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Terza edizione di Terrena

Tracciati di Land Art in


Bassa Romagna

DANTE e L’ASTRONOMIA

Cotignola, Borgo San Severo


21 agosto 2021

A cura di Filomena Montella


ESILIO

Ravenna 1318-1321

Siede la terra dove nata fui


su la marina dove 'l Po discende Andrea Pierini  (1798–1858),
per aver pace co' seguaci sui. Dante alla corte di Guido Novello, Olio su
tela, Galleria d’arte moderna, Firenze

Inf. V, 97-99

Guido Novello da Polenta


Francesca da Rimini
?
Prima domanda:

- Dante? Perché?

Ci sono molti motivi per cui la Commedia non risponde alla nostra
condizione socioculturale

Eppure…

Dantedì: 25 marzo
Tradotto in
Europa, Stati Uniti, Giappone, Africa
Statua in bronzo di Dante
Libreria cinese a Ningbo
Dante perché?

Buenos Aires sin dal 1923


PALACIO BAROLO
(diviso in tre parti e alto 100 metri)

Ogni 4 giugno
FARO da cui parte una fascio di luce che si allinea con le
stelle della Croce del Sud
La probabile Croce del Sud nei versi iniziali del Purgatorio
Dopo la visione di Venere e dei Pesci, Dante vede quattro stelle, come si legge in questi versi (canto I vv. 22-33):

Io mi volsi a man destra, e posi mente


all’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’alla prima gente.

Goder pareva, il ciel, di loro fiammelle:


O settentrional vedovo sito,
poi che privato se’ di mirar quelle!

Com’io, da loro sguardo, fui partito,


un poco me volgendo all’altro polo,
là onde il Carro, già era sparito,

vidi, presso di me, un veglio solo


degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee, a padre, alcun figliuolo.

Prudenza, giustizia, fortezza, temperanza

https://edu.inaf.it/costellazioni/croce-del-sud/
Purg., VIII, vv. 85-93
 I miei occhi avidi andavano continuamente
al cielo, là dove le stelle ruotano più lente
Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,  (al polo), come fa una ruota più vicino al
pur là dove le stelle son più tarde,  suo asse.
sì come rota più presso a lo stelo.                               87
E il mio maestro: «Figliolo, cosa guardi
E ‘l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?». 
lassù?» E io: «Quelle tre stelle che
E io a lui: «A quelle tre facelle  illuminano col loro splendore tutto il cielo
di che ‘l polo di qua tutto quanto arde».                   90 australe».

Ond’elli a me: «Le quattro chiare stelle 


che vedevi staman, son di là basse,  Allora mi disse: «Le quattro stelle splendent
e queste son salite ov’eran quelle».         che vedevi stamattina sono calate dietro il
monte, e queste sono sorte al loro posto».
PILLOLE SU DANTE
?
Seconda domanda:

Dante e l’Astronomia: perché?


ESPRESSIONI dantesche in chiave ASTRONOMICA

Cfr D. PISANO, Parla come Dante, Newton Compton Editore 2021

• E quindi uscimmo a riveder le stelle Inf., XXXIV, v. 139


Comedìa
• Storia di un viaggio dalla Terra al cielo (e viceversa) verso la sapientia.

• Attraverso la scientia

• Scientia + Filosofia/Teologia + Poesia

• Nella scientia sono presenti Astronomia e Cosmologia

Tolomeo, tradotto da Gerardo di Cremona nel 1175, è presente nel Canto IV dell’Inferno vv. 141-144

Poi ch’innalzai un poco più le ciglia, 


vidi ’l maestro di color che sanno 
seder tra filosofica famiglia.                                           132

Tutti lo miran, tutti onor li fanno: 


quivi vid’io Socrate e Platone, 
che ’nnanzi a li altri più presso li stanno;                    135

Democrito, che ’l mondo a caso pone, 


Diogenés, Anassagora e Tale, 
Empedoclès, Eraclito e Zenone;                                   138

e vidi il buono accoglitor del quale, 


Diascoride dico; e vidi Orfeo, 
Tulio e Lino e Seneca morale;                                       141
Tolomeo
Euclide geomètra e Tolomeo, 
Ipocràte, Avicenna e Galieno, 
Aristotele Averoìs, che ’l gran comento feo.
• Dante è un osservatore diretto del cielo

Attilio Momigliano afferma che il Purgatorio e il


Paradiso sono due grandi spie delle ore che Dante
deve aver passato in contemplazione del cielo
OSSERVAZIONE SCIENTIFICA

L'importanza inestimabile dell’opera di Dante, in cui


l'ambizione letteraria è unita a un forte interesse pratico e
scientifico, si riflette nel ritratto che fece di lui il Villani:
“[Dante] fue grande letterato quasi in ogni scienza …”
(Giovanni Villani, "Nuova Cronica" – XIV sec.)
 “Lettera all’amico fiorentino”. N. 12

E che? Forse che non vedrò dovunque gli


specchi del sole e degli astri? Forse che non
potrò dovunque sotto il cielo indagare le
dolcissime verità? 

L’esilio è doloroso, ma il cielo non vi è precluso.


La poesia della natura

L’amore per la vita si traduce nell’attenzione, nella pietas creaturale per ogni aspetto del
mondo intorno a noi, che Dante descrive con la sua straordinaria capacità di osservatore
pronto a cogliere, anche nei dettagli, la mirabile poesia della natura.

Il mondo, che gli si rivela come creazione divina per il tramite della natura, si regge su un
equilibrio di cui l’uomo è parte integrante perché «le cose tutte quante / hanno ordine tra
loro» (Par., I, vv. 103-104).

E questo, che il poeta presenta come un miracolo dello spirito e della materia
perfettamente concordi, ci può persino far riflettere su quello che oggi chiamiamo
equilibrio ambientale perché postula sempre un rapporto di responsabilità, un nesso tra
azione umana e vita delle cose: cosicché siamo esposti al rischio che siano propri i nostri
comportamenti dissennati a desertificare l’ambiente intorno a noi e, per la nostra colpevole
noncuranza, subentri «la muffa dov’era la gromma» (Par., XII, v. 114), esattamente come
avviene alla botte asciutta e insterilita, che non può più produrre vino buono.
Obiettivi del progetto cosmologico di Dante

- METAFISICO: proporre la centralità cosmica dell’uomo,


posto da Dio sul pianeta Terra, al centro dell’Universo

SCIENTIFICO: portare a sintesi il dibattito cosmologico della


sue epoca, superando Aristotele e Tolomeo

DIVULGATIVO: consentire a tutti di accedere a queste


conoscenze mediante la poesia

Difetti? Si. Ma è pur sempre un poeta… Poeta della scienza


PUNTO DI PARTENZA

Il presupposto per questa chiacchierata è la consapevolezza che, come sostenuto da Marco


Pivato, “scienza e poesia” sono entrambe visioni del mondo.

(M. Pivato, Noverar le stelle. Che cosa hanno in comune scienziati e poeti, Donzelli editore, Roma 205, p. 7).
CHE COS’È LA POESIA?

La poesia è un modo di guardare il mondo


(guardare con stupore, con disappunto, con
meraviglia), trovando sempre significati
inimmaginabili o che nessuno ha mai intuito
La poesia, cari amici,
è la sacra incarnazione di un sorriso.
La poesia è respiro
che asciuga le lacrime
K. GIBRAN

Come Dante può salvarti la vita


“Ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici”

I. CALVINO, Lezioni americane


Dante è il sommo poeta della letteratura italiana, letto in tutto il mondo.

Dante fu anche uomo di scienza e la sua Commedia non fu solo un’opera di poesia, ma costituì la
summa delle “conoscenze” del tempo, una sorta di “enciclopedia” di tutto il sapere e sintesi
culturale del Medioevo.
Attraverso continue elaborazioni, il sapere di Dante mescolava la Teologia, la Filosofia, la Fisica
Aristotelica e l’Astrologia, il tutto presentato in forma simbolica e allegorica, quella del “parlar
velato”, del nascondere “sotto il velame de li versi strani” i veri significati. 
 
Il legame di Dante con l’astronomia è presente nelle sue maggiori Opere.

Nel Convivio, II, 13 afferma: «E questa (l’astronomia) più che alcune delle sopradette (scienze)
è nobile e alta per nobile subietto, che è de lo movimento del cielo, e alta e nobile per la sua
certezza, la quale è senza difetto, sì come quella che da perfettissimo e regolarissimo principio
viene. E se difetto in lei si crede per alcuno, non è da la sua parte, ma, sì come dice Tolomeo, è
per la negligenza nostra, e a quella si dee imputare».

Secondo Dante, dunque, l’astronomia è una scienza perfetta e se la si ritiene ostica o si trovano in
essa imperfezioni, la causa è da ricercarsi nella nostra negligenza.
 
VALORE DELLA CONOSCENZA

Par. I – vv. 88-90

e cominciò:
Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar,
sì che non vedi ciò che vedresti se l’avessi scosso.

È più facile disintegrare un atomo che un pregiudizio


Albert Einstein
LEOPARDI E L’ASTRONOMIA
 Leopardi
(Recanati, 29 giugno 1798 –Napoli, 14 giugno 1837)

Storia dell’astronomia dalle origini all’anno 1811 (1813)


Ripresa da Margherita Hack fino al 2000 (edizione 2011)
 
 "La più sublime, la più nobile tra le
Fisiche scienze ella è senza dubbio
l'Astronomia".

 "La mente si illumina e si rassicura


allorché trova ordine e regola, ove
non credeva che confusione e ruina.

 Beneficio grande è fatto all’uomo


dall’Astronomia".
DESIDERIO DI CONOSCENZA

Inf., XXVI, vv. 118-120

Ulisse

Considerate la vostra semenza: 


fatti non foste a viver come bruti, 
ma per seguir virtute e canoscenza”                        
STUPORE

 E per il sommo poeta l'indagine del mondo, come scrive egli stesso nel
Convivio, inizia sempre dallo stupore e dalla meraviglia di un osservatore:

 “Lo stupore è uno stordimento dell'animo per grandi e meravigliose cose vedere
o udire o per alcuno modo sentire: che, in quanto paiono grandi, fanno
reverente a sé quelli che le sente; in quanto paiono mirabili fanno voglioso di
sapere di quelle.” (Convivio IV, XXV, 5).

