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Lezione 11 – 20/10

Lione, capitale poetica franco-italiana; Étienne Dolet; Louise Labé; Maurice Scève

Nel XVI secolo, la città di Lione gode di una grande fortuna. Essendo tra due fiumi, dove la comunicazione e le attività
nuove erano facilitate (la stamperia ha bisogno dell’acqua per far girare i torchi), molti studenti italiani e persone del
mondo editoriale vi erano arrivati.

La cultura lionese, dunque, era caratterizzata da tre elementi chiave:


- Autonomie: rispetto al re, al parlamento, alla Sorbone, che fa si che l’ambiente letterario fosse molto meno
rigido rispetto a quello parigino. Allo stesso modo, la poesia che si sviluppa a Lione è molto lontana rispetto
alla poesia della Pléiade.
- Cosmopolitisme: forte presenza italiana. Cultura neo-latina, vivace. L’importanza della Défense non esclude
l’uso del latino nel mondo letterario.
- Ecletisme: presenza di diverse correnti mistiche, ermetiche e femminismo di origine neoplatonica. La bellezza
della donna suscita il desiderio di innalzarsi a una perfezione ideale, allontanata dalla condizione umana. Lo
sguardo, per esempio, fa capire che c’è qualcosa al di sopra.

“Ce climat lyonnais a toujours produit de bons esprits en tous sexes.” - Antoine du Moulins.
Lione era la capitale della poesia franco-italiana perché, come già detto, essendo più vicina all’Italia rispetto a Parigi, i
rapporti tra Lione e l’Italia erano molto più stretti. Inoltre, quello di Lione è un ambiente letterario che coinvolge sia
uomini che donne.
La figura femminile era stata fortemente rivalutata nella cultura lionese: vengono riconosciute le donne come poetesse
e, in generale, si inizia a sentire la loro voce nella rivendicazione della libertà, della complicità con il sesso maschile e
della possibilità di agire.
Non esiste, nel corso del XVI secolo, un gruppo ristretto che avesse fondato la scuola lionese nel senso moderno del
termine; era sorta, invece, una comunità segnata da un forte fermento culturale chiamata sodalitium lugdunense
(sodalizio di Lione).

Le influenze derivanti da altre culture spingono gli autori a trarne delle riflessioni: da fonti simili nasceranno, in realtà,
testi molto originali.
Un esempio dell’influenza italiana nella poesia francese è il bipolarismo dell’esperienza amorosa : in Petrarca si
incontrano varie antitesi, che si ritroveranno nella produzione poetica di Louise Labé.
Alcune delle fonti più famose che i poeti lionesi riprendono sono “Il cortegiano” di Castiglione e le “Georgiche” di
Virgilio.

Essere artisan significa essere artista, cioè colui che sa mettere insieme diverse fonti per comporre un’opera nuova.
Vi era un legame stretto tra l’arte e artigianato a Lione: i pittori, per esempio, erano anche coloro che preparavano
materialmente i loro colori, così come il musicista era anche liutaio (Louise Labé era anche chiamata la belle cordière
per il mestiere del padre).

Étienne Dolet
Uno dei massimi rappresentanti della scuola lionese è senza dubbio Étienne Dolet (1509-1546), di cui si è già parlato per
l’importanza della traduzione con “La manière de bien traduire”, che dà origine a un’ampia indagine linguistica.
Nell’opera, Dolet loda gli autori del suo tempo che preferivano la propria lingua al latino, tra cui rientrano Petrarca e
Bembo, e du Bellay.
A Dolet si attribuiscono anche varie traduzioni da Cicerone e Platone, poesie in latino e in volgare, nonché una storia
delle imprese di Francesco I.
A un temperamento incline alla rabbia e alla polemica si oppone, in Dolet, un impegno intellettuale molto sentito, per
questo i giudizi su di lui sono stati altalenanti.
È considerato uno dei primi martiri del libero pensiero, oltre che di una sofferta ricerca di gloria e totale dedizione alla
cultura, che l’hanno portato a morire sul rogo.
Lione capitale della stampa
Oltre a Dolet, un altro esponente della scuola lionese è Jean de Tournes (1504-1564), ricordato per il suo ruolo di
imprimeur du roi: tutti i testi, prima di essere pubblicati, passavano sotto il controllo del re e dei suoi funzionari.
Le opere stampate dagli imprimeurs du roy vengono esposte in quella che diventerà la Biblioteca Nazionale Francese.
Alcune opere pubblicate:
- Alciati, Emblèmes
- J. Peletier Du Mans, Dialogue
- Pontus De Tyard, Solitaire second
- Louise Labé, Œuvres de Louise Labé, lyonnaise

- Utilizzo della y in poesia per creare un legame con il mondo greco;


- Il poeta gioca sull’assonanza Ilion (città di Troia) e Lyon per cantare sia
la città che la donna amata;
Obiettivo: sottolineare l’originalità della poesia francese.

Maurice Scève (1501-1560)


Senza dubbio, Scève è il maggior esponente della scuola lionese, e francese in generale prima di Ronsard. Di lui si
ricorda soprattutto il poema Microcosme, in cui viene ripresa l’antica metafora dell’uomo considerato microcosmo,
ovvero un essere che racchiude in sé tutti gli aspetti del mondo reale e che si trova al confine con il mondo ideale.
Il poeta, infatti, tramite la sua poesia (microcosmo) esprimeva l’armonia del mondo (macrocosmo).
Allo stesso modo concepiva l’amore, un’idea che si trasforma in una realtà fisica (influenza del neoplatonismo),
entrando dunque in una dimensione corporea. La metamorfosi dell’amore sarà il tema centrale della produzione
poetica di Scève.

Louise Labé (1524-1566)


Louise Labé è una delle voci femminili più creative della scuola lionese. Cresciuta in convento, ha
acquisito un’educazione strettamente legata alla musica: per via del lavoro della sua famiglia con le
corde, la poetessa veniva chiamata la belle cordière. L’elemento musicale sarà senza dubbio un
elemento importante nella sua produzione.
1555: a quasi trent’anni, Louise Labé dava l’idea di aver già completato un percorso letterario,
poiché scrive un’œuvre complète (la pubblicherà a Lione da Jean de Tournes).
Un altro aspetto importante è che, oltre a farsi pubblicare con il proprio nome, nel frontespizio si
definisce subito 1. lyonnaise per specificare una cultura a sé stante. Subito sotto si nota 2. privilège
du roi, cioè un’autorizzazione data allo stampatore dopo che fosse stata fatta una lettura censoria.

Al privilège segue 3. La dédicace (o lettera dedicatoria – épître dédicatoire) considerata da Rigolot un vero e proprio
manifesto letterario come la Deffence, ma ora nei confronti della donna e non della lingua francese - “une véritable
Deffence et illustration de la femme française”.
Il manifesto è stato interpretato in maniera anacronistica, poiché è stato definito dalla critica come un manifesto
femminista: il femminismo come movimento non era ancora nato, tuttavia ci sono elementi molto importanti che
riguardano il ruolo della donna e la questione femminile in generale, e che puntano a dare loro una voce.

(Budini)
Opere contenute nel volume (composizione eterogenea)
4. Débat de Folie et d’Amour: è un dialogo che, per molti aspetti, ritratta il dialogo teatrale (si diceva che le donne
non avessero mai scritto per il teatro). La Labé aveva una visione dell’amore come fiamma che dà un senso alla vita.
5. Tre elegie: la forma elegiaca era già presente nei “Regrets” di du Bellay. Sono l’espressione di un dolore
interiore.
6. 24 sonetti, di cui il primo è in italiano. Qui è la donna amata che racconta il suo dramma amoroso, oltre al suo
desiderio fisico molto forte. In uno dei sonetti la poetessa dichiara di voler morire l’ora e il giorno in cui non
potrà più dare signe d’amante.

7. Poesie di amici e ammiratori di Louise Labé, sia famosi (come Scève) e non.

Claude de Taillemont (1506-1558)


Gli influssi neoplatonici e metafisici della poesia di Scève si ritrovano nella produzione poetica di Taillemont: nell’opera
Tricarite (1556), il titolo allude sia alla donna amata che alle tre virtù teologali – fede, speranza e carità – che la donna
incarna.

Di Taillemont si ricorda soprattutto “Discours des Champs faëz, A l’honneur et exaltation de l’Amour et des Dames”
(1553). L’opera, scritta in prosa, rimanda ad un ideale di mondo utopistico: gli champs faëz (campi fatati) sono infatti
simboli di un mondo diverso e migliore.
L’opera si presenta come un dialogo tra due interlocutori, uno a favore dell’amore e uno a favore della donna, secondo
il modello del Decameron di Boccaccio.
La stessa attenzione verso la colta donna-poetessa sarebbe stata anche destata dalla diffusione e dalla circolazione a
Lione dell’Ode à l’Aimée di Saffo. La poetessa greca, apprezzata e studiata nel Cinquecento, permette ai lettori di
immaginarsi la donna non solo come oggetto d’amore, bensì anche come figura colta che esercita la poesia.
Dal parallelismo fra le due donne (Louise Labé e Saffo), specialmente nelle pièces di quanti decidono di lodarla, diventa
un vero e proprio “double de Sappho”.
Louise Labé – préface delle “Œuvres complètes” di Rigolot

Le opere di Louise Labé, definita da Rigolot “le plus grand poète de la Renaissance française” meritano di essere lette
perché parlano ancora alla nostra sensibilità di moderni. Rigolot attacca apertamente i critici che hanno rovinato la
reputazione della poetessa, censurandone l’opera e facendola apparire come la “cortigiana lionese”.

Fenomeno Labé: in un’epoca in cui poco era concesso alla donna, come ha fatto Louise Labé, figlia e moglie di artigiani
e dunque di bassa estrazione sociale, a diventare la celebre poetessa qual era un tempo, oltre ad aver rivendicato
l’accesso alla cultura al mondo femminile e ad aver preso una posizione senza cadere nel ridicolo?

Épître dédicatoire à Clémence de Bourges: è un testo importante per la storia dell’umanesimo e del “femminismo”, in
cui la Labé oppone le “tenebre” del passato alla “luce” del presente e del futuro —> la nuova libertà concessa alle
donne deve essere sfruttata in modo onorevole: scrivendo opere letterarie, studiando intensamente, così da ottenere
quella gloria fino ad allora riservata agli uomini.
è Negazione del concetto di donna-oggetto;
è Rivendicazione della propria personalità, che non deve adattarsi ai gusti altrui;
è Incoraggiamento reciproco che deve partire dalle donne, per poi ampliarsi tra donne e uomini.
è Rapporto tra studio e sensualità: nonostante l’onore e la gloria che scaturiscono dall’attività culturale, il
criterio e fine ultimo deve rimanere quello del piacere, non come passatempo (piacere temporaneo) bensì
come soddisfazione di sé (piacere duraturo).
Nel manifesto parla della falsa modestia, con cui gli autori fingevano di scusarsi anticipatamente per la mediocrità della
propria opera, pur consapevoli del contrario. Louise Labé la condanna nelle opere che le donne devono scrivere, in
nome del bene pubblico come fine ultimo, eppure riconosce i limiti della sua intelligenza. Questa “professione di umiltà”
non vuole catturare la benevolenza del lettore, ma perché la sua azione è in funzione di una comunità che deve
rinnovarsi gradualmente e attraverso la collaborazione.

Débat de Folie et d’Amour: è definito (da Rigolot) un racconto mitologico dialogato, con la struttura argomentativa del
contrasto. Vi sono numerosi richiami alle letterature oltre confine, come il Banchetto di Platone, le Metamorfosi di
Ovidio, Petrarca, Dante, Boccaccio. Labé usa uno stile straordinariamente realistico per una questione semplice: chi
deve entrare per primo, tra Amore e Follia, al banchetto degli Dei. La Fontaine la riprenderà ne “L’Amour et la Folie”.
Gli aspetti conflittuali tra passione e desiderio sono trattati attraverso delle allegorie, così come allegoricamente è stato
impostato il discorso tra i due avvocati difensori, Apollo (per Amore) e Mercurio (per Follia) —> riferimento alla mano
del giurista Thomas Fortin, amico della poetessa.
Le due tecniche utilizzate, com’era la moda del tempo, sono:
- Enfasi: accentuare il discorso per impressionare il lettore;
- Intreccio: annodare tra loro vari elementi per presentarli come in una catena narrativa.
Il Débat fa prendere al lettore la parte del folle, non perché la saggezza sia noiosa, ma perché lo stile della follia è più
interessante e seducente.
- Facétie: il Débat è lontano dallo stile farsesco, anche se non mancano espressioni ironiche o burlesche. La
facezia, o lo scherzo, è l’ambito di questo testo, e consiste in un procedimento letterario basato sul
meccanismo della sorpresa. L’uso di questo stile ha permesso alla Labé di condannare allegoricamente vari
difetti della sua società, in più in termini femministi: se nell’épître ha rivendicato l’accesso alla cultura da parte
delle donne, qui fa parlare Apollo a proposito della brutalità della società maschile, che parla un linguaggio
rustico e barbaro —> effetto civilizzatore del sapere.

Élégies: il genere elegiaco è stato introdotto in Francia con Clément Marot nel 1534. Nel 1548, quando Sébillet pubblica
il primo Art Poétique in Francia, porta una definizione di epître e di élégie, sebbene ci fosse qualche confusione sulla
terminologia di questi generi in quegli anni:
- Épître: lettera in versi;
- Élégie: épître che parla di amore – desideri, piaceri e tristezze dell’amante verso l’amato. La sua struttura è in
decasillabi a rima baciata, che infatti è lo schema metrico seguito dalla Labé.
Fonte: Properzio (latino), da cui riprende il motivo della passione distruttrice che porta alla follia. Le elegie, infatti,
danno l’illusione di essere state scritte da una donna follemente innamorata che è stata abbandonata dal suo amante.
Quello che colpisce il lettore è il suo atteggiamento attento e inquieto —> osservazione dei propri sentimenti e
abbandono al desiderio di colui la cui assenza è onnipresente. Antitesi di questo genere ricorreranno in tutta l’opera
attraverso l’uso del monologo interiore, espressione dell’amore sfortunato della voce che parla.
Sempre nelle elegie, Labé esprime con forza la sua coscienza e vocazione di poetessa, dunque il suo posto nella poesia
lirica.
Dame lionnoise: il dato sessuale e quello geografico creano il cosiddetto effetto del reale all’interno della finzione
amorosa.

24 sonetti: com’era consuetudine nel Rinascimento, ogni poeta comunicava le proprie emozioni ed esperienze facendo
ricorso a strutture artificiali. Con Louise Labé la sincerità si traduce nel portare al lettore un giudizio veritiero, sincero, su
se stessa, non senza aver subito influenze dal petrarchismo italiano.
La poetessa esprime la complessità e le mille sfaccettature della sua passione, a tal punto che il lettore non è in grado di
seguire coerentemente il filo del discorso —> composizione poetica come un brouillage voulu (un’interferenza voluta)
—> la confusione scaturisce dal desiderio di tradurre il caos interiore del proprio io lirico.

Tornando all’influenza petrarchista, i 24 sonetti formano una sorta di canzoniere. La confusione data dalla passione
amorosa non ha impedito alla poetessa di sviluppare un piano tematico omogeneo composto da vari punti:
- Sonetto iniziale italiano: segnale linguistico filo-petrarchista;
- Condizioni dell’innamoramento;
- Problemi della passione;
- Sonetto centrale (XII);
- Accoglienza e rifiuto dell’immaginario;
- Sonetto finale;
Amore come motore dell’universo: l’ordine cosmico viene distrutto dallo smarrimento interiore dell’amante respinta.
Riferimento del bacio a sfondo erotico: da Labé che rimanda a labium, labbro.

Privilège du Roy
Il Re e il suo consiglio dichiarano di aver ricevuto la supplica della loro “cara e amata Louise Labé”, in cui essa dichiarava
di aver scritto il Débat insieme a vari sonetti, odi ed épîtres ma che questi sarebbero stati pubblicati da alcuni suoi amici
quando i testi non erano stati ancora ultimati.
Il Re acconsente di dare alle stampe l’opera definitiva e sopprimere i primi esemplari. Inoltre, concede a Labé la piena
libertà sulle modalità della pubblicazione e divulgazione dei propri testi.
Lezione 12 – 21/10
Louise Labé – Focus su Épître dédicatoire À M. C. D. B. L. (À Mademoiselle Clémence de Bourges
Lyonnaise) – da “Œuvres complètes”
La poetessa si rivolge a una donna molto più giovane di lei, e soprattutto fa parte di un ambiente molto più elevato.

La Dédicace comincia come fosse una dichiarazione importante e precisa: vi è una presa di posizione interessante sul
cambiamento culturale di quegli anni: i tempi sono cambiati, “les severes loix des hommes n’empeschent plus les
femmes de s’apliquer aus sciences et disciplines” —> constatazione di una evoluzione culturale che fa esordire la voce
della Labé.
Se le donne apprendono le scienze e le discipline, avranno sfruttato la loro nuova libertà in maniera onesta e
intelligente. Allo stesso modo, la donna può avere un’inclinazione alla scrittura, dunque deve coltivare questa passione
con cura, senza fingere di essere umile: la donna si può mostrare attraverso la bellezza di un testo da lei scritto, e non
per forza con gioielli e vestiti sontuosi (che le donne usano e non producono).

La Labé spiega a M. Clémence de Bourges che ha passato parte della sua giovinezza a studiare musica, non i classici, e
aveva poco tempo libero. Il suo desiderio, tuttavia, era quello di eguagliare, se non superare, gli uomini.
Tutte le donne virtuose devono alzare gli occhi dagli strumenti delle attività domestiche. Non vi è una rivendicazione
femminista, bensì l’esigenza di una collaborazione tra donna e uomo. Le donne non vogliono prendere il comando della
società al posto degli uomini, tuttavia vogliono non vogliono essere disprezzate vogliono un proprio ruolo nella vita
sociale —> La diversità è segno di libertà, e la collaborazione implica ovviamente un miglioramento per la società.

- La musica è, come già detto, è un elemento cruciale


nell’esperienza poetica del Cinquecento. La stessa Labé dichiara di
aver ricevuto un’educazione musicale prima di darsi alla scrittura.
- Non a caso, il sonetto XII della sua raccolta ha come tema la
musicalità, ed è stato collocato a metà dell’insieme dei sonetti (24 in
tutto).
- L’elemento musicale è quasi personificato: si coglie il potere
lenitivo che viene riconosciuto alla musica, e alla sua importanza in un
rapporto anche amoroso.

- Ossimori = dolore e speranza di sollievo

- Tono: nota musicale


La prima forma di collaborazione dunque deve arrivare dalle donne, che dunque devono sostenersi l’un l’altra senza
negare la propria personalità. Il buon esempio spingerà gli uomini a migliorarsi.

