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DECIMO

GIUNIO

GIOVENALE

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INTRODUZIONE

1. LA VITA

DECIMO GIUNIO GIOVENALE nacque ad AQUINO.


Nella satira prima, che può essere datata poco dopo il 100 d. C., il nostro
autore afferma di non essere più “IUVENIS”.
Questa asserzione implica che avesse almeno 45 anni e che, pertanto fosse
nato approssimativamente fra il 50 e il 60 d. C.
Da MARZIALE sappiamo che era un cliente, percui non doveva avere una
posizione economica e sociale molto elevata.
Ebbe sicuramente un’ottima preparazione retorica e si dedicò forse alle
declamazioni.
Morì dopo il 127 d. C.
La sua produzione letteraria si situa sotto il principato di TRAIANO e di
ADRIANO, in un periodo che va da pochi anni dopo il 100 d. C. a pochi anni
dopo il 127 d. C.

2. LE OPERE

Scrisse cinque libri di satire che comprendono sedici componimenti, di cui


l’ultimo e incompiuto:
 LIBRO PRIMO: comprende le satire dal n°1 al n°5;
 LIBRO SECONDO: comprende la satira n°6;
 LIBRO TERZO: comprende le satire dal n°7 al n°9;
 LIBRO QUARTO: comprende le satire dal n°10 al n°11;
 LIBRO QUINTO: comprende le satire dal n°13 al n°16

LIBRO PRIMO

SATIRA PRIMA
Nei primi versi GIOVENALE esprime il suo tedio invincibile per le uggiose
recitazioni poetiche del tempo e rivendica il diritto di scrivere satire
richiamandosi al modello di LUCILIO.
Ben presto la sua indignazione trascende la critica letteraria per coinvolgere
nella sua protesta corrucciata tutti gli aspetti dell’immoralità di ROMA:
 Eunuchi sposati;
 Liberti turpemente arricchiti;
 Corrotti captatori di testamenti;
 Magistrati disonesti;
 Matrone adultere.
Penoso in modo particolare è lo spettacolo dei clienti – fra i quali non mancano
pretori e tribuni – che si umiliano dinanzi alla soglia del ricco patrono per
ricevere la sportula o i cento quadranti.

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Il vizio ha raggiunto il suo culmine e il poeta vuole spiegare tutte le vele al suo
sdegno: ma ai consigli di prudenza di un interlocutore (se tocca certa gente c’è
il pericolo di finire impalati) si risolve ad attaccare soltanto i morti.

SATIRA SECONDA
Si potrebbe genericamente definire una satira contro l’ipocrisia.
Meglio l’immoralità franca e aperta – prende a dire il poeta – che la corruzione
che si ammanta di compunzione esteriore dei sedicenti stoici.
Ben si convengono a costoro le parole piene di sarcasmo e le accuse brucianti
che pronuncia LARONIA, una donna di pochi scrupoli.
La critica dei costumi effeminati passa in primo piano e colpisce:
 l’avvocato CRETICO, vestito di un tessuto trasparente;
 i cinedi che compongono certe confraternite maschili in onore della dea
BONA;
 un GRACCO che convola a nozze con un suonatore di corno.
A nulla valgono i successi militari e le conquiste di nuovi territori, quando
nell’ADE, i CURII e i CAMILLI fremono di vergogna e di ripugnanza ogni
qualvolta giunge tra loro l’anima di qualcuno dei corrotti nipoti e quando ROMA
è ormai scuola di immoralità per il mondo intero.

SATIRA TERZA
Giovenale mette in scena il vecchio amico UMBRICIO che, deciso ormai a
lasciare ROMA e a stabilirsi a CUMA, si ferma nella valletta di EGERIA presso la
porta CAPENA e, mentre viene caricato sul carro il suo bagaglio, spiega
all’amico le ragioni della sua determinazione.
Non c’è più posto nell’URBE per le persone oneste: solo speculatori e intriganti
senza scrupoli possono vivere in una città che non ha più il nome di romana,
da quando GRECI e ORIENTALI vi hanno introdotto adulazione, ipocrisia,
sfrontatezza e ogni altro vizio peggiore.
Nell’ostentato lusso della capitale, poi i poveri non hanno alcuna probabilità di
affermarsi.
Essi devono trepidare per la stessa incolumità materiale, in quelle loro stanze
d’affitto all’ultimo piano dei grandi casamenti, sempre soggetti al pericolo di un
incendio improvviso.
Meglio vivere in provincia che in una città caotica come ROMA dove è un
problema circolare per le vie gremite di folla ineducata e attraversate da carri
stracarichi che rappresentano un continuo pericolo per la vita dei passanti:
nemmeno di notte si può passeggiare in pace, poiché è molto facile imbattersi
in qualche prepotente che si mette subito a menar le mani o in qualche
rapinatore armato di coltello.
UMBRICIO emigrerà, dunque e non farà visita all’amico GIOVENALE se non
quando questi si sarà ritirato nella campagna di AQUINO.

SATIRA QUARTA
Prendendo le mosse da un atto di ingorda prodigalità del corrotto CRISPINO,
che si è comparato una triglia per il bel prezzo di seimila sesterzi, GIOVENALE
ricorda che al tempo di DOMIZIANO fu portato alla corte dell’imperatore ad
ALBA, un rombo di miracolosa grossezza pescato nel mare di ANCONA.

