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N.
comitato scientifico
Paolo Bellini (Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como), Claudio
Bonvecchio (Università degli Studi dell’Insubria, Varese-Como), Mauro
Carbone (Université Jean-Moulin, Lyon 3), Antonio De Simone (Università
degli Studi di Urbino Carlo Bo), Morris L. Ghezzi (Università degli Studi
di Milano), Giuseppe Di Giacomo (Università di Roma La Sapienza), Gio-
vanni Invitto (Università degli Studi di Lecce), Micaela Latini (Università
degli Studi di Cassino), Enrica Lisciani-Petrini (Università degli Studi di
Salerno), Luca Marchetti (Università Sapienza di Roma), Antonio Panai-
no (Università degli Studi di Bologna, sede di Ravenna), Paolo Perticari
(Università degli Studi di Bergamo), Susan Petrilli (Università degli Studi
di Bari), Augusto Ponzio (Università degli Studi di Bari), Riccardo Roni
(Univ. di Urbino), Luca Taddio (Università degli Studi di Udine),Valentina
Tirloni (Université Nice Sophia Antipolis), Tommaso Tuppini (Università de-
gli Studi di Verona), Antonio Valentini (Università di Roma La Sapienza),
Jean-Jacques Wunemburger (Université Jean-Moulin Lyon 3)
Francesca Gruppi
DIALETTICA
DELLA CAVERNA
Hans Blumenberg tra antropologia e politica
MIMESIS
MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)
www.mimesisedizioni.it
mimesis@mimesisedizioni.it
Collana: Filosofie n.
Isbn: 9788857537672
Bibliografia
197
Scritti di Hans Blumenberg 197
Scritti su Hans Blumenberg 200
Altre fonti citate 207
a Emiliano
INTRODUZIONE
Non fare i farmacisti con Blumenberg
mondo. Vi è chi lo definisce una delle più autorevoli voci dello «spirito
pluralistico, antimetafisico, relativistico del suo tempo», conforme al «mi-
lieu intellettuale del multiculturalismo» sorto in Francia, padre di una me-
taforologia le cui affinità col decostruttivismo derridiano e la sua tensione
verso l’ineffabile non sarebbero state sottolineate a sufficienza.7
D’altra parte è innegabile che Blumenberg faccia professione di scettici-
smo in numerosi passaggi della sua smisurata opera, se per scetticismo
s’intende una sorta di ponderato j’accuse al carattere «dispotico» della fi-
losofia, laddove essa pretende di sostituirsi una volta per tutte all’universo
‘umbratile’ del mito e all’innocenza della «menzogna estetica», senza esse-
re in grado di soddisfare la propria aspirazione all’autarchia e le proprie
pretese fondative; in tal modo la filosofia rimane indissolubilmente legata
alla «figura originaria della delusione»,8 alla luce della quale è lecito chie-
dersi se non si debba, anziché coprirli, ‘dissotterrare’ i depositi di «signifi-
catività» cresciuti nello spazio del metaforico e nel lavoro del mito, come
parte integrante della Begriffsgeschichte, della stessa storia della filosofia.
Tale è l’intento di Blumenberg: scrivere e riscrivere l’epopea spirituale
dell’Occidente spalancando le porte a tutto quanto il pensiero speculativo
ha disperatamente tentato di bandire ed espungere da sé. Da ciò dipende-
rebbero dunque l’enciclopedismo esasperato, la «pedanteria» nell’insistere
su particolari apparentemente irrilevanti, il ricorso ad «aneddoti e vignette
filosofiche» che spesso «divertono più di quanto orientino», col rischio co-
stante di una deriva nella «provincialità».9
Questa modulazione dell’incedere riflessivo, figlia della lezione witt-
gensteiniana secondo cui «la filosofia non è una dottrina, ma un’attività»,10
rende la prosa di Blumenberg, seppur nella sua eleganza, di difficile com-
prensione per i lettori e il punto di vista dell’autore non sempre facile da
rintracciare nel mare magnum delle citazioni e dei rimandi.11 Così non sono
del tutto peregrine le preoccupazioni di chi – come Jürgen Habermas – in-
dividua nella mise en question della differenza di genere tra filosofia e let-
senso valga la pena penetrare nei suoi testi alla stregua di chi, smarritosi tra
gli alberi di un bosco, cerca il sentiero che conduca all’uscita, la via per una
visione dell’intero.
20 Cfr. O. Marquard, Entlastung vom Absoluten, in F.J. Wetz, H. Timm, (a cura di),
Die Kunst des Überlebens. Nachdenken über Hans Blumenberg, Suhrkamp,
Frankfurt am Main 1999, p. 23.
21 Cfr. J.L. Koerner, Ideas about the thing, not the thing itself, cit., pp. 2-3. La stes-
sa posizione è espressa da Carlo Gentili: cfr. Id., Introduzione all’edizione italia-
na, in H. Blumenberg, Passione secondo Matteo, cit., pp. 9-10.
22 A. Borsari, Hans Blumenberg, in A. Borsari (a cura di), Hans Blumenberg. Mito,
metafora, modernità, cit., p. 24.
23 E. Nordhofen, Die Proklamation des Plurals, cit., p. 47.
14 Dialettica della caverna
il difetto di restare troppo in superficie, di perdere di vista tutto ciò che attraversa
i testi in maniera obliqua e sotterranea e di non concentrarsi sulla possibile cifra
comune in grado di comporre tra loro i vari saggi come le tessere di un grande mo-
saico. Inoltre questa griglia categoriale lascia completamente fuori le opere del
Nachlass, che tuttavia Monod conosce in gran parte.
39 Mythos und dogma. Diskussion zu Hans Blumenbergs «Wirklichkeitsbegriff und
Wirkungspotential des Mythos», in M. Fuhrmann (a cura di), Terror und Spiel,
«Poetik und Hermeneutik», n°4, 1971, p. 527.
18 Dialettica della caverna
per evocare la sfingea strapotenza di tutto ciò che contrasta la vita umana:
per morte, però, sia intesa anche ogni eccedenza, l’inafferrabile, l’irrappresen-
tabile, l’incalcolabile, tutto ciò la cui massa schiaccia l’esiguità del singolo,
sprofondandolo nell’insignificanza e nell’incomprensione, segnalati esisten-
40 Cfr. H. Blumenberg, «Pensosità», in «In forma di parole», n°3, 1981, pp. 5-18.
41 Cfr. O. Marquard, Entlastung vom Absoluten, cit., pp. 20-21 e Id., Lebenszeit und
Lesezeit. Bemerkungen zur Oeuvre von Hans Blumenberg, in «Akzente», n°3,
1990, p. 269.
42 Cfr. F.J. Wetz, Hans Blumenberg zur Einführung, cit., pp. 12-13.
43 M. Russo, Il gioco delle distanze. Tempo, storia e teoria in Hans Blumenberg, in
A. Borsari (a cura di), Hans Blumenberg. Mito, metafora, modernità, cit., p. 265.
Introduzione 19
44 Ivi, p. 266.
45 Cfr. O. Marquard, Entlastung vom Absoluten, cit., pp. 22.
46 Cfr. R.A. Klein (a cura di), Auf Distanz zur Natur. Philosophische und theologi-
sche Perspektiven in Hans Blumenbergs Anthropologie, Königshausen & Neu-
mann, Würzburg 2009; in particolare R.A. Klein, ‚Auf Distanz zur Natur‘. Eine
Beschreibung des Menschen, pp. 9-19.
47 O. Müller, Sorge um die Vernunft, cit., p. 14.
20 Dialettica della caverna
51 Cfr. E. Husserl, Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari 1966, pp. 303-308.
52 Cfr. M. Moxter, Die schönen Ungenauigkeiten. Hans Blumenbergs phänomenolo-
gische Variationen, in «Neue Rundschau», n°109, 1998, p. 84.
22 Dialettica della caverna
alle traduzioni della quasi totalità dei libri pubblicati in vita (mancano solo
i due saggi sulla rivoluzione copernicana) e ai lavori critici di autori come
Remo Bodei, Bruno Accarino, Enzo Melandri, Giovanni Leghissa, Marco
Belpoliti (oltre a Gianni Carchia, Carlo Gentili e lo stesso Borsari); in se-
guito, seppure in misura minore, dall’inizio degli anni Ottanta anche la ri-
cezione in lingua inglese ha avuto un notevole sviluppo e, a partire dai No-
vanta, le opere di Blumenberg (in particolare il saggio sulla Neuzeit e gli
studi su mito e metafora) hanno cominciato a essere tradotte e ampiamen-
te dibattute in Francia.57
Tuttavia, come accennato, dal 1997 – l’anno successivo alla morte del fi-
losofo – a oggi, con cadenza quasi annuale hanno visto la luce un numero
cospicuo di opere postume e, con ogni probabilità, i curatori del Nachlass
non hanno ancora portato a termine la loro impresa. Oltre al voluminoso
studio sulla «completezza» delle stelle e il mito dell’esplorazione spaziale
(Die Vollzäligkeit der Sterne, 1997), negli ultimi anni dagli archivi di Blu-
menberg sono usciti i contributi più disparati: brevi ritratti di autori lettera-
ri e filosofici (Gerade noch Klassiker. Glossen zu Fontane, 1998; Goethe
zum Beispiel, 1999; Die Verführbarkeit des Philosophen, 2000; Vor allem
Fontane. Glossen zu einem Klassiker, 2002; Der Mann von Mond, 2007;
Rigorismus der Wahrheit: „Moses der Ägypter“ und weitere Texte zu Freud
und Arendt, 2015), l’interessante carteggio con Carl Schmitt (Briefwechsel
1971-78, 2007), ulteriori studi di Begriffsgeschichte, metaforologia e mi-
toanalisi (Löwen, 2001; Quellen, Ströme, Eisberge, 2012; Präfiguration.
Arbeit am politischen Mythos, 2014; Schriften zur Techink, 2015), riedizio-
ni di saggi e articoli già parzialmente pubblicati in vita (Ein mögliches
Selbstverständnis, 1997; Lebensthemen, 1998; Begriffe in Geschichten,
1998; Ästhetische und metaphorologische Schriften, 2001; Geistgeschichte
der Technik, 2009; Theorie der Lebenswelt, 2010; Schriften zur Literatur
1945-1948, 2017), nonché alcuni testi dall’indiscutibile valore concettuale
(Zu den Sachen und zurück, 2002; Beschreibung des Menschen, 2006;
Theorie der Unbegrifflichkeit, 2007). Questi ultimi in particolare contribui-
scono non solo a restituire in maniera più completa la vastità e la ricchezza
del pensiero di Blumenberg, ma (assieme soprattutto a Ein möglisches Selb-
stverständnis e Theorie der Lebenswelt) a sviluppare ulteriormente quel fi-
lone fenomenologico-antropologico che era rimasto sottotraccia e ora appa-
re invece fondamentale, forse decisivo per comprendere appieno il suo
discorso filosofico. Quel capitolo-chiave, che già traspariva dalle opere edi-
te e che alcuni già riconoscevano come determinante, prende insomma for-
ma, assume una sua autonomia e può finalmente aspirare a una collocazio-
ne più precisa entro il panorama dei grandi temi blumenberghiani.
Alla luce di tutto ciò emerge come, anche nel caso di Blumenberg – si-
milmente a quel che spesso accade al pensiero dei grandi filosofi –, la rice-
zione sia stata soggetta a fasi, tendenze, nuove ondate, riflussi e scoperte
che ne hanno fatto una vicenda complessa e differenziata. La varietà e di-
versificazione delle strade interpretative è dunque in parte dipesa dalle di-
namiche secondo cui l’opera di Blumenberg è stata accolta a seconda dei
periodi e dei luoghi.
Inoltre, come si è tentato di mostrare nelle pagine precedenti, il ‘caso
Blumenberg’ presenta un’ulteriore difficoltà ermeneutica, dovuta alla ma-
niera peculiare con cui egli ha disposto temi e contenuti all’interno dei te-
sti. Non soltanto la maggior parte dei concetti-chiave si sviluppa lungo un
percorso che ‘taglia’ letteralmente tutto l’arco della produzione filosofica,
ma altresì, durante la lettura di un saggio, capita sovente di imbattersi in
una riflessione, in un’analisi determinante per la decifrazione di un altro te-
sto. L’oggetto al centro di ogni libro assume la forma del «frammento» e
funge come «una sorta di deposito che il movimento del pensiero ha lascia-
to dietro di sé: ne è al contempo la negazione e la traccia, una sorta di me-
moria concreta dalla quale, per via anamnestica […], è possibile risalire
alla complessità».58 Questa ‘tecnica disseminativa’, con cui Blumenberg
gioca a disperdere nei luoghi più inaspettati le tracce dei propri temi por-
tanti, rende in qualche modo la sua opera ‘inseparabile’, impossibile da
scomporre secondo i suoi ‘confini materiali’, ossia l’inizio e la fine di cia-
scun libro. Per questo entrare in possesso del Nachlass appare così impor-
tante. Non si tratta di una semplice integrazione, di un banale arricchimen-
to rispetto a ciò che già si sapeva, ma di pezzi fondamentali per ultimare un
quadro incompleto. Inoltre, nel caso di Blumenberg, gli scritti postumi non
vanno in alcun modo trattati alla stregua di ‘opere senili’, poiché egli era
solito lavorare a più testi contemporaneamente, il che offre un elemento in
più per comprendere quella stratificazione di temi e livelli di lettura che ca-
ratterizza i suoi saggi, giustificando ulteriormente la scelta di non accostar-
si al suo pensiero secondo una prospettiva diacronica o per grandi blocchi
tematici coincidenti con alcuni gruppi di libri.
Come si è detto, la progressiva pubblicazione del Nachlass ha posto in
primo piano una riflessione fenomenologico-antropologica che, interro-
gandosi sulla peculiarità delle prestazioni umane, sull’origine della co-
scienza, sulle strategie che hanno permesso alla specie di sfruttare a suo
vantaggio i propri punti deboli, sembra poter rappresentare il terreno, l’hu-
mus filosofico su cui ogni altro approfondimento si è sviluppato. A tal pro-
posito, oltre ai testi già citati, sono altresì significativi due studi ‘giovanili’
di Blumenberg mai pubblicati, ovvero la dissertazione finale (Beiträge zum
Problem der Ursprünglichkeit der mittelalterlich-scholastischen Ontolo-
gie, 1947) e lo scritto di abilitazione sulla «distanza ontologica» (Die onto-
logische Distanz. Eine Untersuchung über die Krisis der Phänomenologie
Husserls, 1950). Il fatto che già in questa sede, soprattutto nel secondo te-
sto, la riflessione vertesse attorno alla definizione della posizione dell’uo-
mo a partire da un confronto critico con la fenomenologia husserliana, non
fa che confermare la presenza di una meditazione che ha accompagnato
Blumenberg costantemente, tanto che si potrebbe affermare che la «feno-
menologia antropologica» costituisca la «parte esoterica» della sua opera.59
Negli ultimi anni la ricezione in lingua tedesca è stata fortemente in-
fluenzata dalle recenti ‘scoperte’, come risulta evidente dall’impostazione
dichiaratamente antropologica di alcuni degli studi recentemente apparsi in
Germania.60 Tuttavia il dibattito italiano, grazie soprattutto ai contributi di
The Immanence of the Infinite: Hans Blumenberg and the Threshold to Moderni-
ty, Catholic University of America Press, Washington DC 2002); nonché il più
volte citato testo di Monod edito nel 2007, prima monografia in lingua francese
dedicata a Blumenberg. Anch’esso pervaso di riflessioni antropologiche è inoltre
il volume collettaneo, curato da Alberto Fragio e Diego Giordano, che raccoglie
contributi di studiosi di diverse nazionalità: A. Fragio, D. Giordano (a cura di),
Hans Blumenberg. Nuovi paradigmi d’analisi, Aracne, Roma 2010.
61 Per questi concetti e per la distinzione tra «opera» e «testo» si veda R. Barthes,
Saggi critici, IV. Il brusio della lingua, Einaudi, Torino 1988, pp. 57-64.
Introduzione 27
10 Ivi, p. 28.
11 Cfr. E. Husserl, Husserliana, XVIII. Logische Untersuchungen, I. Prolegomena
zur reinen Logik, Martinus Nijhoff, Haag 1975, p. XLVIII, nota 1; cit. in H. Blu-
menberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 496.
12 H. Blumenberg, Zu den Sachen und zurück, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2002,
p. 98.
13 Cfr. H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., pp. 9-10. In queste pagine
Blumenberg si confronta parimenti con Heidegger, col quale ha un debito filoso-
fico di non poco conto, anche in relazione alle critiche mosse alla filosofia husser-
liana. Sarebbe di grande interesse svolgere questo confronto che, in una trattazio-
ne più ampia, meriterebbe uno spazio cospicuo, ma in questa sede precipuo è
comprendere il nesso tra antropologia e fenomenologia. Sull’intreccio Husserl-
Heidegger-Blumenberg si è comunque soffermato diffusamente O. Müller: cfr.
Id., Sorge um die Vernunft, cit., in particolare pp. 17-139.
14 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 10.
32 Dialettica della caverna
stro essere questi soggetti con questo apparato percettivo. Non ci si chiede
più «che cosa noi possiamo sapere?», poiché la domanda è: «che cosa e
come può essere pensato, cosa può diventare contenuto della coscienza?».15
Ma – così Blumenberg – la rinuncia all’interesse per l’uomo non è un
processo inevitabile per la filosofia, è però certamente il destino della fi-
losofia della coscienza, dell’idealismo, come conseguenza diretta dell’at-
teggiamento teoretico, che in ciò, in realtà, è vicino e non distante dalla
strada tracciata dalle scienze moderne. Qui la disposizione alla teoresi
nasce come funzione dell’uomo, «organo» della sua curiosità intellettua-
le, ma è costretta a soddisfare tale impulso oggettivando le sue stesse pre-
stazioni conoscitive e neutralizzando la prospettiva soggettiva e la di-
mensione organica. L’uomo diviene «funzionario» dello scopo che si era
posto e, nel lavoro scientifico, il soggetto individuale scompare e riappa-
re come generale.
Tutto ciò non ha ancora a che fare con l’idealismo o la riflessione tra-
scendentale, è semplicemente una «conseguenza copernicana dell’irrile-
vanza eccentrica [dell’uomo]»,16 della chiarificazione del fatto che l’uomo
non è il punto centrale del mondo. Ma – è lecito domandarsi – perché mai
dovremmo trarne la conseguenza che non debba esserlo neanche del pro-
prio stesso interesse?17 E ancora, se l’eliocentrismo ha precipitato la terra
e l’uomo in un’infinita lontananza, se l’esperienza del cosmo ha fatto sì
che l’essere umano si dileguasse in un’irraggiungibile distanza ai suoi
stessi occhi, che non comparisse più nella sua «fotografia (Bild) del
mondo»,18 se il successo della nuova scienza risiede nel livellamento del-
la soggettività, salvata solo per quanto riguarda il genere, il soggetto ge-
nerale (salvo poi rovesciarsi in un livellamento del genere stesso e diveni-
re – la scienza – pulsione di morte del genere),19 la filosofia può
comportarsi diversamente?
21 Cfr. H. Blumenberg, Die ontologische Distanz. Eine Untersuchung über die Kri-
sis der Phänomenologie Husserls, unveröffentlichte Habilitationsschrift, Kiel
1950; cit. in O. Müller, Sorge um die Vernunft, cit., p. 315.
22 Ivi, p. 321.
23 Come sostiene e documenta Müller, probabilmente nei primi anni della propria
produzione filosofica Blumenberg è ancora fortemente influenzato dal veto hus-
serliano, che supererà solo in seguito, avvicinandosi progressivamente al pensie-
ro di Cassirer e Gehlen. Cfr. ivi, pp. 82-93.
24 H. Blumenberg, Zu den Sachen und zurück, cit., p. 260. Per un’analisi articolata
in punti chiave del confronto di Blumenberg con Husserl si veda O. Müller, Sor-
ge um die Vernunft, cit., pp. 313-324.
25 Cfr. O. Müller, Anthropologische Verunreinigungen des Bewusstseins, cit., p. 103.
26 H. Blumenberg, Der verborgene Gott der Phänomenologie, in Ein mögliches
Selbstverständnis, Reclam, Stuttgart 1997, p. 139.
34 Dialettica della caverna
27 Ivi, p. 140.
28 O. Müller, Anthropologische Verunreinigungen des Bewusstsein, cit., p. 111.
29 Cfr. H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 831.
30 Ibidem.
31 H. Blumenberg, Visibilità, in H. Blumenberg, C. Schmitt, L’enigma della moder-
nità, Laterza, Bari 2011, p. 152.