Oltre alla rivendicazione della gloria e dell’onore, ci deve essere anche piacere nello studio, che deve incitare le donne
nella perseveranza nonostante la fatica impiegata.
Quello dello studio è un piacere diverso dalle altre ricreazioni (ballare, passeggiare ecc…), perché oltre ad aver passato
del tempo, lascia una contentezza che dura a lungo, e non solo mentre si studia.
Quando si ricorda il passato, non si può tornare a quella situazione, ma se scriviamo le nostre idee la scrittura ci riporta
nella concretezza del ricordo, il cui piacere si raddoppia se si va a rileggere ciò che si è scritto —> seconde
considerazioni: la scrittura e la lettura sono piaceri che ci riconducono a un secondo piacere, cioè a una seconda
concezione del piacere. Ritorno del piacere garantito dalla scrittura, consapevoli della fatica del lavoro della scrittura.

L’autrice dichiara che, scrivendo i suoi versi, cercava solo un mezzo per non cadere nell’ozio. Inizialmente, nessuno oltre
a lei doveva leggere i suoi testi: la scrittura per se stessi costituisce un’altra professione della finta modestia di Louise
Labé, che era molto più colta di ciò che dichiarava, e sostiene che siano stati i suoi amici a incitarla a pubblicarli.
Conclude dicendo che, siccome le donne da sole non si mostravano in pubblico, non era comune pubblicare un’opera
sotto il nome di una donna, mentre la Labé lo fa. —> invito alla giovane M. Clémence de Bourges a scrivere, poiché
scrivendo nasce quella collaborazione femminile di cui parlava in precedenza.
—> Louise Labé riconosce, a detta sua, la sua poca predisposizione alle lettere, tuttavia questo non le impedisce di
chiedere aiuto a chi sa che può fare meglio.
M.Huchon, Louise Labé: une créature de papier, Genève, Droz, 2006, p. 274-275

Une créature de papier: Huchon sostiene che la Labé non sia mai esistita, bensì sarebbe stata inventata da quel
sodalitium lugdunense, il quale aveva intuito che le cose stavano cambiando e che largo spazio iniziava ad essere dato
alle donne.
Secondo la Huchon, quindi, il gruppo avrebbe pensato di scrivere un’opera e pubblicarla con il nome di una donna, per
motivi di guadagno economico (operazioni culturali di questo tipo non sono state rare nel tempo).

Budini, P., Louise Labé poétesse lyonnaise. Essais, études, épreuves de lecture, Firenze, Olschki, 2017, p.75

Budini risponde alla Huchon, e si riferisce a quella scrittura faticosa di cui la Labé parlava nella Dédicace: l’obiettivo di
far apparire la poesia come una creazione spontanea e naturale, nata dunque senza sforzo, in realtà implica un grande
lavoro (du Bellay).
Débat de Folie et d’Amour

Argomento: Amour e Folie sono arrivati insieme al banchetto degli Dei. Folie, entrando per prima, scatena l’ira di
Amour, e i due iniziano a discutere sui propri poteri. Amour scaglia la sua freccia contro Folie ma lei, diventando
invisibile, la evita. Per punizione rende Amour cieco e gli mette una benda divina impossibile da togliere.
Giove, dopo aver ascoltato i difensori (Apollo e Mercurio) si consulta con gli dei ed emette la sentenza.

Discours I: Amour pretende di passare per primo per la sua sola natura divina considerata superiore a quella di Folie —>
allegoria della superiorità dell’uomo rispetto alla donna (“Ce te sera honte de quereler avec une femme” = minaccia
sottovalutata da Amour, poiché nessuno lo aveva minacciato prima d’ora).
Sempre per la sua natura, Amour si considera “le plus creint et redouté entre les Dieus et les hommes” e si oppone a
Folie, “femme inconnue”.
La condizione di Folie si avvicina fino ad assimilarsi a quella della Labé e della donna del suo tempo: la sua giovinezza, il
suo sesso e, soprattutto, la sua ignoranza, smentiscono i suoi argomenti.

Amore come piacere privato, segreto: Amour si riconosce solo nella propria supremazia sulle genti e sulle divinità.

Folie è sicura di sé (“Je suis Deesse, comme tu es Dieu” … “Je suis celle qui te fay grand”). È grazie a lei se “tant de
miracles” sono avvenuti nel mondo, così com’è stata lei a forgiare l’arco e le frecce di Amour (Cupido). Per dimostrarlo,
si rende invisibile e gli toglie gli occhi —> Amour non è niente senza Folie: è Cupido a scoccare la freccia, ma è Folie a
inidirizzarla al cuore di chi vede.
Folie punisce il suo avversario per la sua vanità e presuntuosità nei suoi confronti.

Discours II: Amour, privato dei suoi poteri, si piange addosso e decide di riconsegnare arco e frecce a sua madre,
Venere. Lei gli chiede cosa fosse successo e perché non fosse venuto al banchetto degli Dei, destando molta
preoccupazione a lei e agli altri. Quando le viene detto dal figlio che ha avuto la sfortuna di essere stato accecato,
Venere si dispera e maledice Folie (“O maudite ennemie de toute sapience, ô femme abandonnee, ô à tort nommee
Deesse”). La causa della sua disperazione è il non avere altro pregio se non la bellezza, che ora non sarà più visibile al
figlio. Per questo, chiederà a Giove di fare giustizia.

Discours III: Venere spera e confida nell’aiuto di Giove (“la juste douleur, que j’ay pour l’injure faite à mon fils Amour, te
devra faire avoir pitié de moy”). Giove promette che la punizione sarà esemplare, ma soltanto dopo un processo in cui si
stabilirà se Folie ha commesso o meno un grave errore. Successivamente Folie viene convocata a palazzo, promette di
collaborare a una condizione: sapendo che Amour fosse favorito, chiede che qualche Dio testimoni a favore di lei.
Questo permetterà che vengano giudicati soltanto i fatti, e non le qualità delle singole divinità.
Dopo che Giove gli avesse concesso la libertà di scegliere, Folie indica Mercurio come suo difensore. Venere, allora,
sceglie Apollo per difendere suo figlio.

Discours IV: Giove è stupito che dopo tutto il male provocato da Amour agli altri Dei e gran Signori, solo Folie si sia
ribellata. Amour risponde che sarebbe ridicolo (ironia) se, dopo far innamorare gli uomini tra loro, non si facesse amare
anche lui dalle genti (richiamo cristiano dell’amare il proprio nemico).
Giove risponde di essere amato per la sua forza e astuzia, non a causa del sentimento amoroso. Invece, per essere
amati bisogna prima amare —> l’amore vero esiste solo quando si vuole il bene dell’altro prima del proprio —> Giove
viene chiamato all’umiltà (“Quand tu voudras estre aymé, descens en bas, laisse ici ta couronne et ton sceptre, et ne dis
qui tu es”).

Discours V:

Apollo a Giove

Apollo avverte Giove affinché giustizia sia fatta. Trapela un tono leggermente provocatorio e minaccioso, visti i
riferimenti a dei Giganti che potrebbero sconfiggerlo (“d’outrager devant tes yeus l’un des principaus de ton Empire”).
Se vuole mantenere la propria grandezza, Giove deve punire Folie per l’ingiustizia commessa.
Ovviamente, Apollo fa passare Amour come vittima e Folie come donna disonorevole che si vanta davanti al Dio più
potente.
Folie avrebbe commesso due ingiurie nei confronti di Amour: lo ha ferito e gli ha tolto la possibilità di guarire. Tra i
comuni mortali vige la legge occhio per occhio, dente per dente, ma quando le offese riguardano due o più divinità, ecco
che il dolore si moltiplica, dunque deve moltiplicarsi anche la severità della punizione.
Senza amore (e senza Amour), tutto è perduto, poiché è sull’amore che si basano le relazioni umane e la conservazione
del mondo. Per questo, tutte le divinità e semi-divinità, oltre agli uomini, si sentono feriti, perché l’amore (Amour) è in
ognuno dei loro cuori.
Folie non merita di essere un’immortale divinità, oltretutto dopo aver offeso Amour al palazzo di Giove.
Successivamente, inizia a prendersela con Giove perché Amour si è fatto influenzare da Folie: con i suoi fulmini, Giove
aveva colpito persone innocenti e non chi ha oltraggiato colui che tiene in piedi l’universo. Per questo motivo, la
richiesta di Apollo è che, oltre alla restituzione della vista, Folie venga allontanata per sempre da Amour.

Dal divino al terreno —> un altro richiamo al messaggio cristiano è l’idea che gli uomini sono fatti a immagine e
somiglianza delle divinità.
L’amore di Orfeo, espresso mediante la sua poesia, ha addolcito gli animi degli uomini primitivi (“destourner les
hommes barbares de leur acoutumee cruauté”). Addirittura, l’amore è difeso da Apollo come una virtù sufficiente a
rendere un uomo un Dio.
Anche l’uomo, nella sua quotidianità, prova diverse forme di amore:
1. Amore all’interno del matrimonio —> l’uomo soffre senza una donna che si prenda cura di lui, e si sente
costretto ad abbandonare il nido familiare;
2. Amore fraterno, sia esso tra due uomini, due donne o donna-uomo (es. Arianna e Teseo).

“Qui ne prenne plaisir, ou d’aymer, ou d’estre aymé?”


Coloro che rifiutano di amare e farsi amare sono come i Misantropi, lupi mannari. La loro vita è dunque vuota e
miserabile —> ulteriore dimostrazione dell’amore come fondamento e motore dell’universo: se tutti gli uomini fossero
come i Misantropi, non ci sarebbe motivo di vivere.
“Qui ha inventé un dous et gracieus langage entre les hommes?”
Ad Amour viene dato il merito di aver creato il linguaggio così che gli uomini potessero cantare la pace, rendendogli
onore, e non proclamare la guerra.

Chi si sente amato ha una sorta di autorità su colui che ama, sulle gesta, i fatti e le parole. Di conseguenza, Amore
permette una conoscenza di se stessi attraverso la relazione con l’altro —> riferimento al “Simposio” di Platone,
secondo cui un tempo l’uomo e la donna erano una cosa sola, ma Zeus li ha divisi a metà e li ha condannati a cercarsi a
vicenda —> Louise Labé ha una larga conoscenza della cultura classica.

Funzione benefica dell’Amore – “L’Amour ne soit cause aus hommes de gloire, honneur, proufit, plaisir.”
- Nel corpo - Apollo prosegue dicendo che il corpo di un innamorato è costantemente rinnovato e modellato
dall’amore. Il suo compito è quello di migliorare e addolcire le passioni e le manifestazioni che sia uomini che
donne mettono in scena nella loro relazione, creando bellezza.
- Nella musica - allo stesso modo, sostiene che anche la musica sia stata inventata da Amore, per questo sono
stati inventati i vari strumenti musicali (lira, violino, cetra, flauto ecc…) e i vari generi.
- Nel teatro – i protagonisti delle rappresentazioni sono giovani che combattono per amore, così come per
amore accadono i vari intrighi e intrecci (gelosia, tradimenti ecc…).
- Nella poesia – l’amore supera la diversità linguistica, poiché tutti i poeti e i filosofi ne hanno parlato (“Le plus
grand plaisir qui soit après Amour, c’est d’en parler”). Labé fa riferimento a Orfeo, Omero, Saffo e Platone, ma
anche Ovidio, Petrarca e Virgilio.

Cupido ha potuto fare tutto questo finché era in possesso della vista, mentre ora le genti sono prede della follia:
l’anziana confonderà l’amore casto con desideri folli e giovanili; non ci sarà più distinzione tra nobile, paesano, infedele
o adultera —> ultimo appello estremo di Apollo: finché Folie non si allontanerà da Amour, il mondo dovrà affrontare
tutti i mali che ne derivano, visto che non c’è compagnia più pericolosa che di quella di Folie.

Mercurio a Giove

Nella sua difesa a Folie, Mercurio la chiama bonne dame —> NB: una divinità maschile difende una dea (non per sua
volontà, ma per non disobbedire a Giove e Venere).
Mercurio spiega che in passato Amour e Folie erano amici: il torto è stato scatenato da Amour perché è stato lui che per
primo ha voluto mostrare a Folie di essere superiore (“avoir puissance sur le cœur d’elle”). Da qui scaturisce la reazione
di Folie:
1. Privazione degli occhi, che altro non era che una forma di difesa ingenua, vista la giovinezza della dea;
2. Benda divina: Mercurio la definisce una vera e propria calunnia, eppure non immaginava le conseguenze
(impossibilità di riacquistare la vista). Cupido, dal canto suo, non si è ribellato, riconoscendo di essere stato
colpevole —> quella di Folie passa da essere un offesa a essere un favore.

Intenzione di Mercurio: mostrare che Folie non è inferiore ad Amour, e che Amour non sarebbe niente senza di lei.

All’inizio dei tempi gli uomini non commettevano follie (Folie, come già detto, è una dea giovane). In questo caso, la
follia prende le sembianze dell’ambizione, poiché Mercurio afferma che è cresciuta con l’avanzare della storia —> gli
uomini hanno cercato sempre di più di prevalere l’uno sull’altro (dimensione da divina a terrena) —> è stata lei, e non
Cupido, a farsi temere per prima, così come è stata lei a rendere il mondo un posto magnifico e glorioso.

Provocazione di Mercurio a Giove: mettere un saggio vicino a un folle e vedere chi sarà più stimato: il saggio sarà solo,
mentre il folle girerà finché non avrà trovato un altro folle. La loro alleanza li renderà stimati.

Piacere
- Amore – piacere segreto, privato, perché ridotto a poche persone (amici, amanti). All’inizio è piacevole, ma
con il tempo può portare alla noia —> idea di ricerca della possessione.
- Follia – piacere esteso a tanta gente allo stesso tempo. Non annoia, perché provoca risate e divertimento —>
piacere nel caos creato dal desiderio.

Discorso sul teatro: la Follia ha portato il divertimento anche a teatro, ispirando le commedie. Lì, come nella vita di tutti
i giorni, ha risvegliato gli spiriti degli uomini impedendo loro di cadere nell’ozio.
La lotta tra Antonio e Cleopatra, per esempio, è stata dettata dal loro amore folle.

Collegamento Francia-Italia: Francesca da Rimini si è innamorata non solo perché aveva letto il famoso libro, ma perché
Folie ha scatenato in lei l’innamoramento al vedere Paolo —> tanti personaggi passati e presenti non si ferirebbero se,
per aver amato, li si chiamasse folli.

Per continuare a dimostrare lo stretto legame tra Amore e Follia, Mercurio dichiara che i filosofi hanno creduto,
sbagliandosi, che la Follia volesse dire privarsi di saggezza, o che la saggezza non includesse le emozioni e le passioni.
Allo stesso modo, secondo il suo giudizio le più grandi follie avvengono dopo l’accrescimento del sentimento amoroso
—> l’amore chiude le porte alla ragione, e questo fatto bisogna soltanto accettarlo.
Vi è qui un riferimento biografico alla stessa Labé: la negazione della propria personalità per piacere all’altro (nel suo
caso agli amici poeti).
L’esempio che porta Mercurio, infatti, è quello di una donna che, stando con la persona che amava da sette anni, si
sente più sola che mai. Il suo scopo, ingiustamente, era quello di piacere a lui —> non sentendosi amata, cade preda
della follia: dichiara di rifiutare l’amore ma poi lo cerca ardentemente, e considera gli uomini tutti uguali.
è Per essere amati bisogna prima amare l’altro.

Sentenza finale di Giove – convivenza pacifica. Folie guiderà il cieco Amore ovunque “lui” vorrà (ambiguità sul pronome,
non si capisce se Giove si riferisce a Folie o Amour). In quanto alla restituzione della vista, non è stato emesso nessun
giudizio.
Lezione 13 - 22/10
Il teatro del Cinquecento

Si è visto che la Renaissance è un periodo pieno di novità, prima tra tutte la rivoluzione poetica portata dalla Pléiade, i
cui protagonisti dichiarano di volersi allontanare dal recente passato, il Medioevo, cercando nel mondo greco-latino
nuovi/vecchi modelli. Anche il teatro non si risparmia in quanto a novità, seppure all’inizio del secolo sia indubbiamente
ancora legato alla tradizione medievale.

In generale, il teatro occidentale nasce in Europa nel X secolo, quindi in pieno Medioevo. In particolare, prende vita nei
monasteri cristiani: nella liturgia si iniziano ad inserire delle piccole e brevi rappresentazioni per cercare di spiegare
meglio i fondamenti della fede cristiana. Va da sé l’importanza dell’elemento linguistico: la lingua della liturgia cristiana
nel X secolo era il latino, ma poiché sempre meno fedeli lo studiavano e lo capivano, si inizia ad avvertire la necessità
dei monaci di rendere il messaggio evangelico più chiaro e comprensibile, diffondendo così il Cristianesimo.
Anche se i primi drammi liturgici si cantavano ancora in latino, la rappresentazione e il gesto aiutavano a capire cosa
stesse succedendo.

Con l’avanzare degli anni, le rappresentazioni teatrali vengono apprezzate sempre di più, tanto che c’è bisogno di uscire
dalla chiesa per trovare uno spazio più adeguato: dal XII secolo si inizia ad usare lo spiazzo esterno, il Parvis, in cui
venivano creati dei piccoli palchi (trétaux) perché la folla era sempre più numerosa. I tréataux erano messi in maniera
circolare per sfruttare l’architettura della piazza, e su ognuno di essi veniva rappresentata una scena dei mystères, il
genere teatrale per eccellenza del Medioevo. In Italia, le Sacre rappresentazioni medievali corrispondevano ai mystères
francesi.

Non vi è assolutamente unità di luogo, anzi lo spettatore si spostava man mano che si spostava la scena.
Le rappresentazioni duravano anche giornate e settimane intere, visto il lunghissimo periodo che i testi religiosi
ricoprivano (dalla Creazione di Adamo ed Eva alla Passione di Cristo).
Gradualmente, il latino viene sostituito dal volgare, ma il pubblico resta esclusivamente formato da cristiani.

Oltre ai mystères, che come già detto sono spettacoli religiosi, non mancava il teatro profano, creato esclusivamente
per divertire il pubblico e, in un certo modo, “alleggerire” il senso di dovere portato dalla morale. Si tratta di forme
teatrali satiriche (come “Le Pape malade” e, a tratti, polemiche).
Facevano parte del teatro profano le farces e le sotties (da sot = sciocco il cui compito è dare lezioni di saggezza),
parodie della religione ecc.. ovvero rappresentazioni comiche che erano quasi sempre rappresentate all’interno o alla
fine di un mystère. Si ricordi, infatti, che nel teatro medievale non vi era alcuna distinzione tra tragico e comico, al
contrario del teatro greco.

