) della Chiesa.
aa. Scrittura. I documenti biblici sono stati gi parzialmente anti-
cipati nella sezione precedente; essi possono esibire almeno degli
spunti per un pensi~ro sacrificale nella misura in cui mettono in luce
nell'azione di Ges durante la cena dei tratti corrispondenti, che poi
in base all'ordine di ripetizione valgono anche per la celebrazione del'-
la Chiesa. Ges rappresenta la sua dedizione sacrificale al Padre me-
diante la benedizione del pane e del vino, che quindi riceve un ca-
rattere offertoriale pi accentuato di quello della Berakba giudaica.
Egli inoltre simboleggia la sua dedizione per gli uomini mediante la
donazfone d1 s nelia forma degli 1!Hlneffil."Ii'Ceiitramoe le az10ni un
esame pi pro10n"do puo"coghere.Tei.tratti sacrifcaH.52 L'ordine di
S2 Testimoni patristici, come Cipriano (Ep. 63,4), e alcuni racconti dell'istitu-
zione, con il loro !iva.SEll;~, considerano l'ultimo banchetto di Ges come un'azio-
ne sacrificale.
RIPLBSSIONB SISTEMATICA
349

ripetizione prescrive che anche la Chie5a, come il suo Signore, debba


offrire dei doni conviviali, debba simboleggiare in essi il suo sacri-
ficio e distribuirli come il suo corpo e il suo sangue, e con ci egli
non si riferisce soltanto all'azione cultuale esteriore, ma anche a} sen-
timento sacrificale interno che Ia sostiene. Si deve citare qui ancora
una volta Paolo. In r Cor. 10,18-22 egli parla dei sacrifici dei giudei
e dei pagani nonch della degustazione dei loro banchetti sacrificali,
per cui presuppone che iJc banchetto cristiano del Signore sia in pa-
rallelismo con essi, sia anzi uno di essi.
bb. Tradizk>ne. Proprio ai suoi inizi la tradizione ci presenta una
situazione interessante e divergente. Da una parte il NT nella lette-
ra agli Ebrei ribadisce l'unicit e l'esclusivit assoluta del sacrificio
deUa croce di Ges, che priva di valore tutti gli altri sacrifici cultua-
li (Hebr. 8,13; 10,9-19). In questo modo perci anche nel cristiane-
simo continuano ad avere valore soltanto i sacrifici di tipo spiritua-
le-esistenziale (Rom. 12,I s.; Hebr. 13,15 s.), e gli antichi teologi
della Chiesa ammettono soltanto la .oyuci) thJaCa. Tanto pi sorpren-
dente il fatto che, daU'altra parte, l'eucarestia legata ai doni mate-
riali venga intesa assolutamente come sacrificio. Gi anticamente e
ovunqu._veniva citato Mal. l,Io s. come prova della cena;rcli cosl
era definita il sacrificio puro, e senza timore alcuno si applicava
anche al banchetto del Signore l'intera terminologia sacrificale.54 Nel~
la lotta contro la gnosi viene sottolineata ancora l'offerta dei doni,
considerata come una professione di fede nell'attivit creatrice di
Dio e nella bont delle sue opere.55 Ma tra l'esigita spiritualit dei sa-
crifici e la materialit dei doni conviviali eucaristici non veniva avver-
tito alcun contrasto, perch l'offerta eucaristica era vista fondamen-
talmente come anamnesis del sacrificio di Cristo e come eucharistia.

's.i I documenti sono Did. r4,3; GIUSTINO, Dia/. 28,5; 4r,2; n7,r; IRENEO, Adv.
b11er. JV r7,5; CLEMENTE AL., Strom. v I4,I36; T!'RTULLIANO, Adv. ]ud. 5; Adv.
Mare. 3,n.
54 Duula.; Did. r4,t s.; GIUSTINO, Dia/. 40,I; Dia!. n7,I s.; IRF.NEO, Mv. haer.
IV 17,.5; 'll:POO'<jlOpti: CLEMENTE ROMANO, Ep. r 36,t; 40,2.4; (44,4); Cornelio di
Roma in Eusu10, Hist. ecci. vr 43,18; oblatio: lllENEO, Adv. haer. IV I7.,5; r8,1.4;
TF.RTUJ.LJANO, Ad. ux. 9; De cor. mil. 3; sacrificium: IRENEO, Adv. haer. rv. 17,5;
18,1.4; TERTULLIANO, De cultu fem. 2,rr; De orat. 19; Cipriano parla spesso di
oblatio e sacrificium.
5.5 C/_ IRENEO, Adv. haer_ rv 18,5: S Chr. l00,6ro.
350 EUCARESTIA

Essa non era espressione di una piet individuale, n l'attuazione di


un proprio sacrificio, ma serviva a tendere presente l'unico sacrifi-
cio di Cristo, lo faceva risplendere hic et nunc. Questa convinzione
sintetizzata neUa formulazione liturgica molto diffusa EVJ]l\/OL
1tpocrq>poE'll - memores offerimus. Un senso sacrificale e anamne-
stico presente anche nel verbo EXO:PLCT't'E~'ll, che connota la restitu-
zione dei doni a Dio. La formula memores offerimus, opera insigne
della prima teologia, dimostra che l'intera comunit il soggetto del
sacrificio e che la sua azione un sacrificio, il quale per a sua vol-
ta una memoria. La memoria di Ges viene fatta alfa maniera di
un sacrificio. In questo senso la messa una memoria sacrificale (di
Ges) in quanto sacrificio di memoria (della Chiesa). Alla base della
formula in questione sta la fede che la messa non un sacrificio di-
verso dal sacrificio di Ges Cristo. :E: quanto afferma con tutta chia-
rezza Giovanni Crisostomo: noi sacrifichiamo tutti i giorni, ma in
quanto compiamo una memoria; non offriamo altro sacrificio che
queUo di Ges Cristo, appunto perch facciamo la sua memoria. 56
Quanto l'eucarestia sia il sacrificio della Chiesa e quest'ultimo sia
una partecipazione al sacrificio di Cristo espresso molto chiaramen-
te dall'affermazione secondo cui noi cristiani sacrifichiamo il Cristo
sacrificato.57 Con particolare energia, Agostino afferma che nel con-
vito del Signore la Chiesa sacrifica se stessa ed esprime con segni
esteriori il suo sentimento sacrificale.58 Il medioevo, sotto questo
as~tto, lo ha seguito fedelmente. Esso vede il sacramento insieme
come sacrificio di Cristo e della Chiesa. Per Alberto Magno l'oblati o
non soltanto una singola cerimonia, ma l'intera azione eucaristica
dall'offertorio alla conclusione.S!I Essa insieme immolatio, cio of-
ferta di un ucciso.(,() Secondo Tommaso la messa sacrificium, in
quantum offertur (S. Th. III, q. 79, a. 5c; q. 83, a. 4c). Con acuta
intuizione egli riconosce che l'atto di oblazione consiste essenzial-
mente nella consacrazione: consecratione sacrificium offertur (q. 83
a. 10 ). Infatti oblatio significa offerta dei doni a Dio, ma la consa-

S6 In Hebr. hom. 17,3: PG 63,131.


SI Testi alla nota 39.
58 Civ. Dei 10,6.
S9 Cf. il titolo apposto al tr. 3 della spiegazione della messa De Myst. missae:
BORGNBT 38,n: De oblatione.
to In Sent. IV d. 13 F a. 23: BoRGNF.T 29,371.
RIFLESSIONE SISTEMATICA 351

crazione l'azione che li converte in corpo e sangue di Ges, li tra-


sferisce nel suo possesso intimo, connota la presa di possesso da
parte di Ges. Cosl vengono legati in un unico atto il sacrificio me-
moriale di Cristo e il sacrificio della Chiesa, il carattere sacrificale e
fa presenza reale. In questo modo Tommaso concretizza l'espressione
memores olferimus.
cc. Magistero ecclesiastico. A Trento il magistero ecclesiastico ha
definito, contro la rigida opposizione dei riformatori, il carattere del-
la messa proprio quale sacrificio dei cristiani; secondo il canone l
(Ds 1751) infatti in missa olferi Deo verum et proprium sacrificium.
Con asciuttezza antiriformatoria il canone 2 dichiara che i sacerdoti
offrono il corpo e il sangue di Cristo (Ds 1752), mentre la liturgia,
con il suo offerimus, considera come soggetto del! sacrificio l'in-
tera comunit cultuale. Il Vaticano 11 afferma che tutti i fedeli offro-
no la vittima divina, ma che i sacerdoti offrono il sacrificio di Cri-
;to in maniera sacramentale.61

d. Illustrazione del rapporto tra il sacrificio di Cristo


e quello dei cristiani

Il carattere sacrificai~ dell'eucarestia quindi di natura complessa.


Essa il sacrificio present~ diGestt Cristo, -marodieif sa:rificio Oella
Chiesa. Se l'ana~~~~i!-.~~-~<!_o_J!~!.8.!!!....~.1~--!radiz;?n~. ~elica in
fondo un'identit sostanziale con l'azione ricordata di Cristo, dovr
essa stessa ~s~~-.r~~guaglfat"a"quest'uftima;dovr ;~er~ -pureessa un
carattere sacrificale. E in realt, secondo la liturgia, l'atto di memoria
un sacrificio: memores offerimus. In quanto offerta della Chiesa
la messa un vero sacrificio (DS r 751 ), ma non un sacrificio auto-
nomo, un sacrificio relativo e anamnestico. Il sacrificio assoluto e
rimane l'azione della croce. Questa ultima viene resa presente nella
forma di un banchetto, che insieme sacrificio, quindi un sacrificio
conviviale e un convito sacrificale. La messa quindi una memoria
sacrificale in quanto sacrificio memoriale, sacrificium Christi repraesen-

61 Decreto sulla vita e il ministero dei sacerdoti, art. 5; cf. anche l'art. 2 e la
cosrituzione sulla chiesa art. 28, secondo cui i sacerdoti rendono presente e appli-
cano il sacrificio di Cristo.
EUCARESTIA
3J2

tatum e sacrificium ecclesiae repraesentans. Si potrebbe definirla anche


oblatio obationis Chrzsti.6}, Ma il r.apporto tra i due aspetti non
quello di una successione (per modo che la messa sarebbe anzitutto
sacrificio dei cristiani, e successivamente sacrificio di Cristo), bensl
quello di una implicanza vicendevole. H convito sacramentale, con i
suoi due elementi strutturali, l'azione e la preghiera conviviale, come
pure per l'intera sua entit (preparazione, imbandimento e consuma-
zione del pasto), diretto all'attualizzazione dell'azione della croce:

aa. Gi la preparazione del banchetto, il cosiddetto offertorio, determi-


nata dall'idea sacrificale. .....l~mta~ente, anche dalla memoria. I fedeli per
bocca li sacerdote offrono a Dio il pane"e"if vino e
n" SSi oflrono se stessi.
La Chiesa si costituisce come soggetto del sacrificio, ma lo pu essere sol-
tanto.~.XP..~!l'.I@,__com.~.-c>r..P~<!~! capo Cristo, e si conforma al retto ethos
sacrificale. Le o.fferte simboleggiaOOladeaizfone-Jeifa""Cllies: 'manon in-
tendono in alcun modo costituire un sacrificio autonomo di quest'ultima;
esse invece rendono per principio presente l'autoimmolazione di Ges,6.J
il che verr tematizzato nella successiva preghiera eucaristica, e infine, in
quanto elementi di un banchetto, alludono alla comunione. In questo mo-
do esse subiscono a priori una transignifcazione.
bb. Il vero imbandimento del banchetto avviene ad opera della parola
sacramentale. Nella grande 2reg_hiera eucaristica il sacrificio di Cristo vie-
ne pi:odimw. 'siiCaQvc~- in- 's~i. UL-;; litu.rgfe" oi:Tei'arl(CICorgmeantio-
0

cheno-bizantina) accenna~;-;nevento Cristo in generale, i prefazi roma-


ni invece si riferiscono ad'tinJ;>''rtlrolare nlistero festivo. Tutte le litur-
gie 64 Pr""presentano come vrtice JeclSlvo"ilf:oiitolell'istituzione del-
l'ultima cena di Ges, nella quale questi sintetizza la sua salvezza e ci dona
il sU:~-t~~ta~~nt~. ie parole ctell'fsiiiziOiie di"'GeS-viigono-pronunciate
dal S_l!SC:.~4ote in.m.im~!_a_?!E~tta1 !!!. .1!.o"!.!n_e___'!.! _Persona. Christi, in quanto
egli mediante
- -... - ....
l'ordine ha
--
._-wv-~-------~
ricevuto un particofare"'caratlere eristico. Le
___ ,_, .. ,_,...,_v --- - - _ -"""'
-~

6:! Le antiche teorie sul sacrificio della messa vogliono spiegare il carattere sa-
crificale, ma tengono troppo puco prcscnre la complessa struttura dcl sacramento.
La teoria della dis1ruzione soprattutto infelice quando vuole ravvisare l'essenza
e l'aspetto principale nella dis1ruzione dell'offerto, e tale aspetto pensa di trovare
nella messa. La teoria dcll'ob\a?.ione sceglie meglio il suo punto di partenza. Ma
ammettendo un nuovo atto sacrificale da parte dd Cristo celeste essa stabilisce un
nuovo sacrificio, sminuisce il sacrificio della croce e non riconosce la Chiesa quale
soggetto del sacrificio in rappresentanza di Cristo.
6.1 Nelle antiche preghiere dcll'offe1torio romano a ragione si faceva la memoria
panionis.
"' La mancanza dcl racconto dell'is1itm.ionc nei tardi manoscritti della liturgia di
Addai-Mari solleva ancora oggi un problema insolubile.
RIFLESSIONE SISTEMATICA 353

frasi collocano l'offerta in maniera radicale nel contesto della dedizione


sacrificale di Ges. La duplice consacrazione, intesa come disporre totale
di Ges sul suo corpo e sul suo sangue o come separazione di queste real-
t, ricorda in ogni caso la morte di Ges, rende presente il suo sacrificio
insieme alla sua vittima. Le parole dell'istituzione, come nota Tommaso,65
sono il vero atto di offerta e di consegna a Dio. E Dio accetta questa of-
ferta perch non vuole altra vittima che il suo Figlio.
cc. Immediatamente dopo la consacrazione in memores of!erimus la Chiesa
riflette sulla sua azione, e la caratterizza COIJ!Ll~crifu;!o, qull:i~i come un
sacrificio conviviale, compiuto per ordine di Cristo in memoria della sua
morte e resurrezione. Ma lo stesso principio m~es Efl~rimus vale anche
per il banchetto sacr~s_a}~_g>_.q.ffisivo, al g_uale_J:~deil__~~crifici~-~vivia
le. Gi precdentemente abbiamo notato che la degustazione del pasto pu
ben simboleggiare la dedizione sacrificale di Ges. Come il cibo perde la
sua autonomia e penetrando nell'uomo ne edifica l'esistenza cosi Ges sa-
crifica la sua esistenza terrena per penetrare in noi e rendere possibile la
comunione con lui. D'altra parte il godimento del banchetto porta al loro
fine il nostro sacrificare e noi stessi; ogni sacrificare infatti ha come scopo
definitivo la comunione con Dio. Ma l'unica via per arrivare a Dio Ges
Cristo. Per questo la nostra vittima viene trasformata nella vittima Ges.
[n essa noi veniamo integrati e incorporati nella comunione, e cosl venia-
mo elevati al Padre raggiungendo il fine di ogni sacrificio. La comunione
quindi in generale non va vista soltanto come una parte integrante della
messa - come afferma la sententia communior dei dogmatici - , ma co-
me una sua parte essenziale. 66

e. Il carattere sacrificale dell'eucarestia


e la teologia evangelica 67

Proprio in quanto sacrificio la messa cattolica aveva suscitato la de-


cisa protesta dei Riformatori, che si rivolgeva non soltanto contro
gli ;b~sT~he ;;-~ii- tempo veniv;ii~-;~~s;~~ti n~l~ p~assi; ~a mcl-
65 S. Th. m, q. 82, a. 10:. consccratorie sacrificium offertur.
66 Per la comunione quale parte essenziale (e non soltanto integrante) della mes-
sa si dichiarano: R. Bellarmino e J. de Lugo (come conseguen?.a della teoria della
distruzione), H. de Tournely, i Saimanticenses, Alfonso M. de Liguori, F.S. Rcnz,
J. Kramp, J.M. Rcuss, C. Hcnzc.
67 Cf. V. WARNACJI, 'Das Messopfer als okumenisches Anlicgen', in: Liturfl.ie
und Monchtum 17 (r955) 65-90; Io., 'Abendmahl und Opfer', in: TbR 58 (1962)
74-82; E.J. LENGF.I.ING, 'Der gegenwartige Stand der liturgischen Erneuerung im
Protestantismus', in: MthZ IO (1959) 83-101; 200-225; O. KARRF.R, 'Die Em:ha-
ristie im Gesprach der Konfessionen', in: TH. SAR'l'ORY (a cura), Die Eucbaristie im
Verstandnis der Konfessionen, Rccklinghausen 1961, 355-383; J. BETZ, 'Der Opfcr-
354 EUCARESTIA

to pi fondamentalmente contro il principio dogmatico del sacrifi-


cio in quanto tale. Per Lutero i sacramenti sono essenzialmente dd-
le azioni di recezione, la cena un dono di Dio all'uomo, un te-
stameito;-m- mai un~~ <l~lfoomo-Dio.e quiidi un sacrificio.(18
Il sacrifido rendei.Q.1}e' 'fS.::ffiess. -~~~~~.::.14.Q.i;:tri-;. lldono della
cen!l_!arebbe, J~ .X~.!ll~~~~Oll:_~- d~LE~<zati, l'amministrazione della ri-
conciliazione, il cui sigillo e il cui pegno sono costituiti dal: corpo
reale di Ges e dal suo sangue. Certamente anche a riguardo del
sacramento dell'altare Lutero ammette che la fede e il ringrazia-
mento - ~;.o 'un sacrUido'-spirlii.iJ~e"iiila risposta dell'uomo; solo
che ~@._li vuole ri~rosamenie arstinff<fafs'aramnto.
69 Il fonda-

mento t~logi~ pi~ -pr~ondodfql_';,~5ta-~cezi;~ dato dal prin-


cipjQ_ fondai:p.entale dell!._~~~~-.~fgl@:.J?eys, che vale anche per
la cristorogia e per la cena. Secondo esso soltanto Dio opera la sal-
vezza._..SL<kv.e.p...erdQ. ...t.e.Q.~!~-1C?Il.~C!. -~~-da _Q.es ogni giustizia
delle opere e ogni legalismo. Neppure il sacrificio della croce avreb-
be il suo ~-~_g~~};!! ffill!I!~?.Y2!!1-0, ma"sieoEe Opt'.~~ pro-
va della miserieordia ~evola di Dio verso cli noi, i} quale ha reso
Cristo.__p.egtQ_ al fine di -~pera-;-~~~iliazione. 70 Questa ridu-
zione cristologi~"-non-lascia""aTciino-spazfu''per mi sacrificio dell'uo-
mo Ges.
L'odierna teologia evangelica ha naturalmente superato di gran
11.)ll~J~a__riduzione di Lutero. Le acquisizioni esegetiche, le tenden-
ze di rinn-;;~afli~nto J{tilrgico, l'approfondimento teologico, le stimo-
lazioni ecumeniche, e persino alcuni postulati della teologia dello
stesso Lutero, specialmente la sua fede nelfa presenza reale, condus-
sero una .serti }Q1ponnte-dlteo10gre~~ngellc11Iad ' affermare non
----'"'~",.~-v ""'"~~ -- , - ~ -

charakter dcs Abendmahls im interkonfessionellen, Gespriich', in: Thf!ofogie im


W'andel, Miinchen r967, 469-49r; W. AVF.RBECK, Der Opfercharakter des Abend-
mahls in der neueren evange/ischen Theologie, Paderborn 1967, con ricca documen-
tazione e altre indicnzioni bibliografiche.
~ De captivi/ate babylonica ecclesiae: W A 6,526, 516.
69 Cf. w A 30 II 614.
70 Cr. V. V/IJTA, Die Theologie des Gottesdicnstes bei Luther, GQuingen 1952,
pp. 99 ss.
71 Menzioniamo tra gli nitri i rappresentanti del movimento della Chiesa alta
come F. Heiler e J.O. Mehl; dcl circolo bcrncuchiano e della confraternita di Mi-
chele, come W. Stiihlin, K.B. Ritter, W. Thomas, K. Plachte; aderenti della di-
sciolta Samm!ung H. Asmussen, E. Fincke, M. Lackmann; e poi i luterani P.
Brunner, E. Schlink, E. Kindcr, R. Prentcr; inoltre R. Otto, W. Hahn, A. Rchbach,
RIFLESSIONE SISTEMATICA

soltanto la rapp_r~wcione ... clel._Ck,1'.i_.f!J!..t..Possus, ma anahe ddla


pa.ui.q_Cb.l:'#.... he_yj~~t~.ru:~ent~-~m~. m~~ria. questo un
progresso importante anche ecumenicamente. :E interessante che es-
so .possa aver luogo sul__!~o A~.!!~ ~!1.~?.E._~_cii_f.<>.~cJ.q !~osa
mente ly~~rana_ dt;Lsacr~e.!:1-~<:> ~11 -~~t_2__ ~sE~1!si.Y.l!.....@i!?l:.l~-- Qi. rece-
zione. L'anamnesis del sacrificio della croce di Cristo viene cio con-
cepita V'?!~~~~rfco~~ "re.~~ts~j?r~se1.1,t5!_(Jr9_u.~.~_t'.~lt111fo.'l2'5si am-
mette la presenz~..d~l_~!ifi-90 ffi.f:.~~~~LEi~~t;iy!l~ ~.!1..~!:1:.~met
tere E.!._~-~~rificjo dei cristiani. Un tale sacrificio infatti viene ne-
gato rigorosamente dalla maggior parte dei teologi citati. L' offeri-
?Zl'~E>.S~.ttQU...co - cosl afferma un'argomentazione sintomatica 73 -
contrastere_!,be ,Qn.j_l princil!io I.oJE!J?eus .:....~!!'..~ _~t:istus~he in
questioni di salvezza deve essere fatto valere in maniera incondizio-
nata; co~t~;;t~;ebb;;-~j;'che7o;. i~-~n;t~;-l.nd~;;;tJ~ ~i~fe~nto
della croce, che per sua natura dovrebbe. essere determinato non co-
me autosacrifi~f~ di-Ges, m;~~;~-~;-d~~~~~~-;d~e~;-;ie1 Pa-
dre; infuie'illi sacrificio dei cristiani, soprattutto inteso come sacri-
ficio espiatorio, significherebbe il tentativo cli una rinnovata espia-
zione e di un completamento del sacrificio della croce, che auto-
sufficiente, sarebbe quindi un'opera.
Questa argomentazione descrive la concezione cattolica e lo stato
di fatto biblico. Non si pu far altro ohe ripetere: il ~crifcio dei
ristiani. noii.. intencte-compTetare.11 saCrifidodella- croce;-ma~-
derlo pr~;ente, -a tializzarlO,-Viio!e -S"Y!~P.P.i:i,~~ :JIC.~~;/_,1!..unt; la di-
mensione.J_ni~i.iia~If sacrfficio--stesso -deHa croce per non s0it'ito
passivit.) ma anche azione dell'uomo Ges (Mc. I0,45; 14,24; Le.
9,44;-;~:;~;-j;;:-;c;:is- ec:").''Per q~~nt'O tutto debba essere ricon-
dotto aWa.ttivi.t_!~lyJt!_~ _gLQiQ,..ffil~~fltir:n.~..I!C>!l. esl:ud~ un'.~ivi
t propria deJJa.. -~~~y~~- spjJ:ihJ;~_11eJ.l'~~tQ.!l!~vifi~, ma al contra-

G. Voigt, R. Stiihlin, H. Chr. Schmidt-Lauber, P. Meinhold; dci teologi non tede-


schi ricordiamo M. Thurian, J. P!ooj, V. Vajta, J.-J. von Allmen; inoltre i lute-
rani nord-americani P.C. Empie, A. Carlson, B.E. Gartner, K.S. Knutson, F. Kra-
mcr, G. Lindbcck, P. Opsahl, A.C. Piepkorn, W. Quanbeck, J. Reumann, J. Sit-
tler, K. Stendahl (su ci d. Lutherans and Catholics in Dialogue 111: The Eucha-
rist as Sacri/ice, Washington-New York 1968). Per la bibliografia cf. BF.TZ, op. cii.,
477 s. e soprattutto W. Av1mBECK, op. cit., passim.
72 Cf. P. BRUNNER, 'Zur Lehre vom Gottesdienst', in: Leitur[!.ia r, Knsscl r954;
Io., 'Zur ka1h. Sakramentcn- und Eucharistielehre', in: TbLZ 88 (1963) 16!)-198.
73 P. BRUNNF.R, Zur kath. Sakrame11ten- und Eucharistielehre, cit., 18oss.
EUCARESTIA

rio l'include, la precede con la grazia, di modo che il movimento


verso l'alto teso possibile soltanto da un movimento dall'alto. Nel
caso dell'eucarestia l'ordine di ripetizione Fate questo legittima
la collaborazione sacrificale della Chiesa. Nell' olferimus, e special-
mente nell'affermazione secondo cui noi offriamo Cristo, si articola
nella maniera pi forte l'autocomprensione della Chiesa. l'auto-
coscienza del corpo, che certo dell'a sua unit con il capo, ma si
deve pregare affinch Dio accetti benigno il suo sacrificio. un se-
gno di speranza il fatto che .alcuni teologi evangelici siano aperti ad
un'offeua__del sacrificio di Cristo da parte della Chiesa.74

4. La presenza reale sostanziale del corpo


e del sangue di Ges

a. Il suo inserimento nel contesto eucaristico globale

Da quanto precede emerso che l'eucarestia la presenza attuale,


essa stessa sacrificale, del sacrificio di Cristo sulla croce, e non sol-
tanto un'allusione simbolica di quest'ultimo, ma in ultima analisi
sostanzialmente identica ad esso. II fatto giustificato da Giovanni
Crisostomo con l'identit della vittima Ges allora e oggi. 75 Ges
anzi '<livi~~~-P;~~;~; nel quad~~ddl'evento cc;;;-Uwa oLo6evov,
come vittima. La sua presenza reale d alla fede la sua ul'tima ga-
ranzia e certezza per-lapre"senz- attuale aeIYiione sacrificale di
Ges. Infatti un'offerta presuppone un'azione sacrificale. Nell'ordine
oggettivo dell'essere e degli eventi infatti anche la presenza attuale
della de~f~rone--sacrifi~~~HdTGes -ilfOnlamenro portante-per la
presenza reakdella vittima:--equ-~~t:a"" il coro~-;ment;dlla prima.
La presenza reale fisica di Ges non pu essere vista iso1'ata e co-
rp,e,un miracolo. Essa si sviluppa piuttos) orgaiiicamente-apartire
dall'evento complessivo. In quanto presenza della vittima Ges Cri-
sto essa un momento interiore dell'evento sacrificale. : altresl il

74 C..osl i teologi dell'unione della chiesa alta, della confraternita di Michele e


della Sammlung; cf. W. AVF.JUIECK, op. cit., 78r. Vi si aggiungono l'alleanza per
la riunificazione evangelico-cattolica, M. Thurian, J.-J. von Allmen.
75 In Hebr. hom. i7,3: PG 63,13I.
RIFLESSIONE SlSTEMATlCA.
357

sigillo dcll'eucarestia, se questa viene considerata come la presenza


di Cristo. Tale presenza infatti multiforme. Cristo presente nel-
la comunit radlgla~~ (Mt. 18,2o)L in maniera particolarmente dina-
mica nel sacerdote consacrante. Egli poi rende _present~-T--s~;~io
ne della-crocenell'azione conviviale sacramental~;-e-ro.densalasua
presenza quale sacrificio espiatorio nei doni sacrificali della Chiesa.
Se, con la terminologia tradizionale, chiamiamo questa presenza sem-
plicemente 'presenza reale', con ci non deve essere negato che an-
che tuttiT~odi di presenza menzionati siano re-~li -~ pne~maiici,
ma si deve dire che la presenza reale fisica di Ges il sigillo del-
!'evento. Essa p.aQ_non il f~~~~i!Do, come d!mo~_r~gi il ca-
rattere di alimento, ma piuttosto serve a unire in maniera profoda-
mente personale Cristo con noi, comunica la sua dedizione sacrifi-
cale per ~~Te--a--~oi. I~ questo contesto riemerge la transignifica-
zione ch~-gllelementi del convftosubiscono 1nquant-da-alimenti
naturali vengono trasformati in mezzi dell'autodedizione cli Cristo. A
motivo di questo significato avviene perci anche la transustanzia-
zione, che porta a compimento, e quindi prosegue, la transignifica-
zione. Proprio i doni trasformati annunciano l'autodedizione di Ge-
s, il quale sulla croce si consumato per noi ed ora vuole essere
consumato da noi. Essi intendono operare un'unione personale. La
transignificazione e la transustanziazione quindi non si escludono ma
si intrecciano tra di loro. Il cambiamento di significato avviene ad
una profondit che espressa dalla transustanziazione e dalla pre-
senza reale.

b. Fatto, soggetto e modo fondamentale della presenza reale

aa. La dottrina della Scrittura. Dai documenti scritturistici, che


abbiamo es_~lll_i!l~t-----~~!~-~!~_hiblka,_,4,~bbia~~..~~~-~-i:_gli
aspetti e gJJ acse!!~! _?~Ila pre~~.!1~~--~~l,L Vediamo anzitutto il sog-
getto della presenza. Pr~seri1:e diviene il Christus totus. Infatti, in
tutti i racconti dell'istituzl~e, crwa. i~<li~ il-~~rpo non come parte
dell'uomo, ma come sua manifestazione globale. La forma pi anti-
ca dei ;~c~onti;rierrta-:aavaOIO?Luca:<IeITnea ancor pi esatta-
mente la persona presente presentandola come la figura che si sa-
crifica del Servo di Dio deuteroisaiano, cui si adegua anche il pre-
EUCARESTIA

dicato del calice o~~XTJ nonch l'cda. nel senso della persona in
stato di martirio.76 Invece nel logion marciano del calice il sangue
presentato, secondo il modello di Ex. 24,8, come una parte (isolata)
del sacrificio cultuale, e Ges viene visto come il gran sacerdote che
con il suo sangue offre il sacrificio di s. Infine, anche qui l'a.la.,
in quanto pars pro toto, indica l'intera persona.
n fatto della presenza reale fisica viene testimoniato M.ffiara-
natha (Did. lo,6; I Cor. 16,22), inoltre da P~~f--e-Giovanni. Se-
corufo I Cor. IO,I6 s. l'unico pane rende i molti di tutto il mondo
un so~~..E_<:>.r,.P<?, p...Qich....euo..__ appunto la....parrecipazione reale del
co,mQ.. di_.Qristo. In I Cor. u,27-34 Paolo introduce il motivo del
giucliziQ....f..q~e dimostrazione concreta dell'asserita identit tra gli.
alimenti dell;~~;; e-ilcorpo.e 1C sanguecrrcesii: . f"asi di malattia
e di morte a Corinto in quanto cohseguenze di c9mpj2ui imJ,egne
dimos.tt.aJlo. l'.eflcac.ia.:sa(;tameD!!l(!. ~i_A~;iL~<:~i!tici. Giovanni par-
la cos realisticamente, in 6,5 1-5 8, di mangiare la carne e di bere il
sangue di .G~~Y., che..no P.JJQ.. t!_ssere inteso se non letteralmente. Il
rifugiarsi in una presunta inaute~cit-def ~~~~;tti-ili~gittimo. I
termini 11&.p~ e a.la. indicano anche qui l'intera .P.:t:rsona. In favore
di un'h~t~;pr~ta~i~~~ ~~l ~~nso d~lla p;es~~ real;&pongono per
gi i~.9.PJiqell~istit~.?:!.?E~ es,~L!.n.aj,.~~te,&>..go degli accenni evi-
denti in questa direzione. La forma stilistica dei logia interpretativi
diversa da quella <leHe proposizioni metaforiche, e l'offerta e l'as-
sunzione dei doni equivalgono ad una sottolineatura del loro carat-
tere realistico. Ci si pu perci chiedere: se Ges voleva rendere
presente il suo sacrificio, poteva farlo meglio che rendendo presente
se stesso come vittima?
bb. Tradizione. Fin dall'inizio la presenza reale di Cristo te-
stimoniata in maniera sorprendentemente chiara. Ignazio di Antio-
chia identifica if banchetto del Signore semplicemente con la car-
ne del nostro salvatore Ges Cristo, la quale ha sofferto per i nostri
peccati, ed stata risuscitata dal Padre nella sua bont.77 Egli non
vede l'eu~~~~stia ori:ie quakosa di enttilcato; ma', i~ ~.;;uormit del-
la sua mistica di Cristo, come il farmaco dell'immortalit e l'anti-

76 CE. sopra pp. 243 s.


17 Sm. 7,3; cf. anche Rom. 7,3; Fil. 4.
RIFLESSIONE SISTEMATICA 359

doto affi.n<:h non si muoia ma si viva sempre in Ges Cristo (Eph.


20,2). Ma farmaco di immortalit, nonostante il rivestimento con
cettuale ellenistico, non un prestito ellenistico; esso connota piut-
tosto Jl pasto paradisiaco rinnovato escatologicamente, che anche
nei beni eucaristici elencati dalla Didach (9,3; ro,2), vita, cono-
scenza e immortalit, si presenta come compimento di Gen. 2,9.17.
Secondo GiustinQ, che considera il convito del S!gnore come un pa-
rallelo sacra~~tal~-d~ll'incarnazion~ l'euc;r-;ti; !;~IU";}-eiF san-
---------------.. "- - - - - - - - .. ------------...fl'"'.'_
gue appunto di Ges incarnato. 78 Se lo gnostico Marco neua sua
eucarestia ii spWDegglaiCTi rossQ_il contenut<? dei calici distrugge
il mistero naturalizzando!\>, ma con il suo trucco conferma indiret-
tamente la f~e d~lla Chiesa.79 Anche Ireneo riflette sul sangue. Egli
e Tertulliano - e ci importante per il dicotomismo occidentale
- lo considerano come una semplice parte; Ireneo per lo mette
subito in coriilesSloiiecon l'intero orgamsmo.115 -Si e;Wiciaq~fil pro-
blema ch -Ouper'anc0raa-IUn.go-ia-teologia occidentale: come si
passati dalle entit corpus e sanguis, concepite come sostanze par-
ziali, al Christus totus? Del resto Ireneo ammette che l'eucarestia
il corpo e H sangue di Ges, e ci in quanto il pane e il! calice rice--
vono il Logos di Dio (in maniera incarnatorio-sacramentale).81 I do-
ni pertanto comunicano il Logos, il pane dell'immortalit e il Pneu-
ma del Padre.n
Il passaggio dalle sostanze parziali caro e sanguis al tutto della
persona di Cristo no~ .. compiuto--arbfiranament-aa Trenoo: Triiatti
la fede cerca ciiie-una :COSa-'-natutllte -rretcanvil- dT' S1gn1're il to-
tus Christus. Questa convinzione l'incontriamo sia in Oriente che in
Occidente. L'affermazione semplicissima suona cosi: Cristo ci do-
na se stesso in cibo.8.l Essa non rappresenta soltanto una formula-
78 Apol. 1 66: Corp. Apol. I 182.
79 IRF.NF.O, Adv. haer. I 13,1: HARVEY I, 115.
6lJ Adv. baer. v 2,2: SChr. r53,32: Il sangue pu derivare soltanto dalle ve-
ne, dalla carne e dalla rimanente sostan7.a umana, che il Logos diventato. Su
TF.RTUL!.J,\NO, Adv. Mare. 440, cf. sotto.
81 Adv. haer. v 2,3: SChr. 153,36.
R2 Adv. haer. IV 38,1: SChr. 100,946-48.
lll Cosl CLEMENTE AL., Protrept. 120: GCS I 120,3 e Q11is dives salvetur: GCS
m 175,II s.; DIDIMO, In Ps. 364: PG 39,1336; spesso in Giovanni Crisostomo, e
con particolare profondit nelle omelie su Mt. 25,3 s.: PG 57,331 ss.; 50,2: PG
58,500 ss.; 82,4 s.: PG 58,742 ss.; TEOFll.O DI ALESSANDRIA, Hom. in coenam myst.:
PG 77,101 D.
EUCARESTIA

zione rapida e sintetica, ma viene sviluppata come identificazione


esplicita del sacramento con Cristo.84 Infine, in tutte le eucarestie
vengono chiaramente tematizzate l'unit e la totalit di Cristo.
Ovunque presente il medesimo Cristo, intero qui e l, dichiara
Giovanni Crisostomo ad Antiochia.85 E ad Alessandria gli fa eco Ci-
rillo: L'Unigenito ovunque integro e indiviso in tutti (i comuni-
candi).86
Quanto seriamente i padri greci identifichino il convito del Signo-
re con Cristo lo si vede anche dal fatto che essi elaborano la loro
comprenSion-e delfeiicawii.-10--ronformit ~on la loro cristologia.
Abbiamo trattato questo ~~j;tt~.. ~dla p;~te dedi~;r;~;n;-stooa dei
dogmi; 9!!1. tj _lilajtiamo a mettere in risalto alcuni tratti. Gli ales-
sandrini rivolgono I~ l~ro atteni~~.. _2.LJ~g~: ~~': l~ Qesii dive-
n.J!!Q..~.s.!hlle. E la dignit del nostro sacramento si fonda sul fatto
ch~-~so - come attesta una formula significativa - la carne e
il san~e del Logos,~
--"-----
che qui attua misteriosamente la su; incar-
. .:r-----.. ..............., ....- ........ _" ... ---- .....................-
nazione. L'eqtiiiforie ai Origene: vero cibo = carne di Cristo =
~-

Logos, in quanto divenuto carne88 pu essere considerata sintoma-


tica per gli alessandrini. Ora veramente Clemente e Origene pensa-
no che lo gnostico, il cristiano perfetto, possa ricevere il Logos in

84 Per Clemente Alessandrino in PaLd. 1 (6), 43,1: GCS 1 u5,27 s. l'eucarestia


semplicemente il Cristo (parimenti 46,1: 117,20} e il redentore, secondo 43,2 s.
(u6,1 ss.) il Kyrios (Ges), secondo Exc. ex. Tbeod. 13,3: GCS m ru,8 il Figlio.
Secondo 0RIGENB, In Mt. comment. ser. lo: GCS XI l7J,ll s., i cristiani mangfa-
no come pasqua il Cristo sacrificato per noi. L'equazione eucarestia = Cristo si
incontra anche in EUSEBIO DI CESARF.A, -Comm. in Is. 3,2: PG 24, l09'BC e
spesso in Cirillo di Alessandria; cosl De odor. 3: PG 68,289 C; 7: PG 68,501 B;
12: PG 68,793 C; Glaph. 2 in Ex.: PG 69428 AB; In Cant. 7,4 fram.: PC 69,
1292 A; In Jo. evang. comment. 3,6: PG 73,521 C; 4,2 s.: PG 73,564 C, 576 B,
580C, 581BC, 584A; 10, 2: PG 74,341B; u,u: PG 74,560B. Degna di atten
zione la formula eucaristica di Cirillo Cristo in noi, noi in Cristo, che si trova
In ]o. evang. comm. 4,2: PC 73,584 BC; ro,2: PG 74.341 D. ln occidente C1PR!AN0,
/Je dominica or<1t. 18: CSEL 3,280; AMBROG!U, De Myst. 9,58: CSEL 73,115; 11.11-
RIO, De Trin. 8,17: PL 10,249.
85 In Hcbr. hom. 17,3: PG 63,131. Similmente EFREM, Hymni de eccl. et virg.
3R,r: LAMY 1v, 624: 'Torus ipse nohis totis se immiscuit'. TEOllORO lll Mors., Cat.
l6,r9: ST 14_5,561: in ogni parte l'intero Cristo (cf. anche 16,20.28).
116 In ]o. evang. comm. 12: PG 74,660 C.
g1 Documenti in Origenc, cf. sopra p. 265; EUSEBIO, In Ps. 73: PG 23,864 B;
ATllNASIO, l!pist. ad Maximum: PG 26,1088 C; Teofilo parla di corpo e sangue di
Dio: PG 77,1028; GREGORIO DI NAZIANZO, Or. 45: PG 36,649 parla di sangue
di Dio.
88 De oratione 47A= GCS u 365,22 ss.
RIFLESSIONE SISTEMATICA

una maniera diversa, migliore, cio spirituale, mediante la parola,


che sarebbe il vero corpo del Logos.8'1 Di fronte a questa svalutazio-
ne dell'a comunione visibile Atanasio e, in maniera pi decisa, Ci-
rillo affermano che il Logos, che solo comunica la vita, ci diviene
accessibile mediante la sua carne e oggi mediante l'eucarestia. In
questa visione, strutturata secondo l'incarnazione, viene mantenuta
ancora l'attenzione sull'umanit di Ges.
Incomparabilmente pi accentuata l'identificazione del sacramen-
to con la figura storica d~.!!? redenzicm~ di ~s ,,Pl.~.Q_gli antioche-
ni,90 la cui en<fenza-..~lin~_J!i str:!t~mente a quell~_ della liturgia.
Il testimone per eccellenza Giovanni Crisostomo; gifidentifica
come nessun altro il corpo eucaristico di Ges con quello storico,
che giacque nel presepio e vers il suo sangue sulla croce. Questo
fatto non verificabile con i sensi, pu essere concepito (vOTJ-t6v)
soltanto dal pensiero credente e si fonda su una conversione, che
viene descritta come discesa dello Spirito sui doni, quindi in manie-
ra incarnatoria. In base all'Efesino, degli antiocheni, come Teodore-
to ed Euterio, ma anche dei neocalcedonesi, come il papa Gelasio,
si lasciano indurre ad un falso consequenzialismo sistematizzante e
ad una totale assimilazione esterna dell'eucarestia alla cristologia, ne-
gano una conversione degli elementi richiamandosi all'immutata uma-
nit di Ges e considerano il sacramento come unificazione dello
Spirito o deUa grazia con questi elementi (cf. p. 272 s.). oL'anamnesis
deH'umanit di Ges si attenua fortemente nel neocalcedonismo, che
considera il sacramento essenzialmente come corpo del Logos. 91 Ma
la piena visione anamnestica realizzata dalla liturgia. Alla fine del-
la patristica Giovanni Damasceno rinnova l'antica dottrina della con-
versione e presenta H banchetto del Signore come il corpo di Cri-
sto unito ipostaticamente alla divinit.92
Dobbiamo chiarire un altro particolare: come si concilia con l'as-
serita presenza reale la designazione, corrente in Oriente e in Oc-
cidente, degli elementi come simboli 93 del corpo e del sangue di

89 Sugli alessandrini cf. sopra p. 264.


'IO Cf. anche sopra pp. 268 s.
91 Al riguardo cf. sopra p. 274.
2 Dc imaginihus 3,26: PG 94,r 348; cl. anche Expositio {idei 86: PG 94. n4r.
93 Vengono usati i termini au11f3o:..ov, "tU1tO, :'ll"tl"t1>1to, dxwv, 6Lwa., figura,
sig1111m, sacrcrmentum; su ci d. J. BETZ, E11charistie, cit., r/r, 217-242.
EUCARESTIA

Cristo? Questa designazione - dobbiamo rispondere - non inten-


de attenuare la realt del corpo e del sangue, non pu essere intesa
simbolicamente nel senso moderno. Nel senso della teologia della
Chiesa antica il concetto non esprime 1'assenza, ma proprio la pre-
senza della real't originaria. E precisamente vuole ribadire in ma-
niera primariamente funzionale il ricordo dell'evento salvifico. Sol-
tanto Teodoro di Mopsuestia rifiuta di chiamare simboli del corpo
e del sangue sotto il pro.filo onrico-statico i doni trasformati.94
La cena rappresenta un realismo di marca piuttosto antiochena.
Tertulliano testimonia, come abbiamo visto (p. 275), I.a realt del
cor,Po-~-del sangue di Cristo nel convito def Signore. I cristiani, che
bramano ifsange1nei teatnJ, egITlirnnanda al sangue di Cristo.95
La de~~~~~~s._~estia_~le figura corporis _non intende limi-
tare la .r_eall:..Ld.eLcor..PQ..Jkl Signore,_ ~sl sottolin~; infatti sol-
tanto :Y.Q....02rm.._l!!l~.eal_~~>1._P.!:1<:> _l!V~!:<!.JJE.L~ma. La natura del
corpus saT...Jl!!l:eg_!ale pe.._)ui emerge dai concetti caro e sanguis, che
egli considera come parti ~~~;t~--t;~-l~r~;-m-;--="ifimaniera ti-
picamente occidentale - appunto come parti. 96 La convinzione del-
la presenza reale enunciata anche da Cipriano (cf. sopra). Nella
cena noi _beviamo jl ~~~e_..4!,_CrisE,?,97 viene offerto Cristo,98 in ve-
rit solo se il sangue viene rappresentato dal corrispondente sim-
bolo reale storico-salvifico del vino.99 La storia ulteriore della pre-
senza reale viene da una parte influenzata durevolmente da Ambro-
gio, in quanto assicura quest'ultima con l'idea di conversione e la
rende accettabil~ al pensiero, e dall'altra da Agostino, il cui interes-
se teologico non rivolto precisamente ad essa, ma ad un simbo-
lismo spiritualistico. Non che il Vescovo di Ippona la rifiutasse ri-
gorosamente, ma la testimonia piuttosto come tradizione della Chie-
sa, come abbiamo gi constatato sopra. Gli elementi secondo lui ri-
cevono una consacrazione 100 e sviluppano un'efficienza, sia in bene

!l4Frammento su Ml. 26,26: PG 66,713.


9S De spectaculis 29: CC 1,252.
96 Adv. Marcionem 4,40: CC 1,655-657.
97 Epist. 58,1: CSEL 3,657; cf. anche Epist. 57,2: CSEL 3,652: rifiutare il san-
gue di Cristo, bere il calice del Signore.
96 Ep. 63,9: CSEL 3,708.
99 Ep. 63,2: CSEL 3,702; cf. anche 63,13 (ostcncli): CSEL 3, 711.
100 Come documenti cf. De Trmitate 3,4,10: PL 42,874; Sermo 227: PL 38,1099;
RIFLESSIONE SISTEMATICA

che in male.101 Per lui per essi sono corpo e sangue di Cristo non
sic et simpliciter, ma soltanto in certo modo, ne sono piuttosto il
sacramentum e producono, se interpretiamo hene il suo pensiero, una
aspirazione alla comunione di grazia con Dio. Essi per simboleggia-
no e attuano la comunione di amore della Chiesa in quanto corpo
di Cristo, che egli considera vero e proprio contenuto del sacramen-
to. Non si pu dimenticare che da Agostino riceveva .itllpulso e splen-
dore soprattutto una concezione simbolistica (che egli rappresentava
a motivo dell'extra ecclesiam nulla eucharistia). Egli ha tuttavia re-
so pi acuto il problema della realt, della possibilit interiore e
della portata della presenza reale, avviando cosl lia soluzione defi-
nitiva. La tensione tra realismo e simbolismo, tra Ambrogio e Ago-
stino, doveva portare ad uno scontro, che si ebbe appunto nelle due
controversie eucaristiche del medioevo. 102
Mentre Pascasio Radberto sottolineava la pienit)dentit ~el cor-
po sacramentale di Ges con quellt> storico, Ratramno poneva l'ac
cento sulla disd.nzion~_J!!. i due. Per quest'ul~o l'eucarestia cor-
po di ___!!JQ. soltanto sotto un certo asP<;tto, in quanto cio, in virt
della conversione, contiene una potenza dixini. Il vero enfant terri-
ble della faccenda presenza reale sar Berengario, che la nega reci-
s~me~~ Per lui il pane e il vino sono sacramentum~o) che, in
q1:tg, tale, rim.andfl Jiam sacramenti.i._ al..~~ e sanB!!e di Cristo
in cielo, ma, il _Qane e il vino nonJi COJ!!s.!!&2_00, bensl conservano le
loro propriet e quindi anche la loro sostanza, che per lui l'insie-
me delle qualit; gli elementi. quindi non vengono trasformati on-
tologicamente. L'opposizion~oontro-dilui (rappres~nata.- da Adel-
~~r;~~-di Liittich, Ugo di Langres, Durando di Troarn) si concentra
nella formula di professione del 1059 (os 690), composta dal cardi-
nale Umberto, la quale ribadisce un'identit troppo globale del cor-
po s~r~mi!.ltaf~_Cnsto__~n qu1lo -~-~orico~E in-quanto--:B;;n-
gario continua ad esagerarne la distinzione, Lanfranco di Bee e Guit-

Sermo 234,2; PL 38,u16; Sermo Guelf. 7; Mise. Ag. I, p. 462; Contra Faustum
20,I3: CSEL 25,r,552.
101 Guadagno spirituale: In ]o. tr. 26,13: PL 35,1613; Senno 57,7: PL 38,J89.
Giudizio nella comunione indegna: Sermo 227: PL 38,nor; Sermo 229: PL 38,
1103.
102 Anche per quanto segue si tengano presenti i particolari delle riflessioni svol
te pi sopra nella parte storico-dogmatica.
EUCARESTIA

mondo di Aversa trovano l'idea liberatrice: il corpo di Cristo divie-


ne presente secondo la sua essenza o sostanza. Il sinodo romano del
1079 parladfidentit;;;:;n; b~~~ -di . ~~;-c~nversione sostanziale (ns
700 ). In tal modo veniva fissata l'attenzione sull"<I sostanza quale prin-
cipio metafisico della identit tra il corpo sacramentale di Cristo e
quello storico. Da allora il termine sostanza fu il termine risolutore.
Il con_c~gQ.,~atuxafu:!.et?t~ _pgn J_cbiaritQ. PSJ.lU,~--~po, lo diven-
ne SQ1C?__9opo intensi sforzi. 103 Si formarono due correnti. Una, rap-
presentata da-Pe'tro--'Cantore, vede__~~~~za ___r:i~.!_~atore (ma-
teria, hypostasis, subie.r.tKf!ZJ.Atl!t:_qualit. Essa viene superata da
una visione pi ampi~1__J_l__ cu!_~at_l~to~c;: __ ~~~ di Lilla. Questa se-
conda corrente vede la sostanza come unit di materia e forma, in
cui Ia forma per non pi la s;nma,_J.!l-Tf Qritl_fu~c:!_iQteriOre del-
le gua_ljt~.:...Questa concezione raggiunse la sua maturit soltanto quan-
do la materia e la forma vennero comprese come pura potenza e fon-
damento_o~tol~i~o _il!!_e_rjore delle qualit, nel senso della filosofia
naturale aristotelica. Quest; tapp~--~fntada Alessandro di Hales.
I grandi scol'astici non faranno che costruire su di essa.
In connessione con la presenza sostanziale, nella scolastica, viene
dibattuta la J.?r~nza del lotus Christus. In Occidente quest'ultima
preser;a si pone.;;~'Offie-probkq~~erch__c_Qryus, ~~!9-_~guis,
quanto al loro contenuto concettuale, venivano considerati come
parti dell'uomo. Berengario aveva negato la presenza reale anche
perch essa avr~bbe_portato alle ~rticelle della caro~ _Qi_risto (por-
tiun~-;;ra~,-;;;; Christi):y;~ -f~~ i;;~eC:~ er ~ori~iri.ta. di ricevere l'in-
tero Cristo. La presenza per modum substantiae ora viene usata co-
me ponte -~ers~ 'if t~t;~cbriStus:c;n scollisui sPfegano~---;,.i-;erbo
rum c;-~r~acramenifne.l paneQ!y_ic;:ne. presente soltanto la sostanza
del corpo e nel calice soltanto quella del sa.ngli: Ma siccome un cor-
po vivente e il-sangue padi:neiiiivi.verite-possono esistere soltanto
nell'unit "<leht prs"~na: i~ f~~~ d~lla. ~~nn-~ss1one' ri'aforale e" della
concomitanza (vi co-ncomitantiae) con il corpo diviene presente an-
che il sangue, e con il sangue anche il corpo, e con entrambi diven-
gono presenti anche l'anima e la divinit di Ges. In tal modo era
stabilita la famosa dottrina deUa concomitanza. 1"
JQ1 Per i particolari d. sopra pp. 287 s.
104 Per i particolari cf. sopra p. 292.
RIFLESSIONE SISTEMATICA

cc. Pronunciamenti del magistero. Il magistero ecclesiastico, che


nella liturgia proclama incessantemente la presenza reale, ha messo
in luce quest'ultima con particolare chiarezza.
Contro Berengario il sinodo romano del I o 59 con un linguaggio
ultrarealistico (Ds 690) e quello del 1079 con l'accenno alla con-
versione sostanziale (Ds 700) ribadiscono l'identit de) corpo euca-
ristico di Ges e di quello storico. Contro i catari e gli albigesi il
Lateranense IV afferma che il corpo e il sangue (di Cristo) sono
contenuti sotto le specie del pane e del vino 105 (os 802 ). Respin-
gendo l'errore di Giovanni Wyclif, che nega la presenza reale, il con-
cilio di Costanza professa la presenza identica, reale e corporale di
Cristo nel sacramento (ns u53). Il Tridentino poi contro la pre-
senza semplicemente simbolica di Cristo, secondo Zuinglio, e contro
la presenza puramente dinamica di Calvino, definisce che il corpo e
il sangue di Cristo sono contenuti sotto le specie vere realiter et sub-
stantial.iter (c. r: ns 165 l ).10tl Il decreto tridentino sull'eucarestia
considera come affermazione fondamentale del1e parole di Ges du-
rante la cena l'identit di ci che viene distribuito con il corpo di
Ges (ns 1640). La presenza del totus Christus in ognuna delle spe-
cie insegnata dal decreto di Costanza sulla comunione (ns u99;
cf. anche ns I257), dal fiorentino Decretum pro Armenis (ns 1321)
e dal canone 3 di Trento (ns 1653); i due ultimi pronunciamenti
magisteriali affermano anche la presenza dd lotus Christus in ogni
parte di un'ostia consacrata e spezzata. Il Tridentino adotta espli-
citamente la dottrina della concomitanza nel terzo capitolo dottrinale
(os 1640), la chiama antica fede cattolica, ma non la definisce. Dal-
la presenza reale il magistero trae anche altre conseguenze: contro
Wyclif il concilio di Costanza dichiara che le sostanze materiali del
pane e del vino non permangono (ns 1151; cf. anche 1256), che
invece gli accidenti del pane continuano ad esistere senza soggetto
(naturale) (os lI52). Altri canoni tridentini dogmatizzano la non
permanenza, quindi la cessazione deUa sostanza del pane e del vino
(c. 2: ns 1652), il perdurare della presenza di Cristo, a partire dal-

1os Il tipico contincri in ricompare nel Decreto sulla comunione di Costanza


(vs u99), in quello di Eugenio JV per gli Armeni (Ds 1322) e nel can. ~ di Tren
IO (DS 1651 ).
106 Ripctmo in DS 2629.
EUCARESTIA
366

la consacrazione, anche nelle ostie non consumate (c. 4: DS 16.54),


la adorabilit di Cristo nell'eucarestia, anche con venerazione pub-
blica (c. 6: os 1656), la li~it deU.a .conservazione delle ostie con-
sacrate (c. 7: os 1657), la manducazione reale e sacramentale, e non
soltanto spirituale, di Cristo (c. 8: DS 1958). Pio XII (1950) nell'en-
ciclica Humani generis (os 3891) e Paolo vr (1965) nell'enciclica
Mysterium fidei (35 s.) ribadiscono la presenza real'e e intendono di-
fenderla da ogni volatilizzazione simbolistica.

dd. Illustrazione oggettiva del modo di essere sostanziale. Il con-


cetto di sostanza serve alla teologia e al magistero sia per garantire
che per circoscrivere nel suo nucl'eO essenziale l'identit~dgli ele-
......__ .. __ --~---------
menti consacrati con il corpo e il sangue di Ges, in quanto l'ap-
parenza del pane e del vino continua a sussistere e la fede deve ri-
mandare a Cristo quale nutrimento. La Chiesa ha desunto il con-
cetto .dL sostanza dalla filosofia occidentale in un involucro condi-
zi@~!~-4~T~~;~; ~M'a ~~a b~s~-p~r~ ~i ~n'id~a..pe;~~~;-;ovra-
tempor.fil~~-~~-ht_q!Ja.J~ X_uomo non potrebbe dominare ~itual
mente il mondo. Naturalme~te--il termine -tale-
fri. quanto non af-
fatto univoco; in giochi linguist~c.i t:ljv1;:rsi .essa...s.igni{iiL~diferse.
Nel linguaggio delle scienze naturali la sostanza una massa concre-
ta, compatta, strutturata omogeneamente e costante. Tipica al ri-
guardg JJa ..t>.~c:>P~~o.11~'.. ...~-~~sa _?__~a-.s~nza. La filosof.a_v.a-
~urale poi concepisce la sostanza come l'autonomia di un ente, co-
meJ:. etzs....in..se....et .P.f.!.-~~J!...'f.!?.si!tf!!!.s). Ma secondo la mentalit odier-
na il pane._u vino non sono srn.tanze in questo....se.nso, in quanto
manca ad essi l'o~neit della struttura e la costanza, essi sono
piuttosto degli.-~ti--di-moit;CQie. ~e <lf"-so;Ui~ elementari,
quindi_ delle unit accidentali e delle form~i~i:i(~n ~~~s-;ntropo
logico. Il co_~!9.J!l<?.~~fic~_g!!?,~~~_4i ~~!anzui:t'.s.enta___?!lche un
as~uo_ un .RQ~ __c1-iy~~2: Gi il pensiero prefilusofico cerca dietro la
mobjlit__4e! feJ1<:>!11.c:n.i ci(J _che li. fond_!i ~ __s9sti~C:t...!?~nuna una
realt ultima delle cose. Esso quindi cerca la sostanza delle cose,
il loro nucleo essenziale proprio. Dobbiamo cio dire: se anche il
pane e ir~ino- noti" "sono- ~ost;~~e nel senso della filosofia naturale
nondimeno essi hanno una sostanza nel senso filosofico, che ne de-
termina la natura. Questa natura non consiste semplicemente nei
RIFLESSIONE SISTEMATICA

fattori naturali-materiali, a cui spesso si arresta un pensiero pura-


mente statico, ma anche nell'elaborazione umana, che le cose natu-
rali subiscono. Il pane e il vino sono dei prodotti di senso culturali,
deMe cose plasmate dall'uomo in vista di certi scopi e significati.
N ci che preesiste materialmente n la conformazione e finalizza-
zione umana possono~-COlsiderati <E"" fattorl~ziali. Quin-
di ci che dal pu.ritoCITVstaOeIIespecie edell';pp~renza non pu
pi essere detto pane o briciole di pane, anche se dal punto di vista
chimico-materiale rappresenta una massa di pane (ad es. una parti-
cola), non pi un sel?Jllo dell'amore di Cristo che si consuma e si
1'ascia consumare. I teologi dell'alta scolastica e del Tridentino, in
quanto figli del loro tempg, hanno inteso la sostanza nel senso ari-
stotelico-Hem~~C<? .. ~~~~~t_dj~~'l.t.l'7.:i~ prj_;,_~~:'i.Jqilta- mk.iia-;tia-
_
lis. Noi oggi la pensiamo, in un senso pi generale e sovratempora-
le, come profondit dell'ente, come nucleo essenziale proprio deHe
cos~L- he_~~.rf:.-1~.J!l!~ duplice funz.ione: anzitutto quella--di so~to
dell'atto __ ()~t?}g_g~~<?__ ~f5>ndamento ~},;!~~ts.!!_n!~..~lle _21_?1.it, e in se-
condo luogo quelfa di loro_ fondal!J.S..t!~__g!!_idc!!tativo det~...!,nte.
Rispetto a ci la forma di apparizione (species) il tessuto degli
accide11ti 1 l'i.tifilem~__c!_~JJ~.....P!QRtle!~ _f~i_g;:h!~ch~ n~ik- -qi:iali si
esprime la na~a, la sostanza. Con i suoi metodi e le sue proble-
matiche la scie;z~;;;raen0n-r;ggiunge-mar iasostanz'8, masol-
tanto i fenomeni, per cui la concezione della sostanza nel senso vi-
sto sopra indipendente dall'immagine del mondo propria delle
scienze della natura. Ma la distinzione tra sostanza e apparenza pu
essere operaJ:a .Qgg~J..iY~m~!~. ~~! J?jE~~i~ li\?e.ro ?'~-~rei~~CLJna
distinzione reale tra sostanza e specie o l'apparizione della sostan-
~--- . --------------------m----'----- --
za in una specie ad essa estranea ncm,__ni;>ta a1~~~ri~~~! ...~_!urale.
E ci perch la sostanza si presenta nella maniera ad essa c~~
e
tU.t:..!!k,.J':{~.JJi~~;estf;--fuv~~-e le -~ostan2'e"d.C1 pane del-vi~ ven-
gono convertit~'"netr''sostanze-defcorpo_e_ <feT-sangue7GesU, ma
il modo di presentarsi come pane e vino da parte degli elementi vie-
ne conservato, sotto di essi ora divengono presenti il corpo e il
sangue di Ges. Gli accidenti del pane e del vino non divengono
accidenti del corpo e del sangue di Cristo, essi quindi rimangono
ed esistono senza un soggetto naturale ( ! ) di inesione, come afferma
il concilio di Costanza (ns rr52); essi secondo la concezione ordi-
EUCARESTIA

naria vengono mantenuti nell'essere direttamente da Dio. Secondo


Tommaso (S. Th. m, q. 77, a. 2) l'estensione, la quantitas dimen-
S1iva, funge da fondamento e da soggetto di inesione per le altre
qualit.
La spiegazione, secondo cui la presenza reale di Cristo avverrebbe
nella cena per modum substiantiae, pu darci un'ampia illustrazio-
ne ontologica di questo modo di presenza. Questa presenza anzi non
sohanto la presenza attuale pneumatico-principale, che si ha anche
negli altri sacramenti, persino nd culto in generale, ma una presen-
za unica, priva di analogie. La caratterizzazione di 'sostanziale' co-
stituisce la differentia specifica dell'eucarestia all'interno dei diversi
modi di presenza di Cristo. L'idea fondamentale qudla deM'iden-
tit degli elementi consacrati con il Cristo corporeo trasfigurato. Na-
turalmente a proposito di questa identit non si possono trascurare
le diversit che esistono tra il modo d'essere sacramentale di Cristo
e quello naturale. Al riguardo Tommaso afferma (S. Th. m, q. 76,
a. 6c): Per Cristo l'es!iere in s (secundum se) non ugual'e all'es-
sere sotto questo sacram~to:con -i'esseresotto -qu~~;~to
viene des4m!~.. 1:1n;:;ef~i~i:i~--(~a~!~1:'.4o_) -~i r_iS,!Q.,..a. questa sacra-
mento.

La presenza di Cristo per modum suhstantiae una chiave per compren-


dere le pecuH~r,U~...$.!!aristiche:
I. Va men:ii"onata anzitutto la totalit di Cristo nel sgcramcnto dell'altare.
dogmiuridentino .c;he il totus a;/~~ ~i "pisent sotto"ognuna delle
due specie e sotto tutte le parti di ogni spie in-se"gultO alla sua divisio-
ne (DS 1653). La ragione teologica ne deduce che Cristo presente nel
la sua integrJ.tl)!! __C>,~_i p~J:.~C:.. __anche prima della divisione (frazione).
Come potrebbe essere diversarriente?-I:atota!tai-Oisto si fonda
sulla presenza sostanziale del suo corpo e delle sue parti legate
tra loro concomitanter; la sostanza regge e determina la totalit di un ente.
2. Il modo di es.o;ere sostanziale implica insieme la non spazialit, la
non-estensibilit e l'incorporeit della presenza di Cristo. Questi, in vir-
t d!'!lla parola consacratrice, legato agli elementi che occupano uno
spazio, esattamente l dove sono essi, ma in e sotto di essi non
in maniera spaziale, e neppure alla maniera di un corpo in miniatura ri-
dotto ad un punto, come pensavano i teologi d'indirizzo cartesiano. Cri-
sto quindi non presente in maniera circoscrittiva, di modo che le par-
ti del suo corpo colmino le parti dello spazio, ma appunto come la so-
stanza, che tota in toto et in omnlbus partibus, senza essere moltipli-
RIFLESSIONE SISTEMATICA

cata. La presenza sostanziale di Cristo paragonabile alla presenza de-


finitiva dell'anima nel corpo, la quale presente nell'intero c-orpo e in
tutte le membra senza moltiplicarsi, senza colmare le parti dello spazio (na-
turalmente l'anima non continua ad esistere in ogni parte dopo la sua
separazione, come invece avviene per Cristo nell'eucarestia). Il corpo di
Cristo diviene presente senza estensione, senza corporeit. I suoi acci-
denti reali, second.o-1'_<!,.~~so (S:_Th. 1.~~!.....9.:_76, a._z1._y~~S2'.!2.._POSti
per modum substa!!_tlae, in quanto sono uniti aTD.ilcleo sostanziale della
natura, quindi potenziafi:iientee-nonM attualmente. 'LaTe'ilicreTCOijio
di Cristo senza es!~nsio.!!_~~~.! corporeit, h~..Y._n'~!!logia nel~a__ pecu-
liarit delle nostre r~resentazioni spirituali: la rappresentazione-pl.a-
.ai
stica di una ~~i:e~T_:__-1!~ c~rafteri_ -~~~~p~llcie, larppreSii-
tazione di una punta non essa stessa appuntita, Ta rappresentazione di
un oggetto rosso vivo non essa stessa rossa. La presenza eucaristica
di Cristo analoga a quella dello spirito e pi affine al suo modo di es-
sere glorioso che a quello storico.
3. Siccome il corpo di Cristo diviene realmente presente soltanto per
modum substantiae, e 0.9.9 con i suoi ac9Q..enti r_<:.ili,___esso non pu es-
sere colwrn:-quaii.to tale. Ess0,-perprte sua, rimane anch-seiizaatti-
vit sensibile. Cr1sto'nons61fre nell'ostia o nel tabernacolo, non prova
dolore e tristezza. La devozione del tabernacolo ha ugualmente il suo
senso come lode, ringraziamento e celebrazione dell'amore redentivo di
Cristo che si manifesta nell'eucarestia, nonch come stimolo per un'unio-
ne personale con Cristo.
4. La presenza reale sostanziale di Cristo rende comprensibile anche la
presenza senza m1:>1tii!k~.E.he" in moltlluog~-:._~-~~:~~~fd. 'l!'sso
in cielo e in tutte le specie che sono state consacrate va1idamente.
La presenza in !!12l~J!:10ghi non .. ~-uE~-~E.t.r~_9dizL~~!....P.9-ic~~. ~l~~~rpo
di Cristo non diventa presente nel suo modo di essere naturile con gli
accidenti, ma soltanto in quello sostanziale-sacramentale. Quest'ultimo
modo di essere - per esprimerci con Tommaso (S. Th. III, q. 76, a. 6c)
- si fonda su una relazione del corpo glorioso con le specie. E ci di-
verr ancora pi chiaro con la descrizione della transustanziazione.
5. Un altro punto concerne la permanenza (permanentia) della presenza
reale s~s.t~.'.!~i~c- !il.<:\~"!~?~~- d~ll.a...!!!~sa_,_ k~ .Yi.r_t~_ope~~~L~~-.~~na _p~.rola
sacramentale, _p_i:onunciata.jr:i .. i:i.on.l~~!i r!!ro, !uv.~s~ t.Qtalm,e~~<:_g!!_ele-
menti e li trasfor~~-.L~dic~!D1~~tE 1 . m_a la~h1Joro la fc?r~a es.te!?.~per
cui ora essi possono fungere da dono che Cristo ci fa affinch lo con-
sumiamo con la bocca. Finch permane questa funzione essi sono anche
il terminus ad quem della relazione eucaristica di Cristo ad essi. Ma se
essi perdono la commestibilit e la virt indicativa cessa anche questa
relazione.
6. Si deve almeno menzionare la adorabilit di Cristo nell'eucarestia, che
370 EUCARESTIA

stata definita esplicitamente dal Tridentino (Ds 1656). Se Cristo


presente realmente e sostanzialmente, egli merita una venerazione divi-
na, che non dovrebbe certamente dimenticare il senso ultimo del sacra-
mento, la p~rtecipazione alla dedizione sacrificale di Cristo.

c. L'attuazione ontica della presenza reale:


la conversione degli elementi conviviali
Il concetto di conversione gi apparso nella sezione precedente a
proposito della indagine sulla presenza reale. Esso non poteva in
alcun modo essere evitato; infatti il pane e il vino non sono il cor-
po e il sangue di Ges n in s n metaforicamente, ma lo divengono
soltanto nell'evento eucaristico. In essi si produce un cambiamento,
una trasformazione. La supposizione di una conversione indispen-
sabile alla sicurezza dell'a presenza reale e nulla va sottolineato pi
del suo fatto. Un'altra questione quella del modo con cui si attua
il processo di conversione. I due aspetti, il fatto della conversione
e il modo con cui si produce, devono essere distinti chiaramente.
aa. Tradizione. Il concetto formal'e di conversione applicato alla
eucarestia compare per la prima volta <:OJDe citazione in Clemente
l\!t:~~~i.no;iw~~- ;[.Aie~santda --a:cei:urs!era mp0rinzasoltanto
con Cirillo.108 Invece nella teologia greca fuori di Alessandria esso
acquis..t~.1.m..g!~:!14e significato all'incirca tra il 350 e il 450, come
dimostra la stessa mdt~piidti dd "iermfur coniioiantria conversio-
ne.10'} Ma l'idea concreta di una conversion~-~~If~~car-;;- molto
tm Exc. ex Tbeodoto 82: GCS nr 132,x2.
108 Per i documenti d. la nota seguente.
109 E"ta~a..m: C1.EMENTI! A1.., Exc. ex Tbeod. &2: GCS m 132,12; Ps.-CrRILLO
Dl GERUS., Cat. myst. 4,2; 5,7: SCbr. 126,136; 154; TEODORO DI MoPs., Frammento su
Mt. 26,26: PG 66,713; TEODORETO, Eranistes, dia!. 1: PG 83,53,57; n PG 83, 168.
~"l'll'llOl.Ei:V: GREGORIO DI NISSA, Or. cat. 37,3: SRAWLEY, 143, x49 s.; TEODORO DI
Mol'S., Frammento su i Cor. 10,3 s.: STAAB, rB6; CIRILLO AL., Frammento su Mt.
26,26: TU 61,2,,; G10VANNI DAMASCENO, De fide ortb. 4,13: PG 94,n45.
Elh.a-"l'avaL: GREGORIO 01 N1ssA, Or. cat. 37,2: SRAWLEY, 147; C1RILLO AL.,
Frammento su Mt. 26,26: TU 61,255.
l1E'tappu~lt;Ew: GIOVANNI CRIS., Hom. de prod. Judae 1,6: PG 49,380.
E'taO"xEvli:t;rn1: G10VANM CRrs., In Mt. hom. 82,5: PG 58,744; GIOVANNI DA.,
MASC., Vita Barlaam: PG 96,1032.
E'tlXO"'tOLXELOuv: GREGORIO DI N1ssA, Or. cat. 37,3: SRA.WLEY, 152.
E-tll7t.aa-a-ew: CrnJLLO At., Frammento su Mt. 26,26: TU 61,255.
Su ci cf. J. BETZ, Eucbaristie, cit., 1/1, 300-318.
RIFLESSIONE SISTEMATICA 371

antica. La sua formulazione pi semplice suona cosl: il pane e il


vino diven!@.Q_~SQl:PQ~~e_Q! ~_1. 110 Anzi, gi in tempi sor-
prendentemente antichi ci si sforza di raggiungere una spiegazione
teologica di questo evento eucaristico. Fondamentale la concezio-
ne secondo cui l'eucarestia sarebbe un'incarnazione anamnestico-sa-
crame.nta!e del Figlio di _:Qjg,, Come noto, q~est'id~-~ gi presen-
te nell'ev~;g~!2~:~f Giov~!!~Ua!].dcul_a__~a__ p_~~- es!? .!1_e,s}_e la
eucarestia come a&.p~ ( 6,5 I), con lo stesso termine con cui aveva de-
fnito__L~~ ine;fnato (~r4), e dall'altra desigquest'Ultuno co-
me H~~ disces.Q_gal cielo (6,42.50), con la stessa espressione con
cui definir 1'~5~_t!_a_l~i.i~.,_Jn J~~l!i.C:?la!~. ~-?..iil_.Y_~<:!l~. ~!!!ta
la linea che va dall'incarnazione al sacramento. In seguito sar Giu-
stino a descrivere in tutta la sua forma il principio eucaristico del-
l'incarnazione.111 c.Om..witffipo Ta Marfa~ cosl ora.tlLOgospren-
de Tcafli e il !!'!!fil!e dal cibo, m_?~nch~eU'assi_o_~p3ziO!,l~~Lnu-
trimento c' una trasformazione del cibo in carne e sangue. In_gue-
sto modo appli;ttonCllrttamente all'ei.icarestia"1fconcetto for-
male di E"l'et~o.Tj, La considerazione dell'eucarestia in base all'incar-
nazi~;~-;~~rr~ l'int~-;_:a teologia greca.112 I~~igirari;mente il:
Logos stessQ era visto come il soggetto e il dispositivo immediato
-~---------..---..-------~
dell'incarnazione, i-~-s~_ito con .~~luzione_A~lla dottrina trinita-
ria come mediatore dell'incarnazione sar visto lo Spirito santo.
Qualcosa di analogo vale anche per l'eucaresa. L'idea di fondo
la seguente: H Logos divino o lo Spirito discende sui doni, li in-
veste, se ne im~ronis~~1(~;~<l;-ciipo-'sangue cffG'Sti."'E in
questo fatt~- ;ien-;-~i~t; iiria-Cciiivrsfone;-aena quTe munente par-
lano esplicitamente lo (Pseudo) Cirillo di Gerusalemme, Gregorio di
Nissa, Giovanni Crisostomo, Teodoro di Mopsuestia, Cirillo di Ales-
sandria, e pi tardi Giovanni Damasceno. 113 La liturgia implora la
conversione nella forma dell'epiclesi, che esprime e sintetizza il sen-
so consa~a~_~r~~ ''mefoolco 'deltmtfa ''pregnieta 'ucatisti. In
maniera esemplare O-{Pseual Cirillo di Gerusalemm-afferma:
Noi implori.amo il Dio misericordioso di inviare lo Spirito santo sui

110 IRENEO, Adv. hacr. V 2,J: S Chr. 153,34.


111 Apol. r 66.
112 Per i documenti cf. J. BP.TZ, Et1charistie, cit., 1/1, 267-300.
m P~ssi documentari pi sopra a nota 109.
F.UCARESTI A
37 2

doni affinch trasformi il pane nel corpo d L.risto e il vino nel san-
gue di Cristo; infatti ci che lo Spirito santo tocca per principio
consacrato e trasformato. 114
La concezione fondamentale greca della conversione, che qui vie-
ne in luce, 1'a seguente: Di~~n.fle j doni ~ffertiL li fa Eoi, li
compe~a, li inserisce nel Lo~, li rende corpo e sangue di Ges.
A ci, da -parte dell'uomo:-cr,rrisi>nde -'offerta--dei donT nella pro-
spho!A, la preghier~--~~loro accettazio~~-p.ell'~iclesi e nell'eu-
charistia. L'aspetto fondamentale dlla conversione quindi l'ap-
propriazione _dei d_q!}i da parte di_pio, il cambio di .E!_opriet, 115 che
comporta che le cose vengano dominate da un nuovo potere e ri-
cevano_~~ ~!._~SE _U!1~-~l!OVa potenzj~. La natura delle cose e il
loro mutamento non veniva visto filosoficamente, ma Rrimariamente
in rn!lP.!~.!!__din~ic~~-_fu-~~E.!lle. Era inoltre prevalente l'interro-
gativo su_ ci che _in_ ultima_ analisi deteneva, possedeva e infor-
mava 1!._c_~ Proprio quest; ~s};etto -offriva un .
adeguato -p;;to di
partenza per la comprensione dell'eucarestia. Se si spinge fino in
fondo l'interrogazione per sapere a chi in ultima analisi appartenga
una cosa ci si incontra con il problema della sostanza. La conver-
sione eucaristica si fonda sul fatto che le offerte non appartengono
pi a se stesse, ma al Logos, e ci nella maniera pi intensa, e nel
Logos hanno anche la loro sussistenza. Questo punto stato messo
in lu$_~.2e!l!!!!!tt.Q_ da Q@o ili. Al'e~~!!ndria_. Egli ricoEduce la di-
gnit e l'efficacia dell'eucarestia in molti luoghi al fatto che essa
iola. aap~ del Logos, la carne che questi si fatta propria. 116 Egli
usa anche la formula secondo cui l'eulogia unita "lta.it'\nt6a't'a.a~v
con il Logos. 11q Alla fine dell'et pa~ristica Giovanni Damasceno
esprime ancora la sintesi greca di incarnazione e conversione sacra-
mentale: Il corpo (euc,aristico) veramente unito alla divinit,
quel corpo nato daUa vergine, e ci non perch il corpo asceso in
cielo vi ridiscenda nuovamente, ma perch il pane e il vino vengo-

114 Cat. mys/. 5,7: S Chr. 126,154.


ll5 I verbi di trasformazione E-ra~tH).nv e t-ranol.f~V rivelano anche in cam-
po profano reciprocit e interscambiabilit.
116 loto1tOl.f:~crllat: Comm. in Le. 22,19: PG 72,908 o 912.
117 Contra Nestor. r prooem.: ACO 1 r,6, 15,37. Similmente MAaco EREMITA,
Adv. Neslormos 2 _1: J. KuRZE, Marcus Eremita (I 895 ), 24,17 s.
RIFLESSIONI! SISTEMATICA
373

no trasformati nel corpo e nel sangue di Dio. Ma se chiedi come


e in che modo ci avvenga, ti basti sapere questo: ci avviene per
opera dello Spirito santo, allo stesso modo che per opera dello Spi-
rito santo il Signore ha assunto per s e in s daHa santa vergine
un'esistenza nella carne.118 In un altro testo il sacramento dell'al-
tare viene detto il corpo e il sangue di Cristo uniti ipostaticamente
alla divini t. 119
La dottrina greca della conversione ha dei vantaggi indiscutibili.
Anzitutto il suo chiaro postulato teocentrico: Dio stesso _trasforma
i doni, assumendoli e unendoli al Logos. In quanto poi l'evento della
conversione viene inteso come un'incarnazione sacramentale, esso ri-
mane inserito nella visione globale anamnestico-storico-salvifica del
sacramento. Tale evento - e questo il terzo vantaggio - non si
produce immediatamente e miracolosamente, ma si sviluppa orS!lni-
camente lun__@_ il corso dell'azione: l'assunzione delle offerte da par-
te di Dio la sua risposta positiva alla nostra oblazione compiuta
con la prosphora e l'epiclesi. La concezione greca della conversio-
ne, infine, colloca l'essere degli elementi al posto giusto, nella loro
relazione intima con Dio. Certamente fu patnsuca greca non dice
che l'intera natura o la sostanza degli elementi viene trasformata.
Essa cio non si posta formalmente il problema di sapere in che
cosa consista questa natura e la sostanza, si piuttosto accontentata
di una considerazione quotidiana, dinamica e funzionale ed ha te-
nuto presenti gli effetti dei doni consacrati, la loro virt diviniz-
zatrice. Ma con la sua concezione fondamentale, secondo cui la con-
versione sarebbe un'assunzione incarnatoria degli elementi da parte
del Logos, essa ha colto un postulato giusto, anzi decisivo, in base
al quale diviene comprensibile anche la conversione dell'intera na-
tura reale degli el'ementi.
In occidente il difensore eloquente ~!Ila _c()~v.c:_rsi_()~~ _4_gs>stino, 120
che la menzionicomequakosa-dl noto. Al riguardo egli usa un ric-
co voc~bfarf~ -si-serie af concetti pi semplici come esse, #,eri,
cfficere, conficere, e di quelli specifici come mutare, convertere e Iran-

118 De fide orth. 4,13: PG 94,1141.


11 9 De imaginibus 3,26: PG 94, 1348.
120 G. G. SF.GAI.LA, 'La conversione eucaristica in S. Amhrogio', in Studia Pata
vina 14 ( 1967) 3-55, 161-203.
EUCAllESTlA
374