Antropologia fenomenologica e filosofia della preistoria 35
sta da molto prima della comparsa del genere umano e continui a esistere
al di là di esso, solo l’uomo conosce l’«incertezza» di fronte a individui
della stessa specie: non può predeterminare se si tratti di amici o nemici.
Questo ci avvicina alla questione fondamentale.
Il punto è che un’antropologia, o delle asserzioni biologiche sulla prove-
nienza della specifica struttura della coscienza umana dalle circostanze
dell’evoluzione, addirittura delle constatazioni di matrice darwinistica han-
no una funzione fenomenologica nel momento in cui mostrano che «questo
organismo da un lato e quella struttura di prestazioni integrate, con il pro-
dotto finale della cultura, dall’altro, non sono intrecciati tra loro in manie-
ra contingente». Altrimenti detto: il fenomenologo dovrebbe colmare l’as-
senza di relazione – entro la fenomenologia – tra l’«eidos io» e l’«eidos
Homo sapiens» e, pertanto, disporsi a uno sforzo antropologico.32 È pro-
prio la teoria della coscienza – già fulcro della fenomenologia husserliana
– a divenire cardine dell’antropologia fenomenologica di Blumenberg, che
si mantiene ancora nel solco della tradizione trascendentale.33
Uno sguardo alle forme della coscienza rilevate dalla fenomenologia
contribuisce dunque a compiere la svolta: intenzionalità e struttura tempora-
le conducono entrambe a un fondamento antropologico. Svolgendo tali ca-
tegorie fino alle loro estreme ma logiche conseguenze, Blumenberg procede
verso un «depotenziamento del timore (Entfürchtung) nei confronti dell’an-
tropologismo», passo preliminare per l’elaborazione di una vera e propria
antropologia fenomenologica, considerandolo come una «variante del prin-
cipio di economia»: infatti, da una prospettiva biologica e autoconservativa,
che cosa c’è di meno economico e inutile che «avere degli oggetti»? Molto
più funzionale è stabilire con le «cose» un contatto basato su un «minimo di
segnali»,34 ed è proprio così che l’intera natura organica generalmente si or-
ganizza, in base a un’economia bewusstseinfrei basata sulla «struttura della
pars pro toto».35 Per contro l’intenzionalità, benché in grado di sfruttare
anch’essa processi riduttivi ed economici, è «in linea di principio infinita»,
sempre potenzialmente aperta a un surplus di informazioni, in un cammino
in cui ogni tratto è continuamente sostituibile dal successivo.
La coscienza intenzionale soggiace al principium rationis insufficientis,
che è il vero e proprio «centro delle teorie antropologiche».36 L’intenziona-
può essere ciò che potremmo esperire?».57 Come si vedrà, questa questio-
ne preliminare conduce a porsi un problema trascendentale.
Anche quando integra dati scientifici – cosa che Blumenberg fa genero-
samente – l’antropologia filosofica correttamente intesa non è una scienza
empirica, non coincide con uno studio psicologico o neurobiologico della
coscienza. Al contempo essa non andrebbe intesa alla stregua di una disci-
plina filosofica capace di «asserzioni essenziali», insomma di un’ontolo-
gia. Questo peraltro implicherebbe immediatamente la sua incompatibilità
con qualsiasi filosofia della storia, poiché è chiaro che tracciare le caratte-
ristiche e le possibilità di un oggetto significa anche segnare i limiti della
sua «capacità di modificazione»: l’antropologia filosofica così intesa coin-
ciderebbe con una «definizione di costanti», con la fissazione del-
l’«orizzonte delle possibilità» che l’uomo ha «di avere storia e di produrre
storia con se stesso». Il trionfo di una siffatta antropologia filosofica sareb-
be al contempo «una sconfitta della filosofia della storia in tutte le sue pos-
sibili differenziazioni».58 Come si vedrà, l’intenzione di Blumenberg è di
non parteggiare per nessuna delle due posizioni prese nella loro granitica
inossidabilità.
Notoriamente, le filosofie della storia, in particolare quelle che predili-
gono le «discontinuità» e descrivono gli eventi essenziali in termini di «ri-
voluzioni», sono propense ad attribuire all’uomo una massima capacità di
cambiamento e una minima costanza di disposizioni e possibilità;59 a con-
siderare le costanti antropologiche come «resistenze» e «momenti inerzia-
li» opposti al movimento trasformativo della storia. È altresì possibile che
il fiorire di antropologie filosofiche nel secolo scorso sia da attribuirsi an-
che a una certa saturazione nei confronti di forme particolarmente marcate
di filosofia della storia e dell’annessa retorica dell’«uomo nuovo».60 Tutta-
via entrambe, antropologia filosofica e filosofia della storia, sono «filoso-
fie del mondo della vita», laddove la seconda definisce l’uomo in rapporto
a una teoria della libertà come fine ultimo e la Lebenswelt in termini stori-
ci come medium e terreno di progressiva approssimazione allo scopo. Per-
tanto, le due discipline si contendono il primato entro confini condivisi e
l’antropologia filosofica riesce a emanciparsi dalla propria subalternità
solo ove la filosofia della storia, o meglio, la fiducia stessa nella storia, si
indebolisce ed entra in crisi.61
Tuttavia, è forse possibile e altresì auspicabile attenuare e problematiz-
zare quest’antitesi. Soprattutto perché, secondo una riflessione condotta da
Marquard a partire da Michael Landmann, se si guarda al polimorfismo
culturale dell’uomo come «creatura creatrix»,62 si comprendono le confi-
gurazioni della cultura umana all’interno di una «variabilità storica»63 che
apre alla possibilità di una «filosofia della storia» (Philosophie der
Geschichte)64 alternativa alla «filosofia della storia» in senso classico (Ge-
schichtsphilosophie), ma piuttosto declinata come «antropologia della cul-
tura e della storia».65
Tenendo a mente tutto ciò, se bisogna partire dalla problematica doman-
da sulla natura dell’uomo per disporsi a un’antropologia filosofica, occor-
re porsi una «metadomanda»: che cosa vogliamo sapere quando ci chiedia-
mo che cosa sia l’uomo?66 Quali risposte ci attendiamo da una domanda del
genere? Innanzitutto, l’essenza dell’uomo non è un contenuto immediato
della coscienza. È dunque definibile l’uomo? Ma, a monte ancora: è dav-
vero importante definirlo?67
La strada blumenberghiana sarà appunto la
I miei dubbi in merito si riferiscono al fatto che trascuri il ruolo della conti-
nuità come precondizione di ogni possibile discontinuità. Così preferisco l’idea
di «rioccupazione» di una struttura di posizioni che rimane intatta, che è pre-
78 J. Diamond, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredici-
mila anni, Einaudi, Torino 2000, p. 325.
79 Ivi, p. 324.
80 Cfr. C. Renfrew, Preistoria, cit., pp. 116-120.
81 Cfr. ad esempio J.H. Barkow, L., Cosmides, J., Tooby (a cura di), The Adapted
Mind. Evolutionary Psychology and the Generation of Culture, Oxford Universi-
ty Press, Oxford–New York 1992; H. Plotkin, Evolution in Mind: An Introduction
to Evolutionary Psychology, Allen Lane, London 1997.
82 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 536.
Antropologia fenomenologica e filosofia della preistoria 43
supposta da un punto di vista funzionale e che rende dei mutamenti parziali non
solo ‘tollerabili’, ma soprattutto ‘plausibili’.83
che il nuovo nella storia non possa essere di volta in volta qualcosa di arbi-
trario, ma sia soggetto a un rigore di aspettative e di bisogni precostituiti rap-
presenta la condizione grazie alla quale possiamo avere qualcosa come una co-
noscenza della storia. Il concetto di rioccupazione designa come implicazione
il minimo di identità che deve poter essere reperito, o per lo meno presupposto,
e ricercato anche nel movimento più movimentato della storia.88
ni sociali e materiali, quanto ‘che cosa c’è dietro’, ossia le sue condizioni
trascendentali preparate, nel linguaggio di Foucault dagli «a priori
storici»,102 in quello di Blumenberg dalle immagini del mondo e dai reper-
ti metaforici a cui il linguaggio e l’immaginazione restano ancorati: in al-
tre parole, il rapporto fra l’«archivio» e l’«attuale»,103 o il debito del pre-
sente nei confronti del vecchio mondo.104 Blumenberg chiama «metafore
assolute» i «geroglifici spirituali dell’esistenza storica» e «metaforologia»
il «luogo di costituzione dell’archivio trascendentale della memoria stori-
co-ideale»,105 ma la prossimità dei due autori è innegabile. Sebbene in Fou-
cault la dimensione antropologica sia completamente assente, anche nei
termini ‘funzionalistici’ in cui la intende Blumenberg.
Blumenberg, infatti, non pretende di interrogare l’essere dell’uomo né le
strutture eterne di una soggettività, o un’origine che sa inattingibile, ma
certamente i bisogni strutturali cui lungo la storia l’uomo tenta di risponde-
re e un’immagine del suo passato remoto, assieme ai bisogni circostanzia-
ti che la storia stessa produce entro questi tentativi, modificandoli ma non
eliminandoli.
Tali contaminazioni e affinità, nonostante le differenze segnalate, aiuta-
no a comprendere come, soprattutto, nel peculiare Historismus106 di Blu-
menberg vi sia una sensibile correzione della concezione husserliana della
storia dello spirito. Qui, il tramandarsi delle nozioni entro la temporalità in-
tersoggettiva, il costituirsi della «tradizione», si dà in forma di «sedimenta-
zioni», bagagli di esperienza trasmessi alla generazione successiva, «con la
quale si stabilisce così un fondamentale nesso associativo».107 La «comu-
nità intenzionale» si compone nella dimensione del tempo grazie al «con-
tributo operativo» di ciascuno che si somma a quello degli altri.108 Volendo
individuare la differenza decisiva tra la concezione della coscienza storica
husserliana e quella blumenberghiana, la si potrebbe rintracciare in ciò:
ogni antropologia, anche quella che lo nega, è al suo cuore storica. Ammet-
terlo non esclude di vedere in ciò anche il suo limite e la sua intollerabilità. Re-
sta inconcepibile per il soggetto umano che l’esperienza immediata di sé, l’es-
sere assorto nella meditazione su di sé, l’estrema concentrazione su questo Sé
evidentemente non avvicinino di un passo alla risposta alla vecchia domanda
su che cosa sia l’uomo. L’indecenza sta nella contingenza delle digressioni e la
storia è la più grande, la più casuale, perciò anche la più scandalosa di queste.
Tuttavia proprio perciò è quantomeno più vicina delle insufficienze dell’intro-
spezione e della riflessione all’esaurimento dell’orizzonte delle possibilità. [La
consapevolezza] che però, nella fatticità delle situazioni e dei rapporti storici,
il singolo resti dipendente da un modello provvisorio di se stesso, poiché non
ottiene alcun appiglio per ciò che il frammento riservatogli da questa storia può
esigere dal suo potenziale di destino (Schicksalkapazität), rimane l’atteggia-
mento preventivo per mantenersi impassibili quanto necessario per essere
all’altezza della contingenza. È sempre grande la tentazione, specialmente nel-
le epoche più calme, di applicare l’allenamento alla vita a un orizzonte stretto
di possibilità, a una gamma di richieste meno esotica. Deve diventare visibile
come l’allenamento e la richiesta si relazionino l’uno all’altra, come l’uno ven-
ga legittimato dall’altra. Ma quanto più l’allenamento alla possibilità viene li-
mitato, tanto più cresce dai limiti di quella disposizione la paura vitale di fron-
te all’orizzonte delle possibilità sconosciute e impensate. Già l’accenno di un
più forte spalancarsi di una realtà prevista e di una possibilità che si annuncia,
tra la statistica e l’immaginazione, incrementa l’incertezza elementare, risve-
glia il bisogno di prevenzione indeterminata, di approssimazione all’onnipo-
tenza.112
5. Fenomenologia e preistoria
più che l’inizio del filosofare, l’uscita nella contingenza: la ragione è in-
somma condizionata e sempre sottoposta alla pressione della realtà e, di
conseguenza, all’esigenza di autoconservazione; perciò non è libera di di-
spiegarsi completamente nel compito di trasformazione dell’atteggiamen-
to naturale in attitudine teoretica, perché deve dispiegare un quantum di
metaforicità allo scopo di sopravvivere.120
Declinando la riflessione sull’uscita dalla Lebenswelt alla stregua di
un’«ermeneutica del pericolo», che incombe sul soggetto dal momento del
suo abbandono, Blumenberg accede – come appena osservato – a una con-
cezione della storia in cui il continuum è rappresentato dallo sforzo di au-
toconservazione e il dinamismo dai differenti tentativi di soddisfarlo.121 Se
la Lebenswelt è – come vuole Husserl – non solo la posizione di partenza
storica dell’atteggiamento teoretico, ma un substrato sempre presente, un
grado di inesauribile contemporaneità, ciò va inteso in termini conflittuali
e antropologici: i mondi della vita si ripropongono contro o come esito
quasi-dialettico dello sforzo teoretico di destituirli, poiché inesausto è il bi-
sogno umano di ricostruirli e perché rappresentano una strategia di auto-
conservazione, di produzione di distanza, alternativa e spesso più funzio-
nale dell’Aufklärung come forma di «realismo».
In tal modo dunque, riflessione fenomenologico-trascendentale, antropo-
logia filosofica e fenomenologia della storia precipitano in una teoria con-
getturale sull’antropogenesi, sulle condizioni di possibilità dell’ominazione.
Fenomenologia e antropologia si correggono vicendevolmente, generando
così una domanda di tipo genetico-trascendentale che apre uno squarcio sul-
la storia profonda dell’umanità. La fenomenologia della storia sarà allora
ancora il metodo per gettare uno sguardo sulla preistoria e mostrare i rudi-
menti del funzionamento dei processi storici e dei propri stessi concetti.
L’Umbesetzung – come mostrerò – è riproponibile, assieme alla «meta-
fora speculativa» del «trauma da separazione», come categoria applicata
alla conservazione della vita attraverso le sue trasformazioni filogenetiche
e le incessanti espulsioni e rioccupazioni del proprio elemento.122 Negli
abissi del passato delle specie e nell’antropogenesi Blumenberg traccia
l’ultimo schizzo delle strutture della storia e della teoria dei concetti di re-
6. Archeologia e metaforologia
123 Cfr. ivi, p. 66. La descrizione di quattro concetti di realtà definiti storicamente e in
ultimo legati alle implicazioni preformate che caratterizzano ciascuna epoca si
trova in H. Blumenberg, Wirklichkeitsbegriff und Möglichkeit des Romans, in
Nachahmung und Illusion, «Poetik und Hermeneutik», n°1, 1964, pp. 49-54.
124 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 535.
125 B. Accarino, Visibilità e modernità. Hans Blumenberg tra antropologia e filosofia
della storia, in Hans Blumenberg. Mito, metafora, modernità, ciclo di conferenze
della Fondazione Collegio San Carlo di Modena, 23.03.1994.
126 Cfr. H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 22; né in Beschreibung des
Menschen, né in Theorie der Lebenswelt, né in Zu den Sachen und zurück, né in
Theorie der Unbegrifflichkeit ci sono riferimenti all’autore.
52 Dialettica della caverna
Uno dei tanti possibili incipit, dei «c’era una volta» con cui cominciare
a narrare la storia di come l’uomo è divenuto se stesso, parte da una pietra
raccolta da terra e gettata lontano. Se ci si domanda quando, perché e in
quali circostanze questo gesto sia balenato nella mente del ‘primo uomo’,
subito si affaccia l’ipotesi che – al contrario – sia stato piuttosto un prime-
vo barlume di mente a balenare in quel gesto. Blumenberg pensa a un vico-
lo cieco, un «cul-de-sac»: lo «scenario originario» della Menschenwerdung
è il teatro di una scena di fuga, o meglio, di «fuga negata» e di un recupero
tardivo, imprevisto e rocambolesco del «principio di lotta».1 L’antenato
dell’uomo, l’animale fuggiasco (Fluchttier) che ha progressivamente per-
duto l’equipaggiamento biologico indispensabile per affrontare con suc-
cesso uno scontro corpo a corpo col proprio predatore, potrebbe essersi tro-
vato in una situazione senza via d’uscita, un Sackgasse che lo costringe a
interrompere la corsa, voltarsi e fronteggiare l’inseguitore; una situazione
limite che lo induce a imboccare un sentiero inatteso, attingendo da una ri-
serva antica di prestazioni qualcosa che mai si era rivelato decisivo in un
frangente come questo: la capacità di ergersi per breve tempo sui soli arti
inferiori, liberando quelli superiori. È così che il preominide, guardando
dritto davanti a sé in direzione del pericolo, poté afferrare un sasso da terra
e scagliarlo con forza. Chissà quante volte prima di questo fortuito fran-
gente in cui una mano, tastando il terreno circostante, percepì sotto i polpa-
strelli un oggetto, una «produzione casuale della natura» potenzialmente
utile alla difesa, chissà quante volte la selezione naturale aveva svolto il
suo spietato mestiere, e a quanti aveva comminato l’«ordinaria punizione
biologica» di venire estromessi per sempre dall’albero genealogico degli
organismi viventi. Per questo l’Urszenario è qui da intendersi eminente-
mente come tale, una circostanza casuale così come – è convinto Blu-
2 Ivi, p. 576.
3 Ibidem.
4 Blumenberg riprende tale dicitura da Paul Alsberg: cfr. P. Alsberg, Das Men-
schheitsrätsel, J. Paul (a cura di) 2010: http://www.vordenker.de/alsberg/p-alsberg_
menschheitsraetsel.pdf, p. 74; ed. orig. del 1922). Questa «scimmia che partorisce
l’uomo» (menschengebärend), denominata «metapiteco», al contempo progenitri-
ce dei pongidi, coinciderebbe a sua volta con l’«ancient member» ipotizzato da
Charles Darwin o con quel primate denominato Ramapithecus dal suo scopritore
Edward Lewis, che ne rinvenne alcuni resti in India nel 1932. Secondo gli studi
più recenti, non solo il Ramapithecus con ogni probabilità non è imparentato con
l’uomo, ma soprattutto l’evoluzione ominide non ha seguito un’unica strada, ben-
sì si è diramata in mille rivoli, molti dei quali conclusisi con l’estinzione della spe-
cie, secondo un modello «a cespuglio» (cfr. I. Tattersall, La scimmia allo spec-
chio: saggi sulla scienza di ciò che ci rende umani, Meltemi, Roma 2003).
5 J. Fischer, Philosophische Anthropologie, cit, p. 47.
Risvegli 59
tibilità, che il ricordo del primo successo.37 Perciò alla specie umana non
basta una memoria a breve termine, ma occorre una Lebenszeitgedächnis
che consenta lo sviluppo della facoltà di «astrarre» e trascenda il tempo
della vita di individui e generazioni come «capacità di avere una tradizio-
ne». È questa l’unica forma a noi conosciuta di «ereditarietà dei caratteri
acquisiti»: laddove nulla possono la complessa meccanica del genoma e le
mutazioni selettive, là giunge la nostra facoltà di ricordare oltre il tempo di
un’esistenza intera e addirittura al di là della durata di tutta una cultura. In
tal senso linguaggio e scrittura fungono da «stabilizzatori, portatori di
persistenza».38
Cionondimeno, col trascorrere del tempo, l’adesione interiore a quel
principio di sviluppo innescherà una potenza dinamica di progressivo adat-
tamento morfologico, «recupero» somatico di quanto anticipato sul piano
delle prestazioni, che avrà come risultato una crescente riduzione della
possibilità di volgersi indietro, finché il principio di sviluppo non condurrà
a un punto di non-ritorno. Mutamenti corporei, come la perdita graduale di
mobilità orizzontale per le zampe d’appoggio, renderanno sempre meno
agevole il ricorso al principio di fuga quale alternativa di sopravvivenza,
obbligando a tollerare il confronto. Fino a quando per l’uomo «l’eventuali-
tà di una ricaduta» non cesserà di esistere: poiché ciò che produce ed esco-
gita lo inchioda sempre più inesorabilmente alla strada un tempo imbocca-
ta. Il toolmaker celebrato da Benjamin Franklin è al contempo una creatura
toolmade (werkzeugschaffen): «attraverso ciò che fa, diviene in modo sem-
pre più preciso e stringente ciò che è».39
Eppure, al contempo, sarà il «privilegio dell’immaturità»40 così ottenuto
a suggerire all’uomo gli stratagemmi meravigliosi con cui incessantemen-
te tenterà di diventare adulto.