Du Bellay, nella Deffence, porta una breve riflessione sul teatro:

- Richiamo, da parte di du Bellay, ai vari generi della commedia e della tradegia, con una terminologia che riinvia
al teatro greco-latino;
- Stretto legame tra cultura e politica: il Re prende decisioni sulle rappresentazioni teatrali;
- Condanna del Medioevo: le moralités sono un genere teatrale medievale e, per struttura, sono un po’ più brevi
rispetto ai mystères.
1548: il Parlamento di Parigi pubblica un decreto con il quale si vieta la rappresentazione dei mystères (arrêt du
Parlement), che evidentemente costituivano un ostacolo alla nuova società francese: non si accettava più che la
popolazione francese si fermasse dal lavoro e dalla vita quotidiana per giorni per assistere a degli spettacoli.
Inoltre, in una città in espansione come Parigi, vi era anche un problema di ordine pubblico.
Anche in Italia la situazione è molto complessa: le rappresentazioni vengono vietate anche dal potere religioso, perché
per giorni non assisteva alla messa.

Du Bellay, insieme ad altri autori, non vogliono più saperne del teatro medievale: vogliono un teatro moderno che imiti
il teatro antico, dunque con due forme distinte – la tragedia e la commedia.
D’altra parte, il movimento umanista aveva già contestato il teatro medievale: si erano avuti dei segnali in Francia che
cercavano una nuova forma di teatro nei Collèges, dove ci si leggevano Sofocle, Euripide, Seneca, Aristofane, ma anche
Plauto e Terenzio ecc… quindi autori greci-latini dell’antichità.

Con i movimenti religiosi del XVI secolo e la riforma protestante, viene impedita la rappresentazione in scena delle
figure religiose. Soprattutto, si condanna il teatro inteso come divertimento.

è Come per la poesia si assiste a una vera rivoluzione, anche per il teatro del Cinquecento si può parlare di
rivoluzione, visto che si sostituisce il teatro medievale con un teatro nuovo.
è In Francia, colui che maggiormente si impegnerà nella rivoluzione teatrale sarà Étienne Jodelle.

La Comédie humaniste
La Comédie humaniste è una commedia nuova che prende ispirazione da autori come Menandro (greco) e Plauto e
Terenzio (latini). Modelli provenienti dall’Italia si vedevano piuttosto nella commedia erudita, allora ormai famosa.
La commedia vuole essere comica e divertente, seppur rimanga presente la volontà di insegnare una morale (Orazio
insiste sul fatto che il teatro deve divertire ma anche istruire).
Nel Cinquecento, però, era ancora considerata un genere minore rispetto alla tragedia.
La prima commedia francese viene proposta nel 1552 da Jodelle, con il titolo “L’Eugène”. È una commedia che, se si
vuol definire tale, non può dimenticare del tutto il teatro comico medievale. Infatti, qui come in altre opere sono
presenti elementi farseschi delle opere medievali.
L’eroe principale è un abate di nome Eugenio, che ha come amante Alix. Per non destare sospetti, decide di maritarla
con Guillaume, un ragazzo ingenuo (Guillaume è un nome tipico che si dà ai personaggi imbranati).
In questa commedia, Jodelle continua l’anticlericarismo tipico delle farces.

Gli autori delle commedie cercano di rappresentare la verità sulla scena, quindi danno riferimenti precisi a luoghi e
personaggi: “La Reconnue”, una commedia di Rémy Belleau, ha dei costanti rinvii alle guerre di religione, ma si ispira a
modelli latini (Plauto, Terenzio) e italiani. La storia inizia, non a caso, con una situazione tipica al tempo: la protagonista
Antoinette viene mandata in convento dal padre, ma riesce a fuggire perché vuole convertirsi al Protestantesimo —> il
lettore vede in scena tratti dell’ambiente in cui vive.

Non si dimentichi che l’Italia aveva avuto una grande influenza nel teatro, oltre che nella poesia: si ritrova un forte
influsso italiano anche in quello che è considerato il capolavoro della commedia francese del Cinquecento, “Les
contents” (1581, postuma) di Odet de Turnèbe: è una commedia d’intrigue, in cui le peripezie si susseguono e
l’attenzione del lettore viene mantenuta alta nonostante le dettagliate descrizioni, da parte dell’autore, dei costumi e
degli ambienti a lui contemporanei. Viene dato, così, uno sguardo ironico, malizioso e satirico della realtà francese del
tempo.

Caratteristiche principali
- Vita contemporanea
- Opposizione vita adulta / giovane
- Anticlericalismo
Lezione 14 - 27/10
Il teatro cinquecentesco dal punto di vista religioso

Uno dei testi fondamentali per la rivoluzione teatrale del Cinquecento è stata la “Poetica” di Aristotele, sebbene si
riferisse solo alla tragedia. L’opera era stata già studiata e interpretata in Italia, i cui esponenti ne avevano fatto
discendere alcune regole: le famose tre unità aristoteliche. In realtà, queste regole non sono così rigide nella poetica
quanto lo erano nei commenti e nelle interpretazioni degli autori italiani.

Per la teoria latina ci sarà Orazio, la cui “Lettera ai pisoni” costituisce un Ars poetica che contiene altre caratteristiche
fondamentali per quello che sarà il nuovo teatro, come la divisione in atti.

è Dal 1550 vi sarà una netta distinzione tra tragedia e commedia, pur con delle tipicità francesi.

Focus - Regularis concordia, testo latino in Karl Young, The Drama of the Medieval Church, Oxford, 1933, vol. 1, p. 249.
Traduzioni francesi:
Gustave Cohen, Anthologie du drame liturgique en France, Paris, 1955, p. 29-30 ;
Charles Mazouer, Le théâtre français du Moyen Age, Paris, SEDEF,1998, p. 26.

Tandis qu’est récitée la troisième leçon, que quatre frères s’habillent, dont l’un, vêtu d’une aube blanche, s’approchera
secrètement du lieu du Sépulcre, comme occupé d’autre chose ; et là, tenant en main une palme, qu’il se tienne assis
silencieux. Pendant qu’on chante le troisième répons, que les trois autres s’approchent, ayant tous revêtu la chape,
portant en mains deux encensoirs avec l’encens, et, progressant à pas lents, à la façon de ceux qui cherchent quelque
chose, qu’ils viennent jusqu’au Sépulcre. Ils font cela à l’imitation de l’ange assis au tombeau et des femmes venant
avec des parfums pour oindre le corps de Jésus. Donc, lorsque celui qui est assis aura vu s’approcher de lui les trois
autres comme égarés, cherchant quelque chose, qu’il commence à chanter à voix modérée et douce :
Qui cherchez-vous dans le Sépulcre, o servantes du Christ ?
Ce chant terminé, que les trois autres répondent d’une seule voix :
Jésus de Nazareth crucifié, ô habitant du ciel.
Auxquels il répondra :
Il n’est pas ici, il est ressuscité ainsi qu’il l’avait prédit. Allez, annoncez qu’il est ressuscité des morts.
Sur cet ordre, que les trois se tournent vers le chœur en disant :
Alléluia ! le Seigneur est ressuscité. Aujourd’hui est ressuscité le lion fort, le Christ, fils de Dieu.
Cela achevé, que celui qui est assis, comme rappelant les autres, dise l’antienne :
Venez et voyez le lieu où le Seigneur avait été déposé, alléluia !
Or, en disant cela, qu’il se lève, soulève le rideau et leur montre le lieu vide de la croix, contenant seulement le linceul
dans lequel été enveloppée.
Ayant vu cela, qu’ils déposent les encensoirs qu’ils avaient portés jusque dans le Sépulcre, qu’ils tiennent le linceul et le
déploient face au clergé, comme pour montrer que le Seigneur est ressuscité et n’est pas enveloppé dans ce linceul,
toute en chantant cette antienne :
Le Seigneur est ressuscité du Sépulcre, lui qui fut suspendu pour nous à la croix. Alléluia !
Et qu’ils déposent le linceul sur l’autel. L’antienne terminée, que le prieur se réjouissant du triomphe de notre rois, qui,
la mort vaincue, ressuscita, entonne l’hymne Te Deum laudamus. L’hymne achevé, toutes les cloches sonnent à la fois.

- Teatro come rappresentazione insista nell’uomo per esprimere un messaggio;


- Indicazioni sceniche che saranno utili per il teatro del Seicento;
- Contesto: Chiesa del Nord della Francia, IX secolo. Il pubblico di fedeli non capiva il latino, dunque bisognava
spiegare i vari momenti: in questo caso l’evento è la Resurrezione di Cristo, evento che occupa più giorni;
- Preponderanza della didascalia e della descrizione, che sono estremamente accurate.
Lezione 15 – 28/10
La tragedia francese cinquecentesca

Il teatro ha sempre avuto un legame particolare con il sacro, come dimostra la sua origine.
Tuttavia, nel Cinquecento si mette come punto di riferimento l’antichità e, di conseguenza, si trascura il messaggio
evangelico cristiano poiché la religione ripresa è quella pagana, esattamente come era successo in poesia con il gruppo
della Pléiade —> contraddizione: la Francia del XVI secolo è ancora un paese cristiano. Non a caso, si collocano in
questo secolo le guerre di religione.

1550: “Abraham sacrificant” – Théodore de Bèze


1553: “Cléopâtre capitve” – Étienne Jodelle
1553: “Médée” - Jean de la Péruse (modello Seneca)

è Diversità dell’argomento trattato, ma opere cronologicamente vicine.


1. De Bèze - “Abraham sacrifiant”: si narra il Sacrificio di Abramo, un episodio biblico. Dio sta per sacrificare suo
figlio Isacco ma la mano di Dio lo salva. È una scena centrale per la religione e con una grande carica emotiva.
Viene considerata la prima tragedia del teatro francese, anche se il fatto non è veramente tragico poiché non
si conclude con nessuna morte. Proprio per via del finale De Bèze ha avuto dei dubbi se attribuire alla sua
opera il genere della commedia o della tragedia (i mystères erano stati proibiti due anni prima).
Sceglierà di considerarla una tragedia poiché, seppur si concluda bene come una commedia, il dramma vissuto
da Abramo è una vera tragedia.
In altre parole, è un dramma l’esperienza di un padre che viene chiamato da una forza superiore alla quale si
affida per poi compiere un gesto così forte, ma grazie alla fiducia che ha avuto in Dio viene premiato.
L’opera, pubblicata a Losanna (Svizzera), è indirizzata a quei francesi che hanno abbandonato la Francia per
motivi religiosi e che stanno vivendo gravi pericoli (se tornassero in Francia verrebbero ammazzati). È
un’incitazione a seguire l’esempio di Abramo, il quale ha creduto fino in fondo e ha ottenuto salvezza —> il
teatro serve a tramandare un messaggio di sostegno e, in questo caso, di fede.

Un’altra grande differenza tra commedia e tragedia è la lingua: gli eroi della tragedia sono tutte persone di rango
elevato, dunque il linguaggio deve essere adeguato al loro status. La commedia, al contrario, mette in scena personaggi
di tutti i giorni, quindi la lingua deve essere adeguata al loro strato sociale, in questo caso basso.
Bèze dichiara di aver usato un linguaggio semplice nonostante la sua fosse una tragedia, poiché segue l’estetica
calvinista: Calvino, oltre ad essere un grande riformatore, in numerose opere sostiene la necessità di scrivere in un
linguaggio semplice, così da raggiungere un maggior numero di persone e convertirle alla religione riformata.

La pièce presenta ancora elementi che rimandano al mondo medievale, anche se:
- È breve;
- È scritta in francese;
- Viene definita dall’autore una tragedia;
- Siamo alla metà del XVI secolo.
Sono molti gli autori riformati che scrivono tragedie, scontrandosi però con un altro elemento fondamentale della
dottrina calvinista: il rigore. La religione ha avuto un momento di iconoclastia, che ha portato, negli anni successivi al
1550, a degli arrêts che vieteranno la rappresentazione di personaggi religiosi negli spettacoli teatrali.
Al contrario, i divieti non faranno che continuare quello che si era fatto fino a quel momento.
Soprattutto, a partire dagli anni ‘60 si assiste a una trasformazione: gli autori successivi a De Bèze non solo riprendono
gli episodi del Vecchio Testamento, ma rispettano anche le regole classiche (divisione in atti, alla fine di ognuno c’è un
coro, si concludono con una morte…).
2. Jean de la Péruse - “Médée”: sempre nel 1553, l’autore riprende la storia di Medea, figura appartenente
all’antichità: storia vuole che Giasone, per conquistare il vello d’Oro, abbia avuto bisogno di Medea, una donna
che aveva poteri di maga e che lo aiuta. Medea, seppure fosse sposata, deciderà di fuggire con Giasone. I due
avranno dei figli ma, una volta tornati a Corinto, lui si innamora della Regina del luogo. La disperazione di
Medea per l’abbandono la porterà ad uccidere i suoi stessi figli.
Il mito di Medea è stato introdotto da Euripide, che ne scrive una tragedia —> Un tema trattato nei miti antichi
viene riproposto negli stessi anni accanto al tema religioso.
La novità è che a Medea di La Péruse non ha come centro il teatro tragico greco ma quello latino, dunque il
modello seguito per la forma non sarà Euripide ma Seneca.

Differenze: pubblico, fonti

ü La tragedia umanista parla a un pubblico non popolare. Questo teatro è per ambienti chiusi, non è per autori
professionisti e specialisti del genere. Il contrario succederà nel Seicento, dove ci saranno troupes teatrali e
luoghi più adeguati.
ü Il teatro era facilitato dalla vita culturale dei Collèges, dove si studiavano le tragedie greche e latine.
ü È il teatro della parola: tutti gli esponenti sono poeti e colti, e la retorica è fortemente presente nelle pièces di
questi anni. La critica dell’Ottocento le condanna perché sosteneva che non fosse possibile sopportare
monologhi di centinaia di versi senza vedere alcuna azione. Bisogna, però, pensare allo spettatore francese del
tempo, che sapeva cogliere il valore della retorica e reagire di fronte alla parola rappresentata in scena.
ü Gli autori sottolineano l’importanza della lettura delle pièce, oltre che per il fine della rappresentazione.
ü Il nome del personaggio è la prima forma didascalica, perché così il regista sa chi deve parlare.
ü Didascalia interna: quando un personaggio sta finendo di parlare, annuncia l’arrivo di qualcun altro e quindi
indica che sta entrando un personaggio diverso da lui.

Quando la tragedia comincia è già capitato tutto, dunque deve solo concludersi con la morte di qualcuno. Questa
particolarità richiede, di conseguenza, un uso preponderante della parola.

è Nel complesso, il teatro cinquecentesco si rivela molteplice: la vena popolare/farsesca rimane, ma è sovrastata
da generi più elevati e ispirati ai classici (tragedia e commedia) i quali, di conseguenza, creano un distacco tra
pubblico popolare e pubblico colto. Non si può ancora parlare di un grande teatro, ma vero è che si stanno
ponendo le basi per quello che sarà il fiorente teatro del Seicento.
Lezione 16 – 29.10
Jodelle – “La Cléopâtre captive”

A metà del secolo, il sovrano in Francia è Enrico II di Valois, figlio di Francesco I e marito di Caterina de’ Medici. Dal
punto di vista storico, la Francia stava lottando contro Carlo V per ottenere certi possedimenti del Nord e Nord-Est della
Francia. È in questo periodo che si colloca la produzione di Jodelle.

Come già detto, nel 1552 esce la commedia “L’Eugène”, considerata la prima commedia regolare francese: viene
rappresentata per la prima volta in un Collège. Nel frattempo, il re stava mandando le sue truppe ad occupare i tre
vescovadi di Metz, Toul e Verdun.
Jodelle celebrerà, con un sonetto, la vittoria di Enrico II e il ritorno dei francesi a Parigi, vittoriosi per la conquista
riuscita nel gennaio 1553: i Tre Vescovadi, infatti, rimarranno sotto il controllo francese fino al 1648, quando verranno
definitivamente annessi alla Francia con il Trattato di Vestfalia. Il fatto che Jodelle riconosca e testimoni momenti storici
così importanti fa capire quanto stretto fosse il suo legame con la corte, e quanto sia forte la sua intenzione di ricevere
protezione dal sovrano (cosa che poi succederà).

Sempre nel 1553 Jodelle si dà alla stesura della “Cléopâtre captive”.


L’opera è stata scritta molto velocemente, grazie alle capacità dell’autore,
per celebrare la conquista del controllo francese dei Tre Vescovadi. Non a
caso, il prologo è una sorta di esaltazione a Enrico II di Valois: l’autore
riporta i suoi ragionamenti sulla condizione del sovrano, la cui presenza
agli occhi del pubblico dimostra, inoltre, quale fosse la funzione che Jodelle
e gli altri esponenti della Pléiade attribuivano al poeta tragico: una
funzione molto elevata, data dal fatto che si vuol fare della tragedia un
esempio per gli spettatori (in questo caso per il Re) da seguire o da evitare,
guidando la società verso un continuo miglioramento.

“Cléopâtre captive” è inoltre considerata la prima tragedia del nuovo


teatro rinascimentale seppur non presenti molti doti tragiche ma,
piuttosto, un accento lirico: obbedisce già alle tre unità aristoteliche e
rispetta la divisione in atti (cinque in questo caso).
Prima rappresentazione: palazzo privato (arcivescovile) a cui, non a caso,
partecipa il Re con la sua corte;
Seconda rappresentazione: in un collège.
è Punto di inizio per una nuova fase del teatro francese: la pièce
dimostra il fatto che un rinnovamento era possibile. Proprio la volontà di
Jodelle di difendere e diffondere questa nuova visione del teatro farà sì
che Ronsard lo riconosca come membro della Pléiade.
L’opera si colloca nella produzione del giovane Jodelle.

Fonti: la critica ha sottolineato l’esistenza di due modelli di Cleopatra in Italia. Qui, nel 1543 era stata rappresentata una
Cleopatra di Giovan Battista Geraldi Cinzio. L’altro modello appartiene a una Cleopatra pubblicata a Venezia nel 1552,
da Cesare de Cesari. Tuttavia, non si ha la certezza che Jodelle conoscesse queste pièces (la prima è stata addirittura
pubblicata dopo la sua morte).
Contenuto - quello che è certo è che l’autore si è ispirato apertamente e fedelmente all’opera di Plutarco “Vita di
Antonio” (probabilmente letta in una delle traduzioni che circolavano in Francia negli anni Cinquanta del XVI secolo).
Non era solito vedere un’opera che abbia un modello seguito così fedelmente: gli autori del tempo, spesso
modificavano gli eventi e aggiungevano personaggi nuovi rispetto alle loro fonti.
Forma – se l’autore si è ispirato alla storia di Antonio raccontata da Plutarco, la colloca nel modello della tragedia greca
sotto il modello di Euripide.

