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Federicomaria Muccioli
Le orecchie lunghe
di Alessandro Magno
Satira del potere nel mondo greco (1v-1 secolo a.C.)
Carocci editore
1edizione, marzo 2018
a
© copyright 2018 by
Carocci editore S.p.A., Roma
ISBN 978-88-430-9271-o
Premessa 7
7. Il re e il politico "buffone" 66
8. La piuma di Agatocle 73
INDICE
Abbreviazioni e bibliografia 1 59
6
Premessa
Le date e le indicazioni temporali nel testo sono da considerarsi tutte a.C., ove non
altrimenti indicato. Le parole greche traslitterate sono accentate, tranne quelle bisillabe
piane e i monosillabi, secondo una norma ampiamente in uso.
7
Introduzione
Scherza coi fanti... Poteri monocratici
nel mondo greco tra satira e adulazione
I
Gli stereotipi del "buon" tiranno
I tiranni di ogni epoca, è noto, sono uomini che non amano le mezze mi
sure e, conseguentemente, sono oggetto di lodi sperticate o, per lo più, di
ironie se non, addirittura, di critiche spietate. Non stupisce pertanto che
la tradizione letteraria e i massmedia, nell'antichità come ai giorni nostri,
narrino quasi con divertito compiacimento le nefande gesta di questi pro
tagonisti della commedia umana. Leggendo i quotidiani italiani del 4 gen
naio 2014, spiccavano le notizie sul noto maresciallo KimJong-un, intento
ad inaugurare l'impeccabile stazione sciistica del Passo di Masik in Nord
Corea, mentre riecheggiano in Occidente le modalità dell'esecuzione dello
zio, Jang Song T haek, sbranato da centoventi cani affamati, assieme ai suoi
accoliti. Lo sventurato viene affettuosamente definito dalla pubblicistica
locale, devota all'ingrato nipote, come un "cane" (con involontario effetto
umoristico), "traditore per tutta l'eternità" e "feccia umanà'.
Se la morte ad opera di cani, per lo più randagi, suscita nella società
moderna comprensibile orrore, come dimenticare la morte attribuita ad
Euripide, divorato dai cani molossi del re Archelao di Macedonia, ovvero la
crudele fanciulla incurante dell'amore di Nastagio degli Onesti, condanna
ta ad essere dilaniata dai cani nella pineta di Classe, come narra Boccaccio?
Non si può poi sottacere la condanna ad bestias nel mondo romano, che fu
col tempo legittimata attraverso l'avallo di un giudice. Ovvero, per cam
biare epoca e arrivare all'età dell' Inquisizione, la condanna all'impiccagio
ne degli Ebrei posti tra cani, peraltro solo due, ma comunque pur sempre
affamati (e con la non trascurabile variante che potevano essere impiegati
anche dei lupi).
Tralasciando altri avvenimenti legati al personaggio (la casistica al ri
guardo è nutrita e costantemente in progress ), Kim Jong-un è comunque
g
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
adulato e riverito dal suo popolo, come già il padre e il nonno. Vero esem
pio di culto dinastico che ben si inserisce in quella che è stata definita reli
gione della politica, fenomeno tipico dei regimi autoritari.
Cambiando aristotelicamente spazio, tempo e luogo, il plot rimane il
medesimo. Ezzelino da Romano, signore della Marca Trevigiana nel Due
cento, è descritto dalle fonti come piccolo, terribile, figlio di una maga che
addirittura ne predice il luogo della morte. Così crudele da uccidere il fra
tello, attaccato alla coda di un cavallo, che aveva assistito, impotente, allo
sterminio della famiglia. Nella penna di Albertino da Mussato (Ecerinis ),
Ezzelino è figlio di un essere demoniaco, così come nella Physionomia di
Pietro d'Abano. Dal canto suo, Salimbene da Parma scrive che era temu
to addirittura più del diavolo: anzi, era il diabolus in persona. Non per
nulla Dante lo inserisce a pieno titolo nell'Inferno, nel girone dei violenti
contro il prossimo: <<e quella fronte c'ha il pel così nero / è Azzolino>>
(x11 109-110).
Una tradizione negativa così forte da offuscare quella positiva, o per
lo meno più sfumata, contenuta nel Novellino, importante testo del Due
cento letterario italiano. Anche il tiranno più efferato come Ezzelino ha i
suoi fan, o adulatori che dir si voglia. In un manoscritto vaticano si legge un
componimento poetico di autore anonimo (fine XIII-inizi XIV secolo) che
sarebbe stato letto da un cortigiano di fronte al cadavere ancora "caldo" del
suo amato signore. Egli lo definisce: <<Lo meior hom che fos al mondo / [ ...]
s'el non fose stà cusì deverso, / fo miser Ecilyn, quel de Roman>> (Peron,
1992, pp. 530-6). Cusì deverso ... !
