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DANTE e L’ASTRONOMIA
Ravenna 1318-1321
Inf. V, 97-99
- Dante? Perché?
Ci sono molti motivi per cui la Commedia non risponde alla nostra
condizione socioculturale
Eppure…
Dantedì: 25 marzo
Tradotto in
Europa, Stati Uniti, Giappone, Africa
Statua in bronzo di Dante
Libreria cinese a Ningbo
Dante perché?
Ogni 4 giugno
FARO da cui parte una fascio di luce che si allinea con le
stelle della Croce del Sud
La probabile Croce del Sud nei versi iniziali del Purgatorio
Dopo la visione di Venere e dei Pesci, Dante vede quattro stelle, come si legge in questi versi (canto I vv. 22-33):
https://edu.inaf.it/costellazioni/croce-del-sud/
Purg., VIII, vv. 85-93
I miei occhi avidi andavano continuamente
al cielo, là dove le stelle ruotano più lente
Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo, (al polo), come fa una ruota più vicino al
pur là dove le stelle son più tarde, suo asse.
sì come rota più presso a lo stelo. 87
E il mio maestro: «Figliolo, cosa guardi
E ‘l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
lassù?» E io: «Quelle tre stelle che
E io a lui: «A quelle tre facelle illuminano col loro splendore tutto il cielo
di che ‘l polo di qua tutto quanto arde». 90 australe».
• Attraverso la scientia
Tolomeo, tradotto da Gerardo di Cremona nel 1175, è presente nel Canto IV dell’Inferno vv. 141-144
L’amore per la vita si traduce nell’attenzione, nella pietas creaturale per ogni aspetto del
mondo intorno a noi, che Dante descrive con la sua straordinaria capacità di osservatore
pronto a cogliere, anche nei dettagli, la mirabile poesia della natura.
Il mondo, che gli si rivela come creazione divina per il tramite della natura, si regge su un
equilibrio di cui l’uomo è parte integrante perché «le cose tutte quante / hanno ordine tra
loro» (Par., I, vv. 103-104).
E questo, che il poeta presenta come un miracolo dello spirito e della materia
perfettamente concordi, ci può persino far riflettere su quello che oggi chiamiamo
equilibrio ambientale perché postula sempre un rapporto di responsabilità, un nesso tra
azione umana e vita delle cose: cosicché siamo esposti al rischio che siano propri i nostri
comportamenti dissennati a desertificare l’ambiente intorno a noi e, per la nostra colpevole
noncuranza, subentri «la muffa dov’era la gromma» (Par., XII, v. 114), esattamente come
avviene alla botte asciutta e insterilita, che non può più produrre vino buono.
Obiettivi del progetto cosmologico di Dante
(M. Pivato, Noverar le stelle. Che cosa hanno in comune scienziati e poeti, Donzelli editore, Roma 205, p. 7).
CHE COS’È LA POESIA?
Dante fu anche uomo di scienza e la sua Commedia non fu solo un’opera di poesia, ma costituì la
summa delle “conoscenze” del tempo, una sorta di “enciclopedia” di tutto il sapere e sintesi
culturale del Medioevo.
Attraverso continue elaborazioni, il sapere di Dante mescolava la Teologia, la Filosofia, la Fisica
Aristotelica e l’Astrologia, il tutto presentato in forma simbolica e allegorica, quella del “parlar
velato”, del nascondere “sotto il velame de li versi strani” i veri significati.
Il legame di Dante con l’astronomia è presente nelle sue maggiori Opere.
Nel Convivio, II, 13 afferma: «E questa (l’astronomia) più che alcune delle sopradette (scienze)
è nobile e alta per nobile subietto, che è de lo movimento del cielo, e alta e nobile per la sua
certezza, la quale è senza difetto, sì come quella che da perfettissimo e regolarissimo principio
viene. E se difetto in lei si crede per alcuno, non è da la sua parte, ma, sì come dice Tolomeo, è
per la negligenza nostra, e a quella si dee imputare».
Secondo Dante, dunque, l’astronomia è una scienza perfetta e se la si ritiene ostica o si trovano in
essa imperfezioni, la causa è da ricercarsi nella nostra negligenza.
VALORE DELLA CONOSCENZA
e cominciò:
Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar,
sì che non vedi ciò che vedresti se l’avessi scosso.
Ulisse
E per il sommo poeta l'indagine del mondo, come scrive egli stesso nel
Convivio, inizia sempre dallo stupore e dalla meraviglia di un osservatore:
“Lo stupore è uno stordimento dell'animo per grandi e meravigliose cose vedere
o udire o per alcuno modo sentire: che, in quanto paiono grandi, fanno
reverente a sé quelli che le sente; in quanto paiono mirabili fanno voglioso di
sapere di quelle.” (Convivio IV, XXV, 5).
Le sue conoscenze di astronomia derivano dalla lettura
delle opere di antichi autori e l’astronomia della
Commedia è basata sul sistema tolemaico, con la
Terra immobile al centro dell’Universo, intorno alla
quale ruotano Sole e Luna e, mediante cicli ed epicicli,
i cinque pianeti all’epoca conosciuti.
Dante usa l’astronomia nel suo poema per definire il tempo in cui si è svolto il suo
viaggio.
1300 o 1301?
25 marzo o 7/aprile?