Come Euripide, anche Jodelle pensa alla tragedia come ad un lamento che mette in gioco tutti gli elementi del pathos e
che non rappresenta dei fatti veri e propri, poiché tutto è già successo. Per questo motivo, il genere della tragedia è
stato erroneamente sminuito dalla critica positivista del XIX secolo. Tuttavia, la narrazione della morte permette al
lettore di rispettare le unità di tempo e di luogo, anche se Aristotele non era ancora così conosciuto e studiato (ma
questo non era necessario poiché lo stesso Aristotele descriveva le pièces di Euripide).
Inoltre, un altro principio molto importare, che però non veniva dal teatro greco ma da un’Ars poetica di Orazio, diceva
di non portare in scena fatti sanguinosi o eccessivamente violenti. Questi eventi sarebbero stati raccontati da un
messaggero alla fine della scena.
Il racconto è commentato dal coro, che descrive gli eventi avvenuti. Anche questa è una grande novità.
“Cléopâtre captive” non è divisa in scene ma in atti, com’era solito nel teatro cinquecentesco, proprio perché si seguiva
il modello greco (ne “L’Eugène”, invece, è presente la divisione in scene).
La metrica è stata molto studiata per la sua complessità: Jodelle utilizza tutti i tipi di versi esistenti, soprattutto nel coro;
inoltre, Jodelle è il primo a portare il verso alessandrino a teatro. Allo stesso modo, anche le rime sono complesse. Per
questo motivo, la pièce è stata definita sperimentale dalla critica, soprattutto grazie all’accurata preparazione
dell’autore.

Di Cleopatra viene sottolineata la sua sensualità: gli addobbi con cui


viene dipinta dimostrano la sua potenza. Inoltre, viene sempre
rappresentata con il seno nudo —> erotismo: nell’immaginario comune
moderno, Cleopatra è una regina egiziana. È un’icona di lussuria e
fascino irresistibile.
Per questi motivi, la sua figura orientale è anche associata al pericolo:
Cleopatra è la donna che, nel momento in cui entra in contatto con il
potere politico, può indebolirlo poiché distrae il sovrano dai suoi
impegni. La figura della donna, in generale, rappresenta un mondo
diverso, con piaceri diversi che il mondo romano non conosceva.
è Fil rouge di tutta la storia di Cleopatra sarà l’opposizione tra la
rigidità e la freddezza romana contrapposta all’erotismo e al fascino
orientale.
La storia si situa nel 42 a.C, dopo la morte di Cesare. Nella trappola della
seduzione di Cleopatra sono caduti Antonio e Ottaviano, che stavano
portando avanti le guerre di conquista.

L’incontro di Antonio con Cleopatra scatena in lui una forte passione


amorosa, dunque è quello il momento in cui inizierà a rivelarsi più
debole in guerra, e Ottaviano ne approfitta per avere la meglio.
Infatti, Antonio cercherà di dare un motivo politico alla sua decisione di tornare in Egitto, anche se la vera ragione era
rivedere Cleopatra.
Di conseguenza, Ottaviano dichiara guerra a Cleopatra: è la Battaglia di Azio (31 a.C.), che mette fine alla guerra civile
tra Ottaviano e Marco Antonio (ovviamente alleato al regno d’Egitto di Cleopatra).
La battaglia navale viene vinta dalla flotta di Ottaviano, soprattutto per la scarsa decisione di Marco Antonio che si era
fatto convincere da Cleopatra a rinunciare al combattimento, mentre l’esito era ancora incerto, e a fuggire con il resto
dell’esercito verso l’Egitto con una parte delle navi.
Dopo la sconfitta, Antonio si dà alla morte: qui inizia il dramma che Jodelle vuole raccontare, e non a caso si apre con
l’ombra di Antonio. Questa è una scelta molto originale da parte di Jodelle: far parlare un’ombra all’inizio dello
spettacolo lascia presagire agli spettatori una presenza dominante dell’aldilà nella rappresentazione.
Lezione 17 - 03.11
Introduzione alla “Cléopâtre captive” di Emmanuel Buron

Partendo dalla definizione di tragedia da Jodelle, quella di Cleopatra non è solo una voix plaintive, dato che si convertirà
in una voix hardie: la Regina dimostra fin da subito la sua rabbia e la sua forza, oltre all’orrore per la situazione che stava
vivendo. La sua reazione di fronte al periodo che incombe ci permette di cogliere il vero significato del carattere della
sovrana.
È questa duplice voce che interessa a Buron, perché attraverso questa duplicità si trasmette un messaggio importante:
anche una donna può amare ardentemente e con passione. Cleopatra, infatti, è una figura che permette di ragionare
sul ruolo delle donne e del femminile sia nel suo tempo, sia nel XVI secolo, sia al giorno d’oggi.

Tradizioni profane e figura del capro


La tragedia di Jodelle ottiene un enorme successo: dopo la prima rappresentazione, segue una grande festa a cui
partecipano alcuni esponenti della Pléiade e amici di Jodelle. La festa è chiamata “la pompe du bouc” (capro espiatorio)
—> la festa suscita scalpore, perché si intende un’imitazione di ciò che succedeva in Grecia (“Cette restauration de
rituels antiques – le spectacle tragique en est un – est une provocation pour les détracteurs chrétiens de la poétique
humaniste” pag.42).
Il carpo espiatorio, infatti, si trova spesso nelle pièces per spiegare cos’è una tragedia: il capro, in greco, è tragos e, da
qui, il termine tragedia. L’ipotesi non è totalmente condivisa.
Per festeggiare il successo di Jodelle, gli viene offerto un capro coronato di fiori, così come si faceva in Grecia per
festeggiare chi vinceva le gare dionisiache a seguito delle rappresentazioni teatrali.
Non a caso, il capro è l’animale che, se lasciato libero, distrugge la vite e, dunque, è consacrato a Dioniso, che diventa
quindi il patrono della tragedia.

L’originalità della Cléopâtre


Sempre nell’introduzione, Buron racconta alcuni fatti della biografia di Jodelle. In particolare, fa una riflessione sul fatto
che la “Cléopâtre captive” sia la prima tragedia francese basata sul modello antico: quelle precedenti erano, infatti, o
imitazioni dei modelli religiosi, o imitazioni dei modelli greci ecc… comunque, non costituivano opere nuove e originali.

“Pour Jodelle, la question tragique fondamentale est celle de l’impossibilité de la grandeur” (pag.44)
Jodelle riflette, nella sua vita di poeta, sul desiderio di gloria, di successo, che però è un desiderio di impossibile
realizzazione. Soprattutto in quel periodo, l’uomo si sentiva in grado di raggiungere delle mete elevate ma, al
contempo, si rendeva conto che succedeva sempre qualcosa nella sua vita che gli impediva di raggiungerle: è qui – dice
Buron - il nucleo tragico per Jodelle.
“L’œuvre, notamment tragique, de Jodelle prend acte du rêve de Renaissance qui anime le XVIe siècle, mais pour
constater son échec. D’où une interrogation sur l’imperfection de la nature humaine, sur l’hostilité ou l’injustice des
dieux ou du destin, sur la domination d’un hasard aveugle sur le monde.” (Pag. 44-45).
Jodelle non si limita al desiderio di gloria, ma dalla consapevolezza dell’impossibilità di realizzare il desiderio derivano
riflessioni profonde, su cui il poeta indaga con la sua sensibilità. Perché l’uomo sogna così in alto, se poi si scontra con il
fallimento? Perché l’umano è un essere così fragile, imperfetto, incapace di realizzare degli obiettivi che, eppure, si
pone? Perché le divinità non aiutano l’uomo, anzi ostacolano il suo destino?
è Jodelle, così come i suoi colleghi, vive un dramma, e i suoi interrogativi si trovano tutti nella “Cléopâtre”.

Chi è la Cléopâtre captive?


“Alliée à son amant Marc Antoine, la reine d’Égypte, en guerre contre Rome, rêvait d’affermir et d’étendre son empire;
mais la tragédie, qui s’ouvre avec «l’ombre d’Antoine », commence immédiatement après la mort de celui-ci, quand la
reine tombe sous le pouvoir des Romains.” (Pag. 45).
Cleopatra, Regina d’Egitto, è alleata con Marco Antonio nella guerra contro Roma. Come già detto, aveva come
obiettivo quello di ingrandire il proprio Impero. Diventerà, però, prigioniera dei romani.
è Come avrà reagito Cleopatra quando realizza di aver perso la sua gloria e, soprattutto, l’amore della sua vita?
Jodelle la sceglie come eroina della sua tragedia per la sua storia: è una sovrana che si ritrova a interrompere il
suo sogno di gloria; scegliendo di morire, la sua figura rappresenta bene l’idea tragica che il poeta Jodelle si
poneva per l’uomo del suo tempo.

Come lei, però, neanche Ottaviano si accontenta: per dare segno della sua vittoria ha intenzione di prendere Cleopatra
prigioniera e portarla al suo popolo. La sovrana, rimanendo fedele ad Antonio, si ucciderà pur di non essere umiliata da
Ottaviano.
Dopo la sua morte, il coro proclama la grandezza della regina egiziana —> suicidio eroico.

Mettendo la storia antica in uno stampo tragico, Jodelle non modifica l’intreccio ma il carattere dei personaggi, che
entrano in una forma assolutamente diversa da quella originale. Nell’opera di Plutarco, Antonio muore esortando
Cleopatra a vivere. Qui è lei che finirà per uccidersi, obbedendo a ciò che le era stato chiesto dal fantasma di Antonio.
Tuttavia, facendo sì che lei rispetti la richiesta di Antonio, Jodelle sottolinea la grande fedeltà e l’amore che Cleopatra
prova per lui (un altro tema fondamentale): il suicidio di Cleopatra è sia un sacrificio d’amore, sia una dimostrazione di
fedeltà al suo amato Impero.
Lezione 18 – 05/11
Atti della “Cléopâtre captive”

Primo atto: l’ombra di Antonio


Dopo che l’ombra di Antonio compare a Cleopatra chiedendole di raggiungerlo nella morte, lei lo racconta alle sue
serve Éras e Charmium: confida loro tutto il suo terrore per aver visto Antonio, ma soprattutto enfatizza la sua
spaventosa richiesta (da cui dipenderanno le azioni che seguono).
- Voix plaintive che racconta il suo dolore: qui Cleopatra è vittima della tragedia che ha visto la morte di Antonio,
però anticipa il pensiero che la morte sia dolce per chi vive sentendosi prigioniero piuttosto che vivere da
prigionieri. Cleopatra non vuole morire solo per amore di Antonio, ma anche per essere una regina libera.
Come già visto, la voix plaintive precede una voix hardie: la Regina, oltre a perdere tutto il suo potere, perde
soprattutto l’uomo che ama. Il suo, dunque, non è soltanto un disperato lamento, poiché reagirà
successivamente con rabbia e orrore —> contraddizione e originalità di Jodelle.

Il primo atto si conclude con il choir des femmes alessandrines, come previsto dalle regole di Euripide. Viene messo in
scena il Fato, per sottolineare la grande fragilità dell’essere umano. Inoltre ci saranno vari riferimenti alla gloria passata
che si scontra con la condizione presente.
In quanto al contenuto, già in questo primo atto Jodelle inserisce elementi interessanti non appartenenti al mondo
antico (si ricordi che la fonte è Plutarco): sebbene ci sia l’idea del Fato, nei personaggi inizia ad inserirsi una sorta di
senso di colpa. Indubbiamente si tratta di un elemento nuovo per il teatro tragico, ovvero viene inserito il messaggio
cristiano secondo cui l’individuo è responsabile delle proprie azioni. Jodelle lo renderà più esplicito nella tragedia
successiva, dedicata a Didone.
è Interiorizzazione della colpa: Antonio si sente colpevole per l’amore che prova per Cleopatra.

Secondo atto: entra in scena Ottaviano, imperatore romano anche lui segnato da dubbi e incertezze. Passa dalla
consapevolezza della propria forza alla rivelazione della propria debolezza, che prova nel sapere di doversi confrontare
con Cleopatra dopo la morte di Antonio.

Terzo atto: è il più importante ed è dedicato a Cleopatra


In questo atto Jodelle fa emergere i diversi aspetti della personalità della sovrana, sia positivi che negativi. Si è di fronte
ad una regina scaltra e furba, che finge di volersi conquistare anche Ottaviano solo per mettere in salvo la propria
ricchezza, e per dimostrarsi sempre fedele a Marco Antonio. Questo progetto, però, viene smascherato da un servitore
infedele (l’infedeltà dell’uomo di corte suggerisce agli spettatori dei legami con la situazione della corte di Francia), e
Cleopatra reagisce mostrando tutta la sua ira, senza freni (addirittura, prenderà il servo per i capelli).
Si capisce, dunque, che la sovrana non ha nessuna intenzione di consegnarsi ad Ottaviano. Contemporaneamente,
dimostra o vorrà sostenere che Antonio è l’unico responsabile del disastro (regina manipolatrice e astuta).

è L’atto ci permette di capire come Jodelle abbia fatto di Cleopatra un’eroina originale rispetto a quella della
storia originale: non è più la vittima dell’amore per Antonio, non è più solo una madre che si occupa
dell’avvenire dei propri figli, ma con le sue azioni dimostra la sua resistenza e la sua forza di sovrana.
Ha voluto sottolineare proprio la grandezza terribile del suo personaggio, che però non ne esclude gli aspetti più
femminili: se Antonio simboleggia l’interiorizzazione della colpa, quella di Cleopatra è un’interiorizzazione dei propri
conflitti. Per questo, il suo personaggio diventa tragico e assolutamente originale.
Il coro che partecipa in questo atto non è il coro delle voci alessandrine, ma un coro generale.

Quarto atto: morte di Cleopatra


Seguendo il principio per cui gli atti violenti non dovevano essere rappresentati, lo spettatore non assiste alla morte
della Regina; tuttavia può seguire gli eventi che hanno portato ad essa e, attraverso le parole di angoscia espresse dal
coro, ascolta la morte.
La decisione di Ottaviano di portare Cleopatra a Roma è il motivo per cui si darà alla morte, poiché essere imprigionata
avrebbe significato essere oggetto di scherno da parte dei vincitori.
Il monologo del quarto atto è importantissimo: viene recitato di fronte al sepolcro di Antonio, come da sua richiesta. La
prima parte è quasi una traduzione letterale del testo di Plutarco.
Allo stesso modo, è fondamentale l’intervento del coro, che presenta la morte come l’unico momento desiderato dalle
persone che soffrono, dunque introdurre la voce del coro significa attenuare la portata tragica della morte di Cleopatra.
La preparazione all’evento tragico è sicuramente finalizzata a colpire lo spettatore/lettore, grazie al forte tono elegiaco.
è Darsi alla morte, per Cleopatra, è l’unica soluzione valida.
L’uso anaforico dei nomi contribuisce alla tristezza al momento: addirittura, Antonio si concretizzerà attraverso un
richiamo così insistente. A questa forte presenza si accompagna la debolezza di una prigioniera (“faible voix d’une faible
captive”).

Nel momento in cui Cleopatra si trova sulla tomba di Antonio sono in scena il lamento, l’elegia e il dolore. Solo quando
si troverà di fronte a Ottaviano reagirà con tutte le sue forze per non finire prigioniera.
Successivamente viene invocato l’intervento divino - tramite Antonio - di non farla morire a Roma ma nel suo Egitto.

Quinto atto
Nell’ultimo atto avviene un unico fatto importante: si diffonde la notizia della morte di Cleopatra e, insieme a lei, le sue
due servantes Éras e Charmium. Il racconto della scoperta dei tre cadaveri permette di pensare alla conclusione della
tragedia.

Le conclusioni sono, dunque, abbastanza convenzionali: i personaggi che restano rendono omaggio alla forza e al
coraggio della regina, mentre il coro insiste sulla triste conclusione.

è Portata morale molto importante: insegna innanzitutto ai sovrani (Enrico II) la moderazione, visto che
l’ambizione sfrenata di potere non porta ad alcun successo. Oltre al sovrano ci si rivolge anche alla
popolazione, anche se la moderazione non è poi sufficiente a garantire la felicità.
Lezione 19 – 11.11
XVII secolo – Un secolo “classico”?

Il Seicento è un vero e proprio mito storiografico: viene definito da Saint-Sorlin il Grand Siècle, ma è anche il secolo
classico, il secolo del teatro…
Coincide storicamente con la presenza del grande Re Louis XIV, le Roi Soleil (1643-1715): Voltaire lo considera un
momento glorioso di civiltà, in cui ci si allontana dalla barbarie del secolo precedente, tanto da dedicare al Re un’intera
opera di riflessione sulla storia (“Le Siècle de Louis XIV” – 1751) in cui traccia un parallelo tra l’epoca del Re Sole e altri
periodi storici di apogeo culturale.
Ritornando al Seicento come mito storiografico, in letteratura il regno del Re Sole viene pensato come corrispondente
all’intero secolo, a dimostrazione dello stretto rapporto tra letteratura e condizioni storico-sociali del periodo. —>
L’egemonia della Francia in Europa doveva essere sia politica che culturale.

Il Seicento come secolo del Classicismo: è l’epoca in cui matura quel processo che avrebbe portato al Classicismo inteso
come vero e proprio movimento artistico e culturale, alla perfezione classica.
Il termine Classicismo inteso come ritrovamento delle regole universali dell’arte non esclude la pluralità dei classicismi
esistenti, basata su differenze principalmente cronologiche.

1. L’osservanza della norma classica: ragione e regola

Come già detto, l’osservanza della regola – ereditata dall’antichità – è l’atteggiamento fondante del Classicismo.
Insieme a questa, l’altro principio chiave da seguire è quello della ragione, con cui si deve filtrare la realtà.
è Cambiamento sostanziale rispetto al secolo precedente.
In realtà, già con Du Bellay si apre un dibattito riguardante l’imitazione dei modelli classici, o la loro traduzione, dibattito
che verrà portato avanti anche durante il Seicento —> riforma di Malherbe.
Il concetto di imitazione non è da intendere come riproduzione rigorosa del modello antico: La Fontaine, verso la fine
del secolo, scriverà: “Il mio modo di imitare non è schiavitù; io riprendo soltanto l’idea, le strutture retoriche e le
regole” – regole che procedono dall’Ars Poetica di Aristotele. Da lui si riprendono il richiamo alla Natura e al buon senso
come principi normativi.
è Necessità di imitare gli antichi = necessità di imitare la natura = arte come mimesis della natura = arte come
imitazione del reale.