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La satira descrive nei particolari la tragicomica adunanza del consiglio
imperiale convocato da DOMIZIANO per deliberare sul modo più adatto di far
cuocere il rombo, data la mancanza di una padella di sufficiente grandezza.
Vince il parere dell’adulatore MONTANO che caldeggia l’immediata costruzione
di una profonda padella dalla vasta superficie.
La satira, che è forse parodia del perduto poema di STAZIO “DE BELLO
GERMANICO”, si riferisce a un fatto accaduto forse nell’82 d. C.

SATIRA QUINTA
La misera condizione dei clienti e la superbia e l’insensibilità arrogante dei
ricchi patroni costituiscono il tema di questa satira.
Per mettere opportunamente in rilievo le tristi vicissitudini di un cliente che ha
perduto anche l’ombra della dignità, GIOVENALE ne rappresenta uno che,
invitato a cena dal ricco signore VIRRONE, deve sopportare ogni sorta di
villanie.
L’anfitrione beve vino, usa coppe e si serve di servitori completamente diversi
da quelli del cliente: anzi, il pane stesso è diverso da una tavola all’altra e non
è concesso al cliente di stendere la mano sui panieri riservati al suo “re”.
Basterebbe però che il cliente, attualmente in miseria, si trovasse a diventare
possessore, per qualche caso fortunato, di quattrocentomila sesterzi perché il
trattamento cambiasse completamente: allora VIRRONE si farebbe premura di
servirlo signorilmente e di riservargli i bocconi più ghiotti nella speranza di
esserne fatto erede.
Per il momento egli si diverte ad umiliare il cliente per offrirsi uno spettacolo
superiore a qualsiasi mimo: e nulla si può obiettargli se è il cliente stesso a
sopportare volontariamente queste angherie.

LIBRO SECONDO

SATIRA SESTA
Questa satira (la più lunga che GIOVENALE abbia scritto) è costituita da vari
brani che si susseguono senza una vera e propria unità di composizione e
costituisce forse il più interessante documento della letteratura antifemminista
antica.
L’apostrofe iniziale all’indirizzo di un certo POSTUMO, che si è deciso a
prendere moglie, offre al poeta il destro per una lunga invettiva contro il sesso
femminile in genere.
La pungente eloquenza di GIOVENALE ci presenta in una serie di efficacissimi
quadri le varie forme della corruzione delle donne:
 prima le adultere che si concedono ad attori, musicisti e gladiatori
(MESSALINA che non esita a prostituirsi in un lupanare);
 poi quelle che profittano della loro bellezza o della loro nobiltà per
rendere succube il marito;
 quelle che non parlano che in greco, come esige la moda.
Dopo una parentesi sugli inconvenienti che comporta la presenza della suocera
in casa, vi è la descrizione:
 della donna sportiva;
 dell’impudica che simula una invincibile gelosia;

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 di quella che si diverte a intentare processi.
La castità antica non è che un lontano ricordo: ora a ROMA le sfrenate orge
della dea BONA e la libidine impera sulle femmine di ogni stato sociale.
Vengono poi altre figure di donne viziose:
 l’amante degli eunuchi;
 la politicante;
 la brutale;
 l’erudita pedante;
 la civetta doviziosa e crudele;
 la superstiziosa.
E infine sono passate in rassegna:
 le ricche che si rifiutano di partorire;
 le donne che abbrutiscono il marito a mezzo di filtri magici;
 quelle che non esitano a propinare veleno a mariti e figliastri: quando,
come la mitica CLITENNESTRA, non ricorrono addirittura al ferro.

LIBRO TERZO

SATIRA SETTIMA
La satira inizia con un pensiero di riconoscenza all’imperatore che si è degnato
di prendere sotto la sua tutela gli uomini di lettere in un momento in cui le
MUSE hanno perduto ogni protettore.
Segue una lunga deplorazione della miseranda situazione degli intellettuali:
 poeti costretti ad impegnare piatti e mantello e a vendere libretti da
teatro agli attori per seguire la vocazione;
 storici che riescono a mala pena guadagnare tanto da pagare il papiro;
 avvocati, obbligati a sfoggiare un lusso esagerato per avere clienti;
 retori che, dopo il tedio indescrivibile delle esercitazioni scolastiche,
devono perseguire in tribunale l’esigua mercede;
 grammatici, dai quali i genitori pretendono una sorveglianza assidua sui
figli ed un’erudizione impossibile per poi pagarli, alla fine dell’anno, non
più di quel che guadagna in una volta un auriga vincitore nel circo.

SATIRA OTTAVA
La nobiltà della nascita – dice il poeta a un certo PONTICO – nulla conta se non
è sostenuta e confermata dalla virtù.
Provengono spesso dalla plebe ottimi avvocati e giureconsulti nonché valorosi
generali: la vera nobiltà dell’animo deve soprattutto affermarsi nel governo
delle province, attualmente preda di governanti privi di scrupoli, che
disonorano i gloriosi antenati.
Seguono cinque esempi di nobili degenerati:
 il corrotto console PLAUZIO LATERANO;
 DAMASIPPO che fa l’attore;
 GRACCO che si è esibito come reziario nel Circo;
 NERONE che ha disonorato la GENS DOMITIA;
 CATILINA.

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Si contrappongono a costoro cinque figure di uomini che devono la fama ai
meriti personali:
 CICERONE;
 MARIO;
 I DECII;
 Il re SERVIO TULLIO figlio di una schiava;
 Lo schiavo VINDICIO che osò denunciare il complotto tramato contro la
repubblica dai figli stessi del console BRUTO.
Infine – conclude GIOVENALE – tutti indistintamente i ROMANI discendono da
bifolchi o dai vagabondi ladroni adunati da ROMOLO.