Inf., XX, vv. 127-129
25 marzo 1301: luna piena: prossima all’Equatore celeste perché l’equinozio era trascorso da poco
È necessario ricorrere all'indicazione di Inf., XXI 112-114, ove il gran diavolo Malacoda,
autentico monarca di Malebolge, regno della Frode (!), riferendosi agli effetti sul sito
infernale del terremoto che segnalò la contemporanea morte del Redentore, afferma che:
passo in cui è bene evidente l'altra grande tradizione medievale che voleva il Cristo spirato
all'età di 34 anni dall'Incarnazione (1266 + 34 = 1300, computo ab incarnatione anziché a
nativitate).
La medesima convinzione popolare fissava il giorno della morte al 25 di Marzo, data in cui
in Firenze si soleva perciò celebrare la ricorrenza dell'Annunciazione e l'inizio del nuovo
anno.
Simili indizi, aggiunti all'Equinozio di Primavera - anniversario della creazione del Mondo -
rendono certamente appieno l'idea di quella Nuova Età che Dante tanto auspicava e che la
Commedia doveva andare quantomeno a presagire.
Esiste, però, una differente tesi, sostenuta da
commentatori pure autorevoli, che fissa il giorno
del Viaggio al Venerdì Santo, la quale data
rappresentava sì, ancora, l'anniversario della
morte del Cristo, ma per tutto l'universo
cristiano, non per la sola città di Firenze.
Ciò è possibile ammettendo che la ricorrenza della Risurrezione di nostro Signore nel 1300 (giorno della
Santa Pasqua, 10 di Aprile) corrisponda, nella finzione del poema, alla rinascita dell'Uomo nel trionfo
supremo della visione finale di Dio: è questo un risultato significativo, l'unico legato alla durata del
Viaggio nell'ambito di una irrinunciabile prospettiva teologica, che Dante difficilmente può avere
trascurato.
Stimata dunque la permanenza del Pellegrino nell'oltretomba - come comunemente accolto - in poco più
di sei giorni, risulta evidente che perché alla fine del poema ci si trovi alla data del 10 di Aprile la fuga
dalla selva deve aver avuto luogo con precisione il mattino del giorno 4 dello stesso mese.
Conferma: Inf., XXI, vv. 112-114
1266+34=1300
Malacorda parla alle 7 del mattino del sabato santo del 1300
88 citazioni astronomiche?
UAI: 88 costellazioni
INFERNO PURGATORIO PARADISO
XXVI, vv. 127-135 IV, vv. 67-75, vv. 119-120 V, VV. 100-105
TUTTE LE STELLE DELL’EMISFERO AUSTRALE XXVII, vv. 67-69 PIANETA MERCURIO
XV, vv. 7-9 VIII, vv. 1-12
XIX, vv. 37-39 PIANETA VENERE
PIANETASOLE X, vv. 7-18, 28-36
II, vv. 13-18 XIII, vv. 133-135
PIANETA MARTE PIANETA SOLE
I, vv. 13-21 XVIII, vv. 115-117
PIANETA VENERE PIANETA GIOVE
XXI, vv. 12-15
PIANETA SATURNO
IV e XXX: EMPIREO
XXII: Stelle fisse
XXVII: Primo mobile
XXXIII
XX, vv. 124-129 XVIII, vv. 76-81 II, vv. 31-32, 49-51, 67-69, 112-148
LUNA LUNA XXII, vv. 133-154, XXIII, vv. 25-28
LUNA
vv. 106-108 I, vv. 19-21 XVI, vv. 37-38; Par., XXI, vv. 13-15
VIA LATTEA COSTELLAZIONE DEI PESCI COSTELLAZIONE LEONE
II, vv. 1-9 XXII, vv. 112-123
COSTELLAZIONE DELLA BILANCIA COSTELLAZIONE GEMELLI
II, vv. 55-57; XXIV, vv. 100-102
COSTELLAZIONE DEL CAPRICORNO COSTELLAZIONE DEL CANCRO
IX, vv.1-9 XXVII, vv. 67-72
COSTELLAZIONE DELLO SCORPIONE COSTELLAZIONE DEL CAPRICORNO
XVIII, vv. 76-81 XXVIII, vv. 116-117
COSTELLAZIONE DEL SAGITTARIO COSTELLAZIONE DELL’ARIETE
XXV, vv. 1-3 XXXIII, v. 1-6
COSTELLAZIONE DEL TORO COSTELLAZIONE DELLA VERGINE
INFERNO PURGATORIO PARADISO
XXI, vv. 50-51; XXIX vv. 77-78; XXV, vv. 91-93; XXVIII, v. 32; XII,v.12; XXXIII, v. 118.
ARCOBALENO ARCOBALENO
I, vv. 22-33 II. 1-9: XIII, 7-9; XIII, vv. 10-15; XXXI, vv. 31-33
CROCE DEL SUD (?) ORSA MAGGIORE/Carro/ORSE
I, vv. 28-30, 37-39 XIII, vv. 1-24
GRANDE CARRO, ORSA MAGGIORE CORONA BOREALIS
XXX, vv. 1-6, VIII, vv. 85-93 VIII XIV, vv. 96-108
Tre facelle VIA LATTEA
XV, vv. 13-24
CROCE
XXIV, vv. 1-9
COMETE
Vademecum in chiave astronomica per la Commedia
SPAZIO: Inferno: da Gerusalemme al centro della Terra (emisfero boreale), Purgatorio (montagna nell’emisfero australe, lat.