Si potrebbe dire che nell’Urzsenario della fuga negata – molto tempo ad-
dietro rispetto al sorgere dei monumenti megalitici preistorici – abbia luogo
«la prima domesticazione del minerale»41 da parte dell’uomo e inizi la sto-
ria dell’entrata «nel mondo diverso» in cui i linguaggi degli uomini e delle
pietre si intrecciano.42 A partire da questo momento esse divengono multi-
formi e multifunzionali in un modo completamente nuovo e, a sua volta,
l’uomo apprende da loro la propria prestazione fondamentale: se è lecito
chiamare sineddoticamente «linguaggio delle pietre» il linguaggio della di-
stanza, è questo il codice che lo Steinwurf mette per la prima volta a dispo-
sizione del nostro antenato. Più correttamente, la nuova prestazione ‘fa’
l’uomo, il quale altro non è che «l’essere dell’actio per distans»,43 dell’azio-
ne compiuta grazie all’interposizione di un medium spaziale e temporale.
Tramite la schematica radicale della rappresentazione della situazione
genetica umana, Blumenberg suggerisce una «risposta alla domanda su
come l’uomo sia possibile», che potrebbe così suonare: «mediante la di-
stanza». In tal modo individua un’«unità sitematico-funzionale» nella mol-
teplicità differenziata delle nostre facoltà,44 il «radicale specifico del com-
plesso delle prestazioni umane».45 La produzione della distanza costituisce
il Menschheitsprinzip che guida l’umanità dal suo «primo atto di resisten-
za» fino alle più sofisticate costruzioni concettuali. Tutto, nel nostro agire,
risponde ancora all’arcaica esigenza di «tenere la realtà alla larga dal
corpo».46 L’originario distanziamento in senso spaziale, come creazione di
una barriera fisica che trattiene il nemico lontano da sé, assume via via ar-
ticolazioni sempre più complesse e annuncia già l’acquisizione della di-
mensione temporale, nella forma della «prevenzione». Agire prima che
una presenza estranea potenzialmente pericolosa varchi la soglia oltre la
quale siamo fisicamente vulnerabili è l’imperativo che regola le strategie
resistenziali dell’umanità fin dai primordi, trasformando mediante
l’«anticipazione», la «previsione», infine la negazione preventiva delle
mosse dell’avversario, la difesa in attacco. A causa dell’«incostanza dell’o-
rizzonte» che contraddistingueva il suo «remoto mondo della vita», l’uomo
ha acquisito la propria «costituzione preventiva» come «arte del non-avvi-
cinarsi-troppo, del non-essere-troppo-aperti»47 e al contempo penetrare in
42 F. Jesi, Il linguaggio delle pietre. Alla scoperta dell’Italia megalitica, Rizzoli, Mi-
lano 1978, p. 21. Per un’ampia trattazione di questo affascinante testo di Jesi si
veda E. Manera, Furio Jesi. Mito, violenza e memoria, Carocci, Roma 2012, pp.
96-105.
43 H. Blumenberg, Theorie der Unbegrifflichkeit, cit., p. 10.
44 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 570.
45 Ivi, p. 575.
46 Ivi, p. 578.
47 H. Plessner, I limiti della comunità. Per una critica del radicalismo sociale, La-
terza, Bari 2001, p. 98.
Risvegli 67
68 Cfr. O. Müller, Natur und Technik als falsche Antithese, cit., p. 101. Per il dibatti-
to di quegli anni bisogna nominare, naturalmente, in primis Heidegger, con la sua
Frage nach der Technik (1954), ma già con la definizione della tecnica come
«produzione incondizionata» in Brief über den Humanismus (1947), che infatti
Blumenberg cita fin dal saggio del 1951 (cfr. H. Blumenberg, Das Verhältnis von
Natur und Technik als philosophisches Problem, in Ästhetische und metaphorolo-
gische Schriften, A. Haverkamp, a cura di, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2001, p.
265); ma anche, per menzionare solo alcuni nomi celebri, Anders (cfr. G. Anders,
L’uomo è antiquato cit.; edito per la prima volta nel 1956) e Horkheimer (cfr. M.
Horkheimer, Eclisse della ragione. Per la critica della ragione strumentale, Ei-
naudi, Torino 1969; edito per la prima volta negli U.S.A. come Eclipse of Reason
nel 1947 e poi, nel 1967, in Germania come Zur Kritik der instrumentellen Ver-
nunft). Estremamente influenti per quella stagione filosofica e per Blumenberg
stesso sono però anche le meditazioni sulla tecnica di Ortega y Gasset del 1939 (J.
Ortega Y Gasset, Meditación de la técnica, in Obras completas, V. 1933-1941,
Revista de Occidente, Madrid 1964, pp. 317-375), cui si fa riferimento sempre nel
primo saggio (cfr. H. Blumenberg, Das Verhältnis von Natur und Technik als phi-
losophisches Problem, cit., p. 264) e, certamente, le riflessioni husserliane sulla
crisi delle scienze europee del 1936 (cfr. E. Husserl, La crisi delle scienze euro-
pee, cit., ad esempio pp. 188-192), anch’esse ampiamente analizzate (cfr. H. Blu-
menberg, Mondo della vita e tecnicizzazione dal punto di vista della fenomenolo-
gia, cit., pp. 19-49).
69 Cfr. H. Blumenberg, Mondo della vita e tecnicizzazione dal punto di vista della fe-
nomenologia, cit., pp. 11-49. I testi precedenti sono Das Verhältnis von Natur und
Technik als philosophisches Problem, la cui prima pubblicazione si trova in «Stu-
dium Generale», n°4, 1951, pp. 461-467; Technik und Wahrheit, in «Zeitschrift für
Kulturphilosophie», n° 2/I, 2008, pp. 137-143 (ed. orig. del 1953); „Mimesi della
natura“. Sulla preistoria dell’idea dell’uomo creativo, in Le realtà in cui viviamo,
cit., pp. 50-84 (ed. orig. del 1957); Ordnungsschwund und Selbstbehauptung.
Über Weltverstehen und Weltverhalten im Werden der technischen Epoche, in
Geistesgeschichte der Technik, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2009, pp. 101-136
(ed. orig. del 1962).
Risvegli 71
cui si fonda il complesso rapporto tra natura e tecnica nei termini di una
«posizione intenzionale» (willentliche Setzung):70
70 H. Blumenberg, Das Verhältnis von Natur und Technik als philosophisches Pro-
blem, cit., p. 254.
71 Ibidem.
72 Ivi, p. 257.
73 Cfr. ivi, p. 259.
74 O. Müller, Natur und Technik als falsche Antithese, cit., p. 104.
75 H. Blumenberg, Le realtà in cui viviamo, cit., p. 10.
72 Dialettica della caverna
76 H. Blumenberg, Mondo della vita e tecnicizzazione dal punto di vista della feno-
menologia, cit., p. 32.
77 Cfr. H. Blumenberg, Die ontologische Distanz, cit., p. 88; cit. in O. Müller, Natur
und Technik als falsche Antithese, cit., p. 102.
78 Ibidem.
79 H. Blumenberg, Das Verhältnis von Natur und Technik als philosophisches Pro-
blem, cit., p. 264.
80 H. Blumenberg, Technik und Wahrheit, cit., p. 138.
81 Ibidem.
82 Cfr. K. Marx, Il capitale, I, Editori Riuniti, Roma 1997, ad esempio p. 127.
83 O. Müller, Natur und Technik als falsche Antithese, cit., p. 107.
84 H. Blumenberg, Ordnungsschwund und Selbstbehauptung, cit., p. 102.
85 H. Blumenberg, Mondo della vita e tecnicizzazione dal punto di vista della feno-
menologia, cit., p. 11.
Risvegli 73
Il fatto che solo un anno dopo – nel saggio su Lebenswelt und Technisie-
rung – Blumenberg affermi che occorra comprendere la tecnicizzazione
come «processo», e dunque evitare di accogliere in modo «aproblematico»
l’assunto dell’antropologia filosofica e biologica che vorrebbe l’uomo qua-
le «essere naturale definibile proprio a partire dai suoi prodotti»,104 non
deve – a mio avviso – fuorviare. Ciò che qui si mette in discussione non è
la prospettiva antropologica in sé, ma una forma di antropologia essenzia-
listica, che definisce a priori l’uomo come «già un homo faber»105 senza
problematizzare l’origine di tale identità. Il che verrà ribadito ancora in Be-
schreibung des Menschen, quando la costruzione di un’antropologia diver-
rà un progetto esplicito, ma sempre nel quadro di un’impostazione storico-
fenomenologica, o genetica.
Sta di fatto che in quel passo del ’51 affiora già un’«antropologia della
tecnica»106. E non manca – in Technik und Wahrheit – un accenno fugace
alla Menschenwerdung, allorché si descrive la tecnicità umana non solo
come capacità di produrre oggetti, ma soprattutto come realizzazione tec-
nica di sé:107 nella catena organica l’uomo comincia laddove
processo spontaneo della storia, […] che non sembra stare in alcun com-
prensibile rapporto con la natura dell’uomo, ma che al contrario lo costringe ad
adeguarsi spietatamente a una natura che risponde in maniera inadeguata alle
sue richieste.117
119 Ibidem.
120 O. Müller, Sorge um die Vernunft, cit., p. 75.
121 Ivi, p. 73.
122 Cfr. B. Recki, Auch eine Rehabilitierung der instrumentellen Vernunft. Blumen-
berg über Technik und die kulturelle Natur des Menschen, in M. Moxter (a cura
di) Erinnerung an das Humane, cit., in particolare pp. 48-61.
123 Ivi, p. 48.
124 Ivi, p. 50.
125 Ivi, p. 51.
126 Ibidem.
127 Ivi, p. 53.
78 Dialettica della caverna
128 Ibidem.
129 Ivi, p. 54.
130 Per una definizione di «mito fondamentale» si veda H. Blumenberg, Elaborazio-
ne del mito, cit., p. 219.
131 Cfr. B. Recki, Auch eine Rehabilitierung der instrumentellen Vernunft, cit., p. 55.
132 Ivi, p. 58.
133 Ibidem.
134 H. Blumenberg, «Pensosità», cit., p. 5.
135 Ivi, p. 6.
Risvegli 79
Ciò che l’uomo biologicamente insufficiente (poiché esita solo chi «non
dispone di un bagaglio istintuale univoco»136) guadagna ricusando lo sche-
ma stimolo-reazione, consiste nell’«esperienza» (Erfahrung) come risulta-
to della percezione non di semplici «segnali», ma di «cose» passibili di es-
sere richiamate alla mente, capacità acquisita di aspettarsi «quello che di
volta in volta si manifesterà ancora».137 La stessa Ich-Identität, come cen-
tro di immagazzinamento e rielaborazione di vissuti d’ora in avanti sempre
disponibili, rivela il proprio carattere funzionale-protettivo:138 «imparare
dall’esperienza» significa, ben più che analizzare esperimenti andati a
buon fine, soprattutto registrare nella propria memoria le «precipitose in-
terpretazioni errate delle prime impressioni», in modo da non abbandonar-
si senza condizioni all’impulso e «porre il ritardo al proprio servizio».139 In
altri termini, l’uomo può sopperire alla propria inadeguatezza organica
esclusivamente «non concedendosi senza mediazioni a questa realtà», isti-
tuendo con essa un rapporto «indiretto, circostanziato, differito, selettivo e
soprattutto “metaforico”».140 Scrive Blumenberg in un passo di Die Sorge
geht über den Fluss:
142 Cfr. H. Blumenberg, Die Langsamkeit der Vernunft. Über die Verwechselbarkeit
anthropologischer und politischer Kategorien, in Ein mögliches Selbstverständ-
nis, cit., p. 153.
143 Ortega y Gasset ha scritto che «l’uomo è un animale per il quale solo il superfluo
è necessario». J. Ortega y Gasset, Meditación de la técnica, cit., p. 329; cit. in O.
Müller, Zwischen Mensch und Maschine, cit., p. 56.
144 Cfr. F. Heidenreich, Mensch und Moderne bei Hans Blumenberg, cit., p. 37; sul
concetto di epigenetica si veda ad esempio R.C. Francis, L’ultimo mistero dell’e-
reditarietà, La biblioteca delle scienze, Roma 2011.
145 F. Heidenreich, Mensch und Moderne bei Hans Blumenberg, cit., p. 37.
146 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 559.
147 Così Marco Russo traduce l’espressione blumenberghiana Leistungsstruktur. Cfr.
M. Russo, Il gioco delle distanze, cit., p. 265.
148 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 554.
Risvegli 81
La vita richiede utilità, però concede ai suoi favoriti l’esperienza della liber-
tà dallo scopo. È da qui che nasce ogni civiltà. Già nelle sue manifestazioni più
primitive, negli ornamenti come nella decorazione sugli oggetti d’uso, è conte-
nuto il gesto dell’acquisto della liberà dallo scopo, della sospensione dell’eco-
nomia. Dall’esitazione come momentanea perplessità, come pura utilizzazione
di un rinvio, può nascere la condizione che ha un valore di vita diverso di quel-
lo dell’esame delle scelte.154
149 Si ha qui a che fare con il teorema gehleniano del «profluvio di stimoli», che Blu-
menberg riprende letteralmente: in virtù della propria «apertura al mondo» come
«disancoraggio da un ambiente preciso» dai significati «istintualmente ovvi»,
l’uomo, scrive Gehlen nella sua opera capitale, «è soggetto a una profusione di sti-
moli assolutamente estranea alla natura animale, […] alla piena “senza scopo” di
impressioni che lo raggiungono e che egli deve in qualche modo padroneggiare»,
le quali pertengono a un mondo inteso come «campo di sorprese, dalla struttura
imprevedibile, che va elaborato, cioè esperito, con circospezione e prendendo
ogni volta misure e provvedimenti». A. Gehlen, L’uomo, cit., p. 63.
150 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 554.
151 Ivi, p. 555.
152 Ivi, p. 560.
153 Ivi, p. 559.
154 H. Blumenberg, «Pensosità», cit., p. 7.
82 Dialettica della caverna
stare a guardare restando con un palmo di naso», essa «ha un effetto liberatorio,
alleggerente perché, cercando di accettare tutto, costituisce un risparmio di rimo-
zione, sospensione del dispendio della disciplina necessaria all’istupidimento.162
155 Per altre ipotesi eziologiche sull’atteggiamento teoretico si veda P. Sloterdijk, Sta-
to di morte apparente. Filosofia e scienza come esercizio, Raffaello Cortina, Mi-
lano 2011, pp. 73-106.
156 O. Marquard, Lebenszeit und Lesezeit, cit. p. 269.
157 Cfr. H. Blumenberg, «Pensosità», cit., pp. 10-12.
158 Ivi, p. 8.
159 H. Blumenberg, La caduta del protofilosofo o la comicità della teoria pura (sto-
ria di una ricezione), Pratiche, Parma 1983, p. 15.
160 Esiste e regola l’esistenza umana, secondo Blumenberg, qualcosa come
l’«opportunità dell’inopportuno» (eine Zweckmäßigkeit des Unzweckmäßigen),
che Bruno Accarino chiama a sua volta «la funzionalità del disfunzionale» che ani-
ma ogni dilazionamento, ogni digressione: qualcosa di rigoglioso e metastatico,
una «fantasia procedurale» che consente di prendere respiro di fronte alla rapidità
dei processi cui si è esposti. H. Blumenberg, Approccio antropologico all’attualità
della retorica, cit., pp. 101-102; B. Accarino, Nomadi e no, cit., p. 304.
161 O. Marquard, Esilî della serenità, in Estetica e anestetica, il Mulino, Bologna
1994, p. 117.
162 Ivi, p. 118.
Risvegli 83
stanti dell’agire umano, che non può essere risolta a vantaggio dell’uno o
dell’altro polo dell’indagine. Benché il moderno sapere scientifico abbia
assunto l’aspetto di un perpetuum mobile (secondo una definizione di Vic-
tor Hugo) autosufficiente ed estraneo a motivazioni provenienti dalla sfera
del mondo della vita,163 è forse plausibile assumere seriamente «la questio-
ne antropologica» sulla spinta che ha originato l’impulso al sapere. Acco-
gliendo la distinzione proposta da J. Mittelstrass tra «curiosità ingenua» e
«curiosità riflessa» – ove quest’ultima costituirebbe il proprium della mo-
dernità –, Blumenberg accenna a una possibile risposta:
Per la genesi della storia umana, la riduzione della foresta pluviale del
Terziario e la conseguente migrazione delle specie che l’abitavano verso la
steppa170 assumono pertanto un ruolo capitale. Lasciate le zone boschive, il
nostro antenato si trova dinnanzi un habitat inesplorato, caratterizzato da
«vastità e apertura ottica»:171 ciò che avviene in sostanza è una dilatazione
nella savana, varca una soglia simile a quella tra mare e terra, servendosi di
una peculiarità prima non necessaria: l’andatura eretta.187
Già Darwin, all’epoca di The Descent of Man (1871), era convinto che
«qualche antico membro della serie dei primati» avesse modificato il pro-
prio modo di camminare dopo aver cominciato «a vivere un po’ meno su-
gli alberi», a causa dell’insorgere di un nuovo modo di procurarsi il cibo o
«per qualche cambiamento di condizioni ambientali»,188 e che l’acquisizio-
ne del bipedismo fosse stata il motore primo (e immediato) del perfeziona-
mento della manualità e delle facoltà intellettuali umane.189 E il collega e
co-inventore dell’evoluzionismo Alfred Russel Wallace concordava con
tale assunto darwiniano, secondo cui «la perfezione della struttura corpo-
rea», raggiunta dall’uomo per selezione naturale, aveva comportato paral-
lelamente l’aumento di volume e lo sviluppo del cervello.190
Blumenberg (benché del parere che la teoria della selezione naturale e
dell’adattamento ambientale non colga la peculiarità dello sviluppo uma-
no) è ancora persuaso che il carattere morfologico distintivo più certo che
separa l’uomo dal resto del regno animale – seppur prerogativa saltuaria
anche di altri esseri viventi – consista senz’ombra di dubbio nel bipedismo,
che ha dato il nome all’antenato più prossimo del sapiens: Homo erectus,
comparso un milione e mezzo circa di anni fa ed evolutosi nella specie
‘biologicamente moderna’ cinquecentomila anni fa.191 Da un lato dunque,
in accordo con la tesi ormai più accreditata in ambito scientifico, egli so-
stiene e rafforza il primato della rivoluzione posturale rispetto alla compar-
sa delle prestazioni razionali più complesse, legate alla categoria fonda-
do compreso tra 4 e 3 milioni di anni fa circa) di cui si sa che adottavano una po-
stura eretta, quantomeno sul terreno. Il genere Homo e la specie Homo erectus ap-
pariranno molto dopo. Cfr. I. Tattersall, Il mondo prima della storia. Dagli inizi al
4000 a.C., Cortina, Milano 2009.
187 H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 18.
188 C. Darwin, L’origine dell’uomo, Editori Riuniti, Roma 1966, p. 66.
189 Cfr. ivi, pp. 66-72.
190 Cfr. A.R. Wallace, Darwinism. An Exposition of the Theory of Natural Selection
with some of its Applications, Macmilland and co., London 1889, p. 461. Wallace
credeva tuttavia che le capacità superiori dell’uomo, morali, intellettuali e spiri-
tuali, non fossero il prodotto dell’evoluzione per selezione naturale da altre specie
animali, ma il risultato dell’intervento di una potenza superiore. Cfr. ivi, pp. 461-
478; cfr. anche S.J. Gould, Il pollice del panda. Riflessioni sulla storia naturale,
Il Saggiatore, Milano 2009, pp. 39-50.
191 Blumenberg sa bene, e in ciò mostra l’attualità del suo pensiero, che l’evoluzione
umana è stata un cammino incerto, dagli esiti assolutamente imprevedibili, e che
anche il passaggio da erectus a sapiens non era affatto garantito.
88 Dialettica della caverna
un salto situazionale, che trasformò l’orizzonte lontano, non occupato, nel per-
manente stare-in-attesa di cose fino a quel momento sconosciute.196
196 H. Blumenberg, Elaborazione del mito, cit., pp. 25-26. Corsivo mio.
197 Cfr. H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 764.
198 Ivi, p. 870.
199 O. Müller, Sorge um die Vernunft, cit., p. 148.
200 Cfr. H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo, cit., p. 323.
201 R.A. Klein, Das Ende der Humanevolution?, cit., p. 173.
202 Cfr. H. Spatz, Vergangenheit und Zukunft des Menschenhirns, in «Jahrbuch der
Akademie der Wissenschaften und der Literatur», 1964, pp. 228-242.