SATIRA NONA
E’ in forma di dialogo fra il poeta e un certo NEVOLO, un pervertito che presta i
suoi innominabili servigi al ricco PATHICUS VIRRONE.
In un linguaggio crudamente realistico, NEVOLO deplora l’avarizia e
l’ingratitudine del suo amatore per chi – oltre al resto – lo ha reso padre di due
figli rendendogli così possibile adire i legati e le ere4dità caduche.
Rivolge poi al poeta la preghiera di non rivelare ad anima viva questi suoi
lamenti: perché sarebbero terribili le rappresaglie di VIRRONE.
GIOVENALE, dal canto suo, lo esorta a non disperare: finchè ROMA esisterà,
non gli mancheranno i corrotti clienti che sono soliti convenire lì da ogni parte
del mondo!

LIBRO QUARTO

SATIRA DECIMA
La stoltezza e la vanità delle grazie che gli uomini invocano dagli dei costituisce
il tema di questa satira che ci ricorda la satira seconda di PERSIO.
Non dobbiamo ambire il potere che sempre poggia su fondamenta insicure e
che (come nel caso di SEIANO, il favorito di TIBERIO) può venirci a mancare da
un momento all’altro; non l’eloquenza, che è stata la rovina di CICERONE e
DEMOSTENE; non la gloria militare, che ha perduto uomini come ANNIBALE,
ALESSANDRO e SERSE.
Nemmeno una lunga vita ci apparirà cosa desiderabile quando avremo
ripensato ai dolori che dovettero sopportare in età avanzata NESTORE,
PRIAMO, MARIO e POMPEO; e tanto meno ci augureremo la bellezza se ci
staranno dinanzi agli occhi i miserabili esempi mitici di IPPOLITO e
BELLEROFONTE e quello storico di C. SILIO, costretto a sposare pubblicamente
MESSALINA.
Una sola preghiera merita di essere rivolta agli dei: quella che chiede “UT SIT
MENS SANA IN CORPORE SANO”.

SATIRA UNDICESIMA
Il poeta deplora le rovinose conseguenze del vizio della gola, schiavi del quale
molti, a ROMA, fanno debiti su debiti fino al fallimento.
Se l’amico PERSICO vorrà accettare l’invito a cena del NOSTRO si accorgerà
che non è ipocrisia il suo amore per la sobrietà: capretto, asparagi, uova,
grappoli d’uva, pere e mele costituiscono la lista dei cibi.

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E ancora più simili erano le cene degli antichi ROMANI, di FABIO, di CATONE o
di SCAURO.
Attualmente il lusso dei festini è arrivato alle estreme raffinatezze.
Alla mensa di GIOVENALE non vi saranno però scalchi maestri dell’arte, chiavi
di gran prezzo, danzatrici lascive di GABES; si leggeranno OMERO e VIRGILIO
e, bandite le preoccupazioni degli affari, si godranno a pelle nuda i raggi del
sole.

SATIRA DODICESIMA
All’amico CORVINO GIOVENALE spiega che si sta recando in Campidoglio per
un sacrificio di ringraziamento: infatti l’amico CATULLO è sfuggito
miracolosamente ad una terribile procella ed al naufragio che pareva
inevitabile.
La gioia del poeta è sincera e il sacrificio gli è dettato dal cuore: nulla infatti
egli ha da sperare da CATULLO che lascerà le sue sostanze ai figli.
Non così agiscono i sordidi cacciatori di eredità che arriverebbero a far voto di
sacrificare elefanti o la figlia medesima per ingraziarsi un ricco senza figli.

LIBRO QUINTO

SATIRA TREDICESIMA
E’ una satira di genere “consolatorio” che GIOVENALE rivolge a un certo
CALVINO che è stato truffato di un deposito di diecimila sesterzi.
Il caso non è raro in un’era peggiore di quella del ferro, nella quale un uomo
onesto è cosa tanto rara quanto un prodigio inviato dagli dei.
Il mondo è ormai pieno di gente che non sente più alcun pudore dello
spergiuro ed è convinta di trovare gli dei indulgenti alla propria colpa.
D’altro lato desiderare una vendetta materiale è pensiero ignobile: ben più
terribili sono le pene e le torture che il colpevole soffrirà a causa del rimorso.
Senza contare che il colpevole ricadrà prima o dopo nello stesso delitto e finirà
in prigione o in qualche luogo di pena nel mare EGEO.

SATIRA QUATTORDICESIMA
La satira è diretta FUSCINO ed ha per tema i cattivi esempi che danno ai loro
figli i padri viziosi: e si citano ad esempio il vizio del gioco, la golosità, la
crudeltà e la leggerezza di costumi.
Ammaestrati in questo modo nell’età più tenera i figli supereranno il vizio dei
genitori: questo fu il caso del figlio di CETRONIO che sperperò tutto il
patrimonio emulando la mania di costruire del padre ed è il caso di chi, avendo
un padre ebreo, osserva minuziosamente l’infinita casistica della legge
giudaica.
In particolare GIOVENALE si sofferma sull’avarizia, vizio tanto pericoloso in
quanto si insinua nell’animo sotto la falsa parvenza di virtù.
Ben diverse erano le nobili lezioni di sobrietà e di modestia, che un tempo gli
antenati tenevano ai figli, dai sordidi precetti che oggi i cupidi padri vogliono
istillare nei giovani.
Ben presto chi è stato educato a questa scuola di avidità giungerà anche al
delitto e lo stesso padre dovrà guardarsi dalle insidie dei figli.