32°S/long. 145° W nell’Oceano Pacifico a Sud-Ovest della Polinesia francese), Paradiso (cielo)
1300/1301
(le indicazioni di Dante sono riferibili astronomicamente al 1301 (cfr TAVOLE delle EFFEMERIDI
ASTRONOMICHE, come le “Tavole alfonsine”)
- Equinozio di PRIMAVERA
SOLE / LUCE
STELLE CADENTI
ARCOBALENO
Purg., XXI, vv. 50-51; Purg., XXIX vv. 77-78; Purg., XXV, vv. 91-93;
MITI
ASTRONOMIA SFERICA DANTESCA
Fatto avea di là mane e di qua sera Quel punto aveva fatto pieno giorno in
tal foce, e quasi tutto era là bianco Purgatorio e notte sulla Terra, e un
quello emisperio, e l’altra parte nera, emisfero era tutto bianco e l'altro nero,
quando vidi Beatrice voltata a sinistra e
intenta a fissare il sole: un'aquila non lo
quando Beatrice in sul sinistro fianco
fissò mai in tal modo.
vidi rivolta e riguardar nel sole:
aguglia sì non li s’affisse unquanco.
LUCE
- Arcobaleno: Purg., XXV 91-93
Equatore celeste: Par., XXII, vv. 133-135, Par., XXII, vv. 139-150
Luna: Inf., XX, vv. 124-129; Par., II, vv. 40-105
Mercurio: Par., V, vv.127-129; Par., XXII, vv. 142-144
Venere: Par. VIII, vv. 1-3; Purg., I, vv. 19-21
Sole: Par., X, vv. 28-33
Marte: Purg., II, vv. 13-15; Par., XIV, vv. 82-87, 100-102; XVI, vv. 34-39
Giove: Par. XXII, v. 139; XXVII, vv. 13-15
Saturno: Par., XXI, vv. 13-15; Purg., XIX, vv. 1-3
TERRA: Par., XXII, 151-153 (Gemelli: ottava sfera); Par. XXVII, vv. 76-87)
Fonti di studio
• NASCITA
• SVILUPPI
• CONFRONTO
QUALE ASTRONOMIA SI STUDIAVA?
• L’evoluzione e i postulati riprendono l’astronomia antica:
Figura della “sphera substantiale», illustrazione da una traduzione del trattato di Giovanni
Sacrobosco (1230), Sphera volgare novamente tradotta, sottotitolo: con molte notande additioni
di geometria, cosmographia, arte navicatoria, et stereometria, proportioni, et qvantita delli
elementi, distanze, grandeze, et movimenti di tutti li corpi celesti, cose certamente rade et
maravigliose, ad opera di «Mauro fiorentino Phonasco et Philopanareto», stampato a Venezia, per
Bartholomeo Zanetti, «anno salutis nostre M. D. XXXVII. mense Ottobri, &c.», ottobre 1537.
2)APOLLONIO E IPPARCO (III-II sec. a.C.)
↓
TOLOMEO (II sec. d.C.)
TEORIA DEGLI EPICICLI E DEI DEFERENTI (eccentrici, equanti)
(teoria matematico-strumentale, quantitativa)
Astronomia e Monasteri
Marziano Capella
Macrobio
Padri della Chiesa che affermavano che la cultura pagana era un nemico da vincere;
le sacre scritture e la loro esegesi contenevano tutte le informazioni necessarie per
raggiungere la salvezza (Aurelio Agostino d’Ippona (sant’Agostino), Lattanzio)
Severino Boezio
Cassiodoro
Beda il Venerabile
.
BASSO MEDIOEVO:
TOLEDO/PALERMO
•Brunetto Latini (1220 – 1295), una mente enciclopedica, autore del Tresor
•Almagesto di Tolomeo (forse veicolato dalla sintesi contenuta nel Liber de aggregationibus scientiae stellarum
dell’astronomo persiano Alfragano, un manuale che circolava molto a quel tempo) e gli scritti aristotelici, Fisica,
Metafisica e De Caelo, commentati dagli scienziati arabi Avicenna e Averroè e dai teologi cristiani Alberto Magno e
Tommaso d’Aquino
Molti di questi maestri vengono omaggiati da Dante nel Cielo del Sole, tra cui Alberto
Magno, Tommaso d'Aquino, Severino Boezio, Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile,
Riccardo di San Vittore:
Alla via Lattea si riferiscono usando questo nome anche Eratostene ("il circolo della Galassia"), ed altri autori greci, mentre per Ipparco è
semplicemente "Galassia". Presso molti altri popoli essa era nota come "il fiume celeste".
Galaxure, l'amabile creatura di un inno omerico, era probabilmente una personificazione di questa massa di stelle e forse ad essa è correlata
anche Galatea, figlia di Oceano, la ninfa "bianca come il latte" dell'Iliade.
A Roma era conosciuta come "ghirlanda celeste" ("coeli cingulum") e Plinio la definisce "Circolo Latteo", ma fra i Romani sembra
predominare l'idea della "via celeste" ("Via coeli regia", "Via lactea").
La Via Lattea appare come una lunga striscia bianca che si snoda fra i due poli celesti. Nell'ambito di questa striscia sono, tuttavia,
individuabili numerose stelle, più o meno luminose.
Nel mondo medievale circolavano diverse teorie sulla natura e la formazione della Via Lattea, che Dante raccoglie e discute nel Convivio
(Cv. II , XIV, 5-8).
Egli sostiene che Anassagora pensava che essa riflettesse la luce del sole, opinione condivisa da Aristotele, Democrito, ed anche dal tardo
Avicenna.
Il poeta inoltre attribuisce ad Aristotele un'altra teoria, secondo la quale la Galassia si sarebbe formata con il raccogliersi di vapori attorno
alle stelle di quella parte del cielo.