90 Dialettica della caverna
condo cui zone diverse del cervello si sviluppano in tempi diversi e, nella
fattispecie, nei primati le funzioni non automatiche e le rispettive parti di
materia grigia si accrescono in un secondo momento, ma tendono in segui-
to a prevalere e accelerare la propria crescita rispetto alle zone più antiche,
il cui cammino si ferma o addirittura recede.203 Introducendo i principi del-
l’«introversione» e della «prominazione», Spatz formula l’ipotesi secondo
cui, durante la filogenesi e l’ontogenesi, si sarebbero ritirate quelle regioni
nervose deputate a mansioni vitali e istintive, mentre si sarebbe ampliato
l’areale della neo-corteccia, legato a prestazioni più elevate, culturali.204 La
storia del cervello – sostiene Spatz – è «una storia endogena»,205 storia del-
lo straordinario sviluppo di un organo che non segue processi evolutivi
classici di interazione esogena con l’ambiente, per la quale dunque sareb-
be meglio non parlare più di evoluzione in senso selettivo. Se la teoria di
Spatz è vera, la recessione della funzione olfattiva seguita allo sviluppo ce-
rebrale della neo-corteccia sarebbe una delle premesse per l’assunzione
della postura eretta e, a sua volta, dipenderebbe dallo spostamento in avan-
ti degli occhi richiesto dalla visione prospettica; il che significa, secondo
Blumenberg, che «l’ottica deve avere già avuto un ‘vantaggio’, prima che
cominciasse il processo che ha condotto al bipedismo (Aufrichtung)».206 La
teoria di Spatz207 è perciò evidentemente capace di conciliarsi con quella di
203 Per la trattazione delle ricerche di Spatz cfr. H. Blumenberg, Beschreibung des
Menschen, cit., pp. 541-549.
204 Cfr. J. Bauer, Maße der Distanz zur Natur, cit., p. 154.
205 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 540.
206 Ivi, p. 542.
207 Hugo Spatz non è l’unico autore citato da Blumenberg per quanto riguarda gli stu-
di neurologici. Grande attenzione è riservata ad esempio alle ricerche del gineco-
logo olandese Klaas De Snoo, cominciate già a partire dal 1932, sui rapporti tra
andatura eretta, gestazione umana e sviluppo cerebrale (cfr. K. De Snoo, Das Pro-
blem der Menschenwerdung im Lichte der vergleichenden Geburtshilfe, Fischer,
Jena 1942; cit. in H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., pp. 580-581);
o al principio della «cerebrazione progressiva» formulato nel 1929 dal neuro-ana-
tomista Constantin von Economo (cfr. C. von Economo, Der Zellaufbau der
Großhirnrinde und die Progressive Cerebration, in «Ergrebnisse der Physiolo-
gie», n°29, 1929, pp. 82-128; cit. in H. Blumenberg, Beschreibung des Mesnchen,
cit., p. 541); o al concetto di «internazione» con cui Adolf Remane anticipava già
nel 1952 l’idea di Spatz dell’eterocronia dello sviluppo delle regioni nervose (cit.
in H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 542). Vari interpreti di
Blumenberg hanno posto l’attenzione sul suo uso poco ortodosso della letteratura
scientifica. Le fonti paleoantropologiche cui attinge risalgono in gran parte agli
anni ’20 e per la descrizione del cervello – come riporta Bauer – non recepisce
solo i risultati più attuali (ossia le scoperte neuro-anatomiche degli anni ’70), ma
Risvegli 91
cita testi che hanno tra i dieci e gli ottant’anni. «L’attualità dei risultati», sostiene
Bauer, «non può perciò essere stata per Blumenberg l’interesse dominante», come
dimostra il fatto che non vi sia traccia della «svolta cognitiva» che negli anni ’60-
’70 investì la psicologia e di conseguenza l’interpretazione delle scoperte neuro-
anatomiche (J. Bauer, Maße der Distanz zur Natur, cit., p. 156). Inoltre, sebbene
la letteratura su cui Blumenberg si concentra non sia irrilevante per la storia della
ricerca neurologica, non è quella che oggi si ritiene ‘scolastica’ (a tal proposito
Bauer riporta la notizia secondo cui, per la propria ricerca, Hugo Spatz avrebbe
approfittato dell’Aktion T4 del Reich e utilizzato consapevolmente cervelli di per-
sone uccise dal ’37 fino a dopo la fine della guerra). Secondo Bauer, scopo di Blu-
menberg non é intraprendere una ricerca aggiornata né rappresentare l’ampia cor-
rente degli studi sul cervello; le fonti di cui si serve sono valide e stimolanti per
lui per un altro motivo: «con documenti empirici di diverse epoche e contesti,
Blumenberg può mettere in risalto proprio il carattere storico di ciascuna antropo-
logia e con ciò anche quello delle scienze empiriche che si occupano dell’uomo»
e dei loro risultati. Così «l’antropologia stessa di Blumenberg, attraverso l’anco-
raggio a precise interpretazioni storiche delle scoperte empiriche, si comporta in
modo storico-contingente: è una descrizione dell’uomo in un preciso momento e
contesto e non intende assolutamente dissimularlo» (ivi, p. 157). Secondo Sava-
ge, l’ausilio della «più datata ricerca scientifica» è una conferma del carattere mi-
tico e fantascientifico del «proto-dramma» antropogenetico che Blumenberg met-
te in scena (cfr. R. Savage, Aporias of Origin, cit., p. 63). Diversamente, Sommer
offre una lettura molto meno liquidatoria del perché il senso e il valore della rico-
struzione narrativa di Blumenberg non rispondano al criterio dell’attuale stato
dell’arte della ricerca empirica: «ciò che la filosofia fenomenologica fa proprio
dei risultati [degli studi biologici, paleontologici, anatomici e neurologici dell’e-
poca] non diventa semplicemente obsoleto con loro. Poiché utilizza il sapere del-
le scienze positive non solo come contributi finiti per le proprie teorie, ma soprat-
tutto come occasioni e stimoli, come esortazione e incoraggiamento per ciò di cui
è capace con le sue sole forze: essa opera con finzioni e tipizzazioni, valori limite
ed esperimenti mentali, variazioni e trasformazioni dell’immaginazione». M.
Sommer, Nachwort des Herausgegebers, cit., pp. 904-905.
208 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 575.
92 Dialettica della caverna
saggi delle sue opere (oltre che – ovviamente – dal capitolo conclusivo di Beschrei-
bung des Menschen, dedicato alle Variazioni della visibilità (cfr. H. Blumenberg,
Beschreibung des Menschn, cit., pp. 777-895). Basti in questa sede citare – ancora
una volta – il capitolo che chiude Die Genesis der kopernikanischen Welt, dedica-
to proprio alla «visione» nel mondo copernicano. Il rapporto dell’uomo con la vi-
suale, con l’orizzonte, ha una sua storia e continua a evolvere e modificarsi nel cor-
so del tempo, ben oltre quel primo rovesciamento dell’ottica passiva in ottica attiva.
L’invenzione moderna del telescopio rappresenta un esempio unico di «come un
orizzonte ottico rimasto costante attraverso i millenni venga trasformato in un con-
fine continuamente dislocabile» (H. Blumenberg, The Genesis of the Copernican
World, cit., p. 640) e, allo stesso tempo, l’affermarsi del copernicanesimo ‘ristabi-
lisce una verità antropologica’ obliata dal «postulato della visibilità», ossia dal pre-
supposto della coincidenza perfetta tra uomo e cosmo, tra dotazione organica uma-
na ed elementi costitutivi della realtà: l’insufficienza biologica dell’uomo e la
limitatezza del suo campo visivo. Rompendo il postulato della visibilità, «il coper-
nicanesimo ha fatto a pezzi la coincidenza (che era già allentata, antropologicamen-
te) tra il mondo e gli organi umani: la congruenza tra realtà e visibilità» (ivi, p.
642). Per l’«uomo post-paradisiaco» la scienza «può basarsi su ciò che può essere
realizzato con mezzi indiretti», artificiali. Ivi, p. 638.
225 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 871.
226 Cfr. E. Rothacker, Philosophische Anthropologie, Bouvier, Bonn 1964, p. 123.
227 H. Blumenberg, Zu den Sachen und zurück, cit., p. 182.
96 Dialettica della caverna
Una volta uscito dalla regolarità di una condizione in cui il suo comportamen-
to era determinato dall’ambiente, l’animale ominide ha a che fare con l’ineffica-
cia degli indicatori e delle determinanti del suo comportamento, con l’indetermi-
natezza di ciò che le componenti della sua realtà “significano” per lui. Egli
reagisce alla scomparsa di significati rigorosi definendo delle significatività.230
rio sessuale, della smania di possesso, della pretesa di felicità, essa, nel con-
testo della «nuda autoconservazione», si manifesta nella forma non elabora-
ta e grezza dell’«angoscia panica» ed è strettamente dipendente dall’essere
gettati nella vastità degli spazi aperti circondati dall’orizzonte, allorché la
«simbiosi originaria» con l’ambiente di provenienza è stata spezzata.262
In tal senso, orizzonte aperto e Angst sono all’origine di un altro feno-
meno, la cui trattazione è al centro di Arbeit am Mythos: l’«assolutismo
della realtà». Il salto situazionale umano è accompagnato da un insieme di
effetti definibili come manifestazioni di questa forma primaria ed elemen-
tare di assolutismo, ossia di uno stato in cui l’uomo non controlla le condi-
zioni della propria esistenza e, ancora più importante, semplicemente cre-
de di non controllarle; percepisce se stesso alla mercé del «potere
soverchiante» di ciò che è «per lui, di volta in volta, l’Altro».263 Parafrasan-
do Hobbes:
non può essere identificata con uno stadio teoretico preliminare a cui deb-
ba seguire un rapporto più autentico con ciò che si intende conoscere, ma è
una strategia volta a padroneggiare la precarietà dell’esistenza umana, una
«qualità apotropaica rispetto allo stordimento consegnato all’“assolutismo
della realtà”».267
Ai primordi dell’uomo si situa l’origine di tutte le prestazioni – non solo
tecnico-manuali – volte a «rendere conosciuto un mondo sconosciuto, deci-
frabile un’area inarticolata di dati di fatto». Questa è, nella sua prima mani-
festazione, la linea dell’orizzonte al di là del quale si stende il campo di ciò
che non è accessibile all’esperienza. «Riempire l’ultimo orizzonte, nel senso
del mitico “margine del mondo”, significa semplicemente anticipare le origi-
ni e le degenerazioni di ciò che non è familiare»,268 opporsi alla mancanza di
affidabilità del proprio mondo, all’assolutismo della realtà, approntando
«pratiche apotropaiche» basate sulla Leistung fondamentale della distanza.
E se – scrive ancora Blumenberg nel 1989, all’inizio di Matthäuspassion
– riempire «realmente» l’ultimo orizzonte, «percorrerlo» fisicamente, a
piedi, «misurarlo» attraversandolo, altro non è che un paradosso, una «me-
tafora dell’irrealizzabile», una fatica di Sisifo, poiché a ogni orizzonte illu-
soriamente raggiunto con i propri passi se ne apre uno nuovo «ugualmente
irraggiungibile»; se esiste in sostanza una «logica aperta dell’orizzonte»
che assume le sembianze di un «gioco semantico tra il conosciuto e lo sco-
nosciuto, nel quale nessuno dei due elementi è riducibile all’altro»,269 è al-
trettanto vero che l’occhio umano è l’organo che dispiega la propria indi-
spensabilità vitale proprio nella funzione di «ispezionare» l’orizzonte,
seguirlo in una delle sue direzioni possibili.270 Nell’antropogenesi l’occhio
diviene «organo dell’allungamento del passo (Ausgriff) delle funzioni or-
ganiche nell’ampiezza dello spazio».271 E ancora, a sua volta, il pensiero
supera lo sguardo, permettendo di esplorare l’orizzonte al di là del visibile:
l’intelligenza giunge laddove l’allargamento del raggio ottico non si può
spingere, il concetto offre prestazioni migliori della vista nella misura in
cui consente di superare l’orizzonte visivo.272 La declinazione dell’Angst in
Furcht, il depotenziamento dell’assolutismo della realtà, sono al contempo
processi di trasformazione dell’orizzonte in qualcosa di penetrabile quan-
tomeno nello spazio del pensiero. In questi termini, è vero, solo l’uomo
possiede un orizzonte in senso proprio, nella misura in cui può riferirsi
all’assente, ampliando il visibile nella direzione del pensabile273.
Con questo rivolgimento attivo, l’uomo trasforma l’orizzonte in «oriz-
zonte oggettuale» e costruisce per sé l’idea di «mondo», come il «più com-
prensivo degli orizzonti», «polidea regolativa di tutte le possibili
esperienze»,274 sullo sfondo del quale può operare l’«accentuazione» (Poin-
tierung), l’isolamento dell’oggettuale su cui si focalizzano l’attenzione e
l’intenzione.275 Il mondo, scrive Husserl nella Krisis, rappresenta per la co-
scienza l’«orizzonte universale, l’universo unitario di tutti gli oggetti»;276
Ed è l’idea di mondo – prosegue Blumenberg – che permette all’uomo di
affrontare il proprio paradossale desiderio di misurare l’orizzonte: il con-
cetto di orizzonte racchiude in sé l’ambivalenza di circoscrivere entro
un’unità visibile la molteplicità di ciò che è raggiungibile a livello senso-
riale, «indicando» così la pericolosità di un confine oltre il quale si estende
l’«eccetera» (das Und-so-weiter).277 Per «fuggire questo limite» l’uomo
cerca «nell’“orizzonte di tutti gli orizzonti” un mondo definito».278
E d’altra parte, poiché il concetto di orizzonte ha una relazione col tem-
po, nella misura in cui vicinanza e lontananza possono essere entrambe as-
sunte come metafore di passato e futuro, lo «schema ottico-spaziale» si ri-
vela efficace per la «comprensione della “realtà” che si dà nella
conoscenza e nell’esperienza vissuta»279 e l’orizzonte si configura poi nel-
la dimensione temporale universale come «storia». Poiché percorrere l’o-
rizzonte significa anche «abbracciare» tutto ciò che rientra nella posizione
che si occupa, in cui ci si intende «trasferire» con la propria comprensione,
ciò implica considerare quel che accade, che «ha luogo», ha avuto luogo o
avrà luogo, come qualcosa che sta «in primo piano» sullo sfondo di un
orizzonte temporale: a seconda di ciò che si mette a fuoco, un «orizzonte di
attesa» o un orizzonte «della memoria».280
Ogni Erlebnis ha un orizzonte intenzionale variabile a seconda delle sue
connessioni nella coscienza, sia nel momento stesso della percezione ester-
273 Cfr. F. Heidenreich, Mensch und Moderne bei Hans Blumenberg, cit., pp. 37-38.
274 H. Blumenberg, Mondo della vita e tecnicizzazione dal punto di vista della feno-
menologia, cit., p. 21.
275 Ivi, p. 22.
276 E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., p. 138.
277 Cfr. H. Blumenberg, Zu den Sachen und zurück, cit., pp. 22-23.
278 H. Blumenberg, Passione secondo Matteo, cit., p. 43.
279 Ibidem.
280 Cfr. ivi, pp. 43-44.
104 Dialettica della caverna
Ciò che è attuale in ogni esperienza può adesso essere il ricordo di un’in-
tera comunità culturale, il suo patrimonio di tradizioni, ma anche l’aspetta-
tiva rivolta al futuro che dipende da una peculiare e ben radicata coscienza
della possibilità.282
Un orizzonte che non posso mai raggiungere davvero, poiché si sposta insie-
me al movimento del mio corpo, ha il proprio significato precisamente per ciò
che mi nasconde, per ciò che non si è ancora mostrato come grandezza valuta-
bile; ma allora [ha il proprio significato] in termini soprattutto intersoggettivi,
nella misura in cui altri al mio posto possono attraversare quest’orizzonte in en-
trambe le direzioni, ricavare notizie da me, trasmettermene altre.294
te, che in parte devono costruire i loro dintorni e in parte no, ma una forma
di vita radicalmente e totalmente mondana».306 Già Scheler, nel 1928, era
partito dagli studi di Uexküll per giungere alla celebre definizione dell’uo-
mo come «essere spirituale», «persona», tale proprio in virtù della capacità
di emanciparsi dalla pressione e dalla dipendenza dall’organico, dalla
«vita»; dunque di essere «libero dall’ambiente-proprio» e «aperto al
mondo»,307 laddove l’animale fluttua «in un’indifferenza esistenziale con
l’ambiente e il suo gruppo, in una fusione emotiva col principio vitale».308
Mentre la «struttura dell’ambiente-proprio» si trova in perfetta sintonia con
la «struttura pulsionale» e la «struttura di rilevanza significativa»
dell’animale,309 «estaticamente immerso nell’ambiente-proprio», la forma
dell’«apertura al mondo» coincide con un comportamento «capace di un
ampliamento illimitato, vasto quanto l’estensione del “mondo” delle cose
esistenti»,310 che delinea lo spazio come campo occupato da oggetti verso
cui indirizzare azioni libere. «Ovunque vada, l’animale si porta dietro l’am-
biente-proprio come una struttura di rilevanza, alla guisa di una lumaca che
si porta in giro il proprio guscio», diversamente la mondanità umana è lega-
ta a un doppio movimento di «estraniazione» e «sostanzializzazione»:311
l’uomo, sfuggito alla prigione ambientale e alla supremazia della ‘simbio-
si’, è ‘a piede libero’ nel mondo.
Un anno dopo – appunto – col corso tenuto a Friburgo nel semestre inver-
nale 1929-30,312 Heidegger ripercorre e scava più in profondità lo iato traccia-
to da Scheler tra Umwelt e Welt.313 Nella celebre definizione dell’animale «po-
grande importanza, tanto che tra i due si era instaurato un intenso dialogo filoso-
fico (cfr. J. Fischer, Philosophische Anthropologie, cit., pp. 55-57).
314 M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica, cit., p. 253.
315 Ivi, p. 363.
316 Ivi, p. 305.
317 Ivi, pp. 316-317.
318 Ivi, pp. 324-325.
319 Ivi, p. 327.
320 Ivi, p. 337.
321 Ivi, p. 344.
322 Ivi, p. 231.
323 Ivi, p. 251.
324 Ivi, p. 232.
110 Dialettica della caverna
Solo un mondo estraneo alla «stretta unità funzionale»335 della Umwelt pote-
va tradursi nello spazio di conversione della mancanza in distanza, della mi-
norità in vantaggio. L’umana arte di vivere che rende l’uomo «formatore di
mondo» non potrebbe mai prodursi nella «bolla»336 ambientale di Uexküll.
Al contempo, da quella Kunst/Künstlichkeit la vita umana dipende completa-
mente: per gli umani, almeno ab origine, «creare una struttura storico-cultu-
rale […] non è un’opzione ma una necessità biologica».337
La tesi dell’uomo formatore di mondo è stata dunque sostanzialmente
fatta propria e rielaborata dall’intera tradizione antropologico-filosofica.338
Pur senza un esplicito riferimento a Heidegger, riallacciandosi direttamen-
te alle tesi di Uexküll, Gehlen ribadisce che «il mondo dell’animale non è
il nostro».339 Anziché seguire la via heideggeriana della frattura ontologica,
introduce il concetto di «istinto» – lasciato da parte da Uexküll che prefe-
riva parlare di «arco riflesso»340 – assegnandogli un ruolo centrale nel su-
peramento di una «concezione ecologica soggettivistica»341 che ha finito
per trascurare e cancellare, nel brulicare delle differenze individuali, la di-
stinzione primaria: «si prendono le figure comportamentali originarie, au-
tenticamente istintive, degli animali, che si rapportano ad ambienti natura-
li e a loro coordinati, per le specializzazioni acquisite del comportamento»
– Heidegger direbbe della «condotta» – «che nell’uomo corrispondono a
una ricca e articolata sfera culturale».342 L’uomo è contrassegnato da «aper-
tura al mondo» e «riduzione degli istinti», cui corrisponde un grado molto
alto di «plasticità» e «instabilità».343 Appurata l’inapplicabilità del concet-
to di Umwelt all’uomo,344 Gehlen vi oppone una nozione di «mondo» de-
clinata in senso fortemente cultural-antropologico, come il «grande tutto»
che per ogni essere umano contiene «la sua società, il suo milieu culturale,
per tutti gli esseri viventi» (M. Scheler, Gesammelte Werke, X. Schriften aus dem
Nachlaß, I. Zur Ethik und Erkenntnislehre, Bouvier, Bonn 1957, p. 312).
363 Cfr. A. Gehlen, L’uomo, cit., pp. 104-105.
364 Cfr. T. Pievani, Homo sapiens e altre catastrofi, cit.
365 «Centauro concettuale» ben più ostico di quanto possa apparire, a detta dello stes-
so Blumenberg (H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo, cit., p. 32),
che coniuga in sé la già discussa componente del «mondo» quale «integrazione di
totalità ed evidenza rispetto all’atteggiamento teoretico» e della «vita» intesa in
termini di «esistenza» piuttosto che di flusso vitale (ivi, p. 33), ma riferita in ogni
caso non alla dimensione soggettiva bensì alla «realtà come essa è innanzitutto e
per lo più». Ivi, p. 35.