2. Vraisemblance e bienséance

La vraisemblance è la regola che ingloba adeguamento alla natura e alla ragione. Non a caso si è parlato di arte come
imitazione del reale, perché tramite queste regole si voleva offrire un’immagine del vero che eliminasse il più possibile
lo scarto fra tempo e spazio della realtà e tempo e luogo della rappresentazione.

“Jamais au spectateur n’offrez rien d’incroyable: le vrai peut quelquefois n’être pas vraisemblable.
Une merveille absurde est pour moi sans appas: l’esprit n’est point ému de ce qu’il ne croit pas.” (Boileau)
—> L’autore non deve copiare la realtà, ma interpretarne le regole. Infatti, il successo o il fallimento di un’opera si
doveva alla sua credibilità agli occhi del lettore/spettatore.
Addirittura, il verosimile era considerato superiore al vero. Il Père Rapin afferma, infatti, che “La verità rappresenta le
cose soltanto come esse sono; la verosimiglianza le rappresenta come dovrebbero essere.”

La poesia deve piacere al pubblico —> per piacere, deve seguire delle regole —> è fondamentale stabilirle.

Bienséance sul piano morale


La verosimiglianza è retta da un altro principio, già menzionato da Orazio, che è la bienséance, ovvero decenza, decoro,
“ciò che è conveniente a una cosa e le dona grazia, piacevolezza” (Furetière). Di conseguenza, senza la bienséance
nessun’altra regola poetica può ritenersi valida.
Per esempio, nel “Cid” di Corneille, la protagonista Chimène non viola la bienséance ricevendo Rodrigue senza
testimoni, bensì venendo meno alla pietà filiale e alle esigenze familiari, diventando così un esempio di figlia snaturata,
ovvero “che imita male la Natura”.
La nozione di decorum rimanda all’adeguamento al modello classico a livello di atteggiamenti e sensibilità sociale, che
dimostrasse la modernità della società francese (urbanité, politesse).
Bienséance sul piano linguistico
Un elemento di continuità tra teatro cinquecentesco e teatro seicentesco è la necessità di portare in scena
comportamenti coerenti con la condizione sociale dei personaggi che, altrimenti, verrebbero percepiti come
inverosimili dallo spettatore. Questa necessità, inoltre, costituisce un importante punto in comune tra vraisemblance e
bienséance.
Altre due parole chiave che descrivono la normativa classicistica sono honnêté e, ancor prima, convenance: la
bienséance non è ciò che è morale, ma ciò che si addice ai personaggi —> Ciò che si addice ai personaggi è buono —>
Ciò che è buono è conveniente.

È conveniente rappresentare dei comportamenti conformi alle condizioni socio-economiche


dei personaggi.
Convenance

È conveniente parlare di comportamenti conformi all’opinione pubblica.

Lezione 20 – 12.11
La poetica del XVII secolo: Malherbe e Boileau

Malherbe
Malherbe, essendo nato nel secolo precedente, aveva vissuto il periodo della Pléiade. Nonostante faccia parte della
nobiltà e dell’ambiente cattolico, il suo desiderio di censurare farà sì che introdurrà quel rigore della norma tipico della
poesia seicentesca.
è Introduce in ambito poetico la natura e la ragione, che diventano le linee guida incontrastate del nuovo secolo.

Malherbe inizia studiando diritto, per poi cambiare strada e dedicarsi alla letteratura (come la maggior parte dei poeti
del tempo). Inizia, così, a frequentare gli ambienti della corte, dove trova degli appoggi.
Al figlio di Enrico II dedica una traduzione di Luigi Panzillo, intitolata “Larmes de Saint Pierre”. Il sovrano, a quel tempo
Enrico IV, viene colpito dalle capacità del poeta e lo nomina poeta di corte, qualità che manterrà anche con il suo
successore Luigi XIII.
Questo importante ruolo renderà Malherbe una figura guida per la poesia francese. In particolare, rappresenta il
passaggio dalla poesia barocca a quella classica, che implicherà un continuo richiamo, nelle sue prese di posizione, della
regola e dell’ordine. In campo politico, questo è ciò che succede anche a corte con Enrico IV che, convertendosi al
cattolicesimo, manifesta l’emergenza di rimettere ordine.
è Il processo di evoluzione è vissuto da Malherbe in prima persona, a tal punto che diventerà censore di se
stesso: condanna la sua prima poesia barocca per sottoporsi a una poesia più rigida, regolata e ordinata.
Dal punto linguistico, come già detto, si raccomanda di eliminare tutta quella ridondanza di termini che
derivava dalle prese di posizione della Pléiade.

Questo, ovviamente, non limita la sua sensibilità di poeta: in “Consolation à Monsieur du Périer”, poema composto
dedicato a un suo amico per la scomparsa della figlia, Malherbe si dimostra allievo di Ronsard e della poesia che poi
vorrà allontanare: riprende un tópos tipico di Ronsard - la fugacità della vita – con la metafora della rosa:

Mais elle était du monde, où les plus belles choses


Ont le pire destin ;
Et rose elle a vécu ce que vivent les roses,
L’espace d’un matin.

è Tra Cinquecento e Seicento cambia la concezione del poeta: si passa dalla volontà ritrovare l’armonia perduta
del mondo all’arte di mettere le parole al posto giusto (Malherbe paragona il poeta a un giocatore di birilli).
è Quello del poeta diventa un vero e proprio mestiere: la poesia profetica e animata dal fureur, cantata da un
Ronsard, viene sottomessa all’arte di costruire bene i versi.
Per questo, il termine poeta può assumere una concezione negativa, indicando colui che non ha limiti nella sua
espressione.
La poesia

La poesia come genere


Il Seicento non è sicuramente il secolo dei grandi movimenti poetici, al contrario del Cinquecento e di quello che
accadrà nell’Ottocento. Lo diceva una delle dame che frequentavano i salons: “Le siècle est ami de la prose”. D’altra
parte, però, va detto che nelle teorizzazioni del classicismo seicentesco non solo viene ribadita l’importanza della
gerarchia dei generi, ma si afferma anche la superiorità della poesia sulla prosa. A sostegno di questa tesi il famosissimo
verso di Boileau “Enfin Malherbe vint”.
Si può parlare, in sintesi, del declino della poesia lirica (epopea), avvenimento che fa presagire ciò che accadrà nel
secolo successivo.
Quello che è certo è che la poesia in versi che ha riscosso più successo nel Seicento è quella teatrale. Il teatro, in questo
secolo, è fortemente segnato dalla contrapposizione tra rispetto delle regole e ricerca di originalità.

Contesto storico: con Enrico IV e Maria de’ Medici, Ronsard era un punto di riferimento per la visione poetica, eppure le
sue ultime opere erano caratterizzate da una eccessiva semplicità di linguaggio. Malherbe, al suo arrivo a Parigi nel
1605, si fa conoscere come un poeta che vuole rompere totalmente con la tradizione di Ronsard, della Pléiade e degli
antichi.

Una situazione di questo tipo farà sì che nel corso del secolo, e soprattutto durante la prima metà, si alterneranno varie
teorie e modelli estetici. Per esempio, mentre Malherbe cercava di farsi conoscere, il grande successo di Marino (con
“L’Adone”) riporta in auge il gusto per la cultura italiana e, dunque, classica.

Riforma purista di Malherbe


L’attacco a Ronsard e ai grandi poeti del passato viene mosso sul piano linguistico (lessico e grammatica), per cui la
lingua utilizzata nelle opere doveva essere la lingua attuale (vasto pubblico di lettori). Inoltre, dice la sua anche per
quanto riguarda la metrica e la retorica.
è Parole chiave: semplicità, concisione e chiarezza. In altre parole, tutto ciò che non era stata la Pléiade.
A Ronsard (e altri) viene criticato anche il ricorso eccessivo alla mitologia greca e latina, sempre in funzione del fatto che
il pubblico non era più soltanto un pubblico di dotti.
NICOLAS BOILEAU ( 1636 -1711 )
La produzione di Boileau inizia intorno agli anni ‘60 del Seicento, ovvero gli anni in cui del culmine del
Classicismo.
Insieme a Racine, Boileau è stato definito dalla critica uno dei massimi rappresentanti dell’esprit classique.
Avverso alla letteratura mondana e alla poesia galante, cioè la poesia dell’alta aristocrazia cortigiana, nel
1657 inizia a comporre le Satires. Il modello seguito, qui e nella sua produzione in generale, è Orazio. Non a
caso, il titolo della sua opera manifesto “L’Art Poétique” (1674) riprende il titolo da un’epistola dell’autore
latino.
L’opera non è una novità: si tratta di un “resoconto” di ciò che succedeva precedentemente in quanto a
regole poetiche, norme ecc.
Viene pubblicata insieme ad altri documenti (nelle epistole menziona Corneille e Racine, traduzioni ecc...).
Alla sua pubblicazione, l’opera era già conosciuta nel mondo culturale, perché Boileau ne aveva preparato
una grande pubblicità: letture pubbliche, tenute soprattutto nei salons degli hotels particuliers - e altri eventi
stabiliti, la cui rilevanza si doveva soprattutto alle persone che le dame riuscivano ad attirare nel proprio
salon. Avevano acquisito, infatti, una diffusa influenza nella vita politica.
Come già detto, negli anni ‘70 Boileau era già conosciuto in ambiente letterario: già vent’anni prima della
pubblicazione dell’Art Poétique, leggeva nei circoli letterari libertini alcune delle sue Satires (che attaccavano
personalità di spicco, tra cui persino il fratello del Re - accusato di omosessualità).
Gli uomini di lettere, a loro volta, dovevano essere abili nel farsi invitare nei salons e saper proporre i propri
argomenti: Boileau lo ha fatto con la sua Art Poétique, che ha avuto successo anche per la sua forma metrica
di versi alessandrini, così che risultasse più facile da memorizzare.

Primi canti: così come i poeti della Pléiade, anche per Boileau l’ispirazione è fondamentale ma insufficiente
alla realizzazione poetica. Riprendendo intelligentemente le idee di Orazio, Boileau afferma che è necessario
uno sforzo per apprendere la tecnica poetica, il quale è molto più importante del “divino furore” che può
provenire dalla sola ispirazione. Allontanandosi dalla visione del “divino furore”, l’autore ha espresso le
regole e i precetti per fare letteratura. Tra questi, grande spazio ricevono la bienséance e la ragione,
ricorrenti nel Terzo Canto.

Boileau, come tutti coloro che si occupano di Arts Poétiques, riporta un’analisi critica dei poeti precedenti.
Così come i poeti della Pléiade condannavano il Medioevo per tornare all’antichità, anche Boileau condanna
il suo recente passato, che era, appunto, la Pléiade, in favore di poeti come Marot.
Sono famosissimi, per esempio, i quattro versi del Primo Canto, che riassumono il nuovo modo di vedere la
poesia e che durerà ben due secoli:

Enfin Malherbe vint, et, le premier en France,


Fit sentir dans les vers une juste cadence,
D’un mot mis en sa place enseigna le pouvoir,
Et réduisit la Muse aux règles du devoir.

PRIMO CANTO - generale: parla del poeta, della sua figura e di ciò che deve fare;

ALTRI TRE CANTI - si parla di come devono essere scritti i vari generi, anche quelli secondari (lodi, sonetto
ecc...)
- TERZO CANTO: TEATRO - si occupa di come devono essere scritti i grandi generi che, per Boileau,
erano inevitabilmente la tragedia, la commedia e l’epopea.
- QUARTO CANTO: aspetti del linguaggio e della forma, eleganza ecc...
Durante queste analisi, Boileau fornisce importanti informazioni sui suoi contemporanei: Molière, per
esempio, seppur venga considerato il maestro della commedia, viene accusato per il suo linguaggio
troppo vicino al popolo (caratteristica tipica della commedia che il Classicismo tende a regolarizzare/
elevare) —> si crea, in Francia, quella distinzione netta tra lingua letteraria e lingua volgare, e si
affermano quasi in maniera naturale delle nuove norme, poiché si addicono alle nuove idee di rispetto
dell’ordine e di rigore per la vita di tutti i giorni.
Il bisogno di condannare le eccezioni per esaltare la norma ha, ovviamente, delle ricadute sul piano
linguistico: i limiti aumentano o si irrigidiscono, e si toglie la libertà nell’uso della parola —> differenza
enorme tra Cinquecento e Seicento: secondo la critica, il Cinquecento è stato un secolo la cui
letteratura era una “vegetazione rigogliosa”, mentre il Seicento “pota, disbosca, elimina e pulisce”.
Oltre questa metafora, però, ci sono due mondi completamente diversi e, soprattutto, incomunicabili
tra loro, nonché due modi opposti di vedere il mestiere del poeta: si passa da un’idea estetica legata
all’abbondanza e alla diversità al controllo, all’austerità e correttezza, quasi un dogma che Boileau
impone alla letteratura. Vengono così dimenticati e criticati poeti del calibro di Ronsard e l’intera
Pléiade, con i loro neologismi che avevano arricchito un francese allora ancora povero dal punto di
vista linguistico. Per lo stesso motivo, si evitano le espressioni popolari-dialettali (Montaigne diceva:
“Dove non arriva il francese, arriva il guascone - dialetto della zona di Bordeaux).

y Obiettivo di Boileau è rinnovare la poesia tramite la ricerca dell’ordine, della semplicità, della
chiarezza e dell’ordine razionale.
Non può non riconoscere grandi autori come Molière e Racine, però il testo dell’Art non era finalizzato
ad elogiarli ma a dare linee guida per la nuova poesia.

LA VITA CULTURALE SI CENTRALIZZA ALLA CORTE DEL RE A PARIGI


- Regno del Re Sole e apogeo della monarchia assoluta
- La Francia diventa sempre più centralizzata sotto i maggiori punti di vista, cosa che spiega alcuni
comportamenti dei francesi di oggi.
Lezione 21 – 17.11
Il Teatro del Classicismo: la tragicommedia e “Le Cid”

Il Classicismo come celebrazione del potere monarchico


Come fa il Seicento a diventare, in Francia, l’âge classique?
L’affermazione del Classicismo in campo culturale-letterario è strettamente legata alla situazione politica, così come la
ribellione dei Romantici alle regole (regole classiche, tre unità aristoteliche) sarà un’opposizione anche politica contro lo
strapotere della Francia.
Già con l’inizio del regno di Enrico IV (1594) e finite le guerre di religione era iniziata una politica nuova, prima di
ricostruzione e poi di affermazione dello Stato. Il Re muore nel 1610. Da questo anno ai successivi venti si succederanno
rivolte protestanti, complotti e tensioni nell’alta nobiltà —> opposizioni all’assolutismo regio.
Dall’altra parte, però, la situazione economica francese rimane precaria, a causa delle gravissime carestie, i debiti della
corona, gli altissimi costi della corte e un sistema di amministrazione lacunoso e preda della corruzione.

Quali sono state le condizioni che hanno permesso l’affermazione della monarchia francese sia in campo
letterario che politico?
Tutto inizia con Richelieu, un cardinale la cui presenza a corte ha segnato un cambiamento fondamentale dello statuto
politico e sociale del teatro, che con lui assume un ruolo importantissimo anche in politica.
1624: Richelieu entra a corte a servizio del Re, assumendo gradualmente - dal 1628 al 1642 (anni che preparano
all’affermazione del Classicismo-assolutismo) una sorta di potere assoluto —> identificazione del regno del Roi Soleil
con l’età di Augusto. In un periodo di crisi a livello europeo, la Francia – e in particolare Parigi - si impone come nuovo
centro di irradiazione del potere e della cultura, così come lo era Roma a suo tempo.

In particolare, dal 1634 al 1642 la sua rilevanza è soprattutto culturale: è in questi anni che Richelieu trova, con
grande abilità, esponenti adatti ad elaborare e diffondere i nuovi valori della società francese, che mirano a esaltare il
primato del re. Per realizzare l’obiettivo, Richelieu intraprende anche una lotta per difendere la purezza della cultura
francese: cerca di emanciparla dall’Umanesimo, ovvero svincolarla dai rapporti con la tradizione precedente, il mondo
latino ecc… —> sul piano linguistico, è necessaria un’azione di ripulita, per esempio con l’eliminazione di tutti gli
italianismi in voga nella poesia cinquecentesca —> 1635: Richelieu fonda l’Academie française.
Malherbe viene elogiato da Boileau (“Enfin Malherbe vint”) perché, nonostante la sua formazione fosse stata
vicina alla Pléiade, aveva disconosciuto la sua produzione giovanile per una nuova poesia —> il cambiamento era già in
atto, e l’abilità di Richelieu è stata quella di istituzionalizzarlo.
Il re, infatti, è sostenuto da un’istituzione ufficiale: non è più soltanto Malherbe che dice che bisogna epurare una
lingua, bensì un’intera istituzione. I nuovi strumenti, seppure vengano realizzati soltanto alla fine del secolo, sono:
1. Creazione di una grammaire: mettere per iscritto le regole che la lingua deve seguire;
2. Creazione di un dictionnaire.

è Si mettono limiti a tutta una serie di tematiche che, invece, erano in voga nei secoli precedenti e, in
particolare, nella letteratura barocca.
Per esempio, temi come l’onore e l’amicizia, che si vedranno cantati da Corneille nel suo “Cid”, devono essere
vincolati all’amore per la patria, cioè alla consapevolezza di far parte di un unico Stato che vive e che si sta
costruendo secondo degli ideali comuni che il Re incarna.
è Sartre, studiando la cultura dei secoli precedenti, sottolinea l’importanza dell’Académie, teorizzando
l’importanza di questi anni per la nazionalizzazione della cultura francese. In questo processo, il teatro ha il
ruolo predominante, di cui Corneille, Racine e Molière saranno gli assoluti protagonisti.

Oltre a collaborare con i maggiori esponenti del teatro seicentesco, Richelieu arriva a fondare il Groupe des cinq per
scrivere lui stesso, insieme agli altri autori membri del gruppo, delle pièces teatrali che diffondessero un’idea di unità
del regno (ne “L’Illusion Comique” Corneille fa recitare al protagonista, il mago Alcandre, una vera e propria apologia del
teatro, definendolo la più elevata delle attività. Il suo interlocutore, il vecchio Pridamant, incarna invece la tradizione
precedente – che condannava il teatro).
Sempre nel 1635, il cardinale sovvenziona i teatri di Parigi, come l’Hôtel de Bourgogne e il Marais. Di
conseguenza, si assicura agli attori del tempo una vita dignitosa e, soprattutto, si riconosce quella della recitazione una
professione (almeno sul piano politico). Gli stessi spettacoli teatrali erano manifestazioni propagandistiche del potere
del sovrano. Questa ideologia, in realtà, si era già sviluppata con l’ultimo Valois Enrico III, grazie alla nascita del balletto
di corte.
Pochi anni dopo, Richelieu permette di inaugurare nel suo palazzo, il Palais Royal, una grande sala teatrale con circa
1500 posti; per la prima volta, viene introdotto l’uso del sipario per dividere attori e spettatori.
Dopo la morte di Richelieu, sarà Molière a chiedere degli interventi tecnici per modificare la sala, che oggi è il Teatro
della Comédie Française.
La costruzione di palazzi andava di pari passo con la progettazione e realizzazione di piazze, le places royales, anch’esse
finalizzate a celebrare la gloria della monarchia. Ne è un esempio la place des Victoires di Parigi.
Lontani dal centro cittadino sorgono, invece, le dimore reali e gli châteaux dell’alta nobiltà, di cui non può non essere
ricordato il Castello di Versailles, sede del sovrano.