 Questo stupore è il punto di partenza di un'indagine conoscitiva, uno studio


della realtà che parte sempre e comunque, in ogni campo dello scibile,
dall'osservazione dei fenomeni, secondo il principio messo in bocca a Beatrice
nel Cielo della Luna:

“...Solo da sensato apprende


ciò che fa poscia d'intelletto degno”
(Par. IV, 41-42)
Nella Commedia il poeta ricorre all’astronomia, designata come
astrologia, secondo l’uso corrente al suo tempo, per legare in un certo qual
modo alla realtà il suo viaggio simbolico e allegorico, una sorta di punto di
riferimento, di bussola per l’orientamento.

Cfr Etymologiarum libri di Isidoro di Siviglia: Libro III, XXIV De Astronomia

DE ASTRONOMIAE NOMINE. [1] Astronomia est astrorum lex, quae


cursus siderum et figuras et habitudines stellarum circa se et circa terram
indagabili ratione percurrit

 
Le sue conoscenze di astronomia derivano dalla lettura
delle opere di antichi autori e l’astronomia della
Commedia è basata sul sistema tolemaico, con la
Terra immobile al centro dell’Universo, intorno alla
quale ruotano Sole e Luna e, mediante cicli ed epicicli,
i cinque pianeti all’epoca conosciuti. 

I 5 pianeti allora conosciuti


(Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno) più
la Luna e il Sole sono solidali ciascuno a una sfera con
la quale ruotano con moto uniforme attorno alla Terra,
nel seguente ordine: Luna, Mercurio, Venere, Sole,
Marte, Giove e Saturno.

Dopo la sfera di Saturno si trova quella delle


stelle fisse nella quale sono incastonate tutte le stelle
della sfera celeste. Tale sfera ruota insieme a tutte le
altre per effetto del moto loro impresso dalla sfera del
Primo Mobile.

"Vista generale de la Divina Comedia", 1855,


di Michelangelo Caetani
ASTRONOMIA NELLA COMMEDIA

Dante usa l’astronomia nel suo poema per definire il tempo in cui si è svolto il suo
viaggio.

Mediante l’osservazione delle posizioni planetarie, infatti, scandisce il tempo.

Uso delle immagini di oggetti astronomici come SIMBOLI, PARADIGMI DI


BELLEZZA

I versi di carattere astronomico sono presenti principalmente nel Purgatorio e nel


Paradiso.
USO DELL’ASTRONOMIA
NELLE TRE CANTICHE

INFERNO: uso limitato per indicare i tempi mediante posizioni o


movimenti delle stelle o della Luna rispetto all’orizzonte di Gerusalemme

PURGATORIO: per le indicazioni astronomiche si fa riferimento al Sole


che accompagna Dante e Virgilio, i quali avanzano intorno al monte nel senso del
suo corsi diurno

PARADISO: strutturato secondo la rappresentazione cosmologica nata all’


epoca di Tolomeo.
•Un viaggio tra le stelle di Dante è un’esperienza unica perché non solo ci
permette di seguire l’itinerario ultraterreno e metafisico compiuto dal sommo
poeta, ma perché ci fa scoprire le reali sue conoscenze astronomiche, derivategli
dallo studio dell’astronomia antica.

•TEMPO del viaggio:

 25 marzo/7-8 aprile 1300/1301

 EQUINOZIO DI PRIMAVERA (Sole nella Costellazione dell’Ariete)

 Viaggio dura una settimana 3 giorni all’Inferno + 3 giorni nel Purgatorio + 1


giorno in Paradiso), dalla notte del giovedì/venerdì santo a mezzanotte del
mercoledì/giovedì dopo la domenica di Pasqua

TEMPO

Quando ha intrapreso il viaggio?

1300 o 1301?

1300 perché: GIUBILEO


1300-1265: 35 ANNI

“Nel mezzo del cammin di nostra vita”


25 marzo o 7/8 aprile?
DURATA DEL VIAGGIO: 7 GIORNI

25 marzo o 7/aprile?
Inf., XX, vv. 127-129

e già iernotte fu la luna tonda: 


ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque 
alcuna volta per la selva fonda». 

Da un calcolo fasi lunari: luna piena


5 aprile 1300
Calligaris e Gizzi: in un calendario ecclesiastico del 1300 plenilunio 7 aprile ore 13
Luna tonda (no piena, ma radiante???)

Citazione Luna piena Par., XXIII, vv. 25-28:

Quale ne’ plenilunii sereni 


Trivia ride tra le ninfe etterne 
che dipingon lo ciel per tutti i seni,

25 marzo 1301: luna piena: prossima all’Equatore celeste perché l’equinozio era trascorso da poco
È necessario ricorrere all'indicazione di Inf., XXI 112-114, ove il gran diavolo Malacoda,
autentico monarca di Malebolge, regno della Frode (!), riferendosi agli effetti sul sito
infernale del terremoto che segnalò la contemporanea morte del Redentore, afferma che:

Ier, più oltre cinqu'ore che quest'otta,


mille dugento con sessanta sei anni
compié che qui la via fu rotta.

passo in cui è bene evidente l'altra grande tradizione medievale che voleva il Cristo spirato
all'età di 34 anni dall'Incarnazione (1266 + 34 = 1300, computo ab incarnatione anziché a
nativitate).

La medesima convinzione popolare fissava il giorno della morte al 25 di Marzo, data in cui
in Firenze si soleva perciò celebrare la ricorrenza dell'Annunciazione e l'inizio del nuovo
anno.

Simili indizi, aggiunti all'Equinozio di Primavera - anniversario della creazione del Mondo -
rendono certamente appieno l'idea di quella Nuova Età che Dante tanto auspicava e che la
Commedia doveva andare quantomeno a presagire.
Esiste, però, una differente tesi, sostenuta da
commentatori pure autorevoli, che fissa il giorno
del Viaggio al Venerdì Santo, la quale data
rappresentava sì, ancora, l'anniversario della
morte del Cristo, ma per tutto l'universo
cristiano, non per la sola città di Firenze.

Nel 1300 il Venerdì Santo cadde il giorno 8 del


mese di Aprile.
Ebbene, l'incertezza della teoria può essere risolta in modo decisivo sulla base di un dato astronomico: il
plenilunio di Inf., XX 124-127:

Ma vienne omai, ché già tiene 'l confine


d'amendue li emisperi e tocca
l'onda sotto Sobilia Caino e le spine;
e già iernotte fu la luna tonda.

Ciò è possibile ammettendo che la ricorrenza della Risurrezione di nostro Signore nel 1300 (giorno della
Santa Pasqua, 10 di Aprile) corrisponda, nella finzione del poema, alla rinascita dell'Uomo nel trionfo
supremo della visione finale di Dio: è questo un risultato significativo, l'unico legato alla durata del
Viaggio nell'ambito di una irrinunciabile prospettiva teologica, che Dante difficilmente può avere
trascurato.

Stimata dunque la permanenza del Pellegrino nell'oltretomba - come comunemente accolto - in poco più
di sei giorni, risulta evidente che perché alla fine del poema ci si trovi alla data del 10 di Aprile la fuga
dalla selva deve aver avuto luogo con precisione il mattino del giorno 4 dello stesso mese.
Conferma: Inf., XXI, vv. 112-114

Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta, 


mille dugento con sessanta sei 
anni compié che qui la via fu rotta.

1266+34=1300

Morte di Cristo: 34 anni


Convivio, IV, 23
Vangelo di Luca: ora sesta (mezzogiorno) di venerdì

Malacorda parla alle 7 del mattino del sabato santo del 1300         
88 citazioni astronomiche?

UAI: 88 costellazioni
INFERNO PURGATORIO PARADISO

I, vv. 37-39 II, vv. 1-9 I, vv. 37-45


COSTELLAZIONE DELL’ARIETE SPAZIO/TEMPO MERIDIANI Eclittica, Equatore celeste e altro: Par., I, vv. 37-45
XXIV, vv. 1-21 XXVII, vv. 1-6 PERIFRASI ASTRONOMICIA: 4 cerchi e tre croci (equinozio
COSTELLAZIONE DELL’ACQUARIO SPAZIO primavera)
IV, vv. 68-71; 79-84 X, vv. 13-18
SPAZIO ECLITTICA
XI, vv. 103-108 XXII, vv. 133-135,, vv. 139-150
PROCESSIONE DEGLI EQUINOZI EQUATORE CELESTE
XXX, vv. 1-9 XXVII, vv. 142-147
PERIFRASI ASTRONOMICA CALENDARIO, DURATA DELL’ANNO

XXVI, vv. 127-135 IV, vv. 67-75, vv. 119-120 V, VV. 100-105
TUTTE LE STELLE DELL’EMISFERO AUSTRALE XXVII, vv. 67-69 PIANETA MERCURIO
XV, vv. 7-9 VIII, vv. 1-12
XIX, vv. 37-39 PIANETA VENERE
PIANETASOLE X, vv. 7-18, 28-36
II, vv. 13-18 XIII, vv. 133-135
PIANETA MARTE PIANETA SOLE
I, vv. 13-21 XVIII, vv. 115-117
PIANETA VENERE PIANETA GIOVE
XXI, vv. 12-15
PIANETA SATURNO
IV e XXX: EMPIREO
XXII: Stelle fisse
XXVII: Primo mobile
XXXIII