sfigurare. 121 La trasformazione dei doni spiegata semplicemente con


1- fo~qtrice d~_.Rprola d.Lcmtp, la quale pensa quello che di-
ce, e fonda il corpo e il sangue di Cristo quali realt, cui aderisce
fermamente la fede. Siccome essa crea ci che non , pu anche tra-
sformare in qualcosa d'altro ci che gi esiste, 122 pu mutare le spe-
cies e le nature degli dementi. 123 Con queste affermazioni per
ribadita_s_oltMtQ_J~os~~e. ~e:lla ..tillQY!l J_~, ma non viene de-
scritto pi esattameDJ,e_JJ. ~uo divenire, non si parla ad esempio di
una conversione--ontologka. cl<::J.fes~~a:-Perl~Cp--;r. importante
il fatto che noi riceviamo la gr~7 e la forza della (nuova) natura.124
Anche Ambrogio ha ancora un concetto piuttosto funzionale e dina-
mico della cosa. Il suo metabolismo sottolinea il fatto, ma non d
ancora un'esau.a spiegazione del modo della conversione. Un impor-
tante testimone nella storia dell'idea di conversione un testo tra-
mandatoci sotto nomi diversi, ma che deve essere attribuito a Fau-
sto di Riez. Secondo questo autore Cristo in quanto sacerdote tra-
sform~_e!l]_~_il vino .~eN~~~~-~~1 . ~io neJla :realt del corpo
e del..sangue di Cristo. 125 Si tratta di un mutare in melius, parago-
nabile alla~~- dell~~OmQ....P!!?Otta __<:l:~L~E~simo. 131 La
conversione eucaristica anche qui quindi viene considerata preva-
lentemente come una elevazione e un arricchimento mediante la
virtus divina. Essa ha come conseguenza il fatto che il corpo di
Cristo viene ricevuto intero in ogni parte da ciascun comunicando.127
Chi afferma con tanta energia, come fa Pascasio Radberto, l'iden-
tit_d.d corpo sacramentak di_ Ges con__guello naturale, dovr ri-
corrc:.!:~_!!1che ill'idca di mmrersione. 121 Egli per non va Oltre il
~~~9.9.E~mo. Il suo avversario R.atramno analizza i possibili modi
di conversione, cio il passaggio dal non essere all'essere, e dall'es-

12 1 Testi principali per mutare: Sacr. .5,4,15,16,17; 6,1,3; Myst. 9,50,52; con-
vertere: Sacr. 4,5,23; 6,r,3; Myst. 9,52; transfigurare: De /ide IV ro,124; De
incorn. 4,2 3.
122 Myst. 9,52: CSEL 73,r12.
121 Sacr. 6,r,3: CSEL 73,72 s.
124 Ibid.: CSEL 73,n.
!25 Ps. GEROLAMO, Ep. 38,2: PL 30,272; cf. PL 67,10_52 ss.-1056; PL 82,1225-1228.
1.26 Ibid.: PL 30,275.
121 Ibid.: PL 30,273.
128 Liber de corpore et sanguine Domini 8,2: PL 120,1287 C; 20,2: PL 120,
1330C.
RIFLESSIONE SlSTl!MAnCA
375

sere al non essere e dall'essere all'essere. 129 Egli .ammette una conver-
sione ~ll'eucaresti (cap. 25), che per DOA toi;ca la ~so:nanza~ la
realt fisica delle cose create, ma equivale al sopraggiungere di una
virtus segreta.V'' L'eucarestia_Lil_fQ!J>O di Ci:i_~~ in sp'!._cj!2_!ed in
virtute. 131 Lo stimolo decisivo ad una pi esatta determinazione della
cruwersione proviene da Berengario. Oltre alla presenza reale egli nega
anche l!!.._!~~ reale degli elementi, la quale s~oncfoui
comporterebbe l'annientamento del pane e del vino, il che contrasta
con la bont di Dio come pure con l'apparenza, equivatrebbe inoltre
a un nuovo divenire del QOrpo di Cristo, il che impossibile. Beren-
gario -~~~~?.!!~~Elli!.. trasformazione del significato degl~le
menti, in quanto essi divengono simbolo del corpo e del sangue di
Cristo. 132 Il compito di sQiegare in mani~a lo_g!ca sodisfacen_E,:_ la
identit, a~~~ita ~~~--f~~dc:L~.orpq euf~~-s_t_i~~i-~!.~t_?_ ~.....21el
lo naturale, veniva assolto ammettendo una conversione della sostan-
za degli elementi nella sostanza del corpo reale di Cristo. Lanfranco
e Guitmondo di Aversa furono i pionieri di questa idea. --La trasir-
mazione non-rguarda.'apparenza estetn;-(species), 7neppure sem-
plicemente la vitJ:Q..i!i$E.!1a, ma ~~ci?~~it_ !:fl.~ri~~-~~l!!Pirica
deV..'..~~e. Ora si imponeva la soluzione di due problemi, la cui
storia abbiamo gi delineato: che cosa viene trasformat2z_ che cosa
la_ .S.!>!tanza che si trasforma? E -~e pr(x;de la m~fo;;azione,
che cosa ~u~-~~~e agli elementi terreni? La risposta alla prima doman-
da si muove sulla linea del concetto di sostanza che sta alla base. La
prima corr~n~,_rappresentata da-~etro_ c6nt9.r~J~--=~l~.!~~sa la
sost~I_!~ nel__~_!!J?Eor!_~ dell~ qualit, concepisce conseguentemente la
transustanziazione Come trasformazione soltanto del sostrato mate-
ri~J~1 rimanend~ conservata la forma sost~~1e- quafil es-
senziali. m Qu~~~~ione parziale viene soppiantata dall'altra con-
cezione, che viene introdotta da Alano di Lilla e considera la sostan-
za come uoiti__J[Pia~~i~~~)2~-a: ~--qci~d1--ia-trii:s~st:i'n2iazione
come trasform~i()l!~ d~~!~i!.l!_t:!a ~n~it~. S_?st~n~ale, cio del soggetto

IZ9 De corpore et sanguine Domini 12: PL 121,132 B.


130 lbid, 54: PL Y2I, 148 s.
131 lbid. 56: PL 121, 150.
132 Cf. J.R. GEISF.LMANN, Eucharisticlehre der Vorscho/rHtik, cit., 292 ss.
133 H. JoRJSSEN, Die Entfaltung der Transsubstantiationslehre, cit., 156.
EUCAR.EsnA

di J. Bayma, che costruiva una transustanziazione degli elementi


senza conversione della loro natura (DS 3122 ss.). e quella di A. Ro-
sminiTns-)229~".) vengono respinte. Nell'enciclica Humani generis
Pio XII prende le difese ddla transustanziazione contro chi l'accusa
di essere, .imtiquat~- o.~ ~o~til~_!n-~er_9~~}ii;LiiQI.Q'cos 389); nel-
l'enciclica Mysterium fidei Paolo VI la difende contro la riduzione a
semE!ice transignifcazione.139 La commissione cardinalizia incaricata
di es~~fuare-Irt'ateChSmo olandese vede proprio nella transustan-
ziazione ontka il fond~en~?. p~--~!~~~igni_ficazione degli elemen-
ti in Cristo.140
-~---

cc. Illustrazione sistematica. Alla dogmatica spetta il compito di


difendere il patrimonio rivelato e di dischiuderlo alla comprensione
ddla fede di oggi. Ora la conversione sostanziale degli elementi non
a~ata esplicitaf!l~~e nella Scrittura; essa per non -Oiente al-
tro che uno sviluppo ontologico necessario e un consolidamento delle
parole dell'istituzlOil~ secondo cui ci die -viene offerto sarebbe il
corpo di Ges, e quindi, in ultima analisi, non pi del semplice pane
ma realmente il corpo di Cristo, pur nella conservazione della figura
esterna del pane. L'affermazione fondamentale della transustanzia-
zione 141 quindi _l!__semplice_interpretazioJ!e ddla parola di Dio,
un dogma e quindi un1,1_~~it__ <:h~_!!9.!1 _p~~.~sere-n~~lim~!!!'-ta n
.attenuata. Ma questo diritto vale sol'9__per il fa!!_O_~e~-~~sione.
l:a corrente spiegazione filosofica e teologica del suo modo preciso
non~vanzare lo stesso diritto, essa rivela anzi delle consistenti
variazioni di opini~;~-~wa~tiene'llonaf'"campodel~dogma ma a
quello della speculazione, che tanto vale quanto valgono le sue r~
gioni.
I concetti di sostanza e, quindi anche, di transustanziazione con-
cernono la profondit dell'essere del _eane e del vino. Questi elemen-
ti no.n-;;;~-cert~~~~t;; '.tiie ~o~t~~e--n~ sd;;;;-61~sofoo-naturale o
scientifico di ens per se et in se, ma degli agglomerati accidentali;
essi per non sono neppure semplicemente delle sostanze nel senso

ll9 AAS 57 (1965) 766.


140 Ergiini.unK zur Glaubensverkiindigun1: fiir Erwachsene, Freiburg 1970, p. I r.
141 Su ci cf_ K. RAHNER, 'La presenza di Cristo nel sacramento della cena del
Signore', in: Saggi sui sacramenti e sulla escatologia, Roma 1965, 173-217, spec.
209 ss.
RIPLESSIONE SISTEMAnCA 379

puramente. .Ulantropologico di relazione e finalizzazione. Essi devono


piuttosto essere presi come M'unit di sensOCOIDp_atta, formata di
qualcosa di fisicamente preesistente e <:li una elaborazione umana.
Queste unit di senso vengono sottoposte ad una considerazione
metafi~jca, in cui viene di~ un nucleo essenziale"hene deter-
mina l'esistenza e il modo di essere. La conversione si riferisce a
questo nucleo C:~~1.:':~~!<:21.1etempiric<:o_ ch~_E_?ssi~~-~_lpam~~
stanza, e non semplicementa!Fambito funzionale di determinazioni
umane del fine. Naturalmente il concetto di sostanza, e di conse-
guenza anche quello di transustanziazione, oggi non conosce pi~ un
uso upiv..Qeq,na semmiJisogno di ~piegHioni; non facile dire se
di fronte all'importanza di un'espressione unitaria e continua della
fede lo si possa sostituire. ,Pi chiaro sarebbe il concetto greco di
E"rouO"lWO'Lt;, cui corrisponde il latino transessentiatio (Schillebeeckx:
t~ La lingua tedesca disp0;; del'ottimo vocaholb Wesen-
swandel (trasformazione essenziale).
Lo spirito indagatore non si arresta al fatto della conversione; es-
so si interroga-anClleSUis.!lo m<i4~_c;--~~,suecoiidZoni ~_ES?ssibi
lir. Il passato ha tentato di illustrare teologicamente e ontologica-
mente anch~-~~.8-!<?...~~o. Tenendo presenti la natura e ilpotere di
Dio la ragione credentenon considerer la conversione eucaristica
soltanto ome una successione di -~atiTssere-paiie--=essere--cof"poJ,
n molto ;eno come una annichilazione delle sostanze terrene, ma
piuttosto COine un evento interiormente coerente, orDeliii traslazio-
ne diretta delle sostanze naturali in quelle del corpo e del sangue di
Cristo, come una conversio positiva. Inoltre la speculazione ha illu-
strato il P.!~<;ssu;ll.!~!9.~ustanziazione..<Jal ..ltuntp_ di vis~_ckL~mo
di_~to. Gli uni, come Giovanni Duns Scoto, R. Bellarmino e G.B.
de Lugo, spiegano l'evento COII.!~_ll!l'addu~!_o_~.itl_~.T_O_g!ori~ di
Cristo, senza tuttavia un cambiamento di luogo. Ma un'adduzione
senz~-cambfamenticfluogo" non n11-ronlo una costruzione utile,
poich ha bisogno di altri interventi. In particolare questa tesi non
tiene presente l'intima connessione tra il pane e il corpo, tra il vino
e il sangue. Questa connessione sottolineata in particolare da una
seconda teoria, rappresentata da dei tomisti come F. Suar~, L. Les-
o
so e F. Fr~m~ii-n.' Essa ammette unagenerRoiie. pr~duzione (pro-
ductio fd~Crorpo di Cristo dal pane o anche, in quanto questi pre-
EUCARESTIA

esiste, una rigenerazione o riproduzione (reproductio). Questo modo


di parlare ingenera disagio, sa di ripeciziqne dell'incarnazione, non
mette in chiaro il rapporto con il corpo celeste, si tratta insomma di
una teoria che non soddisfa. Contro queste due opinioni si pu an-
che obiettare che esse vedono originare troppo poco organicamente
la transustanziazione dall'evento sacramentale globale.
Ma la critl~;da ~~l;~~-b~~ta~- .Afi; d;;;i-;tica rimane anche sem-
pre il compito di offrire degli aiuti per la comprensione della fede.
Perci vogliamo tentare di. ilfU:sffare aricora.un poOTatr;;'ustan-
ziazione e magari renderla un po' pi com~~C:!l.sibile. Nel fare que-
sto non pe~corr.eremo.delle.Vie-fuoraTs;ote m~ risaliremo alle in-
tenzioni della grande tradizione orientale e occidentale, ricalchere-
mo pf~oi-t~m~~~-~- _c~~i:~~Jl.gee . iTe:r~).mpgir~-~na sintesi. La
peculiarit e la novit della tradizione scolastica sta nella convinzio-
ne che il sacramento significhi__!'.!4_entit~tanzial~s.9.!l il coreo e il
sangue di Ges e che q.ui::sta unit si fondi su una conversion<=_ degli
elementi nella profondit ddlo;~ essere, su ~;;:aConversion;~ntica
e non soltanto dinamica. Questo fatto creduto---;wunque, in Occi-
dente vie!}~ proclamato con maggiore chiarezza. Ma come debba es-
sere spiegata la conversione degH-eiementi, la teologia scolastica ce
lo .dice in maniera insoddisfacente. A questo proposito la patristica
greca .~.!J.Q..J?tincip__io~caristico ?ell'in~~zione ci offre l'ag-
Sll!t5;io, il _comPlemento e la giustifirazjope sospitati. L'evento euca-
risticq~.J!!l~.t.ufil.i?.~azione anamnestica del.l.'~.fil_g_.in__!l~torio, nel
quale bi!. il _S..1:!2-:!!lodell.Q...~!P.licativo. Nella sua incarnazione il Logos.
assume una natura umana ~-;~1;~ende talmente propria che essa
non esiste in un'autonomia personale naturale, ma ha nel Logos il
suo 'fondamento "<li;ussis~za, &~~~~ ~kne mantenuta nella rela-
zione e nell'unit Ipostatica, diventa il suo sacramento, il suo modo
di manifestazione. Ora l'eucarestia rappresenta un ricordo e un'ana-
l~_g9_ti9-alxii'j_j.Qi ciQ.,_In essa infatti il Logos, ne~ ricordo della

--
sua umanit, assume -i _d.Qnj_ ~~ri.fiali ..P!~~~Dt.atLe Qti!:;n.La Dio, si
appropria anch~_,di essi in maniera talmente intima che essi cessano
di essere degli enti"creitf au1~~2.D!i . iit ciIVntarirsuo-s-acramento,
il modo anamnes"i:ico-df'ffi;nifestazione del suo corpo e del suo san-
gue, anzi per diventare addirittura in manier;t sostanziale il suo cor
po e il suo sangue. Alla base deHa conversione sta quindi una parti-
RIFLESSIONI! SISTEMATICA

colare appropriazione, una presa di possesso da parte di Cristo par-


ticolarmente intensa. Quest'idea connotata gi dal significato gene-
rale dei termini greci di trasformazione e't'a.~a..m1 e e't'a.1toLei:v,
risuona nell'epiclesi, viene suffragata dalle affermazioni patristiche
che descrivono in maniera incarnatoria l'eucarestia, viene messa in
luce soprattutto da Cirill'O di Alessandria e Giovanni Damasceno, l
dove parlano di un'unione ipostatica del corpo eucaristico di Cristo
con il Logos. 142 Quest'idea attestata in forma deprecativa, e in ma-
niera molto chiara ed energica nelle antiche preghiere del canone ro-
mano Quam oblationem ... benedictam, adscriptam, ratam, rationa-
bilem acceptabilemque facere digneris e (Quae) digneris accepta
habere.
Infatti che jJ_ Logos assuma e faccia suoi i doni, tradotto in lin-
guaggio ontologico, signifi.ca-clieesso li roglieneflororiuC:Teoessen-
ziale, e~-S'sTia su suss1stenza;Ifnisce sostanziafiDeite a
s, li -~~~~~rva~"JIIost_~~iD.lil~e essi perdo?o la_,!~ sussi-
stenza, si fondano su di esso, diventano anzi sostanzialmente irsuo
corpo e il suo sangue. In quanto cose c;l_<.;lla creaziOJ?-S..E:~!!!!!l1~ Dio Ii
ha pe!:'!~!l~i.l.._!._e;fil:h_JI~lti d_! . e .s!!~!lJ!L nella_lo~?- S(Jstanzialit. Ora
inv~, in quanto vengono offerti a lui in memoria delf'~blazione sa-
crificai~-~~} Fi@2~l1~.!..Pio__.!!: assum!_ e l~J?_~~~- in~~~~~!:_al_fi~o
suo, mediante lo Spirito santo li unisce a lui ipostaticamente. Dio
inoltre continua a sostenere le specie, la sua attivit conservatrice
viene elevata e trasfigurata dall'atto sussistente del Logos, di modo
che la consacrazione non un'.annientamento bensl un'elevazione e
trasfigurazione delle sostanze naturali. La sostanza degli elementi
quindi vie[l_~-~~!t~ ~1:1~i_t1;.1!t_?_.~~!!1~. e_~r~t_ri~~~<;i~d~!E~n_!_o__ _~Q:S.!~iale
deit~uo ~~toJqgk_c;i,.__Cos la conversione si presenta essenzialmente co-
me u~-~-~uova relazione~- e-pre~is~~te 'com~ rehizione .ipostatica del
Logos ai doni. Poich il Logos, con lo stesso atto sostanziale con cui
avvolge e sostiene 1'a sua natura umana, avvolge e sostiene anche i
doni sacrificali, questi ultimi si identificano con il suo corpo e il suo
sangue. Il mutamento nella sussistenza si estende a trasformazione
della sostanza. L'idea di vedere l'eucarestia come una relazione non
nuova. In S. Th. m, q. 76, a. 6 (q e ad 3) Tommaso considera il

142 Testi citati pi sopra alle pp. 267 s., 275.


EUCARESTIA

sacramento come habitudo Christi alle specie, mentre Durando di


Saint Pourain parla di presenza relazionale. Nel sec. XIX i dogmatici
Giovanni Ferrone e Alberto Knoll 143 hanno spiegato la transustan-
ziazione ess!'!.@i:'!l!l:i~nte come _una ~e_Ja~ione.
Solo che a questo plii:O sorge un dubbio: questa unione ipostati-
ca tra.. il Lo&.~[ J!...P.~~- npn _~q!y~J~_fai:s.e_ .;lll'Jm2!!naz~!1llSOnsu
stanziazione, ad una dott.i;ina cio che stata respinta dalla Chiesa?
In realt i teologi, che si s~~~-mossT in questa dirZi~ne;-~~;;;~ Gio-
vanni Quidort di Parigi, Wyclif, Lutero, Osiandro, e infine lo stesso
Bayma, lungi dall'essere approvati dalla Chiesa ne hanno conosciuto
il rifiuto. E a ragione. Infatti la semplice impanazione e la semplice
unione. iP.Q~t~tk!L~~g!L~le_1P:~~~-E'?.n HJ-&.&Qs. Q.. l,l!la_ ~!!~~e, che
raggiunsa_s_o.h_?P:~C>. t~:!:~~-i~ s_e, 144 rappresentano soltanto una trasfor-
mazione particolare, ma non_ .li! .trasformazione tota/,e delle sostanze
terrene,_ p_q~~lata dalla fede e definita dal T~id~ti~~~1-;;;~alcl la so-
stanza viene ~it~--e- m~tata-non- soltanto in qu;nto la portatrice
dell'a sostanza e delle qualit, ma anche in quanto il fondamento
determinante dell'essere particolare degli elementi. Dio opera una
trasform~ione_~t9~~k ...d~~~~!l...Q!,1.!._Jimimd9 .~.!!~J~~~~-J~ppa
renza ester1:1~.. .o_pera..cia_una_t~sf:s.~t;tzNa!i,o.
Ora in questa visione viene salvato anche il postulato, oggi cosl
fortemente accentuato, deU'incontro personale tra Dio e l'uomo. 145
------~~--
Qui la conversione degli elementi non" ii.'V:Vieiie 'immedatamente e mi-
racolosamente, ma si prQ.dye. _Q.!8.fil:ljcament~!!._el__C:Q!l~~!.2...4~11' even-
tQ..... Essa -~ J~~~1~_gi_~!<2._~ll'offer!a ,.Q!:glLY<>Jll..J.ni, l'accettazione
dei donL~:fa .p~_PJC>_d9po .h~. quest.Lson.Q. l!tllti ofJeJJL4JtJrli.'!:l:C>~ini.

143 G. FERRONE, Praelectones theologicae, Roma 1835 ss.; A. KNOLL, Institutio-


ner theol. theoreticae, Torino 2 1893 s.
144 C..osl J. Bayma, DS 3122.
145 In vista di un superamento della trattazione puramente statico-oggettiva della
trasustanziazionc in fovore di una. rrcsenza pi personale si fmpegnii\o1. GALOT,
'La thologie de la prsence eucharistlqlie', in: NRTh 85-(r<)63}"i9:::29; J.R. SoNNEN,
'Ncubcsinnung auf die Eucharistie als Sakrament', in: Kath. Dl. 90 (1965) 490-501;
L. SMITS, Vragen rondom de Eucharistie, Roermond 1965; E. GUTWENGER, 'Das
Geheimnis dcr Gegenwart Christi in der Eucharistie', in: ZKTh 88 (1966) 185-197;
J. RATZINGF.R, 'Das Problem der Transsubstantiation und dic Frage nach dem Sinn
der Eucharistie', in: ThQ 147 (1967) 12\)-158; W. BEINERT, 'Die Enzyklika Myrte-
rium /idei und ncuere Auffassungen iiber die Eucharistie', in: ThQ 147 (1967),
159-176; O. PESCH, 'Wirklichc Gegenwart Christi', in: Wort und Antwort 8 (1967)
78-83; O. SEMMELROTH, Eucharistische Wandlu11g, Kevelaer 1967.
RIFLESSlONE SISTEMATICA

I doni stessi sono, da una parte, l'espressione della dedizione umana


a Dio, ma nel ri~rdo d~~-~~~!()~~--w~s; e;;1-~r"J;oi.vengo
no presCd.a "blo e trasformati in uno strumento della sua dedizione
a noi, della sua unione con noi. In tal modo essi diventano lo stru-
mento d~~:~~~~?t_r,?;;;S~~~l:.=~~])~g-~ x~o_Ill~L subendo COSl un
cambiamento di significato. Dio coglie i doni a una tale profondit
e li tras.f.atm!. cosl radicalmente che essi non ricevono soltanto un
nUO"._Q_~gp.i_ficat~:-~~--~~~~~;oes.sete--SOStanzta1e ...L'i~~egabil~- tran-
significaz._i().1:,1~- ~i .s2~ti-~~!1..~~-g~su~ta~i~i_~~ _o_;}gc~i...fQ~~ ~e
st'ultima avviene a motivo deN.a prima.
In virt del suo contenuto l'eucarestia la sintesi del cristianesi-
mo, il d?~~-~1!1P~.!~_1'.1Jt~.l?ile _li _,ri.~!~Le .imieme..~.saudln).e~to ~t
teso ~=-~~_,Pi_~i:-~f~.tl~~--8.fP..~!!zioaj .Y.!11~_!!,e. Essa ci unisce corporal-
mente a Cristo, per suo mezzo ci porta al Padre, ma anche al pros-
simo, anzi a noi stessi.
In quanto co~~~~--5-~!a~~~~~)-~--:~~-~-~.... J~~<:?.?.t!?... Pi~_il!!imo
con Cristo. Questi diviene una cosa sola con noi in un modo impos-
sihil~tr-; gli uomini, in un modo che al massimo trova una certa ana-
logia nell'unione sponsale. La cena la ripetizione anamnestica del-
l'oblazione di Ges Cristo sulla croce per noi. Questa oblazione egli
ce hl p~n~- nii~--manCaffiD'cl;T~i .pr~ndi~;o parte e veniamo coin-
volti nel suo passaggio al Padre. Nella comunione la nostra parteci-
pazione al sacrificio raggiunge il suo culmine: essa ci porta davanti
al Padre, ii ~h~ -~;;~'ti~T~~ 'if fine. vero e-ultimo df'ogni trascilen-
.
za umana. bi~ -n~~- rimn~ n-lia -~;;; . }o"'nt;~~nz; 'j~~~ce~~ibife'ma ci
si avvicina nel Cristo eucaristico'. L'eucarestia asseconda cosl la no-
stra aspirazione all'Assoluto. Ma insieme ci porta anche verso il pros-
simo e in tal modo asseconda il nostro essere-con gli altri. Essa ci
porta anzitutto a. G~~,li, -~ll'l]()l_JlO e~~giplare, nd quale essere ed agi-
re formano una cosa sola, ci porta al T~ ~~-~ohi.tam'i1i:e :illato, verso
il qual~ ;;f lnc~nsd~nicnt siamo sempre in cammino. M; nsiex'u-; ci
fa attenti ai fratelli. Essa stessa, nella sua essenza, attuazione della
comunione dcl corpo di Cristo che la Chiesa, realizza e attualizza il
legame di tutti in Cristo e tra. di loro e ci abilita ad una fraternit e
ad un amore del prossimo pili elevati.
L'eucarestia inoltre tiene conto della nostra immersione nel mon-
do, del nostro essere-con-le-cose. Essa porta alla salvezza il mondo e
EUCARESTIA

le cose. Le cose materiali di cui abbiamo bisogno tutti i giorni diven-


tano il modo di manifestarsi di Cristo, diventano strumenti di sal-
vezza. Esse subiscono una trasfigurazione e fanno comprendere che la
piena redenzione non consiste nell'eliminazione, ma nella glorifica-
zione del mondo.
Con tutto ci l'eucarestia ci abilita ad uno svolgimento autentico
dell'esistenza e ci riporta a noi stessi. Se oggi, in base all'attuale ana-
lisi esistenziale, l'esistenza si concepisce come un Sentirsi-donata,
allora la realizzazione atniva dell'eucarestia proprio l'attuazione
giusta e autentica dell'esistenza, do il comportamento di una
persona che ha ricevuto un grande dono. Nell'eucarestia l'uomo ri-
ceve l'esistenza e i doni della creazione; egli riceve, e ci ancora pi
importante, il dono della redenzione in Ges Cristo. Prende parte
attivamente all'oblazione di Cristo, la quale lo conduce a Dio. Nel-
l'eucarestia diviene manifesta la legge fondamentale di ogni essere,
la legge dell'origine da Dio e del ritorno a Dio.
L'eucarestia si rivela pertanto la sintesi del cristianesimo. Essa
rimane un mistero, la cui pienezza e ricchezza non ci dato di scan-
dagliare. Esso ci viene dischiuso nella misura in cui vi prestiamo at-
tenzione, vi meditiamo con perseveranza e vi partecipiamo attiva-
mente.
JOHANNES BETZ
BIBLicx:;RAFIA

Oltre alle opere citate nel testo ricordiamo anche la seguente biblio-
grafia:

I. Opere generali

I. Enciclopedia eucaristica, Milano 1964.


BIFFI,
J.A. }UNGMANN, Missarum Sollemnia, Torino.
- , Messe im Gottesvolk, Freiburg 1970.
A. P10LANTI (a cura), Eucarestia, Roma 1957.
Pro mundi vita. (Miscellanea edita dalla Facolt teologica di Monaco),
Miinchen 1960.

2. Opere di teologia biblica

E.J. KILMARTIN, The Eucharist in the Primitive Church, Englewood


Cllils 1965.
B. SANDVlK, Das Kommen des Remi beim Abendmahl im Neuen Testa-
ment, Ziirich 1970.
H. ScHURMANN, Der Paschamahlbericht Lk 22, (7-14) i5-18, Miinster
1953.
- , Der Einsetzungsbericht Lk 22,19-20, Miinster 1955.

3. Opere di storia del dogma

P. BATIFFOL, L'Euchartistie. La prsence relle et la transsubstantiation,


Paris 51913.
J. BETZ, Die Eucharistie in der Zeit der griechischen Viter, I/i: Die
Aktualprisenz der Person und des Heilswerkes ]esu im Abendmahl
nach der vorephesinischen griechischen Patrl.stik, Freiburg 1955; II/1:
Die Realpriisenz des Leibes und Blutes ]esu im Abendmahl nach dem
Neuen Testament, Freiburg 21964.
K. BoECKL, Die Eucharistielehre der deutschen Mystiker des Mittelalters,
Freiburg 1924.
S. BoNANO, The Concept of Substance and the Development of Eucha-
ristJc Teaching in the 13th Century, Washington 1960.
P. BROWE, Die Verehrung der Eucharistie im Mittelalter, Roma 21967.
Convivium Dominicum, Catania 1959.
BIBLIOGIAFIA

M. MACCARONE, 'lnnoenzo m teologo dell'eucarestia', in Divinitas 10


(1966), 362-412.
W. MASSA, Die Eucharirtiepredigt am Vorabend des Mittelalters, Sieg-
burg 1966.
B. NEUNHEUSER, 'Eucharistie in Mittelalter und Neuzei.t', in: HDG
IV/ 4b, Freiburg 1963.
G. RAusCHEN, Eucharistie und Busssakrament in den ersten sechs ]ahrhun-
derten der Kirche, Freiburg 21910.
F.S. Rma, Die Gescbichte des Messopferbegriffs I-II, Freising 1901/1902.
]. SOLANO, Textos eucaristicos primitivos I-II, Madrid 19,2/54.
E. STEITZ, 'Die Abendmahlslchre dcr gricchischcn Kirche in ihrcr ge-
schichtlichcn Entwicklung', in: JahrbUcher fiir Deutsche Theologie 9
(1864), 409-481; IO (1865) 64-152; 399-463; Il. (1866) 193-253;
I2 (1867) 211-286.
A. SnuCKMANN, Die Gegenwart Christi in der hl. Eucharistk nach ...
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A. WINKLHOFER, Eucharistie als Osterfeier, Frankfurt 1964.
CAPITOLO OTTAVO

FORME DI ESISTENZA E MINISTERI ECCLESIALI

Compito di questo capitolo riflettere pi in profondit sulla Chie-


sa, ora colta nelle sue articolazioni. La differenza tra i diversi stati
di vita, assunta come principio espositivo, viene analizzata e rela-
tivizzata nella sezione fondamentale che ha per tema: La Chiesa
come luogo di una multiforme esistenza cristiana. La tematica del-
le singole sezioni risponde ampiamente, del resto, a quella trattata
nei capitoli della Lumen gentium, per quanto diverso sia l'ordine in
cui i problemi vengono affrontati. Le enunciazioni fondamentali sul-
.la Chiesa popolo di Dio sono gi contenute nei capitoli dedicati al-
l'ecclesiologia dell'Antico e del Nuovo Testamento. Iniziamo con
l'illustrare la tematica del cap. vm della Lumen gentium: La Beata
Maria Vergine Madre di Dio nel mistero dj Cristo e della Chiesa.
Maria infatti il prototipo e il modello della Chiesa. Tratteremo
invece il tema del matrimonio come sacramento dopo aver chiarito
la collocazione del laico all'interno della Chiesa. Del ministero par-
leremo alla fi_ne, per sottolineare, anche dal punto di. vista sistema-
tico, la sua funzione di servizio.
SEZIONE PRIMA

MARIA COME PROTOTIPO E MODELLO DELLA CHIESA


0

Sulla posizione e cooperazione di Maria neM'evento di Cristo si


gi ampiamente trattato nel cap. XI del vol. m/ 2 di quest'opera.
Ora riprendiamo il discorso, ma da un altro e ben determinato pun-
to di vista, secondo il quale Maria viene storicamente osservata co-
me il primo membro del Corpo mistico: essa la prima ad essere
stata incorporata fisicamente, moralmente e soprannaturalmente in
Cristo, la prima a vivere in conformit alla grazia della nuova alleen-
za. E conserva questa sua collocazione privilegiata nella comunione
dei santi. Parliamo quindi anzitutto di lei, anche nel trattare il pro-
blema del modo di strutturarsi della Chiesa. Del resto questo an-
che l'ordine seguito dalla costituzione Lumen gentium del Vatica-
no 11. Il concilio, dopo accanite discussioni, integr lo schema ma-
riano, originariamente a s stante, neHa costituzione sulla Chiesa.
E tale scelta alquanto significativa anche per un modo d'intendere
la mariologia. Qui illustreremo il riferimento di Maria alla Chiesa
sotto tre punti di vista: storico, strutturale e funzionale.

I. Evoluzione storica del rapporto Maria-Chiesa

Maria appartiene a tutt'e tre le fasi della storia di salvezza: al tem-


po prima di Cristo, al periodo terreno della vita di Ges, al tempo
dopo Cristo.
Essa rientra formalmente, significativamente, in queste tre fasi;
anzi svolge addirittura una sua propria funzione nel passaggio dal-
l'una all'altra fase. Per tale motivo il destino di Maria riveste una
importanza storica di prim'ordine: eminentemente storico-salvifico.
a. Ed innanzitutto l'esistenza di Maria l'ultima tappa dei ten-
tativi intrapresi nell'Antico Testamento. Certo, essa non si colloca
EVOLUZIONE STORICA DEL RAPPORTO 391

assolutamente all'interno delle strutture gerarchiche in cm s1 arti-


colavano il governo e il sacerdozio d'Israele, di queste realt terre-
ne e quindi transitorie; in compenso assume un posto singolare in
quell'ordinamento di vita e di grazia che le forme veterotestamen-
tarie dovevano avviare, prefigurare e introdurre. Essa rientra an-
che nell'area del profetismo, come i padri attestano basandosi su
Le. 1,46-55. In lei si compie quel processo di rinnovamento e di
preparazione che Israele aveva gi maturato sul terreno della fede
e della moralit.
Maria si trova alla conclusione della storia del popolo eletto, in
analogia ad Abramo. Questi, il padre dei credenti (Rom. 4,11;
cf. Gen. 15,6), era U germe e il prototipo della fede nel Dio sal-
vatore. Certo, la sua fede era ancora indifferenziata, e pur tuttavia
perfetta per intensit ed intenzione. Ancor pi di Abramo Maria
viene assunta personalmente nell'avvenimento salvifico. Le tornano
di vantaggio i progressi che la rivelazione ha fatto nei duemila anni
circa che la separano da Abramo. C' tutto un mondo che si esten-
de tra l'oggetto della speranza di Abramo, fortemente orientata ver-
so ci che terreno, verso la prosperit e discendenza, e l'oggetto
deHa fede di Maria.
Ancora pi pronunciata la distanza che separa questi due per-
sonaggi dal punto di vista etico. I costumi di Abramo sono ancora
rozzi. Egli vive da poligamo. Non conosce ancora certi aspetti della
legge morale naturale (cf. Gen. 12,11-20; 20,1-18, ecc.), che poi
emergeranno. Maria invece, per quella sua condizione verginale che
denota l'esclusiva appartenenza a Dio, si eleva fino alla vetta della
santit. In lei trova la conclusione quel lungo processo di sviluppo
spirituale vissuto prima sulle vie del deserto e dell'esilie e poi con-
centratosi nel resto d'Israele, nella cerchia dei poveri, semplici,
provati.
Tale conclusione non segna per semplicemente la fine di quanto
in precedenza si era andato affermando, ma trascende anche ogni da-
to preesistente. Qui Dio realizza, per sua pura benevolenza, una
tappa che conclude l'opera di un compimento tanto insperato quan-
to armo~co. Essa inizia con la nuova creazione che i profeti ave-
vano fatto sperare. Lo spirito latino, cos analitico, riflessivo, pro-
penso all'astrazione, ha tentato di -riassumere tale concetto nella
392 MARIA PROTOTIPO DELLA CHIESA

formuhi Immacolata Concezione. Fin dal primo istante della sua


concezione Maria ... stata preservata da ogni macchia di peccato
oripe. 1 Questo enunciato dogmatico del 1854 irrit la Chiesa
orientale, da cui la Chiesa d'Occidente - anche se molto tardi (nel
sec. XII) - aveva pur mutuato la festa della Concezione (secc. vn/
vm). La formula di Pio IX, all'ultima ora preferita ad altre pi sot-
tiH. e facilmente contestabili, le quali miravano a precisare la Con-
cezione come il momento in cui l'anima viene infusa nel corpo,
intendeva esprimere ci che i teologi della Chiesa orientale afferma-
vano sulla scorta di concetti pi positivi: la riassunzione della real-
t creata, perch questa faccia emergere da se stessa il Dio salvatore;
il dono di grazia, per mezzo del quale Dio, mediante Cristo e in vi-
sta di Cristo, preserva dal peccato la Vergine sbocciata dal germo-
glio di !esse e le accorda la sua benevolenza. I profeti avevano pro-
spettato questo mistero in una forma diversa e in modo oscuro. IJ
cap. II di Osea, che riprende ed amplia altri testi precedenti, annun-
ciava che Israele, la donna adultera, un giorno sarebbe diventata la
sposa ~immacolata, quella sposa ideale di cui Dio, nel Cantico dei
Cantici (4,7), paradossalmente afferma: Tutta bella tu sei e non
v' difetto in te. Dove si adempiuta questa promessa se non nel-
la persona di Maria e nel suo prolungamento, la santa Chiesa? Maria
infatti il compimento e la riassunzione dell'antico Israele, il ger-
me per un nuovo popolo, la Chiesa: Immaculata ex maculatis.'

b. Maria non il punto finale di questo misterioso adempimento


che nessuno conosce. Essa stata vera figlia escatologica di Sion,3 fi-
gura religiosa e perfetta del popolo dell'elezione, perch potesse in
s assumere Dio, che nel mistero dell'incarnazione voleva diventare
suo fratello e salvatore.
Questo infatti il senso che troviamo racchiuso in Le. 1 "2, come
lo stanno a testimoniare i passi veterotestamentari che il brano riu-

I Bolla Inelfabilis dell'8 clic. 1854: DS 2803.


2 Per questa visione biblica di Os. 2, }er. 31,17-22, Is. 544-8; 61,1os., c:f. R.
LAURENTIN, Court trait de thologie mariale, Paris 41959, 92-93; 51968, n3-n4.
3 Per il tema veterotestamentario della figlia escatologica di Sion e il suo adem-
pimento in Le. 1-2, vedi R. LAURBNTIN, Structure et thologje de Luc I-:2, Paris
1957, spec. 152-162 (compendio).
EVOLTJZlONE sro&ICA DEL .RAPPORTO
393

tilizza e intrecda.4 Limitiamoci a cogliere quelli che, come in fili-


grana, accompagnano le prime battute della scena dell'annunciazione.
Le parole che }'angelo Gabriele rivolge a Maria riecheggiano quelle
di cui il profeta Sofoni.a si era servito per annunciare alla figlia di
Sion la gioia messianica: 5

Sofonia J Luca I

14 Gioisci, figlia di Sion, 28 Rallegrati,


fa' festa, esulta, Israele, piena di grazia ...
rallegrati ... Il Signore
figlia di Gerusalemme! con te.
15b Il Signore re d'Israele 30 Non temere
in mezzo a te. Maria ...
16 Non temere Concepirai nel tuo seno
...Sion! e darai alla luce un figlio,
17 Nel tuo seno (b"kirbek) che chiamerai col nome
il Signore, tuo Dio, Jahv Salvatore.
17 l'eroe, il salvatore (joi"") Egli regner.
15b re su Israele in mezzo a te.

Queste continue allusioni, che ritroviamo anche nel seguito del rac-
conto, suppongono una duplice :identificazione: Maria la figlia di
Sion escatologica promessa da Sofonia; la presenza di Jahv, del
re in mezzo al suo popolo (bekirbek), diventa incarnazione: Ecco,
concepirai nel tuo seno e darai alla luce un figlio; il figlio di Daviid
viene identificato con il Figlio di Dio 6 e Maria la nuova arca del-
l'alleanza che dovr essere coperta dall'ombra della schekinah. 7

4 Ivi, 64-91.
5 lvi, 64-71. Un analogo annuncio di gioia messianica, rivolto alla figlia di Sion,
presente anche in Joel 2,21-27; Zac. 2,14 e 9,9. Ma la maggior affinit oon Le.
presenta il testo di Sopb. 3 (ivi, 66, nota 8).
6 lvi, 71-72 e spec. 140-148. Le. r,32. (Figlio dell'Altissimoi.), che richiama .2
Sam. 7,14 (egli sar mio figlio1>), rimane indeterminato. Soltanto Le 1,3,5 ci eleva
al piano di una reale figliolanza di Dio, della schekinah (presenza di Dio nell'arca
dell'alleanza). Le. 1-2 proviene indubbiamente dalle cerchie giovannee e s'avvicina
al prologo del vangelo di Giovanni, ma non svolge il pensiero con altrettanta am
piezza.
7 Ivi, 73-79. Nella nuova edi2ione del 1962 ho corretto la chiusa del primo ca
poverso di 76: il tennine gloria, che manca in Mt. e Mc., viene assunto da Le.
9,32. Su Maria nuova arca dell'alleanza, secondo Le. 12, vedi ivi, l,59-162 (d.
73-80).
MAllJA PROTOTIPO DELLA Qll.ESA
394

Esodo 40,34 Luca 1 15


1

Una nube coprl della sua ombra La potenza dell'Altissimo


il santo tabernacolo ti coprir della sua ombra:
e la gloria dcl Signore per questo il Santo, che nascer,
riempl il padiglione. sar chiamato Figlio di Dio.

Gi. che nella prima arca dell'alleanza si trova realizzato come in pre-
figurazione, ora si realizza pienamente ed interamente nella persona
di Maria. In entrambi i casi la presenza dal di sopra segno di
una presenza dall'interno. Mediante la potenza trascendente di
Dio, 1'a Vergine (I.e. l,27) concepir senza conoscere uomo (I.e.
1,34; cf. ]o. 1,13), e colui che da essa nascer non sar un bambino
comune, bensl il Santo per eccellenza (Le. 1 ,35 ), il Dio con noi
(ls. 7,14; Mt. l,23; cf. 28,20). Il Logos diventato uomo e si
attendato fra noi (]o. 1,14). La gloria trascendente si trapiantata
nel mondo da salvare. A differenza di quanto accade nelle nascite
normati, qui il figlio preesiste aUa madre.
H nuovo Israele si trova quindi presente nei suoi due primi mem-
bri: nel Figlio di Dio incarnato e in colei che lo inserisce nel genere
umano e nella sua stoma. Lo Spirito santo non soltanto il principio
di questa nascita ma anche n vincolo di questa unione fisica e spiri-
tuale. La cooperazione di Maria al mistero dell'incarnazione - la
sua domanda (Le. l,34), il suo fiat (Le. l,38), la sua partecipazione
nel ruolo di madre - dipende dall'azione dello Spirito santo (1,35),
il quale opera tutto in tutti.
In realt si tratta di un legame che si fonda sull'opera dello Spirito
e che congiunge tra loro l'autore di ogni grazia e colei alla quale, se-
condo il nuovo nome conferitole daN'angelo (XEXPL'tWVT), Le. 1,28:
la piena di grazia della Volgata), si rivolge la benignit di Dio. Il
Corpo mistico, che si dispiega nella Chiesa visibile, universale gi
misteriosamente presente nei suoi due membri originari: nella serva
del Signore, che ha pronunciato liberamente il suo fiat (Le. 1,38) e
nel Signore (2,11), che in lei diventato figlio di Davide (1,33 e
2,11 ), figlio del genere umano, per salvarlo. Dio ha voluto che questa
comunione tra lui e gli uomini salvati si attuasse nella fede ( 1'45 ), nel-
l'amore, nell'obbedienza e umilt, nel dialogo ed anche nella chiara
conoscenza (1,34).
EVOLUZIONE STORICA DEL llAPPOllTO

Il corpo mistico, che dovr assumere delle proporzioni pi ampie e


giungere alla realizzazione piena, fin d'ora qualitativamente perfetto.
Ci .risponde ad un principio tipico della storia di salvezza: a Dio piace
realizzare in modo esemplare, ed all'inizio della sua opera in modo
ancora limitato, ci che si affermer con universale pienezza soltan-
to dopo le numerose vi.icende e i vagli del tempo. L'unione di Cristo
con i salvati gi pienamente attuata, stando al dono divino, elargi-
to da quel Dio che si donato in modo totale e irrevocabile. :B una
unione perfetta anche dal punto di vista della vita teologale. :B gi
presente, infatti, il pegno di quella perfezione che si realizzer in tut-
ta la sua pienezza nella Gerusalemme celeste.
La vita della figlia di Sion, improntata dalla povert e umilt
(tratti genuinamente evangelici) e dall'impegno generoso, in sinto-
nia con la vita del Figlio di Dio. Maria lo porta da Giovanni il Bat-
tezzatore, che balza di giubilo messianico nel seno e che nello
Spirito (Le. r ,41) riceve quell'impulso profetico che caratteriu.er
la sua inte.ra esistenza. Per i pastori, che si sono messi in cammino
per vedere il Cristo Signore, essa il segno che attesta loro di aver-
lo trovato (Le. 2,19).9 Lo conduce poi al tempio, dov'egli entra co-
me la vera scbekinah, come la luce che illumina le genti e gloria del
popolo Israele.10 Essa cura l'educazione di questo bambino, il cui
mistero la trascende e che essa talvolta non comprende (Le. 2,50),
e la cui vera dimora quella del Padre celeste. 11 Essa conserva poi
tutte queste cose nel suo cuore (Le. 2,r9 e 51).
c. Maria vive una trentina d'anni di vita appartata, poi l'a ritro-
viamo alle nozze di Cana, a fianco di Ges (]o. 2,r-12). ~lei la pro-
8 Per il significato che Le. 2,39-,:16 attribuisce a questo episodio, in rifei:imento
a 2 Sam. 6,2-ll, d. ivi, 7!)-81. Nel frattempo queste prospettive sono state recepite
anche da alcuni autori protestanti, specialmente da M. THUlltAN, Marie, M~re du
Seigneur, figure de l'Eglise, Taiz 1962.
9 Trovarono Maria (Le. 2,16).
io Le. 2,32. Nella Scritrura soltanto Jahv, e nessun uomo quindi, viene qualifi-
cato come soggetto della gloria; d. ad es. Ps. 3,4; Jer. 2,n (ripreso da Rom.
t,23).
11 Io devo essere preno mio Padru, risponder Ges quando verr ritrovato
nel tempio (Le. 2,49). Abbiamo mostrato in Jrus au temple (Le. 2A8-50 come
questa sia l'unica traduzione corretta. L'altra, che propone invece lo mi devo oc-
cupare di quel che riguarda mio Padre, fino al sec. XVI era sconosciuta e solo in
quel periodo divenne prevalente, bench contraria al senso autentico, sia nelle bib-
bie cattoliche che in quelle protestanti.
MARIA PROTOTIPO DELLA CIDKSf.

motrice di quel segno che d inizio all'attivit pubblica di Cristo, un


segno di gioia in una comunione di uomini convenuti alle nozze. E
questo segno suscita anche la fede dei discepoli (]o. 2,11) e costitui-
sce la garanzia del mistero sacramentale (Jo. 2,6.ro).
d. Maria ora separata da~ Figlio, 12 mentre questi adempie il pro-
prio mandato con i Dodici che formeranno la gerarchia della Chiesa.
Questa separazione esteriore diventer poi una legge per la Chiesa,
la quale possiede il suo Salvatore misticamente, non carnalmente,
mediante la fede e non per mezzo dei sensi. In questo stato di sepa-
razione la Madre di Ges approfondisce la propria comunione con il
Figlio. Essa anticipa cosl le situazioni ed atteggiamenti che, nel suc-
cessivo decorso di questa storia, diventeranno propri della Chiesa.
e. La troviamo ancora una volta a fianco di suo Figlio sul Calva-
rio, nell'ora del sacrificio che compie la redenzione. 13 La sua co-
munione con Cristo qui dev'essere sottoposta ad un ulteriore vaglio,
al test decisivo del~'amore: la passione. Questa sofferenza di morte
pervade colui al quale essa ha donato la v1ita e trafigge cosl anche il
cuore di Maria, nel suo pi profondo (Le. 2,35). Nell'ora in cui per-
de il proprio figlio essa diventa nuovamente madre, madre dei di-
scepoli. La figlia di Sian, la madre der Messia, genera un popolo
nuovo (Is. 66,7ss.). 14 Come Eva ottenne un altro fig1io, in luogo di

12 F.M. BRAUN, La Mre des fidles, Tornai 219_54, 55-55, ha messo in rilievo
questa separazione dopo Cena, sottolineata dai testi sinottici (vedi _59-62 ). Ma non
dobbiamo esagerare. Questa utile separazione transitoria e non presenta alcunch
di rigido. Si noti che Braun non prende in considerazione ]o 2,u: Dopo questo,
egli sese a Cafamao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli, ma
non vi rimasero molti giorni.
Fatto veram"ente interessante: quando si tratta della propria missione, Ges tie
ne lontana Maria e dimostra di voler evitare soprattutto qualsiasi confusione tra
piano carnale e piano spirituale. Lo scorgiamo nell'episodio del suo ritrovamento
(Le. 2,49 s.), poi a Cana (Jo. 2,4, il cui significato di negazione non pu essere mi
sconosciuto) ed infine pi volte nel corso dell'attivit di predicazione di Ges:
Mc. 3, 31-35 (e paralleli: Mt. 12, 46-50; Le. 8,19 ss.), Le. II,27 s. e Jo. 7,3-10. Te
sti che per lungo tempo i cattolici hanno ignorato e che il Vaticano 11 ha ripropo-
sto (Lumen gentium, .57 e ,-8). .
IJ Per l'ora>i> della passione, che secondo ]o. 2,4 e 19,27 circonfusa di glorio,
vedi F.M. BRAUN, op. cii., _55-58; A. FEUILLET, 'L'hcure de Jsus et le signe de
Cana', in ETL 36 (1960) 5-22.
14 <0Maria, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua madre (Jo. 19,25 ss.) solo pi tardi venne
interpretato nel senso di una maternit spirituale (per la storia delle interpretazioni
vedi TH. KoEHLER, 'Les principales imerprtations tradicionellcs de Jean 19,2 5-27
EVOLUZIONE STORICA DEL RAPPORTO
397

Abele ucciso da Caino(5 cosl al posto di Cristo morente ora le vie-


ne affidata la stirpe dei discepoli, nella persona del discepolo-tipo
che Ges particolarmente amava. Essa anticipa cosl la maternit della
Chiesa, 16 nella quale vengono generati, dall'acqua (]o. 19,34) e dallo
Spirito (]o. 19,30), altri figli.
f. La ritroviamo poi discretamente inserita, accanto agli apostoli,
nella comunit che sar poi la Chiesa (Act. 1,14), nella comunit riu-
nita in preghiera. Quello Spil'ito, che gi su lei discese nell'annun-
ciazione (Le. 1,35), ora ridiscende su questa comunit (Act. 1,8; 2).
E come questo Spirito aveva condotto Maria attraverso i monti della
Giudea, perch portasse il Signore al suo precursore (Le. 1,35.39),
cos ora egl,i conduce la Chiesa oltre il recinto del cenacolo, verso i
confini della terra, perch porti fino col il medesimo Signore (Act.
r,8 e passim; Rom. ro,r8). In questa propagazione Maria non svol-
ge alcun ruolo esteriore, appariscente. Ma la pienezza della sua gra-
zia e santit arricchisce il Corpo mist>ico dall'interno e coopera ahla
meravigliosa efficacia dell'annuncio protocristiano.
g. Ad un determinato momento, infine, che la storia non ha regi-
strato, il mistero si compie, quel mistero di cui la Chiesa ha clto il
nucleo, anche se le rimasto sconosciuto il modo d'attuazione: l'a
vita terrena di Maria trova il suo pieno adempimento. Col suo cor-
po ed anima essa si ricongiunge, e per sempre, al Figlio risorto.17
Essa precede cosl la Chiesa anche nel mistero della glorificazione spi-

pendant !es douze premiers sicles', in Etudes Mariales 16 (19_59) 119-155). Una tale
interpretazione sembra comunque fondata e viene proposta sempre con maggiore
insistenza dagli eliegeti. Cf., oltre Braun e Feuillet gi citati, M. de GoEDT, 'Bases
bibliques dc la matemit spitituelle', ivi 35-.54 e il saggio integrativo: 'Un schme
de R6rlation dans le quatrime Evangile', in: NTS 8, 1961, 141-1_50, ecc. Ma pet
quanto riguarda sia questo come altri punti, oggi vediamo delinearsi un movimento
contrario, critico.
1s Gen. 4,2,, Jo. 19 tutto intessuto di allusioni all'Antico Testamento. Nei vv.
25-27 c' forse un riferimento a Gen. 4,25 e Gen. 3,20 (Madre dei viventi,.)? E
possibile, ma non possiamo provarlo, specialmente per Gen. 4,25.
16 ]o. 19,25 ss. pu essere confrontato con Apoc. I2,17: a quelli che restano del
la progenie di lei, a quelli che ossetvano i comandamenti di Dio e hanno la te-
stimonianza di Ges. Per l'interpretazione di questo passo, d. gli scritti citati
nelle note 12 e 13, come pure A. FEUILLET, 'Le Messie et sa Mre, d'aprs le cha
pitre I2 de l'Apocalypse', in: RB 66 (1959) n86 e l'altra analisi complementare ap-
parsa su Biblica 47 (1966) 169-184; 361-380; 557-573.
17 Bolla Munificentissimus dell'1 nov. 1954: DS 3903.
MARIA PROTOTIPO DELLA CHIESA

rituale e corporale in Cristo redentore. Diventa il segno nel: cielo. 111


Prefigura .U futuro, quando la Chiesa deporr le sue forme istitu-
zionali e raggiunger Maria nella pienezza di vita in cui Dio tutto
in tutti.

.2. Nesso strutturale

L'abbozzo che siamo venuti delineando si presenta un po' sommario


e forse anche fin troppo letterlll'io. Non potevamo infatti addurre
molte precisazioni n affrontare parecchi problemi, perch ci erava-
mo limitati ad indicare, nel corso deDa storia di salvezza, il nesso
(contrappunto) Maria.chiesa: chiaro nelle sue direttrici, ma piut-
tosto complesso quando lo si analizza nei suoi dettagli.
Non sembra possibile riassumere la struttura fondamentale di que-
sto nesso in una semplice formula. Se l'analizziamo, esso ci &i offre
in quattro diverse formule antinomiche: a. Maria precede la Chie-
sa; b. La Chiesa in Maria; c. Maria nella Chiesa; d. Maria
Chiesa.
a. La prima formula esprime una costante che abbiamo appena
evidenziato: Maria precede la Chiesa nel Cristo che nasce, nel Cristo
che muore, nel Cristo glorificato. Essa sembra spianarle la via.
b. Ma questa formula presenta anche qualche svantaggio. Sembra
infatti che qui Maria e la Chiesa vengano poste fin dall'inizio come
due realt tra loro separate, mentre risultano invece profondamente
congiunte. Maria, infatti, membro della Chiesa. Invece di dire che
Maria precede la Chiesa, che esiste dunque prima che questa venga
ufficialmente istituita, sarebbe meglio dire che Israele diventa Corpo
spirituale del Signore, Chiesa del Signore, in virt di quell'obbe-
dienza di fede che troviamo espressa soprattutto nell'atteggiamento
di Maria (Le. 1,38). Nella persona di Maria la Chiesa gi presente

18 Apoc. u,1. Questo capitolo, che presenta senz'altro un significato ecclesiolo-


gico, sembra riferirsi anche alla madre del Messia: Ed ella dette alla luce un figlio
maschio, il quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di fenoio (v. 1; d.
P:r. 2,9). Per citazioni ed indicazioni bibliografiche, vedi R. LAURENTIN, Court trait
de thologie mariale, 41919, 1,1; d. 33-35; 51968, 38-39 e 189.
NESSO STRUTTUUL1!
399

nel Cristo che nasce, nel Cristo che muore, nel Cristo glorificato. In
questa prospettiva Maria la cellula originaria in cui la Chiesa gi
virtualmente contenuta come la pianta net seme, come la conseguen-
za nelle premesse. Procedendo su questa linea Paolo VI giunto a
proclamare, il 20 dic. 1964, Maria Madre della Chiesa: una for-
mula che il papa ha accompagnata con alcune riserve e precisazioni
e che illustra appunto questo stato di cose in modo toccante e pa-
radossale.
c. Questo rapporto s'inverte, invece, quando l'osserviamo alla
luce del mistero di Pentecoste. D'ora in poi Maria chiaramente uno
dei membri della Chiesa, una delle 120 (Act. 1,1.5), poi delle 3000
(Act. 2,41), inlne delle 5000 persone (Act. 4,4), che si sono riunite
attorno agli apostoli, dei quali ora emergono l'importanza e supre-
mazia.

d. Questo reciproco ,rapporto, spirituale e materiale (ideale ed or-


ganico), ci fa comprendere come Maria e la Chiesa, pur coinciden-
do in questa identica comunione con Cristo, presentino anche dei
tratti loro peculiari. Ma la vita di Maria e la vita della Chiesa altro
non sono che vita vissuta in questa comunione essenzialmente teo-
logalle, che non avr mai Ene, e solo partendo da questo fondamento
si potranno poi valutare correttamente le diversit esistenti tra Ma-
ria e la Chiesa.
Per la sua santit perfetta e la sua condizione di Madre di Dio,
Maria trascende la Chiesa, a prescindere dal fatto che la Chiesa dei
peccatori giunge, in Maria, alla maternit di Dio e ad una santit
perfetta, immacolata.
La Chiesa trascende Maria nella sua dimensione apostolica e ge-
rarchica. La Chiesa ministerial'e si trova in comunione con Cristo,
e lo rappresenta pure. Essa manifesta in terra visibilmente e ufficial-
mente la sua Parola, la sua autorit, i suoi atti salvifici. Esercita i
suoi poteri. Agisce in suo nome, nella persona del suo Signore. Ma-
ria non rientra nella sfera di questi uffici ministeriali. Essa sta al di
fuori delra gerarchia. Si pone tra la schiera dei fedeli (Act. r,14), e
nei confronti degli apostoli assume un atteggiamento del tutto recet-
tivo. Non dobbiamo vedere in questo alcun difetto, perch tali fun-
400 MARIA PROTOTIPO DELLA CHIESA

zioni stanno ad esprimere, in sostanza, un servizio terreno. 19 Esse


-vengono svolte in un rapporto di dipendenza da Cristo e sono al
servizio della comunione. Sono relative, passeranno con la figura di
questo mondo.
In breve, se l'a Chiesa dei salvati viene osservata nella sua comu-
nione con Cristo, Maria il suo prototipo e prefigurazione. Questa
profonda identificazione rende tuttavia possibile una duplice diffe-
renziazione, che dipende dal ruolo privilegiato svolto da Maria, da
una parte, e dalle forme ecclesiali, temporali ed istituzionali, che rap-
presentano visibilmente e ufficialmente Cristo sui!la terra, dall'altra.
La misura di questa relazione l'autodonazione di Dio: Cristo re-
dentore e Io Spirito santo, nei confronti dei quali Maria e la Chiesa
sono del tutto relative.

3. Nesso funzionale

Su questa identit di fondo, su queste differenziazioni, su questa di-


pendenza da Cristo e dallo Spirito, si fondano anche i nessi funzio-
nali tra Maria e la Chiesa. La Chiesa entra in relazione con Maria
neHa sua preghiera e Maria coinvolta nello stesso destino che ac-
compagna la Chiesa sulla terra.
Approfondiamo questo dialogo anzitutto nella sua direttrice ascen-
dente, poi in quella discendente.

a. Maria nel culto della Chiesa

Quando trov Maria una risonanza nel culto cristiano? E come si


giunse ad integrarla nel culto? Qual il significato della preghiera a
lei rivolta? Le risposte che daremo alla prima domanda chiariranno
anche le altre, perch la radice e il germe assumono sempre un signi-
ficato decisivo per l'intero sviluppo.

19 Y. CoNGAR, La birarchie comme service selon le Nouveau Testament et les do-


cuments de la Tradition dans l'piscopat et dans l'Eglise, Unam Sanctam 39, Paris
1964, 66-132. I testi principali sono Mc. 9,34 (Mt. 18,1-4; Le. 9,46); Mc. 10,33 ss.
(Mt. 20,25-28) e ]o. r3,rz,r7. Questa idea venne rimessa in luce dal Concilio.
NESSO FUNZIONALE

I primi a venire inseriti nel culto cristiano furono i martiri, verso


la met del sec. 11. U motivo per cui essi vennero recepiti nel culto
sta nel fatto che avevano preso parte al mistero cli Cristo, alla sua
passione, aI suo passaggio al Padre (]o 13,1).10 Ci che si chiama,
e non senza una certa ambiguit, culto dei santi costituisce so-
prattutto un ringraziamento a Dio per i frutti operati dal sacrificio
di Cristo, un sintonizzarsi con l'esempio del santo che ha continuato
il mistero del Redentore, e cosl anche un coraggioso impegno nella
attuazione di questo mistero.11 Per quanto essa sia il primo di tutti
i santi, Maria non stata la prima ad essere invocata.
I cristiani dei primi secoli non rivolsero le loro preghiere a Maria.
Certo, il vangelo offriva alcuni spunti di lode a Maria: Ave, o pie-
na di grazia, il Signore con te (Le. r,28); Hai trovato grazia da-
vanti a Dio (Le. r,30); Benedetta tu fra le donne e benedetto il
frutto del tuo seno (Le. r ,42 ). Ma soltanto in seguito i cristiani in-
cominceranno a ricorrere a queste parole per rivolgersi a Maria. L'e-
sempio pi antico di una simile forma di lode ci offerto da una
20 Che i martiri siano stati posti a fianco di Cristo (e lo possiamo gi ricavare dalla
spiritualit del martirio} ci viene attestato fin dagli Atti: Stefano riprende le patole
che Cristo aveva pronunciato durante la passione. Osserviamo questo parallelismo:
Act. 6,I J s. Mt. 26,59 ss.
Poi introdussero due falsi testimoni Due... falsi testimoni
i quali dissero ... : i quali dissero:
Lo abbiamo sentito dire: Costui ha detto:
'Ges di Nazareth 'Posso distruggere
distrugger questo luogo .. .'. il tempio di Dio.. .'.
Act. 7,56 Mt. 26,64
Ecco, io vedo i cieli aperti Vedrete
e il Figlio dell'Uomo il Figlio dell'Uomo
in piedi alla destra di Dio. assiso alla destra dell'Onnipotente,..
Act. 7,59 Le. 23,46
Signore Ges, Padre, nelle tue mani
ricevi il mio spirito. raccomando il mio spirito.
Aci. 7,60 Le. 23,34.36
Grid ad alta voce: 2346 Ges grid ad alta voce:
Signore non imputar loro 23,34 Padre perdona loro ... .
questo peccato.
E ci detto, spir.
Questo parallelismo tra martirio e passione di Cristo un !tatto preminente negli
atti dei martiri.
21 Per il riferimento alla passione di Cristo, cf. O. CASEL, Mysterium und Marty-
rium, in: fLW 2, Miinster 1922, 28-32. Per quanto riguarda invece l'origine delle
feste dei martiri, cf. M. RIGHETTI, Manuale di storia liturgica II, cap. IX, num. t72-
x74, Milano 1946, 268-272. Gi prima della fine del sec. II si celebrava, con una
assemblea eucaristica, l'annuale ricorrenza del martirio di Policarpo (t 155),
402 MA11IA :Pl.OTOTIPO DELLA CHIESA

omelia di dubbia autenticit (dello Pseudo-Crisostomo: PG 62,763),


che forse risale al sec. IV. Ma si tratterebbe di un caso unico, almeno
in quel secolo. Ed anche qui, pi che di una preghiera, si tratta di
un discorso, di un commento. In Occidente, Agostino non conosce
al'cuna preghiera indirizzata a Maria. Ci sta ad indicare che non
affatto essenziale rivolgersi a lei. Per lungo tempo, nell'area occiden-
tale, valse la regola di pregare soltanto il Padre, almeno nelle ora-
zioni recitate aH'altare. 22 Anche ai giorni nostri le orazioni liturgi-
che lasciano trasparire questa forma: non sono indirizzate a Maria.
Il modo classico di pregare consister sempre nel riferirsi al Padre
per mezzo di Cristo, lasciandosi sollecitare dai santi o trovando so-
stegno in Dio. In quell'amicizia senza ombre che Dio loro accorda,
essi si uniscono alla preghiera della Chiesa terrena. U culto dei
santi non quindi qualcosa di astratto, ma presenta un carattere
personale. Esso conduce agli sgraffiti, alle invocazioni sempre pi
lunghe e numerose. In questo contesto si svilupp nei secc. IV e v
la preghiera a Maria. Non abbiamo alcuna prova che ci attesti la
presenza del Sub tuum praesidium in un'epoca anteriore al sec.
iv. 23 Per quanto legittima e salutare, questa forma di preghiera rima-
se sempre accidentale e facoltativa. Solo pi tardi, e per incidenza,
verr accolta nella liturgia, con gli inni lirici. Ci che importa esclu-
sivamente il fatto che Maria ottiene un posto accanto agli altri santi
e che questo posto assume tanta maggiore importanza quanto si ha
pi chiara coscienza dell'a funzione svolta nel mistero di Cristo, che

22 ... Cum altari assistitur, semper ad Patrem dirigatur oratio: MANSI 3, q59,
col. 922, can. 21 (25); cf. HEFELE-LECLERCQ, Histoire des Conci/es u, Paris 1908, 87.
La disposizione, secondo la quale nella liturgia della messa ci si doveva rivolgere al
Padre soltanto, venne emanata nel 393, dal Sinodo di lppona, e poi confermata nel
197, dal Sinodo di Cartagine. Fu mantenuta a Roma per molti secoli e sembra si
sia poi estesa a tutte le orazioni liturgiche che non vengono recitate all'altare.
1.3 H. BARR, 'Les premires prires mariales de l'Occident', in: Marianum 21 (1959)
129. Solo dal sec. x circa... (in Occidente) inizia l'usanza di recitare l'Ave Maria
secondo la forma biblica, che si conclude con il 'ventris tui'. Barre analizza (129-
141) le prime formuk a noi note che si riferiscono a Maria, per lungo tempo im-
piegate secondo la forma di lode piuttosto che secondo quella di orazione. Purtroppo
non possibile stabilire una datazione precisa (sec. m/1v) della preghiera vera e
propria, pi antica, Sub tuum praesidium, di origine greca. Dopo lo scritto pi
sopra menzionato, Barr ha pubblicato la sua importante opera Prires anciemies de
l'Occidenl la Mre du Sauveur, Paris 1962. a. anche G.G. MEERSSEMAN, Der
Hymnos Akatbistos im Abendland. Akathistos-Akoluthie und Grossbymnen, Spici-
legium Friburgense 2, Freiburg/Schw. 1958.
NESSO P'UNZIONALE

essa non ha generato soltanto fisicamente ma ha concepito nel suo


cuore prima ancora di concepirlo nel proprio corpo.1''

Maria entra nel culto passo passo, impercettibilmente.


aa. Essa si afferma con il vangelo, nei luoghi in cui durante la liturgia
dell'epifania (in Oriente gi nel sec. n) e della nativit (a Roma verso
la fine del sec. m) si legge il brano evangelico della nascita di Cristo
secondo Mt. 1 o Le. l-2.
Durante il natale, fin dal sec. IV in Cappadocia e prima del 431 in Oc-
qidente, s'incomincia a far memoria, in forme diverse, della Vergine
Maria. Il vangelo dell'annunciazione (Le. l,26-35), che si legge durante
questa celebrazione liturgica, offre ai predicatori l'occasione di sottoli-
neare il ruolo svolto da Maria nell'opera di salvezza e di indirizzare nuo-
vamente ad essa le parole dell'angelo: Ave ... (Le. 1,28).
Questo processo inizia prima del concilio di Efeso {che dunque qui non
segna il punto di partenza) e si svolge poi a tappe, rispondendo agli im-
pulsi che derivano dalle stesse fonti di fede. Per cui sia in Occidente
che in Oriente nascono in modo spontaneo e secondo modalit diverse,
in riferimento alla nativit, le prime celebrazioni liturgiche dedicate alla
Vergine Maria: verso la met del sec. v in Italia settentrionale la pri-
ma domenica di avvento; il mercoledl e il venerdl di quaresima nel de-
cimo mese (nel sec. vu a Roma saranno le quattro tempora); il primo
gennaio, nell'ottava di natale, pure a Roma fra il 550 e il 595; il 18
dicembre, otto giorni prima di natale, in Spagna (nel 656); il 18 genna-
io nel sec. vr nelle Gallie, ecc.
Seguendo lo stesso processo Maria viene ad esprimere il posto che essa
occupa in certi misteri del vangelo: l'annunciazione (25 marzo) e l'ipa-
pante (la nostra festa della Candelora, il 2 febbraio) vengono celebrate
nella liturgia.
bb. Un'altra serie di celebrazioni liturgiche non deriva dal ciclo natali-
zio ma celebra Maria al modo degli altri santi: fin dal sec. v, e senz'al-
tro prima del concilio di Efeso (431 ), a Gerusal~me si celebra, come
per i martiri, il dies natalis di Maria. Fin dai secc. v1/vn si nomina la
festa della Dormitio-Transitio; si parla di una Assuroptio, quando
si raggiunta una maggior chiarezza della misteriosa fine della Theoto-
kos, su cui invano Epifanio (nel 377) aveva indagato.
Ma anche altri misteri della vita di Maria diventano oggetto di festa:
la festa della Concezione (8 dic.) compare nel sec. VII od vm, in rela-
zione con la festa del concepimento di Giovanni il Battezzatore; la fe-

24 Fide piena, et Christum prius mente quam ventre concipiens (AGOSTINO,


Sermo 215, 4: PL 38, Io74). Per un'acuta trattazione del tema, vedi A. MilLLBR,
EcclesiaMater, Freiburg/Schw. 195 I; 219'5.
MARIA PROTOTIPO DELLA CHIESA

sta della Nativit {8 sett.) la troviamo verso la met del sec. v1; quella
della Presentazione di Maria al tempio (21 nov.) nei secc. vu/vm. Dal
sec. VII queste festivit si diffondono progressivamente in Occidente,
per ultima la festa della concezione (nel sec. xu).25 In seguito l'Occiden-
te produrr le sue proprie festivit mariane, non senza certe esagerazioni
(nell'et moderna). Dal sec. xvn in poi, :fino al concilio Vaticano n, Ro-
ma dovette continuamente opporsi alla proliferazione delle festivit ma-
riane. La Congregazione dei Riti non consentl la celebrazione di centi-
naia di feste suggerite dalla piet mariana post-tridentina, alcune di es-
se le ha rigidamente circoscritte a determinate aree, mentre ne ha sop-
presse un buon centinaio.

Non intendiamo qui passare in rassegna le diverse forme in cui si


traduce il cosiddetto culto mariano. Questo presenta un aspetto
oggettivo (liturgia) ed uno soggettivo (funzioni mariane, preghiere
private), ed anche deJle interferenze tra i due aspetti, derivate dal
fatto che si tendeva a trasporre nella liturgia alcune speciali forme di
piet. Ai nostri giorni si manifesta una tendenza inversa. Ci che
bisogna tenere ben fermo innanzitutto che non esiste un culto ma-
riano giustapposto a quello riservato a Cristo: Maria inserita nel
culto di Cristo, com' anche inserita nel mistero di Cristo e nella
comunione dei santi. Non c' bisogno di richiamare l'attenzione sul-
la notevole differenza che passa tra il culto di adorazione, rivolto a
Dio creatore e redentore, e la venerazione dei santi. I termini du-
lia e latria, di cui ci si serve per esprimere queste due forme di
venerazione, sono termini greci dal significato alquanto affine: en-
trambi esprimono un servizio. Dal punto di vista etimologico, sem-
bra che dulia abbia una valenza pi accentuata, perch deriva dal-
la stessa radice di Oou.oc; - schiavo. Queste voci si sono poi diffe-
renziate con l'uso linguistico e sono ormai in via d'estinzione. Il ver-
bo adorare - voce generica che esprime sia la dulia che la la-
tria - poco a poco venne ad assumere un significato tutto suo pro-

2S Per la posizione che Maria venuta ad assumere nella liturgia e il nascere delle
commemorazioni e feste liturgiche, vedi la pi ampia e documentata esposizione di
R. LAURENTIN, Court lrait..., 51968, 54-57 e la nota 4 al 172 s. Alcune precisazioni
e rettifiche, suggerite dall'importante resi di laurea di ). Caro, vengono addotte dal
l'autore nello scritto 'Bulletin sur la Vierge Marie', pubblicato su RSPbTh :;2 (1968)
513.
NESSO FUNZIONALE 405

prio, fino a caratterizzare il culto che soltanto a Dio riservato. 26 Il


Concilio ha preferito questa espressione corrente alle sottigliezze del
linguaggio teolbgico, ormai inusitate. Il termine iperbulia, col qua-
le si vuol indicare il culto a Maria, bench si trovi sulla stessa linea
e sul medesimo piano, suona ancora troppo scolastico, e la commis-
sione teologica del concilio non ha voluto impiegado.

b. La funzione di Maria nei confronti della Chiesa

Come la posizione di Maria nella preghiera della Chiesa, cosi pure ed


ancor pi il suo ruolo nei confronti della Chiesa terrena viene espres-
so con un vocabolario alquanto ricco e differenziato. I diversi con--
cetti che s'impiegano nell'ultima parte dei trattati mariologici -
quella che tratta dei rapporti che intercorrono tra Maria e gli uomi-
ni - spesso indicano la stessa cosa e sollevano numerosi problemi.
aa. Fin dai primissimi tempi si parla di una intercessione di Ma-
ria, che gi Ireneo chiama interceditrice di Eva.27 Ella prega Dio
con noi e per noi. 28 Con questo titolo viene invocata nel Sub tuum
praesidium (un'orazione che probabilmente risale al sec. 1v): Ci
rifugiamo sotto il manto della tua misericordia, Madre di Dio. Presta
ascolto alla preghiera che ti eleviamo dalle nostre difficolt e libera-
ci da~ pericolo, tu, sola pura e benedetta.29

16 Il termine acloratio, che risponde a quello greco di 'ltPOO'XV'llTJO'L<; (venerare


in ginocchio), fu clto, fin nei tempi pi recenti, in un'accezione alquanto lata;
l'adorazione aveva per oggetto l'imperatore, i santi, Maria. Un termine, dunque,
generico, che comprendeva in se stesso sia la latria che la dulia (cf. ad es. S 302).
Solo col sec. XVII s"incominci ad intendere l'adorazione esclusivamente come la-
tria, e ci conforme anche all'uso linguistico dei nostri giomi. ti importante te
nerlo presente per una corretta valutazione degli scritti antichi, dove si parla spes-
so di una adorazione~ tributata a Maria ed ai santi.
27 Adv. haer. v, 19,1: PG 7, un e Epideixis: S. Chr. 62, Paris 1959, 8386.
Un'idea rispresa poi anche da Romano il Melode, nell'Inno x1 per la nativit di
Maria.
28 'Recherches sur l'intercession de Marie' 1-111, in: Etudes Mariales 23-25 (1966-
1968).
29 II papiro contenente questa preghiera, e che risale ai secc. n-v (la datazione
controversa), venne scoperto solo recentemente. Cf. F. MEitCENJER, 'L'antienne ma-
riale la plus ancienne', in: Le Muson 52 (1939) 22cr233; O. STi!GMi.iU.ER, 'Sub
tuum ... ', in: ZK.Th 74 (1952) 7682 {una bibliografia pi completa in Marianum
21 (1959) 129, nota ,).
MAa:IA PROTOTIPO DELLA CHIESA

bb. Fin dall'antichit si parla di Maria come della nostra regina.


Nel regno cli Dio Maria la prima di coloro che regneranno con
Cristo (2 Tim. 2,12): un'idea che si ricollega alle precedenti. L'in-
tercessione della Madre di Ges (d. ]o. 2,3.5) quella della regina
al cospetto del re, il quale dispone del potere divino di salvezza.30
cc. Dal sec. VI si parla della mediazione di Maria. Il concetto pre-
senta numerose sfumature. Fin dal sec. IV viene riferito ai santi, e ci
che intende esprimere hl loro intercessione.31 Andrea di Creta, uno
dei primi ad applicarlo espressamente a Maria, gli conferisce un du-
plice senso: da una parte Maria intercede per noi, attualmente, nella
comunione dei santi; dall'altra, nell'annunciazione, ella si presenta
come mdiatrice fra Dio, che per bocca dell'angelo a lei si rivolge, e
l'umanit, che con Mari, s'impegna in una risposta a Dio.32 Questa
qualifica diventa sempre pi frequente nelle diverse tappe ed acqui-
sta anche una sempre maggior importanza. In Occidente rimarr
ignota per lungo tempo, ma fin dai secc. x1/xn assume un posto di
primo piano anche nel mondo latino. In quest'epoca Maria, che fino
a quel tempo si identificava in modo tipologico con la Chiesa, viene
sistematicamente collocata tra Cristo e la Chiesa, secondo la ce-
l'ebre formula di san Bernardo. Dopo il 1921, su iniziativa del card.
Mercier, si volle fare della mediazione una tesi centrale della teologia
mariana, e si sper addirittura di elevarla a dogma (questa ipotesi
non stata pi avanzata dopo il concilio).33 Numerosi trattati mario-
logici hanno sistematizzato la posizione ontologica di Maria e la sua
cooperazione nel mistero di salvezza servendosi proprio di tale con-
cetto.
dd. Ben presto il concetto di mediazione entr in concorrenza con
30 H. BARR, 'La Royaut de Marie pendant les neuf premiers sicles', in: RSR
29 ( 1939) u9-162, 303-334, un'analisi di cui tutti si sono abbondantemente serviti
ma che nessuno ha completato; Maria et Ecclesia 5: Madae potestas regiilis in Ec-
clesia, Roma 1959 (Session de la Socit Franaise au Congrs Maria! lnternational
de Lourdes 19 58 ). H. Barr qui completa la sua analisi con una serie di testi
latini dei secc. vm-xu.
31 La divinizzazione i cui mediatori (Ecnnuuoucn) sono i martiri, GREGORIO
DI NAZIANZO, Oratio XI ad Grcgorium Nyss. 5: PG 35, 837 e e il Commento di
Niceta (ivi, col. 838, nota 12).
32 Sto preparando una monografia sulla questione. Per intanto vedi R. LAURENTIN,
Court trait... , 4 1959, .'4-55
JJ R. LAURENTIN, 'Intuitions du cardinal Mercier', in VS 84 (1951) -'18-_522.
NESSO FUNZIONALE

un altro, quella di corredenzione, della compartecipazione di Maria


all'opera redentiva. Fondandosi su questa idea, la mariologia ha si-
stematizzato, e in proporzioni ancor pi ampie, le stesse tematiche,
secondo la tesi che Maria non prende parte soltanto al momento ap-
plicativo della redenzione (soggettiva) nel corso dei secoli, ma anche
a quello della sua realizzazione, quindi all'incarnazione e sacrificio
della croce (cio alla redenzione oggettiva). 34 Stranamente, qui i ma-
riologi hanno desunto la differenza tra redenzione soggettiva e og-
gettiva, per quanto per vie molto indirette, dalla teologia protestante.
ee. Si chiarita la partecipazione di Maria all'opera di salvezza
anche mediante il concetto di maternit spirituale,35 privilegiato sia
dal magistero che dalla piet, bench le fonti (fino al sec. x) non ne
facciano parola o ne parlino con estrema cautela.
Questi diversi concetti stanno ad esprimere, in forme diverse e
non chiaramente differenziate, il ruolo storico e organico svolto da
Maria nella storia della salvezza.
1. Il tema dell'intercessione illustra il fatto che la sua partecipa-
zione a favore deMa chiesa essenzialmente un'intercessione presso
Cristo, un agire che passa attraverso Cristo, unico mediatore e
salvatore.
2. Il tema della regalit di Maria chiarisce il fatto che essa pro-
fondamente compartecipe della glorificazione del Salvatore, il quale
introduce nella propria regalit coloro che da lui sono stati salvati
(2 Tim. 2,12). Nelle societ, dalle quali questa idea emerse, la re-
gina non era la fonte del potere bensi la compagna del sovrano, cui
soltanto spettava di esercitarlo.
3. Il tema deHa mediazione poggia sul ruolo assunto da Maria:
a lei indirizzato il messaggio di Dio e la sua risposta impegna gli
uomini stessi nella salvezza. Ma questa situazione storica viene su-
perata con l'avvento dell'unico mediatore (I Tim. 2,5). L'Uomo-
Dio non un mediatore che ridurrebbe soltanto le distanze e la

34 La bibliografia conta centinaia di opere. Cf. G. BESUTTI, Bibliografia mariana,


4 voli., Roma: Marianum (19481966).
JS Etudes Mariales 16-18 (1959-1961). La maternit spirituelle, 1-3, Paris. Ho
pubblicato una pi ampia, scelta bibliografica su RSPbTh 46, 1962, pp. 365-366.
In La maternit spirituelle. Actes du Congrs National de Lisieux 1961, Paris
1962, bo cercato di presentare un bilancio della tradizione.
MAltlA PROTOTIPO DELLA CHIESA

cui opera dovrebbe venir perfezionata da altri mediatori: pensiamo


alle pietre che, allineate l'Wla accanto all'altra, ci consentono di
attraversare il .fiume. Egli invece il ponte che s'attesta su entram-
be le sponde e le congiunge. Il titolo di mediatrice arrischia di
offuscare questa verit. Non si poteva certo accettare la situazione
di molti cattolici prima del concilio, i quali conoscevano la media-
trice di grazia ma non si rendevano conto che il mediatore Cristo.
Per tale motivo Pio XII non volle conferire questo titolo a Maria, e
negli ultimi anni del suo pontificato conferm risolutamente questa
intenzione.36 Giovanni XXIII non ha mai fatto uso di questa quali-
fica. Solo con difficolt, e dopo ogni genere di riserve, tale espres-
sione venne inserita nei testi conciliari (Lumen gentium 62). Il con-
cilio ha menzionato l'uso di questo titolo perch antico ed esige
d'essere spiegato. La mediazione di Maria non coincide con l'ope-
ra mediatrice di Cristo, n la comunica, ma riceve proprio da que-
sta }a sua intera efficacia. Qui si tratta, per usare un'espressione del
teologo luterano H. Asmussen,37 di una mediazione in Cristo. Tale
formula era presente in uno dei primi schemi del Vaticano II, che
nel documento definitivo afferma: Ogni salutare influsso della bea-
ta Vergine verso gli uomini, non nasce da una necessit, ma dal be-
neplacito di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cri-
sto, si fonda suUa mediazione di lui, da essa assolutamente dipende
ed attinge tutta la sua efficacia non impedisce minimamente l'im-
mediato contatto dei credenti con Cristo, anzi lo facilita (ivi 60 ).
4. Quando si parla di compartecipazione o cooperazione di Ma-
ria neil'opera redentiva si evitano certi aspetti negativi che il con-
cetto di mediazione contiene. Cosl si sottolinea il fatto che l'opera
di Maria nell'opera redentiva dipende strettamente dalla sua comu-
nione con il redentore. Ma anche questo concetto presenta delle dif.
ficolt, poich talvolta ad esso soggiace una pericolosa Ontologia di
questa cooperazione. Di fatto si arriv fino al punto da conferire al-
la Socia Christi attributi che spettano soltanto alfa divina e attiva
comunione - per quanto sconosciuta - tra Cristo e lo Spirito san-

36 Nei suoi atti il titolo di mediatrix molto raro. Le traduzioni spesso in-
gannano, perch convertono frequentemente il termine sequestra, usato tenendo
conto di r Tim. 2,5, in mediatrice.
_17 H. ASMUSSEN, Maria die Mutler Gottes, Stuttgart 1951, :;r.
NBSSO FUNZIONALE

to nell'opera di salvezza. Il concilio ha mantenuto l'espressione cosl


frequentemente usata da Pio xu, ma soltanto sul piano esistenziale,
vitale, al fine cli esprimere l'unione teologale di Maria con Cristo
nella fede, nella speranza e nell'amore.
Se i papi si mostrarono molto aperti nell'impiegare la formula del-
lia cooperazione, furono invece molto cauti nel ricorrere al con-
cetto di corredenzione. Soltanto Pio x e Pio XI ne hanno fatto
sporadico uso, e sempre in documenti di scarso rilievo. Pio XII, i
suoi successori e il concilio si sono volutamente astenuti dall'impie-
gare un termine cosl equivoco.38 In senso proprio esso spetterebbe
allo Spirito santo. Stranamente lo si invece usato come attributo
mariano, prescindendo cosl interamente da una concezione pneuma-
tologica. Il termine, lanciato nel 1925 dai mariologi, provoc una
immediata e decisa reazione da parte dei teologi cattolici. A costoro
sembrava che il prefisso con ponesse sullo stesso piano Cristo e
Maria, allo stesso modo in rui i termini co-erede, col-laboratore, co-
belligerante affermano una parit di grado. In verit il concetto era
stato coniato per esprimere una distinzione ed una subordinazione.
Fin dal sec. x certi autori avevano chiamato talvolta Maria col no-
me di redemptrix, mentre altri k attribuivano il titolo di salva-
trix. Si rifletteva sul fatto che essa ha generato il redentore, il sal-
vatore, e che in questo senso quindi causa di redenzione e di sal-
vezza. Quando si afferm l'idea di una attiva partecipazione di Ma-
ria al sacrificio del Calvario, si sentl l'esigenza di precisare meglio
questo termine ancora indifferenziato. Cos nel sec. xv venne conia-
ta la voce corredemptrix. Nei secc. XVII e XVIII, poco a poco, es-
so sostitul le precedenti denominazioni. Ci che s'intendeva espri-
mere aggiungendo i1' prefisso CO era l'unicit del mediatore. Per
pura grazia Maria prende parte alla sua opera divina e umana. Essa
non un secondo redentore, un redentore al femminile. Se si trova
ai piedi della croce, se partecipa al sacrificio di Cristo, ci avviene
in virt di una grazia che scaturisce da questa redenzione. Rimane
solo da chiedersi se il primo pensiero che ci si forma quando si prof-
ferisce o recepisce il termine corredemptrix sia proprio questo. ~

38 R. LAURENTIN, Le titre de cordemptrice. Etude historiqu~, Roma, Marianum,


e Paris, 1951, con un dossier cronologico dei testi.
410 MARIA PROTOTIPO DELLA CHIESA.

lecito dubitarne. Si comprende cosl anche il motivo per cui tale


espressione perse continuamente terreno.
Ma le riserve che si avanzano derivano anche da un altro e pi
importante motivo: non si d'accordo nemmeno neHo stabilire l'og-
getto. Pio XII ha volutamente preso le distanze e non ha inteso di-
rimere la celebre controversia se Maria abbia partecipato in modo
formale e immediato alla redenzione oggettiva. Egli riteneva che la
questione non fosse ancora matura e preferl che rimanesse del tut-
to aperta. 39
Per quanto concerne la maternit spirituale,40 questo un concetto
di cui il concilio si servito pi abbondantemente che di tutti gli
altri gi ricordati; lo ritroviamo quasi in ogni paragrafo. E. infatti
semplice, chiaro, familiare e, ci che pi conta, a quel tempo non lo
si contestava ancora. Bisogna tuttavia ammettere che cela anche pa-
recchi problemi, per quanto a prima vista possa sembrare il con-
trario. Il pi importante di questi risulta chiaro dal fatto che Maria
non madre di Cristo allo stesso modo in cui madre dei cristiani.
madre di Cristo perch lo ha generato fisicamente. madre dei
discepoli di Cristo per modo di adozione. Il concilio non affronta
questo tema, tuttavia impiega due volte la voce madre)> e sempre
in passi dove entrambi gli aspetti della maternit di Maria vengono
ricordati. Mentre anticamente si parlava di Maria come della Ma-
ter Dei et hominum, il Vaticano 11 ripete il sostantivo madre:
Mater Dei et Mater hominum (Lumen gentium, 54 e 69). D'al-
tra parte anche qui il concilio prescinde dall'apparato concettual'e
scolastico e traduce il dato ontologico in quello esistenziale.
Dovremo ben guardarci dal privilegiare una qualifica - interce-
ditrice)>, regina, ecc., quella stessa di madre - suMe altre. Si
tratta soltanto di diverse determinazioni che, in modo pi o meno

39 R. LEIBER, 'Pius xn', in: StdZ 163 (19381959) 86: Per quanto ... riguarda ....
il problema della 'Mediatrice' e 'Corredentrice', Pio xn, ancora poche settimane
prima di morire, nei giorni immediatamente seguenti al Congresso Mariologico di
Lourdes, affermava che entrambe le questioni erano troppo oscure e non ancora
sufficientemente maturate. In tutto il suo pontificato non ha mai voluto, e di
proposito, prendere posizione in merito a tali problemi, preferendo lasciarli alla
libera discussione dei teologi. N pensava di mutare questo atteggiamento.
" R. LAURENTIN, La Vierge au Concile, Paris 1966, 151168.
NESSO PUNZIONAJ.E

pertinente, in termini scolastici o simbolici pi o meno felici, tra-


ducono una verit di fondo, che possiamo qui riassumere.
Maria congiunta a Cristo pi di ogni altra creatura, a motivo
del legame derivatole dalla sua condizione di madre di Dio, la qua-
le non si esaurisce in una maternit fisica, perch essa assunta ed
inserita in una comunione con Cristo che proprio queUa che il
NT ci presenta. 41 Per diverse ragioni, quindi, l'opera di Cristo , per
pura grazia, anche opera sua, prima che diventi opera nostra, per-
ch noi siamo membri del suo corpo.
Secondo una regola generale, che vige nel piano di salvezza, un
uomo quanto pi unito con Dio e compenetrato dalla sua grazia,
tanto pi congiunto agli altri uomini e responsabile nei loro con-
fronti, perch pu dimostrar loro meglio queH'amore che la molla
motrice della salvezza. Maria possiede l'amore di una donna che
benedetta fra le donne (Le. 1,42); in quanto madre del redentore
essa svolge un ruolo di madre (Io. 19,25 ss.; cf. Apoc. 12.,17) nei
confronti dei suoi fratelli (Jo. 20,17), membri del rorpo, di cui
capo suo Figlio.
Pi di ogni altra persona umana, con una vita teoliogale pi pro-
fonda e salda e con maggior impegno di qualunque altro, Maria ha
preso parte alla vita ed all'attivit del redentore.
Innanzitutto essa ha cooperato esercitando la propria fede ed im-
pegnando tutte le possibilit materne nell'attuazione del mistero del
l'incarnazione.
Ai piedi della croce (Jo. 19,26) essa ha offerto una nuova prova
della sua grande fede e amore. Certo, la sua compartecipazione alla
sofferenza redentiva non era necessaria. Il ruolo che essa svol1ge nel
sacrificio della croce analogo a quello del fedele nel sacrificio della
messa. Inoltre questa cooperazione frutto di una grazia ricevuta
dall'alto. Ma questa grazia immeritata dipende dalla decisione di
Dio, dalla logica di un amore che inserisce ampiamente questa don-
na nell'opera del nuovo Adamo. Maria venne preservata dal peccato
perch non era possibile che i primi fondamenti della redenzione
presentassero la bench minima traccia di peccaminosit. La sovrab-
bondanza del dono di grazia, la qualit del suo amore, la sua fon-
41 Gli elementi pi significativi sono contenuti in Le. 1-2 (R. LAURENTIN, Struc-
ture et thologie de Luc I-2, Paris 19,6, 148-r,2).
412 MARlA PROTOTIPO DELLA CHIESA

zione di madre, congiunsero cosl strettamente Maria a Cristo che


possiamo senz'altro considerare l'opera del redentore anche opera di
sua madre. Il dono che viene accordato. a questa donna rientra nel
piano che prevede la massima collaborazione dell'uomo perch la
salvezza si attui. In questa prospettiva la madre del salvatore assu-
me una funzione del tutto esterna ed al contempo esemplare. Sul Cal-
vario essa rappresenta certi aspetti dell'umanit che Cristo non ha
personalmente assunto. Maria una donna, redenta, vive nell'oscu-
rit della fede. Essa soltanto una persona umana. Per tutte que-
ste ragioni non senza importanza n fatto che essa sia compartecipe
del sacrificio. Non per questo lecito affermare che Cristo non sa-
rebbe stato pienamente ed interamente uomo e che il compito di
Maria consisterebbe nel colmare delle lacune. Si tratta piuttosto di
certi aspetti accidentali, che non toccano il suo essere-uomo. Ci
che esprimiamo in modo negativo, quando diciamo che Cristo non
si appropriato di questi aspetti dell'umanit, dipende dai suoi at-
tributi negativi, che gli spettano in quanto Dio-redentore. Il per-
fetto redentore non poteva essere un redento. Egli doveva essere
una persona divina, increata. Doveva scegliere se farsi uomo o don-
na. Maria chiamata ad offrire il contributo d'armonia della nuova
Eva. Ma tale cooperazione non dipende assolutamente dal fatto che
Cristo non sarebbe mediatore in senso pieno, n in grado di rap-
presentarci e di redimerci. Inoltre, non si tratta di un privilegio che
allontanerebbe, isolerebbe Maria daUa nostra condizione. Essa un
prototipo per coloro che Cristo chiama a partecipare all'opera di
salvezza nel successivo decorso della medesima storia e degli stessi
impulsi.
Anche in seguito Maria continuer a svolgere un ruolo neH'ap-
plicazione dei frutti della redenzione. Come potremmo delinearcelo?
Lo schema che i difensori della intercessione presentano oppo-
sto a quello avanzato da coloro che sostengono invece la me-
diazione:

Cristo Cristo

Ma}ia j t
Maria
t
J,

J,
Chiesa Chiesa
NESSO FUNZIONALE

Stando al primo schema, sembra che il ruolo di Maria si esaurisca


nell'intercedere presso Cristo, che solo agisce sulla Chiesa. Stando
al secondo schema, invece, Cristo, al quale Maria ha indirizzato le
preghiere che salgono daH'umanit, fa ridiscendere la sua grazia per
mezzo di lei, come attraverso un canale od un acquedotto. Qui
Maria si troverebbe pi vicina alla Chiesa. Questi schemi per, in
cui certe menti rimangono impigliate, si rivelano carenti e vanno
superati. Non sono altro ohe rappresentazioni materiali, tentativi
inadeguati, per certi versi ingannevoli, coi quali ~i mira a tradurre
una realt di tipo spirituale. In ultima analisi non ci troviamo di
fronte ad un modeHo meccanico di trasmissione, bensl ad una per-
fetta communio teologale, ad una reciproca intercomunione, se-
condo il concetto paolino del: noi siamo in Cristo e Cristo in
noi. Questo nesso rispecchia quel mirabile scambio in forza de}
quale Dio diventato uomo per divinizzarlo. Tra il redentore e sua
madre questo si realizza nel modo pi perfetto ed intimo. Essa co-
munica, prende parte a tutto ci che Cristo ed opera nella sua
Chiesa. questa la profonda visione in cui bisogna inserire il mi-
stero della sua intercessione e della sua cooperazione universale in
Cristo e per mezzo di Cristo.
Da questo punto di vista fan ridere certi predicatori che contrap-
pongono al Cristo giudice la Vergine misericordiosa. Maria non fa
altro che riflettere ed interpretare la misericordia che Dio dimostra
nei nostri confronti. Essa ne un segno.
Ed infine, il ruolo che abbiamo descritto una funzione nel cor-
po di Cristo, cio nello Spirito santo, il quale stabilisce il collega-
mento tra i redenti e Cristo, e che prende inizio in Maria. Lo Spi-
rito coopera con Cristo sul piano divino, mentre Maria coopera sul
piano umano. Secondo un'espressione di Grignion de Montfort, Ma-
ria interamente riferita a Cristo, ma allora interamente riferita an-
che allo Spirito. Essa ci che soltanto nello Spirito e per mezzo
dello Spirito, che realizza dall'interno la comunione dei santi e tut-
to ci che in essa avviene.

Chi approfondisce la relazione esistente tra Maria e la Chiesa si


trova di fronte a due tendenze divergenti:
BDLIOGRAFIA

- la prima (ecdesiologica) che sottolinea la somiglianza tra Ma-


ria e la Chiesa
- la seconda (cristologica.) che sottolinea invece il contrasto e
mette in evidenza la somiglianza tra Maria e Cristo.
Non ci chiediamo se Maria si trovi pi dalla parte di Cristo o
dalla parte della Chiesa, perch dovremmo elaborare un gioco di
sottigliezze e di sterili ambiguit, che ciascuno potr poi conforma-
re alfa propria ottica.
In realt Cristo il tipo, il modello, il prototipo ed anche il sal-
vatore sia di Maria che della Chiesa. E soltanto in Cristo e nello
Spirito Maria pu essere considerata come il prototipo, la madre o
meglio ancora l'inizio della Chiesa nella sua congiunzione con Cristo.

REN LAURENTIN

BIBLIOGRAFIA

I. Atti, congressi, riviste


Mari4 et Ecclesia. Acta C.Ongressus Mariologici-Mariani in civitatc Lour-
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BIJ!LIOGRAFIA

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J. Studi f<mdamentali
H. CoATHELEM, Le parallelisme entre la Sainte Vierge et l'Sglise dans
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O. SEMMELRont, Urbi/J Jer Kirche. Organischer Aufbau des Marien-
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SEZIONE SECONDA

LA CHIESA COME LUOGO


DI UNA MULTIFORME ESISTENZA CRISTIANA

La Chiesa concreta ci riesce accessibile solo per gradi. Indubbia-


mente, le riflessioni fin qui condotte sul mistero della Chiesa rap-
presentano, ncl1a plasticit dell'ecclesiologia biblica, un progresso
nei confronti di una sbiadita e astratta rappresentazione di Chiesa.
Ed anche vero che gli stessi modi in cui la Chiesa attualmente si
realizza contribuiscono a rappresentrcela, pi che nella sua condi-
zione l'atente o statica, in quella di una comunit vivente. Ma po-
tremmo avere anche la sensazione di trovarci di fronte ad un sog-
getto ml1ettjvo ipostatizzato, ad una somma ~i individui che si esau-
rirebbero interamente nella loro vocazione di persone credenti, ac-
comunate dalla medesima fede; individui che esprimerebbero per se
stessi l'intera essentia dell'esistenza cristiana ed ecclesiale e che
si differe~ierebb~;o tra loro soltanto per certi_~~-~.L~econdari,
accid_~.m~!! (et, sesso, situazione storica, ecc.). Ma anche quando
giustamente si osserva che ogni singolo fedele inserito nella co-
munione del corpo di Cristo, si pu appiattire questa relazione, va-
riamente modulata e realizzata, in un rapporto cos} generico che non
rispecchJa pi la vi;talit e multiformit dell'esistenza cristiana e
deHa comunione ecclesiale.
Si gi chiarito tale equivoco nella sezione precedente, dedicata
a Maria come individuo-tipo della Cbksa. Si visto che solo al-
l'appar_~DZl!__?;j!JlpQ~~lblk.JID.!U.~nsione fra l'e~!1Za universale della
Chi~sa e la realizzazione estrema~-;;~t~ indl~Tduale dell'esistenza cri-
stianQ:~.le.~~le. Questa esemplare conseguenza non pu essere tut-
tavia considerata semplicemente come un caso unico, del tutto ec-
cezionale, perch essa schiude un'analoga possibilit. a tutti i creden-
ti che vivono nella Chiesa. Tutti costoro possiedono infatti, ognuno
per s, l'intera pienezza della sal'Vezza 1 la Parola .vivente d Dio, lo
Spirito, fa comunione con Ges Cristo, e ci nonostante non sfocia-
INTRODUZIONI!

no affatto in una stinta cristianit generica, ma danno forma, in


virt del medesimo dono della salvezza, a diversi e nuovi tipi di
esistenza cristiana. Dovremo quindi approfondire questa multiformi-
t di...:_esistenza cristiana, vissuta nell'ambito della Chiesa, partendo
dal paradigma mariologico, senza comunque esaurirci in esso.
Questa differenziazione pi importante e ricca dell'articolazione
della Chiesa" secondo le sue funzioni e ruolo gerarchici. Essa ci
apre una prospettiva pi ampia, entro la quale possibile capire e
realizzare meglio i singoli compiti nella Chiesa.
Se ad esempio si dice che la definizione di Chiesa come popolo
di Dio soggiace a tutte le differenziazioni di tipo ministeriaI~, si de-
ve anche ammettere che Ia multiformit dell'esistenza cristiana
coestensiva al popolo dj Dio nel suo insieme. Solo cos si potr
veramente ovviare all'impressione di una realt ecclesiale vaga ed
aru>iattita. un equivoco in cui si pu incorrere anche utilizzando i~
ricco concetto ecclesiologico di !>OJ>Olo di Dio. Analogamente, quan-
do questa multiformit della Chiesa e dei singoli tipi di fede viene
proposta come correttivo e qualillcata come gerarchi& interna,1 ci
che realmente ci si prefigge offrire una compensazione, un ontrap-
peso alla gerarchia ministeriale. A me sembra, tuttavia, che anche
un tale concetto condur.rebbe affrettatamente a delie classificazioni e
relative sopravvalutazioni e sottovalutazioni, e introdurrebbe cosi un
::lemento di disturbo nella sfera dei vari tipi di fede e degli effetti
prodotti dallo Spirito. Inizieremo col considerare la Chiesa fonda-
mentalmente come luogo dell a multiforme esistenza cristiana ed ec-
1

cl~siale, per cogliere cosi quel punto di vista da cui partire per di-
stinguere fra una gerarchia esterna ed una interna.
Condurremo questa riflessione in due tappe. Innanzitutto esami-
neremo la possibilit e necessit di una simile ricchezza di forme ec-
clesiali, e ~;n ~~grado bensl proprio a motivo del comune fonda-
m~to_clj. fu.de. La concretazione e configurazione dei singoli tipi
non sol-o sono possibili ma sono anche esigite, richieste a ciascuno.
In modo analogo a quello che riscontriamo nella riflessione filosofica

I Il concetto di una gerarchia interna,., contrapposta ad una esterna, mini-


steriale, ID si ritroya per la prima volta in K. RAmiER, 'UtierOen "'Versuh eines
Aufrisses einer Dogmatik', in: Schrif ten I, 42 ( trad. it. 'Saggio cli uno schema
di dogmatica', in: Saggi teologici, Ed. Paoline, Roma}.
INl'RODUZlONE

sulla persona, anche qui ci troviamo di fronte al paradosso di dover


offrire un approfondimento e defuiizione di ci che assolutamente
concreto ed unico, e che si realizza nella singola esistenza di fede.
Anche qui si dovranno cogliere l'apertura e il rapporto che il singo-
lo tipo manifesta nei confronti di ogni altra concretazione, e pure i
modi in cui l'intera variet si integra nell'unit e comunione ec-
clesiali.
Un simile tipo di riflessione possibile solo quando si operano
continuamente anticipazioni sui m~ concreti di tradurre l'esistenza
cristiana, ed allo stesso tempo si gradua lo spettro dei diversi pos-
sibili tipi di fede con delle esemplificazioni. Lo spettro troppo sem-
plifiooo-~~!J!_g~~e: ci <?1Ir!_(p_ello dello stato regolare e stato
secolare) ha sempre la sua importanza, ma dev'essere ulteriormente
~ ed approfondito. In se stesso considerato, questo schema di-
fetta di ~na _,erec~ collocazione teologica ed ecclesiologica; ma ci
che pi grave il fatto che qui non si afferma n si prevede la
possibilit__ di _tm~wterj.ore e pi differenziata caratterizzazione. Per
quanto sia necessario un certo raggruppamento, classificazione, le
connotazioni particolari potranno venir comprese ed affermate nella
loro individualit sol'tanto se riferite ad un punto e tema comuni.
Bisogner individuare un raggruppamento tale che consenta diverse
manifestazioni tipiche all'interno, ad esempio, della comune relazio-
ne a Dio, o dell'unica sequela di Cristo, o dell'unica dimensione ec-
clesiale. L'unica e comune decisione di fede consent~ una libert che
va sviluppata e realizzata mediante opzioni diverse.
Infine questa riflessione s'arrester davanti al dato ineffabile deT-
l'individuo che crede, della vocazione carismatica, della missione ec-
clesiale. La nostra esposizione non potr quindi prefiggersi l'ambizio-
so obiettivo di preordinare tutte Ile possibili articolazioni dell'esi-
stenza crisdana, che ci riescono immaginabili.roftanto ~ITondamen
to della loro attuazione e realizzazione originale. Parimenti questa
analisi non pu pretendere di elaborare in modo adeguato e in ter-
mini concettuali le espressioni gi esistenti e realizzate della fede,
le forme di santit cristiana vissute dai santi o le ispirazioni eccle-
siali rivelatesi feconde. Una riflessione ecdesiologica, per quanto le-
gittima e necessaria, non sar mai in grado di imbrigliare entro uno
MlJLTIPORMIT DELL'ESISTEPIZA ECCLESIALE

schema la fantasia dello Spirito operante nella Chiesa: si sentir


continuamente trascesa.

I. LA MULTIFORMIT DELL'ESISTENZA ECCLESIALE

z. Concretazione posnbile -e necessaria dell'individualit cristiana

La tensione fra ~.~nza cristiana deHa fede colta nei suoi tratti
generali e comuni e quella osservata,--nelfeClIV"erse espressioni che
essa assume all'interno della Chiesa solleva senz'altro un problema
specificamente teologico, che si potr approfondire anche in base a
deUe analogie di tipo filosofico. Va comunque osservato che in tal
caso non basta semplicemente vedere la problematica ecclesiologica
come l'applicazione sussunta di un problema filosofico generale; es-
sa piuttosto l'amplificazione formalizzata di un'esperienza concreta.

a. La concretazione crune problema fi.llosofi.co

Fin dalle sue pi antiche origini, la storia della filosofia si occupata


del problem~ del modo in cui la variet delle cose si raeporti all'unit
de} mondo. All'interno di questa tensione si profilarono gli accenti
pi d~i, che talora sottoline?Jldo l'unit e globalit del mondo,
della storia, trascurarono il carattere specifico e peculiare delle sin-
gole realt o persone umane, tal! altra, per affermare la peculiarit e
differenziazione delle cose singole, dell'uomo come persona e della
sua storf;-occultarono la loro coincidenza con la realt presa ne} suo
insieme. il problema che affiora dai monismi della filosofia greca,
dalla disputa medievale sugll universali e dai sistemi storico-liloso-
fici clell'ig_c:!llsmo tedesco. Chi indirizzava la propria attenzione so-
prattutto verso la totalit del mondo e della storia ammetteva una
importanza minima all'individualit difierenziata; colui invece che
s'interessava speci~en; di questa -individualit perdeva quasi di
vista il nesso e la comunicazione C$i.stentLtta k ~!ggole realt.
Per quanto il problema rimanesse insoluto, gli uomini speri.men-
420 CHIESA COME LUOGO D'ESISTENZA CRISTIANA

tavano pur sempre il fatto che negli enunciati ontologici era impos-
sibil'<'.. rac~~~~~er(!_ ~~ ~.?!1.<:~~t:_z~~-~~l.'t:~~~~r.i!e.._~golo, e specialmen-
te l'unit della persona singola e specifica. La determinazione onto-
logica consente altre e pi precise determinazioni, ancora passi-
bi!_e.__.J!j__ determinaz~ e di specificazione. Un esempio plastico di
questo stato di cose ci viene 9J.J~nQ.__l;!IJ.'al~.Q_s!L:Porfrio, pianta
che costretta a differenziarsi oltre i rami del genere e della specie
per poter includere anche la cosa singola. Ma questa possibilit si
rivela anche una necessit: la determinazione ontologica universale
an;;~a carente. di..A!Le.!_mintL'IJQ.ne. Ci vale anch~-qua~doPuniver
salit e l'astrattezza del concetto filosofico, nel designare l'individua-
lit ~illg_Q~. cozza.v. !LfQ!!tro i lQJ:..Q__ mlli._.limi!i. Cosa rende, fra i
molti alberi di una determinata famiglia, questo singolo diverso da
tu_!:ti gli altri? o~a rende,J!.!_i molti uomini, Socrate ci che egli
.? Questi erano i semplici interrogativi che ci si ponevano oon-essen-
do in grado di addurre un pi preciso principio di individuazione.
Nemmeno la soluzione scolastica, che localizzava tale principio nella
materialit singola o nel t~9 fra _mt~~-fil!Ll!J.'Opria materia,
autorizz a pensare di aver colto e formulato l'essenza dell'indivi-
dualit, ma soltanto e tutt'al pi di averla cercata. 2 Se tal'e soluzio-
ne poteva soddisfare le esigenze emer~ti dal wndo materiale, es-
sa -rimane-li1vece -1nfutltmente dist~~-t-e, sul piano umano, dal miste-
ro della persona. E questo risulta chiaro solo quando si cerca di ap-
profondire meglio i modi di concretare l'esistenza di fede neH'am-
bito ecclesiale.

b. La concretazione come problema teologico

La coscienza, sempre pi avvertita, dell'impossibilit di stabilire un


confraruo_.fta Je .cliY.~~s~.J?e.!:.SQl)C!, si_qgole che vivono nella sfera so-
ciale, culturale e fifosofica, indusse a rivolgere una maggiore atten-
zione alle sin&21e_for~~.in -~u._i Ja_ frl_e __~_?t!i~a. L'accusa di essen-
zialismo, che si muove alla teologia scolastica, potr essere anche
wltanto in parte giustificata, e tuttavia essa denuncia una tendenza

2 Per una breve panoramica sulle diverse teorie filosofiche circa l'individuazione,
cf. G. MEYER, 'lndividuation', in: LThK v (1960) 658.
MULTIFORMIT DELL'ESISTENZA ECCLESIALE 421

pericolosa: la d@.co~~- e Ia povert concettuale, che ~?erio)!_filo


sofia ~J.-~'?telka mostrava nell 'atfr9~!~.J! sfent.~l!!!!!iY.!!J!~te
nuova dell'umano e del personale, contribuirono a stendere un velo
di silenziQ.._~H'individu!lit~_dell'esiste~ana. Poteva sorgere
l'impressione che i singoli cristiani rappresentassero semplicemente
delle realizzazioni diverse dell'unica natura um~na e dell'uniroe co-
mune ~ di grazia, dUierenzia~d~;i--;olta~~;-per delle col:locazio-
ni esteriori e accidentali, teologicamente irrilevanti. Essenziali erano
alloraJ,'..antr.9,.n.ojggia... la dottrina .deUa grAAia,Ja cgncezione delle vir-
t teologali (fede, speranza, carit), ma anche l'int~tic-;c-ristiiia.
E cosi la concretazione e individuazione ~on si delinearono a7Finter-
no di_ ql!esti g-~tti _essenziali comuni, non in una diversa artiroliZione
dell'elemento comune, ma vennero piuttosto relegati nella sfera sup-
ple~!Jtare di una esistenza. vamtLfilla luce de~ consigli evangelici. 3
Indubbiamente questa uniformit essenzialistica delhi t'Ori7i. ec-
clesiasti~~retta dalla pi:assi di vita, dai diversi stili di esistenza
cristiana, dalla fantasia dello Spirito, soprattutto dalla vitale concre-
tezza dimostrata dai santi. Tuttavia anche nella riflessione teologica
e nella concezione di fede la pluriformit e fecondit interiori della
salvezza meritano una maggiore attenzione, sia alla iuce derCfooo di
salvezza come pure della sua appropriazione per fede.
L'unico dono salvico della Parola di Dio e l'unica partecipazione
dello Spirito vengono~ti, per guant<:>.i~modi_~~".~~h_ soltan-
to !_~ crede. Qui nessuno potr allo stesso tempo ascolta-
re, accettare, realizzID"~.l!ftto ci che conJ.~VJll~L.ill~l~a- gori;u:k,lla ri-
velazione e_ntll~realt__4L.Qi9 chi: !_.c:_O_lll__!!,.nica. Ma il motivo di tan-
ta variet non dev'essere ricondotto alla scelta che s'impone e nem-
meno solta~t9___ajj~..P~t!~ipazl~nhnita dell'iilflilt dJ])o, "he la
stessa salvezza, ma pure a q~e1~1:d~a a~s:.;mione e conformit che
conferiscono all'esistenza di fede proprie modalit di credere e di vi-
vere. Ed una simile situazione non va relegata alla periferia di que-
sta esistenza -dIIde~-q;;aSidi l'inaividu~1it possa-pro"lifarS!sOitan-
to in integrazi~--niefigure ornamentali; essa si confonde interamen-
te, piuttosto, con la simbiosi che si forma dalla Parola partecipa-

3 L'unit fra generale e specifico viene giustilicata, su un piano pneumato-


logico, da H.U. v. BALTHASAJt, Charis und Chnrisma, in Spoma Verbi, Einsiedcln
1961, pp. 319-331 (trad. it. Morcelliana, Bre;cia).
422 CHDISA COMB LUOGO D'BsJSTBMZA CUSTJAHA

ta e dall'uomo che per fede l'accetta. Non si pu misconoscere que-


sta variet nemmeno dove ~.J.ede __ dei sirygoH cristiani si esprime in
~~n.e_~esiale. Non vero soltanto che la storia conosce
una pluralit.. 4i modi di esprimere qesti simboli di fede pur sem-
pre comuni e o-;;;g~ei; anche vero che unidentico tenore delle pa-
rol!e ~e~~'.!!~! a livello ~~mprensione, di pensiero e di preghiera
del simbolo cristiano, una sua ~interpretazione, paragona-
bile a.l!le variazioni cui la stessa opera d'arte, si;-essa di tipo lingui-
stico o musicale, viene sottoposta dai diversi criteri usati per inter-
pretarla.
Ma bisogna anche abbandonare l'idea, finora presupposta, che noi
incontreremmo la.~ di Dio, il dono de1lo Spirito, la. testimo-
nianza die Cristo d di se stesso, in una sua forma non ancora indi-
vidualizza-;: .:B :vero invece che noi non -~sciamo questo dono di
salvezza....&AQP. i!!_ una figura sempre gi modificata, e quindi indivi-
dualizzata, dalla precedente receziOile:ilvangelo di Ges nelle quat-
tro tradizioni e redazioni evangeliche, 1'a profezia dello Spirito negli
autori neotestamentari, nei loro scritti e nelle testimonianze che egli
rende all'interno della storia della Chiesa. Qui prescindiamo da ogni
inevitabile offnscemento e HmiteziQ.ne, e ci riferiamo unicamente al-
l'appropriazione ed assimilazione che si attlun<?.. in modi sempre nuo-
vi. Ma procederemo oltre, fino a sentirci costretti a varcare il limi-
te che ci sembra imposto dall'immutabilit divina. Questa multifor-
mit, infatti, non va ricondotta soltanto alla ricezione, da parte del-
l'uomo; bisogna tenere pur conto della possibilit che Dio stesso, nel
corso della storia della rivelazione, all'interno ed all'esterno degli
scritti canonici, interpelli in modi sempre nuovi e propri, e che lo
Spirito stesso operi secondo forme del tutto singolari, non coarta-
bili entro lo schema dell'analogia. In caso diverso awemmo ricava-
to, dalla materia, dalla situazione, dall'atteggiamento deH'uomo che
ascolta ed accetta, un'individuazione che vale soltanto per la sfera
pi elevata del personale e del carismatico. Ed proprio ci che in
questo campo si rivda insufficiente. La variet trova i} suo fonda~
mento gi nell'attiva donazione di Dio.
MULTIFORMIT DELL'ESlSTENZ!t. ECCLESIALE

c. Tra l'appiattimento generale


e l'individuazione che sfocia nell'iso]amento

Anche in teologia incontriamo quindi questi due poli di tensione


che caratterizzano la storia della filosofia. Ci che soprattutto si ri-
chiede, nella u;Qlogia ma specialmente nella riflessione dei cristiani
e nella vita pubblica della Chiesa, il superamento d quCll'essenzia-
Ji~ ci fa credere nell'esistenza di un modello omogeneo, il
quale consentirebbe solo lievi modificazioni del:le forme e stili di vi-
ta. Bisogner creare un pi ampio spazio di libert, nel quale si ela-
borino nuovi progetti di esistenza cristiana. Ci si dovr impegnare
affinch nella Chiesa si dimostri maggior tolleranza di fronte a missio-
ni e compiti ecclesiali nuovi, finora sconosciuti. C.Ome necessario
che ad un'etiC'Al esscnzialistica, priva di fantasia, si aggiunga un'etica
esistenziale 'C1'$tlana, che non andtebbe immediatamente avvertita
come ~tica della situazione, cosl pure necessario articolare diverse
possibilit di. fede, Che non dovrebbero far sorgere immediatamente
il sos~tto e il rimprovero dell'arbittariet.4 Il singolo fedele deve
innanzitutto liberarsi da ogni legame che lo tiene avvinto ad un
modello !mpost~-di santit. Dovr, e in t~po--debito, riconOsre
il pericolo delf'isolamento e della perdita di comunicazione, e la pos-
sibilit di realizzare in forme nuove la fede comune e comunitaria
nella stessa Parola e la vita che proviene dall'unico Spirito. Diver-
samente da quanto accade nella riflessione teologica, lo spostamento
di accenti, che si verifica nella prassi e nell'attuazione della propria
esistenza, non trova sempre un bilanciamento perfetto e continuo,
ma conosce oscillazioni inevitabilmente improntate dall'accidenta-
lit e unilateralit.

4 Sull'insuffi_cienza dell'essetuialismo n__clla teologia. d. K. R.ufNmt, 'Uber die Fra


ge einer form"i!en EXistenuilctfok', m: Schri/ten II, 227-2i6 (traci. it. 'Il proble-
ma di un'etica esistenziale formale', in: Saggi di antropologia sof>l'annaJurale, Ed.
Paoline, Roma); cf. anche K. RAHNB11, 'Der Anspruch Gottes und der Eim.elne', in:
Scbri/ten VI, 121-536 (trad. it. 'Le esigenze di Dio e l'individuo singolo', in: Nuo-
t1i Saggi I, Ed. Paoline, Roma).
CHIESA COMI! LUOGO D'l!SISTEN'ZA CRISTIANA

2. Tipologia esistenziale della tradizione

La vita ecclesiale della fede antecedente a tutte le successive ri-


flessioni e articolazioni, ed anche pi vitale. Nell'evolvere la no-
stra tematica dovremo tenerne conto. La tradizione - che qui non
intendiamo soltanto come teologia riflessa e tematica ma anche co-
me variet di modi di vivere la fede cristiana - ha conosciuto la
pienezza e la fecondit infinita dell'unico dono salvifico della Pa-
rola e dello Spirito, e si pure espressa -in una moltepl~cit di tipi
di fede e di esistenza. Certe forme di essenzialismo, l'ignoranza del-
l'indiyidualit, vissuta __sempre i~1:1E_tnodo irripetibile, vanno pur
sempre considerate come un modo di articolare pi una teoria che
lJ)la vita. La gerarchia intem-a'li~_Ii::ruJi~~lIIPra, fi __g_Ji_~a esterna, che
-~-~e. Per quanto le si debbano rehitivizzare e trascendere, le ti-
pologie finora proposte meritano comunque un breve accenno ed
una rapida illustrazione. Questo ci aiuter, se non altro, a concre-
tare ed elucidare l'obiettivo delle riflessioni che seguono.

a. L'articol:azione della Chiesa


come ordinamento prodotto dallo Spirito

Non questo il luogo di evolvere in modo dettagliato le trasforma-


zioni o~~~~~L!!-~11'.!:mbito ...dell'.Qti;U.Q!!..l].}~!lJQ_~cclesi_astico e dei mi-
nisteri che in esso si formarono. Ci che invece si dovr mostrare
l; deri~~io~e 'd~idiver~rvizi non soltanto daUa necessit fun-
zion~!c;_.Q.L-ga org8-~zzazi?.E.e. ch!!2!.s_!_ava espandendo, meno ancora
dai modelli presenti nella societ prof;na~- bensl --~ialla vocazione e
mission.e_J:lt:LSign.or.e_~_.Ldono_d<:l ~ug -~pirito. Non appena si co-
glie questa matrice, possibile superare a~~he la polarizzazione tra-
dizionale clero-laici e coglierne un'origine in cui la differenziazione
viene posta su un piano pi elevato, ed allo stesso tempo legitti-
mata. chiaro che sono diversi i modi d'intendere e di realizzare
l'obbedienza all'appeHo di Cristo e la missione verso i fratelli e la
Chiesa. Questa differenziazione pu essere stata sollecitata anc1he
dall'estemo1 d~Ue _div~rs.e.. sitnazieai: .fft.-.a:H ..Ja-Ch~sa si trovata a
vivere dalla nec.e~~.it~. ___h_e_ ..~-~~~J1a. s~nJitQ_cj_yoJ;r~.. detennnate
MULTIFORMIT DELL'ESISTENZA ECCLESIALE

funzioni. Il suo motivo profondo, tuttavia, sta neUa partecipazione


individualizzante dello Spirito. Non possibile n necessario che tut
ti facciano tutto nella chiesa. E solo per il fatto che ciascuno si li-
mita a svolgere il proprio servizio, e a realizzare quindi a suo mo-
do il proprio compito e responsabilit, viene alla luce anche il tratto
di variet che connota l'esistenza ecdesiale.5

b. Testimonianza cristiana
come risposta alle sollecitazioni della storia

Una divisio!!._e adeguata tra impulsi ~~_!iyanti da una m':!tivazione in-


terna e quelli provenienti da una motivazione esterna non possi-
bil~i- e non nemmeno necessaria, quando si tenga conto delle con-
tinue provocazioni che la storia rivolge a motivo dell'attivit storica
del!Q._Spitito. Dovremo quindi considerare illegittima -quella divi-
sione _:,_ v~11t~~?ne che so_!gono da1: desiderio di distinguer~_!_!_...9,.ua
lificare diverse _attuazioni dell'esistenza cristiana: tra quelle che na-
scono da un'ispirazione. intra-ecclesiale e in.tra-teologica e quelle che
vengono determinate da una provocazione storica, sociale o politica.
La fusione che qui realmente sussiste non deve sfociare in una vera
e propria scissione.

Cosi, vero che soltanto il tempo delle persecuzio._ni ha ~':'~~la


radicale testimonianza di fede del martire, e tuttayia bisogna tenere pre-
sente che si T"manrfestata "iilsime anche una fede radicale, una sequela
estremamente .. conseguente del Signore crocifisso e risorto. In modo ana-
logo, di fronte ad una Chiesa che, nell'ra post-costantiniana, si sta pro-
gressivam~nte imborghesendo, si pone la figura dell'ascetl!_ e del padre
del s)esert_Q,, che gi vive in modo chiaro e critico la li_~~ristiana di
fronte _!!Ile potenze di questo mondo. Una tale testimonianza scaturisce
per un verso dai pericoli storici che incombono sulla Chiesa, per l'altro
tuttavia anche dalla libe~~~ _senuinamentc:~~gelic!_4i_,E!1~r!~!J.!1!!2,_Che
si lascia interpeJ.l!i~ dalla s,<?yranit.~- Q.i_Dio_ La mistione tra comunit
ecclesiale e societ occult in misura sem~_.pi ampia il nuovo tratto
della frat~rni_~~ __qj_stiana_ E c~sl il monachesimo cenobitico propose, nuo-
vamente e insistentemente, l'ideale originario. della comunit proto-cri-

s Per quanto riguarda l'unit carismatica che caratterizza ogni attivit ecclesiale,
d. H. HASENHUTTL, Chdrisma, Ordnungsprinvp de Kirche, Freiburg 1969.
CHIESA COMI! LUOGO D'BSJSTl!NZA ClllTIANA

stiana. Ma perch quanto gli Atti degli Apostoli affermano sulla vita
della comunit primitiva e sugli inizi dci discepoli di Ges venisse nuo-
vamente preso in considerazione, e questo ricordo rivivificato, era ne-
cessaria una determinata situazione ecclesiale, una sollecitazione offerta
dalla storia.

chiaro che la situazione storica e relativi mutamenti producono


nella tipologia stessa dell'esistenza cr1st1ana un mutamento e arric-
chi~J9..~!1Jll.i.YLimwtia .. nq~. .!Ldov~ere, in questa dipen-
denza dai diversi contesti storici, soltanto una conferma esteriore od
una v~!~~~-~~~~i~.C:.~.~ -~odello di~!~a perennemen-
te valido. Qui ci troviamo piuttosto di fronte a modi nuovi e crea-
tivi di strutturare l'esistenza cristiana, a forme che in precedenza
non s'immaginavano nemmeno n si vivevano.6

c. Diverse forme di sequela 7

Ai diversi pericoli di mondanizzazione e d'imborghesimento che la


Chiesa incontr ne! corso della sua storia, si opposero sempre nuovi
rimedi. Questi erano improntati dalle affermazioni cosl radicali che
Ges fa quando invita discepoli -~c!_~l~r~--u~tor~- occasionali a se-
guirlo. Nei racconti evangelici si scorgevano le diverse possibilit e
forme--f!.'i~gy:nare l'invitQ...di G~ e la fede nella sua lieta noveHa.
L'appello di Ges rion poteva venir riferito unicamente ad uno stac-
co, anche esteriore, dal mondo. E-Sso poteva anche contermare gli
uditori nei loro rapporti di esistenza, senza per questo dar loro il
diritto di considerare fu propri posizione come privilegiata o di
rango. Questa diversit, in ultima analisi, si fonda sul rapporto dia-
lettico esistente fra signoria di Dio e mondo attuale, che da una
parte viene aperto e superato vrso una realtfttascendente ed esca-

6 a. K. RAHNER, Das Dynanmche in der Kirche, QD.. ,, Freiburg 2196o (trad.


it., L'elemento dinamico nella Chiesa, Morcdhana, Brescia).
7 Sul tema della sequela,., vedi H.U. v. B.1.LTHASAR, 'Nachfolge und Amt', in:
Sponra Verbi, Einsiedeln 1961, 80-74; (trad. it. cit., nota 3); ST. R1otTER (a cura).
Das Wagnis der N11ehfolge, Paderborn 1964; A. ScttuLZ, N11ehfolgen und N11ehah-
men. Studien iiber das VerhiiJtnis der neutestamentlichen Jungerschaft zur urchrirtli
chen Vorbildethik, Miinchen 1962; In., Jiinger des Herrn. Nachfolge Cbristi nach
dem Neuen Testament, Miinchen 1964; R. SorwAGER, Jesus-Nachfolge. Wot"aus lebt
der Glaube?, Frciburg 1973
MULTIFOIMJT DBLL111SISTENZA BCCLl!SL\LB

tologica della signoria di Dio, dall'altra a1Iermato, nel suo insieme,


come destinatario e detentore della premessa escatologica della sal-
vezza. Per quanto tutti gu ascoltaton vengano Chiamati alla fede ed
alla conversione, per quanto l'appello e la promessa della signoria
divina siano rivolti a tutti, senza eccezione, lo stesso invito rende
tuttavia possibili diverse forme di fede e di sequela, dove alcune
rimangono pi ancorate alla precedente posizione mondana e so-
ciale, le altre si aprono invece al futuro di Dio mediante un distac-
co ed una sequela radicali.
Questa diversit, se rettamente intesa, sta a fondamento della
differenziazione tra stato secolare e stato religioso. Approfondiremo
in seguito l'argomento. Ora ci basti far notare l' uivocit e l'erro-
neit d e posizioni in seguito assunte, quando si prese a distingue-
re f.ra invito ad assumersi grandi o lievi responsabilit ed un'obbe-
dienza che spontaneamente presta di pi d quanto ~chiesto e
un'obbedienza che si riduce ad una prestazione minima; per cui tut-
ti i cristiani dovrcl:iliero osservare t Ptecet[l di Dio, ma i religiosi
sarebbero tenuti inoltre, pi del dovuto (supererogatorie), a se-
guire anche i consigli della povert, dell'obbedienza e del celibato.
La diversit della risposta di fede e della sua realizzazione storico-vi-
tale non venne quindi tradotta in una differenza tipologica bnsl
di rango.

d. Le categorie dei santi nella liturgia

Richiamiamo brevemente l'attenzione sul modo in cui nella liturgia


vengono catalogati i santi. Certo, lo spettro delle diverse possi-
bilit di vivere e di realizzare la propria esistenza che ne ricaviamo
piuttosto grossolano. Eppure proprio quello che notevolmente
contribul al determinarsi di una schematizzazione della santit cri-
stiana e dell'esistenza ecclesiale: martiri, vescovi, confessori, abati,
vergini, vedove, ecc. Si pensi soltanto alle vedove che compaiono
nell'Ufficio 4!,vino e nell'agiografia, fino al catalogo delle virt usato
nei processi di canonizzazione. Invece di testimoni di fede estrema-
mente concreti e ben caratterizzati, invece di inventori di nuovi stili
di vita cristiana, troviamo piatti clich di vita virtuosa privi di fa-
CHIESA COME LUOGO D'ESISTENZA CRISTIANA

scino, modelli che presentano fatti e prove come pezzi di scenario


intercambiabili, dove agli eventi e fenomeni del tutto miracolosi si
riserva pi spazio che alle situazioni di vita poco appariscenti ma
reali. 8

merito di questa tradizione aver tentato di differenziare la sfera ge-


nerica ed astratta delle ossibilit di esistenza cristiana in un gruppo
di tipi caratteristici. Essa ha compiuto quin 1 1 primo passo oltre una
cristianit'"pT!Va di contorni ed ha indubbiamente integrato certe carat-
terizzaziOitesserwali che la stonaitveva rese possiliilie reali. Ma an-
che vero che nel corso del tempo questa classificazione si consolid a
tal punto che non fu pi possibile ~orgere anche la comune origine e
destinazione, capire cio che queste diverse forme di vita devono la pro-
pria Cii.itenza all'unica Parola del vangelo ed all'attivit dell'unico Spi-
rito. Inoltre si messa pi in luce la posizione istituzionale-ministeriale
nella Chiesa (cosl ad esempio nel gruppo dei santi vescovi o papi), in
certi casi pure l'influenza istituzionale che il santo carismatico ha eser-
citato sul proprio ordine religioso. Anche qui per non si prestata al-
cuna attenzione ai ben pi ampi influssi dell'ispirazione e missione della
Chiesa.

Pure in seguito terremo conto della legittimit e significato perma-


nente delle cara_~~EiZZ!zioni .~daW&he e relativa tipologia (cosl
ad esempio la differenziazione fra stato profano e stato religioso),
ma dovremo anche denunciare le carenze che essa racchiude. E ci
in ;Que d!~~ioqL_i~_.ret.t.:9,!P__ttiy!!,__gn J'g,:_hiu__J,;rnntato sulla comu-
ne origine e derivazione, al fine di evidenziare la comunkazkme e
reciproc?.integrazione; ma anche in prospettiva, cio soprattutto
per aprire questa tipologia ad uno spettro ancor pi ampio e ricco,
convinti come siamo dell'impossibilit di riassumere ed esprimere
negli schemi usuali le possibilit dell'esistenza cristiana e della mis-
sione cristiana.9

I Per le diverse categorie dei santi, nella tradizione liturgica e sua valutazione,
d. 1.F. G>RRES, 'Heiligentypen', in: LThK v (1960) rn3 s.
9 di santo, come tematica autentica della teologia (oltre quindi la tematica del
la santit istituzionale della Chiesa e dei sacramenti), ci viene delineato, ad esem-
pio, da H.U. v. BAL'IHASAR, 'Theologie und Heiligkeit', in: Verbum Caro, Einsie-
deln 196o, 195-225 (trad. it., Morcelliana, Brescia); K. RAHNER, 'Die Kirche der
Heiligen', in: Schriften III, nr-u6; In., 'Warum und wie konnen wir die He!-
Jigen verehren?', in: Schri/len vn, 283-303.
MULTIJIORMIT DELL'ESJST&NZA l!CCJ.l!SIALB

3. Le strutture dell'esistenza cristiana


come fondamento dell'unit e diversit dei tipi d'esistenza

Come si gi osservato all'inizio, la differenziazione dei modi di rea-


lizzare la fede all'interno_ della Chiesa non deriva soltanto da motivi
esterni, da casuali circostanze esteriori, ma scaturisce dall'interna va-
riet e fecondit del dono di salvezza e della sua appropriazione. ~a
radossalrnente questo dono salvifico motivo sia dell'unit tra i di-
versi tipi di fede, sia della loro diversit. E questo non vale soltanto
per i momenti immediatamente costitutivi ma anche per le al~t
ture e dimensioni della fede stessa, come pure per il rappo~n il
mondo e l'ecdesialit. La struttura e la dimensione costituiscono, per
la fede, degli elementi indispensabili, e ci nonostante consentono una
ampia. gamma di ~sibilit. Nella seconda parte della nostra rifles-
sione approfondiremo con degli esempi questo spettro, ma gi fin
d'ora riteniamo necessario evidenziarne il contenuto.
Enunciazione classica pu essere consid~rata I Cor. 12,4 ss. Da
un canto qui si mostra la comune struttura. dell'esistenza cristiana e
della comuiift ecclesiale: in riferimento a Dio, a Cristo Signore e
nell'unit dello Spirito. Il fatto che queste strutture non possano es-
sere oggetto di un'opzione arbitraria $ta a si2nificare l'unit elemen-
tare esistente nel corpo di Cristo variamente articolato. D'altro can-
to, per, proprio questa rigorosa unit sprigiona da se stessa una
variet di doni, di prestazioni e di effetti che non possiamo compri-
mere entro schemi di peifetta uniformit. Diversissimi sono i modi
in cui il credente pu realizzare, in concreto, n suo rapporto con Dio
Padre, con Gesii Cristo Signore e con lo Spirito. Tutti -i fedeli, co-
munque, trovano il loro punto di convergen~a nell'unit di origine
del dono e di colui che lo elargisce. :E: possibile che i destinatari del-
la lettera, i fedeli di Corinto, abbiano colto soprattutto ci che si
riferiva all'unit, ma il testo rende altrettanto legittima anche una
----- -
sottoineatura delle diverse mamfestazioni. 00 - - - - - - - - - - -
.. -,.-------
.....

10 Per il concetto neotestamentario di carisma, cf. E. K.:i.sBMANN, 'Geist und


Geitesgaben im Neuen Testament', in: RGG II (Tbingen 31958) 1272-1279; E.
SCHWEIZER, Gemeinde und Gemeindeordnung im Neuen Testament, Ziirich r959,
164-17r.
430 auBSA COMB LUOGO D'EsISTENZA CUSTIANJ\

Parimenti si annoverer, tra le componenti essenziali dell'esisten-


za cristiana, anche la dimensione ecclesi.al'e: un altro modo__!!2B..Jen-
de assolutamente possibile un'esistenza concreta di fede, e in un al-
tro luogo questa esistenza non pu essere vissuta, almeno nella sua
forma piena. Lo stesso contesto biblico mostra anche che all'interno
della ~iesa sono possibili le pi _diverse prn;izianj e 6mzioni, com-
piti e missioni. L'elemento che accomuna tutte queste varie manife-
s~istilnel fatto che esse rimangono fondamentalmente riferite
alla Chiesa. Ma affermare questa dimensione come tale non significa
ancora determinare il m~ . I-'!_cui il singolo comprende e conretiz-
za il suo legame _Q:!!!_g!i_ a}trijed~!!,...l~ria attivit nella Cbi~a.
Cadrebbe per nuovamente in uno smorto essenzi.alismo quell'indi-
viduo che si accontentasse di una simile ecclesialit, priva di un qual-
siasi p'rofiloedislncarnata Cl.a ogni situazione, -~~n cercasse invece in
essa la propria collocazione e compito, che non si danno ancora in
un puro essere-nella-Chiesa e quindi non possono venir nemmeno
semplicemente dedotti da tale condizione. Il passaggio da una eccle-
sialit essenziale ad una esistenziale non lo si pu operare in -;;tratto.
E~ vale anche, a p~<:_~dere d!!_gi c!~ato testo della lettera ai
Corinzi, per la dimensfone de~ mondo, il quale ha costituito sempre
l'orizzonte della salvezza ma che noi oggi riusciamo a delinearci con
maggiore chiarezza e coscieru:a. Non si tratter di evolvere i diversi
tipi di esistenza cristiana, dei quali soltanto alcuni incarneretibro la
realt del centro cristologico, mentre gli altri significherebbero un
autotrascendimento nel mondo. vero invece che questo orizzonte
una componente essenziale di qualsiasi hfil!ra di fede cristiana. Il
diverso atteggiamento di fronte al mondo, qmtle traspare gi nel NT
e nell'autocomprensione delle singo1'e comunit neotestamentarie, sta
a testimoniare che oggi, nonostante il comune riconoscimento e accet-
tazione dell'orizzonte del mondo, siaDlQ ancora ben lontani da una
definizione esatta del modo in cui attuare in concreto il rapporto con
il mondo.
Il rapporto con Dio, realizzato nell'ordine storico-salvifico e trini-
tario, la dimensione dc:!l!.J:hies!..~-della sua comunit come corpo di
Cristo (oriZzorite~ dcl- mondo), della storia e del cosmo, sono tutte
strutture essenziali, quindi, in cui si ritrovano i diversi tipi di esisten-
za cristiana, dai quali tuttavia partono anche le diverse vie e modi
431

di realizzazione. Queste strutture e dimensioni assumono il signifi-


cato di un legame e di una liberazione insieme; devono essere ri-
spettate in ogni elaborazione di nuovi tipi di esistenza, e cosl fungo-
no, allo stesso tempo, da criterio di libert e da norma. Ci richia-
meremo ad esse anche nella seconda parte, come a criteri d'ordine
e principi di distinzione, quando cercheremo d'inquadrare i diversi
tipi d'esistenza.

4. Possibilit e attuauone del proprio tipo di fede

Finora abbiamo parlato, quasi indifferentemente, della possibilit e


attuazione dei diversi ti i di fede, senza accennare anche al fatto
che, per passare dal:Puno all'altro, si dovranno are ci passi ecisi-
vi, che _!!On si possono garantire a priori. Come la possibilit di una
fede in Cristo e dell'annuncio del vangelo, pur venendoci offerta,
non sfocia automaticamente nel suo accogl<imento per fede, ma ren-
de indispensabile una scelta di fede, cosl anche la forma ~lare
della chiamata di Dio e il dono s co dello Spirito esigono di
essere accolti e rea "zzati in una fede personale e indivi ualizzata.
Questa particolare connotazione non emerge ancora da un cristia-
no che, sotto l'influsso di un essenzialismo schematico, riconosce il
~nerale. carattere normativo della fede e vive fonda.mentalmente
questa fede nelle sue strutture e dimensioni generali, ma non tie-
ne affatto conto di ci che. in modo del tutto peculiare e unico, a
lui si_ riferisce e lo {?rovoca.
La tradizione ha conosciuto questo problema in termini un po'
formalistici, e lo ricaviamo dal modo in cui essa ha cercato di appro-
fondire laH1l~~ma!~~!!_~or!!:_ dei ~~~~c:vangelici eJa v~ione
specifica ad .'!:lDJ_vita nella condizione d~~~-si_~rita. Ma la distin-
zione fra precetti vincolanti sotto pena cli peccato e la vocazione,
liberamente scelta, ad uno stato di vita secondo i consigli evange-
lici, ha dato origine a non pochi malintesi.
432 CHIESA COME LUOGO D'ESISTEN'ZA CRISTIANA

a. Libert e possibilit dell'accettazione

Nel trattare la connotazione individual'e della fede incontriamo la


stessa ~letrica che vale per l'accettazione della fede in generale.
Senza dubbio. la -Parola.dclv;~g;i;-wol essere -accolta in libert,
senza pressioni esterne e interne, e Dio stesso H pi fedele garan-
te di questa libert. Inoltre il fedele as~JID.... rapporto corretto
con ii" proprio'mOd.o' d.'essere--sol~do non si lascia inserire o
collocare nelle strutture e dimensioni della fede in modo passivo,
dall'esterno, ma se lie appropria nella libert con l'intuizione e il ri-
conoscimento, e le ratifica. Questi rapporti non sono determinazioni
che vatrebbero_!!).che _~_J~rescindere d_all'assenso di lEl.~ che in
tal modo le_ ~~ter_~!_E'la_~evono -~~~ere accolte_~~ ]ibert.
Questa libert viene ulteriormente accentuata per il fatto che si
tratta di una fede caratterizzata da un tratto personale. Certo, nella
Parob-di;ina-;h;htter~ll; gi insita u~ sucll~-~~nnotazione, per-
ch si tratta di una Parola che si riferisce sempre ad un uomo con-
creto~-1~ chiam;Per ~~e e l-interpeiia-~na situazione mondana
;-;oorica. Se poi questo appello determinatQ_Qi Dio trovi~~ fede
che ...P11J:..~$.sL.-~SQtt..o~i.na._da._~, dipende ancora una volta
dalla lib_,tt, attenta e vigile, dell'uomo. Capir quest'uomo qualco-
sa .di pi di una comune vocazione aHa fede, di un fondamentale in-
serimento nella comunit della Chiesa ~'di un vago riferimento al-
l'orizzonte del mondo? O ad un appello che gli si rivolge in modo
personale EQ.1! risp()nder forse con una fede responsabilizzata, con-
notata da _-yn tra~1q_.n_~r8;~;ii"['Nari'cercneraepercepirala sua coHo-
cazione e compito nella Chiesa al di l di una sua pura appartenenza
alla compagine ecclesiale?
Ma bisogna far valere anche il secondo enunciato: nella misura in
cui la Paro1'a del vangelo e la chiamata alla comunione della Chiesa
attendono la libera risposta dell'uomo, n possono affermarsi prescin-
dendo da essa,,__anch_e q:ues.!:.!1'. ~.<mEiQn.e....e...re.alizz@~L~!!.e vengono pre-
cedute e aCC()!!l_!>~gn_!J~. ~al!~ lil:>_~rt cp~J ~e_.Q.Q~-RQ.Ssibili:-ilrappor
to tra uomo e Dio non conosce alcun tipo di sinergismo che si sta-
bilirebbe tra du.e part!ler; la stessa libert dell'uomo, nell:a sua rispo-
sta, sorretta __cl~lla p_ot~it qe_IJ_c> _~pirit(), c.uJ~p!!!l_dLtendere pos-
sibile l'accoglimento dell'autocomunicazione di Dio come opus pro-
MULTIFORMIT DELL'ESISTENZA ECCLESIALE 433

prium. E se questo vale per la libert di assentire liberamente alla


fede, vale ancor di pi per l'assenso che il singolo individuo d e
la propria collocazione che questi assume nella comunit della Chie-
sa. La tradizione ha ristreuo_f~pio significato, che il termine chia-
mata orjwariamente possedeva, proprio aUa specifica vocaziOOe ad
un servizio ~esiastko ed a una vita vis-smasecond~i'"-~nsigli
evangelic;i. Certo, non si potr non deplorare una tale restrizione e
si dovr dilatare nuovamente, in tutte le forme e figure deHa fede
cristiana e dell'esistenza ecclesiale, l'evento della chiamata. Per an-
che quell'accezione ristretta pu aiutarci a capire che non esiste un
appello di Dio alla comunit di Cristo e della Chiesa nell'universa-
lit astratta, ma soltanto nella connotazione e missione concrete. Ed
allora si dovr anche ammettere che ogni connotazione della chiama-
ta ed ogni missione ecclesiale sono delle risposte sottoscritte da un
nome, le quali scaturiscono non soltanto dalla libert di una fede
sveglia e vigile ma anche da un appeHo divino rivolto ad un desti-
natario specificato con il nome. 11

b. Fasi dell'attuazione concreta

L'ar<:o compreso fra il primo momento dell'interpellazione e quello


dell' attua~i.2!!.t:...52~~~P!~~! 'in te~-~toili dell Y.!!!..s!~l 'uo-
mo e forse non diventa mai oggetto riflesso di chiara intuizione e
certezza, e non trova quindi nemme~o 1~- sua perfett;-;;;~,..QQ;~ione.
Tuttavia possibil'e individuare alcune tappe durante le quali il fe-
dele integra l'appello che gli viene rivolto, proprio in quanto esso gli
indica un'attuazione personale dell'esistenza cristiana e della respon-
sabilit ecclesiale.
Si presuppone gi un'apertura di fondo, }a quale non limita a prio-
ri la _!'_a,.:?~ del vangelo a pos~Jbili~! det~rminate e _g!~ note, esdu-
dendo11~ ...altte-..Questa apertura ben pi che l'apertura trascenden-
tale de}!o Seirito_~__del~o~~~~!1~3..5!ell'uo~~~ -gi in.-;es"tessa una
disponibiHt che !lli scaturire soltanto da una libert redenta. Ma
allora la prog;~;;iva-~~nosce~;;-e int~1fe;i~~~-'deif~propri~ speci-

11 Cf. K. RA.HNER, 'Der Anspruch Gottes und der Einzelne', in Schriften VI,
.:;21-536 (trad. it. cit., nota 4).
434 CHIESA COME LUOGO D'ESISTENZA Cl.ISTIANA

fica chiamata non soltanto oggetto dell'intelletto, qui distinto dalla


volont; qui 1"uomo impe_gi:ia,tq_ p.ella sua interezza ed unit origi-
narie. Concretezza, individualit, ~nifrf~~n- si -I~~cl;no--prendere
nella rete astraente della ratio, ma solo in que_l _sentire eapprendere
che ia-tradiZIOne-halocalizzato nei sensi sP.irituali. Se l'uomo non
libero e dis;,~~~-;-~~rrer~ llp~~p;io c~o di fede, egli non
nemmeno in grado di conoscerlo:-e vederlo. Vi:t'eversa, la sua volen-
terosa disponibilit si nova gi orientata a cogliere chiaramente la
distinzione ed a capire la situazione.
Quando per si tratta del rapporto tra conoscere, volere, attuare,
questi passi s1:1~s_eg!,!~ntisi sul pia,~() lo_g_i~ _~m_tr~_i~P~ -~el l?!._ocesso
vitale. Proprio nell'ambito della fede ci imbattiamo in un'evidenza
cne' P'rima non era possibile trovare sul solido piano della riflessione
pianificatrice, ma che riesce possibile soltanto a -colui che agisce, a chi
osa inoltrarsi sul mare aperto. Quale sia il luogo proprio che la fede
occup~m-~L4~h.ha_ _3ttuare_J-!QJ_mi~lQ1!~.1!.e~_a__ ~iesa, questo il
fedele non riuscir mai a coglierlo a livello di pianificazioni teori-
che, ma soltanto durante il corso e nel processo dell'attuazione. Si
dovr incominciare spesso con un'intuizione approssimativa e ten-
tennante, proseguire poi cercando e rischiando, per giungere soltan-
to pi tardi a capire chiaramente, magari in retrospettiva, il senso
che si cercava.

c. Rifiuto e fallimento deHa concretizzazione

Come si deve tener conto della possibilit di chiusura di colui che


no1:1_ __ _r~.de. -~-del rifiutg __ qi assumersi deHe respoq_sabilit eclejjali,
e tener presente che questa oscura possibilit non viene affatto esclu-
sa dalla libert che lo Spirito rende possibile, cosl bisogner tenere
anche conto del disconoscimento, d~l:__f_allitl!~nto, del rifiuto quando
si tratta -di~onn~t~re- in- mod~:~sg_nal~.J~~J]!<?_prfa 1eae:-M:aggior
colpa e fiacchezza ver~an~o attribuite a colui che non si prende af-
fatto la \?riga _li porsi alla ricerca del_pro_prio cammino di fede, ma
si accontenta di- seg;;ir~ ~ str~-d~ 'bittu~~ d~tiu"c;;;;~ ~dio, mentre
ci si dimostre~~_ JE__ _in4ul_ge~ti _yer~o_colyi _<:_h~ _41J_rru:!_?_E!Onea-
mente l'appello -~he Dio gli riv~ge, o che assume una collocazione
MULTIPOJIMIT DBLL'ESISTBNZA ECCLESIALE
435

! sbagliata nell'ambito delle responsabilit ecclesiali. Questi, si dice,

: avrebbe almeno tentato una concretizzazione dell'universale, anche


1 se poi fallito nel1 tentativo.
La misura della colpevolezza un problema che ha impegnato
molto l~_!!adizj~~~~~ quale_~~~<:a.".a__~~--~~~pio ~ _.e~~i~ol?~del
giovane ricco (Mc. lo,17-25 par.) a coloro che non rispondevano po-
sitivamente alla chiamata religiosa. Noi non possiamo esprimere un
giudizio sulla dimensione della colpa, in quanto ci sono preclusi sia
le divei::~""Cpad!~~~ va)ut~f~rif'._c_pme ~e il grado di libert. Tut-
tavia si dovr sostanzialmente convenire che chi rimane nello sche-
matismo _9~_).!l!.QistiJJl~.&...en~~ -~ si accontenta di una appar-
tenenza -alla Chiesa e di una prassi ecclesiai~- ditipo-medio, rompro-
mette-_fill~ii;~Lcchez:;~ d grazia <!!v~~-qi~_!_~~~- pur -~-i:_~p:e na-
scosti!-_ !11~~~- ~~ssC!.f'.. dispiegata. In tal caso non si giunge aduna
nuova attuazione della fede, si rende inutile un carisma e inattiva
una testimonianza e missione ecclesiafi~-A-qulfappello die"f>io ri-
volge in modo personale si risponde in modo generico e insufficiente;
l'uomq__rimane nell'universale, da cui Dio l'ha chiamato alla sua ir-
repetibile individuai!!!,_ dove anche J'att~de. -~ f~~ non deve
stabili~e dei paragoni con altre vocazioni, mostrandosi invidioso nei
confronti d~1l!'~no che-~tato.chiamato a dar poco o dell'altro che
gode di maggiori possibilit d'azione, ma deve porsi di fronte all'ap-
pello eh~~ sta!Q.. riYQl.tiL~!ealizz_!!_~J!~~ibilE:!_~~~--g!!__!!!1ta
offerta. questa, infatti, che costituisce il criterio in base al quale
verr-giudicato.
Questa seria riflessione non fine a se stessa e non vuo~ essere
nemmeno una nuova forma di intimidazione, main.ten0emehere
nuo~~~;~;--i~ -lucel~-p~--;sibit e ilrischio della fede: ogni creden-
te pu diE~.. d_~ _s_':~_t:ss~ ch~_i_~~isten~~ ~!-~e,~eLg_u_aje, Jui_~~~e--~~~~e,
non c' mai stata, non si mai realizzata in passato n si realizzer
dopo c:!L~solo luCT'ogget~deM'atte.sa g_~l!a_Ero_!I_!essa dT:5io,
solo lui la. p_ot~~ realizzare. Dovr anche chiedere la necessaria ca-
pacii:_JI.-discerni~ento -~-dimostrarsi riconoscente per ogni progres-
so compiuto sul cammino della fede. Nella dialettica tra seriet di
decisione e preghiera si manifesta, daHa parte dell'uomo, la stessa
dialettica che abbiamo gi osservato tra la libert della persona e la
potenza dello Spirito che fonda questa libert: sillabare il nome
CIDBSA COME LUOGO o'ESISTl!NZA CRISTIANA

della_propria fede senz'altro compito di _quest'uomo che stato


chiamato per nome ma anch..s.i. e innanzitutto, dono di quel Dio che
lo chiama personalmente.12
L'isolamento cosi preoccupante che una simile decisione comporta
risulta co~.9.~!. J}()t_ev_q_@e_QJ~_atterm.ato quando si pensi al fatto
che tale decisi2!1~.Q~.J~_c_l_c; _y~ne ~~~-.E~~'ambito della Chiesa. Per
quanto la comune vocazione ecclesiale alfa fede non dispensi il singo-
lo da una chiara ri~ all'appello personalmente rivoltogli_, questi
non si sente tuttavia proiettato in una situazione di isolamento to-
tale. Nella Chiesa, fatta di uomini che assieme a lui vivono e credo-
no, ma s~tutto in una Chiesa composta di persone che hanno gi
pienamente r~alizzato la p;)pria fede, il cristiano trova al suo fian.
co una comunit che si prefigge lo stesso compito e che sta per rea-
lizzarlo o che l'ha gi felicemente realit.zato. Suoi fratelli di fede so-
no pur quei santi che non si accontentarono di un cristianesimo sche~
matico o mediocre, che hanno percepito ~esatta funzione che loro
spettava nella Chiesa e l'hanno pure assolta, spesso senza rendersene
conto, affermandosi cosl sulla massa con un profilo del tutto carat-
teristico. E questa comunit sar anche ora in grado di liberare quel
cristiano che cerca e rischia neVTotiaunente di trovare il proprio
nome mediante un'analisi .di se stesso condotta neH'assenza di co-
municazione. Sar proprio questa comunit ad orientarlo verso !'ori-
gine di quella chiamata che lo interpeller per nome, il suo vero e
nuovo nome. N l'ascolto del proprio nome, n la realizzazione sil-
labante~> del proprio tipo di fede si verificano neH'isolamento indivi-
dualistico, ma soltanto nella comunit deJla Chiesa, il luogo e lo spa-
zio in cui il cristiano diventa individuo autentico e sviluppa appieno
la propria personalit.