Problema del rapporto tra autore e testo teatrale: l’autore scrive il testo, ma quando questo viene consegnato per la
rappresentazione, diventa di proprietà della compagnia che lo recita e, di conseguenza, il ricavo va agli attori. Il
problema economico provocherà una grande discussione anche nella rappresentazione del Cid.

Barocco e Classicismo: il dibattito sulla periodizzazione


Durante la seconda metà del Novecento, la riflessione sulla nozione di Classicismo è diventata un vero e proprio
dibattito storiografico: il Classicismo, per quanto importante, non ricopre tutto il XVII secolo. C’è stato, bensì, un
periodo che ha preparato all’affermazione delle regole classiche, caratterizzato però dall’esatto opposto – eterogeneità,
incertezza, irregolarità, ricerca dell’eccesso, esaltazione del macabro e dell’orrido – e che si colloca nei primi decenni
del secolo: la letteratura barocca.
Di conseguenza, si definisce barocca la letteratura della prima metà del Seicento, e classica la letteratura della seconda
metà.
In Francia, lo studioso che ha teorizzato una periodizzazione del Barocco è stato Jean Rousset, che colloca il Barocco
approssimativamente dal 1580 al 1665, da Montaigne a Corneille, e tra un breve Classicismo di stampo rinascimentale e
un lungo Classicismo di matrice barocca. I suoi studi faranno conoscere il Barocco anche sul piano letterario.
La distinzione dei due momenti serve a capire come sono cambiati i gusti e la sensibilità del pubblico, e in generale della
società francese.
L’atteggiamento di preziosismo che nasce con l’affermarsi delle regole classiche è, da una parte, una reazione alla
sregolatezza stilistica e contenutistica barocca ma, dall’altra, sarà oggetto di parodie per via della sua ridiculité, ovvero il
suo essere fine a se stesso.

Se lo spettacolo come propaganda politica era già una concezione nota con Enrico III, ciò che è nuovo con la monarchia
di Luigi XIV è l’ampliarsi del mecenatismo e delle funzioni stesse di propaganda, a cui tutto, ora, era sottoposto. Infatti,
nel secondo e terzo decennio del Seicento, la corte dichiarerà la sua protezione per compagnie ancora prive di un
teatro stabile. È in questo senso che ora si può parlare di Classicismo di matrice barocca, in quanto a scelte letterarie,
artistiche, cerimoniali.
- Classicismo = riferimenti all’antico in funzione scenografica = tendenza al gigantismo;
- Volontà francese di leggere la tradizione classica attraverso i modelli moderni del barocco romano.

Letteratura francese e letteratura europea


Sebbene la Francia si fosse imposta come nuovo centro europeo letterario e culturale (il francese aveva sostituito
l’italiano come lingua letteraria internazionale), non andavano ignorati i rapporti e le influenze che lo Stato prendeva al
di fuori dei suoi confini. È importante ricordare, a questo proposito, che la Francia non stava imponendo nuovi modelli
di letteratura, anzi stava subendo influssi e stimoli provenienti da altre culture – soprattutto quella ispanica e quella
italiana.
Italia: le opere della triade Corneille-Racine-Molière avranno un notevole impatto in quanto a traduzioni e
imitazioni (si pensi ai frequenti paralleli letterari tra Molière e Goldoni, che aveva sfruttato la polemica del Tartuffe
come ispirazione alla commedia “Il Molière” del 1751).
Il rapporto tra le due culture non è sempre stato omogeneo. Spesso ha portato a un desiderio di affermazione della
propria nazionalità, da entrambe le parti, oltre che al primato culturale. Si ricordi che Du Bellay, nella Deffence, aveva
equiparato il volgare italiano al greco e al latino come mezzo di espressione letteraria.
Le compagnie teatrali italiane avranno la possibilità di stabilirsi in Francia, mentre in altri Paesi europei erano soltanto di
passaggio. All’inizio usavano i canovacci, cioè bozze di testo su cui costruivano l’improvvisazione teatrale, ma dal 1668
inizia il passaggio alla lingua francese —> i testi diventano sempre più precisi e sempre meno improvvisati.
Spagna: seppur di minor rilievo rispetto a quella italiana, l’influenza della letteratura spagnola su quella
francese non va sottovalutata. Già nel Cinquecento, “La Celestina” (de Rojas) aveva visto un grande successo in Francia.
Intorno al 1630, la regina Anna d’Austria scatenerà una moda che darà il via a una grande varietà di imitazioni e
traduzioni: “Le Cid” (1637) di Corneille è ripreso da “Las Mocedades del Cid” (1621) di Guillén de Castro, a
dimostrazione del fatto che la Francia non impone modelli, bensì subisce influssi stranieri. Allo stesso modo, erano state
rielaborate o francesizzate altre opere, come le commedie di Lope de Vega e Calderón de la Barca.

La pastorale drammatica
Ø Periodo: fine Cinquecento - anni Trenta del Seicento;
Ø Modelli: italiani - “L’Aminta” di Tasso; “Pastor Fido” di Guarini.
“Les Bergeries” (1625) di Racan è un’opera che rientra nel genere della pastorale, che si afferma sempre nei primi
decenni del secolo. Racan è un discepolo di Malherbe, e da lui riprende quella riforma purista del linguaggio poetico per
applicarla nella pastorale.
Si narrano spesso gli amori dei pastori, spesso ostacolati, e ambientati in bucolici paesaggi di campagna. Tópos di
questo genere è la catena d’amore: un personaggio ama un altro personaggio, ma questi, invece di ricambiare, ne ama
un altro ancora.
Tuttavia, la pastorale è considerata dai critici il più omogeneo e compatto tra i generi teatrali barocchi, a livello di temi e
strutture.

La tragicommedia
Ø Periodo: anni Trenta e Quaranta del Seicento
Ø Corrente: Barocco
Ø Modelli: teatro inglese/elisabettiano, ma soprattutto spagnoli (Siglo de Oro)
Con il trionfo della tragicommedia si esplicano le nuove regole che Jodelle anticipava alla fine del secolo precedente con
“La Cléopâtre captive”.
Questi anni di rinnovamento non portano immediatamente alla netta distinzione tra tragedia e commedia di cui parla
Boileau, anzi, domina ancora il genere della tragicommedia (genere più affermato a partire dagli anni ’20). Anche
questo genere si origina dalla storia del teatro del passato: pur non essendo ancora stato teorizzato come genere, il
termine tragicommedia era stato già usato da Plauto che nel suo “Anfitrione”.
“La tragicommedia ci mette davanti agli occhi nobili avventure tra persone illustri, minacciate da qualche grande
infortunio che è seguito da un avvenimento lieto.” (cit. Chappuzeau)
è Modello: vicenda centrata sull’amore contrastato di una o più coppie, che dopo una serie di ostacoli superati si
conclude con il matrimonio degli innamorati.
- Personaggi elevati della tragedia;
- Intreccio della tragedia;
- Lieto fine della commedia.
Ø Motivi ricorrenti: travestimento, follia, sogno (“La vida es sueño” – Calderón de la Barca), finta morte, inganno,
scambio di identità —> percezione di un universo in crisi —> tragicommedia come genere appartenente al
Barocco —> cambiamento e irregolarità come metafora della mancanza di stabilità religiosa e politica ed
economica.

Con l’avanzare del Classicismo si tende a condannare la tragicommedia, poiché vista come una forma ibrida del teatro,
in nome di quella regolarità cui si aspirava. D’Aubignac, addirittura, non la considera neanche un genere a sé stante.
Corneille è contrario: riprendendo la poetica di Aristotele, ricorda che questi non aveva fatto alcun riferimento alla
conclusione felice o tragica dei due generi. Su questo punto, tornerà anche Racine.

è Nel 1628, François Ogier teorizza il genere della tragicommedia nella prefazione a una pièce di Jean de
Schélandre, intitolata “Tyr et Sidon, tragi-comédie en deux journées” (la prima edizione è del 1608) —>
tragicommedia come genere barocco per eccellenza, per la sua instabilità e per il non rispetto delle regole.
Narra la guerra tra i due sovrani di Tiro e Sidone, che hanno come prigionieri l’uno il figlio dell’altro.
Accadranno peripezie amorose e colpi di scena (amori non ricambiati che causeranno suicidi, morti
involontarie ecc…)
L’autore dell’originale, Schélandre, a vent’anni dalla prima versione decide di intervenire: rende il finale lieto e
aggiunge elementi romanzati, avventure rocambolesche e adulteri, tutti elementi tipici del genere comico.
Questo perché aveva capito che i gusti stavano cambiando, e che la sola tragedia non aveva più successo.

“Non abbiamo difficoltà a giustificare l’invenzione delle tragicommedie, che è stata introdotta dagli italiani, visto che
mescolare - nel corso dello stesso discorso - cose gravi e meno serie, e conciliarle a proposito di uno stesso soggetto,
tratto dalla favola o dalla storia, è molto più ragionevole che non unire - al di fuori dell’opera - satire con tragedie che
non hanno alcuna connessione tra loro, e turbano la vista e la memoria degli spettatori. Dire che non è corretto fare
apparire nella stessa pièce personaggi che ora trattano cose serie, importanti e tragiche, e subito dopo cose comuni,
vane e comiche, significa ignorare la condizione della vita degli uomini, i cui giorni e ore sono molto spesso intrecciati di
riso e di lacrime, di felicità e di afflizione, a seconda che siano condotti dalla buona e dalla cattiva sorte.” (Ogier)

Ø Volontà di Ogier di rimandare il teatro alla realtà, che non fa distinzione tra felicità e tristezza. È ragionevole
rappresentare questa duplice sfaccettatura, perché così è la vita.
Questa idea di teatro, ovviamente, non risponde all’idea classica che si stava affermando, secondo cui il teatro
doveva rappresentare non quanto fosse accaduto, ma quanto sarebbe dovuto accadere.
Ø La tragicommedia esprime un disprezzo assoluto delle regole classiche: Ogier insiste sulla libertà
incondizionata degli autori e sottolinea l’assurdità della regola delle unità, specialmente quella di tempo.

“Cid” – Corneille (1637) - tragicommedia

- Modello/fonte spagnola (“Las Mocedades del Cid” – 1621)


- Onore vs amore: l’opera racconta la storia di Rodrigue, che si ritrova a dover decidere se scegliere l’amore per
Chimène o se salvare l’onore del padre. Quest’ultimo aveva sfidato a duello il padre di Chimène ma,
consapevole della propria debolezza, chiede al figlio di sostituirlo per difendere l’onore della famiglia —>
questo comporterebbe vincere il duello, ma perdere l’amore. Nelle ultime stanze del primo atto si vedrà un
eroe in balia di queste due passioni, tipiche del mondo barocco.
Grazie al Re ci sarà un lieto fine, poiché anche se Rodrige, il Cid, ha ucciso il padre di Chimène (vincendo
dunque il duello), ha il diritto di sposarla.
- Nonostante la rappresentazione avesse ottenuto un enorme successo, è seguita dopo qualche anno da forti
polemiche —> il successo della tragicommedia porta, paradossalmente, all’affermarsi della tragedia.

Tornando al problema economico tra testo e autore, il testo di Corneille è in mano della compagnia che lo avrebbe
recitato. Il successo porta a numerose repliche, e dalle repliche ingenti guadagni. Quando Corneille decide di dare alle
stampe il suo testo teatrale, questo non apparteneva più di diritto alla compagnia. Quindi, ogni compagnia poteva
acquistarlo e avere i diritti per rappresentarlo. Così facendo, Corneille sottrae denaro agli attori ma, d’altra parte,
l’opera inizia ad essere letta come testo scritto —> certe imprecisioni o la mancata osservanza di certe regole, che nella
rappresentazione scomparivano, iniziano ad essere notate e condannate proprio perché era evidente che il testo stesse
andando contro le due nuove regole della vraisemblance e bienséance:
- Non è verosimile che Rodrigue parta, vada a combattere i mori e torna dopo 6 mesi ritrovandosi sempre sulla
scena;
- Non è verosimile e di buon gusto che Chimène esca a casa da sola, di sera, per incontrare il suo amato.

è Queste osservazioni, e altre, danno vita alla famosa “Querelle du Cid” (disputa sul Cid). Vengono coinvolti
personaggi di primo piano, tra cui lo stesso Richelieu il quale, addirittura, si appella all’Académie française per
risolvere definitivamente il problema (risolvere la disputa sarà il primo lavoro ufficiale dell’Académie, che però
non prende una posizione così netta).

Antefatti: l’amore tra Chimène e Rodrigue viene messo in pericolo da una disputa tra i padri dei due protagonisti. La
disputa riguarda il ruolo che i due devono svolgere a corte: il padre di lei schiaffeggia il padre di lui dopo che il Re aveva
preferito quest’ultimo come istitutore del figlio. Il gesto viene visto come intollerabile da tutta la famiglia, il cui onore è
stato offeso; è in questo momento che il padre di don Rodrigue chiede a suo figlio di rispondere all’attacco.
L’onore avrà la meglio sull’amore: se Rodrigo fosse venuto meno al rispetto dell’onore, non poteva certo pretendere di
essere amato da Chimène; inoltre, avrebbe perso il suo posto nella famiglia e nella società.

L’intreccio tra amore e onore è stato sviluppato da Corneille con grande abilità, sia nell’ultima scena del primo atto, sia
con le parole di Chimène, la quale è naturalmente distrutta dalla perdita del padre, ma al contempo consapevole del
fatto che, se Rodrigo non avesse ucciso suo padre, non sarebbe vero il suo amore per lei.

Chimène, ben consapevole delle dinamiche che caratterizzavano i rapporti nella società, dopo l’uccisione del padre
chiede l’intervento del Re contro Rodrigue.
Corneille gli fa recuperare l’onore attraverso un’azione di guerra: viene mandato in Spagna a combattere contro i mori
(tema dell’unità e della difesa dello Stato). È qui che Rodrigue diventa il Cid, cioè il Signore, il difensore dello Stato,
l’eroe che torna vittorioso e che, di conseguenza, avrà diritto al suo amore.
Anzi, lo stesso Re imporrà a Chimène di sposare il Cid.
è Ambiguità, ideologico-politiche che fanno nascere la polemica anche in campo estetico: qualcuno ha visto
un’apologia del valore spagnolo in un momento in cui la Francia si trovava a doversi difendere dalla Spagna;
è Apologia del duello, che Richelieu aveva appena vietato come forma risolutiva dei problemi, mentre qui è
l’unica soluzione valida per salvare l’onore di Rodrigue e della sua famiglia.
è Contraddizioni che hanno fatto sì che “Le Cid” sia un’opera apprezzata e, soprattutto, innovativa. Non è facile
individuare un progetto ben preciso, infatti saranno le querelles che cercheranno di ovviare al problema.

Quello del sovrano sarà un atto decisivo: imponendo il matrimonio tra i due protagonisti, vengono scardinati quegli
elementi legati alla vecchia cultura, così da dimostrare quali sono i nuovi valori: unità dello Stato e risposta fedele alle
richieste del Re.

Lezione 22 - 18.11
Teatro del Seicento: la querelle du Cid; la commedia e la tragedia

Figura centrale del rinnovamento poetico è Corneille, che inizia a scrivere negli anni Trenta del Seicento.
è Teatro irregolare, le regole del Classicismo non si sono ancora affermate. Tuttavia, è un periodo interessante
perché si vede un passaggio caratterizzato dallo sgomento e dalle incertezze sociali, che si riflettono in
un’assenza di definizioni dei generi teatrali (tragicommedia, ruolo del Cid tra onore e amore).
È un secolo alla ricerca di regole, ecco perche nascono tante querelles. Una delle più grandi e longeve è stata la
Querelle des Anciens e des Modèrnes (non era la prima volta che si proponeva un’analisi di temi appartenenti
al passato).

La Querelle des Anciens et des Modèrnes (1687-1694)


Le nozioni di vraisemblance e bienséance sono regole il cui rispetto viene continuamente associato ad un’esigenza della
poetica classica: in loro nome sono avvenute le grandi e importantissime discussioni sul teatro, le querelles. Qui
convergono tutte le caratteristiche del secolo classico: l’attenzione al cambiamento del gusto e la diversa sensibilità del
pubblico, per esempio, sono fattori che differenziano inevitabilmente gli Antichi dai Moderni. Ed è proprio su queste
differenze che nasceranno i grandi dibattiti (oltre all’ambito teatrale si discuterà, per esempio, sulla contrapposizione
tra meraviglioso e verosimile).

Moderni: non è vero che la magnificenza degli Antichi non si possa superare; hanno imitato gli Antichi in ciò che hanno
di buono;
“Solo i Moderni possono rendere giustizia alla grandezza senza precedenti di Luigi XIV, poiché essi soli sanno ricollocarlo
in una giusta prospettiva, che non p quella di un prolungamento del Rinascimento francese, ma è quella di un progresso
di quei lumi di cui il secolo dell’attuale re rappresenta il momento più alto.” (Fumaroli)
Antichi: essere fedeli all’Antichità è un segno di rinnovamento del gusto. Racine, per esempio, considera Corneille come
colui che, studiando gli Anciens, maggiormente ha lottato contro il cattivo gusto del secolo e ha favorito l’innovazione.

La forma della querelle ha, in realtà, origini risalenti al primo Umanesimo (Trecento). Con il passare dei secoli, si sono
susseguite numerose e importanti discussioni come la Querelle des femmes o, in ambito teorico, sul confronto
traduzione/imitazione.

Il “Cid” ottiene un successo straordinario, che contribuisce alla nascita di varie imitazioni nonché
alla querelle du Cid, una polemica teorica a cui Corneille reagisce con forza.