XX, vv. 124-129 XVIII, vv. 76-81 II, vv. 31-32, 49-51, 67-69, 112-148
LUNA LUNA XXII, vv. 133-154, XXIII, vv. 25-28
LUNA

vv. 106-108 I, vv. 19-21 XVI, vv. 37-38; Par., XXI, vv. 13-15
VIA LATTEA COSTELLAZIONE DEI PESCI COSTELLAZIONE LEONE
II, vv. 1-9 XXII, vv. 112-123
COSTELLAZIONE DELLA BILANCIA COSTELLAZIONE GEMELLI
II, vv. 55-57; XXIV, vv. 100-102
COSTELLAZIONE DEL CAPRICORNO COSTELLAZIONE DEL CANCRO
IX, vv.1-9 XXVII, vv. 67-72
COSTELLAZIONE DELLO SCORPIONE COSTELLAZIONE DEL CAPRICORNO
XVIII, vv. 76-81 XXVIII, vv. 116-117
COSTELLAZIONE DEL SAGITTARIO COSTELLAZIONE DELL’ARIETE
XXV, vv. 1-3 XXXIII, v. 1-6
COSTELLAZIONE DEL TORO COSTELLAZIONE DELLA VERGINE
INFERNO PURGATORIO PARADISO

XXI, vv. 50-51; XXIX vv. 77-78; XXV, vv. 91-93; XXVIII, v. 32; XII,v.12; XXXIII, v. 118.
ARCOBALENO ARCOBALENO

I, vv. 22-33 II. 1-9: XIII, 7-9; XIII, vv. 10-15; XXXI, vv. 31-33
CROCE DEL SUD (?) ORSA MAGGIORE/Carro/ORSE
I, vv. 28-30, 37-39 XIII, vv. 1-24
GRANDE CARRO, ORSA MAGGIORE CORONA BOREALIS
XXX, vv. 1-6, VIII, vv. 85-93 VIII XIV, vv. 96-108
Tre facelle VIA LATTEA
XV, vv. 13-24
CROCE
XXIV, vv. 1-9
COMETE
Vademecum in chiave astronomica per la Commedia

SPAZIO: Inferno: da Gerusalemme al centro della Terra (emisfero boreale), Purgatorio (montagna nell’emisfero australe, lat.
32°S/long. 145° W nell’Oceano Pacifico a Sud-Ovest della Polinesia francese), Paradiso (cielo)

TEMPO: dal 7/8 aprile (o 25 marzo) al 13 aprile

1300/1301
(le indicazioni di Dante sono riferibili astronomicamente al 1301 (cfr TAVOLE delle EFFEMERIDI
ASTRONOMICHE, come le “Tavole alfonsine”)

- Equinozio di PRIMAVERA

COSMOLOGIA: sistema geocentrico vs sistema eliocentrico

SOLE / LUCE

LUNA e macchie lunari

PIANETI (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno)

COSTELLAZIONI: zodiaco e altre

STELLE CADENTI

MOTI DEI PIANETI

ARCOBALENO
 Purg., XXI, vv. 50-51; Purg., XXIX vv. 77-78; Purg., XXV, vv. 91-93;

MITI

ASTRONOMIA SFERICA DANTESCA

Equatore celeste: Purg., IV, vv. 79-84


Eclittica: Par. X, vv. 13-21
Eclittica e il Sole: Purg., IV, vv. 67-75, Purg., IV, vv.
119-120, Par., X, vv. 28-33
Eclittica, Equatore celeste e altro: Par., I, vv. 37-45
Processione degli equinozi: Purg., XI, vv. 103-108
Calendario, durata dell’anno: Par., XXVII, vv. 142-
147
Par. I, vv. 37-45
Eclittica, Equatore celeste e altro
4 cerchi e 3 croci

La lanterna del mondo (il sole) sorge ai


Surge ai mortali per diverse foci mortali da diversi punti dell'orizzonte:
la lucerna del mondo; ma da quella ma da quel punto in cui quattro cerchi si
intersecano formando tre croci, esso
che quattro cerchi giugne con tre croci,                        
nasce in congiunzione con una stagione
più mite e con una stella propizia
con miglior corso e con migliore stella
(l'Ariete, all'equinozio primaverile) ed
esce congiunta, e la mondana cera esercita un più benefico influsso sul
più a suo modo tempera e suggella.                             mondo.

Fatto avea di là mane e di qua sera Quel punto aveva fatto pieno giorno in
tal foce, e quasi tutto era là bianco  Purgatorio e notte sulla Terra, e un
quello emisperio, e l’altra parte nera, emisfero era tutto bianco e l'altro nero,
quando vidi Beatrice voltata a sinistra e
intenta a fissare il sole: un'aquila non lo
quando Beatrice in sul sinistro fianco 
fissò mai in tal modo.
vidi rivolta e riguardar nel sole: 
aguglia sì non li s’affisse unquanco.  
LUCE
- Arcobaleno: Purg., XXV 91-93

- La luce riflessa è talvolta utilizzata da Dante


come metafora della capacità dell’uomo di cogliere
la realtà che sta oltre l’apparenza.
In Purg., XV, vv. 16-21: riflessione come fenomeno
fisico.

Ombre lunari (Canto II del Paradiso)


SISTEMA SOLARE

Equatore celeste: Par., XXII, vv. 133-135, Par., XXII, vv. 139-150
Luna: Inf., XX, vv. 124-129; Par., II, vv. 40-105
Mercurio: Par., V, vv.127-129; Par., XXII, vv. 142-144
Venere: Par. VIII, vv. 1-3; Purg., I, vv. 19-21
Sole: Par., X, vv. 28-33
Marte: Purg., II, vv. 13-15; Par., XIV, vv. 82-87, 100-102; XVI, vv. 34-39
Giove: Par. XXII, v. 139; XXVII, vv. 13-15
Saturno: Par., XXI, vv. 13-15; Purg., XIX, vv. 1-3

TERRA: Par., XXII, 151-153 (Gemelli: ottava sfera); Par. XXVII, vv. 76-87)

Via Lattea: Inf., vv. 106-108, Par., XIV, vv. 97-99;


COSMOLOGIA DANTESCA

Tempo: Par., XXVII, vv. 106-120 (Primo


Mobile)

Cosmo: Par., XXVIII, vv. 16-78; XXX, vv. 10-


12 + Musica Par., XXX, vv. 91-93; Par., XXXI,
vv. 144-145; Par. I, vv. 76-84, Par. VI, vv. 124-
126; Par., XXIII, vv. 109-111
ZODIACO

1. Ariete: Inf., I, vv. 37-43; Par., XXVIII, vv. 116-117


2. Toro: Purg., XXV, vv. 1-3
3. Gemelli: Par., XXII, vv. 109-111; Par., XXVII, vv. 97-99
4. Cancro: Par., XXV, vv. 100-102
5. Leone: Par., XVI, vv. 37-38; Par., XXI, vv. 13-15
6. Vergine: Par., XXXIII, v. 1-6
7. Bilancia: Purg., II, vv. 1-6
8. Scorpione: Purg., IX, vv.1-9
9. Sagittario: Purg., XVIII, vv. 76-81
10. Capricorno: Purg., II, vv. 55-57; Par., XXVII, vv. 67-72
11. Acquario: Inf., XXIV, vv. 1-21
12. Pesci: Purg., I, vv. 19-21
Orse, poli celesti, Corona Boreale, Croce del
Sud
Orsa Maggiore/Carro: Purg., I, 28-30, Purg., XXX, vv. 1-6, Par., XIII, 7-9; Par., XIII,
vv. 10-15; Par., XXXI, vv. 31-33

Corona Borealis: Par., XIII, vv. 10-15

Croce del Sud: Purg., I, 22-27; Purg., VIII, vv. 85-93


Contesto “astronomico” in cui viveva Dante

Fonti di studio

ANTICHITÀ + ALTO MEDIEVO + BASSO MEDIOEVO

• NASCITA

• SVILUPPI

• CONFRONTO
QUALE ASTRONOMIA SI STUDIAVA?
• L’evoluzione e i postulati riprendono l’astronomia antica:

  1) EUDOSSO (IV sec. a.C.)



ARISTOTELE
 
TEORIA DELLE SFERE OMOCENTRICHE

Figura della “sphera substantiale», illustrazione da una traduzione del trattato di Giovanni
Sacrobosco  (1230), Sphera volgare novamente tradotta, sottotitolo: con molte notande additioni
di geometria, cosmographia, arte navicatoria, et stereometria, proportioni, et qvantita delli
elementi, distanze, grandeze, et movimenti di tutti li corpi celesti, cose certamente rade et
maravigliose, ad opera di «Mauro fiorentino Phonasco et Philopanareto», stampato a Venezia, per
Bartholomeo Zanetti, «anno salutis nostre M. D. XXXVII. mense Ottobri, &c.», ottobre 1537.
2)APOLLONIO E IPPARCO (III-II sec. a.C.)

TOLOMEO (II sec. d.C.)
TEORIA DEGLI EPICICLI E DEI DEFERENTI (eccentrici, equanti)
(teoria matematico-strumentale, quantitativa)

Per spiegare la retrocessione dei pianeti (cioè il


fenomeno per cui in certi periodi i pianeti
sembravano fermarsi, tornare indietro per un
tratto e poi riprendere il loro cammino apparendo
più vicini alla Terra e più luminosi) Apollonio,
Ipparco e Tolomeo ipotizzano che essi si
muovano su una circonferenza (l’epiciclo), il cui
centro è posto su un’altra circonferenza (il
deferente) che ha per centro la Terra. Lo sviluppo
dei due movimenti, risulta come in figura.
Quale astronomia era studiata nel Medioevo e quali testi astronomici circolavano
in Italia all’epoca di Dante?

ALTO MEDIOEVO: raccolta e organizzazione di tutto il patrimonio scientifico


classico

Astronomia e Monasteri
Marziano Capella
Macrobio
Padri della Chiesa che affermavano che la cultura pagana era un nemico da vincere;
le sacre scritture e la loro esegesi contenevano tutte le informazioni necessarie per
raggiungere la salvezza (Aurelio Agostino d’Ippona (sant’Agostino), Lattanzio)
Severino Boezio
Cassiodoro
Beda il Venerabile
.
BASSO MEDIOEVO:

Nella seconda metà del I millennio, l’astronomia, quindi, era


estremamente primitiva rispetto al livello dell’Almagesto di Tolomeo.

Tuttavia, nel X secolo si verificarono i primi contatti con i centri di


sapere islamici e soprattutto i monasteri sulle pendici meridionali dei
Pirenei divennero centri per la trasmissione della cultura araba.