5. Il rapporto tra i singoli modi di esistenza cristiana

Dopo aver delineato l'ambito in cui la singola individualit della fe-


de pu evolversi, dovremo ora riflettere sulla comunanza e coinciden-

12 Cf. H. WuLF, 'Unterseheidung der Geistes', in: LTbK x (1965) 533-535; K.


RAHNl!lt, 'L&cht den Geist nicht aus', in: Schri/ten vn, 77-90.
MULTIFORMIT Dl!LL1ESISTBNZA ECCLESIALE 437

za che derivano dall'identica fede e dalla comunione neJlo'unica Chie-


sa. Questo ritorno all'ambito comune della Chiesa non va interpre-
tato come una rinuncia all'individualit che prima postulavamo. Si
tratta piuttosto di chiederci in che modo le singole connotazioni si
rapportino fra l'Oro, quale comunicazione tra loro si stabilisca, pro-
prio a motivo del fatto che ciascuna di esse limitata e determinata.

a. L'individualit cristiana situata nella comunit ecclesiale 13

Lungo il corso della storia persona.le della fede, il comune orizronte


della co!!!!!Eit ecdesiale non si presenter sempre con la stessa chia-
rezza e luminosit. La Chiesa costituisce tuttavia lo spazio vitale e
necessario per lo sviluppo dell'esistenza individuale di fede e per
l'assolvimento della propria missione ecdesial'e. la stessa comunit
a costituire :fin d'ora quell'irrinunciabile Qrigine da cui la fede trae
alimento e vita. Non si pu costruiire la propria individualit in
luoghi diversi da quello in cui si annuncia 1'a Parola e si ammini-
strano i sacramenti. Anche il richiamo ad uno Spirito che non si la-
scia strumentalizzare ed alla sua ispirazione immediata non pu vo-
ler dire rifiuto delhl Chiesa visioile: si dimostra autenUco solo se
comporta anche un legame del singol~ con la Parola e con le attua-
zioni concrete della comunit ecclesiale. Questa radicazione non si
rende necessaria solo perch si richiede un primo fondamento, dal
quale in seguito si potrebbe anche prescindere, ma anche perch l'at-
tuale dipendenza della fede da una Parola, cui si deve prestare ascol-
to, e daHo-Spirito implica un continuo e permanente legame con la
comunit ecclesiale. Ma la Chiesa costituisce ure la determinazione
dell'esistenza 1i.ndi1Vtiduale di fede. II fr110ionamento e a comune
chiamata in singole vocazioni non termina nella rarificazione delle
singole v~~m..a sfocia nuovamente nella_ coml!!lit. La grande variet
dei singoli tipi di fee e stili di vita viene fatta cosl rifluire sulla
<;:hie~d~ .solo cosl diventano manifeste la ricchezza e fecondTt del-
l'unico dono di salvezza. Non soltanto il bisogno che il singolo ha

Il a. H. ScirtiRMANN, 'Die geistlichen Gnadengaben', in: G. BARANA (a cura),


De Ecclesia 1, Freiburg 1966, 494-519 (trad. it. La Chiesa del Vaticano II, Val-
lecchi, Firenze).
CHJBSA aQ,IB LUOGO D'BSlSTBNZA CIUSTIAHA

del dono di grazia degli altri cristiani ma anche la traboccante ric-


chezza di una fede evoluta e realizzata entro schemi nuovi rinvia a
questa comunit. Non solo il riferimento agli altri ma anche l'attiva
possibilit di partecipazione vieta un iso1'amento del singolo fedele e
della sua connotazione.

b. Complementarit reciproca fra i tipi cristiani di esistenza

La vatiet di caratterizzazione dell'esistenza ha la sua origine nelle


opposizi()ll~ .~~p_n!'JL~he J!__~.!l~!Q.st~!WlD ioccntra nella propria
si~_uazio_J?.!_S~rl~- ~ -~clesialie. Ne derivano per inevitabilmente an-
che le scelte, le limitazioni, i particolarismi e le parzialit, che pos-
sono condurre ad una certa unilateralit. Ma questa unilateralit do-
vr essere responsabilmente assunta, ~rch da una parte solo in tal
modo faspetto di fede che si scelto e la funzione ecclesiale che si
sottolineata acquistano il loro profilo e diventano efficaci, e dal.
laltra perch, alla singola connotazione, se ne aggiungono delle al-
tre, diversamente orientate, e cosi si determina un complemento ed
equilibrio. Approfondiremo pi avanti questi nessi di complemen-
tarizzazione, quando addurremo alcuni esempi di tipi di esistenza.
Qui ci limitiamo a delinearne uno.
Una spiritualit cristologica, che tenga il suo occhio puntato so-
prattl.!.t!Q~.Jigyra_deLCr.isto_cI.Qifisso, si muover in sintonia con
un'~'!!?pia ~gi~~logia_E_n.icis. Qui l'uomo far, nella propria vita, pi
esperienza del nascondimento di Dio che deMa manifestazione della
giustificaZioiiee g!8Ziadivin~.:M:; ~he il modo di vedere il mondo
e la comunit umana, di agire in questo mondo e di rapportarsi con
i propri -~mili,_~~J!_~~!._~0 -_cli g~esJ~_poce. A questo cristiano
riuscir impossibile ignorare o cancellare le tracce del peccato e del-
la morte. Soltanto per mezzo di una fede combattuta egli riuscir a
credere che, in questa esperienza del! paradosso e dei contrari, sia
presente ed efficace la salvezza. Indubbiamente questa opzione e con-
notazione di- fee _non. condurranno...immediatamente-a.-delle. .unilate-
ralit, quasi si dovesse qu_i ig!Jorar~Ja .glru:ia..prolettica-che-plO.Illana
dal Cristo risq_rj:_g~_il _onferjmentu:leJlq __fu?irito. Tuttavia una si-
mile esperienza delfa croce e della passione, della potenza ancor pre-
MULTIPODOT DBLL'BslSTl!NZA l!CCLESIALB 439

sente del peccato, esige una compensazione, un contrappeso. Questo


tipo non pu essere l'unico tipo di fede, ma deve trovare, al tempo
stesso e -~~Ila succ:e~siva evoluzione storica, il prop_!_i~. c_c>l!:1P.letnento
chiarificatore.-Atti ""Cristiini potranno" "tts"we_
il . loro sguardo pi
sulla fgi_u-a dd Signore vivente e _g_lo~~E_ato, e alla luce di questa
reale antilpaztorfe sperimentare,
interpretare e realizzare diversa
mente la propria esistenza e rapporto con il mondo e con gli uomini.
La luce di Pasqua, che s'irradia da una giustificazione e liberazione
gi avvenute, consente . a ~ste persone d.!_ delinearsi un tipo di fe-
de pi rassicurante ~--cl;iaro. Si trattato di un ~;pido abbozzo, che
ci ha per mostratoCme siano possibili diverse ed opposte opzioni
di fede, delle quali nessuna pu considerarsi esclusiva, ma che solo
se ricondotte ad un rapporto di complementarit esprimono cor-
rettamente quella tensione di fede che dev'essere mantenuta sia nel
comune motivo di fede come pure nella propria esperienza di fede. 14

c. Critica e correzione reciproche 15

L'esempio appena addotto ha gi mostrato fa te~_sion~_J>?}it,~_<: .5!1e


pu s?~_!;.JXaJ~_div_mJ;._Q,PZio~L~rea~i~~oni. Spesso il rapporto
di complementarit assume una forma improntata dalla massima
tranquillit_ .Q_~1,1jlj_bri.Q...do.v.e. una eonnotaU.<m~ ..acced~ ad un'altra
e la completa. Ma tale convivenza pu sfociare anche n~l ;;~trasto,
nell~7eciproca critica e correzione. Nella propria opzioll~_!_'~gna
sufficient_c:_ li~_!E!.~sonale, volont propria, e questo non rende cer-
to facilie una disponibilit alla critica esercitata ai aitr. S'e non si
mostra una certa sicurezza sulla bont della propria scelta, non si
giunge nemmeno ad una netta caratterizzazione del proprio stile di
vita, e questo stile non potr mai affermarsi e farsi valere nell'am-
bito della Chiesa se esso non dimostra anche una certa ostinazione,

14 Per l'origine cristologica delle spiritualit, d. H.U. v. BAIJI'HASAR, $pirituali-


tat', in: Verbum Caro, Einsiedeln 196o, 226-244 (trad. it. cit., nota 9); nello sten-
dere il presente contributo ecdesiologico mi son servito spesso di questo scritto
veramente fondamentale.
1s Cf. H.U. v. BALTHASAR, 'Das Evangelium als Norm und Kritik aller Spiri-
tua!itat in der Kirche', in: Spiritur Creator, Einsiedeln 1967, 247-263 (trad. it., Mor-
celliana, Brescia).
440 CHIESA COME LUOGO D'BSISTEN'ZA CRISTIANA

data la generale tendenza all'appiattimento. Non necessario che


tale osti~r.!~ -~s~_ulll~- ~e,1?pr~ j 1!,_neamei:t!h.Piuttosto sospetti, del-
l'inflessibilit carismatica, e tuttavia in parecchi santi osserviamo un
giusto e fermo convincimento della loro missione, che non facilmen-
te si apre all'altrui critica.
Tuttavia proprio in questa reciproca disponibilit e capacit di
accettare Ira critic~~~~~m,Q __y~~~~--1:1~.-crit_e~~--~..!P.l~tu~t au-
tentica. Non si coglierebbe affatto la vocazione nel suo significato e
~~;f~ne ecclesiali quando la si volesse ridurre puramente a ci che
in se _stessa ,_ non considerandola invee~ .Jl~L~ll..tl S!l'.!~ter dLsegno
di un momentoecClesl.asdO"-e "stol'i~o: -Il carisma vuol influire sugli
altri, vuoft~barfi.-merliln -movi_Ql_$nto. Ma questa irraliazione di
attivite-dT~rTtki_d_~~~- ~cc~;pagnarsi ;;che alla di~_2~_i_ig~ recet-
tiva, alle critiche ed alle correzioni. n singolo cristiano ben sa che
la ~;;: -opzi~~~ ___QO~ ~!_~_bi~~;- a~r~ __ p9_s_!ibilit, aspetti, compiti.
Se avverte il carattere particolaristico del proprio tipo di fede e co-
nosce, per esperienza, il rischio di cadere nell'isolamento, si lasce-
r anche richiamar~-~n;-~~i?.~!.i~=q~~~.i~-- !t~~j~~~!.t!~1l~_u.~!~~~lit.
Gi Paolo vedeva in tale disponibilit a lasciarsi correggere un cri-
terio ~~~!!i!.~!E~~-1-a ge11uinit~..9~~~~~~ell~_ypirito: l profeti
parlino in due o tre e gli altri giudichino... Chi ritiene di essere pro-
feta o dotato di doni dello Spirito deve riconoscere che quanto scrivo
comando-deTSlgnore;se qualrunonon-Trfconosce nppurelui
ricori'~oci~to-;T.f""COr. I 4 ,2 9. 3 7 s. ). Egli sembi-contre-.su;--n, ampia
possiblitfdf autocontrollo della vita nella Chiesa, e possiamo sen-
z'altro estende;--il~~ ~ri;z~rrt~-di-~~~unit locale a quello della
Chi~sa pi ampia. Cos ad esempio, quando pensiamo alle vocazioni
cosi di~erse- foTcristiani che vivono nel mondo e cristiani che vi-
vono n~iff.~~~in(re11giosi, dobbiamo convenire_ che l~_!e_~_iproca di-
sponibilit a ve;:;i~~c;;~ettie-;d'"~serc!tre-Ia- crii;-n~n cert;, poco
importante e nemmeno inattuale. Solo nella correzione reciproca la
Chiesa, ~~l suo i~sieme, t~~~~ri1; via che si snoda fra una vita con-
dotta interamente nel mondo ed una vita che si svolge nella totale
fuga da esso.

Sarebbe minimizzare il problema ridurre sempre la complementarit


dei diversi tipi di esistenza nella Chiesa ad un rapporto del tutto tran-
MULTIFORMIT DELL'ESISTENZA ECCLESIALE 441

quillo, privo di ogni tensione. Per quanto la conoscenza della comune


origine e vocazione debba creare uno spazio al dialogo libero e fraterno,
non sono affatto esclusi confronti e collisioni d'importanza decisiva., i
quali servono in ogni caso alla vita della Chiesa ben pi che l'appiatti-
mento essenzialistico o un'integrazione, vanamente cercata, di tutte le
possibilit in un unico tipo di realizzazione.

Questo reciproco coordinamento non solo mantiene ben connessa fa


struttura carismatica in tutte le sue componenti - struttura che qui
viene intesa nelfasua~acciioru! plii.ristreua e quindi contrapposta a
quella istituzionale - ma sta anche alla base dell'ordinamento, for-
temente istituzionale e pi stabile, dei ministeri e servizi ecclesiastici.
Anche a questi, e in modo identico, Paolo ricorda, nei testi drassici
del corpo di Cristo (Rom. 12,1; I Cor. 12), la loro limitatezza e la
loro reciproca relazione e riferimento: Sono forse tutti apostoli?
Tutti profeti? Tutti possiedono doni di far _gyacigionj? Tutti pai:Lmo
lingue? (;cor. ~2:;-85).-La-ro~tt~pposizione, che in genere viene
sottolineata come tale soltanto nel raEP..ortg_llnistero~__~t, qui
sembra proporsi come''!eciproc(;-rii~rimento ecclesiale che pone tra
loi"o in .r:<:l~i9.f.!~.~~~_l~iverse J~!AJ.e di fede e h!.lt~_l_~~sioni
nella Chiesa. Essa costituisce quel limite critico oltre il quale nes-
suna rivendicazione singola potr andare, ma allo stesso tempo an-
che la l'egittimit dell'agire del singolo nella Chiesa pi vasta.

d. Le motivazioni tradizionali addotte


per giustificare un ordine gerarchico 16

Gi il fatto che i diversi tipi di fede derivino da un comune fon-


damento_ L~lP.ill!.l!...4:rino__!t1.~~-~~~-_P._i_~! _<::QJ.!!uni.~-- e~<:}esiale
ci fa sentire un po' distanti i tentativi tradizionali di giustificare
una gerarchia degli stili e stati di vita. Come gi si osserva nell'io-

16 Qui dovremo necessariamente limitarci a delineare la storia dei consigli evan-


gelici e della loro motivazione soltanto per rapis!L.~~~.n_!i_.ll!!_..~~~.~i._5J.t..J!J:roviamo
frequentemente nella coscienza della Chiesa. Per un approfondimento del tema, d.
H.U. v. BALTHASAR, HionTereG'nlidengaln und die zwe Wege menschlichen Le-
bens- Kommentar zu S. Th. II-II q. IlI-182, DThA 23, Heidelberg 1954. Per
la distinzione fra precetto e consiglio, dal punto di vista della teologia morale,
cf. B. HAR1NG, 'Evangelische Rate 11: Moraltheologisch', in: LThK m (r9,9) 1246-
1250.
CHll!SA COM!!. LUOGO 11'ESISTENZa\ CIISTIW

tegrazione dei singoli ministeri ecclesiali neHa vita del popolo di


Dio, anche per le altre connotazioni dell'esistenza cristiana la pi va-
sta ~rLd.~Lomunj fondamenti conduce ed un recipnxn accsta-
mento ed apertura, quindi anche ad un certo livellamento di ranghi.
Qui non affronteremo la problematica di questa gerarchia di ordini,
ma cercheremo soltanto di rivedere la tradizionafo classificazione del-
le diverse forme e stati di vita nella Chiesa.
Ricorderemo innanzitutto una graduazione etico-giuridica, secon-
do la quale la differenza fra lo .s~ secolare e: quello religioso si
fonda su una diversit di obb~azioni. Oltre ai comandamenti, che
tuttLJCifstfaci sono tenuti ad osservare, i rel!igiosi sono vincolati
pure, per propria_Kelta, ai consigli evang,:lici, e non per la stessa
mocin.zjone etica che obblig~_kgele ad evitare il peccato, ma
sol percb....sono stati liberamente_ scelti, ~me stato di vita pi
12...erfetto. Altra graduazione quella fondata sulla prevalenza di un
rap~rto con il mondo o con Dio: cristiani che vivono nel mondo e
cristiaAi cb~yj.vono. !egn OrdUiI religiosi. Una volta operata questa
contrapposizione e scissione, ana vita condotta secondo i consigli
evangelici si attribuisce un grado pi elevato di perfezione: in essa
ci si dedica direttamente e in moao i] pi possibile esclusivo al ser-
vizio di Dio, mentre il servizio prestato dai cristiani che vivono nel
mondo medi!!!2z._.P-assa attraverso il mondo. In certo senso questa
valutazione potrebbe richiamarsi a Paolo ed alla sua predilezione
per la verginit; egli contrappone infatti il servizio indiviso del ce-
libe a quello diviso deltl'uomo coniugato (I Cor. 7,32 ss.). Una gra-
duazio~~-_qis_tglQiki_semb]"J!Y~_jp:v~.g~_tly_~r~_lJe . .P~ricopi !9lla
vocazione e inviti alla sequela di Ges~ che si .applicavano alle di-
v~tie f_orme che la fede aHume nefila Chiesa. Qui i religiosi veni-
vano paragonati ai clisc~oli, che abbandonarono tutto per seguire il
Maestro, mentre sembrava che i secolari seguissero con minor im-
pegno Ges. La pericop; del giovane ricco (Mt. 10,17-22) ~mbrava
poTStiggerite espressamente un tale confronto. Si aveva l'impressione
che una fede yi!i_sut!!_J1~ll.1L.l1Jj__radic..alit comportaS&_anche una se-
quela radicale. Un altro ordine gerarchico venne ricavato dalla pro-
sjiitf;;;-;;;Jrico-salvifica ed escatologica. ovvio, si diceva, che tra
i cristiani esista un diverso, pi o meno deciso, modo di avvicinarsi
al futuro regno di Dio; questa diversit si rispecchia nei due diversi
MULTIFOaMIT DELL'ESISTBNZ\ ECCLESIALE
443

stili di vita cristiana, dove l'e..filatenza dei relisiosj esprime una ri-
spondenza pi adoguata, una testimonianza dj presenza e di realiz-
zazrone pi intensa di quella che riscontriamo invece nell'esistenza
che i cristiani conducono nel mondo, di cui continuano ad accettare
le condizioni e in cui s'impegnano pi decisamente. Meno pronun-
ciata questa valutazione affiora anche quando si vede riferito il_re-
ligioso, se non pi ad un futuro e compimento escatologici che si
profil~no nel mondo, aa
uno stanco Sldil. AHille a questo giudizio
si mostra an_che una visuale pi soteriolo&fEa, che fa appello al pro-
gresso raggiunto sl!L_cammino della santificazione e del rinnovamento
dell'uomo, e che considera il religioso come una persona ormai
decisaiiinte inserita in uno stato di redenziooe e di santifjcazione, il
secolare invece ancora radicato nefil'ambivalenza soteriologica di
peccato e santificazione, di uomo vecchio e uomo nuovo. Sintoma-
tico a tale proposito l'impiego del simbolismo battesimale durante
le cerimonie della vestizione e della professione dei voti.
Tutti questi criteri ebbero come risultato che ai cristiani, i quali
vivevan~-~ll __vita religiosa, si attribuisse uno stto pi perfetto di
quello riconosciuto ai cristiani secolari; a fondamento ed esempio si
adducevano anche i diversi detti e immagini della Bibbia. L'idea dei
diversi statfdi maturazione condusse poco a poco, e senza che lo
si avvertisse, ad una .segregazione elitaria dei religiosi dai comuni
cristiani secolari; i primi costituivano cosl la cerchia dei cristiani
maturi e perfetti, che si nutrivano di solido cibo ed erano in grado
di gu;tdare nel "In.istero pi profondo, mentre tutti gli altri fedeli
rimanevano ancora in uno stadio infantile, dovevano venir nutriti
con il fatte dell'elementare insegnamento della fede e non erano
ancora giunti alla pi profonda visione delle cose (I Cor. 3,1 s.).

e. La problematica dell'ordine gerarchico 17

Per valutare questo ordine gerarchico, dovremo tener presente la


situazione storica, come pure l'analoga graduazione che si prospetta

17a. K. RAHNER, "Ober die evangelischm Rate', in: Schriften VII, 404-434.
Rabner si sforza di superare una falsa gerarchia,., senza tuttavia compromettere la
validit dei consigli evangelici.
444 CHIESA COME LUOGO D1ESISTE.NZA CRISTIANA

nella societ e le formazioni elitarie, di tipo spirituale e morale, che


si stanno profilando nel cristianesimo. In .un periodo in cui l'istitu-
zionalizzazione era un fatto scontato, era anche inevitabile che la
diversa intensit dell'esistenza cristiana si riflettesse in un relativo
ordine di classi. Si sapeva che l'appartenenza ad un determinato stato
di vita r<:ligiosa di per s non garantisce fa santificazione personale.
Tuttavia si riconosceva a quello staJo come tale una pedezjone "
~..:.:. Si deline cosl un'immagine piuttosto g!~a, in cui non
era pi possibile osservare, con il dovuto acume, le differenze che
passano tra individuo e individuo. La pretesa elitaria non venne ri-

----
ferita'"":__ come dovrebbe essere possibile in una Chiesa dinamica e
aperta - al singolo cristiano, bensl spostata verso na comunit ed
un m:dinamentoberi-;tt\itturato di vita. Quel criterio di maiigiore o
min<?re realizzazione di fede, prima fatto dipendere dal1a decisione
personale, venne cosl ricav~to dall'istituzione e ordinamento di ser-
vizio. Certo, si dovranno rilevare le diverse intensit di esistenza
~iiUla, ma non detto che queste intensit si trovino obiettivate
ne~rsi ordinamenti di vita. Si dovr tener presente anche, come
un secondo momento storico, che ben presto la Chiesa, prima del-
l'et moderna, fu fatta coincidere con le comunit politiche e terrene
succedentisi nel tempo. Nell'orizzonte deUa cristianit medievale la
C~oltanto se stessa, e il non cristtll!!_~_!l:Itt'al pi
come fenomeno marginale. Manc dunque l'esperienza quotidiana
dell'incr~dliffi~P-~redeaia, per cui si ~mnorome ovvi
un minimo di fede e una prassi religiosa conformistica, indispensabi-
li per l'integrazione in una societ cristiana. Che da questa vita cri-
stian~ a tutti comune, ma vissuta nd segno della mediocrit, emer-
gesser.Q. .d~LJnOY.i m.Wiiftar(Tq~;JTnell' am'bTto-arun generico cri-
stianesimo si propfl.!!.<:!~~p.~ una vita vissuta nella fede radicale e nel-
la sequela risoluta, era senz' alt~o-@-~Tntomo--dlpresa<IICOscienza
ev~~geii~;: Data la mancanza dt UD__ f!r!.~~J~!.edele e fa presenza
di un ambi~nt~-~- socie~ gi__gistj!_ni, era quasi inevitabile che uno
stile di vita pi pronuf!ciato lo si interpretasse anche come un mo-
do di vivere pi perfetto. Trovar-ono cosl nuova aPPliazloile-gli
enuncia~lill"Hd sul passaggio sl.tl_xe.:..ctilil_J!Q!!lo all'uomo nuovo,
sullo sganciamento da~ mondo peccaminoso. Qu~iteS'ti non pote-
vano pi venir riferiti alla scelta battesimale operata da tutti i cri-
MULTIFORMIT DELL'ESISTENZA ECCLESIALE

stiani, una volta che il battesimo era ormai diventato il sacramento


unive~veniva amministrato anche ai bambini. Le enunci;zioni
battesimali originarie e la relativa cesura che si opera con la scelta
e }a conversione venivano finalizzate alla nuova situazione creatasi
con la chiamata religiosa, e ci conduceva inevitabilmente ad un de-
prezz~nt2-4el cristianesimo comunemente vissuto nel mondo, ora
qualificato come mondo del peccato. Ma se vogliamo essere obiet-
tiv1, non dobbiamo dimenticare che, nonostante motivazioni cosl
problematiche, anche quell'epoca produsse una fede cristiana ed un
amore verso il prossimo bisognoso, vissuti in modo esemplare e ra-
dicale; anche in questa gerarchia di ordini, legata .alle condizioni del
tempo, ci si prepose e realizz un P,athos esistenziale per la trascen-
denza e non-mondanit di Dio, una sequela incondizionata di Ges.
Ma un tale ordine gerarchico diventa problematico non appena i
c!'!!!iani riscoprono la loro comune origine in Ges Cristo e nel
suo Spirito, quando la Chiesa intera si presenta come l'assemblea
dei credenti e l'ambito deHa decisione personale e normativa. Si ri-
conosce inoltre che es.istono molte possibilit, tutte legittime ed
egualmente valide, di rispondere al vangelt>, di realizzare la propria
situazione storica o mondana come carisma. Nessuno pu concretare
tutte le potenzialit dello Spirito e tutte }e missioni della chiesa nel-
la sfera limitata della propria esistenza. Ai nostri giorni il maggiore
o minore radicalismo pu tradursi nel rifiuto delle recedenti con-
dizioni di Vita e ne 'e !a razione i forme di esistenza nuove e li-
bere, ma si dovr andare ben cauti nel valutare la forma esteriore
dello stat~ _ilLYi~__ ome indice di una fede pi o men~~. In
caso diverso, una v(t!_.vissuta nell'ordinam~!l!QJ.stituzionale dei con-
sigli evangelici non costerebbe troppa fatica ed allo stesso tempo un
modo di vr~er~--s~cola~~ubirebbe per principio una dequaHf.cazione
e deprezzamento non certo compatibili con ~tll~_J!{IJ.lili. che di fat-
to esso d~~~--~~~de~possibile. __. _____ _
Bisogner ora vagliare tutti i criteri sopra accennati, per vedere
se essi non abbiano tramutato un rapporto di polarit in imLscis-
~!_~i:ie. La relazione esistent~ fra Dio e mondo non -pirisolvibile
in un'assolutizzazione unilaterale e nemmeno nell'alternativa: o Dio
o il mondo:N'~~ fede cristiana~a~~~L-~.1::1E_:Q~?.J~rivo di
agga~~J~c;.!?EJL.~ondo, come non potr nemmeno smarrirsi in un
CHIESA COME LUOGO D'BSISTJ!N'ZA CKISTIANA

mondo privo di Dio. Anche la sequela di Ges un movimento


che q.on g>involge snlranro l'esistenza privaia, disincarnata dal mon-
do, ma pure i rapporti umani e l'umana societ nellia d;namica del-
l'imitazione di Ges: relazioni ~t che non possono pi essere
considerati con un certo distacco. Esiste quindi una piena legittimi-
t e<!_equivalenza fra i due atteggiamenti: quello di chi opta per il
Signore, che si deve seguire ma che deve coinvolgere anche il mon-
do intero nella propria e piena realizzazione, e quello che si preoc-
cupa di porre il mondo sotto la sovranit di _Gtisto e nella sfera
della redenzione da lui op:rata. Non si deve superare la differenza
tra uo futw:o escatologico ed un presente ancora sott~to a dei
prOCt1ssi dialettici scegliendo un corno deb dilemma: futuro o pre-
SC}lte~. Questa prom.essa, infatti, si riferisce proprio ad un presente
non ancora redento. Colui che testimonia la promessa nella sua ori-
gine e partecipa alla sua realizzazione anticipata, non dovr conside-
rarsi superiore a colui che, vivendo la propria situazione, rivolge e
comunica al mondo e ai propri simili, con :fiducia operosa, questa spe-
ranza. Nessuna sfera del nostro presente esclusa dalla promessa e
tutte devono quindi venir res!>'?nsabilmente assunte e intemte dai
_cristiani. Un riferimento al futuro a prescindere dal pr~nte, od una
esistenza escatologica che dimentichi la realt attuale, facilmente sfo-
cia ln un chiliasmQ_.f<fauatiQpo. Ci vale in ultima analisi anche per
il carattere am~y~l~nte dLt!..n'(!~i!:~~-~~ ~~de _yissuta tra peccato e
g!usti:fica21i.one. Tt.tti i fedeJti. rimangono costantemente inseriti in
questa tensione e nessuno dovr eliminarla proiettandosi nel passa-
to, c~e eg!!_pon avesse ancora sperimentato in Cristo la gh1sti-
ficazione; ma che nessunofovr efuninmnemmeno proiettandosi
verso il futuro, come se egli si trovasse gi trasposto, in modo del
tutt~-;tab.ii~-~ 'chiaro~ -n.errasre-ra' allii-sanillcazione- e dell'a certezza
della propria salute. Il primo modo drgiudic;Cla-vita vissuta se-
coOCto i consigli evangelici, da noi illustrato g_ull!ldo elencavamo i
diversi criteri, q"ui'.esige .. d'ess~~e corr~tt~;~~ si tratta pi di una
prestazion~ ..suPPleIDe.:rii.~~ ..e: .~~rer.?g~_t,oria, bensl di una delle
diverse forme che assumono la vocazione dilede e la sequela: spet-
ta al singolo cristia_gQ...P.ercepire s.Yl_ ii@v_o esistenziale la propria coi..
locazione all'inter.?-~.~- qu~stll _e?~!.~!i... ed ~~cettarla. Per quanto
concerne la valutazione che si dava in passato;dovremo chiederci
TIPI DI ESISTENZA ECCLESIALE 447

se essa non abbia dissolto tale tensione in due realt separat~Dio


senza mondo e mondo senza Dio, Cr~sto che procede e mondo che
recede,_ futuro escato1ogico e tempo che ancor perdura e che da quel
futuro viene espulso. Ora, chi dissolve in tal modo la tensione do-
vr, se conseguente, stimare l'esistenza che si orienta verso gran-
di idali Pili_ ai quanto non stimi quella che si adatta an_;ora al
compromesso, che accetta una vita vissuta nel mondo, Che csi con-
cede ai legami umani. Da una tale valutazione e graduazione do-
vranno poi anche scaturire un parallel'ismo e raffronto privi di ten-
sione fra Cristo e mondo, Cristo e cosmo, ecc. Ma una volta messa a
nudo la problematicit insita in un rapporto privo di tensione e di
tipo alternativo, risulteranno pure chiare l'impossibilit e inutilit
di gerarchie di stati di vita delle diverse vocazioni cristiane.

Il. LO SPETTRO DEI DIVERSI TIPI DI ESISTENZA ECCLESIALE

All'interno di un'unica fede cnstJ.ana ed esistenza ecclesialie, l'indi-


vidualizzazio!le non solo possibile ma anche necessaria, come do-
vrebbe essere ormai emerso dalle riflessioni :6n qui condotte. Non
si pu illustrare e realizzare pienamente il comune fondamento di
fede cristian~. .E~Jl~ -~ sfaccettature, limitandosi ad un unico tipo
di esistenza di fede, ma necessario riferirsi aMe diverse opzioni con-
crete. Quest~ rimangono legittime fin~-;q~ando si svolgono nclla
sfera ~~L el~~..&E_omuni della fede e v:ita ecclesiali. Dopo queste
osservazioni generali e di fondo, bisogner ora delineare in modo pi
concreto le diy~rse possibilit che lo spettro racchiude. un om-
pito che anche qui potremo assol'vere soltanto in forma paradi_gmati-
ca ed_ es~~~~a: proprio l'impossibilit di dedurre la fede
esistenz_~Je !lh.!~!!d_er~. imp_qui:Qik_ anche la__completezza cq.i.J>ur si
mira. Nell'addurre gli esempi che seguono, dovremo tener conto an-
che della storia di fede, di piet, delle diverse spiritualit. Se tali
opzioni e concretazioni non si fossero date fin dall'inizio, l'abbozzo
che qui tentiamo risulterebbe smorto e astratto. La sua colorazio-
ne concreta pu essere ricavata soltanto dalla storia e dall'agiogra-
CHIESA COME LUOGO D'ESISTENZA CRISTIANA

fia in senso lato e ristretto, cio anche dalle forme di fede cristiana
non canonizzate.

r. Possibili criteri e motivi di distinzione

Diversi sono i modi di caratter.izzare il comune nucleo della fede


cristiana e dell'esistenza ecclesiale. Cosi possiamo illustrare le diver-
se opzioni secondo i pi importanti motivi di fondo: opzioni che
si fanno all'interno deltl'esprienza di Dio, della fede in Cristo, del-
la dimensione ecclesiale e ddl'accentuazione storico-salvilca. Il fine
cui mira la seguente esposizione non pu essere quello di seguire i
diversi tipi nella loro origine e neWimportanza che essi assumono
per la storia della teologia e della spiritualit. Ci che pi importa
mostrare come il pluralismo che si osserva neJl'approfondimento
teologico-temat,iro della realt divina, nella riflessione cristologica,
in quella ecclesiologica, ecc., intimamente intrecciato con una va-
riet ancor maggiore di spiritualit vissute. Ma per quanto, se si
prescinde da questo reciproco rapporto tra teologia e spiritualit,
non s1 riesca nemmeno a concepire una storia della teologia e una
storia della spiritualit, queste due storie non possono venir fatte
coincidere.

a. Opzioni derivate dall'esperienza di Dio

Tra i grandi tipi storici deH'esperienza di Dio ne illustriamo, per


ora, uno. Le fonti del Pentateuco non si distinguono soltanto per
i ~ii~~~;i _1.!QJP.i... ~h~- s~~~piega11.9 .P~r 9eIJ.Qt~re Di~ 1__ma anche e non
meno per _i .4~ver~i._~9d(~i raf?g~ra-~si Ja'!,~;;lt~ "4.J_yjpa. A questo
esempio, desunto da un'epoca precristiana, possiamo aggiungerne un
altro, molto pi v.icino a noi. .E indubbio che l'esperienza, che di
Dio faceva un cristiano prima dell'avvento dell'et moderna, pre-
senta J~C-tratti -~Hvers1 _9j_::_q~IJL _h_~ .!:2sserv!1t"ii1.>Jn_j1n'iin~~&! espe-
rienza vissuta d()p_g_!~le. c~~\lr~ ..~f!!1~i- ~ps:i,g~~lc. Non facile, do-
po che questa cesura si operata nel campo della cultura e della st0-
ria di fede, rendersi conto dei reali termini in cui venne vissuto il
.
TIPI DI ESISTl!NZA ECCLESIALE 449

rapporto con Dio. Va poi osservato che l'esperienza di Dio entr


in quest~-~vo spiri.!_~rima anco.ra dell~ _re~iu:illc:!i~igne, me-
diante la quale soltanto in un secondo momento si cerc di appro-
fondire e di giustificare il diverso tipo di sensibilit. Cosl ad esem-
pio la dottrina scolastica su Dio non ci presenta difficolt di com-
prensione solo-~-~ausa d~lla -dist;~za-strica -Che- ci sepra--aa essa,
ma soprattutto per. il suo diverso metro d'esperienza. Essa venne
evoluta infatti in un contesto in cT"Cra-fucrollatile il senso della
presenza di Dio nel ~dO~delSi.agire in tutte ree:reiiilire e del
suo attivo inserimento .in tutti i processi naturali. La riflessione teo-
logica che la scolastica fece sull'agire proprio delle creature oggi ci
si presenta come un avvio Sli''et mlerna, ma all'in~sa non
fu compres~_ in questa sui port~L'esperienza di Dio condotta in
un mondo secolarizzato, conosciuto e sperimentato nella sua propria
realt ed attivit, si differenzia invece radicalmente da quel modo
di sentlre, in quanto essa non conosce ~presenza divina che
penetrala realt del mondo- e la conduce al suo compimento,~a si
imbatte-innanzitutto in un mondo con una-reaft. -tilti"Sua propria e
con l'attivit razionale e pratica defil'uomo. Una tale differenza nel
rapporto Dio-mondasi' rip~;:~ poi inevitabilmente anche sulla
esperienza personale di Dio e sulla preghiera. Gi dal punto di vista
storico-spiri~ie possiamo cosl osseiV-ai il delinearsi di diversi tipi
entro cui possibile una ricca variet di esperienze di Dio. 18
Come si pu, ad esempio, sperjmentare la trascendenza di Dio?
La si p~~--~rim~tare come la r~<?.!!..i:. prf~~-cre.tri~~-;~-creata,
come l'eternit siniata suun piano metastorico, come una santit
estremamerg.~_..esigente, come JJ.P._fu_t.Y.tQ.<;]l~~P~.!:.. !..__mte se~pre nuo-
ve. Diverso il tipo di rapporto che si assume con Dio a seconda
che egli venga.__fQ!!1PF~~~-<:P-~c:J'i.J.!!zio__};"!;A1Qre o il fu_t.Jl.!9. .s,ompi-
mento, come PPJ~tp;a_c:>_ li~~. come giustizi~ amore. D'altra par-
te una esperienza di Dio di tipo immanentistk:o non sfocia semplice-
mente nella secolarizzazione, per quanto essa esiga di venir situata
in un m;;Jo arverso e"iagg-iiilga uno stato di maggior mediatezza.

ta Sul tema dell'esperienza di Dio nell'et moderna, d. J. SuDBRACK, 'Angebot


und Oiance unserer Zeit fiir eine neue Spiritualitiit', in: GuL 41 ( 1968) 327-347;
IDEM, Probleme - Prognosen einer kommenden Spiritualitiit, Wiirzburg 1969.
l:Hll!SA COME LUOGO D'ESISTENZA ClllSTIANA

Dio qui non viene pi colto in riferimento cliretto al mondo natura-


le, ma piuttosto con una dilatazione de~ conoscere e del volere del-
l'uomo nel m~~do- -eci-;it;;ifmo.To-Si:esso, perch il sapere non
ancora --app~g;to, l~-- r~faiionf -oo prossfulnon sono ancora per-
fette e la vita in societ non ancora pienamente soddisfatta. Quel-
le tensi:>pi che troviamo nella dottrina te()logica su Dio, e che per-
---------------.-----~-~-
mangono anche nei sistemi scientifici, non possono veni.r vissute an-
cora in modo armonico in un rapporto con Dio e in un'esperienza
che di lui facciamo, ma si rifrangono in tutta una serie di tipi di
esperienza. E queste varie forme in parte rispecchiano le relative
epoche della. storia dello spirito e della teologia,__'!l!l presentano an-
che d~if~iiitei:feri.Ze,anticipaifoiii. e remini~~ze che non s'inqua-
drano in~rlgmos~ --sisi:ematiziione- SiOri~.-La-s~eka di un aspet-
to dominante dell'unico mistero di Dio non consente soltanto di
chiarire l'oggetto teologico o di fede, ma incide anche, per reazio-
ne e correlazione, sul profilo -~~e viene ad _!S~~~~_f_<?!!U><>rtamen
to_stesso del_Eredente. Anche qlli blsogner tener conto di una cau
salit contraria, in forza della quale la struttura ddl'immagine che
ci delineiamo di Dio condizionata dalla nostra soggettivit indi-
viduale o storico.culturale. Sarebbe per un semplificare troppo le
cos'=- vajc:r~ i~_9~~t<>, _sol_!ant~ ~8: ~onalit psico~ica, un'afli.
nit positivo.analoga o contraddittoria tra i>sidie -e oggetto religioso.
Una storia concreta di questi tipi mostrerebbe che anche all'interno
di una CQgt~n5: __ ()~i~~'-c:ondizionata__~~-!:l!gl~a,_~-!~~ora possi-
bile e reale un confronto critico. Bisognerebbe illustrare quella ri-
spondenza-tra immaifiidrDio ed esperienza di Dio, che qui osser-
viamo, in una storia delle diverse spiritualit incentrate sulila realt
divina, e si vedrebbe cosi com'essa risulti ben pi concreta e vitale
della serie di attributi divini propostaci dalla tradizione.

b. Opzioni derivanti dalla fede in Cristo

Anche qui adduciamo due esempi l'uno ricavato dalle ortg101,


l'ahro dalla fede in Cristo del presente. Un'interpretazione del NT
pi diffe_ren~i~!a__ _giun_ta a .conduclre ch_e i qu~~tr~ e\Tal}geli, le
lettere paoline e gli altri scritti conoscono una loro propria cristo-
logia, la quale non emerge solt@to.dai div.crsl . titoli di cui ci si ser-
TIPI DI ESISTENzA ECCLESJALE

ve per designare Cristo e che non si pu nemmeno dedurre soltanto


dalle mutevoli esigenze d'interpretare l'annuncio, ma che con tutta
probabilit deriva anche da una diversa opzione di fede in Cristo e
da una divers~-esperliZ&J;~-diTui si fa.Fiilorasr;;~~- apj;;ofon-
diti sopra~ttoi 1g~~u~~~~-~~e~~E~:1!!~~e-~~ondot-
to a questa diversit, senza anche risalire, se non per brevi tratti,
fino alle div~rs~ opzi~~ ~ esperi~1!_ze che hanno P~!-~gg~Cristo.
D'altra parte anche il rapporto con Cristo della fede dell'et mo-
derna p!_ese~ i tratti d~__seco~iz?!_zione. Ma a differenza dehla
realt di Dio, la-persona- di Ges rimane pi conoretamente inseri-
ta nel __ ~5>0testQ della storia umana. Anzi; Ges steSSO diventa ora
l'esponent~_~Xorigine di un'esperienza negati~~-dell'assenza di Dio,
della morte di Dio. E indubbio che soltanto la mutata situazione
storic~d~lla. fede ha imparato a reinterpretare il grido di abbando-
no emesso da Ges sulla croce e a sintonizzarsi con esso.
Ora, -;.~~~~~~d~-fr~-q~;tld~~ poli" d~H~ .Moria di fede, do-
vremmo ._e~~_E:_im~ ..t.!!!!l guei __tlfil_9i spirki!~it c~!~lQgj.9 he in-
contriamo .nelJ~ ~ol~-~- ~~J~~.Q..ni~vi!_ale offerteci dai san-
ti: una variet che, di nuovo, supera per rigore e articolazione quella
Presente ne:~- cristologie scientifiche. Proprio qui oB!ll. classificazione
e caratterizzazione mostrano tutta la loro carenza, se confrontate con
la fede viswta, ~Iastica e d.i1Ierenziata. Ai noti ~~dfiristolo..
gici e ~imiti~i- della sruola antiochena e alessandrina non soggiaccio-
no soltanto le dUI~mlZ~.J:kpropriet.~.li.!i~~lesil!_stiche o_qi}tura-
l'i esistenti fra i due diversi substrati dottrinali, ma anche e non mino-
ri differenze di tipi e stili di fede. Mentre la prima impostazione, quella
alessandrina,. v:aj!!_ ~-Cristo innanzitutto una gloria del Logos divino
e divinizzantu:he....Ummerge gel m9n<!Q.i.-_ndfa ~4ci umana, la cristo-
logia a~tiochena__!l)!'!ti~e-~.!~~ l,l!la __ri,~~t~~!. .Qi~t~ .d..al.filgnore
che, per sua benignit, ha deciso di..pren4e_r~ <!i_~~~a ~e.I tempio del-
1'\n@a..P.~tura. Non qui il caso d'illustrare tutti i princlpe ronse-
guenze che ~esti modelli cristologici implicano; sufficiente richia-
mare all'attenzione -le clivers~. i~~~is~l~~c~~~ in _essi r~hiuse.
La successiva storia di questa piet gi stata approfondita con no-
tevole im~gno e ampiezza: la mistica medievale. dell~- p~one, la
venerazione dei-~i~terCcoicreti<ICIIi.-vha"Cti"Ciesii n~gli Eserdzi di
S. Ignazio, la riduzione di Ges ad un esempio e modello di tipo
452 CHIESA COME LUOGO D'ESISTENZA CllISTIANA

umano ed etico, fino ad una piet cristologica che in Teilhard de


..
Chardin -~~-~u~~ -~:~..= Proparzioni cosmiche. Anche qui si dovr scor-
gere il mutevole rapporto che Vlene a delinearsi fra storia dello spi
rito e .storia della culitura, da una parte, e opzione e connotazione del-
la fede, dall'altra, senza limitarci per ad operare delle assimilazio.
ni riduttive e sforzandoci di scorgere anche, e facendo leva su delle
buone ragioni, un positivo adeguamento alle condizioni del tempo
e diversi modi di attualizzare la fede in Cristo. Gi dal punto di
vista puramente concettuale, estremamente faticoso ripercorrere la
ri!I seguita da Ges: dalla sua preesistenza dell'incarnazione, al! suo
agire ed operare storici, alla sua passione e risurrezione, fino allia
sua signoria e ritorno. Ma ancor pi la fede si rende indispensabile
quando si tratta di scegliere un singolo stadio di questo avvenimen-
to di Cristo, per cogliere in esso l'opzione per Cristo.

c. Realizzazioni della dimensione ecclesiale

La trasformazione operatasi neUa coscienza della Chiesa non con-


dizionata soltanto da fattori intra-teologici, biblici o storico.teolo-
gici. Anche le analogie e interdipendenze, manifestatesi nella strut-
tura della Ghiesa e in ~ella della,...!_t?.det1J!.~nno contribuito al!la
relati~wone e dinamidzzazione della coscienza e vita ecclesia-
li. Non meravigli~r, quindi, se il corso ~-tesso della storia presenta
diverse.esperienze e spiri~al~t~-~desiali. Ci vale sia per l'imma-
gine che i .!in~H. fedeli .!Ldel!ineano ~Chiesa, come anche per
la determinazione del luogo che la Chiesa assume e del suo rappor-
to con la nostra realt. Nell'attuare la nost~tma cristiana non
sempr;;-d~~~ ~e!Jere lia ste!sa -~!stanza critica che, a maggior
diritto, ci si ilttende. Ci si dovr quindi accostare all'atteggiamen-
to che le precedenti generazioni e i diversi santi hanno manifestato
nei confronti della Chiesa, secondo un modo di procedere storico e
non entro gli schemi astorici delle nuove concezioni ecdesiologiche.
L'obbedienza ecclesiale di un Ignazio di Loyola potr essere tac-
data.....gl@!..d~_hi_s_~ ya.@ . ~rt~do dal!.,a2ucces~iva evoluzione, di
SO_ ttomi~sione acritica (per gi i dati storici e biografici di cui
------
siamo in possesso ci costringono a formulare un giudizio pi sfuma-
to), ma non le si potr disconoscere, tenendo conto della cornice
TIPI DI ESISTENZA ECCLESIALE 4.53

ecclesiologica del tempo, un'autenticit spirituale. Analogamente si


dovrebbero individuare le diverse _attuazioni esistenziali del ~porto
con la Chiesa operatesi nelle altre tappe dello sviluppo ecclesiologi-
co: l'idea_di cor:po di Cristo, motivo dominante nella piet e pre-
dicazione di Agostino; il ~odello del corpo di Cristo, diventato
nella teologia scolastica del medioevo un principio d organizzaZione
ma vissuto _..anhe nella ~iritualit del tempo; il tratto polemico e
apologeti,~ della piet della controriforma; il consolidamento della
struttura gerarchica all'epoca del Vaticano I, e non solo a livello di
testimonia~e magisteriali ma anch' nella vita ecclesiale dei semplici
cristiani es.r_~__!lti; la c~a di popolo di Dio come si tradusse
nel Vaticano u e che non venne prodotta soltanto dalloa rifl.e5sione teo-
logica ma fu ispirata e rafforzata dall'attiv!t di molti laici nella Chie-
sa; non meno importante la sottolineatura della funzione sociale della
Chiesa e della sua solidariet politica, messa in evidenza da pubbli-
cazioni a carattere scientifico ma gi tradotta in pratica dall'impegno
dei singoli cristiani o gruppi di vita. 19
La variet delle ORZioni ecclesiali dete1mina l'immagine di una pie-
t che subisce profondi mutamenti nel corso della storia. Ma questa
pluralit iliforme pu manifestarsi a;;che entro un determinato mo-
dello, comunemente accettato in una certa epoca. A prima vista po-
trebbe sembrare che un ordinamento, rigidamente fissato, delle strut-
ture o funzioni ecclesiali conceda minor spazio a libere opzioni. Bi-
sogna per tener presente che queste strutture - ricordiamo i mi-
nisteri - non so.q..Q__~ffat.to cosl !g_irnutabili e programmate__pa com-
promettere, coj lQ!J> schemi @lWarentemente rigid!a_ .E!!.'.!m~ libert
di movimento. La libera scelta, la quale non consente di venire isti-
tuzionalizzata, si manifesta anche in rapporto alla collocazione che il
singolo cristiano assume nellia vita della Chiesa. L'ordine carismatico
trascende ~. integr~ -~!!2Jtituzi<?E:~!~, se OC?P. ..a.!t~_<? _P..~.~-iL !a!!~-~e
l'a decisione.s_~p.ihi!!!!aj_ ~e.rvizio nella_fhi~a_110.E._~~~Q ~ere
istituzionalizzate, per quanto si prestabiliscano il cooil;nuto . e...il man-
dat~J;Cmi~s!~ro. Nella sfera dei servizi ecclesiali esiste una tale va~
19 Per la storia e gli sviluppi della piet ecclesiale, cf. J. DANILOU - H. Voa-
GRIMLER (a cura). Sentire Ecclesiam. Das Bewuss/sein von der Kirche als gesta!tende
Kraft der Frommigkeit, Freiburg 1961 {trad. it. E. Paoline, Roma); K. RAHN!!R,
'Dogmatische Randbemerkungen zur lGrchenfr0mmigkeit', in: Schriften v,
379-410.
r.ffIBSA COME LUOGO D'ESISTENZA CRISTIANA
454

riet di compiti, di correlazioni, fra il capo ministeriale e la comunit


cui egli presta la propria opera, che non possibile delineare alouna
regolamentazione. Ma la libert si manifesta anche nel modo di attua-
re C<._ caratterizzare un certo ministero. Proprio la storia recente sta a4
indicarci Che il ministero del papa, ad esempio, consente traduzioni
estremamente dll!erenziate e veramente originali, anche quando il rag-
gio del~- sue fUnZioni e;;;;petenze rigidament;- definito; un'at-
tuazione cosl. spontanea pu determinare addirittura il sorgere di
una n'l!ova situazione teorica e giuridica in cui il pa{?!to verr poi
compreso. Non stata una nuova teologia del primato bensl il mo-
!O" cui esso venne esercitato da Giovanni XXIII a conferirci un
nuovo -;~eUQ di-9~~tero, un modello cui la CTiiesa non
pi_disposta a rinunciare. Ma la stessa possibilit di dar spazio al-
la fantasia ecclesiale sussiste per gli altri ministeri, quello episcopale
e sacerdotale ad esempio. Nella misura in cui queste nuove attua-
zioni si a(E~rmeranno, prima o ~i-iropor~~no anche dei mutamen-
ti neMa sfera dell'ordin~ento giuridico e del modello istituzionaliz-
zato. L'impulso innovatore, che anima questi rinnovamenti e ristrut-
turazioni, non .pu costituire ooi dei limiti permnenti e meno che
meno CQ!!?.portare una S!abilizzazione delle forme giuridiche esisten-
ti. N pu essere visto come fine a se stesso, o soltanto come stile
di alcune persone, di certi individui. Infine dobbiamo tener presente
che l'ordinamento in vigore neUa prima comunit cristiana sca-
turito proprio da queste realizzazjonj non ancora codificate ed stato
mantenuto in movimento per parecchi anni da una prassi in continua
trasformazione. 20
Dovremo ricordare un terzo settore in cui prende forma l'opzione
ecclesiale, quello delle costanti nel processo di attuazione e di esi-
S@za della Chiesa. Anche la Chiesa, infatti, vive inserita in una
determigata__~_tan!~- temporale,.i.~.!.~PE~d un.!_.~~ storica
che la condiziona: o si richiama decisamente allie origini, all'inizio
storico ed allattadizione, o si orienta, con dinamismo escatologico e
trascendente il dato esistente, verso il compimento e superamento

20 Per quanto concerne la carismatica e la santit!> all'interno delle strutture


ministeriali, cf. H.U. v. BALTHASAB, 'Nachfolge und Amt', in: Spons11 Verbi, Ein-
siccleln 1961, Sc>-147 (trad. it. cit., nota 3); H. KilNG, 'Struttura carismatica della
Oiiesa', in: Concilium l/196,, ccl. it., 1,37.
TlPl DI ESISTENZA ECCLESIALE

degli ultimi tempi. Ma esiste anche un atteggiamento intermedio,


quella costante esistenziale cio secondo cui la Chiesa si rivolge so-
prattutto, Inediante la critica o la col18b0razione, alla storiadel pro-
pri~- tempo ed alla situazione che il mondo e la societ vivono. Per
quanto queste tre dimensioni della Chiesa siano sempre, nei loro
tratti gene;u;-p;senti e non debbano mai essere ignorate dhla co-
munit cristiana, sono per possibili e indispensabili anche delle
accentuazioni eJ:!ocali e indivi:cluali. Ci saranno quindi delle persone
che esercitano, nella Chiesa, la funzione di conservare la memoria
delle origini e di stimolare la fedelt alla tradizione; persone che ri-
volgono ai confratelli di fe4e un inter.rogativo critico che li costringe
a scegliere fra un modo d'essere nei confronti degli uomini del nostro
tempo ed un atteggiamento che si proietta nel futuro. Ma si d anche
la correlazione inversa: ci saranno cristiani che, aperti al futuro della
Chiesa e dcl mondo, mettono in q~~e i rapporti esistenti e sot-
topon~no la tradizione canonizzata nel suo insieme ad un processo
inesorabile di differenziazione ed interpretazione. Un tale orienta-
mento esistenziale si profila in quei cristiani che vogliono liberare la
Chiesa _<Jal ripiegamento su se stessa, da un modo scorretto di riflet-
tere sulla propria realt, ed aprirle g~ occhi di fronte alle questioni
pi scottanti dell'umanit .ed alle esigenze di testimonianza ecclesia-
le. In queste tensioni devono realizzarsi i compiti e le possibilit non
sistematizzabili della profezia intra-ecclesiale, del carisma sia intta-
ministeriale che extra-ministeriale. Ma su questo terreno si pu giun-
gere anche a compromettere quei nessi che garantiscono una comu-
nanza....di~de; se tali opzioni vogliono ri;;.anere ecclesialmente effi-
caci e feconde, devono rimanere nell'ambito della comunione eccle-
siale; non possono distanziarsi fino al punto da sfociare in una zona
esterna e.Ma vita della Chiesa. Si noti comunque che tali testimo-
nianze profetiche e critiche danno inevitabilmente origine ad una
polarizzazione nel contesto ecclesiale. Fondamentalmente si dovranno
accettare tutte le direttrici esistenziali cui abbiamo accennato, ma non
sar possibile stabilire un parallelogramma normativo di forze ec-
clesia1i, dove tutti i diversi Vettori risulterebbero perfettamente
definiti, secondo la loro misura e intensit.
CHIESA COME LUOGO D 0F.SISTl!NZA CRISTIANA

d. Opzioni all'interno di una comune situazione storico-salvifica

La fede oristiana, nel suo svolgersi nel tempo, conosce due limiti che
non possono venir superati in avanti o all'indietro, ma che nell'arco
cronologico da essi determinato rendono ancora possibili diverse ac-
cenmiazion.i ed esperienze. Gi il NT ci mostra questa unit e varie-
t insieme. vero infatti che la fede cristiana sa di essere trasposta,
a motivo della presenza cli Dio in Ges e della .e_romessa ch~ascen
de il tempo, in una presenza escatologk3_Q.alla quale qon potr pi
prescindere. Nell'esistenza di Ges e nel suo annuncio iniziato H
re@....<!LQio. Il Signore glorificato ora rende partecipi, per mezzo
dello Spirito, della sua nuova realt. Ma anche vero che la stessa
fede non pu ~_;::;;;~~p;;r ii:oppaleggerezza ed impazienza, i limiti
che le sono imposti in questo suo tendere verso un futuro salvilco
manifesto e pienamente- realizzato. La -presenza del regno di Dio vie-
ne continuamente posta in questione dall'esperienza ~posta, quella
cio_,P.i un potere di. morte che an>_!!.Mmane. La comunione con
il Signore risorto dev'es,~.C?!~-~antenuta in una esperienza disincan-
tata d!~~sio!!~.!.~~ mc;>:!.; N'~;;;~~~~-1-;. Chi~~-;--pu- identificarsi
trionfalisticamente con il regno di Dio e immaginarsi sottratta ad ogni
minaccia e peccato. Nell'esistenza del singolo, come nell'esperienza
della c~!!~ ..s.L~oyrappongonn esperieQK.~-~eterminE.ioni di tem-
po d.c::l tutto contrapposte: gi inseriti nella nuova realt, ma non
ancor~T~...QQ"!~i~.iQ..Qf_y~3_ce.r.tezza_ulri:_fca che non ammetta tenta-
zioni; gi partecipi del dono dello Spirito, ma sempre stimolati dal-
1'imJLli'.glW...ad..un~. vita. _vj~s4 t~-~ef.~>nd>. i_ .9~Jtl\mLdcLm,e.Pesimo Spiri-
to. Questa determinazione dell'esistenza rende ormai impossibile una
ricaduta nel passato, ma anche un salto nel futuro. Lo stesso NT
mostra in modo paradigmatico come siano possibili tipi fra loro estre-
mamente diversi di realizzazione della comune fede e della stessa
comprensione del tempo all'interno di questa determinazione tem-
porale; tensioni che possiamo cogliere anche in un'opera letteraria,
quella paolina ad esempio. Lungo l'intero arco storico della Chiesa,
della spirh1,1l!1.~t_!_i: . Aell,'~s_Qerie~!!.. ..di.Jede.. ..sL.notetanooJa..~ssa di-
spersione e policromia. Singole persone, gruppi o comunit sperimen-
tera~~o-in--s stssr soprattutto uno stato di ir-redenzione: nei pro-
pri peccati, nella propria e comune debolezza, nella sofferenza del
TIPI DI ESISTENZA ECCLESIALE
457

corpo e dell'anima. Qui la certezza evangelica defila giust:ificazione


avvenuta, della conciliazione sperimentata, dello Spirito donato, pu
oscurarsi fino allo smarrimento com leto e u essere mantenuta
soltanto da]ma-fecf-.racnc e. queN.'esperienza del buio che travia-
vo anche neg~ di PaOIG,quando egli vede ad ese.IE_~~ pro-
pria esistenza apostolica il seg00 di una redenzione non ancora ap-
parsa (z Cor. 4,9-r3), quando soffre- il contrasto fra lo Spirito rice-
~Ut e I.a creazione che ancor geme (Rom. 8,18-25). L'apostolo per
ha fatto. dehle esperienze_in cui il JimitC?_~~lla riv~?~~loria,
non ancoQenamente realizzate, sembra ormai scomparso, dove la
gloria futura trasforma~ gi iUpr~ente e in modo percepibile, l'esi-
stenza dei credenti e avvolge la Chiesa nella luce dello splendore
escatologico (2 Cor. 3,7-18). Alle diverse cristologie degli scritti neo-
testamentari risponde anche una diversit di modi di determinate i
tempi dell'esistenza cristiana; ~i pensr ad eseiliPolillatens1ooe esi-
stente fra l'assenzaaeICompmento escatologico, cosi accentuata nelle
prime lettere di Paolo, e l'escatologia, riferita quasi esclusivamente ab
presente, del vangelo di Giovanni.
La diversa coloritura che viene ad assumere questa concezione sto-
rico-salvi.fica del tempo risulta gi nel NT condizionata da diversi fat-
tori di orCifne.teoTog1co, ma.presenti anche neIEi stonadello-spiruo e
nella storia della Chiesa: attesa del regno imminente, protrazione della
parusa, persecuzione o, tolleranza, della comunit da parte dello Sta-
to, l'atmosfera culturale dell'ambiente, la determinazione predomi-
nante dell'esistenza e il modo di sentire la realt del mondo sul pia-
no culturale. Con qu~~~e esQ_~ti_e~Ja_ CQ!!Qq~~i<:>.~~-Pt?rsonale della
fede opera delle sintesi sempre nuove, che secondo il NT si presen-
tano anche sempre dlverse: La Chiesa 51 milove~nersuo inseme, con
delle oscill~~~ri..Eendolarit..!!!3:. imp!evedibiJi? __tr~~~~. E,p~s~i:,. espe-
rienze-limite: fir~ l'~ticipazione entusiastica dell~!~Ve.B.!.S della
gloria e il nascondimento p~;;,aossa!esperiffienUt't~ nella tentazione
del singolo e della comunit. Allo stesso tempo sorgono per anche
i testimoni _prof eticL.t; _9"!t_!:~_i__g~~L~~~~31!2. di_o.p.p.o.rs.Lad...og11i pe-
ricolosa accentuazione. Di fronte ad una Chiesa tentata di sfociare
nel trionfalismo, si pone il fedele che mette allo scoperto il peccato
che la comunit invece rimuove, la tentazione che si vorrebbe igno.
rare, e che lui assume invece neHa sua .propria esistenza, se ne fa
CHIESA COME LUOGO D'ESISTENZA CRISTIANA

rappresentante e mantiene come oggetto di contestazione. Di fron-


te ad una Chiesa priva di coraggio, s'erge il testimone che annuncia
ci di cui egli fa esperienza: la gloria nascosta n~l presente, la vici-
nanza del Signore, ormai percepibile. Entrambi non conservano ge-
losamente queste loro esperienze, ma le considerano come un motivo
che li costringe a testimoniarle per il bene della Chiesa, di una Chie-
sa sempre incarnata in un tempo gravido di tensioni.

2. La situazione antropol.ogica come carisma potenziale

La differenziazione dei singoli tipi di fede non motivata soltanto


da ragioni strettamente teologiche, dal comune substrato di fede,
ma resa possibile da una reciproca simbiosi fra situazione e at-
tuazione personale della fede. Sorgono cosl anche nuove connota-
zioni di fede, che si configurano in modi diversi, a seconda delle
diverse situazioni e presupposti antropologici.

a. Indifferenza negativa e positiva deMa fede

Fondamentalmente la nuova realt escatologica dell'esistenza di fede


si olloca oltre le classificazioni OCJ?'lai ~isite del mondo e della
societ umana. ~ proprio questo in<ondizionamento che sta alila ori-
gine d_ella_ libert di fede, la quale non accetta con spirito di rasse-
gnazione gli schemi in vigore nel mondo naturale e sociale, ma in-
tersec~!ld~l. costityj,!~ le n1:1:~~~~~--?i fede_ ~__Eroprio in tal
modo sollecita una relativizzazione e superamento delle differenze
esistenti. La Chiesa non fu in grado, pet pigrizia colpevole e per
impotenza di cui non ha colpa, di trarre tutte le conseguenze pra-
tiche eh~- ~eriv~-~~_4_a__ q_u~s!_a_ 2alit~.4! -~ls!enza~s!~aili;non~in
quadrabile negli usuali generi del sesso, condizione sociale, et,
cultura, e si ricostitul invece.._Qm~. 1:111.. g~'!us _t~r~i~~!....!1.Q1!Jlm:
Tutti voi infatti s!.~~~ di D~_c:i __ee...!J:9.fede !!i. C~sto Ges ... Non
c' pi giudeo n greco; non c' pi schiavo n libero; non c' pi
uomo n donna, poich voi siete uno in Cristo Ges (Gal. 3,26 ss.).
Questa indifferenza dovette innanzitutto affermarsi in modo ne-
gati_v~,-~__ S.?h~!'?. in '1-~. ~~~~~~.?. ..!E~-n~oto~i tradusse pi positiva-
TIPI DI ESISTENZA l!CCUSIALE

mente in un rapporto con le diverse situazioni umane esistenti, pet


conferire ad esse una nuova figura. Non si dovranho confondere tra
loro qu~sti due movimenti dell'unica libert, per quanto si debba
pur conv~~ire Che furono determinati, nelle diverse epoche, Clalla
stabilit o dall'instabilit sociale del tempo. Ma accanto alla distan-
za critica od escatologica nei confronti delle situazioni umane esi-
stenti, osserviamo anche un'acettazione realistica ed una configu-
razione positiv.a dei dati antro.e_<?!ogici prese~ti o con-costitutivi:
l'accettazione dd proprio esistere come uomo o donna, dili rela-
zione sociale nel matrimonio o celibato, deLl'et, degli inevitabili
limiti e pericoli cui esposta l'esistenza, come la malattia e la mor-
te. Non si tratta di una pia rassegnazione di fronte a tali condizio-
namenti. Ma c~o che, accanto ad un superamento critico di tali
limiti, si nota anche _un'assunzione, necessaria, implicita nella stessa
condition humaine, di questo modo concreto del vivere umano.
Dal nesso he string. un'esistenza di fede con simili situazioni, pu
addirittura delinearsi e attuarsi una configurazione nuova, feconda e
creativa, della vita cristiana, con una sua particolare colorazione ed
un suo tipico profilo. Una teologia, la quale rifletta sulla realt crea-
ta facen~()_ leva sull'opera redentiva di Cristo, in questa~pene
trazione non vedr soltanto degli elementi fra loro collegati in mo-
do estrinsecistico, ma anche un reciproco coordinamento e determi-
nazione finalizzati, tendenti al proprio e definitivo compimento, an-
che se iI NT sottolinea maggiormente la differenza esistente fra ap-
pello escatologico di Dio e situazione terrestte-antiropologica. ~ ov-
via la semplificazione, l'impoverimento, che deriva da una valuta-
zione che qui vorrebbe attribuire una genuina possibilit cristiana
soltanto ad un tipo di indifferenza negativa, tutt'al pi a quello del-
loa trasformazione critica, non per anche a quel legame che si sta-
bilisce in forza dell'accettazione e rimodellamento.

b. Mutua relazione fra esistenza di fede e ruolo sessuale

Siamo diventati sempre P-i cauti nell'interpretare. teologicamente


la nostra CC>.Q!lOtazione sessuale. Ma questa cautela e iL temporaneo
rifiuto di offrire un'interpretazione teologica del ruolo sessuale non
possono essere considerati come una scelta ultima, irrevocabile. g
OllESA COME LUOGO D'ESISTENZA CllISTIANA

chiaro che anche la tradizione ha contribuito, elevando la condizio-


ne dell'essere-uomo, dell'essere-donna, a consolidare ideologicamente
le interpretazioni <;Q!l~ionate. dalla storia e c~lle socie-
t. Non possiamo cosi non sottoporre a critica anche la posizione
che n~LNT Paolo assume ne(:onfronti della donna, e relativa mo-
tivazione teologica, e nemmeno minimizzare l'influenza esercitata poi
nel corso della storia e relativi condizionamenti. Questo abuso di
ideologia e la mancanza di ~erm-ica critica dei testi scritturi-
stici spiegano l'avversione nutrita verso ogni simbiosi spiritu~e fra
esistenza di vira e ruolo sessuale. E tuttavia, la determinazione in-
dividuale;_ _dell'.e~.er.e _mano come uomo o come_dwina non , fon-
damentalmente, un puro accidente esteriore al substrato pen;onale
asessuato dell'uomo di fede; vero invece che anche la sessua-
lit rientra, assiemc..AJ.Jilll gli altri con_dizinnameptj e situazioni
dell'uomo, nelle possibilit cari~i_che di ~uJ.Ja persona di~one.
Non si d soltanto un'accettazione obbediente e creaturale, e nem-
meno solo un rifiuto, di questa esistenza come uomo o donna, ma
anche un tipo e stile di fede cristiana che vengono modificati da
simili a~iamenti. proprio ques-t; diversit dfstili di fede e di
preghiera che potr mantenere, nella Chiesa, il delicato~ilibrio
fra unuaziruialit.. mascolina, e__organizzazione della c~it di
fede,._e_~Jllotivit femminile, e spontaneit (si tratta comunque
di clich ).21 Tracce di questa concezione ecclesiologica si riscon-
trano gi..!l.e~ tTitc!izione litl1~ca, la quale - pur limitandosi ad
una ristretta cerchia di persone - ha qualificato in modo diverso il
santo martire dalla santa martire, come ha conosciuto il modello
del - . . . confessme, d~lla s;,-;a vedova o vergine; e qui bisogne-
rebbe ricorda~~-~che-11.Culto-~;riano. Oggi~on assolutamente
accettabil.~.. las_ig_~terizzazione che s.! _data di questi modelli, per-
ch in essi trovi~~--impli~iti-~-lntrecciati ttoppT.pregluctizi, dai
quali traspare un modo scientifico ormai antiquato di riflettere sul-
l'uomo e sulla societ. Tuttavia questi esempi stanno ad indicare
una direiiQne che la stessa tipologia deU'_~s.i.sJenza....cristian<'.l._!d eccle-
siale dovrebbe seguire. Anche pregiudizi ormai canonizzati dovrcb-
be~o c~d~rcC.Ciopo una temporanea rinuncia ad interpretare spi-
21 Cf. K. RAHNER, 'Die Frau in der neuen Situation der Kirche', in: Schriften vn,
351-367.
TIPI DI E.SISTEN'LA ECCUSIAL&

ritualmente il ruolo sessuale, e superando l'astrazione di un'esisten-


za cristiiana asessuata, ad un'assunzione positiva, libera, critica e
plasmattice delle diverse funzioni sessuali.

c. Et naturale e storia di fede

Il livellamento dell'esistenza cristiana, la sua riduzione ~n cli-


ch atemporaleL ci ha pure fatto dimenticare le differenze e possi-
bilit _msite nell'et dell'uomo. B rilevabile una s~ie di docetismo
hiogra.tkmt ngn solo nella cristologia ma anche nella teologia~ della
vita cristiana. Per quanto riguarda Cristo, una concezione acronica
dell'uni~a_si ha impedito di ~gliere un movimento ge-
nJ!~O, non contraffatto, all'interno della sua relazione di Figlio, del-
la sua coscienza di s, della sua determinazione di futuro. Per quan-
to con~~i la figura del santo qistiano. quel che sj proponeva
era l'ideale di una persona ormai adulta, gi anticipato dalle descri-
zioni dehl'infanzia, praticamente chiuso ad ulteriori maturazioni e
perfezionamenti.
Interpretare spiritualmente e realizzare concretamente l'et come
stile .~ella nostra fede non significa certo ~he og~i PcriOdo della vita
dell'uomo ris"iilta ~mt~!fc~to e ideologizzato. Innanzitutto bisogna
riconoscere che spetta al cristiano accettare la propria et ed ogni
suo stadio di maturazione. Da Wla persona adUka non ci sldve n
ci si pu ~-~!~ndere ~Ila soli~ vita di !ede cui l'uom_o giunge sol-
tanto nel corso di decenni. E viceversa non si deve interpretare
quant~--Ges--afce sull'mfanzia evangelica come un obbligo d'in-
fantilismo, spesso propostoci come ideale di vita ~a ascetica in-
genua~ Ma. -C"e~t~ che l'esistenza di fede deve percorrere un suo
cammino_ storico~g-asformaE_~~sto itiJ!~E~io in_u.tl!_st~~adi fe-
de. Un suo isolamento daHa storicit concreta conduce ad un rat-
trappimentoA_i ~~trambe~J'esiste~ di _f~~-Q.lyentL8:<;~!}_i9l_,LlSto
r.ica, la storia di vita non viene pi assunta e assimilata swe il
e
vero luogo della decisione di Ted -[-materiale~ integrante della
persona che crede. Questa vita che si dilata nella storia non rimane
altro eh(! J_ci_ ~C~J?ario_ -~-il- ~~~~e _prc:~ss~~O-~,f!~rg i _qu_ajij'._esistenza
di fede dev'essere vissuta. Ed invece non esiste esistenza di fede
che non sia vissuta nella storia e come storia di una vita.
CHIESA COME LUOGO D'BSISTl!NZA C8.ISTIANA

Bisogna riconoscere al credente il diritto di accettare e farsi pro-


pria ogni ..!iJ:i_gola fase della propria vita con le sue possibilit e pe
ric~i,p~omes~~. ~~tentailoiia1f-ste5so tempo Eisogna per oo-
gliere e realizzare anche ogni frammento del nostro vivere nel va-
lore cheesso asswne per Ia vita nella sua interezza. Basterebbe un
migH.or~-;ppre;iainentO'-ieologico dell'et dell'uomo a rivitalizzare
e profilare meglio l'agiografia delle vite esemplari dei santi, a far
vedere cio che cosa siano stati questi bambini, giovani, adulti e
anziani che noi chiamiamo con il nome di santi, a porre in evi-
denza le possibilit del carisma potenziale che essi ebbero e rea-
lizzarono durante la storia della loro vita. E questo ci consentireb-
be anche di rendere pi articolata la figura della comunit, dato
che non ci si limiterebbe pi a proporre l'ideale acronico del cri-
stiano adulto ma si produrrebbero anche diversi stili di vita: quel-
lo de} bambino, quello del giovane, quello dell'anziano. Ci che
in ~~~S!?.1~--~-..!1..2!L.~~g- delle introduzioni di carat-
tere teologico-pastorale e nemmeno una tipologia pedagogica, bensl
la conoscenza di esempi concreti, di modi in cui di fatto si sono at-
tuate queste indicazioni astratte.22

d. La possibilit carismatica dello stato cli vita

Un'esistenza individuale dell'uomo, che non sia situata, un'astra-


zioQe, paragonab~'universale ~co. L'esistenza concreta as-
swne sempre Ja fo~ _@ una vita storica socialmente situata in un
determinato __ !Jlodo di vivere: quello- detl'aut0nomia dT giovane,
quello di un ~~~o ~~n"i~ale; della comunit familiare, dei nuovi
rapporti che si stabiliscono durante la vecchiaia. Non possibile
riassl@ere tutte queste dive~....:.Q2~!J>llit .~. loro_realizzazioni sotto
il com~iiedenmmatO're--df una generica esistenza ~. quasi
si trattasse di applicazioni esfriiazionT. di fede arbitrarie e permuta-
bili, che non apporterebbero alcun profondo contributo alla sostan-
za ed alla fecondit della vita che in esse matura.
Per un'unica forma di vita prevista lB relativa concretizzazio-

22 Cf. K. RAHNER, 'Gedanken zu einer Theologie der Kindheit', in: Schriften


Vli, }I 3-329.
TIPI Dl ESISTENZA ECCLESIALE

ne istituzionale di ~-_quella del matrimoni~ento. Di per


s, anche qui la teologia e la Chiesa dovrebbero limitarsi a ricor-
dare la necessit cli vivere cristianamente il proprio stato di vita,
lasciando chh coniugi cristiani lo reiillZZmo nelle loro situazioni
concrete. Ma chiaro ch~-q~esto-modo- di vivere-prienfuna sua
possibilit e compito all'interno della comunit cristiana. Con que-
sto non sosteniamo la necessit di una moltiplicazione dei sacramen-
ti o di un'analoga sacramentalizzazione dell'autonomia giovanile, del
celibato, ecc., per quanto essa dia pur sempre, nella vita coniugale,
una connotazione individuale che non si realizza neJil'ambito della
sacramentalit del nostro vivere in genere. Tuttavia, se il compito
di una ma~one cristiana si estende fino ad abbracciare l'intero
sviluppo dell'uoO.-@iIOra-al::icli1e 8Iue-s1!~oni rapPre~tano
un~ibiliti...t insieme un compito di vita vissuta, che non devo-
no venir accettati come un destino, n vanno considerati privi di
si~~~-!? maChe devono essere valutati come mO<llCOiirti di
seguire Ges, di tradurre nella prassi la fede.
Bisogna dissipare subito un malinteso. La realizzazione di questa
esistenza_di_fede n~~venir_~deologizzata o mistificata ~iritual
mente come un fatto del tutto accidentale e nemmeno come una
scelta mancata, quasi si dovesse correggere un'errata impostazione
naru;;te;~canCioUilliVla Soprannaturale. E noD'Sf pu di-
re neanche che il singolo si .lasci assegnare dalla societ il ruolo che
la SQ!.~i~~~~4_~r svolgere, con l'unica possibilit di sublimarlo
sul piaqQ. sQiritu~~~ato-:-E vero piuttosto che -ai cristiilii viene
offerto un compi~~!.-Fe assunto, consente di risolvere non sol-
tanto .i_ptob!~L.4i..~yita iru:!ividual_ma _!!!~~e 9uelili emergenti
da una...Jlil:~cle-siale e sociale. Sul piano ideale i cristiani sono in
grado di _o.P~r.a.te. uno stacco. dalle connotazioni convenzionali e tra-
dizionali d,i _g_ueste~rme e situazioni cli vi!a:-;Q";, capaci di pro-
durre mo~~Jli di esiste~a nuovi e _?!.~~li. Come usacramento del
matrimonio non dovrebbe recepite in termini puramente SJ?irituali-
stici la le~l~~azi~ne social!!.. ~ politic~-- in ma~a, hnSlsottopmta a
critica ed aprirla ad orizzonti nuovi, cosl anche gli altri stati di vita
devono esse;-vssUtr in m.oai nuov~n.err;:-mrsura dlle possibilit
e vocazioni personali. Si dovrebbe pretendere che una spiritualit
cristiana dimostri almeno altrettanta apertura di quella che dimo-
CHIESA COME LUOGO D'l!SISTENZA CltISTIANA

stra la societ attuale nell'elaborare nuovi modelli. La Chiesa non


dovrebbe consolidare ulteriormente, servendosi di una teologia er-
rata, degli stili di vita e valutazioni ormai superati, come quello
della donna non coniugata; dalla Chiesa e dai singoli gruppi che
operano al suo interno dovranno scaturire dei modi di vivere pi
aperti, pi liberanti. Prima o poi essi trasformerebbero, sia a livel-
lo ecclesiale che sociale, quegli ideali e strutture che caratterizzano
i diversi stati di vita dell'uomo; la ristrutturazione carismatica di
una forma di esistenza inciderebbe, in ultima analisi, anche sulla
legislazione o sul diritto di famiglia di uno Stato. Ci sembra che
questa dinamica inversa sia necessaria soprattutto al fine di ovvia-
re al pericolo, piuttosto frequente, di una ideologizzazione passiva-
mente accettata.23

3. Differenziazioni individuali e di gruppo 24

I motivi e criteri di differenziazione ricordati non si riferiscono sol-


tanto alle realizzazioni di fede individuali ed estremamente perso-
nali, ma anche alle forme intermedie di gruppo. L'alternativa ad un
cristi~1.1:eitn~'---~-~~ialistico, uniforme, privo di ogni individualit,
non _i q_tf~m- solrtanto dd sin,g,qlo cristiano, che deve affermarsi
come_ tale in l!lodU,nsostitui_bili__~ _!!.-ripetibili.Tua-~~piatt~~ssen
ziallgn9_~ esistenzialismo praticamente incomunicabile, per quan-
to legittimo, difi"Sistenza "crfsffana"-iiovirio Il loro
spazio dei gruppi
interm~i.l....4L~ o cli note!ole ~~nza. Per quanto diverse
possano__essere l~sitl1~zio~k_~,!Qni spirimlt_l!J~e, esis~~m
pre la possibilit che si formino diversi raggruppamenti, al cui in-
terno un certo numero di fedeli, s'incontrano e comunicano tra lo-
ro. Sono -~~ti_ ~'.agg!~~-~?E.c:_~--~1?-_a.__~_e_~~~-~~~a, c~e va-
ria a seconda delle circostanze, come si pu __~h!!lI@l~~.2_sservare
nella storia detle 1S1:itliz10nfreliglose:-L-fo~Jatore dell'ordine si tro-
v ben presto_-~ ~~c>nte ad __una -~011l~n~t 4i__~!son~ __c_k nutrivano

2.l Cf. FR. WuLF, 'Priesterliche Frommigkeit, Ordcnsfrommigkcit, Laienfrimmig-


keit', in: GuL 29 (1956) 427-439.
24 Cf. K. RAHNER, 'Das Verhiiltnis von personaler und gemeinschaftlicher Spiri-
tualitiit und Arbeit in den Orden', in: Schriften x, 467-490.
TIPI DI ESISTENZA l!CCLBSIALE

gli stessi sentimenti, che avevano fatto la stessa esperienza e che si


sentivano chiamate a realizzare gli stessi obiettivi. Quella vocazione
he inizialmem_e era del singolo si trasform ~~~a- ~~azione
di .&!.~~o. Ci dipese soprattutto daH'attrattiva esercitata dal fon-
datore, un individuo che aveva colto in modo nuovo ed esemplare
un aspetto -dclra-Iae---C-d;;I1-;~ir;~istiana:die afasciD.avaanche
altre persone. Ma ebbero_~_ loro im~rtanza -~~he_~--~~testo in
rui viveva allora la Chiesa o lo Stato, loe esigenze e necessit che
rerti cristiani avevano criticamente-Tndividilatee-ar-liTlntend~ano
farsi carico. Il fascino, spesso sorprendente, che emana dalla figura
del fondatore, non trova quindj._J!.. sua spiegazione soltanto nella
sua ori~nale individualit ma anche nella congiuntur-;-dei ..diversi
fattori st~~ici,~ecclesiali elle di Tede~-------------
----.~---~--------

Questa dilatazione del carisma del singolo alla vita cli un gruppo solle-
va per__~!iJ?roblemi.!...~~ la mag~~i:_~za..?~~!-~~i... !.c:l:i&!2~!:. . ~~tte
affrontare. Data la sua r1cciieZza, la spirnuat.t del fondatore non solo
pu-essere imitata ma deve anche rifrangersi in diversi tipi di vita spi-
rituale. Ma l'interpretazione e la concretazione di questo modello ori-
ginario .non sono affatto arbitrarie. Le diverse battaglie che, nel corso
della s:oria;-~fcombaii~~(J;nsiamo soprattutto ai francescani) per
affermare ..m1_i!__Q..f!:i:_minl!!_~_ !.gl_2ost~ion.!:_A~l..P.!9erio ordin~~so, non
sono certo edificanti, e tuttavia dimostrano pur sempre la preoccupazione
dei disce.P..o.li di rimanerJ~...filtid.~ak.dcLS.imt9"' anch~_t_EN.~ che
questa fedelt da alcuni veniva interpretata in modi troppo rigidi e ser-
vili, da altri troppo lassi ed arbitrari. Nell'affermare la giustezza e con-
form_iE _di que~~_AJ~~~ato _i _~L.I!~Q ..~a~-~opratl!!_lli>.. JJ.gli !!.~petti
esteriori, e~indi smarrire la vitalit dello .:!P.!!.i~<?. 2~i_fil?ario; ma si pu
sfociare anchiil 'iiiosp1ntilaTis-mo-1ntUilistico, e perdere cosl la con-
cretezza della vocazione iniziale, ora appiattita in una genericit priva
di qualsiasi profilo. Il fondatore potr, comunque, irradiare ancora la
sua luc~ ..soha.!!ill2.LV..er.r.. ~~ _9n.t~$t.Q_.fQ.Q9:~-~~-_jl}_ c1!_i_egli
realizz ~a__~ria ispirazione evangelica. Una spiritualit disincarnata
orma.i da tale conCrtzza n-pru-aenevolte non fa altro che mini-
strare in modo arbitrario certi contenuti generali del patrimonio cristia-
no, come la povert, l'amore per il prossimo, ecc_

Ma sarebbe una restrizione indebita anhe quella che vedesse si-


mili raggruppamenti soltanto negli ordini storici e istituzionalizzati,
che nel corso della storia hanno conservato tutta la carica del loro
CHIESA COME LUOGO D'ESISTENZA CRISTIANA

fondatore e l'interpretazione originale che egli diede della fede. Non


affatto necessario che le virtualit insite in una vocazione singo-
la, e hl sua affinit con altre che si muovono sullo stesso cammino,
presentino G~ssa chiarezza di contenuti; esse ammettono infatti
diversi _gradi ~~spar~!... e di_Y-erse fasi di istituzion@lizzazione. In
linea di principio, non si potr comprendere alcuna esistenza cristia-
na sul piano di un totale isolamento dal contesto ecclesiale, nem-
meno nel caso in cui essa non abbia ak:un seguito appariscente. Non
inf~tti pos~!ile_~~!!!rC?l1~.r-~~gistrare l'irradiaziqpe e &li stipio-
li he derivan_Q ~!-~~sti~~~-~_fede. Nessuno potr esclu-
dere che la sua testimonianza, per quanto non evidente, abbia coin-
volto altre persone, come pur vero che ciascuno deve temere che
la sua incredulit possa rendere difficile, o addirittura impossibile,
ad altri il cammino della fede. La scintilla di una vita esemplare
scocca non necessariamente lungo i fili di una comunit religiosa
istituri;~ji;.;u.~- ;;;~cl;~ -f (ff1ii0r1 ar-grlc0rite5tOCllvfti" or-
ganizzata e cosciente. Paradossalmente si potrebbe anche parlare di
comunit religiose che non sono mai state istituite e che rimangono
del t~tto a!l_~~~-~ve n~~~-son_~!_att~a l~~igjne delle
proprie possibilit d_i_ fede __ ~ ~~en~i_ !!!_(!l_t_! comE!KOi di viaggio.
Necessario e urgente invece compendiare e garantire la spiritua-
lit originaria nel caso in cui ci si richiami proprio alle testimonianze
che da .essa s'irradiano per influire in modo sistematico e program-
matico sulla realt ecclesiale. Solo l'effettivo decorso che il movi-
mento conosce decider s~ ~i-~-~-~_a__ ru_\.Ul!!. !_Ilissione ecclesiale legata
ad un certO-tipo e--condizi~nata da una certa-PQCa,oioiiTnvece di
una vocazione che va oltre quel determinato periodo e consente co-
sl note_y~li possibi.!it di trad_!!Zio~_Ch_.No11_s~m~c:__ la stabilit istitu-
zionale e la capacit vit!ll~ h_~_ queste .C'nromit _dj,i;'O:StriiiQ.. potran-
no essere considerate come una necessit pneumatica e definitiva
nella _C_hi~a. Certi gruppi religiosi ormai conso1lidati dimostrano una
capacit di perseverare e di affermarsi che legata al fatto che esi-
stol}o_ smnaLga ~empo. Una vocazione e comunit ecclesiali non me-
ritano afiat_t_oJ~ ~~~ra 4i~istima. pe~_ch si SOD9. limiJ.!lJ:e_ad _a~~lvere
certi ~ompiti che in una determinit~a ~pQ_ca s'imponevano e poi si
sono Ql~;olte, spente. I sottogruppi che si formano all'interno della
Chiesa nongO<Onodi quella promessa di sussistenza che sta invece
TIPI DJ ESISTENZA BCCU!SIALB

a fondamento della Chiesa, presenza comunitaria e istituzionale del-


la grazia escatologica di Dio.

4. Modulazioni del rapporto con il mondo

La fede cristiana deve riconoscere, nella correlazione Dio-mondo,


la struttura..fu!t._damentale j_Q_cyi si anicola la realt. Ma questo rap-
porto non rimane avvolto. in un'astrattezza di tipo deistico. Esso
sperimenta infatti una concretezza storico-salvifica nell'attivit crea-
trice, redentrice e perfezionatrice di Dio in Ges Cristo: in lui Dio
si pone di.Jr.onte al mondo. e il mq~ fronte a Dio. La storia e
la stessa fede non possono pi rescindere e nemmeno superare la
concretaznme di questo rapporto_ stabilito~!..i!!_~s Cristo: non
possono rescinderla, ricadendo in una relazione astratta e astorica,
ma nQ!!_P~S9!10 nemmeno superarla, ann~do panteisticamente
fa dista~a che. ~~~a la c:;~atur~.-~al .f!~_!!gre. Questo rapporto ha
in Ges Cristo la sua origine e inizio noetici e attualizzanti, da cui
la Chiesa trae continuamente alimento per la propria testimonianza
ed efficacia. Ora essa stessa dovr riproporre la medesima correla-
zione e condp!}.@....al ..lw:t-Pieoo rompimento Stando a questo ..coardi
namento reciproco1 la Chiesa non ~sta di fronte _all'alt~va
O DiQ o n mondo, e quindi tale correlazione fa parte del conte-
nuto di fede, ~i"ziale e comune, di ogni singolo cristiano. Ci
non implica alcuna specifica connotazione, e tuttavia questa struttura
fondamentale e comune consente infinite modulazioni e accentua
zioni, anzi essa stessa che esige un superamento del puro essen-
zial ismo. 25

a. Condizionamenti storico-culturali
di un rapporto di fede con il mondo

Sarebbe tuttavia un semplificare troppo le cose ricondurre questa


opzione spirituale soltanto a dei motivi strettamente teologici; essa

2S Sull'unitariet e differenziazioni del rappono con il mondo, cf. H.U. v. B.n-


THASAR, 'Weltlichc Frommigkeit?', in: Spiritus Creator, Eiosiedeln 1967, 312-321
(trad. it. cit., nota 15).
CHIESA COME LUOGO D'ESISTEN'.l:A CRISTIANA

dipende infatti anche da condizioni storico-culturali e antropologi-


he insieme. Gi il rapporto umano in quanto tale aperto ad una
ricca possibilit di mutazioni storiche, ammessa la capacit che l'uo-
mo possiede di dilatarsi, sul piano teorico e pratico, neMa realt del
mondo. Da questo punto di vista fu proprio l'et moderna, e gli stru-
menti d_ella tecnica da essa elaborati, a consentir_Lgi estendere il no-
stro raggQ d'azione oltre la sfera (fell;";fciflanza immediata. Mentre
prima potevamo, a stento, tr~are le nostre condizioni di vita,
da ahlora in poi le stesse strutture in cui si articola il nostro esiste-
re concreto ci sono divenute accessibili e si sono_ rese pajbj)j dj tra-
sform~ione, sia n~f"campo delle scienze naturali come nell'area so-
ciale.
Ci si potr aHora delineare anche il mutamento verificatosi nel-
l'atteggiamento di fede che l'uomo assume nei confronti del mondo.
In un'epoca pre-tecnica una visione del mondo con gli occhi della
fede non era in grado--are5te!idere il raggio di un'attiva tras1rma-
zione e rimodellamento oltre le possibilit intelrettuali e pratiche
di cui l'uomo dispone;. questa dimensione re!Pesistenza di fede non
poteva emergere nemmeno. L'ampliamento straordinario di tali pos-
sibilit ha invece posto il credente di fronte a nuovi interrogativi e
compiti. Egli ora dovr reinterpretare e realizzare in modi nuovi la
correlazione Dio-mondo, il significato cosmico e umano dell'evento
di Cristo. Tanto alla chiesa che al singolo fedele ora vengono rivol-
ti nuovi imperativi, che non potevano ancora scaturire da una ac-
cettazione puramente di principio ed essenzialistica del mondo. Ri-
marr ancora compito della fede interpretare criticamente la dimen-
sione universalmente umana e motivare il proprio agire in base al-
1'ispirazione cristiana.

b. Valutazioni diverse del rapporto con il mondo

Il mutamento storico-culturale e le diverse sottolineature deUa di-


mensione mondana non predeterminano, comunque, l'opzione per-
sonale del singolo cristiano, quasi che yna_!endenza generale fosse
pure in grado. di 9efini~.!!JQ__ill.S.S.o_kain?.s personale ed esistemialie.
indubbio che la nuova visione del mondo e dei rapporti u~ni ha
condotto anche ad una valutazione pi positiva dell'attivit profa-
TIPI DI ESISTENZA J!CCLBSIALB

na, ora compre..!._ alla luce della creazione, dell'incarnazione, della


risurrezi<l11e e sovranit di Cristo..t e quindi -~~-~uten
tico agire cristiano, il quale non ~ssiede pi il valore puramente
estrinseco di un'attivit merito..rja. Si riusci quindi a superare e a
comporre quella nefasta dicotomia che si proponeva fra la vita reli-
gioso-domenicale del cristiano che ascolta la messa e la vita profa-
no-quotidiana del cristiano che vive nel mondo. Ma l'esperienza sem-
pre pi intensa che facciamo della secolarizzazione e }'intreccio sem-
pre pi COJlU?ii~o-delle attivit Che conduciamo ncimondo sftuano
questa integrazione sempre pi decisamente nella sfera invisibile d'ella
fede ~. rendono impossibile ~i sacralizzazione romantica e affret-
tata deH'agire mondano. quindi pensabile e realistico un atteggia-
mento limite secondo cui per lungo tempo, nella coscienza ed espe-
rienza dello stesso uomo di fede, ci che si tematizza e su cui si
accentra l'attenzione sia soltanto questo rapporto con il mondo, men-
tre il rapporto con Dio creatore e con il centro cristologico del
mondo rimane impli.cito e latente in una fede che non ha trovato
ancora la sua concreta espressione. Se vuol mantenere la propria
libert, . il cristiano deve dist~~o e
dal ruoprio operare; solo cosl potr, infatti, osservare questo suo
campo d'azione ~ome mondo e realt creata. E per mantenersi libe-
ro, egli deve disporre anche di certi tempi dedicati alla celebrazione
l!iturgica e ad un'esplicita riflessione di fede.
In questa riflessione assume un rilievo del tutto particolare an-
che il riferimento a Dio quale origine e compimento gel mondo, a
Cristo quale Signore che fin d'ora _esercita la propria __signoria e co-
stituisce .il fine escatologico del mondo intero. Ma questa realizza-
zione ed accentuazione, dal carattere pi contemplativo, dd rappor-
to Dio-mondo non possono essere paragonate, superficialmente, agli
schemi del passato, ormai definitivamente superati nel loro carat-
tere di passivit ed inattivit. Lo stil~c!!__yit~t ch~-~I!l..PQ...!! con-
siderava__ e spesso si assume~~--4:~!!\_c;...!!Q!l._n?~cie_Qj._gi_~li!n!+fa~~i
ritu~k_deLcontes~~g,.c;Q::Ql}tmale, oggi acquista, proprio a mo-
tivo del contrasto che in s racchiude, una nuova attual:it crjtj~.
Non da noi stessi, e meno ancora dalla 'Oostra-esperienza del mon-
do, ricaviamo la memoria di fede nel Dio creatore, la comprensione
del mondo come Qpfa--da -lui PtOCfotta; Sl'iratta- di una--crtezza
--~--~-~ .... ---.,.._
470 ctnESA COME LUOGO D'RSISTENZA CRISTIANA

sempre minacciata, che si deve continuamente recuperare di fronte


ad un mondo che si rende sempre pi autonomo e ad un uomo che
si rapporta con sempre maggior libert e indipendenza alla realt
in cui vive. Se questo rapporto con il mondo dev'essere osservato
e sperimentato come un servizio e compito che il cristiano chia-
mato ad assolvere, allora non ci si potr esimere dal testimoniare
il Signore, da cui questo mandato proviene ed al quale questo ser-
vizio si deve prestare. E bisogna anche ammettere che la signoria
di Cristo__~?.n. _pr~~e~t_a__ ~!!_~tQ.J~evidenza__ di _!cl..!L!?!:.~~turale
od evolutivo, ma , come l'evento dell'incarnazione, deHa morte e
risurrezione che la fondano, una testimonianza di fede. Il servizio
di fede nel mondo mira. alla certificazione di una realt che di per
se st~~-;-~~~-- i~ ~~;d~-
- di
-~ffrlr~-ila-- simiie-- restinloniama. Non
rneno_i_~E?r~a~---~!s'?g~~r~__ ?_s.flj~~!.t: .-.~~-- ~Q!!__lqqe_.~~i!!~--.~ Dio
per la sua trascendenza creatrice ed escatok>gica, a quel servizio Che,
con la nostra vocazione, rendiamo a Cristo, Signore del cosmo e
della storia. :E. praticamente impossibile realizzare contemporanea-
mente, nell'esistenza individuale di fede, entrambe le componenti,
ma all'interno delht Chiesa questi due tipi di testimonianza sono ne-
cessariamente tra loro legati.26

c. L'actio che trasforma e la passio che rinuncia

L'inatteso ampliamento delle possibilit umane di trasformare e ri


modellare la realt dd mondo ha intensificato notevolme~~-anchc
la n<>.~~~_a- ~~~ienza_e~ esp_t:~ic:_nz~ de_! li~ti. Ci si resi pi modesti,
pi disin_~a.n_!~!i ~...Pi~. -~~E~i _~1_1ch~_ft~t!. _ero.J?!iC:: _c~nze, bench
tali acquisizioni non giustifichino affatto il fariseismo di colui che
guarda con piacere il dileguarsi di queH'ottimismo che finora si era
dimostrato nei confronti del mondo. In ogni caso l'atteggiamento
che l'uomo assume nei confronti dell'ambiente e delle strutture so-
ciali in ~i ~i~e caratterizzato d;iia~titesi dialetti~~- ~~ccesso-falL

2o1 Per la teologia degli ordini religiosi e relativo significato ccclesiologico, cf.
1.F. G<iRRES, 'Vcrsiegcnde Brunnen. Ein Selhstgespriich iiber Monch und Laic', in:
Caritas 44 (1966) 252-274 e 293-3or; S. REGLI, Das Ordensleben als Zeichen in
der Kirche der Gegenwart, Freiburg/Schw. 1970; Fr. WuLF, 'Um den Standort <ler
Orden in Kirchc und Welt', in: GuL 36 (1963) 302-306.
TIPI DI ESISTENZA ECCLBSIALB 471

limento, superiorit-inferiorit. Da questo stesso terreno scaturisco-


no nuove possibilit, ma si profilano anche dei limiti, per quanto
meno ravvicinati che in passato. Ora l'uomo sperimenta in s e
per s il j!O~~i:aj~.!!!.b!l,1~.1!.~V..'..intelligenza e attivit umane, ed
allo st~~;~ tempo anche la propria conting~~;;-~. futltezz. Per indi-
viduare l'e~~~~-~izione di queste forze non sufficiente l'in-
dagine teorica, ma indi~pens'"ilbile- i'sprieiiZa- 'Personale-, iica e
irripetibile ... Q~e~~~ .~!~stCI!Zial!L~. imkdu.il>il~ ~- ..PE.~~-t~ -~intero
contesto dell'esperienza umana, ma assume una ricca variet di for-
me sopr!iiE.110__-gu~a9~-Si-1aSci~:~~ar~- (faJr~-Jecf~~-~~~~~~~!~tto
il centro cristologico di questo rapporto con il mondo che ci per-
mette di valutare l'ampio arco di tensione. E questo punto di con-
vergenza, ~_f~rza~_i!t2!_!~a del qual~-~-~~~!iani assolvono il pro-
prio compito nel mondo, non un centro astratto, bensl la persona
storica e quell'avvenimento che riassume in s l'antitesi morte-ri-
surrezione di Cristo. Non possibile determinare a priori il profilo
che assu~~r~ !Li:.~p~;.to_ :on il mondo di .~. ~~~s,~i_!~? -~~~serva
la rea1't creata alla luce deCC::riSio.crOdlisso e risuscitato. Come la
sovranit di Cristo-non - i:lCfucibilead" uncomline denominatore
(sottomissione o spiritualizzazione del mondo da una parte, presen-
za sofferta delle forze distruttrici e mal'Vagie dall'altra), cosl non ci
potremo nemm~o ~tt~'i.~~e ~~-~ep~t~--"~~Jut_a.~J.t:..lE.liv~o del
cristianq__o11_ il_~ndo. Accanto aU'attivo inserimento in un mondo
redento, troviamo ancheJU~!imoni_.@ia ~L!!!l_a_ s9~:r.~nz~ che spe-
rimenta il falli0_1~n ~- ~....!~ ..~~~r~i~-.11.~l!~- s.P_e,~~-~a.J.. io_J'atleggiamen-
to di colui che non vuol produrre con le proprie forze il nuovo
mondo, n rnir.!l_ al_ su.c;~~o.. _ma_sLtiro_~t_t~ _in_!ernm~me .!t 1->.ici.. da}
quale anche il !Q<:i~~JQ a~!e~e il proprio futuro, senza poterlo chia-
ramente prevedere o attivamente anticipare.17

5. Attualit e permanenza dei tipi di fede

L'esperienza, la percezione irriflessa della storicit precede di molto


la sua attuazione e relativa coscienza, e questo soprattutto nell'am-

rr Cf. K. RAHNEll, 'Zur Theologie der Entsagung', in: Schri/ten m, 61-72.


472 CHIESA COME LUOGO D'ESISTENZA CRISTIANA

bito d'esistenza deLla Chiesa e del singolo cristiano. Il rapporto con


i diversi kair6i ecclesiali o profani e l'orkntamento verso una de-
terminata situazione od esigenza della Chiesa e della societ umana,
gi di per se stessi provocarono dei mutamenti e infusero una vi-
talit nuova nei modi di articolare i diversi tipi di fede. Ma il cri-
stiano singolo e la stessa comunit ecclesiale di fede dovrebbero
dimostrarsi interiormente pi aperti e liiberi al cambiamento, cio
dovrebbero riconoscere ed accettare espressamente e positivamente
la storicit come elemento esistenziale della fede e della singola in-
dividualit credente, e non accettare in modo soltanto irriflesso que-
sta trasformazione, o addirittura sottrarvisi. L'insufficienza di una
santit cristiana e di una testimonianza di fede ecclesiale meramen-
te essenzialistiche viene alla luce proprio dalla coordinata della sto-
ricit. t tutt'altro che sufficiente la fedelt al comune canone di vi-
ta cristiana, n ci si pu limitare all'annuncio delle fondamentali
verit di fede, all'amministrazione e recezione dei sacramenti, al
mantenimento delle strutture esistenti di vita ecclesiale. Questa so-
vratemporalit e contemporaneit apparenti non sarebbero che una
pura illusione, di cui ci si serve per rendere stabile una forma di
fede e di vita del passato, anch'essa ormai storicizzata e quindi con-
dizionata dagli eventi della storia. Ma soprattutto l:a fede e la Chie-
sa non dovrebbero mai accettare passivamente le diverse situazioni
che si parano loro dinanzi, -perch in tal modo diventerebbero inca-
paci d'intravedere i segni dei tempi, si precluderebbero la stessa e
profonda possibilit della fede e dello Spirito, la capacit quindi di
articolarsi in modi nuovi (richiesti da questa necessit), di rendere
nuovamente percepibile e sperimentabile la fecondit dello Spirito.
Un tipo di fede che si proponga valido per tutti i tempi e un ideale
di santit sovratemporale corrono il rischio di non rendersi con-
temporanei a nessun luogo ed a nessun tempo.
Dato il carattere innovatore e provvisorio della spiritualit e vo-
cazioni ecclesiali, alle diverse persone e comunit ecclesiali che le
vivono si offrono possibilit sempre nuove, ma anche sempre nuovi
rischi. Non necessariamente un nuovo tipo di comprensione e di
vita di fede dovr venir recepito e compreso dai contemporanei che
vivono sia all'interno che all'esterno della Chiesa. Forme di santit
che oggi suonano del tutto ovvie, nel periodo in cui vennero pro-
TIPI DI ESISTENZA ECCLESIALE
473

poste non erano affatto considerate tali. Che il vangelo possa es-
sere vissuto secondo lo stile di un Francesco, mvita religiosa secon-
do lo stile della Compagnia di Ges, la vita contemplativa secondo
quello di Charles de Foucauld, apparir convincente soltanto dopo
che questa testimonianza si effettivamente realizzata. Prima di ve-
nir concretata, essa rappresenta invece, sia per n singolo come an-
che per la Chiesa di cui egli fa parte, un rischio di cui non si co-
noscono le proporzioni e che n il singolo fedele come nemmeno la
Chiesa istituzionale sono senz'altro disposti a correre. L'elemento
nuovo qui sta nella sottolineatura di una istanza evangelica, e re-
lativa strutturazione di un certo rapporto ecclesiale, o in un impe-
gno critico che la societ contemporanea sollecita. E non affatto
facile accettare questa attenzione profetica, soprattutto perch ci
implica quasi inevitabilmente il riconoscimento di un disinteresse
ed omissione colpevoli. Si pensi ad esempio alla battaglia per l'abo-
bizione della schiavit od all'impegno politico per l'indipendenza de-
gli <Stati coloniali; due atteggiamenti che sempre, nei territori di
missione, hanno dovuto cozzare contro una fitta rete d'interessi po-
litici, economici e sociali, da cui non si voleva s-pontaneamente uscire
e che non si era disposti a fronteggiare in modo critico e conflittua-
le. Non si potr certo sostenere che la Chiesa cattolica, che pur van-
ta una notevole tradizione di fede ed esemplari figure di santi, ma
che anche impacciata dal suo apparato istituzionale, si sia dimo-
strata particoliarmente aperta a quelle persone carismatiche che an-
nunciavano un nuovo momento nella vita della fede e deHa Chiesa.
Prima di accordare fiducia, o d'infondere coraggio, a questi testimo-
ni profetici della fede e acuti interpreti del momento storico, essa
volle sincerarsi della compatibilit fra questi atteggiamenti e le pre-
cedenti forme di fede e di santit: pretesa che non poteva venir sod-
disfatta prima che l'esperimento si fosse realizzato, e con successo.
In una Chiesa che voglia essere contemporanea al mondo in cui vive,
si dovrebbe presumere l'autenticit spirituale a simili iniziative.
Ma questi nuovi tipi di fede e di vita, che quando sorgono incon-
trano una certa resistenza soprattutto nella Chiesa istituzionale, ri-
mangono pur sempre esposti al rischio di dimenticare il momento
storico in cui sono nati. I singoli cristiani devono riconoscere, oltre
il momento in cui la loro testimonianza prese origine, anche la pre-
CHI.BSA COMB LUOGO D'ESISTENZA. CltlSTIANA
474

senza o meno cli quella situazione che l'ha resa possibile. Come esi-
ste il pericolo di arrivare in ritardo sul kair6s, sulla situazione che
Chiesa e societ stanno vivendo, cosi c' i~ rischio di proseguire sul-
la propria strada disattendendo le sollecitazioni del momento. I mo-
vimenti profetici e le singole persone che rendono questa testimo-
nianza profetica sono sempre tentati di smentirsi: se all'inizio de-
vono combattere contro la sfiducia e inerzia dei loro contemporanei,
dopo un certo periodo non riescono pi a seguire il corso degli even
ti e si isolano in un rigido conservatorismo. Gli ultimi vent'anni
della Chiesa catt'Olica, periodo preconcilare e postconciliare cosi ric-
co di fermenti, ci offrono esempi che non possiamo non qualificare
come tragici. Ma esperienze analoghe sono rilevabili anche nella sto-
ria. Le misure che la Chiesa adott nei confronti delle eresie e delle
scelte arbitrarie dei fanatici erano in parte giustificate; miravano in-
fatti a rafforzare il ministero ecclesiastico contro ogni forma di stru-
mentalizzazione dei doni dello Spirito. Non furono giustificate in se-
guito, quando le si affermarono come legge permanente della Chie-
sa. Anche la storia degli istituti religiosi conosce delle scelte che al-
l'inizio dimostravano una notevole attenzione e disponibilit nell'av-
vertire certe esigenze del momento, come ad esempio il riscatto dei
crociati caduti in mano al nemico, la difesa dei poveri contro gli
usurai, ma che in seguito si stabilizzarono su delle posizioni che non
rispecchiavano pi l'ideale originario, o perch progressivamente lo
smarrirono o perch ne scelsero uno addirittura opposto.
Se dono dello Spirito riconoscere il kair6s cli una nuova realiz-
zazione dell'esistenza cristiana e dell'agire ecclesiale, sar pure dono
dello Spirito capire che il momento storico ormai trascorso, rinun-
ciare all'attivit cui in precedenza ci si era dedicati e interrogarsi
nuovamente sui voleri di Dio. I pericoli provengono, comunque, da
diverse direzioni: all'inizio pi dalla chiesa sperimentata,. che dai
testimoni dell'ultima ora, in seguito invece pi da questi ultimi. Una
riflessione critica ed una analisi delle nuove situazioni s'impongono
quindi sia all'una che agli altri. In definitiva, una testimonianza che
voglia ri~ndere alle istanze in cui viene prodotta pu scaturire
soltanto dal comune ascolto e ricerca, mai da un monologo.
TIPI DI ESISTENZA ECCI.l!SlALI!
475

6. Casi limite e superamenti del limite

Pi volte abbiamo situato l'opzione individuale di fede, da parte del


cristiano singolo e di un gruppo, nel contesto di una correlazione
polare. La fede cristiana presenta sempre questa struttura fondata
sul rapporto esistente fra Dio e il mondo, fra le diverse impostazio-
ni della piet cristiana e dehl.a sequela di Cristo, le singole funzioni
ecclesiali nel corpo di Cristo, le opposte determinazioni temporali
della storia della salvezza, ecc. Ma si mirava sempre a superare que-
sta comunanza di fondo per cogliere i singoli centri di gravit e sce!~
te, per scoprire e realizzare l'esistenza cristiana nel suo carattere ir-
ripetibile. Tuttavia, non possibile determinare a priori, entro que-
sto arco di tensione, le singole possibilit; riusciremo a individuarle
soltanto se ci manterremo attenti alle soltledtazioni del tempo ed
eserciteremo la nostra fantasia spirituale, del tutto spontanea. Ma
non neanche facile misurare l'intero arco di tali possibilit e fissa-
re dei limiti chiari, invalicabili. Per quanto concerne la Chiesa, que-
sta difficoln: oggi non sorge soltanto nell'ambito della dottrina, dove
il pluralismo dei metodi e la variet dei linguaggi rendono molto pi
problematica che in passato una uniformit di linguaggio.. Vale an-
che, ed ancor pi, nella sfera della vita, dove nessuna regolamenta-
zione potr anticipare e incanalare i progetti e le attuazioni del fu-
turo.

a. Unilateralit legittima e unilateralit illegittima

Bisogna riconoscere che la fede vissuta dal singolo cristiano presenta


delle unilateralit senz'akro maggiori di quelle che riscontriamo nel-
la tradizione del magistero e in una teologia legata ad una certa epo-
ca. Il singolo fedele non riuscir mai a rendersi riflessi e a tradurre
nella realt tutti gli aspetti della fede, tutte le forme, ad esempio
della piet cristiana, tutti i compiti della Chiesa e tutte le dimensio-
ni della storia di salvezza. Secondo la teologia scientifica, un simile
parallelogramma di forze sar forse esigito dalla stessa memoria
ecclesiale; tuttavia esso non fornir mai il vettore dell'esistenza
vissuta di fede. Un tale equilibrio armonico priverebbe la fede di
CHIESA COME LUOGO D'ESISTENZA CJUSTIANA

ogni accentuazione e dinamismo storico. 11 parallelogramma perso-


nale pu quindi sottolineare i singolii vettori, trascurandone degli
altri, al ti.ne di porre in evidenza almeno la propria opzione e l'istan-
za che emerge da certe situazioni del momento. Unilateralit legitti-
ma qui non significa altro che unilateralit necessaria e realtlstica,
unilateralit consentita. Qui il singolo fedele cerca il proprio stile
di vita cristiana, opera la sua scelta sfruttando la ricchezza del patri-
monio della tradizione e la fecondit delle origini, si sforza di per-
cepire e d'interpretare la sollecitazione del momento storico nella si-
tuazione ecclesiale e sociale in cui vive, accetta in definitiva quell'e-
sperienza spirituale che gli viene offerta dallo Spirito.
Perch questa unilateralit sia legittima si richiede che il cristiano
avverta, con maggiore o minor chiarezza, la fede nella sua struttura
e totalit, e che ad essa si mantenga aperto. Egli comprender La pro-
pria opzione come una scelta fra diverse possibilit e se stesso come
un essere aperto ad un intero che non potr mai assumere e con il
quale non pott mai identificarsi. Questa apertura non rimane sul
piano puramente teorico, su quello cio della conoscenza della tra-
dizione di fede e dei compiti che la Chiesa chiamata ad assolivere,
ma si traduce anche sul piano pratico, dove il singolo cristiano rico-
nosce ai confratelli di fede la stessa libert e si apre allo scambio ed
al dialogo, mostrandosi disponibile sia a dare che a ricevere.
Ilregittima sarebbe invece quella spiritualit esistenziale che ri-
fiutasse una comunicazione con il tutto essenziale e coi carismi e doni
che lo Spirito ha conferito direttamente anche ad altri. Il fatto che
l'analogia fra etica essenziale ed etica esistenziale e di situazione non
possa ~-sg.re applicata,, sotto ogni aspetto, alle spir~ttiiilit e stili di
vita spontanei, non esclude che certi casi ci autorizzino ad affermar-
la. Ma bisogner andar cauti nel supporre simili sconfinamenti: Del
resto si osserva che anche un'etk~_teologic:a v~~fl: al. diJ~Td.ella
not~~ ( praeter legem) non significa immediatamente un'etica vis-
suta c~;tro la...norma (;'ontra legem ). Non esistono criteri rigidi per
discernere gli -;piriti. Criterfo Importante qui la disponibilit fon-
damentale che i singoli fedeli dimostrano al dialogo con la comunit
in cui vivono e con il passato, l'apertura, ad un futuro di cui non
TIPI DI ESISTENZA ECCLJ!SIALE 477

possono &~porre e che pur l'interpella. Solo la mancanza di questa


apertura ci autorizzerebbe a nutrire serie riserve.28

b. Esempi di unilateralit esistentiva

Cerchiamo ora di delineate i diversi pericoli di unilateralit che gli


spettri, fin qui analizzati, celano. Si cerchi, tuttavia, di sospendere
ogni giudizio e valutazione previa sulla condotta di un cristiano che sta
conducendo un'esperienza limite di Dio nell'alveo di una vocazione spi-
rituale e in solidariet con la Chiesa.
Come si osserva nella mistica, l'esperienza di Dio u lacerate er cosl
dire, i veli c e a_yyo gono a t terrena e mtrodurre in un tal chia-
rore che minaccia di annulLire le C::ondizioni che accompagnano il nostro
vivere nel mondo. Questa anticipazione di un'esperienza diretta di Dio
pu_- ma non necessariamente deve - essere frutto della nostra im-
pazienza di -spermentare. la _g!oria, di varcare la soglia e i cOiiiiiii di
una vita vissuta nell'oscurit. - Ma anche la fede in Dio pu rima-
nere avvolta nell'oscurit della lontananza di Dio, essere vissuta in una
esperienza del mondo cosi radicale e in una solidariet con il destino
della miscredenza ateistica cosl pronunciata da rendere piuttosto difficile
una distinzione tra fede e incredulit. Non si pu semplicemente scom-
porre l!!.JWicit dell'esperie.!lza di Dio _Q__!llla ~!Il ponente ogget~a e
in una sog~ttiv_a; es~_E_?n ~-~ltant~- dal punto di vista soggettivo -
storia colpevole della cecit dell'uomo nei confronti della realt divina, e
nemmeno - dal punto di vista oggettivo - soltanto una condizione
voluta da Qi9, __mct in~~!_.!!_ascond~....!L..ii~sta.
La piet incentrata sulla persona di Cristo e sulla sua sequela ci presen-
ta nel cors~. ~~l,la_goria della Chiesa, come osserviamo anche nell'icono-
grafia, dei tratti fra loro estremamenre-dTver51:Cf11'mbino...del presepe
all'uom_o__ dci dolo_ri_ilcui non c' pi alcuna bellezza, fino al Signore
risorto nella gloria della Pasqua o del suo ritorno. La fede ha tutto il
diritto .9!Ji1i~ate il Proprio Siuatdo sW volto C_~risp~nde ei__c!!_ogni
altro alle -~is!._n_~~~e essa sente. Una simile opzione diventa proble-
matica solo quando isola e separa la situazione cristologica singola dal-
l'intero contesto storico in cui Ges ha percorso il proprio cammino.
Una simile scissione ---quella che-sropera~-a:a~esempID,Traroce e ri-
surrezione, morte e vita di Cristo, quando ci si identifica cosi radical-
mente con il Crocifisso abbandonato da precludersi ogni accesso al nuovo
ia Cf. H.U. v. BALTHASAR, 'Das Evangelium als Norm und Kritik aller Spiri-
tualitlit in der Kirche', in: Spiritur Creator, Einsiedeln r967, 247-263 (trad. it. cit.,
nota 15); K. RAHNER, Der Glaube der Christen und die Lchre der Kirche, in:
Schriften x, 262-285.
CHIESA COMB LUOGO D'ESISTENZA CRISTIANA

futuro del Dio che lo risuscita; od anche quando si anticipa la propria


risurrezione in modo cosi entusiastico da rendere, almeno in apparenza,
la croce un episodio del passato, sia a livello di professione di fede in
Cristo che della propria esperienza di fede.
Il pi delle volte le unilateralit oggettive della piet incentrata sulla
persona di Cristo si tradussero soprattutto in forme esistentivo-sogget-
tive dell'esperienza storico-salvifica. Se gi nel NT l'escatologia giovan-
nea del resente sfociava quasi in una resenza astorica dell'eschaton,
non si potr rimproverare ede di non aver sempre mantenuto e
rettamente compreso, nel corso della storia, la tensione del gi, ma
non ancora. La stessa autocomprensione della Chiesa nel suo insieme
si _scissa, per l'antitesi provocata dalla Riforma, in due impostazioni
ecclesiologiche; quella di una Chiesa barocca che contemela la gloria del
Signor;-;-quella di una Chiesa dell crOC--CG~--12one se stessa in gue-
stione. Ma ancora una volta non possiamo decidere dall'esterno se sia
stata la mancanza di fede a non permetterci di accogliere il kair6s di Dio,
o se non sia stato, invece il singolo teaCie a vrvere nella propria per-
sona e ad estendere poi alla Oiiesa intera l'esperienza della tentazione
o l'esperienza della certezza salvifica.
Infine bis.Q8!!..~bbe registrare un notevole spostamento verificatosi nella
Chiesa dei nosufarmT: .. dalf'nte5a-ecumenica sulla gratuit della salvez.
za si giunse poi anche ad un accordo sulla normativit etica della fede.
Il dialogo ecumenico permise alla piet cristiana di accogliere il messag
gio della giustificazione pc:r sola grazia . e la costrinse a distanziarsi da
una piet incentra,ta sulle opere e da un'etica basata slIC'Prstazioni;
la teologia e piet protestanti riconobbero il pericolo dJLl grazia a buon
mercato e cercarono di assumere un nuovo atteggiamento, ora ispirato
alla normativit della fede. Ci che oggi caratterizza il dialogo e lo stile
di fede dei cristiani delle diverse confessioni soprattutto l'aspetto so-
cio-critico ed etico-sociale della fede. Se in passato sembrava che la let-
tera ai Romani, malcompresa od interpretata in modo del tutto unila-
terale, dispensasse da qualsiasi sforzo di carattere etico; ora la lettera di
Giacomo, cosl ortopratica, non la si bolla pi come epistola di pa-
glia, ma inaspettatamente la si apprezza anche per certi valori che pur
contiene. Nello stesso tempo, per, sono emerse anche altre unilateralit:
il ricupero della normativit etica, legittimo perch imposto dalle nuove
circostanze storiche, dovr essere forse sottolineato :6.no a tal punto da
costringerci ad abbandonare il messaggio paolino della sola gratis e
dell'impossibilit di una giustificazione per mezzo delle opere? - La
risposta ci verr data dagli approcci e dalle integrazioni possibili nei
prossimi anni.
TrPI DI ESISTENZA ECCLESIALE 479

c. Confini fluidi

Qual il momento in cui l'esperienza del limite sfocia nel superamen-


to del limite stesso? A questo interrogativo potr rispondere soltan-
to una Chiesa, od un qualche suo membro, che conosca in modo as-
solutamente chiaro la linea di demarcazione, e questo significherebbe
loa nostra capacit di anticipare, in questo tempo e in questa storia,
il giudizio che Dio profferisce sulla persona umana, pur avvolta nei
suoi misteri. Ma nessuno ha il diritto di rivendicare una simile pos-
sibilit per la Chiesa che si trova nella condizione di pellegrinaggio e
quindi nell'impossibibi.t di giudicare. Allora non sar nemmeno pos-
sibile determinare con assoluta sicurezza la linea di demarcazione che
ogni singolo fedele o comunit ecclesiale devono rispettare, e neppu-
re la loro collocazione nei diversi momenti dell proprio esistere. La
stessa sospensione del giudizio sugli al'tri, di cui si parla ad esempio
in I Cor. 4,1-5, vale quindi per tutti coloro che vivono nella Chiesa,
per il fratello nei confronti del confratello e per lo stesso mini-stero
ecclesiastico.
Una teoria essenzialistica rende ancora poss-ibile un simile giudi-
zio, perch ci-_e=-::q!:u:.:.i..::s:.:.i..i:gic'u::;d::::i=ca=-.:so;:n:;:o:..-=.le~p:.:::aro=l""e-'e~glic::::':.-:a::.::t""te""g..1n~e.m--:enti
e~_!"iori. Ma ai nostri giorni la problematica ermeneutica e il' plura-
lismo esist~te nell'unica e medesima Ollesa e teol~ ci hanno resi
pi ~ttici in questo camao. Un linguaggio di fede cosl astratto e
valutazioni etiche cool disincarnate risultano awlsi dal loro reale con-
testo: la fede fede soltanto in qu~!O vissuta e realizzata nella sua
decisjone; l'etho~ tale s.Qltanto nel contesto della ~sona concreta
e dei s_oi rapporti individuali e sociali. Dobbiamo presumere che
questi individui, continuamente oltre il limite, possiedano una capa-
cit d'integrazione esistenziale ben superiore a quella che essi stessi
conoscono o manifestano. Ci di cui loro non parlano, e che non si
traduce in riflessioni o in parole, pu sgorgare dalla fede stessa del
loro cuore.
Oggi bisogna attendersi dalla Chiesa e dai singoli cristiani una
grande tolleranza, una disponibilit a riconoscere il pi a lungo pos-
sibile anche le persone che stanno conducendo deJ!le esperienze limite
come fratelli e non privarle troppo affrettatamente della comunione
di fede ed ecclesiale. La longanimit non dev'essere una virt che sol'-
CHIESA COMI! LUOGO D'ESISTENZA CRISTIANA

tanto cristiani che fanno certe esperienze devono praticare; essa s'im-
pone alla Chiesa stessa, che forse proprio su questa via sar arricchita
di nuove possibilit e che solo in tal modo conserver nel proprio se-
no le persone carismatiche, che la riannodano alle origini e l'aprono
a nuovi orizzonti.

Conclusione: lndividuum ineffabile

La difficolt gi accennata di demarcare chiaramente i limiti dell'e-


sperienza porta alla luce ci che vale anche per l'intero spettro
della tipologia di fede e dei carismi nella Chiesa: 1'a singola indivi-
dualit di fede raggiungibile soltanto per approssimazioni e delimi-
tazioni che, fondandosi sul patrimonio comune ed essenziale, distin-
guono le diverse accentuazioni, opzioni e tendenze, e cosl. tentano di
determinare la sua individualit. Ma l'individualit come tale non
pu essere clta da una riflessione di tipo teoretico: questa deve ac-
contentarsi - per usare un concetto filosofico - dell'individuum
vagum. L'individuo stesso risulta ineffabile, inesprimibile, non
pu essere teorizzato n ridotto a concetto alcuno, necessariamente
universale.
Nella teologia e neH'ecclesiologia questa difficolt ancor mag-
giore, in quanto non solo non siamo in grado di individuare chiara-
mente i diversi fattori intramondani e umani, ma anche perch questa
impossibilit di esprimere e di designare ha la sua ragione in un mi-
stero trascendente ed allo stesso tempo ancora immanente, che avvol-
ge la stessa esistenza. gi difficile riassumere ad un livello puramen-
te essen~iale il comune patrimonio di fede ed allo stesso tempo gra-
duarlo secondo una gerarchia di verit. Ma un'ulteriore difficolt sta
nel fatto che ogni singolo tema di comune professione di fede a sua
volta passibile di infinite variazioni, come abbiamo gi osservato quan-
do si rifletteva sull'esperienza di Dio, sul ~air6_s storicg-salvifco, sul
rapporto con il mondo, ecc. Ma soprattutto la stessa individualit
del cred~ che ;~rae alla ~riziQru:. a mQtiyo deJla ~ origine
umana e dell~-~ua sitl;!azione storica, l,!ei suoi rapporti con gli altri uo-
mini e nelle forze recondite del suo cuore. n fedele ineffabile, non
TIPI DI ESISTENZA ECCLESIALE

riesce a darsi un nome, e non soltanto di fronte agli altri ma nemme-


no di fronte a se stesso.
Non ci si ~tu_.eir, quindi, se questo abbozzo teologico dei ,eossibili
tipi di fed:.,__ delle possibili individuazioni dell'esistem;a cristiana ed ec-
clesiale, risulta incompleto ed alquanto approssimativo. La ;ariet di
queste connotazio : n essere determinata a priori, ma
nemmeno a pQsteriori, date le diverse modulazioni e assume la vita
cristiana nella storia e nel nostro stesso presente; anche pQst factum la
connotazione singola rimane avvolta nel mistero. Quale mistero? In
ultima analisi, ci che il credcpte esperimenta su se stesso non sol-
tanto una verit teoretica bern la stessa anonimia di Dio. Per il ra.i>-
porto immediato che si stabilisce fra l'autocomunicazione benevola di
Dio e l'autotrascendenza dell'uomo, il mistero del Dio innominabile
diventa una determinazione della stessa esistenza di fede, che condu-
ce H cristiano nella sfera del Dio che non pu essere conosciuto n
denominato. E _earimenti nessuno in grado di stabilire in che ,modo
la person~ che gli sta accanto ha ascoltato l'appello di Crstp e sotto
quale nome si sia posta alla sua sequela. I racconti sinottici accompa-
gnano le singole chiamate di Ges con !'-imposizione de1' nuovo nome,
ed esprimq_.oo ~un tratto che.._ in definitiva, ritroviamo presente
in ogni V9Cazione. Nemmeno coluj die chiamato e che si pone alla
sequela di Cristo conosce ancora, in questo momento storico, il pro-
prio noni~t maI sempre alla ricerca di apprenderlo e di realizzarlo. Ed
anche la teologia, gi quella del NT, ha sempre ricondotto la variet
dei doni di grazia, delle diverse connotazioni di fede e di stili di vita,
dei servizi svolti nella Chiesa e n~l mondo, allii libert dello Spirito,
che accorda la sua grazia a ciascuno secondo modi che soltanto Iur co-
nosce. La variet dei tipi di fede, che riscontriamo nella storia e nel
nostro presente, sta dunque a testimonfare la fecondit di questo Spi-
rito di Cristo che arricchisce la Chiesa di progetti e di attuazioni d'esi-
stenza cristiana sempre nuovi, anche se la Chiesa spesso non vorrebbe
riconoscere come doni il turbamento e la provocazione, il superamen-
to dei limiti e la deviazione dalla norma. Ed proprio questo n terre-
no sul quale la Chiesa dimostrer se effettivamente vive di quello Spi-
rito cui pur si appella.
L'esistenza di fede vissuta dal singolo e daUa Chiesa intera quin-
di inserita nel mistero del Dio trinitario. Trinitaria certamente an-
BIBLIOGRAFIA.

che la struttura interna della Chiesa, in cui la variet dei doni trova il
suo legame nell'unit visibile della professione di fede, della comunio-
ne fraterna e della testimonianza credibile resa al cospetto del mondo.
Ma la Chiesa non dovrebbe strumentalizzare la Trinit divina, impri-
gionandola entro gli angusti Hmiti delle proprie esperienze; dovreb-
be piuttosto lasciarsi da essa modulare in una pi ricca variet di
forme, inserire nel mistero incondizionabile del singolo e della sua
comunione.

DIETRICH WIEDERKEHR

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SEZIONE TERZA

TEOLOGIA DEL LAICATO

I. Impostazione del problema

a. Prima del Concilio

Nel 1957 A. Sustar poteva osservare che la posizione che il laico oc-
cupa nella Chiesa ~ oggi una delle questioni pi dibattute~unto
di Vista StOICO-teo}ogiCO, giuridiCO-paStOraJe-O-asretiro:-erati;2~~ I a
quel tempo infiUtiST dispon~iSitantodi. alcuni .rr;TT~vori signi.fi.
cativi dedicati al problema del laicato.2 Ma nel giro di pochi anni ven
ne pubblicata un'intera serie di contributi, pi o meno ampi, che da
diverse prospettive prendevano posizione sul tema.3
Questo interesse per il laico nella Chiesa, sempre pi vivo dopo
la seconda guerra mondiale, pu essere ricondotto a motivazioni di-
verse. La difhW~ell'Azione Cattolica, l'incapacit che di fat-
to iLcle!_o dimostrava nell'assolvere i propri compiti, la riflessio
ne condott~ - ;~e s~crdozio crer-reaen,
lattivo inserimento dei
laici nella celebrazione liturgica, promosso dal movimento li-
turgico: tutti questi motlvl condussero ad un approfondimento
teorico e pratico della figura de} laico. Ma l'influenza pi decisiva
1 A. SusTAR, 'Der Laie in der Kirche', in: FThh, 519.
2 Qui ricord}8.!II<;'_ ~lt~tE J~.Jmrul.tl!!!ti: Y. CoNGAR, ]alons pour une tholo-
gie du lalcat, Paris 1952 (trad. it. Per una teologia del laicato, Morcelliana, Bre-
scia); G . .PlnLJPS, Le role du laicat dans l'Eglise, Tournai 1954; K. RAHNEll, ''Ober
das Leien;p0stolat', in: Schri/ten %Ur Theologie II, Einsiedeln x955, ~375 (trad.
it. 'L'apostolato dei laici', in: Saggi rulla Chiesa, Ed. Paoline, Roma); 213-26';
F.X. ARNOLD, Kirche und Laientum, Tiibingen 1954; pubblicato anche su ThQ 134
(1954)2b3:i89; d. Hochland 46 (1954) 401-4u, 524-533; ID., 'Die Stellung der La-
ie in der Kirche', in: Una Sancta 9 (1954) 8-25; H.U. v. BALTIIASAR, Der I.aie
und die Kirche. Viele Amter, ein Geist, Einsiedeln 1954, 13-30; O. SEMMELRCYI'H
- L. HoFMANN, Der Laie in der Kirche. Seine Sendung, seine Rechte, Trier 19,5.
3 E. ScH~LLEBEECKX, 'Die typologische Definition des chtist!ichen Laie nach dem
Zweiten Vatiknlscfiil Konzil', in: Gott Kirche - Welt = Gesammelte Schriften
II, Mainz 1970.
'l'P.OLOGIA J>l'.L LAICATO

venne esercitata dalla nuova coscienza ecclesiale, plasmata dalla My-


stici Corporis Christi. L'ecclesiologia del passato, quella gerarchico-
cleric@l~.-g~!!!I_ P~~ ...PE?_~_oto, aveva ormai ceduto il posto ad un
modo di riflettere ntegrafe sulla Chiesa.4
Accant~--;ll~g-~~~rchia ora-ahbi-;u:D() fipopolo, accanto al ministero
1'a vita, accanto all'istituto di salvezza la comunione salvifica.5 Il laico
viene considerato membro in senso pieno del corpo mistico, corre-
sponsabile dell'unica grazia. 6
Egli ha quindi, nella Chiesa, il diritto di ricevere dal clero dei
~@_spif_i!_u~.li~/ -~-~!1.sh~__ !L4<?"Y~!..C: di_gll~J!l~..!_t_!~~ nd-
1a missione della Chiesa. In quanto non persona consacrata, egli
non- part~ipaarscerifooio gerarchico ed al potere _gc:!:~~co di giu-
risdizione.8 Tutt~;Ia. illla sua cooperaziC>ie -possibile. Qui non si ve-
de -in base a qu;u--~~iterist-possa stabilile--;;-il }aico partecipi alla
missione_4c:lla Chi~~JJ:lJoi:z~ -~el _s~o,_y!yere il cristianesimo da lai-
co, o non invece in quanto egli ~-s!?lla~t~!:_~ella gerarchia. Si ri-
cordano i diritti ch~--~ko _y~~.!~ __ P_CE_ q~~~to-~~~~.~rne il ~overno
~ella Chiesa: approvare, ad esempio, la scelta del sommo pastore
spirituale, accettare le decisioni del concilio, consigliare i vescovi,
amministrare i beni ecclesiastid.9 Il laic?_~~ ~? sv?!~!~~n mi-
nistero j.otti:i.E.!'k. autorl!!!!vo, di esclusiva competenza della gerar-
chia, mentre i genitori e i padrini partecipano del ministero dottri-
nale~s.to.tak....deL~KQri.~reti.10 Colui al quale viene conferito il
minister~--~~~!~!-~~~.. S~~~ di_,.~~e~-J~kg__~i!!--~_Q..Proprio; chi non
detiene un ufficio ministeri~~.Jl<?.!~L<:2?.E.~ille al prolungamento,
ampliamento ed estensione deU'apostolato gerarchico11 (vedi l'A-
zione Cattolica), ma non partecipa, propriamente parlando, a questo
apostolato gerarchico. 12 Il vero apostolato del laico cristiano consiste
--------
4 A. SuSTAR, art. cii., loc. cit., 521, 525-527.
s A. SusTAR, loc. cit., ,26.
6 A. SusTAR, /oc. cit., ,27.
1 CIC can. 682.
8 CIC can. 948.
9 A. SusTAR, /oc. cit., '34.
10 A. Suwn, loc. cit., 535-537 _
11 A. SusTAJI., lrx:. cit., ,40.
12 A. SuSTAR, loc. cit., 540; cf. Y. CoNGAJI., 'Aufriss einer Theologie der Katho-
lismen Aktion', in: Priester und Laien im Dienst am Evangelium, Freiburg 1965,
318.
IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA

invece n.eU'essere -realmente e interamente ci che egli . 13 Per K.


Rahner questo apostolato laicale ~<apostofato dell'amore nella situa-
zion~~c2lare del laico. 14 In quanto ~;~r~-della-Cliiesa;-aTiico
spetta di trasform~, redimere, santificat.e..Jl!l mondo, c~_<:..!.,iman
mondim.Q,_.i.!L~JlJ~ial~i~stiana. 15
Si ha l'impressione che verso il 1957 regni ancora, fra i teologi
suaccennati, una notey~~~nel~d_o di determinare con-
cettualment_ la :6gura __4L~- Questi autori concordano nefrite-
nere che i 1'ai~_u2no a tutti fil! ~ffetti membri del corpo di Cristo e
che possono pretendere legiJtimaII!ente un posto f!CCanto a guelfo dei
preti. In quanto membri che non esercitano un ministero, essi coo-
pera!\O ne'ambito della_ missione della Chiesa. Y. Congar precisa in
questi termini il luogo in cui_si svo!zs.J.~~!!vit dei laici: 11 laico
quel cristiano la cui cooperazio_!!~_i,tll'opera dell! salv~- ed al pro-
gresso _l~l Regno di Dio, quindi a} duplice compito della Chiesa, si
attua mediante i1*"7.ua viva.e .ed....agic,e_.aJ!.'.interno delle strutture e
COQ!Eiti sewlari." K. Rahner chiarisce lo specifico dei Mci (e Con-
gar si mostra d'accordo: cf. CoNGAR, Aufriss, p. 309) nei seguenti
termini: Il cristiano in quanto laico si distingue.. dal_no~-=Gko (chie-
rico e religioso) per il fatto che egli, anche a motivo del proprio es-
sere-cri~!!!qo, non solo possiede una originaritLwJlocazio~nel mon-
do (ci vale per tutti i cristiani), ma anche in quanto cristiano e per
il suo_~.~1~.s.ti.~tiano come tale la conserva e non l'abbandona nem-
meno nell'attuazione della pr.QP!~.!L~S,~~_!E:a ... .17 ~ quindi certa, po-
sitivamente, l'appartenenza del laico alla Chiesa e, negativamente, la
sua attivit non-ministeriale.
Controverso rimane invece il prgblem.~ dell9:_~.Parteci:pazione al-
1'~.s.to]a to. Questa attivit comprende forse sol~to "fCrapporto
con la, .r~!)lt ~~J-~ndo, o non implica anche un__om~t.2_ specifica-
rne(!!_~ -~-~-cJ'(!si.aJe? K. Rahner del parere che quando un individuo
possiede in qualche modo legittimamente e abitualmente (al di l
dei diritti fondamentali di cui gode ogni membro battezzato} un cer-

Il A. SusTAR, !oc. cit., 539.


1~ K. RAHNF.11., op. cit., 36o.
1s K. R.mNER, op. cit., 362.
16 Y. CoNG!tl, Aufriss, cit., 308.
17 K RAHNER, op. cit., 344.
TEOLOGIA DEL LAICATO

to potere liturgico o giuridico, questi sempre una persona che ha


cessato di essere, propriamente parlando, laiCQ... . 18 P~ Schille-
beeckx, invece, l'impronta conferita da ~ agire-nel-mondo cosl
caratterizzante che il hlko rimane laico anche nel caso in cui svolga
pure ~ apo~~~a_!~ di tipo ecclesiale-s,eecifico. 19 Non si poi nem-
meno d'accordo nel definire lo Stato reli&ioso. Mentre la gran par-
te degli autori distingue lo stato secolare da quello religioso (questo
inteso come vitjbilit storica della grazia di Cristo escatologica e
trascendente il mondo ),20 H.U. VQ!l Balthasar vorrebbe invece unifi-
carli (nella forma degli istituti secolari).11
Ma il problema pi impellente non sembra stesse in questi due
ultimi punti. Il motivo per cu,i, dopo tanti studi, in parte molto
approfonditi, 1'a questione della teologia del laicato rimanesse anco-
ra insoluta, risale al fatto che si presupponeva una specificazione de]
laico. ancora acriiiCa. -Cne"cosa" 5rfrii:enle dire quando si afferma che
il laico ha un compito da svolgere nel mondo, un particolare rap-
porto con la secolarit; che egli deve realizzare hl propria santit
in un lavoro nel mondo e mediante questa attivit; che egli dev'es-
sere cristiano nelle nqrmali si~azioni_.P10t?:Q~~e 1 umane? Tali enun-
ciazioni si radicano in un concetto statico di Chiesa, il quale rende
possib~arcazione netta tra l'll Chiesa e il mondo: visuale,
questa, priva di dinamismo e quindi adatta ad una ripartizione dei
ruoli. Il clero esercita le funzioni ministeriali del prete, maestro e
pastg~ nell!_ Chi~. I-faicCsono lnmbr[()l"questa Chiesa, riman-
gono per oggetto della ruta pastorale ed attivit .salvifica del de-

18 K. RAHNER, op. cit., 340. Rahner si richiama alla distinzione fra potcstas
ordinis,. e potestas iurisdictionis. Anche senza una vera e propria trasmissione
(mediante l'ordinazione) certe persone possono entrare in possesso del contenuto
di ciQJ.h.i:.._vjene trasmesso (il potere ministeriale), e cosl non sono pi laici in sen-
so proprio . .f!. il caso ili un catechista, di una collaboratrice parrocchia_!s..di un
~~no ... (op. cit., 340T-------------------------

19 E. ""SH1LLl!.BEl!.CKX, Die tipologiscbe De/inition, cit., 1n, 1,6.


lll K. RAHNE".ll, P cit., 342. A. SusTAR, art. cit., 532 contrappone l'amore esca-
tologlco-red~,. (rappresentato nella vita religiosa) all'amore cosmico-redentivo
di Dio (rappresentato nella vita dei laici). -----
21 Il.U. VON BALTHASAR, Der I.aie und dcr Ordensstand, Einsiedeln 1948, 21:
Purch........tw.ti. di_J_aici c~__sl_M>..n9~ con l'intera loro esistenza, a servizio
pii;,nQ dell~Ol!W! di Dio; Personificare l'apostolato, inteso nel senso lato di Pao-
lo; possono sol!Mitooloro che-sono pe'fettamente li~ di prestare il loro servi-
zio ,!.t.Y.~lo, anche in me7.7.0 al mondo e nella propria professione;:--
IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA

ro. Essi possono collaborare per parttapationem all'attivit dei


ministri aeraa:hici. Il loro vero compito d'azione per rimane il
mondo. Senza alcun diretto rapporto con il compito missionario
deUa Chiesa (al quale, di nuovo, possono partecipare in casi par-
ticolari), essi assolvano il proprio Q,tll!>ito nel loro rapporto cri-
stiano con la realt del mondo. -
In tale prospettiva sorgono per altre questioni. Non si lavora
qui forse con degli schemi ecciesiologici che iinsistono soprattutto
sulla Chiesa come ministero, dove coloro che non svolgono alcuna
funzione ministeriale appartengono, certamente, ad essa, ma soltan-
to in misura ridotta? Per quanto questa Chiesa non venga pi con-
cepita unilateralmente come Chiesa del clero, non pur sempre una
Chiesa al cui centro stanno i ministri mentre i laici si trovano alla
periferia? 22
Questa separazione tra vita secolare e vita ecclesiale non una
finz' isce ui l'antico concetto della societas perfecta
giustapposta allo Stato? Quando si parla i un essere-ne a- ie-
sa e di un essere-nel-mondo non ci si muove entro tali modelli?
E non si cela qui forse l'antico atteggiamento di autodifesa che si
assume per garantire alla Chiesa un suo spazio sovrano di libert?
Esiste un essere-cristiano che non sia quello delle situazioni nor-
ID!!i, secolari, umane? Ed ancora, questa diVis1one tra escatol'Ogi
co>LP.~.!o ai reTigiosi e cosmico di competenza dei laici rispon-
de effettivamente agli enunciati evangelici, o non vero invece che
qui si_!_ip_!9~e pi semplicemente la vecchia idea che i monaci ed
i religiosi sarebbero gli sped8listi della soprannatura, i laici in-
vece deHa natra? Non dev'essere compresa anche una vita di po-
. vert, castit ed obbedienza nel suo significato cosmico? conce-

22 H.U. VON BALTHASAR, 'Zur Theologie dcr Slikularinstitute', in Sponsa Verbi,


Einsiedeln 1961, 444-466 (trad. tt. Mor'Clliiiii8,' Brescia} non. vede alcuna opposi
zione tea. c:scatoloria (rgigiosi, preti, in quanto persone che realizzano la propria
esistenza in modo escatologico) e incarnazione (cristiani nel mondo, che si rea
lizzano in modo incarnatorio}, bensiliiO-scretto lcg&iiieed una reciproca compe-
netrazione. Tuttavia ripropone anche lui un'eccles1ologia Oife tre ccrchie: il
p'rucorne nell'universale, inteso come rallciliZiZiooc den esserc<risaano, della
rfonna informans della chiesa, costituisce lo stato di vita vissuto secondo i con-
sigli e'ViigeilCI; li qn_fllte, ci<M: la condizione di vita cristiann come tale,
di nuovo particolare nei amfronti dell'ancora pi generale, che l'umanit che
si trova al di fuori della chiesa (op. cit., 447).
490 TEOLOGIA DEL LAICATO

pibile l'essere-cristiano del laico (la vita matrimoniale, ad esempio,


o la co~pleta disponibilit per gli altri nella propria professione) a
prescindere da un suo orientamento escatologico? 23
Malgrado tutti questi problemi, dle attendono ancora di essere
risolti, non si deve dimenticare che si fatto un considerevole pas-
so in .l!yanti nella valutazione del laico. Non pi molto frequente
il giudizio che in quest'ultimo secolo 'I'albot._for~uJ.ava contro Man-
ni!!g: Qual il terreno dei laici? Quello del cacciare, dello spa-
rare, del conversare. Queste cose essi le comprendono, mentre non
hanno invece diritto .alruno d'immischiarsi in faccende ecclesiasti-
<:Q.e.:u Cos ai laici vengono riconosciuti altri diritti oltre a quello
di lasciarsi guidare e segui-re, come un gregge docile, i suoi pasto-
ri.25 Nef'lesskr;-ITvrsiillefife<fiquailfoleggVaiii.O in quello edito
da Wetzer e Welte, alla voce loaico non troviamo soltanto un ri-
mando a quella di clero, quasi ci si potesse accontentare di questa
delimitazione negativa.!! Sono finiti ormai i tempi in cui si poteva
scriv~nza venir contestati: La chiesa cattolica la Chiesa del
cleyo; soci in senso pi~~e>_ sono soltanto i chierici, mentre i lai-
ci formano esclusivamente n popolo che dev'essere guidato ed am-
maesttato... .27
~;;_~ possiamo nemmeno prescindere dalle questioni che ab-
biamo sollevato. Quando si prese a riflettere in modo nuovo sulla
Chiesa, progredl notevolmente anche la teologia preconciliare del
laicato. Ma nuovi passifmono possibili soltanto aopo quel chiari-
mento della coscienza ecclesiale che si ebbe nella Lumen gentium.
A tale propoS.ito va osser-viio-..
a- questo--appr10r,diment'Ooella
realt ecclesiale non pot venir condotto senza tenere anche conto
deH'essere-nel-mondo del cristiano. Il modo usuale di chiarire la
- - - - - - , ,... _ _ ,.,_. N'~"W"'-'""' ~----. ~ .~~ ,,,...,,,_,_

:n Osserviamo queste posizioni proprio negli scritti che vogliono porsi a com-
pleto servizio di una teologia del laicato. Cosl ad esempio G. PmuPs, Der Laie
;,, der K!fc;;e,-S8libiiril9')-;'Prlmil.parla della chiesa come mJ11_~. di fede" e
~ ------......... _
della ger~...!!l.~ mistero della Chiesa, e poi passa a trattare fiJWmQi anche

24 Citaz. in o. KARRER, 'John Henry Newman', in: Hochland 40 (I947/48) no.


2S Cosl si esprimeva ancora Pio X nell'enciclica Veheme,,ler dell'II fcbbr. 19o6
(citaz. in Y. CoNGAR, Der Laie, cit., 387, nota 37).
:J6 R. SCHERER, 'Ocrus', .in: Welur wid Welle's Kirche,,lexiko,, m, (Freiburg
21884) ,38.
rr U. STuTZ, Der Geist des Codex iuris ca,,onici, Stuttgart 1918, 83.
lMPOSTAZIONB DEL PllOBLBMA
491

missione della Chiesa nel mondo e per il mondo in termini di


conversione degli uomin per farli discepoli (Mt. 28,19), quindi co-
me evangelizzazione e al fine di indirizzare il mondo a Dio e
conformarlo il pi possibile a lui, con I'azione o cultura secolari,28
dev'essere ulteriormente approfondito mediante un'analisi delle as-
serzioni che hanno per oggetto il Regno di Dio.

b. Nel Vaticano II

aa. Descrl2jione. La costituzione conciliare sulla chiesa sottolinea,


ne} cap. IV, la possibilit di riflettere sulla figura del laico soltanto
in strettg_ riferimento ad un modo di considerare la Chiesa come
popolo di Dio. Il paragrafo introduttivo al capitolo dedicato ai lai-
ci richiama"' l'attenzione sul fatto che quanto si diceva (nel cap. n)
del popolo di Dio 1ugualmente di:retto ai laici, ai religiosi e al
clero. 29 Ai laici tuttavia sia uomini che donne, per la loro rondi-
. zione e missione, appartengono in particolare alcune cose.30
Lo si ripete anche nella definizione, che stando al giudizio dei
commentatori specialisti intenderebbe per essere soltanto una de-
scriz~e ad hoc,31 od una definizione tipol2gica. 32 Ma che cosa
significa che i laici parteciperebbero suo modo all'ufficio sacer-
dotale, profetico e regale di Cristo, e pro parte sua assofvereb-
bero il compito missionario dell'intero popolo cristiano nella Chie-
sa e nel mondo? 33 nbrano seguente tenta di precisare la differentia
specifica: L'indole secolare propria e peculiare dei laici.,. Essi
sono chiamati &: ceocare il Regno di Dio trattando le cose temporali
e. ordinandole secondo Dio; a loro quindi particolarmente spetta
di ordinare, di illuminare, tutte le cose temporali, alle quali sono

28 Y. CoNGAR, Aufriss, cit., 307.


29 Lumen genlium, 30.
30 Loc. cit., 30.
11 K. KLOSTl!!MANN, 'Kommentar zum IV. Kapitel der Konstitution iibcr die Ki1'
che', in: LThK. Das Zweite V11Jika11ische Ko11t.il 1, Freiburg 1966, 264: non una
del.nizione fondamentale teologica, bensl e soltanto una descrizione ad hoc,..
32 E. SCHILLEBEECKX, Die typologische Defi11ition, cit. Cf. fo., 'Die neue Ortsbe-
stimmnng des Laien. Riickblick und Synthese', in: Gott - Kirche - Welt, cit., 166:
non Una .ill:finjzione teologica, bensl. una descrizione fenomenol~icu.
n-ru;;;;,, ge11tium, 31.
34 Lumen gentium, 31.
492 TEOLOGIA DEL LAICATO

strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cri-


sto, e crescano e siano di lode al creatore e redentore. 35 A differen-
za $_chierici, i quali sono destinati principallriente e propriamen-
te al sacro ministero, e dei religiosi, che testimoniano in modo
splendido e singolare che il mondo non pu essere trasfigurato e of-
ferto a Dio senza lo spirito deHe beatitudini, i laici vivono nel
secfil_o, cio implicati in tutti e singoli doveri e affari de mondo e
nelle ordinarie con iom e a yita familiare e sociali, di cui la lo-
ro esistenza come intessuta.36
Si ha }'impressione che anche in questo tentativo di precisare
positivamente la figura del laico rimanga determinante la delimita-
zione negativa del non-chierico e non-religioso. Il modo suo del
laico emerge poco chiaramente anche nel n. 31 della costituzione
su11'a Chiesa. Pure nei successivi paragrafi della medesima costitu-
zione ~g<>)lo continuamente ricordate la vita matrimoniale e fa-
miliare e la propria vocazione dei laici 37 Vantano infatti una
<(competenza nelle profane discipline. 38 E proprio dello stato dei
laici che essi yivano nel mondo e in mezzo agli affari secolari ... .39
Talvolta questo ambito di competenza viene precisato come societ
civile.40 Ma le comuni condizioni del secolo sono rigorosamente
distinte dagli uffici sacri.41 Ai laici spettano propriamente, an-
che se non esclusivamente, gli impegni e le attivit temporali.42 Da
questi cristiani d si attende che compiano con rettitudine gli stessi
doveri del mondo nelle condizioni ordinarie di vita.43 A loro si ri-
conosce il compito di instaurare !'ordine temporale. 44
In altri passi si parla dell!'indole secolare propria del laicato,
dell'inserimento nella stessa realt dell'ordine temporale e della
presenza in seno alle cose temporali,4.'i dell'influsso che i laici eser-

35 1bid., 31.
36 Ibid., 31.
37 Ibid., 35, Ad Genles, 21, Apostolicam actuositatem, 13.
38 Lumen gentium, 36.
39 Apostolicam actuositatcm, 2.
-40 Ad Gentes, 21.
41 Lumen gentium, 35.
42 Gaudium et Spes, 43.
4l Apostolicam actuositatern, 4.
44 Apostolicam actuositalem, 7.
4S Ibid., 29.
IMPOSTAZIONE DEI. PROBLEMA 493

citano nella strutturazione dell'o.rdine temporale~ o dell'ambien-


te sociale .47
bb. Valutazione. Non si deve ignorare la tendenza presente in tutte
queste enunciazioni. Ai lakLviene ~!tribuita una loro propria sfera
di...attiyit. Con diverse varianti, il loro ambito viene sempre qua-
lificato come guello del tempora1eL profano, mondano, fa-
miliar~ e sociale. L'essere-laico sembra vada determinato da...que-
sto rapi2Q!!o con la realt del mondo. Ma si richiedono delle pre-
cisazioni.
I testi de~ Vaticano II si sforzano, e lo si nota in diversi passi,
di caratterizzare la figura del faico. Come si gi rilevato, qui non
si elabora alcuna definizione. Nemmeno la definizione ti olo 'ca
e quella fenomeno ogica, malgrado il loro richiamo al particolare
rapporto del laico con il mondo, dovranno per venir ridotte ad un
unico comune denominatore. Nella sua analisi del concetto di lai-
ci nella costituzione sulla chiesa;'8 A. Heimerl mostra che proprio
la differentia specifica viene concepita in modi diversi a seconda
dei concetti che si hanno del 'co. 49 A me sembra che pi impor-
tante ancora e questione del numero e delimitazione dei concetti
impiegati -'> sia il problema delle remesse teologiche sulle uali
queste definizioni i ico si fondano. Un vaglio che s'impone, an-
che se i documenti non intendono offrire alcuna definizione e si ac-
contentano di una regola linguistica ed approssimativa. 51
chiaro che qui si opera servendosi della coppia concettua}e sa-
cro-p!()fano, anche se non si cade in un gromano dualismo. La
collocazione-Ael mando, attrjbuita a] Jajro, viene jnfattj scotta alla
luce del Regno di Dio. Il faico deve illuminare e ordinare tutte le
cose temporali affinch siano di lode al creatore e redentore. Que-
sti riferimenti di tipo escatologico, soteriologico e incarnatorio sem-
brano ovviare definitivamente al pericolo di un dualismo sul piano

46 lbid., 7
47 lbd., 13.
48 H. HEIMERL, 'Leienbegriffe in der Kirchenkonstitution des Vatikanum u', in:
Conclum 2/1966, 219-224 (ed. it. 2/1966).
ol9 H. HEIMERL, art.
cit., 220.
50 a. art. cit., 220. a. al proposito K. RAHNER, 'Einige Bemer-
H. HEIMERL,
kungen zum Artikel von Hans Heimerl', in: Conclium 2/1966, 225 (ed. it. 2/1966).
51 H. fuIMERL, art. cit., 222.
TEOLOGIA DEL LAICATO
494

teologico. Ma questo uso linguistico rimane ancora ambiguo e non


pu essere accettato come soddisfocente. nd campo della teologia.
Con simili allusioni, infatti, si pone in questione, o per lo meno
si riduce in parte, ci che accomuna tutti i fedeli. Nessuna mera-
viglia, quindi, se lo spirito delle beatitudini viene riferito spe-
cialmente ai religiosi, mentre ai laici si riconosce una vita vissuta
nelle ordinarie condizioni.sz Ma possibile cercare il Regno di
Dio trattando le cose temporali senza lasciarsi guidare dallo spi-
rito delle beatitudini? Ed proprio vero che solo talora i Wci
attenderebbero alle cose secol"ari? 53 Sono soltanto i laici a vivere
nelle ordinarie condizioni? 54 E i sacerdoti, non collaborano an-
ch'essi all'edificazione dell'ordine temporale? 55 E dove vivono co-