366 H. Blumenberg, Selbstverständlichkeit, Selbstaufrichtung, Selbstvergleich, cit., p.
136. Corsivo mio.
367 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 656.
Risvegli 115
Partiamo dunque con l’analisi del primo corno del concetto, quello che
lo intende in senso storico-genetico. In realtà, l’uomo deriva dalla natura-
lezza dell’adattamento, ma come tale non è mai stato là. Dal primo germi-
nare del Menschheitsprinzip si trova già fuori di essa. La stessa Lebenswelt
remota non è propriamente da confondersi con un’Umwelt, perché – scrive
Blumenberg parafrasando Wittgenstein – un mondo della vita non è «tutto
ciò che accade (was der Fall ist)»373 e nemmeno «una parte definita o defi-
nibile di ciò che accade».374 Soprattutto, la Lebenswelt non è un ambiente
poiché non ne conserva il carattere esiziale:
372 Ibidem.
373 H. Blumenberg, Selbstverständlichkeit, Selbstaufrichtung, Selbstvergleich, cit., p.
135. Il riferimento è alla prima tesi del Tractatus di Wittgenstein, che – come noto
– recita esattamente: «il mondo è tutto ciò che accade» (cfr. L. Wittgenstein, Trac-
tatus logico-philosophicus, cit., p. 5). Non un mondo della vita abitato da eviden-
ze premodali, ma solo un «mondo» accessibile a forme di rischiaramento e mec-
canismi di delega è concepibile come «tutto ciò che accade» (cfr. H. Blumenberg,
Selbstverständlichkeit, Selbstaufrichtung, Selbstvergleich, cit., pp. 138-139). Per
quanto riguarda il confronto di Blumenberg con Wittgenstein si vedano, tra l’al-
tro, H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., pp. 579-605; Id., Außer dem, was
der Fall ist. Beobachtungen an Wittgenstein, in «Neue Zürcher Zeitung»,
21.4.1989, pp. 65-66; Id., Lebensthemen, Reclam, Stuttgart 1998, pp. 120-121.
374 H. Blumenberg, Selbstverständlichkeit, Selbstaufrichtung, Selbstvergleich, cit., p.
135.
375 Ibidem.
376 H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo, cit., p. 39.
Risvegli 117
dersi come «prestorico»,377 avendo con ciò in mente più che un preciso mo-
mento della nostra storia profonda, quella dimensione posta «al di sotto
della soglia di percezione di una vita individuale e di una generazione
intersoggettiva»378 e al di qua della storia come «separazione di aspettativa
ed esperienza».379 Una dimensione priva del carattere fatale dell’ambiente,
ma che non sa ancora nulla del rivolgimento attivo e preventivo con cui
l’uomo costruisce l’idea di mondo come orizzonte di tutti gli orizzonti e
sfondo di un’attenzione oggettivante. «Non c’è stata […] una “storia del
mondo nell’età della pietra”»,380 ma possiamo servirci del concetto di Le-
benswelt per comprendere come «ciò che è» sia divenuto «ciò per cui esso
si dà»;381 in termini antropogenetici: che cosa l’uomo abbia dovuto perde-
re e acquisire per divenire tale. Poiché qui ci figuriamo esattamente «l’uo-
mo nel suo mondo nel punto in cui compare il suo bisogno di teoria, come
compensazione dell’inevitabile perdita del mondo della vita».382
Si può immaginare il primo mondo della vita come «una sfera di perma-
nenti presenze»383 al di qua di ogni mezzo approntato per cogliere l’assen-
te (concetti e simboli, giudizi e inferenze), una «fase iniziale in cui per
l’uomo l’assente non era soltanto indifferente, non era soltanto per lo più
sconosciuto, ma nemmeno rappresentabile».384 In altri termini, se l’intrec-
cio dello spettatore col mondo ha il carattere della «distanza dal mondo»
(Weltdistanz), il mondo della vita è un «mondo che non ha nessuno
spettatore».385 Rispetto alle Umwelten delle altre forme di vita organiche, il
mondo della vita umano è sì anch’esso «definito dalla propria capacità fun-
zionale», ma
te e le invasioni dello sconosciuto – dunque di ciò che accade (was der Fall ist),
ma non era ovvio.386
401 Ibidem.
402 Ibidem. Anche Barbara Merker – commentando questo passo – rileva come Blu-
menberg «non voglia escludere che una vita priva di delusione sia stata una volta
in passato possibile» (B. Merker, Bedürfnis nach Bedeutsamkeit. Zwischen Le-
benswelt und Absolutismus der Wirklichkeit, in F.J. Wetz, H. Timm, a cura di, Die
Kunst des Überlebens, cit., p. 74).
403 Qui Argenton traduce «ambiente», ma io ritengo più corretto – proprio ai fini del
presente tentativo di orientarsi in questa complessa e fluida costellazione concet-
tuale e terminologica – attenersi alla distinzione lessicale e semantica introdotta
da Uexküll tra «ambiente» (Umwelt) e «dintorni» (Umgebungen).
404 H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo, cit., p. 53.
405 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 71. A proposito della «meta-
forica della fonte» si veda in particolare H. Blumenberg, Quellen, U. von Bülow,
D. Krusche (a cura di), Deutschen Literaturarchiv Marbach, Deutsche Schillerge-
sellschaft, Marbach am Neckar 2009.
406 H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo, cit., p. 51.
407 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 71.
408 Ivi, p. 72.
Risvegli 121
409 H. Blumenberg, The Life-World and the Concept of Reality, in L.E. Embree (a
cura di), Life-World and Consciousness. Essays for Aaron Gurwitsch, Evanston
1972, p. 430. L’articolo è stato ripubblicato in lingua tedesca in H. Blumenberg,
Theorie der Lebenswelt, cit., pp. 157-180.
410 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 73.
411 Ibidem.
412 Ibidem.
413 Ivi, p. 83.
414 Ibidem.
122 Dialettica della caverna
421 Ivi, cit., p. 70. A tal proposito si veda anche J. Kirsch-Hänert, Zeitgeist, cit., pp.
114-121.
422 Cfr. G. Simmel, Intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici, Edizioni Scien-
tifiche Italiane, Napoli 1997.
423 Cfr. H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo, cit., p. 76.
424 Cfr. H. Blumenberg, Die Lebenswelt: ein Thema für den, der in ihr lebt?, in Be-
schreibung des Menschen, cit., pp. 70- 92.
425 Cfr. A. Schütz, T. Luckmann, The Structures of the Life-World, I-II, Northwestern
University Press, Evanston 1973-1989.
426 Cfr. P. Stoellger, Metapher und Lebenswelt, cit., p. 257.
427 Come anticipato, al di qua del concetto genetico di cui si è discusso fin qui, vi
sono – come ora si vedrà – pseudo-mondi-della-vita «substorici» che corrispondo-
no ad altrettanti tentativi di ricostruire sfere di familiarità e ovvietà.
428 P. Stoellger, Metapher und Lebenswelt, cit., p. 257.
429 E in tal senso i mondi-della-vita possono essere intesi effettivamente – in accordo
con Husserl, ma insistendo sulla molteplicità, nonché su una loro compromissio-
ne con la dimensione tecnica e culturale dell’esistenza umana – come «le realtà in
cui viviamo». Cfr. Ibidem.
124 Dialettica della caverna
460 H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo, cit., p. 323.
461 H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 615. Corsivo mio.
462 H. Blumenberg, L’ansia si specchia sul fondo, cit., p. 35.
463 Cfr. H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 612.
464 H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo, cit., p. 324.
465 Ibidem.
466 H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 612.
467 Cfr. H. Blumenberg, Naufragio con spettatore, cit., pp. 105-111.
Risvegli 129
Nel rapporto ambivalente con la caverna si delinea per l’uomo, spiega bene
Accarino, l’alternativa vitale e filosofica fra «nomadismo» e «stanzialità».468
Sostiene Blumenberg sulla scia di Ferenczi: è il «fatto fondamentale del-
la vita», in ognuna delle sue forme, che essa non possa «rimanere dove e
come è»469 ed è questo fatto, in ultimo, a risuonare nelle profondità più
abissali del mito della caverna. Per mutuare categorie deleuziane, «deterri-
torializzazione» e «riterritorializzazione» sono i due movimenti che scan-
discono le vicende del vivente.470 La vita
Non solo noi esseri umani siamo gli unici ad avere creato arte, ma «sia-
mo anche le uniche creature capaci di comportamenti misteriosi e imper-
scrutabili come questo».483 Nelle pitture di Les Combarelles
ne» (come recita il titolo del III capitolo di Höhlenausgänge) l’evento fon-
damentale inscritto nel cammino della Menschenwerdung cui ora Blu-
menberg presta attenzione. Facendo riferimento agli studi statistici di
André Leroi-Gourhan sulla presenza di «schemi omogenei» nelle pitture
rupestri,487 riscontrabili ad esempio nella diversa distribuzione delle varie
specie animali in zone determinate della grotta, Blumenberg ipotizza la
presenza di «programmi» disposti da «quelli che sapevano come fare e
come ordinare, e sui quali tutti gli altri facevano affidamento seguendo la
loro opera», e costoro, suppone, «dovevano essere comparsi abbastanza
presto nella preistoria».488
Il primo fenomeno legato all’‘ecosistema parassitario caverna-steppa’ è
di natura sociale e coincide con una distinzione di ruoli. Il «gioco» di inter-
dipendenza tra lo spazio protetto e tuttavia non autosufficiente della caver-
na e le distese aperte in cui i cacciatori si avventurano ha un’immediata ri-
caduta sul piano dell’organizzazione della collettività. Se «destrezza e
prontezza» sono i requisiti fondamentali di coloro che cacciano nella sava-
na e misura del loro «diritto all’esistenza», le immagini lasciate sulle pare-
ti delle caverne provano che almeno lì, nello spazio chiuso, «deve essere
stata infranta, o per lo meno limitata, la legge del più forte».489 Protetti dal-
le madri, che avevano dalla loro la riconoscenza dei forti ai quali offrivano
nutrimento, ossia dei loro stessi figli, i deboli e i cagionevoli si candidava-
no a trasformarsi in «antieroi del superfluo»490 o, per usare una categoria
moderna, in «intellettuali».491
Non solo, dacché la caverna aveva fatto dono all’uomo del privilegio di
un’«attenzione circoscritta» e di un «sonno profondo», esso divenne «l’ani-
Il superfluo giunse come il prodotto più strano del mondo e seppe farsi ne-
cessità. L’alleanza tra fantasia e magia non si sarebbe fatta attendere; chi riu-
sciva ad ammaliare con l’immaginazione ebbe ben presto dalla sua parte gli
spiriti e gli dèi. Dove nascevano le immagini, potevano nascere i culti. Perfino
i più forti alla fine sarebbero usciti dalla caverna grazie al potere del rituale
compiuto alle loro spalle. I deboli sarebbero diventati i custodi del tempio.495
In effetti, anche tra gli specialisti, vi è chi sostiene non solo la natura
sciamanica e magica dell’arte paleolitica,496 ma anche che essa fosse prero-
gativa di una «classe elitaria di “stregoni” che detenevano le chiavi del suc-
cesso economico del gruppo e godevano di uno status separato da quello di
coloro che li mantenevano», sicché «il successo nella caccia, basato […]
sulle capacità e sull’impegno dei cacciatori, visto in retrospettiva doveva
apparire come la prova dell’efficacia [dei] riti».497
Si tratta – a leggere il testo blumenberghiano – di una forma di divisio-
ne del lavoro e sovvertimento delle gerarchie che ha qualcosa dell’astuzia
della nietzscheana «morale degli schiavi», benché in Blumenberg la rival-
sa dei deboli sui forti, degli «impotenti» sui «sovraccarichi di forza»,498 in
tutta evidenza non coincida con un fenomeno relativamente recente di ma-
trice ebraico-cristiana, bensì con l’origine stessa della cultura in quanto
493 Ivi, p. 20. Sull’«implicazione antropologica» del sogno si veda anche H. Blu-
menberg, Ausgeträumte Träume. Über den ursprünglichen Realismus des Erwa-
chens, in «Neue Zürcher Zeitung», 22/23.12.1990, p. 54.
494 H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 21.
495 Ibidem. Corsivo mio.
496 A tal proposito Pievani menziona gli studi di David Lewis-Williams e Thomas
Dowson. Cfr. T. Pievani, Homo sapiens e altre catastrofi, cit., p. 251.
497 I. Tattersall, Il cammino dell’uomo, cit., p. 27.
498 Cfr. F. Nietzsche, Genealogia della morale, uno scritto polemico. Prima disserta-
zione. «Buono e malvagio», «buono e cattivo», in Opere di Friedrich Nietzsche,
VI/II, Adelphi, Milano 1968, pp. 223-254.
134 Dialettica della caverna
tale, che affonda le proprie radici nel tempo arcaico dell’umanità e che
dunque deve il suo carattere di mascheramento e congettura non a
un’Umwertung tardiva e falsificatrice, ma semmai – se così si può dire – al-
l’‘Umwertung strutturale’ della condizione umana, radicata nel complesso
rapporto dell’uomo con la realtà. I «deboli» delle Höhlenausgänge somi-
gliano di più a coloro che in Benjamin oppongono da sempre la «favola» al
«mito», ossia si schierano dalla parte della narrazione come contestazione
umana nei confronti dell’elemento spaventoso e ostile, per depotenziarlo e
minimizzarlo.499 Comunque sia, è in questo punto del tempo profondo che
i deboli apprendono una forma di actio in absentia et per distans ben più
raffinata dell’ancestrale e fortuita pietra scagliata contro l’aggressore.
Se, come sostiene Jonas, Homo è per sua essenza pictor, in quanto esse-
re «simbolico», dedito a rappresentazioni e immagini la cui ricaduta biolo-
gica immediata è nulla, e dunque sembra di fatto indulgere «alla produzio-
ne di cose inutili»,500 tuttavia la «finzione» – scrive Blumenberg – proviene
dalla stessa sorgente della «compensazione».501 Qui il riferimento a
Nietzsche pare particolarmente opportuno e, più della Genealogie, il breve
saggio Über Wahrheit und Lüge im aussermoralischen Sinne (1873) sem-
bra aver decisamente influenzato Blumenberg, laddove Nietzsche afferma
che «l’intelletto, come mezzo per conservare l’individuo, spiega le sue for-
ze principali nella finzione»502 e la finzione, a sua volta, altro non è se non
il mezzo con cui gli individui più deboli e meno robusti si conservano, in
quanto a essi è preclusa una lotta per l’esistenza da condursi con le corna o con
gli aspri morsi degli animali feroci.503
stesso, che «ricorre all’aiuto delle più ardite metafore»,505 è figlio della
«menzogna» più che della «verità». Solo gli uomini, i più deboli fra gli ani-
mali e, fra di loro, i più deboli fra gli uomini, sono «maestri di finzione» e,
viceversa, dotati di «un’invincibile tendenza a lasciarsi ingannare».506 Blu-
menberg va oltre, definendo la «cultura» stessa una «“congiura” contro la
standardizzazione esclusiva dell’umano in virtù dei più dotati».507 Chi resta
indietro, sono loro i custodi della compensazione, «figura collaterale
dell’autoaffermazione». In tal modo i deboli (e tramite loro l’uomo in sen-
so specifico) si fanno strada «passando attraverso le smagliature della sele-
zione naturale», finché ciò che inizialmente si presentava come
un’«infiltrazione» non diverrà «istituzionalizzazione della debolezza».508
ossia il fatto che «l’uomo non si trova più direttamente di fronte alla real-
tà», che «egli non può più vederla faccia a faccia».511 In altre parole, l’atti-
tudine umana alla distanza, all’Entlastung, alla mediazione.
Per usare le parole di Jonas, all’origine del processo che ha portato la
«funzione rappresentativa» molto lontano dalla somiglianza figurale con
l’oggetto, verso una sempre maggiore «emancipazione dalla “letteralità”
della riproduzione», un graduale avvicendamento della «rappresentazione
riproduttiva» con quella «sostitutiva», vi è la medesima facoltà raffigurati-
va che guidava i ritratti animali di Altamira e che era già dotata di un buon
grado di «astrazione» e «stilizzazione».512 E, nel suo essere «inattiva e fer-
ma», l’immagine depotenzia e neutralizza la realtà poiché, rappresentando
movimento e azione, li relega «in una presenza statica», taglia il rappresen-
tato fuori dal nesso causale delle cose, e in tal modo «può rappresentare il
pericolo senza mettere in pericolo, il dannoso senza danneggiare, il deside-
rato senza appagare».513 Il dato «specificamente umano» che entra in gioco
nella produzione di immagini è la facoltà del soggetto di separare intenzio-
nalmente materia e forma, eidos ed esistenza, consentendo «la presenza fi-
gurativa del fisicamente assente insieme all’autonegazione del fisicamente
presente»,514 il che coincide in ultima istanza con un’acquisizione di liber-
tà come «libertà della distanza e del dominio».515
Non solo: tornando al Blumenberg di Beschreibung des Menschen, a ri-
prova dell’assoluta unicità della dimensione simbolica come sfera precipua
dell’umano, vi è il nesso strettissimo che essa intrattiene col principio del-
la «messa fra parentesi del corpo» rilevato da Alsberg: decostruendo anco-
ra una volta un assunto darwiniano, ossia la teoria biologica ed evolutiva
dei moti espressivi come obsolescenza e residuo di precedenti azioni istin-
tive orientate a uno scopo, Blumenberg avanza l’ipotesi che espressioni,
segni e simboli siano al contrario più frequentemente forme di revoca e ne-
gazione della pratica corporea originaria da cui tuttavia discendono, come
l’abbraccio lo è dello strangolamento.516 «Quanto meno il corpo è esso
stesso strumento, organo esecutivo di azioni, tanto più può diventare puro
veicolo espressivo (Ausdrucksträger), in grado di sostituire, evitare, rifiu-
tare o suscitare azioni tramite il repertorio delle sue informazioni mimiche
3.2.1 Mito
venta solo l’occasione per collegare un singolo fatto ad un altro, per riunirlo in se-
rie con altri e inserirlo così finalmente in una legge, vi è [nel mito] il semplice ab-
bandono all’impressione stessa e alla sua particolare e momentanea “presenza”».
E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, II. Il pensiero mitico, La Nuova Ita-
lia, Firenze 1964, p. 53.
531 Cfr. L. Lévy-Bruhl, La mentalità primitiva, Einaudi, Torino 1966.
532 R.M. Wallace, Translator’s Introduction, cit., p. IX.
533 Sul «funzionalismo» blumenberghiano si vedano J.C. Monod, Hans Blumenberg,
cit., pp. 33; R.M. Wallace, Translator’s Introduction, cit., p. XVII.
534 H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 21.
535 H. Blumenberg, Elaborazione del mito, cit., p. 29.
536 La «sostituzione» è figura ricorrente nei racconti mitici, tanto che Blumenberg af-
ferma che «il docetismo è l’ontologia adeguata al mito». H. Blumenberg, Elabo-
razione del mito, cit., p. 176.
140 Dialettica della caverna
572 H. Blumenberg, Wie man Zuschauer wird [«come si diventa spettatori»], cit., p.
96.
573 H. Blumenberg, Il futuro del mito, cit., p. 47.
574 Terror und Spiel è precisamente il titolo del quarto volume di «Poetik und Herme-
neutik» su cui viene per la prima volta pubblicato nel 1968 Wirklichkeitsbegriff
und Wirkungspotential des Mythos, il saggio (tradotto in italiano col titolo Il futu-
ro del mito) che inaugura gli studi sul mito di Blumenberg e contemporaneamen-
te apre quella riflessione interdisciplinare avviata in Germania alla fine degli anni
‘60 e proseguita fino agli anni ‘80, meglio conosciuta come Mythosdebatte. Blu-
menberg intende appunto ridiscutere le due «categorie metaforiche antitetiche»
che generalmente rappresentano l’origine e l’originarietà del mito: «terrore» e
«poesia», ovverossia da un lato la «pura espressione della passività prodotta
dall’incantesimo demonico», dall’altro l’«eccesso immaginativo dell’appropria-
zione antropomorfica del mondo e dell’innalzamento teomorfico dell’uomo» (H.
Blumenberg, Il futuro del mito, cit., p. 44).
575 G. Carchia, Introduzione all’edizione italiana, in H. Blumenberg, Elaborazione
del mito, cit., p. 8.