TOLEDO/PALERMO

Ricomparve l’Almagesto di Tolomeo, che conteneva anche un catalogo


di 1022 stelle
ASTRONOMIA DOPO L’ANNO 1000
STUDI DI DANTE

Poesia latina: Virgilio, Lucano, Ovidio

•Talete di Mileto (624-547 a.C.), matematico e filosofo greco


• Aristotele di Stagira (384-322 a.C.), filosofo e scienziato greco, in traduzione

•Euclide di Alessandria (circa 365-300 a.C.), matematico greco

• Zenone di Cizio (333-263 a.C.), filosofo greco

• Claudio Tolomeo (circa 100-175), astronomo greco, in tradusizone

• Severino Boezio (476-525), filosofo romano

•Isidoro di Siviglia (560-636), scienziato spagnolo

• Alhazen (965–1038), scienziato arabo

•Teorie degli astronomi arabi Alhazen, Alpetragio, Albumasar Alfragano, Avicenna,


Averroè
•Alberto Magno (1206-1280), filosofo e scienziato tedesco

• Ruggero Bacone (1214-1290), scienziato inglese

•Studi sul Pitagorismo e sulla Kabbala ebraica.

•Brunetto Latini (1220 – 1295), una mente enciclopedica, autore del Tresor

•Tavole astronomiche (forse l’Almanacco perpetuo) di Profazio Giudeo

•Almagesto di Tolomeo (forse veicolato dalla sintesi contenuta nel Liber de aggregationibus scientiae stellarum
dell’astronomo persiano Alfragano, un manuale che circolava molto a quel tempo) e gli scritti aristotelici, Fisica,
Metafisica e De Caelo, commentati dagli scienziati arabi Avicenna e Averroè e dai teologi cristiani Alberto Magno e
Tommaso d’Aquino
Molti di questi maestri vengono omaggiati da Dante nel Cielo del Sole, tra cui Alberto
Magno, Tommaso d'Aquino, Severino Boezio, Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile,
Riccardo di San Vittore:

“Questi che m'è a destra più vicino,


frate e maestro fummi, ed esso Alberto
è di Cologna, e io Thomas d'Aquino [...]

Per vedere ogne ben dentro vi gode


l'anima santa che 'l mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode [...]

Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro


d'Isidoro, di Beda e di Riccardo,
che a considerar fu più che viro.”
(Par. X, 97-99.124-126.130-132)
DANTE versus RISTORO D’AREZZO

Autore della prima opera scritta in volgare di carattere astronomico-


geografico.

Ma il lessico scientifico usato è quello di Dante perché accosta


parole e immagini in maniera magistrale.
Autonomia e originalità del lessico di Dante: spinge il lettore a
ragionare
Di Restoro d'Arezzo, non abbiamo fonti sicure per poter attingere alla
sua vita ma sappiamo che scrisse un trattato enciclopedico intitolato
"La composizione del mondo colle sue cascioni" in cui dimostra di
conoscere in modo approfondito le teorie di Aristotele, di Tolomeo,
di Averroè di  Avicenna e il contenuto del De sphera di Sacrobosco.

Sappiamo dall'explicit della sua opera che il trattato venne scritto


nel 1282 con tutta probabilità nell'ambito aretino e, dai pochi
accenni autobiografici contenuti nell'opera, si è ipotizzato che fosse
un orefice e un disegnatore, che avesse scritto il trattato in età avanzata
e che appartenesse al clero.

La composizione del mondo è strutturata in due libri composti


rispettivamente da 24 e da 94 capitoli.

Nel primo libro l'autore descrive il macrocosmo e il microcosmo con


acuto spirito d'osservazione, mentre nel secondo, che è suddiviso in
otto "distinzioni", egli discute dei fenomeni e delle cause.
Il codice più antico e maggiormente fedele dal punto di
vista linguistico all'opera originale è il Ricciardiano 2164.

Le teorie di Restoro vengono messe in discussione da Dante nel suo


trattato scientifico Quaestio de aqua et terra letta a Verona davanti al
clero nel gennaio del 1320 nel quale egli, per confutare un passo di
Aristotele, sostiene la tesi che nel globo le terre emerse sono più alte
delle acque.
Esempio: Eclissi
(Par., XXVII (vv.31-26) e XXIX, vv. 97-102)
E come donna onesta che permane
di sé sicura, e per l’altrui fallanza,
pur ascoltando, timida si fane,                                        

così Beatrice trasmutò sembianza; 


e tale eclissi credo che ’n ciel fue,
quando patì la supprema possanza

_____ Ai vv. 97-102 Dante allude alla spiegazione


dell'oscurarsi del Sole alla morte di Cristo che
Un dice che la luna si ritorse risaliva allo pseudo-Dionigi e ripresa da
Tommaso, dovuta cioè a un'eclissi provocata
ne la passion di Cristo e s’interpuose,
dalla retrocessione della Luna: la confuta
per che ‘l lume del sol giù non si porse; seguendo           san
    Girolamo,
         perché in contrasto
col Vangelo (Matth., XXVII, 45: tenebrae
e mente, ché la luce si nascose factae sunt super universam terram) e in
da sé: però a li Spani e a l’Indi quanto l'eclissi non sarebbe stata visibile in
Spagna o  in India, cioè all'estremo occidente
come a’ Giudei tale eclissi rispuose.                          
e oriente di Gerusalemme
Esempio: Galassia

Termine Galassia legata ad


Come la Via Lattea, la Galassia la cui natura fa dubitare i
un’immagine (Par., XIV, vv. 97-102) più saggi, biancheggia tra gli opposti poli celesti,
punteggiata da stelle di maggiore e minore splendore, così
quei due raggi, percorsi dai lumi, formavano nella
Come distinta da minori e maggi profondità di Marte il segno venerabile (della croce) che
fanno gli assi che dividono il cerchio in quattro quadranti
lumi biancheggia tra' poli del mondo uguali.
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;

sì costellati facean nel profondo


Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.

Come trapunta di stelle maggiori e minori, la Galassia (la Via lattea)


appare come una striscia biancheggiante, tra i due poli del cielo, tanto
da far dubitare gli uomini sapienti circa la sua natura, così nella
profondità di Marte quei due raggi, che prima erano apparsi al poeta,
disponendosi come una costellazione formavano il venerabile segno
della croce, costituito dalle linee che univano in un cerchio i quadranti
(cioè i quattro quarti in cui i due diametri si dividevano).
Via Lattea: Inf., XVII, vv. 106-108

Maggior paura non credo che fosse 


quando Fetonte abbandonò li freni, 
per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse;     

Via Lattea, foto di Michele Tedeschi - Bari


Anassagora ed Arato parlano della "ruota risplendente che gli uomini chiamano Latte".

Alla via Lattea si riferiscono usando questo nome anche Eratostene ("il circolo della Galassia"), ed altri autori greci, mentre per Ipparco è
semplicemente "Galassia". Presso molti altri popoli essa era nota come "il fiume celeste".

Galaxure, l'amabile creatura di un inno omerico, era probabilmente una personificazione di questa massa di stelle e forse ad essa è correlata
anche Galatea, figlia di Oceano, la ninfa "bianca come il latte" dell'Iliade.

La Galassia, presso i Greci, fu nota anche come "Eridanus", il ruscello celeste.

A Roma era conosciuta come "ghirlanda celeste" ("coeli cingulum") e Plinio la definisce "Circolo Latteo", ma fra i Romani sembra
predominare l'idea della "via celeste" ("Via coeli regia", "Via lactea").

La Via Lattea appare come una lunga striscia bianca che si snoda fra i due poli celesti. Nell'ambito di questa striscia sono, tuttavia,
individuabili numerose stelle, più o meno luminose.

Nel mondo medievale circolavano diverse teorie sulla natura e la formazione della Via Lattea, che Dante raccoglie e discute nel Convivio
(Cv. II , XIV, 5-8).
Egli sostiene che Anassagora pensava che essa riflettesse la luce del sole, opinione condivisa da Aristotele, Democrito, ed anche dal tardo
Avicenna.

Il poeta inoltre attribuisce ad Aristotele un'altra teoria, secondo la quale la Galassia si sarebbe formata con il raccogliersi di vapori attorno
alle stelle di quella parte del cielo.

La Via Lattea è posta in relazione con il mito greco di Fetonte.


Fetonte era figlio di Helios (Apollo) e della ninfa Climene.

Quando Epafo mise in dubbio che era figlio di un dio, Fetonte ricorse prima alla madre, per avere una smentita della maligna insinuazione,
e poi ottenne da Apollo il permesso di guidare per una volta il carro del sole nel cielo, quasi a conferma del suo amore paterno. A causa
della sua inesperienza, però, Fetonte non riuscì a trattenere la foga dei cavalli e, uscendo dal cammino consueto, rischiò di incendiare la
terra e provocò una bruciatura nel cielo, che nella Via Lattea mostra ancora la cicatrice.
Nel mondo medievale circolavano diverse teorie sulla natura e la formazione della Via
Lattea, che Dante raccoglie e discute nel Convivio Capitolo II, XIV , 5-8:

Appresso le comparazioni fatte de li sette primi cieli, è da procedere a li altri, che sono
tre, come più volte s'è narrato. Dico che lo Cielo stellato si puote comparare a la Fisica
per tre proprietadi, e a la Metafisica per altre tre: ch 'ello ci mostra di sé due visibili
cose, sì come le molte stelle, e sì come la Galassia, cioè quello bianco cerchio che lo
vulgo chiama la Via di Sa' Iacopo; e mostraci l'uno de li poli, e l'altro tiene ascoso; e
mostraci uno suo movimento da oriente ad occidente, e un altro, ch e fa da occidente ad
oriente, qua si ci tiene ascoso. Per che per ordine è da vedere prima la comparazione
de la Fisica, e poi quella de la Metafisica.

