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Molire: Il borghese gentiluomo. Traduzione di Corrado Tumiati, pp. 98. Sta in: Teatro, vol.

II, Sansoni, Firenze, 1961. Nellepoca di Molire la societ era rigorosamente divisa in due: il popolo, da una parte, e la nobilt, dallaltra, e il confine tra le due parti era invalicabile. A met, su quel confine invalicabile, cresceva una nuova classe, la borghesia. Avevano, potevano avere, denaro i borghesi, arricchitisi con I commerci: magari potevano alcuni avere pi denaro di certi nobili nullafacenti e dilapidatori dei loro patrimoni, ma il confine rimaneva invalicabile. Il borghese, il nuovo ricco, il parvenu che vuole, vorrebbe scavalcare quel confine coprendosi di ridicolo per la sua inarrivabile ambizione, oggetto di satira nella splendida commedia di Molire del 1670. La figura, qui comicissima, dellarrampicatore sociale (figura gi molto diffusa, anche nel secolo precedente, nel teatro elisabettiano) diventer poi figura drammatica, e infine tragica, nel secolo successivo e soprattutto nel successivo ancora, nellOttocento, in tutte le letterature europee, non solo in Francia. E vengono in mente Thackeray, Thomas Hardy, Maupassant, Gissing Ma nello scanzonato mondo di Molire la tragicit della divisione per classi, no, non esisteva. Cerano le secolari barriere di sempre, sentite come naturali, ineluttabili, inattaccabili. Tentare di uscirne era materia di commedia: ne rideva la nobilt, nella sua inviolabile esclusivit, ma ne rideva anche il popolo, quella parte, per lo meno, del popolo che poteva accedere ai teatri, e ne rideva divertita e niente affatto risentita. Non era la societ, sbagliata: sbagliava, ed era oggetto di scherno, chi cercava di modificarla, chi cercava di piegare alle proprie ambizioni le millenarie e naturali- regole del gioco. Per cui nel povero borghese Jourdain che vorrebbe farsi gentiluomo,e si copre di ridicolo e si fa sbertucciare e sfruttare da chi gli sta intorno, non c neppure un filo di critica sociale, non unombra damarezza o di astio, non uno spiraglio di speranza, non un messaggio di attesa per un futuro riscatto. La rivoluzione arriver un secolo e passa pi tardi: Molire dalla parte dellordine costituito e vuol solo farci ridere, anzi, farci sghignazzare. Ci riesce? Eccome se ci riesce! E non pago, anzi, del comicissimo intreccio, contamina la sua commedia con la farsa, rendendola commedia-balletto, una struttura teatrale tipica dellepoca, che non andava tanto per il sottile e savvicinava a quella che oggi chiameremmo commedia di variet o davanspettacolo, diffusasi nelle platee di serie B nella prima met del nostro secolo appena concluso, il ventesimo, e poi diluitasi e confusasi in un certo genere di spettacolo cinematografico. Dunque cerchiamo, per quanto possibile in un racconto, di divertirci alla lettura di questa spassosissima commedia che da tre secoli e mezzo tiene banco, sempre freschissima, sui