Cambiando periodo, un signore rinascimentale come Sigismondo
Pandolfo Malatesta, che attirò l'attenzione di letterati sulfurei come Ezra
Pound o esteti della contraddizione come Henry de Montherlant, viene
presentato a tinte fosche dalla penna spumeggiante di Oscar Wilde. Nella
sua galleria di personaggi resi mostruosi o folli dal vizio o dalla noia (nel
Ritratto di Dorian Gray; e dove, se no?), ne riassume le gesta. In modo sin
tetico, ma cristallino: amante di Isotta e signore di Rimini, bruciato in ef
figie a Roma perché nemico di Dio e dell'uomo, strangolatore di Polisse
na Sforza con un tovagliolo, avvelenatore di Ginevra d'Este servendosi di
una coppa di smeraldo. E, soprattutto, in onore di una vergognosa passio
ne, edificatore di una chiesa pagana per il culto cristiano, qual è il Tempio
Malatestiano. Ben poco ha potuto fare da contrappeso la pubblicistica del
signore malatestiano, adusa a magnificarne le lodi e a paragonarlo ai per
sonaggi dell'epica classica o, senza alcun senso della misura, addirittura ad
Alessandro Magno.
IO
INTRODUZIONE
2
Tiranni e re nel mondo greco,
ruoli interscambiabili?
Apparentemente nel mondo greco tiranni e re, e tanto più i sovrani ellenisti
ci, su cui si incentra la maggior parte del presente volume, hanno o avrebbe
ro ben poco in comune, anche nei percorsi interpretativi dei moderni. I pri
mi nascono dalla crisi della polis, sia in epoca arcaica sia anche in epoca clas
sica, mentre il re (basileus) ellenistico è frutto della grande espansione ma
cedone, con Filippo I I e soprattutto Alessandro Magno, e della conseguente
trasformazione dell'immagine del sovrano e dell'istituto della regalità.
Sui tiranni, o almeno su alcuni di essi si codifica un'immagine che
diventa sempre più stereotipata nella tradizione culturale occidentale.
Un'immagine già profilata in età arcaica (con Archiloco nel VI I secolo),
rivitalizzata e resa paradigmatica dai grandi teorici della politica nel IV se-
II
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
12
INTRODUZIONE
2. Hdt. V"II 161, 1 (cfr. 156, 3; 157, 2; 163, 1); Pynd., 0/. I 23; Pyth. II 25; III 124 (ma cfr. I
141; III 151); cfr. Diod. XI 26, 6.
3. Plut., Pel. 34, 1-3; cfr. De sera num. vind. 557b.
4. Plut., Arat. 26, 2-5.
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
3
Declinare l'ironia, antidoto (pericoloso) contro l'adulazione
In queste pagine si parla di critica al potere nel IV-I secolo, declinata in tut
te le sue forme, dall'ironia fino alla satira, alla parodia e allo scherno più
sferzante, che trasuda polemica politica. Ma è chiaro che questa vive anche
in antitesi alla cortigianeria, classificata dagli antichi come kolakeia (adula
zione), e alla propaganda del potente.
Nell'antichità non è certo applicabile il concetto di propaganda, alme
no così come sono abituati i moderni, o tute'al più lo è solo a certi ambi
ti. Il tiranno e il sovrano potevano mostrarsi al mondo come benefattori,
vincendo e organizzando giochi panellenici, ovvero magnificando le loro
virtù grazie alla documentazione numismatica ed epigrafica, spesso omolo
gante e standardizzata nella scelta di un linguaggio onorifico.
Altra via, ben frequentata, era l'opera di letterati che ne magnificassero
le gesta. La pubblicistica encomiastica di corte, a parte la produzione ales
sandrina e poco altro, ha subìto il naufragio comune a quasi tutta la lette
ratura ellenistica, favorito anche dal giudizio negativo espresso dai posteri.
All'epoca di Pausania e della sua Periegesi della Grecia, in pieno II secolo
d.C., potevano dunque avere un senso affermazioni di questo tipo:
Delle vicende di Attalo e di Tolemeo, che sono assai antiche, non rimane ormai
più la fama, e coloro che furono al séguito di quei re, per scriverne la storia, sono
caduti nell'oblìo ancor prima: per questi motivi mi è venuto in mente di narrare
quali imprese essi compirono e come i loro padri abbiano ottenuto il controllo,
rispettivamente, dell'Egitto e dei Misi e dei popoli vicini5 •
5. Paus. I 6, 1.
14
INTRODUZIONE
Dunque Filisto, ammiratore dei tiranni (qui Dionisio 1) e più ancora del
regime tirannico, e leronimo di Cardia, legato ad Antigono Gonata. lero
nimo è comunque uomo per tutte le stagioni, avendo avuto rapporti con
solidati con il padre e il nonno del Gonata, rispettivamente, Antigono Mo
noftalmo e Demetrio Poliorcete, e prima ancora con un altro diadoco, il
concittadino Eumene.