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Quali sacrifici e quali pericoli, del resto, comporta l’inesausta brama di
accrescere il patrimonio!
Molto più serena era la vita di DIOGENE nella sua botte e l’esistenza modesta
di EPICURO e di SOCRATE.
Non è detto che si debba vivere nell’indigenza: ma nessuna fortuna, per
quanto smisurata, potrà soddisfare chi arriccia il naso ad un censo
corrispondente a tre fortune equestri.

SATIRA QUINDICESIMA
Un episodio di cannibalismo accaduto nel 127 d. C. in una rissa fra gli abitanti
di OMBO e di TENTIRA, due cittadine del superstizioso EGITTO, porge al poeta
il destro per una veemente deplorazione della crudeltà umana.
Un gesto così sanguinario potrebbe giustificarsi se commesso in circostanze
disperate come furono quelle in cui vennero a trovarsi i VASCONI e i
SAGUNTINI: ma non in questi EGIZIANI ai quali la natura ha concesso, come a
tutti gli uomini, la sensibilità dell’animo.
Le stesse bestie feroci hanno ormai maggior rispetto reciproco del genere
umano.

SATIRA SEDICESIMA
Nel breve tratto conservato di questo componimento vediamo GIOVENALE
spiegare a un certo GALLIO i vantaggi e i privilegi della vita militare.
Il poeta, che ha l’occhio rivolto soprattutto ai pretoriani, elenca subito il
privilegio che ha un soldato di usufruire di una giurisdizione speciale in caso di
lete con un borghese e cioè, di veder dirimere la contestazione di un
sottoufficiale dei pretoriani nominato dal pretore.
Di più, se il soldato deve comparire dinanzi ad un tribunale civile, la sua pratica
viene sbrigata rapidamente senza gli innumerevoli rinvii a cui sono condannati
i semplici cittadini.
Inoltre soltanto i militari hanno diritto di disporre liberamente del PECULIUM
ancora vivente il padre.

3. GIUDIZIO CRITICO

LA POETICA DELLE PRIME SATIRE


Ultimo dei grandi rappresentanti della SATURA latina, GIOVENALE inizia la
satira moderna, conferendo alla sua produzione un’impostazione ferocemente
polemica.
Questa sostanziale novità è tuttavia raggiunta dal nostro autore non mediante
una netta frattura col passato o un rifiuto della tradizione, ma ripensando,
rielaborando e forzando dall’interno le:
 norme;
 consuetudini;
 schemi
tramandati dai suoi predecessori.

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A questo proposito è fondamentale l’esame della prima satira.
Essa inizia con un grido di esasperazione e di insofferenza verso la poesia
moderna che, incoraggiata dalle RECITATIONES non cessa di infliggere fino alla
nausea una stantia tematica mitologica.
Troviamo dunque:
 da una parte un insieme di storie assurde e atroci (storie mitologiche);
 dall’altra un VERUM (la realtà) che anche nella colpa e nel vizio non
appare mai eccezionale o straordinario.
GIOVENALE riprende questo schema oppositivo, ma lo interpreta in modo
originale; egli polemizza infatti contro le sciocchezze della mitologia, ma ad
esse contrappone un mondo reale alterato e stravolto.
La quotidianità di GIOVENALE è dunque costituita da fatti infami e scandalosi:
 impotenti che si sposano;
 matrone che in veste di amazzoni, si esibiscono come gladiatrici nel
circo;
 indegni PARVENUS che ostentano ricchezze immense.
La scoperta di questa realtà estrema ed esasperata è la peculiarità del nostro
autore, che lo autorizza ad assumere un particolare atteggiamento di sdegno.
La visione esaltata ed estrema di GIOVENALE, in cui i fatti sono caratterizzati
dalla dismisura e dall’eccesso, non ammette il sorriso, ma reclama soltanto la
denuncia e il rifiuto.
In un contesto simile risulta irrilevante anche il problema della forma: non
importa infatti se i versi sono brutti, purché la condanna risuoni ferma e
irrevocabile.
In effetti, anche se in seguito il nostro autore dichiara di volersi attenere ai
MORES, cioè all’argomento tradizionalmente assegnato alla SATURA, non esita
tuttavia ad interpretarli nel modo peggiore.
Compito inevitabile del poeta è quindi quello di denunciare l’estrema corruzione
dei suoi tempi.
GIOVENALE, dunque non rifiuta temi e atteggiamenti accreditati dalla
precedente poetica e si pone anzi sotto la tutela dei padri fondatori del genere
satirico; modula e orienta però gli elementi desunti dalla tradizione in modo da
ottenere un risultato nuovo, sostituendo al moralismo consueto un feroce e
indignato atto di accusa.
La tendenza a spingere le situazioni all’estremo e a concepire una realtà
intrinsecamente criminosa e perversa, comporta alcune implicazioni di poetica
di cui GIOVENALE sembra prescindere.
Con la sua impostazione il nostro autore tende invece ad uscire dalla
mediocrità:se nel componimento iniziale, infatti, aveva dichiarato
sdegnosamente di non curarsi dello stile, alla fine della satira sesta si sente
invece obbligato a prendere posizione.
In questo passo GIOVENALE si mostra cosciente del rischio di superare i limiti
imposti dalla tradizione e di avvicinarsi pericolosamente alla poesia tragica,
raccontando fatti che ricordano da vicino le più truculente invenzioni mitiche;
risponde tuttavia alla possibile critica constatando che la realtà eguaglio
nell’orrore il mito.
Alcune espressioni sembrano alludere anche un’insolita altezza di stile.