576 H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 530. Il riferimento è a una lettera di
Freud a Fließ del 12 dicembre 1897: «La confusa interna percezione del proprio
apparato psichico stimola le illusioni del pensiero che vengono naturalmente pro-
iettate verso l’esterno e in modo particolarmente caratteristico nel futuro e nell’al-
dilà. L’immortalità, la retribuzione, il mondo dopo la morte: sono tutte rappresen-
tazioni del nostro interno psichico. Psicomitologia». S. Freud, Le origini della
psicoanalisi. Lettere a Wilhelm Fließ, abbozzi e appunti 1887-1902, Boringhieri,
Torino 1961, p. 146.
Risvegli 145
può fare a meno di rivelare una buona dose di coercizione nell’impresa del
filosofo che tenta di trarre i compagni alla luce: tutto sommato, grazie alle
ombre, nella caverna si era sviluppato un sapere in grado di rimuovere «il
timore di sorprese da parte della natura»;587 perché mai, allora, bisognereb-
be abbandonare tutto ciò, acconsentire alla «rinuncia del dato»588 e rivol-
gersi alla «paradossale teoria dell’invisibile»589 senza alcuna garanzia di
una contropartita? È un fatto che il ritornato giunga «a mani vuote»;590 per
contro, le ombre, per quanto insignificanti se prese come oggetti di un sa-
pere, come simboli restano funzionali alla costruzione di una datità autono-
ma, a prescindere dal loro statuto di realtà o irrealtà.591
Benché privo degli argomenti stringenti della scienza, nonché della for-
za cogente del dogma religioso, il mito è espressione e manifestazione di
«significatività»,592 ovvero di un principio di rilevanza dotato di uno status
di realtà non sorretto da verifica empirica, ma basato sulla riconosciuta
«ovvietà» e «familiarità» dei contenuti, sul fatto che essi sono «parte del
mondo fin dagli inizi» e non necessitano di essere sorretti da ulteriori argo-
mentazioni. Il mito si serve dunque di ‘dispositivi di produzione di signifi-
catività’, «figure di senso» (Sinnfiguren) ricorrenti in grado di opporre for-
me di coerenza alla «minacciosa indifferenza di spazio e tempo».593
Blumenberg ne elenca sei: la simultaneità come «coincidenza», categoria
mitica poiché «non spiega nulla»594 ma si fonda sui nessi del perturbante,
laddove l’improbabile sotto forma di sincronicità genera stupore e induce
a escludere il caso in favore del senso. L’identità latente come legame ipo-
tetico istituito tra valori dando l’impressione di un ordine basato su com-
pensazioni e risarcimenti.595 La ripetizione come garanzia del «rigore del
ritorno dell’eguale», intensificazione delle «resistenze contro l’arbitrio del-
le variazioni»,596 sottrazione dell’ordinario ai casi del mondo esterno, vero
e proprio «principio strutturale»597 del mito. Poi, la reciprocità di resisten-
3.2.2 Retorica
Il meglio del mito risiede allora nel suo carattere retorico, inteso come
criterio di tolleranza che oppone al dogmatismo una riduzione della serie-
tà.609 Ma questo sarebbe il criterio della ragione tutta, una volta ammessa la
propria insufficienza e l’imbricazione dei suoi concetti con le forme dell’in-
concettuale. La retorica è una prassi costitutivamente umana non solo in
quanto forma di ciò che rende unico l’uomo: il linguaggio, ma perché in
essa il linguaggio si mostra quale «funzione della specifica inibizione
dell’uomo»,610 e tale inibizione è da intendersi in un duplice senso: come
deficit istintuale e ‘divieto di immediatezza’ nei confronti della realtà e
come deficit cognitivo, dipendenza da un principium rationis insufficientis,
dall’impossibilità di accedere all’essenziale. Il che però non significa – ed
è qui che entra in gioco la retorica – che l’uomo possa permettersi di rinun-
ciare al fondamento; solo, deve sapere che «nella sfera della fondazione
della prassi vitale l’insufficiente può essere più razionale dell’insistere su
una procedura “scientiforme”»;611 che anche il moderno metodo scientifico
procede storicamente – secondo «la struttura delle rivoluzioni scientifiche»
– sul terreno di ipotesi precarie basate in ultima istanza su un consensus
che potrebbe stabilizzarsi oppure no. La retorica interviene nella misura in
cui non si ha piena corrispondenza tra la realtà e i concetti, tra le parole e le
cose. Sarebbe anzi lecito domandarsi se la significazione non possa essere
intesa come una «retorica generalizzata, vale a dire che la “retoricità” po-
trebbe essere vista, non come un abuso, ma come costitutiva (in senso tra-
scendentale) della significazione».612
Ma allora la ‘doppia compensazione’ cui la retorica è chiamata ne evi-
denzia un uso duplice e apparentemente contradditorio: da un lato, come
medium, ossia strumento linguistico che si frappone tra l’uomo e la realtà,
essa opera – come ben si mostra nei meccanismi di funzionamento del mito
– con sostituzioni, filtri, forme di Umwegigkeit, esitazione e circostanziali-
tà che differiscono o impediscono l’azione. In tal senso essa è «arte della
dilazione»613 e «dell’illusionismo»,614 usa il linguaggio come un «de-
realizzatore»615 che, creando un mondo di apparenze, ci tiene occupati per
evitare la coazione all’azione. In quanto «strumento di messa fra parentesi
del corpo»,616 la retorica è «originariamente legittima difesa. E la sua figu-
ra fondamentale è quindi l’apotropaion: la fuga dietro un’immagine».617
In tal senso la retorica ha a che fare con la «struttura temporale» delle
azioni618 nel senso dell’esitazione e della pensosità e in modo inversamen-
te proporzionale rispetto all’aggressione e alla «tecnicizzazione», il cui in-
tento è precisamente il risparmio di tempo.
D’altro canto, spesso dinnanzi alla coazione all’azione e alla decisione è
proprio la retorica a farsi veicolo di automatizzazione del comportamento
sono sorti interrogativi che le risposte scientifiche hanno finito per scansare e
negare, spesso barattando significatività in cambio di certezze; sono «fossili
guida di uno strato arcaico del processo della curiosità teoretica».651
Restituire cittadinanza alla metafora dentro e fuori la Begriffsgeschichte
significa innanzitutto svincolarla dalla dimensione estetica per ricondurla
all’orizzonte dell’antropologia. Infatti, se da un lato – soprattutto nel primo
programma metaforologico enunciato in Paradigmen zu einer Metaphoro-
logie (1960) – si tratta di ripercorrere la storia dell’uso e delle concezioni
della metafora entro il discorso filosofico e scientifico, svelando così come
alcune metafore e i loro slittamenti di senso partecipino alle svolte epocali
che segnano la storia delle idee e delle concezioni del mondo, generando,
preparando, nutrendo come un fertile humus il cammino del concetto; d’al-
tro canto esistono metafore refrattarie a qualsiasi forma di traduzione con-
cettuale, «metafore assolute»652 in grado di tracciare vie immaginarie d’ac-
cesso a una totalità «che resterebbe, altrimenti, irrappresentabile, ma che
non possiamo fare a meno d’interrogare fin tanto che “ne” siamo presi».653
Sono proprio queste ultime a svolgere un’eminente funzione pratica e
teorica di orientamento (la dimensione estetica è loro propria solo in
seconda battuta, come esito della riuscita delle loro performances), a
rispondere a un inesausto bisogno metafisico654 quantomeno su un piano
operativo: insomma la metaforica assoluta «si apre al posto del non
sapere».655 Se anche filosofia e metodo scientifico hanno inteso tracciare
confini netti tra ciò che può e non può essere detto, occorre non confondere
l’indicibile (Unsagbare) con l’«indescrivibile» (Unbeschreibbare) o
l’«inappellabile» (Unverweisbare) linguisticamente, poiché esso coincide
soltanto «con l’irraggiungibile mediante il concetto come correlato della
sostanza».656 Se davvero ci si dovesse attenere a una piena aderenza
definitoria, a un ideale severo di chiarezza e distinzione, si vedrebbe come
il campo di ciò di cui non si può parlare si estenderebbe tanto da impedire
di pronunciarsi su quasi tutto quello che riteniamo importante. Il punto è
che «anche qualora si riuscisse a rispondere a tutte le domande scientifiche,
i nostri problemi vitali non sarebbero ancora nemmeno toccati».657 Per
questo la filosofia non si può permettere di lasciare l’ineffabile «senza
patria»;658 per questo deve accogliere la metafora, perché le metafore – le
metafore assolute – non mostrano solo il cammino del concetto ma
conducono, a ritroso, verso il mondo della vita.
Se anche si ammette che il concetto rappresenti il «trionfo» della ragio-
ne, tra ragione e concetto non sussiste identità. Se la ragione è quintessen-
za delle «prestazioni a distanza», il concetto declina questa funzione nei
termini di una «sostituzione dell’attualità», di una relazione con un ogget-
to fortuitamente o costitutivamente assente.659 Esso sorge dall’actio per di-
stans, ha il suo prototipo nelle trappole dei cacciatori semi-nomadi, la sua
chiarezza e distinzione sono prefigurate nella situazione ottica di partenza.
Anch’esso, come mezzo di prevenzione, prefigurazione e progettualità, ha
un’origine nettamente performativa; l’oggettività che il concetto conquista
«non è ancora un fine, è in prima istanza un mezzo per essere in grado di
trattare gli uni con gli altri»,660 dato che anche la costruzione della trappo-
la presuppone una rappresentazione condivisa della preda che si attende.
Ma nemmeno la scienza è completamente guidata da un principio di eco-
nomia, anche teorie stabili hanno bisogno di operazioni superflue.661 Come
il mito, scacciando la paura, libera inesausta e inutile bellezza, così il con-
cetto, adempiendo alla propria prestazione intesa come «distacco dalla
contemplazione», relazione con l’invisibile, permette proprio perciò un
656 H. Blumenberg, Bruchstücke des «Ausblicks auf eine Theorie der Unbegrifflich-
keit», in Theorie der Unbegrifflichkeit, cit., p. 102.
657 H. Blumenberg, Bruchstücke, cit., p. 103.
658 Ivi, p. 104.
659 H. Blumenberg, Theorie der Unbegrifflichkeit, cit., p. 9; cfr. anche H. Blu-
menberg, Tempo della vita e tempo del mondo, cit., p. 313.
660 H. Blumenberg, Theorie der Unbegrifflichkeit, cit., p. 15.
661 Cfr. in particolare H. Blumenberg, Exkurs über Ökonomie und Luxus, in Theorie
der Unbegrifflichkeit, cit., pp. 19-25.
156 Dialettica della caverna
per mantenere il lavoro del pensiero così come il piacere dei suoi risultati».671
«I mezzi giustificano il fine e i segreti svelati lungo la via giustificano ciò
che resta insvelato».672 La grande, imponente impresa della scienza è stata
avviata, rendendo disponibile per noi tutto ciò che serve «per mantenere in
vita il nostro mondo»;673 certo, ci ha detto tutt’altro rispetto a «ciò che vo-
levamo veramente sapere», ma ciò non significa che possiamo acconten-
tarci dei risultati sbarazzandoci del resto, poiché spegneremmo il motore
della ricerca. Lungo la via c’era la pensosità, l’indugio – e «l’indugio si è
dimostrato il senso della via».674 Per chi non si lascia tentare dalla tensione,
per coloro che considerano la domanda sul senso dell’essere priva di sen-
so, tutti gli allestimenti per la spedizione nella terra incognita della com-
prensione dell’essere consistono in una noia profonda.
La curiosità muore, e con essa la filosofia, se non si ammette la metafo-
ra: «il concetto sopravvive grazie al refrigerio dei bagni che prende in nuo-
ve metafore».675
Come distinguere dunque concetto e metafora? Le loro «possibilità ope-
rative» – scrive Blumenberg – sono entrambe «iperboliche», ma l’una sfo-
cia nella mistica, l’altra nel mito; questo perché – per ragioni ancora una
volta antropogenetiche – intrattengono un diverso rapporto con la negazio-
ne. Nella situazione preventiva originaria, in presenza di un orizzonte mai
così vasto, il concetto funge da «organo della perceptio per distans»676 non
solo introducendo nella previsione la «possibilità» di ciò che non è imme-
diatamente colto, dunque tramite «presunzioni positive», ma anche se-
gnando la «differenza tra possibilità e realtà», riducendo nuovamente l’o-
rizzonte, operando «esclusioni negative».677 L’«esplorazione delle
possibilità» conduce alla «produzione della negazione».678 La negazione
produce «la scelta della realtà sulla coscienza delle possibilità».679 Ora,
come la vita onirica secondo Freud, la metaforica non conosce negazione
né esclusione, a meno che non sia sottoposta a verifica concettuale. Le me-
671 H. Blumenberg, Das Sein – ein MacGuffin, cit., p. 159. Ad esempio – prosegue
Blumenberg - la seconda parte di Sein und Zeit non fu scritta perché non poteva
essere scritta e Heidegger sapeva che avrebbe messo in pericolo tutta la significa-
tività se non l’avesse lasciata in forma di frammento.
672 Ivi, p. 160.
673 H. Blumenberg, Sguardo su una teoria dell’inconcettualità, cit., p. 122.
674 H. Blumenberg, Das Sein – ein MacGuffin, cit., p. 160.
675 H. Blumenberg, Concetti in storie, cit., p. 60.
676 H. Blumenberg, Theorie der Unbegrifflichkeit, cit., p. 75.
677 Ibidem.
678 Ibidem.
679 Ivi, p. 76.
158 Dialettica della caverna
18 Ivi, p. 863.
19 Il riferimento a queste si trova alle pp. 571-577 di Beschreibung des Menschen.
20 Cfr. D. Falk, Braindance, Holt & C., New York 1992.
21 Cfr. H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., pp. 524-549.
22 Cfr. ivi, p. 540.
Excursus 163
Nei confronti della cultura che egli stesso ha creato e del nidificare negli in-
volucri che si è costruito e cucito, l’uomo è divenuto un parassita sui generis e
dotato di una peculiare grazia. La sua nudità è quella di un resto di organismo,
il residuo dell’“annullamento del corpo” nell’ominizzazione. Da nudo egli di-
mostra il suo bisogno di cultura come il suo essere disarmato. […] La cultura è
la quintessenza di ciò che ci permette di essere così deboli e nudi sotto i suoi in-
volucri.24
23 Ivi, p. 522.
24 Ivi, pp. 862-863.
25 Cfr. ivi, p. 588.
26 Ivi, p. 591.
27 Ivi, pp. 723-724.
164 Dialettica della caverna
32 Cfr. ivi, pp. 165-170; cfr. H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p.
551.
33 Ivi, p. 552.
34 Ivi, p. 521.
35 R. Marchesini, Post-human, cit., p. 14.
36 Ibidem.
37 Ivi, p. 83.
166 Dialettica della caverna
delli naturali, senza che debba sempre sussistere tra i due domini la legge
dell’inversione proporzionale, spiegando invece quest’ultima come
«espressione della complessità biologica», liberazione di un repertorio di
«virtualità».38 Poiché poter attingere a un maggior contenuto di «virtualità
cognitiva» vuol dire, superando un’altra dicotomia – quella fra istinto e ap-
prendimento che anche Blumenberg fa sua –, essere «più ricchi di innato»39
dal punto di vista della propria istruzione genetica, disporre di strutture
neurali complesse che possono essere organizzate tramite l’apprendimento
nelle maniere più variegate e creative. Inoltre, il carattere lussureggiante
che Blumenberg attribuisce alle prestazioni culturali, capaci, nel momento
stesso in cui creano involucri protettivi, di dissolvere equilibri preesistenti
per produrne di nuovi, insomma di fungere da fattore di instabilità, si con-
fà molto di più a una concezione della cultura come «non-equilibrio
creativo»40 consentito da un corredo organico ridondante e aperto a una
moltitudine di possibilità, che a un paradigma compensativo. E, d’altra par-
te, non si vede perché la capacità della cultura – rivendicata da Blumenberg
– di «retroagire sul sistema uomo» e comportarsi come «motore della natu-
ra» debba essere intesa come progressiva Verminderung del corpo, e non
piuttosto in termini di «espansione» e «ibridazione».41 Se uno strumento
viene acquisito fino a incarnarsi nel sistema-uomo, metamorfizzando la
performatività e le caratteristiche del corpo,42 ciò non equivale a emendare
una carenza né a produrne una, ma ad «aumentare il potenziale virtuale del
corpo stesso»43 attraverso contaminazioni con il non-umano.
E ancora: che tutto ciò produca uno slittamento della pressione selettiva
non significa che la cultura sia «un fattore di involuzione né un elemento di
reversione»: potrebbe essere semmai l’apertura di «un nuovo percorso
evolutivo».44 Se la cultura fa parte delle possibilità presenti in natura –
come dimostra peraltro il fatto che non siamo gli unici esemplari del mon-
do animale a saper fare uso di trasmissioni educative e tradizioni culturali45
– non c’è ragione di ritenere che il suo insorgere abbia svincolato l’essere
umano dai meccanismi evolutivi. Eppure Blumenberg – e, gli va dato atto,
38 Ivi, p. 22.
39 Ivi, p. 17.
40 Ivi, p. 25.
41 Ivi, p. 28.
42 Cfr. ivi, p. 64.
43 Ivi, p. 65.
44 Ivi, p. 31.
45 Cfr. J.T. Bonner, La cultura degli animali, Bollati Boringhieri, Torino 1983.
Excursus 167
46 Cfr. S. Jones, Darwin’s Ghost. The Origin of Species Updated, Ballantine Books,
New York 2001; U. Kutschera, Tatsache Evolution. Was Darwin nicht wissen
konnte, Dt. Tanschenbuch, München 2009.
47 J. Bauer, Maße der Distanz zur Natur, cit., p. 154.
48 H. Blumenberg, Ein Futurum, in Ein mögliches Selbstverständnis, cit., p. 194; cfr.
ivi, pp. 185-196.
49 Cfr. R.A. Klein, Das Ende der Humanevolution?, cit., p. 168.
50 Cfr. S.J. Gould, La vita meravigliosa. I fossili di Burgess e la natura della storia,
Feltrinelli, Milano 2007, ad esempio p. 297.
51 Cfr. J. Huxley, Evolution. The Modern Synthesis, Harper & Brothers, New York-
London 1942; T. Pievani, Homo sapiens e altre catastrofi, cit., pp. 40-43; N.
Eldredge, S.J., Gould, Gli equilibri punteggiati: un’alternativa al gradualismo fi-
letico, in N. Eldredge, N., Strutture del tempo, Hopefulmonster, Firenze 1991, pp.
252-253.
52 Cfr. N. Eldredge, S.J. Gould, Gli equilibri punteggiati, cit., p. 225-228.
53 Cfr. E. Mayr, L’evoluzione delle specie animali, Torino, Einaudi 1970; N.
Eldredge, S.J. Gould, Gli equilibri punteggiati, cit.
54 Cfr. S.J. Gould, E. Vrba, Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione, T. Pievani (a
cura di) Bollati Boringhieri, Torino 2008.
168 Dialettica della caverna
na non avvenga spesso per tramite dell’animalità? Chissà che non avvicini
l’uomo all’animale, anziché allontanarli entrambi dalla bestia?
La giusta esigenza di conferire profondità storica alle prestazioni umane
conduce a una domanda: viene prima la natura o la cultura, o forse fin dai
tempi più remoti ciò che appare è un composto inscindibile delle due? Se
definiamo la cultura come «il primo sistema comportamentale complesso»
costruito da conoscenze sui materiali, abilità manuali, capacità di coordina-
mento senso-motorio, competenze nella trasmissione del sapere,68 com-
prendiamo come essa intervenga molto prima che l’evoluzione organica
conduca all’uomo quale esso è attualmente; la cultura stessa è un «ambien-
te» in cui il cervello umano si sviluppa e si specializza.69 Ciò può voler dire
che l’uomo è da sempre post-umano, ibridato e potenziato da componenti
extracorporee; d’altra parte, nella spinta a utilizzare la tecnica per modifi-
care la propria morfologia e migliorare la propria condizione «il post-uma-
no si rivela molto umano».70
Ciò che Blumenberg non riesce a dire è che la cultura precede l’uomo
perché è una possibilità dell’evoluzione, non una prerogativa della sola
specie umana, ma una strada percorsa da molti altri animali.71
Se invece si suppone che l’uomo si sia differenziato e continui a diffe-
renziarsi dalle altre specie «proprio perché ha saputo costruire eterorefe-
renze che lo hanno avvicinato, non allontanato rispetto al mondo non-
umano»;72 se si ritiene altresì la cultura una «dimensione zoologica»73 che
nell’umano raggiunge il più alto grado di articolazione in virtù di un pro-
gramma genetico più elastico, ma non più carente; se – ad esempio – si ri-
prende la tesi neotenica, ossia l’idea di un prolungamento nell’uomo del
periodo ontogenetico e del mantenimento di «una sorta di incompletezza
giovanile»,74 che è cosa in effetti diversa da un’inadeguatezza adattiva o da
una regressione organica; se si pensa l’umano nei termini di un’«apertura»,
ossia di un’identità magmatica e disponibile a molteplici interazioni con
1. Il biotopo sociale
1 Questo capitolo è già apparso, con lievi differenze, in forma di articolo: F. Grup-
pi, «How to do nothing with words». Considerazioni sul politico in Hans Blu-
menberg, in «Storia del pensiero politico», n° 2, 2015, pp. 277-306.