storo se non nel mondo? 56
N si chiarisce la differentia specifica del laico quando si di-
ce che i fedeli laici appartengono insieme al popolo di Dio ed
alla societ civile.57 Certo, dal punto di vista storico-teologico ha
i;Sua importanza il fatto che si sia evitata una scissione tra i due
diversi ambiti di competenze. Si n~che non si dice pi che la
sfera dei laici sarebbe quella del mondo (inteso come ordine tem-
porale), la sfera del clero quella della Qliesa (come istituzione
soprannaturale di grazia). E tuttavia, invece di offrire un chiari-
mento fondato su criteri teologici. si cerca una via d'uscita nell'in-
teQ_~ne delle due sfere. Cosl ai hlici spettano propriamente,
anche se non CSCiq~yamem;- gli impegni e le attivit ~rali. 51
In tal modo essi hanno la loro pane attiva nella vita e nell'azione
deUa Chiesa .!!IJ
Chi a conoscenza delle notevoli difficolt, che si sono dovute
superare per giungere al riconoscimento di un posto del laico nella
Chie~_a. deve salJ,!!!l~come un progresso questo sblocco di frC?ntiere.
Ma si devono avanzare anche serie riserve, soprattutto a motivo del

52 Lumen gentium, 31.


S3 Lumen gentium, 31.
54 Apostolicam actuositalem, 4.
55 Ibid., 7.
56 Ibid., 2.
57 Ad Gen/es, 21.
58 Gaudium et Spes, 43.
" Apostolictim 11etuositatem, 10; Lumen gentium, 37.
IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA
495

fatto che parlare di due sfere od ordini significa ancora attestarsi su


d~'le roccaforti che, se erano conipren.sibili date le premesse dei
precedenti moddli di pensiero, oggi non trovano alcuna legittima-
zione sul piano razionale n riscontro nell'eseerienza. Ogni benevo-
la interpretazione deve tenere ben presente che questi enunciati non
trovano conferma in una nuova im ostazione ecclesiologica fondata
su un concetto biblico e storico-salvifico di popolo Dio, anzi mol-
to spesso fanno emergere una ecclesiologia di stampo monarchico-ge-
rarchico.
Non si deve dimenticare che qui al centro della Chiesa sta la
gerarchia, la quale soltanto in un secondo tempo riconosce anche
una partecipazione dei laici alla realt ecclesiale. Questo modo di
riflettere evidenziato soprattutto dal fatto che al laico si applicano
concetti che le precedenti teorie riservavano al clero. Cristo, il Sa-
cerdote 60 e Profeta,61 opei:a anche o non solo, ma anChe attra-
verso i laici. Il ministero deUa parola e dei sacramenti affidato
in ~pdo speciale aJ clero, nel quale anche Tia1ci hanno la loro parte
molto importante da compiere ... . 62
La Chiesa non pu assolvere la propria funzione attraverso la ge-
rarcJiia (soltanto) ma ha bisogno anche dei laici.6.\ Si ha l'impres-
sione che certi_ padri conciliari abbiano appreso con piacere della
esi.tenza dei laici. La valutazione positiva del laico introdotta dal
richiamo all'obbedienza cristiana nei riguardi dei sacri pastori.,,.
Si sottolinea continuamente che i laici possono integrare l'opera
dei ~scovi e dei sacerdoti.'5 Spetta al clero discernere gli spiriti<111
e, in determinate circostanze, affidare ai laici degli incarichi al ser-
vizio della Chiesa.157 Ci diventa particolarmente urgente quando il
clero . non pi in grado di far fronte ai propri impegni.68
Senza dubbio tutti questi passi possono venir apprezzati in modo
molto pi positivo. Il tono benevolo usato dai vescovi (che sfocia,

" Lumen gentium, 34.


61 Ibid., 35.
62 Apostolicam actuositatem, 6.
6J Lumen gentium, 30.
64 Ibid., 37.
65 Ibid., 37; Apostolicam actuositatem, 10.
16 Presbyterorum ordinis, 9.
157 Ibid., 9; Apostolicam actuositatem, 24.
61! Apostolicam actuositatem, 1; Lumen gentium, 33.
TEOLOGIA DEL LAICATO

sintomaticamente, sempre nel paternalismo) va tenuto presente,69 ma


non sembra inutile una valutazione critica: solo in tal modo si for-
muler correttamente lo status quaestionis e si evidenzier pure la
direttrice dell'ultima ricerca.
Un punto molto significativo, dal quale non potremo prescindere
nelle riflessioni che seguiranno, il riconoscimento di principio del-
!'appartenenza dei laici e dei ministri al popolo di Dio. Iltravaglio
che la costituzione sulla chiesa ha conosciuto prima di giungere al-
la formulazione attuare-mostra chiaramente che, durante i lavori pre-
paratori, esisteva il pericolo di trattare i laici in modo unilaterale,
di considerarH cio come oggetto delle cure pastorali del ministero
c:.cclesiastico. Lo si_ osserva ~~fiiDOShe~a del 1962,10 cui parec-
chi padri conciliari mossero il _rimprovero di dericalismo.71 Pure lo
schema del 1963 mostra ancora una simile tendenza, dato che nel
cap. I!I il co~tto.,.l popolo di Dio viene impiegato esclusivamente
per caratterizzare i laici.72 Ma Tamaggioranza dei padri conciliari
vo~ un capitolO's~lo di.Dio che com_prendesse gerarchia e
laici. R. Laurentin osserva a tale proposito: Cette acquisitio; est
PUS important qqe fa collgfoli!~ dont q_I.!_!~I?:!.J?arl. 13 Il Vati-
cano 1 utilizzava..~a il ~.E,opolo di Dio per accentuare la compo-
sizjgne gerarchica della Chiesa,74tnentreia Lumen gentium S\ij?"tll or-
mai questa acc~fOneooSTristretta del concetto. Il capitolo fondamen-
tale d~dicato al pqpQl.Q~~LJ?~~-P~~del'esposizione deUa costitu-
zione gerarchica della Chiesa e dellafi~r;aerIii:tliti:T} battez-
zati app~ono a"'qeSTu popolo sacerdotale.75 Per quanto l'idea
di un'eguaglianza di fondo fra tutti coloro che appartengono al popolo
di Dio non si componga con le strutture dell'ordinamento tradiziona-
le, si dovr comunque prendere sul serio questa scelta decisiva. An-

69Cf. Lumen gentium, 37.


70 a.
G. PH1LIPS, 'Die Gcschichte der dogmatischen Konstitution uber die Kr-
che Lumen gentium, in: tThK. Das Zweite Vatikanische Konzil I (Freiburg r966)
139I4I.
11 Vedi ad es. gli interventi dei vescovi Ekhinger e Dc Smcdt, in: G. PHILIPS,
art. cit., i40 s.
12 Cf. G. PH1LIPS, ari. cii., r46 s.
13 R. LAURENTIN, Bilan du Conci/, Paris r966, 2 r 5.
74 Cf. MANSI 51, 540 A; 51, '49 C; 5I, 868 C; 5I, 855 B.
75 Lumen gentium, ro; d. Lumen gentium, I2, 30.
IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA. 497

che il tentativo, non pienamente soddisfacente, di considerare il tem-


porale~ rome. la sfera di attivit propria del laico, dev'essere valu-
tato.. in guesto contesto. positivamente. In una visione ecclesiologica
tradizionale, tipicament~rarcocentrica, sarebbe infatti pi logico ri-
conoscere, per motivi pratici, che il clero non d.el tu-ttocompetnte
in ogni questione e che ai laici si possono quindi affidare alcuni
compiti. Il fat~o che il Vaticano 11 non veda nei laici soltanto dei
tapQabuchi e aiutanti de1' clero, ma cerchi di riconoscer loro una
sfera specifica ,i~mpia d!SQmpete.[lZe 76 - spetta comunque alla ge-
rarchia insegnare e interpretare autenticamente i principi dell'or-
dine morale che devono essere rispettati nelle cose temporali,77 -
un sim..qmo della nuoVa coscienza ~cclesiale che si sta delineando.
Inoltre il concilio stesso si precluse la possibilit di restringere trop-
po unjlater~lmc,:pte all'opera di attualizzazione dell'esistenza cristia-
na l'<<indole seco~propria._<lel'Iaicato. 78 Non sempre, nella pras-
si ecclesiale, si rius-ciiTa vinc.ere..1atentazione di riservare al clero
il nwlo d_L9ecidere, di pen1~~1 di insegnare, ~. si affidatO in-
vece al laico il compito dell'applicazione di principi riconosciuti co-
me validi. Timidamente si rammenta che i sacri Pastori sfruttano
i <<_saggi consigli79 dei laici, addirittura che devono pron;-~re le
iniziative da Imo intraprese {certi ambiti del sapere specialistico non
rientrano pi nel raggio di competenze del clero}. Nemmeno l'an-
nuncio. della Parola pi riservato esc~usly_!!!IJ.en.~e alla cerchia cle-
ri~ale. Vita e parola, 80 <~parola ed opere81 sono sfere in cui i lai-
ci ~no i propri compiti.
Va inoltre -~ervatoChe lo specifico ambito di competenze del
laico colto ~!]a luce della missione propria della Chiesa. Mentre
lo schema diceva-che---0iipfto--Oei-1arcr~~Ifa.:tt:afe':tF:fose-fefuQ.orali
e ord;f!arle a Dio, la stesura definitiva, migliorata ed ampliata, suo-
na: P~70ro"vocazone[iiocatoneproprza Je--propriO--Gei"TaTclcer-
care H regno di Dio (regnum Dei quaerere) trattando le cose tem-

76 Gaudimn et Spes, 43.


77 Apostolicam actuositalem, 24.
7M Jbid., 29,
79 Lumen gentium, 37.
l!O Apostolicam clC/uositatem, 6.
81 Ad Centes, 15.
TEOLOGIA DEL LAICATO

porali e ordinandole secondo Dio.82 Dispiace che questo spostamen-


to di accenti non si sia verificato ancor prima e che non abbia cosi
fatto sentire la sua influenza su altri testi conciliari. Un approfon-
dimento di questa vocazione a cercare il regno di Dio trattando
]e cose temporali avrebbe senz'altro condotto ben al di l di una
~--- ---~
ripetizione del fatto cosi ovvio che i] carattere proprio dei loaici
----

------------- ------ ..
quello secolare. Questa nuova prospettiva va anche decisamente ol-
tre il commento dello schema del 1962, offerto dalla Commissione
-
preparatoria. vero che gi qui si oiceva che i laici non ~<.?E~ uo-
mini .Erofani bensl ~embri deHa Chiesa nel m~do _erofano.&l Tut-
tavia questa proposizione poteva venire fnterpretata in modo sutico
e rafforzare ulteriormente il dualismo Chiesa-mondo. L'aggiunta del
I 964 denuncia chiaramente una concezione dinamica (e quindi an-
che escatologica e storico-salVTii'"f(l Chiesa.
Questo per non rende pi agevole la determinazione del pro-
prium del laico. A me sembra che non si sia ancora risolto il pro-
bk!Il? di ~M~orretta l.nt;rpret;i~ne:E.schillebe~k~rpreta
lo spe~i&:o Cfe11a iI.~r~-d~fr~@~ di__Q~~-- l!!i~aJ~-~ finaliz-
zazione alla salvezza del processo terreno di umanizzazione (compi-
to dell'~-;;t.Uffiano-smpncmen~-:14-M-i!. testorimane aperto
anche a interpretazioni diverse.
In ogni caso l'indagine.._~ulla .JipedfidtLlcLlaico deve ~gliarsi
dalle preoccupazioni di definire il posto che egli occupa in una Chie-
sa contrapposta, come entit chiusa, al mondo, e stabilire invece
un'analisi pi approfondita della missione della chiesa per il mon-
do. In altre parole l'interrogativo non suona: Che cos' il laico
in un~Chiesa che si contrappone al mondo?, bensl; ~Qu-;f-iI
compito ddcristfano--ln-una chiesa -che -SiC-~prende come Chiesa
~!- i(~-~ncio?. Allora ri~ulter pur~ chino he-h<C)rdihar~ 1;-co-
se_t_emPQ!:.al! non sta (come compito secondario) accanto al testi-
moniare il ~;~gelo-(CT;me funzione primaria). Il rapporto cristiano
CO~ fa_~~c~JaritA85 - proprio un rapporto, aeforffiinafo dal ~~~gelo,

82 Lumen gmlium, 31. Cf. E. SCHILLEBEECKX, Die lypologische De/inition, cit.,


148.
13 Cf. Ibid., 148.
114 Ibid., 152; cxl anche come una ricerca condotta nella e mediante l'umanizza-
zione del mondo secondo le istanze di Dio,. (Ibid., 150}.
llSCf. lbid., 152, 158s.
IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA 499

con le cose temporali.116 La missione della Chiesa intera (e non


propria soltanto di un determinato gruppo) abbraccia anche questo
compito.
Un altro punto di partenza, che nel corso dell'approfondimento
va tenuto in considerazione, ci viene offerto dai timidi riferimenti
ai carismi__i;4_ ~ll' att_iYit._de.l.1.o._SpJrito.. san~g_.Q~L!_esti conciliari. Men-
tre nel cap. 11 della costituzione sulla Chiesa si pa;l;-~ra in modo
disinvolto dell'opera dello Spirito santo e della variet dei carismi,67
nel cap. IV troviamo in primo piano il vaglio dei carismi ad opera
dei sacri Pastori.81 Anche nel Decreto sul ministero e vita sacer-
dotaleJQ. ..EQ12.rire i_~_che_ ~no concessi ai laici viene con-
giunto con il discernere quali spiritf abbfnoorlgfue'Cli Dto~Per
quanto si sottolinei il ruolo peculiare della gerarchia e si metta in
guardia contro un'attivit incontrollata dei laici, spesso si osserva
pure che lo Spirito santo rende oggi sempre pi consapevoli i lai-
ci della loro responsabilit,90 comunica a tutti i membri della Chie-
sa la fede, speranza e carit,91 li invita a collaborare alla sua mis-
sione salvifca.92 Forse questi testi ci autorizzano a criticare un cer_.
to atteggiamento che riscontriamo negli stessi vescovi, i quali con
troppa n.atural'eZza si servono della collaborazione dei laici nella
Chiesa. Infatti il Signore stesso che per mezzo del battesimo
e della cresima chiama tutti alla partecipazione della stessa mis-
sione salvifica della Chiesa.93

36 Cf. E. N1ERMANN, 'Laie', in: Sacramenlum mundi 111, 1969, 134: L'ordinare
le cose temporali e 'testimoniare' (evangelizzare) non sono due processi sepuati tra
loro, ma devono essere vissuti nello srcsso tempo e nello stesso sforzo di realiz-
zazione umana.
67 Lumen gentium, u. Soltanto alla fine - quando si parla dei doni straordinari
- si richiama anche l'attenzione sul fatto che l'autorit ecclesiastica ha il compito
di vagliare l'autenticit dei carismi.
118 Lumen gentium, 30.
89 Presb)'terorum ordinis, 9.
90 Apostolicam actuositatem, r.
91 Apostolicam actuositatem, 3.
92 lbid., 33.
9J Lumen genlium, 33.
TEOLOGIA DEL LAICATO

2. Elementi di una teologia del laico

a. Punto di partema
Le questioni, che gi si ponevano quando si rifletteva sulla rina-
scenza laicale>) del pre-concilio, si trovano cosl confermate e in par-
te ulteriormente acutizzate nei testi del Vaticano II. Le enunciazioni
conciliari sui laici 50no affette da una singo1'are ambi&ll;it. Tentativi
di apertura al futuro s'intrecciano con sforzi di trovare una conci-
liazione con il pensiero. tradizionale. I risultati cui si giunge tradi-
scono i compromessi che si sono dovuti accettare per trovare com-
prensione nelle minoranze. Il lavoro venne forse ostacolato anche
dagli innumerevoli scritti re-conciliari sul tema del laico. Non
certo gratificante affrontare un problema e ai pi considerato
risolto e che consente forse soltanto degli spostamenti di accento.
Tuttavia fa pensare il fatto che, malgrado tanti sforzi. non si sia
tentata una definizione teologica del laico. Questo forse perch ci
si, limit a ricordare, trattando dei laici, i nuovi princpi elaborati
dall'ecclesio~ia, senza averli prima sufficientemente sfruttati sul
piano t~gico~-ji"~ompitocneoggi rimane dunque quello di far
leva sulle possibilit ecclesiologiche aperte dal concilio, per giunge-
re a enunciazioni pi complete suHa realt laicale.
Da pi parti si osservato che, negli anni precedenti il Vatica-
no II, si -~2f'profondita~ nuovi schemi la posizione eh~ laici
oc~ nella Chiesa. Con molta maggior coscienza che nel passa-
to, la Chi~~-;-ve~-;~ompresa come q_n intero composto di chierici
e.. laici A. questa visione d'insieme si giunge quando il clero presen-
ta fiq~J;e d suo interno anche la s:omp~eJ..aicale.
Il Vaticano n evolve poi questo spunto. Oltre ai ministri, esisto-
no nella Chiesa. anche altri membri? La risposta che a questo in-
terrogativo~data, schematicamente riassunta suona: 1. C' il
non-clero, 2. ci sono gli oggetti della cura dei ~i (ecc.), 3 ci
sono dei soggetti ampiamente autonomi, i quali non solo parteci-
pano ai diversi ministeri, ma hanno lo specifico compito da svol-
gere nel raggio secondario d'azione della Chiesa, nell'ambito cio
delle cose temporali.
Accanto a questa linea, ancora fortemente caratterizzata dal mo-
dello ecclesiologico: Cristo-gerarchia-'comuni' fedeli, troviamo un'al-
l!LEMF.Nn DI UNA TEOLOGIA DEL LAICATO 501

tra direttrice di pensiero che ha come punto di partenza la vocazione


comune a tutti i credenti. Val la pena seguire questo nuovo orienta
mento che, nei testi conciliari dedicati ai laici, si afferma soltanto in
parte. Il modo d'intendere il l'ai.co deve sganciarsi dal 'modello' del
c~, che influisce se non altro per la sua accezione negativa.t-diffi-
cilmente eliminabile. Solo entro una globale prospettiva ecclesiolo-
gica si potr po.rre in modo sensato la questione del 'proprium' del
laico e del chierico. Ma a differenza delle precedenti riflessioni, a
questa visione <finsieme non si potr giungere limitandosi semplice-
mente ad assommare i diversi Stati di vita presenti nella Chiesa.
Qui il punto di partenza dev'esserci offerto da un modello di Chie-
sa completo, che dovremo tener presente fn dall'inizio.
Il concetto di 'popolo di Dio' svolge un ruolo particolarmente im-
portante nella costituzione sulla Chiesa. L'approfondimento, cuiSDn-
tende sottoporre la Chiesa nella sua globalit, deve partire da questa
connotazione ecdesiologica. Tale concetto di Chiesa si rivel~ opportu-
no, per~~nel_.forso della precedente esposizione risultava ch~
te che p.roprio a motivo di una concezione statica di Chiesa non si fu
in grado di risolvere i problemi del laicato. Un concetto di popolo di
Dio ev"Oluto in chiave storico-safvifca ~trebbe imprimere qyeJ di-
namismo._ di cui si sente bisogno. Si tenga per anche presente una
certa pre-<:omprensione: nel passato ci si servi abbondantemen-
te del_~~-di Dio~ giustificare le strutture gerarchiche. Se
questa tradizione, cosl dura a morire, venisse rivifcata, si smentireb-
bero le stesse posizioni conseguite con la Lumen gentium. Perch il
punto di partenza sia una pre-comprensione illuminata, delineeremo
rapidamente il concetto di popolo di Dio che s'impiegher nel cor-
so delle riflessioni che seguono.
Una riflessione ecdesiologica condotta sul fondamento del con-
cetto di popolo_ di Dio dovr far emergere le se8!!enti linee di
fondo :94 --- -- - - - -- .,__ -~--

-:::_ Per popolo di Dio s'intende un concetto ecc!esiologico che


percprre l'intera storia deHa salvezza. I mutamenti operatisi all'in-
terno-di q~esto concetto sono determinati dall'evoluzione storico-
salvifca.
94 a_ al proposito M. KELLER, Volk Gottes als Kirchenbegrifl, Einsiedeln 1970,
247-306.
502 TEOLOGIA DEL LAICATO

- La rivelazione divina, l'elezione, la fede e l'incredulit, la co-


munione con Dio, cio l'agire salvi.fico di Dio con Puomo nella sto-
ria, rostituiscono il fondamento cli questa concezione ecclesiologica.
Solo a partire da questa base ci si potr poi interrogare anche sulle
strutture della Chiesa.
- La ragione ultima della continuit che connota quesa concezio-
ne ecclesiologica non n l'istituzione, che sopravvive a tutte le bu-
fere def tempo, n un ministero che offre una garanzia costante, inin-
terrotta alla tradizione lungo rotte le generazioni. Solo un'elezione
divina incondizionata, solo la potenza irradiante del Dio presente,
che in questa manifestazione riunisce a s, in modo percepibilmente
re
e visibilmente chiaro, gli uomini e cose, e che con questa unifica-
zione muove la storia e con essa il destino dei popoli,95 si crea il
popolo di Dio. Questa elezione fonda il carattere dialogico del po-
p_>lo di Dio. La decisione divina di seglier~i un popolo esW;, come
corr.dato, la scelta di Dio da parte del popolo. L'elezione rimanda
<:o.fil_ alla componente dinamica. -L'esperienza dell'agire elettivo di Dio
implica la promessa Che ~io agir allo stesso modo anche in futuro.
Al .posto del sicuro possesso subentra l'appello ad un nuovo peUe-
grinaggiotl'.~vito ad abitare nella_~ straniera.96
Il rappQ!!:.QJ)iQ-~polo diJ?l~-~i svolge su un fondamen~ storico.
Cosl, ad esempio, l'elezione.. d'Israele__ ~!!!!_Sa _la situazione particola-
re che questo popolo vive nella sua storia. La venuta di Cristo non
disiJK:amWgire salvifico divino dalla storia. Nella questione salvi-
fica l'uomo viene riferito alla storia fattuile, quella degli eventi. E
ci vale ~~-~~-Chi~a neJ~Q_J!!!Letne. Possiamo dire con E.
Brunner: l'ekklesia _sem~re__ il popolo di DiQ....P.e)J.a stor)jl ... .91
- La storicit della Chiesa .presenta un tratto peculiare. Infatti il
po~lo ~-~~! del NT ha, nel fatto salv~~ di <;risto, un reale
passato , nel ri~~rno del Cristo che si attende, un s<-n:ale {ijturo.91

95 H. SCHLIER, 'Das mysterium Israels', in: Die Zeit der Kirche, Freiburg 1962,
234 ( trad. it. Il tempo della chiesa, Il Mulino, Bologna).
96 P. BoRMANN, 'Das wandernde Gottesvolk - die Exodus-Gemeindc. Die Aus-
sagen dcs 11. Vat. in der Kirchcnkonstitution auf dem Hintergruncl des AT und
NT', in: R. BAUMER - H. DoLOI (a cura), Volk Gottes, Freiburg 1967, 538 s.
91 E. BatJNNER, Dogmatik 111, Ziirich 1960, 37.
'l8 O. Cuu.MNN, Christus und die Zeit, Zollikon 1946, 45 (trad. it. Cristo e
il tempo, Il Mulino, Bologna).
ELEMENTI DI UNA TEOLOGIA DEL LAICATO

In quanto comunit del Messia che apparve e che ritorner, il po-


polo ~.!_~entario di Dio rimane legato alla rivelazione orlgina-
ria di Dio in Ges di Nazareth ed al contempo caratterizzato dal-
l'attuazione piena e definitiva della signoria divina.
Ora per s'impongono - non possibile qui evolvere l'intera ec-
clesiologia del popolo di Dio - alcune indicazioni, che potranno
tornar utili ad una teologia del laicato:
- L'elezione l'elemento costiturote del pgoolo di Dio. L'anti-
tesi decisiva non quella tra ministero e non-ministero, bensl quel-
la. tra fede e incredulit. Stando alla concezione biblica, il popolo
prescelto nella sua globalit. Dio sovranamente libero nella con-
duzione del suo popolo, e qu;sta guida s'oppone ad ogni tentativo di
fissarla entro schemi istituzionali. La scelta dei singoli finalizzata a
tutti i membri, non all'edificazione o consolidamento di una istituzi0-
ne strutturata. Alla luce di Cristo, questa scelta rappresentativa
ass~n ruolo di redenzione, non di ordine. La concentrazione sul
singolo rappresentante si apre a tutti coloro che in lui sono scelti.
.......:.. Questa scelta noo viene limitata da un astratto ra.pport~ con
Dio~I/ap_partenenza al popolo di Dio si decide sulla base concre-
ta delia....Jrita 02litica e sociale.99 Il terrestre non quindi la com-
ponente...accessoria di un processo spirituale. Elezione e fede
trovano qui la loro collocazione.
- Dato che la rivelazione di Dio si effettua sul piano storico, il
pop.Q}Q diP.lo non pu fuggire nell'a-storico, nell'a-temporale. Il fat-
to che la Chiesa neotestamentaria si comprenda come popolo di Dio
pe~~on deve costituire un pre esto per rifuggire dalla si-
tuazione UJl!@.9-terrena~.1.L.~.lu~dell'in~e~ hiesa il terrestre.
E cosi pure tutte le tensioni, che derivano dal carattere storico del-
la rivelazione e della Chiesa, costituiscono una componente essen-
ziale dell'esistenza cristiana.
- Anche il carattere mondano inerisce al popolo di Dio nella
sua interezza. L'obiettivo verso cui esso mira non si trova oltre o
dietro.il mondo. ma nel mondo stesso. E ci non viene riclliestoSOl-
tanto dal carattere storico delar~el1t2ione, appena ricordato (qui
dovrebbe essere la cristologia ad offrire il suo apporto), ma anche

9!1 M. BUBER, Moses, Ziirich 1948, 155.


TEOLOClA DEL LAICATO

dall'idea rmss1onaria, inscindibilmente congiunta con quella dell'ele-


zione. Il passo classico dell'AT, che riguarda il popolo di Dio (Ex.
19,5 s.), ed anche quello neotestamentario di 1 Petr. 2,9 mostrano
che il popolo di Dio nel suo insieme sacerdote, cio si trova in un
particolare rapporto con Dio; esso ha pure una speciale funzione da
assolvere, che si vista come lo stare a servizio, 100 un servizio di
rappresentanza per l'intera umanit,11 una testimonianza al mondo,102
una funzione rivelativa 103 o di segno. 1' L'elemento che accomuna
tutte queste qualifiche l'orientamento al mondo, la coscienza di
essere inviati in una vita da vivere in mezzo al mondo.
- Se si dice che il luogo del popolo di Dio la storia, il terre-
stre, il temporale e il mondano, non per questo si potr ridur-
re la Chiesa ad un'entit Storica. Un modo di riflettere storico-sal-
vifico parte dal fatto che la salvezza, la rivelazione di Dio, l'elezione
del mondo ad opera di Dio si attuano nella storia e quindi secondo
il modo d'esistere dell'uomo . .E: questo il motivo per cui la Chiesa
si comprende come popolo di Dio peilegrinante. Essa partecipa
gi alla comunione escatologica con Dio, ma questa non le stata
ancora donata in pienezza. L'essere-nel-mondo del cristiano ne
risulta essenzialmente determinato. NeU'intero essere ed agire per-
sonale, sociale e politico si dovr testimoniare che l'intervento di
Dio nella nostra sfera d'esistenza si adempiuto attraverso Ges di
Nazareth e che la nuova realt, creata in Cristo, rimane presente in
noi nello Spirito santo, il quale la manifestazione storica dello
spirito metastorico di Cristo. 105 Si deve per anche far vedere che
questa irruzione del Regno di Dio in Ges di Nazareth pu essere da
noi sperimentata e vissuta soltanto nell'anticipazione e nel segno.

100 M. Buna, op. cit., 125.


1o1 H.J. KRAUS, Das Volk Gottes im Alten Testamene, Ziirich 1958, 59.
1(12 H. GRoss, 'Volk Gottes im Alten Testament', in: H. AsMuss1-:N (a cura),
Die Kirche - Volk Gottes, Stuttgart 1961, 87.
103 R. PoELMAN, 'Peuple de Dieu', in: Lum. Vitae 20 (1965) 471.
104 W. BuLST, 'lsrael als Signum elevatum in nationes. Dic Idee vom Zeichen
charakter Israels in den Schriften des AT in Analogie zum Zeichencharakter der
Kirche', in: ZKTh 74 (1952) 167; R. Ml.RTIN-ACHARD, 'Israel, peuple sacerdotal',
in: Verbum Caro (1964) 27.
tos H. MiiHLEN, Una mystica persona. Die Kirche als Mysterium der Idenliliit
des Heiligen Geistes in Christus und den Christen, Miinchen r964, 420 (trad. it.
Citt Nuova, Roma).
J:LEMENTI DI UNA TEOLOGIA DEL LAICATO

Al problema circa il senso e la nusstone della Chiesa, possiamo


quindi rispondere nella seguente direzione:
Determinata da Ges Cristo, che nella sua esistenza terrena diven-
ne segno della comunione con Dio, vivum organum salutis, <~sacra
mentum>>, germen,106 la comunit dei credenti dev'essere essa stessa
sacramento, segno e strumento dell'intima unione con Dio e della
unit di tutto il genere umano,107 un germe validissimo di unit,
di speranza e di salvezza.tr.1

b. Tentativi di chiarimento

Questo nostro lavoro non vuol essere un'esposizione ecclesiologica


completa, e quindi ora possiamo limitarci a precisare la posizione
specifica che il laico occupa ne1: popolo di Dio. Si tenga comunque
presente che non lecito porre al centro dell'interesse una descrizio-
ne socio-pastorale delle funzioni nella Chiesa e nemmeno una deli-
mitazione giuridico-ecclesiastica delle competenze. Una teologia dei
laici non potr quindi fare a meno di un'ecclesiologia fondata su ba-
si tologiche, mentre dovr analizzaxe tutte le enunciazioni che si
sono fatte sui laici partendo da un modo teologico d'intendere la
Chiesa. Per motivi gi noti, in questo scritto si scelto come punto
di partenza il popolo di Dio. Ora il nostro compito sar quelfo
di analizzare tale concetto ecclesiologico per delineare una concezio-
ne del laico. Come gi si ricordava, in passato ci si era immediata-
mente serviti del popolo di Dio ideale per consolidare la struttura-
zione gerarchica nella Chiesa. M. Schmaus, quando scrive che il con-
cetto di popolo consente di scorgere meglio di quello di corpo l'arti-
colazione gerarchica 109 ha dalla sua un'antica tradizione. Se ben
difficile provare una tendenza gerarchistica nella concezione biblica
di popolo di Dio e nell'interpretazione dei padri apostolici, gi in
Cipriano di Cartagine e soprattutto in Optato di Milevi popolo di
Dio diventato ormai una qualifica atta a designare i laici. D'ora in
106 Lumen gentium, 8.
107 Lumen gentium, I.
108 Lumen gentium, 9.
100 M. ScHMAUS, 'Das gegenseitige Verhiiltnis vom Leib Christi und Volk Got-
tes im Kirchenverstiindnis', in: R. BAUMER - H. DoLCH (a cura), Volk Gottes,
cit., 24.
Tl!OLOGIA DEL LAICATO

poi l'idea di popolo viene continuamente associata all'idea dell'ordi-


namento e dell'articolazione gerarchica della Chiesa. 110 Martin Lu-
tero respinge ~stq_ ric!l!~~one cultuale-giuridica del popolo di Dio.
Ma questo rifiuto ha come effetto~-rier cam-po.. citolio~nasottoli
neatura ancor pi accentuata della struttura sociale della Chiesa. An-
che nel sec. XIX popolo di Dio era compreso generalmente come
ca t.~@!.i~. _P.olit~.:~~!ale:N J.A: MBhi'er;-n.'F~pifgram;IlllfVati
cano 1 riuscirono a scindere-,<J~<!~t.<>.. C(l~~!tc_>__~lc:!t<!l~~o_..4alle rap-
pre~iO.t!, sociali del loro tempo. Non rimaniamo quindi molto
sorpresi nel consta'tare.Cheful il~r !:~cenJissi.J11....9...Passato. . t.e.o~ di fa-
ma ha.t).llo_ins~.r:!m_nel concetto di popolo di Dio elementi strutturali
di tipo politico-soci;k:W Sok;--~n~--funga ed-;pprofonditailllessione
sugifriW19atH>ibli rese possibile un modo pi ~o d'intendere
il popolo dCDI<>;...Cjuare1rasp~rea<i- esempio dalla Lumen gentium.
Ne abbiamo gi parlato quando si valutavano le posizioni del Vati-
cano 11, e non vogliamo quindi ritornare sull'argomento. Ci che
invece merita d'essere approfondito un problema che non ha tro-
vato ancora una chiara risposta: la questione della differentia spe-
cifica o del proprium del laico.
Non sarebbe impossibile evolvere, partendo dal concetto di popo-
lo di Dio, una ~l9gia dei laici riflettendo sul sacerdozio univer-
sak__sk_i fedeli. 112 A ~~- sembra;..J,e.-',-ch~questa-vI~-pre~nti mag-
giori difficolt. Il concetto di sacerdote, infatti, intimamente le-
gat~--ad..:~!liLcoricezione geraicfl1CiC:TrTcle- ctetia Cliiesae- prOfette-
rebbe quindi l~ ..~~~ o~hra -~n~he ~uf nostroteifrativodi ricavare una
teologia del laicato. Per lo meno a livello psicologico il sacerdotium
ministeriale seu hierarchicum si affermerebbe come norma nor-
man~~;~~i! _S~Ce~cl~tl~~ CO~~e Gd~ll~;-;errebbe foterpretatO
come un sace;d~io -d~i i'ai~i di 'ifP- del"f~to. Ma anche se il sacer-
dozio universale dei fedeli venisse riconosciuto come normante ogni

110 Per un approfondimento e documentazione, vedi M. KELLER, Volk Gottes


als Kircbenbegrif!, cit.
1ll Cosl ad es. M. SCHMAUS, Das gegenseitige Verb.iiltnis, cit., 24: - .. .L'imma
gine di popolo di Dio stata ricavata dalla sfera del socio-politico. Cf. anche
Y. CoNGAR, Esquisses du mystre de l'Eglise, Paris 21952; MD. KosTER, Ekkle-
siologie im Werden, Paderborn 1940, 95.
112 Cf. Lumen gentium, IO.
ELEMENTI DI UNA TEOLOGIA DEL LAICATO

sacerdozio, pure quello ministeriale, ci riuscirebbe difficile ricavare


da tale concetto la fonzione specifica che va ascritta ai laici.
E dunq_ue preferibi~rofondire,_.Ei che una funzione ecclesia-
le, le diverse funzio-;i esistenti nell~- Chies;~Tf'oneti--di"carisma
di cui._9ispon~~~SL~?!-1~ent~ d~ng~Eer~ sutl~_/!~!:~Y1::if!.L_di!i~nia e
koinonia d~ll'l!:tte!!L.1?9.122lo ~~- I?.!.o, senza dimenticare la legittimit
di ministeri particolari.
Prima di riassumere i diversi carismi e funzioni che ne derivano
nella Chiesa, ci sia consentito richiamare l'attenzione su due conno-
tati che qui hanno una particolare importanza: il carisma un con-
cetto pi ampio e pi dinamico insieme.
Pi!! . .!!f!l,Pj_Q.. D.Q.IJ solo_$_A. CQ!!sj9_c;m. colui ch~J~ elargisce,_ma
anche se si tien conto di colui che di fatto lo riceve. E. pertinente
l'osservarlone-dl--E. Kasemann-:--Se i cri8tian(st'Ssi si trovano al-
l'omhr.Ld..!:!r~v 2'~-~ e ~~embri del -~~e_?.__~i-~~!?J....!!..9.!l.SOno
tutti, dato il reale rapporto che si stbllisce, anche dei carismatici?
Porre ques~a do!!landa__ ~~~ca ~-~~ .~na risposr,~-afi~~~~va.
Essa s'impone infatti per la definizione stessa di carisma, inteso co-
me concrezione e individuazione della grazia o dello Spirito, dato
che ogni cristiano partecipa della grazia e dello Spirito... .m Secondo
r Cor. 7,7_ ~Qlm!JDO_~.JL.~oprio gQ.n..Q.. Non esistono carismi-nor-
ma, cui tutti dovrebbero uniformarsi ed in base ai quali tutti do-
vre~be;~.~;rrlr _misui~C Ci-;h~ decide. -della~~;:g~~!!-non
() la fatticit, bensna modalit. 114 Carisma c' soltanto col ove il
cris~iano-~yjy;-;~!L~J~or~;(; Cor. 7 ,39 ). Questo V xuplip mo-
stra che. il carism.1U!P!l s,~C:.i! n. fan.!.lt~~.IDQ. ~~. ~ntirn!~ ~ 1l..!.1ifor-
mit. La misura...deLc:uJroa.invQC~ 1~ mgg!!Jj~. 9~1 y~y~re p.el Si-
gnore e per iL ~ig!!~~-~1._q1;:1!!19J _Q.~ll'o.bhe.c.ii~m;,a_,e;kLc;rJJ.kino. 115 In
questo senso non s2!C?.. 9&D-Lq!stianq__ ~,.U!l: _91.~~~!J.1,!tico, ma anche tut-
to pu(] diY.e.?.:~~!~er )11-~.~~:is_?l_! La mta, verso la quale tende il di-
namismo della grazia, non il cristiano e nemmeno la Chiesa, bensl
il mondo. Le sfere del naturale, sessuale, privato, sociale

1lJ E. Kii.SEMANN, 'Amt und Gemeinde im Neuen Testament', in: Exegetische


Versuche und Besinnungen I, GOttingen 1960, n7. Altre definizioni di carisma in
G. HASENHUTTL, Charisma. Ordnungsprinzip der Kirche, Freiburg 1969, 238.
!14 E. IGi.sEMANN, op. cit., u6.
115 E. IGi.SEMANN, op. cit., n6.
J08 TEOLOGIA DEL LAICATO

non sono sottratte al raggio d'influenza di Cristo.116 Non esistono am-


bienti chiusi o riservati, ma tutt~erto ad una possibilit cari-
smatica ... .117 ~~--------..
-Gi ... queste prime osservazioni mostrano chiaramente che il con-
cetto .di.s.~_r_is~ non si lascia applicare esclusivamente al laico od
al mip.i~!.~ Se non si potr sostenere un rapporto di tipo antagoni-
stico, non sembra coincida con la concezione neotestamentaria di ca-
risma nemmeno una relazione puramente additiva. 118 Il ministero
non si giusta1ll!9Jle...al carisma. ma _~-~~categoria del-
l'elemento carismatico. Se per il carisma si estende all'intera realt
della_ Chie~11_esso dovr diventare anche un p_rincipio strutturale della
hiesa stessa. 119 Mentre nel NT non esiste alrun reale equivalente
al~~~o concetto ecclesiale di mfui~o, nella teologia paolina e
immediatamente post-paolina troviamo invece un concetto che de-
scriv.e. teologicamente, ed in modo_preciso ed am_Eio, l'essenza e com-
pito ?i ogni servizio e funzione ecclesiali, il concetto di carisma. 120
Che cosa significa questa ttruttura carismatica per una teologia
dci...Wci? Prima di dare una risposta dovremo riflettere sul modo in
cui i carismi si articolano.
Negli scritti neotestamentari non troviamo una delimitazione dei
singolLc:~i_5_II?-LC?E~~~a in ~.~~ ~~nce~e~~te defiojbili.121
E. Kasemann si risolto per questa strutturazione sommaria: cari-
~igmatici (le funzioni di apostoli, profeti, evangelisti, maestri
e ammonitori), <1gi_ili~L4iac~~li (diaconi, diaconesse, elemosinieri,
infermieri, vedove, coloro che hanno il dono delle guarigioni mira-
colose e la possibilit di cacciare i demoni), car~sm~ ~ib~etici
( pri~nit.Ldire.tt.Q!i._~t9'.ri. ~y_e~i ). 122

116 E. KASEMANN, op. cit., u6.


117 E. KAsEMANN, op. cit., II7.
118 Cf. i numerosi saggi su ministero e carisma: ad es. quello di O. SEMMEL
ROTH, Amt und Charisma', in: H erders T heologisches T aschenlexkon 1, Freiburg
1972, 88-89.
119 Cf. H. KiiNG, 'La struttura carismatica della Chiesa', in: Conclium 2/x96,,
cd. it. 15-37. G. HASENHUTTL, op. cit.
Llll E. KASEMANN, op. cit., 109.
121 Cf. J. GEWIESS, 'Charisma', in: LThK 11 (1958), 1025-1027; E. Kii.SEMANN,
'Geist und Geistgaben im Neuen Testament', in: RGG n (Tiibingen 319_58},
u72-u79.
122 E. KiiSEMANN, op. cii., u4. H. KiiNG, art. cit., 29, con Kiisemann distingue i
carismi della predicazione,., Carismi di servizio caritativo,., carismi di governo.
ELEMENTI DI UNA TEOLOGIA D.!L LAICATO

I servizi che Kiisemann include nel concetto generale di carismi


keri~atici~-~~~-- che .9.uesto gru~ non pu?_.~~;~___ riferito
escl~t.!!~ al m~stero. Questa precisazione non suona affat-
to ovvia_.ad. una larga corrente d~diiione catto}!~ la qua-
le la prec!!~ne si~~fi.~i~..~~e ~-~ esclu~iv~~~~--e_~edicazione
di tiE,1?_!.J.lagisteriale. Nel corso dell'evoTuzione storica, al ministero
magisteriale, che avrebbe la funzione di proseguire l'apostolato, ven-
nero subordinate anche le funzioni dei profeti, degli evangelisti, dei
maestri e degli ammonitori. Ci troviamo cosl di fronte ad una con-
centrazione e istituzionalizzazione dei carismi. Vi soggiace un'impo-
stazione di pensiero estremamente semplificata, che risponde senz'al-
tro alla mentalit giuridico-formale dei latini,123 ma che si rivela an-
che incapace di ~e la genuina fu~ion!:_~el kerieia. Co-
sl L. Kosters scriveva: La realt effettiva del ministero d'insegna-
me1lto deriva... sinteucsmente dalle testimonianze Ciel NT""" della
Chiesa priffiliva, seconCIO~le quali Ges-cristo stesso Vlle essere il
maestro..~utentico, ~~o~ato da Dio con pi~ poteri 1 per insegna-
re la verit religiosa, e questo suu ministero dottrinale egli lo tra-
smise agli apostoli come elemento essenziale della propria missione,
e lo accompagn con la promessa di un'infallibilit ministeriale; da-
gli apostoli pass poi ai loro successori, i vescovi....124 Questo mi-
nistero d'.iQ!e.g..OJm:J.!!.Il!Q_yQ_~~~<i_~_!isto ~oincidt:~ guinA!_~.!01-mi
nistero del!! profezia. 125 Il duplice problema, della delimitazione del
kerigma ai ministri da una parte e della subordinazione del carisma
al ministero dall'altra, si profila anche nelle pi recenti pubblicazio-
ni.1it Ma se non sono certi ministeri, bensi la Chiesa nel suo insieme
a continuar;il~R1pi~~-dclCristo~;nche-il laico-dovr~~;;;-una
funzione diversa.-'P"fteiido- aa--alcune coris<ferazioni, evol~t; inte-
ramente nel contesto delle forme tradizionali d'intendere il ministe-
ro d~tt~i~;fe~--K-:-Ra~!_fi.a ~_in luce_~cu~!_:~unti !!.rt..Pcillanti.121
Una decisione presa a livello magisteriale ben pi che una pre-
123 K. RAHNER, 'Lehramt', in: LThK VI (1962), 888,
ii.i L. KosTEkS, 'Lehramt', in: LThK1 vr ( 1934) 455 s.
125 M. RACKL, '11.mter Ottisti', in: LThK1 I (1930), 378-381, scrive: li mini-
stero profetico nel senso di un ministero magisteriale religioso ... (I vi 380 ).
l.Jli Cosl ad es. J. BaosCH, 'Amt und Charisma', in: LThK 1 (Freiburg 1957j,
455457: Per tale motivo i capi ministeriali ... si differenziano nettamente da tutti
i carismatici (lvi, 456).
III K, RAHNBR, o.rt. cit., 884-890.
TEOLOGIA DEL LAICATO

sentazione autoritativa di un contenuto che l'altro deve accettare per


fede; essa stessa, infatti, atto di una fede che aKolta e di una
testimonianza pubblica della fede. 1211 Si afferma quindi chiaramen-
te ~be i rpprese.!l!!nti del magistero fan parte della Chiesa che
ascolta e che possono comprendere il loro servizio soltanto nell'ob-
~ ,~~~~w---------------
bed.ienza_di~K. Rahner richiama Poi anche l'attenzione sul fat-
to <:he, nel kerigma, il ministero d'insegnamento non tende soltanto
al ritener-per-vera una proposizione, bensl all'<momo nella sua
intera e~. La--rede vissuta dalla Chiesa che ascolta diventa
cosi momento essenziale di una decisione del magistero.129
Stando alla testimonianza della costituzione sulla chiesa del Vati-
cano II (n. i2), la Chiesa che .a.KQha qnalrosa di I?i di una con-
troparte reattiva del ma~istero. Nel contesto della fede ascoltare si-
gnifica sempre mostrarsi obbdi.enti a Dio ed alla sua Parola. Questa
obbe<J,ienza di fede il}ato -~~rici. Ogni obbedienza di fede nei
confronti dei ministri invece secondaria e dev'essere misurata in
base all'obbedienza che si dimostra nei confronti della rivelazione. Il
sen~_.fidei, a difierenza _d~_,insensus fidelium, non la risul-
tat~iui~lufru:~Le..rodotti dal magistero. Il senso di fede ha propria-
mente la funzione df-ttviii-iaverit e di testimoniarla. 130 Esso va
posto i~~~~~l~-op~r;-che, 5tando ana-prO!iieS~~J_~irito
compir. Dal canto-su~--jf iiagisteto--deve interpretare questa testi-
moruailza vivente di fede in modo autentico e critico.131 Ma anche
tale interpretazione sempre riferita al consensus fidelium, alla te-
stimonianza concorde di tutti i fedeli.
Non casuale che nel n. I 2 della costituzione sulla Chiesa si parli
tanto del senso della fede di tutto il popolo (dai vescovi fino agli
ultimJ_ ~deffl~ici.), lie sus~~tg~~~~~rr..~!2Jl@UQ_Spirito di veri-
t, quanto-dei Ca.rismf. -~i- chiaro che l'intero popolo di Dio
partecipa alla funzione profetica. Se si terr presente questo fon-
damentoale enunciato ecdesiologico, si potranno anche evitare sia una
rimozione dei carismi ad opera del ministero, sia una polarizzazione
tra ministri e non-ministri.
Ogni cristiano viene abilitato direttamente dallo Spirito alla pro-
128 K. R..urnu, 11rt. cit., 889.
ll2!I K. RAHNEa, art. cit., 889.
I.lo M. SECKLER, 'Glaubenssin', in: LThK IV (1961), 947.
131 M. SECKLER, 11rt. cit., 947.
RLEMENTI DI UNA TEOLOGIA DEL LAICATO 511

pria funzione profetica.131 QQ che si pu dire di tutti i carismi vale


aoche per le singole azioni kerigmatiche. Queste non devono neces
sariamente tradursi in manifestazioni""" straordinarie, miracolose, sen-
sazionali. La testimonianza profetica della fede si attua anche quan-
do non accompagnata da circostanze del tutto singolari e da un ri-
conosc~~to di tipo istituzionale. Profeti, maestri, evarigeli-
sti, ammonitori annuncianQ. il messagsio del regno di Dio ormai
iniziato anche senza missione ufficiale o delimitazione istituziona-
lizzata del loro ufficio. I laici non vengono quindi abilitati alla predi-
cazione soltanto con la missione canonica. Il-loro incarico non
un servizi.o derivato. ma altrettanto o~~~o quanto una funzione
I?inisteriale. La sfera del kerigma non una sfera inautentica;-bensl
l'ambito diretto dell'attivit del laico. La funzione profetica, che tut-
ti i profeti sono chiamati a svolgere, si radica immediatamente nella
situazione individuale e sociale. Qui l'oggetto delle preoccupazioni
profetiche... non soltantQ il singolo ma anche le condizioni sociali di
un'esistenza visyt.L.!l&...t.!'~~ inter-umani. Oggi ci che pi di
ogni altra cosa urge forse l'abbandono dell'idee secondo cui i diver-
si ministeri ci verrebbero presentati dal NT come una gerarchia di
compiti chiaramente distinti fra loro. Non si approder a nulla quan-
do nella Scrittura si cercherenno le ~~ ..s!ll:!.!1-ficativ'?~ queste
foi:m.~_Jltmai..itibili.te>>.1.12 Q che sc.aturito da Ges un progetto
vital~ codificazione canonica.m Nemmeno ai nostri giorni
dovremmo mirare ad una restaurazione dei ministeri biblici nella
sfera della predicazione. Ci che veramente importa che Sotto la
spinta 9i.. $l1;U~zlonLon1!_n~!!_~ p_:r _l'..i~p~s.<?A~.llo ~pJrito santo134
si vitalizzino nuove possibilit di testimonianza profeticl:'i~torse a
svolgere questo compito pi adatto il laico, in quanto egli non
legato ad un impegno di tipo istituzionale.
Qui sar importante che anche il laico rinunci a conformare, in tut-
ta fretta, il proprio servizio carismatico ad una forma istituzionaliz-
zata. Ma certo che un simile atteggiamento muter anche la nostra

13!a a. sul tema H. ScHuER, 'Ecclesiologia del Nuovo Testamento'. in: Myste
rium Salutis 1v/1, II.5 ss.
m R. LAURENTIN, 'La crisi attuale dei ministeri alla luce del Nuovo Testamen-
to', in: Concilium 10/1972, ed. it_ 20-21.
133 R. LAu1tENTIN, art. cit., 22.
134 R. LAURENTIN, art. cit., 23.
TEOLOGIA DEL LAICATO

usuale immagine di Chiesa. Esso presuppone infatti, pi che in pas-


sato, un ascolto fedele della Parola di Dio e orienta il laico pi diret-
tamente verso i diversi settori dell'esistenza umana: un laico che non
dovr mostrare la propria maturit tanto nell'assolvere un ben defini-
to mandato ecclesiale, ma che testimonier soprattutto la propria fede
nella situazione personale e sociale in cui vive. Che poi ci non im-
plichi necessariamente un isolamento o fanatismo }ndividualistico, ce
lo stanno a dimostrare i numerosi gruppi spontanei o d'azione sorti
negli ultimi tempi. La comune ricerca e il dialogo fraterno costitui-
scono senza dubbio le premesse per un impegno a favore del mondo.
In questo contesto dovremo richiamare ancora una volta l'attenzio-
ne sajla dll!erenza che passa fra questa nuova mentalit e la Q!_eceden-

---
te. Anche in passato si metteva in rilievo la responsabilit che i laici
devono dimostrare nel campo delle scelte concrete. I rappresentanti
del miigistrott8cciavano Te"ditettive, mentre ai laici spettava il com-
pit~_!!.adurle nella prassi. Questo valeva soprattutto per il campo
s~Jiti~:.. Oggi i laici devono, in forza della funzione di tro-
vare ~~.!~- ~ ~e.stiEt_oniarla propria del senso di fede, pors..Ldi fron-
te ai probleiaj_ anche a prCsan<Iere ctaSPedali indicazioni del magi-
la
~ Dovrann~t~silili'ortiare propria fede innanzitutto nella sfera
secqlare e in virtiJ della loro vocazione carismatica. Non giusto squa-
lificare a priori, quasi fosse un'espressloiieprivata, questa testimo-
----~~--~--~- ------- . -
nianza di fede, quando reale e non rappresenta semplicemente l'in-
teresse di un gruppo sociale o politico. Ogniqualvolta una simile te-
stimonianza di fede realmente si effettua, sempre -una testimonian-
za ecclesTafe:s i:i:atta infatti ddta reHzzaz1one-(fe'l18 grazia di Ge-
s Cristo, che rimane presente nel suo dinamismo per opera dello
Spirito santo. Decisivo, per il carattere ecclesiale, non quindi un
mandato ministeriale od una direttiva ufficiale, che pure devono es-
sere vagliati in base al criterio del loro lv xupl~.
Riprenderemo pi avanti la tematica del vaglio dell'autenticit
della missione, che non pu essere considerato prerogativa esclusi-
va d~f capCinlnisteriali. Ma possiamo dire sublto.che~f~ttO'i:i- impor-
tanti qul'son~Jt ciiaj?,~.e la ricerca condotta in comune. Da un mi-
nistero che si esercita neu; thies e( si devono inMn.zitutto attendere
delle esortazioni al singolo perch decida secondo la propria coscien-
za, una rinuncia al controllo ed alla tutela, ma anche un ascolto co-

'
llLEMl!NTI DI UNA TEOLOGIA DEL LAICATO

stante di ci che matura lungo il processo della verit e della sua


testimonianza. Solo a queste condizioni possibile l'esercizio della
particolare funzione ed autorit del ministero.
Nemmeno dai carismi diac~nali ~sibile ricavare una chiara
divisione tta quelli che sono propri dei laici e quelli illvec"Che si
riservano ai capi ministeriali. E lo si osserva da pi lati. Il NT, il-
lustr~ ~- si~ficato della diakonia, non parla soltanto di singoli
carismi ma ~nche dell'atteggiamento di fondo ClietuiifT carismatici
devono assumere. Tutti i doni di grazia stanno sotto il ~o del
servizio, della Ol4xwvla..!cf. I Cor. 12,4; Rom. u,6; I Petr. 4,u).115
Il servizio un atte iamento fondamentale d'esistenza cristiana e
non pu veni~ ridotto all'attivit od al modo sentire e1 capi mi-
nisteriali. Quando si riflette sui singoli carismi si vede chelilistin-
zione dei diaconali, tra quelli che servono all'edificazione
della comunit e quelli elargiti a vantaggio e mon o, non coin-
cide con la distinzione tta ministri e laici. Servire i poveri, i soffe-
renti e gli ammalati, questa attivit d'amore nella comunit un do-
vere di tutti. Nel NT troviamo per anche una tradizione che asse-
gna questi servizi ausiliari ad un collaboratore del capo. 136 Qui non
siamo per ancora di fronte a quella prassi che -roitmto in se-
guito s'imporr nella Chiesa e in forza della quale certe persone so-
no obbligate a svolgere determinati servizi. In tal caso non sar pi
il carisma, bensl la vocazione o la professione svolta nella Chiesa a
determinare le persone cui spetta di svolgere tale servizio.
Ancor pi chiaramente questo sviluppo possiamo constatarlo nei
carisQJ.i cibernetici. Ci che sorprende che un concetto cosl im-
porta.;tL~!Ile quCilo d pa~!?ie nel NT-vien- m~Tonat-ilna
volta soltanto, per ~~_are un.. servizio__ ~ku_p~_@llNnte
(Eph. 4,n). La Scrittura non dice nulla dell'elezione di un pasto-
re o di un incarico conferito da altri pastori. Nel corso della storia
della .Chiesa i1 tit?JOdiast~~~~~-~! s~~~J>.~~~re_venn~-s~~pr~_J?i
frequentemente attribuito al capo della comunit, mentre perse di
impo~-~~~.-1t_1tatl~ c~rrsmatco:m- ~ ;J ~ --~~ ~ ,,.~ -

Nemmeno la f~n~i~n-; di governo, la xv~pv'l')u~~. acquista in Paolo

IJS G. HAsENHiiTTL, op. cit., I.59


136 G. HAsENHilTrL, op. cit., 161.
137 G. HAsENIIiiTTL, op. cit., 219.
TEOLOGIA DEL LAICATO

un grande rilievo (cf. 1 Cor. 2,27 ss.; nel v. 30 la xu~p'llT)O'Lt; non


viene pi menzionata). H.W. Beyer lo spiega col fatto che ogni
membro della comunit dev'essere pronto a svolgere il servizio dia-
conale ed organizzativo.m Nel caso in cui nessuno possegga, nella
comunit, il carisma del governo, si pu designare un altro carismati-
co per il coordinamento dei diversi compiti. Ci che soprattutto ca-
ratterizza gli hc,crxo'ltot. (sorveglianti), i 1tpoi.'.a-t'6.&vo1. (direttori) e gli
TJ"fOUJWJOt. (capi), il loro essere per gli altri con vera curu.llf Que-
sto contraddistingue anche coloro che sono a capo della famiglia. Del
resto ci che si richiede a colui che ha la responsabilit della gestione
familiare soltanto che si prenda cura della famiglia (z Tim. 3,2-5).
Come nei carismi di tipo kerigmatico e diaconale, anche in quelli
cibernetici i laici hanno una loro collocazione. interessante os-
servare,-~-;:&() sforid.d.efrecente.dibattito ..aproposito del concetto
di laico, che ~a tuJti_yengono esercitati anchc:..~i carismi che. in mo-
do peculiare si riferiscono all'edificazione della comunit. Bisogner
quindi approfondire _in.~~~ nu<>_!i_i!_!~!.t~..!!! ministero e ca-
risma.
M~ero e carisma possono coincidere. Ma un ministero che non
venga pi~;Cttftato perTedillciZi.Oildella comuW_!Lnoj;:ri~~tt-; as-
soh!J.filllente nella cnnceziruic.-.Pl!~!iJla ..41_~~~s~a. Carisma pu es-
sere soltanto un ministero orientato a svolgere la funzione dell'an-
nuncio.,..J!ery~io- e goVrno.della:omunit. Un-incarico che la Chiesa
affidi senza accompagn.;ry;-con una-determinazione funzionale con-
tr.a_ddi5e !ls~i~.
Il concill.'?._cg~~~i~rna_~.J?.i~--~P.!~-~ I~.~~~!~ ~e c:_ss~ raajllude
--
viene. riferita a tutti i .fedeli.140 Ci che si dovr rendere chiaro sul
-- --- -.,.--..,..
piano concettuale non. ~- qumdi un carisma alla luce del ministero,
ma esattamente l'opposto. Senza voler aniiCipare quanto" si .dir a
proPQ.!.CI- dei ministero nella Chiesa, possiamo fin d'ora affermare
che' basa~oci - s~l concetto- di carisma, il ministero va considerato
come. un carisma sacramentale, un carisma istituzionalizzato.141
Rifere-;d~;i a 2 tim. 1,6: E. Schweizer rfCraa anche u~a--~~azio-

JJ8 H.W. BEYER, xu~tpvri<n.,. in: ThWNT m (J938), Io36.


139 G. HAsENHiiTTL, op. cit., 222.
ll a. G. liASENHUTrL, op. cit., 234.
141 H. KiiNc, art. cit., 29.
ELEMENTI DI UNA TEOLOGIA DEL LAICATO

ne del carisma attraverso l'ordinazione.142 Ci per non significa af-


fatto un-~;;;.-aitlt__-~kf ~;.;j~-;u filstituzion~~- sui __arism,j libe-
ri. I primi devono essere compresi come modi di partecipare, con
pari diritto, all'edificazione della comunit. fasi sono particolarmen-
te espostL.al rischio dj fossiHzzarsj e _dtludersi di fronte al xa.~6.
Diversamente di quanto accade per i catismi liberi, essi non si estin-
guono con il venir meno della fede, ma possono continuare ad esi-
stere - anche se non pi come carismi - come ministeri, per quan-
to distorti. Contraddicendo il carattere di servizio~~io del cari-
sma, essi~ono tramutarsi in ~~tere sovranoJYaltraparteque-
sti ministeri, in quanto carismi istituzionalizzati, possono assumere
un significato del tutto particolare per la predicazione, la diakonie e
il governo della Chiesa, quando i carismi liberi vengono a manca-
re o non giungono al loro scopo.
II rapporto ministero-carisma non dev'essere precisato in mOdo
tale da porre il minister~-;;p"Uilciifsl ~-il arimJniiiwonaliz-
zato. .sopra il carisma libero. L'esposizione contenuta nel n. u dela
Lumen gentium peccaWota di troppa genericit; ~<11 giudizi.o sulla
loro l'3 genuinit e ordinato uso &J>pat"tiene alla aut_odt ecclesiastica,
alla qurue spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esa-
minare tutto e ritenere d che buono (d. I Thess. 5,12 e 19-2'1).
Qui la citazione (Non estinguete lo spirito. Non disprezzate le pro-
fezie. &aminate tutto e ritenete ci che buono, I Thess. 5,19-21},
che sLtl~!._i!_ce alla_~omunit, viene ~_ngiut)ta_Qt!jl_y,__ u ... ~
l'autore invita ad usar riguardo verso i missionari e i capi (per l'o-
pera lo-ro ). Ma chiaro che il conipit._di_v~fil...L carismi_~~ta
all'intera comunit.* ~ certo che qui i carismi istituzionalizzati han-
~--unaJ()!Q._fu.nziQne ~~S!!!i.!r.~ma -~ aDf~--Y.~?- ~!:.j_i!I __2Jilpito
non pu essere assolto senza la comunit. Sembra poi che il contri-
buto che il capo presta nell'opera di vaglio dei carismi non sia di
fondamentale e primarfa importanza. Ci di cui egli deve soprat-
tutto preoccuparsi di dirigere l'assemblea in modo tale che i diversi
carismi si &;;pieghino con decoro e con ordine (r Cor. 14,40).

142 E. SCHWEIZER, Gemeinde und Gemeindeordnung im Neuen Testament, Zii-


rich 19,9, 168.
143 Cio i carismi.
144 Cf. H. KiiNG, art. cit., 32.
TEOLOGIA DEL LAICATO

c. Prospettive

Riprendiamo ora il problema del proprium dei laici. Dopo le ri-


flessioni condotte st concetto di popolo di Dio e sui carismi, punto
di partenza per un successivo approfondimento sar la fondamentale
uguaglianza e dignit di tutti i fedeli, come pure la loro comune re-
sponsabilit verso la missione della Chiesa. Abbiamo visto che non
risultano sufficientemente legittimate le distinzioni in base alle quali
il clero dovrebbe lavorare all'interno della comunit, i laici operare
nella sfera del mondo. N persuadono le altre definizioni o deli-
mitazioni ricordate nel corso della nostra esposizione. Tutti gli altri
tentativi di chiarire il proprium del laico dovrebbero tener con-
to de~!~A! -~19.:ln~ teoogi--~ti~J~come F~ Kfosterm~. ritengono
che non .~!..PQS.!!!. .2!~--.5.?~te~~--=-~-~--<!i_y_!_s_i~J?:~.di stati nella Chiesa
e che si. debba quindi parlare proprio, dell~....tin~ dello stato .htica-
le .145 Si dovrebbe cosl giungere ad uno -schema che, da una par-
te;""mette in rilievo ci che COJI1~rende in s tuttl&li-.:.stati', o me-
glio i ministeri della Chiesa, e oi che comune a tutti i servizi;
che dall'altra faccia anche trasparire l'affinit tra i singoli servizi, la
loro ~ne 'Iniegrativa,-arcomplemeiito:m-Pittdo da una ri-
flessione sugli scritti neotestamentari che parlano del ministero, al-
tri autori proclamanQ ormai il tramonto dello Stato laicale. Cosl
R. Laurentin constata che --i--~~t~ri'def NT--;~~servizio di
piccole corm.in!t; riui111e:am1sur"Uiiiariil,'"nelI'a'6itaZione di un
fedele (Act. 12,12; 28ao; Rom. 6,5; 15,19; I Cor. 16,19; Col. 4,
15; Philem. 2), come oggi a Cuernavaca, Ponte de Carvalhos o al-
trove. I ministeri non avevano ancora un carattere clericale: e ci
diventa interessante in un periodo di dedericalizzazione. Non ave-
vano nemmeno un carattere 'sa<Jerdotale' ... . 147
E se, pur essendo convinti dell'impossibilit di affermare una
divisione tra ordine dei laici ed ordine dei chierici, dovremo ancora
interrogarci sul proprium del laico, bisogner che il rapporto lai-
ci-capi ministeriali venga delineato nel contesto della nostra conce-

14S F. KLOSTERMANN, Print.ipim, Formen, Dienste, Augsburg 1972, pp. 77, 79.
146 F. KLosTERMANN, op. cit., 78.
147 R. LAURENTIN, art. cit., 18.
ELEMENTI :OI UNA TEOLOGIA :OEL LAICATO

zione di oansma. i\. tale proposito sl aovranno tener presenti i


punti che seguono:
I. Compito decisivo sar quello di liberare certi servizi dal pre-
dominio, consolidatosi nel corso della storia, del ministero cleri-
cale, per~e~tit:~: loro di_ di~i~g;~!_-~--m9<1~ __ffi.toVO:-Ciie"'nche
in futuro la Chiesa avr i suoi ministeri cer!~in g_uanto ci le
deri~~stesso compito. La predicazione, la diaconia, il gover-
no della comunit esigono, oltre che dei carismi liberi, anche dei
servizi regolamentati. Ma tali ministeri non si trovano rigidamente
inquach~ti in un determinato schema. vero invece che nelle co-
munit bisognerebbe dare pi spazio all'affermazione dei diversi ser-
vizi,148 che non dovranno pi arrogarsi una funzione predominante.
Carattere di servizio significa anche rinuncia di una posizione cen-
trale per l'assunzione di una funzione ausiliaria. quanto si verifica
soprattutto quando in una comunit si consente lo sviluppo, l'irra-
diamento dei diversi carismi.
2. Scindere J darismi istituzionalizzati o regolarn,entati da
quelli liberi non signific~-rlP._roporre ~!'-vecchia divisfone~ai
cato. ~!':lon _infatt!_!_OS facile saeere dove -~a- il pun~..5!iJ>~gio
tra questi due diversi gruppi di carismi. I confini sono fluttuanti.
Accanw.ad una possibile divisione - anche giuridica - rimane un
ampio -~~io che C<?nsente di attendere pure allo sviluppo sto~co ed
alle...fil_tuazioni individuali. Non necessariamente ci che ieri era un
carisma istit~izzato deve rimanere tale anche oggi. Lo stesso
talento che si dimostra nel servire la comunit pu venir istitu-
zionalizzato in certi casi e lasciato libero in certi altri. Inoltre,
ogni detentore di un carisma istituzionalizzato pu essere al con-
tempo depositario di carismi liberi.
3. Se si_Q_one.al C~!~c:>-~elP~!t.~_!!Zion~.iLarisma ~IW:tQ>4_ji po-
tranno anch~mettere in_luc~-~certi aspetti, t.ra~cut~done altri e te-
nendo sempre presenti le restrizioni illustrate in precedenza. Sono
quei punti che in passato vennero sistematizzati in una teologia
del laicato e che ora dovrebbero venir compresi come impulsi de-
rivanti da una teologia dei 'liberi' carismi.

148 R. LAURENTIN, art. cit., 23.


TEOLOGIA DEL LAICATO

L'antitesi decisiva quella di fede-incredulit. Il carattere dialo-


gico che ne deriva influisce poi sulla struttura stessa della comunit
e sulla sua particolare forma cli esistenza. La comunit diventa il
luogo della comune obbeclienza di fede e di testimonianza di fede.
Bisogna creare un clima che favorisca l'evoluzione e il dispiegamen-
to dei diversi carismi. Una vocazione concreta all'edificazione della
comi.mitL~.d-.alllt !~~tJffiQ!l.i.~~~ lJ.li.[sio,n,~r.i~ ..!19.fl. , ..PQ~~iliile se non
esiste una fitta rete di comunicazioni all'interno della comunit stes-
sa. Bisogner continuamente adoprarsi per togliere tutte le incrosta-
zioni__~ istituzionale. Il laico, in quanto detentore dei ca-
rismi ~Ji,h~r~~_tapp~~~~ta].l}--~~~clo-.p~U~- ;dement~ d,!n_!IDicO e
missionarig_ ~ j~_timonia la liberti. carismati~a '"nella- pr~icazione,
nella diakonia, neCg~;~moctella comunit. Per esercitare questo ser-
vizio non ba bisogno di alcun incarico ufficiale. Particolare impor-
tanza nella vita del laico verranno ad assumere i carismi kerigma-
tici e diaconali. Qui non si tratter di ripetere semplicemente la dot-
trina ufficiale, ma di testimoniare profeticamente nella situazione vis-
suta nel mondo. Tuttavia questa funzione di scoprire la verit e
di testimoniarla non pu essere assolta fino a quando non si stabi-
lir anche una comunicazione tra i fecleli e tra fedeli e ministri. In-
siieme bisogner vagliare gli spiriti. Ci per non significa che i
capi ministeriali abbiano il cliritto cli soffocare sul nascere nuove
iniziative, me. soltanto che tutti insieme devono favorire gli impulsi
missionari e pazientemente attendere che i frutti maturino. Il lai-
co realizza in modo particolare un'esistenza cristiana vissuta all'in-
segna dell'esperimento, del tentativo continuo, del transitorio. Ac-
cettando la propria situazione concreta, egli si sforza di vivere nella
dinamica dello Spirito santo, aprendosi al regno di Dio. :E: un'alter-
nativa falsa la divisione fra campo d'azione primario (Chiesa) e sfe-
ra d'attivit secondaria (mondo). Comunit e mondo riescono com-
prensibili soltanto nella loro relazione reciproca. La stessa vita in-
terna della Chiesa si trova orientata al mondo. Una teologia del lai
cato dovr evolvere i carismi dei fedeli, in comunione con tutti i
cristiani, in direzione del mondo. Una simile teologia dovrebbe te-
nere ancora in maggior considerazione le esperienze concrete, ed af-
frontarle. Essa non spinge i cristiani nell'isolamento e nell'instabilit,
DIBLIOGllAPIA

ma cerca di testimoniate nelle diverse situazioni, in comunione im


pegnativa con i fedeli, il regno di Dio iniziato in Ges Cristo.

MAX KELLER

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SEZIONE QUARTA

TEOLOGIA DEL MATRIMONIO


IL CARATTERE SACRAMENTALE DEL MATRIMONIO

Qui tratteremo la teologia del matrimonio nel contesto dell'ecclesio-


logia e della sacramentaria. L'accento verr posto sul problema della
sacramentalit del matrimonio, una sacramentalit oggi non pi cosl
ovvia, dato che sia i sacerdoti impegnati nel campo pastorale che gli
stessi laici 1 mostrano un certo imbarazzo su questo punto.
Se fosse cosl semplice, come fa intendere il CIC 1012, par. 1, ri-
condurla al volere di Cristo, non si spiegherebbe poi facilmente co-
me mai soltanto nel 1139, durante il Concilio Lateranense II (Ds
718), al matrimonio sia stata attribuita una religiositatis spedes
(solo l'eucaristia qui viene espressamente chiamata col nome di Sa-
cramentum; come mai per la prima volta il concilio di Verona
( l 184) abbia parlato esplicitamente del matrimonio in termini di sa-

cramento (os 761) e la lista completa del septenarius sia stata for-
mulata dal magistero solo nel 1274, durante il secondo concilio di
Lione ( os 680 ). Bastano queste osservazioni ad impedirci di porre
come punto di partenza, per le riflessioni che seguiranno, la formula
del concilio di Trento, il risultato pi appariscente di una lunga evo-
luzione (DS 1797-1812). Ne risulterebbe il circolo: il matrimonio
un sacramento, quindi esso un sacramento!
A. Auer ha ragione di dire che fondamentalmente fin dall'inizio
il matrimonio viene inteso come sacramento (DzT II, 275 ss.). Bi-
sogna per aggiungere che, nel corso della storia, questa sacramen-
talit venne compresa in modi cos diversi che oggi non ci si presen-
ta come un'enunciazione del tutto chiara. Il fatto che soltanto verso
il sec. XIII il matrimonio. venga annoverato tra i sette sacramenti e

1 Cf. l'analisi empirica Situation und Bediirfnisse der Ebe- und Familienpastorol
in der Diozese Chur, edito dall'Institut fiir Ehe- und Familienwissenschaft, Zfu:ich
1970, p. 144.
522 SACRAMBNTAUT Dl!L MATRIMONIO

che la Chiesa, nel concilio i Trento, lo dichiari ufficialmente uno dei


sacramenti (che non sono n pi n meno di sette), rappresenta qual-
cosa di nuovo se riferito alla precedente - cosl imprecisa - con-
cezione della sacra.mentalit, e pone anche l'interrogativo se qui l'a-
nalogia non possa far da ponte fra le diverse interpretazioni emerse
nel corso dei secoli. Tale questione solleva poi il problema pi con-
creto del valore che si deve riconoscere alla tradizione e quale sia la
opzione ermeneutica che si fa (anche qui si riproporrebbe quindi la
differenza esistente tra la concezione cattolica e quella protestante
del matrimonio). La teologia cattolica pu, oggi, optare semplicemen-
te ed esclusivamente a favore della propria tradizione? Non certo se
si muove nell'alveo di una rillessione interpretata in chiave storica.
Nemmeno il riconoscimento della tradizione si opera sul piano di
un modo fatalistico d'intendere la storia . .:E: quindi necessario aprire
il nostro discorso con alcune rifles~oni di tipo genetico, riordare
innanzitutto il dato ecclesiologico, teologico e della storia dei dogmi,
e soltanto in un secondo momento analizzare il dato di partenza
esegetico-biblico e la tradizione che lo costituisce. Una simile inver-
sione cronologica giustificata dal fatto che in tal modo ci riesce pi
agevole delineare innanzitutto una piattaforma, per condurre poi,
nella parte 11, delle riflessioni pi sistematiche.

I. Esame genetico

Chi intraprende un esame genetico, e quindi non si limita ad analiz-


zare semplicemente qualche momento storico, s'immette in un gine-
praio. Nel nostro caso, poi, le implicanze dell'evoluzione storica so-
no talmente varie e confuse che pressoch impossibile delinearle
senza forzature. Qui entrano in gioco, oltre che alcune componenti
esegetiche, dei momenti liturgici, sociologici, etnologici, antropolo-
gico-sessuali, storico-religiosi, giuridici, politici, pastorali, psicologi-
ci, morali e speculativi. Nonostante il numero relativamente ristret-
to di testi sull'argomento, non meno complicata la questione esege-
tica e sua interpretazione. Sarebbe gi un buon risultato, quindi, se
riuscissimo almeno ad esporre la problematica nel suo complesso,
anche se poi, in ultima analisi, ne deriverebbe un'aporia che ce ne
ESAME GE."IETJCO

rende impossibile la soluzione. Ci si restringe dunque ad una tema-


tica di carattere ermeneutico e topico, tanto pi indispensabile q~an
to pi incontrollati e irriflessi ~no stati gli elementi che conBuirono
nelle specu]azioni sul matrimonio e nelle relative norme ecclesiasti-
che, elementi cui non pu essere assegnato alcun specifico locus theo-
logicus.

a. Il dato storico

Nel matrimonio si sono sempre osservate delle dimensioni teologi-


che.2 Esso non fo mai avvertito, nemmeno da Lutero, come una co-
sa mondana 3 in senso stretto. La teologia evangelica ha sempre re-
spinto una teologia del matrimonio, e tuttavia oggi ammette che il
matrimonio abbia una struttura sacramentale, pur non essendo
sacramento.4
All'inizio per i cristiani valevano le stesse condizioni e usanze che
nell'ambiente pagano si richiedevano per la celebrazione dell'atto
nuziale. Qui non si conosceva ancora un matrimonio profano nel
senso che oggi questa qualifica ha assunto. Presso i romani lo sposa-
lizio era divini iuris et humani communicatio Cod. ]ustiniani IX,
32, 4). Dal punto di vista sociale, esso era regolato da norme pa-
triarcali, conformi alla composizione delle diverse schiatte. Nel pe-
riodo eHenistico la Grecia conosceva riti e benedizioni che venivano
celebrati e impartite da sacerdoti. Nel sec. 1 della nostra ra non
troviamo ancora nessuna traccia che ci consenta di affermare che i
cristiani dovessero conformarsi in modo diverso dai pagani agli ordi-
namenti sociali vigenti. 5 Per la prima volta con Ignazio d'Antio-

2 La panoramica a mio awiso pi approfondita sull'evoluzione della teologia del


matrimonio quella offertaci da E. ScmLLEBEECKX, Het Huweliik 1. Aardse Wer-
kelijkheid en Heilsmysterie, Bilthoven 1963; (tr. it. Il matrimonio, Ed Paoline,
Roma). Inoltre P. ADNts, Le Mariage, Le Mystre chrtien,., Toumai 1963 (trad.
it. Il matrimonio, Desde, Roma). Qui mi attengo soprattutto a ScmtLEBEECKX,
Het Huweliik; l'autore segue un metodo storico-critico ed approfondisce pi an
cora d: Adns la tematica. Cf. anche E. Hn.MANN, 'Sviluppo delle strutture del
matrimonio cristiano', in: Concilium 5/1970, ed. it. 40-'J'.
l Cf. O. LAHTEENMAKI, Sexus und Eros bei Luther, Turku 1955.
4 H. TT, 'Das Problem der Mischehe in dogmatischer Sicht', in: NZZ (n.
3.1967).
5 Cf. Ep. ad Diognetum 5: PG 2, 1173.
SACRAMENTAUT DEL MATRIMONIO

chia si profila chiaramente la preoccupazione pastorale che i cristia-


ni si astengllllo, nel celebrare il matrimonio, dal seguire certe usan-
ze della religione pagana, come ad esempio quella di sacrificare agli
idoli. Nella sua lettera a Policarpo, Ignazio raccomanda di celebrare
le nozze dopo aver ottenuto l'approvezione del vescovo, perch
questo atto si svolga secondo il senso di Dio; ma qui non s'im-
partisce una direttiva giuridica. 6
Anche nel sec. IV, dove troviamo le prime testimonianze di un
matrimonio celebrato sub benedictione sacerdotis, la benedizione
sacerdotale veniva impartita nel contesto di una festa di famiglia,
alla quale potevano partecipare il prete o il vescovo in qualit di
congratulanti od ospiti.' Ma gi nel sec. III osserviamo un approfon-
dimento teologico della materia, quando Clemente d'Alessandria po-
ne in relazione il matrimonio dei cristiani con la volont del creato-
re 8 e con il battesimo.9 In virt del battesimo il matrimonio santi-
ficato e non esige pi alcun'altra santificazione. In questa dottrine,
gi abbastanza evoluta, si trovano gi tutti quegli elementi che pi
tardi costituiranno, per cosl dire, il canone tematico della teologia
matrimoniale: il matrimonio non peccato, bench gi i nostri pro-
genitori ne abbiano abusato (peccato originale inteso come colpa ses-
suale!), e questa idea si afferma soprattutto tra i padri d'Oriente, ad
esempio Gregorio di Nissa; la procreazione il suo fine primario e
la raison d'tre de l'acte conjugal,1 mentre il fine secondario H
sostegno che la donna ( ! ) deve offrire al marito in casa e durante
l'infermit e vecchiaia. 11
Le orazioni e benedizioni che si usano stanno in chiaro e diretto
contrasto con le consacrazioni nuziali della religione pagana, ma non
presentano mai il carattere di direttive che contemplino una qualche
forma e validit giuridiche dell'atto nuziale stipu1'ato nella comunit
ecclesiale. Nel Signore si sposano i cristiani, che a motivo della
loro fede sono gi in Cristo. Per Tertulliano la formula nel Si-

6 5,2: PG ,, 723 s.
7 E. ScttrLLEBEECKX, loc. cit., r73.
8 Stromata 3,r7: PG 8, 1205.
9 Ivi, 4,2: PG 8, 1338.
10 P. AnNS, loc. cit., 48.
11 Stroma/a 3,12: PG 8, II84 e 2,23, 8, ro89, ro92.
ESAME GE..'IETICO

gnore equivale a quella dello sposarsi con un cristiano.u Eccle-


siastico rimane pur sempre il matrimonio profano che due battez-
zati celebrano in famiglia senza l'intervento giuridico di un ministro
della Chiesa. Questi cristiani vengono corroborati, secondo Tertullia-
no, dall'eucarestia ( confirmat oblatio ), ma anche' essa non assume
ancora il significato di una messa per gli sposi.13
Le prime testimonianze di messe nuziali ce le offre la Chiesa di
Roma nei secc. IV e v. Ma sono previste come obbligatorie soltanto
per i matrimoni celebrati da chierici di rango inferiore; 1 nei primi
dieci secoli non si conoscono messe analoghe celebrate per dei laici.
Fino a quel tempo, quindi, non si attribuisce un significato ecdesiale
al matrimonio come tale, bensl al matrimonio in virt del battesimo.
E le cose non mutano per il fatto che, :6.n dal sec. v, in certi paesi in-
cominci a delinearsi in modo pi chiaro una liturgia nuziale. Ci
che ad esempio Paolino i Nola descrive 15 innanzitutto un muta-
mento di ambiente: la festa di famiglia, che prima si celebrava in
casa, ora si celebra in chiesa o davanti alla chiesa (in facie ecclesiae).
Il capofamiglia accoglie gli ospiti, il sacerdote benedice la coppia
avvolta in un velo. Per la prima volta sotto il pontificato di Sisto
III (432-440) si parla di una m-essa nuziale facoltativa per1atcldal-
la condottaktepr~nsibile. 16 Innocenzo I 17 ptoffil-Cf'unpafllie la be-
nedizione nuziale a coloro che non conducevano una vita esemplare,
e ci dimostra che essa era prevista soltanto per le prime nozze, co-
me del resto fo prassi costante anche in seguito. Ma perch il matri-
monio risultasse valido, non si richiedeva la benedizione del sacer-
dote. In conformit all'ordinamento sociale esistente, ci che si esi-
geva era soltanto l'assenso del padre o il consensus della coppia
degli sposi, severamente imposto da papa Nicol I (558-567). 16 In
u Ad uxorem, 2,2: PL I, 1291 s.
lJ Per la controversa interpretazione della frase - che Tertulliano scrisse quan-
do era ancora cattolico - matrimonium, quod Ecclesia conciliat et confirmat
oblatio et obsignat benedictio, angeli rcnuntiant, pater rato habet. Nam nec in tcr-
ris filii sinc consensu patrwn rite et iure nubunl (Ad uxorem, 2,9: PL I, 1302),
cf. E. ScmLLEBF.ECKX, loc. cit., 174-176.
14 Papa Siricio (384-399), Epistola ad Himerium, c. 8: PL 13, II4I-Ir43; papa
Innocenzo I (404), Eptola ad Victricium, c. 4-6: PL 20, 473-477.
lS E. ScmLLEBEECKX, loc. cit., 180.
16 ANONIMO, Praedestinatus III, 31: PL 53, 670.
17 Loc. cit.; sinodo di Pavia (850), MGH cap., di. 2, 119, 2x-38.
18 E. ScmLLEBllECKX, loc. cit., 181.
SACllAMl!NTALIT DEL MATRIMONIO

genere si presuppone sempre, a seconda delle tradizioni locali, il con-


senso effettivo della coppia e/o del padre.
'f Nelle Gallie e in Spagna troviamo invece, al posto del velo e del-
la benedizione del sacerdote, la benedizione del talamo ( benedictio
in thalamo), in quanto si ritiene che l'ingresso nella camera nuzia-
le costituisca il momento culminante dell'atto matrimoniale, e se in
ltalia ci che sta in primo piano il consensus, qui troviamo in-
fvece la copula. La fusione tra le due teorie trover poi conferma
nel diritto ecclesiastico anc9ra in vigore (CIC can. 101.:;, par. 1 ),
dove in modo__ cluali&tko e __.Q.Qll l>iblicQ__fi4~-3--V.ete.t9..temmmtarla e
neotestamentari.a dell' ~una .C~!O s_i~ifica semplicemente comunio-
ne sessuale. Fino al sec. x l'Inghilterra non ci offre alcuna testimo-
nianza di riti ecclesiastici del matrimonio.
Parallelamente a questa concezione - la predominante - , secon-
do cui an~a._j_ cristiani_~ faccenda profana che
va regolata dalle norme della societ, incominci-; a delinearsi il ten-
tativo di considerarla, come diranno i cano~sti~es mixta. Per la
prima volta verso 1'845, con le Decretali pseudo-isidoriane, e per ra-
gioni non teologiche bensl giuridico-civili, si formula l'obbligo di
coptrarrc::___ _~t~if!t.Qnio davanti al prete.19 Il fidanzamento e la con-
segna della dote, fino allora contem_Elati soltanto dal diritto civile,
~engQD.Q~lesiastizzati-- nellalitt.rwa e nel diritto canonico. Il
matrimonio ora ;eccl~~astico non soltanto per il fatto che sono
due battezzati a contrarlo, come pensava Tertulliano, ma perch
anche ,J.l!l contratto ecclesiastico, munito del carattere di validit. Que-
sta pret~;;;- per n~~--~~P~~~--~v~~~:-~-;ero-ch~sotto-Pipino il
Breve, per l'influenza esercitata da Bonifacio,20 nel regno dei franchi
prese inizio un'evoluzione che al fine d'impedire, ad _esempio,il ma-
trimo!?io tra con"'~anguinei mirava a porre il lll~trfm~tii()_-!)Qtt2il con-
trollo della Chiesa. Il matrimonio entrava cosl nellia zona di confine
trtlg .Stat~~ la Chiesa. Ma, ripetiamo, questo non -per ragloiii teolo-
giche b~~si per--mofivi sociali e_ghiridico-civi_li. tfff periooo in cui la
Ia
Chiesa sta-dilatando sua ~;p;cit d'i~clcknza sull'assetto della socie-
t. Elementi del diritto local'e entrano cosl senz'altro a far parte del di-

19 FoURNIER - G. LE BRAs, Histoire des collections canoniqut:r en Occident


depuis les Fausses Dcrtales ;usq' Gratien, Paris 193r.
lO Sinodo della Chiesa bavarese, can. 12, MGH eone., di. 2.~n.
l!SAME GENETICO

ritto canonico. In un capitolare 21 dell'802, Carlo Magno dichiara


obbligo per tutto l'impero che il prete, prima della celebrazione del
matrimonio, esponga gli eventuali impedimenti matrimoniali, nella
sua qualit di ufficiale di stato civile. Ma questo provvedimento si
rese hen presto inefficace, in quanto i fedeli non erano obbligati, a
sposarsi in chiesa e quindi i sacerdoti non potevano essere a cono-
scenza di molti atti nuziali gi celebrati. Ci che qui doveva venir
espresso non era il carattere ecclesiale, bensi la dimensione sociale,
pubblica del matrimonio. Ci sar possibile soltanto con il concilio
di Trento, anche se non senza gravi difficolt durante il concilio
stesso e negli anni che seguirono.
Questo sviluppo, che mira ad un ordinamento giuridico ed eccle-
siastico del matrimonio, non dev'essere interpretato come una pro-
gressiva influenza che, intenzionalmente e sistematicamente, la Chie-
sa avrebbe voluto esercitare sulla sfera sociale, statale. g_ piuttosto
il risultato della funzione socio- clitica della Chiesa (specialmente in
Francia, dove i vescovi detenevano potere po 'tico) e e appelli
che i principi rivolgevano ai vescovi ed ai sinodi (ad esempio Ludo-
vico il Pio, in occasione del processo intentato da Nortilde contro il
marito Argenberto). 72 Non quindi facile nemmeno precisare l'esat-
to significato delle disposizioni ecclesi~_s_tiche emanate in questo pe-
riodo: iCO-nfini tra giurisdizion~ ecclesiastica e giurisdizione-profana
rimangono fluidi. Nei secc. XI e XII, la Chiesa possiede ormai una
giurisdizione c~mpleta in materia matrimoniale, inclusi gli effetti ci-
vili. Il ruolo del padre della sposa-:-Ilqu8Ie consegnala proprfanglia
allo sposo, viene sempre pi decisamente assunto dal prete. La re-
'--
lativa formula liturgica: Et egoTl.e~ sae"ixlos-Y-"oruungo VOS com-
pare per la prima volta nel sec. xxv.23 Tutti i simboli in uso, come
l'anello, il congiungimento delle mani, il velo, ecc., vengono intro-
Jotti anche nella liturgia. Il motivo di questa ecclesiastizzazione
del matrimonio non y~_cerc:a,to nel c:~rattere sacramentale, che anco-
ra non uno degli el~enti costitutiytdel matrimonio stesso (il con-
sensus e/o la copula), bensl nella liturgia presieduta ..clal sacer-
dote. Questa diventa per, come vedremo subito, un locus theologi-

21 MGH eone., di. II-I, 191.


22 De divorcio Lothari et Teutbergae: PL 125, 633 ss.
23 E. ScmLLEBEEcKX, /oc. cit., 191.
SACRAMENTALIT DEL MATB.IM6NIO

cus decisivo per la speculazione sul carattere sacramentale, di cui


fino ai secc. XI e XII non si possiede ancora chiara coscienza.
Ma prima di affrontare questa tematica, facciamo ancora un salto
all'indietro, verso Agostino, il maestro del matrimonio cristiano
(Adns), che ha esercitato un'influenza determinante sulla teologia
matrimoniale dell'Occidente. Ci che a lui innanzitutto premeva af-
fermar~r!lL v4pre etico del matrimonio. Il matrimonio buono. 24
Per quali ragioni? Per il bonum tripartitum che esso racchiude:
proles, fides, sacramentum;i!> procreazione, educazione dei figli, fe-
deltroniugale, s.iDibOlo <IdFurui:-fra Ciisto e la Chiesa, con la con-
seguenza dell'unit e dell'indissolubilit. Bench al primo bonum
vada ascritta una posizione preminente, il sacramentum ancora
pi elevato. In nostrarum quippe nuptiis'" plu~ valet sanctitas sacra-
menti ~uam fecunditas uteri. 26 Il sacramentum sta a caratteriz-
zare il simbolismo ecclesiale affermato in Eph. 5,32. Questa era an-
che l'opinione di Tertulliano.11 J>rima di lui, Lattanzio (sec. m) usa-
va il termine nella sua accezione pi antica di sacramento come giu-
ral.!!.ento,. quincll un. matrimonio con,_si4erato nel suo obbligo alla fe-
delt.-invlolabile.111 Agostino lega insie~~Tclie-momen'ilevede in
questo legame l'elem~intivo del matrimonio contratto fra cri-
Wani: 29 come indissolubile_ la relazione Cristo-C'liiesa:COsl pure il
matrimonio indissolubile. Come l'effetto del battesimo indistrut-
tibile.__g~) ~!lche._~_o_n il matrimonio ci si sposa per sempre:10 Per Ago-
stino, dunque, il ~~-tri~onio-ln-quanto- cosa santa e segno di una
realt santa sacramento nel senso pi lato. Ma lo anche nella
sua ac~io~;-p-il:i ri~t;;tta? - sorg_e.nte_Q.Lgrazia? Agostino non lo
affem..ma.L in modo esplicito ... . 31
Matrimonio come sacramento in senso stretto, questo il risultato
cui giunge la teologia speculativa dei sec. xr-xm: il sacramento
un'azione rituale che esprime e conferisce nel segno la grazia. Ci

24 De bono conjug., 3: PL 40, 375.


2.1Ivi, 32: PL 40, 394.
26 Ivi, 21: PL 40, 388.
TI Adv. Mare., 5, r8: PL 2, .5I8; Exhort. casi., 5: PL 2, 920 .
28 Epitome, 61: PL 6, 1080.
29 De bono conjug., 7: PL 40, 378.
30 De nupt, et eone. 1, xo, u: PL 44, 420.
31 P. ADNS, loc. cit., 7.5 (traduz. dell'autore),
F..SAME GENETICO

che prima aveva la sua importanza nel determinare le dimensioni teo-


logiche del matrimonio era la sua istituzione da parte del creatore e
l'aspetto ecclesiologico ricavato dal battesimo. Il carattere sacramen-
tale non veniva cosl attribuito al matrimonio stesso, ma lo si deriva-
va,daL~ramento del battesimo. Tertulliano poteva dedurre anche
certe conseguenze che non valevano soltanto per la vita matrimo-
niale dei cristiani ma anche per la vita cristiana delle persone sposa-
te. Nei primi secoli, Eph. 5,21-23 viene interpretato non come 'una
enunciazione sul matrimonio, sul rapporto tra uomo e donna, bensl
ed esdusivamente come modo d'esprimere la relazione esistente tra
Cristo e la Chiesa. Agostino per primo afferma, fondandosi su Eph.
5,32, il matrimonio come sacramento in senso duplice: quale vinco-
lo indissolubile (sacramentum-vinculum) e quale segno sacro (sacra-
mento-signum) dell'unit fra Cristo e la Chiesa (quindi sempre in un
contesto ecdesiologico ). Il vinculum un'obbligazione morale e
non~.c::.0!11.e .E~:l!. ..!_ardi nel medioevo, vincolo ontologico.32 L'indissolu-
bilit del matrimonio cosl un er tivo etico, fondato sul sim-
bolismo_4.tltunit!_inscindibile Cristo-Chiesa. Si pu scio 1ere un
matri!llonio, m~ 1Z-1Z_l_ lecito farlo. Quando ci si verifica, non cessa
l'obbligazione nei confronti del partner. L'indissolubilit viene de-
riva!!_A?._l. bonum sacramenti. In tutta la patristica il carattere sa-
cramentale del matrimonio costituisce la nota dominante: il matri-
monio come indicazione della salvezza in Cristo. Anche la scolastica
avverte questo carattere simbolico, ma lo interpreta come segno effi-
cace: il matrimonio esso stesso un vincolo ontologico, e non pu
fificamente_ __ veoir~isso. Il punto di coinciden~C:On Ia dottrina
patristica sta nel porre l'indissolubilit in rapporto con il sacramen-
to. Ma esiste anche una profonda differenza nei modi di coglierne
il contenuto, come vedremo in seguito.
Soltanto dopo che la Chiesa, tra i secc. x e XI, di fatto fu in grado
di esercitare la piena giurisdizione in materia matrimoniale, il ma-
trimonio divenne oggetto di un'ampia e approfondita controversia
teofogico-dogmatica. Qui l'attenzione inizialmente si concentr non
su problemi teologici bensl su aspetti d'ordine antropologico e giu-

32 E. SCHILLEBEECKX, /oc. cit., p. 194. Cf. anche PH. DEUIAYE, 'Fssazione dogma-
tica della teologia medioevale. Sacramento, vincolo, rato e consumato', in Concilium
5/r970, cd. it., 106 ss.
530 SAC!lAMl!NTALIT DEL MATRIMONIO

ridico: che cosa rende il matrimonio tale? II consensus o la copula?


Solo pi tardi affior anche la questione t~Iogica: in quale dei due
momen,Y si gova il sacramentum (o la materia sramenti)? Questa
tematica si profil ~ti() Sfondo di due diversi sistemi giuridici: quel-
lo rom~~umti>Jconsen.)'us) e qu~llo germanico-franco, che si avvi-
cinava di pi alla concezione giudaica e che neI mafomomo affermava
il ~ll!o della procreazione. I teologi erano pi propensi ad ~a
re la pruna I&s.WOn,Tcari~onda. Nella prima scolastica
troviamo tre diversi tentativi di risolve;~il problema: 1. II matrimo-
nio essenzialmente comunione sessuale, e la volont si traduce nel
cons~;; (A.~t~na-50:-- con7unetio- illquae est in actu carnali); 33 2. II
matrimonio~1!!__5_()~_1:1nione spirituale di vita, che essenzialmente
non richiede anche le comunionesessuare;ma alla quale pu aru:he
estendersi (procreazione intesa come officium del matrimonio; il ma-
trimonio di Giuseppe come ideale; il matrimonio come coniu-
gium ); 34 3. Il matrimonio visto, in prospettiva sociale, come fon-
damc;nto dell'ambito vitale di cui ~-_B_&l_!__hanno bisogno per il loro
Slilluppo (il matrimonio; Isidoro di Siviglia: - matrimonium quasi
mattiL!!!_J-l!Jiu_m,j,e_. <Jffijtj_m qu<ld._daL111"!l_ieribus esse matrem).35
Verso la met del sec. xn, sia l'orientament'a-teologlCocne quello
canonistico giungono, ognuno seguendo la propria strada, ad una
sintesi fra_la_ teoria c!el consensus e la teoria della copula: cosl
Pier Lombardo (la concezione della ~Chiesa lTieGilie} e- ir De-
creto di Graziano (la concezione della Chiesa di Roma ).36 Stando a
quest'ultimo, il consenso (matrimonium ratum) la causa efficiente
del matrimonio, ~~ P"erch~-sso--sfi i~dissolubiie necessari~che vi
acceda anche l'atto sessuale (matrimonium consummatum). Pier Lom-
bardo pone.llivece raccenfo- esNgy~ef!_~~.consenso, nel quale
egli vede il sacramento dell'unit fra Cristo e la Chiesa nel senso di
simbolismo sacrale, che pu ma che non necessariamente anche deve
tradursi in una comunione sessuale. Il consenso fonda una comunione
matrim_(}fliale indissolubile, che va oltre la pura volont di una comu-
nione sessuale. Come Ugo di S. Vittore, anche Pier--LOmbardo vede

n Cf. J Z1EGLER, Die Ehelehre der Poenitentialsummen, Regensburg 1956, 35 s.


34UGO DI s. VITTORE, Dig., 32, 2, I.
35 Etymol. 1x, 8, 19: PL 82, 366.
36 E. ScttILLEBEECKX, loc. cii., 202 s_
ESAME GENEnco

il nucleo formale della comunione matrimoniale nell'unio anima-


tum.37 Sia il Decreto di Graziano come pure Piet Lombatdo ebbero
una notevole autorit nel medioevo, e ci condusse anche sul piano
pratico, data la diversit di impostazione, a delle forti divergenze ed
incertezze giuridiche. Cosl ad esempio, mentre in Italia il matri-
monio che non aveva conosciuto un compimento sessuale veniva sciol-
to, nelle Chiese franche era dichiarato indissolubile. Soltanto nel sec.
xm si giunse alla sintesi, che nel matrimonio integr, ora in una
realt pi ampia, tutti e tre gli aspetti ricordati: comunione sessuale,
unione spirituale, fondamento della famiglia.
In parte isolata e in parte parallela a questa controversia fra
canonisti e teologi, si svolge la discussione teologica sulla sacra.men-
talit del matrimonio nel contesto della teologia sacramentaria. An-
che qui, rutti~~-.-f;~1-s-ec~c.--=x=-1-e--=xx=1=1-affi"'-or=-a::-:r-o_:n~o-m=ilrlti tentativi d'im-
postare in termini diversi la questione. Un ruolo importante, come
locus theologicus, venne svolto dalla liturgia nuziale, specialmente
quella di Roma, che pqi_!rov imitazioni anche in altri paesi. Essa
ci presenta un 'interessa~tis;~;-~~i~ine~ -liikiaimente-inaturata' su
uno sfondo etnologico. Da principio essa si limita ad affermare, cri-
stianizzandm~. il __vecchio fl,a_~"!eum r_c_>~o, la velatio _1tuptialis o
velatio amborum. 31 Poco a poco subentr :la benedizione della sposa,
un eiemento che s'imporr fino al punto da rimanere l'unico, come
ce lo testimoniano espressioni ancor oggi in uso: messa della sposa
( = messa nuziale), benedizione della sposa, istruzione della spo-
sa ( = istruzione della coppia), esame della sposa ( = esame ma-
trimoniale). Questo spostamento d'accenti, dalla coppia alla sposa,
motiva!o dall'influenza esercitata dalle concezioni franco-g~m~~e,
per le quali l'elemento essenziale dell'atto di matrimonio consisteva
nel!~ tradi~i.C?_ puellae.39 Questo fattore popolare-sociale fu giusti-
ficato poi con delle chiare motivazioni teologiche: la sponsa velan-,
da posta in parallelismo qon l'ancilla Dei velanda, quindi la bene-
zione della sposa con la consacrazione della vergine, la sposa dell'uo-

17 IV Se11t., d. 28, c. 3.
l<IK. RITZER, Formen, Riten u11d religiOse Bra11chtum der Eheschliessu"g in de"
christlichm Kirchen des erste" ]ahrtausends, Miinster Westf. 1962, I]3. - J.P. DE
)oNG, 'Brautsegen und Jungfrauenweihe. Einc Rekonstruktion des altromischen Trau-
ritus als Basis fiir thcologische Besinnung', in: ZKTh 84, 1962, 300-322.
39 K. R1TzER, loc. cit., I94
532 SACRAMENTALIT DEL MATRIMONIO

mo -con la sposa di Cristo. Il simbolismo Cristo-Chiesa unifica le due


liturgie. La consacrazione della vergine, che sfruttando l'antica tra-
dizione romana ricorreva al rosso velo della sposa, divenne cosl mo-
dello per la liturgia stessa del matrimonio ecclesiastico. L'uomo, in
quanto capo della donna, rimane a capo scoperto. Egli itnma-
gine di Dio e quindi non ha bisogno della benedizione, che viene
impartita soltanto alla debole donna.40 Servendo al marito, ella ser-
ve contemporaneamente (e mediatamente) a Cristo, mentre la ver-
gine consacrata serve in modo diretto. Lo si afferma riferendosi
espressamente a r Cor. 7,32 ss. Come la vergine nella consacrazione,
cosi anche la sposa acquista il suo stato di vita nella Chiesa median-
te il matrimonio. La verginit esprime in modo diretto il rapporto
che intercorre fra Cristo e la Chiesa, e quindi non sacramento e
nemmeno sacramentum-signum. Il matrimonio invece, in quanto ~eal
t umana e terrena, diventa segno, figura, tipo di quel rapporto, e
quindi un sacramento. La prima non assume alcun significato intra-
mondano, ma porta in s la dimensione cristologico-ecclesiologica;
il secondo ottiene la stessa dimensione tramite la benedizione impar-
tita dal sacerdote. Qui il carattere sacramentale del matrimonio viene
dunque scoperto alla luce (od all'ombra) del celibato per il regno dei
cieli.
Il matrimonio quindi sacramentale, ma non ancora affermato
come settimo sacramento. La riflessione sulla liturgia e sul suo signi-
ficato teologico inizi tra il sec. XI e il sec. XII. L'occasione storica
venne offerta dall'atteggiamento negativo assunto da certe correnti
catare e albigesi, avverse al matrimonio ed alla sessualit. Di esse si
occup il concilio Lateranense II, nel I I 39. dl concreto Sitz im Le-
ben di un'esplicita presa di coscienza della 'sacramentalit' del ma-
trimonio sta nella difficile situazione venutasi a creare in quegli an-
ni, quando la Chiesa si sent costretta ad approfondire il valore e la
santit del matrimonio.41 La teologia sacramentaria stava organizzan-
dosi proprio in quell'epoca ed offrl quindi il suo armamentario con-
cettuale.
Finora, ogni qualvolta il matrimonio veniva inserito nella sfera

.j() Per i dettagli, vedi E. SCHILLEBEECX, /oc. cit., 2I22I .:i.


41 lui, 216.
ESAME GENETICO
533

del sacramentale, ci si riferiva sempre al dato liturgico. La realt


terrena del matrimonio era concepita come indicazione della miste-
riosa unit ehe lega Cristo alla Chiesa. La prima e l'alta scolastica
incominceranno a chiedersi in che cosa consista precisamente questo
mistero in riferimento al matrimonio.

Possiamo articolare la risposta che si diede al problema illustrando quat-


tro diversi indirizzi:
1. La benedizione del matrimonio, da parte del prete, il sacramento e
non il matrimonio stesso. infatti la concretizzazione liturgica della be-
nedizione impartita da Dio alla creazione (Gen. 1,28). Ma il matrimonio
non si effettua tramite questa benedizione, bensl mediante il consenso.
Mentre Tommaso d'Aquino, pi tardi, considerer la liturgia come un
sacramentale,'42 parecchio tempo dopo di lui Melchior Cano vedr in essa
la forma sacramenti.-0 La trasposizione del carattere sacramentale nel-
l'azione liturgica tipica anche della Chiesa d'Oriente, che vede quindi
nel sacerdote l'autentico dispensatore del sacramento. Questa idea non
si afferma invece in Occidente, per quanto in questi ultimi tempi, parten-
do da premesse totalmente differenti, alcuni abbiano intrapreso un ten-
tativo in tale direzione.44
2. Il sacramento il matrimonio stesso. Ogni matrimonio, anche quello
tra persone non battezzate, un sacramento. Ma solo ai battezzati esso
porta frutto ed elargisce grazia; solo queste persone hanno anche la res
sacramenti (Anselmo di Laon,45 Ugo di S. Vittore"). Questa sacramen-
talit dev'essere obiettivamente intesa come sacrame.nto di Cristo e della
Chiesa; il matrimonio non pu venir sciolto perch il Cristo non si rende
infedele alla sua Chiesa. La realizzazione soggettiva sta nell'amore coniu-
gale, che rende partecipi della grazia divina. Un amore che potr anche
cessare, senza per che questo renda invalido il matrimonio.
3. Fino al sec. xn, in primo piano troviamo sempre l'idea agostiniana del
sacramentum-signum. In quanto segno, per, il matrimonio non rispecchia
ancora perfettamente il concetto di sacramento, in senso stretto, della
scolastica. Non ancora visto come segno efficace e fonte di salvezza.
Nonostante che nella seconda met del sec. xn il matrimonio venisse in-
trodotto nel settenario, e bench si fosse ormai ovunque affermata, nel-

42 In IV Sent., d. 28, q. 1, a. 3 ad 2; d. 26, q. 2, a. 1 ad I.


43 De locis theologicis vm, c. 5.
Vedi sotto alla p. 537.
44
Sententiae, Tracf. de sacr.
45
46 a. w
.E. GosSMANN, 'Die Bcdeutung dcr Liebe in der Eheauffassung Hugos
von St. Viktor und Wolframs von Eschenbach', in: MThZ :; (1954) 205-213.
SACllAMENTALIT DEL MATRIMONIO
534

la teologia sacramentaria, la distinzione fra simbolismo sacrale e virt


santificatrice del sacramento, non si riconobbe ancora ad esso l'efficacia
salvifica. Questa venne attribuita invece alla consacrazione delle vergini
ed all'unzione dei re, due riti che il settenario non prevedeva. Secondo
Schillebeeckx, l'assunzione del matrimonio nel settenario sta ad espri-
mere quella coscienza di fede che anticipa il riflettere teologico sul preci-
so contenuto del matrimonio come sacramentum. Il signum, secondo il no-
stro autore, sempre stato messo in relazione, fin nel m000 d'interpreta-
re il logion di Ges sull'indissolubilit, con il sacramentum-vinculum,
gi dal tempo di Agostino. 47 Questa opinione non suona del tutto convin-
cente, perch abbiamo gi visto che il vincolo coniugale fu interpretato
da Agostino come di tipo morale, e solo con la scolastica anche come di
tipo ontologico. Oie cosa poi racchiuda l'esigenza di un matrimonio in-
dissolubile avanzata da Ges, lo approfondiremo in seguito.
4. comprensibile che, una volta che il matrimonio venne assunto nel
settenario sacramentale, ci si ponesse anche il problema se la sua sa-
cramentalit dovesse intendersi in senso proprio o non invece attenuato.
La riflessione si mosse tra molte incertezze ed a piccoli passi. Alessandro
d'Hales non volle in un primo momento riconoscere questa piena sacra-
mentalit al matrimonio, perch riteneva non si potesse nemmeno parlare
di una sua istituzione da parte di Ges. 48 Verso il n85 Rufino addus-
se delle motivazioni d'ordine morale: il matrimonio ha a che fate con
la sessualit e queste cose non possono essere fonte di salvezza, per
cui non entra in considerazione la sua piena sacramentalit.49 I primi ri-
conoscimenti, in qualche modo positivi, pongono in primo piano il ca-
rattere medicinale del sacramento del matrimonio, cio il rimedio del-
le conseguenze derivateci dal peccato d'origine (remedium concupiscen-
tiae). Cosl lo scofaro di Abelardo, Magister Hermannus, scriveva: Hoc
sacramentum mali remedium est, etsi bonum non conferat.50 Un po'
pi benignamente si esprimeva invece Guglielmo di Auxerre: il matri-
monio non comunica grazia alcuna, tuttavia esso mantiene nella grazia
di Dio.51 Guglielmo d' Auvergne parla di un aumento di grazia, procu-
rato per non dal matrimonio bensl dalla liturgia nuziale. 52 Alessandro
d'Hales, pur non essendo favorevole al pieno riconoscimento di una sa-
cramentalit in senso stretto, ed opponendosi all'ormai cqmmunis opi-
nio del numero settenario, argomenta in modo alquanto aprioristico: se
il matrimonio rientra fra i sette, deve comunicare la grazia, perch es-
47 Loc. cit., 227 s.
43 Glossa in Sent. iv, d. 26, c. 1.
49 Summa Decretorum, Causa 32, q. 2.
so Epitome, 31, PL 178, 174'
SI D. VAN DER EYNDE, Les dfinitions des s11crements, Roma/Lov.anio 19:;0, p. 108.
52 Tract. de sacramento matrimonii (G. LE BRAs) in: DTbC IX/2, 1927, 2209 s.
ESAME GENETICO
535

sere segno e sorgente di grazia una caratteristica dei sette sacramenti.5.1


Bonaventura crede nel catattere medicinale, ma si chiede anche come
possa essere strumento di salvezza un matrimonio che non comunichi
alcuna grazia (aliquid gratiae bonum ).54 Alberto Magno qualifica questa
concezione come multum probabilis.55 Tommaso, nel Contra gentiles,56
riconosce al matrimonio una positiva efficac:iia salvifica. Nella Summa
theologiae la trattazione del matrimonio rimasta incompiuta.
In breve, l'imperativo etico-agostiniano dell'indissolubilit sfocia in una
assoluta unit metafisica.

Il concilio di Trento ha consacrato ufficialmente, e sul piano dog-


matico, l'esito cui l'evoluzione era giunta nell'alta scolastica (ns 1801-
1812). Il matrimonio comunica la grazie (ns 1801). Gratiam vero,
quae naturalem ill.uro amorem perficeret, et indissolubilem unitatem
confirmaret, coniugesque santificaret, ipse Christus, venerabilium sa-
cramentorum institutor atque perfector, sua nobis passione prome-
ruit (ns 1799).
La Riforma non accett il matrimonio come sacramento, nel sen-
so di segno sacro e salvificamente efficace, come donum gratiae; ma
questo rifiuto trova la sua spiegazione in certi motivi politici, pi
che teologici. Non si ammetteva che la Chiesa potesse vantare una
giurisdizione in materia matrimoniale, e nel modo corrente d'inten-
dere il matrimonio si vedeva il tentativo di legittimare tale prassi
anche sul piano teologico. Questo giudizio non rispecchia forse t.a
reale situazione storica, tuttavia non si deve nemmeno dimenticare
che, come la storia della Chiesa insegna, la riflessione teologica
subentrata in un secondo momento, per giustificare una prassi ormai
in vigore. Lo abbiamo gi chiaramente osservato quando si trattava
di stabilire la rilevanza teologica assunta dalla liturgia nuziale: ini-
zialmente obbligatoria soltanto per il clero di rango inferiore e fa-
coltativa per i laici, anche in seguito, fino al concilio di Trento, non
si presenter mai come una componente costitutiva del matrimonio,
ma garantir semplicemente determinati effetti giuridico-civili. E
nemmeno con il Tridentino si and oltre. Ci verso cui si mirava, in-

5l Glossa in Sent., IV, d. 26, c. 7.


5' IV Seni., d. 26, a. 2, q. 2. conci.
55 IV Sent., d. 26., q. 2, a. 3.
56 IV, 78.
SACllAMENTALIT DEL MATRIMONIO

fatti, era una sicurezza giuridica mediante una forma normativa (pre-
scrizione che non doveva creare alcun turbamento), quindi la stessa
univocit che ai nostri giorni viene garantlta dal matrimonio civile
obbligatorio.!17 Si aggiunga tuttavia che H concilio si sforz di preci-
sare l'interazione fra i due momenti, quello giuridico e queHo teo-
logico, il rapporto fra sacramento e contratito, e tale chi.arifcazio
ne verr poi sempre pi decisamente affermata come il fondamento
su cui si regge il diritto inalienabile deJ.tla Chiesa di legiferare in ma-
teria matrimoniale.
Comunque nel periodo post-tridentino l'evoluzione fu caratteriz-
zata dagli sviluppi che si ebbero nel campo del diritto canonico. Do-
po la separazione dello Stato dalla Chiesa, ci si preoccup soprattut-
to di difendere i poteri giurisdizionali della Chiesa in materia matri-
moniale. In tale contesa ebbe la sua importanza, anche sul piano teo-
logico, il cosiddetto diritto acquisito. Mentre durante il concilio di
Trento la ragione per cui si ritenne di dover ordinare la materia ma-
trimoniale era il desiderio di giungere ad una sicurezza giuridica, in
seguito l'accento si spost sul profondo legame esistente fra litur-
gia nuziale e forma giuridica, dove quest'ultima venne posta in stret-
tissimo rapporto con l'attivit salvifica e mediatrice della Chiesa stes-
sa.58 Cosl Morsdorf pu ad esempio affermare che la cooperazione pre-
stata dal sacerdote nell'atto nuziale costituisce un elemento essen-
ziale, quindi costitutivo, del matrimonio sacramentalmente inteso.59
L'evoluzione subita dal concetto di Sacramentalit in riferimen-
to al matrimonio d offre un ottimo esempio dello sviluppo della in-
tera teologia sacramentaria. Fino all'alta scolastica, che incomincer
a precisare in modo estremamente chiaro il segno sacramentale (sa-
cramento = contratto), il concetto di sacramento rimne. molto
fluido. I singoli sacramenti appaiono ancora come delle traduzioni
storiche dell'unico 'sacramentum', del nesso fondamentale della sto-
ria di salvezza. I sacramenti sono concepiti in chiave cristologica,

57 F. BoKLE, Das Problem der bekenntnisverschiedenen Ehe in theologischer Sicht,


Freiburg 1967, I!J-27.
58 Chiarissima questa posizione in K. MoRSDORF, 'Der ritus sacer in der ordentli
chen Rechtsfotm der Eheschlicssung', in W. DiiRIG (a cura), Liturgie, Gestalt und
Vollzug, Miinchen 1963, 252-266, spec. 265 s.
59 Alcune osservazioni critiche al proposito in K. RAHNER, 'Die Ehe als Sakra
ment', in: Schriften VIII, 535 s., nota 33.
ESAME GENETICO
;37

poich Cristo il vero contenuto di questa storia, l'autentico 'sacra-


mentum' fra Dio e l'uomo. Qui per la figura di Cristo non anco-
ra, come lo sar invece pi tardi, quella del legislatore che ha isti-
tuito i singoli sacramenti, tutta una serie di atti che conferiscono
quindi all'esterno la grazia. Il vincolo che congiunge i sacramenti a
Cristo viene piuttosto considerato come un legame con il 'mysterium
Christi', il quale avvolge l'intera creazione e si manifesta e adempie
lungo il corso della storia, anche di quella successiva all'avvento di
Ges.60 Ai nostri giorni la teologia ha ripreso a muoversi in questa
direzione.

b. Il dato biblico

Quando si elaborano i dati offertici dalla storia, si rimane sorpresi


nel constatare lo scarso rilievo che i testi biblici hanno avuto nei di-
versi tentativi di giustificare la sacramentalit del matrimonio. E ci
vale ~,c_he per.,gp_q,,_j1 21-32, uno dei testi apparentemente pi adat-
ti allo scopo. vero che esso venne inserito, come fondamento bi-
blico esplicito e sicuro, in uno schema preparatorio ai canoni sul ma-
trimonio, che il concilio di Trento avrebbe dovuto approvare. Ma
anche yero ~~uesta proposta non raccolse l'unanime consenso dei
padri conciliari, e ci che nel testo definitivo leggiamo soltanto che
Paolo q..i suggerisce (innuit. ns ~799) 61 la sacramentalit del ma-
trimonio. Ma non opportuno fermare la nostra attenzione sui sin-
goli testi, perch si arrischierebbe di dedurre troppo frettolosamente,
nel nostro tema, certe conclusioni affermative o negative. Si richiede
piuttosto di esaminare, sulla scorta degli studi esegetici che oggi
possediamo, alcuni testi che s'inquadrino in una cornice pi ampia.
Nell'abbozzo storico, che abbiamo appena delineato, tra le altre cose
emerso chiaramente che il carattere sacramentale venne sempre pi
associato all'indissolubilit del matrimonio. Ora cercheremo quindi
di approfondire questo nesso fra sacramentalit e indissolubilit, e
ci tenendo anche conto delle difficolt che oggi si devono affrontare
in campo pastorale.
60 J. lTZINGER, 'Zur Theologie der Ehe', in: Tbeologie der Ehe, Regcnsburg
1969, 91.
61 a. E. Sc!iILLEBEECKX, loc. cit., :1.48.
SACRAMENTALIT DEL MATRIMONIO

aa. Esegesi e spiegazione del matrimonio come sacramento. Il


-tb ua-ri)pLov 'tOV'tO ty11 (Eph. 5,32b; Volgata: sacramentum hoc
magnum) che attende ancora d'essere chiarito, polarizz continua-
mente i diversi tentativi che miravano ad offrire una legittimazione
biblica della sacramentalit del matrimonio. Ma secondo R. Schna-
ckenbur_g~.~?_!l_~~--1:"1~-~~l!~:al!!~-~?_s_E_enere62 che queste parole si ri-
feriscano al matrimonio. L'autore adclice tre motivi: a) Il termine
my~(~;;;,;;, n.el contesto, pu riferirsi soltanto al passo di Gen. 2,
24, citato al v. 31, che altrimenti rimarrebbe isolato. Ma allora non
si "\id~ i'a che modo si possa qualificare il matrimonio come miste-
ro. b) In secondo luogo, il v. 5,32h intende chiaramente proporre
un'e~e~i -~yersa. 4~~ ~tre (Ma io penso o spiego ... ). e) Infine,
non dev'es!ISC..A E!__&_tl:".~t:>~~o_ Q. !!!~~~Ilo. della Chiesa cristiana, ma
viceve!'.a.. W.@Al.!LCristo_.<'!_. la.. hiesa c;~empiO~ mOdello ed anoor pi
entit deteonio!nte ~!"- il lll!l~ri!ll<>!lio _~ iLcomportam~t2.__clie nel-
la vita matrimoniale si deve assumere. Lo sottolinea anche il verset-
to che segue. Il v. 32, quindi, un'interpr~~iQne 4i_Gen. _2,24 alla
lu~,.di .. Cristo e _della ..Chiesa. Schnackenburg conclude affermando
che i vv. 3 1 s. non possono venir immediatamente utilizzati per
comprovare un significato sacramentale (ivi). Non si pub quindi
dimosmm: .clic..il ..!Datrimonio un sacramento fondandosi su una
frase o addirittura ~~-w;_~ parola_ i.ti essa roritniiti--Per H. Schlier il
fondamento della sacramentalit del matrimonio non ci viene offerto
dal termine (( mysterion' hensl dall 'i;t~~~- ~~~~h;i;;n.~ roni:emrti nei
v~friT 5,21-33. Il rapporto matrimoniale qui non posto a con-
fronto- cori l'atteggiamento di Cristo nei confronti della Chiesa; si
dice piuttosto che es~ pe..,eo.stimj__se il_ P!<?tO!~~'?)le attende d'es-
~e,re attu.!lto. La copia ~i~!I~. ~ostituita nella sua essnza dall'esem-
..Pl~!<'..-~ :Baltensweiler osserva p~ri)"die;-m-tarmOlo~--r matrimonio
verrebbe in qualche modo ~sto sullo ~t-~ssa. p_~o_ __dell'.ev:ento di
Cristo e quindi conterrebbe in se stesso la salvezza. Ma di ci il
testo non parla affatto. Qui infatti non si mira-a precisare la natura
del matrimonio, bensl a comprendere la realt_coniygale_ '?O_l!.!.e attua-
~one di vita. Si rivitalizza cosl la componente cristologico-ecclesio-
62 R. SCllNACKF.NBURG, 'Die Ehe im Neuen Tcstament', in: Theologie der Ehe, Re-
gensburg 1969, 29.
63 H. ScHuER, Der Brief an die Ephe:ser, Diisseldorf 31962, 263 (trad. it. Lettera
agli Efesini, Paideia, Brescia).
F.SAME GENETICO
539

logica del matrimonio, per esprimere la quale ci si deve servire, se-


condo l'au~ soprattutto deL.coru:eJ~entaziane: Nel
matrimonio dei cristiani si attualizza il rapporto ch~_fristo intrat-
tiene_c:o!l_ la sua C:~!!l_l!n!!. I!: dunque certo che qui, in questo luogo,
si att:;y.a la salvezza (cf. I Cor. 7,u-16). Non per in quanto il ma-
trimonio verrebbe elevato alla dignit cristiana, ma solo perch qui
si rende visibile ci che nell'ordinamento della crea.zione il ma-
trimonio significa.64 Questa e anne la.dirett-rice -~~rso cui si muove
Schna~kenburg: il vincolo coniugale che si stabilisce fra i cristiani
qualcosa di pi che un matrimonio puramente naturale; esso pos-
siede a_P!.iori una dimensione diversa, pe.tcl si trova inserito nella
cerchi~ dl-~~-~dfdomii;o__di_risto. Si tratta quindi di un nuo-
vo rappotUO-esiuenziale vissuto nell'area .
cristiana, che implica que-
------~---------~--- ~"~---~

stioni che concernono la giustificazione, la grazia e i sacramenti in


genere. Questo ci porta al di fuori dell'orizzonte immediato entro
cui si muove la riflessione neotestamentaria.65 Anche l'autore si ri-
chiama a I Cor. 7,r4, ma non chiarisce in che modo questo passo va-
~ . - -- -------------..------
da interpretato. L'influenza santificatrice che il coniuge cristiano
esercita~ part!.'!!J:_non cristiano o sui figli potrebbe stare ad indicare
il fatto che nel matrl~nioar cristiano- (sotto[ dell'autore) viene
assegnata una c~_Q~c_i_t. d'im;i<l~_i.\.. di J:.ipo..s.QPtlIDP...!mrale._JLguale
rimane preclusa al coniuge non cristiano.66
Ma esistono valide ragioni - e questo interrogativo chiarir i
termini del problema - per affermare una simile incidenza di tipo
soprannaturale comc:__esclusJva. _e_~~ifi~_9el matrimonio? O non
si afferma qui in modo esemplare ci che pu verificarsi anche in al-
tri rapporti intf!:_W!J~Pi.fr~_i cris~iani ~ !r_a_q~~_sti ~-~~~~-in ge-
nerale? Se cosl fosse, il matrimonio non sarebbe altro che una delle
ri-pi:esentazioni dell'.ev_entQ_salvifo:Q e q,~1imit![i~-"'!9 dei tonti mo-
di co_ncreti di esprf171ere qtl_(!Stf!. !.!.af.t. Secondo il d;to-Oiblico, il
vero mysterion__~. il ~appo~to fra _~!S.!<:> e la sua Chif:&lil_,fr:\_Cristo
e Ja ~reazione .(~n. 2,24! }._no~--__n.ia_tr.il!lonio. Il matr~onio lo
esprime, ed in ci sta il suo donum gratiae, la partecipazione a
quest.Q. giistero. E in questo sta anche la sua grandezza.

M H. BALTENSWEILeR, Die Ehe 1m Neuen Testament, Ziirich 1967, 234.


11.S Loc. cit., 30 s.
66 Ivi, 31.
540 SACRAMENTALlT DEL MATRIMONIO

L'esegesi cattolica sostiene, con sempre maggiore uniformit, la


posizione tipica dell'esegesi evangelica: alla luce del NT il matri-
monio esp~~-l!!!.~!Pet~~~~-~~~<;!g!~_o. ~ -~uindi a1::10~.3.g_ame
con il mistero della salvezza. Ma il dato neotestamentario non offre
alrunfoiidament~-~l~ncetto di sacramento elahQI.ato dlla scolasti-
ca. Si rnde-;;-~f-problematic -~~-~~~~~i_a_J~gi~~ima~~ne biblica del
settimo sacramento. Non si riesce a- scorgere ii motivo per ~i al ma-
trim~~io.. ~ome iale si debba attribuire un'efficacia santificatrice. Di
essa non si fa cenno nella lettera agli Efesini e nemmeno in I Cor.
-i,7,J4. dove al cristiano che vive nel matrimonio, e non al matrimo-
nio in quanto tale, si riconosce un'influenza santificatrice sul part-
uer_ _e sJJLfgli. possibile invece affermare, rimanendo in una pro-
spettiva biblica, il matrimonio come segno e ti-presentazione del-
l'av~imen!9_di_(J_i_s,to (H. Baltensweiler). La teologianeotesta-
mentaria del matrimonio non un pezzo a se stante, ma un aspetto
dell'ecclesiologia.
Nel parallelismo Cristo-Chiesa, uomo-donna di Eph. 5 si cela l'i-
dea, cosl frequente nell'AT, d~anza. Israele la sposa di Jahv,
nel NTJ..lit.Qp;lUOi!~ ~~--9!!~~-~osa di Crist:o. Jahv s~mpre fe-
dele, mentre la sua sposa pu rendersi infedele: se ne parla conti-
nuamente nell'AT. Nel Nuovo questa idea non ha trovato un'esplici-
ta a.rticolazione. In. entrambi i testamenti il matrimonio modell'O
del rappo~to eh~ i~. co~Ul1it o-ff po~io eletto_dVe_fiitf:itl:enere con
Dio. Sta qui il limite insito nel parallelismo Cristo-Chiesa, uomo-
donna. L'uomo non pu~ esser~. postq _~P.J:lq___ s_t~.m>__ pj~Q _<:l.i__ ~risto,
fed.e.le. alla i;ua _~_i_esa. Il testo ci presenta infatti Cristo come model-
lo-.deltuomo; lui, Cristo, secondo I Cor. I 1 ,3 il suo capo. Si
sottolinea cosl ancc:r;-;na ~~lt~--la dimensfoneecclesiologica, ora am-
pliata in un contesto cristologico. La concezione paolina del matri-
monio non direttamente trinitaria.
Nella misura in cui il matrimonio rientra nella sfera ecclesiale, es~
so Y!ene inserito anche _f!~LcQQ_t_~-~lQ Y.~l.!.iu.alvezza. Ma non possiede
di pe~ se stesso ~n;~ffi~acia tutta propria od una grazia specifica;
ci che di salvifico contiene gli proviene dalla partecipazione alla sal-
vezza promessa alla Chiesa.
---. . ----~

bb. L'indissolubilit del matrimonio. Nella predicazione di Ges


ESAME GENETICO .541

non troviamo alcuna traccia del carattere di segno e di ti-presen-


tazione del matrimonio. Ci che incidentalmente il' Maestro afferma
nel sermone del monte, nelle dispute coi farisei e sadducei, ci atte-
sta un matrimonio interamente inserito nel contesto della creazione.
Tema centr&e-~iilCfT;~-;-indi~~olubilit, ~resa come adempim~nto
della volC?mLd~Lq~~i<?.!"~-~--qu_i!!_4L~.Qf!l:~.2bblige>__~E_ ..coloro che in-
tendono vivere in conformit ai suoi voleri. Ges accetta irmatriio-
nio che ,gli_~J-.P~~~.C!ll!i;t__&i.! ..~!P:~~-~tQ_l!!.._4etey_m_ip.ate fo_rtne (mono-
gamiche e poligamiche), e nulla ci autorizza a pensare ad una sua
elevazione.
Non potremo qui approfondire i singoli testi dal punto di vista
esegetico.67 Ci che vorremmo cogliere, dato che nel corso dei secoli
e pure al presente l'indissolubilit del m~imPP.!9- e la sua sacra-
mentalit v~e.r~u~~.1;um;_J?OS!~-~!!l-1PTI?. if!_c.l:i~~'?... !app~;to; e la pri-
ma derivata dalla seconda, l'intenzione generale -~~rso cui questi
testi mirano. Oggi il dibattito verte soprattutto sulla questione se
l'istanza per.ento.ruu;he....Ges..avaoza di un matrimonio indissolubile
- pur tenendo presente che gi Mt. 19,9 ne attenua, in u'n caso
speci.fko, il rigore - debba venire intesa come una legge o no. Si
prospettata la distinzione fra un comando che tende all'adempimen-
to e ..un comand~_~he in_dica una mta; l'istanza avanzata da Ges
sarebbe di questo secondo tipo.68 Avremmo cosl individuata la diret-
trice verso cui si muovono gli enunciati biblici.
Nella disputa coi farisei (Mt. 19,1-9), Ges si richiama all'ordine
deUa...cr:eariane.~ !-<Non avete letto_Qm.e.Jl creatore da principio li fe-
ce maschio e femmina? ... Ma da principio non fu cosl (cio la don-
na non poteva venir ripudiata; vv. 4 e 8). Il rifiuto del divorzio qui
viene fondato sull'w:dine della. ,t"ea~iQP~.,.no.!l.SU ,IJ...C::~ti:l.~~-sacra
mentale.deLmatrim.onio. Quest'ordine per non coincide con quel-
lo della natura; la cr~ig__n~_inJa..~!L!l~E~! identifica con l'ordine na-
1;U!_ale, almeno per coloro che leggono la Bibbia in modo biblico e
non greco. L'inizio di cui si parla non un dato storico, bensl la
volontf!_p_riginaria~.e......petmi!Len.t~J'~i_!t.!_tuzione;;aef creatore. Ed
proprio questa idea che Ges intende q~i-manifestare.- Ai discepoli,

67 La pubblicazione finora pi valida su questa tematica quella di H. BALTENS-


WEILP.R, op. cit.
118 W. STEININGF.R, AufWsbarkeit unaufioslicher Eben, Graz 1968, 63-74.
542 SACRAMENTALIT DEL MATRIMONIO

che in ci vedono (Mt. r9,10) una rigorosit inaudita, Ges non ri-
sponde affermando che si tratta di qualcosa di assolutamente ovvio.
Ovvio per lui piuttosto il fatto che il vincolo matrimoniale viene
infrj.11!<;>, ~~-~t~(! g,g_~Jra_tt~.8: non_~. a_f!~tt~ C()~~~tita. nel caso in
cui esso risponda a ci che Dio nel matrimonio ha posto. Ma non
poter separare non significa che il matrimonio rappresente!'.ebbe una
uni~~ HIIl(!~a~sl<;aO. che' _aa. ri~ potr . veiir-liliiiU1tau-:L.1stariZa --che
emerge piuttosto quel)..a..che.non .sidebb'i._-P.i_O.yocare una simile frat-
tura, pena la perdita del significato che il matri;~nio m s racchiude
a motivo...deLs110. .im~rifl_lento nell'ordine cellacreazione.69 Solo cosl
ci riesce in qualche modo c~~prensibll~--irdetto, piuttosto enigmati-
co, del Maestro: Non tutti capiscono questa parola, ma soltanto
quelli ai quali stato ~ncesso ( v. II). Ma a chi stato conces-
s~_?_Si f_11,l~r_eb~ Jl__se!lso del testo se si vedesse qui un riferimento
all'aiuto di nio, quindi un. nsedmeiii:o Clel matrliiloruonell'ordine
della salvezza? ~ pur vero che gi la creazione ordine di salvezza.
Si va 9-uie.di ()l!_re l'.~~h.it~ di __1:'~~-~~~~~!.!_~one. Il matrimonio
indissolubile per coloro che sono in grado di condurre una vita con-
forme alla volont del creatore.-ro
Un concstto che viene chiarito anche in Le. 16,1 Sa (Chiunque ri-
pudia la propri~ ~~glie. e ne .spo~~ un'iJt~;, ~~~~tt;;---;J~Tt~rlo );
qui ci si oppone ad una legittima norma del codice giudaico, secon-
do il quale era consentito, ma al marito soltanto, di ripudiare la
propria moglie, anche se le ragioni per un simile atto erano contro-
verse. P. Hofmann a tale proposito a1Ierma: Ges critica la legge
e SC,.QPre la _!"~~t del matrimonio, ~h~~E-esiste alla legge e non pu
mai ess~re sufficientemente custodita dalla legge. Questa prospettiva
contie~e ~~~--;;sig~;;~~ ed-~nap~esS;e5Sa indica in qual misura
gli uomini diventano colpevoli l'uno nei confronti dell'altro, ma an-
che quale possibilit di pieno adempimento loro offerta. Queste
parole sono dunque norma e criterio per ogni risposta cristiana al
problema del divonio. Ma proprio perch esprimono la realt stessa,

Cf. H. BALTENSWEILER, loc. cit., 262.


ili
10Cf. G. SARTORY-REIDICK, 'Kann die katholische Kirche die Ehescheidung dul-
den?', in: Ehe. Zentralblatt fiir Ehe- und Familienkunde 6 (1969) 49-64.
ESAME GENETICO
543

esse non sono legge. 71 Luca qui esprime una direttiva etica.72 Si
tratta dell'esigenza che un matrimonio rivendica, o che si rivendica
nei suoi confronti.
Secondo questi testi l'indissolubilit del matrimonio si fonda sul
da principio, sulla volont istituente del creatore. Si tratta di una
intenzione del ct,9!~~e~..1.-cli__@. 2!..c!ine della creazione, non dell'or-
din~ dell.lL.n~rnra. un'esigenza ed una promessa-insieme:-ma nella
dt;,,ep.sione della.. /~4e. Cre~one., infl!~~i, -~-la categoria primitiva
di un modo giudaico-cristiano di intendere il mo~do, di compren-
derlo in 1'1' C.Q~!.ft.J!..<J .di fol.e. Manifestamente, solo alla fede con
cesso di capire come le ~-da prit:!~io __(~!- -~..2!! ss.).
Per questa ifede, l'indissolubilit strettamente oongiunta con il
tlos verso cui la creazione tende.
Non ci potremo comunque limitare alla polemica di Ges coi fa.
risei ed al l_ggiQ~UQ~}J~_J.radizione pi ~I!_~i~8-i . ~tr~!Ji v~o infatti
interpretati entro l'orizzonte pi ampio della predicazione del Mae-
stro. Concretamente ci significa che dobbiamo prendere in consi
derazione anche il sermone del monte. :E: interessante osservare che
in Mt,..5,27 s. si .dice: Non devi commettere adulterio, per quan-
to tu lo possa fare e lo f~~~ .pur-:-&;-~tJ;ili;~~;;n confronto tra
questo detto e gli altri imperativi formulati nel medesimo contesto,
ad esempio Non devi uccidere (v. 21), Non devi spergiurare
(v. 33), sorge il problema se queste parole vadano intese in senso
letteraJ.=..._e. se in ~-modo siano .mai...s.tatcJ!l_t:~~retate. Stando all'in
tera storia della Chiesa, la risposta suona neg~l!:.JJ.~~ider_f'. ~er
giurar.e_iu_se!llp~~--~rmesso, quindi il divieto non venne mai re-
cepito alla lettera. Forse che nel divieto di sciogliere il matrimonio
dovremo sc~~.!~__1,1.Il~.. .Ilc:>~.ll_di diverso tipo? Guerre, inganni e
frodi, fallimenti di matrimoni, ~~~o tutti fatti che rientrano nella
sfera della vita concreta dell'uomo, anche se non dovrebbero mai
verifi;arsi. Per quanto i-i~arda piii spcificamente la realt matri
moniale, Mt. 19_,8 vede il vero motivo del ripudio nella durez.
za del cuorC:, qu~di-in-;m,;~tr~!~ ~post~ione-drfndo~ -ru- pro-
prio verso questo atteggiamento f;ndwentaie. delfi persona che mi-

71 P. HoFMANN, 'Le parole di Ges sul divorzio e la loIQ interpretazione neote-


stamentaria', in: Concilium ,/1970, ed. it., 70-87, qui 73.
72 a. J. RATZ!NGER, loc. cit., 83.
.544 SACRAMl!NTALIT DEL MATl!IMONIO

ra il sermone del monte. Lo troviamo chiaramente espresso soprat-


tutto in Mt. 5,27, dove si parla dell'adulterio di pensiero, della
insana passione che si nutre per la donna altrui.
Il divorzio (l'adulterio neotestamentario) sintomo della rea-
le ~~azione in cui vive un uomo irretito nella colpa. Ges non
esige l'&nmedlataabolizione di questo uso, bens la oonversione
del cuore, colpevole del fallimento della vita coniugale. Si trattereb-
be di una sanatlo in radice autenticamente evangelica e il matri-
monio risulterebbe salvo. Il sermone del monte- avanza dclle pretese
che valgono per I' hk et nunc, allo stesso tempo per delinea anche
una prospettiva escatologliaa, che viene immediatamente disattesa
quando s'interpreta il testo in chiave legalistica (come precetto che
dev'essere adempiuto). Quando non si soddisfano queste esigenze,
ci si rende c~voli davanti a Di.o ed agli uomini, perch non ci
si op~e ;-quell'ordine turbato in cui viviamo. E si tratta di una
~ituazione rae:-;di.-nc;~t. Ma illora, come si il caso di
un omicidio per legittima di.fesa, non si dovrebbe prendere almeno
in consi~~!c:>~. ~ ~4i.~gr.aj() __!l_Le.ni~r.g.~a? Se l'intenzione fon-
damentale del sermone del monte, che non vuol essere un codice
morale e di comportamento, si applica anche alla proibizione di di-
vq,rziru::~. n..o.r:t...~i__ f><?.!_~ .. e.li! .P.~_!lar~jn_termini legalistici. Baltensweiler
rkhiama l'attenzione sul fatto che nemmeno Paolo interpreta in
modo_Jegaj~~~~o_J~~~~~~~~~ del Si~nore sullo scioglimento del
ffi..!~l!_D.onio. L'autore ne ricava delle conseguenze Che vaigOno per
l'intero NT: Non si pu accettare, in nome del vangelo, un uso
legali~Q..gdl_~~e del divorzio, perch risolvere in tal mo-
do il problema contrasta con la genuina intenzione del NT.73 Un
vincolo matrimoniJ;irtlatt~ed. integro si presenta quindi come una
esigenza che vale nel nuovo eone, iniziatosi con la venuta di Ges.
E in questo contesto, infatti, l'ordine della creazione giunge al suo
fine immanente.

2. Spunti ,sistematici

Una teologia sistematica del matrimonio non deve partire da un


concetto formalistico di sacramento, ma dovr cercare e trovare il
73 Loc. cit., .:z63.
SPUNII SISTEMATICI
545

proprio fondamento nella testimonianza della Bibbia. Ci per non


significa che essa debba limitarsi a far dell'esegesi. E necessario in-
vece che si sforzi pure d'inquadrare in un sistema i diversi punti
di vista che ha ricavato dal contesto globale della Scrittura.
Il problema della sacramentalit del matrimonio si presenta, per
un duplice aspetto, come questione ecclesiologica: per un verso tut-
to ci che sacramentale risulta fondamentalmente legato alla real-
t ecclesiale; per l'altro, sia nel NT come anche nella storia della
Chiesa, da cui la teologia sistematica non dovrebbe mai prescindere,
il matrimonio venne sempre osservato, nella sua dimensione teologi-
ca, in chiave ecclesiale. Per quanto concerne il NT, si dovr comun-
que tener presente che quanto abbiamo appena detto vale diretta-
mente per Paolo, mentre nella predicazione di Ges il matrimonio
presentato come realt inserita nel contesto della creazione. Si po-
ne cosl il compito di cogliere il rapporto che congiunge queste due
dimensioni.

a. Il matrimonio come ti-presentazione

Il filo conduttore, che scorgiamo nella secolare disputa sul concetto


di matrimonio, il suo carattere di segno: sacramentum-signum.
Traspare gi dall'analogia paolina di Eph. 5,21-33: uomo-donna,
Cristo-Chiesa. La difficolt che incontriamo sta nel fatto che qui lo
uomo .v.ko.~ posto dalla parte di Cristo e non_.Q~.JI!:Iella della Chie-
sa, che quindi il matrimonio viene affermato come --;gno delrap-
porto Cristo-Chiesa e non semplicemente della Chiesa. Qui affiora
il retroterra ~ciale e antropologico-sessuale della teologia paolina,
specialmente quello che -~~--~ . fond~mento-di ~ .determinato modo
d'intendere il partner maschile, come si precisa in I Cor. 11,3.
vero c~_Rh. _5 ,~~- corregge in parte tale posizione, in_ quanto i co-
niugi, che nel reciproco servizio vivono nel santo timore di Cri-
sto, vengono entt!!!!_lll.-3_ 1ui riferiti. sottOl.1-1~ssi;_t1J!tavia nel v. 23
si riprende a sottolineare, e con chiarezza, il paralleli~~~-- fr;-Cristo
e l'uomo. rispettivamente capo della Chiesa e C~~-~lla. don-
na. H. Schlier osserva comunque che implicita in ogni caso la
superiorit di Cristo (anche sull'uomo).74 Per cui anche l'uomo de-
74 Lcc. cit., 253 s.
SACJ.AMENTALJT DEL MATB.IMONIO

v'essere visto dalla parte della Chiesa e quindi della donna. Sia in
Eph. che in 1 Cor. 7 e Gal. 3,28 si richiama l'attenzione sulla re-
ciprocit che si stabilisce nel rapporto uomo-donna e sulla sua ugua-
glianza in Cristo Ges; in Gal.. un accenno importante al battesi-
mo, il quale infrange gli schemi sociali in cui si afferma una dispa-
rit fra i sessi.
Ne deriva, sul piano teologico, un matrimonio come segno, come
attualizzazione - od anche ripresentazione, quindi un possibile mo-
do di osservare la Chiesa in una situazione storica in cui la presenza
del Signore ancora nascosta. Il matrimonio non soltanto model-
lo della Chiesa, ma pu essere anche esso stesso Chiesa:COmunit.
Abbiamo detto--cne-- il matrimonio un possibile modo di il-
lustrare la realt ecclesiale, e questo perch esso non l'unica ri-
presmtazione--possibile della Chiesa, ma solo una fra le tante e le-
gittime forme. Ricordiamo a questo proposito il detto di Mt. 18,20:
='--
Dov;___( ~).4~e o _ti;_ ~!le:> !~~~!#. _q~l f!liQ J!Q~.~J_.!Q..~~no in mez-
zo a loro. Questa costituzione comunitaria pu essere realizzata sia
nel II).ftt.\glg_gJq__ b~_Qi altri contesti. Il fatto che venga formulata al
condizionale sta a sigl1ificare Clic il matrimonio non rappresenta di
per s~_J,a_mmunit di Cristo, ma solo a cOridiioneChe l'uo-
mo e la donna si uniscano in suo nome. Si ricordi quanto gi
vedemmo per ~rmula: contrarre un matrimonio nel Signore.75
Il matrimo~non significa quindi semplicemente un dato oggettivo
della comunit o della Chiesa; esso la ripresenta soltanto quando
~... segno corporeo-sociale della fede e amore personali; 76 la co-
munit si trova inserita in questo evento, nel quale il matrimonio
pu verificarsi, ma e rimane realt matrimoniale anche quando ci
non avviene.
Ora, se il matrimonio esprime una possibile forma di manifesta-
zione della Chiesa, non potremo pi ritenere insolubile il problema
del suo carattere sacl'amentale. Questo lo si scorge nel sacramen-
to radicale'~'chelierpreced~nti contributi di quest'opera si rico-
nosciuto ed illustrato come proprio della realt della Chiesa: alla
luce della_Chiesa, __qpind_L~__!l_Q.~ -~-eL~~~rJ:l?.onio in quanto tale.
Maggiori difficolt riserva l'altra questione~el mo-
75 Sopra, p. ,24.
16 K. RAHNE1t, !oc. cit., ,52.
SPUNTI SISTEMATICI 547

tivo per cui il matrimonio dev'essere affermato come il settimo sa-


cramento e segno efficace di grazia. E si capisce perch qui gli spi-
riti abbiano trovato sempre, e trovino anche ai nostri giorni, un
motivo di divisione. Qual l'elemento specifico del matrimonio che
ci autorizza a qualificarlo come sacramento in senso stretto? Forse
quella comunione tra gli uomini, cos intensiva ed estensiva, che
riproduce l'ampio e profondo vincolo coniugale in Cristo tra Dio
e l'umanit? Rahner/Vorgrimler ritengono che l'unit di vita e
di amor>-..fr~.--due_ perrone implica un riferimento a Dio quale fon-
damento e mta, che ogni comunione tra cristiani in Cristo implica
un'attualizzazione di Cristo e q_uindi .QUJ:e della Chiesa (Mt. 18,20),
-
e questo d;-~;essere- ~rmat~ s~pr;ttutt~ dd-matrimoni) la comu-
nione certo pi ristretta, ma anche pi totale in Cristo.77 Il matri-
monio qui appare come un caso di applicazione di un nesso ben
pi ampio. Quando due persone si aman~si ttasc~ono in un ter-
tium comune ad entrambi. L'amore tra due coniugi, se viene vissuto
e 'sperimentato, s1 r1veia come un amore che fonna la Chieso.
Qui per si descritto soltanto il sign~-;;;, non si ~;-dtlSrito
uno speciale donum gratiae, una particolare grazia di stato, un'ef.
fcacia salvifica propria del matrimonio soltanto. Rahner asserisce
che l'amore personale, che nel matrimonio si crea la propria eseres-
sione, nell'attuale ord'iamento di savezza.:. praticamente sorretto
dalla grazia di Dio, che sempre risana questo amore, lo ekva e lo
apr~- alla stessa immediatezza divina.11 Ma gffSipu obiettare che
ci vale per ogni forma cristiana di attuazione dei nostri rapporti
con il prossimo. Pi avanti Rahner stesso afferma: Ci che si
detto del matrimonio in quanto 'simbolo reale' dell'amore cosi de-
terminato, pu essere detto per anche della Chiesa.79 L'elemento
sacramentale dd matrimonio sta dunque nel fatto che esso una
possibile forma di manifestazione della Chiesa, come lo sono anche,
ad esempio, la famiglia ed altre comunit pi ampie. Quando sul
piano teologico si dice che marito e moglie sono ministri del sacra-
mento, si afierma anche che in un amore cosi determinato la
Chiesa stessa che si attua.

77 Kleines theo/ogisches Wiirterbuch, Freiburg 1961, 83.


7' Schri/ten vm, 524 55.
79 lvi, ,25>.
SACB.AMENTALIT DEI. MATRIMONIO

b. Il matrimonio come evento

Ma dove il matrimonio diventa una ti-presentazione della Chiesa?


Nell'~_si vive davanti a Dio e che evento di salvezza
e~ore aperto a tutti.llO Qui l'amore serve da paradigma per de-
terminare qullJ.!412J_!l_.I1._!e_!a ___si.ll Y~!~~nte tale! Essa non lo sem-
plicemente per il fatto che esiste un'entit socialmente organizzata
(l'istituzione) la quale si afferma come Chiesa. In quanto tale es-
sa si manifesta piuttosto quando si rende evento dell'amore in un
senso ben preciso. Ci pu verificarsi in diversi modi.
Cerohiamo ora di trarre, anche per la realt coniugale, alcune
conseguenze che s'impongono da quanto pi sopra affermato a pro-
posito del parallelism2S~~~.sa.:-~a.tri!_Il_?~i_i:>!__~ della . .k>!Q._!,!~lianza
di fondo. Due persone non ripresentano la Chiesa solo perch han-
no q>mpiuto un at_to giuridico. Il loro atto pu essere anche una
formule-wota.-.ac~gn.ata._da.~ folcloristici. Ma pu tradurre
anche la loro determinazione a vivere il ma~onio nella fede, nel-
la speranza e nella carit. Non si pu vivere questo amore al cospet-
to di :Qjo quando a lui non ci si apre interamente. Solo questa aper-
tura rende possibile la manifestazione della realt ecclesiale. Con-
sidera!~1-_P.~~.52.!!!~~!2_COJ:!l,!!_ sacramento signifcu~_C:!~__ saj_!ldi
di superficialit, come del resto suona molto discutibile la qualifica
di scambio sacr.amentale d'amore che si conferisce alla sessualit
coniugale.81 La sessualit, infatti, non a priori un rapporto d'amo-
re... n~. in senso psicologico n nel senso in ctii intendi3.Q!_oTainore
cristiano. Pu essere anche l'esatto contrario: aggressione, oppres-
sione e violenza. Non quindi lecito considerare l'atto sessuale co-
m~ettivo segno sacramentale, e nemmeno come opus ope-
ran.tis_s_be santifica. Rimanendo sulle generali, potremmo dire che
non si pu fissare puntualmen~ il carattere sacramentale del matri-
~~ iI!....!!n__ gato ogg~ill_vo. Ci che ci si raffigura come segno-sacra-
mentale rimane estremamente ambivalente nel suo carattere di se-
gno. Non contestiamo che il matrimonio, in quanto Chiesa, risulti
fondato in Dio (!'ex opere operato). Ci per si manifesta e si

8:1Ivi.
BI D. 0' <LLAGHAN, 'Sulla sacramentslit del matrimonio', in: Concilium :;/r970,
ed it., r3r.
SPUNTI SISTEMATICI 549

rende efficace soltanto in una vita di fede, di speranza e di carit


( l'opus operantis ). Che la Chiesa si ri-presenti sempre sotto tale
forma nel matrimonio, questo un dato che non si pu istituzio-
nalizzare una volta er tutte n garantire in modo assoluto. In altre
parole, ci che v:i di cristiano in un matrimonio con ra fra cri-
stiani non sta nel fatto che lo scambio del consenso matrimoniale
avviene sotto forma di contr che loa sessualit risulta arricchi-
ta di una dimensione teologica, come troviamo implicito ne a que-
stione ~ pos1. in mOdo errato, quind a tutt'oggi insoluta ed inso-
lubile, date le premesse - che ha per oggetto le componenti co-
stitutive del sacramento. L'agire ispirato dalla fede, dall'amore e
dalla carit, e traducentesi nel consen~ nella sessualit, nella vita
di ogni giorno, trasforma il matf_itJio~o in un evento di salveZ2a.
L'atto produce ci che significa. Ma an~ora un~ volta: ci non vale
esclusivam~nte per il .matrimonio. La trilogia: fede, speranza, cari-
t, nop__ si r~al~z~ -~~Ita~t~-~effa vita coniugale. Potremmo parlare,
se non ci fosse il pericolo di renaereltermine ancor pi ambiguo,
di un carattere sacramentale della vita cristiana vissuta nel matri-
monio ed al di fuori di esso.
Rimane il problema della validit del matrimonio, se il matri
monio cio esista o meno. Il matrimonio non dl\'enta tale quando
,. ri-presentazione della Chiesa. vero piuttost~-erso di-
si rende
vent Chiesa soltanto se gi esiste come matrimonio. Tuttavia la
tradizione ha legato la validit ell'atto matrimoniale al consenso,
cio ad un atto libero e personale, per quanto diverse siano state le
accentuazioni che questa tendenza di fondo ha conosciuto nel tempo;
e quindi nella trilogia cui abbiamo fatto cenno potremo vedere un
approfondimen!9..d.i..!l,Y.e.~J.Q_@J:to_~ dell~--~11-!!_Eormativit. Nell'amore
il consenso si rende continuamente presente ~-~ Fede e speran-
za stanno a significare la fiducia e la persuasione che in questa uni-
t d'amore si far esperienza di salvezza. Tutto ci comporta anche
una dinamicizzazione del modo teologico d'intendere il matrimonio e
non ci consente pi di arrestarci ad un concetto obiettivato di sa-
cramento, il quale sussisterebbe soltanto nel ricordo delle nozze ce-
lebrate davanti all'altare. Ci che dev'essere reso percepibile ci
che il consenso racchiude in se stesso: Non esiste un matrimonio
cristiano che dovremmo intendere come un secondo matrimonio che
SACllAMEN'tAUT DEL MATRIMONIO

viene ad aggiungersi a quello precedente ed ordinario, e che lo ele-


verebbe cosl alla dignit cristiana. Esiste soltanto un matrimonio
fra cristiani. Costoro contraggono il matrimonio allo stesso modo
degli altri uomini, e tuttavia, appunto perch cristiani, dovranno
vedere il proprio matrimonio come qualcosa di assolutamente nuo-
vo. Se il Signore vive nella comunit vive anche nel matrimonio;
alla luce dell'avvenimento di Cristo, anche l'avvenimento coniugale
trova la sua caratterizzazione. Esso non dunque quell'ideale che
si staglierebbe davanti al nostro sguardo come un'erta parete. :B ve-
ro invece che a questo matrimonio terreno ed imperfetto ora si ri-
volge la promessa della remissione e della comunione che trova il
suo fondamento in Cristo. Il matrimonio non rientra pi in nessuna
ottica di tipo prettamente naturalistico, ma viene ricompreso alla
lwce..dellmenimento di Cristo.112
Dopo ave~-Posto ~ro del nostro interesse l'unit, cio l'ugua-
glianza_~i_g_ente.; __-fra___mmimon~2-~ Chiesa, ora si pone il problema
se non sL~a anche_ \l_na d_ifif!!~~a_tJ:_a__queste due realt, soprattutto
se le si osserva dal punto di vista che abbiamo adottato. Rahner ac-
cenna alla distinzione fra il mattimQDio___c.om,c__~~-o e ci che da
esso viene significato, in brev.c.Jni _m~uiroQP..k>_~ amore. In quanto
seg:qo 1 il matrimonio pu indicare l'amore, che in certe circostanze,
tuttavia, venuto ormai men. Rispunta cos il carattere ambiva-
lente del segno. Sempre secondo il nostro autore, questa differenza
tra segno_e __signifu:ato ____si riptQPQQe.; _ench~-~___!'_ la realt della Chiesa,
per non allo stesso modo che per il matrimonio: Il matrimonio
singolo pu trasformare, colpevolmente, la propria funzione di se-
gn~jp_ qq~ meP..?9.&fl_i\.__e__ci9_..!ffien~_qR@4> in esso non c' pi
nulla di quel che dovrebbe essere indicato e attualizzato: l'amore
unificante della grazia. Nella Chiesa invece, colta nel suo complesso,
fint!ima ~-IJ)ogeneit__ fra __s.eggq _e signiq~to_ Qon_pu venir pi ir-
rimediabilmcnte_dimutta, a motivo della vittoria escatologica della
grazia in Cristo.81 Ma questa espressione estremamente ambigua.

82 H. BAl/l'ENSWEILER, loc. cit., 234 s.


83 Loc. cit., 530 s. Il rnodello che qui Rahner propone quello dell' amore co-
niugale, che nelle precedenti teologie dcl mauimonio era posto in ben scarso ri-
lievo, per non parlare della sua totale insignificanza nel diritto (il paradosso: amore.
contratto!).
!'>PUNTI SISTEMAnCl

Per rendere cltlara la differenza, matrimonio e Chiesa vengono posti


su un piano che non consente confronto. Il singolo matrimonio
concreto non pu essere paragonato con la Chiesa astratta, colta nel
suo complesso, bensl soltanto con le singole Chiese, cio con le at-
tualizzazioni della realt. ecclesiale. E queste Chiese possono senz'al'-
tro rendetii ...colpevoli e tramutare il proprio segno in una menzo-
gna, sia in linea di principio che di fatto. Non lecito parlare in
modo concreto del matrimonio e in modo astratto della Chiesa. Il
discorso, in verit un po' troppo amplificato, sulla casta meretrix
dev'essere condotto con estremo rigore.14 Il vincolo radicale ed in-
distruttibile fra signum e significatum, stando all'uguaglianza Chie-
sa = matrimonio che lo stesso Rahner ha chiarito in modo con-
vincente, vale per entrambi. Anche se in ceni luoghi un matrimonio
si scioglie e una Chiesa si rende infedele, la Chiesa si realizza pur
sempre come Chiesa, la Chiesa si attua come matrimonio e i1 ma-
trimonio come Chiesa, perch ~cla vittoria della grazia escatolo-
gica, ma non ancora manifestata nella storia. E se la Chiesa conti-
nua, essa continua anche, fondamentalmente, nei matrimoni. Qui
i due destini s'intrecciano. -L'amore tra i coniugi contribuisce al
consolidamento dell'unit della Chiesa perch una delle attuazioni
dell'amore unificante della Chiesa; esso d. forma alla Chiesa ed al
contempo viene da essa sottett0.113
Sullo sfondo, non espressamente tematizzato, di tutte queste ri-
flessioni sta la lettera agli Efesini, che talora si serve del matrimo-
nio per illuminare la Chiesa, t'cll altra della Chiesa per illuminare il