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Infatti l’ira è proprio in grado di superare i limiti imposti del genere letterario:
ma proprio questa passione è tipica della tragedia ed è apertamente esibita da
GIOVENALE indignato.
La rabbia e la foga della denuncia tendono dunque ad innalzare il registro di
questa poesia, che assume spesso movenze oratorie o epiche e presenta uno
stile, se non sublime, certo più sostenuto di quello degli autori precedenti.

LA SATIRA DELLO SDEGNO


La propensione a trasformare la satira in una feroce invettiva e in una spietata
requisitoria dà coerenza e coesione ai primi componimenti del nostro autore.
Essi infatti, nonostante le differenze di impostazione e di argomento, appaiono
essere tutti percorsi e sostenuti da un fortissimo sdegno.
Questa INDIGNATIO, oltre che essere un sincero sentimento del poeta è anche
e soprattutto, un atteggiamento che egli sfrutta per provocare un’identica
reazione nel pubblico.
Essa influisce dunque profondamente anche sul personaggio del satirico, di cui
diviene la caratteristica principale e quasi esclusiva.
Comunque la visione estremamente negativa della realtà e la conseguente
poetica dello sdegno implicano una nozione di colpa e di degradazione generale
che, a ben vedere, costituisce un’altra peculiarità di questa fase della satira di
GIOVENALE.
GIOVENALE non ragiona in termini di ERRORES, ma in termini di colpe, anzi di
CRIMINA: non si trova pertanto nella necessità di ricorrere ad insegnamenti
filosofici o diatribici, ma deve piuttosto cercare un modello da contrapporre alla
malvagità dei tempi moderni.
Tale ideale viene individuato, come accade negli storici, nella semplicità della
ROMA antica: si instaura così una dialettica fra l’orrore e la depravazione del
presente e la perfezione del passato.
GIOVENALE infatti insiste su tre argomenti importanti:
 l’idealizzazione del periodo repubblicano;
 la valutazione negativa della pace e del benessere;
 la condanna del denaro come fonte di corruzione.
GIOVENALE in questa fase della sua opera considera la ricchezza
intrinsecamente malvagia e scellerata: i ricchi DEBENT CRIMINIBUS le loro
sostanze e solo il denaro ricavato dal delitto consente di emergere a ROMA.
Questa cupa visione dimostra che GIOVENALE ha accantonato il tradizionale
problema del rapporto fra le ricchezze e la felicità di chi le desidera o le
possiede e si pone da un altro punto di vista, considerando invece le
conseguenze che il denaro ha sulla collettività.
Le DIVITIAE determinano gravi ingiustizie, prevaricazioni e pregiudizi: esse
sono dunque fonte di corruzione.
Una simile convinzione conferisce al tema dei NUMMI un’importanza e una
centralità sconosciuta alla tradizione satirica: infatti benché non sia trattato in
uno specifico componimento, esso percorre e sostiene tutte le satire
dell’indignazione.
La ricchezza non è dunque più uno degli ambiti verso cui si rivolge la folle
bramosia umana, ma è la molla stessa che determina la degenerazione della
società.

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Appunto alla società e non più all’individuo, è rivolta l’attenzione del satirico.
L’OBSCAENA PECUNIA non ha reso infelici molti singoli uomini, ma ha rovinato
un intero popolo, minando i suoi valori più autentici, incarnati dalla ROMANA
PAUPERITAS.
Essa ha infatti introdotto i PEREGRINI MORES e ha provocato un’immigrazione
selvaggia.
L’avversione e l’astio verso gli ORIENTALI costituisce un altro dei tratti
caratteristici e ricorrenti della satira del nostro autore.
Essi non devono essere considerati come semplice razzismo o brutale
xenofobia, ma sono strettamente connessi con l’idea di corruzione.
Ritorniamo così a quella prospettiva centrata sulla collettività e su cui si fonda
lo sdegno che anima queste prime satire.
Esse infatti trovano una loro coerenza ideale non solo nella tensione
dell’INDIGNATIO, ma anche in questo punto di vista complessivo che si
interessa non tanto della condizione degli individui quanto piuttosto dello stato
della comunità.
Tale impostazione costituisce un potente fattore unitario che quasi trasforma i
singoli componimenti in altrettanti capi d’accusa di una più generale
requisitoria.
Un’ampia sezione delle satire prima. Terza e quinta sono dedicate alla
clientela.
GIOVENALE individua nel patronato un antico istituto della società romana e
nella condizione di CLIENS una decorosa sistemazione per i cittadini di basso
ceto; conseguentemente lo scadimento del loro stato economico e sociale
costituisce un’ingiustizia che deve essere implacabilmente denunciata.
Nella satira prima viene descritta l’umiliante cerimonia della SALUTATIO
mattutina, in cui un orientale, es schiavo ma ricco, reclama impudentemente la
precedenza sui veri romani.
In questo passo emergono come principali responsabili della degenerazione
della CLIENTELA l’arroganza dei ricchi e l’invadenza degli stranieri che
stravolgono i MORES di ROMA.
Questi elementi vengono posti in rilievo nella satira terza.
In questo componimento il satirico, secondo un procedimento attestato nella
tradizione della SATURA, cede la parola all’amico UMBRICIO, un personaggio
che viene immaginato in procinto di lasciare per sempre ROMA.
Costui è un cliente e considera questa sua condizione come l’unica che gli sia
adatta, dato che non sa rassegnarsi a traffici indecorosi.
La corruzione della società romana gli rende tuttavia impossibile espletare le
mansioni del suo stato.
Il discorso di UMBRICIO diviene così una veemente denuncia dei disagi e dei
pericoli cui è esposto un cittadino di modeste condizioni.
Questa requisitoria elenca con enfasi e gusto dell’iperbole le sciagure, le
ingiustizie e i paradossi che rendono insostenibile la permanenza in ROMA.
Ne deriva il quadro acre e grandioso di una metropoli disumana, vista con gli
occhi di chi si sente ingiustamente emarginato.
La medesima tematica, ma da un’angolazione sensibilmente diversa, è trattata
anche nella satira quinta, che sfrutta il motivo della cena, assai caro al genere
satirico.