Ugo Randone

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palcoscenici di tutta Europa. Il signor Jourdain un borghese che si arricchito e vorrebbe entrare nella bella societ, nel gran mondo: eccolo a casa sua, di mattina, circondato dal maestro di musica, di ballo, di scherma, di filosofia, ed eccolo vestito come di mattino veste la nobilt, cos almeno gli ha fatto credere il suo sarto, facendo scoppiare di risa le platee al suo ingresso sul palcoscenico, complici i costumisti teatrali che possiamo immaginare di quali pennacchi, di quali nastri, di quali sgargianti e chiassosi colori sappiano agghindarlo per la scena. C rivalit tra i diversi maestri che scroccano denaro al nostro Jourdain e ciascuno di loro ritiene e predica che la propria arte, la propria scienza, il fondamento primo dellesser un gentiluomo. Qualche canzonetta e qualche nota musicale gli insegna il maestro di musica, qualche passo di minuetto o come si fa una riverenza quando si saluta una marchesa(II,1) gli insegna il maestro di ballo, qualche mossa di spada e a tirare di terza e di quarta e come si ammazza un uomo col solo metodo dimostrativo(II,3) gli insegna il maestro di scherma. Ma chi fa la parte del leone, tra i buffissimi maestri, quello di filosofia, il cui menu didattico spazia disinvoltamente dalla logica alla fisica, allortografia, alla fonetica. Sono innamorato duna persona del gran mondo chiede Jourdain allastuto filosofo- e vorrei che mi aiutaste a scrivere qualcosa in un bigliettino che voglio lasciarle cadere ai piedi(II,6). Lo vuole in versi o in prosa, il signor Jourdain, questo bigliettino, si informa il maestro: no, non voglio n prosa n versi risponde il nostro povero borghese, che viene cos a sapere, invece, che per esprimerci non abbiamo che i versi o la prosa e tutto quello che non prosa versi e tutto quello che non versi prosa. E scopre, Jourdain, di parlare in prosa, senza saperlo: Come? Quando dico a Nicoletta: portami le pantofole e dammi il berretto da notte, questa prosa? Ah! Straordinario! Da pi di quarantanni parlavo in prosa e non lo sapevo(II,6). una battuta celebre, una delle pi celebri battute di Molire Infine il biglietto, dopo uno spassoso armeggiare di sintassi costruttiva, scritto: Bella marchesa, i vostri begli occhi mi fanno morir damore! (II,6). E c poi la vestizione: per lincontro con la marchesa, su cui il nostro grullo ha messo gli occhi, il sarto ha confezionato un abito che presenta a Jourdain con un divertente susseguirsi di valletti, che gli portano un capo alla volta, facendoglielo indossare in scena in un crescendo di spassose cerimonie in cui il povero borghese, via via che indossa un pezzo, sale di grado, da gentiluomo a monsignore a vostra eccellenza(II,9). Una sorta di coreografia della beffa e della lusinga, teatralmente bellissima. Ridono come matti tutti quanti a vedere Jourdain agghindato a quel

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modo Ride la servetta Nicoletta, che rischia per la sua impertinenza desser presa a schiaffi dalladirato padrone e che lo supplica cos: sentite, signore, picchiatemi se volete, ma lasciatemi ridere: dopo star meglio, hi, hi, hi, hi! (III,2). Ride con amarezza la moglie, la signora Jourdain, che lo attacca pi preoccupata e scandalizzata che divertita: o che vuol dire, marito, quelladdobbo? Volete prendere in giro la gente col farvi bardare in quel modo? Sono scandalizzata dalla vita che conducete. Non riconosco pi la mia casa: pare che qui dentro si sia sempre agli ultimi di carnevale! (III,3). Ma Jourdain non se ne d proprio per vinto: incapricciato com della bella marchesa, che sta per giungere a casa sua, si lascia infinocchiare dallo spasimante di lei, un conte strapelato, senza il becco di un quattrino, che Jourdain stima un gran signore e suo grande amico, attraverso il quale crede di poter mettere le mani sulla marchesa stessa. Non tutto a mio onore se si vede venir cos spesso in casa mia un personaggio simile, che mi chiama suo caro amico e mi tratta come fossi un suo pari? protesta Jourdain con la moglie, la quale cerca, invece, col buon senso, di aprirgli gli occhi: s, vi usa delle cortesie e vi fa dei complimenti, ma vi chiede quattrini in prestito! (III,3). Ha buon gioco, lo spregiudicato conte, col povero Jourdain, infatuato di lui, e lo munge come una vacca (III,4), con facilit, raggirandolo come vuole. Anzi, eccolo arrivare e sembra, onesta persona, smentire la signora Jourdain, perch proprio qui per pagare i debiti che ha con Jourdain: siete la persona che stimo di pi, parlavo proprio di voi questa mattina a corte, alla sveglia del re so restituire ci che mi si presta e riconoscere i favori che mi si fanno voglio che liquidiamo la cosa e sono qui per fare i nostri conti vediamo un po quanto vi debbo. E fanno s i conti, i due, la volpe e lingenuo pollo, sommando le tante e tante cifre dei prestiti Ma qual la malandrina conclusione? Totale: quindicimila ottocento lire Totale esatto. Aggiungetevi duecento pistole che mi darete, cos faremo conto tondo: diciottomila franchi, che vi pagher al pi presto! (III,4). E al danno il conte va anche ad aggiungere, graziosamente, la beffa: C chi sarebbe felice di farmi credito, ma dato che siete il mio migliore amico, mi pareva di farvi torto rivolgendomi ad altri!(III,4). Ma Jourdain ostinato: ha bisogno, crede cos, dellaiuto del conte per raggiungere il cuore della marchesa: non c spesa che non farei pur di trovare la strada del suo cuore. Una donna della nobilt ha per me un fascino indicibile e vorrei questo onore a qualunque prezzo (III,6). E infatti lo paga davvero, il pollo, qualunque prezzo: ha consegnato al conte un prezioso brillante affinch questi lo desse alla marchesa a nome suo e che cosa ha fatto il conte, in realt? Lha dato s alla marchesa, ma a nome proprio, impartendo a Jourdain, impaziente di coglierne il frutto, opportune istruzioni: per dimostrarvi uomo di mondo gli ha raccomandato lastuto conte- dovete comportarvi come se quel regalo non laveste fatto voi (III,19).