matrimonio. Qui la teologia del matrimonio parte integrante del-
l'eccle!!!ologia, e va continuamente oltre i propri confini per diven-
tare riflessione ecdesiologica: cessa quindi di essere semplicemente
tale. L'uguaglianza Chiesa = matrimonio racchiude in s una ric-
chezza inesauribile. Implica infatti l'intera dottrina sulla Chiesa e
il carattere sacramentale di questa, come pure la tensione fra isti-
tuzione ed evento, la possibilit di concettualizzare il mito dello
Hier6s Gamos,"" il rapporto fra legge e vangelo, fra matrimonio e ce-

84 H.U. VON BALTHASAR, 'Casta meretrix', in: Sponsa Verbi, Einsiedeln 196o, 203-
305 ( trad. it. Morce!liana, Brescia).
as K. RAHNE11, /oc. cit., 531 s.
86 Vedi al proposito H. ScHLIER, loc. cit., 264-275.
SACRAMENTALIT DEL MATRIMONIO

libato per il regno dei cieli. Anche il celibato andrebbe visto -


lo ricordiamo appena - nel suo carattere di evento: la Bibbia vi
riconosce un carisma (oggi diremmo un evento), come del resto
anche nel matrimonio (Mt. 19,II s.). Un approfondimento del rap-
porto legge-vangelo ci premunisce dal pericolo di sfociare in una
qualsiasi codificazione del messaggio evangelico. Il modo, il tempo e
il luogo in cui la Chiesa si attua, non si lasciano codificare con as-
soluta chiarezza. La Chiesa una entit al condizionale: si rea-
lizza solo se l'amore si rende visibile. E questo vale anche per un
matrimonio ecclesialmente inteso, concepito cio come Chiesa. Se
riuscissimo a cogliere ed a vivere questa realt in tutto il suo signifi-
cato, potremmo affrontare di nuovo, con maggior coraggio e tran-
quillit, con uno spirito cristiano veramente libero, le nostre 'que-
stioni sul matrimonio', cosl urgenti e quasi senza sbocco.87 Qui la
teologia del matrimonio, infatti, riprenderebbe a crescere sul proprio
tronco e non sarebbe pi costretta a vivere in quell'alienazione che
le deriva dal continuo ricorso alla biologia (antiquata) e ad una con-
cezione ideologizzata della natura, dall'insistenza su certi ruoli di
condizionamento sociale che la Chiesa un tempo svolgeva, ma che
oggi suonano ormai anacronistici. La Buona Novella, che l'uomo e
la donna accolgono, non una parte bensl l'intero evangelo. Illustrar-
lo spetta ad una teologia del matrimonio che qui potevamo delinea-
re soltanto a grandi tratti.

c. Alcune conseguenze

aa. Come ogni teologia, anche quella del matrimonio dev'essere ac-
cettatq__quale.. int~PI~t~_~iQne .cJ~!J.'.~si~ten~~ U~?na, gui nel suo aspet-
to_gl_Y.~!:~. CC?.!!!1=1-gale. Altrimenti un lusso di cui potremmo fare
anche a meno. Nell'abbozzo storico che abbiamo delineato si . visto
che di volta in volta la teologia del matrimonio ha recepito i dati,
le usanze e le necessit dei diversi momenti storici. Il fatto poi
che la Chiesauffidaie..iibia acquisito-,;;~- ~~~~p~lio pressoch esclu-
sivo i!!_ materia matrimoniale, l'abbia ecclesiasti;ata, sf spiega con
la situa~i~ne sioic e ron la posizione chiave che la Chiesa ha as-
sunto in determinate epoche. La componente sociale della teologia
87 K. RA11NER, !oc. cit., 540.
SPUNTI SISTEMATICI

cattolica del matrimonio, o meglio ancora l'intreccio fra pos1z1one


sociale della Chiesa e questa teologia, dev'essere tenuta in conside-
razione. Finch la Chiesa non rappresent un fattore di trasforma-
zione sociale, anche il matrimonio cristiano venne regolato secondo
le norme vigenti nelle diverse aree nazionali e profane. La pretesa
di una giurisdizione ecclesiastica in questo campo fu la risultanza di
un'evoluzione storica. La Chiesa assunse la funzione di ufficio di
stato civile, un ruolo che solt;i.n.ti:u-uccessivamen~ la teologia cerc
di giustificare. Lo sviluppo, che nel medio evo su l la dottrina della
sacramentallt del matrimonio, va scorto alla luce dell'uguaglianza
societ = Chiesa. Ce lo attesta lo stesso diritto canonico, che ha
recepito le teorie del consenso e della copula. Questo sedimento ec-
clesiastico-nazionale affiora anche nell'attuale concezione canonistica
del matrifuonio, che soltanto con artifizi di vario genere pu giun-
gere ad una qualche integrazione con il dato esegetico. E ci reso
evidente soprattutto dal fatto che il matrimonio civile, esigito dal
pi recente diritto pubblico, viene ancora considerato come qualco-
sa di inautentico, mentre ci si richiama alle parole di Ges per le-
gittimare il diritto che la Chiesa vanta in materia matrimoniale. Ana-
loghi oondizionamenti storie.i e sociali a quelli gi riscontrati nei
testi biblici sul matrimonio (vangeli e scritti paolini), si potranno
e dovranno rilevare anche nei testi ufficiali del magistero, del con-
cilio di Trento e delle successive prese di posizione. Ci riuscirebbe
allora pi agevole evidenziare anche il significato ecclesiologico del
matrimonio, una dimensione che nella prassi ecclesiale viene som-
mersa g_a .t:u!to .111.!.!!PP.@!'JilQ_JegaHstico, che per molti aspetti costi-
tuisce UE_ inujile dipp!one della legi-;1-;zIOne civile: Veccltsfalit del
matrimonio non sta nel suo carattere istituzionale, che di per s
non la causa del matrimonio stesS-.;-p~; la sua costituZione sociale
e le stn:ittffi.e diverse in cui si attua, il matrimonio sottoposto a de-
terminati condizionamenti storici e rimane uno Stato di vita pro-
faf).U., _che la stessa teologia tenuta a rispettare. Esistono anche
delle strutture che, come la monoga;J;,- presentano la stessa ten-
denza _cit:.L~angelo (H. Thielicke); per un cristiano,- cnmito a vi-
vere in una societ cherealiZZa il matrimonio in forme poligamiche,
esse rimarranno un invito che non necessariamente sar traducibile
anche nella sfera del diritto civile.
SACBAMENTALITA DEL MATllIMONIO

Il diritto matrimoniale cattolico e la relativa giustificazione teo-


l(logka suppongono ancora un ruolo sociale che la Chiesa ha ormai
perduto da tempo. Ai nostri giorni essa non potr pi rivendicare
una competenza esclusiva in fatto di matrimoni. Inoltre la conce-
zione stessa del matrimonio, elaborata dalla dottrina cattolica e co-
dificata nel diritto ecclesiastico, ha subito dei mutamenti. Forse po-
tremmo anche dimostrare che tali trasformazioni, secondo la tenf-
denza del vangelo, si sono verificate accanto e fuori dalla Chiesa
Non intendiamo qui intraprendere un simile tentativo; ci basti ac
cennare aHa necessit di un'integrazione e di una elaborazione teo-
logica anche dei dati che l'odierno contesto ci offre.
Sembra dunque che tutto converga verso u~ de-ecdesiastizza-
;ione del matrimonio. Un sospetto giustificato, s;"'Con tale termi-
ne s'intende un'indipendenza dal diritto c:lesiastico ed un'afferma-
zione del valo~ gel matrimonio in se stesso- ~~~siderato--.--ln-tal ca-
so per diventerebbe pi chiara anche la selta che i cristiani com-
piono, a Jiy~ll.Q di.fede, quando._.conttaggono .unmatri.ntonio. Il ma-
trimonio ecclesiastico esprimerebbe meglio quel carattere di segno
che ~.PQs.$l~e S.9h~to in. ~trc:t!~_)~~':-5~.!_l_<:i che significa,
nella coincidenza quindi tra signum e significatum. Il significato che
questo matrimonio assume non deriva dalla sfera giuridico-civile e
nemmeno dalla sua validit, bensl da una scelta-Cli't~questa in-
tesa ~~~ ~~- linadaiarazione di solidariet con la Chiesa ma co-
me un attuarsi di essa tramite i coniugi, nella comune vita vissuta
nella fede, nella speranza e nella carit. Se la Chiesa si realizza nel
matrimonio, il matrimonio si realizza nella Chiesa.

bb. Un vaglio teologico sar in grado di dimostrare che tutte le


prescrizioni giuridiche emanate dalla Chiesa non sono costitutive per
la ~l!f)_it del matrimonio, ma riguardano soltantol'ambito della
dis~Una ~ksi~tica. Se cosl non fosse, per secoli la Chiesa si sa-
rebbe ingannata ... 11 suo diritto di trattare questioni di validit e
invalidit dei matrimoni stato infatti mutuato dal diritto franco e
franc:o-_germanico. Il diritto canonico si adeguato ad-unOirino pre-
esistente, non stato creato ex novo. L'ordinamento civile e quel-
lo ecclesiastko verini:ocon l'andare del tempo, a coincidere. Sol-
tanto dopo ls separazione dello stato dalla Chiesa, nell'et moderna,
SPUNTI SISTEMATICI

si affermarono due legislazioni matrimoniali parallele. E quanto pi


"'
gli anni passano, tanto pi ci riesce difficile capire la ragione per cui
la Chiesa debba mantenere una sua anagrafe e un tribunale che trat
ta le cause matrimoniali, il motivo per cui essa debba occuparsi di
impedimenti biologico-anatomici del matrimonio, di incesti, ecc.
Fintantoch ci si attiene alla teoria del consensus>, che poggia
sulla tradizione dell'antico diritto romano, la validit del matri-
monio, del suo constitutivum, non rientra nella sfera propriamen-
te teologica. E quindi discutibile una prassi che annulla dei matti
moni in base alla clausola, ancora controversa, della .fornicazione
(Mt. 19,9), al privHegio paolino (r Cor. 7,12-16) od a quello pe-
trino. Bisogner per lo meno operare una distinzione fra matrimo-
nio di per s valido e matrimonio riconosciuto anche dal diritto ec-
clesiastico. Del resto qui si andati ben oltre le posizioni del con-
cilio di Trento, che non aveva osato affermare il riconoscimento del
consenso come componente costitutiva del matrimonio. Questa tra-
dizione venne smentita dai nuovi sviluppi che la legislazione dei
matrimoni misti conobbe, quando la validit del matrimonio e la
forma canonica di contrarlo vennero a costituire una coppia inscin-
dibile. Anche l'odierna prassi, in fatto di dispense matrimoniali, si
attiene a questo principio.

cc. Per i cristiani i~ divorzio sempre una colpa, un peccato, una


trasgressione dell'imperativo del creatore, stando al quale il vincolo
matrimoniale non pu venir rescisso ma soltanto violato. Quando una
unione coniugale fallisce, la prima domanda che ci dobbiamo porre
se la coppia abbia veramente, a suo tempo, contratto un matrimo-
nio. Ma dal punto di vista teologico non potremo richiamarci sem-
plicemente al detto Ci che Dio ha congiunto, l'uomo non separi>,
perch non siamo in grado di stabilire con sicurezza, anzi sarebbe
presuntuoso farlo, ci che Dio ha effettivamente unito. Noi sappia-
mo che Dio misericordioso e che accoglie il colpevole, non sappia-
mo invece ci che egli ha unito ...

dd. Inquadrato nella cornice ecclesiologica, gi delineata in pre-


cedenza, anche il matrimonio contratto fra due persone di confes-
sione diversa assume un volto nuovo. Ci che qui decisivo non
,5,56 SACRAMENTALlT DEL MATRIMONIO

il diverso in campo confessionale, bensl l'amore che unifica, il co-


mune battesimo, la stessa fede, l'unico Dio e Padre di tutti. E que-
s~o non lo si pu imprigionare in una dottrina, in una disciplina
-ecclesiastica, in un diritto canonico. Dal punto di vista teologico,
rilevante soltanto il problema di stabilire ci che qui effettivamen-
te unifica. Non possibile dichiarare invalido il consenso in base a
norme disciplinari, giuridiche, dottrinali. Per decidere sulla legitti-
mit almeno del primo matrimonio, la Chiesa non ha altra possibi-
lit se non quella di accettare il giudizio dello stato, sempre che es-
sa dia al consenso, come in linea di principio ha sempre fatto, l'im-
portanza che questo merita. Si tratta ovviamente di questioni giu-
ridiche, che inquadrate nel contesto ecclesiale, e non puramente ca-
nonico, die abbiamo delineato, vengono tuttavia ad assumere un
diverso rilievo. In definitiva, come mai I Cor. 7,12-16, un testo
che tratta del problema dei matrimoni contratti fra un partner cri-
stiano ed uno pagano, non ha minimamente influito sulla teoria e
prassi dei matrimoni di mista religione? E come mai si conside-
rata con tanto ottimismo questa m.istli.one, che pure comporta
conseguenze ben pi gravi di quelle che si verificano nell'area delle
divergenze confessionali?
Nel corso di queste riflessioni, l'interrogativo: che cosa rende
il matrimonio sacramento? si modulato nell'altro: <~che cosa ren-
de il matrimonio Chiesa? e ne emersa una problematica nuova.
In tale contesto la giustificazione del carattere sacramentale del ma-
trimonio non ha bisogno di richiamarsi alle parole d'istituzione di
Ges, storicamente non dimostrabili e probabilmente non pronun-
ciate in modo esplicito.88 Non si tratta di produrre una simile pro-
va, certo per di osservare correttamente il matrimonio in stretto
legame con il mistero di Cristo.

JOSEF DUSS-VON WERDT

RII K. RAHNER, !oc. ci/_, 533


557

BIBLIOGRAFIA

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H. VoLK, Das Sakrament der Ehe, Miinster 1952.
SEZIONE QUINTA

FENOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA RELIGIOSA

I. Il problema ermeneutico

Chi oggi vuol scrivere una teologia della vita religiosa s'imbatte im-
mediatamente nel difficile interrogativo: Che cosa significa propria-
mente 'vita religiosa'?. Si tratta proprio di un concetto cosl chia-
ro come in genere si suppone? Il contenuto di questa vita religiosa
coincide del tutto con le sue attuali forme concrete? O non si sono
verificate, lungo il corso della storia, delle radicali trasformazioni an-
che in questo ambito? E i tentativi odierni di realizzare questa vita
religiosa non si differenziano forse a tal punto l'uno dall'altro che
ormai impossibile riassumerli tutti sotto un'unica designazione?
Di fronte alla crisi in cui versano gli ordini religiosi - per molti si
tratta di una crisi d'esistenza 1 - ancora possibile precisare chia-
ramente quale sia l'essenza, e quindi pure il dato permanente, im-
mutabile, insopprimibile, della vita religiosa? O che gli stessi pro-
tagonisti hanno forse raggiunto un accordo in materia? comunque
certo che il can. 487 del Codice di Diritto Canonico non serve pi
allo sctipo. 2 Basterebbe chiedersi in che direzione si debba cercare
l'elemento specifico ed essenziale della vita monastica, per ottenere
tutta una serie di risposte fra loro contrastanti. Ce Io potrebbe con-

I F. WuLF, 'Die Orden in der Kirche', in: HPTh 1v, Frcburg 1969, ,4,'72
(spec. no ss.); J. KERKHOPS, 'Krise und Zukunft des Ordenslebens', in: Das Scbick-
raJ der Orden - Ende oder Ncubeginn, Freiburg 1971; R. HosnE, Vie et mori de:r
ordrer religieux. Approcher psychorociologiquer, Paris 1972 (spec. 254-319).
2 Per un verso, il tradizionale rapporto precetto-consiglio, che il can. 487 implica,
non pi sostenibile (vedi nl 3: Ci che specifica la vita religios11 e la contraddi-
stingue dal comune ideale cristiano,.), per l'altro, alla luce del NT, il concetto cen-
trale della vita religiosa ~ quello della sequela di Cristo, nel cui orizzonte soltanto
si fa veramente esperienza di ci che significhino i cosiddetti consigli evangelicil
(cf. il decreto conciliare Perfectae caritatis, n. :z).
IL PROBLEMA EltMl!NEUTICO
'59

fermare anche solo uno sguardo sulle pubblicazioni di questi ulti-


mi tempi. 3 E ci vale anche per la vita religiosa in genere.
La difficolt cui abbiamo fatto cjenno non apparente, non
una questione che sorge da una momentanea fase di disorientamen-
to, ma un problema estremamente reale, che ci costringe a riflet-
tere su qualcosa di decisivo. E bisogner pure affrontarlo, se si vuol
approfondire in modo sensato fa tematica di una teologia della vita
religiosa. Il nocciolo del problema sta nel fatto che ci che noi chia-
miamo vita religiosa non un ideale avulso dal tempo, estratto e
quindi perennemente valido e dissociabile dalla sua realt storica.
vero invece che fo si potr cogliere soltanto nell'attuazione concreta,
nei modi sempre diversi in cui si traduce la risposta alla promessa
di Dio, all'appello del Maestro Che ci invita alla sequela. Questo
spiega le numerose trasformazioni che di volta in volta essa ha su-
bito. Tali mutamenti non toccarono soltanto la sua forma e figura
esteriore, quindi l'involucro che celerebbe una sostanza immuta-
bile, ma la sua stessa essenza. Per tale motivo pure l'autocompren-
sione degli ordini religiosi dovette sperimentare di volta 1n volta
profondi cambiamenti. Per fare qualche esempio, sappiamo che i ca-
nonici regolari del se.e. xn interpretarono il proprio stile di vita e
mta in modo diverso da come li intesero i monaci, bench sia gli
uni che gli altri ritenessero di poter ricondurre la propria origine
agli stessi apostoli ed alla comunit primitiva di Gerusalemme.4 I
frati mendicanti poi, Domenico e soprattutto Francesco, analogamen-
te ai chierici. regolari del sec. XVI, primo fra tutti Ignazio, erano fer-
mamente convinti d'introdurre una nuova forma di vita religiosa,
che aveva una sua propria grazia di stato ed un suo particolare ca-
risma.5 Ora, se l'impulso cristiano (biblico}, che sta a fondamento
della vita religiosa, racchiude in se stesso delle possibilit cosi diver-
se di articolarsi e concretarsi, inevitabile che si dieno anche di-
3 Vedi ad es.: Visioni attuali sulla vita monastica, Montsenat 1966; 'MOnchtum -
Argernis oder Botschaft?', in: Liturgie und Monchtum, fase. 43, Maria Laach 1968.
4 Vedi i due scritti polemici di Ruperto di Deutz (PL t70, 611 s. e 663 ss.} sulla
preminenza dci monaci sui canonici regolari.
s Francesco, ad esempio, pone spesso in espresso contrasto la propria istituzione,
caratterizzata dall'imitazione di Cristo, dalla fraternit e dalla predicazione ambulante,
con il monachesimo, e si rifiuta di accettare uno stile di vita monastico (d. TOMMASO
DA CELANO, Vita 1, c. 13 [33]; Vita 11, c. 141 [188], ed. E. Ga.m, Werl 19,,); in
modo analogo si esprime anche Ignazio di Loyola.
FENOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA REt.IGIOSA

verse possibili teologie della vita religiosa, le quali intendono richia-


marsi tutte alla medesima origine - e in questo dimostrano una
loro profonda unit - ma che nella loro concezione concreta e idee,
nella mentalit e motivazioni, possono presentare delle divergenze
veramente notevoli. un dato di fatto, questo, che va approfondito,
tenendo conto che anche qui teoria e prassi si condizionano e com-
penetrano reciprocamente.
Finora questo problema stato piuttosto disatteso, o per lo meno
non sufficientemente approfondito. Come la tradizione ecclesiastica, gli
enunciati dottrinali e le istituzioni della Chiesa, cosl anche la vita re-
ligiosa non stata sufficientemente considerata - quando la si volle
giustificare e chiarire sul piano teologico, od istittizionalizzare - pure
nel momento della sua storicit.6 E le conseguenze infauste che da si-
mile modo di procedere derivano le avvertiamo anche ai nostri giorni
quando si ormai convinti detl'impellente necessit di adeguare ai
tempi, e secondo alcuni di trasformare radicalmente, la vita religiosa.
Buona parte di queste difficolt provengono daH'esigenza di risolve-
re i gravi problemi che ci pone un mondo ormai diverso e in
sempre pi rapida trasformazione. Molte riflessioni, condotte all'in-
terno degli ordini ma presenti anche nei documenti ufficiali della
Chiesa, e che affrontano i problemi di questo rinnovamento, insisto-
no continuamente sulla necessit di dare importanza a ci che nella
vita religiosa essenziale e permanente, e non a ci che muta. Ma
proprio questo ci impossibile fare, almeno nei modi che molti si
raffigurano. Chi assume un simile atteggiamento, generalmente pos-
siede gi una chiara immagine, un solido concetto della vita religio-
sa; ha gi operato una scelta degli elementi che per lui sono essen-
ziali, insopprimibili. A questa scelta egli gi stato predisposto dal
suo modo d'intendere l'ispirazione della Bibbia e l'evoluzione sto-
rica della vita religiosa, da questa o da quella teologia o teoria del-
la vita religiosa, dagli apriori culturali, antropologici e sociali (anche
socio-ecclesiali) della propria matrice e impostazione. questo il di-
lemma, il circolo ermeneutico in cui ci muoviamo e che nemmeno

6 La tradizionale eologia della vita religiosa, che sostanzialmente si richiama a


Tommaso d'Aquino, disincarnata dalla storia, presenta un carattere di staticit, an-
che quando prende come punto di partenza l'uomo concreto e l'economia divina di
salvezza.
IL PROBLEMA ERMENEUTICO

gli enunciati che il Vaticano II ha prodotto sulla vita religiosa hanno


infranto. Il concilio non ha colto il problema, od almeno non lo ha
colto in profondit, e quindi non l'ha nemmeno evidenziato tematica-
mente. Le sue enunciazioni suonano spesso troppo generiche ed in
parte addirittura contrastanti fra loro, perch poggiano su diversi mo-
di di concepire la vita religiosa. Questi asserti hanno una precisa
collocazione storica, riflettono la problematica che gli ordini e la teo-
logia vivevano al tempo del concilio e possono quindi venir inter-
pretati nell'una o nell'altra direzione.7 Il problema dell'essenza del-
la vita religiosa implica sempre i presupposti da cui scaturisce e l'o-
rizzonte entro cui viene risolto.
Se vogliamo uscire da questo circolo, dovremo innanzitutto indi-
viduare e rendere esplicite, per poi sottoporle al vaglio della critica,
le premesse, tacitamente poste e ritenute ormai ovvie, su cui la que-
stione si fonda, come pure l'orizzonte d'attesa in cui si muove colui
che cerca di risolverla. Ma per far questo necessario che si parta
dall'esperienza di una vita religiosa vissuta - come risposta al Dio
della promessa ed al Cristo che invita alla sequela - , senza la quale
ogni sapere sarebbe sterile e non coglierebbe la vita religiosa nel suo
vero cuore.
Una delle premesse, che sta a fondamento della problematica della
essenza della vita religioS41, senz'ahro anche quella, irrinunciabile,
del suo fondamento biblico. Questa era considerata decisiva fin dal
primo monachesimo cristiano, che vi ricorreva per giustificare il pro-
prio stile di vita; ma la ritroviamo in tutte le epoche della storia degli
ordini religiosi. Nel corso dei .secoli si venuta formando un'intera se-
rie di topoi ricorrenti, che sembravano dimostrare con assoluta certez-
za l'origine biblica del monachesimo e degli ordini religiosi, fatti risa-
lire a Cristo, ai discepoli e agli apostoli, alla comunit primitiva.8 Gran

7 Cf. il commento che l'autore ha fatto del decreto Perfcctae caritatis, in: LThK,
Das Zweite Vatikanische Konzil II, 1967, 250 ss., introduzione, spcc. 263, 26~ (scm
pre dalla parte sinistra).
8 Il locus classicus nella pericope del giovane ricco: Se vuoi essere perfetto... ,.
(Mt. 19,21 ). Secondo la dottrina tradizionale, che nessuno contestava (ma gi i rifor-
matori la pensavano diversamente), Cristo stesso avrebbe istituito la vita religiosa (
quanto si legge in F. SuAREZ, De Religione 11, Tractatus Septimus: De statu perfectio-
nis et rcligionis, ed. Vivs, Paris, voi. xv, lib. III, c. 2); per giustificare ciascuno dei
tre consigli, ci si richiamava alle parole (talora anche a detti diversi) del Signore e
degli apostoli (cf. Enchiridion de statibus perfectionis I, Documenta ecclesiae soda-
FENOMENOLOGIA TEOLOGICA Dl!LLA VITA lll!UGIOSA

parte di questo materiale, e specialmente l'esegesi di Mt. 19,1, con-


tinuamente interpretato come un consiglio rivolto a tutti e come
condizione per una vita cristianamente perfetta, non ha potuto reg-
gere al vaglio dell'esegesi critica moderna.9 Per lo pi i tentativi mi-
ranti a ricondurre certi dati della vita religiosa concreta a singoli pas-
si del NT, e ad interpretarli in quel senso, li possiamo considerare
falliti.' Ci non toglie che le enunciazioni di fondo, cui s'ispira la
vita religiosa tradizionale, come il servizio esclusivo a Dio, l'imitazio-
ne di Cristo e la comunit dei discepoli del Maestro, lo stile di vita
apostolico 11 e specialmente la povert, la castit e l'obbedienza, co-
me pure altri accenti, siano originariamente biblici. Devono essere
per esegetica.mente ricompresi, e il loro senso pieno lo si potr
ricavare, in genere, soltanto dal contesto. Spesso faranno trasparire
la verit che contengono solo se inquadrati in un nesso pi ampio,
in una visione globale che comprenda parecchi enunciati biblici, ap-
parentemente persino contraddittori (analogia fidei). 12 E proprio in
tal. modo potrebbero venir spogliati da tutte le riduzioni e codifica-
zioni cui la vita religiosa tradizionale li ha frequentemente condotti.
Come una determinata precomprensione dei testi Classici della
Bibbia, cosl anche una teologia prestabilita della vita religiosa pone
il problema della sua vera essenza. Abbozzi di una simile teologia,
che stanno ad esprimere la necessit di riflettere sulla propria atti-

libus instituendis, Roma 1949, nn. x-8; T. D'AQUINO, S. Th. 11-11, q. 196, aa. 3.,).
Gran parte di queste prove dell'origine divina della vita religiosa veniva addotta
anche negli schemi preparatori del concilio Vaticano u, e secondo l'esegesi tradizio-
nale, cio nell'orizzonte della dottrina delle due vie, quella dei precetti e quella
dei consigli, e delle opere supererogatorie (d. LThK, Das Zweite Vatikanische Kon-
zil r, 28' s.; n, 2.52 ss.).
9 S. LtGASSE, L'appel du riche. Contribution /'tat religieux, Paris 1966; W.
PEsCH, 'Ordensleben und Neues Testament', in: Dienst an det> Welt (ed. H. CLAAS-
SBNS) Freiburg 1969, 35-67 (con ampia bibliografia, 70-72); J.M.R. T1LLARD, 'Le
fondement ~vanglique de la vie religieuse', in NRTh 91 (1969) 916-<n'; A. SoruLZ,
'Von dcr neutestamentlichen Grundlagc der sogen. kli:isterlichen Armut', in: Ordcns-
korrespondenz:, 10 ( 1969) r-q.
10 J.M.R. TntARD, Le fondement, cit., 917 s.; 923-925.
11 Per vita apostolica la tradizione monastica e post-monastica intendeva la vira
vissuta nella poven liberamente scelta, come la si vedeva realizzata dagli apostoli
e nella prima comunit (Atti); d. H ..M. V1cA1RI!, L'imitation des a~tes. Moines,
chanoines, mtndicants (Vl'-Xlll' sicles), Paris 1963; ]. LBCLEllQ, J!tudts sur le
vocabulaire monastique du moyen ogt, SA 48, Roma 1961, 38.
12 Per il concetto cattolico di canalogia fidci, cf. E. PRZYWAU, in LThK I (19,7)
4n-476.
IL PROBLEMA BRMEMEUTICO

vit ed esperienza, si trovano fin dall'inizio del monachesimo. Ma


questi accenni teologici, di rui ci si serviva per inserire in un pi
ampio contesto salvi.fico la cconversatio monastica, lo stile di vita
ascetico, si presentano alquanto divergenti fra loro. Se in certi casi
la preoccupazione soprattutto quella di anticipare il futuro: la
theoriu, la contemplatioi., la visione di Dio e l'unione con lui, in
altri ci s'interessa prevalentemente di precisare invece la via: l'a-
dempimento del volere divino, la confessione della propria povert e
colpevolezza, il desiderio e la nostalgia dell'eterno, dell'amore pie-
namente realizzato; ae il primo progetto pi teocentrico, il secon-
do pi cristocentrico. Si delinearono cosl diverse teologie - in
senso lato - della vita monastica. n Gi nella spiritualit monastica
del medio evo pre-scolasti<;o, possiamo constatare questa variet, per
quanto anche qui, come gi osservammo a proposito della legitti-
mazione biblica della vita religiosa, si elaborassero schemi sempre pi
rigidi e s'imponesse un determinato lessico, gli uni e l'altro incen-
trati sulla realt divina e suHa sua conoscenza (contemplazione).14
Ma la teologia della vita religiosa trov la sua sistematizzazione
soltanto nell'alta scolastica, soprattutto ad opera di Tommaso d'A-
quino; il quale non solo ha ridotto ad unit concettuale i diversi ab-
bozzi teologici della spiritualit monastica, ma ha pure integrato tut-
te le nuove idee sulla vita apostolica, evangelica," religiosa,16
sorte dopo il periodo monastico (che grosso modo abbraccia il primo
millennio), neH'impostazione di tipo monastico, poi ulteriormente
approfondita entro l'orizzonte delle nuove sollecitazioni spirituali ed
apostoliche derivate dal vangelo e dalle condizioni del tempo." Que-
sta teologia s'imporr infine nella Chiesa intera. Due tappe che se-
gnano questo cammino sono la scolastica post-tridentina, la quale ac-

13 a. Thlologie de la 11ie monastique. J!tuder rur lo tradition patristique, Paris


1961.
14 a. J. LECLERQ, F.tuder sur le IJOCdbulaire monartique du moyen age, Roma 1961.
is Vita monastica e vita religiosa altro non sono che una vita vissuta secondo il
vangelo; la povert vissuta nella vita religiosa dunque senz'altro la povert evan-
gclicu. Cf. M. CHl!NU, 'Moines, clercs, la!cs au carrefour de la vie vanglique (sec.
u). in: RHE 49 (1954) '!)-89.
I& L'equipar112ione fra monachesimo e Vite religiosa,. presente gi nelle patri-
stica. La giustific112ione in TOMMASO, S. Th. II-II, q. 81, e. 1, ad. ,; ivi, q. 186, a. 1 c.
11 S. Th. 11-11, qq. 184, i86-189; De perfectione uitae christianae, c. 16.
l'J!NOMENOLOGIA TEOLOGICA DJ!LLA VITA &EJ.IGIOSA

cetta questa elaborazione teologica e la sviluppa,18 e la neoscolastica,


che conferir ad essa la sua immagine definitiva, recepita poi anche
dalla giurisdizione ecclesiastica. Quando l'Aquinate venne proclama-
to, da Leone xm (nel I 880 ), maestro universale della teologia cat-
tolica, anche la sua teologia dello stato di perfezione 19 acquist
un valore ufficiale. Per convincersene, basterebbe anche solo scorrere
i documenti emanati da Roma in questi ultimi cent'anni, soprattut-
to gli scritti dei papi.211 Del resto, pure nei documenti del concilio
Vaticano 11, quando si parla della vita religiosa (almeno all'inizio),
Tommaso viene sempre addotto come teste principale.21
Ma proprio nel concilio si manifesta un'inversione di rotta, si
rende percepibile un cambiamento di mentalit operatosi ormai da
tempo, si sottopone a feroce critica quella teologia della vita religio-
sa che, con Tommaso, si era imposta ormai come unica ed esclusiva.
Il cap. VI della costituzione sulla Chiesa (De religiosis) potrebbe
dar l'impressione che questa teologia sia rimasta ancora intatta. Ma
non ci si lasci trarre in inganno. Il precedente capitolo, dove si par-
la della vocazione di tutti i cristiani alla santit, scaturito proprio
da un'opposizione ad essa, o per lo meno da una critica alle conse-
guenze che da essa comunemente si traevano. 22 Ci offre quiqdi anche

18 L'opera pi autorevole del tempo: F. SUAREZ (1,48-1619), De Religione n. Trac-


tatus Septimus: De statu perfec1ionis et religionis. - Suarez segue cosl pedissequa-
mente Tommaso che non gli riesce di elaborare i nuovi accenti di una teologia pi
dinamica, orientata alla storia di salvezza, della vita religiosa; e ci in contrasto con
il suo stesso padre fondatore, Ignazio (vedi la spiritualit degli Esercizi, il contem-
plativus in actione, ecc.). Nel suo trattato sull'Ordine della Societ di Ges, De
Religione n, Tractatus Decimus, ed. Vivs, voi. XVI, in perfetta conformit con la si-
stematica di Tommaso, egli annovera la Societ di Ges fra gli ordini della cosiddetta
via mixta, i quali, come i mendicanti, congiungono insieme la contemplazione
con l'azione (actio ex abundantia contemplationis).
19 Per il concetto di Stato di perfezione in Tommaso, vedi S. Th. II-II, q. 184, a_
4 e a. ,. Ma questa locuzione venne per la prima volta introdotta nel linguaggio uffi-
ciale della Chiesa quando s'islituirono canonicamente gli istituti secolari (nel 1948).
Il Codice di Diritto Canonico non ne fa ancora uso.
20 Cf. Enchfridion de statibus per/ectionis r. Documenta ecdesiae sodalibus insti-
tucndis, Roma 1949; G. CouRTOIS, Les tats de perfection. Documents Pontificaux de
Lon XII nos ;ours, Paris 1918; J.B. TsE, Perfectio christiana et societas chri-
stiana iuxta maJ!.isterium Pii Papae XII, Roma 1963; sullo Stato di perfezione,
spec. 109-n7; 166-173; 229-238.
21 Vedi nel cap. v1 della costituzione sulla Chiesa, De religiosis, le note 122,
12_5, 132, 133, 14T.
22 LTbK, Das Zweite Vatikanische Konzil 1, commento ai capp. v e vr della co-
stituzione dogmatica sulla Chiesa, 284-287.
IL PllOllLl!MA EllMENl!UTICO

la chiave per interpretare il capitolo successivo. Ancor pi evidente,


questa opposizione si manifest durante l'elaborazione del decreto
Perfectae caritatis. Qui la teologia tradizionale della vita religiosa
venne attaccata nei suoi stessi presupposti di fondo, soprattutto nel-
la pretesa di offrire delle norme per ampie sfere concrete della vita
religiosa.21 Ci che le si rimproverato fu innanzitutto una generica
dottrina delle due vie, quella dei precetti e quella dei consigli, che
almeno nel modo in cui veniva proposta ripartiva i cristiani in due
classi, secondo la diversa dignit, favorendo cosl anche una morale
a due stadi. Essa utilizzava ancora un concetto di consiglio che {
non pi sostenibile n dall'esegesi n dalla teologia morale, e con-
duceva cos a riduzioni anche nel campo dell'etica neotestamentaria.
'
Altra obiezione, intimamente legata alla precedente, veniva rivolta
alla mta verso cui questo ideale di consigli dovrebbe tendere. Si os-
servava che la preminenza unilaterale data alla contemplazione sul-
l'azione, per cui i cristiani che vivono secondo i consigli evangelici
sarebbero direttamente e immediatamente orientati a Dio, compor-
terebbe un ripiegamento dalla realt del mondo, la pi totale rinun-
cia dei beni temporali, e non giustificherebbe cos n il comandamen-
to dell'amore del prossimo n la responsabilit che tutti i cristiani
devono assumersi nei confronti del mondo.
Certo, durante gli stessi lavori conciliari, e pi precisamente quan-
do si tratt di stendere il decreto Per/ectae oaritatis, si giunse a pa-
recchi compromessi: il sottofondo teologico di questo decreto non
affatto omogeneo, ma presenta, e spesso nello stesso paragrafo, ele-
menti ricavati da una teologia tradizionale ed altri provenienti da
un'impostazione pi moderna e critica. Da quando s'incominci ad
approfondire in modo critico la materia, 1a discussione non ha pi
subito battute d'arresto. Per quanto in tali dibattiti si riscontrino
anche certe affermazioni che suonano pi distruttive che costruttive,
ed altre che si fermano alla periferia della vita religiosa e non rie-
scono a coglierne il nucleo, rimane pur sempre vero che molte del-

2.1 LTbK, Das Zweite Vatikanische Konzil n, Introduzione e commento al de-


creto Perfectae caritatis, 250-265, spec. 252-259. La gran parte dei migliori com-
menti a questo decreto, ed anche il grande commento francese, Vatican II. L'ad11p-
t11tion et la rnovation de la vie religieuse, Paris 1967, non hanno evidenziato a
sufficienza l'ampiezza e la profondit della critica che qui si muove alla giustifica-
zione e interpretazione tradizionali della vita religiosa.
FENOMENOLOGIA TEOLOGICA D1lLLA VITA lllLIGIOSA

le aoquisizioni di quest'ultima decina d'anni ci consentono di evol-


vere su nuove basi, con maggiore spontaneit e libert una teologia
della vita religiosa.
Un ultimo aspetto che, nella ricerca dell'essenza della vita reli-
giosa, va sottoposto ad analisi critica la situazione in cui si trova
oggi cl s'interroga all'interno di una vita spirituale e culturale os-
servata nel suo complesso. Anch'essa influisce, per quanto non se
ne abbia chiara coscienza, tanto sul punto di partenza come su quel-
lo .finale dell'intera indagine. Non qui il caso di enumerare tutti gli
elementi che dovrebbero venir evidenziati; ci sia consentito soltan-
to un rapido cenno ad. una delle direzioni verso cui dovremmo orien-
tare la nostra ricerca. Alcuni anni orsono E. Schillebeeck:x analizzava
il significato che hl nuova immagine di Dio e dell'uomo, scaturita
da un nuovo modo d'interrogarsi sul mistero divino, sul nostro dia-
logo con 'Dio, e d'illustrarne la realt, come pure dalle nuove acxiui-
sizioni dell'antropologia moderna, assume e deve assumere per una
ristrutturazione della vita religiosa. 25 Un problema che ha la sua im-
portanza, anche per la teologia della vita religiosa, se questa non
vuol rimanere una deduzione astratta, valida per tutti gli uomini e
per tutti i tempi, ma intende cogliere l'uomo concreto come essere
storico e la concreta comunit religiosa come una vita vissuta nelle
strutture del presente. Il compito che qui ci si propone cosl va-
sto che, con tutta probabilit, non lo si potr risolvere in un breve
lasso di tempo: ci vorr un'intera generazione.
Anche l'impresa, che noi cercheremo di portare avanti in queste
pagine, dovr essere per forza estremamente modesta. Rimanendo
nell'orizzonte che abbiamo gi del!.ineato, vorremmo semplicemente
rispondere a questo interrogativo: ci che nella Chiesa si svilup-
pato come vita religiosa, dove trova la sua collocazione neHa sto-
ria di salvezza? E stando soprattutto al dato neotestamentario, in

Il decreto Perfectae caritatis (art. u), il quale afferma che il seguire Cristo
come viene insegnato dal vangelo.. ill norma fondamentale della vita religiosa,
ci apre ad esempio lo sguardo verso un modo d'intendere i consigli evangelici
pi profondo, in quanto fondllto su basi storico-salvi6che; sempre a patto, comun
que, che si colga realmente questa sequela in termini biblici e non la si riduca
esclusivamente sul piano della morale.
25 'Het nieuwe mens- en Godsbecld in conllict met het religieuze leven', in:
Ti;dschrift vor Theologie 7 (1967) 1-27.
l'ONDAMl!NTI TEOLOGICO-SPIRITUALI

che misura si riconduce alla persona cd all'opera di Crjsto? iMa cer-


cheremo di rispondere anche ad una seconda domanda, che neces-
sariamente integra la precedente: questa vita religiosa dove ha il
suo Sitz im Leben? In che misura si fonda sull'esperienza dei cre-
denti e sull'attuazione del messaggio cristiano? Solo muovendoci in
questo duplice orizzonte potremo infrangere quel circolo ermeneu-
tico di cui sopra si pa11lava. Soltanto questo modo di procedere ci
consentir di delineare una teologia della vita religiosa che veramen-
te scaturisca dalla nostra esistenza concreta e che su di essa incida.
In tal caso per, pi che di una teologiu, si dovr parlare di una
fenomenologia teologica della vita religiosa.

2. I fomlM11enti teologico-spirituali della vita religiosa

Chiediamoci innanzitutto, in modo estremamente concreto, quale sia


stato il motivo che ha spinto i cristiani di tutti i tempi ad abbando-
nare la propria casa, a deviare dal cammino normalmente battuto
dai loro simili, a scegliere una professione che, in sostanza, no.Q. po-
tr pi essere svolta nel contesto della comune vita sociale. A fon-
damento ed origine di ogni vita religiosa, da quella del monachesi-
mo dei primi tempi della Chiesa fino a quella che si traduce nelle
pi attive associazioni dei nostri giorni, troviamo sempre il senti-
mento di stupore che la fede provoca, il sentirsi coinvolgere da que-
sta fede. 26 U singolo pu essere pi o meno cosciente del modo in
cui giunto a tale esperienza; il motivo concreto che l'ha ispirato
alla scelta (di un'attivit missionaria o caritativa) potr essergli del
tutto evidente e forse rimanergli sempre davanti allo sguardo. Ep-
pure, se si analizza in profondit ci in cui questa persona s'imbatte,
sempre quel diffuso e indicibile mistero della vita che soggiace a
tutte le cose e che ora, nel cuore dell'uomo fedele, domanda la paro-

26 E. Schillebeeckx ne parla quando fa l'esegesi del detto sugli eunuchi di Mt.


19,12c: questo stupore, che deriva dall'esperienza che il regno di Dio ~ ormai ini-
ziato, pu spingere una persona alla rinuncia del matrimonio (Der Amtszolib11t,
Diisseldorf 1967, 17-20; trad. it. Il celibato ecclesiastico, Paoline, Roma); C. BAM
BEllG, W11s Mensch1ein kostet, Wiirzburg 1971, 13-29 ('Der betrolfene Menscb'),
vede in questo stupore l'esperienza fondamentale del monachesimo dei primi tempi
della Chiesa.
FBNOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA Vrl'A aEUGIOSA

la. Sta qui il carattere d'assolutezza, di insistenza e di incondizio-


nateZ1:a dell'appello.n Non si tratta di ques.to o quel bene, di questa
o quella istanza o compito, bens della vita umana nella sua globali-
t, di quel senso misterioso e percepibile soltanto per fede che per-
vade questa nostra enigmatica esistenza: si tratta della salvezza e
della fine di ogni cosa. Chi cos toccato, colpito, non pu dare
che una risposta, quella che si traduce nella donazione di s e quindi
di tutto ci che possiede e di cui dispone.28 Egli non intende pi
prendere in mano, d'autorit, Ia propria vita, ma se la lascia toglie-
re di mano; non vuole pi disporre secondo i propri piani e desideri,
ma si rende lui stesso disponibile, poich capisce di trovarsi alla pre-
senza di un mistero che lo trascende e sa, per un sapere di fede, che
solo da questo mistero pu derivare a lui, a tutti gli uomini, al mon-
do intero la salvezza.29 Pi concretamente ci significa che soltanto
dove Dio stesso si comunica all'uomo ed al mondo, e il mistero di-
vino viene sperimentato dall'uomo e dal mondo, si daranno adempi-
mento, maturazione piena e salvezza.
Come gi si accennava, questo evento fondamentale che troviamo
alle origini della vita religiosa, questo senso di stupore, questo sen-
tirsi coinvolti dalla fede nella sua totalit e incondizionatezza, posso-
no articolarsi, come di fatto riscontriamo anche nella storia della
vita religiosa, nei modi pi diversi, a seconda delle disposizioni del

TI O. du Roy ritiene che questo carattere d'assolutezza traspaia nel modo pi


evidente dalla vocazione monastica; egli qualifica il monaco come l'uomo del.l'as-
soluto ('Das monastische Leben heutc', in: GuL 43 (r970) 205, 196 s.; lo stesso
art. nell'opera del medesimo autore: Moines auiourd'hui. Une expbience de rforme
institutionelle, Paris 197:z, 369, 362 s.). Per quanto riguarda il carattere d'assolu
tezza che l'appello di Dio manifesta nella predicazione, d. E. NEUNHAUSLER, An-
spruch und Antwort. Zur Lehre von den Weisungen innerhalb der synoptischen
Jesusverkiindigung, Diisseldotf 196:z.
28 L'esclamazione di Pietro, contenuta in Mc. 10,28, Ecco, abbiamo lasciato tut-
to e ti abbiamo seguito, la risposta adeguata all'appello incondizionato rivolto
da Dio in Ges cd al suo messaggio. Essa traduce la totalit dell'essere-assunto
e del lasciatsiprendere (cf. H.U. VON BALTllASAR, Klarstellungen. Zur Priifung
der Geister, Herder-Biicherei 393, Freiburg 1971, r.<9). Ci non esclude che ogni
cristiano possa venir colpito cosl in profondit dall'appello incondizionato di Dio,
da mostrarsi disposto a donarglisi tutto, senza riserve.
29 In questa prospettiva, il cercare lddim> dev'essere compreso come la quintes-
senza della vocazione monastica; cf. J. LECLERCQ, L'amour des lettres et le dsir de
Dieu, Paris 1957; vedi l'indice degli argomenti alla voce Recherchc!> (recherche de
Dieu).
FONDAMENTI TEOLOGICO-SPIIITUALI

singolo e i presupposti spirituali, teologico-religiosi e sociali di una


certa epoca, delle condizioni concrete di una esistenza ed anche in
una vocazione individuale del tutto fuori del comune.
a. Qui una persona pu imbattersi immediatamente con Dio, in
colui che, nel profondo del cuore, misteriosamente l'interpella, la se-
duce e pur tuttavia non si lascia afferrare; si rinchiude continuamen-
te nel suo silenzio, assume le dimensioni di un qualcosa che tutto av-
volge, sopporta, nasconde, pretende e ama. La storia della spiritua-
lit cristiana conosce intere fasi in cui si proclamava Dio soltanto
nella sua esclusivit, e di fronte a questo Dio il mondo doveva spro-
fondare, convinti come si era che tutto ci che di terreno corporeo
e percepibile attraverso i sensi costituisce soltanto un impedimento
all'unificazione con lui, perch dispersione, tentazione e schiavi-
t.30 Si cerc cosl la via che pi direttamente e senza deviazioni avreb-
be dovuto condurre al definitivo compimento, quella cio che sa-
crificava ogni caducit, s'allontanava dal mondo, conduceva alla so-
litudine, faceva vivere di rinunce, accelerava per cosl dire la morte
nella fiduciosa speranza di poter contemplare Dio fin d'ora nella lu-
ce beata di una fede oscura, di congiungersi a lui mediante l'espe-
rienza dell'amore che trascende ogni senso. Questi tratti caratteriz-
zano soprattutto gli inizi monastici della Chiesa primitiva, ma anche
il movimento eremitico de~ sec. XII. Qui un simile atteggiamento
venne condotto alle estreme conseguenze. Va per osservato che an-
che in seguito lo si present come un ideale superiore alla stessa vita
religiosa vissuta nella Chiesa,31 per quanto le scelte concrete si siano
manifestate come pi equilibrate, complesse e varie, e sul terreno
pratico ci si sia orientati sempre pi decisamente verso degli obiet-
tivi di carattere missionario, caritativo ed educativo.

30 Per la storia del significato che il Dio soltanto venne ad assumere nella
tradizione spirituale, vedi F. WuLF, 'Gott allein. Zur Deutung eines christlichen
Grundwortes', in: GuL 44 (r97r) 162-169.
31 A proposito dell'ideale della vita religiosa, Leone XIII scriveva, senza precisare
meglio il senso delle sue affermazioni e limitandosi semplicemente a ripetere quanto
in modo analogo si era detto prima di lui, che nel proclamare i consigli evangelici
Cristo si rivolge a quelle anime eroiche e generose che attraverso la preghiera e lll
contemplazione, la santa rigorosit e l'osservanza di un determinato ordinamento di
vita, si sforzano di salire verso le somme vette della perfezione cristiana (Acta
Leonis XIII, val. xx, 340).
FENOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA RELIGIOSA

Ai nostri giorni questo ideale, in se stesso considerato, non sfug-


ge alla critica. Ci si chiede infatti se sia mai possibile, in un mondo
profano che nella sua realt stessa voluto da Dio e quindi vanta
delle pretese anche sull'uomo di fede, sia mai possibile giungere a
Dio in un modo cosl diretto, quale poteva garantire - almeno stan-
do al programma - la tradizionale vita monastica contemplativa, e
pure la spiritualit cristiana. Non vero forse che Dio, in un simi-
le mondo e nonostante l'opera redentiva di Cristo, innanzitutto un
Dio della speranza, un Dio-davanti-a-noi, come si preferisce dire,
un Dio di cui si attende ancora, stando alla seconda domanda del
Padre Nostro, la manifestazione, e il cui regno verr soltanto nella
misura in cui noi stessi ci sforzeremo di condurre il mondo alla sua
piena maturazione? 32
Nessuno dubita che i cristiani si siano resi molto pi responsabili
delle sorti del mondo e della societ, come pure certo che nessuno
dovr sottrarsi a questa responsabilit. Basterebbe una simile consta-
tazione a ridurre la portata del Dio soltanto, avanzata dalla spiri-
tualit tradizionale.M Ma si aggiunga un'altra osservazione. Non
vero forse che Dio ha nascosto il proprio volto quando ha voluto l!e-
garsi ad un corpo e che tale nascondimento cresce nella misura in
cui la sfera dell'attivit e dell'esperienza umana viene evoluta nelle
sue possibilit immanenti? Non riesce sempre pi difficile per l'uo-
mo intravedere Dio nella figura della sua creazione quanto pi si col-
gono in loro stessi, nelle loro possibilit intrinseche i segni che ri-
mandano alla potenza e divinit (d. Rom. 1,20) di Dio? Ed anco-
ra, in una tale situazione quel Dki che opera la sua salvezza nell'uo-
mo e nel mondo soltanto nel segno della croce - sub contrario,
secondo la formula di Lutero 34 - non si render ancora pi nasco-
sto ed oscuro?
Tuttavia il riferimento a Dio una componente originaria della

32 Non a caso il tema generale scelto per il congresso degli abati, che si svolse
a Roma nel 1973, fu .. L'esperienza di Dio. Ci si richiama continuamente a questa
esperienza di Dio, la quale per non suona pi cosi ovvia all'attuale generazione di
cristiani, e quindi esige d'essere esposta e interpretata nelle possibilit e modi che
essa offre anche alla vita monastica.
a.
l3 w. WuLF, op. cit., 166-169.
34 Cf. OH. PESCH, 'Licher - Vergangenheit oder Zukunft?', in: W. SEIBEL - OlI.
Pl!sCH, op. cii., Kevelaer 1969, pp. 22-37; qui alle pp. 37 s.
l'ONDAMBNTI TEOLOGICO-SPIRITUALI

realt stessa dell'uomo.35 L'essenza di questi non si esaurisce sempli-


cemente in un essere-nel-mondo, ma si estende fino al mistero che
trascende il mondo, lo avvolge interamente e conferisce ad esso un
senso; la natura umana si trova nella condizione di venir coinvolta
da questo mistero non mondano, da Dio, e di rimanere a lui aperta.36
Per un impulso ancestrale, l'uomo aspira quindi con tutto il proprio
essere a Dio, anche alienandosi (quando trova sbarrata la via_ che a
lui conduce), nell'ardente brama di liberarsi dalia scissione della na-
tura, di radicare il proprio essere nel fondamento sovramondano e
misterioso dell'esistenza, di realizzarsi in comunione con l'Altroi.,
il Trascendente, l'Estraneo racchiuso nei suoi misteri. 37 La grazia
redentiva di Cristo ha ulteriormente intensificato questa inclinazione
ed esigenza, rendendo loro possibile uno sbocco insperato. Essa inse-
risce il fedele nella comunione intratrinitaria fra i.I: Padre e il Figlio,
come si manifestata a tutti gli uomini nel mistero di Ges.38 Ma qui
non l'uomo che, con un superamento estatico, giunge a Dio, come
vorrebbero suggerire alcuni metodi di meditazione; 39 vero invece
che Dio stesso giunge all'uomo. lui che gli si comunica: Verre-
mo da lui e dimoreremo in lUi (]o. 14,23). La nuova alleanza ci

35 Qui la tradizione teologica parla, fin dal tempo di Tommaso d'Aquino, del
..desiderium morale in visionem Dciio (LThK m (19,9) 248-2,0).
36 Ori pi di ogni altro ci ha illustrato, nel nostro tempo, questa situazione uma-
na dal punto di vista speculativo e partendo dalla ttascendentalit dello spirito del-
l'uomo, K. Rahner (vedi spec. 'Ober das Verhiiltnis von Natur und Gnade', in:
Schriften 1, 323-345 (trad. ic. 'Natura e grazia', in: Saggi di antropologia sopranna-
turale, Paoline, Roma); vedi anche J. Al.FARO, 'Trascendencia e immanencia de lo
sobrenatural', in: Gr. 38 (19_57) ,5-,57; circa il problema psicologico del carattere
immediato dell'esperienza di Dio, cf. C. ALBREOl'l', Das mystische Erkennen, B~
men 19_58, 368.
37 Q sembra che ai nostri giorni soprattutto due sintomi stiano ad indicare la
presenza di un desiderio (alienato) di far esperienza del mistero trascendente di Dio
e del mondo: il favore sempre pi ampio che incontra la cosiddetta meditazione
trascendentale e, sotto forma di brama, di speranza, le utopie sociali, che oggi af-
fascinano una gran parte della giovane generazione.
38 L'esperienza cristiana di Dio, se vuol essere autentica e preservarsi dalle illusio-
sioni, dovr porre sempre al centro il mistero di Cristo, per quanto diversi siano i
gradi e la coscienza che si possiede di tale collocazione. Secondo la concezione del
cristianesimo, per sua essenza la mistica fondata sulla persona ed opera di Cristo.
39 Non questo il caso delle meditazioni classiche delle grandi religioni orien-
tali, quali ad esempio lo Zen, dove l'esperienza del fondamento trascendente ed
unico di ogni essere viene sempre avvertito come dono della grazia; d. K.G.
DORKHEIM, 'Werk der Obung Geschenk der Gnade', in: GuL 4.5 (1972) 363-382.
t invece il caso di molti metodi di meditazione>Jo che oggi si offrono.
572 FENOMENOLOGIA TBOLOGICA DEI.LA VITA llBLlGlOSA

attesta un'esperienza di Dio ancor pi profonda di quella che si ri-


scontrava nell'antica; ma anche in quel contesto, come .nella misti-
ca, per l'assenza di immagini e di modi concreti, essa viene avverti-
ta come un contatto immediato, e quindi si tratta sempre di una co-
noscenza del lato posteriore (Ex. 33,21; I Re 19,23), della pre-
senza operativa di Dio nella creatura.41 Proprio qui, in quest'ampia
esperienza offertaci dalla grazia divina, troviamo quell'impatto con
Dio che pu stare all'origine della vita religiosa.
b. Lo stesso fenomeno pu assumere anche la forma di un lln-
patto con Cristo: altra esperienza da cui sono scaturite numerose,
ed ancor pi frequenti, vocazioni religiose. Ma non si tratta di due
esperienze radicalmente diverse, perch questa seconda implica sem-
pre anche la prima. Nella persona e nella parola di Ges, a colui
che crede si mani-festa, e nel modo pi diretto e concreto, il mistero
stesso di Dio: Chi vede me vede anche il Padre (]o. 14,9). Ges
e il Padre sono una cosa sola. :B un tema che il vangelo di Giovanni
ripropone continuamente, nelle modulazioni pi diverse, e sta alla
base dell'annuncio giovanneo. In Ges si rende concretamente ac-
cessibile all'uomo il Dio assoluto, colui che tutto abbraccia, la ra-
gione di ogni cosa. Qui egli lo incontra in modo visibile e percepi-
bile, e non gli sar facile prescinderne poi quando si porr il proble-
ma di Ges.41 Ges avanza delle pretese che non trovano pi alcuna
copertura nell'autorit degli uomini: Voi avete udito cosa fu detto
agli antichi ... , ma io vi dico (Mt. 5,21 s.). Egli si identifica con
colui che solo buono, il bene per eccellenza (cf. Mc. 10,18 par.) e
che rimette le colpe (cf. Mc. 2,5 par.). Soltanto entro questo oriz-
zonte si potranno comprendere gli inviti alla sequela: la rinuncia a
tutto per amore di Ges e del suo messaggio (c'f. Mc. ro,28 ss.; Le.

40 Non si d quindi un'esperienza di Dio soltanto nella pregh!era, ma anche nella


vita attiva, nel rapporto, ispirato dalla fede, con il mondo creaturale (cf. Teilhard
de Chardin), specialmente nei rapporti inter-umani, quando questi si approfondiscono
nell'amore. Da tempo immemorabile la tradizione biblica e quella patristica hanno
visto la storia come luogo dell'epifania di Dio, per quanto diversi siano stati i modi
d'interpretare questa manifestazione e i criteri di cui ci si serviti (vedi R. SCHLET
TB, Epiphanie Gottes, Munchen 1966: un'opera che presenta qualche limite; W.
XAsPER, Glaube und Geschichte, Mainz i970, soprattutto il cap, 'Moglichkeiten der
Gotteserfahrung beute', 12c>-I58).
41 Per la pretesa assoluta che Dio avanza nella persona e nel messaggio di ~
s, vedi E. NEUHAUSLER, Anspruch und Antwort Gottes, cit.
FONDAMENTI TEOLOGICO-SPIRITUALI
.573

9,57-62; 14,33), per seguire il Maestro in un cammino che conduce


senz'altro alla morte (cf. Mc. 8,34 ss.; 10,32 ss.).42
Fin dall'inizio i cristiani interpretarono questi inviti alla seque-
la come proposte rivolte ai fedeli di tutte le generazioni.43 Antonio,
il padre del monachesimo, ascoltando il vangelo del giovane ricco
capl immediatamente che le parole di Ges si riferivano alla situa-
zione che egli viveva al presente; 44 ne rimase cosl colpito che se ne
and e vendette tutto ci che possedeva, per mettersi alla ricerca
di Dio e meditare sulle realt eterne. Per Francesco d'Assisi tutto
ci che in ilio tempore Cristo aveva detto e fatto si svolgeva al
presente;'' e quindi doveva essere preso alla lettera. Kierkegaard ha
fondato la trasposizione del passato storico dell'evento di Cristo nel-
l'ora di una vita cristiana su quella contemporaneit divina che
stabilisce il profondo legame tra Cristo e i cristiani.46 E di ci una

42 Per l'appello incondizionato che gli inviti di Ges alla sequela contengono,
vedi M. HENGEL, N11Ch/olge und Charisma. Eine exegetisc,,..,.eUgionsgeschichtliche
Studie zu Mt. 8,u s. un ]esus RM/ an die N11Ch/olge, Berlin 1968.
43 Che la sequela di Ges nei sinottici debba essere compresa entro l'ottica del-
la Chiesa post-pasquale, e che quindi la sequela storica dei discepoli valga coma
paradigma per tutti i cristiani, ce lo illustrano in modo oonviucente H. Z1MMl!ll-
MANN, 'Cliristus nachfolgen. Eine Studic zu den Nachfolge-Worten der synoptischen
Evangelien', in: Theol. 53 (1963) 241-2.55; R. PEsOJ, 'Berufung und Sendung, Nach-
folge und Mission. Eine Studie zu Mk 1,16-20', in: ZkTh 91 (1969) pp. 1-31; M.
liENGEL, Nachfolge und ChtZTisma, cit.; che pero i discepoli si differenzino, come
una cerchia pi ristretta, da tutti gli altri che in qualche modo seguono Ges (G.
BoRNKAMM, Jesus von NattZTeth, Stuttgart 19,6, 136 (trad. it. Ges di Nat.areth,
Candiana, Torino); con lui, altri autori; e che ci sia di un significato decisivo anche
per la sequela post-pasquale, traducendosi nel monachesimo e nella vita religiosa, lo SO
stienc H. ScHi.iRMANN, 'Der Jiingcrkreis Jesu als Zeichen fiir Israel (und als Ur-
bild des Riitestandes)', in: fo., Ursprung una Gestalt, Diisseldorf 1970, 4.5-60; ma
questa una logica conseguenza anche dell'impostazione di H. Zimmermann, R.
Pesch e soprattutto di M. Hengel, ammesso che realmente la sequela storica di
Ges sia rimasta normativa, nel suo Specifico carattere carismatico-escatologico
(Hengel), anche pet le successive concezioni di sequela, e che si sia concretata
pure in uno specifico ministero apostolico, che Hcngel qualifica come il frutto
genuino dell'appello di Gesit alla sequela (p. 92 ).
+I ATANASIO, Vita S. Antonii, c. 2.
45 La celebrazione natalizia, nel bosco di Greccio ( 1223 ), attorno ad una man-
giatoia, cc lo esprime in modo particolarmente chiaro e significativo (TOMMASO t>A
CELANO, Vita I, Lib. I, c. 30; BONAVENTURA, Legenda maior, c. ro).
46 In Einiibung im Christentum (ed. W. REsT), Koln 19,1, pp. 117-123; Phil~
sophische Brosamen, Koln 1959, 67-85 ( trad. it. Briciole di filosofia, a cura di C.
FABRO, Bologna 1963).
574 PENOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA llELIGIOSA

vita cristiana vissuta non ha mai dubitato: un patrimonio della


tradizione spirituale.47
Ma che cosa significava propriamente seguire Ges per coloro
dhe nella storia della vita religiosa si sentirono da lui colpiti?
Molto semplicemente potremmo rispondere che esso significava: Ge-
s stesso, essere-con...lui, voler-rendersi-a-lui-uguali, vivere-il-suo-de-
stino, ascoltare-la-sua-parola. Sta qui il: vero nucleo della sequela,
quindi non in un particolare servizio concreto.48 un'esperienza ana-
loga a quella che facciamo quando ci affidiamo ad una persona che
ci ispira fiducia e ci strappa l'amore. Ma non basta. Da Ges ci si
attendeva anche un chiarimento del senso della propria vita, un fon-
damento sicuro per un'esistenza intessuta di illusioni, un aiuto alla
propria impotenza ed una salvezza dopo la morte, come Dio promi-
se per bocca di Ges. Pur senza rendersi conto, qui si vedeva Ges
al posto di Dio, e quindi si cercava di stabilire un rapporto con lui
mediante l'amore e la preghiera, di giungere ad una pi approfon-
dita conoscenza dell'amore di Dio attraverso una meditazione sulla
sua vita e sofferenza, di rimettersi in ogni situazione alla volont
del Padre, di farsi addirittura carico con Cristo, in nome dei propri
fratelli, della stessa passione di questo mondo. Sono tratti che aflio-
rano soprattutto dalla piet degli ordini mendicanti .

.f1 Il fatto che un evento storko, religiosamente rilevante, venga affennato con-
temporaneo al momento presente di ogni tempo, e che questa affermazione di con-
temporaneit sia un topos storico-religioso (d. M. EtIADE, Die Religionen und dar
Heilige, Salzburg 19,4, pp. 488 ss.), non comporta affatto un carattere mistico che
tale avvenimento assumerebbe nel cristianesimo; si tratta di qualcosa di pi e di
ben diverlio dal desiderio ancestrale che l'uomo ha di elevarsi sul tempo profano,
per vivere in un tempo sacro (ivi, p. 462).
48 E ci vale per lo stesso Ignazio di Loyola, che dopo la sua conversione and
a visitare i luoghi santi della Palestina per stare pi vicino al suo Signore e per
poterselo rendere pi tangibile (d. le sue Lebenserinnerungen, relazione del pelle-
grino, Freiburg i. Br. 1956; si ricordi poi anche l'affermazione del Santo: fossi
nato giudeo, sarei pi simile a Ges anche per sangue! E lo diceva con tanta
commozione che le lacrime gli rigavano il volto (Mon. Hist. SJ, Mon. lgn., set.
IV, Scripta de S. lgnat., Dieta et facta n. 32, p. 398; d. A. HuONDER, Ignatiu.r
von Loyola, KO!n 1932, 20). Secondo M. HENGEL, Nachfolge und Charisma, cit.,
80, la comunione di destino con Cristo costituisce un elemento essenziale della
sequela: Sequela significa innanzitutto una comunione di destino che non cono-
sce limite alcuno e che non teme le rinunce e sofferenze che s'incontrano nel se-
guire il Maestro. Essa possibile soltanto se il discepolo mostra una rotale fidu-
cia: ora egli pone il proprio destino, il proprio futuro, nelle mani del Maestro.
EONDAMJ!NTI Tl!OLOGICO-SPWTUALt

Naturalmente ci si voleva porre anche a servlZlo del Signore,411


rendersi a lui disponibili secondo i modi che le circostanze richie-
devano, annunciare il regno di Dio e prima ancora realizzarlo, glo-
rificare il Padre che nei cieli, aiutare i poveri e i sofferenti, con-
vertire i peccatori. Non dobbiamo .forse trasmettere agli altri ci
che abbiamo ricevuto? 50 Ma i modi di tradurre questo servizio non
erano rigidamente determinati; scaturivano dalle diverse condizioni
ed esigenze, come del resto nel vangelo non troviamo soltanto i di-
scepoli che vengono inviati ad annunciare la buona novella, ma an-
che le donne della Galilea, che seguono Ges e lo servono (Mc.
15,41 par.). Servizi programmati e finalizzati, determinati impegni
concreti, che i seguaci di Cristo assumono, li riscontriamo per la
prima volta nell'et moderna, soprattutto dopo la ristrutturazione
della vita religiosa segulta alla rivoluzione francese e nelle nuove
istituzioni del sec. XIX. Anche qui in primo piano sta una profonda
esperienza di Cristo. Ci che soprattutto ci si propone di mettersi
al servizio di Ges e del suo messaggio, e poi ci s'impegna anche a
servire la societ, ad alleviare le sofferenze di cui essa soffre.
Ma c' ancora un tratto che accomuna tutti questi religiosi che si
sentono colpiti da Cristo e chiamati alla sua sequela: essi sono
convinti che la loro vocazione esige una vita comune e si sentono
da sempre come una comunit di discepoli di Ges, con delle strut-
ture visibili e manifeste. Il loro modello quello degli apostoli e
della comunit primitiva di Gerusalemme; il loro centro e Signore
Ges; attorno a lui essi si sono riuniti, soltanto da lui la nuova
compagine deriva il proprio significato e stabilit. Gi la regola be-
nedettina interpreta il cenobio come Scuola del servizio del Signo-

.f1 Come: hanno dimostrato anche le pi recenti indagini esegetiche sul discepo-
lato storico (d. nota 43); il servi%io una componente essenziale della sequela
di Cristo; un servizio reso alla causa del Regno cli Dio ormai pl:O!isimo> (M.
HENGEL, Nachfolge und Charisma, 81 }. Nella storia della vita religiosa, l'idea del
servizio nella sequela cli Cristo stata espressa per la prima volta in tutta la sua
plasticit con la fondazione degli ordini mendicanti, non solo domenicani ma an-
che francescani. Quando Francesco, durante la messa celebrata nel giorno della festa
di S. Mattia (24.2.uo9) ascolt il vangelo che narra come Ges inviasse i disce-
poli ad annunciare il regno di Dio (Mt. I,5,.5 ss.), si sentl anch'egli chiamato a
questa missione (TOMMASO DA CELANO, Vita I, Lib. I, v. 9).
!O H. SortiRMANN. Der ]ungerkreis Jesu, cit., 47-,!5I, sottolinea il nesso inscin-
dibile fra l' ascoltare e I'insCBnarei. nella sequela cli Cristo, da una parte, e la
collaborazione nell'annunciare e confermare dall'altra.
FENOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA RELIGIOSA

re.51 Francesco suggerisce alla sua comunit la prassi evangelica


della missione a due a due. 2 Ignazio chiama la sua istituzione
Compagnia di Ges. E in ci non sbagliavano, come ce lo con-
ferma anche l'esegesi critica pi recente.
c. C' un terzo impatto che, accanto a quello provocato dalla
esperienza di Dio e di Ges, sta a fondamento della vocazione reli-
giosa: l'impatto con la situazione di peccato in cui il mondo versa.
Ma nemmeno questa esperienza slegata dalle precedenti. Infatti
ci che qui si sperimenta a livello religioso pur sempre quel Dio
che in Ges giudica e salva il mondo e l'uomo.
E quali sono i segni che manifestano questa situazione di peccato
del mondo? Innanzitutto le diverse sofferenze che sopraggiungono
all'uomo come un destino inevitabile: la povert, l'indigenza, la
sventura, l'insuccesso, la malattia, la miseria, l'isolamento e, infine,
la morte. Chi crede sa che la sofferenza, come concretamente si spe-
rimenta in questo mondo, presenta un certo legame con il peccato,
e che il pi delle volte non riconducibile al singolo ma senz'altro
all'umanit nel suo complesso.s.i Questa realt terrena, strutturata
nella colpa, si rende chiara e manifesta in ogni genere di egoismo e
di freddezza, che possono sfociare anche nell'odio nutrito dal sin-
golo, dalla comunit, da interi popoli: ingiustizie, discriminazioni,
oppressioni, guerre e genocidi di interi gruppi etnici. Il mondo ci-
vilizzato ha sempre pi chiara coscienza del fatto che la situaz~one.
sociale ed economica di molti popoli del Terzo Mondo ha le sue
evidentissime radici nell'ingiustizia. Ma anche la societ produtti-
va delle nazioni industriali, di un mondo tecnicizzato ed ammini-
strato, viene sempre pi decisamente avvertita come societ perver-
sa, fonte di continue ingiustizie.
Molti l'.lirnangono choccati dalla situazione disperata del nostro
mondo. Ma questa esperienza non d origine soltanto ad un crescen-
te pessimismo circa le future sorti dell'umanit. Non sfocia solo in

51 dominici schola scrvitii (Regula, prologo).


52 Spec. Per/. libr. m, c. 28.
s3 In questa direzione si muovono certi tentativi di ripensare la dottrina del
peccato originale~ nella teologia cattolica (P. Schoonenberg, H. Haag, K. Schmitz..
Moormann, I. Baumann, H. Wcger, ecc.). Per l'attuale stato della discussione, ve-
di Herderkorrespondenz 2r (r967) 76-82; 25 (197r) 485-490.
FONDAMENTl Tl!OLOGICO-SPlllTUALI
577

una denuncia, sempre pi decisa, delle situazioni d'ingiustizia. Cre-


sce infatti anche il numero di coloro che s'impegnano nella lotta per
un mondo migliore e che si pongono dalla parte dei bisognosi, degli
oppressi e dei reietti dalla societ. Ma per giungere a simili con-
clusioni non necessario partire da queste premesse. Si osserva in-
fatti che spesso il punto di partenza un altro. L'esperienza della
situazione di peccato in cui versa il mondo si radica infatti nella
fede, non sempre riflessa. E si potranno cogliere le esatte proporzio-
ni di questa realt umana, minacciata dalla totale perdizione, e del
suo asservimento alle potenze del peccato soltanto alla luce della
storia di salvezza, che sempre anche una storia di sventura. que-
sta storia infatti che ci fa vedere come Dio e Ges giudichino il
mondo nella sua realt di salvezza e che cosa pensino sulla colpa e
colpevolezza dell'uomo, dell'umanit, del popolo eletto.S4 Solo quan-
do Dio, nel suo Figlio incarnato, in Ges, chiama il credente da que-
sto mondo perverso, e quando quest'uomo di fede riconosce nei do-
lori e nelle umiliazioni dei fratelli il Signore sofferente ed umiliato,
nascer anche quell'esperienza della situazione di miseria del mondo
che pu giustificare e rendere sensata una vita condotta entro gli
schemi di una vocazione religiosa.55
Chi fa questa esperienza e ne trae le conclusioni che s'impongono
solidarizza con Dio. Ora egli vede Dio nel quadro della storia della
salvezza: un Dio che lotta con il suo popolo ed ogni singolo uomo,
li seduce e.on il suo amore e li sostiene, li fa anche sperimentare la
loro impotenza e li corregge, quando nei momenti della prova essi
operano delle scelte egoistiche e cercano di distruggere Ja sua me-
moria. In primo piano qui non troviamo il Dio dell'ira e del giu-
dizio, bensi quello della pazienza e dell'attesa, il Dio che non spe-
gne il lucignolo fumigante e che, come un padre, aspetta il ritorno

54 Ma un'esperienza cristiana della situaiione di miseria del mondo dovrebbe


comprendere anche quella delle colpe che noi commettiamo nei confronti dei n~
stri simili, della societ umana e dello sviluppo del mondo (fino al peccato della
degradazione dell'ambiente), un'esperienza sempre pi vivida in questo mondo tec-
nicizzato e amministrato; altrimenti rimarrebbe ancora troppo unilateralmente ri-
stretta alla sfera dello spirituale e dell'escatologico, come iq genere osserviamo nel
la tradizione ecclesiale.
5S Ma anche qui si tratter di un 'esperienza religiosa, scaturita e determinata
dal nostro legame con Cristo, solo fino a quando rimarr un'esperienza umana,
derivata dalla con-passione con l'uomo.
FBNOMENOLOGJA TEOLOGICA DELLA VITA llELIGIOSA

del figlio che pi non lo conosce. In una parola, questi un Dio per
il mondo e per gti uomini. 56 E chi si sente chiamato vuol porsi al
suo servizio, vuol rendersi suo docile strumento, per la salvezza
dei molti. Alcune istituzioni religiose dei nostri giorni ebbero qui
la loro origine, da questo modo di vedere Dio. Il motto del loro
programma potrebbe essere quello del vivere nell'impegno di Dio,57
per la redenzione ed attuazione piena del mondo, per la liberazione
dell'uomo.
Ma chi fa questa esperienza, spinto anche a solidarizzare con
i .fratelli. Tutto ci che si vive nella tensione fra salvezza e sventura
per lui ora assume la dimensione di mondo. Egli si riconosce in CO
loro che piangono, che sono tentati, si sono resi colpevoli, si sono
allontanati da Dio, hanno fallito. Si pone dalla parte di tutti costo-
ro e ne condivide fino in fondo il destino.58 Fa esperienza di un Dio
enigmatico, incomprensibile, un Dio lontano che non si riesce pi
a situare nella sfera delle possibilit e forze di questo mondo, e
che sembra diventato ormai superfluo. A nome di molti altri, egli
deve ora sforzarsi di rifondare questa realt divina, di g~ustificarla e
renderla quindi nuovamente credibile. In ogni caso egli dovr met-
tersi dalla parte del mondo e degli uomini, sentirsi responsabile del
loro futuro, impiegare tutta la forza di cui dispone e porsi al l'oro
servizio. Questo atteggiamento potr consentire ad un uomo come
Teilhard de Chardin di intonare un sublime inno alla materia, di
scorgere la grandezza di Dio presente nelle forze, celate e manife-
ste, di un mondo in evoluzione; anzi, gli far credere di aver sco-
perto una profonda convergenza fra l'opera salvifica di Dio e l'vo-
luzione di un mondo che stato da lui creato.59 na questo punto

56 Talvolta, ai nostri giorni, qui c'imbattiamo in un'immagine di Dio un po'


unilaterale, per quanto necessaria, conforme a determinate esperienze storiche; es
sa esiger d'essere: integrata da un elemento profetico ed escatologico.
57 P. il titolo (lm Einratz Gotter leben) di un'opera di H.U. von Balthasar, puf>.
blicata ad Einsicdeln nel 197r. Unilateralmente, qui l'autore cerca di ricondurre
la spiritualit cristiana, scaturita dall'impegno per il mondo, al primato dcll'ini
ziativa divina nella liberazione del mondo e dell'uomo.
58 Figure come quella di Madre Teresa di Calcutta o quella del monaco sudame-
riamo Ernesto Cardenal (Nicaragua) conferiscono oggi, a questo atteggiamento, con
la loro attivit e scritti (E. CARDENAI., Zerschneide den Stacheldraht. Lateinameri-
kanische Psalmtn, Wiippertal r970; Gebet fiir MtJrilyn Monroe und andere Ge-
dichte, Wiippertal r971), un'espressione veramente eceezionale.
S>J L"Inno alla Materia', Inno dell'universo, ed. Paoline; per il concetto di con-
,79

di vista potremmo parlare di individui che, spinti da motivazioni


religiose e dall'amore di Dio, sono posseduti dal mondo e dall'uo-
mo, come nel monachesimo del primo medio evo si parlava di per-
sone possedute da Dio e nel medio evo -possedute da Cristo.
Per quanto unilaterale ed ambigua suoni questa qualifica, nel nostro
contesto pu essere giustificata. Basterebbe richiamarsi alla persona
di Cristo, che ha sperimentato in modo sublime tutto ci che qui
si condensato nella Situazione di sventura del mondo. Una vita
religiosa che si orienti verso simili prospettive potrebbe raccogliere
ai nostri giorni un largo consenso.
Riassumiamo quanto siamo venuti fin qui dicendo. A fondamento
della vita religiosa, evoluta su basi teologiche e spirituali, troviamo
un'esperienza del mistero divino presente nel mondo e nel vivere
degli uomini, un incontro con l'assoluto e l'incondizionato, la preoc-
cupazione per le sorti di un mondo che vive di salvezza e di sven-
tura insieme. Questa esperienza scaturisce da un triplice impatto:
con Dio, con Ges Cristo e con la situazione disperata dell'umanit.
E d origine a tre tipi ideali, che presentano sempre determinate
costanti ma che non esistono mai in forma pura. Dato il comune
fondamento che li sorregge, cio la rivelazione cristiana, essi sono
intimamente legati l'uno all'altro. Un'esperienza di Dio che non in-
cludesse pure la mediazione decisiva e la funzione redentiva di Ges,
come anche la responsabilit per la salvezza del mondo e dei nostri
simili, sarebbe tanto poco cristiana quanto un'esperienza della si-
tuazione di sventura del mondo che non presentasse al proprio cen-
tro quel Dio della nostra salvezza che si manifestato in Ges. Co-
lui che si proponesse come obiettivo una contemplazione ed una
mistica disincarnate da questo mondo - ammesso che tale scelta
sia possibile - commetterebbe il grave errore di sacrificare certi da-
ti essenziali del messaggio cristiano di salvezza, errore analogo a
quello di chi volesse esaurire la propria vocazione apostolica in un
servizio di tipo esclusivamente funzionale. Ci non esclude comun-

vergenzu in Teilhard, cf. A. Hus, Teilhard de Chardin-Lexikon. Grundhegrife


und Erliiuterungen, 2 volumi, voi. I-Z, Herderbiichcrei,. 408, 67 ss. L'atteggia-
mento spirituale di Teilhard, ivi espresso, traspare in modo particolarmente signi-
ficativo da una preghiera contenuta nel suo libro: Der gottliche Bereich. Ein Ent-
wurf des lnneren Lebens, Olten 1962, 3'.( s. (fr. Le Milieu Divin; trad. it, L'am-
biente divino, Il Saggiatore, Milano).
580 Pl!NOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA ltEUGIOSA

que la possibilit e la necessit di determinate accentuazioni, ch


altrimenti tutto si ridurrebbe ad una pura teoria, incapace di rispon-
dere alle particolari esigenze dei singoli ed alle diverse vocazioni e
impostazioni personali.

3. Ci che specifica la vita religiosa


e la contraddistingue dal comune ideale cristiano

Non si potr contestare che quell'impatto che sta a fondamento del-


la vita religiosa vada interpretato in chiave teologica e spirituale, e
non in prima linea a livello psicologico ed esperienziale, per quanto
un simile fenomeno si presenti nelle forme pi diverse ed affiori
nei pi diversi livelli di coscienza. Ma legittimo qualificare tale
esperienza come nota distintiva della vita religiosa? O non costi-
tuisce invece il presupposto di ogni vita cristiana che prenda sul
serio il vangelo? Non derivano proprio da una simile esperienza
quei vari carismi che ci spingono ad assumere questo o quel servi-
zio nella Chiesa e per i nostri simili? Che cos' che distingue la vita
religiosa dal comune ideale cristiano, da tutti gli altri carismi ec-
clesiali?
Non facile dare una risposta convincente a simili intenogativi.60
Cercheremo di farlo procedendo con molta cautela ed a piccoli pas-
si. Vedremo che affatto possibile vivere con assoluta spontaneit
e sicurezza, in modo credibile per s e per gli altri, una vocazione
speciale, un carisma (e la vita religiosa un carisma),61 pr dimo-
strandoci incapaci di tradurla, con la medesima chiarezza, nella ri-
flessione teologica, di delimitarla da altri tipi di vocazione.62
Innanzitutto bisogner dire che lo specifico della vita religiosa,

" a. K. RAHNER, 'Ober die Evangclischen Rate', in: Schri/tcn vn, 403-434; per
la questione, vedi 408 s., 427 ss.: Lo stato dei consigli e lo stato profano dei
cristiani.
61 Il Vaticano n qualifica i tre consigli evangelici come un dono divino, che
la Oiiesa ha ricevuto dal suo Signore e con la sua grazia sempre conserva> (LG,
43); gi il primo monachesimo si comprese come vocazione carismatica, cf. AM.
RnTER, Charisma im Verstandnis des Jobannes Cbrysostomos und seiner Zeit, GOt-
tingen 1971.
62 Cf. K. RAHNER, Ober die Evangelischen !Vite, 427, nota 2.
'LO SPECIFICO 111!.LLA VITA RELIGIOSA

dell'ideale religioso, paradossalmente non va cercato in qualcosa di


spedfico, che si ~ontraddistinguerebbe cio, per il suo contenuto,
dal comune ideale cristiano e che per principio sarebbe pi elevato
o migliore della vocazione propria degli altri cristlani.6.l Essa non
consiste n in certe prestazioni ascetiche, in opere super-erogatorie,
quelle cio non comandate bensl solo consigliate e che stareb-
bero quindi a testimoniare un pi elevato grado di moralit, e nem-
meno in un pi alto grado di unione con Dio (possibile tramite la
preghiera e la contemplazione), che sarebbe precluso a~ cristiano
normale. Lo specifico della vita religiosa pu essere soltanto una
realizzazione particolare di quell'evangelo indiviso che valido per
tutti, di quel messaggio cristiano che a tutti si rivolge e impegna
ciascuno.64 Questa possibilit di tradurre in forme diverse il comu-
ne vangelo, deriva da una vocmione particolare, oarismatica,65 la
quale ci offrir quindi anche il punto di partenza per l'individuazio-
ne dello specifico della vita religiosa all'interno del comune ideale
cristiano: la specificit non va cercata nella sfera del categoriale ben-
sl nell'ambito stesso del nostro vivere esistenziale. Il principio pri-
mo e fondamentale suona: la vita religiosa un modo particolare
di vivere l'esistenza cristiana.El! Il fatto che essa si traduca anche in
una particolare forma di vita (quella dei consigli evangelici) sol-

63 Quest'ultima stata la concezione dominante nella tradizione della chiesa;


pu richiamarsi agli enunciati dei maggiori teologi, come Agostino e Tommaso, bt!n-
ch la si sia formulata con sempre maggiori cautele e precisazioni (lo documenta
F. WuLF, in: LThK, Das Zweite Vatikanische Konzil I, Dogm. Konst. Lumen
gentium, capp. v e VI, introduzione, 285-287; II, Dekret Perfectae cartatis, in
troduzione, 2_53-254). Il melius e beatius di I Cor. 7,38.40, a proposito del
celibato, sembrerebbe confermarla (d. CoNc. DI TRENTO, De matrimonio, can. n:
ns 1810 ). Fino a che punto oggi si possa e debba ancora parlare dei consigli evan-
gelici come di qualcosa di oggettivamente mipj.iore, un tema analizzato da K.
RAHNER, Vber die Evangeliscben Riite, cit., 4I6 ss., 427.
64 Che tutti i cristiani siano obbligati a seguire i consigli e le beatitudini
del vangelo (il discorso del monte), lo affermava gi Crisostomo (d. A.M. RITIER,
loc. ct., 96 s.); del resto una dottrina universale della Chiesa.
65 Il fatto che la vita religiosa (dei consigli evangelici) debba ricondursi ad una
particolare chiamata divina accettato da tutti (d. ad esempio K. RAHNEa, Vber
die Evange/iscben Rate, cit., 416); gli autori divergono invece sul modo d'inten-
dere tale vocazione, sui criteri di cui disponiamo per accertarla, ecc.
06 Cosl si esprime anche P. LIPPERT, 'Die Evangelischen Riite - Grund prin-
zip oder Sonderform christlicher Spiritualitiit?', in: F. GaoNER, (ed.), De Kircbe
im Wandel der Zeit, Koln 1971, 659-669.
FJ!NOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA REUGIO~A

tanto la conseguenza di una chiamata interiore. Cerchiamo cli deli-


neare meglio questo concetto.
Ci che seduce e coinvolge, fra le diverse possibili motivazioni,
colui che per fede fa un'esperienza di Dio, di Cristo e della situa-
zione di peccato del mondo; ci che a questi viene offerto come ca-
risma della vita religiosa, nel suo pi profondo la sola rosa di
cui c' bisogno, che urge e da cui non ci si pu sottrarre: 67 il Dio
della salvezza, il regno di Dio e la sua giustizia (Mt. 6;32), la se-
quela di Ges e la sua missione, la solidariet con il genere umano
che vive nell'indigenza, nella colpa e nella sventura, la cooperazione
alla salvezza definitiva del mondo. Molte parole per significare quel-
la sola cosa; diversi aspetti che non possono venir dissociati. Qui
tutto il resto diventa secondario. Cosi ai valori autonomi dell'ordine
della c'.reazione, .an4ie quando assumono un'importanza del "tutto
particolare per l'autosviluppo dell'uomo, com' il caso del matri-
monio, ed allo stesso progetto di vita c:he noi ci delineiamo, non si
riconosce la preminenza assoluta. Il Dio soltanto, il Cristo sol-
tanto, il prossimo soltanto - e relative fluttuazioni - d'ora
innanzi formeranno il contenuto della nostra vita. Chi risponde po-
sitivamente ad una simile chiamata lo pu fare soltanto perch spin-
to da un impulso interiore che lo determina a questa, non ad una
diversa risposta. Ci sarebbe un segno della genuinit della sua vo-
cazione. Ma anche il nerbo della vita religiosa, quali che siano
le forme che essa a3sume; da qui proviene l'impulso ad agire, per
quanto diversi siano gli ordini religiosi che concretamente e stori-
camente offrono al singolo il mezzo pi adatto per assolvere dei
compiti specifici.68

67 Osserviamo anche a questo proposito che qui non si esige necessariamente an-
che una carica emotiva; ci che importa che venga toccato il nucleo della persona.
68 Ci che qui stato illustrato come nerbo& della professione religiosa - e
che quindi comune B tutti gli ordini, sia attivi che contemplativi (pure il de-
creto conciliare Perfectae caritatis, al n. 5, lo ha descritto, anche se molto imper-
fettamente) - sta a fondamento di ci che il progetto stilato dal Sinodo delle
diocesi della Germania Federale (Die Ord~n und andere geistliche Gemeinschaften.
Autgaben und pastorale Dienste heute) chiama incarico fondamentale (Grundauf-
trag). Ivi si cerca di far vedere come questo incarico, da una parte, non coincida
semplicemente con i concreti servizi di una comunit religiosa, a motivo di una
differenza di tipo escatologico; dall'altra, per, si osserva che, se gli ordini voglio-
no adempiere il loro specifico compito nella Oliesa e nella societ, necessario
che fra l'uno e gli altri si stabilisca un'unit vitale. Questa dualit-unit fra inca-
LO &PECIFIOO DELLA VITA 1BLIGIOSA

Il carisma della . vita religiosa si differenzia quindi da tutti gli


a.Itri carismi che sorgono nella Chiesa per il fatto che in prima linea
esso non - come nel catologo paolino dei carismi (Rom. 12,6 ss.;
I Cor. r 2,4-l r.28) - una chiamata ed un'abilitazione a questo od
a quello speciale servizio nella comunit ed a vantaggio di essa (cl.
I Cor. 12,7; J4,5.12), ma significa qualcosa di pi ampio e totale.
In certo senso pi ampio del ministero profetico dell'Antico Te-
stamento o del ministero apostolico come Paolo l'intende, bench
anche queste due forme d'impegno evangelico coinvolgano l'uomo
nella sua totalit. Potrebbe essere paragonato soprattutto a quel ca-
risma che riassume tutti gli a.Itri e che sta a fondamento di ciascu-
no; il carisma dell'amore (r Cor. 12,31; J4,I).69 Si potrebbe quindi
qualificare la vita religiosa come un carisma fondamentale, che vuol
coinvolgere l'uomo intero e quindi impegnarlo in tutti i suoi in-
teressi, energie e momenti. Giustamente la risposta all'appello di
Dio che si d nella professione della vita religiosa viene qualificato
come ~donazione totale. 711 L'autodonaz.ione non intende riservare

rico fondamentale e servizi concreti non dev'essere paragonata a quello che finora
(anche nei dibattiti conciliari sul decreto della vita religiosa) andava sotto il nome
di duplice fine della vita religi05a, cio il fine generale (la contemplazione, la
unione perfetta con Dio e 1'amore senza risel'llC, la glorificazione di Dio) e il fine
particolare,. (o lo stile di vita canonico e contemplativo dell'ordine monastico, o
l'attivit apostolica e ~tativa) (vedi al proposito LThK, Das Zweite Vatik. Kon-
zil n, Introduzione, 46-49 ). L'incarico fondamentale, infatti, non si esaurisce in
un rapporto immediato con Dio, prescindendo dal mondo e dall'impegno del cri-
stiano sulla terra, ma ha per suo contenuto l'intera economia divina di salvezza:
la salvezza definitiva dell'uomo e del mondo, o in termini neotestamentari il re-
gno di Dio in .tutte le sue dimensioni. Esso presenta insieme una componente
verticale ed una orizzontale. Ci che s'intende per incarico fondamentale, ce lo
ha pregevolmente illustrato nel titolo e nel contenuto del suo libretto, H.U. VON
BALTHASAR, Im Einsat:r Gottes leben, Einsicdeln 1970. Sulla stessa tematica, vedi
anche F. WuLF, 'Bericht iiber die Vorlage Die Orden und andere geistliche Ge-
meinschaften', in: Synode (1973) fase. 2; C. BAMBERG, 'Von vornethein sinnlos
ohne den Gott der Verheissung. Zur Ordcnsvorlage der Gemeinsamen Synode der
deutschen Bisti.imer', in: Lebendiges Zeugnis (1973) fase. 1.
11> ~ questo che sem'altro intendeva affermare, in ultima analisi, la secolare qua
lificazione della vita religiosa in termini di Stato di perfezione, cio stato di co-
loro che, in forza di una vocazione speciale, carismatica, e di uno stile di vita
ispirato dalla sequela di Ges (il suo mistero della croce), tendono all'amore per-
fetto. Per quanto riguarda il motivo per cui tale concetto non venne accettato dal
Vaticano II (il suo carattere di ambiguit), d. LThK, Das Zweite Vatik. Konzil 11,
Lumen gentium, capp. v e VI, introduzione, 284 s.
70 Quando l'accento si pone pi sull'alienazione di tutto ci che ci appartiene,
PENOMENOLOGIA TEOLOGICA Dl!.LLA VI1' A RELIGIOSA

alcuna zona della propria esistenza, non vuol trattenere nulla per
s, ma mette a disposizione tutto ci che possiede per quella sola
cosa di cui c' bisogno. E siccome nella chiamata si fa sentire il
respiro stesso dell'assoluto, anche la risposta tender ad assumere
il carattere d'assolutezza e d'irrevocabilit.71
La vocazione religiosa, quindi, non altro che un nuovo e spe-
cifico impegno - che si svela e si realizza come dono dello Spirito
- a vivere la propria esistenza cristiana sema riserve, a seguire
una condotta di vita conforme al vangelo, e. porsi alla sequela di
Cristo, a diventare missionari: tutte istanze gi fondamentalmente
racchiuse nel battesimo e continuamente riproponentisi, nei modi pi
diversi, nella vita del cristiano.72 Se questo. impegno si traduce nella
forma di un particolare dono di grazia, allora esso comporta una
scelta ed una separazione per l'esclusivo servizio di salvezza a fa-
vore dell'umanit, del prossimo, dell'intera societ umana. Un simi-
le servizio mira innanzitutto, e nella sua sostanza pi vera, a man-
tener desto il ricordo dell'agire liberante di Ges e ad orientare l'at-
tenzione verso il regno di Dio, meta definitiva dell'esistenza cristia-
na, e verso la vita vissuta secondo il vangelo, verso la sequela di
Cristo e la missione in genere. Ci che la vita religiosa esige da
colui che ad essa stato chiamato, che questa persona non s'affi-
di pi ai propri desideri e progetti, ma si renda strumento dell'amo-
rosa volont di Dio (per mezzo di Cristo), per la salvezza del mon-
do.73 La vita religiosa esige disponibilit totale.74 Questo spiega la
si parla di sacrificio totale e di olocausto, usando quindi la terminologia li-
turgica dell'Antico Testamento (l'holocauslum della Volgata).
n Che il carattere di definitivit e irrevocabilit del vincolo, evidenziato anche
nella professione perpetua, trovi il suo primo e profondo motivo in una specie di
appello divino, cc lo attestano anche i detti sulla sequela, specialmente quelli di
Le. 9,,7-62. Per quanto riguarda il problema di un vincolo definitivo e irrevoca-
bile che si contrarrebbe con i voti perpetui e la questione dei voti in generale,
cf. H.U. VON BALTHASAR, Klarstellungen, Freiburg 1971, p. 129; H. RoTTER, 'Ge
liibde und Versprechen', in: GuL 43 (1970) 354-31;8; A. VoJ.LER, 'Zeitliche Ge-
liibdc odcr Bindungen anderer Art?', in: Ordenskorespondenz 12 ( 197r) 426-444.
72 Il concilio Vaticano II ha continuamente e decisnmente riferito la vocazione re-
ligiosa alla vocazione cristiana del battesimo (Lumen gentium, cap. vr, n. 44; Per-
fectae caritatis, n. '). Il concilio ha tentato anche, ma senza convincere del tutto,
di chiarire ci che la consacrazione religiosa attesti oltre" la consacrazione batte-
simale. (Cf. sull'argomento H.U. VON BALTHASAR, Klarslsellungen, 132}.
73 ~ appunto questo il tema del gi ricordato libretto di H.U. VON BALTHASAK,
Im Einsat;: Gottes Leben.
74 H.U. voN BALTHASAK, Klarstellungen cit., I2!)-I32.
LO SPECIFICO DELLA VITA l!ELIGlOSA

ricca variet di modi concreti - praticamente si riferiscono a tutti


i settori - che essa consente e la notevole flessibilit nella scelta
dei servizi che in epoche diverse la missione di Cristo nella Chiesa
e nel mondo esige. Ma nell'esercizio di tutte queste funzioni deve
rimanere sempre vivo e chiaro il carisma dell'ordine, e il suo
senso profondo, il suo fine determinante, quindi la sola cosa cli cui
c' bisogno, la memoria di Ges, il definitivo, perch solo
cosl la vocazione potr tradursi in una risposta adeguata, nell'unica
risposta adeguata.
In tale prospettiva acquistano il loro senso specifico anche i co-
siddetti consigli evangelici del celibato, della povert, dell'obbedien-
za. Questi non vengono accettati per se stessi, indipendentemente
dall'incontro con il Dio vivente, con il Signore che invita alla se-
quela, con la situazione di miseria del mondo. Tali consigli sono
piuttosto le risultanze e forme che derivano da un'esperienza reli-
giosa condotta nella fede: modi in cui si traduce la disponibilit a
lasciarsi espropriare dal, Dio redentore, che opera mediante il suo
Spirito, lo Spirito dell'amore e della libert (come Ges Cristo, il
suo proprio Figlio, si lasciato espropriare per rendersi pienamente
disponibile all'opera di redenzione); sono le conclusioni di un ama-
re che vuol donarsi e quindi alienarsi (cf. Phil. 2,7). 75 Non devono
essere quindi visti, prevalentemente, come tre ambiti, tra loro di-
stinti e chiaramente delimitati, di strutturazione della vita umana
(per quanto siano anche questo). Si saldano piuttosto in una profon-
da ed antecedente unit, motivata dalla natura stessa della vocazio-
ne ed anche - conseguentemente - dall'intenzione che anima la
risposta, la scelta, la lode.76 Quando questi consigli non vengono

75 Ivi, 129.
16 Essendo unico il carisma della vocazione religiosa, ciascuno dei tre consigli
partecipa, nel suo profondo, alla realt degli altri due. C.Osl, ad esempio, il celi-
bato e l'obbedienza sono anche una forma di povert, e d'altra parte la povert
religiosa esige sempre, nel suo nucleo, un abbandono ed un'autodonazione dagli
stessi tratti che vediamo delineati nel celibato e nell'obbedienza. Sulla povert
intesa come espressione generale, atta a comprendere l'atteggiamento spirituale e
cristiano di fondo, d. F. WULF, 'Charismatische Armut im Christentum. Geschichte
und Gcgenwart', in: GuL 44 (1971) 2r. K. RAHNER, Ober die Evangelfrchen Riite,
cit., 419 ss., vede l'elemento comune dei tre consigli nel loro carattere di rinun-
cia, in forza del quale, ed allo stesso modo, essi rappresentano delle possibilit
di rendere certi, mediante la loro attuazione (cio la rinuncia dei valori terreni),
della fede trascendente, ecc.
PENOMENOLOGIA TEOLOGICA DI.LI.A VITA ULlGIOSA

pi scorti nella loro unit, nella loro vitalit, e ci si preoccupa so-


prattutto di osservarli alla lettera, di considerarli come zone a
se stanti e separate da tutto i1 resto, allora essi rischiano di tra-
mutarsi in opere, in prestazioni ascetiche, e danno cosl origine,
quasi inevitabilmente, ad una categoria speciale di cristiani, ad una
~ite 77 estraniata dal popok> di Dio.78 Soltanto a patto che conser-
vino il vincolo profondo che li lega con la loro origine religiosa -
all'esperienza di Dio, di Cristo, della situazione di miseria del mon-
do - essi potranno conservare anche il loro carattere carismatico,
alleviare le diflirolt in cui versano i gruppi religiosi e i nostri si-
mili; potranno testimoniare una vocazione e separazione nel loro ca-
rattere di servizio salvifico che vien reso alla Chiesa ed aHa societ.
Solo se interpretati in questo senso i tre consigli si presentano
come segni che contraddistinguono la vita religiosa dal comune idea-
le cristiano: presi non nella loro singolarit,79 ma nel loro insieme e
in ci che li accomuna, non come mezzo per giungere alla perfe-
r
zione (e lo possono anche essere bensl come espressione e testi-
monianz~ di una particolare chiamata al servizio. E proprio que-
sto carattere di servizio che aggiunge alla vita religiosa un ulteriore

77 Questo pericolo lo ritroviamo presente lungo l'intera storia della vita religiosa.
78 Ci non si tuttavia verificato nel primo JD()nachesimo e nemmeno nella vita
religiosa del medio evo e dell'et moderna fino alla rivoluzione francese. In una
societ strutturata per ceti sociali ed improntata dal cristianesimo, gli ordini re-
ligiosi risultavano integrati sia nel tessuto profano che in quello sociale, perse-
guivano degli obiettivi specifici ed avevano una collocazione riconosciuti da tutti.
La situazione mut nel secolo scorso, quando si decompose il vecchio ordinamento
sociale e la secolarizzazione investi tutti i settori della vita pubblica. Si determin
oosl anche una profonda frattura fra chiostro e mondo, e gli ordini religiosi entra
rono in un isolamento sempre pi profondo.
79 Non quindi assolutamente iedto contrapporli alle rispettive forme di vita del
cristiano che vive nel mondo: il celibato al matrimonio, la povert al possesso, l'00.
bedienza alla libert. Questo modo di procedere ci condurrebbe a delle erronee
conclusioni. :n vero invece che i consigli, nella loro tendenza di fondo, sono ri-
volti a tutti i cristiani (d. r Cor. 7,29 11s.) e che la loro attuazione {soprattutto della
povert ed obbedienza) nella vita religiosa si differenzia, in molti casi e pratica-
mente, dalla vita che il cristiano vive nel mondo solo per una diversa intensit.
Cf. P. LIPPEltT, Die 'Evangelischen Rate', eit., 662.
IO E come tali vennero visti unilateralmente e quasi esclusivamente dalla trad.
zione, soprattutto dR Tommaso d'Aquino in poi. Ci non significa che tale aspetto
sarebbe del tutto irrilevante; cf. K. RAIDIER, tJber die Evangelischen Rate, cit.,
pp. 416 ss.: 5: 'I consigli evangelici come mezzi per il conseguimento della per-
fezione personale'.
LO SPECIPICO DllLL.t. VITA IUILIGIOSA

elemento costitutivo e distintivo, cio la comunit.81 Ci che si


delineato come tratto peculiare della vita religiosa, qui si profila in-
fatti in tutta la sua chiarezza. Il vero carattere della vocazione re-
ligiosa deve esprimersi soprattutto nella comunit ed attraverso
la comunit, per i membri che la compongono ma anche per gli
estranei. Nella Chiesa ogni vocazione carismatica essenzialmente
vocazione ecclesiale; un dono elargito per l'edificazione della co-
munit (r Cor. 5,12), e la sua funzione quella di compaginare il
corpo di Cristo (Rom. 12,4 s.; I Cor. 12,12-31). Ci vale ancor pi
per la vita religiosa. Questa infatti chiaramente una vocazione ec-
clesiale e in quanto tale viene ti.conosciuta dalla Chiesa stessa. Me-
diante l'approvazione degli statuti, gli ordini vengono inseriti uffi-
cialmente - giuridicamente - nella Chiesa; questa accoglie i voti
dei loro membri. Da un simile legame ecclesiale derivano alcune
conseguenze d'ordine teologico: in quanto vita vissuta in comunit,
la vita religiosa deve rendere espliciti (e questo non significa sa-
cralizzare le forme di vita) il compito e la missione ecclesiali che
tutti i cristiani sono chiamati ad assolvere; deve riconoscersi pub-
blicamente in essi, tradurli in un'attivit comune. E questo si ve-
rifica sia nell'orazione comune (Liturgia), come pure in un'attivit
missionaria, svolta dall'intera comunit e in tutte le possibili gra-
dazioni. Se la chiesa nella sua realt pi profonda una comunit
di persone che credono ed amano, questo suo tratto deve emergere
pi chiaramente nella vita religiosa che in altri gruppi ecdesiali, pi
chiaramente di quanto le comunit non siano generalmente in grado
di far trasparire, ad esempio nella disponibilit al reciproco ascolto,
nella tolleranza delle diverse opinioni che si manifestano in seno
alla comunit, nella rinuncia all'esercizio del potere derivato dalle

81 Fin dal monachesimo cenobitico, la vita communir ha costituito sempre un ele-


mento costitutivo della vita religiosa, nonostante le diverse trasfonnazioni che que-
sta ha subito nella sua lunga storia. Cf. anche il CIC, c. 487. Il rinnovamento
della vita religiosa, promosso dal concilio Vaticano u, vede nella rivivificazione
della vita comune il nucleo di tale rinnovamento, ma si sforza anche di indivi-
duare nuove forme di fraternit (la compartecipazione dei membri nei consigli e
nell'escrci:zio dell'autorit) che rendano possibile una vita comune pi ricca di di-
namismo. Alcune opere recenti sull'argomento: T. DE Rul'l'ER (con un contributo
di A. GERKEN), Die Ordenrgemeinschaft, Diisseldorf r967; TH. MATURA, C'lihat
et communaut, Paris 2r967; C. BAMBERG, 'Wie kann in unseren Orden heute Ge-
meinschaft werden?', in: GuL 45 (1972) r29-r45.
PBNOMl!NOLOGIA TEOLOGICA DBLLA VITA llELIGIOSA

qualit, prestazioni e funzioni personali, e nell'armonizzazione del-


l'elemento spontaneo con quello normativo. Per sua stessa vocazio-
ne la vita religiosa una comunit eccle.siale sttutturata secondo il
modello della primitiva comunit di Gerusalemme (Act. 2,42-47;
4,32-37).A Talora essa si comprende come una nuova famiglia di
Dio fondata su Ges Cristo, tal altra come comunit dei discepoli
riunita attorno all'unico Signore, od anche come confraternita che
vive solidarizzando con l'uomo. Anche qui i tre aspetti non sono
dissociabili.83 E ci conferisce un nuovo senso, supplementare, agli
stessi consigli evangelici, che rendono possibile questa comunit e
che nel loro modo cli articolarsi rimangono sempre riferiti alla co-
munit stessa. Il celibato deve manifestare l'amore per i fratelli (e
per le sorelle); la povert dev'essere esercitata nella comunione dei
beni e nella ripartizione secondo le necessit di ciascuno; nell'obbe-
dienza si dovr esprimere la disponibilit al condizionamento e su-
bordinazione, la coscienza di sentirsi chiamati ad assolvere un co-
mune compito.84
Dopo queste riflessioni sul tratto specifico e distintivo della vita
religiosa, cerchiamo ora di precisare in che rapporto essa stia con la
vita dei cosiddetti cristiani del mondo.85 La tradizione ha contrap-
posto tra loro, e in modo ben netto, questi due stili di vita, a tutto
vantaggio della vita religiosa. Si parlato di due vie che condur-
rebbero alla salvezza, quella dei precetti e quella dei consigli. La
prima, stando alla concezione comune, garantirebbe soltanto i pri-
mi gradi di perfezione, mentre la seconda schiuderebbe l'accesso alle

82 Un topos che ritroviamo frequentemente nella storia degli ordini religiosi;


presente anche nel decreto Perfectae caritatiu del Vaticano u (n. 15).
lll Qui va inteso in senso esclusivamente tipologico. In realt, l'autocomprensio-
ne biblico-teologica del carattere comunitario degli ordini soggiace a molte trasfor-
mazioni storiche, e spesso s'impiegano diverse raffigurazioni per indicare la mede-
sima comunit (cosl ad esempio nella ReF,o/a cli S. Benedetto si parla, nel prologo,
cli una scuola del servizio del Signore; nel cap. I il convento viene affermato come
il luogo. in cui si svolge la nostra milizia per Dio, in conformit alla regola e
sotto la direzione dell'abate; nel cap. 11 si dice che l'abate rappresenta Cristo, nel-
la sua qualit di padre).
84 Tuttavia, quando si sottolinea troppo unilateralmente (e questo si verifica sem-
pre nelle nuove riscoperte) il riferimento dei consigli alla comunit, perde in pro- '
fonditi e ricchezza anche la loro motivazione.
8S Per quanto segue, d. LThK, Das Zweitc Vatik. Konzil I, Lumen gentium,
capp. v e VI, Introduzione, 28 5 ss.; II, Decreto Perfectae caritatis, Introduzio-
ne, 252 ss.
LO SPBCIPICO Dl!LLA VITA llJ!LIGIOSA

supreme vette ed alla pienezza. Ma dopo quanto il Vaticano n ha


detto, questa dottrina risulta insostenibile, , alineno in tale forma.
Dagli enunciati del concilio non traspare pi un consiglio che si
dovrebbe comprendere come invito a delle opere supererogatorie.
Molti teologi oggi non accettano pi un simile concetto, dati i con-
dizionamenti storici che esso inevitabilmente presenta; ed anche quan-
do lo usano, conferiscono ad esso un senso ben preciso. In ogni ca-
so va ridefinito il rapporto tra precetto e consiglio. Il legame che li
congiunge ben pi stretto di quello che finora si supponeva: essi
si compenetrano l'uno con l'altro. Ogni vita cristiana, che voglia es-
sere tale, va vissuta nello Spirito del consiglio, delle beatitudini
del sermone del monte (Mt. 5,1-7,29; par.), e questo spirito deve
incarnarsi in diverse forme, deve trasformarsi in azione, non pu ri-
dursi ad una pia espressione, ad un segno che starebbe ad indicare
un'interiorit slegata dal reale, e quindi inefficace. Non si poss~no se-
parare tra loro precetto e consiglio (ammesso che oggi sia ancora pos-
sibile considerarli come entit distinte). Troviamo tanti consigli nel
messaggio di Ges 86 (e non solo i tre sopraccennati) quanti sono gli
impulsi di grazia che ci provengono dalle diverse situazioni del no-
stro vivere, quanti sono gli appelli seducenti dell'amore crocifisso di
quel Dio che ha sacrificato il proprio Figlio e di quel Figlio che, per
i fratelli, si sottopose alla croce disprezzando l'ignominia (Haebr.
u,2). A sua volta il precetto nel Nuovo Testamento altro non
che una legge dell'amore, e non pu essere interpretato cristiana-
mente se non nello spirito del consiglio, non pu essere assolto se non
come risposta all'appello dell'amore.
Ci che in definitiva distingue i religiosi dai cristiani che vivono
nel mondo non sta nel fatto che quelli osservano i consigli, nella
loro vita si lasciano (devono lasciarsi) ispirare dalle bea ti tudini evan-
geliche. Si differenziano piuttosto perch, accettando ]e tre (fonda-
mentali) rinunce scelgono e s'impegnano ad attuare uno stile di vita
che s'ispira allo spirito del consiglio, allo Spirito della sequela del
Crocifisso, allo spirito del servizio, fino a sacrificare la propria vita
per i molti (Mc. IOA5 ), e questo modo di vivere pu facilitare la

86 Se ne parla espressamente nel cap. v della Lumen gentium, n. 42, par. 3:


multiplicia consilia; cf. inoltre W. PESCH, Ordensleben und Neues Testament,
cit., spec. pp. 4861; P. LIPPERT, Die Evttngelischen Riite, cit., 665.
590 Pl!HOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA U!LIGIOSA

realizzazione del vangelo.87 Qui, nella fiducia nella promessa di Dio,


del Padre de~ Signore nostro Ges Cristo (.2 Cor. 1,3) e nell'obbe-
dienza all'appello che gli stato rivolto, un cristiano anticipa la pro-
pria esistenza, s'impegna una volta per tutte a rispettare, in modo
visibile e percepibile, le condizioni che il vangelo pone per seguire
Ges e che valgono come norma per ciascun cristiano; si lega ad
uno stile di vita che per principio tramuta il suo cammino in una
sequela. Per quanto l'ideale evangelico valga per l'essere stesso del
cristiano, che tuttavia non ammette alcuna generalizzazione astratta,
qui esso si presenta come qualcosa di straordinario, come un caso
eccezionale.88 Certo, ogni cristiano chiamato a seguire Ges sulla
via che conduce al Calvario; la sua vita, se cristianamente vissuta,
non certo pi comoda di quella religiosa.li'} Seguire Ges sul cam-
mino della croce significa .rinuncia. Ad ogni persona che crede in
Cristo rivolta l'ammonizione: Chi non rinuncia a tutto quel che
possiede non pu essere mio discepolo (Le. 14,33). Ma in quanto
cristiano che vive nel mondo, di fatto egli potr operare una simile
rinuncia solo caso per caso, quando la vita glielo rende possibile e
l'appello della grazia si fa sentire. Di pi, egli potr impegnarsi in
modo stabile a vivere in certe dimensioni che rispecchiano fedelmen-
te lo spirito del vangelo; significativa a tale proposito potr essere la
professione che egli sceglie e i .figli che accetta. Ma in questo la sua
condotta i;ispecchier i tratti distintivi della vita religiosa: nella vita
concreta i confini tra le due forme di vita sono molto meno rigidi di
quel che comunemente si crede. Ci che fondamentalmente caratte-
rizza la vita religiosa un certo carattere di totalit che la rinu1'1Ci4
manifesta - secondo il dato neotestamentario, i tre consigli costitui-
scono dei paradigmi cui deve ispirarsi la rinuncia totale per amore di
Ges e del vangelo (Mc. r8,28 s.) - e la testimonianza esplicita del-
la via della sequela, la confessione pubblica di tale scelta, il legame
perpetuo a delle forme che rendono credibile questa attestazione.
~ Per i consigli intesi come strumento per l'acquisizione della perfezione, cf.
T. D'AQUINO, S. Th. 11-n, q. 184, a. 3; K. RAHNER, Ober die Evange/ischen Riite,
cit., 416 ss.
88 Di questo parere anche P. LrPPBRT, Die 'Evangelischen Rate', cit., 666 s.,'
dove per l'autore aggiunge che questa forma speciale presenta un carattere di
escmplar.it per tutti i cristiani.
89 S. KrERKEGAARD, 'Eine erbauliche Rede', in: Gebete, edito e introdotto da
W. Rest, Koln 1952, 73 ss.
LO SPl!CIPICO DELLA VITA IJ!LIGIOSA .591

La vita religiosa assume cosl un certo tratto esemplare per ogni


tipo di vita cristiana. Ci va interpretato teologicamente e non pre-
valentemente in chiave morale; si tratta infatti di un'esemplarit in-
tenzionale, illustrativa. La vita religiosa ba lDl carattere illustrativo.90
Gi il suo esistere un segno del posto centrale che il mistero della
croce occupa nella vita dei cristiani e della comunit, segno di un
servizio per la salvezza del mondo e degli uomini, gi vissuto da Cri-
sto ed esigit dal suo messaggio. n suo modo di strutturarsi, che ri-
sulta giustificato soltanto dalla promessa di Dio, rinvia alla fede nel-
la risurrezione e ad un compimento futuro che va oltre l'et di que-
sto mondo e le sue po8sibilit. Qui si pu osservare chiaramente do-
ve stia il nucleo del messaggio cristiano e quale sia la missione salvi-
fica della Chiesa. Quando il segno perfettamente trasparente, esso
ci apre anche la via - l'unica, perch l'itinerario percorso da Cri-
sto stesso - che conduce alla liberazione dell'uomo e della societ
umana dalle loro coartazioni e alienazioni. Per la sua stessa figura,
per la sua struttura teologica, e non soltanto per i suoi momenti di
preghiera, apostolato od opere ispirate dall'amore per il prossimo, la
vita religiosa deve testimoniare che l'essere-cristiano significa esser-
libero, esser-ci-per Dio e il prossimo, e quindi per sua stessa essen-
za servizio.
Tutto questo non significa che solo la vita religiosa presenterebbe
un carattere di esemplarit. Anche il cristiano del mondo, nella pro-
fessione e vita coniugale, chiarisce alcuni lati del messaggio cristia-
no, e in modi che non sono consentiti al cristiano che vive nell'ordi-
ne religioso. 91 Egli quindi in grado di indicare la totalit, l'intera
ampiezza dell'impegno cristiano per il mondo. Vivendo il proprio
matrimonio, pu inserire anche il corpo e lo stesso amore erotico e
sessuale nel cuore del mistero di Cristo; pu mostrare a quale inte-
riorit e donazione totale d'aJI11)re sia chiamato il cristiano, proprio

90 Anche questo uno dei topoi pi antichi della vita religiosa; per il monache-
simo della Chiesa primitiva, d. A.M. RrTTER, Charisma im Verstiindnis des Johan-
nes Chrysostomos und seiner Zeit, cit., 92; per il nostro tempo: VATICANO II,
Lumen gentium, cap. VI, n. 44, par. 3.
91 Su questo punto si richiamata spesso l'attenzione in questi ultimi tempi. La
vita nell'ordine religioso e quella vissuta nel matrimonio e nella professione han-
no, dal punto di vista umano e cristiano, una funzione d'integrazione reciproca. E
quando questo aspetto viene trascurato, si arrischia di ridurre in modo unilaterale
i contenuti cristiani che queste due forme di esistenza cristiana racchiudono.
592 FENOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA llEJJGJOSA

in quanto uomo (maschio e femmina).'IZ Cosl. egli rende un particola-


re servizio anche alla persona non coniugata, l'aiuta ad integrare i
suoi progetti di vita e le suggerisce nuovi motivi che confermano la
sua vocazione. Ma perch questo servizio sia possibile, si esigono an-
cora una volta uomini e comunit che, in forza dd loro particolare
carisma, indichino quel centro che solo rende possibile tutte queste
cose; si esigono persone che, col loro stato testimoniano ... che il
mondo non pu essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito
delle beatitudini.93 La vita religiosa, nel suo complesso, come isti-
tuzione, svolge quindi un ruolo insostituibile nella Chiesa. Se simile
stato di vita non si desse, la Chiesa perderebbe una dimensione es-
senziale per la sua visibilit e carattere di orientamento; le verrebbe
a mancare qud segno sociale che pi di ogni altro ricorda il suo trat-
to soteriologico ed escatologico.!M Naturalmente, questo carattere di
testimonianza e di riferimento potr trasparire soltanto nella misura
in cui la vita religiosa vivr effettivamente ci che professa a livello
di idee e di forme di vita. Questo per non rientra pi nell'ambito
di una fenomenologia teologica, bens} in quello della morale, dell'e-
tica, della ricerca di perfezione.
Dopo quanto abbiamo detto, ora ci chiediamo in che consista dun-
que il tratto specifico e distintivo della vita religiosa: se nella sua
capacit di segno o nel suo carattere di servizio. Si sempre affer-
mato e l'uno e l'altro. Ma mentre la tradizione ha posto pi in ri-
lievo la capacit di segno, generalmente intesa nella sua connotazio-
ne escatologica,95 di recente si messo in evidenza, talora in modo

112 Qui s'inserisce il carattere indicativo che il matrimonio cristiano presenta al-
la luce del vincolo Cristo-chiesa (Eph. 5,32).
93 VATICANO II, Lumen gentium, cap. IV, n. 31.
94 Cf. K. RAHNER, Ober die Evangelischen Rate, cit., 8: 'La rilevanza ecclesio-
logica (significativa) dei consigli evangelici' (430-434).
!lS Cosl gi 1 padri della Chiesa. Per Crisostomo, ad esempio, i monaci sono, in
mezzo ad una cristianit continuamente esposta al pericolo della mondanizzazione,
del compromesso e del patteggiamento con le 'realt' - reali o presunte -, per
la loro stessa esiste!12a un momento di salutare irritazione ed un 'segn': un 'me-
mento' vivente che ricorda la precariet .. ., un continuo ricordo del fatto che i cri-
stiani sulla terra sono degli 'estranei' e vivono da pellegrini',. (A.M. Rl!TTER, Cha-
risma im Verstandnis des Johannes Chrysostomos, cit., 92). La stessa idea che ri-
troviamo predominante nel Vaticano II, quando esso parla della capacit di segno
propria della vita religiosa (vedi Lumen gentium, cap. VI, n. 44; par. 3).
LO SPECIFICO DELLA VITA RELIGIOSA .593

esclusivo, il carattere di servizio.96 Per reazione agli estremismi del


passato, a tutto ci che nella vita religiosa era etichettato come reli-
gioso, spirituale, soprannaturale ed etico, oggi, soprattutto da par-
te dei giovani religiosi, non si accetta pi ak:una forma di separazione;
si vuole una secolarit che permetta di rimanere anonimi, cristiani tra
cristiani, uomini in mezzo agli uomini. Anche i laici, proprio quelli
pi impegnati nell'attivit ecclesiale, si dimostrano allergici ad ogni
pretesa elitaria della vita religiosa, ad ogni privilegiamento di questa
su quella dei cristiani che vivono nel mondo. Pi rispondente alla men-
talit dei cristiani dei giorni nostri l'idea di servizio.97 Oggi il cristia-
no diventato pi critico, pi scettico, alieno da ogni trionfalismo, e
stenta a riconoscere nell'elemento istituzionale della Chiesa la realt di
fede che ne dovrebbe trasparire. Che significato assume Ia Chiesa
nella moderna societ massificata, in un mondo che lotta tra la vita
e la motte per la propria sopravvivenza? L'unico atteggiamento pos-
sibile, e veramente cristiano, di fronte ad un simile sviluppo non sa-
r forse quello del servizio discreto e disinteressato? Tuttavia il
problema della priorit da attribuire al segno od al servizio posto
in modo falso. Non sta ad indicare una vera e propria alternativa.
Anche quando il carattere di servizio della vita religiosa si pone in
primo piano - ed giusto che oggi Io si faccia 98 - il servizio, in
quanto si manifesta nella Chiesa e a motivo del carattere ecclesiale
della vita religiosa, un momento della Chiesa visibile, svolge in
essa una funzione essenziale, e siccome la Chiesa un segno quasi-
sacramentale di salvezza <19 ad esso spetta anche una funzione escato-

111 Vedi ad esempio J. SuoBRACK, 'Das Neue wagen - und das Alte gewinnen.
Zur Selbstbesinnung der Ordensgemeinschaften', in: GuL 41 (1968) pp. 176-193;
O.H. PEscH, 'Ordensleben und Verkiindigung', in: Ordenskorrespondem: 9 (1968)
265-382; P. LIPPl!RT, Funktion und Dienst als mOgliche Schliisselbegrifle fiir
Mitwirkung und Selbstdarstellung der Orden auf der Synode 1972', in: Orden-
korrespondenz I2 (1971) 314.
97 noto il grande abuso che nel Vaticano II si fatto dell'idea e del termine
servizio; d. H. RAHNER - H. VoaGRIMLER, Kleine:r Konzilskompendium, Frei-
burg 1966, alla parola Dienst, dove si adduce tuttavia un'esigua parte di passi.
98 Anche il progetto elaborato dal sinodo delle diocesi della Repubblica Fede-
rale Tedesca: Die Orden und andere geistliche Gemeinschaften. Auftrag und pa-
storale Dienste ruota interamente attorno al concetto di servizio.
~ Per la Chiesa come segno quasi-sacramentale di salvezza, cf. VATICANO II, Lu-
men gentium, nn. i.9.48.59; Gaudium et Spes, nn. 42.45; Sacro:ranc/um Concilium,
nn. 5.26; Ad gentes, nn. 1.5.
.~94 Fl!NOMl!NOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA IELJGlOSA

logica e soterilogica <li segno. Non quindi lecito separare la capa-


cit significativa dal carattere di servizio. Nella sua manifestazione
globale, il servizio della vita religiosa a5sume per la Chiesa una fun,
zione di segno. Sta qui il significato pecilliare di una vita religiosa
vissuta nell'alveo della Chiesa. Il suo carattere di segno costituisce
la nota che lo distingue nel popolo di Dio. 100

4. Elementi di una teologia della vita religiosa

Da quando la teologia della vita religiosa tradizionale venne posta


in questione, ogni enunciato teologico su questo stile di vita suscita
una profonda, sempre pi pronunciata diffidenza. Si teme una nuo-
va sistematizzazione, che non legittimerebbe pi la variet dei moti-
vi e forme dell'effettiva vita religiosa, che ricondurrebbe ad una nuo-
va mentalit sistematica, che favorirebbe il sorgere di nuove ideolo-
gie e precluderebbe quindi la possibilit di ulteriori sviluppi. La ri-
flessione, iniziatasi col concilio Vaticano II e tuttora in pieno svol-
gimento, la quale ha per oggetto la vita religiosa e il suo rinnova-
mento, dominata da un'impostazione di pensiero tipicamente prag-
matistico. Possiamo addurre come esempio 1'ipotesi di lavoro per
una definizione della vita religiosa formulata da O.H. Pesch: Un
ordine religioso che chiamato ad assolvere determinati compiti
nella Chiesa, specialmente quello della predicazione, costituisce una
comunit di servizio sorta per ragioni di opportunit e per neeessit
pratiche, una comunit che deve superare il proprio pragmatismo.101
Secondo l'autore, il momento che deve superare questo pragmati-
smo non scaturisce da una riflessione veramente teologica, ma s'im-
pone di per se stesso, non appena questa comunit di servizio pren-
de sul serio, all'interno ed all'esterno, il proprio carattere cristiano
ed ecclesiale.
Pragmatismo senz'altro comprensibile. :S infatti la risposta che si
d ad un rapporto distorto fra teoria e prassi nella vita reHgiosa del-

100 Anche se non pi con la stessa efficacia del passato, quando gli ambienti si
presentavano omogenei dal punto di vista cristiano, gli ordini dovranno in ogni
caso svolgere la loro funzione di segno ali 'interno delle comunit.
101 Ordenrleben und Verkiindigung, eit., 377.
BLEMJ!NTI DI UNA TEOLOGIA DBLLA VITA 11BLIGIOSA .59.5

l'et moderna. Il riferimento alla prassi dell'ideale religioso non vie-


ne pi sentito (sul piano istituzionale ed operativo) sufficientemente
vitale; si osserva che sempre meno stato interrogato nel suo rap-
porto con la situazione mutata. Cosl, esso ha perso anche la sua for-
za di persuasione. Per molte persone non risponde pi alla realt
concreta (concepita nel suo mutare storico). C' per una ragione
ancor pi profonda: una realt di fede non pu essere mai piena-
mente riflessa e quindi non pu nemmeno concretarsi del tutto in
una forma teoretica (teologica). Rimane sempre un residuo di non-
compreso e non-comprensibile; e questo residuo pu essere realizza.
to soltanto nell'agire (p~r fede) ... ; costituisce addirittura il nucleo
del cristianesimo, la sostanza del suo ethos di verit~.Ull. Ci non to-
glie che la teologia debba intraprendere continuamente il tentativo
di conferire, con l'aiuto della rivelazione, il significato che i fatti e
la realt del mondo di fede assumono per la nostra comprensione, di
delimitarli e inquadrarli nell'insieme della vita cristiana ed ecclesiale.
Ci vale anche per la vita religiosa. Per quanto si possa rinunciare
ad una sistemazione ed integrazione teologica dei singoli momenti,
bisogner assolutamente sforzarsi di giungere ad un enunciato teolo-
gico che riassuma ci che questa vita vissuta negli ordini religiosi
significa e il modo in cui essa si presenta nella Chiesa. Altrimenti
questo stile di vita cristiano, che pu essere realizzato soltanto nel
la fede, perderebbe quel!la forza di motivazione che sola gli permet
te di sopravvivere nei momenti di oscurit e di prova. Ci che ver-
remo ad esporre nelle pagine che seguono saranno soltanto alcuni
elemenM di teologia della vita religiosa, che non sistematizzeremo
in un quadro ontologico (statico). In questo modo crediamo di te-
ner anche in maggior considerazione il fatto che la vocazione reli-
giosa per sua stessa natura orientata essenzialmente verso la se-
quela personale ed sottoposta al mutare storico.
Se realmente la vita religiosa di natura carismatica e, come la
sequela del vangelo, suppone sempre una vocazione personale, qua-
le che sia il modo in cui questa si struttura, allora il suo fondamento
teologico sta nel rischio Jella fede. In esso un uomo, toccato dal mi-

102 J. SuDBRAC~ 'Fragesre.llung und Infragestcllung der ignatianischen Excm-


tien', in: GuL 43 (t970), 2o8.
PENOMENOLOGfA TEOLOGICA DELLA VITA REUGfOSA

stero pi profondo e pm decisivo per il senso della sua esisten-


za (da Dio, dal mistero di Cristo, dal problema della salvezza),
gioca il tutto per tutto, rischia la sua intera esistenza. Ci ohe
vale per ogni atto di fede viene quindi ad esprimersi nel modo
pi pregnante ed esemplare. Colui che in una situazione concreta
della propria vita accetta fino in fondo, per fede, la promessa di Dio
rinuncia a tutte le sue sicurezze e giustificazioni terrene ed acquista
una nuova sicurezza, incomparabilmente superiore a tutte le altre di
cui dispone. Ma questa sicurezza, acquisita nella fede, fondata sulla
Parola di Dio, sulla fiducia in qud Dio fedele i cui doni e chiamata
sono irrevocabili (Rom. n,29), non sopprime affatto la fondamen-
tale insicurezza che connota la nostra vita attuale. Anzi la rende del
tutto manifesta. Solo colui che, neHa fede, incomincia a liberarsi dal-
le proprie certezze creaturali e dalla sua stessa persona riconosce fino
a qual punto egli sia continuamente preoccupato di mascherare quel-
l'insicurezza umana che tocca le radici stesse dell'esistenza e che cer-
ca un illusorio ed inconsistente rifugio nell'area creaturale. Una vita
religiosa, intesa come decisione scaturita dalla fede, in forza della
quale un individuo si pone alla sequda di Cristo e abbandona ogni
sicuro possesso e rinuncia ad ogni calcolo (con la professione dei tre
voti evangelici), non avr altro significato che quello di una sicu-
rezza della fede nell'insicurezza di questo mondo. Questa enuncia-
zione teologica fondamentale far trasparire tutto il suo profondo
significato e forza di persuasione proprio nei periodi di crisi che la
vita religiosa od una vocazione individuale attraversano. 100 Ma sta
pure ad indicare H grave pericolo che la scelta religiosa stessa vada
incontro ad un fallimento. La vita religiosa poggia decisamente sul-
la fede e non pu trovare la propria garanzia in alcuna sicurezza di
tipo umano, almeno fino a quando intender rimanere d che per
sua stessa vocazione dev'essere.
Il rischio della fede, implicito in una risposta pienamente positiva
all'appello di Dio e nella scelta di uno stato religioso di vita, non
pu essere corso, se analizzato nella sua vera natura, che dal singolo.

toJ Cf. P. WusT, 'Ungewissheit und Wagnis', in: Ges. Werke, 1v, Miinstcr 51965.
I tre ultimi capitoli dell'opera suonano: 'Die lnsccuritas humana und das Wa-
gnis des Entscheidungsirrationalismus'; 'Die lnsecuritas humana und das Wagnis
der Wcisheit', 'Die Geborgenheit des Menschen in seiner Ungeborgenheit'.
ELBMl!NTI DI UNA TEOLOGIA DELLA VITA RBUGIOSA
'97

lui infatti che qui opera una i.-c:elta.La sua vocazione sempre vo-
cazione individuale. Riguarda soltanto la sua persona. Questo per
solo un aspetto. La vita religiosa significa anche comunit, e non
solo per ragioni di convenienza ma per sua stessa natura. Essa cerca
di realizzare l'obiettivo verso cui mira il messaggio cristiano, la koi-
nonia, l'unione dei molti nel comune mistero: in Dio, in Cristo, nel-
la Chiesa, nell'amore. In quanto tale, essa stessa Chiesa visibile, ha
un carattere pubblico. Il rischio che il singolo corre nel suo atto di
fede un rischio che viene affrontato al cospetto della Chiesa; non
pi qualcosa del tutto privato, bensl testimonianza che si rende
nella comunit dei fratelli. Il carattere di testimonianza una com-
ponente teologica essenziale della vita religiosa. Ci che Paolo affer-
ma a proposito del ministero apostolico nella Chiesa vale anche, in
modo analogo, per la stessa vita religiosa, malgrado tutte le oscurit
che questa presenta: Siamo di~tati spettacolo al mondo, agli
angeli e agli uomini (z Cor. 4,9).
Vita religiosa innanzitutto professione di fede in Dio, dell'uni-
cit ed esclusivit di Colui che tutto in tutti (1 Cor. 15,29), la
sola cosa di cui c' bisogno (Le. 10,42). Il Dio assoluto, Colui che
ha fondamento e non pu essere paragonato ad altri, l'inizio e 1-a fine,
:a promessa e l'adempimento (salvezza), che rivendica l'uomo inte-
ro, solo questo Dio giustifica la vita religiosa. Per quanto sia legit-
timo pretendere una presenza nel mondo degli ordini religiosi, un
carattere di servizio che dovrebbe connotarli nell'attivit che essi
svolgono a favore degli uomini che versano in difficolt, bisogna tut-
tavia riconoscere che la vita religiosa, nella sua radice teologica pog-
gia su un fondamento insostituibile, quello del Deus solus, del
soli Deo servire, del soli Deo vacare, come la tradizione cristia-
na ha continuamente affermato. 104 Nemmeno in Cristo si osserva un
equilibrio fra Dio e mondo. Dio tutto, e il mondo esiste solo in
forza di questo tutto e in esso. 1115 Bench non si possa separare, al-
l'interno dell'unico precetto dei due testamenti, l'amore di Dio da.
quello del prossimo e non sia lecito parlare di un prima e di un
poi (cf. Deut. 6,5; Lev. 19,18; Mc. 12,20 par.), rimane pur sem-

164 Cf. H.U. VON BALTIJASAR, Klarslellung, cit., n9123; F. WuLF, Gott allein.
Zur Deutung eines christlich<!n Grundwortes, cit.
111.i H.U. VON BALTIIASAR, Klarstellung, cit., 122.
FENOMENOLOGIA TEOLOGICA DELLA VITA BELIGIOSA

pre, nell'unit del comandamento dell'amore, una gerarchia sostan-


ziale fra Dio e l'uomo.
Questa professione di fede in Dio strettamente congiunta con la
professione di fede in Cruto, soprattutto della centralit del suo mi-
stero di morte e di risurrezione,106 evidenziato dallo stretto ed espli-
cito legame che esiste fra battesimo e professione dei voti llll - si
tratta sempre di un'immersione nella morte di Cristo per essere resi
partecipi della sua risurrezione (Rom. 6,J-II) - , che una riflessione
teologica sulla vita religiosa pone in luce. Anche la vita religiosa, in-
fatti, va interpretata solo a partire dall'atteggiamento assunto da Cri-
sto, il quale nel suo vivere ed operare si preoccupato soltanto del
Padre e della sua volont di salvezza. Per sua natura essa forma
Christi. Giustamente il concilio Vaticano 11 dice che la norma fon.
damentale della vita religiosa () il seguire Cristo come viene inse-
gnato dal vangelo. 1'
Per 1questo stretto legame con Cristo, la vita religiosa sar neces-
sariamente servizio, servizio di salvezza, come lo fu anche la missione
di Cristo. Qui per salvezza non dobbiamo intendere qualcosa di
puramente soprannaturale che si libra sulla via terrena e sul nostro
quotidiano, qualcosa che si riferisce esclusivamente a Dio ed alle
cose divine. Essa si rapporta infatti a tutto il mondo ed all'uomo
intero, indica qualcosa di onnicomprensivo, l'innalzamento e il com-
pimento della realt crea.turale mediante l'incarnazione e l'agire sal-
vifico di Dio in Ges Cristo,109 il suo inserimento nella vita del Dio
trinitario. Il servizio di salvezza, legato alla vita religiosa, pu quin
di esprimersi nelle forme pi diverse e non esclude alcuna sfera di
realt ed alcun ambito di attivit. Q che tuttavia deve rimanere sem-
pre ben chiaro il riferimento al definitivo> e questo non pu ve
nir garantito da alcun impegno sociale in se stesso considerato, per
quanto eroico possa essere.
Per tale motivo gli ordini religiosi, pur articolandosi nei modi pi

106 Decreto Perfectae caritatis, 5, 3.


107 Costituzione dogmatica Lumen gentium" cap. VI, 44, x; decreto Per/ectae
caritatis, 5,3.
108 Decreto Per/ectae caritatis, 2a.
109 Cf. K. RAHNER, 'Erl&ungswirchlichkeit in Schopfungswirchlichkeit', in: Ca-
tholica 13, 1959, 101H27; ID., 'Immanente und traszendente Vollmdung der Welt',
in: Schriften VIII, 593-6o9.
11.EMBNTI DI UNA TEOLOGIA DELLA VITA 1.BLIGJOSA ,99

diversi e prefiggendosi dei compiti ben specifici, sono una comunit


cli fratelli e so.rellc riuni in forza dello stesso appello del vangelo e
che ora si presentano come testJmoni del regno di Dio. La koinonla,
l'essere una sola cosa in Cristo, pu presentare certamente ancora
molte imperfezioni. Il fatto per che individui dalle pi diverse estra-
zioni, esigenze e formazioni, indipendentemente dai vincoli di paren--
tela o di simpatia o di interessi terreni, si mettano insieme e riman-
gano uniti, nonostante gli inevitabili conflitti e d.iffi<:olt che una vita
in comune comporta, gi di per se stesso oo segno che attesta, in
modo palese qualcosa di pi elevato, che trascende il mondo. Basti
pensare al fallimento di molti gruppi di base che in questi ultimi an-
ni si sono formati coaguhidosi attorno a dei comuni obiettivi di
tipo umano e politico. 110
Accenniamo ad un ultimo elemento che connota la vita religiosa
come esistenza teologica e che pur esso deriva dal suo carattere pub-
blico. Fedeli alla propria vocazione ed ideale, consci che anche ai
nostri giorni devono essere in grado di legittimarsi, gli ordini reli-
giosi dovranno dar ragione della speranuz che in loro (r Petr. 3,15).
E i loro confratelli di fede, anzi l'intera umanit, hanno il diritto di
pretendere una simile testimonianza. La vita religiosa, infatti, avan-
za una pretesa evangelica che esige un atteggiamento conseguente.
L'istanza che essa propone agli uomini non proviene da una cerchia
di intellettuali, n vuol essere una pura e semplice provocazione, ma
si fonda sul posto stesso che alla vita rehlgiosa stato assegnato fui
dalle origini dalla fede della Chiesa. Possiamo anche dire che fa
Chiesa stessa sollecita gli uomini attraverso la vita religiosa, in quan-
to Ia sanziona e la considera come componente propria. Dar ragio-
ne della speranza significa dimostrare, e questa prova attester la sua
consistenza nel tempo del vaglio, che veramente non si ha di mira
il successo immediato, ma tutto si costruisce sulla Parola di Dio. Si-
gnifica vivere orientati verso il futuro, costantemente in ascolto di
un Dio che interpella nel tempo, sempre disponibili a rimettersi in
marcia, a ricominciare daccapo. Si deve far esperienza e prendere co-
scienza della distinzione escatologica fra mta verso cui si tende e

no Dall'immensa bibliografia sull'argomento, trascegliamo soltanto l'o!>"ra di H.E.


RrCHTER, Die Gruppe. Holfnung auf einen neuen Weg, sich selbst und andere zu
befreien. Psychoanalyse in Kooperation mit Gruppeninitiattven, Hamburg 1972.
600 Fl!NOMENOLOGIA TEOLOGICA Dl!LLA VITA Kl!LIGIOSA

realt effettiva in cui ci si muove. Solo cosl la vita religiosa indicher


ci che definitivo, testimonier la propria speranza.
Se legittimo, dal punto di vista teologico, vedere in questa ca-
pacit di esprimere il dato cristiano, di renderlo visibile nella testi-
monianza, il servizio che specifica e contraddistingue la vita religio-
sa vissuta nella Chiesa, si dovr anche convenire che la sua istitu-
zionalizzazione e le strutture sociologiche in cui essa si articol'8 me-
ritano un rilievo di tipo quasi-teologico. 111 E proprio su questo terre-
no, non dunque su quello della santit personale del singolo, potremo
in buona parte vedere se lo stato di vita religiosa abbia realizzato,
nelle diverse epoche storiche, il servizio che era chiamato a svolgere.
Per quanto riguarda l'epoca attuale, caratterizzata da una notevole
tensione fra il diritto del singolo e la necessit di una sempre pi
.ampia socializzazione, sono soprattutto due le esigenze che attendo-
no di essere soddisfatte: la vita religiosa dei nostri giorni va strut-
turata, in quanto istituzione, in modo tale che n singolo, pur inseren-
.dosi e adattandosi, pur dimostrandosi docile agli imperativi della vi-
ta comune, possa trovare uno spazio che gli consenta di liberarsi non
solo da se stesso (dal proprio egoismo) ma anche per se stesso. Se
la vita religiosa dev'essere una testimonianza pubblica del messaggio
di Cristo, essa dovr vivere in se stessa ci che Paolo afferma essere
l'obiettivo di questo annuncio: la libert con la quale Cristo ci ha re-
si liberi (d. Gal. 5,1 ). Ma nella vita religiosa dei nostri giorni biso-
gner favorire anche, contando sulla collaborazione di tutti, una co-
munit che garantisca la variet dei talenti, delle inclinazioni, degli
interessi e delle opinioni, e realizzi cosl una fraternit veramente uma-
na e cristiana. Solo in tal modo essa si render credibile alla genera-
-zione attuale, offrir un segno convincente dell'amore fraterno rac-
chiuso nel messaggio di Ges e della sua presenza efficace tra gli uo-
mini. Altrimenti si avrebbe tutto il diritto di parlare di una sovra-
struttura ideologica, tanto pi ovvia quanto pi si magnifica l'ideale
di questo stato vita. Sarebbero poi le stesse strutture a smentirlo coi
fatti.

111 I sociologi parlano di strutture <li plausibilit, quelle cio che sorreggono
una concezione globale del mondo e la rendono plausibile, chiara, all'uomo che
opera nel quotidiano. Cf. P.L. BERGER, Auf den Spuren der Engel. Die moderne
Wclt und die Wiederentdeckung dcr Transzendent., Frankfurt/M. 1970, )7-61; 74.
ELEMENTI DI VNA TEOLOGIA DEI.LA VITA RELIGIOSA 601:

Ci che oggi s'impone, e di cui in passato non si aveva coscienza


ma che anche ai nostri giorni viene guardato con sospetto, che
proprio la rilevanza teologica della vita religiosa esige l'impiego delle
scienze umane, soprattutto dell'antropologia e della sociologia, od.
anche della psicorociologia, dato che queste due discipline sono inti-
mamente legate tra loro. Esse ci offrono infatti gli strumenti che
rendono possibile al cristiano incarnarsi in un'istituzione religiosa.
dei mezzi finora trascurati o rimasti addirittura sconosciuti. Proprio
su questa via si otterranno delle precise indicazioni sulla necessit di
modificare i metodi di governo generalmente adottati nelle comunit
religiose e si elaboreranno dei modelli per una loro ristrutturazione.
Qui si scorgeranno pure nuove forme di povert e di obbedienza re-
ligiose, possibili nella societ attuale. Si delineeranno nuove regole
di gioco per la composizione dei tre elementi essenz.iali di ogni vita
religiosa: orazione, apostolato e vita comune. Priva di tali cono-
scenze, la vita religiosa si librerebbe nel vi:ioto, verrebbe considerata
un'illusione, in quanto non presterebbe pi alcun servizio agli uo-
mini, e la comunit concreta, com'essa viene vissuta, verrebbe consi-
derata pi d'impedimento che di aiuto per la realizzazione dell'idea-
le elevato cui si aspira. Di per se stessa una teologia della vita re-
ligiosa esige delle strutture che rendano possibile il perseguimento
del suo ideale e lo evidenzino; queste strutture comportano poi una
teologia capace di articolarsi secondo furme diverse.
Solo cosl una teologia della vita religiosa sar anche riflessione di
fede su una realt che non si afferma puramente come valida e che
non si esaurisce semplicemente neHa propria fatticit, ma che trova
la sua radicazione nel dato religioso e cristiano. Solo cos} essa potr
orientare, senza rarefarsi e stingersi nell'utopia, e con coscienza tran-
quilla, verso il servizio ecclesiale e sociale che la vita religiosa
chiamata ad assolvere. E si tratta di un servizio profetico. La vita
religiosa continuer a porre continuamente in questione la Chiesa
concreta e la societ solo se sar anche in grado di scoprire le forme
pi adatte e valide nelle diverse epoche. una Parola che Dio prof-
ferisce nd tempo, l'appello di Cristo alla sequela, il ricordo del mi-
stero di morte e l'anticipazione del definitivo contenuto nella pro-
messa e nel pegno di gloria futura accordatoci con la giustificazione
e santificazione. La teologia conferma dunque la tradizione deMa
602 BIBLIOGRAFIA

Chiesa, stando alla quale la vita religiosa, in quanto realt di fede, in


certo senso una vita vissuta in quei misteri che ci sono offerti con
il mistero di salvezza di Cristo e nei quali bisogna essere istruiti. An-
che il presente saggio vuol offrire un contributo a questa mistagogia.

FRIEDRICH WULF

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SEZIONE SESTA

TEOLOGIA DEI MINISTERI Ea:LESIASTICI

Cristo Signore, per pascere e sempre pi accrescere il popolo di Dio,


ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di
tutto il Corpo. I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potest,
servono i loro fratelli, perch tutti coloro che appartengono al popo-
lo di Dio, e perci hanno una vera dignit cristiana, tendano libera-