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Mentre nei predicessero esso era però occasione di spiritoso intrattenimento o
di riflessione moraleggiante, nel nostro autore diviene invece il mezzo per
esplorare i rapporti fra cliente e patrono: il centro del componimento non è
infatti più costituito, come nella satira terza, dalle condizioni dei poveri, ma
dalle relazioni che intercorrono fra poveri e ricchi.
Lo schema del succedersi delle portate diviene così strumento privilegiato per
rivelare ingiustizie e discriminazioni.
Nel ricco viene posta in evidenza una sadica volontà di sopraffazione, che
appare complementare della servile acquiescenza del povero.
Ne deriva una sprezzante condanna che accomuna PATRONI e CLIENTES,
responsabili entrambi di aver dissolto in un feroce scontro di egoismi un antico
e prestigioso istituto destinato a favorire la concordia fra i cittadini.
A un altro settore della società romana si rivolge la satira quarta, che si occupa
del principe e dei suoi AMICI: sono i detentori di un potere che risulta costituito
da fatuità e ferocia.
Anche questa volta viene sfruttato un espediente tipico della satira, che
consiste nell’esposizione di un aneddoto.
L’autore sottolinea il ridicolo della situazione, per cui una sciocchezza diventa
un affare di stato, come se si trattasse di una sollevazione ai confini
dell’impero.
La faccia abbietta e crudele del potere è invece recuperata mediante la
descrizione dei vari membri del CONSILUIM PRINCIPIS, che risultano essere o
perverse canaglie o persone oneste ma vili.
La satira seconda è invece dedicata all’omosessualità che viene considerata
non solo come perversione, ma soprattutto come trasgressione dei MORES
antichi e tradimento di un ideale di vigore virile tramandato dagli antenati al
popolo di ROMA.
Una certa rispondenza con questo componimento contro gli uomini si può
notare nella satira sesta, che sola costituisce l’intero libro secondo ed è un
enorme, torrenziale, apparentemente caotico atto d’accusa contro il sesso
femminile.
Non si tratta tuttavia soltanto di una veemente ed enciclopedica espressione di
misoginia, ma soprattutto di un’imponente requisitoria contro la donna in
quanto UXOR.
L’istituto del matrimonio è infatti quasi sempre presente sullo sfondo di ogni
scena.
E’ questo il vero principio unificatore che collega la straripante collezione di vizi
e difetti femminili: essi costituiscono le molteplici deviazioni dall’ideale antico
rappresentato dalle CASTAE LATINAE della guerra annibalica, fedeli alla casa e
ai mariti, rese irreprensibile dalla povertà e dal duro lavoro e dall’emergenza
militare.
La donna non viene dunque considerata in sé e per sé, ma nelle sue dimensioni
e potenzialità sociali, come fattore di disgregazione del matrimonio.
Alla problematica dell’influsso della ricchezza sulla società ritorna la satira
settima, trattando delle professioni liberali che sarebbero onorevoli e adatte al
cittadino medio, ma che sono rese impraticabili dai profitti miserabili e
inadeguati che procurano.

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Anche nel caso della cultura le DIVITIAE rappresentano dunque un fattore di
ingiusta e umiliante discriminazione.
Questi sette componimenti appaiono dunque orientati in modo univoco e sono
tesi a sviluppare una ferma polemica contro alcuni aspetti della società
romana.
Questa critica perentoria ha il suo centro nei rapporti esistenti fra ricchi e
poveri, che si incarnano soprattutto nell’istituto della CLIENTELA, ma investe
anche altri punti importanti:
 il potere politico;
 il matrimonio; il ruolo dei sessi;
 la condizione degli intellettuali.
Lo stesso atteggiamento indignato scelto dal poeta esclude quasi del tutto in
queste satire la presenza di esortazioni e insegnamenti morali.
Il ricorso al modello dell’antichità ha soltanto la funzione di rendere più recisa
la condanna del mondo contemporaneo e di imprimere maggior forza alle
denunce, alle rivendicazioni e alle proteste urlate dal satirico.