La Querelle du Cid e l’examen del 1660


Preparando un’edizione rivista e corretta del “Cid”, l’autore testimonia un rispetto di quella bienséance ormai diventata
una regola inderogabile.
è Azione moralizzatrice
- Piano sensuale: vengono soppressi gesti considerati audaci e sconvenienti, come i baci. La sensualità viene
sostituita dal sentimentalismo;
- Piano linguistico: per favorire la ripulitura, si abbandona il linguaggio figurato ricorrente nel comico
cinquecentesco.
La nuova edizione verrà pubblicata nel 1660, ben trent’anni dopo, quando il Classicismo era ormai al suo massimo
splendore: è preceduta da un examen, in cui l’autore dimostra come il gusto stesse cambiando e, allo stesso tempo,
come cercasse di difendere la propria originalità e libertà di autore. La sua preoccupazione era creare opere che
piacessero al pubblico e lo emozionassero.
Sempre nel 1660 pubblica “Trois discours sur le poème dramatique”.

Il “Cid” è stato a lungo letto nella sua versione definitiva, quella del 1660. La querelle dimostra che, per capire come
Corneille abbia realizzato una pièce così irregolare e anomala agli inizi della sua carriera, bisogna partire dalla prima
pubblicazione, ovvero al testo del 1637.

è Problema per gli studiosi: bisogna sapere bene quale edizione si sta studiando, per vedere le differenze
nell’atteggiamento dello stesso autore. La sua riflessione sul teatro non è dogmatica, cioè non impone le
regole perché son diventate di moda, ma si interroga sul valore di queste regole e, man mano che passa il
tempo, alcune le accetta ma le adatta alla sua idea di teatro.
Critiche dell’Académie
1. Verosimiglianza: Corneille difende la veridicità della sua opera grazie alla presenza della fonte spagnola,
tuttavia non poteva difenderne la verosimiglianza sul piano morale.
2. Non rispetto delle unità aristoteliche: anche su questo aspetto l’autore reagisce con forza, anche se poi si
troverà costretto ad attenersi a una più attenta osservanza delle regole.
Con la sua riflessione, l’autore rivendica di aver seguito i principi aristotelici per quanto concerne la creazione
dell’eroe, che doveva essere “innocente anche se involontariamente colpevole”.
Il dibattito sul “Cid” è stato il primo che, nel Seicento, è riuscito ad ottenere l’etichetta di querelle. È stato, inoltre, il
primo dibattito ufficiale su cui l’Académie ha lavorato e preso una posizione, mentre si diffondevano opuscoli e
pamphlets pro e contro Corneille.

La commedia
Genere inaugurato nel 1552 con “L’Eugène” di Jodelle, la commedia fiorisce nel Seicento sempre grazie a Corneille. Il
suo primo successo è “Mélite” (1629-30): i temi tipici della pastorale vengono collocati in una nuova realtà, quella
cittadina, in cui si stava costruendo un nuovo assetto politico. Anche per “Mélite” esiste un examen, sempre nel 1660,
in cui l’autore sostiene che questa commedia non fa altro che rappresentare la conversazione degli uomini onesti
(honnêteté).
1° edizione – “Andate, per questa sera vi preparerò una cuccia tale che invece di arare il campo, lo lascerete del tutto
incolto” —> parole di una nutrice (personaggio basso), “arare” rimanda all’atto sessuale.
2° edizione – “Suvvia, per quanto sia grande il fuoco che vi brucia, non ci si prende gioco di una donna par mio, e io farò
vedere ai vostri ardori impazienti che non siete ancora giunti là dove credevate.” —> ci sono soltanto vaghe allusioni
erotiche.

1635-36: grande capolavoro della commedia di Corneille – “L’illusion comique”. Questo titolo non rimanda all’illusione
comica quanto all’illusione teatrale. L’opera è considerata il capolavoro comico di Corneille, ed è un esempio lampante
della tecnica della mise en abyme (tecnica del teatro nel teatro).
- Trama: Pridamant cerca suo figlio Clindor, che aveva cacciato dieci anni prima. Su consiglio del suo amico
Dorante, va a consultare il mago Alcandre nella sua “grotta oscura”. Alcandre rassicura Pridamant sul destino
di suo figlio, raccontandogli le sue avventure dissolute che porta avanti da quando si era allontanato dal padre.
Poi gli propone di seguire la recitazione come vocazione.
L’opera si conclude con un’apologia del teatro che Corneille ha potuto costruire tramite gli incantesimi del
mago.
Nell’examen, Corneille stesso definisce la sua opera un mostro: non appartiene né alla tragedia, né alla commedia,
bensì presenta un mélange, seppure sia stata definita dalla critica “il capolavoro della commedia di Corneille”.

La tragedia classica
Già all’inizio del Seicento il genere tragico viene messo all’apice della gerarchia dei generi (come testimoniato anche da
Boileau nella sua Art Poétique), e questo non vale soltanto per la Francia bensì per l’Europa intera. È, questa, la
soluzione al problema dell’imitazione dei classici – e della definizione di una normativa – che culminerà con la Querelle
des Anciens et des Modernes.
La tragedia classica succede alla pastorale drammatica, alla tragicommedia, alla tragedia eroica e a quella romanzesca,
tutti sottogeneri che sarebbero sfociati, come in altri ambiti, nel rigido controllo delle regole e nei principi classici.
Tuttavia, si ricordi che il Seicento, come ogni secolo, non è un periodo nettamente scandito da determinati generi, ma
c’è sempre una mescolanza eterogenea di pensieri e di generi: ad esempio, la produzione teatrale di Racine coincide
all’ultima fase di quella di Corneille, così come parallelamente alla tragedia classica si diffondono la tragédie en musique
e la tragédie à machines.
È importante ricordare che nel secolo definito del Classicismo rientra un periodo barocco la cui estetica era
profondamente influenzata dal contesto storico, segnato da guerre religiose e civili. Questo disordine si traduce nel
gusto per il macabro, nella violenza dell’azione e del linguaggio, elementi che venivano già ripresi nel Cinquecento con
la fonte greca di Seneca.

La tragedia classica si differenza dalla tragicommedia sui temi:


- Tragicommedia —> temi trovati nei romanzi;
- Tragedia —> temi di carattere storico (Jodelle), religioso o mitologico. Si trattava, dunque, di storie già note al
pubblico (che rimaneva composto da gente colta), il quale percepisce i cambiamenti e ne coglie i motivi del
poeta, senza condannarlo. Tutto il genere della tragedia, soprattutto nel Cinquecento, ha fini politici (=
organizzazione dello Stato dai Valois in poi).
Nel tema della tragedia religiosa, ovviamente, rientrano numerose tragedie a tema biblico (es. Regina Ester, la
cui storia è raccontata in un libro della Bibbia e viene riproposta a teatro), sebbene i temi religiosi siano quelli
più difficili da rappresentare (presenza di Cristo, per es.).
Le fonti storiche e mitologiche, invece, permettevano un maggiore intervento sulla storia senza creare grossi
scompigli, nonostante venissero rispettati alcuni dati fondamentali. Qui saranno sempre presenti riferimenti a
Euripide e Seneca, anche se l’autore antico più preso a modello nel Seicento sarà Ovidio (con le
“Metamorfosi”).

Corneille e Racine forniranno i due modelli da imitare per la tragedia, per il loro rispetto delle unità, l’ambientazione
greca o romana e l’identificazione fra la Roma dell’età di Augusto e l’epoca moderna.

Lezione 23 - 19.11

Importanza dell’azione – “J’ai mis les accidents mêmes sur la scène” (pag.33). Se il teatro del secolo precedente è stato
definito le théâtre de la parole (Cleopatra parla per 50-60 versi – è un personaggio che non ha controllo sul proprio
destino), il Seicento è il teatro dell’azione.
Già negli anni Trenta e Quaranta del Seicento, con il culmine del successo della tragicommedia, Richelieu stava
affermando il concetto di teatro come celebrazione del potere monarchico: da qui, un ordine nuovo, che comprendeva
il superamento delle passioni e l’affermazione della volontà individuale.

è La parola rimane un elemento ovviamente fondamentale, ma si intuisce un’azione al di là di essa.


Nel “Cid”, Corneille riesce a creare, se non un ribaltamento, un equilibrio tra parola e azione: l’autore non abbandona
completamente le tecniche del teatro precedente, ma le rinnova. Per esempio, consapevole del fatto che sta
stravolgendo l’estetica teatrale perdurata fino a quel momento, dichiara di aver messo lui i personaggi sulla scena, non
il messaggero, che raccontava in modo noioso ciò che era successo (“Ho preferito divertire gli occhi che importunare le
orecchie”) —> vantaggio dell’azione sulla parola.
- Ipotiposi: tecnica molto usata nel teatro precedente e che Corneille sa ben applicare – rappresentare i fatti con
le parole rendendoli ancor più presenti rispetto al realizzarli effettivamente sulla scena. Ne è un esempio la
descrizione della battaglia di don Rodrigo contro i mori – descrizione fatta mediante figure retoriche che
concretizzano nella parola i fatti, e questo dimostra come nonostante la necessità di rinnovamento dagli
schemi precedenti, Corneille ne abbia comunque ereditato le regole.
- Discorso d’amore: dramma che don Rodrigo vive quando prende la decisione di difendere il proprio padre, a
costo di uccidere il padre di Chimène.
Pierre Corneille (1606-1684)

Corneille nasce a Rouen da una famiglia borghese. Viene istruito dai gesuiti, e la formazione influenzerà numerose delle
sue opere. Come molti uomini di lettere di quel tempo, abbandona gli studi di diritto per dedicarsi alla letteratura e, a
Parigi, entra nel gruppo di autori sostenuti dall’aiuto di Richelieu e dei mecenati.
Raggiunge una fama straordinaria, di cui l’elezione all’Académie nel 1647 è una dimostrazione.
La sua produzione conta ben 33 pièces, e attraversa un arco temporale di mezzo secolo, in cui Corneille sperimenta i
vari generi che entravano, quasi contemporaneamente, nei gusti del pubblico.

Se “Médée” (1634-35) segna il suo debutto per quanto riguarda la tragedia, la successiva pièce “Le Cid” (1637) è stata
etichettata prima come tragicommedia e, dal 1648, come tragedia.
L’opera, per i suoi temi e la sua morale, fornisce un importante spunto di riflessione sul tema dell’eroismo come
capacità di sacrificio in nome dell’onore sia della propria famiglia, sia dello Stato —> questo aspetto farà dell’opera una
tragedia eroica e politica. I due protagonisti, Rodrigue e Chimène, dovranno difendere ognuno il proprio onore (seppur
combattuti dall’amore), e il problema tra le due famiglie diventa un problema di Stato = schema dell’intrigo politico
speculare all’intrigo amoroso.

In “Horace” (1640), i temi ripresi sono simili a quelli del “Cid”: si parla sempre di amori contrastati e di difesa dell’onore,
ma con una differenza, cioè l’onore è riferito, ora, alla difesa della patria (duello tra gli Orazi e i Curiazi).
è Riferimento al contesto storico di quel momento: guerra tra Francia e Spagna spinta dalla politica di Richelieu,
ma segnata da una forte opposizione interna dovuta alla presenza di Anna d’Austria, infanta di Spagna
accusata di essere rimasta legata al suo Paese d’origine.
Lezione 24 - 24.11
La commedia – la rinascita di un genere

La commedia aveva riscosso un apparente successo nella seconda metà del Cinquecento. Si trattava, però, di un
tentativo di superamento delle farse popolari di tradizione medievale. I nuovi modelli classici da riportare sulla scena,
come accadrà anche nel Seicento, saranno soprattutto Plauto e Terenzio. La commedia non raggiungerà lo stesso livello
della tragedia e tragicommedia, per via degli influssi che subiva dalla farsa medievale (che pur voleva condannare).

Contesto storico: il teatro del Roi Soleil


Sebbene abbia posto le basi per l’importanza della monarchia a teatro, Richelieu viene sostituito come figura guida da
Luigi XIV. La morte del cardinale, così come quella del Re Luigi XIII, avevano messo in crisi l’ideologia assolutista tanto
difesa. Per quanto riguarda il teatro, il mecenatismo di Stato viene meno.

Il nuovo re sposta la corte di Parigi a Versailles, obbligando i nobili, che prima rivendicavano la loro indipendenza, a
vivere a corte. Concede loro piccoli privilegi per impedire che ostacolassero il suo potere.
Luigi XIV contribuisce, come Richelieu, ad opporsi a livello culturale a quell’amore per il Barocco che aveva coinvolto la
Francia all’inizio del secolo, dunque si afferma ulteriormente il Classicismo con i suoi valori.
1664: un giovane Luigi XIV organizza una festa che viene dedicata alla corte, sempre con il fine di coinvolgere tutti sotto
il suo potere. Viene scelto come tema “L’Orlando Furioso” di Ariosto, che era già conosciuto in Francia.
Gli spettacoli presenti alla festa sono molteplici: vengono rappresentati una commedia, un balletto, con musiche
composte da un italiano che stava riscuotendo sempre più fama: Lulli, che per sentirsi più vicino ai francesi cambierà il
suo nome in Lully.
Per questa festa, lo stesso Molière scrive una pièce dal titolo “La princesse d’Élide” —> rapporto tra Molière e la corte.
Il nome scelto per la festa è “Plaisirs de l’île enchantée”, per dare l’idea di un luogo meraviglioso dove convergono tutti
gli elementi di unità e composizione: vengono messi in scena tutti i piaceri della vita controllati, però, dal potere reale –
tutti gli spettacoli sono rivolti al Re, che è anche l’eroe che troneggia davanti ai suoi personaggi. È lui il destinatario di
tutti i suoi spettacoli, così come il pubblico è spettatore del suo successo.

Molière (1622-1673)

Jean-Baptiste Poquelin nasce a Parigi in un ambiente molto agiato. Il padre lo iscrive in uno dei Collèges più rinomati,
diretti dai gesuiti – che nel Cinquecento costituivano un gruppo molto influente nell’educazione. Il loro impegno era
visibile anche nella vita quotidiana, in cui tutto doveva essere sottoposto alle regole religiose.
è Théâtre de collège (teatro con finalità pedagogiche): mostra l’importanza che i gesuiti riservano al teatro, a cui
viene affidato un ruolo didattico importantissimo. Molto spesso, gli stessi docenti scrivono pièces per essere
rappresentate nel loro collège.

Molière acquisisce, grazie alla sua frequentazione del collège:


- Grande cultura classica, alla base delle sue conoscenze;
- Passione per i gesuiti che riservano al teatro.

Fondazione dell’Illustre Théâtre


Terminati gli studi, anche lui inizia gli studi di diritto, ma la passione per il teatro, sostenuto anche dal nonno materno,
fa sì che nel 1643 si unisce a un gruppo di teatranti – la famiglia Béjart. Con la sua compagna Madeleine Béjart fonda la
nuova compagnia dell “Illustre théâtre”, dove cambia il nome in Molière.
La passione trasmessa dal nonno gli permette di frequentare sia i teatri al chiuso, sia quelli di strada, dove viene
rappresentata la farsa su palchi improvvisati. Uno dei luoghi dediti agli spettacoli farseschi è il Pont-Neuf, già citato da
Boileau nell’Art Poétique.

Troupe itinerante
La compagnia fallisce, probabilmente perché tra le compagnie regnava costantemente una forte concorrenza, che
diventa sempre più spietata per questioni di carattere economico. Quindi, nel 1645 decide di abbandonare Parigi e
iniziare a girare la Francia —> 12-13 anni di vita itinerante in provincia, che costituiscono una fase significativa per la sua
carriera.
Ritorno a Parigi e successo
Molière, con la compagnia di cui si era fatto direttore, torna a Parigi portando i frutti della sua esperienza, nel 1658.
Comincia a rappresentare le pièces al Louvre, davanti al grande Luigi XIV. Il Re è colpito da questo teatro nuovo, comico
e fatto da giovani. Molière aveva colto le novità di Parigi, che gli faranno mettere anche in scena opere scritte da
Corneille, tant’è che si guadagna il proprio spazio nel teatro del Petit-Bourbon, che ora condividevano Molière con la
sua compagnia e i Comédiens Italiens.
è Importanza del teatro italiano: inizia con Enrico III di Valois al suo ritorno in Francia (dopo la morte del fratello
Carlo IX). Passando nelle varie città italiane (Venezia, Ferrara, Torino…) viene accolto da vari festeggiamenti e
conosce vari attori italiani. Una volta in patria, alla fine del Cinquecento, prende provvedimenti per averli in
Francia.

In poco tempo, con la realizzazione di un repertorio proprio, Molière non solo diventa l’autore comico per eccellenza,
ma si guadagna anche lo status di poeta e di principale organizzatore delle feste di Corte (collaborando alle comédies-
ballets con Lully). Tutto questo era possibile, ovviamente, soprattutto grazie alla protezione del Re, ormai resa pubblica.
Addirittura, Luigi XIV partecipa attivamente a questi spettacoli come ballerino. Le scenografie erano tipicamente
sontuose.
Esempi di comédies-ballets di Molière, oltre alla “Princesse d’Élide”, sono “Le Bourgeois gentilhomme” e “Le Malade
imaginaire”.

L’importanza della Commedia dell’Arte


Il riconoscimento pubblico da parte del Re arriva grazie allo strepitoso successo de “Les Précieuses ridicules” (1659), di
cui ora si chiedevano le repliche nei giorni di riposo degli attori italiani —> fase molto importante per la carriera di
Molière, ora esposto ad un continuo scambio di idee e di prospettive. Per esempio, un elemento tipico del teatro
italiano è la commedia d’improvviso, poiché i testi recitati si basavano su canovacci da cui gli attori dovevano prendere
spunto per improvvisare il loro spettacolo. L’improvvisazione era, però, vincolata alla caratterizzazione di ogni
personaggio in un determinato stereotipo, la cosiddetta maschera.
La presenza degli Italiens nei teatri francesi, oltre ad essere motivo di concorrenza, costituirà un fattore di
rinnovamento dei generi teatrali e un fenomeno che durerà ben due secoli.
ü Comicità gestuale: il gesto ha la stessa importanza della parola;
ü Mimiche;
ü Smorfie del volto;
ü Mascheramento del viso;
ü Abbigliamento tipico (costume);

Anni Sessanta: concorrenza sleale


Il successo dell’opera, però, aveva portato anche molte critiche da parte delle compagnie di altri teatri. Le continue
dispute, che spesso sfociavano in attacchi personali (Molière verrà addirittura accusato di incesto), investivano l’aspetto
del teatro stesso e della recitazione, portandolo ad abbandonare la sala del Petit-Bourbon per arrivare al Palais Royal.
Un esempio è “L’impromptu de Versailles”, che racconta l’incontro tra attori che devono avere la loro parte per uno
spettacolo. Da questa opera si ricavano informazioni importanti sulla messa in scena e la recitazione in vari teatri —>
vivacità della vita teatrale francese di quegli anni.
In questa pièce sono inserite, addirittura, delle lezioni di dizione, a dimostrare il passaggio dalla recitazione esagerata
(tipica di quegli anni) a una recitazione più naturale ripresa sul modello italiano.