In opposizione alla strada dell'adulazione o a una scrittura fin troppo
interessata, altre sono le vie praticabili nel confronto-scontro con i tiranni
(e con i sovrani, soprattutto quelli di età ellenistica). Ben prima di Torqua
to Accetto e della sua Della dissimulazione onesta, i Greci hanno inventato
6. Paus. I 2, 3.
7. Heges.,FHG, Iv·, p. 416, F 15, in Athen. VIII 34oe-341a; Plut., Reg. et imp. apophth.
182f; Quaest. con v. Iv· 668c-d.
8. Paus. I 13, 9; cfr. Plut., DeHdt. mal. 855c (= Philist.,FGrH ist/BNf 556 T 13a; cfr.
T 136).
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
4
La corte : luogo eletto per l ' ironia
17
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
borsa. Del resto, l'amore del sovrano per le battute è noto a molti, e in pri
mis al suo acerrimo nemico, Demostene 1 3 • Questi precisa nelle Olintiche
che Filippo teneva attorno a sé, con compiacimento, persone evitate da tut
ti: << attori di buffonate e autori di canzoni pessime presentate ai convitati
per divertirli>> . La notizia è confermata dallo storico Teopompo, che nelle
sue Storie fìlippiche non risparmia frecciate al re macedone (protagonista
dell'opera), soffermandosi sul folto séguito di parassiti, musicanti e perso
ne che divertivano con le loro facezie il sovrano, dedito al vino 1 4 •
Nella società di corte ellenistica (come peraltro nei suoi prodromi in
epoca arcaico-classica) era il convivio il luogo deputato per esercitare ironia
e schermaglie nei confronti degli avversari, preferibilmente gli altri tiranni
e dinasti, e per praticare l'adulazione, e dunque dicere laudes nei confronti
del potente. Gli scontri tra i potenti non si giocavano solo sui campi di bat
taglia, ma anche nelle battute e nelle frecciate verbali, con cortigiani com
piacenti e gli stessi dinasti pronti allo sbeffeggio nei confronti dei rivali.
Ateneo ricorda che alla corte di Antioco I I , re di Siria, erano tenuti in gran
conto l'attore di mimi Erodoto e il danzatore Archelao1 5 • Anzi, precisa che
costoro erano tenuti in grandissimo onore tra i philoi (gli "amici") lascian
do così intendere che nella scala gerarchica di corte avessero un ruolo di
notevole importanza (Massar, 2 0 0 4 , p. 2 0 6 ) .
I philoi dunque dovevano saper servire il sovrano e, all'occorrenza, es
sere in grado anche di divertirlo, ovvero distrarlo con passatempi vari. Se
condo la testimonianza di Demetrio di Scepsi, attivo alla corte di un altro re
di Siria, Antioco I I I, i convitati eseguivano danze in armi l'uno contro l'al
tro, a cui partecipava lo stesso sovrano. Una pratica aborrita da Egesianatte
di Alessandria nella Troade: letterato finissimo, che non amava sporcarsi le
mani in simili occupazioni preferendo invece declamare i suoi versi 16 •
Il convivio alla corte del re ellenistico conosceva varie declinazioni e
trasformazioni rispetto all'età arcaica e classica (Murray, 199 6 ) , anche se
era pur sempre il momento prediletto per il confronto dialettico, quando il
vino scorreva e la lingua, soprattutto quella dei poeti al servizio del signore,
si lasciava andare alle frecciate più avvelenate. Banchetto in cui il signore
poteva lui stesso esercitare l'ironia, come dimostra il gioco di parole attri
buito al tiranno Dionisio I di Siracusa su Gelone, divenuto lo zimbello del-
13. Heges., FHG, 1v·, p. 413, F 2; cfr. p. 507, in Athen. VI 26oa-b; cfr. Athen. xiv· 614d-e.
14. Rispettivamente Demosth., 0/. 11 19 e Theop., FGrHist/BNJ 115 F 236, in Athen.
X 435c.
15. Heges., FHG, 1v·, p. 416, F 13, in Athen. I 19c-d.
16. Hegesian., FGrHist 45 T 3, in Athen. 1v· 1556-c.
18
INTRODUZIONE
Nel mezzo del banchetto, quando il vino scorreva a fiumi, furono cantati i versi di
un certo Pranico (o, secondo altri, Pierione) , composti per mettere in ridicolo e
schernire i comandanti che poco prima erano stati sconfitti dai barbari 1 9 •
1g
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
20
INTRODUZIONE
Tolemeo giacersi con la sorella; Lisimaco insidiato dal figliuolo ; Antioco figliuol
di Seleuco che faceva d 'occhio alla madrigna Stratonica; Alessandro il tessalo uc
ciso dalla moglie ; Antigono svergognar la moglie del figliuolo ; il figliuolo di At
talo che gli porge un veleno : da un'altra banda Arsace uccider la sua donna, e l 'eu
nuco Arbace tirar la spada contro Arsace ; e Spatino il Medo fuor del convito da'
suoi satelliti strascinato per un piede, e con un ciglio spaccato da una tazza d ' oro 21 •
21
I
Il Ciclope, mirror di tiranni e sovrani
Si racconta che i più antichi abitanti di una parte del paese furono i Ciclopi e i
Lestrigoni, dei quali io non so dire né la stirpe né da dove provenirono né dove
si ritirarono: su di loro sia sufficiente quello che hanno detto i poeti e ciò che