mente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza (Lu-
men gentium, r8).
Stando a questo testo del concilio Vaticano u, una determinazio-
ne del ministero spirituale nella Chiesa deve prendere come punto di
partenza il fatto che esso un ministero diaconale. Ovviamente, que-
sta definizione lo situa nel pi ampio contesto del servizio ecclesiale.
Nella sacra Scrittura il termine servizio connota essenzialmente
l'esistere-davanti-a-Dio. Volendo esprimerci in termini moderni, po-
tremmo dire che si tratta di un modo esistenziale di manifestarsi,
dello stile di vita assunto da un uomo che si sforza d'improntare la
propria esistenza nello spirito dell'alleanza con Dio. Dio sarebbe an-
cora Dio - sembra chiedersi continuamente la Bibbia - se l'uomo
non si sforzasse senza sosta di servirlo? La voce ebraica avoda signi-
fica infatti servizio (inteso come lavoro, fatica) e insieme preghiera,
presentazione di un'offerta. Secondo la Scrittura, come il sacrificio
cos nemmeno la preghiera esprime la quintessenza dell'atteggiamen-
to dell'uomo di fronte a Dio, quasi che la piet si esaurisse piena-
mente nel culto. Nell'Antico Testamento vediamo che ogni situa-
zione, ogni ora ed ogni minuto sono un nuovo incontro con Dio. Le
benedizioni e orazioni rituali stanno ad esprimere che Dio pre-
sente in tutti gli atti compiuti dal suo popolo. Egli esige che tutti i
membri si dimostrino docili ai suoi voleri: La loro liturgia cos ru-
morosa, e talvolta importuna, il grido smisurato che si eleva da un
popolo che proclama l'incessante presenza di Dio nel mondo. 1
1 A. NlmR, L'existence juive, Paris I962, 76-77.
606 TEOLOGIA DEI MINISTEJU ECCLESIASTICI

Questa legge dell'avoda ha assunto una dimensione profetica nella


tematica del Servo di Dio svolta da Isaia, e che occupa una posizio-
ne centrale nell'AT. Ges l'ha resa sinonimo della propria missione
(Mc. 10,42-45; Le. 22,25 s.). In Paolo, l'annuncio dell'umiliazione
del Figlio di Dio segna l'inizio della sua predicazione di Cristo, il
Signore (r Cor. 4,6-13; Phil. 1,6-n). Egli stesso si qualifica servi-
tore per amore di Ges (2 Cor. 4,5; cf. I Cor. 9,19). Giovanni so-
stituisce :il racconto dell'ultima cena con quello della lavanda dei
piedi. Il servizio, inteso in senso biblico, sta quindi a fondamento del
ministero cristiano.

I. Il ministero ecclesiastico come servizio e autorit

a. La diakonia cristiana

Per quali:f<:are la funzione cui sono chiamati i discepoli nella Chiesa,


il NT si serve il pi delle volte del termineo~a.xovla (l'avoda ebraico),
che significa servizio, ma che nella Bibbia presenta tante a:ltre ac-
cezioni parallele, per cui sarebbe meglio non tradurlo con una voce
desunta dal linguaggio corrente.2 Sussiste sempre il pericolo di in-
terpretare il servizio in chiave morale.3 Indubbiamente la diako-
nia presenta innanzitutto un significato etico, non funzionale. Come
si parla di un sacerdozio comune dei fedeli, si potr cosl parlare an-
che di un comune diaconato. La diakonia cristiana, per, non si esau-
risce in una qualche filantropia. Essa ha una sua propria dinamica ed
una sua propria legge, che pu condurre fino ad una reale comunio-
ne di sofferenza e ad un'autentica alienazione di s. Si dovr quin-
di distinguere tra il servizio, che normativo per ogni cristiano, e i
compiti cui pu essere deputato un discepolo, che nell'assolvimento

2 Cf. H.W. BEYF.R, iaxovla, in: ThW 11 (1935) 81-93.


3 Luca racconta che Ges chiese ai suoi discepoli: Chi pi grande, chi sta
a tavola o chi serve? Non forse colui che sta a tavola? (Le . .22,27). Come altri
testi, anche questo sta a dimostrare che servizio significava soprattutto servire
a tavola. ~axovE~\I significa servire a tavola. Gli antichi avevano riservato questo
servizio agli schiavi; la Bibbia vede in esso la forma pi sublime del culto e del-
l'orazione: due modi atti a qualificare, con un solo termine, la celebrazione dell'eu-
carestia.
MINISTERO BCCI.ESIASTICO COME SERVIZIO E AUTORIT

dei quali realizza la propria vocazione. in questa luce che si profila


il ministero nella Chiesa. Nel testo paolino: Vi sono diversit di
ministeri, ma uno solo il Signore (I Cor. u,5 ), la SLa.xo'lllo: coinci-
de con il xti.pLaa. - dono di grazia.
Ma per qualificare il ministero dei discepoli il pi delle volte ci si
serve del termine &Lo:xovla., senz'altro a motivo del fatto che questa
voce pi biblica <li quella di x6.pLaa., Paolo scorge nel nuovo mi-
nistero diaconale l'offerta dd sacrificio puro annunciata dai profeti
(d. Is. 55,6 s.) e il compimento del detto di Mal. 1,II s. Agli occhi
del popolo ebraico, il nuovo sacrificio che secondo Malachia verr
offerto dalle nazioni significava innanzitutto H suo sacrificio offerto
nella diaspora, qud sacrificio che esso deve offrire, in quanto popolo
sacerdotale, a nome delle nazioni.4 Ma per l'Apostolo, il sacrificio dei
tempi nuovi non sar pi quello del popolo giudaico. La venuta di
Cristo ha aperto una nuova possibilit. Ora le nazioni stesse, se ac-
cettano il vangelo, possono offrire questo sacrificio immacolato. La
loro esistenza diventata un'esistenza santa, i loro sforzi, le loro
liturgie, le loro preghiere sono diventati un servizio spirituale che
si rende a Dio. Paolo suggerisce, dunque, un nuovo modo di sacri-
ficare a Dio, per cui anche il proprio ministero viene ora ad assume-
re il significato di una liturgia che potremmo qualificare universa-
le. Egli si sente chiamato ad essere un ministro (.EL'toupy6~) di
Ges Cristo tra i pagani, esercitando l'ufficio sacro (ttpoup-youv..-a.)
del vangelo di Dio perch i pagani divengano una oblazione gradita,
santificata dallo Spirito santo (Rom. 15,16).
Il sacerdozio del quale si parla non pu essere un servizio di
culto che implicherebbe qualcosa di assolutamente peculiare e che
andrebbe collocato oltre la vita presente. vero invece che esso si
esercita in questa vita concreta. Nella definizione paolina del sacer-
dozio troviamo espresso l'aspetto essenziale del servizio.
Questo ministero, vissuto e compreso come diakonia da parte di
colui che da Dio chiamato a svolgerlo, presuppone un cambiamen-
to radicale (teshuvah, E't"ii'Vo~a.). Egli deve usare il mondo come se
non lo usasse. Non deve dimostrarsi soltanto disinteressato ma ri-
volgersi anche, e incessantemente, a Cristo, l'unico Signore del mondo

4 a. GIUSTINO, Dia!. rr5II7: PG 5, 745.


608 TEOLOGIA DEI MINISTEIU ECCLESIASTICI

e l'unica sorgente dei ministeri: lui che ha stabilito alcuni come


apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pasto-
ri e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al
fine di edificare il corpo di Cristo (Eph. 4,II s.).

b. II ministero ecclesiastico come rappresentazione di Cristo


e come autorit

I ministri sono, nella Chiesa, inviati da Cristo e suoi rappresentanti.'


Possono fidarsi pienamente della promessa che Cristo ha fatto ai
suoi discepoli, riconoscersi del tutto in questa parola: Chi
ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprez-
za me disprezza colui che mi -ha mandato (I.e. 10,16; d. Mt. 10,40
ss.; Mc. 9,35 ss.; Le. 9,46 ss.; Jo. 13,20). Questa promessa certa-
mente rivolta a tutti i discepoli, quale. che sia la loro condizione, e
non soltanto ai ministri nella Chiesa; essa per vale, a fortiori, so-
prattutto per questi ultimi: Chi accoglie un profeta come profeta,
avr la rkompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto,
avr la ricompensa del giusto (Mt. 10,4 I). Questa presenza di Cri-
sto in mezzo ai suoi discepoli garantisce loro un'autorit che essi
esercitano in suo nome. In modo non meno esplicito vien fatto per
loro capire che questa autorit concessa a patto che siano disposti
ad esercitarla senza fame un motivo di vanto: Se uno vuol essere
il primo sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti (Mc. 9,35). Un eser-
cizio cristiano dell'autorit suppone sempre un atteggiamento umile.
Come l'autorit di Cristo, cosl anche quella del ministro si diffe-
renzia assolutamente dal potere profano e dal relativo impiego del-
la forza. Essa si manifesta col ove il Signore stesso all'opera, cio

5 questo il significato profondo racchiuso ndl'espressione vicarius Christi. Cf.


M. MACCllRRONE,Vic'1riu.r Christi, Roma ll)52; 11 proposito di questo scritto, vedi Y.
CoNGAR, in: RSPhTh 39 (1955) 439-449. Cf. anche A. VON HARNACK, Christu.t prae-
sens. Vicariur Chri<ti. Eine kirchengeschichtlicbe Skizze, Bcrlin 1927, 4r5-446; al
proposito d. H. KocH, in ThLZ 56 (1931) 1000 ss. Vedi inoltre D. SoLLE, Stdlver-
tretzmg, Stuttgart 5 1968 (trad. it. Rappresentanza, Qucriniana, Brescia); H. GoLL-
WITZER, Von der Stellvertretung Gntte.t. Chri.rt!1cher Glaube in der ErfahrunJ', der
Verborgenheit Gottes. Zum Gespriich mit Dorothea Sii/le, Miinchcn r968. Ricorda
l'osservazione di K. B11Rn1, in KD 1/1, p. 99: Una nega7.ionc di principio del vi-
carius Christi comporta inevitabilmente una negazione dello stesso Christus prae-
sens.
MINISTERO ECCLESIAsnco COME SBll.VIZI E AUTORIT

dove la Parola di Dio risuona. Non dovr quindi ricorrere agli stru-
menti di potere del mondo. Non cercher di affermare se stessa, in
quanto il suo obiettivo rimane Ja salvezza degli uomini. Non esiger
nemmeno che coloro, ai quali essa si rivolge, si avviliscano e si sot-
tomettano, ma vorr essere accettata nell'interiorit, in forza di quel-
la convinzione personale che matura soltanto in un'atmosfera di li-
bert, perch solo lo Spirito santo pu fare in modo che i precetti
del Signore vengano accolti. Il ministero ecclesiale non si traduce
in un potere vero e proprio, bens in un prudente controllo (rni.-
axom'J),6 che viene esercitato nel nome del Signore.
Tuttavia, quando si mantiene nell'ordinamento di salvezza, cio
nella sfera genuinamente ecclesiale, l'autorit dei ministri assume la
forma di un certo potere. Pi volte Ges, rivolgendosi agli apostoli,
ce lo dimostra. Cosl ad esempio quando, nell'ultima ceoo, d l'ordi-
ne: Fate questo in memoria di me, o quando dopo la risurrezione
dice: Mi stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque
e ammaestrate tutte le nazioni ... (Mt. 28,18 ss.). Gli apostoli ven-
gono resi quindi testimoni e banditori per l'intera durata della storia
di salvezza, fino al ritorno di Cristo, e da Gerusalemme fino agli
estremi confini della terra.7
Ma chi sono i destinatari di queste parole? I discepoli e contem-
poraneamente la Chiesa intera.8 Fra i discepoli soprattutto Pietro, ma

6 .t questo il senso di Mt. 16,19; 18,18: A te dar le chiavi del regno dei cieli,
e tutto ci che legherai sulla terra sar legato nei cieli, e tutto ci che scioglierai
sulla terr sar sciolto nei cieli.... Le chiavi sono un attributo messianico (Act.
1,18; 3,7; cf. Is. 22,22). Come un tempo, quando Jahv volle porre sulle spalle di
Eliakim le chiavi di David (Is. 22,22). cosl anche ora la consegna delle chiavi a
Pietro sta a signilcare l'ufficio di sorveglianza che gli apostoli sono chiamati a
svolgere. Costoro dovranno essere sorveglianti fedeli (Mt. 2445-51), hanno cio il
compito di preparare il ritorno del Signore: amministrando i suoi beni, indicando il
sentiero che si deve percorrere, annunciando il suo messaggio. Il potere di legare
e sciogliere (Mt. 16,20) chiarisce ed integra tale concetto. Ci che con una simile
espressione s'intende affermare non innanzimtto una trasmissione del potere di ri-
mettere i peccati, di accogliere nella comunit o di escludere da essa. Questa locu-
zione va situata in un contesto pi ampio (cf. G. LAMBEJtT, 'Lier et dlier: vivre
et penser', in: RB (1941-1944) 91-103) e significa soprattutto che agli apostoli
stato affidato il compito di condurre il popolo di Dio nel regno messianico. !!: inne-
gabile anche un accento che ci richiama un potere giuridico. Qui per si tratta di un
diritto tutto particolare, dcl diritto bibhco ed evangelico, di un diritto della fede
e della grazia, quello cio di annunciare e comunicare la salvezza con autorit.
7 Act. 1,8; ',32; 10,39.
8 a. ad es. AGOSTINO, Enarr. in Psalm. 47, 14; De bapt. 7, 84-85.
6ro TEOLOGIA DEI MINISTEII ECCLESIASTICI

al contempo gli apostoli nel loro insieme. In questo senso possiamo


dire che il potere, nella Chiesa, collegiale.' Il ministero ecclesia-
stico, come del resto la missione della Chiesa, presenta quindi in cer-
to qual modo due aspetti o punti di vista. 10 Da una parte esso obbliga
a rendere testimonianza ed a porsi al servizio. Questo obbligo scatu-
risce dall'esser-cristiani in quanto tale, per cosl dire dall'ontologia
cristiana, e per tale motivo la vocazione impegna ciascun fedele. Es-
sere cristiani significa essere discepoli, essere discepoli significa esse-
re apostoli. D'altro canto si viene incaricati al ministero di servizio
per mezoo di un preciso mandato, che si ottiene da Cristo. Per adem-
piere questa missione, conferita egli apostoli in vista dell'imminente
regno di Dio, si dovr preparare la strada al ritorno di Cristo.

2. La struttura dei ministeri di servizio nella Chiesa

e. La diversit dei ministeri di servizio nel NT

Il NT non conosce soltanto un concetto ben definito di servizio o di


ministero, il quale caratterizzerebbe quella funzione che noi oggi
traduciamo con il termine di ministero ecclesiastico, inteso come
condizione specifica, stabile. Troviamo invece una ricca variet di
concetti: apostoli, profeti, maestri, evangelisti, pastori, capi, presbi-
teri, vescovi, diaconi... In altri passi si enumerano doni e carismi che
vengono accordati, forse in modo del tutto transitorio, a certe cate-
gorie di persone: l'annuncio della Parola, il dono delle lingue, fa ca-

9 Cf. P. RusCH, 'Die Kollegialitiit im Neuen Testament', in: Y. CoNGAR - H.


KiNG D. O'HANLON (a cura), Konvlsreden, Einsiecleln r964, 43-45.
io Questa terminologia preferibile a quella adottata da c;erti teologi dopo il Va-
ticano I, i quali parlavano di un duplice titolare dell'autorit ecclesiastit:a, l'uno
inadeguatamente distinto dall'altro. Secondo costoro nella Chiesa esisterebbe un'uni-
ca autorit, che talora verrebbe esercitata dal singolo, talaltra dal collegio. Il Nuo-
vo Testamento suggerisce piuttosto un'autorit unica, che non si potr ripartire in
quella che spetta al collegio e in quella che spetta al suo capo; si dovr parlare
piuttosto di un unico titolare organico di questa autorit, che dal punto di vista
teologico pu essere poi consideralo sotto diversi angoli visuali. Cosi Mt. r6,r9 e
Mt. 18,18 ci offrono due aspetti dell'unico e medesimo mistero, dell'unica e me-
desima forma di presenza di Cristo. Nel primo caso la pietra, che in nome di
tutti i suoi professa la fede e conforma i fratelli; nell'altro la comunit, che giun-
ge ad una composizione armonica dei conflitti.
STRUTJ'UIA DEI MINISTERI DI SERVIZIO 611

pacit di compiere prodigi, il dono delle guarigioni, l'assistenza ai


malati, alle vedove ed agli odani, il servizio delle mense... Il fatto
che, all'origine, esistesse nella Chiesa una simile variet di funzioni
sta ad indicare chiaramente che Cristo, in questo campo, non ha la-
sciato od imposto agli apostoli norma alcuna. Prima che il ministero
ecclesiastico assumesse delle forme rigide, stabili, c' voluto del tem-
po, un'esperienza nell'eseroiaio dei compiti apostolici. Nel NT si
parla molto pi frequentemente dei ministeri di servizio che del mi-
nistero. Ma una simile variet di forme non deve farci dimenticare
che Cristo, durante la sua vita pubblica, si circondato di uno spe--
ciale gruppo di discepoli, da lui scelti affinch fossero con lui, e
che mentre viveva ancora sulla terra li ha inviati ad annunciare il
suo messaggio.
aa. I Dodici, i Settanta e i Setite. Il significato racchiuso nella scelta
dei Dodici non viene espressamente chiarito nel NT, ma traspare dal
logion dei dodici troni (Mt. 19,28; Le. 22~28 ss.). Ges ha chiamato
i suoi primi, dodici, discepoli in vista del giudizio ormai imminente.
Questo gesto presenta uno sfondo apocalittico. Secondo la visione dl
Daniele (Dan. 7 ), il regno del mondo futuro prender inizio con
l'istituzione, in questo mondo, di un tribunale presieduto dal Fi-
glio dell'Uomo e composto da una corte che giudicher le dodici tri-
b di Israele. Gli evangelisti Matteo e Luca ripropongono queste
logion in due diverse interpretazioni, tra loro peraltro complementa-
ri.11 Matteo si muove in una prospettiva pi etica che ecclesiologica.
I discepoli vengono esortati a vivere, come Ges, secondo lo spirito
della rinuncia e del servizio. La situazione s'invertir nel regno del
mondo futuro, quando coloro che avranno seguito Ges riceve-
ranno l'autorit vera, l'unica che consente di celebrare il giudizio, un
potere che liberer l'intero Israele. Sembra in~ece che in Luca questo
logion assuma un significato piuttosto storico. Lo sguardo indiriz-
zato soprattutto alla missione dei discepoli. Il ruolo che a costoro
viene conferito un premio per fa fedelt che hanno dimostrato. In
nome dell'intero popolo, dalla Galilea fino a Gerusalemme, essi han-
no vissuto in comunione vitale con Ges, per cui ora otterranno,
all'inizio dei tempi messianici, una specie di reggenza sull'intero po-

11 Ci. J. Dt1PONT, 'Le logion des douze tr6nes', in: Biblica 45 (I964) 355-392.
612 TEOLOGIA DEI MINISTERI ECCLESIASTICI

polo israelitico. 12 Svolgono dunque una funzione tutta loro propria.


Dopo essere stati vagliati dallo stesso Ges e diventati testimoni
degli eventi di salvezza, dopo che Cristo risorto, essi saranno i
primi testi della risurrezione.
Per quanto non siano gli unici che hanno conosciuto personal-
mente il Signore, i Dodici sono chiamati a svolgere una funzione
del tutto peculiare, intrasferibile. E questo probabilmente il sen-
so deHa sostituzione di Giuda con Mattia, tanto pi chiaro se si
tiene presente che gli altri membri del gruppo dei Dodici non ven-
nero sostituiti. 13 Giuda non rimpiazzato a motivo della morte, ma
perch ha tradito; la testimonianza degli apostoli dev'essere tra-
smessa a tutto il popolo in modo integrale, immacolato. In s e per
s la morte dell'apostolo non porta alcun cambiamento nella realt
dei Dodici; anche dopo che tutti i suoi membri saranno ormai scom-
parsi, il collegio dei Dodici rimarr un dono ed una promessa fatti
alla Chiesa. La sostituzione di Giuda con Mattia attesta invece e
fonda la successione apostolica. Il principio che essa intende affer-
mare non tanto quello della continuit storica dei testimoni suc-
cessivi agli apostoli, bensl quello della missione escatologica dei Do-
dici, di quell'evento unico e duraturo che assume un'importanza de-
cisiva per l'intera storia della salvezza.14 La realt dei Dodici ci sta
ad indicare l'inizio della realizzazione della promessa: nei tempi
escatologici tutto Israele verr nuovamente riunito.
L'istituzione dei Dodici presenta un aspetto del tutto singolare,
certi elementi che non potranno essere trasmessi, e tuttavia anche
certi dati che sono trasmissibili. In quanto primogeniti dell'intero
Israele, i Dodici costituiscono anche il fondamento della Chiesa.
Sono i testimoni di Israele e gli inviati in tutto H mondo e.cl an-
nunciare la buona novella, a battezzare, a celebrare l'eucarestia, ad
imporre le mani, a comunicare lo Spirito santo. Per primi essi han-
no riunito la Chiesa di tra i giudei e i pagani, e conferito ad altri
il compito di continuare in questo lavoro che trover il suo pieno

12 Questa idea di un effettivo, e non puramente simbolico, legame fra i Dodici e


le trib d'Israele (Mt. 19,28; Le. 22,30) sopravviver abbastanza a lungo. a. il
Vangelo degli ehioniti (E. KLOSTERMANN, Kleine Tcxte 8, fr. 2); Barn. 8, 3.
Il Vedi ad es. Giacomo il Vecchio, morto nel 42.
14 Cf. PH. MENOUD, 'Lcs additions au groupe dcs douze apltres d'aprs !es livrcs
des Actes', in: RHPbR 37 (1957) 71-80.
STllUTTURA DEI MJNISTElll DI SBllVJZIO

compimento soltanto quando i tempi si saranno adempiuti. Si com-


prende dunque perch Paolo e Luca vedano nei Dodici gli apostoli,
in senso pieno, la radice e fonte di ogni apostolato.
Ad esercitare il ministero diaconale originario sono chiamati en-
che i Settanta (secondo certi manoscritti - Le. 9,1-6; 10,1-6 -
i Settantadue). Anche costoro vennero inviati da Ges. Nel raccon-
to delle due missioni troviamo elementi comuni sia ai Dodici che
ai Settanta. Tanto gli uni come gli altri ricevono il mandato di pro-
durre dei segni che attestano il regno che viene: guarire gli am-
malati, annunciare il tempo di grazia, scuotere la polvere dai piedi
per indicare il giudizio su coloro che non hanno loro offerto ospi-
talit. Come il numero 12 cosl anche il 70 stato scelto senz'altro
a proposito. 15 Infatti, come i Dodici rappresentano le trib d'Israe-
le, cosi i Settanta ricordano gli anziani che, per ordine di Dio, do-
vevano affiancare Mos. 16
Come gli anziani di Gerusalemme avevano ricevuto il mandato
di prendersi cura, assieme a Mos, del popolo e di esercitare l'uffi-
cio profetico, cosl i Settanta ricevono un mandato da Cristo e ven-
gono associati alla sua opera. L'intero ministero apostolico personale
non promana quindi semplicemente dal collegio dei Dodici, quasi
fosse una sua prosecuzione ed amp1ificazione. n ministero ecclesia-
stico si conEgurato innanzitutto secondo la missione dei Dodici,
in secondo luogo in base all'incarico conferito ai Settanta. Forse
proprio per tale motivo Paolo pu affermare: Voi siete edificati
sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra
angolare lo stesso Cristo Ges (Eph. 2,20).
La scelta dei Settanta ci permette di trarre un'altra conclusione.
Quando gli apostoli. sollecitati dalle nuove esigenze che la comuni-
15 Cf. A.M. FARRER, 'The Ministry in the New Testamcnt', in: The Apostolic Mi-
nistry, London 1946, 133-qz.
16 Num. n,r6 s. Questo riferimento agli anziani radunati da Mos trova la sua
conferma in un altro indizio. Due anziani non avevano partecipato al convegno nel
deserto, dove avrebbero dovuto ricevere lo Spirito, ma avevano incominciato a pro-
fetare per loro conto nell'accampamento. E Mos se ne rallegra, perch vede in que-
sto il segno che l'intero popolo diventer profeta. E cosi li aggiunge ai Settanta, per
Clti il numero degli anziani ora si eleva a Settantadue (Num. rr,24-30). Alcuni mano
scritti del vangelo di Luca sottolineano il numero di Settantadue, certamente preoc-
cupati di porsi in sintonia con il racconto veterotestamentario. Cf. R. PAQUIER,
'L'piscopat dans la structure institutionnelle de l'Eglise', in: Verbum Caro 49 (1959)
32.
TEOLOGIA DEI MINISTERI ECCLESIASTICI

t manifesta, trasmettono le proprie funzioni ai ministri locali, non


lo fanno delegando un servizio che essi possiederebbero e conserve-
rebbero nella sua interezza. Si comportano piuttosto come Mos e
lo stesso Ges: scelgono gli anziani, delle persone che svolgeranno
assieme a loro certi compiti all'interno del popolo di Dio e che eser-
citeranno anche un'attivit profetica. Questa distribuzione di com-
piti proseguir poi anche nella Chiesa primitiva: gli apostoli e gli
anziani a Gerusalemme, gli apostoli e i loro collaboratori (che pu-
re vengono chiamati anziani) nelle altre Chiese.
Infine va ricordato un altro gruppo, che sembra s.ia stato costi-
tuito dagli stessi apostoli, ma che nonostante le scoperte di Qumran
e i progressi compiuti in caanpo esegetico rimane ancora avvolto nel
mistero. Il primo atto aposrolico, che istituisce un ministero eccle-
siastico, l'insediamento dei Sette a Gerusalemme. Queste sette
persone - <momini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sag-
gezza, A.et. 6,3 - sono giudei formati nella cultura ellenistica e
convertiti al Cristo. Il redattore degli Atti dice che sono zelanti nel
prestare il servizio delle mense, ma emerge chiaramente anche il
loro impegno nella predicazione. Abbiamo tutti i buoni motivi per
supporre che, per gli ellenisti, questi Sette fossero ci che i Do-
dici erano per gli ebrei: direttori spirituali del gruppo originario
cui appartenevano. 17 Sembra che questi individui rappresentassero la
sinagoga degli ebrei della diaspora, i quali si erano stabiliti a Geru-
salemme ed ivi organizzati confovmemente alla propria tradizione,
prima ancora dell'ra apostolica. Per quale motivo g]j apostoli han-
no scelto proprio sette persone? Secondo la consuetudine ebraica
una comunit di 120 uomini aveva il diritto di eleggere un consi-
glio locale composto d 7 persone. probabile che i sette anziani
abbiano costituito la sinagoga greca, accanto a quella ebraica. L'im-
posizione delle mani, che i Sette ricevono dagli apostoli, sottolinea
l'unit dell'intero gruppo di Gerusalemme, tra i cristiani della Giu-
dea e quelli della diaspora. Fin dall'inizio questo gesto sta ad indi-
care che la chiesa, per sua stessa natura, giudaica e greca in-
sieme.18

11 Cf. M. SIMON, [,es premiers chrtien, Paris 1952; St. Stephen and the Hellenists
in the primitive Church, London 1958.
ia Cf. G. Drx, Jew and Greek. A study in the primitive Churcb, New York r953.
STB.U'l'TUB.A DEI MINISTEl!.r Dr SERVIZIO

La struttura ministeriale della Chiesa prunmva potrebbe sem-


brare troppo complicata per offrire un segno di quella comunione che
stringe tutti i membri nell'unit. Alla stessa conclusione si giunge
quando si analizzano i ruoli della presidenza e del governo nella
comunit. Dopo la sua conversione (verso l'anno 38}, Paolo si reca
a Gerusalemme, dove fa visita a Pietro, il capo degli apostoli, e a
Giacomo, il quale svolge {e funzioni di presidente della comunit
gerosolemitana (Gal. 1,19). Senza dubbio questo Giacomo, un pa-
rente di Ges, appartiene alla cerchia degli anziani 19 e sembra -
stando al ruolo da lui assunto negli Atti - che abbia effettivamen-
te governato la Chiesa di Gerusalemme, e non solo i cristiani di
estrazione ebraica ma anche gli altri.
Si ha dunque l'impressione che i Dodici abbiano distribuito am-
piamente le loro responsabilit e preferito cedere ad altri la presi-
denza nella Chiesa locale di Gerusalemme. In tal modo risultava
ancor pi chiaramente che 1-a foro autorit stava al servizio di tutti.
Forse proprio questa la ragione per cui anche altri apostoli,
come Stefano, Paolo e Barnaba, potevano rivendicare una vocazione
analoga a quella degli apostoli, sebbene per svolgere una missione
diversa. Ma queste iniziative non pregiudicavano affatto la funzione
dei Dodici, unica nel suo genere (Gal. 2,18). Si spiega allora anche
perch ben presto la Chiesa primtitiva abbia accolto ministeri di
derivazione locale. Sembra infatti che le Chiese si siano organizzate
secondo il modello della sinagoga. Queste possedevano un colliegio
di presbiteri, a capo del quale stava un presidente della sinagoga.
probabile che anche la comunit di Gerusalemme avesse adottato
un simile governo, la cui presidenza spettava a Giacomo. Questo ov-
viamente non impediva che gli apostoli esercitassero, all'interno del-
la comunit, il loro ministero deHa Parola e dell'orazione.
Sembra dunque che questi due gruppi di ministri abbiano svolto
la loro attivit in buona armonia: il collegio apostolico sotto la pre-
sidenza di Pietro, con delle mansioni particolari e proprie, e il col-
legio dei presbiteri, che a Gerusalemme era presieduto da Giacomo,
altrove da un vescovo locale. All'interno di questi collegi presbite-

19 Non necessariamente dovremo identificare questo Giacomo con l'apostolo Gia-


como, figlio di Alfeo. La questione ancora controversa.
TEOLOGIA DEI MINISTERI ECCLESIASTICI

rali si delinearono ben presto diverse funzioni, che secondo la tri-


logia pi frequentemente affermata comprendono il ruolo di profe-
ta, pastore e maestro, ma che a seconda dei luoghi assumono anche
altre denominazioni.
bb. Gli apostoli delle comunit paoline. Carismi e funzioni. Da
tempo gli esegeti si dimostrano concordi nel situare l'inizio dell'apo-
stolato nei viaggi missionari di Paolo e dei suoi discepoli. Del resto
il tennine stesso di !i1t6rrtoo<; compare per la prima volta in Antio-
chia. Ma si pi vicini alla realt dei fatti quando si suppone che
proprio a Gerusalemme abbia avuto origine l'apostolato, e se non
il termine vero e proprio almeno il contenuto.li) Paolo stesso dice
che esistono apostoli fin dal periodo immediatamente seguente al-
la risurrezione (I Cor. 15,3-8). Pu rendere testimonianza, in qua-
lit di apostolo, colui che ha conosciuto Ges personalmente e lo
ha confessato come il Risorto.21
Ma merito della riflessione paolina se questo titolo venne poi
genera1mente impiegato per designare i Dodici, fino al punto da
diventare una qualifica esclusiva.22 Secondo Paolo l'apostolo testi-
mone del Signore risorto, rappresenta Cristo sulla terra, per svol-
gere quella missione che egli deve condurre a pieno compimento.
L'apostolo incarna dunque, nella propria persona, la presenza di
Cristo, per cui chi lo ascolta ascolta Cri'Sto, chi Io disprezza disprez-
za Cristo e colui che lo ha mandato.z.i

20 Cf. J. DuPONT, 'Le nom d'apotres a-t-il donn aux Douze par Jsus?', in: L'O-
rient Syrien 1 (1956) 267-290; 425-444; E. LoHSE, 'Ursprung und Priigung des chri-
stlichen Apostolats', in: ThZ 9 (1953) 259-275; H. VON YMPENHAUSEN, 'Der
urchristliche Apostelbegriff', in: Studia theologica (Lund) r (1947) 166-200; d. an-
che E.M. KREDEL, in: ZKTh 78 (1956) 169-.193; 257-305; H. Rll!SENPELD, in: RGG
1 (1957) 497-499; H. MosBECH, in: Studia theologica (Lund) 2 (1949-50) 166-200.
21 Il problema della definizione di apostolo particolarmente decisivo per Pao-
lo. Egli non ha conosciuto Cristo secondo la carne, e quindi difende il proprio di-
ri1to d'essere inviato da Cristo nei confronti di coloro che prima di lui erano apo-
stoli. Egli si considera apostolo, al quale, ultimo fra tutti, come a un aborto (Rom.
1 I ,r ), cio come Beniamino, ultimogenito di Giacobbe (Paolo era della trib di Be-
niamino!), il Signore apparve. Apparendo ai Dodki (incluso Tommaso), il Risorto li
conferm quali apostoli (]o. 20,19-29), ma olfrl anche l'occasione per appl'Ofondire
ulteriormente il conceuo di apostolo, in quanto sono beati quelli che pur non
avendo visto crederanno.
22 Cf. J. MuNCK, Paultts und die Hei/Jgeschichte, Kopenhagen 1954; 'La vocation
de l'ap61rc Paul', in: Studia theologica (Lund) l (1947) 131-145.
2J Cf. l.c. 19,16, testo addotto nella Lumen gentium, n. 20.
STRUTTURA DEI MINISTERI DI SERVIZIO

Tuttavia la vocazione diretta di Paolo costituisce un evento di


straordinaria importanza per la comprensione del ministero eccle-
siastico e dell'apostolicit della Chiesa, un evento che non stato
sufficientemente approfondito fino all'et della Riforma e che ora
vorremmo analizzare un po' pi in dettaglio. Dando origine all'isti-
tuzione ecclesiastica ed alla successione apostolica, che poi assun-
sero una loro struttura determinata, Dio volle produrre anche un
evento spirituale che dimostrasse la sua libert. Infatti, per quanto
i ministeri ecclesiastici siano doni di Dio, essi non vengono chia-
mati all'esistenza una volta per tutte, quasi che poi potessero di-
sporre di se stessi in piena autonomia. vero invece che vengono
continuamente rinnovati per mezzo dei carismi che lo Spirito santo
elargisce. Per cui ogni persona che si leghi con la propria vita alla
istituzione ecclesiastica dovr mantenersi sempre aperta anche ai
carismi che sono donati alla Chiesa.
Non dovremo quindi meravigliarci se le comunit paoline hanno
dato origine a forme particolari di ministero. Come sembra si pos-
sa ricavare da I Cor. 12,4-II e Rom. 12,6 ss., in queste comunit i
carismi erano molto numerosi. Alcuni venivano concessi una volta
soltanto e in particolari circostanze, mentre altri erano doni di cui
certe persone stabilmente disponevano e che venivano riconosciuti
anche dagli altri. In seguito i carismi assumeranno il carattere di
funzioni permanenti, esercitate per il bene dell'intera comunit: pro-
feti, apostoli (in senso lato), maestri, evangelisti, pastori. Ma sem-
bra che nella stessa cerchia dei ministeri carismatici si sia venuto a
formare un certo ordine, una gerarchia, come suggedsce I Cor.
12,28: in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come pro-
feti, in terzo luogo come maestri. Certo, sempre lo Spirito che su-
scita e distribuisce i carismi, tuttavia i fedeli, i quali pure godono
deH'assistenza dello Spirito santo, sanno dove realmente essi si ma-
nifestano. I carismatici dovranno cosl sottostare a determinate re-
gole disciplinari, ch altrimenti verrebbe compromesso quell'ordine
che deve regnare nella Chiesa. Per quanto i carismi non si esaurisca-
no nella cerchia istituzionale, bisogna tuttavia concedere che l'anti-
tesi classica fra carisma e funzione meno assoluta di quanto a
prima vista potrebbe sembrare. 11 conflitto, che pu sempre sorgere
nella comunit, dev'essere assolutamente composto, perch ogni mi-
618 TEOLOGIA DEI MINISTl!Rl ECCLl!SlASTICI

nistero si fonda su un dono dello Spirito ed ogni dono dello Spirito,


quando stabile, diventa ministero.

b. La struttura dei ministeri ecclesiastici


nel cattolicesimo degli inizi: i discepoli degli apostoli

Per cattolicesimo degli inizi intendiamo quell'ordinamento eccle-


siastico che ci sembra sia stato presente nella Chiesa verso la fine
del primo secolo. Ci attestato dalle lettere pastorali e da diversi
altri scritti dell'epoca. Tipica, in questi testi, la sottolineatura del-
l'ortodossia, della tradizione apostolica, della conoscenza della ve-
rit, dell'attivit esteriore e soprattutto dell'organizzazione dei mi-
ni:steri, mediante 1a quale si cerca di far fronte al rilassamento dei
costumi e proporre una vita in Cristo 24 nuova e degna di essere
vissuta.
Si comprende facilmente come all'interno del presbiterio potesse
formarsi una tmcrxo1tfJ, costituita da un comitato di persone parti-
colarmente adatte a svolgere tali funzioni. Spesso si chiam anche
un discepolo dell'apostolo ad assolvere certi compiti particolarmen-
te importanti, come ad esempio Tito a Creta, Timoteo ad Efeso,
Clemente a Roma, Ignazio ad Antiochia.25 L'influenza di questi uo-
mini sperimentati,l6 che dagli apostoli erano stati abilitati a svol-

24 Cf. H. SCHLIER, 'Die Ordnung der Kirche nach den Pastoralbriefen', in: Die
Zeit der Kirche, Freiburg i. Br. 1956, 129-147 (trad. it. Il tempo della Chiesa, Il
Mulino, Bologna).
25 Se l'episcopato locale s'impose praticamente ovunque, i titolari di questo ufl.
do, nelle loro diverse sedi, non erano posti tutti sul medesimo piano. L'episcopato
sull'Egitto, ad esempio, che aveva la sua sede ad Alessandrfa, dipendeva stretta-
mente dal .. papa di questa citt, che in seguito verr elevata a patriarcato. La for-
mazione della sede di Alessandri;1, l'atteggiamento che poi essa assumer, il rap-
porto con Marco, tutto questo sta ad indicare una origine apostolica del patriarcato
che venne fondato ad Alessandria. Il titolo di vescovo, che spetta al capo della co-
munit alessandrina, si spiega col fatto che a quel tempo Alessandria era la capitale
dell'Egitto. Ma i privilegi d cui godevano altri centri si possono comprendere sol-
tanto se li si riconduce ad una personalit di rilievo, la quale esercitava delle fun-
zioni cui era stata deputata direttamente dagli apostoli. Questi patriarcati, che non
necessariamente devono la loro origine (come vorrebbero certi autori) ai discepoli
degli apostoli, si presentano come una realt storica talmente solida da giustificare
la trasmissione dell'bnaxoit1} nella Chiesa (cf. O. KRAM, 'Les chsires apostoliques
et le r61c dcs patriarcats dans l'Eglise', in: Y. CoNC.~R - B.-D. DuPUY (a cura), L'E-
piscopal e/ l'Eglise universelle, ~ Unam Sanctam, .Paris 1962, 261-278 ).
26 Didacht u-12 e 1,-; CLEMENTE RoM., 42,r-,-; 44,1-3.
STllU'l'TUllA DEI MINISTElll DI SEll.VIZIO 619

gere una funzione particolare nella Chiesa, dev'essere stata detenni-


nante, data la tendenza. a.Ila monarchia. episcopale che allora si stava
affermando. Essi cercano di imitare in tutto e per tutto l'apostolo
che ha trasmesso loro la fede; sono suoi fratelli in spirito e devono
conservare tutto ci che hanno ricevuto.Z7 A loro spetta di vigilare
sul patrimonio di fede ereditato dagli apostoli 28 e di organizzare i
ministeri ecclesiastici.29
:B probabile che proprio a motivo dell'influenza esercitata da questi
discepoli degli apostoli, frequentemente ricordati negli saitti del-
la fine del primo secolo, diventi sempre pi importante anche la
funzione dei presbiteri, cui spettava di amministra.re e dirigere la
comunit. Costoro risultano gi perfettamente caratterizzati in Phil.
1,1, dove si presentano come vescovi e diaconi. Per I Petr. 5,1-5
i presbiteri sono ministri che hanno l'incarico ufficiale di pascere
il gregge di Dio e che devono preoccuparsi di mantenere la di-
sciplina. Analoghi compiti riconosce ai presbiteri Act. 20,18-36, che
sottolinea soprattutto la necessit di vigilare sugli errori che ser-
peggiano tra i fedeli. Nelle lettere pastorali vediamo che Tito e Ti-
moteo svolgono la funzione di delegati e rappresentanti dell'apostolo
Paolo; esercitano la loro giurisdizione episcopale su un territorio che
raccoglie un gruppo di comunit. Come mostra il termine presbyte~
rium, usato in 1 Tim. 4,14, gli anziani formano una specie di colle-
gio. Stando a Tit. 1,5 ss., l'episkop sembra 1spetti agli anziani, tut-
tavia n costoro n i diaconi vengono chiamati episkopoi, termine
usato solo al singolare (Tit. 1,7; d. anche 1 T~m. 3,2). Il fatto che
il titolo di vescovo venga riservato ad un determinato membro
del collegio degli anziani segna forse una tappa nel processo che con-
durr all'episcopato monarchico.

c. L'episcopato monarchico

Dopo la caduta di Gerusalemme e la fine dell'episcopato di Giaco-


mo, in Oriente si sta sempre pi affermando l'episcopato monarchi-
co. Verso la fine del primo secolo la cristianit presenta due tipi di
27 Tim. 1,12I7; 2 Tim. 1,8-13; 2,J,IO.
I
r Tim. 6,xo; 2 Tim. 1,r2 ss.; 2,13; Tit.
28 1,1 s.
n I Tim. 4,14; 2 Tim. r,6; 2,1 s.; 3,1-5.
TEOLOGIA DEI MINISTERI ECCLESIASl'ICI

struttura gerarchica: l'Oriente ( antiocheno) conosce ovunque un


episcopato monarchico; l'Occidente (romano) possiede ancora i
collegi dei presbiteri o presbiteri-vescovi. Le concezioni che si han-
no del vescovo sono diverse. In Oriente concepito come il capo
della comunit locale; la lotta contro l'eresia gnostica ha aumentato
decisamente il suo prestigio. A Roma e in Occidente ci si appella al
fatto che Pietro cambi sede e volle trasferire, nella capitale del-
l'impero romano, anche l'episkop di Gerusalemme, per un certo pe-
riodo collegata a quella di Antiochia. Questa differenza ecclesiolo-
gica tra Oriente e Occidente ha caratterizzato in modo notevole la
teologia dei ministeri ecclesiastici: le tracce sono rimaste fino ai no-
stri giomi. 30
Il ruol'O del vescovo si consolid ulteriormente quando ci si con
vinse che i ministeri diaconati posseggono una funzione carismatica
s~abile e sono indispensabili. Orginalfiamente, ci che si dice in
I Cor. 2,15, valeva per ogni cristiano: i santi, che vivono dell'im-
pulso dello Spirito, possono essere giudicati solo da Dio. In seguito,
per, questo testo vien~ sempre pi ad assumere, nell'area oc~iden
tale, il significato di un giudizio che i ministri eserciterebbero sui
fedeli,3 1 per cui lo si applica inizialmente ai vescovi, poi alle sedi
primaziali e infine alla sede romana. 32 Analoga tendenza quella
di riservare sempre pi aL papa certi titoli che, secondo un'ecclesio-
logia abbastanza diffusa nei sec. II e III - la troviamo in Cipria-
no l.l - , spettano propriamente ai vescovi.:1o1

30 Cf. Y. CoNGAR, 'Conscience ecdsiologique en Orient et en Occident du vr' au


x1' sicles', in: Istina :;, 1959, 187-236.
li Le versioni latine (gi la Vetus latina traducevano vaxp!vm1 con iudicare
e quindi offrivano un buon spunto per una simile interpretazione. Stando per al
contesto, l verbo doveva venir tradotto con diiudicarc (come dcl resto hanno fatto
certi autori: Ambrogio, Gerolamo, l'Ambrosiasta). I padri greci non hanno seguito
questa esegesi Ccf. G. CRISOS'I'OMO, in Ep. ICo~., hom. 7: PG 61,61; G. DAMASCE
NO, in Ep. Pauli 69: PG 95, 587 CD).
32 Cf. AM. KoENIGBR, Prima sedes a nemine iudicatur', in: Fcstgabe A. Ehrhard,
Bonn 1922, 273-300. Un assioma che non venne accettato in Oriente, per cui le
Chiese orientali si risentirono notevolmente quando dovettero leggerlo in iina lettera
che Niccol I invi, nell'865, a Michele Ili (Mansi 15, 196; DS 638).
33 Cf. BC. BuTLER, 'Saint Cyprien et l'Eglise', in: L'ide de l'E11.lise, Paris 1965,
94-109.
3o1 Cf. H. MAROl", 'La collgialit et le vocabulaire piscopal du v au vu sicle',
in: La co/l~giaUt piscopale, Paris 1965, 59-98.
STRUTTURA DEI MOOSTElll DI SERVIZIO

d. Il governo della Chiesa universale. Episcopato e papato

Il potere spirituale legato ad un ministero ecclesiastico non coinci-


de con la giurisdizione, in forza della quale essa esercita l'autorit
rispondente al suo ardo nel .ministero di servizio.35 L'ord.ine si
fonda, come abbiamo gi fatto notare, sulla presenza di Cristo nella
Chiesa e quindi una realt sacramentale: il sacramento della suc-
cessione apostolica. 36 Esso si articola secondo i diversi gradi di una
successione a carattere collegiale. La giurisdizione riguarda invece i
modi in cui l'autorit dev'essere esercitata nelle situazioni partico-
lari, e quindi l'esercizio personale del ministero. Essa consiste nel-
l'autorizzazione ad esercitare il potere derivante dall'ordine, in con-
formit ai canoni. La giurisdizione intimamente legata all'ordine.
Fondamentalmente si tratta dell'espressione giuridica che la succes-
sione apostolica assume e che implicita nell'ordine. 37 Talora essa
precisa le condizioni che i vescovi devono rispettare nell'esercizio
del proprio potere, talaltra le condizioni loro richieste per legare o
sciogliere i sacerdoti che ottengono poteri connessi con il sacerdozio.
Possiede un contenuto oggettivo, che identico a quello dell'ordine
e che stato determinato da Cristo; quindi non pu venir ridotta

35 a. Y. CoNGAR, 'Ordre et jurisdiction dans l'.Eglise', in: Sainte Eglise, Paris


r963, 203-328 (ttad. it. Santa Chiesa, Morcclliana, Brescia). Per l'origine medievale
del concetto di giurisdizione, cf. L. HtlDL, Die Geschichte der scholastirchen LJtera-
tur und der Theologie der Schliisselgewalt, Miinster x960; B.-D. DuPUY, 'La tho!o-
gie de l'Episcopat', in: RSPhTh 49 (1965) 238-342 (spec. 3r9"322).
36 a. B. BoTTE, 'L'ordxe d'aprs les prJres d'ordination', in: Etudes sur le sa-
crement de l'Ordre, Paris 1957, 33; L.-M. DEWAILLY, Envoys du Pre, Paris 1951,
89-97. Cf. Lumen gentium, nn. 20-.u.
37 K. RAHNER, Das Amt der Einheit, Stuttgart 1964, si sforza di congiungere la
gerarchia d'ordine con la gerarchia di giurisdizione, per un concetto unico di
gerarchia. Egli si chiede se nella potest pontificia non si debba scorgere i! grado
pi elevato del sacramento dell'ordine. Ma ci rappresenterebbe un'assoluta novit
nell'ordinamento ecclesiastico. Non disponiamo di un solo fatto della praxis eccle-
siae che ce lo stia a conformare: mai la consacrazione di un papa ha rappresentato
un atto veramente sacramentale. La proposta di Rahner risponde ~ll'csigcnza di ar-
monizzare la gerarchia sacramentale con la struttura di governo ecclesiastico, oggi
molto pi complicata che in passato, di legare il sacramento dell'ordine allo sviluppo
della giurisdizione. In realt esiste soltanto una gerarchia, quella dell'ordine. Se si
accettasse la proposta dell'autore citato, si mistificherebbe lo stesso servizio cristia-
no dcl ministero, non si attenderebbe assolutamente al fatto che l'organizzazione in
fon7.ionc del servizio, e non viceversa. Cf. TH. S-rROTMANN, 'Primaut et cphalisa-
tion ', in: Irenikon 37 (1964) 187-197.
622 Tl!OL()GIA DBI MINISTBltl ECCLESIASTICI

assolutamente ad una delega di poteri n ad una concessione di fa-


colt che un'autorit geraochica superiore per principio possiedereb-
be. Si tratta piuttosto di una regolamentazione che rispecchia il- par-
ticolare carattere della Chiesa, societ unica nel suo genere.
Af vertice del ministero ecclesiastico troviamo il collegio dei ve-
scovi, che succede al collegio apostolico ma che non ha il compito
di fondare la Chiesa, bensi quello di governare la Chiesa universale,
un compito che gli apostoli hanno trasmesso ai loro successori.38 Fin
dal NT l'esercizio di questa funzione raggiunge la sua acme, in oc-
casione dell'assemblea riunita nell'anno 42. Questo pu essere con-
siderato il tipo dei futuri concili, data la questione ivi trattata:
se per tutti, per i giudei convertiti come per i cristiani provenienti
dal paganesimo, dovessero valere le medesime leggi, o se non si
dovesse introdurre un nuovo ordinamento ecclesiastico, fondi!.to sul-
la libert, per i cristiani non giudaici; e dato anche il modo in cui
si formul la scelta: 'Lo Spirito santo e noi abbiamo deciso ... . 39
Tuttavia i concili successivi si clliferenzieranno da questa assemblea
di Gerusalemme. Sono infatti concili imperia1i, che riuniscono cio
la cristianit proveniente dal paganesimo e di derivazione soprattutto
greco-romana. Essi rappresentano ormai una Chiesa gi profonda-
mente inserita nella storia.40 Si trovano a dover risolvere problemi
connessi con la trasmissione del patrimonio tramandato, e non pi
questioni legate alla fondazione della rivelazione. I concili sono dun-
que assemblee straordinarie in cui la Chiesa si I-ascia giudicare da
Cristo, suo fondatore, e si interroga sulla propria apostolicit. Essi
continuano l'opera degli apostoli ma rappresentano anche lo sforzo
di ritornare alle sorgenti apostoliche; hanno un carattere missiona-

l8 Lumen gentium, nn. 20-23. Cf. Etudes sur le sacrement de l'Ordre, Paris 19,7;
Y. CoNGAR - J. DuPONT (a cura), La collgialit piscopale, Paris 196,; G. BARAUNA
(a cura), De Ecclesra Il, Frankfurt aM. 1966, 7-26-'; 'Die hierarchische Struktur der
Kirche' (trad. it. La Chiesa del Vaticano II, Vallecchi, Firenze).
l9 Cf. L. CERFAUX, 'Le chapitre xv du Livre des Actes la lumi1e de la littra-
ture ancienne', in: Miscellanea G. Mercati I, Roma 1946, 107-u6; H. L1ETZMANN,
'Der Sinn des Aposte.ldekrets und seine Textwandlung', in: Amicitiae Corolla, Lon-
don 1933, pp. u3-236; K. LAKE, 'The Apostolic Council of Jerusalem', in: The
Beginnings of Christianity v, London 1933, 195-212.
> Cf. F. DvoRNIIC, Histoire des conciles, Paris 1961; lo., 'Emperors, Popes and
Generai Councils', in: Dumbarton Oaks Papers 6 (1951) I23; B. BOTTE - H. MARoT,
(a cura), Le Concile et les Conci/es, Paris 1960; K.E. SKYDsG,.,.RD, Kon:dl und
Evangelium, GOttingen 1962.
STRUTTURA DEI 1141NISTW DI SB.11.VIZIO

rio e riformatore insieme. In questo duplice senso i concili costitui-


scono l'atto eminente attraverso il quale la chiesa esercita la sua
funzione apostolica. Nei concili ecumenici la Chiesa, cui stato af-
fidato il compito di annunciare il vangelo, si confronta con il van-
gelo medesimo. La Chiesa, fondata da Cristo, si interroga per cono-
scere se la sua vita venga o meno vissuta in conformit aHa propria
costituzione, e se le leggi che essa emana rispecchino la sua struttura
pi profonda, che quel!la della communio.
Si capisce dunque perch i eoncili si presentino come una isti-
tuzione estremamente elastica, dalla composizione e modi di proce-
dere alquanto vari, non legata alle leggi di una civilt o di un'epoca.
Del resto, la conciliarit della Chiesa non viene esercitata soltanto
a livello di concilio ecumenico; la ritroviamo anche, bench in for-
me parziali, nei diversi sinodi locali e regionali, negli incontri che
si stabiliscono tra le diverse Chiese e nei diversi collegi consultivi,
nella misura in cui questi vengono promossi dalla Chiesa e s'impe-
gnano, responsabilmente, nell'esercizio della propria missione.41
Come il concilio , in certo qual modo, la prosecuzione del colle-
gio apostolico, cosl anche il vescovo di Roma continu11, per certi
aspetti, il ministero di Pietro nella Chiesa, non per in rapporto
aUa singolare missione cui era chiamato il primo apostolo, quella
cio di porre i fondamenti di una Chiesa composta di ebrei e .pa-
gani, bensi in relazione al governo della Chiesa universale, forma-
tasi in un contesto pagano e con fa sua capitale a Roma.42
La funzione che il vescovo di Roma esercita in seno al collegio
e nella Chiesa universale non poggia esclusivamente sul fatto -
dal punto di vista storico e culturale estremamente importante -
che Pietro si rec a Roma ed ivi, poco prima di Paolo, ha sublto il
martirio, ma piuttosto sul nesso esistente tra la funzione che il Si-
gnore ha conferito a Pietro - funzione esercitata e riconosciuta
nella Chiesa primitiva - e la sede episcopale di Roma, allora capi-

41 Cf. P. GouvoN, 'Die Kolkgialitiit in der altkirchlichen Tradition', in: Y. CoN-


GAR - H. KONG - D. O'HANLON (a cura), Konzilsreden, Einsiedeln 1964, 46-49; C.
VoGEL, 'Unit de l'Eglise et pluralit des formes d'organisation ecclsiastiques', in:
L'Episcopat et l'Eglise universelle, Paris I962, 59I636.
42 Cf. CG. HoFSTETTER, 'La primaut dans J'Eglise dans la perspective de I'histoi-
re du salut', in: Istina 8 (r9'i1-62) 333-358.
TBOLOGIA DEt MINISTElll ECCLESIASTICI

tale dell'impero romano e della diaspora giudaica.43 Soltanto in una


epoca successiva, e soprattutto a Roma, la riflessione teologica legit-
timer il pot~re pontificio appellandosi ai titoli che la Scnittura,
specialmente Mt. z6, conferisce a Pietro.44 L'evoluzione che ha con-
dotto al riconoscimento del vescovo di Roma come successore di
Pietro non frutto di sagacia giuridica bensl della stessa legge della
sroria di salvezza, che un'economia di promesse e adempimenti..:;
La Chiesa primitiva riconobbe il primato di Gerusalemme.% Quando
questo non lo si pot pi esercitare, e la po}emica fra i cristiani
provenienti dal giudaismo e quelli di derivazione pagana giunse al
suo apice, l'episcopia sulla Chiesa universale,47 una funzione che era
stata affidata a Pietro, venne trasferita da Gerusalemme a Roma,
come ci informa Ireneo.48 Ci sta a significare che al tempo dei

43a. I Petr. ,,13; GIUSTINO, Dia/. 47,1-6; 16,2; 52,4.


44 La prima traccia di un'applicazione di Mt. 16 si trova in GIUSTINO, Dial. zoo,
4 e 106,3. Cf. J. LUDWIG, Tu es Petru:r. Die Primatworte Mt XVI, :c8-:c9 in der
altkirchlichen Exegese, Miinster 1952. Contro il Decreto di . Callisto (circa il 180)
Tertulliano, che a quel tempo era montanista, disconosce al vescovo di Roma il di
ritto di richiama.rsi a Mt. 16: De pudicitia, 21. a.
A. fuRNACK, 'Ecclesia Petti pro-
pinqua. Zur Geschichte der Anfinge des Primats des romischen Bischofs', in SAB
28 (1927) 139-1,2; B. ALTANER, 'Ominis ecclesia Petti propinqua'. in: ThR 38
(I939) 129-138. O. CuLLMANN, Petrus, Ziirich 1952, nella parte 11, cap. 2: 'Die
dogmatisch-theologische Frage der Anwendung von Matth. 16,17-19 auf die spiitere
Kirche', pp. 239-268 (trad. it. in: Il primato di Pietro, Il Mulino, Bologna), rile-
vando il silenzio dei primi due secoli, conclude che il vescovo di Roma non poteva
venir qualificato come successore di Pietro. B. BoTTE, 'Le Saint Pierre d'Oscar
Cullmann', in: Irnikon 26, 1953, 140-14,, sostiene invece che il detto di Ges, che
chiama Simone pietra, vale per l'intera durata della Chiesa.
45 Y. C<>NGAR, 'Du nouveau sur la questione de P.ierre?', in: Vi Intel/ectuelle
(febbr. l9H) 38.
'4li Secondo gli Atti, gli apostoli hanno annunciato il Vangelo da Gerusalemme.
Paolo si prende a cuore la comunit dei santi di Gerusalemme. Cf. anche GIUSTINO,
I Apol. 49,5; Dial. 24,3; 83,4; 190,1-3; IRENEO, Adv. haer., u, l:S, dove Gerusalem
me viene chiamata la madre delle chiese.
'f1 Dunque i beati apostoli, dopo aver fondata e istituita la Oiiesa, affidarono a
Lino l'episcopato sull'amministrazione della Chiesa. Questo Lino ricordato da
Paolo nella sua lettera a Timoteo. Gli succede Anacleto. Dopo di lui l'episcopato
passa a Clemente, che aveva visto gli apostoli ed aveva intrattenuto con loro dei
rapporti. Egli aveva ascoltato quindi con le sue proprie orecchie la loro predicazio-
ne e insegnamento, come del resto a quel tempo vivevano ancora molte persone che
erano state ammaestrate dagli apostoli (III, Adv. haer., 3,3 ),
48 Ci si pu chiedere se l'b:t.<Txom'j di cui parla Ireneo abbia il significato dd mi-
nistero episcopale esercitato dalla chiesa di Roma o non invece della cura per tutte
le chiese. Certamente significa e l'uno e l'altra. Il testo citato interessante soprat-
tutto perch pone l'accento sul secondo aspetto, sulla tmaxo'ldi sulla Oiicsa uni-
versale.
STRUTTURA PEI MINISTERI DI SERVIZIO

giudei deve seguire il tempo delle nazioni,49 e poi la Chiesa si


trasferir nuovamente a Gerusalemme per attendere il ritorno del
Signore. Roma venne cosl considerata la Chiesa madre ed otten-
ne il primato.
Indubbiamente le testimonianze storiche che ci attestano questo
trasferimento del primato si sono sempre fondate solo su labili indi-
zi, tuttavia l'intervento personale di Pietro, con la sua ratifica del-
l'operato di Paolo, ha confermato il vescovo che presiedeva la chiesa
romana nella sua pretesa di esercitare la responsabilit e missione
di sorveglianza sulla chiesa universale, affidate dal collegio apostoli-
-co all'apostolo Pietro. Nel corso dei secc. II e III, questa funzione
universale del vescovo di Roma verr collegata ai testi evangelici
che parlano di Pietro (Mt. 16,16-19; Le. 22,J1-34; ]o. 21,15.23) e
il papa verr qualificato come successore di Pietrol'>.~ Possiamo il-
lustrare questa successione nei termini che seguono: 1) Pietro
anzitutto il tipo di ogni cristiano. Ogni discepolo chiamato a
seguirne l'esempio. In questo senso, le pericopi che riguardano Pie-
tro riguardano ciascun fedele; 51 2) Nei testi, viene presentato come
-capo e portavoce degli apostoli. L'insediamento nel ministero di
Pietro assume, in questa luce, un'importanza determinante per tut-
ti i ministri ecclesiastici che dopo di lui verranno. Egli costituito
capo dell'intero ministero cristiano di servizio. Tutti i vescovi lo pos-
sono considerare successore di Pietro, in quanto egli stato il primo
ad esercitare la funzione dell'apostolo; 52 3) Infine Pietro ha ottenuto
ed esercitato la funzione dell'episkop sulla Chiesa universale. Que-

~ Cf. I.e. 21,14; Act. l0.45 ss.


5() a. c. CoRTI, 'Pietro, fondamento e pastore perenne', in: ScC 84 (1956) 321-
355; 427-450; 85 (1957) 25-58; M. MAccARRONE, 'L'antico Titolo Vicarius Petti e la
concezione del Primato', in: Divinitas l (1957) 36:J-37I.
51 Questa l'opinione di 0RIGENE, In Mt. XII, 14. Cf. anche .AGos'l"tNO, R.etract.
I, 21 ,1. Vedi A.M. LA BONNARDIRE, 'La pricope Matth. XVI, 13-23 dans l'oeuvre de
Saint Augustin', in: lrnikon 34 (19')1) 4.F-499
52 Questa l'interpretazione accettata dai Riformatori. Viene sostenuta da C1PRlA-
NO, Ep. 33,r: HARTEL, 566; 43,5: IIARTEL, 59,14: HARTEL, 683; Ad Fortuna/. n:
HARTEL, 338. Cf. A. DEMONSTIER, 'Episcopat et union Rome selon S. Cyprien',
in: RSR ,:>. (1964) 337-369. Cf. anche Adv. aleatores: CSEL HARTEL, 3/3, 133;
SILVESTRO 1, Inform. episcoporum: PL 139,171. Un'idea che ritroviamo frequente
mente anche nelle chiese d'Oriente. a. F. HAi1.sE, Apostel und Evangelisten in der
orientalischen Oberlieferung, Mi.inster r9n; N. AFANASSIEF (ed altri), La primaut
de Pierre dans l'Eglise orthodoxe, Neuchite! 1960 (trad. it. "in: Il primato di Pie-
Jro, Il Mulino, Bologna).
Tl!OLOGIA DBI MINISTERI ECCLESIASTICI

sta .funzione specifica viene assunta dal vescovo di Roma. Il papa ha


quindi fa cura omnium ecclesiarum.53 Tale enunciato, per la Chie-
sa cattolica, si fonda sullo stesso diritto divino;54

3. L'ordinazione al ministero ecclesiastico

a. La forma originariamente duplice dell'ordinazione

II NT non ci descrive i modi in cui, nella Chiesa primitiva, si era


chiamati al ministero ec~lesiastico: in questo campo ogni teoria pre-
senta sempre, in parte, un carattere ipotetico. Sembra comunque si
dessero due forme dj orclinazione, bench non entrambe presenti fin
dall'inizio. A Gerusalemme Giacomo ~X~.J!f.:Ii!!!lSJ~tQ da !J!l__onsiglio
di ~toli e di anziani analogo a quello dd Sinedrio ebraico; esso
si costitul quando i discepoli presero coscienza di essere il vero
Israele che attende il ritorno del Messia, in contrapposizione all'Al-
to Consiglio giudaico, sempre pi in combutta con i romani. Que-
sto collegio di anziani, al cui interno Giacomo svolgeva le funzioni
di sommo sa~~~d~t~~; ~~~un~- spede di'go~emo.centrale,-~-;;;; sede
d'a~che ~.r.Q~~y~ ~Jlt;._singole Chiese un'autorit analoga a
quella del Sinedrio sulle sinagogh~-della._di~spor'i. Sembra che nelle
comunit fondate da Paolo si dessero forme di ministero alquanto
di.ff~.renzi~~~.~~detiate .secoo~fo-gllscliemToelI'organizzazion; sina-
goga le. probabile che il legame tra le diverse Chiese abbia giocato
un ruolo importante. Gli inviati di una Chiesa alle altre svolgevano

5l Cosi si esprime Stefano I, in C1PRIANO, Bp. 77, 3; HARTEL, 373. Una raccolta di
testi in P. BATTIFOL, C11thedr11 Petri, Poris 1938. Si osservato che nella tradizione
degli Atti (codex Bezae) l'accento si sposta sulla persona di Pietro. Cf. J. DuPoNT, in;
RB 64 (,1957) 42, nota I; ELDON ]AY EPP, The Theological Tendency of Codex
Be:uie Cantabrigiensir in Acts, Cambridge 1966.
S4 Secondo PERRONE, Praelectiones theologicae II, Roma 1942, 279 ss., '7 I ss., e
FRANZELIN, T beses de Ecclesia Christi, th. u, la successione cli Pietro legata alla
sede episcopale romana iure apostolico at immuJabili; il modo in cui si articola invece
l'elezione del vescovo di Roma, il modo del suo governo e tutto ci che concerne la
disciplina di questa successione, sono invece soltanto ;ure ecclesiastico e quindi pos
sono subire delle mutazioni.
ORDINAZIONE AL MINISTERO BCCI.ESIASTlCO

una funzione di coordinamento, necessario soprattutto quando sor-


geva H perirnkull..diverg,enze.55
Questa duplice forma di governo sembra sia stata accompagnata
da un duplice rito di ordinazione.~ C' da supporre che l'occetta-
zione ~ei candidat~ al Co~ di Gerusalemme avvenisse mediante
il rito diil'intrani:mzzione, in modo .ina.kgo alla scelta dei settanta
arzjani da parte di Mos (Num. n,16). Certi fedeli erano invitati a
far ~r!~~-.~oll~!?-dei Dodici e ~~l Settanta, per svolgervi dei com-
piti di governo. Sembra che qu~ta proceaura seguita per il conferi-
mento dei ministeri ecclesiastici abbia lasciato le sue tracce anche
nel mo..QQ.__c!'.~.~.!!~~-J'or~~.'>.P.L<J!.1!.ll!_t_~- delle Chi~e orientali.
Si pensi all'importanza che in Oriente si annette alla c;ttedra di
Gia_omo a Gerusalemme, a quella di Pietro ad Antiochia, e in ge-
nere alla Catastasi. probabile che le comunit paoline abbiano
invece pr~lLrito ,!lell'imgosiz.i9ru: delle ml!Di. 57
Quattro testi del Nuovo Testamento parlano di una imposizione
delle -~aj_.!_~festamente qui significa una ordinazione al mi-
nistero ecclesiastico:, a) In Act. 6,3.8, Luca-parla- dell'ordiruiii.one
4~1j;tt;"1frftosta ad indicare che questo servizio posto in rife-
rimento all'ordinazione di Giosu da parte di Mos (Num. 27,18),
un servizio che viene pure, quindi, autenticato. Il gesto dell'imposi-
zione delle mani (semikhah) ha una origine sinagogale e nel giudai-
.
smo ~ei:y~-~~ato peu~e i 9_o..!!_?_!~ deH~J~gge; b) Nel racconto
di Act. 13,1"4, leggiamo che nella Chiesa di Antiochia lii scelta cad-
de__~u-.~!2!9._.e~~a.!!1.!'~ I profeti e i maestr(delia comt'.init, dopo
aver digiunato e pregato, imJ>9_setC?_!or9Je_mani ~JiJt~~~~ono.
Essi dunque, inviati dallo Spirito santo, discesero a Seleucia ... ; e)
In 1 Tim. 4,13 e 2 Tim. 1,6 s., Ji'Apostolo ricorda a Timoteo il cari-

5S a. A. E11RHARI1l', The Apostolic Ministry, Edinburgh r958; P. BENOIT, 'Les


origines apostoliques de l'Episcopat', in L'vl!que dans l'Eglise du Christ, Paris I9)3,
13-57.
56 CL E. l.oHSE, Die Ordination im Spiitiudentum und im Neuen Testament, GOt-
tiugen 195r; A. EHRHARDT, 'Jewish and Christian Ordinations', in ]ournal of Eccl,
History 5 (19,H) 125-138.
57 Cf. P. L'HUILLIER, 'La pluralit des conscrateurs dans !es chirotonies pisco-
pales', in: Messager de l'Exarchat du Patriarche russe en Europe occidentale n
( 1963) ru-132; B.-D. DuruY, 'Origines apostoliques de l'Episcopat', in: RSPhTh
49 (1965) 288-293.
TEOLOGIA DEI MINISTERI BCCJ.ESIASTICf

sma che questi ha ricevuto con l'imposizione delle mani da parte


del presbiterio.
L'imposizione ddle mani fu mantenuta nelle Chiese della dia-
spora e, dopo l~_scomp~ dell~omunit giudaico-cristiane, nella
Chiesa intera. La direzione central;;-prima affidata alla Cliiesa di
Ge~~e, passa a d~He sedi .P.!l!...in.!.P.~~1lti, special~e quella
di-.,----.....:
Roma, quando la comunit gerosolemitam1 emigra a PelJa e quin-
di rim~~.tagliata. fuor~_dalle comunit della diaspora, che ora stan-
no assumendo un rilievo sempre pro accentuato. L'ordinazione me-
diante l'imposizione d.elk..m.@!tLdal Rresbiterio_._dopo digiuno e pre-
ghier~uindi di derivazione ebraica. Ma in seguito verr;.ssunta
dallo stesso cristianesimo, che le conferir un nuovo e profondo si-
gnificato. Essa sta ad esprimere che il ministero ecclesiastico, in
virt della mediazione apostolica, direttamente congiunto con Cri-
sto stesso.

b. La preghiera dell'ordinazione

Il rito dell'ordinazione dei vescovi, ristrutturato secondo la riforma


liturgica del Vaticano 11, ind~~-e 3:11~he la I>!~g9_~r~-4~~!... Tradizione
A~stolica di Ippolito di Roma, ancora In. uso, sebbene un po' am-
piat;,-~~~-=J!i:urg'a.al"copi e dei siri d'Occidente. L'idea che in
essa si esprime che.la-CFisa,.. come.r'popolo-eoraico, avr sempre
i suoj_ minis_txL._poich Dio non ha voluto. che il suo santuario ri-
man~-~~~-J?.!y_o ~~r~~ivizic)>>. Anche .E1'-Chi'e'sa;diHiqu~;.. poss;de un
sacerdozi.Q..SQ~_ .Pi:~. !?-iJ~ ~ altro. che il sacerdozio di Cristo. Dio
che permette, a coloro che eglih~ ~hTllm-a.io all'epi'iiopato, di eser-
citare questa funzione.

Dio e Padre del Signore Ges Cristo, Padre di misericordia e Dio di


ogni consolazione, tu abiti nei luoghi eccelsi e rivolgi il tuo sguardo a
quelli umili. Tutto tu conosci prima anrnra che accada. Per mezzo della
tua Parola. di grazia hai dato alla tua Chiesa l'ordine. All'inizio hai
scelto, dall~-~~pe-Cli Ahramo,"-il tuo -pc1pofo sarifo; gli liai riservato capi
e sacerJoti, ~-~on hi voE1to--che if tuo .. sani:llrio rimanesse privo del
servizio. Fin dai primordi tu volevi infatti essere glorificato in coloro
che ti. s.aresti scelto. Anche ora effondi la tua forza per mezzo dell'an-
gusto Spirit, che conferito
'ha.i. ar'tt10'(.fieoFig1lo-Ges - CrEw. Egli
ORDINAZIONE AL MINISTERO ECCLESIASTICO

lo ha dato ai tuoi santi Apostoli, che hanno fondato il tuo santuario,


la Chiesa su tutta la terra, ad onore e lode infiniti del tuo nome.
Padre, ti! ch_!;_~~sci i C!!Q!i, d al tuo servo che hai scelto per il mi-
nistero episcopale la grazia di pascere il tuo santo gregge e di eser-
citare l'ufficio di sommo sacerdote senza macchia. Che egli sia giorno e
notte pronto al Tuo servizio. Che ti offra il sacrificio della tua santa
Chie~~~~b~. l:!!_f!_J!l_e_re rivo_!g~--~~AL noi benigno il ~o -~~do. Do-
nagli, nella forza dello Spirito, l'autorit del sommo sacerCiote, 1r
potere
di rimettere, per tuo mandato, i peccati e di conferire, secondo il tuo
volere, i ministeri ecclesiastici. In conformit ai pieni poteri che tu hai
conces.so_aj_ tu.QL.~ppstoli, egli sciolga tutte le catene. Ti sia gradito per
la mitezza e cuore p;;,;;:-e
-raccia-saITreate il soave profumo per mezzo
del tuo Figlio Ges Cristo, per il quale a te viene la gloria e la potenza
e l'onore, con lo Spirito santo, nella santa Chiesa, ora e nell'eternit.
Amen. 58

Questa preghiera per l'ordinazione manifesta chiaramente un tratto


___
tri~~ario. Ben consapevole della fragilit dell'umana natura, il Pa-
----,,.,,,, ..
,,. --------- ------,,---------:-.
dre stesso che chiama le personeclestinate al suo servizio. L'accen-
no al potere spirituale che viene accordato ricorda l'unzione dei
sacerdoti. Nel giudaismo del tempo di Ges, il sommo sacerdote
veniva unto i 59 in segJ!itO .__ diffuse j}isanza di ungere tutti i sacer-
doti.-Come ;bbiamo visto, nella Chie-;--q;e-st;-unzione fu .poi so-
stituita_s.2!!,_[!~i~i.?_1!~-~~lle mani. Il potere che Dio conferisce
mediante l'effusione del suo Spirito, ricollegato ad una vocazione
e missione, come del resto anche Ges ottenne il suo potere per
esercit~~~-r~-propria VoCaZion'e messank(lfci. -r-:sr-sr-e-mstaurata
0

un'economia di tipo nuovo, per cui la Chiesa conserver soltanto


il rito dell'imposizione delle mani, non pi l'unzione, fino allora
legata essenzialmente ad essa.l!O
Con l'ordinazione nuove persone entrano a far parte della suc-
cessione apostolica. Ci non significa semplicemente che questo ri-

58 La Tradition apostoliquc de Saint Hippolyte. Essay de reconstitution par Donr


B. Botte, Mi.inster 1963, 7-II.
s9 Il sommo sacerdote venne consacrato da quando assunse le funzioni di governo
che prima spettavano .il re.
l!O L'uso dell'olio consacrato durante le ordinazioni venne introdotto verso il scc.
VI nella Bretagna e nelle Game. La costituzione Sacramentum ordinis (30 nov. i947)
di Pio Xli ha precisato che il rito essenzialmente consiste nell'imposizione delle ma-
ni (non nella consegna degli strumenti, come fin dal medio evo certi giuristi avevano
supposto).
TEOLOGIA DE[ MINISTERI ECCLESIASTICI

to garantisca la validit di certi atti ecclesiastici: idea che con-


trasta con il principio sacramentale della .Qiesa e che oscura, da-
ti i concetti troppo fisici e materiali su cui si fonda, il senso pro-
fondo dell'ordinazi.one. 61 Il ministero ecclesiastico non una strut-
t~pruc;b"ili~ un'istituzione la cui legittimit sarebbe a priori
tot~ garantlta, una regola :fiss;ita una volta per tutte. :B piut-
tosto JJ..D..!._.Q!'._OE!_ess~_:.he i!3~.E.!.~d!~._fa~o alla sua Cliesa ed alla
quale egli si attiene; un dato della storia di salvezza, del qual~ la
Chiesa non cesser mai di stupirsi, che dovr continuamente invoca-
re, _.~r il quale dovr rendeE~-.!.C:m.Ete grazi.e. L'esistenza sta})ile del
ministero della hiesa una grazia, come sono gr~ia l'es.,Wnza e
il s~.9.~lLhies~-s'teiia.-- -
Ma l'ordinazione non introduce in una successione. Pi che di
successione, sarebbe meglio parlare di una cooptazione del nuovo
prescelto al minist~~ i!IJ:.!e~~~ prililil di lui hanno eserci-
tato e che ora vengono da lui sostituite.62 Il nuovo ordinato scelto
a far.. parte del loro collegio. Ora egli partecipa assieme a loro del
servizio_di3g:>fillki___ al quale Cristo chiama i disc~li. Egli accede
all'ordine, il sacr~eni0.mediiiii'i:e-1fquale cristo prosegue, nella
persof!!_':!,ei suoi ministri, la sua per~~~-~!1.W__saly~.JLwlia.ter
ra. Pi che<ICWia--succssione;;-(non infatti una cessione del
ministero}, si tratta dj_ un inserimento nell'unico colle_g!g~co,
che Cristo ha fondato ~hi;~-;t;;J~ ;-~onferm~nd-; ifprimo gruppo dei
suoi apostoli. Lo Spirito sant'O che s'invoca sui nuovi consacrati
il m~lesimg._$p~Jjtgu _ch_e_JL~J.&nE.re ha comunicato ai suoi apostoli.
Non si tratta quindi di un dono ai~-~~rrebb~ t~asmesso da un con-
sacrato all'altro, ma piuttosto di un atto divino sempre nuovo, pro-
dotto in modi sempre diversl_e._meCIIanterqiiSle H medesimo Spi-
rit'O viene comunicato a coloro che prendono ad esercitare il mi-
nistero.

61 Cf. B.-D. DuPUY, 'La succession apostolique dans la discussion oecumenique',


in: Istina 12 (1967) 131-141.
62 Cf. G. Dtx, Le ministre dans l'Eglise ancienne, Neuchitel 19n, 3,5, ,51.
ORDINAZIONE AL MINISTERO ECCLESIASTICO

c. I doni conferiti nell'ordinazione

L'epiclesi dell'orazione di Ippolito ricorda i doni che vengono con-


feriti a!_~ini~~~p__perch sia in grado di svolgere il compito affida-
togli. Nop._..$2!).9_ identici per tutti: per il vescovo, come per il sa-
cerdote e il diacono. Nell'ora;one per i vescovi, s'invoca da Dio
una grazia per la cura pastorale, la fedelt sacerdotale nel servire
Dio con la lode e la preghi.era, ma si chiedono anche sentimenti di
misericmdia nei ronfronti del peccatS?,Ie. H vescovo presiede al ren-
dimento di graziei a lui spetta di offrire il sacrifi.~ lode. Per quan-
to non si rammenti esplicitamente l'eucarestia, tutte queste espres-
sioni sembrano riferirsi proprio a questo sacramento, dato che tali
funzioni sono strettamente ad esso legate. Nella celebrazione euca-
ristica e per mezzo di essa il vescovo adempie in modo sublime il
proprio mandato di presidente della comunit.
Il vesoov~-?~_c_ij?.-_~he altre .funzioni. Egli distribuisce
nella. Chiesa j compj\j., cio garantisce, come buon amministratore
dei doni che non sono suoi propri ma che provengono da Dio, l'or-
dine nella Chiesa. Deye ricevere _quel ~a del discernimetUQ de-
gli spiriti che gli consepte di non .~<;.Y.t:~ 12g l'istituzio-
ne in una specie di governo profano e che lo rende attento e vigile
alle iniziative dello Spirito santo. Infine il vescovo riceve, come gli
apo&t21Ll.Mt. 18,18), il potere _di legar~~-gj,Qg).iete. E qui non si
intende semplice.mente la remissione dei peccati, ma anche e soprat-
tutto la proclamazione e il retto _'!!?__<te.Ila.)i,l>~!.!,~_':h~~_!'.turi~ dal
vangelo. :Nn--Sl:-pu -mraltCesercitare un ministero prescindendo
ci~;- libert cristiana: ministero e libert sono intimamente fra lo-
ro c~nii;;ti, -poi~h n-~~-if minisr~-(fe1i;-i6razion~Egli
colui che deve -esortare fncessa.rli~~~t~gff..~~~Ifl.I a ~~~!!si da
ogn.! schiavi~_,__~;~~ ...9J:lin<;!Ll;L.illtQ_ Y<.K.~i.i:Q.ne...di _fgli di Dio.
Nella preghiera dell;'ordinazione 1j sacerdoti vengono sostanzial-
mente associati al. ministero dei vescovi, cosl come anche gli anziani
furono sq:~lti da ~O,~. . ie.~.~s~i~t~iJoj~ -~t!i...i.~?i co~p!,!i. I diaco-
ni, come si ricava dallo stesso nome, sono chiamati al servizio. Da
queste_)t_lg~<::~ioni risulta chiaro che il vescovo potr esercitare pie-
cuCf
namente Je. fl!riz<?iiI_ <le}i~t~o-so1tanto s potr. ~ont~r~ -;ulhi
collaborazione di tutti i ministri che lo affiancano.
TEOLOGIA DBI MINISTERI ECCLBSIASTICI

Non superfluo sottolineare che i doni dello Spirito vengono


elargiti dopo eh~ tutto il popolo ha riv?lto a _pio le sue sp.l!i.che.63
I consacrandi non~sacrazione che avrebbe in lo-
ro s_!_essi la propria origine, n comunicano un potere che essi sa-
rebbero in grado di conferire ad altri: il Padre acrorda la grazia,
Cristo conferisce i suoi poteri, la comunit partecipa a questa tra-
smissione. Per quanto la scelta del candidato e il suo esame ci ven-
gano present~ui dalla liturgia solo come atti in realt gi compiuti,
il fattQ....che s'inte~ la comunit - un momento specifico del
rito - ci attesta chiaramente che !'ordinando accolto nel suo se-
no e deve accettare e svolgere il suo ministero come un servizio che
si rende alla comunit.64 La vita della Chiesa si struttura su un ac-
~ordo vitale. 65 Di norma la comunit che sceglie e conferisce la
nomina. In ogni caso, coloro che hanno il mandato di farlo devono
farlo in suo nome, anche se non essa stessa, bensl il ministero apo-
stolico, ad ordinare i candidati. Esiste quindi una correlazione reale
fra il potere spirituale dei ministri e i doni che lo Spirito santo
stesso elargisce alla comunit.

4. Le tappe dell'ordine

I m1msteri possono essere differenti e vari saranno anche i doni


dello Spirito santo. Tuttavia la tradizione conosce tre ministeri prin-
cipali: quell'O del vescovo, quello del sacerdote e quello del diaco-
no, che, diversamente strutturati secondo i tempi e i luoghi, costi-
tuiscono l'ordine sacro.

63 Tutti rimangano in silenzio e ciascuno nel proprio cuore implori la discesa


dello Spirito (IPPOLITO, Trad. apost. 2: BOTTR, 7).
64 Si ordini vescovo colui che stato scelto da tutto il popolo (1PPOl.ITO, Trad .
.apost. 2: BorTE, 5). Si conosce anche una scelta per acclam82ione, come nel caso di
Ambrogio di Milano. Possido riferisce, nella sua biografia di Agostino, che questi
voleva, per quanto riguardava le ordinaz.!gJ!i,__<\!Uenerfil ..~.'.!!l!!C:-.~LJll!L<;.ffi~resso
<!alla maggi'iraiz~:i!~'I:..~~sua?T~e_<:!~~~rruii.i~z! .!~B.~!.t!.. d~.il.~. C!!esa (PL ?2 ,51 }. Y.
Cc>NGAR, Jalons pour une "'ibeo1ogie du laicat, Paris r954, 329-366 (trad. 1t.Per una
Jeologia del laicato, Morcelliana, Brescia), raccoglie tutta una serie di testimonianze
che confermano questo atteggiamento.
65 Y. CoNGAR, Ibid., 361.
TAPrE DELL'ORDINE

a. L'appHcazione del concetto di ordine al ministero ecclesiastico

Indubbiamente l'imposizione delle mani ha contribuito in modo no-


tevole all'.affermarsi dell'idea di ordine ( -rci.l;Li; - ordo), concetto
che assente nella sacra Scrittura. vero che la lettera agli Ebrei.
ai capitoli __.L.e z. richiamandosi al Ps. no,4 dichiara che Cristo
sacerdote secondo l'ordine di Melchisedech; 66 ma pure certo
che tale concetto non compare mai negli altri scritti del NT. II suo
impiego deve quindi avere origine altrove.
Tertulliano si serve del termine ordo per caratterizzare la posi-
zione_ che il clero as~.~ all'interno del popolo di I>io.61 Ovviamen-
te questa callocazione specifica, che si riQC>nosce ~ chierici, non
traspare in modo altrettanto chiaro n presenta gli stessi tratti nel
contesto giudaico del NT. La possiamo spiegare soltanto tenendo
conto di uno sviluppo che l'istituzione ha sublto.68 Il Canone Ro-
mano conserva la traccia di questa struttura ecclesiale cosi differen-
ziata ( nos et plebs tua sancta), e la si osserva proprio nel! luogo
in cui si vuol esprimere la partecipazione del popolo alla celebra-
zione liturgica.
Il concetto di ordine, in s e per s, non riveste akun si-
___
gnificato
..._ . -
sacramentale.
..,_~---
unasimlleaccezioneSi de1ineer piuttosto

66 Nel testo odginale ebraico si dice: secondo il genere (al divrati) di Melchise--
dech. II testo della lettera agli Ebrei risente l'influenza della versione dei LXX:
xa:-.. '\"TJ'V -.a~w. Per il Midrasch Mekhisedech era un personaggio immortale, pree-
sistente, Certe correnti del tardo giudaismo lo identificheranno con il Giudice degli
ultimi tempi, con il Figlio dell'Uomo. Non quindi lecito applicare tale espressio-
ne al sacerdozio cristiano. Cf. D. FLUSSER, 'Mekhisedek et le Fils de l'homme', in:
Nouvelles chrtiennes d'lsrael 17, 1966, 23-29.
In Fin dall'inizio la terminologia cristiana latina conferisce a questo termine un
significato ben preciso. A Roma ordo stava a significare determinati collegi o classi
sociali. Ad un ordo appartengono soltanto coloro che ed esso sono stati chiamati a
far parte e che di fatto ne fanno parte. L'ordo superiore, l'ardo amplissimm, esiste-
va fin dall'inizio nel Senato, All'epoca dei Gracchi fra l'orda dei senatori e il po-
pu/m rumanus s'install un'altra corporazione sociale e politica, quella dei giudici~
per cui in seguito si parler cli ardo 11terque. Pi tardi anche la plebs verr chia
mata talora ordo, Nel pe~iodo in cui il cristianesimo fece il suo ingresso nell'impe-
ro romano, la coppia ordo et plebs era del tutto familiare; a quel tempo l'ordo era
la corpor112ione che raccoglieva le persone abilitate a svolgere funzioni di governo.
Cf, l'art. ordo in PAULY - WrssowA - KROLL xvur-1, Stuttgart 1939, 930-934
(B, KilnLER),
68 Cf. P,-M. GY, 'Remarques sur le vocabulaire antique du sacerdore chrtien'~
in: Etudes sur le sacrement de l'Ordre, Paris 19,7, u6-133 (vi ricorriamo spesso}.
TEOLOGIA DBI MINISTElll ECCLBSIASTICI

tardi. Ci che l' ordo sta ad esprimere invece. una 4!gnit, una po-
sizione di cui sj gode nella Chiesa. Fin dal tempo di Costantino, ve-
scovi, sacerdoti e diaconi, furono inquadrati _!!ell'ordinamento, rigo-
ros~~archico, dei funzionari_ imperjali. Essi avevano il di-
ritto di..t>prtare .!~- inseg~ del loro grado, com~_.!l_.e!1!.~~ stola,
i sandali e forse anche il m~ajeoI?.16 .Pure certe disposizioni emanate
nel s.ec. IV come il di,yie_!~di ordinazioni per salttf.m, l'obbligo di at-
tenersi agl!i interstizi, il principio dell'anzianit, sembrano siano stati
ispirati dal codice delle obbligazioni dei funzionari pubblici.'XI
Si osserva quindi che la struttura della Chiesa sente, in questo
periodo, _le profonde influenze della societ civile. Scandalizzarsi per
questo fatto significa procedere per preconcetti, e denota anche una
mancanza di realismo. Innanzitutto perch sono fatti che constatia-
mo__generaLme~te nelle societ del passato e poi eerch, ci che pi
conta, questo_stato._ di cose assume un _significato storico-teol~co.
Nel periodo in cui il cristianesimo venne alla luce, la societ dell'im
l'C!:O -~mano_yivC!.~iE-~~~tem!_di .&2._~~n...comea,ginato e uni-
.!!!:iQ, sotto una monarchia autocratica, che sotto l'influsso esercitato
dalla filosofia politica dell'ellenismo aveva sostituito il regime repub-
blicano. Questa filosofia aveva poi anche condotto, gradatamente, al-
la divi,Qizz_~iQti~ ..9&~-~~-s~r~l'l!.o_<l,e~~--S.~.to, __~-~uale si riconosce-
va un potere assoluto, perch reliigioso, su tutti i sudditi dell'impe-
ro. Quando, 4~.!.l! __conversione di Costantino, il clero fece il suo
ingre~~-9__pel__WQ!'!clQ._P..r9f~, si trov-.inmediatamente esposto...,al pe-
ricolo di smartfilJ~..E!QEPa J~!I]-_!:it~. .J-nfatti, come gi rilevammo,
esso si fonda essenzialmente sul servizio, non sul potere.71 Tuttavia
entr -~;clie in-~o~~orren~;--~~n-1rpc;iere" a1-que!iiomondo, svolgen-
do un ruolo non indifferente nella storia politica.72

69 TH. KLAUSER, Der llrsprung der birchOflichen Insignien und Ehrenrechte, Kre-
feld 21953; d. MThZ 3 (1952), 17-32, ce lo illustra.
70 Come osserviamo nel sinodo di Sardica (347), nelle Decretali di Siricio (365)
e di Zosimo (418), queste disposizioni vennero in parte introdotte anche nel di-
r-itto canonico. Cf. G. fa: BRAs, 'Le droit romain au scrvice de la domination pon-
tificale', in: Revue d'hist. du droit fran. et trang. 27 (1949) 38, nota 7.
71 Cf. M.-D. CHENU, 'La fin de l're constantinienne', in: Un conci/e paur notre
temps, Paris 191)1, 59-87.
72 In quel tempo il sacerdozio cristiano, in quanto rappresentanza di Cristo, pre-
tese la supremazia nel campo della religione e spogli il potere profano del suo
carattere sacrale. L'imperatore, convertitosi orma.i alla fede cristiana, rinunci ai
TAPPE DELL'Ol!IllNE

Questo incontro e confronto con la gerarchia civile non hanno


condott~nto ad un'amplificazione puramente socio-p_olitic0a dei
compiti apostolici, ma hanno oscurato pure l'aspetto collegialie del
servizio nella Chiesa. Cosl s'incominci a considerare pi il leg~e
che stringe il ministro ai suoi colleghi che il vincolo che lo salda
alla chie~ locale; 73 si pr~~i~arlaredi un ordo episcopalis;Gro
presbyt;;:;:ordo diaconii,-14 si articol, quindi, come struttura eccle-
siastica il triplice servizio de} vescovo, sacerdote e diacono.

b. L'ordine viene annoverato fra i sacramenti

Nel corso del sec. XI la teo~a medievale incomincia a distinguere


chiaramente, nel modo di articolare il trattato sui sacramenti, tra
ardo e dignitas,75 e a sottolineare la sacramentalit dll'oriline eccle-
siwico. Per l'influsso esercitato dai Vi~~ si parla piii del-
l'ordine e~iscopale. Ordo d'ora innanzi significher, sostanzialmente,
il sacramento che auto~ celebrare" l'eucaristia. La pos1Zlone del
vescovo ~ quella del diacono vengono-deflltlte'lla luce del.L'ordine,
dell'ordine sacerdotale. L'atto d'accesso a questo ordo prender quin-
di jl nome di O~~one,76 diversa dalla consacrazione del ve-
suoi privilegi divini e si afferm come rappresentante di Dio accanto agli altri,
munito di un. potere ..!l:!PreiOO-STtiiiitoPer reanfOrfguardava Il sfffr~ (cf.
Eus1rnro DI CESAREA, Vita di Costantino: 20;-90,-1440).""Eiiemflf1'a sua fun-
zione quella di rappresentare il re eterno, Ges Cristo, egli avr come primo do-
vere quello di condurre l'umanit a Dio, e non gli sar consentito di riunire il mon-
do intero sotto la propria autorit. Spesso non si ~ data un'interpretazione corretta
della personalit di Costantino; egli visse, infatti, in una situazione politico-religiosa
assai complessa, difficilmente immaginabile ai nostri giorni. Certo che egli svolse
il proprio ruolo con estrema seriet. Il processo iniziatosi sotto il suo governo, tro-
va in ogni caso il suo punto di partenza sia nel ministero ecclaiastico che nella
sua stessa persona.
73 Ricorda l'ei;pressione ~~l}!.<L..Pr.!!L'!l~.-m!li.?Lch . .,A.'{I!Q,.__ gp!!:a__ Au~.: PAIPER,
58, usa per indicare un vescovo, GEROLAMO, Ep. 22,28: HitDERG, 18,, usa invece
per indicare un sacerdote.
14 All'inizio dcl medio evo si aggiunse addirittura l'espressione ordo laicalis,
corrente nell'epoca carolingica. Cf. E. DEtARUELLE, in: Rev. d'hist. de l'Egl. de
France 38 (r952) 66-68. Con un passo di Niccol I (sive ex clero sive ex laicali
ordine) essa venne inserita nel Decretum Gratiani (1v Q, c. 2: FaIEDBERG, '37) e
nella trattazione giuridico-ecclesiastica. Da qui sorse l'idea degli ordines cristiani,
e la spiritualit che ad essa s'ispirava venne poi diffusa dal monaci di Ouny.
75 Cf. Uoo DI S. VITTORE, De Sacramentis II, 2,5: PL 176, 419.
76 A Roma ordinatio era il terminus technicus usato per designare la nomina
dei funzionari.
TEOLOGIA DEI MINISTERI ECCLESIASTICI

scovo e dalla benedizione dell'abate. Con Innocenzo III il Pon-


tificale della curia romana ratifica questa teuniqo!Qgia. ~ntre i ca-
nonisti fanno un ulteriore passo ed operano una distinzione prima fra
ordine e ministero,77 poi fra ordine e giurisdizione.78
Ma la storia del magistero ecclesiastico insegna che, nonostante il
marchio impresso dalla curia romana sulla tradizione del cristianesi-
mo, l'ordinazione non fu mai concepita come puro strumento che
conferisce una dignit, come semplice trasmissione di poteri giuridi-
ci e liturgici. Essa rimase infatti s~mere legata ad u~ rito. L'ordina-
zion.e un atto sacramentale, che conferisce una grazia santificante; i
candidati vengono sottratti dal mondo e consacrati al servizio di
Dio, separati dagli altri perch possano realizzare la loro peculiare
missione. Il vescovo, il sacerdote, il diacono non hanno nulla del
.sacerdos romano 1 che un funzionario del culto ufficiale, appartiene
ad un certo rango ed deputato a svolgere determinati compiti. Il
sacerdozio cristiano rientra in un ordinamento diverso. Esso non
in prima linea rellg.OSo, cultuii'Ie, bensl carismatico; l'ardo di
colQro che hanno ricevuto IQ Spirito ~_9ie in conformit al ..e,roprio
ordo._ sono incaricati di proseguire l'operadegliapostoli. Negli scritti
dei padri della Chie;;-gii ottllnamentCd.rministero ecclesiastico non
compaiono come titoli che conferiscono detetiminati diritti, ma piut-
/I tosto come incarichi, che certe persone, chiamate a edificare il rotpo
i/ di Cri~to, de~o~~~~iY!!l~i~ ta10,r~~~~!it:5onit~~yogNa. ------
1 L'ordine, per la Chiesa, una dimensione essenziale e quindi giu-
stamente stato annoverato fra i sacramenti. Invece di ricondurre
il sacerdozi~ -c~i~~ia~~ ~-fin-ter; gerarchia ecclesiastica ad un unico
ago d'istituzione,79 come fece il concilio di Trento, sembra pi ri-
sp~den~--;i};~acra Scrtttura cd alla realt dei fatti, partire dalla
"''"--~-~-~-- ... -~'" ... - . -~ ............ - ---------

T1 L. l-!OnL, 'Das scholastischc Verstiindnis von Kirchenamt und Kirchcngewalt


unter dem fruhen Einfluss der aristotelischen Ph.ilosophie', in: Schalastik 36 (196r)
r-22; cf. RSPhTh 49 ( 1965) 320-322.
78 0. P.A. VAN DE KERCKllOVE, 'La nolion de jurlsdiction dans la doctrine des
dcrtistcs et dcs prerniers dcrtalistcs dc Gratien ( H40) Bernard de Bottone
(1250)', in: Etudes francisc<1ines 49 (r937) 438 ss.
79 vero che Ges ha chiamato" dci discepoli, ha celebrato in mezzo a loro
l'eucarestia e istituito il ministero nella Chiesa. Per non d ha lasciato nella tra
di:1Jionc alcuna parola che ci attesti la sua sacrnmentalitJ> (K. RAHNER., Kirche und
Sakramente, Freiburg i. Br. 1960, 44; trad. it. Chiesa e sacramenti, Morcelliana,
Brescia).
TAPPE DELL'ORDINE

Chiesa__come sacramento primordiale, per comprendere il siR-nifi.-


cat . uesto sacramento specifico.80 In tal modo non
s'incorre nel pericolo di isolare l'or ine -a hiesa storica e di si-
tuarlo, in certo modo, al di sopra di essa. Un sacramento un atto
foncnmentale della Chiesa. E essenzial-;; per fa sua stessa esistenza,
anche se la riflessione teologica sokanto in un secondo momento
prender atto di questa realt. Un sacramento pu ~ssere stato isti
tuito _direttamente da Cristo; in tal caso la sua forma e la sua
materia sono definite dalla stessa istituzione. Ma pu darsi anche
- ed il caso pi frequente - che non ci si possa appellare a delle
parole e l!icite d'istituzione, cosl per l'ordine e il matrimonio. L'or-
dine ~artiene comunque essenza
i verso il quale e_ssa realizza la propria
I
l vero e proprio sacram_!nto.
Ne derivano tre conclusioni: a) L'articolazione dell'ordine secon-
do di:v.eni_gradi e l'introduzi~ne di diverse ordinazioni dipendono
strettamente dalla storia della Chiesa e della Scrittt-a. Sono risul-
tanti del loro sviluppo. In ultima analisi, il problema se si possa
parlare di un unico sacramento dell'ordine, o se l'episcopato e il
presbiterato non costituiscano invece due sacramenti distinti, una
questione pi te1:mJ!!ol~~-~~l~~- ~~e dogm~a; 81 b) Le fun.
zioni del vescovo e quelle del sacerdote, le funzioni del sacerdote e
quelle del diacono, non risultano tra loro distinte in modo rigoroso;
vengono differenziate dal diritto, ~;il diritto non un tutto iffimu
ta,bilei ed possibile- di~ostrorlo per quanto-tguaifi!rpOtae di
ordinare dei sacerdoti 82 e di conferire la cresima; 83 e) La validit del-
le ordinazioni dipende dall'agire della Chiesa nel suo insieme, non da

80 Questo il pensiero di K. RAHNER, op. cit., 44 e di E. ScHILLEBEECKX, 'Prie.


sterschap', in: Theologische Woordenbook, Roermond en Maaseik 19,a.
81 a. K. RAIINER, op. cit., 51.
82 Gli stor-ici hanno ripescato negli archivi parecchi casi di semplici sacerdoti
che ottennero il mandato di amministrare ordinazioni che di norma erano riservate
al. yo~-:- Si rauer-1ors dY-C:asf"Cft:I futto-eCi.forill,-ma_Si. 5c;;;; p~; ;-erificati.
Cf. Y. CoNGAR, "Faits, problmes et rflexions propos du pouvoir d'ordre et des
rapports entre le presbytrat et l'pisropat', in: La Maison Dieu, n. r4, 107-uB
= Sainte Egiire, Paiis':965', pp. 275:3o (trad. it..JE..1!.t.!.fhiesa_, Morcelliana, Brescia).
83 Il concilio di Trento ha riconoscimo soltanto al vescovo u po'fer-or-tonferire
la cre.t\w11, Ma la rra~izione !:Jll.a_9:!i,~~11....J?Eir1*iY.a. l'tisinza.anora vigente nella
Chiesa orientale e le nuove disposizioni della Chiesa romana (1946) riconoscono un
simile. "potere .anclie ai smpli . sacerdoti.
TEOLOGIA DEI MINIST.l!RI ECCLESIASTICI

un atto sacramentale isolato. Non possibile stabilire se un'ordina-


zione sia valida o meno basandosi semplicemente sul rito e prescin-
den..QQ__g~__tutto il suo pi ampio cont<:!to.84

Queste prospettive teologiche ci offrono la possibilit di risolvere in


qualche modo anche il problema della validit delle ordinazioni nelle
Oiiese non attOlicili.-Per qanto riguarda le Otiese ortOdosse d'Orien-
te e la Chiesa del Vcchi cattolici, le quali hanno conservato la struttura
tra~ionale della Chiesa, le loro consacrazioni vennero ritenute altret-
tanto valide di qg!iTu: aena Chiesa cattolica, e regolari fllfono considerati
ancki_mlnisteri con esse trasmessi; lo~si pu arguire gi dal fatto che
questi non furono mai UB'iciiiliiiente contestati. Per quanto concerne in-
veceJc comunit sorte dalla Riforma del sec. xvi, le quali si considerano
chiese ma che non semJ;re compr~nd~__!e proprie ordinazioni in senso
~tale, partendo ll'attuaie .illfessione ecumenica si dovrebbe giun-
gere aa-im_wnosciment-0 della__y~clit dei ministeri trasmessi con la
~one, bench qui non si soddisfino le condizioni previste dal di-
ritto canonico. La rigorosa lCalidi~__ <ji_una successione, intesa come nor-
ma. per il forP!L!!!!!.e.!!!!!.m e che le Chlese"''traJiZlOrilinon fUrono in
grado di gailUlti.r.L~-.!=-~1,J.S!. dei diversi _scismi verificatisi nel corso della
storia, non coincide con il -Slgnfficai:o' splriii.i;Je, oggettivo, di un ufficio
ministeriale il quale ha come compito la comunicazione della Parola di
Dio in conformit con la fede della Chiesa. Pi che la continuit mate-
rialcul~ll11.su_cessio11, d> che. qui va considerato come criterio decisivo
per stabilir~J!_yalicliJ~ __ ui.IJ_~~~i. Jlc;lJI! J_~aC!liiorie~ -Pei'quan"to riguar-
da pi precisamente le ordinazioni anglicane, il vero problema concerne
pi il tipo di unit ecclesiale che traspare dal Rituale delle ordinazioni, e
specialmente il carattere sacrificale della messa, che quello della catena
ininterrotta delle ordinazioni. Se ci muoviamo nel contesto ecumenico
della riscopetta.-della tradiziaru::.,..quLcon!!~~erata come comunicazione del-
la Paroladi Dio_Lmondo, il problema.~~- ~~io-1n--n-uovitermini, e
cosl si giunger anche---TmutuorlconosCfmento-<JCministeri, compresi
come doni di Dio. In questa prospettiva non ci si restringer pi alla
questione della validit sacramentale e giuridica delle consacrazioni.

c. I gradi della gerarchia: vescovo, sacerdote, diacono

La struttura del ministero ecclesiastico, nella sua triplice forma di


episcopato, presbiterato e diaconato, pu essere dunque considerata,

84 CL K. RAHNER, op_ cit., ~9


TAPPE DELL'ORDINE

come il canone scritturistlco e il numero settenario dei sacramenti,"'


la risultanza di un certo sviluppo. Indubbiamente si ttatta di un'evo-
luzione iniziatasi fin dal tempo degli apostoli, per cui essa ha assun-
to il carattere di quakosa che dev'essere, nella tradizione della Chie-
sa, di diritto. Esisteranno sempre nella Chlesa un ministero di sor-
veg!janza, un presbiterato, una diakonia. Ma le connotazioni che
questa ~.truttura C6Senziale assumer potranno mutare con i tempi,
anzi sono effettivamente cambiate e dovranno cambiare, dati i limiti
che inevitabilmente accompagnano le diverse concretazioni storiche
del ministero ecclesiastico e il permanente obbligo di uniformarsi al
vero modell.o di ogni ministero, Cristo. Non esiste quindi un'unica
struttura normativa del mini<Stero ecclesiastico, che varrebbe per l'in-
tera durata della Chiesa e ID base alla quQle la comunit cnstiana ;}o-
;.rrebbe i 'So acto venir giudicata. La struttura ministeriale della Chie-
sa frutto di un'evo uzione e quindi un dato di fatto, che andrebbe
considerato pi Cli airitto apostolico Che di diritto diVlno. -
.Ali tempo in cui il triplice ministero assunse la sua rigida configu-
razione, non si era tuttavia ancora pienamente d'accordo sul modo
di ripatlitidivers1 comp1u. Nel ~ec. 111.....in- Africa, soltanto il ve-
scovo era chiamato sacerdos e solo lui presiedeva l'eucaristia; sem-
bra che a quel tempOTj)resbiteri esercitassero soltanto delle fun-
zioni..,P!fil..Qrati. Nel Sec. IV invece, dopo il coriCffiodi Nicea, la situa-
zione s'invertl: i sacerdoti rappresentavano il vescovo nella propria
regione, celebravano--i'eucaristia e venivanoClirarn-at" saceraotes; l'e-
piskopos divenne il capo del presbiterio e responsabile della cura
pastorale nella regione a lui affidata. Era il nostro vescovo regio-
na~~~---------- . --..------

aa. Il ministero dei vescovi. Nonostante tutti questi cambiamen-


ti, il vescovo monarchico esercita ovunque un ben preciso ministero.
Egli u~;~~~timte di Crist; neia'Chiesa-d'a'fuT preskdut~, l'e-
rede delle funzioni cfie. . Cris!o. .haaffidato agllaEostOll-~_il ~~tode
de1laiiii"d'i7.T;~~--- ___ .. --- m- ......... ------ - ... ---------

In forza della sua consacrazione, il vescovo non ottiene soltanto


la giurisdizione su un certo numero di fedeli, ma anche e soprattut-

85 Cf. A.M. RAMSEY, The Gospel and the Cburch, Lcindon r936, 63; R. PAQUrER,
citato in: Istina 9 ( 1969) r78.
TEOLOGIA DEJ MINISTERI ECCLESIASTICI

to un dono dello Spirito, che gli consente di svolgere il suo ruolo


neila Chiesa. Riceve cosl una grazia di stato, che lo abilita ad essere
pasto_re de!!e anime, presidente, testitmme. Si tratta di uno Spirito
che lo mette nella condizione di essere il ra.l?Press;ntante, l'i!llmagine
vivente, il sacramento di Ges Cristo, unico sommo sacerdote e pa-
store delle anime. Non lui che insegna, governa e santifica, ma lo
Spiritp di Dio che mecHante lui conduce il suo eopolo. Non dobbia-
mo dimenticare che i titoli conferiti al vescovo nclla ordinazione non
vengono considerati come diritti veri e proeri, quei diritti cio che
dovremmo riconoscergli dal punto di vista meramente giuridico, ben-
sl nn ministero di carattere spiritu_ale. 116 Il ministe~. sacramentale,.
dottrinale e pastorale. Nell'epoca patristica il vescovo il sacerdos
di _una determinata Chi~ normalmente egli celebra tutta la litur-
gia, presiede l'eucarestia domenicale e le assemblee di preghiera; am-
ministra il battesimo e la cresima, che poi culmina nella recezione
dell'e.!!f2ristia, e inserisce quindi nuovi fedeli nel mistero pasquale di
Cristo; ric~ncilia-i p-catori, i~po~lemani"aTsacerdoti e ai diaco-
ni, amministra l'unzione degli infermi. Il vescovo anche maestro e
predicato~._Perch~uccessione apostolica rimanga garantita, si ri-
chiede un insegnamento ortodosso, un'unica e medesima cattedra di
verit. Infine il vescovo anche il capo spirituale del popolo che
Cristo.l!!J1ffic!~.alla s~~rveglianza (mcrxom')), in comunione con
la Chiesa di Roma, dove risiede il successore di Pietro.
Il C.!~X!. sacramentale abilita il vescovo, o il cristiano che
stato s:on~~.!.~-;;cerdot;;--;-celebrare-'f;lrameilti,e' in questa ce-
lebrazione egli -~i,J rappresentante vivent-TtCristo. Tuttavia
la validit dei sacramenti che amministra non dipende daHe sue qua-
lit .morali e nemmeno dalla sua fede, ma esclusivamente dall'inten.
zion;-~:ff fare ci ch~-Ta--t"hi'sara:-- ------ ------ ---
Per l'ordinazione di un vescovo si richiede la presenza di almeno
tre vescovi. Questa esigenza mostra- ch-ia~~~~nt~ ~h~l'ordinazione
n-on_.. un rit-0 durante il quale un ministro trasmette ad altri una par-
ticolare grazl . he 'egffstesso na ficvuio, Eensl.ri_itta_QITewvo de~
ministero episcopale. Possiamo addfriuri" aff~r~are che lo stesso

&6 Cf. J. LCUYER, 'Orientations de la thologie de l'Episcopat', in: L'Episcopat


et l'Eglisf! univer5elle, Paris 1962, 787, 791-792, 802.
TAPPE DELL 00J.DINE

primato romano - il papa pur sempre vescovo di Roma e membro


dell'ordo e{Jiscoporum - dipende, nella sua stessa esistenza, dal col-
legio dei vescovi.
bb. Il ministiero del presbiterio. La funzione del sacerdote una
funzione di cui si arteci a. 87 Il resbiterio presta la sua collaborazione
al vescoV<> nell'assolvimento di tutte le unzioni iretUve ne Cliiaa.
Se vog1iamo -precisare meglio le funzioni del sacerdote, dobbia-
mo attendere allo stretto Je e che la tradizione riconosce fra esse
e l'(!fferta dell'eucaristia. Il ruolo del sacerdote n a esa va quin-
di compreso alla luce ddl'eucaristia e delle parole di Cristo, il ,9!1ale
ha affidato 4i suoi apostoli il compito di ripetere ci che lui ha fatto,
iuua memoria (I Cor. n,23 ss.). Il concilio di Trento ha dtteso
questo ~etto-fondamentale del ministero sacerdotale.88 Il Vaticano
11 si muove sulla stessa linea quando afferma che i presbiteri <<6opit-
tutto esercitano il! loro sacro ministero nel culto eucaristico o sinassi,
dov~:-agendo in persona di Cristo,"' e proclamando il suo mistero,
uniscono le preghiere dei fedeli al sacrihcio del loro capo e nel sa-
crificio della messa ripresentano e applicano, fno alla venuta del
Signore (d. I C01'. I I ,26), l'unico sacrificio . del NT, quello cio di
Cristo, il quale una volta per tutte offri se stesso al Padre quale vit-
tima immacolata (cf. Haebr. 9,11-28).911
Il sacerd~~i!ersona che rende pos_sibile r~~~o alla memo-
ria del Signore,91 non solo alla sua Pasqua ma anche al mistero della
sua-"iiiteraattivit, la quale si estende dal battesimo fino alla Pasqua
. -~-">- ---~~----~---- .....- -.....,_,.,,,.....,"""'' _ _ _

~ Si ricorda questo carattere di partecipazione, immanente fin dall'inizio al sa-


cerdozio, gi dal sec. m, nelle preghiere dell'ordinazione. Come Dio ha conferito
lo spirito di profezia ai settanta anziani che Mos aveva scelto perch condividesse-
ro con lui le responsabilit di governare il popolo, cosi egli conferisce lo Spirito
santo ai sacerdoti perch assistano il vescovo nell'esercizio delle sue funzioni.
88 Sessio XXIII, can. l: DS l77I.
a9 Il sacerdote al contempo presidente dell'assemblea eucaristica (offre il sa-
crificio in nomine ecclesiae o, come talora anche si dice, in penona ecclesiae) e
consacratore, sacrificatore. La reologia del medio evo aveva mantenuto strettamente
congiun~i i due aspetti. Cf. N. MARLIANGELAS, 'In persona Christi, in persona Ec-
clesiae. Notes sur !es origines et le dveloppement de l 'usage de ces expressions
dans la thologie latine', in: La liturgie aprs Vatican Il, Paris 1967, 383-388.
90 Lumen gentium, 28.
91Per il concetto biblico di memoria (zikkaron), d. M. THURIAN, L'Eucharistie,
Ncucha.tel 19,9, 27-49 (trad. it. L'Eucaristia, AVE, Roma).
TEOLOGIA Pl!I MINISTl!ll.t l!CCLESIASTICI

ed alla croce. lui che esorta l'assemblea dei fedeli a riattualizzare


l'evento trascoooo, che ora essi rivivono pell'attesa del suo definitivo
adem'Pimento. La funzione del sacerdote non pu quindi esaurirsi in
un particolare rito; essa abbraccia l'intera esistenza e si svolge nel
quadro pi ampio dell'ordine sacramentale.
Ma .QQn si rispetta la tradizione 92 quando si ritiene ch~_le fun-
zioni del Sacerdote sarebbero di natura strettamente sacramentale,
cio cultuale. Una delle sue funzioni anche quella di annunciare la
Parola di Dio. La stessa eucaristia, durante la quale il Signore dichia-
ra che il suo sangue il sangue dell'alleanza, sta ad indicare dle non
esiste rito dell'alleanza che non implichi anche un annuncio della Pa-
rola di Dio agli uomini. L'eyeor.a_ds:ll'alleanza azione e parola in-
sieme. Un simile legame risulta ancor pi chiaro qwmdo si osserva
che, con tutta probabilit, bi voce greca Exa.p~~1}11ac; (r Cor. n,24;
d. Le. 22,r4) e l'altra tu.oy1}11ac; (Mt. 26,26; Mc. r4,22) non stan-
no ad indicare tanto un rendimento di grazie, nel senso che oggi
diamo a questa espressione, quanto piuttosto una proclamazione espli-
cita, gioiosa, dei mirabilia Dei, delle opere di salvezza operate da
Dio. Se Ges dice: __gni volta _he mangiate di questo pane e beve-
te di ~~19._9i.lke, .VQLan.i:i.g~iatt'.Jl!_~rola del Signore fine~ egli
~ (1 Cor. rr,26), il suo gesto di beneCIIZ1one"iftiiafe fu pure il
significato di una proclamazione della Parola di Dio. Il ministero
dell'offerta dell'eucaristia ratific e perfeziona semplicemente un an-
nuncio della Parola, un annuncio che si estende dal kerigma primi-
tivo fino alla catechesi ed alla celebrazione liturgica.
Predicar~ batt~!~!:.~1. celebrare l'eucarestia~!:_~!_-~~ll,9_}!:_~0-
ni ~[lenziali del sacerdote. Ma all'interno del presbiterio possono
essere ripartite in -var( modC dato che alcuni si dedicano pi ad una
attivit missionaria, altri invece ad un'attivit pastorale in seno alla
comunit.

Sempre pi di frequente si solleva il problema del servizio specifico che


spetta alla ~nella chiesa, anzi della possibilit stessa che il ministe-
ro sacerdotak__.y~ri~~.<:~ifdtiOCa aonne:-.."- ----------
Se per ministero sacerdotale s'intende il sacerdozio comune di tutti i

92 E nemmeno l'insegnamento del concilio di Trento. Cf. A. DuvAL, 'L'ordre


au concile de Trente', in: Etudes sur le sacrement de l'Ordre, Paris 1957, 308.
TAPPE DELL'ORDINE

fedeli del popolo di Dio, popolo sacerdotale cui sono stati elargiti doni
e carismi pure femminili, ovvio che esister nella Chiesa un sacerdo-
zio femminile, dei ministeri DS;Ciali di sgyizio riservati alle donne.
in questa dir he dobbiamo o tivamente la nostra ri-
cerca. Come nel mondo, anche nella Chiesa infatti i com iti d a onna
devono integrare que i e uomo, m co ormtt 'm o e emm1 e. Se
il ministero ecclesiastico viene compreso come un servizio, dovrebbe es-
sere possibile riconoscere il carattere di ministeri femminili Cli se:rVlZio
a quelle attivit che le donne svolgono nell8 Chiesa. Nulla vieta, anzi
sarebbe proprio auspicabile, che servizi cosl numerosi, vari e preziosi
per lit vita della Chiesa, venissero riconosciuti come tali e trasmessi in
un modo diverso aa qullo dd triplice ministero gerarchico dell'uomo,
ed appunto come ministero femmmile. La reJatJ.va consacrazione potreb-
be essere amministrata, come quella gerarchica, mediante l'imposizione
d i. vero che ben diBcilmente tale scelta trebbe in alche
modo !PJ>Cllars1 a tra 'zione, ma va osservato che dai primi tempi
della Chiesa l'imposizione delle mani fu un rito dal significato cosl am-
pio. che consente senz'altro una tale dilatazione. Esso non significa in-
nanzitutto una trasmissione dell'autorit, bens1 il riconoscimento dei do-
ni e la consacrazione a determinati compiti. In ogni caso ci assicure-
rebbe che i compiti femminili, svolti nella Chiesa, sono ministeri di ser-
vizio ecclesiale, cosa che oggi si dovrebbe riconoscere anche a livello
ufficiile. -
Ma se per ministero sacerdotale s'intende il ministero gerarchico, la par-
tecipazione al ministero episcopale, pt;r cui il sacerdote il rawesen-
tante <;li Cristo, che il capo della Chiesa, allora sorgono f~ver
g~e in campo c~~5.?lico. La maggioranza dei teologi ritiene che il mi-
nistero ecclesiastico sia riservato ai soli uomini. Adduce come giustif-
cazionejoprattutto il fatto ~CrfStahap~elto soltanto dell_~rso
ne di sesso maschilei..... e questa scelta non deriverebbe, secondo costoro,
da un pregiudizio, ma rispecchierebbe 1.m ordinamento della--~ na-
turl\ ..umana, c.Qr.porea e spirityitJe. Ammettono che ai nostri giorni an-
che nella Chiesa le donne assolvano delle funzioni molto importanti,
soggiung.o.no.per....che si tratta dj eccezioni. Je quali non richiedono una
consacrazi9_m;_acrawentale eh~ conferisca loro il carattere di rappr-esen-
tare Cristo,. capo della chiesa.
Altri la pensano per diversamente e sostengono che il problema del
sacerdozio ministeriale . ..dclla__doona non di_~_ci~atico, bensl teo-
logicitiasm:fale:Secondo costoro il fatto che Ges non "bbia chiamato
alcuna donna a far parte del collegio dei Dodici o del gruppo dei Set-
tanta discepOli,e<JianC1le- nell'ra apostoTica 11 mU11sterci gerarchico
della presidenza sia stato affidato sempre a uomini, frutto delle con-
dizio11L deLtempo; nell'.amhienterligfoso:lirtilrai-dl-Ges .den.. thie-
TEOLOGIA DEI MINISTERI ECCLESIASTICI

sa primitiva non stata mai sollevata la questione se anche alle donne


si fosse potuto affidare il ministero ecclesiastico della eresidenza; la tra
dizione giudaica, secondo la quale a questi posti direttivi nella comunit
dovevano venir deputati esclusivwnente degli uomini, fu accettata sen
za alcuna discussione ed anche in seguito mantenuta. Non si pu am-
metter_! che ....t3.!!eggiamento assunto da Ges e dagli a~stoli comporti
anche una scelta, dogmt1camenterumnat1va, contro i sacerdOio mi-
nisteriale delle donne. La Chiesa potrebbe dunque, in una cultura di-
versamente organizzata e in una societ che riconosce alle donne una
posizione diversa <fa quella di un tempo, comportarsi in mOdo differente
dalla Chiesa delle origini. 'A'decidre se il sacerdozio gerarChco debba
essere affidato anr;;he alle donne, saranno motivi pastorali e sociologici.
notQ che recentemente alcune Chiese riformate hanno ordiiato, allo
stesso modo che gli iii:iiiii[;. Pree"Cfciime'ar-iniiismoa::clesiastico.
Tuttavia bisogna ricordare il diverso modo d'intendere il 1D1n1stero e
l'ordi~J!tl..E.~otestantesimo. In ogni caso queste Chiese sono con
vinte di non rendersi iOfedCii llo _s~iri~ del NT quando equiparano la
donna all'uomo. La Chiesa anglicana non ha ancora risolto la questione,
bench ,sTPOSsa -~~~ . al suo interno una forte tendenza a favorire
l'ammissione della donna al ministero sacerdotale~ Deciso stato inve-
..
/ ce, ~?uto ~41' ordina~ donneneI!a'hie~ ortcidossa. Il magiste-
ro della Chiesa cattolica non offre alcuna motivazione Cile ci consenta
di assu~ una posizione definitiva nel dibattito sul sacerdozio della
donna. Sen~~i dubbio jl p;~i,j~~--dev'~;;;;e-;nor;-approfonilito, sia
dal punto di .ris.ta....do&m.i.~..fQ... 9-!~A! ~!k> pas1!Jrale. Ma non probabi-
le che la chiesa cattolica prenda, in questo campo, una decisione con-
traria .al..JP.odo di sentire della chiesa ortodossa: si giungerebbe facil-
mente a n;~e...fratti:tre.'11-- ... ____________

cc. Il minpstero dei diaconi. Bench nel corso della sua storia abbia
smarrito a significato originario, il diaconato non il pi insignifi-
cante dei tre ordini. Al! contrario esso deve riassumere l'intera sua
funzioQ~'-P.~~ch_ l'ordine una realt organica. Il suo rinnovamento,
preso in attenta co~sfCleraifone . d.afVaticano1,
ci offre anche la chia-
ve per un rinnovamento dell'intero ministero ecclesiastico.94

93 Sul problema del sacerdozio della donna, cf. C. LEFVRE, 'Sur le problme du
presbytrat fminin. La rencontre louvaniste des 20 et 21 dcembre 1971', in: RTL
3 ( 1972) 200-204; R. GaYSON, Le minist"e dans l'Eglise ancienne, Gembloux I97'l;
PH. DELHAYE, 'Rtrospective et prospective des ministres fminins dans l'Eglisc', in:
RTL 3, 1972, 55-75; H. VAN DER MEEa, Priestertum der Frau? Bine theologiegeschi-
chtliche Untersuchung, QD 42, Freiburg i. Br. r969.
94 Lumen gentium, 19; motu proprio Sacrum Diaconaltls Ordinem (18 giugno
TAPPE DELL'ORDINE

Si tenga innanzitutto presente che il diaconato il mini~tero che,


gi per il suo stesso nome, risponde pi degli altri alla definizione di
ministero ecclesiastico. Esso esercita il suo servizio nel monclo e
stabilisce quindi un legame immediato con i ministeri svolti dai laici.
Preserva il ministero ecclesiastico specializzato dal pericolo di sfo-
ciare nell'isolamento e di assumere un rilievo eccessivo. Bench sia
egli stesso un chierico,95 il diacono il ministro che deve preservare
il ministero ecclesiastico dal clericalismo. Secondo la tradizione il dia-
cono occupa un posto intermedio fra il sacerdote e il popolo dei fe-
deli. Ma questa posizione non dev'essere assunta soltanto nell'ambi-
to liturgico. C' da sperare che il rinnovamento del diaconato, anco-
ra in pieno sviluppo, possa far sorgere un gruppo di persone che
provengono dalla comunit e che per questa determinata comunit
sono ordinate, capaci quindi anche di stabilire un collegamento fra
la gerarchia e il popolo cristiano. iDa tale punto di vista il diacono
pi legato alla parrocchia, alla comunit di base, di quanto non lo
sia il prete, che pu venire anche rimosso. Questa vicinanza agli uo-
mini diventa ancor pi forte se il diacono una persona sposata ed
esercita nel mondo una professione pubblica. Dalla sua predicazione
dovrebbe emergere, pi ancora che da quella del prete, la sua hmga
l'.'omunione di vita con il popolo.
Il rinnovamento del diaconato ancora agli inizi e mancano le
esperienze concrete. quindi difficile dir quakosa di definitivo sul-
l'attivit che in futuro il diacono sar chiamato a svolgere. Possiamo
tuttavia prevedere che il ministero diaconale si attuer su tre piani:
quello liturgico, quello caritativo e quello catechetico. Nella sfera li-
turgica: porgere il saluto ai fedeli che vengono in Chiesa, organizza-
re le celebrazioni liturgiche, amministrare l'eucaristia 96 quando le
circostanze lo richiedano, .assistere ai matrimoni, fare i funerali, am-

1967). Cf. P. WINNJNGER - Y. CoNGAR (a cura), Le diacre dans l'Eglise et le


monde d'auiourd'bui, Paris r966.
95 Cf. K. MoRSDORI', 'Kirchliche Erwiigungen zum kanonischen Amtsbegrif!', in:
Festschr. Huge/mann I, Aalan x9,9, 383-398; 'Die Stellung der Laien in der Kir-
che' (Mlanges Card. Julien), in: Rev. Droit Canon. (1961>61) 2r4234.
96 I diaconi, invece, non ebbero mai la funzione di presiedere all'eucarestia. Nel
caso in cui la rivendicarono, vi si opposero i condii: concilio di Elvira (303 ), can.
77; concilio di Arles (3r4), can. x:;.
TEOLOGIA DEI MlmSTBRI BCCLESIASTICI

ministrare l'unzione degli infermi.97 L'ambito caritativo quello che


pi si addice al diacono. Una comunit che non s'interessasse dei
poveri, non potrebbe considerarsi cristiana in senso pieno. La Chiesa
antica e quella del medio evo hanno sempre dimostrato una simile
preoccupazione; non potr dispensarsi una Chiesa che vive nel mon-
do dell'organizzazione e della tecnica. Dovrebbe essere pi compito
del laico che del prete stabilire un collegamento fra la Chiesa e gli
organismi che si interessano del prossimo che soffre, come pure con
le organizzazioni sindacali. In campo catechetico e missionario: qtii
competente soprattutto il vescovo, ma parecchi compiti spettano
anche ai preti e senz'altro pure ai diaconi.
Non impossibile che la nect;ssaria specializzazione esiga una di-
versificazione di queste tre forme del servizio diaconale. Bisogna tut-
tavia ben guardarsi dal diventare troppo specialisti. Ci si dovr al
contrario preoccupare di mantenere l'unit di queste tre attivit al-
l'interno della funzione diaconale, la quale non implica soltanto que-
ste tre funzioni ma fondamentalmente chiamata ad unificark ed a
mantenerle congiunte. E proprio qui emerge un tratto caratteristico
della vocazione e funzione del diacono."' Il legame che stringe la

'11 Dutante il medio evo, spesso l'unzione degli infermi venne amministrata dai
laici. Cf. A. CHAVASSE, Etudes sur l'onction des infirmes dans l'Eglise latine I, i70 s.
911 Bench la predicazione venga ricordata nel rito latino ddla consacrazione dei
diaconi soltanto durante il medio evo, i diaconi svolsero un ufficio di predicazione
fin dall'et antica. ]. LECUYER, in: K. RAHNER - H. VoRGRIMLER (a cura), Dia-
conia in Christo, Freiburg i. Br. 1962, 46, cita la Const. Apost. Il, 30, r-2, i si-
nodi di Ancira (314), can. 2, di Roma (595), can. r, il quarto sinodo di Toledo
(633), can. 39. Il Codice di Diritto Canonico del i917, nel can. 1342, r, ascrive
sia ai diaconi che ai preti la conciliandi facultas.
99 Cf. Y. CoNGAR, 'Le diaconat dans la thologie des ministres', in: Le dit1cre
dans l'Egjise et {e mond d'aujourd'hui, Paris 1966, p. 135. Il suddiaconato e gli
ordini minori (accolitato, lettorato, ostiariato ed esorcistato) sono ministeri intro-
dotti. soltanto nel corso della storia, allo scopo di facilitare il diacono nel suo com-
pito di conferire alla comunit liturgica una struttura vitale. Come .c'era da atten-
dersi, questa struttura si differenzi notevolmente quando le assemblee di culto
divennero pi frequenti. Il numero e il significalo di queste diverse consacrazioni
variarono nel corso dei secoli, e cosl l'Oriente cristiano non ha mai conosciuto
l'accolitato, duplicato romano dell'ufficio che compete al suddiacono. In Roma cad-
de invece ben presto in disuso il ministero dell'ostiariato e dell'esorcistato. Questi
servizi vennero poi reintrodotti nelle Gallie, bench non se ne sentisse il biso-
gno, quando si adottarono i testi liturgici del rriro romano. Gli ordini minori non
hanno un carattere sacramentale. Originariamente venivano conferiti senza la pre-
ghiera dell'ordinazione; ci si limitava alla consegna dello strumento relativo alla fon-.
zione da esercitare, proprio come nell'uso profano. In seguito queste consacra-
BIBLJOGR.APIA

diakonia al culto particolarmente importante, perch ricorda ai fe-


deli che anche il culto servizio e che Cristo, il vero attore della li-
turgia, il primo diacono della Chiesa.1111
BERNARD D. DUPUY
zioru minori presero la forma di funzioni liturgiche, di benedizioni ecclesiastfcbe;
specialmente il suddiaconato, che la chiesa latina tramut, nel &ec. XII, in una vera
e propria consacrazione al servizio dell'altare, in un cordine maggiore., congiunto
con l'obbligo del celibato. Il concilio di Trento intendeva ripristinare i ministeri
di servizio minori, e questo desiderio affiorer ripetutamente anche in seguito, ma
s= risultati. In futuro, il primo passo che i candidati al sacerdozio compiono,
prima del diaconato e presbiterato, potrebbe consistere in una ammissione - me-
diante un rito - al ceto sacerdotale senza alcuna particolare obbligazione di tipo
giuridico.
100 Cf. J. HollNEP, Kommt der Diakon der friihen Kirche wieder?, Wien 19,9;
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CAPITOLO NONO

LA CHIESA COME STORIA

Il capitolo dedicato alla Chiesa come storia conclude l'ecclesiologia.


Il modo di considerare la Chiesa stato, fino ad oggi, prevalente-
mente statico e non ha offerto quindi spazio alcuno ad una simile
problematica. Una teologia di tipo storico-salvifico dovr invece af-
frontare la questione del modo in cui il tempo della Chiesa si rap-
porti alla storia profana e sforzarsi di determinare il posto che la
storia della Chiesa occupa all'interno della storia di salvezza. Da una
riflessione critica emerge chiaramente che la storia ecclesiastica nel
suo insieme storia di salvezza e che come tale non pu essere de-
dfrata, perch riposta nel mistero di Dio. possibile far esperienza
della chiesa, nel suo carattere storico-salvifico, soltanto a livello di
fede.

I. Il tempo storico-salvifico della Chiesa

Dal punto di vista storico-salvifico il tempo della Chiesa* il tempo


compreso tra la risurrezione del Signore, la sua ascensione e la mis-

* Il presente lavoro stato ultim_ato nel marzo del l~O. Nel frattempo sono sta-
te date alla ~rampe alcune pubblicazioni, tre delle quali vanno menzionate, dato il
particolare interesse che dimostrano per la questione dlla Chiesa come storta: R.
KoTTJE (a cura), Krchengescbic~te!Jule - Geschichtswisin"iFift oler Theologie?,
T~ier 1970, con contributi di N. Brox, E. Iserloh, H. Jedin, H. Lutz e P. Stock-
meier; P. STOCKMllIER, 'Kirchengeschichte und Geschichtlichkeit dcr Kirche', in:
ls. f. KG 81 (1970) 145-162; 'Storia della Chiesa e rinnovamento delle scienze',
Concilium, 7/x970, ed. it., con contributi di A. Weiler, J. Cobb, C. Monnkh, B.
Plongeron, G. Alberigo, Y. Congar e R. Aubett. Non abbiamo te11ytg__g>_!lto, n_!]la
nostra trattazione, di. que~_t_i _s.~tj!_!!_o..fil.J!!l!IDlr:!!.ntiL_J?erch avremmo dovuto appor-
tare delle 'i:oq~li' c~_pol non ~~~~-Q.1Sl!i!LQ!J?.~.n.!.a..re all'editore. Ci li-
mitiamo quinCli a riportare'Uii'iiHermazione di G. Alberigo, il quale dimostra molto
coraggio nell'affrontare il ii'rbfema-ma-d1e..tioi!iesce;- come del resto compren-
sibile, a risol\'~.!!,o_ p~e.namente: Da un altro punto di vista la preoccupazione... di
superare lo statuto 'au5i1iario' assegnato ... alla storia della Chiesa rispetto alla teolo-
CHIESA COME STOllIA

sione dello Spirito santo, come inizio, e i1 promesso ritorno del Si-
gnore, come fine. Per la riflessione storica il tempo un tempo sto-
rico, il quale si svolge come qualsiasi altro tempo storico e per Ja
cui indagine scientifica ci si serve del metodo storico generale. Ma
anche se lo storico della Chiesa ritiene, e saggiamente, che spetti al-
l'esegeta chiarire la questione controversa se il Ges storico abbia
istituito Ja Chiesa e se potesse in verit istituirla, dato il carattere
escatologico del suo messaggio indirizzato ad Israele, come pure l'al-
tra, quella del significato escatologico delle parole con cui il Risor-
to conferisce un compito 1 ai suoi discepoli, ed anche se deve am-
mettere che lo stesso NT storia, e il brano pi importante della
storia della Chiesa, egli non potr tuttavia valutare in modo sensato
i secoli che ci separano dal tempo della comunit primitiva di Geru-
salemme se non tengono presenti questo inizio e questa fine
dell'autocomprensione storico-salvifica deHa Chiesa. Infatti, ben-
ch il periodo della Chiesa sia H tempo compreso fra questo inizio
e questa fine, pur vero che entrambi, l'origine e il futuro, influi-
scono costitutivamente su tale lasso di tempo, non per come influi-
scono la nascita e la morte (in cui questa si trova gi racchiusa) su
una cultura storico-mondana, bensl come eventi che si verificano in
un tempo categorialmente diverso da quello storico-mondano.2 Se
vero che ogni istituzione storica a conoscenza del proprio inizio
- nella forma del mito o dei documenti storici - e che questo
inizio, che contiene il periodo storico della Chiesa, si differenzia
dal periodo storico-mondano per il suo diverso modo di essere tem-
po, allora anche la fine del tempo della Chiesa presenta un carat-
tere diverso. Infatti, mentre ogni istituzione storica contiene, fin
dalla nascita, la propria morte, ma non la eleva allo stato di coscien-
za e vive piuttosto nell'illusione di una durata senza fine, in un'il-

gia appare del tutto comprensibile, ma non sembra realizzabile con l'attribuzione di
uno sta.tE_t2...teologii:o .alla . .stacia. ..dd.la. j~iesa, ma piuttosto con la coerente riaffer-
mazione della sua natura di disciplina storica, autonoma anche se interdipendente ri-
spetto alla teologia (in Concilitim, 7/1970, ed. it., 101, nota 15). Ma proprio que-
sta insopprllr.ibile interdipendenza costituisce il problema che dovremo affrontare
nella presente trattazione.
1 R. Som.1.CKENBUllG, in: LThK v1 (1961) T68 s. Sulla questione vedi Y. CoNGAR,
in: M)'sterium Salutis 4/1, 607-609.
2 Cf. A. DA1tLAP, 'Anfang und Ende', in Sacramentum Mundi 1, 1976, 138-145
( trad. it., Morcelliana, Brescia).
PROBLEMA Dl!LLA TEOLOGIA STORICA

lusione che nessuna critica illuministica sar mai in grado di rimuo-


vere, la Chiesa vive invece il proprio tempo proiettandosi v:erso la
sua fine, od almeno questo dovrebbe essere il suo stile di vita. La
promessa che le porte dell'inferno non prevarranno su di essa non
s'appella all'illusione di una durata senza :fine, ma attesta che la fi-
ne della Chiesa sar anche la fine ultima della storia mondana, non
per nel senso che la Chiesa riporter vittoria su tutte le altre isti-
tuzioni o catturer il mondo. vero piuttosto che la Chiesa verr
superata nella fine verso cui si orienta la sua esistenza e che spet-
ta proprio ad essa mantenere viva la coscienza di questo superamen-
to che l'attende, una certezza spesso dimenticata nella vita che essa
conduce nel tempo storico. E ci non vale per nessuna istituzione di
tipo storico-mondano (la stessa societ senza classi del material!i.-
smo storico presenta una autocomprensione di diverso tipo). Il fat-
to che la Chiesa di questo mondo venga trasfigurata nella lucem,
quae nescit occasum (VATICANO II, Const. de ecclesia 8,9), e che
il segno e il sacramento vengano transfusi nella realt cui essi rin-
viano /a non rende affatto la fine storico-mondana della Chiesa un
puro trapasso, simile a quello che si verifica con la morte individuale.

2. Il problema della teologia storica

I modi d'interpretare dal punto di vista del contenuto il tempo del-


la Chiesa possono risultare alquanto contrastanti tra loro: per alcu-
ni esso il periodo della decadenza, per altri quello in cui si conser-
va intatta la tradizione dcll'ra apostolica; per certi esso il tempo
in cui la comunit invisibile degli eletti si sta compaginando, per al~
tri il periodo storico durante il quale l'istituzione si d, lungo il cor-
so dei secoli, una struttura visibile, conservando tuttavia anche in
questa figura esteriore la propria essenza interna; lo si interpreta-
to come il tempo della predicazione del Vangelo o come l'epoca dei
suoi banditori, nella cui comunit il Signore continua a vivere misti-
camente fino al suo ritorno manifesto. Tutte queste interpretazioni
suppongono per che il tempo storico della Chiesa, da esse inter-

2a H. DE LuBAC, Geheimnis, aus dem wir leben, Ein9iedeln 1967, n2.


CHIESA COME STORIA

pretato, sia compreso tra un inizio e un.a fine di diversa natura


temporale. B innanzitutto questo tipo di estensione, non le implican-
ze ecclesiologiche legate ai diversi modi di esporre la stori.a della Chie-
sa, che pone il problema se la storia ecclesiastica sia fondamental-
mente possibile come disciplina storica, la quale vuol essere anche
disciplina teologica e come tale salvaguardare la differenza specifi-
ca tra storia della Chiesa e storia del mondo. L'inizio e la fine,
i quali costituiscono la storia della Chiesa e tra i quali questa storia
si svolge, non sono infatti accessibili al metodo storico; ci che si
verifica entro questo arco di tempo pu essere sondato da uno sto-
rico che prescinda da questo inizio e da questa fine, ma tale
comprensione rimane ancora unilaterale e viene giudicata dal teolo-
go come del tutto inadeguata. Il problema se la storia ecclesiastica
possa essere una disciplina storica viene inserito nell'orizzonte pi
vasto della teologia come scienza. Dato per che una storia della
Chiesa, la quale voglia essere scientifica, deve accettare le condizioni
di una scienza storica che tende all'accertamento positivo degli even-
ti, e dato che la teologia h.a a che fare con una fede storica, fonda-
ta su degli eventi che presentano un tratto storico-salvifico, ov-
vio che la storia teologica della Chiesa presenti delle peculiari affinit
con la scienza profana. In entrambi i casi infatti l'attenzione rivolta
agli eventi, e questo d origine anche a delle profonde tensioni. Inol-
tre la storia della chiesa affronta lo stesso genere di avvenimenti del-
la storia profana, anche se, in quanto disciplina teologica, essa deve
situarli in un orizzonte diverso, in quello proprio degli eventi sto-
rico-salvifici. Il problema della teologia come scienza viene cosl ad
inasprirsi proprio nella disciplina della storia ecclesiastica. Tuttavia
non si tratta di una questione accademica. Ci che in campo scienti-
fico si verificato, e continua a verificarsi dall'illuminismo in poi,
rispecchia una parte notevole di quel rapporto che i fedeli intratten-
gono, vivendo nella storia del mondo, con la chiesa e la sua fede. Il
fatto che il rapporto con la storia minacci di sfociare nella stessa
perdita della storia non dispensa daH'interrogarsi sulla storia del-
la Chiesa, anzi rende la soluzione di questo problema ancora pi ur
gente di quello della storia profana, in quanto la fede cristiana es-
senzialmente significa immedesimarsi con la storia della salvezza e con
PROBLEMA DELLA TEOLOGIA STORICA

i suoi eventi, e perch questa fede pu vivere soltanto attingendo


dalla propria tradizione.3
La questione critica della storia della Chiesa come disciplina teolo-
gica e storica si pose quando la Chiesa divenne oggetto, tema di ri-
flessione,4 quando cio la coscienza storica d'Occidente incominci
a svolgersi al di fuori dell'alveo delloa tradizione ecclesia.le. :S vero
che gi al tempo della Riforma la storiografia ecclesiastica moderna
intraprese - evolvendo alcuni spunti gi presenti nei sec. XIV e xv
- il tentativo polemico di mostrare come la Chiesa avesse perso, in
un determinato momento cronologico (generalmente fissato nell'epo-
ca di Costantino), la purezza dei suoi inizi, che la Riforma le avreb-
be poi riconferito; od anche il tentativo inverso, quello vlto cio
a dimostrare come la Chiesa fosse rimasta indentica a se stessa lun-
go il corso dei secoli, fino a quei giorni (ed ovvio che quella con-
troversia conducesse gi a considerare la Chiesa come oggetto) . Ma
entrambi i tentativi presentavano il carattere di una teologia apo-
logetica, si servivano cio della storia come di pezza d'appoggio per
delle proposizioni dogmatiche e non si curavano di approfondire in
modo critico il problema generale del rapporto tra fede e storia.
La crisi incominci a profilarsi soltanto con il sorgere della storio-
grafia 'ecclesiastica dell'illuminismo. Si potranno quindi distinguere
i seguenti modi fondamentali di concepire la storia della Chiesa:
1,1) La Chiesa, nel suo aspetto teologicamente rilevante, ci of-
ferta come concetto dogmatico, che comprende sia l'inizio che la
fine; la storia della Chiesa invece dev'essere trattata dallo sto-
rico, il quale si serve dei metodi generali della sua scienza. Ma an-
che lo storico, naturalmente, potr comprendere questa storia nella
sua interezza soltanto a partire dal senso che essa racchiude, cio
dal concetto dogmatico di Chiesa; 5

3 O. Kc)HLER, 'Der Glaube und clic Geschichtc', in K. FiiRBER (a curn), Krise der
Kirche - Chance des Glaubens, Frankfurt 41968, 75-84.
4 In., 'Der Gegenstand dcr Kirchengcschichtc', in: Hist. Jahrbuch i7 (1958) 254.
5 Questa concezione viene sostenuta soprattutto dagli storici della Chiesa catto-
lici e in Germania accomuna tra loro - se:iza sopprimere certe differenze di minor
rilievo nel quadro storico - l'esposizione che della storiR della Chiern ha dato Th.
Katerkamp (un'opera in cinque volumi, pubblicata a Miinster negli anni 1823-
1834), condivisa, dopo un'iniziale cri~ica, anche da Johann Adam Mohler (1796-
18:i8), quella di F. X. FUNK, Lehrbuch der Kirchengeschichtc, Paderborn 11886, il
cui breve accenno alla scientllcit (p. 2), stato ripreso da K. Bih!meyer, suo pro-
CHIESA COME STORIA

1,2) La storia.della Chiesa il breve intervallo che ci separa dal


ritorno del Signore. Anche lo storico ecclesiastico moderno, in quan-
to tale, dovr comprenderla come una fase della storia di salvezza
all'interno della storia del mondo, entro il cui orizzonte dovr pure
cogliere i momenti in cui la storia concreta della Chiesa si evo-
luta in contrasto con il piano divino di salvezza; 6

secutore, il quale rimaneggiando il manuale vi ha dedicato un paragrafo della sua


introduzione, e l'Handhucb Jer Kircbengeschicbte curato da H. JEDIN (Freiburg i.B.
1962 ss.). Sulla stessa linea si muovono L.J. Rogier, R. Aubert e MD. Knowles,
curatore della Gescbicbte der Kirche, Eins.iedeln 1963 ss., nella cui presentazione,.,
non firmata, il concetto teologico di Chiesa viene congiunto con il compito che do-
vrebbe essere proprio dello storico della Chiesa, quello cio di illustrare i muta-
menti verificantisi in questa Otiesa, e pi precisamente nel contesto generale della
storia profane, ... stimolati unicamente dal desideno di esporre 'ci che accadu-
to' (secondo un'espressione di Ranke). K. Bihlmeyer parla della idea del regno
di Dio sulla terra,., alla cui luce il fatto singolo dev'essere giudicato in modo de
finitivo; sintomatico che nell'edizione ciel manuale a cura di H. Tuchle (nel 1951)
non si ritrovino pi le espressioni sulla terra,. e giudicato in modo definitivo.
E suscita pure perplessit il fatto che in questa edizione si tre principi addotti da
Bihlmcyer: l) criticamente, 2) obiettivamente, 3) pragmaticamcnte-genetica-
mente,., si aggiunga anche un quarto (p. 3), cio quella prospettiva religioso.cri-
stiana che Bihlmeyer voleva mantener separata. Ma in questo gruppo rientra pure
il luterano Kurt Dietrich Schmidt (1896-r964), che nel suo Grundriss der Kirchen
geschichte, GOttingcn 4 1963, mantenendo il suo rigore dogmatico ha parlato di un
enunciato da comprendersi esclusivamente in chiave confessionale (p. 13). Ana-
logo anche il modo di procedere di J. CliAMBON, W as ist Kirchengeschichte'I Mass
stabe und Einsicbten, Gottingen 1957, il quale si fonda su una concezione riforma
ta di Chiesa. R. Wr'l'TRAM, Das Interesse an Jer Geschichte, Gottingcn 1958, nel
cap. 'Geschichte der Kirche und Gcschichte der Welt' (pp. 1361,o) muove una
critica al convincimento di K.D. Schmidt, secondo il quale possibile individuare
degli interventi di Dio in particolari momenti della storia della Chiesa (ad esem-
pio nella conversione dei germani [Grundriss n, 1950, 11& s.] o nella Riforma
[ivi, p. 217]; infatti dov' la grazia, dove l'ira divina ... ? Non lo sappiamo (R.
WITTRAM, op. cit., p. 143). Circa la posizione di J. Chambon, R. Wittram osserva
che questo saggio, pur non presentando un carattere metodologico-scientifico,
alquanto solido (p. 145); non pu tuttavia sfuggire all'obiezione sia storica che
teologica, che cio la 'storia nel suo insieme' escatologicamente diversa da quel.
la che si prospetta lo storico che indaga sui fatti del passato; le stesse testimonian-
ze dell'esperienza di Dio sono sempre e soltanto delle pezze d'appoggio addotte
per comprovare l'espericma umana (p. 147).
~ Questo tipo parte dalla concezione spiritualistica di F.L. Stolberg, che intL'IlZO
nalmente trascura la storia esteriore dci fatti ecclesiastici (vedi L. ScttP.Fl'CZYK, F.L.
von Stolbergs Geschichte der Religion Je.ru Christi. Die Abwendung der kath.
Kirchengeschichtsschreibung von der Aufklarung und ihre Neuorientierung im Zei
talter der Romantik, Miinchen l9p), e giunge fino alla Geschichte der Kirche in
ideengeschichtlicher Betrachtung, Miinster 11929/ }O, 21.ma ed. completamente rie-
laborata nel 1962, 23.ma ed. nel 1968; trad. it. Storia della Chiesa nello suiluppo
delle sue idee, Paoline, Alba) di J. Lortz, il quale, diversamente da Stolberg, offre
una descrizione della storia dei fatti, ma ritiene che la storia della Chiesa rappte
PROBLEMA DELLA TEOLOGIA STORICA

2,1) La storia della Chiesa non presenta rucuna implicanza di ti.


po teologico, ma soltanto una disciplina speciale della storia to-
talmente profana, da questa non contraddistinta da alcuna differen-
za specifica; 7
2,2) La storia della Chiesa, interpretata secondo schemi esclusiva-
mente profani, possiede il suo carattere intrastorico nel contesto del-
la storia (comparata) delle religioni,8 in una certa interpretazione
filosofico-storica 9 e infine nello storicismo teologico; 10

senti la storia del Divino, oomprende ci~ la Chiesa come la continuazione mi


stica dell'incatnazionc dcl Logos> (v1); secondo questo autore la storia ecclesiastica
una 5cienza storica, che per lavora con principi propri, desunti dalla rivela-
zione,.. :2 chiara la diversit dalla concezione esposta alla nota !I; a proposito di
questa controversia, v~, H. ]JU>IN, 'Zur A.ufgabe _des KirclJen~c.hich~sch,rei_be~',
in: TThZ 61 (.1952) 6!1-]8 e J. Loim:, ivi, 3Y7-327: d. inoltre H. Jmm, 'Kin:hen
geschichte als Heilsgcschichte?', in: Saeculum v ( 1954) 120. Circa il tentativo di ri-
definire la collocazione della sioria della Chiesa entro l'orizzonte della storia del
mondo storia della Chiesa storia della salvezza>, vedi le pagine che seguono.
7 Il capo di questa corrente, che annovera parecchi seguaci, Ludwig Spittler, che
nel suo Grundriss der Geschichte der christlichen Kirche, del 1782, parla di un ebreo
di nome Ges. Questo ha indotto F. Ch. Baur ad osservare: La storia ecclesia-
stica di Spittler prende inizio all'incirca nello stesso modo in cui l'autore incomin-
cia la sua storia di Wirtenberg (Die Epochen der leirchlichen Geschichtsschreibung,
1852, 168).
8 La trattazione storico-religiosa della storia della Chiesa ha inizio con l'illumini-
smo e la ritroviamo esposta in forma programmatica nella Historia religionis et ec-
clesiae christianae di Joh. Mathias Schroeckh ( 1786). Nel suo ulteriore sviluppo, que-
sta impostazione potr poi sia appianare la differenza del ttatto cristiano come anche
perdere, con la scienza posidvistica della religione, la peculiarit dell'oggetto reli-
gione, oppure respingere ogni presupposto di ordine dogmatico ed attenersi alla
posizione privilegiata di cui il cristianesimo gode nella storia universale. Per E.
Troeltsch (1865-1923), il substrato pi profondo della storia religiosa dell'umani-
t () un'esperienza che non pu essere ulteriormente analizzabile, un fenomeno
primordiale e ultimo ('Christentum und Religionsgeschichte', in: Ges. Schriften rr,
339 ). Egli ritiene che una teologia storico-religiosa sia in grado di osservare il
cristianesimo nel nesso che lo ricollega a questa storia della religione: il cristianesi-
mo non pu essere pi isolato ma va inserito nella continuit dello sviluppo, per
quRnto positivamente si apprezzi ci che esso presenta di nuovo e di peculiare (Ges.
Schriften 11, 220). t una valutazione che l'autore chiaramente afferma, anche se
entro uno schema di pensiero storico-filosofico, quando sostiene che il cristiane-
simo costituisce la conclusione di tutti gli altri movimenti religiosi e il punto
di partenza per una nuova fase della 5toria della religione, dove fino a quel tempo
non era emerso nulla di nuovo e di elevato e dove nemmeno noi moderni possia-
mo immaginare qualcosa di simile...> (Ge.r. Schri/ten li, 748).
9 Esemplari a tale propooito sono Le epoche (Die Epochen, citato alla nota 7)
di F. Ch. Baur, che l'autore determina alla luce della filosofia dello Spirito di G.
W.F. Hegel. E. TROELTSCH, Ges. Schriften m/1, 15, le ha qualificate come un
libro classico anche ai nostri giorni; l'esposizione che qui viene offerta dei proble-
CHIESA COME STOllIA

3) Nell'ambito della teologia protestante, in reazione allo stori-


cismo teologico, la storia della Chiesa
3,1) viene affermata da K. Barth (1886-1969) come scienza au-
siliaria indispensabile alla teologia esegetica, dogmatica e pratica,
lIMl di nuovo aperta ad una dimensione che non permette cli consi-
derarla crune una tematica su cui si riflette in modo razionale. La
si osserva infatti all'interno della chiesa, solidarizzando con la sto-
ria dei chiamati. Essa non coincide quindi con la storia profana; 11
3 ,2) bench si tenga in debito conto lo storicismo, si cerca pure
di comprendere la storia nel suo carattere peculiare. Si ritiene in-
fatti che essa vada interpretata in chiave teologica, alia luce del suo
inizio e della sua fine, seguendo la teoria della tradizione intatta o
quella della progressiva decadenza; 12
3,3) si rifiuta la distinzione fra storia profana e storia della Chie-
sa, mentre si propone la Storia dell'interpretazione della sacra Scrit-
tura, alla cui fatticit storica impossibile risalire e la cui me-

mi di storiografia ecclesiastica va considerata anche attualmente una impttSa di primo


piano, nonostante la precisa collocazione storico culturale dell'autore.
10 Inseriamo in questo tipico modo di comprendere la storia ecclesiastica lo stori-
cismo teologico, per quanto esso rientri nella storia della teologia protestante dei
secc. XIX e xx e presenti un atteggiamento alquanto differenziato nei con&onti della