2 Come non vi sono opere di Blumenberg esplicitamente dedicate ai temi tipici di
una filosofia politica, così la letteratura secondaria raramente cerca di ‘dedurli’ dal
suo pensiero. Per un tentativo in tal senso si vedano in particolare: R. Faber, Der
Prometheus-Komplex. Zur Kritik der Polytheologie Eric Voegelins und Hans Blu-
menbergs, Königshausen-Neumann, Würzburg 1984, pp. 75-87; P. Behrenberg,
The Explorations of the relation between Politics and Myth: Vico, Cassirer, and
Blumenberg, in «New Vico Studies», n° 9, 1991, pp. 17-28; sempre nel segno di
una considerazione politica della teoria blumenberghiana del mito il recente C.
Bottici, Filosofia del mito politico, Bollati Boringhieri, Torino 2012, in particola-
re pp. 114-144; poi B. Accarino, La ragione insufficiente, cit., in particolare pp.
49-92, 127-172; di particolare interesse J.C. Monod, Hans Blumenberg, cit., pp.
205-221. Nelle ultime raccolte di saggi su Blumenberg vi sono alcuni tentativi di
‘politicizzare’ certi aspetti del discorso blumenberghiano: si vedano in particolare
174 Dialettica della caverna
La città è «ripetizione della caverna con altri mezzi»9 e come tale è lega-
ta ab origine a un bisogno bio-psicologico regressivo: isola, insonorizza le
proprie pareti da tutto ciò che pullula fuori e che non ha prodotto essa stes-
sa. In ciò dissimula la propria natura parassitaria nei confronti dei «dintor-
ni» da cui dipende, fungendo da calamita per tutti i prodotti di cui necessi-
ta e che non contiene in sé, da centro propulsore di scambi, da
«acceleratore del processo economico»10 e polo produttivo per eccellenza
del mezzo primario di tale accelerazione: il denaro. Così, la città sussiste
grazie a una forma sofisticata di presa di distanza dalla realtà, come capa-
cità di disporre dell’assente come del presente, e può ripresentificare l’e-
sterno al proprio interno senza il bisogno della magia, poiché le basta il cal-
colo in termini di economia monetaria; per ottenere o scongiurare qualcosa
non è più necessario dipingere su delle pareti, è sufficiente astrarre in ter-
mini di valore di scambio, una forma «più illuministica» di mediazione con
il fuori.
A partire dalla città come prototipo della sfera politica è lecito doman-
darsi: è questo il senso ultimo delle «istituzioni»? Proteggere la stabilità di
una comunità dalle minacce che provengono dall’esterno (o dall’interno)?
Insomma, secondo il lessico del pensiero politico classico, produrre un or-
dine che conservi la pace e consenta così ai singoli l’esercizio della propria
libertà? Bisogna, con Arnold Gehlen, considerare le «istituzioni», grazie
all’«esonero» di cui sono portatrici, antropologicamente essenziali in quan-
to mezzo principale che consente all’uomo – povero d’istinto ed eccessiva-
mente plasmabile – di difendersi dalle minacce esterne come da se stesso,
di controllare la propria «diposizione […] alla degenerazione»?19 Da que-
sto punto di vista, se consumano ed erodono porzioni di libertà, ciò che
conta è che in cambio le istituzioni «conservano» e stabilizzano.20 Nella si-
curezza, e dunque nel nesso protezione-obbedienza, risiede «l’estrema le-
gittimazione della facoltà di impartire disposizioni da parte del potere».21
Oppure, con Adorno, si deve sollevare la legittima obiezione secondo cui i
processi di adattamento cui le istituzioni costringono l’uomo contempora-
neo conducono a forme non solo di sottomissione, ma di vera e propria de-
formazione, a fenomeni di atrofizzazione e repressione delle potenzialità, a
rapporti nevrotici, di soggezione e subalternità nei confronti della sfera
tecnica?22
Come Gehlen, Blumenberg è sensibile alle difficoltà che inducono gli
uomini a desiderare esoneri. Un punto che Adorno nuovamente problema-
tizza, suggerendo che proprio le istituzioni e il loro «strapotere» inducano
negli uomini il bisogno di essere esonerati: in una sorta di «identificazione
con l’aggressore», essi si rifugiano e cercano riparo proprio presso quella
23 Ivi, p. 106.
24 H. Blumenberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 621.
25 H. Blumenberg, Elaborazione del mito, cit., p. 29.
How to do nothing with words 179
32 Ivi, p. 153.
33 H. Blumenberg, Concetti in storie, cit., p. 49; anche in Id., Ein mögliches Selbst-
verständnis, cit., p. 173.
How to do nothing with words 181
dazione di ogni «resto di diritto del privato»;43 nonostante tutto ciò, anche
a Blumenberg interessa soprattutto garantire uno spazio di agibilità per l’e-
sercizio di quel diritto. Il punto è allora una modulazione dell’intensità
d’intervento delle istituzioni, una limitazione e costituzionalizzazione dei
poteri che consenta ai singoli di disinteressarsi di molte questioni con una
certa dose di spensieratezza e dedicarsi a ciò che può arricchire la loro esi-
stenza nel breve tempo che hanno a disposizione prima di morire. Tuttavia
quest’esito apparentemente banale va osservato lungo le sue articolazioni e
i momenti che vi conducono, per mostrarne le nuances e gli elementi di ori-
ginalità.
4. Antiassolutismo e antitotalitarismo
5. Il binomio amico/nemico
49 Ivi, p. 508.
50 Cfr. H. Blumenberg, Ein mögliches Selbstverständnis, cit., pp. 150-151.
51 R. Esposito, Bíos, cit., p. 123; cfr. H. Blumenberg, Concetti in storie, cit., p. 243;
Id., Ein mögliches Selbstverständnis, cit., p. 145.
52 H. Blumenberg, Concetti in storie, cit., p. 171.
53 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 509.
54 Cfr. C. Bottici, Filosofia del mito politico, cit., p. 131.
55 H. Blumenberg, Beschreibung des Menschen, cit., p. 508.
184 Dialettica della caverna
Che si parli di «amicizia tra i popoli», ignorando che solo in sua assenza i
malumori «diplomatici» promettono di restare tali e non degenerare, deri-
va solo da un riflesso condizionato a basare le proprie interpretazioni su
qualcosa che «ciascuno conosce “per propria intuizione”»63 e a immagina-
re le azioni politiche fondate su un fattore che a sua volta non ha alcuna
consistenza politica: la fiducia. Dall’altro lato, se non occorre simpatia per
conservare la pace, per stipulare trattati, non c’è alcun passaggio graduale
e obbligato dall’ostilità all’omicidio e alla persecuzione e, se è vero che
l’Ursituation ha insegnato all’uomo a diagnosticare e agire preventiva-
mente, gli ha mostrato anche come molto più fruttuoso, allo scopo dell’au-
toconservazione, sia esitare e sostituire. «Tutta la sfera politica è una real-
tà derivata, e altrettanto lo sono le sue categorie»,64 le quali non portano
necessariamente con sé tutto della loro origine. Perciò risalire all’antropo-
genesi serve anche a far luce sull’emergenza di quella «realtà derivata», sul
delinearsi, sull’evolversi e sull’eventuale pervertirsi dei suoi compiti. E –
implicitamente – a confutare la derivazione teologica del moderno alla
base del paradigma schmittiano della secolarizzazione: il binomio amico/
nemico descrive una condizione di partenza in cui è sempre possibile rica-
dere, ma non è il perno immutabile di traslazioni che si succedono l’una
all’altra fino al dislocamento che, riconoscendolo o neutralizzandolo, ha
animato il percorso dell’umanità europea dalla teologia cinquecentesca,
alla metafisica del 1600, fino alla morale umanitaria dell’età dei Lumi e
all’economia dell’‘800.65
66 Dopo la prima edizione del 1966 ne esce, nel 1974, una seconda, aggiornata alla
luce della reazione di Carl Schmitt e al suo testo del 1970: Politische Theologie II.
67 Cfr. J.C. Monod, Hans Blumenberg, cit., p. 210.
68 A. Schmitz, M. Lepper, Logica delle divergenze e tracce di comunanze. Hans Blu-
menberg e Carl Schmitt, in H. Blumenberg, C. Schmitt, L’enigma della moder-
nità, cit., p. 210. Per una chiara comprensione della posizione di Schmitt si veda
C. Galli, Genealogia della politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico
moderno, il Mulino, Bologna 1996, pp. 333-459; in particolare sul confronto con
Blumenberg cfr. pp. 412-414.
69 H. Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, cit., p. 69.
70 Ivi, p. 96.
71 Così come definita dalla celebre formula di Politische Theologie (1922): «Tutti i
concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici
secolarizzati» (C. Schmitt, Teologia politica: quattro capitoli sulla dottrina della
sovranità, in Le categorie del «politico», cit., p. 61). Molto più condivisibile – se-
condo Blumenberg –, ma sostanzialmente diversa, la nuova formulazione del
principio in Politische Theologie II (1970) nei termini di una «parentela struttura-
le» tra concetti teologici e giuridici (cfr. C. Schmitt, Teologia politica II. La leg-
genda della liquidazione di ogni teologia politica, Giuffrè, Milano 1992, p. 83,
How to do nothing with words 187
destino e di una vita che si dà esclusivamente come unica vita che reclama
per sé la totalità incondizionata.81
81 H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo, cit., pp. 103-104.
82 H. Blumenberg, Concetto di realtà e teoria dello Stato, in B. Accarino, Daedalus,
cit., p. 132.
83 Cfr. anche H. Blumenberg, Le realtà in cui viviamo, cit., p. 97; A. Rivera García,
Reflexiones sobre el concepto filosófico de absolutismo, cit., pp. 143-165.
84 H. Blumenberg, Concetto di realtà e teoria dello Stato, cit., p. 132.
85 Ivi, p. 133.
86 Ivi, p. 134.
How to do nothing with words 189
87 Ivi, p. 135.
88 Ivi, p. 137.
89 Ivi, p. 138.
90 Cfr. H. Blumenberg, Le realtà in cui viviamo, cit., pp. 85-112.
91 Cfr. C.G. Cantón, Absolutism, cit., pp. 128-129.
92 H. Blumenberg, Concetto di realtà e teoria dello Stato, cit., p. 139.
93 Blumenberg fa la parodia di un noto testo: J.L. Austin, How to do things with
words: the William James lectures delivered at Harvard University in 1955, Lon-
dra, Oxford University Press, 1976.
94 Cfr. J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, 2 v., il Mulino, Bologna 1986.
190 Dialettica della caverna
8. Conservazione e utopia
Sul terreno della politica, dove a quanto pare si mostrano i nessi più ri-
levanti tra l’ipotesi antropogenetica, la teoria del mito e della retorica e la
questione della legittimità del moderno, Blumenberg mette in scacco Hob-
bes, Schmitt e Gehlen coi loro stessi mezzi, pensa «con» e «contro» di
loro:103 dal bellum omnium contra omnes e dalla precarietà della situazione
di partenza giunge al politeismo e alla divisione dei poteri; dalla polarizza-
zione amico/nemico trae non la confutazione del liberalismo, ma la sua
giustificazione; dalla necessità dell’esonero la negazione dell’assolutismo;
dall’insicurezza il sospetto sulla decisione e uno smaliziato elogio della re-
torica. Eppure sembra pervenire alla fondazione antropologica di una certa
forma di governo liberal-costituzionale non priva di problematicità. Questo
perché sussiste una sorta di rapporto analogico tra modernità e antropoge-
nesi, tra strutture del moderno e strutture antropologiche, certamente pro-
blematico benché in ultima istanza consapevole, dato che – come abbiamo
100 G. Leghissa, Il dio mortale. Ipotesi sulla religiosità moderna, Medusa, Milano
2004, p. 280.
101 Ivi, p. 281.
102 Ivi, p. 282.
103 Cfr. P. Bourdieu, Choses dites, De Minuit, Paris 1987, pp. 63-65.
192 Dialettica della caverna
trasforma in «utopia del futuro» nei termini di «ciò che deve comunque ac-
cadere», non può che produrre ottimismo o rassegnazione, atteggiamenti in-
clini ad «abbandonare la storia a se stessa».119 Detto altrimenti, se l’utopia
cede il proprio esotismo per assumere tratti profetici, perde a un tempo tutto
il suo potenziale critico: perciò non può dare «insegnamenti su come dev’es-
sere il mondo o lo Stato», ma soltanto su come non devono essere.120
Purtuttavia bisogna prendere sul serio in senso sperimentale l’intenzio-
ne dell’immagine della caverna; fatta la tara della qualità mitica che le de-
riva dalla prossimità con l’origine, occorre – dice Blumenberg nelle ultime
pagine di Höhlenausgänge – pensarne ancora l’intento in relazione al no-
stro tempo: se la situazione data si giustifica in base a un bisogno di auto-
conservazione, ciò non impedisce di mettere in discussione gli strumenti e
le funzioni della retorica, quand’anche questo non dovesse condurre a un
grado maggiore di possesso della realtà.121 Un’allegoria della caverna capa-
ce di «cogliere la problematicità del presente» dovrebbe, oltre a compren-
dere in termini antropologici, e non più metafisici, gli oppositori delle ve-
rità superiori,122 i fautori della «conservazione», e riconoscere il bisogno di
affidabilità che induce a rifugiarsi nelle istituzioni, altresì pensarne il cul-
mine non più nel mondo delle idee, ma nella «fantasia».123 Essa è «lo stru-
mento delle sorprese che l’uomo riesce a farsi»,124 qualcosa che intrattiene
un legame segreto con la giovinezza. E se, in quest’allegoria finale, dall’ac-
me della fantasia liberata si tornasse alla caverna dell’abitudine, ciò signi-
ficherebbe solo «il declivio della perdita di giovinezza, fino alla morte». La
fantasia è autistica, è un «organo per altri mondi» e perciò è «incapace di
generare vincoli», nei confronti di ciò che si lascia alle spalle come verso
quel che è a venire, nel futuro. Per questo, come la sua traduzione coatta in
meta del movimento reale della storia, anche il suo volgersi all’indietro è
sempre forzato, è un anelito a ritirarsi là dove regna la certezza del ritorno
dell’eguale, non ha a che fare con alcuna saggezza o esperienza, coincide
soltanto con «la perdita di organizzazione che si ha con l’invecchiare».125
9. Brevi conclusioni
126 G. Leghissa, Sulla sferologia di Peter Sloterdijk, in «Iride», n° 63, 2011, p. 440.
127 Ivi, p. 442.
128 P. Sloterdijk, Sfere, I, cit., p. 103.
129 H. Blumeneberg, Uscite dalla caverna, cit., p. 624.
130 Cfr. B. Accarino, Nomadi e no, cit.
196 Dialettica della caverna
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Licht als Metapher der Wahrheit. Im Vorfeld der philosophischen Begriffsbildung,
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«Nachahmung der Natur». Zur Vorgeschichte der Idee des schöpferischen Men-
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Harcourt Brace, New York 1998).
Tattersall, I., La scimmia allo specchio: saggi sulla scienza di ciò che ci rende
umani, Meltemi, Roma 2003 (The Monkey in the Mirror, Harcourt, New York
2002).
Tattersall, I., Il mondo prima della storia. Dagli inizi al 4000 a.C., Cortina, Mila-
no 2009 (The World from Beginnings to 4000 BCE, Oxford University Press
2008).
Truffaut, F., Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche, Parma 1989 (Le cinéma selon
Hitchcock, Ramsay, Paris 1983).
von Uexküll, J., Ambienti animali e ambienti umani. Una passeggiata in mondi
sconosciuti e invisibili, Quodlibet, Macerata 2010 (Streifzüge durch die Um-
welten von Tieren und Menschen. Ein Bilderbuch unsichtbarer Welten, Sprin-
ger, Berlin 1934).
Waldenfels, B., In den Netzen der Lebenswelt, Suhrkamp, Frankfurt am Main
1985.
Wallace, A.R., Darwinism. An Exposition of the Theory of Natural Selection with
some of its Applications, Macmilland and co., London 1889.
Wittgenstein, L., Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi,
Torino 2009 (Tractatus logico-philosophicus, Routledge and Kegan Paul,
London 1961).