ciascuno conosce 1 •
1. Thuc. ,.r1 2, 1.
2. Paus. I 2, 3.
3. Plut., De vit. aer e al. 831(
22
I . IL CICLOPE , MIRR OR DI TIRANNI E SOVRANI
24
I . IL CICLOPE , MIRR OR DI TIRANNI E SOVRANI
cui Filosseno avrebbe composto il suo ditirambo, nella sua versione finale,
proprio a Citera, il che lascia presupporre un suo ritorno in patria e una
vendetta freddamente posticipata8 •
Il tema omerico del Ciclope e del suo incontro-scontro con Odissea
aveva trovato facile presa in ambito siceliota, già prima dell'età dionisiana,
in particolare nelle opere di Epicarmo, tra le quali figura un Ciclope. L'im
magine che Epicarmo propone di Odissea era assai negativa, lontana da
quella dell'eroe omerico, come traspare anche dai titoli di altri suoi "dram
mi" ( Odisseo disertore, Odisseo naufrago; cfr. anche le Sirene) . C'è dunque
un filone, sottolineato in fonti assai tarde, che fa di Odissea un personag
gio ambiguo, rappresentato come il traditore di Polifemo, che tra l'altro
rapisce la figlia del mostro dopo averlo accecato9 •
Quantunque non sia dato cogliere nessi diretti con Filosseno, non va
sottovalutata la grande popolarità di Epicarmo presso altri letterati presen
ti alla corte siracusana (come Platone, che, secondo Alcimo, storico legato
ai Dionisi, avrebbe addirittura plagiato Epicarmo) o anche presso gli stessi
tiranni: Dionisio I I fu infatti autore di un'opera Sui poemi di Epicarmo, se
condo la Suda10 •
Anche ad Atene lo stesso tema era assai diffuso, come testimoniato dal
dramma satiresco Ciclope di Euripide, con la sua possibile lettura in connes
sione con gli interessi ateniesi in Sicilia, deflagrati con la grande spedizione
del 415-413 durante la guerra del Peloponneso.
Il ditirambo di Filosseno non è comunque soltanto il frutto dell'esacer
bazione personale di un letterato: dietro occorre scorgere l'eco ben precisa
della polemica contro la politica filorbarbarica messa in atto da Dionisio I.
In quel periodo era forse già stata stretta l'alleanza con gli Illiri, mentre so
lo congetturali sono i rapporti con i Celti, divenuti formalmente alleati di
Dionisio I quando, calati in Italia, si spinsero verso sud, forse tra l'autunno
del 38 6 e la primavera del 38 5 (390-389, secondo la cronologia varroniana),
dopo aver saccheggiato Roma e aver preso anche il Campidoglio, con buo
na pace della propaganda romana giunta fino ai giorni nostri, con le sue
salvifiche oche.
La propaganda filodionisiana avvalora le nozze tra Polifemo e Galatea,
da cui sarebbe nata una sospetta figliolanza, almeno nell'onomastica: Cel-
la volontà di edulcorare l'immagine dei Galli (e degli Illiri) agli occhi dei
Greci e presentare, sotto migliore veste, i rapporti instaurati con costoro,
mentre d'altro canto la rielaborazione del mito di Polifemo e Galatea si
presta a essere recepita anche sul versante barbarico, nei confronti degli Il
liri e degli stessi Celti. Infatti la monoftalmia, in questo caso del Ciclope,
poteva far presa su costoro, in quanto aveva valenze magiche nel mondo
celtico. Dietro tutto ciò vi è l'ambizioso progetto di Dionisio I di creare un
potere multietnico e dal respiro autenticamente europeo.
Difficilmente il tiranno avrà agito da solo, senza l'apporto di un uomo
assai importante, militarmente e culturalmente, quale fu Filisto di Siracu
sa. Costui potrebbe essere stato responsabile di questa e altre elaborazioni
pseudoetnografiche. E comunque ragionevole e prudente non limitarsi a
rapportare tale propaganda esclusivamente all'opera di Filisto, magari la
sciandosi suggestionare dalla definizione di "filotiranno" con cui lo qualifi
carono gli antichi, forse troppo sbrigativa, e che andrebbe almeno in parte
riponderata alla luce di un'analisi puntuale delle vicende dello storico e dei
frammenti della sua opera.
Del resto diversi studiosi attribuiscono la rielaborazione degli amori di
Polifemo e Galatea in primo luogo a un poeta attivo alla corte dei tiranni,
il cui nome rimane però avvolto nella nebbia più fitta. Forse solo una labi
le suggestione al riguardo è la presenza in un frammento della commedia
Galatea di Alessi del filosofo Aristippo di Cirene, assiduo ospite della corte
dei Dionisi; nel frammento uno schiavo parla dell'esperienza del suo pa
drone (Polifemo/Dionisio I?), allievo del filosofo cirenaico. L'inserimento
di Aristippo in una simile commedia può ben giustificarsi in base a una let
tura, quale quella comica, tutta giocata tra mito e satira 1 2
•
I I. App., Ili. 2, 3.