confessione di fede del cristianesimo. Infatti ci che qui determina la posizione nel
suo complesso lo storicismo che impregna tutta un'epoca e che solleva dei pro-
blemi che non investono soltanto la filosofia ma anche la teologia. Lo ritroviamo gi
presente, in certo qual modo, nella storiografia ecclesiastica di J.C.L. Gieseler ( r791-
1854) e completamente evoluto in E. Troeltsch (vedi nota 8) e A. Harnack (1851-
1930); a giudizio di P. MEINHOLD, Geschichte der kirchlichen Historiographie I!,
Freiburg i.Br. 1967, 163, che per limita la sua analisi al fenomeno del protestan-
tesimo, questo storicismo presente all'inizio della moderna storiografia ecclesia-
stica. Questi due autori hanno in comune il primato della storia (A. HARNACK,
Att/siit:i.e 1, Vorredc, 21906: Quanto ho appreso, l'ho appreso dalla storia della
Chiesa), la separazione assoluta tra metodo storico e dogmatica, il rifiuto di una ap-
parente storia teologica (E. TRO!l!.TSCH, Ges. Schriften n, 339) e l'idea che .la
storia della Chiesa intimamente riferita a tutte le ampie branche della storia uni
versale (A. HARNACK, Aus Wissenschaft und I.eben 11, Giessen 19u. 61). Tutta-
via, Harnack rimane pi teologico, data la tesi che nella Riforma trova la sua fine
quel dogma che falsifica semplicemente il me,saggio di Ges, un messaggio sul qua-
le la Chiesa deve far leva per rinnovarsi; Troeltsch vede invece la cesura nel perio-
do dell'illuminismo, raclicalizza lo storicismo, ma si pone anche il problema del rela-
tivismo storico, a proposito dcl quale cp,li ritiene che possa essere dedotta come
conclusione del metodo storico soltanto da chi possiede uno spirito ateistico o sc~l
t irn nei confronti della religione (Ges. Schrifte11 II, 747; d. sopra la nota 8).
11 K. BARTH, KD 1, Zi.irich 1947; lo., op. cit., 111 3, 1950, 3:z4.
12 P. MEINllOl.1>, op. cit. (nota 10) 11, 431 (su Erich Sccbcrg [18881945] ).
l'llOBLBMA DELLA TEOLOGIA STO!lICA

diazione indispensabile per attingere la testimonianza di Ges Cd-


sto, che essa attualizza. :t quindi naturale che la storia della
Chiesa sia diventata, in quanto storia, irrilevante per la fede, non
per fino al punto da poterla considerare come se non fosse mai
esistita'. 13
Tra questi tipi fondamentali di comprensione della storia della chie-
sa si sono verificati tuttavia, specialmente nel corso del sec. xx,
fluttuazioni di diverso genere. Bisogna tenere soprattutto presente
che la teologia cattolica, richiamandosi alle posizioni della scuola di
Tubinga, riflette in nuovi termini sul rapporto tra fede e storia, spe-
cialmente sulla storicit del dogma, 14 mentre la teologia protestante,
nella sua polemica con lo storicismo pi sopra accennata, non mira
soltanto ad una <(dogmatica ecclesiale, ma anche ad una compren-
sione specifica della stessa storia della Chiesa. Tale processo an-
cora in pkno svolgimento e non sappiamo se, accettando una teo-
logia speculativa della storia, si sar poi anche in grado di mante-
nere, almeno nei suoi tratti fondamentali, la fatticit della storia
stessa (non soltanto quella della storia specifica della chiesa ma an-
che quella del1a storia generale della salvezza), o se il rigore del me-
todo storico faccia perdere poi di vista quel carattere peculiare del-
la storia della chiesa che determinato dal suo inizio e dalla sua
fine, per cui rimarrebbe soltanto l'autointerpretazione della Chie-
sa nella sua storia, la sua <ddeologia (alla quale, naturalmente, si
pu applicare il metodo storico, e lo si deve, quando si voglia com-
prenderla): Per quanto concerne la fede dello studioso di storia ec-
clesiastica, sufficiente riconoscere che pu venir compromessa sia
da una certa teologia della storia che offusca la fatticit, come pure
da uno spirito profano che non si cura minimamente della dimen-
sione storico-salvifica, Nel primo caso viene posto in pericolo il ca-
rattere evenienziale della fede, nel secondo il contenuto di fede rac-
chiuso nell'evento storico. Bisogner poi esaminare tutti i tentat1v1
volti a comprendere il tempo della Chiesa come qualcosa di inter-

Il C. EBE!.ING, Kinhengcsch.IJ/e a/s Geschichtc der Aio/egrmg der Ifri/igcn Schr1ft,


Tiibingen r947, spcc. 22-28. Vedi pi sotto alle pp. 728 s.
14 J. RAl'ZINGER, Das Problen der Dogmengeschichte in der Sicht der kath. Theo-
logie, Koln r966 = Arbeitsgcmcinschaft f. Forsch. des Landes Nordrhein-Wes1fakn,
Gc1st.,swisscnschaft, fosc. 1 i9
660 CHIESA COMB STOR.IA

medio fra la storia del mondo, che soltanto l'uomo in grado di


operare e di rendere oggetto della propria conoscenza, e la storia
di salvezza, che opera di Dio e che come tale non pu essere ri-
dotta ad oggetto,15 ed accertare se qui non si confonda ci che, se-
condo il Calcedonese, non pu essere confuso; va per vagliata an-
che la distinzione radicale fra struttura storico-salvifica e struttura
storico-mondana della storia della Chiesa, per evitare che essa giun-
ga a separare ci che separare non si pu.
Fra i diversi tipi di comprensione della storia della Chiesa, evo-
luti dal tempo dell'illuminismo fino ai nostri giorni, soprattutto due
balzano immediatamente agli occhi per la loro chiarezza interna: la
trattazione decisamente profana (che segue le pi svariate teorie e
metodi di storia universale) e la trattazione decisamente teologica
(che presuppone cio alcune scelte dogmatiche e che presenta le pi
diverse tinte confessionali). In questo capitolo dovremo affrontare
sia la prima, colta nel suo nesso teologico, sempre presente anche
se espresso in termini critici, che la seconda, esattamente descritta
da H. Jedin nel modo che segue: il punto di partenza teologico
(della storia ecclesiastica), il concetto di Chiesa, non lo si deve ... in-
tendere in modo tale che la struttura della Chiesa, delineataci dalla
dogmatica, starebbe a fondamento, quale schema imposto, dell'espo-
sizione storica, per cui da questa dovrebbe venir comprovata e quin-
di limiterebbe od impedirebbe quell'accertamento empirico-storico
che si basa sulle fonti storiche e che ha per oggetto le sue espres-
sioni vitali. Esso implica invece unicamente la sua divina origine
per mezzo di Ges Cristo, l'ordinamento (gerarchico e sacramenta-
le) da lui istituito e l'assistenza ad essa promessa dello Spirito san-
to, come pure l'apertura al compimento definitivo ed escatologico,
gli elementi quindi sui quali poggia la sua identit essenziale nelle
mutevoli forme di manifestazione, cio la sua continuit. 16 Il ter-
mine unicamente dester certo sorpresa in qualche settore; va co-
munque osservato che esso ha qui la funzione di delimitare il con-
tenuto teologico del concetto di Chiesa nei confronti dell'oggetto

I~ O. KforLER, 'Der Gegenstand der Kirchcngeschichtc', op. cit. (nota 4) 2,7.


16 H. Jrn1N, Einleitung in die Kirchengeschichte, Handbuch, op. cit. (nota 5) r-
55; qui 2 s. Quest'opera contiene una pregevole informazione sulla storia della sto-
riografia ecclesiastica.
PROBLEMA DELLA TEOLOGIA STOll.JCA 661

storico, cio delle mutevoli forme di manifestazione, che non de-


vono essere illustrate in base ad uno schema imposto, ma in for-
za di un metodo proprio. Ci significa, ad esempio, che una inda-
gine condotta sulle dichiarazioni magisteriali dei pontefici non pu
essere pregiudicata dal Vaticano I. Ma questa proposizione, colta
nel suo insieme, significa anche che un'analisi condotta col rigore
di una critica storica (pensiamo ad esempio alla questione di Ono-
rio) in definitiva non pu condurre a risultati diversi da quelli cui
giunta la definizione del magistero. La nitidezza scientifica, che
H. Jedin espressamente rivendica per l'applicazione del metodo sto-
rico, presuppone necessariamente una fede ecclesiologica, anche se
l'autore stesso non esclude certe tensioni che si verificano tra
l'accertamento storico e la formulazione dogmatica.17 A questa posi-
zione pre-scientifica si richiama anche A. Ehrhard, il quale osserva
che il carattere rivelativo dei dogmi dev'essere creduto da ogni
cristiano cattolico, non essendo esso specifico oggetto di fede del
dogmatico che applica il proprio metodo scientifico. Secondo questo
autore, minori problemi ancora della dogmatica e del suo metodo
scientifico presenta la teologia storicu,18 che pu procedere in mo-
do puramente empirico perch ha a che fare esclusivamente con
il fattore umano, mentre lascia alla teologia dogmatica il compito
di dimostrare il fattore divino. Bisogna riconoscere i meriti dello
scritto di A. Ehrharo, soprattutto per la sua interpretazione gene-
rale della storia ecclesiastica in termini di teologia storica (l'au-
tore prende quindi le distanze dal metodo storico-religioso, ma anche
per il suo tentativo di giustificare la storia di fronte a certe posi-
zioni assunte dalla neoscolastica. Ci che invece non persuade la

17 lbid., p. ,.
18 A. E11RHARD, Die historische Theo/ogie und ihre Methode (Festschr. f. S. M.i!11.-
kJ.E) Diisseldorf 1922, 1,17-136, qui 131 s. In modo del tutto simile a quello di Joh.
Lorcnz Mosheim, l'autore struttura la teologia storica in 3 <1zone vitali esteriori
(missione; Chiesa e stato; rapporti con le altre confessioni e religioni non cristiane)
e in 5 zone vitali interiori (costituzione, liturgia, agiografia e storia generale della
piet, storia dd dogmi, storia cristiana della cultura). Una ripartizione che suscita
certo delle puplessit: l'attivit missionaria pu essere veramente concepita come
una diffusione di tipo esteriore, o non costituisce invece un mandato che la Chiesa
conserva nel suo pi profondo? Si osservi comunque che una simile tematica segna
un apprezzabile progresso nci confronti delle posizioni sostenute nel tardo medio
evo, quando ern usuale sopravvalutare la storia del papato e del rapporto tra
C.nicsa e stato.
662 CHIESA COMI!. STORIA

sua divisione del lavoro secondo il fattore umano e quello divino:


un modo troppo ingenuo di garantire quella purezza che il metodo
storico vanterebbe nei confronti della dogmatica o di differenziare
la dogmatica dallo storicismo teologico. Mentre A. Ehrhard si era
preoccupato di salvare l'autonomia della teologia storica, H. Jedin
- quarant'anni pi tardi, quando si sentiva ormai viva l'esigenza
d'inquadrare le singole rice.tdie storico-ecclesiastiche in una visione
d'insieme - affermava in modo programmatico che la storia ec-
clesiastica nel suo insieme pu essere concepita soltanto in chiave
storico-salvi.fica,19 per cui il metodo storico, senza pregiudizio delle
leggi cui sottoposto, si riferisce al nesso con il punto di partenza
teologico. Senza dubbio qui si critica velatamente la posizione di
A. Ehrhard, per il quale dalla teologia storica non ci si deve atten-
dere ~m laccettazione per fede n la negazione del carattere sopran-
naturale del cristianesimo, dato che un simile riconoscimento si
effettua soltanto nella sfera in cui si trova ogni cristiano cattolico.
Naturalmente 1a tecnica del metodo non presenta alcuna rilevanza
teologica, tuttavia non pu non sollevare un problema la sua appli-
cazione all'oggetto. E quindi A. Ehrhard, il quale afferma che l'ap-
partenenza della storia ecclesiastica alla sfera teologica non motiva-
ta da uno specifico metodo storico ma soltanto dal suo oggetto ma-
teriale, dall'effettivo decorso della storia del cristianesimo dai suoi
inizi fino al presente,io o giunge - anche se contro le proprie in-
tenzioni - ad una profanizzazione della storia della Chiesa (perch
un ateo non dovr occuparsi positivamente della storia del cristia-
nesimo?), o cozza contro il problema ancora insoluto dell'effettiva
rilevanza teologica dell'oggetto e dell'effettiva adeguatezza del metodo.
Ma pi l'oggetto della storia della Chiesa viene concepito in mo-
do teologico e pi si acuisce il problema del rapporto fra teologia
e storia, una questione ancor pi complessa di quella che si deter-
mina nei conflitti relativamente rari tra le singole indagini positive
della disciplina storica e gli enunciati dogmatici. Per H. Jedin, gli
enunciati che seguono il suo unicamente vanno intesi come ele-
menti della identit essenziale della Chiesa, della <~continuit

19 H. ]EDIN, op. cit., 6.


io A. EHRHANll, op. cit., 132, 134.
PROBLEMA DELLA TEOLOGIA STORICA

della sua storia. Egli intende cosl significare che l'inizio e la fine
della storia della Chiesa si fondano su una posizione (Setzung) teo-
logica,21 che in quanto inizio e fine non possono essere quindi
oggetto storico e costituiscono l'estensione (cf. sopra alla p. 369)
della Chiesa come storia; nello stesso tempo per essi determinano
anche la continuit affatto storica, che come tale non pu essere og-
getto storico. Certamente la storia di ogni istituzione questa sto-
ria solo fino al momento in cui non diventata storia cli qualcos'al-
tro. Sorge per il problema generale, di tipo teoretico-storico, del mo-
do in cui l'identit storica vada distinta da quella logica, e nel nostro
caso, pi precisamente, la questione del modo in cui l'identit del-
la Chiesa possa essere un'identit di tipo storico, che non possiede
la storia soltanto nelle mutevoli forme di manifestazione di ci
che sempre identico, ma che essa stessa storia in tutti i momenti
che la costituiscono. La rilevanza teologica di tale questione appare
manifesta quando si dice che la Chiesa non ha pi da attendere una
nuova rivelazione o n'integrazione di questa, e che. tuttavia
anche parte attiva nel processo in cui la rivelazione si rende presen-
te.12 Questa attualizzazione infatti un atto storico che dev'essere
compiuto secondo modalit sempre nuove; che non produce soltan-
to delle variazioni su un dato astratto dalla storia, ma rappresenta
questo stesso dato in modi sempre diversi, e non seguendo l'arbitrio
ma muovendosi fin dall'inizio nell'alveo della tradizione. Il concetto
di continuit pu essere senz'altro compreso in chiave storica, e in
tal caso viene a sostituire il concetto di tradizione. Naturalmente il
significato che questa racchiude - non quindi una tradizione intesa
nel senso specifico di traditio non scripta del tempo apostolico e nem-
meno in quello pi generale di tradizione che ogni cultura possiede,
bens nella sua accezione ecclesiologica ed universale - di capi-
tale importanza per il concetto di una storia ecclesiastica concepita
entro uno schema teologico e storico. 23 Ci che normalmente si co-

21 H. }EDIN, op. cit., 4


22 ]. FEINER, in: Mysterium Salutis 1/2, pp. 26, 20.
23 Per il concetto di tradizione, cf. K. RAIINER . K. UHMANN, 'Storicit della mr-
diazionc', in: Mysterium Salutis 1/2, 347 s. e la bibliografia (361366). Per quanto
riguarda la differenza fra tradizione cristiana e tradizione pagano-sacrale, in polemi-
ca con ]. PrnPER, Ober den Begrifj der Tradition, Veroflentlichung der A:rbeitsge-
meinschaft fiir Forschung des Landes NordrhcinWestfalen, Geisteswiss., fase. 72,
CHIESA COME STOlllA

glie nel concetto di continuit per lo meno la persistenza del sem-


pre identico nei confronti del quale la storia, con il suo divenire e
mutare, si trova necessariamente in un rapporto di tensione, che pu
acuirsi fino a sfociare in aperto contrasto. La storia della Chiesa
avrebbe allora veramente senso soltanto se, di fronte a tutte le mu-
tazioni storiche che investono la sua identit, ci si limitasse a rico-
noscere la continua presenza di un inizio definitivamente posto. In
tal caso per essa non sarebbe propriamente storia, la quale si svol-
ge attorno al nucl~o essenziale della chiesa e per la quale essa sol
tanto l'ambiente, il luogo in cui l'accettazione del sempre identico
viene continuamente operata. I periodi della storia ecclesiastica sa-
ranno allora le epoche dei suoi diversi ambienti, che in quanto
destinatari provocano delle modificazioni nel modo di accettare que-
sti dati sovrastorici, naturalmente solo nella misura in cui conserva-
no il carattere di ambienti intraecdesiali.
Quando nella Chiesa cattolica incominci a svanire la diffidenzi:..
che si nutriva nei confronti della storia - senz'altro motivata dalla
sua intrinseca tendenza al relativismo - e la storia ecclesiastica si
emancip dalla propria condizione di scienza ausiliaria, un ruolo
impostole dal protestantesimo, si profil anche il concetto di evo-
luzione, distinto da quello comunemente impiegato in campo sto-
rico, perch ci che qui si evolve di origine sovrastorica. Il pro-
blema deHa storia ecclesiastica si presenta cosl sotto una duplice for-
ma: nell'incapacit che l'indagine storica mostra nel comprendere
l'arco di vita ecclesiale determinato da un inizio e da una fine
e dal fatto che questo ~nizio non conferito pienamente dall'inizio
storico, ma si schiude soltanto nella storia mondana del divenire sto-
rico della Chiesa, questo per non nel senso che solo cosl esso diven-
terebbe ci che , perch gi in quanto inizio si trova perfettamen-
te riferito alla <~fine, perch in quanto inizio esso e~ contempo
l'insuperabile rivelazione divina presente neHa storia. Il concetto di
evoluzione (che J.H Newmann pone a fondamento della sua in-
dagine) sembrava dunque adatto a risolvere il dilemma tra una rive-
lazione che si considerava defii1itivamente chiusa da una parte ed
una Chiesa che s'intendeva come storia dall'altra, perch ci che si
Koln i958, vedi O. KOIILER, 'Tradition', in: Staals/exikon VII, Fidburg i.Br. 1962,
1020-1028.
PROBLEMA DELLA TEOLOGIA STORICA

evolve presente da sempre. Tuttavia la problematica generale di


tipo teorico-storico, che un concetto epigenetico di evoluzione, de-
sunto dalla biologia,:N racchiude diventa ancor pi complesso nel-
l'ambito della storia ecclesiastica, perch la categoria storica della
decisione, che il concetto di evoluzione non implica, anche una
categoria teologica. L'attualizzazione della Parola di Dio, una parola
vitale che viene costantemente profferita nella storia e che nella sto-
ria dev'essere ascoltata in modi sempre diversi - questo vale anche,
bench non principalmente, per il dogma, in quanto esso decisi0-
ne - sostanzialmente diversa dalla ripetizione imitatrice o lette-
rale di un atto divino o di un discorso che Dio ha fatto in epoche
remote. Ci che costituisce l'essenza della tradizione nella Chiesa
il fatto che entrambi i momenti di questa tradizione, sia il traditum
come pure l'actus tradendi, sono storia; per cui non si devono con-
trapporre tra loro tradizione e storia, come se l'una fosse ci che
essenzialmente immutabile e l'altra ci che essenzialmente mu-
tevole. Ma soprattutto non le si devono contrapporre in termini tali
che il traditum, la rivelazione divina, venga a dipendere dall'actus
tradendi storico (che potrebbe venir mantenuto ndla sua purezza
soltanto attraverso la ripetizione imitatrice e letterale); esse si tro-
vano piuttosto intimamente riferite l'una all'altra, perch il traditum
viene operato da Dio insieme all'uomo e l'actus tradendi umano, da
parte sua, sorretto dall'assistenza divina. Certo, anche il traditum,
traslato nelI'actus tradendi della Chiesa, storia della divina rivela-
zione in s conchiusa, ma esso non coincider mai lungo il corso
della storia ecclesiale, fino all'ultimo giorno, con l'actus tradendi, per-
ch tutti gli enunciati (anche quelli magisteriali e infallibili},25 tutte
le esposizioni, tutte le attua:doni vitali non possono mai risultare
adeguati alla Parola di Dio, la quale tuttavia non una verit si-

24 K. Rahner e K. lehmann {nello scritto citato alla nota precedente) non appro-
fondiscono il problema dcl rapporto tra evolu7.ionc e storia. Certe riserve nei
confronti .def car3itere'"l:ifolgiC<i' d1. ooiicetti ...fil:alJ svil.JppQii,~ <te.uoliZiQri.~; _iengo-
no avanzate,_tta.gli..alt.ci.. da .. G ...~ELING, Auslegung, cit. (nota 13) 17 e da J. RNI-
ZINGER, Dogmengeschirhte, cic. (nota 14) 17. Un simile concetto poteva sembrare
adatto ad ovviare alla perdita d'identit, tanto pit che lo stesso concilio Vaticano 1
utilizza l'immagine del germe, gi impiegata da Vincenzo di Lerino (Commonitorit1m,
cap. 23), per sconfessare l'evoluzionismo teologico. Giustamente J. RATZl:-IGER, op.
cit., p. 9, qualifica il concetto di tradizione di Vincenzo di Lerino come astorico.
25 J. F1HNP.R, loc. cit., 29
666 CIDBSA COMI! STORIA

tuata nell'ambito irraggiungibile dell'infinitezza, ma in quanto pa-


rola che Dio profferisce alla Chiesa procede verso una storis sem-
pre aperta e non re-cede, in quanto animata dallo Spirito. Se il
principio su cui la storia della Chiesa si fonda appunto questa
tradizione, il nostro compito non consister nell'individuare il mu-
tamento dei fenomeni e la continuit dell'identico, bensl nel deter-
minare, e non sul piano logico ma su quello storico, una identit.
E non si tratter nemmeno di accertare una determinata evoluzione,
sia essa intesa come progresso (non vero che l'inadeguatezza si ri-
duca progressivamente, ma cambia soltanto la forma) o come deca-
denza (non neppure vero che l'inadeguatezza aumenti in modo co-
stante). Il traditum di origine divina e quindi non pu essere sta-
bilito sul piano storico, come del resto impossibile determinare il
misterioso tendere della Chiesa verso una fine prestabilita. Va inol-
tre osservato che la storia della Chiesa pu vantare una sua d.ifle-
renza specifica da .qualsiasi altra storia per il suo riforimento di
tipo teologico (l'assistenza dello Spirito) al traditum, una tradizi0-
ne ormai conchiusa ma che costantemente l'antecede. Si ha dunque
la netta impressione che le cose stiano in questi termini: una teolo-
gia storica possibile soltanto nel caso in cui o essa riconosce alla
teologia dogmatica il compito di trattare il fattore divino, che poi
il traditum e lo specifico actus tradendi (assumere nella storia del-
la Chiesa il traditum come continuum rende certo possibili delle
formulazioni pi raffinate, ma non apporta dei sensibili cambiamenti
nella natura delle cose), o facendo di necessit virt essa lascia che
la storia rimanga avvolta nei suoi misteri, scavalcando cosl anche
lo st-orico pi avverso al positivismo e differenziandosi nettamente
dalla gran parte degli storiografi cattolici dclla fine del sec. XIX, i
quali cercavano di conciliare il positivismo storico con quello dogma-
tico. In quale rapporto poi stia questo mistero che avvo}ge la storia
dell'umanit con il mysterium teologicamente inteso, questa un'altra
questione che affronteremo pi avanti.
Il dogma non l'unico luogo in cui la Chiesa, lungo il corso del-
la sua storia, deve conformarsi al proprio inizio cd alfa propria
fine, dato che questo vale per tutte le sue espressioni storiche, co-
me ad esempio la storia del culto e della piet (che si pu senz'al-
tro ridurre ai suoi aspetti dogmaticamente corretti od errati, ma
PROBLEMA DELLA TEOLOGIA STOltlCA

cosl facendo non si riesce a coglierla nella sua realt piena). E tut-
tavia, in una concezione della storia ecclesiastica che accetta il dato
dogmatico dell'identit e della continuit, la storia del dogma costi-
tuisce inevitabilmente un problema peculiare, la cui soluzione dipen-
de dal fatto che un simile modo d'intendere la storia della Chiesa
trova o meno un solido appoggio nel dogma. Proprio per tale
motivo non per nulla casuale, quindi non una contingenza pu-
ramente letteraria, che la teologia cattolica abbia prodotto un'intera
serie di storie di papi, mentre lo studio della storia dei dogmi, ini-
ziatosi nel periodo dell'illuminismo, non annovera alcun scritto cat-
tolico che tratti della dinamica interna del dogma, e soltanto neJ
sec. xx si riscontrano alcuni accenni alle -singole epoche ed alla sto-
ria dei singoli dogmi.111 J. Rat.zinger ritiene che il contributo di K.
Rahner e K. Lehmann sulla Storicit della mediazione sia una
disanima del problema della storia dei dogmi la pi accurata finora
prodotta da parte cattolica, e lui stesso evolve poi questa imposta-
zione teoretica. 27 Rat.zinger uno storico ed ha riflettuto a lungo sulla
teologia storica di Bonaventura, per cui inserisce il problema della
storia dei dogmi entro l'orizzonte del problema pi vasto della sto-
ria della chiesa. L'espressione di A. Ehrhard: l'essenza del cristia-
nesimo si dispiegata e rivelata (sic!) nei suoi elementi costitutivi
lungo il corso della storialll non coglie pienamente l'aporia insita
nella questione; la si potr fonnulare in tennini teologici pi rigo-
rosi intendendo per soggetto della storia non l' essenza del cristia-
nesimo e nemmeno l'istituzione del magistero ecclesiastico, che nel-
le sue deflnizioni d origine allo spirito oggettivo, bensl gli uomini
della Chiesa che vivono la loro fede, per cui il discorso sulla sto-
ria della fede non verr a significare semplicemente un discorso
sulla storia dei dogmi, il cui concetto richiama facilmente l'idea
M Cf. A. AUER, "Dogmengeschichtc' in: LTbK m (1959) 468 s. - A proposito del-
l'Handb11cb der Dogmengescbichte (.Freiburg i.Br., nizio della pubblicazione nell'an-
no 1951 ), che per considerazioni di principio viene strutturato in singoli trattati e
che plf'ccdc a rilento, giustamente J. RATZINGER, Dogmenf!.eschichte, (nota 14) p. 15,
osserva: esso senz'altro riuscito a produrre una serie di considerevoli sezioni, ma
dato l'impianto che lo sorregge ben difficilmente sar in grado di delineare con suf-
ficiente continuit una visione generale della storia dei dogmi.
Z7 K. RAHNER - K. LEHMANN, in: Mysteritmz Salutis 1/2, 295-366; J. RATZINGER,
op. cit., 26.
is A. EHRHARn, op. cit., 119; un po' diversa ]'attualizzazione della rivelazio-
ne (J. Feiner, nota 22 ).
668 CHIESA COME STOlllA

della costruzione di un edificio magisteriale entro le cui mura gli


uomini abitano. La stessa assistenza che lo Spirito accorda durante
il processo di .questa storia di fede oggetto di fede, e ci implica
che tale processo possa significare non solo appropriazione progres-
siva, ma anche minaccia e perdita di realt, come J. Ratzinger
ha criticamente osservato a proposito del modello di progresso che
si ricava da~ concetto di sviluppo delineato da K. Rahner.29 Osser-
vazione estremamente importante per un modo di concepire la sto-
ria della Chiesa nel suo insieme, in quanto essa ci obbliga a situare
la storia della fede nel suo generale decorso, il quale non n de-
cadenza n progresso bensl storia, al cui interno la storia della fe-
de, in esatta rispondenza alla realt della Chiesa come storia, costi-
tuisce un nucleo pi profondo, un nucleo sempre sintonizzato con
il corso della storia universale deMa Chiesa. E lo si pu quindi con-
ciliare anche con il concetto di dogma, perch l' incongruenza tra
la parola del linguaggio ... e la realt, specialmente la realt divi-
na, attenua il carattere di definitivit totale della formula. 30 Af-
fermare una progressiva e costante chiarezza a livello di coscienza
di fede significherebbe contraddire apertamente la storia ecclesiasti-
ca nel suo insieme, dato che nessuno potr mai affermare che questa,
nel corso dei secoli, ha conosciuto un accostamento progressivo al
suo Signore.
Quella che stata chiamata <(aporia nel fatto dell'evoluzione dei
dogmi, che cio anche il dogma immutabile pu ancora mutare nel-

29 J. RA<TZJNGER, op. cit., 23. L'idea di un progresso che, nella storia del dogma,
tenderebbe alla pienezza della rivelazione (per quanto non la possa mai pienamente
raggiungere) di fatto svolge un ruolo importante nel contributo di K. Rahner e K.
Lehmann. Alcune affermazioni: Solo la storia stessa dello sviluppo del dogma rivela
propriamente il suo mistero; ... ogni progresso raggiunto nel campo del finito
inevitabilmente anche una limitazione delle possibilit per il futuro. Quanto pi la
verit si fa f'ena e chiara, tanto pi essa diviene rigorosa, tanto pi essa esclude la
possibilit d'un errore futuro (op. cii., 342); nel processo ... d'un venire a s quasi
impercettibile di questa coscienza di fede qualificata (op. cit., 353). D'altra parte si
osserva anche - citando W. ScHNEEMELCHER, 'Das Problern der Dogmengeschich-
te', fa: ZThK 48 (r9~r) 89, ma condividendo manifestamente il pensiero di questo
autore - che la storia dci dogmi, diversamente dal come la pensava F. Ch. Baur,
viene ragionevolmente subordinata al Vangelo, essa non appare pi n come un
processo di apostasia, n come un crescente progresso ... (op. cii., 356).
JO J. RATZINGEll, op. cit., .25; cf. anhcc J. FErNER, op. cit., (nota 25) 29; sull'argo-
mento anche K. RAHNER - K. LE11MANN, op. cit. (nota 27) 348 s.
PROBLEMA DELLA TEOLOGIA STOllICA

l'ambito della sua immutabi.lit,31 si presenta come un'aporia nella


stessa storia della Chiesa; una storia ecclesiastica che accetti il dog-
ma come <~il punto di partenza teologico che le viene prescritto,
in questa accettazione senz'altro teologica, non lo invece in se
stessa, perch il dogma non viene compreso nella sua storicit (il
che naturalmente non esd'llde un'analisi storica delle circostanze
che hanno condotto alle definizioni), e cosl la storia della Chiesa ri-
nuncia alla sua parte pi intima; una storia ecclesiastica che include
in se stessa il dogma, e non in modo storico bensl a livello piena-
mente teologico, si rende senz'altro universale, ma perde quel so-
lido appoggio che una oom:ezione dogmaticamente fondata della
storia della Chiesa ritiene di possedere come prova del proprio ca-
rattere teologico e come segno distintivo dalla storia profana.
Quando si approfondisce in modo rigoroso una simile problema-
tica, si giunge quindi a delle conclusioni che non investono soltanto
la storia dei dogmi ma anche l'intera storia della Chiesa, ci si pone
cio il problema se non sia pi conveniente riflettere sulla storia
facendo esclusivamente leva sulla storia e prescindendo quindi da
tali orizzonti (da una fede cio che riflette modo theologico), per
ammettere poi che a tale questione non stata data ancora una
risposta veramente soddfs.facente,12 e si rifiuta una reinterpreta-
zione ideologica del dogma perch la si ritiene un espediente che
soddisfa ancor meno di tutti gli altri. 33
Ma il vero problema non viene colto nemmeno quando lo si si-
tua nell'ambito della soggettivit dell'osservatore, cercando una pos-
sibile mediazione nell'amore per l'oggetto, un amore che ogni scien-
za richiede e che per gli storici del dogma potrebbe essere la fede.3'
Non solo, come J. Ratzinger osserva, l'amore pu rendere anche
ciechi - e la storia dei dogmi abbonda di esemph> - ma anche
vero che l'amore per l'oggetto o la rispondenza congeniale tra
oggetto e capacit di apprensione lS non possono andar oltre un
li K. H.AHNER - K. l.m!MANN, op. cii. (nota 27) 300
.U J. RATZINGER, op. cit., 28.
11 lbid' 9
34 I bitl., 29 .
.li r. WAGNER, 'Zweierlei Mass dcr Geschichtsschrcibung: Profanhistoric oder Kir-
thengcschichte?', in: Sacculum, x (1959) II3I23; recentemente pubblicato anche in
Moderne Geschichtsschreibung, cii. alla p. 27, dove l'autore polemizza con le posi-
zioni sostenute da R. WrTTl!AM, op. cii. (nota 5). Wagner esclude la possibilit di
CHIESA COMI! STORIA

adeguato esame della storia della religione in assoluto (come l'amore


per l'arte pu condurre ad un esame adeguato della storia dell'arte).
Il decisivo plus teologico sta al di l di questa sfera, dove hl Oiiesa
non pu essere pi considerata come un oggetto su cui si riflette
in modo razionale, bensl come un luogo al cui interno essa viene os-
servata nella sua intera storia, una storia del regno di Dio ... evolu-
ta in modo congeniale allo spirito (sott. nostre). Se si accetta quan-
to a tale proposito J. Chambon aggiunge, e che cio questo risponde
al luogo comune del simile che pu essere compreso soltanto dal
suo simile,36 allora bisogna convenire che la storia della Chiesa po-
tr essere illustrata adeguatamente soltanto da cristiani cattolici, lu-
terani o riformati, e letta soltanto da questi uomini credenti, in quan-
to l'esclusivit di ci che compreso implica l'esclusivit dell'atto
del comprendere. Anche la storia della Chiesa, se concepita come
storia del regno di Dio, si sottrae quindi ad ogni possibilit di ve-
ri.fica razionale, che per definizione non pu essere applicata agli
eventi salvifici della rivelazione. In fondo, ci che questa prospettiva
di fede comporta la decisa profanizzazione di una storia ecclesia-
stica evoluta secondo schemi .scientifici il che possibile, anzi neces-
sario, quando con R. Wittram si ammette che la storia della Chiesa,
la quale ha a che fare principalmente con gli effetti prodotti dalla

un'interpretazione teologica della storia, anche di quella ecclesiastica. Il fatto che


egli, proprio come uno storico profano, si distanzi dalla cerchia cui appartiene -
n nella Historik di G. Droysen, n nel Geist und Geschichte vom deutschen Hu-,
manismus bis zur Gegcnwart di H. v. SRBIK (2 voli., Miinchen 1951 ), n nella GeJ-
chichte als Wissenschaft d Th. SCHIEDER (Miinchen I965) la storia della Chiesa vie-
ne tratta come disciplina storica - e riprenda un problema apparentemente obsoleto,
molto interessante, spc.cialmente se si tien conto dcl richiamo a Bousset (per offri-
re una trattazione completa, bisogna occuparsi sia di un'ermeneutica teologica che
di una ermeneutica scientifico-profana). Naturalmente quando F. Wagner, per affer-
mare l'apparizione del Sacro nd mondo, usa l'espressione di settori merafsici
( p. 28 ), non si esprime in linguaggio teologico. Si avvicina piuttosto alle posizioni
di Th. Schicder, che spoglia l'affermazione l'uomo il supporto della storia della
sua banalit e sos~icnc che il problema di ci che l'uomo sia il mistero di tlltti
i misteri (/oc dt, 89). Giustamente G. Ebeling ha osservato che, fin dal tempo
dell'illuminismo. l'attivit storica della teologia ha recato un apporto decisivo al ri-
fkttere reologir<J, perch si ncutra1izzlta la invasione della filosofia e del seco-
larismo nell'analisi della storicit della rivelazione di Ges Cristo (/oc. cit., 6 s.).
Rimane soltanto da chiedersi se non sia possibile acqui9ire un nuovo punto di par-
tenza, al fine di determinare il rapporto tra storia ccdcsiastica e storia profana, an-
che all'interno del pi ampio dibattito sulla teoria della storia.
36 J. G1AMllON, op. cit. (nota 5) r32.
PROBLEMA DELLA TEOLOGIA STORICA

Parola di Dio, si <futingua dalla storia profana per il fatto che essa
pu essere crattata in modo adeguato soltanto facendo ricorso a
quelle capacit che si sono acquisite nell'intero ambito del sistema
teologico TI (capacit per che ci si potevano attendere anche dallo
storico profano nel medio evo d'Occidente). La tesi, secondo la
quale l'esperienza di fede condotta sulla storia della Chiesa si esten-
de oltre le possibilit della comprensione razionale corretta, ma
bisogna aggiungere che questo oltre presenta una qualit catego.
rialmente diversa. Non un di pi che si coglierebbe sul medesi-
mo piano di conoscenza.
L'analisi fin qui condotta, che si proponeva di accertare se sia
possibile concepire la storia della Chiesa nel suo momento teologico
ed al contempo in quello storico senza ridurre nessuno dei due mo-
menti, ci 'Sembra abbia mostrato che da un lato, .in quanto storia,
essa diventa a-teologica, perch come disciplina storica esclude dalla
propria indagine il dato essenzialmente teologico {M fine di salvare sia
il dato storico che quello teologico), dall'altro essa l'assume nella sto-
ria universale (ed anche qui al .fine di salvare sia il dato storico che
quello teologico), e intende ricavare la propria differenza specifica dal-
l'interno, arrischiando per di smarrirla in una storicizzazione gene-
rale. Nel primo caso l'estensione della storia ecclesiastica, compresa
tra un inizio ed una fine che per loro stessa natura non posso-
no essere oggetto storico, rimane inviolata come intelaiatura, ben-
ch inizio e fine cstituiscono il tratto specifico di questo di-
scorso storico; nel secondo questa estensione viene talmente inte-
grata nel corso degli avvenimenti, che la storicit specifica di questo
inizio e di questa fine, in quanto storia della salvezza operata da
Dio (che pur agisce insieme all'uomo), si dissolvono nella storicitb
universale. Ed allora, se non sembrano accettabili la divisione del
lavoro secondo i fattori umano e divino e i relativi metodi che A.
Ehrhard propone, la teologia storica nella sua sostanza non sar
forse un pseudo-concetto?

17 R. W1TTRAM, op. ci.'. (n0ta 5) 145. L'autore valuta in modo espressamrntc posi-
tivo la profani1.zazione, i:1 quanto ritiene <he essi; abbia aperto la strada per una
visione dell 'intcro passato come campo generale di una attivit divina sempre pre..
sente, mni per accenahile in questo o quel determinato luogo (ivi). Non persuade
la critica che T11. ScmEDER, loc. cit. (nota 35) muove a Wittram, cui rimprovera di
aver reso la persona religiosamente intesa oggetto principale della storia.
CHIESA COME STORI.A

3. La storia 'della -storiografia ecclesiastica come storia


dell' autQcomprensione della Chiesa

Nelle riflessioni fin qui condotte il tempo della Chiesa stato te-
matizzato in se stesso ed analizzato nel suo rapporto con la storia pro-
fana. Ci si chiesti fino a che punto esso sia storia di cui lo storico
possa occuparsi ed allo stesso tempo fino a che punto sia anche sto-
ria speciale, una storia che lo inserisce quindi nell'ambito della ri-
flessione teologica. Ora bisogner cercare di stabilire il luogo che la
storia della Chiesa, dal punto di vista teologico-storico, occupa nella
storia di salvezza, e questo non con l'intenzione d'integrare una teo-
logia della storia di salvezza di cui gi si offerta una trattazione,M
ma soltanto aUo scopo di determinare se una simile collocazione teo-
logico-storica contribuisca in qualche modo alla chiarificazione del
carattere peculiare del tempo della Chiesa, e pi precisamente del-
la sua peculiarit teologico-storica. Questo per significa risaHre ol-
tre il dilemma che sorse quando si volle rendere scientifica l'es~i
zione della Chiesa, questa intesa come oggetto separato. Non certo
un'impresa facile tracciare l'esatto ambito storico in cui tale dilem-
ma si profil, perch i secc. XVI e XVII costituiscono una specie di
terra di nessuno, in cui s'intrecciano momenti tra loro contrastan-
ti. E tuttavia un tentativo che, data la sua importanza, s'impone,
perch se vogliamo avvertire la reale problematica della teologia
storica, dobbiamo liberarci da un modo di procedere ormai ovvio
nel trattare la storia della Chiesa con strumenti di tipo storico-eccle-
siastrci.
certo che le edizioni delle fonti di storia ecclesiastica, prodotte
nello spirito filologico-storico dell'umanesimo ed entro la prospetti-
va controversistica dcl periodo della Riforma, condussero inevita-
bilmente all'elaborazione di un metodo storico-critico e quindi an-
che ad una -storia ecclesiastica intesa come scienza. 39 n fatto per

38 A. DARl.AP, 'Teologia fln<lamentalc della storia .!ella salvezza', in: Mysterium


Salutis1/1, 33-221.
39 H. ]EDIN, Handhurh, ctt, {nota 5) 1, p. 36; alle pp. 33-39 viene offerta una
buona informal'lione sulla Aran<liosa attivit editoriale nei sccc. XVI-XVIII, specialmen-
te in campo cattolico. Per l'influsso esercitato dall'Umanesimo, soprattutto ad opera
<li Erasmo d Rotterdam, cl. P. Mmimow, op. cit. (nota 10) n, 340-343.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTl<.;A

che la storiografia ecclesiastica non sia stata in grado di mantene-


re il passo con questo ampliamento di orizzonti e con l'aflinamen-
to dei metodi di ricerca 40 dipende, e forse pi di quanto H. Jedin
vorrebbe ammettere, dalla prospettiva storico-salvifica che a quel
tempo era ancor viva e di cui si faceva uso per interpretare la storia
universa.Je. Lo si nota in diversi momenti. Filippo Mel:antone (t 1560)
introdusse nelle facolt filosofiche delle universit protestanti, quale
materia d'insegnamento, la storia universale, perch la storia venisse
considerata da un punto di vista unitario, e precisamente da quello
ecclesiastico-religioso.41 Ci ebbe come effetto un ritardo nell'elabo-
razione di una storia ecclesiastica 42 e tale fatto per lo meno altret-
tanto importante delle conseguenze che la sua teologia del duplice
regno determiner in seguito sulla distinzione tra storia ecclesiastica
e storia profana.-0 La Cronaca di Gttion, con introduzione di Melan-
tone, non opera una simile distinzione. Soltanto in seguito si tenter
di considerare separatamente la Historia sacra e la Historia profana.
Lo scolaro di Mdantone Viktorin Strigel' distingue il materiale secon-
do i temi (la storia ecclesiastica tratta dei miracoli operati da Dio e
del governo della Chiesa} e secondo le fonti (Bibbia, Filone, Eusebio,
ecc. - gli storici greci e latini).44 In modo analogo argomenta anche

-IO H. }EDlN, Ibid., 39


41 E.C. SctmRER, Geschichle und Kirchengeschichte an den deutschen Universi-
tiiten. lhre Anfiinge im Zeitalter des Humanismus und ihre Ausbildung zur selbstan-
digen Dis:r.iplin, Freburg .Br. J927, lOJ.
42 H. DICKERHOF, 'Kirchcnbcgriff, Wissenschaftsentwicklung, Bildungs-soziologie und
dic Fonnen kirchlicher Historiographie', in: Hist. ]ahrbuch 89 (l969) J76-202, cit.
alla p. 195. Dalla recensione nll'opera di P. MEINIJOLD, Geschichte der kirchlichen
Hisloriographic (op. cit. alfa nota 10) l'autore prende lo spunto per delineare un ot-
timo abbozzo storico e teoretico-scientifico della problematca connessa con la storia
della Chiesa, un eccellente programma di ricerca (abbondante biblografa). Sull'o-
pera di P. Meinhold, vedi anche la recensione d Peter Fuchs, sulla Hist. Zeitschr.
209 ( 1969) l02<I06.
43 A. KLEMPT, Die Siikularisierung der universalhistorischen Auflassung - Zum
\'Vandcl dc.t Geschichtsdenkes im I6. und 17. ]h., Goungen 1960, 2oss., rettifica in
modo convincente la tesi secondo la quale sarebbe stato Melantone ad introdurre la
separazione tra storia ecclesiastica e storia profana (cosl pensa ad es. E.C. ScHERER,
loc. cit., [nota 4r] 49). Si ricordi pure il discepolo di Melantone David Chytraeus
per il qnale la sroria rerum maximarum a Deo et hominibus in Ecclesia et im-
periis, bello et pace gestarum... expositio, per quanto egli distingua la historia sa-
cr11 e la historia ethnica per il loro diverso oggetto e fonti (cf. E.C. SCHERER, op. cii.
[noia 4] 105 ss.).
4-1 F..C. ScHl::RRR, op. dt. (nota 4) 50.
CHIESA COME STORIA.

Rainer Reineccius ad Helmstedt, nel 1583. Gravida i conseguenze


fu la distinzione tra le due storie operata dal teorico di politica, il
francese Jean Bodin (t 1596). Le prospettive sono alquanto comples-
se: si vuol difendere la Historia sacra dalla critica umanistica ed allo
stesso tempo crearsi delle possibilit per una trattazione scientifco-
secolare della storia, applicata poi anche alla storia della Chiesa. Ma
all'inizio la Chiesa nella sua storia divenne oggetto di riflessione per
un motivo affatto teoogico: essa venne assunta al servizio della dog-
matica (d. sopra le pp. 371 ss., 376). n quanto possiamo osservare
nelle Centurie di Magdeburgo, che giungono fino al sec. XIII e il cui
primo volume venne pubblicato a Basilea nel 1564, come pure negli
Annales ecclesiastici dell'oratoriano Cesare Baronio, un'opera che giun-
ge fino ad Innocenzo III ed il cui primo volume vide la luce a Roma,
nel 1558; con gli altri volumi essa poi rimarr fino al sec. xix 1'0-
pera modello della storiografia ecclesiastica del cattolicesimo.45 La
importanza di questi tentativi, intrapresi lungo il cammino che
avrebbe poi condotto ad una interpretazione scientifica della sto-
ria ecclesiastica, sta nel fatto che essi consentiorono di chiarire ci
che realmente evento ecclesiale e ci che invece si trova, per co-
sl dire, a.Jla periferia della storia della Chiesa,% di afferrare quindi

45 H. }EDIN, Handbuch cit. (nota 5) 34. La storia della storiografi.a ecclesiastica cat-
tolica oggetto d'indagine fin dal scc. XVI ed ha giocato un ruolo notevole special-
mente in Francia. La prestazione senz'aluo migliore (H. }EDIN, Handbuch, cit.
[nota 5] 40) la Selecta historiae ecclcsiasticae capita ( 26 volumi, pubblicati a Parigi
negli anni 1676-1688) da Natalis Alexandcr, un domenicano antigesuita e gallicano,
morto nel r724; un'opera che pu essere considerata per certi versi la prima storia
ecdcsinstica cattolka completa dell'ra moderna (A. HANGGI, in: LThK VII (1962)
7971s.), anche se in un simile giudizio si dimentica un po' il fatto che l'attenzione
qui ancora troppo rivolta alle questioni dott11inali (A. H.'\NGGl, Der KirchenhistO
riker Natalis Alexander, Fribourg 11955). La moralistica Histoire de l'J1gfise (5 vo-
lumi, anni 1657-1678) di A. Godeau, tradotta anche in italiano e in tedesco (sulla
\ersione italiana), abbraccia i primi ouo secoli. Le Mmoires pour servir l'histoire
Jcclesiastiq11e des six premiers siclcs (r8 volumi, pubblicati a Parigi negli anni
i693-r712) di L. dc Tillemont, precedute da una storia degli imperatori che si ri-
feriva al medesimo periodo, sono un raggruppamento di fonti condotto secondo cri-
teri pedagogici. A questo autore, e sopmttutto al :nctodo critico di J. Mabillons, si
ispira !'Histoire cclesiastique, Avignon r77, trad0ttll. in tutte le lingue europee, di
Clande Flcury (16+0-1732), simpatizwnte delle idee gallicane; cf. F. GAQU!lli, C.
Flewy, Paris r925.
46 II. Z1MMF.RMANN, Ecclesia al.f Obickt der Hisloriographie. Studien zur Kirchen-
gcschichtsschteibung im :Mittclaltcr und in der friihcn Ncuzcit := <'.lsterr. Ak. d.
Wiss. Phil. Klassc 235, Koln 1960, 69.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

l'oggetto. Tuttavia la tendenza apologetica (ancor viva, nonostan-


te che l'umanesimo avesse ormai messo a disposizione un metodo
critico per lo studio delle fonti) 47 impedl il 'sorgere del problema
di una teologia storica. Ce lo attesta I.a storiografia ecclesiastica
protestante, nei suoi diversi tentativi, tutti ispirati a delle motiva-
zioni teologiche, non storico-scientifiche, di fissare il momento ero
nologico in cui ebbe inizio l'apostasia della Chiesa.48 Ma l'indica-
zione pi importante del fatto che, se si giunse ad una Chiesa-og-
getto non si fu per in grado di concepirla universalmente come
storia, l'impostazione analitica che traspare da questi studi, spes-
so strutturati in forma di centurie. Probabilmente non si trat-
tava soltanto di un problema storiografico, ma anche di una que-
stione teologica. Non era infatti possibile limitatsi ad inserire in
quel quadro storico-salvifico l'enol'me massa del materiale offerto da
una nuova trattazione scientifica della storia ecclesiastica: i due
concetti di storia non colilimavano.
Il trapasso verso una trattazione scientifica della storia della Chie-
sa, colta nella sua specifidt, presenta quindi, nei secc. XVI-XVIII,
numerose sfaccettature. Colui che per primo inaugur un modo
scientifico di riflettere sull'intera storia ecclesiastica ... (fu) Johann
Lorenz Mosheim. 49 Per questo autore, e per il suo discepol'O Johann
Schr&kh, l'orizzonte della storia della Chiesa non pi costituito dal
messaggio salvifico del cristianesimo ma piuttosto dalla societ uma-
na, che accoglie in se stessa anche la societ dei cristiani; ci significa
pure riconoscere la presenza, nella storia universale, della provviden-
za divina iJJuministicamente intesa (un illuminismo che inizialmente

47 P. Por,MAN, L'lment historique dans la controverse re/igieuse dt1 XVI .ricle,


Gcmhloux 1932.
4ll Secondo le Cent11rie di Magdeb11rgo nel sec. IV, per Calvino nel scc. III, per
Gcorg Calixt (i" i656) nel sec. vi (egli distingue comunque trn )'ardore della frdc,
intt>llsissimo nei primi tre secoli, e la formazione acquisita). \Villiam Bcveridge
(f 1708, wscovo di Wales), in conformit con il 'uo concetto di Chiesa, ritiene che
il periodo della tradi:<ionc ininterrotta degli apostoli sia durato per r400 anni,
mentre gli spiritualisti (Scb. Franck, Kaspar Schwcnckfeld1) sostenp,ono che l'apo-
stasia della Chiesa abbia inizio fin dall'~rn post-apostolica e hc perduri anche dopo
la Rform:1; d. P. MFINHOJ.D, op. cit. (nota rn) 11, 268-338, 357-369. Val la pena
notare che il teologo riformato Joh. Ilcnrich Ilottinger (T 1667) paragona l'epoca
<lcll'imperntorc Cosrnntino, generalmente considerata come l'inizio della sventura,
con la Riforma contro il papismo (Ibid., p. 394).
<r> H. ]EDIN, I fondbuch, cit. (nota .5) 4r.
CHIESA COME STORIA

fu avvertito proprio in questo suo tendere verso un nuovo tipo di


universalit). Volendo esprimerci in termini un po' drammatici, po-
tremmo dire che, nel momento in cui Satana, sotto l'incalzare del
metodo pragmatico, abbandon silenziosamente la ribalta della scena
storico-profana,50 la Storia ecclesiastica era gi perfettamente strut-
turata come disciplina storico-scientifica e il processo che doveva con-
durla a scienza speciaHzzata ormai concluso. Abbiamo gi illustrato il
problema che sorge quando a questo tipo di storia ecclesiastica si
giunge mediante la dogmatica, la quale opera un trapasso Ef4 &>.>..o
yl'lloc;. Ora dovremo sforzarci di delineare, a prescindere da questa ce-
sura, i diversi modi in cui la Chiesa venne compresa come storia.
Il tentativo ci riconduce agli inizi deHa storiografia ecclesiastica, la
cui paternit viene spesso attribuita ad Eusebio di Cesarea (t 339),
per quanto la coscienza storica di que5to autore fosse preceduta da un
altro tipo di coscienza, fondamentalmente diverso e presente nella
giovane cristianit. Non solo la concezione di una storia della salvezza
pi antica della storiografia ecclesiastica,51 ma il tempo stesso della
Chiesa anteriore alla sua interpretazione storico-salvifica, come ha
messo recentemente in evidenza H.E. v. Campenhausen. 52 Non con-
cepibile una storia di salvezza che non si inquadri in una prospettiva
dell'Antico Testamento. Va per notato che i continui richiami -
della stessa Chiesa primitiva - ai singoli eventi defila storia dell'anti-
ca alleanza mirano senz'altro ad affermare il pieno diritto della comu-
nit cristiana di considerarsi il vero Israele, ma inizialmente non ven-
gono ancora interpretati come espressione di una linea storica della
sa1vezza. quanto riscontriamo invece - e un simile atteggiamento
influir in modo decisivo anche sui secoli che seguiranno - nella dot-
trina di Ireneo di Lione (t verso il 202), che nei quattro testa-

50 W. Nigg (p. 113), il quale pone in contrasto la storiografia scientifica con quella
di Eusebio. Anche dopo la benemerita documentazione offertaci da P. Meinhold
nella sua (;eschicbte der kirchlichen Historiographil:, l'autore ha illustrato la sto-
riografia ecclesiastica specialmente nelle introduzioni ai documenti, non nel loro
svilupp.) <IOl'irn generale .--- il libro di W. NIGG, Die Kirchengescbichtsschr~ibung,
1934, nonostante i suoi limiti, l'unica opera, per quantJ superata da molt~ inda-
p,ini particvlari e pure dal lavoro di P. Mcinhold, che tratti questo tema; cf. anchv
H. DrcKERHOF, op. cii. (nota 42).
51 H. ]EDIN, Handbuch, cit (nota 5) I, 2L
52 Il.E. v. (AMPENHAUSPN, 'Die Entstehung der Hcilsgcschichtc', in: S.iccultem
7.! (1970) 69-9r.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

menti, l'alleanza con Adamo dopo il peccato originale, con No do-


po il diluvio, con Mos sul monte Sinai e con il vangelo, che rinno-
va l'uomo e compendia in se stesso ogni cosa,53 vede gli stadi del-
la storia salvifica operata da Dio nella storia della umanit. Questo
vangelo, -che traspone gli uomini nel regno dei cieli e porta a
compimento la storia di salvezza, stato affidato agli apostoli, i qua-
li lo hanno trasmesso nella successione ininterrotta dei vescovi. L'iln-
portanza determinante di questa tradizione ministeriale, che Ireneo
non si stanca di illustrare e d contrapporre alla gnosi, attesta indub-
biamente l'autocoscienza istituzionale della Chiesa, sempre fondata
su una coscienza storica. Si per giustamente osservato che la
Chiesa non viene avvertita, nella sua origine, come depositaria sto-
rica di traidizione - cio in se stessa,54 e che quindi il processo del
tramandare, l'actus tradendi, non si rende autonomo a tal punto che
la comunit di coloro che tramandano diventerebbe una entit sto-
rico-salvifica, rappresenterebbe lo stesso traditum. Esiste soltanto
un'unica e medesima fede, che non pu venir dilatata da chi abile
nel parlare, n ristretta da chi poco parla: 55 qui Ireneo non si rivol-
ge contro la gnosi ma ha in mente coloro che nella Chiesa capisco-
no pi degli altri. Una simile comprensione senz'altro lecita, tutta-
via ci che deve essere tramandato l'-unica e medesima fede, che
lungo il processo della tradizione non pu venir n dilatata n ri-
stretta. 11 tempo della Chiesa deriva quindi la propria storicit dal
fatto che la storia di salvezza, giunia ormai al suo compimento, viene
da esso conservata, proprio in tale stato di completezza, durante un

" Adv. hller. m, rr, 18 (in P. MEJNHOLD, op. cit., 1, 55, citaz. secondo l'edizione
cd enumerazione di W.W. li.ARWF.Y, Cambridge 1857, II, 50). - ]. DANIRLOU, 'Saint
Irne et Ics origincs de la thologie de J'histoirc', in: RSR 34 (1947) 227-231.
o;.i W. KAMLAH, Christentum und Geschichtlichkeit, Stuttgart 1951, 67. Quest'ope-
ra, pur giustamente criticata per l'impiego che essa fa di catt:gorie moderne, tcologico-
csisten~iali, nell'interpretazione di fatti storici, rimane pur sempre uno dei pi im-
ponanti contributi sul problema della formazione della storia ecdesiastica. Cf. J_
RATZJNG"R, 'Herkunft und Sinn dcr Civitas-Lchre Augustins. Bcgegnung und Ausci-
nandersctzung mit Wihl. Kamlah', ristampato e pubblicato in W. LAMMERS (a cura),
Gescbichtsdenken und Cescbtchtsbild im Mittdalter, Darmastadt 1961: Si veri-
fcata forse una dcstorificazionc nel senso in cui Kamlah l'intende, un'escatologizza-
zione ... nel senso di isolamento radicale, o non vero invece che questo supera-
mento di ogni limite ha il significato <li un legame con l'Io di Cristo e quindi con
il Noi dcl nuovo a, ~ou ilEou? (p. 7r ).
"' Adv. haer. r, 20, 2, citaz. secondo la BKW, ,\liinchen l9r2 (tra<l. i E. KLEBDA).
CHIESA COME STORIA

tempo che ancor perdura. Certo, in quanto esso il punto verso cui
si orientano i divini fatti dell'al!leanza, possiede anche un suo luogo
storico, alla fine della storia di salvezza, e quindi non soltanto un
breve intervallo, privo di storia, compreso tra l'assunzione del Si-
gnore e il suo ritorno, ma ha anche una sua pre-istoria. In se stes-
so considerato, per, non il tempo della salvezza.
Un'identica concezione sta pure a fondamento della dottrina di
Giustino e di Ireneo, i quali, richiamandosi alle speculazioni tardo-
giudaiche, strutturano la storia nei sei giorni della creazione: come
la creazione, anche la storia della salvezza stata portata a compi-
mento nel suo sesto giorno, cui successo il giorno del riposo. La
concezione chiliastica che Ireneo ed altri sostengono, 56 legando il
mito della settimana con le visioni dell'Apocali~se, per cui solo
quando il mondo sar rinnovato e Dio ritorner, i giusti risorgeran-
no per ricevere l'eredit loro promessa ... e per regnare sulla terra, 57
non vuol proporre alcun nuovo tempo di salvezza ma soltanto un
giusto conguaglio in favore dei giusti, che hanno dovuto soppor-
tare tante sofferenze. Ma ci che pi conta che qui non s'intende
ancora un tempo della Chiesa il quale si estenderebbe fino a compren-
dere la stessa storia. La salvezza si gi pienamente attuata: Poi-
ch questa la fine del genere umano che ha Dio come eredit: co-
me all'inizio, ad opera dei primi uomini, fummo tutti condotti in
schiavit attraverso la colpa della morte, cosi alla fine del tempo, ad
opera dell'ultimo uomo, tutti coloro che fin dall'inizio s<lno stati suoi
discepoli, purificati e lavati dalla colpa della morte ora entrano nella
vita di Dio. 58 Il fatto poi che questa conoscenza per fede della fine
del genere umano sia stata accompagnata anche da certi computi
cronologici, escogitati per dimostrare che gli ultimi tempi erano or-
mai prossimi od f!ncora lontani (Ippolito nella sua cronaca), di per
s ci testimonia pi ln realt dell'attesa che la raffigurazione di una
ra 'cristiana' dilatantesi nella storia.59 E tuttavia bisogna conce-
dere che queste cronache, le quali erano redatte secondo modelli

S G. ENGE!.llARDT, 'Chiliasnms (dogmengeschichtlich)', in: LThK !I, {1958) 1059-


1062, ci1az. alla col. 1060.
>i Adv. h,;er. v, 32, 1 1 citaz. secondo la BKW.
" Adv. br1cr. 1v. 22, 1, citaz. secondo la BKW.
59 F. Ki1:\lLAII, op. cii. (nota 54) 120.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

pagani (oltre quella di Ippolito, ricordiamo soprattutto quella di Eu-


sebio di Cesarea) e sincronizzavano gli eventi della storia profana
con quelli della storia della salvezza, estendendo il parallelismo fino
all'epoca contemporanea (le indicazioni cronologiche venivano in par-
te indicate coi periodi di governo dei diversi sovrani), incominciaro-
no a situare il tempo successivo alla risurrezione ed ascensione nella
storia profana. vero che molto tempo prima di Costantino gli av-
venimenti dell'impero romano erano stati interpretati nel significato
che essi rivestono per la storia di salvezza (Origene), ma a quel tem-
po non si era stabilita ancora un'esatta correlazione tra storia del
mondo e storia della salvezza. :B sostanziale la differenza che passa
fra la Cronaca di Ippolito, la quale giunge fino all'anno 234, e la
Cronaca di Eusebio di Cesarea, ma sopratt:utto quella dei suoi prose-
cutori. Quest'opera, che all'inizio si estendeva fino all'anno 303,
venne poi condotta, mentre Eusebio era ancora in vita, fin oltre il
tempo delle persecuzioni, e pi precisamente fino all'anno 325; Gi-
rolamo ne tradusse in latino la seconda parte e la complet con brani
di storia romana; l'influenza che essa eserciter sulla formazione della
coscienza storica del cristianesimo occidentale sar in ogni senso di
tipo storico-profano. Passando attraverso le cronache dei secc. v
e v1, soprattutto lungo gll scritti di Gregorio di Tours e di Isidoro
di Siviglia, il cammino conduce alla cronaca profana del medio evo,
entro la cui cornice si potuto collocare ogni studio storico parziale,
anche quello che aveva per oggetto la storia della citt.00 Pure il com-
puto cronologico dell'ra cristiana, proposto dalla cronistica (cosi il
Chronicon Paschale, probabilmente d'origine costantinopolitana, fis-
sa l'inizio della cronologia cristiana col giorno 21.m.5507 e giunge
fino all'anno 629), documenta la profonda trasformazione operatasi,
fin dal tempo di Ireneo, nell'atteggiamento dei cristiani di fronte ad
un'ra profana ancora perdurante. Il maggior responsabile di que-
sto camhiamento Eusebio.
Il carattere di questo personaggio, il suo rapporto con la realt del
mondo, non possono essere ridotti ad una mera casualit biografica
neila storia della Chiesa e della sua autocoscienza storica. Manifesta-

60 A.-D. V.D. BRINCKHN, Studicn zur lateinischm Weltchronistik bis in das 7,eital-
ter 01/os von Freising, Diisseldorf 1957.
680 CHll!SA COME STORIA

mente egli era l'uomo del momento. Eusebio osserva la storia del
mondo e della Chiesa con ottimismo aulico; nella sua qualit di ve-
scovo dello stato, ligio all'imperatore, egli elabora un ideale impe-
riale e statale che eserciter una forte e lunga influenza.61 Possiamo
senz'altro ammettere che la sua importanza di 'padre della Chiesa'
rimanga intatta,62 ma dovremo anche aggiungere che, come redatto-
re della sua Cronaca profana ed autore della prima Historia eccle-
siastica, eg1i. non soltanto il padre ma anche il testimone rap-
presentativo di un grave dilemma. Il tempo della Chiesa, nella
sua qualificazione teologica e nel suo carattere di fine della storia di
salvezza, era stato posto, infatti, in sincronia non soltanto estrinseca
con la storia profana che perdurava. Ma questa identificazione, man-
tenuta non senza contraddizioni, nel corso dei secoli, un bel giorno
and in frantumi: prima nei secc. XII e xm, quando ci si chiese qua-
le fosse il tempo proprio della Chiesa, e poi all'inizio dell'ra mo-
derna, quando sorse il problema della storia ecclesiastica. Contro
un modo di esporre in termini troppo semplificati la cosiddetta svol-
ta costantiniana, si richiamata giustamente l'attenzione su certe
testimonianze pre<ostantiniane, da cui traspare un modo di valutare
positivamente, talora sulla scorta di motivi teologici, l'impero ro-
mano.63 Ma si cadrebbe nella semplificazione opposta quando, vittime
del tentativo di armonizzazione ad oltranza, non si fosse disposti a
riconoscere una cesura in quanto si legge ne1 lib. x della Storia Ec-
cleS<iastica, dove proprie un cristiano che parla (nella Vita di Co-
stantino) di un sovrano di questa terra; che si tratti di un encomio,

61 B. A1.TANER .. A. SrurnER, Pt1trologie, Frciburg i.Br. 71966, 2r7 (trad. it., Patro-
logia, Marietti, Torino).
62 txx}..w:no:CT'l'LXTJ lcr-c-plr.t., prima del 303 in 7 libri, altre due edizioni fino al
325 in 10 libri. - Edizione in lingua greca e tedesca a cum di H. Kraft, 2 voli.,
Darmsrndt 1965. - IL RAHNER, 'Eusebios v. Kaisareia', in: LThK III (1959) II95
rr97, qui alla col. u96. - II. BF.RKllOF, Die Theologie des Eusebius von Ciisarea,
Amsterdam r939, spct. 52-59, dove ~i mustra che Eusebio adduce la prova apologe-
tica ricavata cbi fotti della storia e in Costantino vede adempi'.1ta la profezia bi-
blica; lD., Kirche 1md Kaiser, Ziirich 1947, spec. 54-rn4; W. VOLlrnR, 'Von wclchen
Tendenzcn liess sich Euschius h"i dcr J.utiasrnng seiner Kirchcni.:escbichtc lciten?',
in: \ligiliac chrrtmac 4 ( rci50) 157-180; G. BARDY, 'La thfologk d'Eushc de C-
san~c d'apr:s ll'!istoirc ccdcsiasfiqtH'', in: RHE 50 (1955) 5-20; C.S. WAI.J.ACh
IlAmrn.1., l'tirebius of Cac:sarca, London r960; A. DF.MPF, 'Eusebius als Historiker',
in: _labrh. d. Bayl'Y J1k. d. WiJs., Phit. K.l., Miinchen 1964, fase. 11.
'" H. RAH!l;ER, Kirch~ umi Stru:I i>n frtlhcn Christent11m, Mi.inchcn 196r.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA 681

non solleva soltanto una questione di tipo storico-letterario. Possia-


mo ammettere che Eusebio non fosse in grado di esporre la stotia
seguendo un metodo genetico; questo per un giudizio che noi
diamo partendo dal punto di vista della scienza storica moderna. Ci
che qui pi importa che egli possa parlare del tempo della Chiesa
dopo Costantino usando un linguaggio che teologicamente conve-
niente soltanto per una descrizione del giorno della gloria di Cristo:
Un giorno sereno e radioso, non turbato da nube alcuna, incomincia
a splendere sulla terra intera ed a rischiarare, coi raggi della luce
celeste, le Chiese di Cristo.6' Eusebio ha equiparato l'ra post-co-
stantiniana al periodo di pace atteso dai chiliasti,es ed a questo il
tempo della Chiesa, che egli cerca di descrivere da storico. H. Je-
din osserva che Eusebio supera l'impostazione escatologica.116 E
sta proprio qui il problema.
L'opera di Eusebio venne continuata da altri: Rufino di Aqui-
leia la diffuse dopo averla tradotta e rielaborata, mentre Cassiodoro
compose una Hstoria tripartita che non era altro se non un com-
pendio, scritto in lingua latina, delle tre Continuazioni. Essa offri
quindi al medio evo la base per una conoscenza del periodo primi-
tivo della Chiesa, ma non venne ulteriormente proseguita nel corso
dei secoli successivi. Il luogo della comprensione storica del medio
evo non fu l'Historia Ecclesiastica bensl la cronaca storico-salvifica,
nella quale si poterono continuamente inserire i nuovi avvenimenti
che si verificavano nella storia profana (come pi sotto illustrere-
mo, ben diverso sar l'atteggiamento della teologia storica dei secc.
xn e xm). Degno di nota, e di una certa importanza anche per la
struttura cronologica delle cronache profane, il fatto che Socrate
('t dopo il 439), uno dei prosecutori dell'opera di Eusebio, ordina
la storia ecclesiastica del periodo compreso fra gli anni 305-439 se-
guendo la cronologia dci diversi imperatori, ritenendo cosl che la
cronologia non costituisca uno schema puramente estrinseco di ca-
talogazione, un momento trascurabile. Intenzionalmente Sozomeno

"' Tlist_ f'al., X,1,8, trhl. in; BKW: Eu.tebi11s Il, Miinchcn r932, .137.
65 A. WACHTEI., Beitrii}l,e zur Geschichtstheo!ogie dcs Aurclir's Augr,stinus, Bon-
nl'r IIist. I'orschungcrn>, 17, 1960, 75, con riferimenti a J. STRAUB, Vom Herrsche-
rid~al rfrr Spiitantike, 1939, 116 ss. ed a J. VOGT, Consta11tin d. Gr . r949, 289 ss.
'"' H. JEmN, HandbtJch (nota _5) J, 22.
682 CHIESA COME STORIA

situa gli eventi verificatisi tra gli anni 324-425, e che hanno per
protagonisti Chiesa e impero, entro un .orizzonte storico-profano.
Rufino critica il lib. XVIII della Storia Ecclesiastica di Eusebio, ma
significativamente senza richiamarsi a dei motivi teologici; rimpro-
vera infatti all'autore di aver profuso elogi ai vescovi, che pur non
contribuiscono minimamente ad una reale conoscenza della storia.67
A differenza di quanto osserviamo in Occidente, nell'impero bizan-
tino la concezione storico-salvifica della cronaca profana non assunse
il carattere di principio ispiratore. All'inizio del sec. VII l'ultimo mil-
lennio viene interpretato, e questo chiaramente contro Ireneo ed al-
tri, in termini storico-ecclesiastici. Per la storiografia classica, la sto-
ria della Chiesa coincide con fa storia dell'impero, in quanto i con-
torni dell'orbis christianus sono identici a quelli dell'impero, dove
l'imperatore il depositario supremo dello Spirito.68
Ci che sta verificandosi sia nella Chiesa orientale come in quella
occidentale, anche se in modi diversi, viene alla luce nei primi anni
del sec. v, da una riflessione che stata provocata da determinati
eventi di storia profana e che, per la sua profondit, non trova al-
cun riscontro nella storia dell'approfondimento cristiano di quel rap-
porto tra fede e storia che sta alla base del problema della storia
ecclesiastica. Ma non sempre si prestata la dovuta attenzione al
fatto che la teologia storica di Agostino ha una sua collocazione sto-
rica ben precisa. Tra ia concezione degli schata di Ireneo e l'esca-
tologia di Agostino abbiamo la vittoria che il cristianesimo riport,
con Costantino, sul potere ostile dello stato, una vittoria avvertita
come la pi bella prova della sua origine divina 69 anche quando
la gran parte dei cristiani vittoriosi non sapeva cosa rispondere
alla critica che il paganesimo romano muoveva alla chiesa imperia-
le di Teodosio, dopo quanto era successo a Roma nel 410. Non
possibile delineare con assoluta chiarezza i veri termini della rispo-
sta data dal vescovo di Ippon;1 - come lo dimostrano anche gli stu-
di condotti su Agostino, compresi i pi tf'centi - , perch nemmeno
lui, nonostante avesse criticato l'identificazione tra imperium roma-
num e civitas Dei, come troviamo formulata nella teologia imperiale

67 Citaz. in P. MEIN!lorn, o/>. cii. (nota 10).


68 H.-G. BEcK, 'Kirchcngeschichtc', in: J.ThK VI (196!) 212.
(f} ALTA1'ER.5rum1m, op. cit. (nm:1 61) 219.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

di Eusebio, 70 poteva prescindere dall'atteggiamento politico assun-


to nella lotta contro il donatismo. Anche Agostino infatti pot scri-
vere la sua teologia deila storia, da cui pur traspare un inequivocabile
e deciso rifiuto della trasposizione delrattesa cristiana in un'utopia
politica, soltanto nelle condizioni storiche in cui viveva, e da queste
non si pu prescindere allo scopo di elaborare una teoria pura. Ur-
to, egli non poteva sapere che il De Civitate Dei avrebbe poi offer.
to, durante il medio evo, la motivazione teologica della regalit sa-
crale,71 e tuttavia non 'gli si imputa affatto un'ingenuit che senz'al-
tro non possedeva quando si dice che egli non ha minimamente
previsto la portata storica delle rivendicazioni da lui avanzate nei
confronti del potere politico.n Tra gli innegabili condizionamen-
ti storici che caratterizzano la teologia agostiniana della storia, va
annoverato anche il fatto che Agostino non si limita a criticare (in
modo davvero insuperabile, che richiama il discorso apocalittico della
prostituta di Babilonia) la politica di potere dell'impero romano,
e in questo egli il primo ad inaugurare un nuovo corso 13 dopo Eu-
sebio, ma loda anche la virtus romana e mostra pure la sua preoccu-
pazione - per quanto ben diversa dallo sgomento cos poco cristia-
no di Girohuno - per le sorti dell'impero.74 Pure Agostino, al pari
di Eusebio, poteva vedere nella svolta costantiniana l'adempimen-
to della profezia biblica, senza per questo essere indotto, seguendo
Eusebio, a celebrarla come il giorno della gloria del Signore; anzi,
rifiutando una certa interpretazione della pax romana di Augusto,
osservava con ironica freddezza che in seguito non si conobbero tem-
pi cosl tranquilli. 75 E importante ricordare che Agostino - distan-
ziandosi da un certo spiritualismo iniziale di tipo chiliitstico - ac-

;o E. Pr:TERSON, 'Kaiser Augustus im Urteil der antiken Christenheit. Ein Beitrag


zur Geschichte der polfoischen Theologie', in: Hochland 30 (r932f33) 294: In Eu-
sebio l'escatologia s tramuta in una utopia politica, che non viene pi attesa per
il futuro ma che gi diventata realt fin da quanto l'Augusto ha incominciato ad
esercitare il suo potere nell'impero romano; In., 'Der Monotheismus als politisches
Prnhlem', in: Theol. Traktate, Munchen 195r, 45-117.
11 G. T1.1.t.ENBAC11, Libcr!ar, Stullgart 1936; O. Ki)Hl.F.R, 'Die ottonische Rcich-
skirche', in: J. F1.ENKENSTEIN (a cura), Ade! rmd Kirch~, Freiburg r969, r41-io4.
n \YJ. KAMl.All, op. cit. (nora 54' 181.
7.' lbid.. 176.
74 J. STRAUll, 'J\ugus~inus Sorge 11m dii: regen~ratio imperii', in: Hislor. Jahrbuch
7~, Miincben 1954.
;5 Citazioni in 1\. WACIITEL, op. ci!. (nota 65) 95.
CHIESA COME STORIA

cetta la dottrina delle et, senza per condividere l'idea irenaica di


un progresso di tipo pedagogice-salvifico, ma riponendo ogni involu-
zione storica nel mistero divino.76 Forse l'impero romano desti-
nato a scomparire, ma proprio questo il corso delle vicende ter-
rene; forse gli sar offerta ancora qualche chance (come si pu ri-
cavare dalla cronologia comparata), che tuttavia importa ben poco ad
un cristiano che attende il ritorno del Signore. questo il quadro
storico di Agostino, la cui storicit salvifica radicale si presenta, nel
suo risvolto storico-profano, come una specie di relativismo storico,
che egli oppone alla credenza degli uomini del suo tempo nella sto-
ria. I regni sorgono e tramontano, mentre l'ecc/.esia non ha la sua
stabile dimora in alcuna di quelle forme culturali entro cui essa edi-
fica le proprie abitazioni.71 Non enim Romanus, sed omnes gentes
Dominus semini Abraham promisit.78 E proprio perch questa pro-
messa si realizzi pienamente, perdura ancora la sesta et del mondo,
un'et nella quale Dio non opera pi alcun nuovo fatto di salvezza:
ut numerus omnium nostrum usque in fnem possit impleri.19 Que-
sto impleri da una parte e le persecuzioni storiche dall'altra (secon-
do Agostino queste ultime conoscono tre fasi: persecuzione aperta;
tranquillit sul fronte esterno ma persecuzioni ad opera degli eretici
e dei falsi fratres; l'Anticristo) attendono ancora di essere approfon-
diti. Il problema poi di come Agostino concepisca questo impleri,
cio quale sia il suo concetto di Chiesa,w e come la civitas Dei e la
Chiesa si rapportino tra loro, rimane la tematica pi controversa de-
gli studi agostiniani (che non intendiamo arricchire con uno nostro
personale). Per quanto riguarda la questione che qui c'interessa, la
questione cio de1la <~storia ecclesiastica)), ci che importa che cer-
tamente Agostino non ha identificato la civitas Dei con l'ecclesia nel
senso che l'adunanza dci chiamati, la communio sanctorum, andreb-
be osservata nel decorso di una specifica storia ecclesiastica. E d'al-
tra parte egli non intende nemmeno il tempo della Chiesa come ar-
roccamento di tipo escatologico,H1 inconciliabile soprattutto con la

76 Ibid., 71.
71 lbid., con drnzioni alla p. '.-!O.
18AGOSTINO, l!.p. I99, 47
79 En. in ps . .H 2. 9, citaz. in A. WACIITEL, op. d1., 74-
80 II. Fiur.s, in: A1yslt'ri11111 Salutir 1v/1, 282, 285.
Hl A. WACllTEL, op. cit., 117.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA 68;;

sua idea della propagazione ecclesiale, illustrata nelle poche affer-


mazioni della civitas Dei sulla storia ecclesiastica e pur essa intesa
come un adempimento della promessa dell'AT e di Cristo stesso.82
Non pu comunque non sollevare forti riserve l'uso di concetti tipo
comunit imponente per la sua storia o capace di storia 83 nel
descrivere I' ecclesia agostiniana, in quanto la Chiesa non assolve il
proprio compito dell'impleri seguendo i canoni della storicit uma-
na. Forse in nessun luogo l'aporia insita nel concetto di storia ec-
clesiastica diventa tanto manifesta quanto nel concetto agostiniano
di Chiesa, la cui problematica non pu essere derivata soltanto dal
neoplatonismo.
Nel medio evo c' soltanto storiografia cristiana, non storia ec-
clesiastica.114 Questa osservazione di H. Jedin non potrebbe essere
pi precisa. E che cosa significa per il problema della 6toria della
Chiesa, nel cui nucleo si cela pur sempre anche quello della stessa
Chiesa? Eusebio aveva isolato tematicamente il periodo della Chiesa,
ma il suo punto di partenza era stato la cronaca profana, entro la cui
cornice egli situa pure la sua Storia Ecclesiastica. Ci che influir in
seguito sugli scrittori occidentali non sar questo isolamento del tem-
po della Chiesa dalla storia profana, bensl la sua teologia imperiale,
che nell'opera di Costantino vede un adempimento di tipo storico-
salvifico. E ci vale anche per Agostino, di cui s'incomincia a co-
gliere non il distanziamento teologico dall'impero romano, bensl i
condizionamenti storici della sua teologia della storia, dimentican-
do l'aporia insita nd binomio: civitas Dei - ecclesia. In questo senso
Orosio 115 esercit una funzione mediatrice. Le sue Historiae ad versus
paganos, una cronaca scritta su invito di Agostino e che giungeva
fino all'anno 417, fanno trasparire chiaramente l'intenzione apolo-
getica di mostrare come, prima dell'avvento del cristianesimo, la
situazione fosse continuamente peggiorata; era quindi implicita an-
che la conclusione che, con l'inizio dcll'ra cristiana, le cose avevano
preso ad andar meglio. La mediazione venne poi favorita anche dal

82 Civ. Dei xvm, .50; BKW m, 179 s.


i;.i A. WACllTI!~ op. l., 54, n7.
114 II. ]EmN, Handbt1ch, cit. (nota 5) 25.
"' Sruunm-AJ.TANER, Ofl. cit. (nota 61) 2p; K.A. ScHiiNtlORl', Die c~schichtsth('O
/oi!,ie des Oros1s (tesi di laurea), Mtinchen 1951: A. L1PPOLD, Rom imd die llar-
bari>n i11 der Beurteilung de.r Orosius (tesi di laurea), Erlangen 1952.
686 CHIESA COME STORIA

tatto che la critica all'impero romano, ancor pi cruda di quella ago-


stiniana, riscontrava una certa simpatia nei popoli germanici. La
1

ooscienza escatologica di vivere nella sesta et, l'ultima di questo


saeculum si componeva - nella dottrina dei quattro regni che lo
stesso Orosio sosteneva - con una coscienza di tipo storico-profa-
no. Girolamo combin poi la teoria politica sorta nell'et augustea,
secondo la quale l'impero romano sarebbe stato l'ultimo e definitivo
regno di tutti i regni, con la visione profetica di Daniele (2,36-45;
7,1-4): dopo la scomparsa dei quattro mostri, cio del regno dei
babilonesi, dei medii, dei persiani e dei greco-seleucidi, Dio ripri-
stiner il suo dominio salvifico; Roma quindi l'ultimo regno prima
dell'avvento del dominio salvifico profetato da Daniele, del ritorno
del Signore. Bisogner ben guat'Clarsi da un uso troppo semplicistico
di concetti quali svolota oostantini'<lna e de-escatolog;izzazione
quando si affrontano concezioni cosl complesse. Nella sua Vita Mal-
chi,M Girolamo afferma che sua intenzione parlare della venuta
del Redentore, dai suoi inizi fino alla nostra et, cio dal tempo
degli apostoli fino all'apostasia dei giorni nostri..., di come la Chie-
sa sia cresciuta nelle persecuzioni e sia stata esaltata dai suoi martiri
e di come questa stessa Chiesa, da quando ebbe sovrani cristiani,
abbia aumentato il suo potere e la sua ricchezza, ma perso di forza
interiore. La stessa persona che nutri sempre vivo questo desiderio,
pur senza mai poterlo realizzare, nella presa di Roma del 4xo vide
spegnersi la luce del mondo, senza vedere anche spuntare, men-
tre l'ultimo regno volgeva al tramonto, l'alba della settima et.
Nessuna coscienza storica si lascia sistematizzare. La prospettiva
che Girolamo d delinea, e che mota attorno all'idea di un totale
decadimento, non affatto singolare nella patristica: ce la ripropone,
con accenti tacitiani, anche Salviano ( t dopo il 480 ), il motivo do-
minante della Storia dei Goti, scritta da Giordano (verso il 5 5 1 ), e
della Storia dei Franchi di Gregorio di Tours (t 594), mentre Gre-
gorio Magno (t 604) l'evolve con l'occhio puntato decisamente sul-
la navicella della Chiesa. E fu proprio questo l'orientamento pre-
vaknte, il quale per poteva senz'altro comporsi con l'intenzione di

iv, Vita Ma/chi, 1: PI. 23, 5.~ - P. ME1mrn1.o, op. cii., 142, mette fortemente in
evidenza questa csprcs$ione cli Girolamo; e pu essere amche corretto farlo, 1na solo
a patio che non ci si dimentichi che quest'uomo stato formato nella cultura laia.
S1'0RIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

elaborare una. nuova impostazione storica, dove l'autorit preminen-


te dell'antico vero non escludeva la possibilit di uno nuovo,61
naturalmente legato alla tradizione, anche se non ci si dovr qui
attendere l'impostazione tipica della storiografia moderna. La visio-
ne escatologica permane, ora per con una sua propria storia. In
questo quadro si potr allora comprendere anche la teologia storica
di Ottone di Frisinga (f 1158), il cui Chronicon sive Historiae de
duabus civitatibus (1143-46) offre un particolare contributo docu-
mentaristico alla nos-tra problematica, perch l'autore si richiama
espressamente ad Agostino ed allo stesso tempo manifesta la con-
vinzione che la civitas Dei si realizzi nell'imperium christianum,88
proprio quella convinzione, quindi, che Agostino aveva inteso sfa-
tare scrivendo la sua opera. In senso traslato questo imperium
l'impero romano, l'ultimo regno, anche se lo si descrive seguendo
lo schema delle diverse et, e quindi come invecchiato e decrepito.
quell'imperium romanum in cui la civitas Dei, che fino all'avven-
to di Cristo si trovava nascosta nella civitas terrena, da allora in
poi {Agostino) si progressivamente dispiegata, sotto Costanti-
no stata liberata dalle sue tribolazioni esteriori e infine, dopo il
trionfo riportato sulle eresie, da Teodosio in poi si estesa fino a
comprendere l'intero popolo e quasi tutti i suJi prncipi, per cui
io non ho illustrato la storia di due stati ma in pratica soltanto
quella dell'unico stato cui do il nome di cristianit.89 Cristianit,
chiesa, regno (di Cristo) sulla terra, sono tutti termini che vo-
gliono indica-re la civitas Dei nel contesto armonico dell'imperium-
sacerdotium e in quella mescolanza di bene e male che soltanto Dio
1

dovr vagliare 00 e che tipica della sesta et. Qui tutto ancora
intrecciato: accanto alla coscienza escatologica che Agostino ha del
carattere caduco della storia profana, troviamo anche la qualifica-
~ione storico-salvifica dell'impero romano, delineatasi ancor prima
di Eusebio, ma soltanto da questi formulata in termini di assoluta

1 J SPORI., 'Das Alte und das Ncue im Mittelalter', in: Hist. ]t1hrb11ch 50
(itJW) 297-34r, 498-524 qui alle pp. 512s. e 330.
~~ fo_, 'Die Civitas D~i im Geschichtsdenkcn Ottos von Frd~ing', ristampa in:
\V!. LAMMERS (a cura}. op. ct. (nota 54).
~9 Chronicd r, Pro!. (cd. A. HoFMEISTER, trad. A. Sc!lMIDT, curata per la nuova
ristampa da W. LA'.1.IMERS, Darmstadt 1960, 3n).
90 I hid., 58 3 s.
688 CHIESA COME STORIA

identificazione. Non si riuscir a comprendere questa teoria, come


del resto nemmeno il dato storico della regalit sacrale del medio
evo d'Occidente, finch ci si limiter ad affermare in modo indiffe-
renziato il principio: come al vertice cosl alla base,91 senza scor-
gere quindi le tracce di quell'esplosivo germe cristiano che molto
prima di Ottone di Frisinga - nel suo tentativo di armonizzazione,
questo autore si dimostra in ritardo sui tempi - era stato afferma-
to durante i moti della riforma monacale, ovviamente in diverse sfac-
cettature. Concludendo il suo lib. vn, il cistercense Ottone non ve-
de nella Chiesa, bensl nel monachesimo, il fenomeno spirituale in
cui si annuncia, nella sua forma pi chiara, il giorno eterno del-
l'eterna pace.
In un simile quadro storico non pu assolutamente nascere una
storia specifica della Chiesa. Nemmeno l'Historia ecclesiastica (nxo)
di Hugo di Fleury, anteriore aila cronaca di Ottone, pu essere con-
siderata veramente tale, nonostante le promesse contenute nel pro-
logo. Occupandosi di quest'opera, H. Jedin, 92 ha colto l'occasione
per formulare alcune importanti questioni di ordine generale, che si
riferiscono al problema della storia ecclesiastica. Egli nota innan-
zitutto che si tratta <(piuttosto di una cronaca storico-salvifica di vec-
chio stampo, come del resto si pu gi arguire dal titolo completo
(Liber ... gestorumque Romanorum atque Francorum). Egli rimanda
anche a Hugo di Fleury, ricorda cio un parallelismo tra creazione
e redenzione che vanta un'antica preistoria (Adamo-Cristo in Paolo
ed Ireneo; cf. sopra alle pp. 39os.), ma che qui presenta un diverso
e nuovo accento (per le sacrae historiae l'Antico Testamento
I'aetas puerili-s, il Nuovo l'aetas virilis). Nel vahitare queste espres-
sioni bisogner tener conto del simbolismo teologico-storico che
esse racchiudono (cf. pi sotto alle pp. 407 ss., 412 s.). Sono pro-
prio i simbolisti, infatti, che ci mostrano come questa bipartizio-
ne della storia di salvezza, dove Cristo rappresenta la cesura de-
cisiva, non dovesse neessariamente condurre ad un deprezzamen-
to deU'AT, secondo H. Jedin. 93 Ma perch allora nemmeno Hugo di

91 ta ]{,,g.,[itii Sacra, Leidcn i:959.


92 H. }EDIN, 'Zur Widmungsepistcl der Historia ecclesiastica Hui;os von Fleury',
i<l: e BAUR ET ALll (a cura), Specu!um fiisloriale, Frciburg i. Br. i965, 5;9-566.
?l lbid' 563.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

Fleury giunse, nonostante l'intenzione marnifestata nel prologo, ed


una storia ecclesiastica? H. Jedin propone - in forma dubitativa
- le seguenti ragioni, particolarmente apprezzabili perch illustra-
te non in modo speculativo ma storico: l' interiorizzazione della sal-
vezza che s'affermer nella generazione seguente con Bernardo di
Chiaravalle - il simbolismo di Rupert di Deutz, fino a Gioac-
chino da Fiore - la fuga nell'apocalittica, che va riconnessa con
quel simbo1ismo - l'immersione nella mistica - !'estraneit
della scolastica dalla storia- - I' irruzione della canonistica nel cam-
po dell'ecclesiologia.94 In effetti, come lo stesso Jedin osserva, sia-
mo ancora ben lontani da un'esatta comprensione del fenomeno. 95
Di un punto per possiamo essere senz'altro certi: se 5j prescinde
dall'aristotelismo e dalla canon.istica (ma senza assumere nei loro
confronti l'atteggiamento sprezzante ormai di moda), tutte queste
ragioni, addotte per spiegare il motivo per cui non si riusd ad ela-
borare una storia specifica della Chiesa, fanno appello ad una fede
genuinamente cristiana. Inoltre, il nostro problema, che abbiamo
affrontato nella prima parte dello scritto, se cio la teologia storica
non possa essere uno pseudo-concetto, appare ancor pi legittimo
dopo simili interpretazioni.
Della Historia ecdesiastica di Ordericus Vitalis, scritta una gene-
razione pi tardi, si messo certo in rilievo il fondamentale tratto
storico-ecclesiastico,96 ma non si trascur di sottolineare anche il

94 I bid., J64 e spec. 565.


~s lbid., 565.
96 Cosi TH. SCHIEFFER, in: ZKG 72 ( r955/56) 337, che sottolinea la tesi sostemi-
ta da H. WoLTER, Ord. Vitalis, Wiesbaden 1955, e appiana la controversia sotta tra
J. SroRI., Grundformen hochmillela/terlicher Geschichtsanschauung, Mi.inchen 1935,
51-72 (La missione dello stato nazionale: Ord. Vitalis) e H. WoLrER, che contesta
l'interprcta;i:ione sostenuta in quel capitolo. C-ertamente non si tratta di un'opera
che esponga l'intera vita della Chiesa nella storia che le propria: la storia della
Chiesa indissolubilmente congiunta con quella dei normanni (SPORL, p. 65). Su
questo punto si mostra critico anche H. ZIMMERMhNN, op. cit. (nota 46) 52. Non
ceno che nel medio evo si abbia intenzionalmente> rinunciato al titolo di Sto-
ria ecclesiastica. H. ZrMMEHMANN, 0[1. l'it., p. 42, prospetta una simile eventualit
COP un forse. Secondo il nostro parere, invece, questa rinuncia cosciente non po.
tev.: - forse - comporsi con il bagaglio intellettuale del tempo. Giustamente,
tlltiavia, l'autore sottolinea l'importanza dd fatto che questo titolo non affiora prima
dd sec. Xl!. La sua ricomparsa segna una svolta (non ancora in campo pratico ma
sol tanto in quello intenzionale), la quale tuttavia, nella storia di questo problema,
non significa un primo passo verso la Storia ecck-siasticai>.
Cl!IESA COME STORIA

suo inquadramento nella storiografia politica e nazionale, per cui si


giustamente contestata, anche in questa opera, la pretesa racchiu-
sa nel tit<>lo. 97 Si concordi anche su un altro punto, che abbiamo
gi osservato in Ottone di Frisinga, sul fatto cio che Ordericus ha
scritto la sua storia con l'occhio puntato sulle vicende dcl monache-
simo.911 Questa prospettiva ci permette di constatare un passaggio
dalla concezione agostiniana, interpretata in chiave di teologia impe-
riale, .ad un modo di concepire il tempo della Chiesa entro uno sche-
ma totalmente nuovo.
Rivolgendo il proprio sguardo agli ordini religiosi ed al significato
storico-salvifico che essi assumono per il rinnovamento della Chie-
sa, il medio evo incomincia anche ad avvertire il significato della
Chiesa come storia, cio di una Chiesa che non s'incarna, con i suoi
rapporti di dominio sacr.ale, in una storia mondiale e universale com-
presa in modo storico-salvifico, ma che indirizza il mandato rice-
vuto dal suo Signore verso una re/ormatio, renovatio, restauratio
sempre nuove, che hanno per supporto storico, prevalentemente an-
che se non esclusivamente, gli ordini religiosi. Probabilmente sta-
sto proprio questo orientamento dell'ideale monastico verso la vita
apostolica, verso l'ecclesia primitiva, che indusse a sottolineare la
decadenza generale della Chiesa, l'incessante riforma ecclesiale che
si rende necessaria per le sue continue apostasie. E questo spiega
forse anche il motivo per cui tali riforme vennero inquadrate ia un
processo cli graduale perfezionamento. ovvio, poi, che diascun
autore .assegnasse la preminenza al proprio ordine. Per Anselmo di
Havclbcrg (t u58), era proprio il compito che i premostratensi si
prefiggevano. In termini pi generali, questo autore afferma per
che ogni ordine religioso rinnova l'ala avan7.ata della Chiesa, che
a<l ogni renovatio ecclesiae corrisponde un determinato ordine reli-
gioso: Tot novitatcs in ccdesia Dei ... tot ordincs in ca surgunt. 99

r; H ..fonr;.i, lla;idhwh, ,,jc. (nota _5) 28 .


.,~ T11. Sc111n1EH, op. ci'. (1101:1 96) 5l7
.,., /)itilof!.i r, ro: I'L '88, "57 (ita~. in J SPiiRL, lrrrmdfur11u11, dt. (nota 96) 28;
D. ti. 1: PL n4;- C. citaz. on: K. F!NA, 'J\nsdm von }favelberg', in: Analecta Pr11e-
mr11;.1tn1/cm1 p (Tongcrk" r956) 69-101, 193-227; 33 (1957) .5-39, 268-3(>r; 34
(19')8) 1 )-.11. qni (q). -"!I.a c;ue5tionc se Anselmo appartenga 3lla cerchia dci sim-
bolisJi (J. St>iirll od a qndla dd pre >Cicntifici (K. Fina) qni non c'interessa.
Nclb su;l pok:nict, K. fina sfond.1 una por:a aperta, pen:h.: Spuri mette sulficien-
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTIC,\

Egli annette una particolare importanza ai cistercensi ed a Bernardo


<li Chiaravalle, loro esponente pi rappresentativo. Una coscienza
storica, per certi versi estremamente singolare, del fenomeno eccle-
siastico sorse fra i francescani, che nella corrente estremista degli
~<spirituali giunsero a compromettere la stessa costituzione gerar-
chica della Chiesa. Bonaventura (t 1274), che rispettava comunque
l'ordinamento ecdesiastico, stabili una successione storica dei di-
versi ordini secondo i vari gradi della perfezione delio spirito: il
primo ordine quello dei figli di Benedetto; ad un pi alto livello
di spiritualit si trovano i domenicani e i francescani; ma il terzo
ordine, il pi eccelso di tutti, quello serafico, che attua l'ideale
di san Francesco. 100 Giustamente J. Spor1 osserva dhe Anselmo di
Havelberg - a differenza del suo contemporaneo Ottone di Fri-
singa - non si muove entro categorie imperiali, e cio ancor pi
sorprendente quando si pensi che egli vive secondo lo stile dell'an-
tico episcopato imperiale. 101 Spetta proprio al moto riformatore
degli ordini monastica, che nei confronti della sfera politica assun-
sero degli atteggiamenti alquanto differenziati (come si ricava dagli
studi condotti su Cluny), il merito di aver posto una volta per tutte
in questione un modo di concepire la storia fondato sulla teologia
imperiale di Eusebio, di essersi riferito alla Chiesa come tale e di
aver scorto, negli ordini monastici, la propria storia spirituale, di-
versa dalla storia del mondo in generale.
Questo modo d'intendere la funzione spirituale degli ordini nella
chiesa come storia caratterizzato da un momento tipicamente esca-
tologico. Lo ritroviamo dominante anche nei commentari dell'Apo-
calisse, i quali, interpretando il tempo della Chiesa, concentrano lo
orizzonte universale-storico-salvifico della dottrina delle et sulla se-
sta aetas, questa intesa c~me tempo della Chiesa. Perde cosl d'im-
portanza la teologia imperiale di Anselmo e, con essa, anche la dot-

tementi in ri: ;evn i! ,;cnso che Anselmo aveva per h: novitatcs, anche se, e gillstamen
te, in forma mrno moderna di quella di Ena. Cf. anche W. K:.:-.tUll. Apokalypse
wul Geschicbts!l:eo!n.~i~ <~or ]oachin van Fiore), Ilist. Studirn i85, Berlin 1y35;
nirirn noi ro11fron1i t!dle mplicanze moderne si dimostra anche J. RATZINGER, op.
l'i!. (1wta 5.1); fo .. Dil' Gcschichtsthe !oRie ,/;s hl. Roruwentur.1, ;\.fiinchcn 1959; nel
capitolo dcd'calo ad :\nsdmo (pp. ro-1106) so1tolin~:1 il fotco che questi si richiama
nlla tradi7.ionc patristka, la qe:11c foc<:va ini~iarc l'eccl<sia C0"1 1\bcle.
trn Hexaiimeron v, 144.
1o 1 K. rrNh, op. rit., vo!. 33, p. 26.
CHIESA COll4E STORIA

trina dei quattro regni mondani, quando non viene addirittura re-
spinta, ad esempio da Gerhoh von Reichersberg (t n69).102 Si
infatti convinti che l'Apocalisse rappresenti per la Chiesa una enun-
dazione mistica degli eventi che l'attendono prima del ritorno 'del
Signore. All'inizio i commentari si limitano a stabilire i limiti -
mizio e fine - del periodo ecclesiale, e non vogliono essere quindi
delle riflessioni sulla storia della Ghiesa. 103 Essi approfondiscono
per una duplice serie di avvenimenti: quelli che concernono la cre-
scita mediante la predicazione e quelli che sono connessi con le
persecuzioni. Agostino aveva distinto tre tipi di persecuzione: la
persecuzione aperta, fino a Costantino - la persecuzione interna, ad
opera degli eretici e dei falsi fratres - l'Anticristo. Analogamente
anche Anselmo di Havelberg distingue tre tipi di persecuzione che
la Chiesa conosce prima dell'avvento dell'Anticristo e tre relativi
momenti di crescita: al primo status, quello radioso del periodo apo-
stolico (il cavallo bianco dell'Apocalisse), seguono 1. il periodo della
persecuzione fino a Costantino, con Stefano e gli altri martiri (il ca-
vallo rosso), 2. come terzo status il periodo che Anselmo descrive
come quello degli eretici e, in loro contrapposizione, dei padri della
Chiesa e dei concili (il cavallo nero) e 3. infine, come quarto status,
il tempo presente, quello dei falsi fratres e degli hypocritae da
una parte e degli ordini religiosi dall'altra. Il quinto status, che se-
guir a quello presente, non viene ulteriormente precisato. Gli ul-
timi due sono di natura squisitamente escatologica: saranno quelli
dell'Anticristo e della beatitudo. Del resto una simile successione
viene proposta anche da Eusebio, che nei Iibb. I-III descrive il tem-
po di Ges ricordando le figure degli apostoli e il periodo post-apo-
stolico; alle liste episcopali fa seguire le eresie e gli scrittori
ecclesiastici, contrapponendo i martiri ai loro persecutori (libb. rv-
vn); infine, dopo le persecuzioni dci nostri giorni (libb. vm-rx),
nell'ultimo libro celebra la vittoria del tempo presente. Qui ritorna,
assieme all'espressione falsi fratres, mutuata da Agostino e da
altri autori, l'intera terminologia storica. Identica anche l'impo-
.:>tazionc del commentario di Riccardo di San Vittore ( t I I 73 ), dove

101 E. MmJTIJRN, Der Gcsd;ichtsJ;mboltsmm Gcrhohs von Reichersberg, ristampata


a cura i LAMMT'RS, op. cir. (nota 54), 226.
mi W. KAMLAH, op. cit., (nota 99}, 62 s.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

le prime cinque visioni dell'Apocalisse vengono riferite al cursum


temporis praesentis e le ultime due <(magis ad statum aeternitatis. 104
Il numero sette, variamente util'izzato nelle diverse esposizioni e
motivazioni, gioca un ruolo importante anche nell'interpretazione tri-
nitaria della storia della salvezza, elaborata - naturalmente nei mo-
di pi diversi - nel corso dei secc. xu e xm e che costituisce una
tematica centrale nello sforzo di determinare teologicamente il tem-
po della Chiesa. L'abate Rupert di Deutz (f 1129) riconduce alla
storia della redenzione, inaugurata dal Figlio, la storia di salvezza
che, in virt dello Spirito santo, si svolge nel periodo salvifico
del mondo dischiusosi con Cristo, ma osserva l'unit del tempo
di Cristo ancora entro gli schemi della tradizione pattistica. 105 Tut-
te le epoche trinitarie presentano sette periodi, l'ultimo dei quali,
secondo Rupert, si trova sempre al di fuori del tempo storico: il
riposo del creatore, la morte di Cristo, il suo ritorno. 106 Estrema-
mente utile, per l'approfondimento della questione della storia ec-
clesiastica, il fatto che il periodo della Chiesa viene articolato
secondo i sette doni dello Spirito santo (passione, apostoli, rifiuto
di Israele, martiri, dottori; seguono poi, coi doni della pietas e del
timor Dei, gli eventi escatologici della conversione di Israele e del
giudizio). Ma se da una parte si stabiliscono delle cronologie, dal-
!' altra non pu certo trattarsi di <(tempi storici, data l'unit mi-
stica che congiunge Io Spirito e i doni da lui elargiti: un problema
storico-teologico che rimasto tale fino ai nostri giorni. J. Rat-
zinger si chiede perplesso che cosa succederebbe nel caso in cui la
tipologia dei doni venisse sostituita da una diversa, se la 'Storia ec-
clesiastica mutasse col mutare dei tempi, e questo interrogativo si
ripropone sostanzialmente anche sul piano teologico, in modo an-
cor pi acuto, quando all'argomentare tipologico si sostituisce il
metodo storico. Mentre K. Fina ritiene che Anselmo di Havelberg,
da lui considerato autore prescientifiro, abbia colmato di vera

HM Cita?.. Jbid., ~5
ios J. llo11at.'Clltura, dt. (nota 99), 97-ro>, qni 102. In queste pa-
RATZl'.'lGER
gine ci vien data un'ottima informazione sulla teologia della storia dell'abate
Rupcrt, un pensatore ancorn poco swdiato. M. M.1GRASs1, 'l'eologi,1 e storia nel
pen.<iero di Rupert di /Jculz, Roma 1959.
ICl6 E. Mm.:THEN, op. cit. (nota io2), 209.
CHIESA COME STORIA

storia ecclesiastica i sette periodi dell'ra mondana,1" Rat2inger ri-


tiene invece che qui la .storia della Chiesa sia diventata una storia di
salvezza che perdura e che con Cristo entra soltanto in uno ljtadio
nuovo. 1011 Ma non si rende in tal modo - anche se per un futuro lon-
tano - fondamentalmente possibile la teologia di un F. Chr. Baur?
Per Ratzinger la stessa incarnazione del Logos perde quasi tutta la
sua importanza nel cac;o in cui - ed quello di Honorius Augu-
stodunensis, contemporaneo di Rupert di Deutz - Si ristrutturi
la storia secondo una linea unitaria 109 e si comprendano i decem
status ecclesiae come i cinque periodi prima di Cristo e i cinque pe-
riodi dopo Cristo (apostoli, martiri, dottori della Chiesa, ordini mo-
nastici, e dove il proprio tempo quello dell'Anticristo). Bisogner
chiedersi che cosa comporti, per questa ristrutturazione, il fatto
che noi dobbiamo rimanere fedeli ai testi del NT; se Honorius non
collochi, proprio come Bonaventra, Cristo al centro del tempo, 110
e porci anche l'interrogativo di che cosa significhi questo incen-
tramento nel Cristo risorto per il rapporto esistente fra periodo
salvifico e periodo profano, e ci tenendo conto del parallelismo,
emergente da un quadro storico evoluto in chiave trinitaria, tra le
due hrstoriae permixtoe, quella di Israele e quella della Chiesa.
Anche Gerhoh di Reichersberg ( t r 1 69) ha articolato il tempo del-
lo Spirito secondo i doni da lui elargiti, e nell'AT non ha colto
soltanto il riferimento a Cristo ma anche quello alla chiesa, il cui
tempo egli pone in parallelismo con quello di Israele. 111 Un tale pa-
rallelismo - che Agostino contesta - ha trovato la sua espressione
classica nell'abate Gioacchino da Fiore (t 1202}, il quale con le sue
42 genera:>:ioni elabora un sistema che, senza sostanziali varianti,
verr ripreso ed ampliato nei secoli successivi. 112 Qui non possiamo

107 K. F1NA, op. cit., voi. 34, 34.


108 ]. RATZINGER, Bonavent11rt1, cii., 105 s_
IOOJ /bid., 10).
ll<J Un compendio della controversia tra O. Cullma'1n, W. Kamlah e A. Kkmpt,
circ:i l'inizio e il significato t<ologico Jclla datazione an!e Chr. 11a/11m, in O. K611Llllt,
'Dei ncuc i\nn'. in: Saecul11m 12 (1961), 18r. Klempt ha scoperto questa data
zioni: nel Fasuru/11s tcmpomm ( t474) <li WER:-:ER Fm.1cvr~c.K, di Colonia. M,1 le
premesse teologiche sono gi poste nel sec. x1 r.
" 1 R Mr.ll'l'HEN, op. cii. (nota 102). 241 (documtnra?.iorn:).
112 Cosl il tubinghcsc J. Nauclcrus ( t 15 rn) enumera, ad esempio, nella sua
Cronaca 63 generazioni prima e, fino al MIO trn1po. 51 dopo Cristo.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

occuparci della traduzione profetica gioachimita - pur import6llte


per il modo profetico d'intendere il periodo della Chiesa - del
rapporto fra primo e secondo periodo salvifico della Chiesa (quello
dell'AT) nel rapporto fra seconda e terza et di salvezza (quella del
NT, l'et dello Spirito). Ci che pi importa infatti, per un appro-
fondimento del problema della storia ecclesiastica, la concezione,
ben evidente in Gioacchino, di Cristo come asse attorno a cui ruo-
tano gli avvenimenti mondani. Essa incider profondamente nella
coscienza storica dei cristiani delle generazioni successive, quando
la terza aetas non sar pi oggetto di riflessione da parte della dog-
matica ortodossa,m mentre verr invece approfondita, sia da un pun-
to di vista teologico che storico, da Bonaventura (f 1274). Nel suo
Exaemeron questi illustra i mistici tempora originalia contrapponen-
do ai tempora figuralia dell'AT (da Adamo, No, Abramo, Mos,
David, Ezechia, Zorobabele) i tempora gratiosa del Nuovo (da Cri-
sto fino agli apostoli; da papa Clemente 1 fino a Silvestro, e la pax
Constantini; da Silvestro fino a Leone I, e la descensio imperato-
ris Constantinopolirn; da Leone fino a Gregorio 1, la vittoria di
Giustiniano e la missione tra i popoli nordici; da Gregorio fino ad
Adriano, e lo scisma; da Adriano fino al tempo presente non ancora
concluso, e la victoria Caroli [magni] - infine a clamore an-
geli [secondo Apoc. 10,6], gi in hoc saeculo, fino al tempo
della pace, che non ancora la pace dell'ottavo giorno dell'eternit
di Dio). 114 Oltre che il parallelismo tra Israele e Chiesa, coi suoi due
punti di inizio e fine in Cristo, per una teologia della storia eccle-
siastica riveste una particolare importanza anche la dottrina delle
et proposta da Bonaventura, quella Septima aetas quae currit cum
sexta, che egli mutua dai suoi predecessori e mediante la quale
tenta di capire la <(crux christiana, la quale ha con{lervato intatte
nei secoli le sue dolorose proporzioni, il fatto cio che il tempo pro-
fano ancora perdura, nonostante l'avvento del tempo di salvezza: i
due tempi si svolgono paralleli ma anche intrecciati. Fin da quando
esiste la Chiesa, esiste anche questa storia misteriosa e gloriosa, que-
sta storia celeste e parallela; assieme a questo sesto giorno di tra-

m J. RATZINGER, Bonavrnturn, cit., ro8. L"opcr:1 offre un'cccdlcntc panoramic&


della teologia della storia dei secc. xn e Xlil (indicazioni bihlio~rafiche).
114 Ibid., la tabella a p. 23. cr. O. KiHLER, 'Dcr ncuc A.on', ("it., i86-190.
CHIBSA COMB STORIA

vagli e di celamit, si svolge anche il settimo giorno della gloria, la


tente ma reale. 115 Ci che essenziale per il tempo della Chiesa ha
quindi la dimensione della gloria ma insieme pure quella dd na
scondimento. possibile, in tali condizioni, evolvere una Storia
ecclesiastica che sia anche una disciplina storica? possibile seri
vere una storia ecclesiastica come storia della salvezza anche se, o
proprio perch, il tempo della Chiesa il settimo giorno che si
svolge, nel nascond.imento, assieme al sesto? 116
chiaro che il parellelismo Israele-Chiesa di tipo speculativo-
teologico e che, malgrado i dati di cui abbonda, si presenta c.ome
del tutto astorico. Tuttavia la teologia storica dei secc. XII e Xlll 0

- che ci accessibile soltanto sul piano della comprensione stori-


ca - solleva anche il problema del significato che tale parallelismo
riveste per una chiarimento teologico della questione che a noi in-
teressa, quella cio della storia Ecclesiastica. Eusebio aveva esposto
la sua storia della Chiesa come una storie particolare che si svolge
all'interno della storia dell'impero e poteva quindi concludere il pro-
prio lavoro con la vittoria di Costantino. La storiografia medievale
non ha contribuito minimamente - ed aveva senz'altro le sue buo
ne ragioni, anche se difficilmente accertabili - all'affermarsi di una
storia ecclesiastica autonoma. Ci che interessante osservare nei
teologi della storia pi sopra illustrati il fatto che essi osservano
la Chiesa come una storia particolare, non la relegano nell'acronici
t2 di una riflessione puramente escatologica sulla civitas Dei, ma la
scorgono nei suoi eventi e ne intendono salvare il carattere storico-
salvifico, chiaramente distinto da quello della storia profana dell'im-
pero. E questo stabilendo un'analogia tra la storia di Israele fino a
Cristo e la storia della Chiesa fino al ritorno del 'Signore. La specu-
lazione trinitaria non significa una ripresa delle tematiche implicite
nei dogmi trinitari del sec. IV, ma piuttosto un mezzo teologico di
cui ci si serve per comprendere il fatto che nel sec. xn la storia, an-
che quella della Chiesa, continua incessantemente a svolgersi. Que-
sto approfondimento viene condotto in una ben determinata situa-

m J.
RATZINGER, lbid., r7.
116 A. DAllLAP, in: M}'stcrzum Sa/utis l/r 4j-45, giustamente non ha presentato
la Storia della chiesa come uno dei diversi modi di rcaliz~azione dcl mncetto
di storia della salvezttl (p. 45),
STORJA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

zione storica, in un periodo in cui, dopo la lotta per le mvestiture


(prendiamo la pars pro toto), si contestava la regalit sacrale e
l'identificazione implicita tra salvezza e mondo. Indubbiamente Co-
stantino e Carlo Magno, il secondo Costantino, vengono ancora
ricordati nel loro ruolo di sovrani promotori della fede e posti a
confronto con analoghi personaggi della storia di Israele. Ma l'at-
teggiamento che si assume nei confronti dei prlndpi svevi della re-
staurazione imperiale quello del distacco, ed anche di condanna. 117
La troppa fretta nel rispondere all'interrogativo: ma allora, quando
prese effettivamente inizio una trattazione storica della storia eccle-
siastica?, potrebbe farci dimenticare ci che questi teologi della
storia hanno prodotto in campo storico, indagando sugli avveni-
menti storici e vedendo in essi l'avvenimento di salvezza. Ci trovia-
mo di fronte al tentativo di concepire la storia della Chiesa come
storia della salvezza, un'impresa che giustamente lo storico illu-
minato, e che dispone di un'impostazione dogmatica, presenter
senz'altro con profonde riserve: 118 la scienza storica moderna pre-
suppone infatti che la storia di Israele sia storia di rivelazione non
a 'motivo del suo contenuto concreto, dato che tale contenuto
presente anche, negli stessi od in analoghi termini, presso altri po-
poli.11~ Si deve per tener presente che i teologi di questo periodo
sono ancora alieni da .una simile .problematica. La pretesa di Ran-
ke, il quale vuol conoscere soltanto ci che effettivamente acca-

117 Il minorita Pctro Aureoli (t 1322, Avignone} pu affermate che nfatti


l'impero romano stato quasi sempre ostile alla fede cristiana, cit. in E. B1rnz,
Ecdesia Spiritualis. Kirchenidee und Geschichtstheologie der /ranziskaniJchen Re-
fomr, Stuugart 1934, Zr965, 456. Aureol, la cui perodizzazione del tempo della
Chiesa non apporta alcun elemento nuovo al nostro tema, ma che pur si diffe-
renzia dagli autori precedenti per la ricche1.za e la concretezza degli avvenimenti
che descrive, fa incominciare l'ultimo millennio prima dell'Anticristo, il millennio
che trover la nropria conclusione nell'epoca stessa in cui vive l'autore, con C..ostan-
tino, quando Cristo e la Chieoa iniziarono a regnare e la dignit imperiale venne
ll'asferita alla persona di papa Silveslro cd alla Chiesa cli Roma (cit. E. BENZ,
op. cit. 46~). Ameoli conferma continuamente queste sue valutazioni con b1'mi
c.lcll'Apocalissc, descrive poi l'avvenimento storico e, nella Condusio, mostra co-
me fO cosr i ruisca. l'adempimento della promessa. Se si possa parlare della -1mri-
ma >torin eccleiastica cnttolirn, snitta ancora nel periodo delle battaglie "Pi-
rituali, di una storia che non ronaca (E. BD1Z, op. cii., 433), questo ipen-
de dal concerto che si ba di storia ecclesiastica.
118 H. ]EDIN, 'Kirchcngcschichtc als Hcilsgesthicbtc', in: Saeculum 5 (1954).
119 Cf. A. D.\RI..\P, in: Mysterium Solulis I/1 185 ss.
CHIESA COME STORIA

duto, ha tutto il sapore di una hybris, quando mira a conoscere ci


che di salvifico si verificato dopo l'avvento di Cristo. Una simile
conoscenza possibile soltanto per fede, pu essere cio mediata
soltanto da analoghi eventi di salvezza racchiusi nella storia del po-
polo israelitico e nella profezia della Apocalisse. Entro un simile
orizzonte, i dati storici successivi a Cristo vengono soltanto re-
gistrati, ma registrati come dati reali - questo contro la tinta spi-
ritualistica che il concetto assumer in seguito - e posti in rela-
zione con la storia profana, che comunque non coincide con quella
dell'impero.
Partendo da questo principio, che trova il suo fondamento nel
dato della rivelazione, l'analogia tra il primo periodo di salvezza e
il secondo venne estesa anche al terzo periodo, che si riteneva or-
mai prossimo. Gioacchino da Fiore lo concepiva ancora all'interno
della Chiesa gerarchica, mentre in seguito si giunse - a segnare il
momento del trapasso sta I.a postilla all'Apocalisse di Giovanni Oli-
vi (t 1298) - ad una Ecclesia Spiritualis, 1211 che render impossi-
bile una comprensione storica adeguata del fenomeno della chiesa.
f: certo che, da Costantino in poi, i tempi non sono migliorati, n
nella sfera delle cose spirituali n in quella delle cose profane, ma
sono diventati sempre pi tristi e miserevoli. 121 Sfruttando gli stru-
menti offerti dalla critica storica, Gottfried Arnold (1666-1714) -
il quale si muove suIIa linea degli spiritualisti Thomas Miintzer
(giustiziato nel 1525, durante la guerra dei contadini), Sebastian
Franck ( t I 5 4 2 ), Kaspar Schwenckfeldt ( t 1 561 ), e che presenta
delle posizioni molto affini al pietista e amico Jakob Spener (t 1705)
- dissolver la Chiesa come storia e includer, nella sua Storia
impar7.iale delle Chiese e degli eretici [Unpartheysche Kirchen- und
J< ett.erhistorie], anche le chiese nate dalla Riforma, rendendo cos
questo sfacimento tematica vera e propria d'indagine. 122
Pendant a questo anti-istituzionalismo fu un modo di concepire
la s:oria della Chiesa come storia del papato, che nella radicale isti-

1;ro E. lhNz, op. cit., (nota 1r7). Ivi anche nn'esposi7.ione delle idee di Petnis
] oh. Olivi e <lella rcla7.ione ("nonima) che critirn la ma postilla, contestatagli !lOi
come eretica nel processo (qr7-1326). Bibl. in V. HhYNCK, vu, I962, u49 s.
!2l G. An:-ior.o, Brst<' I.iebc II, 2B nr712).
1?.2 E. SnHERG, GottfrilJ Amold, Meeranc 1923; risr. 1964; P. MEINHOl.n, op.
cii. (nora rn) l, 430-433.
STORIA DELLA STOlllOORAFIA l!CCLl!SIASTICA

tuzionalizzazione operata dalla canonistica costituisce un oggetto ade-


guato di esposizione storica. Particolarmente importante a tale pro-
posito l'Historia pontificalis (scritta verso il I I 65) di Giovanni di
Salisbury (t u8o); accanto ad una chiara critica alla moralit del
clero e della curia (ma anche a quel monachesimo che era stato in-
vece risparmiato dalle diverse esegesi storico-teologiche), troviamo
pure un'interpretazione del papato, che qui emerge, senza pregiudi-
zio delle diverse contestazioni che si possono muovere alla politica
pontificia dell'istituzione, quale garante dell'unit e dell'ordine del-
la chiesa e dell'orbe, custode della pax e della serenitan>. Non meno
significativo il distanziamento, fondamentalmente diverso da quello
che riscontriamo nei teologi della storia, dalla concezione storica ago-
stiniana-medievale: In Giovanni di Salisbury... la raffigurazione
escatologica dell'Anticristo non svolge pi alcuna funzione. 123 Un si-
mile concetto di Chiesa, che la scolastica non approfondi in se stes-
so ma in relazione con la dottrina della grazia e della cristologia (e
ci spiega anche il motivo per cui la dottrina ecdesiologica non
venne assunta nel sistema elaborato dal pensiero teologico ),124 offr,
nella sua versione squisitamente canonistica, la ba:>e teorica 125 alle
storie dei papi scritte nel tardo medio evo. Il rappresentante tipico
di questa tendenza Tolomeo di Lucca (t 1326), con la sua Historia
ecclesiastica nova (scritta negli anni 13:i;y17), dove il regnum Christi
viene identificato con il regnum pontificium.i 26 Questa concezione
della Chiesa e della sua storia eserciter poi la sua influenza anche

m J. SP(iRr., Grnndfnrmen, cit. (nota 96) 73-113; qui 90, 93; H. HoHENLEUTNER,
'J. of Salisbury in Jcr Literarur der lctzten ro Jahrcn', in: Ilist. ]ahrbuch 77
( l\)~8) 493-500.
m ]. RATZINGER, 'Kirche', in: LThK VI (J961) 173 s.
11' F. MnzBACflf'H, 'Wandhmgcn dcs Ki1-chcnbcgriffs im Spiitmittelalter', in: Zs.
d. S.1ri~nvSti,lt11n11.. Kanonist. Aht. 70, Weimar i953, 274361. Ivi anche i pi1 im-
portanti scritti: AHGlllIUS RoMANUS, De ecclesiastica xive de summi pontifici.i po
testate (q02; in rda~ione all'affermazione di Bonifacio vm: Omnes ergo homincs
l't Ol!Hlt'S possess'oncs stmt rnb dominio ('ccks[ac [ 2, cap. n; ed. Scl!OLZ, 99 l );
i\ur;irsTJ~lJS TRll1MP!IL'S rt 1~28), Summ.i de f!Ole.<tate ecclesiastka; Al.VARO PE-
1.AYO l'J' l u2), De s/a/11 l't planctu ecdesiae (rnn spunti di mistica sponsale tradi-
,ion:ile: ~r~pa er1:0 succcssor csr Christi, non ccclesim> [I, art. 31)); J11,\N rm ToR-
OlJFI\IADA (t 1468, Summa de eccl<'Jitt (la Chiesa in quanto republirn christiana, do-
v<; per il papa non : lilla specie di sovrano universale (MERZBACHER, op. cit.,
315 s>.). !vkrzbach<r prcsmra anche una storia del concetto conciliaristico della
chiesa.
11,; 11. .TEnrn, Ilcmdb11ch, cit. (nota 5} 29.
700 CHIESA COME STORIA

sugli Annales ecclesiastici (1580-1607) del Baronio, li quali, pur


non essendo una storia del papato, come alcuni erroneamente cre-
dono, mostrano un interesse preminente per una simile tematica; 127
atteggiamento analogo a quello riscontrato anche in recenti esposi-
zioni della storia della Chiesa, dove spesso i diversi periodi pren-
dono inizio con una trattazione del papato. L'alsaziano Michael Bu-
chinger, cui peraltro non vanno riconosciuti dei meriti particolari,
nella sua Historia ecclesiastka (1560) ci ha lasciato un esempio ti-
pico di come si possa riscrivere un trattato De ecclesia (1556) co-
me storia dei papi.
Il cerchio si dunque chiuso. Il titolo Storia della Chiesa lo
ritroviamo praticamente in tutti gli autori, fino ad Eusebio, ma ci
che esso compendia non una Chiesa dalla storia del tutto singolare
e propria, in quanto questa viene integrata, nei modi pi diversi, in
una storia profana che s'interpreta in chiave storico-salvifica. Nella
diastasi fra regnum e sacerdotium, fra mondo sacrale-politico ed
ambito spirituale d'esistenza, che nella loro reciproca imitazione ave-
vano scambiato e confuso continuamente le proprie forme e spiega-
zioni, ci che ora incomincia ad emergere la realt di una Chiesa
concepita come storia. Va per osservato che la teologia storica dei
secc. Xli e xm coglie il tempo della Chiesa nell'analogia che esso
presenta con Israele, o lo ricava dalla profezia del NT; i dati che la
;toriografa medievale registra vengono poi inquadrati in questi nessi
di riferimento. Il tempo della Chiesa pu essere quindi concepito
come un tempo storico-salvifico. la stessa impostazione che trovia-
mo anche nello spiritualismo e pi tardi nel pietismo, dove il feno-
meno esteriore della Chiesa diventa oggetto di critica totale e viene
inquadrato nell'ambito della storia profana. Come gi osservammo
in Giovanni di Salisbury, il concetto canonistico di Chiesa conduce
alla storia tardo-medievale del papato. Si deve poi all'interesse che
l'umanesimo nutriva per l'antichit, da una parte, ed alla teologia
controversistica, cosl preoccupata di documentare sul piano storico
le diverse concezioni ecdesiofo;:;iche, dall'altra, se la Chiesa divenne
oggetto di riflessione storica. Un tale processo conosce una sua prima
fase ben precisa, ma non ancora suflcientemente analizzata, nei secc.

m Cosl ad esempio 1-l. 7.1;1..iMERMANN, op. cit. (nota .~6) 75.


STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

XVI e xvn; la seconda fase sar quella del periodo illuministico,


quando la storia ecclesiastica verr finalmente esposta secondo me-
todi esclusivamente storico-scientifici. Il fatto poi che questa Storia
- intesa come unit fra evento e comprensione dell'evento stesso
- abbia condotto ad una trasformazione di fondo nel modo di sen-
tire, ormai acquisito e non quindi il caso di iliustrarlo; esso assu-
me per un'importanza del tutto partico1are, e spesso ignorata, quan-
do il termine storia viene posto in. relazione con la Chiesa e la
salvezza. La problematica che in tale connessione si cela - l'ab-
biamo abbozzata all'inizio della presente trattazione - viene alla
luce nella scienza storico-ecclesiastioo dei secc. xrx e xx.
La storia ecclesiastica del protestantesimo si sempre sforzata di
garantire - dalla concezione illuministica della storia fino alla criti-
ca barthiana deYo storicismo - l'unit fra una concezione moderna
della storia ed una comprensione teologica della Chiesa, e ci all'in-
terno del processo globale della riflessione protestante. 128 Ci trovia-
mo di fronte ad un'impresa davvero straordinaria dello spirito uma-
no, la quale strappa la nostra ammirazione per quanto esso ha pro-
dotto non soltanto nel campo intellettuale ma anche in quello emi-
nentemente religioso. significativo che essa sia stata promossa so-
prattutto nei paesi in cui si era affermata la filosofia dell'idealismo
tedesco, dove cio, a differenza delle zone dominate dal positivismo
europeo.occide~tale, si continuava a sollevare il problema dell'unit
di una storia condotta da Dio e dall'uomo, e non si rinunciava a
stabilire un confronto tra L'illuminismo da una parte - dire che es-
so superato, quando in realt nessuno ci crede, significa sfruttare
una figura letteraria - e la teologia dall'altra. un'impresa che vie-
ne pur sempre condotta alla luce della .filosofia hegeliana, la quale
m Questa l'voluzionc (., s111ta ben documentata da P. i\fa!NHOLD, op. cii. (no.a
o) 11, 11-408. J.L. Mcshcim (t r755) e ancor pii'1 chiaramente J.S. Scmter
(i' r791) trattano la Chiesa come una societ secobre, J ./\L Schrocckh (t 1808) nel
cou1<'sto del\:1 Sl<ll';t delle reigioni. C;.j. Plimck (t 18B), partendo da posizioni
illuministiclw, 'criw u:rn Gcchich!e t!l'r christ:'icb-hrchfichr11 Gcsdlsch11ftmerfa.r-
.;:111.t; L\I vnlvi a:Khc una storia della teologia (dalla 1-'omllila Concordia<: fino alla
mct!i dd scc. xvrn) in,prontata dall'icka dcl 1)rogresso. 1:.D.E. Schleicrmackr
( t 18~4 \, eh' pnwi"ne dal :i'.etismo, acc<tta gli impulsi del primo romanticismo e
prnu al <'entro b q1ia 1111n~oscienza cri,tia1rn, mentre F. Chr. B:tur (t 1860) id~ll
:i(ic,t il cristiancsinhl con !'at11<1<'c>sdenza della !ilosofa di llegcl. La dissoluzione
tiella tcolor,ia ne!la storia conduce, naturalmente per senricri diversi, allo sto-
rir.ismn teologico.
702 C'fUESA COME STORIA

continua a esercitare 1a sua influenza, sulla destra come sulla Si-


nistra, anche ai nostri giorni; si tratta di una problematica che
emerge chiaramente soprattutto dall'opera di Ferdinand Christian
Baur (t 1860) - anche a prescindere tota1mente dalle sue pi per-
tinenti Epoche della storiografia ecclesiastica [Epochen der kirchli-
chen Geschichtsschreibung], - le cui posizioni verranno sostenute
anche in seguito, quando non si accetter pi il suo hegelismo. Lo
possiamo ricavare dalle concise formulazioni contenute in un sag-
gio di Wolfgang Geiger.129 Siccome per Baur l'autocoscienza moderna
il cristianesimo stesso, e dato che per lui tale coscienza se non fos-
se essenzialmente cristiana non troverebbe in se stessa alcun soste-
gno e consistenza, mentre la teologia liberale degli anni seguenti
emanciper il mondano e cercher di mantenere aperto uno spa-
zio al cristianesimo,130 si potuto vedere nell'opera di questo stori-
co del1a Chiesa, di estrazione idealistico-teologica, la problematica di
fondo che travaglia l'intera impresa. Egli ha dissolto l.a teologia
nella storia,131 per cui il problema della Chiesa, che senz'altro s'im-
pone, pu rimanere senz'altro oggetto di riflessione teologica, in quan-
to non si d pi alcuna differenza tra teologia e storia. Ma siccome
questa differenza non sussiste in F. Chr. Baur, si perde di vista an-
che un concetto che essenziale per la fede cristiana, che cio con
la Parola biblica la rivelazione penetra nella sfera della storia, ma in
quanto rivelazione essa non pu essere da noi colta a partire dalla
storia.m Naturalmente ci significa che non possibile verificare la
storia della Chiesa nella sua dimensione di storia della salvezza.
Assieme al tentativo di conciliare la fede con la storia (questa in-
tesa nell'accezione moderna del concetto), fin dal sec. XIX si sta de-
lineando il tentativo di comprendere la storia ecclesiastica entro il
contesto della storia universale e profana, concepita secondo la visio-
ne illuministica, ed al contempo rilevare il significato religioso che
questa storia universale in se stessa racchiude. Si infatti convinti
che lo sprito cristiano abbia la missione e la possibilit di tramu-

129 W. GEIGER, Sp.:kuf,1!ion umi F.r:tik. D G.:scbtebtsthcoivgic Z:. Chr. Baurs,


Miinchen 1964.
JJ() lhid., 232.

l3t Ibid., 242.


!12 1bl., 2.p.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

tarsi, dispiegando il suo infinito contenuto ed appropriandosi di tut-


to ci che umano, nello spirito religioso della stessa umanit.133
Da quando, nel sec. xx, si giunse alla convinzione che tutti gli avve-
nimenti sono tra loro concatenati, e quindi ci si dovette porre anche
il problema delJa storia come storia del mondo e del suo momento
unificante interno, s'intravide anche la possibilit di elaborare un
abbozzo universale, che avrebbe potuto risolvere insieme il proble-
ma deUa storia profana e quello della storia ecclesiastica. La storia
del mondo, queJla della Chiesa e quella dell.a salvezza stanno tra
loro in rapporto come tre cerchi concentrici, il pi interno dei
quali la storia della salvezza. 134 Secondo questa impostazione si po-
tr parlare di storia profana soltanto a patto che le forze storiche
siano entrate in relazione con la Chiesa universale, e questa pu ve-
nir clta come un tutt'uno soltanto sul fondamento della storia ec-
clesiastica. In termini analoghi a quelli impiegati da P. Meinhold, si
esprime anche un teologo cattolico, il quale sostiene che lo storico
deU.a Chiesa integra l'intera storia profana in una storia ecclesiastica
intesa come storia universale di salvezza. 05 Se si ammette che si-
mili tentativi non si limitano a riproporre, ad un livello pi elevato
della spirale, quanto gi affermavano le cronache del medio evo,
bisogner operare anche alcune rigorose distinzioni: x. certo che
la Chiesa, depositaria del messaggio di salvezza, si sente inviata al
mondo intero e quindi riferita alla storia del mondm>, al cui inter-
no la storia della salvezza si presenta, hench lo storico non sia in
grado di rilevarlo di fatto, come la direttrice di questo messaggio;
2. l'indiscutibile importanza che il cristianesimo ebbe per la forma-
zione di un mondo unitario, con la nascita dell'Europa, deriva da un
processo di tipo storico-mondano, per interpretare il quale bisogna
senz'altro far leva su una differenziazione statico-religiosa del feno-
meno cristiano; 3. possibile inserire questo processo nell'interpre-
tazione teologica di una storia ecclesiasti.ca, studiata coi mezzi offer-
ti dal metodo storico, e in questa interp.retazione tentare di cogliere

ni K. voN lIASE (rRrnHl\90), Kirchengnchicl;tr:, Leip,ig 121900, Introduzione,


p11r. 4.
134 P. Mmmmrn, 'Wchgeschichte Kirchrngcschichtc - Ileilsgcschichte', in: Sae-
culum, lX (!I958), 280.
1.ll G. DENZLER, 'Kirchcngeschichtc', in: E. Nnmiius1:r:.R - E. GusSMANN (a
cura), Was is! 1'/Jeologi"', Miinchcn 1966, 1 38-I68, qui q9.
CHIESA COME STORIA

una corriospondenza fra la storia della salvezza e il corso dell~ sto-


ria del mondo, 136 come pure un'indicazione della promessa escatolo-
gica, senza per sopprimere la differenia categoriale fra storia-di-sal-
vezza e storia-del-mondo. proprio questa differc::nza categoriale, in-
fatti, che dall'illuminismo fino ai nostri giorni si afferma contro la
identilcazione operata dal: medio evo. L'eredit di tutto questo tra
vaglio di riflessione non dovrebbe venir ricusata, e per motivi teo-
logici.
Uno dei primi impedimenti che ostacolarono la storiografia eccle-
siastica del cattolicesimo fu la Ratio studiorum del 1559, che di
proposito non contemplava lo studio della storia. Questa impostazio-
ne esercit la sua influenza sull'intera Chiesa, e la scelta formativa,
che essa Sottendeva e che venne a concretarsi nelle riforme degli
studi attuate, nel sec. xvm, nei paesi cattolici, pose la Chiesa in note-
vole imbarazzo. Tuttavia non sembra si possa dire che, se non ci fos-
se stata questa preclusione nei confronti dello studio della storia,
l'illuminismo avrebbe assunto una piega diversa. 137 Oggi si addi-
rittura cercato di sostenere che il generale dell'ordine Acquaviva, che
per la sua fiducia nel sistema aristotelico-scolastico era pur sempre
un pervicace reazionario, riuscl a capire meglio degli ingenui storici
de1 tempo il dilemma tra fede e storia, che allora ci si stava ponendo.
Fino all'inizio del sec. xix comparvero numerosi scritti di storia ec-
clesiastica, e in Germania anche delle traduzioni, che dimostrano
tutti, alcuni pi altri meno, un certo influsso illuministico e che in
ecclesiologia seguono una tendenza apologetica ma che in parte s'ispi-
rano a sentimenti irenistici. 138 Opponendosi all'impostazione dell'il-
luminismo, la Storia della religione di Gesi1 Cristo [ Geschichte der
Relif!,ion Jesu Christi; in J5 volumi, scritta negli anni 1806-1818]
di Friedrich Leopokl zu Stolberg (1750-1819) si prefigge l'obiettivo

l:><I O. Ku11LER, '\'V'chgeschicbtc', in: Sacrame11!m11 Mrmdi rv, r969, 1323-1338.


1.1,- F.C. ScHF.RF.R, op. di. ( 1101;1 41) 388. A q11csto libm ~" riconosciuto il r,rnn
dc merito, come dcl 1-,,s10 anche ::I successivo lavoro di L. ScHEFFCZYK, op. cii.
(nota 6) di awr prornosso la riccrc1 sull:i stotiogrnfa cattolica. W . .N1GG, op. cit.
(nota 50) voluramcnte non J,1 1wen.'c in consid~razio11l', perc!i~ egli intende tratl<l
"'' soltanto di Opcr<' d'impol't~nza .orirn e cr~dc di non Fnvarnc alnrna ndl'am-
bito dd czttolicc:;imo.
l:>S Cf. sul!'ar~om<:mo le O['<'Il' citare da L. Srhdk%yk, il qw1le itua ln Stolber[>:
in un ampio rnntcsto. Marginalrn<:Htl' si tiene pure in considcrazicne la stmiQgra!;1
ccrlcsiastica non-tc<ksca.
STORIA DELLA STORIOGRAFIA ECCLESIASTICA

di affrontare con metodi storici il tema dei profondi avvenimenti


che hanno per protagonisti Dio-umanit, di esporre quindi la sto-
ria ecclesiastica come storia di salvezza. 139
Assai pi rilevante per il tentativo, per certi versi analogo a
quello intrapreso da F. Chr. Baur, della scuola cattolica di Tubinga,
anche essa impegnata a chiarire il nesso fra teologia e storia. Uno dei
personaggi di maggior rilievo lo storico della Chiesa Johann Adam
Mohler (1796-1838), anche perch nelle tre fasi delle sua vita -
quella sociologico-ecclesiale, ispirata daH'illuminismo; quella pneu-
matologica, senza dubbio condizionata dalla filosofia di Hegel; quella
dominata dalla prospettiva cristologica - affronta ed evolve sempre
1'a. tematica in tutte le sue implicanze, e .questa la ragione per cui si
dovrebbe cogliere Mohler nella sua unitariet e non nelle sue posi-
zioni <rnntitetiche. 1<111 Molto istruttive sono le correzioni 141 che egli
apport, nel 1825, al manoscritto che raccoglieva le sue Lezioni di
Storia ecclesiastica (1823), ancora accentuatamente moralistiche. Gi
si nota, infatti, la svolta che l'autore operer nel suo libro: Die
Einheit in der Kirche oder das Prinzip des Katholizismus. Darge-
stellt im Geiste der Kirchenviiter der drei ersten Jahrhunderte (L'u-
nit nella Chiesa, ovvero il principio dcl cattolicesimo, illustrato
nello spirito dci padri della Chiesa dei primi tre secoli). Fedele alla
sua affermazione: ... la Chfesa la forma esteriore e visibile di una
forza santa e vitale, dell'amore che lo Spirito santo partecipa; il

MO Edizioni e bibliografia in J.R. GE!SELMANN, 'J.A. Mohler', in: LThK vu


( 1962), pi. 'Der gcschichtstheologische Entwurf dcr Tiibingen Schule' un ca-
pi1olo (pp. 21-48} dell'opera di P. liiiNERMANN, Da Durchb111ch g.schicbtlichen
Dc11kens 1111 19. ]t1hrbrmderl, Frciburg i. Br. r967; in una penetrante analisi delle
po,i1.ioni t!i J.G. Droysen, \V,/. Dilthey e P. Yorck van Wartenburg, si mostrn an-
che la risonanza hc il problema affrontalo in questa trattazione ehbe per lo sto-
rico della chiesa F. Chr. Bam. L'osservazione che J.A. Mohler, il quale si rite-
11evoi soprattutto uno storico ddla Chiesa, offrirebbe poc:hi accenni volti a chia-
rire il prohlctnu della SIUJ'a e la questione della storidt~ del cristiu'1esimo (p.
2 r. nota 1 ), rirnamla tacitamente all'intera storia dcl problema della storia ecde-
si:ist'.ca, da fa1scbio in poi; una problematica die lo storicn ddla Chiesa dovr.
vi~T!T in modo diverso da quello cld teologo n,odcrno dC'1i11 ;wria, ma alla mi
chiarificazione <lovrebberc offrin' e111ramlii, comp>tnrntari2zandosi, il prorrio rnn-
i:rib!!to.
1<1 J.H. Gmsr.J.MA:-IN, 'Der Wanckl <lcs Kirchenbcwumsl'ins ... J.A. Moh~crs', in:
J. ou II. VoR(;l\JMLER (a cura,), Sentir..- ri:cl1'siam, I'reiburr, i. Br. I961,
D.-1NlI
_n1.-6;5; (trad. ir. EJ. Paoline. Rorna). Per la prima volta vengono pubblicate :ir.-
che k correzioni (alle pp. 535-538).
CHI.ESA COME STORIA

corpo dello spirito dei credenti che si forma dall'interno, quel cor-
po in cui il vescovo la riproduzione fattasi persona dell'amore
della comunit. 142 Mohler distingue quattro epoche nella storia del-
la Chiesa: I. (fino al sec. vr) L'epoca dello sviluppo e del dispiega-
mento dell'unit della vita cristiana - II. (fno al sec. XVI) L'epoca
dell'unit tranquilla e statica - III. (fino al presente) L'epoca del-
l'incessante sollecitazione al dissolvimento dell'unit - IV. (il futuro)
.L'epoca del ricupero, del ritorno all'unit. 143 La successione del-
le diverse epoche viene presentata come un processo, la cui dialetti-
ca, per Mohler, ovviamente guidata dallo Spirito santo. Introdu-
cendo le lezioni dell'anno 1833-1834, il nostro autore affermava in-
vece: proprio questo profondo inserimento dello spirito umano
nel contenuto del cristianesimo a costituire, dal punto di vista og-
gettivo, I.a sua storia. Da questo punto di vista, dunque, ci che po-
trebbe mutare non la verit di fede bensl lo spirito dell'uomo. 144
Ne ideriva quindi anche una diversa periodizzazione: i momenti del-
la storia della Chiesa saranno le culture (la cultura greco-romana fino
al sec. vm, quella germanica fino al sec. xv, da allora in poi la fu-
sione di entrambe). ovvio che a questa periodizzazione, giusta-
mente contestata dagli storici per lo schema che ne deriva: antichi-
t - medio evo - ra moderna, non condusse la premessa di tipo teo-
logico. Ed anche certo che Mohler non intendeva osservare la sto-
ria della Chiesa dalla prospettiva delle culture (formazioni), ma
soltanto cogliere, in queste culture, le peculiari espressioni in cui la
Chiesa si manifesta nella storia. Da tale premessa teologica possi-
bile ricavare anche periodizzazioni diverse, che mettono maggiormen-
te in rilievo la storia interna della Chiesa. Si tratter, comunque, pur
sempre di una storia che vede tra loro contrapposti l'immutabile
verit di fede e il mutevole spirito dell'uomo, spirito per - e
sta qui la singolarit della premessa - profondamente inserito nel
contenuto del cristianesimo e che non rende quindi possibile afferma-
re lma perfetta adeguatezza tra questo contenuto e la verit di

142 .T.A. :-.wrn.EK, D1e Einb,'it, cdiz. e comm. a nu~ di J.R. GnSELMM.;N, 01-
tcn 1957, r67 (ttad. ir. L'unit nc!l.1 chiesa, Citt Nuov,1, Roma).
14J Fcfo.ione a rnra di J.R. CEISELMANN, in: Gi:isl des Christentums w:d dcx
Katholizismus, :-fainz r940, 394.
144 1bid., 490, Le Vorli!Jtm~e11 t.ur Kircbenge.rcbichtr: di ].A. l\fohlcr sono state
(acritic3mer:tl') pubblicate J~ P.B. GAMS, 3 voli., Regensburg r867/68.
EPOCHI! DELLA STORIA DELLA CHIESA

fede. Ora, certo che la divina rivelazione per sua stessa essenza
accessibile allo spirito umano, anche se da questo non pienamente
integrabile. Va per notato che una verit di fede definita in modo
statico, e non clta anche nel dinamismo che lo Spirito santo le im-
prime, ci si presenta come un blocco privo di storia situato all'interno
del contenuto (storico!) del cristianesimo. J.A. Mohler ci ripropo-
ne quindi la problematica che avevamo gi abbozzato all'inizio della
trattazione. Egli per anche un teologo che, prima di giungere Q
queste posizioni era ricorso ad un concetto pneumatologico di Chie-
sa per comprendere, nel momento dell'unit spirituale dinamica-
mente intesa, la storia della Chiesa come storia della salveZ7Al, Il mu-
tamento di rotta trova forse la sua spiegazione in certe circostanze
biografiche (il suo trasferimento da Tubinga a Monaco) e, pi in ge-
nerale, nel fatto che a quel tempo si stava affermando la neoscola-
stica, la quale non concedeva spazio alcuno alla riflessione storica del-
la Scuola di Tubinga. Ma ci che pi importa che ci troviamo di
fronte ad uno storico della Chiesa che non ha mai cercato, almeno in
prima linea, la sua strada nelle speculazioni su un concetto di Chiesa
di stampo pneumatologico o cristologico, ma che ha sempre ritenuto
fosse proprio compito esporre il corso storico delle vicende della
Chiesa. Si dovr per anche aggiungere che J.A. Mohler, il quale
assieme (e questa vicinanza non fu tra le pi felici) a F. Chr. Baur
si era sforzato di concepire fa storia della Chiesa secondo criteri
eminentemente teologici invece di dissolverla nella storia, visse nel-
la sua propria esistenza il problema della storia ecclesiastica -
dal quale certi discorsi suUa Storicit qualche volta prescindono
- pur senza poterne risolvere anche l'aporia. E questa aporia si
manifesta in tutta la sua cnidezza nella svolta da lui operata: egli
abbandona la periodizzazione secondo i momenti dell'unit della
Chiesa, per affermare una periodizzazione secondo le diverse cul
ture.

4. Epoche e Strutture cronologiche


della storia della Chiesa

I ,a storia della storiografia ecclesiastica, la quale conosce anche (e


708 CHIESA COME STORIA

sembrerebbe un paradosso!) la lacuna del medio evo - un vuoto


particolarmente significativo, perch ci costringe ad affrontare il pro-
blema della storia ecclesiastica alla sua radice - , una compo-
nente essenziale della storia dell'autocomprensione della Chiesa e la
storia della sua autocomprensione come storia. Essa caratterizza quin-
di, e in modo adeguato all'oggetto, le diverse epoche storiche della
Chiesa stessa. Certo, non si potr affrontare il problema delle diver-
se epoche della storia ecclesiastica limitandosi ad analizzare questa
storia, in quanto la storia della Chiesa dev'essere concepita come sto-
ria intessuta di avvenimenti e non semplicemente come storia di una
riflessione sulla storia. Sembra comunque che questa storia della ri-
flessione, questa storia della Chiesa come storia, sia in grado di
esprimere, meglio ancora di quella che tratta gli avvenimenti eccle-
siali, il luogo specifico che la Chiesa occupa nella storia profana, do-
ve questi avvenimenti non sono oscuri soltanto per la storia profana,
ma si presentano particolarmente ambigui anche quando vengono re-