Quando Epafo mise in dubbio che era figlio di un dio, Fetonte ricorse prima alla madre, per avere una smentita della maligna insinuazione,
e poi ottenne da Apollo il permesso di guidare per una volta il carro del sole nel cielo, quasi a conferma del suo amore paterno. A causa
della sua inesperienza, però, Fetonte non riuscì a trattenere la foga dei cavalli e, uscendo dal cammino consueto, rischiò di incendiare la
terra e provocò una bruciatura nel cielo, che nella Via Lattea mostra ancora la cicatrice.
Nel mondo medievale circolavano diverse teorie sulla natura e la formazione della Via
Lattea, che Dante raccoglie e discute nel Convivio Capitolo II, XIV , 5-8:
Appresso le comparazioni fatte de li sette primi cieli, è da procedere a li altri, che sono
tre, come più volte s'è narrato. Dico che lo Cielo stellato si puote comparare a la Fisica
per tre proprietadi, e a la Metafisica per altre tre: ch 'ello ci mostra di sé due visibili
cose, sì come le molte stelle, e sì come la Galassia, cioè quello bianco cerchio che lo
vulgo chiama la Via di Sa' Iacopo; e mostraci l'uno de li poli, e l'altro tiene ascoso; e
mostraci uno suo movimento da oriente ad occidente, e un altro, ch e fa da occidente ad
oriente, qua si ci tiene ascoso. Per che per ordine è da vedere prima la comparazione
de la Fisica, e poi quella de la Metafisica.
San Giacomo maggiore : legato a Santiago di Compostela, sede delle spoglie mortali
di Giacomo il Maggiore, apostolo di Gesù
(GALIZIA=Galassia)
Corona borealis
Un’altra virtuale perifrasi astronomica, che aggiunge ulteriori dettagli
alla rappresentazione del cielo del Sole, è inserita nel canto XIII ai vv.
1-24:
CIELO:
•Spazio abitato da uccelli con aria
•Firmamento
•Luogo dove risiede DIO
LA RAPPRESENZAZIONE DI DIO
Nell’attraversare l’Inferno e il Purgatorio, Dante incontra le anime che si trovano nel luogo che è
stato destinato loro dalla giustizia divina. Le anime dell’Inferno resteranno lì per l’eternità, quelle del
Purgatorio invece per un periodo di tempo più o meno lungo.
Anche nel Paradiso si ha l’illusione che accada qualcosa di simile, ma in realtà la situazione è
totalmente diversa.
Il vero Paradiso, cioè il luogo dove stanno realmente i beati, gli angeli e Dio è nell’Empireo, il decimo
cielo.
E l’Empireo è una realtà di luce non corporea ma spirituale, non sensibile ma intellettuale.
Ma essendo un uomo, Dante può conoscere solo a partire dall’esperienza sensibile, e potrà vedere la
realtà del Paradiso solo dopo un itinerario di progressivo accrescimento delle facoltà percettive.
Dapprima essa gli è presentata in forma mediata, attraverso immagini: i beati, che soggiornano
sempre nell’Empireo, si manifestano nel cielo che ne ha maggiormente influenzato la vita terrena,
«per far segno» della loro condizione spirituale e venire incontro alle facoltà di Dante. In questo modo
anche l’ascesa paradisiaca può essere raccontata come un viaggio suddiviso in diverse tappe, di cielo
in cielo, interrotto da incontri e dialoghi con le anime.
Dante è trasportato da un cielo all’altro con moto istantaneo in un’ascesa che
passa attraverso i cieli astronomici della cosmologia medievale: prima i cieli
dei sette pianeti, poi gli ultimi tre: quello delle Stelle fisse, il Primo Mobile o
Cielo cristallino e infine l’Empireo, sede autentica del Paradiso e della divinità.
I cieli dei sette pianeti si distinguono in due gruppi: nei primi tre giunge la
punta del cono d’ombra proiettato dalla Terra, dunque Dante vi incontra beati
che hanno operato il bene ma come attraverso il velo di un’ombra terrena. Nei
quattro cieli successivi si trovano i beati che hanno rivolto le loro opere a Dio:
essi presentano a Dante quattro tipi di santità e la suprema realizzazione
cristiana delle quattro virtù cardinali: gli spiriti sapienti nel cielo del Sole
(prudenza), i combattenti per la fede nel cielo di Marte (fortezza), gli spiriti
giusti nel cielo di Giove (giustizia), i contemplanti nel cielo di Saturno
(temperanza). L’attraversamento di questi quattro cieli, centrali della struttura
cosmologica, in quanto sono preceduti e seguiti da tre cieli, occupa anche la
parte centrale della terza cantica, che va dal X al XXII canto.
Par., Canto XXII, vv. 133-154
Col viso ritornai per tutte quante
Con lo sguardo osservai tutti quanti i sette pianeti e vidi questo globo (la Terra)
le sette spere, e vidi questo globo
così piccolo che sorrisi del suo aspetto vile;
tal ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per miglior approbo
e approvo il giudizio di chi lo considera poca cosa, e colui che rivolge i suoi
che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
pensieri ad altro (al Cielo) si può davvero definire un uomo virtuoso.
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona (la Luna) luminosa e priva di quelle ombre che attribui
Vidi la figlia di Latona incensa
falsamente alla maggiore o minore densità.
senza quell’ombra che mi fu cagione
per che già la credetti rara e densa.
Lì potei fissare l'aspetto di tuo figlio, o Iperione (del Sole), e vidi come Mercurio e
L’aspetto del tuo nato, Iperione,
Venere si muovono in cerchio accanto ad esso.
quivi sostenni, e vidi com’si move
circa e vicino a lui Maia e Dione.