1 2. Alex. F 37 Kassel-Austin, in Athen. XII 544e-f.
I . IL CICLOPE , MIRR OR DI TIRANNI E SOVRANI
tuario di Delfi. Si spostarono poi in Asia, con effetti devastanti per il fragile
status quo, e divennero di fatto il nemico per eccellenza di diverse dinastie
(Antigonidi, Seleucidi, Attalidi, in particolare) o, per converso, essendo
impiegati in larga scala come turbolenti mercenari dai successori di Ales
sandro. Callimaco, che immortala tra l'altro le vicende dei discendenti di
Polifemo e Galatea nell'opera epica intitolata appunto Galatea, celebrò la
vittoria di Tolemeo II contro queste truppe prezzolate, che avevano osato
ribellarsi al Lagide.
Plutarco afferma che Agatocle, tiranno e poi sovrano dei Siracusani
( 3 0 5 / 3 04-2 8 9 ) , quando i Corciresi gli chiesero perché devastasse la loro
isola, addusse come giustificazione l'ospitalità concessa dai loro padri ad
Odissea; ad un'analoga lamentela degli Itacesi, aggiunse il fatto che il loro
re (scii. Odissea), quando si era recato nella sua terra aveva anche accecato
il pastore, ovvero il Ciclope 1 3 •
La notizia di una devastazione di Corcira e, presumibilmente, di Itaca
si inquadra nella politica adriatica e ionica di Agatocle, incentrata, in pri
mo luogo, sul controllo della prima isola, sottratta all'assedio di Cassandro
(29 9 -29 8 ca.) 1 4 • In relazione con l'attacco a Corcira (che faceva parte della
dote della figlia di Agatocle, Lanassa) e con quanto descritto da Plutarco
sono da leggersi anche due frammenti di Duride (rappresentante assieme a
Filarco della cosiddetta storiografia tragica nel I I I secolo, secondo un'usu
rata interpretazione dei moderni) e tratti dalle sue Storie su Agatocle, in cui
due figure tradizionalmente positive come Euribate, compagno di Odis
sea, e Penelope sono rappresentate in modo volutamente distorto e sotto
una luce negativa, con chiaro effetto parodico1 5 •
Se questo è un aspetto di tale rappresentazione, non va trascurato an-
che il rovescio della medaglia. E infatti importante sottolineare come nel
racconto plutarcheo sia proprio Agatocle a presentarsi come l'alfiere del
le forze "barbare" siciliane e, tra le righe, come il vendicatore del Ciclope,
vittima di Odissea. Il ribaltamento dei ruoli dell'epos e il giudizio negativo
sui protagonisti della saga odissiaca trovano una plausibile spiegazione in
terpretandoli, in primo luogo, come un cosciente utilizzo da parte del di
nasta siceliota della figura di Polifemo in opposizione a quella di Odissea,
con conseguente messa in berlina dei personaggi collegati a quest'ultimo.
13. Plut., De ser a num. vind. 557b-c; Reg. et imp. apophth. 1 76f.
14. Diod. XXI 2, 1-2.
15. Duris,FGrH ist/BNJ 76 FF 20, 21, in Suda, s.v. Eurjbatos, pon er os; Schol. Lycophr.,
Alex. 772.
27
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
Questa appropriazione della figura del Ciclope faceva parte di una vera e
propria polemica politica legata alla questione corcirese, a cui si riallaccia
anche l'orgoglio del dinasta e dei Sicelioti, in prospettiva antimacedone 16 •
Il recupero di una genealogia mitica legata alle nozze tra Polifemo e Ga
latea, quale era quella sviluppata sotto i Dionisi, poteva essere utile ad Aga
tocle per stringere o rinsaldare i legami con le popolazioni illiriche e con i
Celti, che il dinasta impiegò come mercenari1 7• Il suo percorso sulle orme di
Dionisio il Vecchio, avvertito dagli antichi nella volontà di seguirne proprio
la politica in Magna Grecia (con tutto quello che comportava), comprende
va anche una ripresa di vettori propagandistici, come appunto la venerazio
ne e identificazione con eroi del patrimonio culturale dei Greci.
Ma il rapporto di tiranni e dinasti con il Ciclope, a scopo parodico,
non è confinato solo all'ambito occidentale. La storia greca conosce due
personaggi illustri che perdettero un occhio per questioni belliche: Filippo
I I, padre di Alessandro Magno, e Antigono, il diadoco più ambizioso e mi
litarmente più agguerrito, insieme al figlio Demetrio Poliorcete. Una per
dita dolorosa per entrambi e mai interamente metabolizzata.
Si è già detto che nel trattato Sullo stile attribuito a Demetrio, risalen
te all'età ellenistica, vengono elargiti preziosi consigli su come ci si debba
comportare in presenza di tiranni1 8 • La parola d'ordine è la prudenza e un
minimo di delicatezza: pertanto, guai a parlare del Ciclope o solo a men
zionare la parola occhio in presenza di Filippo, orbato nell'assedio di Me
rone del 355/354.