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Ma rispetto alla trama principale c anche una trama secondaria. Jourdain ha una figlia, Lucilla, con un proprio innamorato, Cleonte, e i due vorrebbero sposarsi. Anche Cleonte un borghese e Jourdain non lo vuole come genero. Possiamo immaginarle le sue manie di grandezza: Quello che posso dirvi che voglio avere un genero gentiluomo mia figlia sar marchesa, a dispetto di tutti e, se non vi garba, la far duchessa! (III, 12). A questa coppia se ne aggiunge una secondaria: un luogo comune del teatro comico di tutti i tempi che anche i rispettivi servitori dei due innamorati siano innamorati tra loro. E qui sono la servetta Nicoletta, che gi conosciamo, simpatica e coraggiosa, al servizio in casa Jourdain, e Coviello, un astuto valletto di Cleonte. C una scena, la decima del terzo atto, di reciproche gelosie tra Lucilla e Cleonte, con un duetto di battute e malintesi e frecciatine e provocazioni che labilit scenica di Molire trasforma, con linserimento di Nicoletta e Coviello, in un quartetto rossiniano di straordinaria teatralit. Un capolavoro di fuochi dartificio, un balletto di battute che non ha eguali nel teatro comico. Ebbene, torniamo al nostro Jourdain, nel frattempo trombato nei suoi disegni di conquista della marchesa perch la signora Jourdain, rientrata a casa nel bel mezzo di un gran pranzo con conte, marchesa e marito, ha mangiato la foglia, comprendendo finalmente che linteresse del marito non era solo rivolto allamicizia per il conte ma anche al fascino femminile della marchesa, ed ha cacciato di casa i due indesiderati e blasonati ospiti scrocconi. Ora il tema della commedia, le fantasie da gran mondo di Jourdain, si intreccia totalmente con il tema secondario: fargli accettare lindesiderato matrimonio della figlia. Ed entra in scena quel gran birbante di Coviello, il valletto di Cleonte. Ne nasce una farsa, chiassosa e colorata, che un altro dei tanti luoghi comuni del teatro comico: la farsa del Gran Turco. Coviello, vestito da turco e parlando un turco maccheronico, si presenta da Jourdain e gli fa credere che il figlio del Gran Turco, di lignaggio reale, qui per sposare Lucilla, la figlia di Jourdain. Inutile dire che il figlio del Gran Turco altri non che Cleonte, linnamorato di Lucilla. Ma, continua il birbante, assecondando la ridicola vanit di Jourdain, laspirante sposo per avere un suocero degno di s vuol farvi mammalucco, che una dignit del suo Paese Mammalucco, che nella nostra lingua significa paladino In fatto di nobilt non si va pi in l e sarete alla pari con i pi grandi signori della Terra(IV,5). Ovviamente Jourdain, lusingato dalle promesse di nobilt, ci casca e ne nasce un fragoroso balletto-farsa con la beffa del conferimento della dignit di mammalucco al povero Jourdain, tutto un gioco coreografico di danze e canti, di finti muft, di finti dervisci, di finti turbanti: lunica cosa vera sono le bastonate che si prende stoicamente il neo-paladino credendo sia il rituale

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necessario alla nuova dignit di mammalucco. Come finisce la commedia? facilmente immaginabile: festoso matrimonio per tutti, alla barba del povero Jourdain: si sposano la figlia Lucilla col suo beneamato Cleonte, i loro servitori, Nicoletta e Coviello, ma anche, per la gioia collettiva, lo spiantato conte e la bella marchesa. Col povero Jourdain cos allocco da credere che il matrimonio del conte con la marchesa sia solo una finta per dargliela da intendere (V,7) alla propria moglie, e fugarne ogni gelosia Insomma, Jourdain non si arrende: anche al termine della vicenda continuer a sognare quanto non potr mai avere, la nobilt e la sua bella marchesa. E noi lo lasciamo sognare, insieme agli altri tipi comici del teatro di Molire. Come lavaro, come il malato immaginario, come lipocrita Tartufo, anche questo borghese che sogna di diventare un gentiluomo , nella cultura letteraria europea, un archetipo, il modello esemplare e imprescindibile del nuovo ricco, dellarrampicatore sociale, dellambizioso che pretende di comprare, col denaro, quei meriti e quei titoli di cui irrevocabilmente privo. Milano, 21/5/2008

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