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Da: "A Ritroso" di J.K.

Huysmans - Rizzoli Editore


(...) E quali punti di contatto potevano sussistere tra lui e quella classe borghese che si
era innalzata a poco a poco profittando di tutti i disastri per arricchirsi, suscitando
catastrofi per imporre il rispetto dei suoi delitti e delle sue ruberie?
Dopo l’aristocrazia della nascita, era venuta la volta dell’aristocrazia del denaro: era il
califfato delle botteghe, il dispotismo di via Du Sentier, la tirannia del commercio dalle
idee venali e anguste, dagli istinti scaltri e vanitosi.
Più scellerata, più vile della nobiltà spoglia e del clero decaduto, la borghesia prendeva
in prestito la loro frivola ostentazione, la loro caduca iattanza degradandole con la sua
mancanza di saper vivere; prendeva tutti i loro difetti convertendoli in ipocriti vizi.
E, autoritaria e sorniona, bassa e codarda, infieriva senza pietà sulla sua eterna e fatale
vittima, il popolo minuto, a cui aveva lei stessa tolto la museruola mettendolo
all’agguato perché saltasse alla gola delle antiche caste.
Adesso era cosa fatta.
Compiuto il dover suo, la plebe era stata salassata fino all’ultima goccia per misure
igieniche: il borghese, rassicurato, troneggiava allegramente per la forza del suo denaro e
il contagio della sua idiozia.
Il risultato della sua ascesa era stato la prostrazione di ogni intelligenza, la negazione di
ogni onestà, la morte di ogni arte.
E, in realtà, gli artisti, avviliti, si erano inginocchiati e, pieni di ardore, si divoravan di
baci i piedi fetidi dei grandi sensali e dei piccoli satrapi le cui elemosine li tenevano in
vita.
In pittura era un diluvio di smidollate scempiaggini; in letteratura un dilagare di stile
anodino e di idee vili, perché l’affarista mestatore aveva bisogno di onestà; il filibustiere
che cercava una dote per suo figlio e si rifiutava di pagare quella della figlia aveva
bisogno di virtù, il voltairiano che accusava il clero di stupri e se ne andava
ipocritamente e stupidamente, senza una vera arte della depravazione, ad annusare in
qualche stanza equivoca l’acqua sporca delle catinelle e la polvere tepida delle gonne
sudice, aveva bisogno di castità.
Era la grande galera dell’America trasportata sul nostro continente; era, infine,
l’immensa, la profonda, l’incommensurabile cafoneria dei finanzieri e dei nuovi ricchi,
raggiante come un abbietto sole, sulla città idolatra, che eiaculava, ventre a terra, oscene
cantiche davanti all’empio tabernacolo delle banche.
- E va’ dunque in rovina, società! Crepa, una buona volta, vecchio mondo! - esclamò
Des Esseintes sdegnato dall’ignominia dello spettacolo evocato.
Quel grido spezzò l’incubo che l’opprimeva.
- Ah! - mormorò. - E dire che tutto questo non è un sogno! Che sto per rientrare nella
ressa turpe e servile di questo mondo! -

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