Se nessuno, o quasi, osava scherzare su questa menomazione del sen
sibile re macedone, Antigono, pieno di tormenti per l'occhio perduto, de
cise di intervenire direttamente sulla sua immagine pubblica, passaggio ob
bligato per la creazione e il consolidamento della sua regalità agli occhi
dei sudditi e degli avversari. Plinio il Vecchio infatti racconta che il pit
tore Apelle, per nasconderne l'orbità, abilmente lo rappresentò di scorcio1 9 •
Non è da tutti fare bella mostra dei propri difetti fisici e non molti hanno
l'accortezza del quattrocentesco duca Federico da Montefeltro. Nel famo
so dittico conservato agli Uffizi, in cui sono dipinti da Piero della Fran
cesca il signore di Urbino e la moglie Battista Sforza, la posizione scel
ta è quella di profilo, così come avviene di norma nelle medaglie e nella
20. [Plut.] , De lib. ed. 11c; Plut., Quaest. con v. I I 633c; cfr. Macrob., Sat. V"I I 3, 12.
2 ()
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
pra le righe, certo denigratoria nei confronti del più autorevole storico di
età ellenistica.
Alessandro Magno non è sempre stato Magno, o almeno non lo è stato per
tutti nelle varie lande dell 'ecumene. Il suo altisonante appellativo (che peral
tro non è certo paragonabile a Re dei Re, Signore delle terre, Signore delle
quattro parti del mondo abitato, titoli propri della tradizione orientale, me
sopotamica e utilizzati anche da quella achemenide) , è infatti solo un surro
gato, affibbiatogli in epoca successiva, laddove in vita egli volle essere defini
to Aniketos ("invincibile" e "invitto': nel contempo), forse attraverso l ' impri
matur della Pizia, come attesta la pubblicistica compiacente di corte (Calli
stene, storiografo al séguito della sua spedizione e pronipote di Aristotele).
Numerosi sono i rivoli della tradizione ostile, che vede nel Macedone
un personaggio negativo, capace solo di scompigliare e mettere a ferro e a
fuoco l ' Oriente per la sua bramosia di conquista, descrivendolo con accen
ti fortemente sarcastici o anche solo sottilmente parodici. Già nella regio
ne babilonese Alessandro, peraltro definito, come si deve al suo rango, " Re
del mondo" dopo la vittoria di Gaugamela, è oggetto di propaganda ostile.
Il mondo mesopotamico, con la sua sapienza caldaica antica, pullulava di
oracoli, profezie e vaticini, spesso ex eventu ( come ogni buon vaticinio che
si rispetti). Alcuni di questi preannunciarono la morte del sovrano, triste
omen di quello che poi accadde tra il IO e l ' I I giugno 3 2 3 e sono puntual
mente riflessi dalla tradizione greca sul Macedone1 •
1. Diod. X\r 11 116; Plut., Alex. 73; Arr., Anab. V"II 16, 5-17, 6; App., Syr. 56, 28 8-291.
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
mappa mundi del ' 5 0 0 conservata al British Museum; BM 926 87). Si parla
dapprima del regno neoassiro e della sua caduta, a cui segue la fondazione
del regno caldeo; poi, al suo ultimo sovrano, Nabonide, succede il regno
achemenide con Ciro I I . Ma è soprattutto la terza colonna del testo che pre
senta gli aspetti più interessanti, sempre in modo assai poco perspicuo: si
apre con l'uccisione di Arses (Artaserse 1v) ad opera dell'eunuco Bagoas
e continua con l'attacco delle truppe degli Hanei (ovvero le forze di Ales
sandro) che sconfiggono il nemico, non meglio specificato ma, con ogni
evidenza, da identificare nei Persiani e in Dario 111 ( Granico? Isso? Gauga
mela?). Sorprendentemente, a questa vittoria segue la rivincita del re, ovvero
Dario I I I , finalmente uscito dal cono d'ombra impostogli dal Macedone (e
forse sono presenti altri eventi collegati alla prima età ellenistica, in cui pare
ravvisarsi lo scontro tra Antigono Monoftalmo e Seleuco 1).
Qualunque studente di storia greca, sbilanciandosi in tali affermazioni,
sarebbe bocciato senza pietà, ma evidentemente qui non si tratta dell'insi
pienza dello scriba caldeo, che vagheggia un'impossibile vendetta acheme-
nide. E semmai un desideratum, di fronte ad Alessandro che, pare quasi fin
troppo semplice pensarlo, non aveva lasciato così buona fama tra il Tigri
e l'Eufrate, nonostante i suoi buoni propositi e il desiderio di presentarsi
rispettoso dei riti locali, dell'Esagila e della complessa struttura templare
della regione.