SPUNTI E PROBLEMI DI POETICA NELLE ULTIME SATIRE


La coerenza dell’impostazione dei primi componimenti si incrina con la satira
ottava.
In essa riconosciamo i modi dell’INDIGNATIO che almeno denuncia con ferocia
i comportamenti dei NOBILES: significativamente ritroviamo infatti alcuni
elementi che già nella satira seconda erano serviti a marchiare la
degenerazione dei ROMANI.
Accanto a questi evidenti segni di continuità vediamo tuttavia emergere alcuni
dati meno congrui.
Fin dall’inizio troviamo infatti anche un atteggiamento propositivo che ruota
intorno all’idea che sola e unica nobiltà è la virtù.
Assistiamo dunque all’insorgere di una vena moraleggiante che si pone in
competizione con la violenza della condanna connaturata con l’INDIGNATIO.
Nella satira decima GIOVENALE adotta per la prima ed unica volta lo schema
dialogico e, attribuendo alla figura del protagonista il duplice statuto di cliente
e di amante di un ricco avaro, fa arretrare sullo sfondo il satirico e sfrutta
abilmente le risorse di uno spirito corrosivo.
Nella sua duplice veste il personaggio si giudica da solo, interpretando temi e
rivendicazioni tipici della clientela nei termini propri di una relazione erotica,
con esiti incongrui che vengono puntualmente sottolineati e commentati
dall’ironia e dal sarcasmo, piuttosto che dallo sdegno dell’autore.
Queste nuove tendenze trovano almeno in parte una sistemazione teorica nella
satira decima.
I comportamenti dell’umanità non appaiono dunque segnati e intessuti di
CRIMINA, come in precedenza, ma sono determinati da una scelta irrazionale,
che si ritorce contro il singolo e non contro la collettività, come avveniva nei
primi componimenti
Questa concezione razionalistica rinvia a un contenuto filosofico e diatribici e
determina un atteggiamento conseguente: i MORES viziosi sono ricondotti non
alla perversità dell’uomo, ma alla sua stoltezza.

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Le DIVITIAE non sono dunque più, come abbiamo visto precedentemente,
frutto di delitti e causa di ingiuste discriminazioni sociali, ma sono anzi dannose
a chi le possiede.
A quanto pare, ci troviamo di fronte ad una versione più rude e radicale della
tradizionale impostazione satirica, fondata sulla nozione del vizio come errore e
sull’uso correttivo dello spirito.
Questo nuovo progetto di satira è tuttavia ben lungi dal realizzarsi con la
compattezza e la coerenza che abbiamo visto per la poetica della INDIGNATIO,
perché permangono cospicui elementi della concezione precedente.
In effetti ci troviamo di fronte alla trascrizione in termini mitologici del concetto
della totale perversione del genere umano, che è uno degli assunti
fondamentali dei primi libri.
Dobbiamo dunque constatare anche nell’ultima parte della produzione del
nostro autore il persistere e anzi l’approfondirsi, di un radicale pessimismo
sulla natura umana, che appare, come nei primi componimenti,
inestricabilmente invischiata nel delitto.
Questa nozione di colpa non è del tutto coerente con l’idea di ERROR enunciata
nella satira decima e impedisce all’ultima fase della poesia di GIOVENALE di
svolgersi completamente sotto la RIGIDI CENSURA CACHINNI, costringendola
invece a dispiegarsi, con varietà di soluzioni, fra i due poli dello scherno e
dell’orrore.

L’UTLIMA FASE DELLA SATIRA DI GIOVENALE


Nel libro quarto la satira decima si sviluppa su una problematica ampiamente
sfruttata nella tradizione filosofica e diatribici: quali preghiere si debbono
rivolgere agli dei.
Il tema viene svolto in positivo nell’introduzione e nella conclusione del
componimento, in cui vengono proposte due soluzioni:
 in primo luogo il suggerimento socratico di non domandare nulla agli dei,
che sanno meglio di noi quello che ci è utile;
 in secondo luogo l’invito a chiedere un animo sano in un corpo sano.
Questa famosa massima non consiglia di contemperare salute fisica e psichica,
ma piuttosto di cercare un ANIMUS FORTIS, libero dalle passioni e immune
dalla paura della morte e del dolore: si tratta in altre parole di conseguire la
MENS BONA, l’ideale di perfezione umana dello stoicismo.
Non è tuttavia questo l’aspetto principale del nostro componimento, perché
tutta la sua parte centrale è occupata da un’accanita confutazione degli stolti
desideri umani, indirizzati verso:
 il potere;
 l’eloquenza;
 la gloria militare;
 la longevità;
 la bellezza.
Questa opera demolitrice è incentrata su una serie di esempi famosi che
dimostrano come i falsi beni cui aspirano gli uomini provochino non solo
l’infelicità, ma anche la completa rovina.
In essa troviamo concentrata una furia distruttrice che è pari alla veemenza
dell’INDIGNATIO.