Qui vidi l'aspetto temperato di Giove tra Saturno e Marte, e mi fu chiara la
Quindi m’apparve il temperar di Giove variazione della loro posizione astronomica;
tra ‘l padre e ‘l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
e tutti e sette i pianeti mi si mostrarono nella loro reale dimensione e nella loro
e tutti e sette mi dimostraro velocità, e nella reciproca posizione celeste.
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
La piccola Terra che ci rende così feroci, mentre ruotavo insieme alla
L’aiuola che ci fa tanto feroci, costellazione eterna dei Gemelli, mi apparve nella sua interezza (delle terre
volgendom’io con li etterni Gemelli, emerse); poi rivolsi i miei occhi a quelli, bellissimi, di Beatrice.
tutta m’apparve da’ colli a le foci;
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli
Parla Beatrice
Primo Mobile
Canto XXVII vv. 106-120):
«La natura dell'Universo, che tiene la Terra al centro, immobile,
La natura del mondo, che quieta e fa ruotare tutto il resto intorno, comincia da qui come suo
il mezzo e tutto l’altro intorno move, principio e sua fine;
quinci comincia come da sua meta,
e questo Cielo (il Primo Mobile) non ha nessun'altra
e questo cielo non ha altro dove collocazione se non la mente di Dio, in cui si accendono l'amore
che la mente divina, in che s’accende che lo fa ruotare e la virtù che esso esercita.
l’amor che ‘l volge e la virtù ch’ei piove.
La luce e l'amore divino lo circondano, proprio come questo
Luce e amor* d’un cerchio lui comprende, Cielo circonda gli altri; e quell'involucro è compreso solamente
sì come questo li altri; e quel precinto, da Colui che lo cinge (da Dio).
colui che ‘l cinge solamente intende.
Il suo movimento non è misurato dagli altri, ma gli altri moti
Non è suo moto per altro distinto,
sono commisurato a questo, come il dieci lo è dal cinque e dal
ma li altri son mensurati da questo,
due;
sì come diece da mezzo e da quinto;
G. Doré
Par., XXVIII, vv. 16-39 E com’io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da ciò che pare in quel volume, E non appena io mi voltai e i miei occhi scorsero ciò che appare in quel
quandunque nel suo giro ben s’adocchi, Cielo (il Primo Mobile), ogni volta che si osservi con attenzione nella sua
sfera, vidi un punto che emanava una luce tanto intensa che per il suo
un punto vidi che raggiava lume splendore occorre chiudere gli occhi che ne sono colpiti;
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume; e ogni stella che sembri più fioca, diventerebbe una Luna se paragonata a
quel punto, come due stelle sono accanto nel cielo.
e quale stella par quinci più poca,
Forse, quanto un alone sembra circondare da vicino l'astro che lo fa
parrebbe luna, locata con esso
apparire quando l'atmosfera è pregna di spessi vapori, tutt'intorno a quel
come stella con stella si collòca. punto un cerchio fiammeggiante ruotava così velocemente che avrebbe
superato il movimento del Primo Mobile che racchiude il mondo;
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che ‘l dipigne e questo cerchio era circondato da un altro, e quello da un terzo, e il
quando ‘l vapor che ‘l porta più è spesso, terzo poi da un quarto, il quarto da un quinto e il quinto da un sesto.
distante intorno al punto un cerchio d’igne Più all'esterno ce n'era un settimo, talmente esteso che il messaggero di
Giunone (l'arcobaleno), benché tutto intero, sarebbe troppo piccolo per
si girava sì ratto, ch’avria vinto
contenerlo.
quel moto che più tosto il mondo cigne;
Così l'ottavo e il nono cerchio; e ognuno di essi era tanto più lento,
e questo era d’un altro circumcinto, quanto più il numero d'ordine che occupava era superiore ad uno (quanto
e quel dal terzo, e ‘l terzo poi dal quarto, più era distante dal centro);
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
e il cerchio che aveva la fiamma più splendente era quello più vicino al
Sopra seguiva il settimo sì sparto punto luminoso, perché - credo - si sostanziava maggiormente della sua
già di larghezza, che ‘l messo di Iuno verità.
intero a contenerlo sarebbe arto.
Come è giusto che sia, perché altrimenti, dato che al centro del nostro pianeta si trova
conficcato Lucifero, l’universo creato da Dio avrebbe al suo centro il male.
È quello che spiega subito dopo Beatrice, illustrando a Dante come le sfere angeliche che
vede ruotare intorno a Dio siano responsabili del movimento dei cieli intorno alla Terra, con
una corrispondenza dimensionale rovesciata.
Nel sistema terrestre il cielo più veloce è il più grande e il più lontano dal centro, cioè la
Terra: è il Primo Mobile.
Nel sistema con al centro il punto-Dio la sfera più veloce è la più piccola e la più vicina al
suo centro: è la sfera dei Serafini, che imprimono il moto rotatorio al Primo Mobile (Par.
XXVIII, vv. 64-78).
(Par. XXVIII, vv. 64-78).
Li cerchi corporai sono ampi e arti Le sfere celesti, che sono corpi fisici, sono grandi o
piccole a seconda della maggiore o minore virtù che si
secondo il più e ‘l men de la virtute
estende in ogni loro parte.
che si distende per tutte lor parti.
Un maggior bene produce una maggiore salvezza, e
Maggior bontà vuol far maggior salute; questa è contenuta in un corpo più esteso, se esso è
maggior salute maggior corpo cape, perfetto in ogni suo punto.
s’elli ha le parti igualmente compiute.