Anche nel mondo iranico Alessandro finì col tempo con l'avere una
reputazione pessima, nonostante il suo tentativo (probabilmente strumen-,
tale) di fusione tra popoli e l'adozione di costumi ed emblemi persiani. E
pur vero che egli aveva un sacro rispetto di Ciro II e della sua tomba a Pasar
gade, visitandola e restaurandola2 così come era fervente custode della tra
,
7. Liv. I X 1 7- 1 9.
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
dro è il folle figlio di Filippo, di Pella: solo un brigante fortunato, a cui poi
il destino si è rivoltato vendicando il mondo. Con la sua spada ha seminato
strage tra tutte le genti dell'Asia, insanguinando l'Eufrate e il Gange; egli
è <<una sventura fatale per il mondo, un fulmine in grado di abbattersi in
modo uguale su tutti i popoli e un astro infausto per le genti>> 9 •
Lucano, nel suo impeto poetico, riconosce che Alessandro avrebbe rag
giunto l'Occidente seguendo la curva della terra, compiendo il giro dei due
poli, e dunque dà ragione, almeno apparentemente, agli odiati Greci deni
gratori di Roma trionfante. Ma quello del Macedone è solo uno spettaco
lo di dominio destinato a finire con lui, se è vero che egli con la sua morte
<<portò con sé il potere con lo stesso egoismo con cui aveva conquistato
tutto il mondo e, visto che non lasciò alcun erede della sua potenza, fece sì
che le città si straziassero tra loro>> 10 • Unica consolazione, quasi sotto trac
cia per chi ne esalta le conquiste, il fatto che l'imperium Romanum arriva
a settentrione e tiene soggette le regioni occidentali e meridionali, ma in
Oriente è e sarà sempre inferiore al signore degli Arsacidi, la dinastia a capo
dell'impero partico: <<La regione dei Parti, funesta ai Crassi, fu una quieta
provincia della piccola Pella>> u .
Alessandro, il signore del mondo, viene dunque ricondotto alle sue ori
gini, a quella piccola Pella che egli non rivide mai dopo il 336, negli anni
vorticosi delle sue conquiste. Una Pella ritornata a essere oscura come alle
origini, e misconosciuta anche dagli stessi Greci, ostinatamente orgogliosi
di ben altri modelli, culturali prima ancora che politico-militari. Così ri
corda opportunamente Elio Aristide, in piena età della Seconda sofistica
(1 1 secolo d.C.):
Nessuno mostrerebbe fervore patriottico per Pella o Ege, se fossero la sua patria,
mentre tutti i Greci desidererebbero essere nati ad Atene piuttosto che essere cit
tadini della loro polis 1 2 •
Tolemeo, per schernire l' ignoranza di un maestro, gli chiese chi fosse il padre di
Peleo; e quello rispose: << Se tu prima mi dirai chi era quello di Lago>> . Il frizzo
riguardava gli oscuri natali del re e tutti si sdegnarono per quelle parole sconve
nienti e inopportune, ma Tolemeo replicò: << Se non è da re il sopportare di essere
schernito, non lo è neppure il beffeggiare >> 1
•
co, come i Cilliri a Siracusa, i Mariandini ad Eraclea Pontica e gli Iloti nel
mondo spartano) 5 •
Viste queste lunghe premesse, non sorprende dunque che Tolemeo I
potesse essere oggetto di maldicenze. Il luogo di Plutarco si appunta solo
sugli oscuri natali di Lago, ed è confermato da un passo di Giustino, epito
matore delle Storiefilippiche di Pompeo Trogo, in cui si afferma che Ales
sandro aveva preso a cuore le vicende di Tolemeo per la sua virtù, lui che
prima era solo un gregarius miles: un soldato semplice o poco più quindi,
altro che un rampollo di nobile famiglia macedone ! 6
Le cose si complicano quando entra in ballo la madre di Tolemeo e
moglie di Lago, Arsinoe I, vittima o (maliziosamente?) partecipe degli ap
petiti sessuale di Filippo I I. È ben noto, infatti, che il padre di Alessandro
era un instancabile, se non implacabile tombeur defemmes. La tradizione gli
attribuisce sette tra mogli e concubine: Audata, Fila, Nicesipoli, Filinna,
Olimpiade, Meda, Euridice Cleopatra. Unioni spesso d'interesse, tranne
l'ultima: una fanciulla appena in fiore di cui Filippo si innamorò follemen
te, ritenuta causa di rovina per il maturo consorte, come chiosa caustica
mente l'informatissimo biografo ellenistico Satiro7.
Secondo una tradizione diffusa, Filippo I I indulse al suo vizio preferito
anche con Arsinoe. Le fonti sono chiare, anche se non concordano sui det
tagli, e soprattutto su come fosse articolato l'inevitabile gioco delle parti.
Pausania il Periegeta afferma infatti che i Macedoni <<ritengono Tolemeo
solo di nome figlio di Lago, in realtà figlio di Filippo a sua volta figlio di
Aminta>> 8 • E specifica che Filippo diede Arsinoe a Lago in moglie, quando
costei era già incinta. Il fedele Lago dunque si sarebbe prestato a un matri
monio riparatore, come un personaggio pirandelliano.