San Giacomo maggiore : legato a Santiago di Compostela, sede delle spoglie mortali
di Giacomo il Maggiore, apostolo di Gesù

(GALIZIA=Galassia)
Corona borealis
Un’altra virtuale perifrasi astronomica, che aggiunge ulteriori dettagli
alla rappresentazione del cielo del Sole, è inserita nel canto XIII ai vv.
1-24:

Imagini, chi bene intender cupe


quel ch’i’ or vidi – e ritegna l’image,
mentre ch’io dico, come ferma rupe -,

quindici stelle che ‘n diverse plage


lo cielo avvivan di tanto sereno
che soperchia de l’aere ogne compage;

imagini quel carro a cu ‘ il seno


basta del nostro cielo e notte e giorno, “chi desidera bene intendere quello che io vidi, immagini, mentre io
sì ch’al volger del temo non vien meno; descrivo e trattenga l’immagine fermo come una roccia, quindici stelle
imagini la bocca di quel corno
che ravvivano il firmamento di tanta chiarezza da superare ogni densità
che si incomincia in punta de lo stelo dell’aria; immagini poi le sette stelle dell’Orsa maggiore, cioè di quel
a cui la prima rota va dintorno, carro a cui è sufficiente lo spazio dell’emisfero boreale, nel suo giro
diurno e notturno, tanto che a girare il suo timone, non sparisce mai
aver fatto di sé due segni in cielo, dalla nostra vista; immagini inoltre le ultime due stelle dell’Orsa minore
qual fece la figliuola di Minoi che formano come la bocca della costellazione paragonata ad un corno
allora che sentì di morte il gelo;
che comincia dalla parte opposta con la stella polare, punta dell’asse
e l’uno e l’altro aver li raggi suoi, terrestre, intorno a cui gira il Primo Mobile, immagini che tutte queste
e amendue girarsi per maniera stelle abbiano formato due costellazioni di dodici stelle ciascuna, quindi
che l’uno andasse al primo e l’altro al poi; 24 stelle, simili alla Corona in cui fu mutata la figlia di Minosse, Arianna,
quando morì; e immagini che queste due corone, concentriche, ruotino
e avrà quasi l’ombra de la vera in modo che ciascuna proceda in una direzione opposta; e avrà quasi
costellazione e de la doppia danza
che circulava il punto dov’io era:
un'ombra della vera costellazione (le due corone di beati) e della doppia
danza che circondava il punto dove ero io:infatti quello spettacolo
poi che tanto di là da nostra usanza, trascende a tal punto le cose del mondo, quanto lo scorrere lento della
quanto di là dal mover de la Chiana Chiana è superato dal Primo Mobile, il Cielo più veloce di tutti”
si move il ciel che tutti li altri avanza.
Il CIELO di Dante

Il percorso poetico-astronomico nella Commedia


inizia con un numero, ovvero 106, perché 106 sono le
volte che compare la parola cielo nell’opera dantesca.
https://www.etimo.it/?term=cielo

CIELO:
•Spazio abitato da uccelli con aria
•Firmamento
•Luogo dove risiede DIO

Astronomi con Tolomeo:


Zona celeste divisa in 10 CIELI
IL CIELO DI DANTE
(P. BIANUCCI, STORIA SENTIMENTALE DELL’ASTRONOMIA)

Nella Commedia la cosmologia va oltre il


paesaggio
È la struttura che innerva l’intero poema e
permette a Dante di affrontare la sfida suprema:

LA RAPPRESENZAZIONE DI DIO

Beatrice invita Dante a guardare verso il basso


La terza cantica della Commedia ha una struttura speciale rispetto alle prime due.

Nell’attraversare l’Inferno e il Purgatorio, Dante incontra le anime che si trovano nel luogo che è
stato destinato loro dalla giustizia divina. Le anime dell’Inferno resteranno lì per l’eternità, quelle del
Purgatorio invece per un periodo di tempo più o meno lungo.

Anche nel Paradiso si ha l’illusione che accada qualcosa di simile, ma in realtà la situazione è
totalmente diversa.

Il vero Paradiso, cioè il luogo dove stanno realmente i beati, gli angeli e Dio è nell’Empireo, il decimo
cielo.

E l’Empireo è una realtà di luce non corporea ma spirituale, non sensibile ma intellettuale.

Ma essendo un uomo, Dante può conoscere solo a partire dall’esperienza sensibile, e potrà vedere la
realtà del Paradiso solo dopo un itinerario di progressivo accrescimento delle facoltà percettive.
Dapprima essa gli è presentata in forma mediata, attraverso immagini: i beati, che soggiornano
sempre nell’Empireo, si manifestano nel cielo che ne ha maggiormente influenzato la vita terrena,
«per far segno» della loro condizione spirituale e venire incontro alle facoltà di Dante. In questo modo
anche l’ascesa paradisiaca può essere raccontata come un viaggio suddiviso in diverse tappe, di cielo
in cielo, interrotto da incontri e dialoghi con le anime.
Dante è trasportato da un cielo all’altro con moto istantaneo in un’ascesa che
passa attraverso i cieli astronomici della cosmologia medievale: prima i cieli
dei sette pianeti, poi gli ultimi tre: quello delle Stelle fisse, il Primo Mobile o
Cielo cristallino e infine l’Empireo, sede autentica del Paradiso e della divinità.

I cieli dei sette pianeti si distinguono in due gruppi: nei primi tre giunge la
punta del cono d’ombra proiettato dalla Terra, dunque Dante vi incontra beati
che hanno operato il bene ma come attraverso il velo di un’ombra terrena. Nei
quattro cieli successivi si trovano i beati che hanno rivolto le loro opere a Dio:
essi presentano a Dante quattro tipi di santità e la suprema realizzazione
cristiana delle quattro virtù cardinali: gli spiriti sapienti nel cielo del Sole
(prudenza), i combattenti per la fede nel cielo di Marte (fortezza), gli spiriti
giusti nel cielo di Giove (giustizia), i contemplanti nel cielo di Saturno
(temperanza). L’attraversamento di questi quattro cieli, centrali della struttura
cosmologica, in quanto sono preceduti e seguiti da tre cieli, occupa anche la
parte centrale della terza cantica, che va dal X al XXII canto.
Par., Canto XXII, vv. 133-154
 
Col viso ritornai per tutte quante
Con lo sguardo osservai tutti quanti i sette pianeti e vidi questo globo (la Terra)
le sette spere, e vidi questo globo
così piccolo che sorrisi del suo aspetto vile;
tal ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
 
e quel consiglio per miglior approbo
e approvo il giudizio di chi lo considera poca cosa, e colui che rivolge i suoi
che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
pensieri ad altro (al Cielo) si può davvero definire un uomo virtuoso.
chiamar si puote veramente probo.
 
Vidi la figlia di Latona (la Luna) luminosa e priva di quelle ombre che attribui
Vidi la figlia di Latona incensa
falsamente alla maggiore o minore densità.
senza quell’ombra che mi fu cagione
per che già la credetti rara e densa.
 
Lì potei fissare l'aspetto di tuo figlio, o Iperione (del Sole), e vidi come Mercurio e
L’aspetto del tuo nato, Iperione,
Venere si muovono in cerchio accanto ad esso.
quivi sostenni, e vidi com’si move
circa e vicino a lui Maia e Dione.
  Qui vidi l'aspetto temperato di Giove tra Saturno e Marte, e mi fu chiara la
Quindi m’apparve il temperar di Giove variazione della loro posizione astronomica;
tra ‘l padre e ‘l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
  e tutti e sette i pianeti mi si mostrarono nella loro reale dimensione e nella loro
e tutti e sette mi dimostraro velocità, e nella reciproca posizione celeste.
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
  La piccola Terra che ci rende così feroci, mentre ruotavo insieme alla
L’aiuola che ci fa tanto feroci, costellazione eterna dei Gemelli, mi apparve nella sua interezza (delle terre
volgendom’io con li etterni Gemelli, emerse); poi rivolsi i miei occhi a quelli, bellissimi, di Beatrice.
tutta m’apparve da’ colli a le foci;
 
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli
 
Parla Beatrice
Primo Mobile
Canto XXVII vv. 106-120):
  «La natura dell'Universo, che tiene la Terra al centro, immobile,
La natura del mondo, che quieta e fa ruotare tutto il resto intorno, comincia da qui come suo
il mezzo e tutto l’altro intorno move, principio e sua fine;
quinci comincia come da sua meta,
e questo Cielo (il Primo Mobile) non ha nessun'altra
e questo cielo non ha altro dove collocazione se non la mente di Dio, in cui si accendono l'amore
che la mente divina, in che s’accende che lo fa ruotare e la virtù che esso esercita.
l’amor che ‘l volge e la virtù ch’ei piove.
La luce e l'amore divino lo circondano, proprio come questo
Luce e amor* d’un cerchio lui comprende, Cielo circonda gli altri; e quell'involucro è compreso solamente
sì come questo li altri; e quel precinto, da Colui che lo cinge (da Dio).
colui che ‘l cinge solamente intende.
Il suo movimento non è misurato dagli altri, ma gli altri moti
Non è suo moto per altro distinto,
sono commisurato a questo, come il dieci lo è dal cinque e dal
ma li altri son mensurati da questo,
due;
sì come diece da mezzo e da quinto;

e come il tempo tegna in cotal testo


e ormai ti può essere chiaro come il tempo abbia le sue radici in
le sue radici e ne li altri le fronde,
questo vaso (nel IX Cielo), e negli altri Cieli le sue foglie.
omai a te può esser manifesto.

* v. 54 XXVIII che solo amor e luce ha per confine


Paradiso XXVIII, vv. 16-39

Una specie di “sistema angelico” il cui centro


è Dio, il «punto», e i cui cieli sono gli Angeli.