Dunque, questo Cielo (il Primo Mobile) che trascina nel
suo moto tutto quanto l'Universo, corrisponde al cerchio
Dunque costui che tutto quanto rape dotato di maggior amore e sapienza (quello più vicino a
l’altro universo seco, corrisponde Dio):
al cerchio che più ama e che più sape:
e allora, se tu ti concentri sulla virtù e non sull'ampiezza
delle sostanze che ti sembrano rotonde (i cerchi
per che, se tu a la virtù circonde fiammeggianti), vedrai come mirabile conseguenza il
la tua misura, non a la parvenza fatto che a maggiore virtù corrisponde maggiore
de le sustanze che t’appaion tonde, vicinanza (e viceversa) tra ogni Cielo e la sua
intelligenza angelica».
tu vederai mirabil consequenza
di maggio a più e di minore a meno,
in ciascun cielo, a süa intelligenza”.
Paradiso XXXIII
Visione di Dio
il Paradiso si dispone nella prospettiva delle sfere celesti, occupando l'intero sistema planetario: paesaggi immacolati e senza
limiti, il cui linguaggio è luce e moto, musica e coro, ordine e armonia.
Il Paradiso s'identifica con il firmamento, si converte nell'universo: partecipa dell'infinita presenza di Dio nel cosmo.
E, pertanto, il viaggio di Dante si sviluppa nella successione ascensionale dello zodiaco, dal cielo della Luna fino all'Empireo,
dove fiorisce la candida rosa dei beati.
Qui sono tutte le anime del Paradiso, raccolte nel mistico fiore, in un unico consesso, di cui nei singoli cieli Dante ha
conosciuto le postille, le loro trasparenze individuali.
Ma ora tutte concorrono al trionfo supremo e inesauribile di Dio, che Dante concepisce in un'essenza totale, illimite,
inattingibile.
Forse questa di Dante è la concezione più austera della divinità unica e incommensurabile, universa e inestimabile.
Il poeta l'ha resa nella sua più sgomenta profondità, nel suo mistero insondabile. Il Dio di Dante è la categoria mentale
dell’inconoscibile.
https://www.etimo.it/?term=stella
Il termine "stella" è stato oggetto di numerose etimologie e interpretazioni da parte dei linguisti.
Sino agli inizi del XX secolo due erano le etimologie prevalenti: la prima, proposta
dal tedesco Adalbert Kuhn, sosteneva che "stella" derivasse dal latino stella (originariamente sterla),
forma sincopata di sterula, che a sua volta deriverebbe dall'ittita shittar e dal sanscrito सितारा (sitara), la
cui radice sit- è comune col verbo che significa spargere; secondo quest'etimologia "stella"
significherebbe sparsa (per il firmamento).
Altri studiosi a lui contemporanei ritenevano che il termine derivasse invece da un arcaico astella, a
sua volta derivato dal greco ἀστήρ (astér, in latino astrum), che mantiene la radice indoeuropea as-, di
accezione balistica; secondo questa seconda etimologia "stella" significherebbe che scaglia (raggi di
luce).
La prima tende a far derivare il termine da una radice protoindoeuropea, *h ₂stḗr, da una radice *h ₂Hs-
che significherebbe ardere, bruciare; in alternativa, il termine deriverebbe da una
parola sumera o babilonese, riconoscibile anche nel nome della dea Ištar, con cui si indicava il
pianeta Venere.
VENERE: stella
Astronomico perché il suo interesse è dinamico, verso i movimenti degli astri e nella volta
celeste, e perché essi gli servono per indicare date e ore con precisione.
Metafisico, perché le stelle – che già nel Convivio aveva indicato come equivalente della
metafisica – gli tornano utili a descrivere la vera struttura dell’universo.
Psicologico, perché utilizza le immagini sideree per fornire il corrispettivo di suoi stati
d’animo.
Descrittivo, perché impiega le similitudini con le stelle per far comprendere al lettore le
epifanie e i movimenti – soprattutto le danze – degli spiriti beati, di cui quelle sono mere
ombre.
Infine, si apre una considerazione estetica, cioè un godimento della bellezza delle stelle,
chiamate “cose belle” o “bellezze”.
La Commedia, e in particolare il Paradiso, diventa l’opera dell’artista che imita Dio, che riscrive
esteticamente bella la sua creazione in una nuova creazione.
La costellazione dell’Ariete
L'acqua ch'io prendo già mai non si corse; L'acqua che io percorro non fu mai
Minerva spira, e conducemi Appollo, attraversata da nessuno; Minerva soffia
e nove Muse mi dimostran l'Orse. i venti, e Apollo regge il timone, e le
nove Muse mi indicano la giusta rotta.
Nei vv. 31-42 del canto XXXI è contenuta l’ultima perifrasi astronomica del
poema:
tale dal corno che ‘n destro si stende così, dal braccio destro della croce fino alla parte
a piè di quella croce corse un astro inferiore, si mosse una delle luci che costellavano quella
de la costellazion che lì resplende; 21 figura;
è presente nell’Inferno, nonostante l’attenzione di Dante sia riposta nel sorgere del Sole e sul segno zodiacale ad
esso congiunto. Nel canto XX ai vv. 124-129 dell’Inferno, Virgilio, rivolgendosi al suo discepolo, gli dice:
Nella concezione dantesca la Luna è incastonata nel primo cielo, mentre il Sole nel quarto, entrambe stelle per il
poeta, che hanno molto a che fare con una simbologia: la Luna è identificata con Proserpina, regina dell’Ade, o con
Diana, sorella di Febo, per cui gli antichi la chiamavano la triforme Ecate; spesso nell’Inferno Dante la ricorda come “la
faccia della donna che governa il regno infernale” (ad esempio nel canto X, vv. 79-81, quando Farinata profetizza a
Dante l’esilio dicendo ma non cinquanta volte fia raccesa/la faccia della donna che qui regge/che tu saprai quanto
quell’arte pesa, alludendo all’esilio che gli capiterà prima che passino cinquanta mesi, cioè nel giugno 1304).