FILOSOFIE
Collana diretta da Pierre Dalla Vigna e Luca Taddio
200. Gianfranco Mormino, Spazio, Corpo e moto nella Filosofia naturale del Seicento
201. Maria Teresa Costa, Filosofie della traduzione
202. Giuseppe Zuccarino, Il farsi della scrittura
203. S. Fontana, E. Mignosi (a cura di), Segnare, parlare, intendersi: modalità e forme
204. Giovanni Invitto, La misura di sé, tra virtù e malafede. Lessici e materiali per un
discorso in frammenti
205. Enrica Lisciani Petrini, Charis. Saggio su Jankélévitch
206. Anthony Molino, Soggetti al bivio. Incroci tra psicoanalisi e antropologia
207. Franco Rella, Susan Mati, Thomas Mann, mito e pensiero
208. J. D. Caputo e M. J. Scanlon, Dio, il dono e il postmoderno. Fenomenologia e
religione
209. Friedrich W.J. Schelling, Esposizione del Processo della Natura
210. Stefano Poggi (a cura di), Il realismo della ragione. Kant dai Lumi alla filosofia
contemporanea
211. Ruggero D’Alessandro, Le messaggere epistolari femminili attraverso il ‘900.
Virginia Woolf, Hannah Arendt, Sylvia Plath
212. Giovanni Invitto, Il diario e l’amica. L’esistenza come autonarrazione
213. Luca Mori, Tra la materia e la mente
214. Alberto Giacomelli, Simbolica per tutti e per nessuno
215. Paulo Butti, Un’archeologia della politica. Letture della Repubblica platonica
216. Erasmo Storace, Ergografie. Studi sulla struttura dell’essere
217. Francesco Maria Tedesco, Eccedenza sovrana
218. Marco Vanzulli (a cura di), Razionalità e modernità in Vico
219. Marcello Barison, Estetica della produzione. Saggi da Heidegger
220. Elio Matassi (a cura di), Percorsi della conoscenza
221. Mirko di Bernardo, Danilo Saccoccioni, Caos, ordine e incertezza in
epistemologia e nelle scienze naturali
222. Liliana Nobile, Democrazie senza futuro
223. Giacomo Fronzi (a cura di), John Cage. Una rivoluzione lunga cent’anni, con
unʼintervista inedita
224. Paolo Taroni, Filosofie del tempo. Il concetto di tempo nella storia del pensiero
occidentale
225. Roberto Diodato, L’invisibile sensibile. Itinerari di ontologia estetica
226. Bruno Moroncini, Il lavoro del lutto, Materialismo, politica e rivoluzione in
Walter Benjamin
227. Antonio Valentini, Il silenzio delle sirene: mito e letteratura in Franz Kafka
228. Giuseppe Maccaroni, Sociologia Stato Democrazia
229. Damiano Cantone (a cura di), Estetica e realtà, Arte Segno e Immagine
230. Marino Centrone, Rocco Corriero, Stefano Daprile, Antonio Florio, Marco
Sergio (a cura di), Percorsi nellʼepistemologia e nella logica del Novecento
231. Pierdaniele Giaretta (a cura di), Le classificazioni nelle scienze
232. Luca Grion, Persi nel labirinto. Etica e antropologia alla prova del naturalismo
233. Marco Piazza, Il fantasma dell’interiorità. Breve storia di un concetto controverso
234. Emilio Mazza, La peste in fondo al pozzo. L’anatomia astrusa di David Hume
235. Luca Marchetti, Il corpo dell’immagine. Percezione e rappresentazione in
Wittgenstein e Wollheim
236. Monica Musolino, New Towns post catastrofe. Dalle utopie urbane alla crisi
delle identità
237. Barbara Troncarelli, Complessità dilemmatica, Logica, scienza e società in
Giovanni Gentile
238. Emanuele Arielli, La mente estetica. Introduzione alla psicologia dell’arte
239. Emanuele Arielli, Wittgenstein e l’arte. L’estetica come problema linguistico ed
epistemologico
240. Giuseppe Fornari, Gianfranco Mormino (a cura di), René Girard e la filosofia
241. Erasmo Storace, Genografie
242. Erasmo Storace, Tanotagrafie
243. Erasmo Storace, Poietografie
244. Erasmo Storace, Il poeta e la morte
245. Lucia Maria Grazia Parente, Segreti mutamenti
246. María Lida Mollo, Xavier Zubiri: il reale e l’irreale
247. Susan Petrilli, Altrove e altrimenti. Filosofia del linguaggio, critica letteraria e
teoria della traduzione in, intorno e a partire da Bachtin
248. Pietro Piro, Le occasioni dell’uomo ladro. Saggi, polemiche e interventi tra
Oriente e Occidente
249. Giorgio Cesarale, Marcello Mustè e Stefano Petrucciani (a cura di), Filosofia e
politica. Saggi in onore di Mario Reale
250. Silvia Bevilacqua e Pierpaolo Casarin (a cura di), Disattendere i poteri. Pratiche
filosofiche in movimento
251. Franco Maria Fontana, Immagini del disastro prima e dopo Auschwitz. Il
“verdetto” di Adorno e la risposta di Celan
252. Antonello Sciacchitano, Il tempo di sapere
253. Gabriele Scardovi, L’intuizionismo morale di George Edward Moore
254. Fabio Vander, Il sistema Leopardi. Teoria e critica della modernità
255. Riccardo Motti, La mistificazione di massa. Estetica dell’industria cultura
256. Francesco Gusmano, Naturalismo e filosofia
257. Gemmo Iocco, Profili e densità temporali
258. Marco Sgarbi, Kant e l’irrazionale
259. Amato, Fulco, Geraci, Gorgone, Saffioti, Surace, Terranova, L’evento
dell’ospitalità tra etica, politica e geofilosofia. Per Caterina Resta
260. Luca Serafini, Inoperosità. Heidegger nel dibattito francese contemporaneo
261. Renato Calligaro, Le pagine del tempo. Scritti sull’Arte
262. Paolo Scolari, Nietzsche fenomenologo del quotidiano
263. Fabio Ciaramelli, Ugo Maria Olivieri, Il fascino dell’obbedienza. Servitù volon-
taria e società depressa
264. Giovanni Invitto, Lanx satura. Asterischi filosofici su soggetti, temi ed eventi
dell’esistenza
265. Vinicio Busacchi, Itinerari buddisti. La sfida del male
266. Plotino, Enneadi. I-II e vita di Plotino di Porfirio
267. Luca M. Possati, La ripetizione creatrice. Melandri, Derrida e lo spazio
dell’analogia
268. A. Lavazza, V. Possenti (a cura di), Perché essere realisti. Una sfida filosofica
269. Mattia Geretto e Antonio Martin (a cura di), Teologia della follia
270. Vittorio Pavoncello, Il serpente nel Big Bang
271. Afonso Mário Ucuassapi, Dalle indipendenze alle libertà. Futurismo e utopia
nella filosofia di Severino Elias Ngoenha
272. Roberto Fai, Frammento e sistema. Nove istantanee sulla contemporaneità
273. Francesco Giacomantonio (a cura di), La filosofia politica nell’età globale
(1970-2010)
274. Alberto Romele, L’esperienza del verbum in corde. Ovvero l’ineffettività dell’er-
meneutica
275. John Burnet, I primi filosofi greci, a cura di Alessandro Medri
276. Giovanni Basile, Il mito. Uno strumento per la conoscenza del mondo. Saggio
introduttivo attorno all’ermeneutica mitica
277. Andrea Dezi, Potenza e realtà. Il sovrarrealismo ontologico nel pensiero di
F.W.J. Schelling
278. Vincenzo Cuomo, Leonardo V. Distaso (a cura di ), La ricerca di John Cage. Il
caso, il silenzio, la natura
279. Augusto Ponzio, Fuori luogo. L’esorbitante nella riproduzione dell’identico
280. Alessandra Luciano, L’estasi della scrittura Emily L. di Marguerite Duras
281. Enrico Giorgio, Esercizi fenomenologici. Edmund Husserl
282. Sara Matetich, In no time. Forme di vita, tempo e verità in Virginia Woolf
283. Marco Fortunato, La protesta e l’impossibile. Cinque saggi su Michelstaedter
284. Antonio De Simone, Alchimia del segno. Rousseau e le metamorfosi del soggetto
moderno
285. Francesco Giacomantonio, Ruggero D’Alessandro, Nostalgie francofortesi.
Ripensando Horkheimer, Adorno, Marcuse e Habermas
286. Fortunato Cacciatore, Isonomia/Isogonia. Percorsi storico-filosofici
287. Vallori Rasini, L’eccentrico. Filosofia della natura e antropologia in Helmuth
Plessner
288. Enzo Cocco, Le vie della felicità in Voltaire
289. Rodolphe Gasché, Dietro lo specchio. Derrida e la filosofia della riflessione,
traduzione e cura di Francesco Vitale e Mauro Senatore
290. Andrea C. Bertino, “Noi buoni Europei”. Herder, Nietzsche e le risorse del senso
storico
291. Franco Ricordi, Pasolini filosofo della libertà. Il cedimento dell’essere e
l’apologia dell’apparire
292. Viviana Meschesi, Passaggi al limite. Linguaggio ed etica nei periodi di crisi
293. Franco Sarcinelli, Paul Ricœur filosofo del ’900. Una lettura critica delle opere
294. Federica Ceranovi, Dal giogo dell’idea alla festa del pensiero. I sentieri della
ἀλήθεια nel saggio L’origine dell’opera d’arte di Martin Heidegger
295. Augusto Ponzio, Il linguaggio e le lingue. Introduzione alla linguistica generale
296. Augustin Cochin, Astrazione rivoluzionaria e altri scritti
297. Pierfrancesco Stagi, Di Dio e dell’essere. Un secolo di Heidegger
298. L.E.J. Brouwer, Lettere scelte, a cura di Miriam Franchella
299. Franco Aurelio Meschini, Materiali per una storia della medicina cartesiana.
Dottrine, testi, contesti e lessico
300. Roberto Gilodi, Origini della critica letteraria. Herder, Moritz, Fr. Schlegel e
Schleiermacher
301. Fiorella Bassan, Antonin Artaud. Scritti sull’arte
302. Rossella Spinaci, Razionalità discorsiva e verità
303. Marcella d’Abbiero (a cura di), Passioni nere
304. Umberto Curi e Luca Taddio (a cura di), Pensare il tempo. Tra scienza e filosofia
305. Lucia Parente, Ortega y Gasset e la “vital curiosidad” filosofica
306. Gabriella Pelloni, Genealogia della cultura. La costruzione poetica del sè nello
Zarathustra di Nietzsche
307. Cosimo Quarta (a cura di), Per un manifesto della «Nuova Utopia»
308. Mario Augusto Maieron, Il matto dei tarocchi, Alice e il Piccolo Principe
309. Antonio De Luca, Annamaria Pezzella (a cura di), Con i tuoi occhi
310. Francesca Michelini, Jonathan Davies, Frontiere della biologia. prospettive
filosofiche sulle scienze della vita
311. Andrea Velardi, La vita delle idee. Il problema dell’astrazione nella teoria della
conoscenza
312. Annamaria Lossi, L’io postumo. Autobiografia e narrazione filosofica del sé in
Friedrich Nietzsche
313. Didier Contadini (a cura di), Menzogna e politica
314. Antonio De Simone, Machiavelli. Il conflitto e il potere. La persistenza del classico
315. Andrea Amato, Il bambino che sono, l’uomo che divento. Genealogia dell’io e
narrazione della sua trasmutazione
316. Alessandra Violi, Il corpo nell’immaginario letterario
317. Pietro Greco (a cura di), ArmonicaMente. Arte e scienza a confronto
318. Robert L. Trivers, L’evoluzione dell’altruismo reciproco
319. Matteo Pietropaoli, Ontologia fondamentale e metaontologia. Una interpretazione
di Heidegger a partire dal Kantbuch
320. Damiano Bondi, La persona e l’Occidente. Filosofia, religione e politica in
Denis de Rougemont
321. G.W.F. Hegel, Il bisogno di filosofia (1801-1804)
322. Leonardo V. Distaso - Ruggero Taradel, Musica per l’abisso. La via di Terezín:
un’indagine storica ed estetica 1933-1945
323. Raniero Fontana, Sulle labbra e nel cuore. Il buon uso delle parole nel Talmud e
nellʼebraismo
324. Pilo Albertelli, Il problema morale nella filosofia di Platone
325. Gli Eleati, a cura di Pilo Albertelli, 2014,
326. Daniela De Leo (a cura di), Pensare il senso. Perchè la filosofia. Scritti in onore
di Giovanni Invitto
327. Susan Petrilli, Riflessioni sulla teoria del linguaggio e dei segni
328. Antonio Romano, Seduzione dell’opera aperta. Una introduzione
329. Gian Andrea Franchi, Una disperata speranza. Un profilo biografico di Carlo
Michelstaedter
330. Graziano Pettinari, La misura dell’umano. Ontoteologia e differenza in Jean-Luc
Marion
331. Francesco Rizzo, Filosofia della grezza materia. Scritto di teoria del linguaggio,
etica, estetica
332. Marino Centrone, Rossana de Gennaro, Massimiliano Di Modugno, Silvia La
Piana, Giacomo Pisani, Della Bellezza. La scena della scena
333. Giulio Goggi, Al cuore del destino. Scritti sul pensiero. Scritti sul pensiero di
Emanuele Severino
334. Alfred Adler, Ernst Jahn, Religione e Psicologia Individuale, a cura di Egidio
Ernesto Marasco, postfazione di Gian Giacomo Rovera
335. Laura Gherlone, Dopo la semiosfera. Con saggi inediti di Jurij M. Lotman
336. Marco de Paoli, La Tragica Armonia. Indagine filosofico-scientifica sulla genesi
e l’evoluzione del vivente
337. Chiara Paladini, Sul concetto di relazione negli scritti latini di Meister Eckhart
338. Roberto Lasagna, Il mondo di Kubrick. Cinema, estetica, filosofia
339. Pietro Piro, I frutti non colti marciscono. Temi weberiani e altre inquietudini
sociologiche
340. Domenico Felice, Montesquieu e i suoi lettori
341. Emanuele Quinz, Il cerchio invisibile. Ambienti, sistemi, dispositivi
342. Tiziana Pangrazi, Adorata Forma. Saggio sull’estetica di Ferruccio Busoni
343. Leonardo V. Distaso, Estetica e differenza in Wittgenstein. Studi per un’estetica
wittgensteiniana
344. Pietro Barbetta, La follia rivisitata
345. F.W.J. Schelling, L’anima del mondo. Un’ipotesi di fisica superiore per la
spiegazione dell’organismo universale, a cura di Alessandro Medri
346. Antonio De Simone, L’arte del conflitto. Politica e potere da Machiavelli a
Canetti. Una storia filosofica
347. Emilano La Licata, Il terreno scabro. Wittgenstein su regole e forme di vita
348. Anna Valeria Borsari, Franco Farinelli, Eleonora Fiorani, Raffaele Milani, Gian
Battista Vai, Naturale e/o artefatto
349. Pietro Abelardo, Etica, a cura di Mariateresa Fumagalli e Beonio Brocchieri
350. Susan Petrilli, Nella vita dei segni. Percorsi della semiotica
351. Lucia Vantini, L’ateismo mistico di Julia Kristeva, prefazione di Wanda Tommasi
352. Ragionamenti percettivi. Saggi in onore di Alberto Argenton, a cura di Carlo
Maria Fossaluzza e Ian Verstegen
353. Stefano Rivara, Verità: Pluralismo e teoria funzionalista
354. Ivan Dimitrijević - Paulina Orłowska, Come la teoria finì per diventare realtà.
Sulla politica come geometria della socializzazione
355. Julius Evola, Il rientro in Italia 1948-1951, a cura di Marco Iacona
356. Anna Rita Gabellone, Una società di pace. Il progetto politico-utopico di Sylvia
Pankhurst
357. Petronio Petrone, Fior da fiore dai Carmina Burana. Morali e di protesta,
d’amore e spirituali, di donne e d’osteria. 40 canti dei Clerici Vagantes medievali
tradotti nella lingua del nostro tempo con testo latino a fronte
358. Enzo Cocco, Il giardino e l’isola. Due figure della felicità in Rousseau
359. Vergílio Ferreira, Lettera al Futuro, a cura di Marianna Scaramucci e Vincenzo
Russo
360. Giorgia Carluccio (a cura di), Laicità dello stato. Ambiti tematici
361. Alfred Adler, Psicodinamica dell’eros. Motivazioni inconsce della rinuncia alla
sessualità, a cura di Egidio Ernesto Marasco, postfazione Gian Giacomo Rovera,
Edizione integrale
362. Beatrice Balsamo e Alberto Destro (a cura di), Della fiaba. Jacob e Wilhelm
Grimm e il pensiero poetante per i 200 anni di Fiabe del focolare
363. Luciano Parinetto, Corpo e rivoluzione in Marx. Morte diavolo analità,
364 Paolo Vidali, Federico Neresini, Il valore dell’incertezza. Filosofia e sociologia
dell’informazione
365. Marco Castagna, Il desiderio della lettura. Esercizi. Pratiche. Discorsi
366. Jan Spurk, E se le rane richiedessero un re?
367. Petre Solomon, Paul Celan. La dimensione romena, a cura di Giovanni Rotiroti,
traduzione di Irma Carannante, postfazione di Mircea Ţuglea
368. Luisa Della Morte, Margherita Tosi, Nascere umani. Continuare Reich per i
bambini del futuro
369. Riccardo Roni, La visione di Bergson. Tempo ed esperienza del limite
370. Emanuele Iula, Carlo Maria Martini. La Parola che rigenera il mondo
371. Cecilia Ricci, Leggere Babele: George Steiner e la “vera presenza” del senso
372. Giuseppe Schiavone (a cura di), L’utopia: alla ricerca del senso della storia
373. Matteo Canevari, Lo specchio infedele. Prospettive per il paradigma teatrale in
antropologia
374. Franco Ricordi, L’essere per l’amore
375. Roland Barthes. Il discorso amoroso. Seminario all’Ecole pratique des hautes
études 1974-1976 seguito da Frammenti di un discorso amoroso (inediti),
Introduzione di Éric Marty, Presentazione e cura di Claude Coste, Introduzione
all’edizione italiana, traduzione e cura di Augusto Ponzio
376. Giovanni Botta, La struttura dell’eterno. Le Mélodies di Gabriel Marcel,
Prefazione di Pierangelo Sequeri. Contiene un CD con le trascrizioni e le
registrazioni sonore delle Mélodies
377. Francesco Panaro, Contro la cultura. Esseri e universi ben invisibili
378. Riccardo Fedriga, La sesta prosa. Discussioni medievali su prescienza, libertà e
contingenza
379. Corpi che non contano. Judith Butler e gli animali, a cura di Massimo Filippi
e Marco Reggio, Con un’intervista a Judith Butler e saggi di Massimo Filippi,
Richard Iveson, Marco Reggio, James Stanescu e Federico Zappino
380. Paolo Pecere, Dalla parte di Alice. La coscienza e l’immaginario
381. Nazzareno Mazzini, La nebbia non c’è più. Passeggiata lungo i film di Milano
382. Aldo Marroni (a cura di), Laure. La sovrana dell’erotismo
383. Voltaire, Premio della giustizia e dell’umanità, a cura di Domenico Felice.
Traduzione di Stefania Stefani
384. S. Facioni, S. Labate, M. Vergani (a cura di), Levinas inedito. Studi critici
385. Luciano Ponzio, Roman Jakobson e i fondamenti della semiotica
386. Julia Ponzio, L’altro corpo del testo . Modello sintattico e interpretazione in
Jacques Derrida
387. Romeo D’Emilio, Sub-limis e sub-limo. Al limite estremo: fra Goya e Malevič
388. Marco Piazza, L’antagonista necessario. La filosofia francese dell’abitudine da
Montaigne a Deleuze
389. Gian Mario Anselmi, Riccardo Caporali, Carlo Galli (a cura di), Machiavelli
Cinquecento. Mezzo millennio del Principe
390. Bethania Assy, Etica, responsabilità e giudizio in Hannah Arendt, Introduzione
di Simona Forti, Traduzione e cura di Enrico Valtellina
391. M. Hess, L. Feuerbach, M. Stirner, K. Fischer, Szeliga, La questione Stirner, a
cura di Marcello Montalto
392. Rosario Diana, La forma-reading. Un possibile veicolo per la disseminazione dei
saperi filosofici. Resoconto ragionato, programma e strumenti di lavoro
393. Giovanni U. Cavallera, Dove Platone riceve il battesimo. La formazione come
fondamento nell’Impero Romano d’Oriente
394. Luigi Fraschini, Individuo e mondo nel pensiero dell’antico Egitto. Percorsi
antropologici ed epistemologici in una tradizione culturale «pre-greca»,
prefazione di Giulio Giorello
395. Fabio Farotti, Et in Arcadia ego. L’incantesimo del nichilismo in pittura,
Prefazione di Emanuele Severino
396. Andrea dal Sasso, Creatio ex nihilo. Le origini del pensiero di Emanuele Severino
tra attualismo e metafisica, prefazione di Emanuele Severino
397. Stefano Righetti, Etica dello spazio. Per una critica ecologica al principio della
temporalità nella produzione occidentale
398. Marco de Paoli, Il soggetto eroico e il suo sguardo da lontano. Sul possesso e
sull’oblio di sé
399. Günter Figal, Il manifestarsi dell’arte. Estetica come fenomenologia, edizione
italiana a cura di Antonio Cimino, postfazione di Luca Crescenzi
400. Onorato Grassi e Massimo Marassi (a cura di), La filosofia italiana nel Novecento.
Interpretazioni, bilanci, prospettive
401. Luca Casadio, L’arte della psicoterapia e la psicologia dell’arte. Per una
psicologia narrativa
402. Sergio Sorrentino, Oltre la ragione strumentale
403. Thomas Percival, Etica medica. Ovvero un Codice di istituzioni e precetti adattati
alla condotta professionale dei medici e dei chirurghi, a cura di Sara Patuzzo,
traduzione italiana di Giada Goracci, con la collaborazione di Sebastiano Castellano
404. Pierpaolo Lauria, Leopardi Filosofo maledetto, prefazione di Alberto Folin
405. Virgilio Melchiorre (a cura di), Un amico fragile. Testimonianze e ricordi per
Adriano Manesco, con la partecipazione di Sibilla Cuoghi, Anna Ferruta, Elio
Franzini, Gabriele Scaramuzza
406. Mario Augusto Maieron e Giuseppe Armocida, Storia, cronaca e personaggi
della psichiatria varesina
407. Georg Simmel, Cultura femminile
408. Francesco Allegri, Gli animali e l’etica
409. Gustav Gustavovič Špet, La forma interna della parola. Studi e variazioni su
temi humboldtiani (1927), traduzione e cura di Michela Venditti
410. Maurizio Balistreri, La clonazione umana prima di Dolly. Una fantasia che
diventa realtà?
411. Monique Jutrin, Lo zibaldone di Ulisse. Con Benjamin Fondane al di là della
storia (1924-1944), traduzione e cura di Anna Carmen Sorrenti
412. Antonio De Simone, L’io reciproco. Lo sguardo di Simmel
413. Mattia Geretto, L’essere e le sue determinazioni. Sulla monadologia di
Bernardino Varisco
414. Luigi Ferrari e Luca Vecchio (a cura di), La psicologia critica e i rapporti tra
economia, storia e psicologia
415. Gabriele Giacomini, Psicodemocrazia. Quanto l’irrazionalità condiziona il
discorso pubblico, prefazione di Angelo Panebianco
416. Sergio Solombrino, Intenzionalità ed esperienza nel Wittgenstein intermedio
417. Alice Gonzi, Monique Jutrin (a cura di), Benjamin Fondane: una voce singolare
418. Vinicio Busacchi, La via della creazione. di valore. Nuovi interventi buddisti
419. Rainer Matthias Holm-Hadulla, Passione. Il cammino di Goethe verso la
creatività. Una psicobiografia, traduzione dal tedesco e cura di Antonio Staude
420. Enrico Valtellina, Tipi umani particolarmente strani. La sindrome di Asperger
come oggetto culturale
421. Sarah Songhorian, Sentire e agire. L’etica della simpatia tra sentimentalismo e
razionalismo. Prefazione di Massimo Reichlin
422. Giacomo Leopardi, “Lo stato libero e democratico”. La fondazione della politica
nello Zibaldone, selezione dei testi, introduzione e commento a cura di Fabio
Vander
423. Sergio Scalia, Quale futuro. Potenzialità e rischi delle nuove tecnologie
424. Felice Accame, Il dispositivo estetico e la funzione politica della gerarchia in cui
è evoluto
425. A. Berriedale Keith, D.C.L., D.litt., Il sistema . Storia della filosofia