G. Doré
Par., XXVIII, vv. 16-39 E com’io mi rivolsi e furon tocchi 
li miei da ciò che pare in quel volume,  E non appena io mi voltai e i miei occhi scorsero ciò che appare in quel
quandunque nel suo giro ben s’adocchi,         Cielo (il Primo Mobile), ogni volta che si osservi con attenzione nella sua
sfera, vidi un punto che emanava una luce tanto intensa che per il suo
un punto vidi che raggiava lume splendore occorre chiudere gli occhi che ne sono colpiti;
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume; e ogni stella che sembri più fioca, diventerebbe una Luna se paragonata a
quel punto, come due stelle sono accanto nel cielo.
e quale stella par quinci più poca,
Forse, quanto un alone sembra circondare da vicino l'astro che lo fa
parrebbe luna, locata con esso
apparire quando l'atmosfera è pregna di spessi vapori, tutt'intorno a quel
come stella con stella si collòca. punto un cerchio fiammeggiante ruotava così velocemente che avrebbe
superato il movimento del Primo Mobile che racchiude il mondo;
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che ‘l dipigne e questo cerchio era circondato da un altro, e quello da un terzo, e il
quando ‘l vapor che ‘l porta più è spesso, terzo poi da un quarto, il quarto da un quinto e il quinto da un sesto.

distante intorno al punto un cerchio d’igne Più all'esterno ce n'era un settimo, talmente esteso che il messaggero di
Giunone (l'arcobaleno), benché tutto intero, sarebbe troppo piccolo per
si girava sì ratto, ch’avria vinto
contenerlo.
quel moto che più tosto il mondo cigne;
Così l'ottavo e il nono cerchio; e ognuno di essi era tanto più lento,
e questo era d’un altro circumcinto, quanto più il numero d'ordine che occupava era superiore ad uno (quanto
e quel dal terzo, e ‘l terzo poi dal quarto, più era distante dal centro);
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
e il cerchio che aveva la fiamma più splendente era quello più vicino al
Sopra seguiva il settimo sì sparto punto luminoso, perché - credo - si sostanziava maggiormente della sua
già di larghezza, che ‘l messo di Iuno verità.
intero a contenerlo sarebbe arto.

Così l’ottavo e ‘l nono; e ciascheduno


più tardo si movea, secondo ch’era
in numero distante più da l’uno;

e quello avea la fiamma più sincera


cui men distava la favilla pura,
credo, però che più di lei s’invera.
Questo spettacolo grandioso è la prova che è avvenuto il superamento di una soglia
invisibile: Dante ha raggiunto un nuovo sistema astronomico, dove non ci sono più cieli
e pianeti, ma gli astri sono Dio stesso e gli angeli che gli ruotano intorno in forma di
sfere. In questo nuovo sistema il centro è Dio. Ma, dato che il nuovo sistema muove e
soprattutto contiene quello planetario che ha al suo centro la Terra, risulta chiaro che il vero
centro dell’universo è proprio il «punto che raggiava lume» del v. 16.

Come è giusto che sia, perché altrimenti, dato che al centro del nostro pianeta si trova
conficcato Lucifero, l’universo creato da Dio avrebbe al suo centro il male.

È quello che spiega subito dopo Beatrice, illustrando a Dante come le sfere angeliche che
vede ruotare intorno a Dio siano responsabili del movimento dei cieli intorno alla Terra, con
una corrispondenza dimensionale rovesciata.

Nel sistema terrestre il cielo più veloce è il più grande e il più lontano dal centro, cioè la
Terra: è il Primo Mobile.

Nel sistema con al centro il punto-Dio la sfera più veloce è la più piccola e la più vicina al
suo centro: è la sfera dei Serafini, che imprimono il moto rotatorio al Primo Mobile (Par.
XXVIII, vv. 64-78).
(Par. XXVIII, vv. 64-78).

Li cerchi corporai sono ampi e arti Le sfere celesti, che sono corpi fisici, sono grandi o
piccole a seconda della maggiore o minore virtù che si
secondo il più e ‘l men de la virtute
estende in ogni loro parte.
che si distende per tutte lor parti.
Un maggior bene produce una maggiore salvezza, e
Maggior bontà vuol far maggior salute; questa è contenuta in un corpo più esteso, se esso è
maggior salute maggior corpo cape, perfetto in ogni suo punto.
s’elli ha le parti igualmente compiute.
Dunque, questo Cielo (il Primo Mobile) che trascina nel
suo moto tutto quanto l'Universo, corrisponde al cerchio
Dunque costui che tutto quanto rape dotato di maggior amore e sapienza (quello più vicino a
l’altro universo seco, corrisponde Dio):
al cerchio che più ama e che più sape:
e allora, se tu ti concentri sulla virtù e non sull'ampiezza
delle sostanze che ti sembrano rotonde (i cerchi
per che, se tu a la virtù circonde fiammeggianti), vedrai come mirabile conseguenza il
la tua misura, non a la parvenza fatto che a maggiore virtù corrisponde maggiore
de le sustanze che t’appaion tonde, vicinanza (e viceversa) tra ogni Cielo e la sua
intelligenza angelica».
tu vederai mirabil consequenza
di maggio a più e di minore a meno,
in ciascun cielo, a süa intelligenza”.
Paradiso XXXIII

Visione di Dio

Critico Battaglia sostiene:

il Paradiso si dispone nella prospettiva delle sfere celesti, occupando l'intero sistema planetario: paesaggi immacolati e senza
limiti, il cui linguaggio è luce e moto, musica e coro, ordine e armonia.

Il Paradiso s'identifica con il firmamento, si converte nell'universo: partecipa dell'infinita presenza di Dio nel cosmo.

E, pertanto, il viaggio di Dante si sviluppa nella successione ascensionale dello zodiaco, dal cielo della Luna fino all'Empireo,
dove fiorisce la candida rosa dei beati.

Qui sono tutte le anime del Paradiso, raccolte nel mistico fiore, in un unico consesso, di cui nei singoli cieli Dante ha
conosciuto le postille, le loro trasparenze individuali.

Ma ora tutte concorrono al trionfo supremo e inesauribile di Dio, che Dante concepisce in un'essenza totale, illimite,
inattingibile.

Forse questa di Dante è la concezione più austera della divinità unica e incommensurabile, universa e inestimabile.

Il poeta l'ha resa nella sua più sgomenta profondità, nel suo mistero insondabile. Il Dio di Dante è la categoria mentale
dell’inconoscibile.

(da Esemplarità e antagonismo nel pensiero di Dante, Napoli, Liguori 1967)


Par., XXXIII, vv. 85-105
Nella sua profondità vidi che è contenuto tutto ciò che è
Nel suo profondo vidi che s’interna 
disperso nell'Universo, rilegato in un volume:
legato con amore in un volume, 
ciò che per l’universo si squaderna:                              87
sostanze, accidenti e il loro legame, quasi unificati insieme,
sustanze e accidenti e lor costume,  in modo tale che ciò che io ne dico è un barlume di verità.
quasi conflati insieme, per tal modo 
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.                          90 Credo di aver visto la forma universale di questo nodo,
perché mentre ne parlo sento accrescere in me la gioia.
La forma universal di questo nodo 
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,  Un attimo solo (quello della visione) è per me oblio
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.                          93 maggiore dei venticinque secoli che ci separano
dall'impresa degli Argonauti, per cui Nettuno si stupì
Un punto solo m’è maggior letargo 
che venticinque secoli a la ‘mpresa*, 
vedendo l'ombra della nave Argo.
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.                       96
Così la mia mente, tutta sospesa, ammirava con lo sguardo
Così la mente mia, tutta sospesa,  fisso, immobile e attento, aumentando via via il desiderio di
mirava fissa, immobile e attenta,  osservare.
e sempre di mirar faceasi accesa.                                99
Di fronte a quella luce si diventa tali che è impossibile voler
A quella luce cotal si diventa,  distogliere il proprio sguardo da essa per guardare
che volgersi da lei per altro aspetto  qualcos'altro;
è impossibil che mai si consenta;                                102

però che ‘l ben, ch’è del volere obietto, 


infatti il bene, che è oggetto della volontà, si raccoglie tutto
tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella  in essa, e al di fuori di essa ciò che lì è perfetto diventa
è defettivo ciò ch’è lì perfetto. difettoso.

* 1263 a.C. impresa di Argo


La parola stella, come ben noto, è la parola che
conclude sempre le tre cantiche:

E quindi uscimmo a riveder le stelle Inf. XXXIV v.139

puro e disposto a salire alle stelle Purg. XXXIII v. 145

l’amor che move il Sole e l’altre stelle Par. XXXIII v.145

https://www.etimo.it/?term=stella
Il termine "stella" è stato oggetto di numerose etimologie e interpretazioni da parte dei linguisti.

Sino agli inizi del XX secolo due erano le etimologie prevalenti: la prima, proposta
dal tedesco Adalbert Kuhn, sosteneva che "stella" derivasse dal latino stella (originariamente sterla),
forma sincopata di sterula, che a sua volta deriverebbe dall'ittita shittar e dal sanscrito सितारा (sitara), la
cui radice sit- è comune col verbo che significa spargere; secondo quest'etimologia "stella"
significherebbe sparsa (per il firmamento).

Altri studiosi a lui contemporanei ritenevano che il termine derivasse invece da un arcaico astella, a
sua volta derivato dal greco ἀστήρ (astér, in latino astrum), che mantiene la radice indoeuropea as-, di
accezione balistica; secondo questa seconda etimologia "stella" significherebbe che scaglia (raggi di
luce).

Attualmente i linguisti propendono per due alternative etimologie.

La prima tende a far derivare il termine da una radice protoindoeuropea, *h ₂stḗr, da una radice *h ₂Hs-
che significherebbe ardere, bruciare; in alternativa, il termine deriverebbe da una
parola sumera o babilonese, riconoscibile anche nel nome della dea Ištar, con cui si indicava il
pianeta Venere.
VENERE: stella

Paradiso, VIII, vv. 1-12


Il mondo antico era solito credere, a suo
rischio, che la dea Venere girando nel III Cielo
Solea creder lo mondo in suo periclo irradiasse l'influsso all'amore sensuale;
che la Bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
per cui i popoli antichi, nell'errore del
perché, non pur a lei, faceano onore paganesimo, non rendevano onore solo a lei
di sacrificio e di votivo grido con sacrifici e voti, ma onoravano anche la
le genti antiche nell’antico errore; madre Dione e il figlio Cupido, e dissero che
quest'ultimo si era seduto in grembo a Didone;
ma Dione onoravano e Cupido,
questa per madre sua, questo per figlio: e da questa divinità di cui parlo prendevano il
e dicean ch’ei sedette in grembo a Dido. nome per indicare il pianeta che il sole
corteggia ora da dietro, ora di fronte.
E da costei, ond’io principio piglio
pigliavan il vocabol della stella,
che il sol vagheggia, or da coppa, or da ciglio.
cioè il pianeta che è corteggiato dal Sole alle sue spalle oppure di
fronte, a seconda che Venere sia mattutino o vespertino.
STELLA come simbolo di lunimosità
BEATRICE
Par., V, vv. 94-99 Qui vidi la mia donna così felice, non appena
Quivi la donna mia vid’io sì lieta, entrò nell'astro di quel Cielo, che il pianeta
come nel lume di quel ciel si mise, stesso divenne più lucente.
che più lucente se ne fé ‘l pianeta.