La crisi dell’assolutismo – revoca dell’editto di Nantes e Reggenza


Dopo quegli anni di festa che il giovane Luigi XIV aveva organizzato a Versailles, gli anni successivi sono segnati da una
morale molto più cupa e severa, che non riguarda soltanto il teatro ma anche la vita politica e sociale.
Nel 1685, con la revoca del l’editto di Nantes (promulgato nel 1598 grazie a Enrico IV), si andava verso la volontà di
eliminare dal regno ogni elemento che potesse essere segno di disaccordo con il potere reale.

è Tutti coloro che per quasi un secolo avevano professato la loro fede in libertà sono costretti ad abbandonare la
Francia cercando riparo e fortuna nei Paesi Bassi = impoverimento anche economico della Francia.
è Il potere assoluto di Luigi XIV va via via impoverendosi, eliminando tutti gli eventi di effervescenza e novità.
è La celebrazione eroica dell’autorità perde la sua importanza, e viene così sostituita da una rappresentazione
pessimista e disillusa del potere: il sovrano generoso è ora un tiranno egoista.
Anche gli attori italiani vengono cacciati nel 1697, dopo anni di tensioni e avversione nei confronti del teatro italiano,
che con la sua libertà andava contro l’idea monolitica di assolutismo centralizzato che il re portava avanti.
Il 1697, non a caso, è l’anno in cui viene rappresentata la commedia “La fausse prude” (La falsa prudente),
rappresentata dagli italiani e che trapelava un attacco alla donna del Re, Madame de Maintenon.
È una figura di spicco, che affianca il sovrano in nome del conservatorismo e che impone regole nuove. Non era un caso
che fosse il punto di riferimento della polemica antiteatrale dei “falsi devoti”.
La commedia metterà in ridicolo questa rigidità, accusando la falsità di Madame de Maintenon.
è Rappresentazione teatrale come reazione verso una mentalità così rigorosa che era già presente da qualche
anno.

Nel 1716, con la morte del Re Sole e l’inizio della Reggenza, gli italiani vengono richiamati in Francia e riprendono la loro
attività. Il Théâtre Italien, per cui lavorano nel Settecento autori come Marivaux e Goldoni, sopravvive fino alla vigilia
della Rivoluzione Francese.

Lezione 25 - 25.11
I nuovi valori del teatro di Molière

L’eredità della farsa e della commedia dell’arte


Con “Les Précieuses ridicules”, Molière riporta l’attenzione su un genere medievale/popolare, la farsa, che era stata
condannata da Du Bellay perché aveva rubato il posto della vera commedia. Tutta la sua produzione sarà fedele alla
tradizione farsesca e all’importanza della commedia dell’arte.
Non si poteva parlare, però, di un ritorno alla commedia burlesca o d’intrigo: Molière non è quell’autore comico e
ignorante che diverte con la gestualità e le battute oscene tipiche farsa, ma la sua comicità è l’insieme di tutti questi
elementi, uniti anche alla sua educazione di stampo gesuita.
Tuttavia, l’obiettivo principale della sua commedia è e resta quello di far ridere. Il suo intento è stato mal interpretato,
poiché si accusava Molière di aver svilito in oggetto di riso degli argomenti di alta moralità, e di aver reso ridicoli gli
honnêtes hommes.

Types sociaux
Negli anni Sessanta del Seicento, gli autori di teatro e le compagnie lavorano tutti sullo stesso tema. La figura del Don
Giovanni, per esempio, è stata proposta per la prima volta da Tirso de Molina, così come Fedra inizia con Euripide, e
arriva in Francia con Racine.
Prende forma una grande vivacità che fa sì che sia gli autori, sia gli attori cerchino fino in fondo di sfruttare la moda e il
successo di un personaggio, dando vita a spettacoli simili sullo stesso tema/eroe —> types sociaux in cui rientrano
“L’Avare”, “Le Tartuffe ou l’Imposteur”, “Les Précieuses ridicules”, “Le Malade imaginaire”.
Attraverso un lavoro di arricchimento del type, dal punto di vista psicologico, lo si rende carattere, personaggio. I due
tipi fondamentali in Molière sono il servo, che può essere scaltro o balordo, e il vecchio, che può essere geloso o
cornuto.
I bersagli molieriani, in nome dell’autenticità e della verità, sono i Marchesi, le Preziose, i Cornuti, i Medici e,
soprattutto, gli Impostori.

La comicità inserita in un contesto sociale: l’honnêteté


Il genere farsesco viene riproposto con temi rielaborati: ne viene ripresa la struttura, per cui due personaggi opposti,
non capendosi e litigando, fanno ridere il pubblico, ma questa opposizione riguarda quei valori morali che sono alla
base dell’affermarsi della società del tempo, e che si riassumono nel concetto dell honnêteté (rispetto, tolleranza, buon
gusto, misura ecc…).
è Ricostruzione di ambienti sociali e inquadramento critico dei caratteri in relazione all’ambiente.
In fondo, un personaggio comico è un personaggio al di fuori del contesto dell’honnêteté per il suo comportamento e il
suo linguaggio, di conseguenza diventa ridicolo perché non sa stare al posto giusto.
Essere ridicolo agli occhi di una società misurata è un processo che può avvenire, per esempio, con l’esagerazione di
una passione (“L’Avare”, “Le Misanthrope”).

L’uso del dialogo è un altro esempio per capire come Molière tratta la comicità: i punti che più suscitano la comicità
sono quei momenti in cui è impossibile dialogare, perché uno dei personaggi, per prepotenza, non dà modo all’altro di
parlare —> l’atto di non ascoltare scatena il ridicolo di quel personaggio e, per questo, si viene a creare una divisione tra
lui e il suo interlocutore.
Il ridicolo, mettendo in risalto i vizi dei personaggi, fa si che questi verranno puniti poiché con il loro atteggiamento
nuocciono alla società: la non regola porta il disordine nella società e, soprattutto, nei confronti del Re.
La tecnica di unire la risata ai valori sociali non dura a lungo. Molière è stato criticato dai suoi contemporanei e dai
devoti, dal momento che i personaggi da lui presentati come ridicoli possono, in realtà, diventare affascinanti e, con la
loro simpatia e il loro desiderio di distinguersi, rischiano di spingere il pubblico ad imitarli.
I devoti, o falsi devoti, erano un vero e proprio movimento di opinione che cerca di condizionare la vita sociale e la
politica, tramandando precetti morali e religiosi rigorosi. Ne è un esempio la Compagnie du Saint-Sacrement la quale,
insieme ad altri gruppi, costituiva un bersaglio accanito dei grandi commediografi.

Esempio: il Dom Juan di Molière, quando incontra il povero, lo aiuta. L’autore gli attribuisce questo aspetto più
caritatevole che quasi giustifica il suo essere donnaiolo (“L’hypocrisie est un vice à la mode, et tous les vices à la mode
passent pour vertus.”)
Comici: si pongono al di fuori della società ma, nel frattempo, richiamano un desiderio di imitazione da parte del
pubblico. Per questo, come cita Boileau nell’Art Poétique, Molière viene accusato di aver portato eccessivamente la
farsa all’interno della commedia regolare, ma i suoi contemporanei non avevano colto la portata ideologica e
l’innovazione a livello sociale del suo teatro.
è L’accusa fa intuire che la classificazione di generi era ormai in atto.
Il “Dom Juan”, opera ripresa dal “Burlador de Sevilla” di Tirso de Molina, era stato rappresentato nel 1665 ma, per
prudenza dell’autore visto l’insorgere di una nuova querelle, viene tolto dalle rappresentazioni.
Viene ripreso e accentuato il contrasto padrone-servo, vengono sfruttate le macchine di scena (per esempio per la
rappresentazione della statua del convitato di pietra) e viene ricordato il mondo farsesco, con l’inserimento di scene di
contadini che parlano in dialetto o storpiano il francese.

Un altro elemento della commedia molieriana ripreso dalla vita di tutti i giorni è il qui pro quo, ovvero il malinteso. Nella
commedia il qui pro quo funziona come nel linguaggio di tutti i giorni: a volte i fraintendimenti sono banali, altre volte
fanno molto ridere.
L’esempio più eclatante del qui pro quo di Molière è nella commedia dell’ Avare”, in cui il malinteso continua per un
periodo piuttosto lungo: quando l’Avaro è alla ricerca della sua cassetta di denaro, non la nomina mai direttamente, ma
si rivolge alla cassetta usando “lei”. Allo stesso modo, il promesso sposo della figlia del protagonista si riferisce a lei con
lo stesso pronome.
Altro tema oggetto di riso, sempre appartenente alla vita quotidiana, è il tema del cocu, cioè del marito tradito
(“Sganarelle ou le Cocu imaginaire”): oltre alla comicità della situazione, Molière usa il tradimento come espediente per
denunciare l’incomunicabilità tra marito e moglie e condannare i matrimoni forzati.

Bisogna ricordare che il riconoscimento di cui Molière gode da parte della Corte e del Re, lo spingono a mantenere,
nelle sue pièces, un relativo conformismo religioso, politico e sociale, sebbene non manchino le critiche ai maggiori
problemi del suo tempo: educazione delle donne, matrimoni forzati, autoritarismo dei padri, ipocrisia religiosa ecc…
Nell’ “École des Femmes” (1662) si trova una parodia caricaturale del futuro marito anziano che impone alla ragazzina le
massime matrimoniali. Da qui è partita la Querelle de l’École des femmes: gli avversari di Molière hanno paragonato le
massime, addirittura, ai dieci comandamenti, affermando che Molière si era scagliato contro i precetti religiosi vigenti
all’epoca e che aveva favorito l’immoralità.
Lezione 26 - 26.11
“Les Précieuses ridicules” (1659)

o Fonte: farsa;
o Prima commedia rappresentata dal suo arrivo a Parigi, davanti al sovrano;
o Rappresentata in coda al “Cinna” di Corneille;
o Atto unico diviso in scene.

La Préciosité
L’opera di Molière, seppure non sia la più importante della sua carriera, rimanda a un fenomeno culturale relativo al
mondo femminile parigino di quegli anni: la Préciosité (dossier – da pag. 70).
Prima di essere ridicole, le précieuses sono quelle dame che tendono a raggiungere una grande raffinatezza. Il termine
Précieuse, infatti, significa avere quel prestigio che pone la dama al di sopra degli altri. Non a caso, il fenomeno si
manifestava soprattutto nei salons parigini.
La Préciosité ha dato un contributo importante al passaggio della lingua francese verso le regole classiche: ordine,
armonia, equilibrio, semplificazione, purificazione (es. lo specchio non è le minoir ma le conseiller de beauté).
Le protagoniste non sono donne dell’alto rango parigino, ma due cugine provincialotte, Cathos e Magdelon. Le due
conoscono la nuova moda della Préciosité attraverso la lettura dei grandi romanzi, per esempio di M.lle de Scudéry, in
cui si narrano avventure amorose che, metaforicamente, sono un’indicazione di vita civile il più raffinata ed elegante
possibile.
Infatti le cugine, al loro arrivo a Parigi, prendono queste indicazioni alla lettera e imitano il più verosimilmente possibile
le précieuses. Per questo, diventeranno ridicules. Vogliono che il loro salotto sia esempio di raffinatezza e ne bandiscono
tutti coloro che non vengono ritenuti all’altezza, tra cui due corteggiatori i quali, per vendicarsi, faranno mascherare i
loro servi (Mascarille e Jodelet) come i due nobili (rappresentazione del falso —> i servi confonderanno il loro ruolo
reale con quello falso, e saranno i loro padroni, a suon di botte, a farli tornare alla realtà).
è Molière non vuole criticare le Précieuses, ma chi le imita. Il ridicolo si scatena anche quando il personaggio
vuole imitare comportamenti che non gli appartengono. Molière lo specifica nella préface dell’edizione a
stampa: porta una distinzione tra modello (le dame précieuses) e le cattive imitazioni (Cathos e Magdelon).

Metateatro - un’ulteriore idea che dà Molière sulla sua comicità e che lo rende innovativo è il rapporto tra società e
imitazione nel teatro. Come già detto, sostiene di aver messo in scena non i modelli, bensì le imitatrici —> il teatro – e
in particolare la commedia - si occupa, secondo lui, di ciò che c’è di “teatrale” (legato all’imitazione) nella società.
Il ridicolo è già presente nella società, perché copia la società. Molière, dunque, non fa altro che copiare una copia.
Préface à Les Précieuses ridicules, in Molière, Œuvres complètes, édition de R. Jouanny, tome I,
Paris, Classiques Garnier, 1989, p. 193-194

SI STAMPINO LE OPERE A INSAPUTA DEGLI AUTORI

C’est une chose étrange qu’on imprime les gens malgré eux. Je ne vois rien de si injuste, et je
pardonnerais toute autre violence plutôt que celle-là. VIOLENZA esagerazione tipica del comico
=

Ce n’est pas que je veuille faire ici l’auteur modeste, et mépriser, par honneur, ma comédie.
J’offenserais mal à propos tout Paris, si je l’accusais d’avoir pu applaudir à une sottise. Come le
public est le juge absolu de ces sortes d’ouvrages, il y aurait de l’impertinence à moi de le
démentir ; et, quand j’aurais eu la plus mauvaise opinion de monde de mes Précieuses ridicules
avant leur représentation, je dois croire maintenant qu’elles valent quelque chose, puisque tant de
gens ensemble en ont dit du bien. Mais, comme une grande partie des grâces qu’on y a trouvées
dépendent de l’action et du ton de voix, il m’importait qu’on ne la dépouillât de ces ornements, et je
trouvais que le succès qu’elles avaient eu dans la représentation était assez beau pour en demeurer
là. J’avais résolu, dis-je, de ne les faire voir qu’à la chandelle, pour ne point donner lieu à quelqu’un
de dire le proverbe ; et je ne voulais pas qu’elles sautassent du théâtre de Bourbon dans la galerie du
Palais. Cependant je n’ai pu l’éviter, et je suis tombé dans la disgrâce de voir une copie dérobée de
ma pièce entre les mains des libraires, accompagnée d’un privilège obtenu par surprise. J’ai eu beau
crier : O temps ! o meurs ! on m’a fait voir une nécessité pour moi d’être imprimé, ou d’avoir un
procès ; et le dernier mal est encore pire que le premier. Il faut donc se laisser aller à la destinée, et
consentir à une chose qu’on ne laisserait pas de faire sans moi.
Mon Dieu ! l’étrange embarras qu’un livre à mettre au jour, et qu’un auteur est neuf la première fois
qu’on l’imprime ! Encore si l’on m’avait donné le temps, j’aurais pu mieux songer à moi, et j’aurais
pris toutes les précautions que messieurs les auteurs, à présent mes confrères, ont coutume de
prendre en semblables occasions. Outre quelque grand seigneur que j’aurais été prendre malgré lui
pour protecteur de mon ouvrage, et dont j’aurais tenté la libéralité par une épître dédicatoire bien
fleurie, j’aurais tâché de faire une belle et docte préface ; et je ne manque pont de livres qui
m’auraient fourni tout ce qu’on peut dire de savant sur la tragédie et la comédie, l’étymologie de
toutes deux, leur origine, leur définition et le reste.
J’aurais parlé aussi à mes amis, qui, pour la recommandation de ma pièce, ne m’auraient pas refusé,
ou des vers français, ou des vers latins. J’en ai même qui m’auraient loué en grec et d’une
merveilleuse efficace à la tête d’un livre. Mais on me met au jours sans me donner le loisir de me
reconnaître ; et je ne puis même obtenir la liberté de dire deux mots pour justifier mes intentions sur
le sujet de cette comédie. J’aurais voulu faire voir qu’elle se tient partout dans les bornes de la satire
honnête et permise ; que les plus excellentes choses sont sujettes à être copiées par de mauvais
singes qui méritent d’être bernés ; que ces vicieuses imitations de ce qu’il y a de plus parfait ont été
de tout temps la matière de la comédie ; et que, par la même raison les véritables savants et les vrais
braves ne se sont point encore avisé de s’offenser du Docteur de la comédie, ou du Capitaine ; non
plus que les juges, les princes et es rois, de voir Trivelin, ou quelque autre, sur le théâtre, faire
ridiculement le juge, le prince ou le roi ; aussi les véritables précieuses auraient tort de se piquer,
lorsqu’on joue les ridicules qui les imitent mal.
Mais enfin, comme j’ai dit, on ne me laisse pas le temps de respirer et M. de Luyne veut m’aller
relier de ce pas : à la bonne heure puisque Dieu l’a voulu.
Tópos letterario dell’autore modesto: gli autori si presentano come modesti, quasi a scusarsi in anticipo per la loro
opera. In realtà, erano ben consapevoli dell’esatto opposto e della loro abilità.
Molière non vuole fare il modesto, anzi, si rende conto del successo delle Précieuses perché riconosce che tutta
Parigi è accorsa ad applaudire la sua opera.

Dal teatro al testo stampato


Il pubblico è il giudice assoluto delle opere teatrali dal momento che l’autore lascia andare la sua pièce sul palco.
Per questo motivo l’autore è arrabbiato con chi ha dato alle stampe la commedia senza il suo permesso: nel
momento in cui una pièce teatrale si stampa, la si spoglia degli elementi fondamentali dello spettacolo (gestualità,
tono di voce).

“J’avais résolu, dis je, de ne les faire voir qu’à la chandelle”: il successo avuto nella rappresentazione poteva
bastare. La stampa significava portare l’opera alla luce del giorno, esponendola alle critiche.

Privilège obtenu “par surprise”: Molière non ha potuto evitare questa violenza, eppure ha operato come aveva
fatto Louise Labé, che ha pubblicato la sua opera prima che potesse farlo qualcun altro. Per quanto riguarda le
Précieuses, Molière sostiene che il libro sarebbe stato comunque pubblicato ma dopo un processo.

È ormai noto che ogni grande autore abbia un protettore da lodare nelle lettere dedicatorie. Anche Molière, “se
avesse avuto il tempo”, lo avrebbe sicuramente fatto.

“Je ne manque point de livres”: Molière è stato istruito dai gesuiti, e non gli sarebbero mancati degli amici
letterati che scrivessero per lui delle pièces liminaires, ovvero dediche poste all’inizio del testo e scritte dagli amici
più cari dell’autore (come ha fatto Ronsard per Anne de Marquets).

0 Difesa
Se avesse avuto il tempo di giustificare le sue intenzioni riguardo il soggetto della commedia, le Précieuses, non
sarebbe stato così aspramente criticato.
Molière si mantiene nei limiti della satira onesta: il fenomeno della Préciosité è stato copiato da “cattive scimmie
che meritano di essere prese in giro”. Per il fatto che si tratta di un fenomeno presente nella realtà, le vere
précieuses sbagliano ad offendersi.

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