Il Sole, invece, è identificato con Dio stesso, creatore e Signore dell’Universo, ma anche con Cristo, come è
evidente nel canto XXIII, vv. 28-30 del Paradiso, quando è descritto il suo trionfo (vid’io sopra migliaia di lucerne/un sol
che tutte quante l’accendea,/come fa il nostro le viste superne).
Non v’è dubbio che Dante prediliga l’aspetto simbolico degli astri, anche se talvolta si cimenta in questioni
fenomeniche naturalistiche, come quando affronta il problema delle macchie lunari nel canto II del Paradiso, slittando
come sua consuetudine, di continuo dal campo fisico e scientifico a quello metafisico, dove egli trova sempre le
spiegazioni di tutto.
Il primo cielo della Luna nel Paradiso
In questo primo cielo, Dante affronta insieme a Beatrice il problema delle macchie lunari (Canto II, vv. 31-
33), confutando quanto aveva affermato nel Convivio (III, 7), e cioè che si spiegavano con la diversa densità
della materia che favoriva o impediva il filtrare dei raggi solari.
Attraverso l’esempio dell’eclissi di Sole Beatrice porterà Dante a modificare idea e sposare la sua spiegazione
secondo cui le macchie non sono dovute alla diversa densità, bensì alla diversa virtù che proveniva dalle
stelle.
In altre parole, il Primo Mobile conferisce l’esistenza a tutte le cose create, mentre l’essenza di ciascuna di
esse dipende dall’ottavo cielo (delle stelle fisse), che la distribuisce ai cieli inferiori.
Il poeta vuole così mostrare la sua graduale crescita, il superamento dei suoi limiti razionali e, di
conseguenza, l’infondatezza delle sue precedenti convinzioni scientifiche, costruite unicamente sulla ragione
e sulla filosofia, messe ora in crisi dalla verità teologica.
Paradiso, II, 46-51; 58-61;
Io rispuosi: «Madonna, sì devoto Io risposi: «Mia signora, tanto devoto quanto non si
com’esser posso più, ringrazio lui può essere di più, io ringrazio Dio che mi ha separato
dal mondo
lo qual dal mortal mondo m’ha remoto. mortale.
Ma ditemi: che son li segni bui Ma ditemi: che cosa sono i segni oscuri (le macchie
di questo corpo, che là giuso in terra lunari) di questa stella, che laggiù in Terra inducono
fan di Cain favoleggiare altrui?» alcuni a favoleggiare di Caino?»
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi». Ma dimmi la tua opinione in merito». E io: «Credo che
le differenze di luminosità degli astri siano causate
E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso
dalla differente densità del corpo stellare».
credo che fanno i corpi rari e densi».
PARADISO, II
La spera ottava vi dimostra molti
Da questa instanza può deliberarti
lumi, li quali e nel quale e nel quanto
esperienza, se già mai la provi,
notar si posson di diversi volti. 66 Riguarda bene omai sì com’io vado
ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’arti. 96
per questo loco al vero che disiri,
Se raro e denso ciò facesser tanto, sì che poi sappi sol tener lo guado. 126
Tre specchi prenderai; e i due rimovi
una sola virtù sarebbe in tutti,
da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,
più e men distributa e altrettanto. Lo moto e la virtù d’i santi giri,
tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
come dal fabbro l’arte del martello,
Virtù diverse esser convegnon frutti da’ beati motor convien che spiri;
di princìpi formali, e quei, for ch’uno,
Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
seguiterìeno a tua ragion distrutti. e ‘l ciel cui tanti lumi fanno bello,
ti stea un lume che i tre specchi accenda
e torni a te da tutti ripercosso. de
la mente profonda che lui volve
Ancor, se raro fosse di quel bruno prende l’image e fassene suggello.
cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte
Ben che nel quanto tanto non si stenda
fora di sua materia sì digiuno E come l’alma dentro a vostra polve
la vista più lontana, lì vedrai
come convien ch’igualmente risplenda. per differenti membra e conformate
esto pianeto, o, sì come comparte a diverse potenze si risolve,
lo grasso e ‘l magro un corpo, così questo
Or, come ai colpi de li caldi rai
nel suo volume cangerebbe carte. così l’intelligenza sua bontate
de la neve riman nudo il suggetto
e dal colore e dal freddo primai, multiplicata per le stelle spiega,
Se ‘l primo fosse, fora manifesto girando sé sovra sua unitate.
ne l’eclissi del sol per trasparere
così rimaso te ne l’intelletto
lo lume come in altro raro ingesto. Virtù diversa fa diversa lega
voglio informar di luce sì vivace,
che ti tremolerà nel suo aspetto. col prezioso corpo ch’ella avviva,
Questo non è: però è da vedere nel qual, sì come vita in voi, si lega.
de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,
Dentro dal ciel de la divina pace
falsificato fia lo tuo parere. Per la natura lieta onde deriva,
si gira un corpo ne la cui virtute
l’esser di tutto suo contento giace. la virtù mista per lo corpo luce
S’elli è che questo raro non trapassi, come letizia per pupilla viva.
esser conviene un termine da onde
Lo ciel seguente, c’ha tante vedute,
lo suo contrario più passar non lassi; Da essa vien ciò che da luce a luce
quell’esser parte per diverse essenze,
da lui distratte e da lui contenute. par differente, non da denso e raro;
e indi l’altrui raggio si rifonde essa è formal principio che produce,
così come color torna per vetro
Li altri giron per varie differenze
lo qual di retro a sé piombo nasconde. conforme a sua bontà, lo turbo e ‘l chiaro».
le distinzion che dentro da sé hanno
dispongono a lor fini e lor semenze.