si oggetto di riflessione teologica. Qui intendiamo riferirci soprat-
tutto all'equivocit insita nel rapporto tra fattore divino e fattore
umano, prescindendo da quella che traspare anche dagli stessi di-
scorsi che si .fanno a tale proposito. Naturalmente pure la storia della
Chiesa come storia oscura, ma anche vero che questa oscurit
stata fatta oggetto di riflessione e che, nell'ultima fase di un simile
approfondimento, quella che prende inizio dall'illuminismo, ci si
resi conto che il concetto di storia non pu essere impiegato in
modo univoco, per cui nemmeno le condizioni <~storia-di-salvezza e
Storia-della-Chiesa potranno venir operate in modo acritico.
Questa premessa indispensabile quando ci si prefigge il compi-
to di stabilire le diverse epoche che connotano, oltre che il processo
d'autocomprcnsione ecclesiale, anche la bimillenaria storia degli av-
venimenti verificatisi in seno alla Chiesa. Una periodizzazione teolo-
gica della sloria ecclesiastica 145 si resa impossibile da quando il
concetto di teologia venne assunto nella sua accezione pi rigoro-

1~5 E. CiiLJ F.R, Die Periodcn der K irchengeschichtc und die epochale Stcllww.
de.' Mittdalters, Frcihurg i. lk 1919; K. Hwssr, Altert11111, Mittdaltcr rmd Ncr;-
;wit in dcr Kirrh11r.cJ1:bid1tr, Tiihing<on 1921; O.E. Sn,1sSER, 'Lcs priodts et !es
poqu<" d, l'histoire de 10..\~lisc', in: JUil'hR 30 (1950) 290-304. Circa il problema
teologico della pcrietlizzazione, vedi nota 158.
EPOCHE DELLA STORIA DELLA CHIESA

sa e la storia interpretata nel senso illuministico, da quando cio


divenne oggetto di conoscenza scientifica non soltanto una storia di
tipo settoriale, ma la stessa storia universale. Questo per non si-
gnifica che la fede non debba anche prescindere dalle posizioni illu-
ministiche, o che lo possa fare soltanto operando delle rimO'Zioni;
ma non significa neppure che, proprio per tale motivo, essa sarebbe
in grado di trascendere qualsiasi concezione profana della storia in
generale e delia storia ecclesiastica in particolare: ci incompatibi-
le con la scienza, e quindi anche con una storia della Chiesa in quan-
to disciplina storica. ti: possibile dunque determinare le diverse epo-
che della storia della Chiesa soltanto nel loro carattere di epoche
Storico-mondane, che rimangono tali anche quando giustamente le
si determina non solo a partire dalla storia universale ma anche dal-
1'andamento specifico della storia ecclesiastica, per quanto varii di
volta in volta il nesso che congiunge la storia della Chiesa alla storia
del mondo.
Ed proprio questo nesso, che congiunge insieme diver!'i avveni-
menti, a delinearsi come orizzonte di periodizzazione quando il mo-
tivo che determina le diverse epoche viene scorto nei mutamenti ve-
rificantisi all'interno del rapporto Chiesa-mondo,146 nelle trasforma-
zioni quindi che si determinano quando la Chiesa, prima perseguitata,
ora diventa compartecipe del potere mondano e quindi corresponsa-
bile delle persecuzioni, pi o meno cruente, messe in atto contro
coloro che la pensano in modo diverso. La concezione riformata del-
la storia ecclesiastica aveva i suoi buoni motivi per vedere soprat-
tutto in Costantino l'inizio della decadenza della Chiesa primitiva (il
discorso della svolta costantiniana non poi affatto cosl nuovo
come certi vorrebbero). Anche a prescindere dall'impostazione eccle-
siologica, che soggiace alla teoria riformata della decadenza, rimane
pur sempre vero che, con Costantino e pienamente con Teodosio,
venne a strutturarsi quel rapporto Chiesa-01ondo che rimarr poli-
ticamente valido fino alla rivoluzione francese e che andr in frantu-
mi soltanto con la separazione della Chiesa dallo stato nell'et mo-
derna. La resistenza, che i cristiani opposero a questa dissociazione,

I~ CC al proposito le esposizioni della toria ecclesiastica, che quasi senza ec-


cezion<' pongor10 a fondamento della loro periodizzazione il rapporto Chiesa-mondo.
710 CHIESA COME STORIA

fu particolarmente tenace nel sec. xrx, ma ancor viva nel nostro


secolo, dati i privilegi giuridici di cui godono le chiese all'interno del-
lo stato. facile per prevedere che anche gli ultimi residui della
Chiesa costantiniana scompariranno, nonostante i concordati.
Il .fatto che giustamente si sia richiamata l'attenzione sulle testi-
monianze che parlano di un rapporto, non solo indifferente ma an-
che positivo e teologicamente legittimo, tra Chiesa pre-costantiniana
e impero romano non deve farci dimenticare che questo positivo
rapporto, intrattenuto fino al tempo di Costantino, venne consolida-
to, e non solo per gradi ma nell.a sua stessa sostanza, in funzione di
un unico corpus christianum ecclesiastico e politico, il quale avreb-
be consentito un reciproco scambio di prospettive religiose e politi-
che. Mantenendo la prospettiva del rapporto Chiesa-mondo, possia-
mo delineare una chiaira periodizzazione del tempo della Chiesa,
nelle sue tre fasi: la .pre-costantiniana, la costantiniana, la post-co-
stantini.ana.147 Ci non contraddice minimamente il fatto che soprat-
tutto in Occidente ma, sebbene in proporzioni pi modeste, anche
nell'impero bizantino la Chiesa si sia continuamente opposta al po-
tere politico, con notevoli conseguenze soprattutto sotto il pontificato
di Gregorio vn: spesso per rivendicare i propri diritti, ma spesso
anche per contestare il potere in base ai prindpi evangelici. Questa
contraddizione rimane, comunque, un elemento interno al sistema.
Osserviamo infatti che, contro le tesi dei riformatori, si pot giu-
sdficare il papato sia a livello biblico, considerandolo come la suc-
cessione di Pietro, sia a livello politico, paragonandolo allo stato
monarchico. Contro una simile analogia si scagli con passione il
giovane Martin Lutero, che negli anni seguenti dovette per ca-
pitolare di fronte ai giuristi delle Chiese regionali cd ammettere
rassegnato che, se prima si mescolava la ecclesia con la politia, ora
si mescola la pul;1ia con la ccclcsia. Fino alla rivoluzione francese
anche le chiese nate dalla Riforma si muovono nell'alveo dell'inter-
dipendenza costantiniana fra societ ecclesiastica e societ politica,
nonostante i diversi motivi spiritualistici che il loro concetto di Chie-
sa racchiude. L'attuale idealizzazione romantica dell'et pre-costan-

1-17 K. ALANTJ, '.Das Konsrnntini~chc Zl'italtcr', in: Kirrbengtschichtliche EntwiJr-


fe, Giirersloh 1960, 165201: H. RAHNER, op. cii. (nota 63).
EPOCHE DELLA STOll.IA DELLA CHIESA 7II

tiniana della Chiesa non sfocia soltanto nell'affermazione utopistica


della possibilit di restaurare questo tipo di Chiesa, ma dimentica
pure la consistenza di un potere sacrale dell'impero e della chiesa
articolato secondo il principio del come al vertice cosl alla base,
un principio che deriva senz'altro dal paganesimo ma che anche nella
Chlesa costantiniana contraddio~a L'impulso rivoluzionario rac-
chiuso nel detto di Cristo: Il mio regno non di questo mondo.
Nell'et costantiniana della Chiesa vanno distinti due periodi, e
quindi due modi di realizzare il rapporto Chiesa-mondo. Nel primo
la Chiesa si adegua all'alta cultura, pienamente evoluta, del!l'antichi-
t greco-romana. Il processo prend.e inizio ancor prima di Costan-
tino, con gli apologisti, che in parte, in funzione antipolemica, as-
sumono le difese di una Chiesa perseguitata tanto sul piano intellet-
tuale quanto su quello politico, ma che in parte cercano, nell'attivit
missionaria, di giungere pure ad un accordo con lo spirito culturale
della tarda antichit. Questo adattamento conosce una nuova fase
nella scuola catechetica di Alessandria (Clemente, Origene). Ma il
fatto veramente nuovo, determinatosi dopo Costantino, la rispon-
denza che venne ad affermarsi, sia nell'apparato amministrativo che
nelle stesse definizioni trinitarie e cristologiche, tra la Chiesa e l'im-
pero romano, nel quale essa aveva preso ad estendersi dopo che la
comunit di Gerusalemme aveva fatta propria la scelta paolina di
una Chiesa composta di <(giudei e pagani. Il discorso sull'elleniz-
zazione del cristianesimo non dovrebbe tuttavia dimenticare che la
Chiesa mantenne vivo anche il suo rapporto con la tradizione del-
l'AT e che proprio questo ancoraggio le consentl, nei secc. I e II,
di respingere tanto la gnosi quanto la dottrina di Marcione. Molto
importante, per la formazione del rapporto costantiniano Chiesa-
mondo, fu l'alleanza che si stipul tra le due forze durante la lotta
contro il donatismo, movimento senz'altro a carattere sociaJ.rivolu-
ziona:-io, per cui spett.ava allo stato debellarlo, ma anche genuina
espressione religioso-cristiana. E cos, per schiacciarlo, ci si serv
degli strumenti politici, m:l non manc neppure l'assenso della Chiesa.
Il secondo periodo ddl 'i::ra costantiniana si distingue essenzial-
mcme dal primo per il fotto che la Chiesa latina produsse tra i bar-
bari germanici, romanici e slavi la cultura d'Occidente, che divenne
cos la cultura propria del cristianesimo, mentre i cristiani dell'im-
CHIESA COME STOJl.IA

pero bizantino continua!l'Ono a vivere secondo gli schemi culturali


del mondo antico. Non quindi possibile stabilire un parallelis-mo
fra !'ellenizzazione e la germanizzazione della Chiesa nel primo
medio evo, perch mentre questa frutto di adeguamento ad una
cultura primitiva suscettibile di formazione, l'altra deriva dalla cre-
scente assimilazione di una cultura ormai pienamente evoluta. Ma
si deve proprio a questa plasmabilit delle popolazioni barbare
se le sfere della vita religiosa e politica, della vita sociale e cultu-
rale, furono in grado di dispiegare un'unit originaria, che va molto
pi in profondit dell'ellenizzazione e che pu venir compromessa
soltanto con uno stacco rivoluzionario.
corretto sostenere che, nel rapporto Chiesa-mondo, com'esso si
articol nella cristianit d'Occidente, si riscontrano i tratti essenziali
di una incarnazione della fede cristiana nel mondo, non legati alla
cultura europeo-ocaidentale. Non possiamo invece accettare senza
riserve un discorso sulle strutture aprioristiche (K. Rahner ), in
quanto tali strutture si sono formate esclusivamente sul piano stori-
co, ed anche perch la Chiesa o-dentale ci dimostra come fosse pos-
sibile dar vita ad un rapporto completamente diverso con il mondo.
Si pu anche dire che il successo della missione cristiana dipese pra-
ticamente dall'europeizzazione del mondo; non invece corretto so-
stenere che questo legarne abbia rappresentato la forma adeguata
di un annuncio del messaggio di Cristo. ben difficile trovare una
esemplificazione pi chiara del problema aporetico che il vangelo
incontra nella sua storia (vedi pi sotto).
L'idea di <~Chiesa nel mondo vuol opporsi alla tendenza, presen-
te nella Chiesa europeo-occidentale, a mantenersi arroccati su po-
sizioni Costantiniane. Essa si afferma in un duplice processo di
emancipazione. Innanzitutto il mondo europeo moderno che si
emancipa dalla Chiesa (per quanto l'efficacia dei motivi cristiani si
faccia sentire anche nella secolarizzazione); poi il mondo cxtra-e11-
ropeo ad emanciparsi politicamente dall'Europa (per quanto anche
questa emancipazione abbia il signifcato di una auto-europeizzazio-
ne secolare). La Chiesa diventa, cos, Chiesa-mondo>>, in quanto
smarrisce il proprio mondo .:d costretta a registrare la perdita
del suo precedente rapporto costantiniano con il mondo. Il pro-
blema, spinoso cd ancora irrisolto, dei nostri giorni quello di sa-
EPOOU! DELLA STORIA DELLA CHIESA
71 3

pere in che modo si dovr ridefinire nell'ra post-costantiniana della


Chiesa, il rapporto Chiesa-mondo.
Nell'et pre-costantiniana e in quella post-costantiniana, la Chiesa
si trova continuamente esposta alle persecuzioni (nell' et costanti-
niana si ebbero sofoanto, se si prescinde da alcuni martiri in terra
missionaria, persecuzioni di cristiani ad opera dei loro fratelli). Tut-
te le persecuzioni dirette, e di una certa consistenza, sono .ispirate
dalla volont politica di imporre un sistema totalitario, in cui i ori-
stiani costituirebbero un corpo estraneo od ostile, o per lo meno
questa l'impressione che essi danno: gli imperatori Decio e Dio-
cleziano mirano a restaurare l'impero sulle basi dell'antica religione
romana; il regime nazionalsocialista si prefigge come compito la co-
stituzione di un grande stato germanico fondato su un'ideologia
razzista; i paesi comunisti considerano la religione come un ostaco-
lo sul cammino verso la societ senza classi. Tutti i sistemi, po-
tenzialmente tendenti alla persecuzione della Chiesa, concedono dei
periodi pi o meno lunghi di tregua, e questo induce i cristiani a
valutare erroneamente la loro situazione. Nei primi tempi del cri-
stianesimo non solo l'exhortatio ad martyrium era una componente
fondamentale dell'educazione religiosa, per quanto non si favorisse
affatto l'aspirazione al martiorio, considerata forma d'orgoglio; ma le
stesse persecuzioni venivano celebrate come il tempo della Chiesa
(cosi ad es. Origene), mentre si pensava che la pace favorisse una
fiacca acquiescenza. Che la piet incentrata sul martirio (e che ave-
va dei risvolti immediatamente pratici) non scaturisse affatt.o dalla
Chiesa nazionale hensl da una Chiesa elitaria, dalJa setta, ce lo
stanno a dimostrare le persecuzioni sia pre-costantiniane che post-
costantiniane, con le diverse manifc~tazioni di apostasia e compro-
messi pi o meno accentuati. Nessuna tipologia delle persecuzioni e
dei loro effetti dovr dimenticare che la situazione storica della Chie-
sa prima di Costantino, quella cio di un mondo non ancora cri-
stiano, essenzialmente diversa da quella vissuta dalla Chiesa do-
po Costantino, quando i cristiani hanno ormai perso quel mondo
che era loro e non sanno (ancor.a) rinunciare ad una conferma della
propria fede ottenuta mediante ]'influsso esercitato sul mondo con
una cultura cristiana; qu~ndo non hanno ancora imparato a vi-
vere della promessa del Signore e sognano di Catturare il mondo.
CHIESA COME STORIA

La storia della Chiesa non consente per alcuna celebrazione entu-


siastica della comunit cristiana del tempo delle persecuzioni. No-
nostante tutta la mondanizzazione che un millennio e mezzo di pa
ce ha prodotto nella Chiesa costantiniana, questo periodo sta
to pur sempre, per le riforme che continuamente vennero promosse
in nome del vangelo e tra le quali va annoverata anche la Riforma,
tempo della Chiesa come quello delle persecuzioni.
All'interno di questa ampia storia del rapporto Chiesa-mondo, ma
nelle strutture cronologiche tutte sue proprie, la storia interna della
Chiesa si presenta come una figura storica relativamente autonoma.
La storia di una qualsiasi istituzione (nazione, stato, cultura) pre-
senta una tale vairiet di strutture cronologiche, che una periodiz-
zazione generale deve per forza condurre a delle astrazioni pi o
meno pronunciate. L'importanza della svolta costantiniana non sta
tanto nel fatto che essa fissa un momento cronologico nella storia
interna della Chiesa, quanto nella sua incidenza sul rapporto della
Chiesa con il morrdo, naturalmente nella misura in cui questa storia
interna della Chiesa rimane condizionata dal suo rapporto con il
mondo.
La storia della costituzione della Chiesa,1 48 che ovviamente soltan-
to per una certa ecclesiologi.a costituisce un fenomeno intraecclesia-
le, agli inizi del sec. u (Ignazio d'Antiochia) ci presenta l'importan-
tissima scelta del ministero episcopale, il quale si fonda, nella suc-
cessione degli apostoli, sull'autorit divina e viene esercitato d.a una
persona; pare che verso la met del secolo questa costituzione fon-
damentale si fosse imposta ovunque. L'anno 170 segna l'inizio del-
la storia dei sinodi, assemblee in cui si riunivano i vescovi con:fi-
nanti. Essi condurranno alla formazione di una grande Chiesa, ini-
zialmente ecumenica. Mentre la formazione dell'episcopato fu un at-
to essezialmente interno alla vita della Chiesa, il processo che sfo-
ci nel riconoscimento dcl diritto di voto, originariamente accordato
al cler0 ed al popolo ed esercitato con il concorso dei vescovi con-
finanti, s'intreccia con la storia politica: l'imperatore che l'usur-
pa o l'aristocratico capitolo del duomo che se lo riserva, ma pu es-

a~ H.E. Fi;1NE,Kircbliche Rcchtsgcsrhicbte, Weimar 3r)55; \VI. P<:cm.,. Gesc!iichtP.


df's Krrhcmecht.<, 2 voli., Wicn 1953/55; E. Wou, Ordnu11~ der Kirc!JI', Lehr- tmd
lJ,.11db1ub des /<.icliemec!;ts au/ rit:11wenisd1er fl1Hi,, 2 vull:, Pra'lkfnrt i960/6J.
EPOCHE DELLA STORIA DELLA CHIESA

sere anche il papa che, come nel medio evo, estende il proprio di
ritto di conferma in diritto di nomina (operazione dettata da enor
mi interessi finanziari), mentre si d anche il caso, come avviene nel
l'et moderna e nei paesi a religione di stato, che il potere si afEer
mi mediante patronati e privilegi.
La storia del ruolo privilegiato, che il vescovo di Roma svolge
per l'intera cristianit, viene considerata, da quando gli studiosi so-
stanzialmente concordano nel ritenere che Ireneo di Lione e Cipria-
no non possano venir addotti come testimoni de.I.l'idea primaziale,
innanzitutto come la storia di una rivendicazione romana, fondata
sul dato biblico, formulata in termini sempre pi chiari e gi pie-
namente evoluta con Leone Magno (440-461 ). La storia della Co-
stituzione della chiesa del medio evo essenzialmente storia del
papato, connessa con la storia dello stato ecclesiastico e con l'evolu-
zione del diritto ecC'lesiastico romano. L'idea del conciliarismo, la
cui preistoria risale ai secc. xu e xn1, viene evoluta in tutte le sue
implicanze durante lo scisma d'Occidente e nel periodo immediata-
mente successivo; pur fondandosi su una certa impostazione eccle-
siologi<:a, fin dall'inizio essa presenta dei forti legami con l'ideologia
politica e prassi dei governi confessionali. Le posizioni conciliaristi-
che vennero superate, nella Chiesa romano-cattolica, dal concilio di
Trento, mentre ~1 gallicanesimo e l'episcopalismo furono vinti dal
primato .pontificio. Ma il r870 fu l'anno che segn la fine dello stato
pontificio (dalla Chiesa per accettata soltanto nel I 929) e l'inizio,
con la definizione dell'infallibilit, di un'autorit pontificia di tipo
spiri tua le, che dopo il concilio Va ticano II va inquadrata nella pi
ampia sfera dei rapporti fra papa e collegio episcopale universale.
Nella suc<:essione dell'apostolo Pietro, il papato si comprende come
principiurn unitat.r della Chiesa. Due volte nella storia della Chie-
sa, e sempre in determinate situazioni storiche, esso ha per segna-
to anche il motivo, se non unico certo il pi consistente, delle gran-
di lacerazioni ecclesiali: nel ro54 con la scissione operatasi tra la
chiesa occidentale e quella hizantim, e nel sec. xvi con la Riforma.
Nella storia ecclesiastica dell'et costantiniana, il laico esercitava
un notevole inlusso sulla Chiesa, non per in quanto membro del
popolo di Dio, bens1 nella sua qualit di detentore del potere poli-
tico e sociale. Gli ordinamenti delle Ghiesc riformate, con le loro
CHIESA COM.I!. STORIA

strutture episcopali, concistoriali e sinodali, si ispirarono senz'altro


alla figura di W1 popolo di Dio unicamente sottomesso all'autorit
della Scrittura; ma fin dall'inizio dovettero fare pure i onti' con il
potere politico, che si attenu soltanto, per favorire una costituzio-
ne ecclesiastica di tipo spirituale, quando quelle chiese rivolsero i
loro interessi sempre pi decisamente alla propria realt.
Se gi la storia della chiesa si presenta, nella sua sfera pi intima,
legata alla realt del mondo e la stessa Parola di Dio deve tradursi
in un linguaggio storico, tanto pi risulter specificamente condi-
zionata da elementi sociali e profani la storia della sua costituzione.
Questo spiega perch il problema della Chiesa come storia si pre-
senti anche qui particolarmente arduo: se vero che nessuna eccle-
siologia potr concepire la Chiesa, luogo in cui si attualizza il mes-
saggio del suo Signore, come una societ identica ad ogni altra,
anche vero che in ogni suo momento storico, in proporzioni diver-
se e secondo il suo rapporto con il mondo, la Chiesa pur sempre
una societ che, al pari di ogni altra, risulta condizionata dai prin-
cipi del potere profano.
Nemmeno una concezione ecclesiiologica che presupponga delle
istituzioni di diritto divino ci presenta la Chiesa come fine a s:
essa infatti il luogo in cui si vive e si proclama la fede. Questa
storia di fede si svolge su diversi piani, tra loro intrecciati ma sto-
ricamente non sempre combacianti: la storia delle definizioni dog-
matiche e delle professioni di fede, la storia del pensiero teologico,
la storia della liturgia, la storia degli ordini ecclesiastici, la storia
della vita di fede e di piet, vissuta dal popolo ma cos poco ap-
prezzata e comunque non coincidente con la storia dei dogmi, della
teologia, della liturgia ufficiale, e infine la storia missionaria che as-
solve lo specifico compito di annunciare il vangdo nel tempo.
Quali eventi fondamentali, che si verificarono nella storia della
fede, dobbiamo considerare le professioni ricavate dalla liturgia bat-
tesimale e la delimitazione autoritativa (nel I 80) degli scritti cano-
nici neotestamentari, con la definitiva inclusione dell'AT. Il
fatto poi che le divorse confessio!1i cristiane abbiano elaborato anche
diversi modi di concepire la Bibbia non toglie che qui si ;;ia ope
rata una scelta storica, cui dovr riferirsi ogni enunciazione che ab-
bia per oggetto gli clementi della fede cristiana. La storia dei dog-
EPOCHI! Dl!LLA STOl\IA DELLA CHJJ!SA
717

mi,148a nel senso pi ristretto di storia delle definizioni ufficiali, co-


nosce due gra-ndi epoche: I. le decisioni trinitarie che si presero
nel se<: IV (Nicea 325, Costantinopoli 321) e quelle cristologiche del
sec. v (Calcedonia 451), cui dobbiamo aggiungere anche i principi
fondamentali di antropologia cristiana, dei quali ci si servl per con-
dannare la dottrina .pelagiana della grazia (Efeso 431 ); 2. le con-
fessioni di fede prodotte dalla Riforma nel sec. XVI (quelle lutera-
ne: Catechismus Maior e Min01', la Confessio Augustana; tra le varie
confessioni riformate, ricordiamo: il Catechismo di Ginevra e la
Confessio Scotica; delle anglicane: il Book of Common Prayer e gli
Articoli Anglicani) e i decreti dottrinali, non soltanto apologetici,
del concilio di Trento (1545-1563), come pure il Catechismus Ro-
manus che su di essi si fonda. Le pi importanti decisioni di fede,
prese a livello ufficiale, si concentrano quindi in due epoche, la pri-
ma delle quali assume senz'altro, nella hieMrchia veritatum, una fun-
zione storica di primo piano. La disputa sul filioque, sorta in Spa-
gna nel sec. vu, in ultima analisi non si presenta come una questio-
ne dogmatica, bensl quale punto di partenza dello scisma tra la
Chiesa romana e quella bizantina. La pi importante definizione
medievale, ben difficilmente inquadrabile dal punto di vista storico
nella categoria del!le grandi epoche dogmatiche dei secc. IV-V e XVI,
la dottrina della transustanziazione eucaristica ( l 2 r 5 ). I dogmi ma-
riani dei secc. XIX e xx sono ancora oggetto di controversie confes-
sionali, soprattutto a motivo dell'antropologia che ad essi soggiace.
li fatto che la definizione deH 'infallibilit pontificia ( r 8 70 ), in cui
trova il suo sbocco storico un lungo processo, ricco di vicissitudini
nella storia del papato, fino al concilio Vaticano II sia stato ritenuto
come il dogma cattolico per ecceHenza, non soltanto al di fuori
della chiesa romano-cattolica ma anche in questa stessa Chiesa, e
cil1 non puramente a livello di comprensione volgare, sta a testimo-
niare, pure all'interno di un simile riconoscimento, che la capacit

I4.<a li problema delle esposizioni cattoliche della storia dci dogmi gi stato
sollcvnto pit1 sopra; d. B.J. 01'TI'~, ;1 Manual ol the History of Dogmas, 7 voll.,
l.ondon r917; ;\I. S<.'HM.\US f.T ALII, H11tzdbuch, cit. (nota 26). Per quelle prate
st1111ti, cf. W. Kom.1m, Dogml'ngeschichtc als Gnr.hicbte des christlichen Selb.<tbe-
w11utsei11s. \.'on dcn Aniii11~e11 hi.r zur Reformation, Ziirich l1951; In., Das Zeita!ter
da Rt>/ormation, /'.ijrich 1951 ( ovvio che questa esposizione non dcv"es~ere presa
come rapprr,entativu Jd protestantesimo nel suo complesso).
C'HlES A COMI! :STORIA

di differenziazione propria della fede rimane viva solo nella coscien-


za della sua storia universale.
La storia della teologia 14~ precede questa storia delle definizioni
dogmatiche, la segue interpretandola e pure le si oppone; ma ci
che pi conta che, nei momenti essenziali, non si svolge in sin-
tonia con essa. Questa storia, infatti, ha un proprio ritmo storico,
non perc"Pihile quando si riferisce la storia della teologia esclusi-
vamente alla storia dei dogmi, ma nemmeno quando, viceversa, si
dissolve la storia dei dogmi nella storia della teologia. Questo ritmo
si delinea, nelle sue diverse fasi, con le figure dei maggiori teologi.
Nel periodo post-apostolico abbiamo Origene (f 254), il teologo pi
importante dell'Oriente, e dopo un significativo lasso di tempo Ago-
stino {t 430), il teologo d'Occidente. In questo periodo la storia
della teologia e quella dei dogmi combaciano quasi perfettamente.
Per le sue condizioni storiche, fa teologia occidentale del primo me-
dio evo si dimostira recettiva e segue fedelmente l'impostazione ago-
stiniana, mentre la teologia bizantina, che non ha conosciuto l'esplo-
sione culturale d'Occidente, si richiama alle posizioni della patristi-
ca. Soltanto sullo scorcio del sec. XII, quando ci si confront con
la filosofia di Aristotele, dal medio evo occidentale sorse la teologia
creativa della scolastica, la quale culmin, fango il corso del sec. xm,
nell'alta scolastica (Tommaso d'Aquino t 1274, Alberto Magno
t 1280 ). Nonostante certe sue divergenze con i teologi domenicani,
Duns Scoto (t 1308) va considerato come l'ultima grande figura del-
l'alta scolastica. Non si sottolineer mai abbastanza il significato che
per la storia della Chiesa assunse il fatto che solo la scolastica riusci
a produrre una teologia scientifica. Al contempo per non bisogna
dimenticare che la tradizione agostiniana, soprattutto con Bonaven-
tura (t 1274), che nella sua dottrina include tuttavia anche momen-
ti tiipici della tr.adizione aristotelica, ancora efficace ed influisce,
assieme al neoplatonismo, sulla mistica dei secc. Xll-XlV (i Vittori-
ni, Bernardo di Chiaravallc t TI 53, Meister Eckhart t I 327, Gio-

14'! Bibliografia articolata secondo le eroche, i sistemi e le forme di p<nsicro, in


l.ThK TO (I965) 74 ss.; pe1 il protestan1esimo, d. Ibid. 8 (x963) 827; operastan-
durd per l'et moderna i:- II. Ilrnsm, Ce.rchichte der ne11ere11 evanf!.clirchen 'fheo-
101?.if, .5 voll., Giitersloh r949/19H; sulla Chiesa orientale, H.-G. BE(K, Kirche
und /l!l!o/ogischc. Literatur im by:wntinischen Reich, Milnchcn 1959_
EPOCHE DELLA STORIA DELLA CffiESA

vanni Taulero t l 361, ed altri). significativo che la ricerca sto-


rico-teologica e storica..flosofca del sec, xx abbia riscoperto l'impor-
tanza di Niccol Cusano (t 1464), bench si possano avanzare an-
che certe riserve critiche nei confronti di un'interpretazione moder-
na di questo personaggio. Anche chi non condivide il deprezzamen-
to deJia teologia controversistica del cattolicesimo - questa valuta-
zione dev'essere interpretata in chiave sociologica - vedr i gran-
di teologi della Riforma (Martin Lutero t 1546, Filippo Melantone
t 1560, Giovanni Calvino t 1564) su un piano che non pu essere
minimamente ,paragonato a quello dei loro avversari.
Questo abbozzo intende richiamare soltanto l'attenzione su un
fatto assolutamente singolare, che cio la grande teologia d'Occi-
dente si concentra nei cinque secoli compresi tra il XII e il xvn. La
pi recente storia della teologia si svolge, seguendo varie dirama-
zioni, nell'alveo delle controversie int:ira ed interconfessionali, accet-
tando l'iHuminismo - fenomeno senz'altro degno di rispetto - od
opponendosi ad esso, per ricuperare poi nel sec. xx, e con una scel-
ta culturale davvero sorprendente, le impostazioni teologiche origi-
narie, che io storico non ancora nella possibilit d'inquadrare.
La celebrazione cultuale un luogo specifico in cui la fede si
esprime. Per tale motivo le esposizioni della storia della Chiesa non
dovrebbero preoccuparsi di illustrare quasi unicamente l'evoluzione
dei dogmi e della teologia, ma attendere anche, e pi copiosamente,
alla storia della liturgia. l!ll Th. K. Klauser ha qualificato l'arco di
tempo che va dagli inizi della Chiesa primitiva al pontificato di Gre-
gorio Magno come il periodo degli inizi creativi, quello compreso
tra Gregorio vn e il concilio di Trento (quindi una porzione note-
vole dell'intera storia ddla Chiesa) come il periodo del dissolvi-
mento, delle escrescenze, delle reinterpretazioni e falsificazioni, e
l'epoca post-tridentina come il periodo della ferrea uniformit li-
turgica e deilla rubricistica. Alcuni storici della liturgia gradirebbe-
ro forse una migliore differenziazione delle diverse epoche. Rimane
comunque assodato che la struttura cronologica della storia della
liturgia si differenzia sostanzialmente se non altro dalla ~toria della

J;() Tir. Kr.rnsER, Klei11e abendla11dircbe Littirgiegeschichte, llonn 1965 {hibl.}.


Fondmnent"k l'opern di J.A. ]UNG~IANN, Missarnm Sollem11ia, 2 voll., Frciburg L
Br. 1952 (trad. it. Missarum Sollem11ia, l'vlarictti, Torino).
720 cmESA COME STORIA

teologia e che quindi il quadro delle epoche della storia ecclesiastica


si presenta diverso dalla struttura cronologica in cui viene letto.
H. ]ed.in ha richiamato l'attenzione sulla necessit di studiare pi
a fondo la rtoria degli ordini religiosi 151 e la funzione che essi .svol-
gono nella storia della Chiesa. Indubbiamente questa storia non si
esaurisce neill'attuazione delle diverse riforme ecclesiastiche, come
dei resto queste renovationes, re/ormationes, restaurationer non so-
no finalit eslusive degli ordini ecclesiastici. certo, comunque,
che nelle fondazioni degli ordini vediamo espressi, ed in modo al-
quanto accentuato, gli impulsi dell'eccleria semper reformanda. Nel-
la chiesa orientale il fondamento della vita monastica fu l'AsketVeon
di Basilio (composto verso il 360). Una vera e propria regola fu
quella di Benedetto, la quale s'impose, nel sec. vm, in tutto l'Occi-
dente. L'ordine benedettino, il pi antico e fino ai nostri giorni il
pi solido ordine monastico d'Occidente, ci offre un esempio eloquen-
te di come anche per la storia della Chiesa valga la legge storica:
ogni movimento di riforma, quando viene istituzionalizzato, es~ge
esso stesso una riforma (la riforma cluniacense del sec. x, la riforma
delle congregazioni nel sec. xv). In chiara funzione critica contro il
monachesimo cluniacense sorge, sullo scorcio del sec. xn, l'ordine
dei cistercensi, cui BernaTdo di Ghiaravalle ha conferito, con la sua
opera, l'impronta spirituale. Mentre i premonstratensi si stanno af-
fermando, Domenico (t r221) e Francesco d'Assisi (f r226) fonda-
no i loro ordini mendicanti, che sor.gono dal movimento pauperisti-
co e dal quale essi cercano di mutuare i momenti di critica alla so-
ciet ed alla gerarchia. Originariamente questi ordini rappresentava-
no le punte pi avanzate e decise del moto di riforma medievale.
Il fatto che l'impostazione assunta dalle correnti spiritualistiche
abbia preso ad evolversi, in parte, entro schemi ereticali sta forse a
significate che la forza rigenerativa della Chiesa era ormai giunta
ad un limi.te che nemmeno la Devotio moderna della fine del sec. XIV
e i tentativi di riforma, sorti in Spagna e in Italia, furono in grado
di valicare. Il rinnovamento ecclesiale operatosi con la. Riforma com-
port invece una rottura rivoluzionaria con l'ordinamento gerarchi-

151 La citaz. di Jedin in LThK 7, ( 1962) 1204; M. HE1MBUCHER, Orden und


Kongrcr.ationen der kath. Kirche, Paderborn 31932/J4.
EPOCHE DELLA STORIA DELLA CHIESA 721

co, e contro tali posizioni insorse l'ordine fondato da Ignazio di Lo-


yola (t 1556), col suo voto specifico cli obbedienza al papa. In se-
guito sorsero numerose altre congregazioni, indubbiamente impor-
tanti nella storia della Chiesa, anche se la loro evoluzione non
stata ancora vagliata. Ma legittimo ritenere che con l'ordine dei
gesuiti sia giunta ormai al termine la grande storia degli ordini. La
successiva storia della riforma della Chiesa cattolica essenzialmente
non sar altro che la storia della riforma tridentina. Si dovr analiz-
zare il senso che tale fatto assume per il dinamismo interno della
realt ecclesiale.
Tutte le Strutture cronologiche dei diversi livelli di esistenza
ecclesiale costituiscono dei fenomeni importanti per la storia uni-
versale della fede e della -piet, non ancora illustrata nei suoi ampi
nessi 152 e che comunque non si risolve sui piani formalizzati dell'.esi-
stenza della Chiesa. Da questi infatti emerge, ma trascendendoli e
spesso contestandoli fino al punto da determinare, in certi casi, an-
che una frattura con l'ambito istituzionale, la vita dei santi, la vita
cio di quegli uomini religiosi che godono di una particolare inti-
mit con Dio e la cui esistenza e irradiazione definiscono i periodi
della storia ecclesiastica non meno degli avvenimenti di tipo istitu-
zionale, per quanto non siano valutabiili in tutta l:a loro ,portata.
vero che ci che si verifica tra Dio e il singolo non si sottrae sol-
tanto - nonostante i documenti letterari che possediamo - alla
comprensione storica, ma anche privo, in quanto rapporto di san-
tit, di una dimensione temporale. Tuttavia pure certo che nessu-
na intimit mistica potr mai prescindere dalle condizioni temporali
che connotano inevitabilmente l'individualit umana. E proprio per
tale motivo esiste anche una storia della santit. Essa per non
coincide pienamente con la storia del culto dei santi, 153 perch la
scelta delle persone che si venerano e il modo in cui le si vene-
rano, l'ideale che i santi incarnano, sono inseriti nel tessuto dei rap-

isz H. BREMOND, Histoire littraire du, sentment religieux en France depuis la


fin des guerres d"' relgio11 ju.rq' 110s jours, n voli., Paris 1916/33; opera esem-
plare, per quanto presenti dei limiti regionali e cronologici; P. PouRRAT, LA spiri-
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722 CHIESA COME STORIA

porti sociali molto pi profondamente di quanto non lo siano le


stesse persone sante, che spesso rimangono anonime, perch non ri-
specchiano l'ideale corrente. Se si vuol quindi delineare una storia
della spiri:ualit cristiana, si dovr render conto anche della vita
degli eretici, che le storie ecclesiastiche ci hanno presentato
sempre sotto l'aspetto della loro eterodossia. La storia dell'ideale dei
santi conosce la sua prima, profonda trasformazione nell'ambito del-
la storia universale della Chiesa: la cerchia dei martiri si dilata fino
a comprendere persone che non hanno versato il proprio sangue per
la fede; il martirio continua tuttavia a rimanere quale ideale di san-
tit e Io si celebra nell'agiografia anche in senso figurato, fino a ri-
durlo a puro topos letterario. Altra causa di pro.fonda trasformazio-
ne stato H fatto che i santi che si veneravano erano i santi dei
conventi, delle diocesi, dei paesi o della categoria sociale. Questa SO-
ci.alizzazione attenu le esigenze di una santit di tipo individuale,
le quali peraltro riaffiorarono nel periodo gotico, in quello rinasci-
mentale e barocco. L'evoluzione di un ideale sovraterreno di san-
tit, come se lo propose il sec. XIX, non fu altro, tuttavia, che una
riscoperta del tratto escatologico presente nell'apparizione del santo.
La storia della fede e della piet include essenzialmente anche fa
storia dell'arte cristiana (e pure quella della musica, che tuttavia ben
difficilmente s'inquadra, date le sue forme cosi particolari, in tale
prospettiva). Specialmente la storia dell'iconografia cristiana 154 sta
a documentare una vita di fede e di piet non solo pensata ma an-
che immediatamente vissuta. certo che l'iconografia presenta pure
un'impronta tipicamente letteraria, per cui il pi delle volte si riu-
scir ad interpretarla, con una buona approssima:'.ione, SO'ltanto in
base alle fonti letterarie; ma bisogner anche tener ben presente che
sia la crea7.ione dell'opera d'arte cristiana, come pure il delinearsi
dcll'e intuizioni che ad essa soggiacciono, seguono un itinerario loro
proprio. Esemplare a tale proposito la storia della figura di Cristo,
le cui trasformazioni nel corso dei secoli non possono venir inter-
pretate come espressioni periferiche della vita ecclesiale. La loro in-
cidenza cos forte che, pur ammettendo l'influsso esercitato dal

154 L. R1AU, lcll/101!.rtl{'bie ,f,, l'art ,:brtit'll I, Il T-2, nr T-3, Paris 1955/')9;
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EPOCHE DELLA STORIA DELLA CHIESA 723

concilio di Nicea, ad esempio, suM'iconografia di Cristo, ci sono pra-


ticamente indispensabili per capire la continuit della storia eccle-
siastica, che la dogmatica formale non in grado di illustrarci. Che
cosa si verifica nella fede cristiana quando al posto del Salvatore
(raffigurato come il Buon Pastore, il Maestro, Orfeo) subentra quel-
la del Pantokrator (il cui simbolismo in buona parte mutuato dal
culto all'imperatore), quando H Croci.fisso incoronato cede il posto
al Ges sofferente (al cui fianco troviamo per il Rex regum),
quando, come nel tardo medio evo, compare la figura dell'Uomo dei
dolori, quando in modo estremamente realistico si raffigura Ges
che risorge e ascende al cielo (si pongono, ad esempio, in rHievo le
impronte che lascia sul terreno), quando si avvolge la figura del Ge-
s trasfigurato di una luce sovramondana, quando il Cristo del ba-
rocco italiano assume, verso la fine del 700, quei lineamenti cosi
sentimentali che tanto influiranno sulle masse, fino nel sec. xx?
Ben difficilmente si potr integrare in una storia della chiesa an-
che il folclore, e tuttavia esso ci aiuta a capire come la fede cristia-
na venga vissuta, sotto la debole influenza dell'autorit gerarchica
e teologica, anche nel costume religioso, specialmente nella sfera dei
sacramentali. Ovviamente si tratta di fenomeni che non riscontriamo
nella storia ecclesiastica pi elevata, ma che pur tuttavia sono for-
ze estremamente importanti per una comprensione della storia uni-
versale de1la fede e deHa piet.
Se in questo abbozzo delle diverse strutture cronologiche della
storia ecclesiastica poniamo per ultima la storia della missione,155
questo non perch H carattere missionario sarebbe il lato esteriore
della storia interna della Chiesa; anzi, esso costituisce il contenuto
autentico, biblico, del tempo della chiesa. Ma anche vero -
cd proprio questo H motivo per cui la storia missionaria stata
collocata alla fine, come ricapitolazione del problema della storia ec-
clesiastica - che la missione evidenzia in modo del tutto particolare
il dilemma tra fede e storia. Il mandato missionario del Risorto

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CHIESA COME STO:RJA

di annunciare il vangelo a tutti i popoli, un imperativo quindi


anche escatologico, ha subito una storicizzazione estrema, che solo
oggi, quindi dopo una storia missionaria di due millenni, possiamo
analizzare ed aprire al suo reale contenuto: al comando di annun~
ciare la buona novella del Signore. Una prima fase, fondamentale e
qualitativamente diversa dalle successive, quella pre-costantiniana;
in seguito la propagazione del cristianesimo muter connotati, a cau-
sa dei vantaggi mondani che il battesimo era in grado di offrire. An-
cor prima di Costantino l'attivit missionaria aveva imboccato, se-
guendo l'alveo della storia universale, la strada che doveva condurla
fin nel cuore dell'impero romano; ma questa direttrice, che aveva
come punto di partenza la costa orientale del Mar Mediterraneo e
come punto d'arrivo le terre d'Occidente (con puntate sporadiche
verso il Golfo Per5ico, fino all'India ed alla Cina), sfoci poi, dopo
la decisione di Costantino, in una identificazione tra cristianesimo e
impero romano, e con effetti di natura non esclusivamente geogra-
fico-culturale. I principi missionari evoluti da Agostino rimasero
validi per tutto il medio evo: l'atto di fede dev'essere spontaneo,
tuttavia il potere politico ha il dovere di piegare la resistenza del
paganesimo e di punire, secondo la legislazione antiereticale, i reci-
divi. Nemmeno Tommaso d'Aquino rirusd a sciogliere il dilemma
implicito in queste posizioni. Non si potr certo ignorare che, nono-
stante tutto, l'idea apostolica e missionaria rimase pur sempre viva.
Ma si dovr anche concedere che una cristianizzazione imposta con
gli strumenti del potere politico (anche se alla guerra seguiva la
predicazione del vangelo) rimane un fatto storico di capitale impor-
tanza; n basta osservare che, date le condizioni del tempo, questa
era l'unica via praticabile.
L'Islam ridusse violentemente lo spazio di diffusione del cristia-
nesimo. Basandosi su questo fatto K.S. Latourette ha potuto affer-
mare che, dal 500 al 1500, il cristianesimo ha conosciuto nella sua
missione thousand years of Uncertainty. Non si dimentichi tut-
tavia che l'idea di una propagazione cristiana universale rimase sem-
pre viva; ce lo attestano i viaggi missionad, per quanto spora.lici,
nelle terre d'Oriente, i tentativi di sfondare la barriera infrapposta
dall'Islam, e pure una certa attivit missionaria, non troppo feconda
per la verit, negli stessi paesi islamici. Ma anche guesti impulsi cb-
EPOCHI! DELLA STORJA DELLA QfJESA

bero l'effetto di consolidare ulteriormente l'idea di una identificazio-


ne della Chiesa con il mondo occidentale, e fino a tal punto che il me-
dio evo, al termine del processo di cristianizzazione dell'Europa, non
fu in grado di sprigionare alcuna forza missionaria. pacifico che la
nascita dell'Europa comportasse anche un'aflermazione del cristiane-
simo; pi controverso invece il grado d'incidenza dell'impulso mis-
sionario sulla formazione europea.
Secondo una teologia missionaria, ora evoluta in chiave critica, l'as-
soluta precedenza va data alla via apostolica dell'annuncio evange-
lico, la quale non fu in grado di imprimere une. nuova rotta alla
via politica, ma di modWcarla soltanto in certi aspetti marginali. Co-
sl anche la controversia sui riti, sull'adattamento della religione cri-
stiana - una polemica ben pi complessa di quella che generalmen-
te ci si delinea - mette pi in luce il problema dell'incarnazione
culturale del cristianesimo che le vere implicanze della questione
(solo un modo di giudicare disincarnato dalia storia poteva sostene-
re la necessit di una complementarizzazione del cristianesimo di pro-
venienza greco-romana con un cristianesimo indiano e cinese). An-
cor pi concretamente il problema si pone a proposito delle voca-
zioni indigene. veramente sintomatica l'idea assurda che i sacer-
doti asiatici debbano officiare in latino anche quando non conosco-
no affatto tale lingua. Che poi K.S. Latourette, nella sua Storia del-
le missioni, qualifichi il sec. xrx come il great century e ad esso
dedichi gran parte del suo lavoro, sta ad indicare l'impiego di strut-
ture cronologiche diverse, e ci anche quando si critica - dal
punto di vista missionario - questo secolo. Esso non fu, infatti, il
grande secolo della Chiesa!
Un esempio dell'incapacit di attualizzate la fede cristiana nel
sec. xx ci viene offerto dal tentativo di abbozzare certi accomoda-
menti culturali proprio in un momento in cui da una parte le cul-
ture stesse si rendono problematiche, mentre dall'altra l'nnnipr-
sencc des incroyantes (A.-M. Henry) sta diventando, e sempre pi
chiaramente, il carattere distintivo dell'uomo della nostra ra.
L' <(Evanglisation de la civilisarion technique (Danilou} in effetti
il compito che s'impone in una situazione storica in cui i destina-
tari escatdlogici dell'annuncio, tutti i popoli, hanno costituito una
unica famiglia, la quale per non va confusa con quella che ci si
CHIBSA COME STORIA

prospettava nella storia ormai trascorsa di un processo geograif.co


di cristianizzazione.

5. Sull'impossibilit di .esporre la storia ecclesiastica


come storia di salvezza

Le strutture cronologiche presenti nci diversi livelli di esistenza


della Chiesa, come qui sono state abbozzate, mostrano che non
possibile sottoporre a verifica storica n la teoria ecclesiologica della
tradizione ininterrotta n quella della decadenza (se poi si cer-
ca di combinare l'una e l'altra, si sfocia in un vicolo cieco, perch
non si riesce mai a dire quale delle due debba venir fatta valere di
volta in volta). Si pure visto che, se possibile comprendere la
Chiesa nella sua specificit storica (entro una prospettiva universale
in cui essa si afferma come storia della fede e della stessa Chiesa),
non si pu invece isolarla, ndla sua dimensione storico-salvifica,
dalla storia universale. E proprio da questa impossibilit cli esporre
la storia della chiesa come storia di sailvezza emersa, analizzando
la storia ecclesiastica nello sviluppo di tale problematica, l'impossi-
bilit stessa di una disciplina teologica e storica.
Cerchiamo ora di i>llustrare, per tesi, alcune indicazioni che la sto-
ria della Chiesa come storia in grado di offrire per la soluzione
del problema che ci eravamo posti all'inizio; vedremo cosi anche
come sia possibile concepire il. tempo della chiesa in modo teologico
ed allo stesso tempo storico:
I. Possiamo apprendere il tempo della Chiesa, nel suo arco com-
preso tra un inizio ed una fine, quindi nel suo carattere stori-
co-salvifico, soltanto per fede. L'applicazione della profezia apocalit-
tica al tempo della chiesa e il parallelismo Israele-Chiesa si fondano
sulla fede e appartengono ad un'epoca ben determinata, unica nella
storia travagliata della fede cristiana. I dati storici, che vengono
inseriti in questa cornice, sono gli stessi sui quali riflette la scienza
storica dell'et moderna, ma hmrno subto una trasformazione cate-
goriafo di ~ignifcato. Sart:hbc lln 'interpretazione a-storica quella che
prescindesse dalla teologia della storia e in questi dati scorgesse
gi>) l'inizio di una storia ecclesiastica di tipo pre-scientifico. Dati
STORIA DELLA CHIESA STORIA DEI.LA SALVEZZA

storici e cornice costituiscono infatti un tutt'uno indissolubile.


La periodizzazione che qui si stabilisce non di carattere sto-
rico; 156 un elemento che si accetta, non frutto di una ricerca (co-
me dev'esserlo in una storia ecclesiastica evoluta in modo scientifico).
Data questa stretta corrispondenza fra periodizzazione e problema
di senso, una storia ecclesiastica di t.bpo scienti.fico non potr, in
quanto tale, esporre il .proprio oggetto come storia di salvezza.
2. La storia della Chiesa nel suo insieme storia di salvezza. Ma
se gi lo storico profano non nella condizione di comprendere la
storia del mondo nel suo insieme, in quanto storia ancora aperta,
che se osservata dai futuro pu presentare un aspetto del tutto nuo-
vo, ancor meno lo storico della Chiesa sar in grado di conoscere la
storia ecclesiastica nel suo insieme. Un motivo supplementare,
che potremmo addurre per comprovare questa sua incapacit, deriva
dal fatto che la rivelazione conchiusa sotto forma di mistero; lo
storico della Chiesa, in quanto teologo, non potr quindi evidenziare
i'l tendere di una storia mondana verso il suo futuro n lo svolgersi di
una storia ecclesiastica, concepita come storia di salvezza, nel suo
insieme.
3. II medio evo non ha prodotto alcuna storia della Chiesa, men-
tre ha osservato la storia come storia del mondo. Nemmeno qui
lecito analizzare l'interpretazione storico-salviifca prescindendo dalla
storiografi.a, per sostenere che <<"gi nel medio evo si sarebbe riflet-
tuto in modo scientifico sulla storia. Rimane comunque pur sempre
vero che esistc una pi forte affinit fra storico profano dell'et mo-
derna e storiografo medievale che fra storico ecclesiastico moderno e
teologo dell'alto medio evo. L'autore della cronaca aveva a che
fare con una storia pro.faM sacralizzata, mentre lo storico moderno
riflette su una storia profana desacralizzata. Un mondo profanizzato
rende ormai impossibile qualsiasi rapporto di imitazione tra Chie-
sa ( = regno) e mondo. Lo storico ha a che fare con il mondo e solo
con esso; per cui anche lo storico della Chiesa pu trattare il proprio
1511 li. U11s vo:-.i BAI.TiiASAR, Da.r Ga11ze i11 Fragment. Aspckte da Geschichtstheo-
!ugie, Einsicddn 1963 (:rad. it. Il 1111/0 i11 frammento, Jaca Book, Milano), con
un capitolo su 'Die thcolor,ische l'rngc nach dcm Sinn der Kirchengeschichte' (pp.
1 19-171l), dove si dice (p. 144) dic una storiogrnfia dcl tempo della Chiesa situata
enrro l 'orinonte della qilcstionc dd srnso teolog[co, esclusa a priori e intrinsc-
rnmc1>tl'. impossibik.
728 CHIESA COMI! STORIA

oggetto soltanto come storia profana, e questo anche - o soprat-


tutto - per motivi teofogici, per il rispetto cio che egli deve nu-
trire per il mistero divino che, non pi contraffatto da un mondo sa-
cralizzato, governa il corso della storia nel suo complesso 157 ed ope-
ra, mediante lo Spirito, nel tempo della Chiesa.158
4. Bench lo storico della Chiesa - per motivi suoi propri anche
un teologo che faccia della storia - debba esporre la storia della
Chiesa come storia profana, in conformit alla sua comprensione
esistenziale dell'oggetto di cui tratta, deve prendere come punto di
riferimento quella base che lo pone in relazione con l'evento. G.
Ebeling pu dunque qualificare la storia ecclesiastica come storia
dell'interpretazione della sacra Scrittura, una storia che ha il suo
punto di riferimento nel canone neotestamentario, esso stesso fat-
ticit storica (da cui non pu prescindere adducendo chiarimenti
e legittimazioni) ed allo stesso tempo presupposto storico ade-
guato. Per la testimonianza che rende w Ges Cristo, il NT
l'interpretazione dell'Antico, mentre tutte le successive interpreta-
zioni si differenziano fondamentalmente da essa e sono quindi
interpretazioni dell'interpretazione apostolica. 159 G. Ebeling esten-

157 G. Ebcling giudica insostenibile la distinzione fra storia profana e storia ec-
de.iastica; tutto opera di Dio, ma il suo sl e no lo si potr conoscere sol
tanto in Cristo, nella sua Parola: op. cit. (nota 13) 13-16.
158 H. URs voN BAr.rnAsAR, op. cit., I42, giunge fino al punto di affermare che
la Chiesa in quanJ.Q struttura e js1j111zi!n1~.t...Wruiilaro~W::... ~gqtlca, in quanto
Spirito -~-..Pn:scnia ...di... Cristo.. ..~mi.Dcntem.cnt.e ___rjc~11:. dL,5.t()rt,a. Infatti ci che
d~>cisivo per il tipo della sua storicit non il fatto che la Chiesa, in quanto isti-
tul'lionc visibile, soggetta, come tutte le altre entit storiche, ad una certa tra-
sformazione e sviluppo; il fatto che esiste una storia della liturgia, una storia dci
dogmi, una storia dei papi e dei concili; decisiva invece la stabilit sovrasto-
rica, i11.J.1\!.itr:\tp_ cy_sa . . la_ C_h_Lcs!l.. ~I).li, _S!!,11!.~, ___attQ!i~a- te~- _ap_ost~ca. Nat\ralmcn-
tc, in tal caso lo storico ecclesiastico non avrebbe mai a che fare con la genuina
essenza della Chiesa, perch il sovrastorico non pu costituire oggetto della sua in-
dagine. Ccl'to, nemm~no la presenza di Cristo si adegua pienamente all'istituzione
vi~ibile della Chiesa, anzi non nemmeno vincolata ad essa. Ma questa presenza
n!1n si rifcrisrt~ n<'ppure in rno,!o dcl tutto particolare alla istituzione relativnmen
t~ astorica, che sola pu costituire l'oggetto d'im'agine dello storico ecclesiastico,
o cnmllmJnc non si riferisce a<l essa in modo tale dw lo storico Jclla Oti~sa pt-..
trcbhc dire: qui c' Cristo. qui non c'; forse allora in termini tali che que>to og-
g~tto risulterebbe allo storico della Chiesa che rif'.,ttc in modo teologico, anche
st' poi, in quanto scienziato. non pni'l determinare tale connotazione e deve quindi
snivcrc la storia ecclesiastica come storia profana? Il sovrastorico accade pro
prio (anche) nel relativamente ~stodco.
t~ G. Env.LTNG, o[i. t. (nota r3 ), 11, 22 s.
STORIA DELLA CHIESA ~ STORIA DELLA SALVEZZA

de a tal punto il concetto di storia dell'interpretazione che non si


riesce pi a vedere quale tema di storia ecclesiastica non venga da
esso incluso, dato che la storia anche storia dell'interpretazione ed
ogni avvenimento ecclesia1le interpretazione. Nella sua accezione
pi ristretta tale concetto viene affermato in riferimento al canone;
un concetto che si ricava, dunque, dall'oggetto stesso e che non va
confuso con l'affinit soggettiva che ogni storico deve dimostrare con
le tematiche che egli elabora. Ci si muove, quindi, nella prospettiva
riformata, cui peraltro si fa esplicito riferimento (Conf. Aug. vn).
Stranamente il nostro autore dimostra uno scarso senso storico quan-
do valuta la concezione medievale della storia 181 e la problematica
della storia della Chiesa che da essa emerge. Ci nonostante ci si
pu chiedere che cosa aggiunga alla sua definizione - ferme restan-
do le differenze nel concetto ecclesiologico - una storiografia eccle-
siastica cattolica che distingue rigorosamente fra storia della salvez-
za e storia della Chiesa, che lascia (dal punto di vista teologico, non
storico) la storia dei dogmi nei suoi condizionamenti storici (cf. so-
pra alle pp. 661-671) ma senza ripiegare sul concetto astorico di
evoluzione; che crede la Chiesa come il Cristo che misticamente
continua a vivere, ma che non vuo1 comprendere la storia della Chie-
sa come diretta prosecuzione dell'incarnazione.
Nella questione della Chiesa come storia si concretizza la questio-
ne della storia di fede nella storia. Ma la fede la risposta che l'uo-
mo d all'appello divino, quindi la storia di fede riposta nel mi-
stero divino; isolarla da tale contesto significherebbe dissolvere la
fede nella storia, cio smarrirla. Ma allo storico della Chiesa non
mancher, certo, materiale su cui riflettere. Ba:sta che descriva -
clopo aver tracciato, in qualit di teologo, i confini della conoscenza
scientifica della storia - il luogo in cui questa storia di fede si svol-
ge e il modo in cui il cristiano realizza, con dei tratti tutti suoi pe-
culiari, questa fede: la storia profana dcHa Chiesa.

OSKAR K()HLER

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Ascndorf U., 307.
Aalcn S., 255.
Asmussen H., 354, 408, 504.
Abelardo P., 294, 534 Anastasio Sinaita, 274.
Adam K., 278 s.
Adamanzio, 271.
Atanasio, 26,, 267, 332, 360 s., ,73.
Attone di Vercelli, 28,.
Adelmanno di Luttich, 286, 363.
Aubert R., 651, 6,6.
Adns P., 523 s., _528.
Audet J-P., 245, 254, 259.
Adriano, 69,. Auer A., 667.
Afanassief N., 62,
Augusto, 683.
Agostino 35, 41, 46, 106-xn, u3, 127 s.,
Averbeck W., 338, 3'4 ss.
I 30, 277-283, 308, 324 S., 329, 3_39,
Avito, 635.
344, 350, 362 s., 373, 402 s., 4,3,
p8 s., 534, 581, 609, 625, 632, 681-
684, 687, 692, 694, 718, 724 B
Agostino Triunfo, 699.
Aimone di EUlbcrstadt, 285. Baciocchi J. de, 317 s., 325.
Aland K., 710. Baldovino di Ford, 297.
Albrecht C., .57I. Baltensweiler H., ,38-,42, 544, 5.50.
Alberto Magno, 284, 291, 294 ss., :i98 s., Balthasar H. U. v., 102, 420, 426, 428,
345. 350, 5.35. 718. 439, 441, 454, 467, 477, 485, 488 s.,
Alberigo G., 651. '551. 568, 578, 583s., 597, 727s.
Alcuino, 284. Bamberg C., '567, 583, 587.
Aldama I.A. dc, 314, 336. Handinelli R., 288, '-94
Alano di Lilla, 290, 297, 364, 375. Barauna G., 38, 437, 622.
Allmcn J.]. van, 355 s. Bardy G., 680.
Alessandro di Hales, 291 s., 294, 296, Baronia C., 674, 700.
364, 376, 534 Ban II., 402, 406.
Alexandcr N., 674. Barth K., 84, r64, 608, 658.
Algero di Luttich, 292. Basilio, 265, 332, 720.
Alfaro J.. 57r. Rattifol P., 626.
Alfonso M. di Llguori, 353. Baum W., 310.
Altaner B., 624, 680, 682, 685. Baur F. Ch., 657, 668, 688, 694, 7or s.,
Amalaro di Mctz, 284, 293, 345. 705, 707.
Ambrogio, 35, 277 s., 293, 360, 362 s., Banmann I., 576.
374, 620, 632. Biiumer R., 502, 505.
Ambrosiasta, 620. Bayma J., 378, 382.
Anacleto, 624. Be<-k E., 27 1.
Andn:a di Creta, 406. Bcck H .. G., 682, 718.
Anonimo, 525. Beda, 284.
Anselmo di Cantetbllry, 293. Be1kenkamp W. H., 285.
Anselmo di Havclberg, 690693. Reinert W., B8, 382.
Anselmo di Laon, 293, 533. Beissc, St., 721.
Aristotele, 718. Bdlarmino Roherto, 313 s., 353, 379.
Ario, 3H Benedetto di Norcia, 588, 69r, 720.
Arnold F. X., 309, 485. Bcnoit P., 2.3J, 234, 250, 627.
Arnold G., 698. Benz E.. 697 s.
744 INDICE ONOMASTICO

Berengario di Tours, 28' ss., 289, 291, Bultmann R ., 257.


363 ss., 375 Butler B.C., 620.
Bel't!er P. L., 600.
Berkhof H., 68o. e
Bernardo di Chiaravalle, 4o6, 689, 691,
718, 720. Caietano, 3 rn.
Bemoldo di Costanza, 293. Callisto, 624.
Brulle P. de, 314. Calixt G., 675.
Besutti G., 407. Calvino G., 305, 308, 365, 675, 719.
Betz J., 231, 234 s., 243, 248, 2,0, 2'4 ss., Camelot P. Th., 264.
259, 262 s., 269 s., 272, 332, 343 s., C..ampeggio di Feltre, 3u.
347, 3'3. 3,,, 361, 370 s. Campenhausen H.E.V., 6r6, 676.
Bcveridge W., 6n. Cano Melchiorre, 3rr, 314, H3
Beyer H. W., 514, 6o6. Cardenal E., 578.
Bieder W., 261. Carlson A., 355.
Biel G., 295, 301, 304. Caro J., 404.
Bihlmeyer K., 655 s. Carlostadio, 306.
Billerbeck P., 247. C.arlo Magno, ,27, 695, 697.
Billick E., 309. Cassiodoro, 681.
Billot L., 31,. Casel O., 262, 316, 401.
Billuart Ch. R., 313. Cerfaux L., 622.
Bizer E., 305 s. Chambon J.. 656, 670.
Blliser P., 338. Chavannes H., 308.
Blinzler J., 30. Chavasse A., 646.
Bodin J., 674. Chenu M.-D., 38, 563, 634.
B&kle F., 5j6. Chlichtovaeus J.. 309.
Bonaventura, 291, 294, 296 s., 376, n,, Chytraeus D., 673.
573, 667, 691, 694 s., 718. Cienfuegos A. de, 314.
Bonifacio, ,26. Cicerone, 87.
Bonifacio vm, 699. Cipriano, 38, io7, 276 s., 332, 343 s.,
Borgen P., 256. 348 s., 360, 362, ,05, 620, 625 s., 715
Borgnet, 295, 298 s., 345, 350. Cirillo Alessandrino, 265, 267 s., 332,
Bormann P., 502. 360 s., 370 ss., 381.
Bornkamm G., 85, 97, 100, xro, 126, Cirillo di Gerusalemme, 27r.
254, 257 s., 573. Cirillo di Scito, 274.
Bousset, 670. Clemente Alessandrino, 260, 265, 332,
Botte B., 46, 621 s., 624, 629, 632. 349, 359 s., 370, 524, 7n
Bottone B. de, 636. Clemente 1 Rom~no, 349, 6r8, 624, 695.
Braun f. M., 396 s. Gaassens II., 562.
Bremond H., 72r. Cohb )., 65r.
Brincken A.D. v., 679. Cocleo G., 309.
Brinktrine J.. 292. Colombo C.. 318.
Brosch J., 509. C.on~ar Y., 41, 400, 485 ss., 490 s., 506,
Brown R.E., 88. 608, 610, 6io624, 6v, 637, 645 s.,
Brox N., 65r. 65 I s.
Brunncr E., 502. Cor.pens J., 231, 2n.
Brnnnn P., 12, 342, 35-1 s. r:or.,c!io di Roma, 349.
Bruno di Asti, 293. Card C.. 625.
lfohcr M., 503 s. Cosan1ino, 6H s., 655, 67'), 679682,
Bucero, 306. 6K5, 687, 692, 695-698, i"'9 ss., 713,
Buchinger M., 700. 24.
Bueschcr G., 30J s. Comson R., 290, 294.
Bu!st W., 504. Courtois (; ., 56.1.
JNDICE ONOMASTICO
70

Crisostomo G., 258, 260, 269-272, 274, Ehrhard A., 627, 661 s., 667, 671.
277, 332 s., 343, 350, 359 ss., 370 s., Eicklcr A., 300.
592, 620. Elchinger L.A., 496.
Cuervo M., 318. Eliade M., 20, 574.
Cullmann O., 254, 502, 624, 694. Epp E. ]., 626.
Tirnpie P. C., 3.15
D Emser G., 309.
Engclaardt G., 678.
Damerau R., 295, 3or s., 304. Engels P., 286.
Danlou ).. 453, 677, 705, 725. Enrico di Gand, 302.
Dankbaar W. E., 308. Enrico di Hcsscn, 304.
Darlap A., 652, 672, 696 s. Enrico di Langenstcin, 304.
Decio, 713. Epener ]., 698.
Delarvclle E., 635. Epifanio, 40J.
Delhaye P. H., 529, 644. Erasmo di Rotterdam, 672.
Demonstier A., 625. Erberto di Auxerre, 296.
Dcmpf A., 680. Erigero di Lobbes, 285.
Denzler G., 703. Ervco Natale, 291, 301, 303.
Dequclcr L., 255. Eugenio IV, 365.
De Smedt, 496. Eusebio di Cesarea, 265, 267, 269, 343,
Dcwailly L.-M .. 62r. 349, 360, 625, 673, 676, 679-683, 685,
Delacroix S., 723. 687, 691 s., 696, 700, 705.
Dickerhof H., 673, 676. Euterio di Taiana, 272 s., 361.
Didimo, 265, 332, 359. Eynde D. V., 534-
Diekamp F., 313.
Diestelmann J., 306. F
Dilthey W., 705.
Diocleziano, 713. Fabro C., .573
Dix G., 263, 6r4, 630. Fahey ]. F., 285.
Dolch H., 502, 505. Farbcr K., 655.
Domenico, 559, 723. Farrer A. M., 613.
Driver-Hodr,son, 272 s. P:iusto <li Rictz, 283, 374
Droysen J. G., 670, 705. Favcntin G., 293.
Duns Scolo G., 294 s., 300 s., 303, 336, Fecamp G., 29.3
379, 718. Fcinc H. E., 714.
Dupont J., 234, 243, 6n, 6r6, 622, 626. Fcincr J., 663, 665, 667 s.
Dupuy B.-D .. 618, 621, 627, 630. Fencberg R., 2.39
Durando di S. Pourain, 301, 303, 382. Fcuillct A., 396 s.
Durando <li Troarn, 286, 363. Filone Aless., 260, 333, 673.
Diil'khcim K. G., 571. Fi!oss~no di Mnbbug, 273.
Di.irig \Yl ., 536. Filograssi I., 313 s.
Durrwcll F .. X., 347. Finn K., 690 s., 693 s.
Duval A., 642. Finckc E., 354.
Dvornik F., 622. Fish:icrc R., 291., 296.
Pishel' G., >09.
F. Fittkau G., 269.
Flcnkcnstein J., 68 ~.
Ebding G., 659, 665, 670, 728. Flcury C., 674.
Eck e;., w1 s. !'<loro t!i tionc, 284, 299.
Ecolnmpadio. 306. Flusser D., 63 ~-
Eckhart M., 718. Fohrcr G., 17, 243.
Efr,rn, 27r, 273, 360. Poucau!J Ch. de, 473.
Egidio Romano, 302 s., 699. FournCl" P., 526.
INDICE ONOMASTICO

Fozio, 273. Gnilka J.. 88 s., n6 s., 121 s., 140, 143,
Franck S., 675, 698. 154, 160, 173, 179 s.
Francesco di Assisi, 559, 573, 575 s., 691, Godcscalco, 285.
720. Godeau A., 674.
Franz A., 284. Goodspeed, 35.
Franzelin F., 313 s., 326, 379, 626. Gottfredo di Fontainers, 303.
Friedberg, 345, 635. Goffredo di Poitiers, 290, :z94.
Fries H., 684. Goedt M. de, 397.
Fuchs P., 673. Goller E., 708.
Fulberto di Chartres, 285. Gollwitzer H., 308, 608.
Funk F. X., 655. Golot J., 382.
Gorres I. F., 428, 470.
G GOssmann W. E., ;;33, 703.
Gottschalk ]., 308.
Gams P. B., 706. Gouyon P., 6:z3.
Gaqure F., 674. Grass H., 305, 308.
Garncrio di Rochefort, 297. Grav E., 559.
Gardgou-Lagrange R., 314, 336. Graziano, 530 s., 635 s.
Gartner B. E., 355. Gregorio Magno, 283, 344, 686, 719.
Gaudenzio di Brescia, 344. Gregorio 1, 695.
Geiger W., 702. Gregorio VII, 710, 719.
Geiselmann J. R., 283 ss., 291 ss., 375, Gregorio di NazillllZO, 265, 344, 360,
705 s. 406.
Gelasio, 273, 285, 361. Gregorio di Nissa, 265, 271 s., 370 s.,
Gerardo di Cambrai, :l.85. 524.
Gerardo di Novara, 296. Gregorio di Tours, 679, 686.
Gerberon G., 294. Gregorio di Valencia, 313.
Gerhoh di Reichersberg, 692, 694. Grignion da Montfort, 4r3.
Gcrken A., 587. Groner F., 58r.
Gessel W., 279 s. Gropper J.. 309.
Gcstrich C., 305. Gross H., 504.
G~wiess J.. 508. Griinewald J., 307.
Ghysen G., 377. Gryson R., 644.
Giacomo di Metz, 301, 303. Guardini R., 3r5.
Gibbard S. M., 261. Guglielmo di Auxerre, 290, 292, 294,
Giblet J., 2~1, 256. 296, .534
Guglielmo di Champeaux, 292.
Giescler J. C. L., 658.
Guglielmo di Thicny, 294.
Gilheno di Poitiers, 289.
Guglielmo di Auvergne, 294, 534.
Gioacchino da Fiore, 689, 694 s., 698. Guglielmo Durando, 299.
Giordano, 686. Guido di Orchclles, 290, 296.
Giovanni xxnr, 408, 454. Guitmondo di Aversa, 287, 291, 364,
Giovanni Damasceno, 274 s., 36r, 370 ss., 375.
38r, 620. Gutwenget E., 3!!2.
Giovmmi Qnitort di Pal"igi, 30_3, 382. Gy P.-M. 633.
G'.ovanni Rufo, 27+
Ciownni di Salisbury, 699 s. H
(; iov,mni di Ttcvso, 296.
(;irnlmno di Monopoli, 309. I T:tacke R., 294.
Girolamo, 271'1, 620, 635, 679, 686. Hang H., 5j6.
Giustino, 3 5, 100 ss., 260, 262, 343, Haas A., 579.
"\-19. 371, 607, 624, 678. Haasc f., 62.5.
Giustiniano, 273 s., 695. Hahn F., 231, 240, 244.
INDICE ONOMASTICO
747

Hahn W., 354. Innocenzo r, 525.


Halmcr N. M., 309. Jnnoce020 II, 636.
Hamer J., 336. Innocenzo m, 289 s., 29' s., 29!>. 377,
!Iiinggi A., 263, 334, 343, 674. 674.
Hanssens J. M., 263. Incmaro di Reims, 284.
Haring B., 44x. Ippolito, 46, 263, 334, 343, 628 s., 631 s.,
Harvey W. W., 263, 359, 677. 678 s.
Harnack A., :q8, 6o8, 6:14 658. Ireneo di Lione, 39, 260, 262, 332, 343,
Hartel, 625 s. 349, 359, 371, 405, 624, 676 s., 678 s.,
Hase K. v., 703. 682, 688, 715.
Hasenhiittl G., 425, 507 s., .P3 s. Isidoro di Siviglia, 128 s., 283, 292, 530,
Hnugnessy P., 287. 679.
Hausammann L., 306 s. Iserloh E., 295, 300 ss., 309, 312, 651.
Hegel W. F., 657, 701, 705. Ivo di Chartres, 293.
Heiler F., 3.54
Hefelc:-Leclercq, 402. J
Heimbucher M., 720.
Heimerl A., 493. Jacobs P., 308.
Helding M., 309. Janssen H., 308.
Hengel M., 573 ss. Jedin H., 310 ss., 651, 656 s., 660-663,
Henry A.-M., 725. 672-676, 681, 685, 688 ss., 697, 699,
Hf'nze C., 353. 720.
Heussi K., 708. Jcremias J., .231, .234, .239 s.
Hcynck V., 698. Jong J. P. de, 262, 531.
Hillmann E., 523. Jorissen H., 289 s., 294, .296 s., 37,.
Hilberg, 635. Jorck P., 705.
Hirsch E., 718. Jiingel E., 84, :x35.
Hidl L., 287 s., 621, 636. Jiilicher A. v., 248.
Hofmann F., 278 s. Jiissen K., .313
Hofmann L., 485. Jungmann J. A., 84, 263, 309, 719.
Hofmann P., 542 s.
Hofmcister A., 687. K
Hofstettcr Ch., 623. Kahlefcld H., 258.
Ilohcnleutncr H., 699. Kahles W., 298.
HolbOCk F., 289. Kamlah W., 677 s., 683, 691 s., 694.
Holl K., 278. Kandler K.-H., 287, 291.
Hompel M., 314. Karrcr O., 353, 490.
Hornef J., 647. Klisemann E., 255, 429, 507 ss.
Hostic R., 558. Kaspcr W., ,54, r86, 572.
Hottingcr J. H., 675. Katcrkamp Th., 655.
Hiinermann P., 705. Knttenbusch F., 47.
Huonder A., 574. Keller M., 501 506.
Hus J., 304. Kram O., 618.
Kerckhove P. A. v., 636.
Kcrkhofs J, 558.
Kierkcgaard S., 573, 590.
Ignazio di Antiochia, roo ss., III, uo, Kilmartin E., 253.
125 s., 261, 333. 358, 523 s., 618, 714. Kinder E., 354.
Ignazio di Loyola, 451 s., 559, 564, 574, Kirschhaum E., 7J2.
576, 72x. Klauscr Th., 634, 719.
Ildeberto di Tours, 293. Klcbba E., 677.
Ilario di Poitiers, 278, 360. Klee H., 314.
Imerio, .525 Klempt A., 673, 694.
INDICS Ol'{OMASTICO

Klos H., 2,6. Leiber R., 410.


Klostermann E., 612. Leibniz G. W., 302.
Klosterrnann F., 491, 516. Lengeling E. J., 14, 43, 353.
Knoll A., 382. Leone Magno 3,, 71,.
Knowles M. D., 656. Leone xm, 564, 569.
Knutson K. S., 355. Leone I, 695.
Koch H., 608. Lon-Dufour X., 256.
Koehler Th., 396. Leontio di Bisanzio 273 s.
Koenigcr A. M., 620. Leonzio di Gerusalemme 273.
Kohler O., 655, 660, 664, 683, 694 s., Lepin M., 313 s.
704, 723. Lessing H., 231, 248.
Kohler W., 305, 717. Lessio L., 313 s., 379.
Kolping A., 97, Io3, 284, 298 s. L'Huillier P ., 627.
Komposch E., 310. Lietzmann H., 622.
Kostcr H., 257, 26I. Lindbeck G., 355.
Koster L., 509. Lino 624.
Koster M. D., 506. Lippert P., 581, 586, 598 s., 593
Kotter J., 309. Lippold A., 685.
Kottje R., 651. Lohmeyer E., 26
Kraft H., 680. Li:\hrer M., 188.
Kramer F., 355. Lonse E., 244, 257, 6I6, 627.
Kramp J., 353 Loofs F., 278.
Kraus H. J., 504. Lortz J., 656 s.
Kredel E. M. 616. Lotario di Segni, 296.
Kiibler B., 633. Lubac H. de, 289, 653.
Kiing H., 454, 508, 514 s., 6rn, 623. Ludovico d Fromme (il pio), 'J27.
Ludwig J., 624.
L Lugo J. B. de, 314, 326, .353 379.
Lutero M., 305:308, 328, 345, 353 s.,
La Bonnardire A. M., 625. 376, 382, 506, 570, 710, 719.
Lachrnann M., 354 Lutz II., 65I.
Lattanzio 528.
Lahteenmaki O., 523. M
Lais H., 313.
Lambert G., 609. Mabillons J., 674.
Lammers W., 677, 687, 692. Maccarrone M., 608, 625.
Lanfranco di Bee, 287, 291, 363. Macario di Magnesia, .332.
Lanfranco <l Aversa, 375. Magistet Hcrnrnnnus, 534.
Langton St., 290. Magister Martinus, 290, 296.
Larso W., 267. Magister Udo, 294.
Latourcttc K. S., 72 ~ ss. Mar,rassi M., 693.
I.auren1in R., 392, 398, 404, 406, 409 ss., Malco, 686.
496, 51 I, 516 S. Manning H. E., 490.
Le Bras G., 526, 534, 634. Mansi G.D., 402, 496.
Lelinm 'P., 3r4. ?o.forccllo di Andra, 267.
Lcclern1 ]., 527 s., 568. Marciane, 7n.
Lecmdicr G., ~78. llhrcn 17.remirn, 268, 372.
Lcuycr J., 640, 6"11) li forco Gnostico, 3.59
J.cuye1 L., 269. 1'.larlian!(eas B., 64i.
T.eenhardt r. J., 3!8. i\forot H., 620, 622.
T.dvr.- C.h., 644. Marsilio di lnghen, 304.
L<-gasse S., 5(,2, Marrin-Achnrd R., 504.
Lchnrnn:1 K., 66,, 665, 667 ss. !l.forxse1 W., 12, 238.
INDICI! ONOMASTICO
749

Masi R., 318. Niesel W.M., 308.


Matura Th., '87. Nieg \'V'., 676, 704.
Massenzio, 273 s. Nicol 1, .52.5, 620, 63.5
McDonnell K., 308. Nicol di Dinkelsbiihl, 304.
Mcer H. van der, 644. Nicol Cusano (De Cusa), 302, 719.
Meersseman G.G., 402.
Megivern J.J., 291 s. o
Mehl J.O., 3.54
Mcinhold P., 3.55. 6,8, 672 s., 6n ss., Oberman H.A., 301.
682, 686, 698, 7o:r, 703. O'Callaghan D., _548.
Melantonc F., 673, 719. Ockham G., 295, 301 s., 303 s.
Melitone di Sardi, 343 O'Hanlon D., 610, 623.
Menould Ph., 612. Olier J.J., 314.
Mercati G., 622. Olivi P.J.. 698.
Mercenier F., 40,. Onorio di Augusta, 694.
Mcrcier D., 4o6. Opsahl P., 3H
Merkle S., 661. Optato di Milcvi, ,o,.
Merzbacher F., 699. Ordericus Vitalis, 689 s.
Metodio di Olimpo, 344. Origene, 102, 26' ss., 278, 283, 33~
Metz ).B., 723. 360, 62,, 679; 711, 713, 7i:8.
Meuss P.G., 286. Orosio, 68' s.
Meuthen E., 692 ss. Osiandro A., 376, 382.
Meuzelaar J.J., 2.55. Otilio del N. Jesus, 262.
Mcyer G., 420. Ott H., 523.
Meyer H.B., 306. Otten B.J.. 717.
Michele .m, 620. Ottone di Frisinga, 687 s., 690 s.
Miihler J.A., 3f4, ,06, 6,,, 70.5 ss. Otto R., _342, 354.
Mnhr J., 309.
Mohrmann Chr. 103, 105. p
Monnich C, 65r.
Morin G., 279. Pahl I., 263, 334, 343
Morsdorf K., B6, 645. Pantusa G.A., 309.
Mosbech T-I., 616. Paquicr R., 6r 3, 639.
Moshcim J.L., 66r, 675, 701. Pascasio Radberto, 284, 363, 374.
Miihlen H., 29, 504 Paschcr J.. 2 58.
Miillcr A., 403. Paolo vr, 323, 366, 378.
\'f1mck T.. 6r6. Paolino di Nola, 52.5.
Miiotzcr. Tu., 698. Pelar~o A., 309.
Mumcr Th., 309. Pelayo A., 699.
Peli G., 314.
N l 1erlcr O., 262.
Perronnc G., 382, 626.
Nacgle A., 269. Pesch O.II., 382, 570, 593 s.
Nauclcrus J., 69+ Pcsch R., 5n
Nh"r A., 605. Pcsch W., .'>61., .589.
Ncswrio, 272 s. Pt'ters II., 306 s.
Ne1wnzrir P., .?.15. PctC'1:son 'E , 683.
Neuhiiuskr E., 56R, .572, 703. Pietro di Ailly, 301, 304.
Ncu:ihcus<'r R., 340, J46. Pietro Aur,,oli, 697.
Neuscr \'V'.H., 305. Pietro Cantore, l90, 294, 364, 375
Ncwrnan J.H., 664. Pietro di Capua, 294, 296.
Newton 1., w2. Pietro Damiani, i:30.
Nicrmann E., 499. Pictrn Lombardo, J30, 289, 293 s., 530 s.
INDICE ONOMASTICO

Pietro Mangiatore, 297. 487 s., 493, .509 s., 536, 546 s., 550 ss.,
Pietro di Poitiers, 290, 293. .'56, 571' 580 s., 58 5 s., 590, 592 s.,
Philips G., 485, 490, 496. 59&'. 621, 636 ss., 646 s., .663_, 665,
Pieper J., 663. 667 ss., 7rn, 712.
Piepkorn A.C., 355. Ramsey A.M., 639.
Piijiram F., 506. Ranke L. v., 656, 697.
Pipino il Breve, 526. Ratcro di Verona, 285.
Pio IX, 392. Ratramno, 285, 374.
Pio x, 315, 409, 490. Ratzinger J., 278 s., 382, 537, 543, 659,
Pio Xl, 409. 665, 667 ss., 677, 691, 693, 696, 699.
Pio xu, 38, 316, 335, 366, 378, 408 ss., Rauschen G., 278.
629. Rau L., 722.
Plachte K., 354. Regli S., 470.
Planck G.]., 70I. Rehbach A., 354.
Platone, 86, 26:;. Reine F.J., 270.
Plachi W., 714. Reineccius R., 674.
Plongeron B., 651. Renz F.X., 313 s., 353
Plooj J., 355. Rest W., 573, .590.
Plotnik K., 301 ss. Reumann J., 3,,.
Poelman R., 504. Reuss J.M., 353.
Polman B., 675. Riccardo dt Mediavilla, 29I, 294.
Policarpo, 401, 524. Riccardo di Mclitona, 296.
Porfirio, 420. Riccardo di S. Vittore, 692.
Possidio di Calama, 632. Richter H.E., 599.
Pourrat F., 721. Richter St. 426.
Powers J., 317 s., 320 ss. Riesenfcld H., 616.
Prcpositino di Cremona, 297. Rigaux B., 88.
Prenter R., 3.54 Righetti M., 401.
Pr.i:ywara E., 562. Ritter AM., 580 s., 591 s.
Pseudo Akuino, 293. Ritter K.B., 354.
Pseudo Cesario di Nazianzo, 274, 283. Ritzcr K., .531.
Pseudo Crisostomo, 267, 402. Roberto di Melun, 296.
Pseudo Cirillo di Gerusalemme, 332, Rogier LJ., 656.
344, 370 s. Rolando di Cremona, 290, 294.
Pseudo Girolamo, 283, 374. Rolcvinck \Yf., 694.
Pi.irstingcr B. di Chicmsee, 309. Romano di Mclode 405.
Rosmini A., ~78.
Q Rottet II., 584.
Roy O. du, 568.
Qunnbeck W., 355. Ruckstuhl F.., 257.
Quasten J., 270. Rufino di Aquileja, 293, 534, 681 s.
Rniter T. d~. 587.
R Ruperto di Deutz, 293 s., 298, 559, 689,
69~ s.
Rabano Mauro, 285. Rusch P., 6TO.
Rackl M., 509.
Rad G. v., 18 s., 22. s
R,dbcrto, 293.
Radulfo Ardente, 288, 290, 296. Salviano di Marsiglia, 686.
Rahncr H., 680, Sanduik B., 231, 254.
Rahner K., 41, 43, 84, 135, 3u, 377 s., Santagada OD., 316.
417, 423, 426, 428, 433, 436, 443, Sartory-Rcidick G., 542.
453, 460, 462, 464, 471, 477, 485, S<1rtory Th., 308, 353-
lml!CE ONOMASTICO

Schanz P., 278, 3r4. Sisto III, _525.


Schatzgeyer G., 310. Skowronek A., 84, 186.
Schelfczyk L., 656, 704. Skydsgaard K.E., 622.
Scherer E.C., 673, 704. Smits L. 322, j82.
Scherer R., 490. Soden H. v., 254.
Schermann Th., 259. Socrate, 420, 681.
Schieder Th., 670 s. SOlle D., 6o8.
Schicffer Th., 689 s. Sonnen J.R., 320 s., 382.
Schillebecckx E., 3II, 317 s., 320 ss., Sozomeno, 68r.
346, 377 S., 485, 488, 491, 498, ,513 SS., Spitrler L., 657.
527, 529 s., 532, 537, 566 s., 637. Sp0rl J., 687, 689 ss., 699.
Schleiermacher F.D.E., 701. Srawley, 370.
Schiette H.R., 289, 572. Srbik H. v., 670.
Schlier H., 89, 100, 255, 502, JII, 538, Staab, 370.
545, 551, 6r8. Stahlin R., 355.
Schlink E., 354. Stiihlin W., 3.54
Schmaus M., 279, 301, 3r3, 319, 328, Stefano I, 625.
346 s., 505 s., 717. Stefano di Autun, 293.
Schmidt A., 687. Stefano di Tournai, 288, 293, 297.
Schmidt-L~uber H.C., 35-' Stefano di Langton, 296.
Schmidt K.D., 6,56. Stegmiillcr O., 405.
Schmitz-Moormann K. ,576. Steininger V., 541
Schnackenburg R., 8 I, 2 56, 538 s., 6 52. Stcndahl K., 355.
Schneemelcher W., 668. Stenzel A., 34, 47
Schondorf K.A., 685. Stockmeie1 P., 6,5I.
Scholz, 699. Stolberg F.L., 656, 704.
Schoonenberg P., 320 ss., 377, 576. Storff H.J., 300.
Schroeckh J.M., 657, 675, 7or. Strasscr O.E., 708.
Schu!tc R., 52, r29, 150, 284. Strnub J., 681, 683.
Schulr2 E., 257. Strige! V., 673.
Schulz A., 426, 562. Strotmann Th., 621.
Schiirmann H., 23r, 234 s., 240, 243, Struckmann A., 267.
256, 4.>7' 573, 57.5 Stuiber A., 680, 682, 685.
Schwager R., 426. Stutz U., 490.
Schwei1.er E., 2 3 r, 429, 514 s. Suarez F., .313 s., 379, 56r, 564.
Schwcnckfcldt K., 67,5, 698. Sudbrack ]., 449, 593, 595
Scolo Eriugena, 284. Sustar A., 485-488.
Seckler M., 5IO.
Seebetg E., 278, 658, 698.
T
Segalla G., 373.
Scibel W. 570. 1'alhot M., 490.
Selvaggi F., 318. Taulcro G., 7r9.
Scmlcr J.S., .701. Teilhard dc Chardin, 29, 452, 572, .578 s.
Scmmelmth O., 323, 382, 485, 508. Tcl!cnbach G., 683.
~11.,111ionc di Thmuis, 265. Teresa di Calcutta, 578.
Severo di Antiochi~, 272. ss. Tcrnus .J,, 318.
Silvestro I, ~25, 695, 697. Teodoro di Mopsuestia, 260, 270 s., 334,
Simar H., 3T! 343 s., 360, 362, 370 s.
Simon l\fagis:cr, 288, 6r4. T<"odmcto di Ciro, 270-273, 285, 361,
Simone di Tnmnai, 288, 290, 296. 370.
Simonis W., 279 s. Tel'(ulliano, :35. +8, 104-107, 27.:;;s.,
Siricio, 525, 634. H3 ' H9. 359, 36i, 524 ss., 528 s.,
Sittler J., 355. !\z+, 633.
752 INDICE ONOM.tSTICO

Teodosio 682, 687, 709. Vogt J., 681.


Teofilo di Alessandria; 332, 344, 3'9 Voigt G., 355.
Tctz 272. Volker W., 680.
Thalhofer V., 314. Vullcr A, 584.
Thielickc H., 553 Vollert C., 318.
Thomas W., 354. Vorgrimlcr H., 453, .547, 593, 646 s.,
Thurian M., 308, 355 s., 395, 641. 705.
Tillard ].M.R., 562.
Tillcmont L. de, 674.
Timoteo Elcro, 273 s.
w
Toledo F., 313. Wachtel A., 681, 683 ss.
Tolomeo di Lucca, 699. Wagncr F., 669 s.
Tommaso di Aquino, 33, 129, 131, 291 s., Wallace-Hadrill C.S., 680.
294-297, 299-303, 317, 345, 347, 350 s., Warnach V., 340, 353
353, 368 s., 376, 281, 533, 535, 560, Wcgenaer P., 347
562 ss., 571, 581, 590, 718, 724. Weger H., :J76.
Tommaso da Celano, 559, 573, 575 Weilcr A., 651.
Tommaso di Strasburgo, 304. Wci1.sackcr C. v., 248.
Torner J.C., 318.
Welte B., 319, 490.
Torquenada ]. dc, 699. Wcnscbkewitz II., 306.
Tournly H. de, 353. Wcsel G., 304.
Troeltsch E., 657 s.
Wctzer H.]., 490.
Tiichle H., 656.
Winninger P., 645, 647.
Tse ].B., 564. Wissowa, 633.
Wis!Off C. Fr., 306.
u Wittram R., 656, 669 ss.
Witzel G., 309.
Ugo di S. Vittore, 129, 289, 292, 294 s., Wolf E., 714.
299, 530, .53 3, 635. Wolter H., 689.
Ugo di rA~ngrcs, 286, 293, 363.
Wulf Fr. 464, 470, 558, 569 s., 581, 583,
Ugo di Flcury, 688.
585, 597.
Ugo di S. Caro, 292, 296. Wulf H., 436.
Uguccione, 294. Wust P., 596.
Umberto cli Silva Candida, 286, 291, 293.
Wyclif G., 304, 365, 376 s., 382.

V y
Vajta V., 354 s.
Vanncscc A., 318. Yori:k P., 705.
Van Roo G., ro7, 131.'
Vasquez C., 313.
Vicaire II.M., 562.
z
Vitric!o di Rouc.>n, 525. Ziegkr T , 5 >,o.
Vinc<>nzo <li I.crine, 665. :~im111,,rni;111n 11., 57: <>n. 689, 700.
Vivts, 295, w3. z,"i1110, 6q.
Vogel C., 6n. 7'.11idl'ma \'il., 255.
Vogt E., ~8. Zllinglio U, 305 <., 308, ~65.
INDICE ANALITICO

A C

Adattamento, 725. Calice ai laici, 305, 312.


Agiografia, 461. Canone, 77, 728 s.
Alleanza, 17 ss., 25, 161, 676 s. Carismi, 213 s., 220, 429 s., 455, 460,
antica e nuova A., 24 s., 159. 462 s., 499, 506-;i!9, 552, 580 s., 616 s.
fondamento delle nuova A. nel sangue carismi diaconali, 513 s., 6o6 s.
di Ges, 247 s. carismi liberi e istituzionalizzati, 5x3 s.,
Allegoresi (della messa), 284, 299 s., 345 s. 517 s., 617.
Amore carismi kerigmatici, 508513.
amore matrimoniale, .547 s. carismi di direzione, 513 s.
amore come carisma fondamentale, 583. crismi religiosi, 580-59:1.
amore di Dio, 140 s. rapporto tra ministero e carisma, 514-
An11rnnesi, 22, 71, 128, 137, r78 s., 259, 519, 617.
264, 269 s., 305, 343 s., 349, 355. Causalit
Anno liturgico, 112. causalit dei sacramenti, 130 s., 180 ss.
Antropologia (cf. Uomo) Celibato, 221, 223, 647.
situazione antropologica e forme d'esi Cena di Ges, :130-258.
stcnza ecclesiale, 458-463. interpretazione della C. in Giovanni,
antropologia semitica, 246. 256 ss.
Apocalittica, 88, 689, 691 ss. intcrprctaz. della C. in Paolo, 254 ss.
Apostolato i racconti dell'istituzione, 230-237.
partecipazione dci laici all'A., 37, 208, epoca di composizione, 233-236.
486 ss. rnrall<'r<' liturgico, 232 ss.
Apostolo rito della C., 23 I s.
apostolo come testimone dcl risorto, ricostruzione della forma antica, 235.
616. comando di ripetizione, 2 36.
apostolo dcli<' comunit paoline, 616 s. dimensione escatologica, 125 ss., 330.
discepoli degli A., 618 ss. cristologia del Servo di Dio nei raccon-
Arte, 722 s_ ti della C., 235 s.
Autorit (rf. Obbedie111:a, Ordinamento ec- 1nrattere sacrificale della C., 341 s.
cfrJilllc) "'lll'flO di fll'Cscnza real<', 3 56 s.
autol"itii di Cristo e A. del ministero, interpretazione teologica nei racconti di
608 s. istituzione, :138250.
Azione Cattolica, 48 5 s. cena come gesto profetico, 242 ss.
h:rnch<:llo d'nddio, 240 s.
rifcrimcntn alla sovranit regale di
B Dio, 241 s.
sangue dell'alleanza, 246 ss.
!;lfte,imo. v >., 76. 78, rno, mli, t ro s., idcntit~ cki cloni con;iviali con la
"O. 11), B6. persona s:1lvifica di (,., 246-250.
Il. ('OllH' at lo di :l(Cl'll;1ZiOllt' twlla CO idl'.a <leHa Pasqua. 239 <.
nnmi~~ <cde~dak, r98, 201. sir,nificnro del Aesto conviviale, 242 s.
B. e m.mimonio. 524. 529. r .1ppor1n ron Li prassi conviviale, 218.
promt"" h;1rtcsim.1li, 107. f11rtna origin:1r'l d,lla tradizion" sulla
Bi-neclizi01w, rr7 s. C., 236 ss_
INDICE ANALITICO
754

l'origine nel GesQ storico della C. com- concretizzazione come problema filoso-
portante la presenza reale, 2 ,1 ss. fico, 419.
Chiesa (d. Popolo di Dio) concrctizz114:ione come problema teolo-
carisma come concetto strutturale del- gico; 420 s.
la C., 'JO] S. Concupiscenza
Ecclesia spiritualis, 698. matrimonio come remedium concupi-
matrimonio come forma di manifes1a- scentiae, 534-
zione della C., 54,547. Confermazione, 32 s., 76, III.
differenza tra matrimonio e C., 546 s., Conflitto, 214 s.,440 s., 5 I 5.
'50- Consensus fidelium, 510.
libert nella C., 195, nJ ss. Consigli evangelici, 581, 585 ss.
storicit della C., 'J02 s. significato dei C. E. per i laici, 489,
fede della C. e sacramenti, 174 s., 494, 'J9I S.
177 s., 182 . consigli e precetti evangelici, 489 s.,
chiesa come comunit cultuale, 31 ss. 431, 442 s., ,63 s., 585 s.
chiesa come corpo di Cristo, 174 s., Contemplazione, 469 s. 563.
280, 327 s. Creazione, 91.
chiesa come luogo della propria deci- cristocentrismo della C., 32;; s.
sione di fede, 436. creazione dal nulla, 1,2.
chiesa come presenza reale del 110''t"fi matrimonio come dato della C., 54r.
p~ov di Dio, Il8 ss., 174 s. unit tra C. e redenzione, 139, 142.
chiesa come comunit di fede e sacra cre112ione nello Spirito, 154 s.
carattere personale dell'elemento crea-
menti, 193 s., 437
chiesa dai giudei e dai pagani, ll9. to, 144, i49.
potenzialit del\'elemento creato, 146-
chiesa per il mondo, 498.
150.
chiesa e eucarestia, 46 s., 229, 275 s.,
creazione mediante la Parola, 1p ss.
279, 326 s.
chiesa e Maria, 390-413. aspetlo di teologia della C. dell'evento
mysterium e C.. 93 ss., n6-125. sacramentale, I 3,9-I66.
creazione ed escatologia, 146,
missione della C., .503 ss.
creazione e storia, 144 s., 156-160.
mutamenti nella comprensione della C.,
carattere simbolico dell'elemento crea-
453, 496 s.
to, 141-146.
parola e sacramento come elementi co-
aspetto lrinitario dell'elemento creato,
stitutivi della C., 42, 180-185.
150-156, 161 s.
Chiliasmo, 446, 677 s., 68r s., 683 s.
Cresima, -> Confermazione
Clericalismo, 489, 495 s. Cristologia
Collegialit, 197 s., 209 s., 215, 610, cristologia come orizzonte di compren-
61.2 s., 622. sione dell'eucarestia, 325 ss.
papa e collegio dci vcS<:ovi, 198 s.,
spiritualit cristologiche, 438, 45r, 572-
209 s.
577.
Comunione cristologia del Servo di Dio nei rac-
comunione spirituale, 267, ns, 29l. conti <lcJ!a Cena, 235 s.
Comunit (cf. Chiesti) cristologia cosmica, 325.
comunit Jei Jiscepoli, 575. cristologia dcl Logos e eucarestia,
comunit culluale, u s. 26.5 ss.
comuni1 cultuale dell'AT, 1424. l'curnr<stia come verifica della C. se-
verifica dei rnrismi attraverso la C., mndo i padri, 260 ss., 272 ss.
.515 Critica
comnnit come comunione, 68 s., T9.3 s., critica alla societ, 37.
437 Croc~. <J2 s., 120, 138, 163, 4 38, 4O ~ ..
Concilio, 622 s. 478, 570, 590.
Concretizzazione Culti misterici, 85, 97, IIr.
INDICI! ANALITICO
755

Culto (cf. Liturgz) tecniche di interpretazione, 197.


concetto, 12 s. consuetudo contra legem, x97.
culto di Cristo, 24-27. dispensa/io, x97.
sacro e profano, 26. dissimulatio, 197
motivazioni soteriologiche, 27 s. excusatio, 197.
culto della comunit, 28-48. licentia, I97.
actuosa participatio, 37. praeter legem, 476.
carattere escatologico e pneumatico, tolerantia, 197.
30 s. disciplina ei;;clesiastica, 221 s.
riunione nel nome di Ges, 29. giurisdizione ecclesiastica e civile sul
culto dell'ra intermedia, 44. matrimonio, '28, ,30, H'5 s., 1'2 ss.
culto di Israele, 18-23. apertura pastorale, 223 ss.
fondato su eventi storici, 2I s. postulati per una revisione del D. E.,
santit, 18 s. 225 s.
posto nella storia della salvezza, 23. rinnovamento del diritto del matri-
mediazione di salvezza, 14 s. monio, 552 ss.
leggi culturali, 18 s. diritto penale, 219, 222.
purit cultuale, 14 s. Docetismo, 461.
culto d'Israele e culto delle religioni, Dodici, 6u.
21 s. Dogma
sacro e profano, 14 s. tensione tra dogma e rkerca storica,
critica al culto, .26. 661.
culto naturale, 18 s. Domenica
Vivere secondo la domenica,. in Igna-
D zio, Il6 s.
precetto festivo, 2x7 s.
Desiderio di Dio, 571. Donna
Diaconia, 513 s., 606 s. sacerd<Ytio della D.?, 642 ss.
Diacono, 631, 644 ss. Dono (cf. Regalo), 321 s., 383.
Dio (Padre) Dottrina eucaristica
Dio Padre quale agente nell'evento sa- prima controversia eucaristica, 284 s.,
cramentale, 161 s., 173. 363, 374s.
il so!us Deus della Riforma, 353 ss. seconda controversia eucaristica, 285 ss.,
.rnltts Deus nella vita religiosa, 597. ~65.
rnone di Dio, 451. dottrina eucaristica di Bei:engario, 285
trascendenza di Dio, 449 s. ss., 365.
nascondimento di Dio, 570 s. dottrina eucaristica del primo e alto
Diritto (cf. Diritto ecclesiastica) medioevo, 285-300.
diriuo divino e umano, 198, 203-2II, dottrina eucaristica del tardo medio-
626, 639. evo, 300-304.
struuura del ministero come dato di cluo!isismo eucaristico e cristologico,
diritto apostolico, 639. 273 ss.
diritto n~turale, 203-208. prospettiva storico-salvifica dell'eucare-
amorit ecclesiastica e diritto natu- stia in Ruperto di Deutz, 298 s.
rale, 20, ss. domina dci riformatori, 304-309.
diritto divino positivo, 208-2n. Calvino, 308 s.
Diritto ecclesiastico Lutero, 306 ss.
diritto di servizio, 219-226. Zninglio, 305 s.
potere rnstri11ivo del D.?, 2J2 s., 215. doHrina del conci! io di Trento, 309
gi11ri~dizione sull'amminisrraz., 207 s. 313. 3H, H5 s., 351, 365.
storia clclla costituzione della Chiesa, cristolor.ia del Logos e eucarestia, 265
714 ss. ss . 274.
diritto <livinu e umano, rq8, 203-210. t~o!Clgia posttridcntina, 313 ss.
INDICE ANALITICO

la nuova riflessione del sec. xx, 315 traduzioni della Bibbia, lOj.
323. Tertulliano, lo 5 s.
patristica storia della teologia, 127-133.
Ambrogio, 277 s., 363, 374. Ugo da s. Vittore, 129.
padri apostolici, 259 s. Isidoro di Siviglia, 128 s.
Agostino, 279-283, 363. Tommaso d'A., 129.
Cipriano, 276 s., 34 3.
Cirillo di Alessandria, 267, 360, 372. E
padri greci dopo Efeso, 272 ss.
Gerolamo, 278. Ecclesiologia
preghiera eucaristica di Ippolito, ecclesiologia di Agostino e concezione
263 s. dell'eucarestia, 282 s.
Ignazio, 261, 342, 358. essen2ialismo nell 'E., . x ss.
Ireneo, 262 s., 359. la designazione dell'eucarestia come
Isidoro di Siviglia, 283. corpus mysticum diventa attributo del-
Giovanni Crisostomo, 269 ss., 332, la Chiesa, 287.
343 s . 3~0. 360 s. concetto di Chiesa in Agostino, 684 s.
Giovanni .Damasceno, 274 s., 360, Ellenismo, 86 s., 265 s.
372. ellenizzazione del cristianesimo, 711.
Giustino, 26o, 359. Elezione (cf. Vocazione)
Clemente d'Alessandria, 265, 360. ele-done a un servizio, ;i84 s.
Origene, 266 s., 360. eiezione di Israele e della Chiesa, 165.
Tertulliano, 275 s., 362. l'elezione costituisce il popolo di Dio,
Teodoro di Mopsucstia, 270, 343. 501 s.
realismo e simbolismo in Agostino, Epiclesi, 270, 371, 38i.
279-283. Episcopato (cf. Vescovo)
cena come segno in Agostino, 279 ss. collegio dci vescovi, 622.
la Chiesa come corpo di Cristo la episcopato e papato, 198 s., 209 s.,
rl'S dell'eucarestia, 280. 621-626 .
.facramentum e res in Agostino, 280. episcopato monarchico, 619 ss.
tensione tra simholismo agostiniano e Escatologin
realismo ambrosiano, 283, 363. E. e incarnazione, 489 s.
tendenza spirituali7.zante degli alessan- dimensione escatologica ddla Cena,
drini, 266 s., 360. 252 s., ~30 s.
Dottrina sui sacramenti pmspclliva escatologica dell'esistenza
prime vicend<" cli una teologia sui sa- di fole, 442, 503 s.
cramenti, 113-127. missionl' escatologica dei Dodici, 612.
compiti cli ima teologia dei sacramenti mome>nto escatologico del rnystcri11m
!n genere, q4-138. in Paolo, 95.
dichiarn~ioni dcl magistero, l27-133. 1iuo"tr1p.ov come segreto escatologico
concilio di Trento, qo ss. ncll'AT, 88.
prohkmntir:1 di nna tf'ologia dci sacra- creazione c<l E .. 147 ss.
tnt"llli in W'llCTI:, n-6I. tensione tra E. presente e compitmnto
suddivisione dcl tr:irrato sui sacra- cs . :uologico, +16, 4 56 ss., 48.
nwn1i. 'i/. hsenzialismo
dillcolti't odierne .ii comprensione. es>rnzi:tlismo n~lla teologia, 42r s.
'i6 s., 6,. s~. Fssc;.,personn dell'uomo (cf. Uomo), 64
collocazinne della 1tolugia elci ~:1cra ss.
menti nel quadro ,fogmatico. 58 s. 1111i1:1 della pcrwna, 420.
prohkmatira sul concetto di sacra pttscn7.1. 121 s.
mento, 5<) s. i11divid111m1 in<'Oabile, 480 '
J:~(.,.~1.~,.unltPH nei paclr1 comunit ecclesiale e r~rson<.' magg;n.
Agost;fl(, r08 ss.~ 1 ,.lJ, 27R s. n:nni, : 17 's.
INDICE ANALI'l'ICO
7'7

carattere personale dell'elemento crea- situazione antropologica come carisma


to, 145 s., 147 s. potenziale, 458-463.
ordinamento giuridico e postulati di possibilit carismatica dello stato di
uguaglianza e libert, 196, 213 s. vita, 462 s.
Esperienza di Dio, 449 s., 451, 477 et naturale e storia di fede, 461.
Espiazione indifferenza negativa e positiva della
morte espiatrice di Ges, 244. fede, 4,8.
Etica esistenziale, 423. rapporto tra esistenza di fede e ruo-
Eucarestia (cf. Cena, Sacrificio d. Messa, lo sessuale, 4'9 s.
Presenza reale, Transuslan:ritnione}, 47, unit e diversit dei tipi di esistenza,
76, 78 S., 1o6, IIO S., 123. 429 ss.
concetto tipologie esistenziali della tradizione,
concetto di E., 259 s., 383 s. 424-428.
mncetto di emina, 298 s. categorie di santi nella Liturgia, 427.
concetto dogmatico complessivo di martiri, asceti, monaci, 42.j s.
E., 324-330. diversi ministeri e servizi, 424 s.
istituzione da parte di Cristo, 238. modi diversi di sequela, 426.
E. come memoriale e sacrificio nei pa- casi limite e superamenti di limite,
dri, 259 s., 268 ss., 275 ss.
47N79
E. come unione ipostatica con la divi- unilateralit legittima e illegittima,
nit, 275. 4ns.
E. come testamento di Cristo, 326. fluidit dei confini, 479.
E. e incarnazione, 261 ss., 265 ss., 278, differenziazioni individuali e di grup-
P5 s. po, 464 ss.
E. e Chiesa, 46 s., 123, 229, 275 s., Kairos dell'esistenza di fede, 471 ss.,
279, 326 s.
594 s.
adorazione eucaristica, 315, 369 s. concrctiizazione dell'individualit c!'i-
presenza eucaristica, 321 ss.
stiana, 419-423.
parola e E. in Origene, 265.
fasi della realizzazione concreta, 433.
-+ dottrina eucaristica.
rifiuto e fallimento della concretizza-
Evoluzione
zione, 434 s.
problematica del concelto di E. nella
tensione polare dell'esistenza di fede,
teologia, 664 ss., 729.
420 s.
s1ru1ture dell'esistenza cristiana, 429 ss.
F dimensione ecdrsiale, 430, j87.
fcil1 srn1t111ra rrinitaria, 429.
nnrmativit1 rtica dclh1 fede, 478 s. rapporto con il mondo, 4 30.
fnl< <li Abramo e F. di Maria, 390 s. criteri di distinzione dci tipi di esisten-
kde come momento costitutivo dci za cristiana, 448457.
s11cr:imenti, 177 s., 182. op7ioni derivanti dall'esperienza di
'toria della F., 667 ss. Dio, 448 s., 568 ss., 597 s.
impronla individuale drlht F., .n1 s. opz:oni derivanti dalla fede in Cri
C:hie"' conw comunit di F. e sacra sto. 450 ' 572, 597 s.
mt'ni, 191 s., 437. opzioni all'interno della situazione
inditft>rcnza negativa e posiuva della storico-s~lvitirn. 456 s., 576 s.
r., "58. molte.plic't dl'lle opzioni ecdesiali,
dilk l'nti orzioni di I'., 438 s .. 479. 4p-4,7.
Filoso! .1 tlclb storia, 657, 701 s. rnrporto tr.; i tipi di esistenza cristi.i
li1w, 651 s., 655, 659, 663 s., 726. na, 4 36-446.
Forme di esisltnza ecdt"siale 1nohkmat:rn di un ordine gcrarchi-
.1t111:1li1 e 1wnn1111<nn dei tipi di fe. rn. 4414-46.
~k. 471 S'-. 1,,.nrrci'iP!l<.: reciproca e lTtina! 439.
INDICE ANALITICO

complementariet dei tipi di esisten- incarnazione nella carne del peccato,


za, 438. 163 s.
l'individualit cristiana situata nella Infallibilit, 717
comunit ecclesiale, 437. Israele
modulazioni del rappono col mondo, elezione di I. e della Chiesa, .'502 s.
467-470. Israele come popolo eletto, 16 s.
condizionamenti storico-culturali, 467. Israele come mediatore di salvezza, 19
valutazioni differenti, 468 s. ss., 24.
actio che trasforma e passio che ri- culto di I., 18-24.
nuncia, 470. Myrterium di I., 91.
parallelo Israele-Chiesa e storia della
G Chiesa, 696 s., 727.
resto di l., 23 s.
Gerarchia
gerarchia esterna e interna, 4r7. K
prospettiva gerarchica del laico, 495,
500. Kenosi, 164 s.
problemuica di un ordine gerarchico, kenosi e eucarestia, 326 ss.
426 s.
gradi della G., 638.-646. L
Ges Cristo
Cristo come capo della Chiesa, r74 s. Laici, 221 s., 71.'5
Cristo sacramento, 59 s., 163 s. distinzione da clero e stato religioso,
diversit del rappotto con Cristo a sec. 486 ss., 491 ss., 591.
delle epoche, 450 ss., 477. significato del!& struttura carismatica
contemporaneit del cristiano con Cri- della Chiesa per una teologia dei L.,
sto, 573. 5o6-519.
Ges come pane di vita secondo Gio problema dcl proprium del L., 497 ss.,
vanni, 257. 516 ss.
il culto di Cristo, 24 ss. kcrygma come campo di lavoro del L.,
mediazione di Cristo, 25 ss. '.)Il.
sacerdozio di Cristo, 14, 27, 333 s. cooperazione nella missione della Chic.
esistenza per di Gesit e eucarestia, sa, 486, 497 s.
244 ss. problematica della designazione trad
poteri di Ges1, 252, 572. zionale, 489 s., 493 s.
storia della !gurn di Cristo, 722. posizione dci L. nella Chiesa secondo
Giustificazione il Vat. U, 49r499.
giustificazione e sacramenti, q2, r8r. mondo come ambito di lavoro, 49 s.
Gnosi, 86 s., 677. significato dei L., 49r ss.
pistici e gnostici negli alessandrini, 265 prospettiva gerarchica dei L., 495,
Grazia 500.
innhicazione, _57r. problematica delle affermazioni con
grazia sacramentale, r 30 s. ciliari, 493 s.
il concetto di popolo di Dio com
prende gerarchia e L., 496.
rartccipmr.ione dei laici all'apostolato,
konografi,1, 7n s. 48(, ss.
lcrofania, 20. concetto di .popolo di Dio come ba-
llcmorfismo, 130, 288 ss, 31l7, 4 r9. se pe,. una teologia dei L., 501-505.
ll1uminis'llo, 7or, 704, 709. mutamenti nella comprensione teologi
Incarna~ione ca del L. prima del Vat. 11, 485-491.
eucarestia e I., 261 ss., 265 ss. 278, po~lo del laico nel mondo, 486 ss.,
325 s. 491 $., )li s., 592.
INDICI! ANALllI'ICO 759

Libert, 148, 161. materia e sacramento, 61, 63 s., 325 s.,


libert attraverso l'autocomuoicazione 383s.
di Dio, 432. Matrimonio
libert nella Chiesa, 19:;, 223 ss. bonum lriparlilum: proles, fides, sa-
libert di religione, 202. cramentum, 528 s.
Liturgia {d. Culto) messa per gli sposi, '25, 531.
concetto, I 2 s. benedizione della sposa, 524 s., 531.
storia della L., 719. Cristo-Chiesa e M., 111, u4, 528 s.,
categorie di santi nella L., 427 s. HI s., 538ss.
liturgia della comunit, 43-48. copula, 526, 528 ss., 5.53
significato della L., 43 ss. matrimonio come evento, 548-.5_52.
eucarestia, 46. matrimODio come ripresentazione del
posto della L., 43 s. rapporto Cristo-Chiesa, 538 s., 545-
liturgia e servizio al mondo, 38. 547.
movimento li rurgico e euCllfesti a, 3 l:;. differenza tra M. e Chiesa, 546 s.,
secolarizzazione della L., 46 s. 550.
posto di Maria nella L., 400 ss. vincolo matrimoniale
sacramentum vinculum e sacramen-
tum signum, :;29, H3 s.
M divorzio, 541 ss., .5.55 s.
matrimonio e verginit, HI s.
Magistero ecclesiale, 208, 509 ss. matrimonio e battesimo, :;24, :;29.
Chiesa docente e discente, 510. fini del M., 528.
competenza del M., 205 ss. procreazione, 524, no.
Maria evoluzione delle teologia del M., :;23-
Maria come figlia di Sion escatologica, 537.
393 s. patristica, 523-528.
Maria come tipo individuale della Chie- scolastica, 528-'35
sa, 416. concilio di Trento, H5 ss.
Maria e i Dodici, 396 s., 399 validit del M., 549 s.
Maria ai piedi della croce, 396 s., 411. liturgia nwdale, 531 ss.
feste di Maria, 40.3 s. consac1azione delle vergini come mo-
posto di M. nella storia della salve7.za, dello, :;31.
390-.397, 4IO S. contratto ecclesiastico del M., :;26 s.,
Immacolata concezione, 392. H3, 536.
rapporto tra M. e Chiesa, 398 s. giurisdizione ecclesiastica e civile del
intercessione di M., 40:; s. M., 528, 530, .53.5 s., ,552 ss.
maternit spirituale, 407, 410. consenso, 525, 528 ss., .H9 .5.53 ss.
Maria come madre della Chiesa, 398. matrimoni misti,, 556.
]'viaria nd culto della Chiesa, 400404. prescrizioni del diritto, zoo, 463, :;26,
Maria e il ministero, 399. 528 ss., :535 s.
corredentrice, 407 ss., 411 s. sacramentalit del M., nr, 124, 522 s.,
mccliazione di M., 406 ss. 528, 5Vn7, 54.5 ss.
Mariologia uso del concetto pieno di sacremen
mariologia ccclesiotipica e cristologica, to, 5.B s.
4r2 s. concezione della Riforma, 53.5 s.
intciira><ione delle affermazioni mario- fondamento bihlico della sacramen-
logiche nella ecclesiologin al Vat. n, talit dcl l\t, 124, 537-544.
390. res sacramenti, 533.
Mariiri, 401, 425 ~., 7q s. wrr11m1'71/t1111 Sf!.llUtr., ~33 s.
Materia .rnrramentum e contratto, .:;36 s.
materia come principio di individuali- matrimonio e settenario sacramenta
t, 420. tale, 533 s, .54.5
lNDICI! ANAJ.ITICO

valore etico dcl M., 528 ss. Mistica della Passione, 451.
indissolubilit del M., 528 ss., 533, Mito
540 ss. mito di Hieros Garnos, 511.
fondamento biblico della indissolubili- Mysterium, 81 s.
t, .540 ss. carattere arcano costante, 92.
ecclesiasticizzazione del M., 535 s., n2 momento escatologico, 95.
ss. chiesa come presenza reale del u<T'f1\-
Mediatore pt.ov di Dio, II8 ss., 175
Israele come M. di salvezza, z9,24. misteri della vita di Ges, I Il.
mediazione di Cristo e di Maria, 407 s. celebrazioni dei M., 102 s., II I s.
mediazione di Cristo, 25 ss. u<T"l'Ttpt.ov nell'AT, 87 s.
Ministero (cf. Ordinamento ecclesiastico, apocalittica, 88.
Ordinazione, Ordine, Sacerdozio) segreto escatologico, 87.
delimitazione delle fu112ioni, 637 s. 1J<T'f-/iP1.0V in Ef. e matrimonio come
ministero come servizio, 40 ss., 454, sacramentum, 538.
5 r3 ss., 605 ss. 1J1n1}pt.ov nel mondo greco e nell'el-
ministero come rappresentazione di lcn.i~mo, 8 5 ss.
Cristo, 608 ss. gnosi, 86.
ministero come autorit, 608 ss. concetto cultuale, 85.
potere di legare e sciogliere, 609, ti !osofa, 86.
631 s. ucri:i)pi.ov nel NT, 89-96.
ministero nella Chiesa e Maria, 396, concetto complessivo del M. in Ef./
399 s. Col., u6-125.
insediamento nel M. e consacrazione M. neotestamentario e culti misteri-
sacramentale, 198. ci, 97.
sacerdozio ministeriale, 34, 40 ss., 641 rivelazione del M., n9 ss.
ss. Paolo, 90-97.
funiionc dei presbiteri, 631 s., 641 ss. sinottici, 119 s,
diastasi fra regnum e sacerdotium, 700. realizzazione dell'unico M. negli
consacrazioni minori, 646 s. eventi della vita di Ges, u5.
funzione ordinatrice del M., 43, 512 uCT'fTtpt.ov nell'epoca patristica, 97-
ss., 515. ro9.
partecipazione dei laici agli uffici di Ignazio, 1 oo ss., 120 s.
Cristo, 491 ss., 510 ss. Giustino) r.oos,
prcsbi1crio, 618 s., 64r ss. Origcnc, 102 s.
sacerdozio della donna, 642 ss. rapporto coi sacramenti, n5 ss., 121.
rapporto tra M. e carii;ma, 514-.5r9. 1wo-TI)p~cv e t:vocyyO.~ov, 97.
diversit della teologia del M. tra 1wcr-ri)p~o1 e sacramentum, 83 ss., 97,
oriente e occidente, 619 s. 103 ss. 110 ss.
1

divenit di M. nel NT, 6ro-6r8. mirflrium di Israele, 92.


spiriro e diversit di M., 424 s. my.rtcrium paschale, 32, 46.
collegio presbiterale in Gerusalem- l!l)'flerium e Ch:esa, 93 ss., n6-125.
me, 6r 5, 626 s. rivd3z1one del \1., 92 s.
i Dodid, i Settanta, i Sette, 6n-6r6. c(xonfdri: dcl M., 93 s., 162 s.
trasforma7.ioni dci M. ecclesiali, 4.5 2 ss. nesso tra M. e kcrigma di Cris10. 90.
il M. nella trntazionc dcl potere mon- Mondo
dano, 634. dcsacrnlinazionc del \.!., 7i7.
Missione li111rp.ia e servizio al M., 38.
rnnperuzione ,Jci laici alla M. della s:icralin::izione nrobkmatirn dell'agire
Chi<'S;\, 4116, 497 s. mondann, 4tl9.
wrifirn della missione autentica, 514 s. rif,Tin1L'nto al :\l ddl'esistenza cristia-
M. nel ministero. 208. na. +io ..)'10.
stnria delle missioni, 723 ss. vor:c:: dc: rapporto rnl M., 467-4o.
INDICE ANALITICO

posto del laico nel M., 486 ss., 491 ss., collettivo del collegio dei vescovi,
497 s. 64os.
Monofisismo, 272 s. validit dell'O. nelle Chiese non-catto-
liche, 638.
ordinazione e successione apostolica,
o 338.
sacramento dell'O., u4, 6n-638.
Obbedienza uno o pi sacramenti?, 637.
obbedienza ecclesiale, 2II2r8. imposizione delle mani, 614, 627 s.
disponibilit e O. nella vita religiosa, rito di intronizzazione, 627.
584 s. preghiera dell'O., 628 ss.
Occidente carattere sacramentale, 640.
idcnrifcazione della Chiesa con l'O., consacraz. sacramentale e insediamen-
724 ss. to nel ministero, r98 s., 207 s.
Oikonomia, 93 s. doni conferiti nell'O., 631 s.
Opere, 586. duplice forma dell'O., 626 ss.
Ordinamento della Chiesa Ordine (cf. Ministero)
autorit e obbedienza, 210-219. applicazione del concetto di O. al mi-
significato del consensus, 212 s. 510. nistero ecclesiastico, 633 ss.
esperimento, 226, 47_3, ;;; r8. O. come sacramento della successione
spazio di libert, 217 ss., 225 s., 473, apostolica, 621.
475 s. O. come designazione di uno Stato,
obbedienza comune, 2r5 s. 633 s.
uguaglianza dinanzi al Signore, 213 s., O. e giurisdizione, 621 s., 636.
507. gradi della gerarchia, 638-647.
situazioni di confiltto, 214 s., 440 s., Ordini religiosi, --1- Vita Religiosa
515.
obbedienza vcrdcale e orizzontale,
215 s. p
costituzione sociale della Chiesa, 193-
Papa (cf. Primato)
202.
mal\cabilhil dcll'O. d. C. 196, 2IO, episcopato e papato, r98 s., 209 s.,
45.3 s., 476 s., 516 s.
62r-625.
Chiesa e stato, zor. Parola
collegialiti, 197 s., 209 s., 215, 6IO, creazione mediante la P., r52 ss.
6T1. S., 6l2. diversa ricezione della P. di Dio, 422.
ordinamento della commtmio, 194, carattere di P. dell'elemento c1cato,
201. 623. q1-145.
Chiesa del diritto-Chiesa della carir, parola e cucar~stia in Oi-igene, 266 s.
parnla e sacr~mento, 43, rn8, 139, r82-
195
informazione nella Chiesa, 215. 1B5, 265.
com11nica7.ionc intrac-cdesiale, 2r 5, 518. Pasqua
fnnzione ordinatrice del ministero, 4 3, mvst<rium pr1sch(}/e, 32 s .. 46.
5 I] SS., 515. pasqi:a ed eucarestia, 238 s., 258, 343.
vicaria, 202.
po1<./t1s propl"it1-pofrstas l'ccrnto
fnmionc relativa dell'ordinamento del- voc3:>.ionc religiosa e situazion~ di non-
la Chiesa. 2ro s., 2r3 ,,., 219 s. saln~na. 56-580.
fc>nclamer.to sacramentale dell'O. d. C., peccllo e redenzione, r60-164.
lC)8 s. stori.t della rovina, 161 s.
.mcictas perfec/11?, ICJ9. 4~9- P~nitena (Sacramento ddb), 12 5.
chi vincolato dAll'O. d. C.?, 200. Pl'rc;cc 17.ionc\ (;8.4 1 7 r r ~.
Ordinazione (d. Ministero, Sacerdozio) l'il'<W, 625 S.
comacra~ionc di un vc'covo rnme atto Pht~1n!:-:.mo
INDICE ANALITICO

v1s1one platonizzante dell'eucarestia, dottrina dell'ubiquit in Lutero, 307.


279, 285. presenza non spaziale, 296, 369.
Popolo di Dio (cf. Chiesa) origine nel Ges storico della Cena
trasformazione storica del concetto di comportante la P.R., 251 ss.
popolo di Dio, 'o;; s. multilocazione del corpo di Cristo, 296
Israele come popolo eletto, 16 s. s., 308, 369.
popolo di Dio come concetto storico- Primato (d. Papa), 623 ss., 714 s.
salvifico di Chiesa, 501 ss. sede primaziale, 620.
antitesi decisiva tra fede e incredu- Roma e Gerusalemme, 623-628.
lit, 503, 518. successione di Pietro, 624 s.
elezione, ;;02 s. Profezia
ouattere storico, .502 s. profezia intraecclesiale, 455, 472, 510 s.
popolo di Dio pellegrinante, 503.
carattere mondano, 503 s. R
concetto di popolo di Dio nel Vat. 11,
Rappresentanza, 69.
496. Redenzione
Potenzialit, 146-149.
unit tra creazione e R., 139, 142.
Presenza
miti di R., 86.
P. eucaristica, 321 s., 330.
cooperazione di Maria nella R., 408 s.,
modi di P. eucaristica, 330-384.
4ll s.
Presenza reale (d, Transustantiazione)
peccato e R., 160-16;;.
attenuazione della P.R. in Agostino,
Regalo (cf. Dono), 68.
283, 363. Regno di Dio
!imitazione della P.R. all'uso jn I-utero,
rapporto dialettico tra signoria di Dio e
307. mondo, 426 s.
modi di presenza eucaristica
eucarestia e signoria regale di Dio, 241,
presenza memoriale del sacrificio di
330.
Cristo, 338-355.
mysterium dcl Regno di Dio, 92.
principale presenza attuale di Cristo,
vita religiosa e signoria di Dio, 599.
330-337. distinzione tra Chiesa e Regno di Dio,
presem.a reale sostanziale del corpo
45, n9, 456 s.
Saf18ue di Cristo, 3;;6-384.
Religione
durata della P.R., 369.
la presenu reale eucarestia non pu
presenza del to/11s Chr.rtus, 364 s.
essere desunta dalla storia delle reli-
fondamenti net racconti neotestamenta-
giom, 250
ri della Cena, 248 ss., 357.
culto nelle religioni, 20.
identificazione dei doni con corpo-san-
assunzione di riti dalle religioni e sa-
AUC di Cristo, 275.
cramenti cristiani, 76 s., r69 s.
impanazinne, 294, 3R2.
Riforma, 7r9.
magistero, 365.
Risurrezione di Cristo, 27, 32, 46, u2,
ncga~.ionc della P.R. in Berengario, 285
4~9, .p1, 477 s.
s., 365.
Risurrezione dci morti
l'aolo e Giovanni, 357.
R. d. m. come momento di partecipa-
presenza del corpo di Cnsto ncll'euca-
zione al my.rterium, 96.
rcsl ia, 296 s.
R ivclazione
twria simbolica protesrnnte, 248 s.
riv~lazionc cl!'! mysterium, 92 ,s,
presenza reale secondo i padri greci
crea1.ionc e R., 143 s.
dopo Efeso, 27 2 ss.
tensione tra realismo e simbolismo in
oc(idcnte dopo Agostino, 21!3 s. 363.
s
simbo1ismo in Ratrnmno, 285, 363. Sacerdozio (cf. Ministero)
tnterpreta~.ionc tropica delle parole di s;Kerdo~io in genere e in particolare,
istituzione in Zuinp,lio, 30,. 506 s.
INDICE ANALITICO

sacerdozio ministeriale, 34, 40 ss., 334- tradizione, 70.


337. sacramenti di iniziazione, 32.
funzione dei presbiteri, 631 s., 641 intenzione, 133, 178, 640.
ss. Chiesa come sacramento, u, .5I ss.,
sacerdozio comune e S. ministeriale, I6;J.
40 s., 337 s. evento di comunicazione, 6.z s., 137
potere oonsacratorio del sacerdote, 144 s., 148, q8.
337 s. matel'a e forma, 61, :i:z9, 132, 289s.,
sacerdozio di Cristo e S. ministeria 302 s., 637.
le, 628. opus operatum/opus operanlis, 130 s.,
Israele come popolo sacerdotale, 17 s., 180 ss.
24. categoria di scienza delle religioni, 73 i:.
sacerdozio di Cristo, 14 1 27, 330 ss., sacramentum tantum/res et sacramen
334-3 37' 628. tum, 289.
sacerdozio della comunit, 14, 34-49, fondamento sacramentale dell'ordina-
337 s., 504, 628. mento della Chiesa, 198.
servizio regale, 38, 492. grazia sacramentale, I 30 s.
ministero profetico, 37, 492, 510 s. caranere sacramentale, 33, 109, :i:32,
Sacramentali, 186 ss. 336.
Sacramento (cf. MysteTium) sacramentalit del matrimonio, u:i:,
carattere di anamnesi dell'evento sacra (24, _522 s., 528 s., .'31.537 .545 ss.
mentale, 137, 178 s. sacramentalit dell'ordine, 635 ss.
concetto di S., 129 ss. sacramentalit di eucarestia e battesi
carattere analogo, 52 ss., 58 s. mo, 109 s.
fondamenti biblici della categoria di sacrameneum come verbum visibile in
sacramentalit, n4 ss. Agostino, 108 s.
concetto cristiano di S., 73 s., I?J. sacramenro come attualizzazione del S.
etimologia, ro3 ss. radicale-Chiesa, .51 ss., 59 s.
problematica, 58 ss . sacramenti come forme espressive di
.<t1cramentum nei padri, 103-109. vita ecclesiale, 71-81.
sacramentum come sacr11111 signum in significato cristiano di riti mutuati
Agostino, 108 s., 129. da altrove, 76 ss.
trasmissione, 62 s. modalit di attuazione delle forme
Crisio come sacramento, 59 s., 163 s. espressive, So s.
disposizione di chi li riceve, 132, r75, vita sacramentale dall'inizio della
r82, 266. Chiesa, 75 ss.
istituzione da parte di Cristo, 109, r29 aspetto di teologia della creazione, 139
s .. 165 169, 237. r55.
influssi cxtrabihlici, r69 s. ministro dei S., ro9.
istituzione nella loro sostanza, 132. partccipaz. personale-divina, 172 s.
aspetto trinitario dell'istituzione, r68. validit dell'amministrazione, r32 s.
mnncssionc con la storia, q7, 156-r67. funzione principale di Cristo, 173 s.
fede come momento costitutivo dei S., aspelto fondamentale trinitario dell'e
178, 18.z. V<"nto sacramentale, 135, 137 s., 162
necessit della salvezza, r J2 s. ss., 172 s.
inrroduiione alfa comprensione dei S., causalit dei S., 130 s., 180 ss.
62-73. difficolt di comprensione, 62 ss.
modalit personali di compor\amcn- necessit ddla fine in Dio, 62.
to, 65 ss. spiritualismo, 6_3.
feste commemorative. 71. comprensione della realt, 63 s.
forme espressive comunitarie, 69 s. r.fficacit dei S., ro9 s., qo s., r8o ~s.
rrohlcrna del "senso, 64 ss., 70. r:irofo e S., 43, 10&, I l9. 182-r85,
simholo, 6 ss. 2f~5.
INDICE ANALITICO

numero dei S., 130, 133, 169 ss., 521, Santi, 427 s., 460 s.
532, 547 storia dell'ideale incarnato dai S., 721.
carattere di segno, 108, I29, 132, 278 Santit, r8 s.
ss. sacro e profano, 15, 26, 44, 494.
signum rememorativum, demonslrali- Sapienza, 92.
vum, prognosticum in Tommaso cli Scienza
Acquino, 129, q8. significato delle S. umane per la vita
struttura del segno sacn.mentale, 176- religiosa, 601 s.
180. Soolas tic a, 718.
Sacra Scrittura Scuola di Tubinga, 659, 705.
differente ricezione della parola di Dio Secolarizzazione, 47 s., 450 s.
nei singoli scritti, 422. Senso (Problema del), 64 ss., 70.
Sacrificio (cf. Sacrificio della messa) Sensus fdei, 510 ss.
sacrificio spirituale, 606 s.
Sequela, 426, 559, ;i72-576, 590.
concetto di sacrificio, 313 s., 337 ss.
Sessualit, 459 s., 548 s.
sacrificio nell'AT, 23 s.
Sacrificio della messa (cl. Eucarestia, Sa- Simbolo, 67 s., 141-145, 316, 346.
crificio) simbolismo eucaristico, 278-284, 363.
rifiuto del carattere sacrificale da parte simbolismo teologico-storico, 688.
dei Riformatori, 304 ss., 353 Sinagoga, 615.
eucarestia come sacrificio secondo il Sinergismo, 432.
Vat. 11, 334 s., 346. Societ
eucarestia come sacrificio secondo i pa- chiesa come S., 193-202.
dri, 261, 268ss., 275 ss., 281, 331 ss., soc:taJ pcrfecla1, 199, 489.
341-346, 349 s. strutture della S. e strutture ecclesiali,
cena e sacrificio, 331 ss., 351 s. 633 s.
mess.1 come sacrificio secondo il con- Sostanza (cf. Tra11sustanziazione)
cilio di Trento, 309, 312 s., 346 s., istituzione <lei sacramenti nella loro SO
350 s. stanza_, l 32.
teorie sacrificali, 313 s. problematic:i odierna sul concetto di
carat tcrc sacrificale dell'euarcstin e teo- s., 3l6323.
logia evangelica, 353 s. wsrnnza come unit di materia prima
carattere sacrificale della Messa in Al- e forma rnbstantialis, 289 ss., 364,
bel'to e Tommaso, 298, 346, 350. 367.
sacrificio di Cristo e eucarestia come problema del rnpporto tra S. e qnanti
S. della Chiesa, 326 ss. t, 3or.
cuc. mmc sacrificio della Chiesa, Sotcriologi a
H?-350. prospettiva soteriologica della csistcn
il sacerdote agisce i11 persontt Chrisli, za cristiann, +H
64t. Spcranzn
il sacrificio della Chiesa e S. della Dio della S., 570.
croce, 281, 326 s., 334-337. vita religiosa come testimonianza di S..
euc. come sacrificio att11:1liz7.atn di 599 s.
Cristo, 3.: q6. Spirito (d. Spirito Santo)
non t'- rl10\ra immolar.ione. di Cri- spirito come fondamento d~lfo diversi-
Wl ndla messa, 3 )6 s. t dci ministeri ec,ksiali, 424 s.
rapporto t~a sacrificio di Cris;o e S. <piritn come istanza ctitirn ddl'ordina-
della Chicsa, 3_50 s. mento della Chiesa, 195 s.
disr'nzione tra Sllcrame11!11m e s11crifi creazione nello Spirito, 154 s.
citon, 131, 2R3, 3!0. Spirito Santo (d. Spirito), 28_
scarrn intt>ress<' p<:"r il carnttcrc sacrifi- ripolngia dei doni dello S. nella storia
cale ddl'cucarestia nd rnrclo ME, 304. dclLi Chiesa, 693.
Sang~u\ .:q 3, 246 i;s. dfosirnw tle11n S. e culto, 3 r. s.
INDICE ANALl'IICO

cooperazione dello S. nell'incarnazione, teologia storica di Agostino, 682 ss.


394s. Ireneo, 676 ss.
missione dello S., I 64 s. parallelo Israele-Chiesa e S. d. C., 696
Spiritualit s., 726.
spirirualit cristologiche, 438, 451, 572 periodizzazione della S.d.C., 7o6.
ss. problem&tica della S_d.C., come scien-
storia della piet, 721 s. 7.a, 654 ss.
novit e provvisoriet di una S., 472 interpretazione della S.d.C., come
s. storia della salvezza, 6~6 s., 697 s.
opzioni della S., 438 s. interpretazione della S.d.C. come
Stati di vita ecclesiale teologia storica, 661.
differenziazione tra stato secolare e S. tipi fondamentali di comprensione
religioso, 427, 442 s., .590 s. della S.d.S. come scienza, 655-659.
problematica di un ordine gerarchi- storicismo e S.d.S., 658 s.
co, 443 ss. storiogrirfia cattolica, 673, 70')-707.
motivazioni tradi2ionali per giusti.f- S.d.C. come storia d'interpretazione
care un ordine gerarchico, 441 ss. della Scrittura, 658, 728 s.
fine di una divisione di stati nella S.d.C., come storia del papato, 699
Chiesa, 516. s.
differenza tra stati di laico-clero-religio- trattazione profana e teologica del-
so, 486 ss., 49r ss., .590 s. la S.d.C., 660 ss., 671.
Stato S.d.C. da parte protestante, 6')8,
chiesa e S., 201 s., 5.54 s. 673 s., 701 ss.
Swria (d. Storia della Chiesa} S.d.C. nel contesto di storia delle
storia e culto di Israele, 21 s. Hcligioni, 657.
creazione e S., q5, 1:16-160. problematica del concetto di evoluzione
tradizione e S., 665 s. nella S.d.C., 664 ss .
.Storia della Chitsa (d. Storia, Storia del- problema della verificabilit nella S.d.
la salvezza) c., 669 s.
cronache, 679 ss., 687 s. tradizione come principio della S.d.C.,
epoche della S. d. C., 707-725. 664 s.
impossibilit di una periodizzazione oscurit del rapporto tra fattore divino
teologica, 708 s. e umano, 708.
tempo p1ecostan. costantin., post- divisione tra storia profana e S.d.C.,
costant. della Chiesa, 709-716. 659 s.
mutamenti dcl rapporto tra Chiesa e teori,1 della decadenza, 6;;;;. 666, 686
mondo come motivo che determina s., 690.
le epoche, 709 ss. Storia della salvezza (cf. Storir1, Storia del-
modello di progresso, 666 s. la Chiesa)
simhnlismo teologico-storico nel ME, fede e evt"nti storico-salvifici, 654.
688. S.d.S. e peccato, J6o ss.
impl'ri11m Romanum e Civila.1 Dei, linea storico-sahifica in Ireneo, 66 ss.
682 s., 685, 687, 71T. prospettiva storico-salvifica del\'euca-
S_ d. C. Jl!'interno della storia del resria in Ruperto di DelllZ, 298 s.
n1ondo, 70,. ss. differenza categoriale tra S.d.S., e sto-
S. d. C. e <tori~ della salvezza, 656 s., ria del mondo, 70 3 s.
6)6, 7"""5 707, 72f 729. posto di Maria nclfo S.d.S., 390-397.
torio~rnf~ ecclesiastica. 67 7.07. inte1 prefazione trinitaria, 693.
inizio della storiogrn!a ccd~iastka, popolo di Dio come concetto storico-
676-6R5. salvifico d' Chiesa, 501 ss.
toriografia cristiana nel ME, 68.5- rempo ddla Chiesa, 6.5I ss., 672 s.,
699. 676 ss.
I:nscbio di Ccsnc~, 676-681. inizio e fine, 652 ss., 654 ss., 659,
INDICE ANALITICO

664 s., 671. 727. metabolismo in Ambrogio, 277 s., 374.


interpretazione del tempo della Chie- scomparsa delle affermazioni di una tra-
sa secondo i doni dello Spirito sformazione nei padri dopo Efeso,
Santo, 693. 272 s.
Storia dei dogmi, 667 ss., 7 t6 s. concetto di sostanza, z89 s., 302, 367 s.
Aporia dell'evoluzione dei dogmi, 668 problematica odierna sul concetto di
ss. sostanza, 316-323.
Storicismo, 658 ss., 700. sostanza come unit di materia pri
Storicit ma e form11 subftanti11/is, 289 ss.,
Storicit della Chiesa, ,02 s. 367.
Successione Apostolica problema del rapporto tra sostanza
Successione apostolica e ordinazione, e quantit, 301.
338, 629 s. testimonianza della tradizione, 370-376.
Successione di Pietro, 62,. transignificazione e T., 316-323, 356,
Svolta costantiniana, 634, 679 s:, 7o8 s. 37]-384.
T. come mutamento di tutta la sostan-
T za, 290 s., 309.
vantaggi della dottrina greca della con-
Teologia versione, 373.
Storia della T. e storia dci dogmi, 718 Trinit
s. inabitazione della T ., '7'.
T. come scienza, 654. aspetto trinitario dell'elemento creato,
Rapporto tra T. e storia, 662, 701, I50-156, I6I S,
704s. aspetto fondamentale trinitario dell'e
Teologia dei misteri, 3:x5, 335 vento sacramentale, 135, 137 s., 162
Teologia della storia, 658 s., 683, 696, ss., 172 s.
726s. tratto trinitario della preghiera di con-
Tradizione, 70, 158 s., 677. sacrazione, 629.
T. e storia, 665 s. struttura trinitaria dell'esistenza cristia-
Transustanziazione (cf. Presenza reale, na, 429.
Sostanza), 268, 287 ss.
permanenza degli accidenti del pane-
vino, 290, 296 s., 365, 367.
u
trasformazione euc. secondo Crisosto- Umanesimo, 672 ss.
mo, 270 s. Unione ipostat1c11
presenza per modum substanliae, 367 eucarestia come U. I. con la divinit,
ss. 275.
il fa1si presente dcl corpo di Cristo unio sacramentalis e unione cristologi
teoria dell'annichilazione, 294 s., 379. ca in Lutero, 306 ss.
teoria della consustanziazionc, 294, conversione euc. come U. I. del Logos
297, 303, 307, 376. coi doni, 382 s.
teoria della trasformazione, 294. Unzione degli infermi, 125.
teoria della T., 295-300, 301, 380 ss. Uomo
dottrina della concomitanza, 292, 296, determinazione ontologica e individua-
368. zione, 420.
forma della consacrazione, 292.
concentrazione su presenza reale e T. V
nel tardo ME, 300-304.
magistero, 377 s. Vescovo (cf. Episcopato)
presenza reak e T. nel concilio di funzione dei V., 6_31 s., 6_38 s.
Trento, 309 s., 370, 377. Vita religiosa
metaholismo in Pasca5o Radberto, 284 ci che contraddistingue la V. R., _580-
s., 374. 593.
INDICE ANALllJ:ICO

consigli evanselici, 585 ss. carisma della V. R., 463 s., 580-592.
carattere esemplare della V. R., 590 vita rei. come esercizio di salvezza, 598.
ss. pragmatismo, 594.
totalit della rinuncia, 590. prescrizioni giuridiche, 2 I 7 s.
incarico fondamentale, 582. status perfectionis, 442 s., 564.
vita in comunit, 588 ss., 600. teologia dello stato religioso in Tom-
vita religiosa come modo particolare maso d'A., 563 s.
di esistenza cristiana, 583 ss. fondamenti teologico-spirituali, 567-
vita religiosa come disponibilit to- 579.
tale, 585. incontro con Cristo, 572-576, 598.
dimensione di segno e carattere di incontro con situazioni di non-sal-
servizio, 592 s. vezza, 576579.
matrimonio e verginit, n1 s. incontro con Dio, 569-572, 598.
prospettiva escatologica della V. R., rischio della fede, 595.
691 s. vita religiosa come testimonianza di
storia degli Ordini religiosi, 720 s.
speranza, 599 s.
situazione storica della vocazione rei.,
solidariet coi &atclli, 578 s.
445.
problema ermeneutico di una teologia Vaticano 11, 564 s.
della V.R., 558-566. Vocazione (cf. Elezione)
fondamento biblico, 561 ss. estensione della V. a tutte le forme
situazione attuale, 565 s. di esistenza cristiana, 432-433.
momento dell'esperienza, 561. unicit della V., 435 s., 480 s.
momento della realt storica, 559. vocazione religiosa, 581 ss.
isci1uzionalizzazione della V. R., 600. fallimento della V., 434 ss.
ordini nella teologia storica del ME, incondizionatezza dell'appello, 568.
690-696. rischio della V., 433 s., 596 s.
INDICE

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

CAP. VI - Componenti parziali dell'istituzione Chiesa

SEZIONE PRIMA: Il servizio divino celebrato dalla comunit cultuale


e liturgica adunata in Cristo
Annotazioni preliminari ............................................... . 12
r. La comunit cultuale dell'Antica Alleanza ........................... r4
a. Israele il popolo eletto di Jahw ............................... . r6
b. Il culto d'Israele, popolo dell'Alleanza ........................... r8
c. Posto tenuto dal culto d'Israele nella storia salvi.fica ............... . 23
2. Il culto di Ges Cristo .......................................... 24
3. Il culto della comunit escatologica ........................ , ..... 28
a. Il sacerdozio comune ........................................... .
34
h. Il sacerdozio ministeriale .............................. , . , , .... 40
c. La liturgia .................................................... 43
Bibliografia ................. ...... . 49

SEZIONE SECONDA: I singoli sacramenti come articolazione del sacra-


mento radicale
I. Considerazioni preliminari ....................................... . .50
r. La poblematica propn~ta in questa sezione ................. , ..... . .50
2. La problematica posta oggi da una teologia sacramentale generica ... .
5.5
3. Possibilit d'una imroduzione a far cornprendi:rc la categoria del sacra-
mentale

II. Storia della vita sacramentale della Chiesa e vicende della teologia dei
sacramcn1i da essa sviluppantesi .......... . . 73
1. Vicende storiche della vita della Chiesa nei suoi sacramenti.......... 74
2. Storia lessicale e concettuale del ucr>'ljpLo'll e del sacramentum in rap-
porto alla teologia dci sacramenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
a. Il ucr>i)p~ov nel mondo greco e nell'ellenismo . . . . . . . . . . . . . . . . 8.5
b. Il uo'ljpLO'll nell'AT ........... .. ... .. .. 87
770 INDICE

c. Il 1X1'Tijpi.ov nel NT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
d. Il significato di uo"ti'JpLOV e s11cramentum nella primitiva epoca
patristica ................................................. .
97
e. Risultati .............................................. IIO
3. Nascita e prime vicende storiche della teologia sui sacramenti in genere 113
4. Momenti essenziali dell'ulteriore evoluzione e dichiarazioni del ma-
gistero ufficiale della Chiesa ................................... . 127

III. I sacramenti come evento ecclesiale di salve2za. Tentativo di inquadramen-


to sistematico ............................................... . . I34
Annot12ioni preliminari ....................... .... - I34
I. Premesse di teologia della creazione.............................. 139
a. Sul linguaggio e il simbolismo dell'elemento creato . . . . . . . . . . . . 141
b. Sulla potenzialit insita nell'elemento creato, vista come possibilit
di configurarsi e come abilitazione ad operare . . . . . . . . . . . . . . . . . 146
c. Sul risvolto trinitario insito in ogni elemento creato . . . . . . . . . . . . I 50
2. Momenti della storia salvifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156
a. Sulla pregnanza storica della potemialit attiva personale . . . . . . I 56
b. Peccato e redenzione visti come concretizzazioni storicamente at-
tuate e storicamente incisive dell'attivit crcaturale e divina . . . . . . l 60
3. Sul problema concernente l'autore, l'unit e la molteplicit (numero)
dei sacramenti ............................................... .
4. Sulla partecipazione personale divina ed umana ai sacramenti in quan-
to 82ioni rituali della Chiesa ................................... .
5. Sulla struttura del segno sacramentale ........................
6. Peculiarit dei sacramenti in quanto eventi rivelativi e operativi.
Opus operatum. Parola e sacramento ..................... . 180
7. Sui cosiddetti sacramentali 186

Bibliogra.fia

SEZIONE TERZA: L'ordinamento della Chiesa


1. Costituzione sociale .............................................. . 193
a Comunit sacramentale di fede .................................. . 193
b. Chiesa del diritto Chiesa della carit ........................... . 195
c. Malleabilit dell'ordinamento della Chiesa ........................ . 196
d. Collegialit ................................................... . 197
c. Societ pcrfct1a? .............................................. . r99
f. Oii vincolato all'ordinamento ecclesiale ......................... . 200
g. Ollesa e Stato ................................................ . 20J
h. Potere proprio potere rappesentativo? ........................... . 202
2. Diritto divino e diritto umano ..................................... . 203
a. Impostazione del problema .. , ............................... , .... . 203
lNDlCB 771

b. Autorit ecclesiastica e diritto naturale 205


c. Diritto positivo divino ........................................ 208
3. Obbedienza ecclesiale ........................... : ...... , .......... . 2II
a. Obbedienza alle prescrizioni ecclesiastiche ....................... 212
b. Valore relativo dell'ordinamento ecclesiale ........................ . 213
c. Obbedienza comune ........................................... 215
d. Ordinamento ecclesiale e vita religiosa personale ................. . 216
4. Il diritto come diritto di servizio ................................... . 219
11.Funzionalit dell'ordinamento ecclesiale ................ 220
b. Disciplina ecclesiastica 221
c. Prestazione di servizio 223
d. Al servizio dell'uomo 225

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227

CAP. vu L'eucarestia come mistero centrale

SEZIONE PIUMA: Fondamento biblico-teologico


1. La cena di Ges secondo i racconti neotestamentari dell'istituzione 2 3o
11. I racconti dell'istituzione ......................... ......... . .. 230
b. Senso della cena di Ges secondo i racconti neotestamentari dell'istitu
zione ........................................................ .
c. L'origine nel Ges storico della cena comportante la presenza reale ..

2. La cena secondo gli altri libri del NT ............................. .


a. L'et pi antica ............................................... .
b. Paolo ........................................................ .
c. Giovanni

SEZIONE SECONDA: La storia dei dogmi


1. l padri apostolici e gli apologisti .................. .... ...... .. 259
2. L'cucareslia nella teologia alessandrina ............................. 264
3. Gli antiocheni preefesini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 268
4. I padri greci dopo Efeso .............................. ...... .. 272
'j. I padri latini .................................... .. . ... 275
6. Tra patristica e scolastica: la prima controversia eucaristica . . . . . . . . . . . . 284
7. La seconda controversia eucaristica sotto Berengario e la difesa della pre-
senza reale nella scolastica ................................... :::":"'.' 285
8. li tardo medioevo posteriore a Tommaso ...................... . 300
9. La dottrina dei riformatori .................... 304
INDICI!

10. Il concilio di Trento ' ' < < O o O O I o o o o o o o o o o o o o o o o O O O ~ O ' o o o o o

rr. I secoli dopo il Tridentino ....................................... .


u. La nuova ritlessione del sec. xx ................................... .

SEZIONE TERZA: Riflessione sistematica


I. Contesto dogmatico e concetto complessivo dell'eucarestia
324
z. La principale presenza attuale di Cristo ............................ . 330
a. Scrittura . . . . . . . . .............................................. 330
b. Tradizione ............................................ , ...... . 33r
c. Magistero .............................. , ......... , ............ . 334
d. Illustrazioni sistematiche ....................................... .
33.5
3. La presenza memoriale del sacrificio di Cristo: il carattere sacrificale della
eucarestia . . . . . . . . . . . . . . . .................. . . 3 38
a. Note introduttive al concetto di sacrificio .......... 3 39
b. L'eucarestia come sacrificio attualizzato di Cristo ........ .. .... 341
c. L'eucarestia come sacrificio della Chiesa ......... . 34 7
d. Illustrazione del rapporto tra il sacrificio di Cristo e quello dei cristiani 35 r
e. Il carattere sacrificale dell'eucarestia e la teologia evangelica . . . . . . . . . . 3.5 .~
4. La presenza reale sostanziale del corpo e del sangue di Ges . . . . . . . . . . 356
a. Il suo inserimento nel contesto eucaristico globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 6
b. Fatto, soggetto e modo fondamentale della presenza reale . . . . . . . . . . . 3.57
c. L'attuazione ontca della presenza reale: la conversione degli elementi
conviviali ......................... 3 70

Bibliografia .................................... ........ 385

CAP. vm Forme di eristenza e ministeri ecclesiali

SEZIONE PIHMA: Maria come prototipo e modello della Chiesa


I. Evoluzione storica dd rapporto rvfaria-Chiesa .................. '....... 390

2. Nesso strutturale

3. Nesso funzionale ........................................ ... . . . 400


a. Maria nel culto della Chiesa .................. .. 400
b. La funzione di Maria nei confronti della Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40_5

Bihliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 414

SEZIONE SECONDA: La Chiesa come luogo di una multiforme esi


stenza cristiana
INDICE

I. La multifomit dell'esistenza cristiana ........................ ..


1. Concrctazione possibile e necessaria dell'individualit cristiana ...... .
a. La concretazione come problema iilosofico .......... .' ....
b. La concretazione come problema teologico ..................
c. T.ra l'appiattimento generale e l'individuazione che sfocia nell'isola-
mento ................................................
2. Tipologia esistenziale della tradizione .........................
a. L'articolazione della Chiesa come ordinamento prodotto dallo Spi-
rito ..................................................... .
b. Testimonianza cristiana come risposta alle sollecitazioni della storia
c. Diverse forme di sequela .................................
d. Le categorie dei santi nella liturgia .. , ..................... .
3. Le strutture dell'esistenza cristiana come fondamento dell'unit e di-
versit dei tipi d'esistenza ............................... 429
4. Possibilit e attuazioni del proprio tipo di fede ................... 431
a. Libert e possibilit dell'accettazione ........... ............. . 432
b. Fasi dell'attuazione concreta .......................... 433
c. Rifiuto e fallimento della concretizzazione ..................... 434
5. Il rapporto tra i singoli modi dell'esistenza cristiana ............. . 436
a. L'individualit cristiana situata nella comunit ecclesiale 437
b. Complementarit reciproca fra i tipi cristiani di esistenza ....... . 438
c. Critica e correzione reciproche ............................... 439
d. Le motivazioni tradizionali addotte per giustificare un ordine ge-
rarchico .................................................. . 441
e. La problematica dcll'ordtne gerarchico ....................... 443
II. Lo spettro dei diversi tipi d'esistenza ecclesiale ..................... . 447
l. Possibili criteri e motivi di distinzione ......................... . 448
a. Opzioni derivate dall'esperienza di Dio ...................... 448
b. Opzioni derivanti dalla fede in Cristo ........................ 450
c. Realizzazioni della dimensione ecclesiale ..................... . 452
d. Opzioni all'interno di una comune situazione storico-salvifica ... . 456
2. La situazione antropologica come carisma potenziale .............. . 458
a. Indifferem,a negativa e positiva della fede ..................... . 458
b. Mutua relazione fra esistenza di fede e molo sessuale ... , ..... . 459
c. Et naturale e storia di fede ................. , ........ , .... . 461
d. La possibilit carismatica dello stato di vita ................ 462
3. Di!Icrenziazioni individuali e di gruppo 464
4. Modulazioni dcl rapporto con il mondo 467
a. C.ondizi<'nmncnti storico cui turali di un rapporto di fede con il
mondo ............................ , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 467
h. Valutazioni diverse del rapporto con il mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . 468
c. J..'artio che trasforma e la passio che rinuncia ................ , . 470
5. Attualit e permanenza dci tipi di fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 r
INDICB
774

6. Casi limite e superamenti del limite ............................. . 475


a. Unilateralit legittima e unilateralit illegittima ............... . 475
b. Esempi di unilateralit esistentiva ........................... . 477
c. Confini tluidi ............................................. . 479
Conclusione: .. Jndividuum ineffabile .................................. . 480
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 482

SEZIONE TERZA: Teologia del laicato


1. Impostazione del problema ........... . . 485
a. Prima del concilio .............. 485
b. Nel Vaticano Il ............ ......... . 491
2. Elementi di una teologia del laicato . . . . .. .. . . . . . . . . . .. .. . . .. . . . . . .. . 500
a. Punto di partenza ............................... . ... .. 500
b. Tentativi di chiarimento .............. .. .. 505
c. Prospettive ............... . . 516
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 519

SEZIONE QUARTA: Teologia del matrimonio. Il carattere sacramen-


tale del matrimonio
1. Esame genetico ............. ....... 522
a. Il dato storico .................. .... .. .... .. .. 523
b. 11 dato biblico .......... 5 37
2. Spunti sistematici 544
a. 11 matrimonio come ri-presentazione ................... 545
b. Il matrimonio come evento .............. .... 548
c. Alcune conseguenze ..................... . . 55 2

Bibliografia 557

SEZIONE QUINTA: Fenomenologia teologica della vita religiosa


1. Il problema ermeneutico ....................................
2. I fondamenti teologico-spirituali clella vita religiosa ................. .
3. Ci che specifica la vita religiose e );1 contraddistingue dal comune ideale
cristiano
4. Elementi di una teologia della vita religiosa ....................

Bibliografia ............ . 602


INDICE 775

SEZIONE SESTA: Teologia dei ministeri ecclesiastici


r. Il ministero ecclesiastico come servizio e autodt ................... . 606
a. La diakonia cristiana ........................................ 606
b. Il ministero ecclesiastico come rappresentazione di Cristo e come autorit 608

2. La strutturn dei ministeri di servizio nella Chiesa ................... 610


a. La diversit dei ministeri di servizio nel NT ..................... . 610
b. La struttura dei ministeri ecclesiastici nel cattolicesimo degli inizi: i
discepoli degli apostoli ......................................... . 618
c. L'episcopato monarchico .......................... , .......... 619
d. Il governo della Chiesa universale. Episcopato e papato ........... . 621
3. L'ordinazione al ministero ecclesiastico ............................. 626
a. La forma odginariamente duplice dell'ordinazione ............... 626
b. La preghiera dell'ordinazione .................................. 628
c. I doni conferiti nell'ordinazione ................................. . 631
4. Le tappe dell'ordine ...................... , ... , . , , ............. . 632
a. L'applicazione del concetto di ordine al ministero ecclesiastico ....... . 633
b. L'ordine viene annoverato tra i sacramenti ......... , ...... , .... . 635
c. I gradi della gerarchia ......................................... . 638
Bibliografia 647

CAP. IX - La Chiesa come storia


t. Il tempo storico-salvifico della Chiesa
2. Il problema della teologia storica .................................. .
3. La storia della storiografia ecclesiastica come storia dell'auto.comprensione
della Chiesa ..................................................... .
4. Epoche e strutture cronologiche della storia della Chiesa ...........
5. Sull'impossibili1 di esporre la storia ecclesiastica come storia della salve-,za

Bibliografia .................. . . 730

Abbreviazioni .......................................... . 733

Indice onomastico 743

Indice analitico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 3

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