E se la stella si cambiò e rise,  E se la stella si trasformò e rise, figuriamoci


qual mi fec’io che pur da mia natura come potei fare io che, per la mia natura
mortale, sono soggetto a ogni tipo di
             
trasmutabile son per tutte guise!                       mutamento!
L’uso che Dante fa delle stelle, come afferma Boitani, è astronomico, metafisico,
psicologico, descrittivo ed estetico.

Astronomico perché il suo interesse è dinamico, verso i movimenti degli astri e nella volta
celeste, e perché essi gli servono per indicare date e ore con precisione.

Metafisico, perché le stelle – che già nel Convivio aveva indicato come equivalente della
metafisica – gli tornano utili a descrivere la vera struttura dell’universo.

Psicologico, perché utilizza le immagini sideree per fornire il corrispettivo di suoi stati
d’animo.

Descrittivo, perché impiega le similitudini con le stelle per far comprendere al lettore le
epifanie e i movimenti – soprattutto le danze – degli spiriti beati, di cui quelle sono mere
ombre.

Infine, si apre una considerazione estetica, cioè un godimento della bellezza delle stelle,
chiamate “cose belle” o “bellezze”.

La Commedia, e in particolare il Paradiso, diventa l’opera dell’artista che imita Dio, che riscrive
esteticamente bella la sua creazione in una nuova creazione.
La costellazione dell’Ariete

La prima costellazione che Dante chiama in causa, precisamente


nel I canto dell’Inferno, nei vv. 37-39, è quella dell’Ariete:

Temp’era dal principio del mattino,


e il sol montava ’n sù con quelle stelle,
ch’eran con lui quando l’Amor divino

mosse di prima quelle cose belle;


Le stelle per sbalordire
Nel canto XXVI dell’Inferno, il canto di Ulisse, il mitico eroe nel suo ultimo viaggio, è presente l’immagine di “tutte le stelle”
dell’emisfero sud:

Le stelle viste da Ulisse sono presenti ai vv. 127-135

Tutte le stelle già dell’altro polo


vedea la notte, e il nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.

Cinque volte racceso e tante casso


lo lume era di sotto da la Luna,
poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo,

quando n’apparve una montagna, bruna


per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
Orse
Orsa Maggiore: Purg., I, 28-30, Purg. IV 58-84; Purg., XXX, vv. 1-6, Par., II, vv. 1-
9; Par., XIII, 7-9; Par., XIII, vv. 10-15; Par., XXXI, vv. 31-33

O voi lettori che siete in una piccola


O voi che siete in piccioletta barca, barca (avete scarse nozioni di dottrina),
desiderosi d'ascoltar, seguiti desiderosi di ascoltare, che seguite
dietro al mio legno che cantando varca, dietro la mia nave che cantando solca il
mare, tornate alle coste da cui siete
tornate a riveder li vostri liti: partiti: non vi inoltrate in mare aperto,
non vi mettete in pelago, ché forse, poiché forse, perdendo la mia scia, vi
perdendo me, rimarreste smarriti. perdereste.

L'acqua ch'io prendo già mai non si corse; L'acqua che io percorro non fu mai
Minerva spira, e conducemi Appollo, attraversata da nessuno; Minerva soffia
e nove Muse mi dimostran l'Orse. i venti, e Apollo regge il timone, e le
nove Muse mi indicano la giusta rotta.
Nei vv. 31-42 del canto XXXI è contenuta l’ultima perifrasi astronomica del
poema:

Se i barbari, venendo da tal plaga


che ciascun giorno d’Elice si cuopra,
rotante col suo figlio ond’ella è vaga,

veggendo Roma e l’ardua sua opra,


stupefaciensi, quando Laterano
a le cose nortali andò di sopra;

io, che al divino da l’umano,


all’etterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano,

di che stupor dovea esser compiuto!


Certo tra esso e il gaudio mi facea
libito non udire e starmi muto.
I vv. 31-33 alludono all'Orsa Maggiore (Elice), che nei cieli del Nord Europa da dove provenivano i barbari non
tramonta mai, ruotando sempre con quella di Boote che essa vagheggia. Nel mito classico Elice (detta anche Callisto)
era una ninfa sedotta da Giove, che dopo aver dato alla luce il figlio Arcade venne cacciata dalla dea Diana di cui era al
seguito; Giunone la tramutò in un'orsa per gelosia e Giove la tramutò nella costellazione dell'Orsa Maggiore, accanto a
quella di Boote in cui venne trasformato anche il figlio (cfr. Purg., XXV, 130-132).
Stella cadente Par., XV, 13-24: cielo di Marte

Quale per li seren tranquilli e puri 


discorre ad ora ad or sùbito foco, 
movendo li occhi che stavan sicuri,                               15 Come nei cieli tersi e puri all'improvviso passa una stella
cadente, attirando lo sguardo che prima era tranquillo, e
e pare stella che tramuti loco,  sembra una stella che si sposti, salvo che nel punto in cui
se non che da la parte ond’e’ s’accende  essa si accende non sparisce nessun astro e il fenomeno è
nulla sen perde, ed esso dura poco:                             18 di breve durata:

tale dal corno che ‘n destro si stende  così, dal braccio destro della croce fino alla parte
a piè di quella croce corse un astro  inferiore, si mosse una delle luci che costellavano quella
de la costellazion che lì resplende;                                21 figura;

né si partì la gemma dal suo nastro, 


ma per la lista radial trascorse, 
che parve foco dietro ad alabastro.
La Luna

è presente nell’Inferno, nonostante l’attenzione di Dante sia riposta nel sorgere del Sole e sul segno zodiacale ad
esso congiunto. Nel canto XX ai vv. 124-129 dell’Inferno, Virgilio, rivolgendosi al suo discepolo, gli dice:

Ma vienne omai, chè già tiene ‘l confine


d’amendue li emisperi e tocca l’onda
sotto Sobilia Caino e le spine;

e già ier notte fu la Luna tonda:


ben ten de’ ricordar, chè non ti nocque
alcuna volta per la selva fonda.

Nella concezione dantesca la Luna è incastonata nel primo cielo, mentre il Sole nel quarto, entrambe stelle per il
poeta, che hanno molto a che fare con una simbologia: la Luna è identificata con Proserpina, regina dell’Ade, o con
Diana, sorella di Febo, per cui gli antichi la chiamavano la triforme Ecate; spesso nell’Inferno Dante la ricorda come “la
faccia della donna che governa il regno infernale” (ad esempio nel canto X, vv. 79-81, quando Farinata profetizza a
Dante l’esilio dicendo ma non cinquanta volte fia raccesa/la faccia della donna che qui regge/che tu saprai quanto
quell’arte pesa, alludendo all’esilio che gli capiterà prima che passino cinquanta mesi, cioè nel giugno 1304).
Il Sole, invece, è identificato con Dio stesso, creatore e Signore dell’Universo, ma anche con Cristo, come è
evidente nel canto XXIII, vv. 28-30 del Paradiso, quando è descritto il suo trionfo (vid’io sopra migliaia di lucerne/un sol
che tutte quante l’accendea,/come fa il nostro le viste superne).
Non v’è dubbio che Dante prediliga l’aspetto simbolico degli astri, anche se talvolta si cimenta in questioni
fenomeniche naturalistiche, come quando affronta il problema delle macchie lunari nel canto II del Paradiso, slittando
come sua consuetudine, di continuo dal campo fisico e scientifico a quello metafisico, dove egli trova sempre le
spiegazioni di tutto.
Il primo cielo della Luna nel Paradiso

In questo primo cielo, Dante affronta insieme a Beatrice il problema delle macchie lunari (Canto II, vv. 31-
33), confutando quanto aveva affermato nel Convivio (III, 7), e cioè che si spiegavano con la diversa densità
della materia che favoriva o impediva il filtrare dei raggi solari.

Attraverso l’esempio dell’eclissi di Sole Beatrice porterà Dante a modificare idea e sposare la sua spiegazione
secondo cui le macchie non sono dovute alla diversa densità, bensì alla diversa virtù che proveniva dalle
stelle.

In altre parole, il Primo Mobile conferisce l’esistenza a tutte le cose create, mentre l’essenza di ciascuna di
esse dipende dall’ottavo cielo (delle stelle fisse), che la distribuisce ai cieli inferiori.

Il poeta vuole così mostrare la sua graduale crescita, il superamento dei suoi limiti razionali e, di
conseguenza, l’infondatezza delle sue precedenti convinzioni scientifiche, costruite unicamente sulla ragione
e sulla filosofia, messe ora in crisi dalla verità teologica.
Paradiso, II, 46-51; 58-61;

Io rispuosi: «Madonna, sì devoto  Io risposi: «Mia signora, tanto devoto quanto non si
com’esser posso più, ringrazio lui  può essere di più, io ringrazio Dio che mi ha separato
dal  mondo
lo qual dal mortal mondo m’ha remoto.                     mortale.

Ma ditemi: che son li segni bui  Ma ditemi: che cosa sono i segni oscuri (le macchie
di questo corpo, che là giuso in terra  lunari) di questa stella, che laggiù in Terra inducono
fan di Cain favoleggiare altrui?» alcuni a favoleggiare di Caino?»

Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».  Ma dimmi la tua opinione in merito». E io: «Credo che
le differenze di luminosità degli astri siano causate
E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso 
dalla differente densità del corpo stellare».
credo che fanno i corpi rari e densi».                           
PARADISO, II
La spera ottava vi dimostra molti 
Da questa instanza può deliberarti 
lumi, li quali e nel quale e nel quanto 
esperienza, se già mai la provi, 
notar si posson di diversi volti.       66                                 Riguarda bene omai sì com’io vado 
ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’arti.    96
per questo loco al vero che disiri, 
Se raro e denso ciò facesser tanto,  sì che poi sappi sol tener lo guado.   126
Tre specchi prenderai; e i due rimovi 
una sola virtù sarebbe in tutti, 
da te d’un modo, e l’altro, più rimosso, 
più e men distributa e altrettanto.  Lo moto e la virtù d’i santi giri, 
tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.                      
          come dal fabbro l’arte del martello, 
Virtù diverse esser convegnon frutti  da’ beati motor convien che spiri;                               
di princìpi formali, e quei, for ch’uno, 
Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso 
seguiterìeno a tua ragion distrutti.         e ‘l ciel cui tanti lumi fanno bello, 
ti stea un lume che i tre specchi accenda 
e torni a te da tutti ripercosso.                                     de
  la mente profonda che lui volve 
Ancor, se raro fosse di quel bruno  prende l’image e fassene suggello.                         
cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte 
Ben che nel quanto tanto non si stenda 
fora di sua materia sì digiuno        E come l’alma dentro a vostra polve 
la vista più lontana, lì vedrai 
come convien ch’igualmente risplenda.                      per differenti membra e conformate 
esto pianeto, o, sì come comparte  a diverse potenze si risolve,                                         
lo grasso e ‘l magro un corpo, così questo 
Or, come ai colpi de li caldi rai 
nel suo volume cangerebbe carte.    così l’intelligenza sua bontate 
de la neve riman nudo il suggetto 
e dal colore e dal freddo primai,                                 multiplicata per le stelle spiega, 
Se ‘l primo fosse, fora manifesto  girando sé sovra sua unitate.                                      
ne l’eclissi del sol per trasparere 
così rimaso te ne l’intelletto 
lo lume come in altro raro ingesto.      Virtù diversa fa diversa lega 
voglio informar di luce sì vivace, 
che ti tremolerà nel suo aspetto.                                  col prezioso corpo ch’ella avviva, 
Questo non è: però è da vedere  nel qual, sì come vita in voi, si lega.                             
de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi, 
Dentro dal ciel de la divina pace 
falsificato fia lo tuo parere.                Per la natura lieta onde deriva, 
si gira un corpo ne la cui virtute 
l’esser di tutto suo contento giace.                              la virtù mista per lo corpo luce 
S’elli è che questo raro non trapassi,  come letizia per pupilla viva.                                         
esser conviene un termine da onde 
Lo ciel seguente, c’ha tante vedute, 
lo suo contrario più passar non lassi; Da essa vien ciò che da luce a luce 
quell’esser parte per diverse essenze, 
da lui distratte e da lui contenute.                                par differente, non da denso e raro; 
e indi l’altrui raggio si rifonde  essa è formal principio che produce, 
così come color torna per vetro 
Li altri giron per varie differenze 
lo qual di retro a sé piombo nasconde.  conforme a sua bontà, lo turbo e ‘l chiaro».               
le distinzion che dentro da sé hanno 
dispongono a lor fini e lor semenze.                         
Or dirai tu ch’el si dimostra tetro 
ivi lo raggio più che in altre parti, 
Questi organi del mondo così vanno, 
per esser lì refratto più a retro.   
come tu vedi omai, di grado in grado, 
che di sù prendono e di sotto fanno.                           
Il settimo cielo di Saturno e la Costellazione del Leone
L’arrivo nel cielo di Saturno è sottolineato con enfasi. Beatrice informa Dante e il lettore:

«Noi sem levati al settimo splendore,


che sotto ’l petto del Leone ardente
raggia mo misto giù del suo valore». (XXI, vv. 13-15)

Con questa precisazione, cioè con l’associazione del freddo Saturno con il caldo Leone, Dante forse vuole segnalare
preliminarmente che il cielo di Saturno, con la sua influenza fredda e il suo movimento lento che predispone ad esercitare la vita
contemplativa, agisce qui insieme all’infuocato Leone, insomma che gli spiriti incontrati e celebrati in questo cielo uniscono la
tendenza ascetica e contemplativa saturnina all’ardente zelo apostolico del Leone.

E poco sotto Dante narratore indicherà il cielo con una perifrasi significativa:

Dentro al cristallo che ’l vocabol porta,


cerchiando il mondo, del caro suo duce
sotto cui giacque ogne malizia morta […]. (vv. 25-27).

(Dentro il Cielo che, ruotando intorno alla Terra, porta il nome (Saturno) del dio sotto il quale ogni malizia fu stroncata (durante
l'età dell'oro), io vidi una scala dorata e scintillante dei raggi del Sole che saliva verso l'alto, tanto che non ne potevo vedere la
fine)

L’allusione è al regno di Saturno, all’età dell’oro, come a un’epoca di innocenza e purezza originaria.

È un mito molto caro a Dante, che lo cita in molte occasioni. Qui prefigura la purezza e l’innocenza recuperata attraverso le
pratiche ascetiche e gli esercizi contemplativi nella vita eremitica, che sarà celebrata proprio attraverso il personaggio di san Pier
Damiano
LA FINE DEL VIAGGIO e LA VISIONE DI DIO

Dante, il sommo poeta della razionalità e della logicità, il poeta che ha cercato con tutto se stesso di dare una spiegazione razionale
al sovrasensibile, al sovrumano, al mistero divino e dell’universo, qui sta per terminare il suo itinerario. Il viaggio si è compiuto,
l’infinito è stato raggiunto, non rimane che l’indefinito per esprimere’inesprimibile.

La parola non vale più, le stelle, la realtà astronomica, la realtà spazio temporale, sono state attraversate interamente, la fisicità si è
fusa con la metafisica, come mai nessuna forma di scrittura, per di più poetica, abbia saputo rappresentare .

Il pellegrino vorrebbe ancora comprendere dove e come l’immagine umana si adatti al cerchio e si fonda con il divino, ma non è in
grado di farlo, così come lo studioso di geometria vorrebbe trovare il principio della quadratura del cerchio ma non può e allora si
affida alla folgorazione e al silenzio (vv. 133-145):

Qual è ‘l geometra che tutto s’affige


per misurar lo cerchio, e non ritrova, Come lo studioso di geometria, che si ingegna con tutte le sue forze per
pensando, quel principio ond’elli indige misurare la circonferenza e non trova, pensando, quell'elemento di cui manca,
così ero io davanti a quella visione straordinaria:
tal era io a quella vista nova: volevo capire come l'immagine umana si inscrivesse nel cerchio e in che modo
veder volea come si convenne si collocasse al suo interno;
l’imago al cerchio e come vi s’indova;

ma non eran da ciò le proprie penne: ma le mie ali non erano adatte a un volo simile (non ne avevo le capacità):
se non che la mia mente fu percossa senonché la mia mente fu colpita da una folgorazione, grazie alla quale poté
da una fulgore in che sua voglia venne. soddisfare il suo desiderio.
A l’alta fantasia qui mancò possa; Alla mia alta immaginazione qui mancarono le forze; ma ormai l'amore divino,
ma già volgea il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa
che muove il Sole e le altre stelle, volgeva il mio desiderio e la mia volontà,
come una ruota che è mossa in modo uniforme e regolare (Dio aveva appagato
l’amor che move il Sole e l’altre stelle. ogni mio intimo desiderio).

Il firmamento di Dante qui si conferma il firmamento dell’Amore, principio di vita e di


movimento, che in sé riassume il significato dell’esistenza di tutte le cose.
“… ...Infine, vorrei chiudere con un elogio al mondo medievale e a quello di Dante.

Era un mondo che si trovava di fronte a un problema che noi moderni abbiamo eliminato.
Gli uomini di allora si vedevano costretti a conciliare un’immagine scientifica del mondo,
quella greca, pagana e materialista, con un’esigenza assoluta, che derivava dalla certezza
della Rivelazione. Per l’uomo medievale esistevano tanto la Ragione quanto la
Rivelazione, tanto il mondo dei sensi quanto Dio. Esisteva tanto la parte del mondo
centrato sulla Terra quanto quella centrata su Dio, tanto il visibile quanto l’invisibile. Non
era facile conciliare questi mondi, ma si viveva fino in fondo in questa tensione, e parte
della straordinaria fertilità della cultura medievale deriva proprio dal fatto che gli uomini di
quell’epoca sono riusciti a vivere con questa tensione a un’altezza intellettuale che a noi,
che abbiamo optato solo per la metà sinistra dell’immagine, sfugge quasi del tutto. Noi
abbiamo scartato quasi completamente la metà destra del mondo, ed è per questo motivo
che siamo capaci solo della creatività nel visibile e quasi completamente privi della
creatività dell’invisibile. Viviamo come amputati. Stiamo in guardia! Da quando viviamo
solo nel visibile, gli occhi di Beatrice si sono chiusi. A quali occhi potremo ormai ancorare
il nostro sguardo? A che sguardo potremo mai aggrapparci? … …“

Dal libro: Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero il mondo di Dante di Horia-Roman
Patapievici
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C. Rovelli, La realtà non è come ci appare , Cortina ed. 2014
C. Rovelli, Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza, Solferino 2018
V. Sermonti, L’ombra di Dante, Garzanti 2017
A. M.Vanalesti, Il firmamento di Dante, Società editrice Dante Alighieri, 2019
 Catalogo della mostra (a cura di Euresis) Sulle spalle dei giganti. Luoghi e maestri della scienza nel Medioevo europeo, Milano 2005:
http://www.meetingmostre.com/default.asp?id=344&id_r=8&id_n=27979
CIELI SERENI

GRAZIE
per L’ATTENZIONE e per la
PAZIENZA

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