Or dirai tu ch’el si dimostra tetro
ivi lo raggio più che in altre parti,
Questi organi del mondo così vanno,
per esser lì refratto più a retro.
come tu vedi omai, di grado in grado,
che di sù prendono e di sotto fanno.
Il settimo cielo di Saturno e la Costellazione del Leone
L’arrivo nel cielo di Saturno è sottolineato con enfasi. Beatrice informa Dante e il lettore:
Con questa precisazione, cioè con l’associazione del freddo Saturno con il caldo Leone, Dante forse vuole segnalare
preliminarmente che il cielo di Saturno, con la sua influenza fredda e il suo movimento lento che predispone ad esercitare la vita
contemplativa, agisce qui insieme all’infuocato Leone, insomma che gli spiriti incontrati e celebrati in questo cielo uniscono la
tendenza ascetica e contemplativa saturnina all’ardente zelo apostolico del Leone.
E poco sotto Dante narratore indicherà il cielo con una perifrasi significativa:
(Dentro il Cielo che, ruotando intorno alla Terra, porta il nome (Saturno) del dio sotto il quale ogni malizia fu stroncata (durante
l'età dell'oro), io vidi una scala dorata e scintillante dei raggi del Sole che saliva verso l'alto, tanto che non ne potevo vedere la
fine)
L’allusione è al regno di Saturno, all’età dell’oro, come a un’epoca di innocenza e purezza originaria.
È un mito molto caro a Dante, che lo cita in molte occasioni. Qui prefigura la purezza e l’innocenza recuperata attraverso le
pratiche ascetiche e gli esercizi contemplativi nella vita eremitica, che sarà celebrata proprio attraverso il personaggio di san Pier
Damiano
LA FINE DEL VIAGGIO e LA VISIONE DI DIO
Dante, il sommo poeta della razionalità e della logicità, il poeta che ha cercato con tutto se stesso di dare una spiegazione razionale
al sovrasensibile, al sovrumano, al mistero divino e dell’universo, qui sta per terminare il suo itinerario. Il viaggio si è compiuto,
l’infinito è stato raggiunto, non rimane che l’indefinito per esprimere’inesprimibile.
La parola non vale più, le stelle, la realtà astronomica, la realtà spazio temporale, sono state attraversate interamente, la fisicità si è
fusa con la metafisica, come mai nessuna forma di scrittura, per di più poetica, abbia saputo rappresentare .
Il pellegrino vorrebbe ancora comprendere dove e come l’immagine umana si adatti al cerchio e si fonda con il divino, ma non è in
grado di farlo, così come lo studioso di geometria vorrebbe trovare il principio della quadratura del cerchio ma non può e allora si
affida alla folgorazione e al silenzio (vv. 133-145):
ma non eran da ciò le proprie penne: ma le mie ali non erano adatte a un volo simile (non ne avevo le capacità):
se non che la mia mente fu percossa senonché la mia mente fu colpita da una folgorazione, grazie alla quale poté
da una fulgore in che sua voglia venne. soddisfare il suo desiderio.
A l’alta fantasia qui mancò possa; Alla mia alta immaginazione qui mancarono le forze; ma ormai l'amore divino,
ma già volgea il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa
che muove il Sole e le altre stelle, volgeva il mio desiderio e la mia volontà,
come una ruota che è mossa in modo uniforme e regolare (Dio aveva appagato
l’amor che move il Sole e l’altre stelle. ogni mio intimo desiderio).
Era un mondo che si trovava di fronte a un problema che noi moderni abbiamo eliminato.
Gli uomini di allora si vedevano costretti a conciliare un’immagine scientifica del mondo,
quella greca, pagana e materialista, con un’esigenza assoluta, che derivava dalla certezza
della Rivelazione. Per l’uomo medievale esistevano tanto la Ragione quanto la
Rivelazione, tanto il mondo dei sensi quanto Dio. Esisteva tanto la parte del mondo
centrato sulla Terra quanto quella centrata su Dio, tanto il visibile quanto l’invisibile. Non
era facile conciliare questi mondi, ma si viveva fino in fondo in questa tensione, e parte
della straordinaria fertilità della cultura medievale deriva proprio dal fatto che gli uomini di
quell’epoca sono riusciti a vivere con questa tensione a un’altezza intellettuale che a noi,
che abbiamo optato solo per la metà sinistra dell’immagine, sfugge quasi del tutto. Noi
abbiamo scartato quasi completamente la metà destra del mondo, ed è per questo motivo
che siamo capaci solo della creatività nel visibile e quasi completamente privi della
creatività dell’invisibile. Viviamo come amputati. Stiamo in guardia! Da quando viviamo
solo nel visibile, gli occhi di Beatrice si sono chiusi. A quali occhi potremo ormai ancorare
il nostro sguardo? A che sguardo potremo mai aggrapparci? … …“
Dal libro: Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero il mondo di Dante di Horia-Roman
Patapievici
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Catalogo della mostra (a cura di Euresis) Sulle spalle dei giganti. Luoghi e maestri della scienza nel Medioevo europeo, Milano 2005:
http://www.meetingmostre.com/default.asp?id=344&id_r=8&id_n=27979
CIELI SERENI
GRAZIE
per L’ATTENZIONE e per la
PAZIENZA
Domande?