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Questa satira, nei suoi esempi, sviluppa una violentissima poesia del
disinganno, volta convogliare contro i sogni degli uomini tutta l’acre e
devastante forza dell’irrisione.
La decima satira è dunque modulata su due toni:
 uno aspro e violento, che sostiene la tensione della polemica;
 uno più pacato e raziocinante, che caratterizza l’argomentare in positivo.
A questo secondo tono è improntata la satira undicesima che riprende un
motivo ben attestato nel genere satirico:l’invito a una cena modesta.
Questa cena è posta come esempio del giusto mezzo e il punto medio fra il
fasto contemporaneo l’austera frugalità degli antichi.
Ricompare dunque il modello degli antichi, che nelle prime satire era il
necessario punto di riferimento per le denunce dell’INDIGNATIO e che in
questo componimento garantisce invece un comportamento corretto.
Lo schema del banchetto con le varie portate e gli altri elementi connessi,
riceve d’altra parte un trattamento completamente diverso da quello che aveva
avuto nella stira quinta:là ogni particolare diveniva indice di corruzione e di
ingiustizia sociale, qui invece veicolo di una proposta morale.
Anche la satira dodicesima ipotizza una situazione convenzionale: i preparativi
del sacrificio per lo scampato pericolo di un amico che ha fatto naufragio.
Questa circostanza funge da supporto per due differenti sviluppi:
 da una parte abbiamo la descrizione della tremenda tempesta che ha
provocato il disastro e che si presta a considerazioni sui rischi del
commercio e sull’avidità umana, pronta a mettere a repentaglio la vita
per la ricchezza;
 dall’altra parte la lealtà e il disinteresse mostrati dal satirico permettono
di svolgere per converso il luogo comune dei cacciatori di eredità, capaci
di qualsiasi bassezza e nefandezza pur di raggiungere il loro scopo..
Ricompare così, sia pure come ipotesi, quell’idea di una realtà atroce,
intrinsecamente criminosa e pari alle mostruose invenzioni del mito, che aveva
caratterizzato i primi componimenti.
La satira tredicesima si presenta convenzionalmente come un tentativo di
confortare un conoscente che è stato truffato di una somma di denaro data in
prestito.
Tale proposito viene tuttavia parzialmente frustrato dalla foga con cui viene
attaccata la dabbenaggine del destinatario che si attende la restituzione del
prestito: la veemenza del satirico si scaglia contro la stoltezza con la stessa
intensità che aveva contro il crimine e l’INDIGNATIO e trasforma la
consolazione in uno spietato rimprovero.
Questo paradossale mutare dell’atteggiamento del satirico implica una visione
estremamente negativa dell’umanità, che si trova, come abbiamo detto, in
tempi peggiori dell’età del ferro.
Nella satira quattordicesima viene trattato il tema del cattivo esempio fornito
dai genitori e in particolare il problema dell’unico vizio che viene insegnato dai
padri e cioè l’AVARITIA.
Il componimento mostra spesso tratti diatribici, legati al concetto di ERROR,
come l’affermazione che è pazzia conclamata vivere da poveri per morire da
ricchi o l’osservazione che le DIVITIAE non servono a tenere lontani malattie,
lutti, affanni e morte.

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Tuttavia, soprattutto nella sezione dedicata all’avidità, vediamo apparire anche
elementi diversi:
 la frugalità degli antenati contrapposta al moderno culto del denaro;
 il concetto di colpa che è legato all’avidità:
Ne consegue che, come nelle prime satire, i figli sono pronti, per impadronirsi
dell’eredità, ad uccidere i padri.
Tutti gli spettri di atti e pratiche abominevoli evocati nei precedenti
componimenti prendono corpo nella satira quindicesima, che si occupa
espressamente di un caso di cannibalismo avvenuto in Egitto.
L’episodio è infatti svolto in relazione con i possibili paralleli mitici e storici, che
fungono da sfondo e da riscontro.
Il satirico dimostra che un fatto vero è più incredibile delle più inverosimili
finzioni mitiche.
La realtà contemporanea risulta costituita dal sovrapporsi di atrocità e di
meschinità: è evidente l’intenzione dell’autore di porre in risalto l’assoluta
unicità della nefandezza del fatto narrato.
Questo aspetto viene ulteriormente sviluppato nella parte conclusiva della
satira mediante il confronto con alcuni episodi storici e mitologici.
Con estrema determinazione il poeta costruisce una feroce requisitoria in cui
compaiono, portati all’estremo, alcuni motivi cari alle prime satire, come
l’avversione per gli ORIENTALI e soprattutto l’idea di colpa.
La carriera di GIOVENALE, iniziata sotto il segno dell’indignazione, sembra
dunque terminare sotto il segno dell’orrore.
Sulla satira sedicesima, di cui ci sono pervenuti soltanto 60 versi, si può
osservare che il motivo dell’ingiustizia esistente nei rapporti fra militari e civili
si inquadra bene in una tematica centrale fin dai primi componimenti: quella
degli intollerabili soprusi diffusi nella società romana.
Concludendo si può rilevare che le oscillazioni notate in sede di poetica sono
confermate anche a livello di analisi critica.
Nuclei tematici affini a quelli delle prime satire sono infatti presenti in tutta la
seconda parte della produzione di GIOVENALE.
Essi rendono difficile dividere nettamente in due fasi l’opera del nostro autore e
consigliano piuttosto di adottare una formulazione meno rigida, capace di
cogliere una situazione fluida e complessa.
Dopo il primo, compatto, gruppo di satire dominate dall’idea di colpa e dalla
sdegno, il passaggio a una nuova maniera fondata sul concetto di ERROR e
sullo scherno viene messo in crisi dal persistere di un’ineliminabile convinzione
della mostruosa perversità dell’uomo che tende a sospingere GIOVENALE verso
le posizioni iniziali.
La sua poesia appare dunque percorsa da una sorta di incoercibile coerenza
che nonostante gli stessi propositi dell’autore, lega la prima parte dell’opera
alla seconda, manifestandosi nella violenza del tono e nell’esasperata e
allucinata visione della realtà.

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