Curzio Rufo, dal canto suo, scrive che nel 325, al séguito di Alessandro
Magno, Tolemeo rimase ferito a una spalla durante uno scontro ad Har
matelia in India, cosa che suscitò la preoccupazione del sovrano macedo
ne. Aggiunge, a mo' di spiegazione, che Alessandro era vincolato a lui da
legami di sangue: << alcuni ritenevano che suo padre fosse Filippo. Per cer
to si sapeva che era nato da una sua concubina>> 9 • Segue un vero e proprio
elogio del futuro sovrano d'Egitto, in cui spiccano le sue qualità, belliche
e non. Il prosieguo, che risale a uno storico immaginifico quale fu Clitarco
40
3 . UN PADRE C OME SI DE VE P E R TOLE ME O I
41
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
42
3 . UN PADRE C OME SI DE VE P E R TOLE ME O I
dopo il 323. Nei giorni caldi, sotto tutti i punti di vista, di Babilonia dopo
la morte di Alessandro, in cui i diadochi si confrontavano tra loro aperta
mente, nessuna allusione è fatta alla presunta discendenza di Tolemeo da
Filippo, motivo che poteva costituire senz'altro un'arma importante. Pe
raltro anche a doppio taglio: si sarebbe pur sempre trattato di un figlio na
turale, anche se è vero che venne proclamato re il figlio minorato mentale,
Ar(r)ideo, ribattezzato appunto per l'occasione Filippo. Rimaneva infatti
incerto il sesso del futuro nascituro di Rossane, moglie di Alessandro, figlio
che poi sarebbe diventato Alessandro IV.
Una possibilità potrebbe essere quella di collegare il rumor al periodo
in cui Tolemeo divenne re d'Egitto, indossando il diadema: ovvero dopo la
perduta battaglia di Salamina del 30 6 /305, seguendo obtorto collo l'esempio
degli odiati Antigono Monoftalmo e Demetrio Poliorcete, ed è questa la
soluzione preferita dai più. Ma, come si è visto, è bene scindere il racconto
di Giustino e Pausania da quello di Eliano, e ancor più dal riferimento in
Curzio Rufo, che dipende in buona misura da Clitarco.
Certo è che le fonti (Pausania e Curzio Rufo) sottolineano che tale
voce era diffusa in Macedonia, e non in Egitto. E quindi doveva essere un
tema valido soprattutto per la nobiltà locale, ancora legata alla memoria
di Filippo I I, piuttosto che fatto valere alla corte di Alessandria ( Collins,
1 9 9 7 ) . Se così è, dovremmo ritenere che possa essere stato utilizzato da un
sovrano alla ricerca di legittimazione, come Tolemeo Cerauno, figlio ripu
diato di Tolemeo I (frutto delle sue nozze con Euridice) a tutto vantaggio
di Tolemeo 1 1 (nato dall'unione con Berenice 1 ) , e sovrano di Macedonia
per breve tempo, prima della dirompente invasione celtica (28 1 -279 ) . Un
re dunque effimero, sul cui soprannome (Cerauno, "folgore") la tradizio
ne gioca in modo ambiguo: secondo Pausania era chiamato così perché
era sempre pronto ad osare, il che potrebbe anche essere interpretato in
senso non necessariamente negativo (memento audere semper, secondo il
noto motto dannunziano), mentre per Memnone è indizio della stoltezza
e dell'avventatezza del personaggio1 7• Ma che la tradizione non abbia ben
chiaro il senso del soprannome (che peraltro potrebbe anche essere inteso
in rapporto a Zeus, dal momento che Cerauno è una sua epiclesi) è testi
moniato dal fatto che l'altrettanto effimero sovrano seleucide Seleuco 1 1 1 è
noto anch'egli come Cerauno perché ritenuto ondivago e incapace di eser
citare il controllo dell'esercito (Muccioli 2 0 1 3, pp. 1 5 3- 5 ) .
1 7. Paus. I 1 6, 2 ; cfr. x 19, 7 ; Memn., FGrHist/BNJ 434 F 5, 6 . Cfr. App., Syr. 62, 330.
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
44
4
Le mo gli dei diadochi sono al di sop ra
di o gni sosp etto ?
Gli uomini sono soliti incorrere in molte disgrazie a causa dell'amore. Lisimaco
infatti, quando era già in età avanzata e veniva considerato fortunato per i figli, e
Agatocle aveva già della prole da Lisandra, sposò Arsinoe, sorella di Lisandra. Si
dice dunque che questa Arsinoe, temendo che i propri figli non dovessero essere
alla morte di Lisimaco soggetti ad Agatocle, abbia tramato per causa loro alla vita
di quest 'ultimo. Si è pure scritto che Arsinoe si fosse innamorata di Agatocle, ma
che, non essendo riuscita nel suo intento, macchinasse la sua morte. Dicono an
che che Lisimaco in un secondo momento abbia avuto coscienza di quanto avesse
osato fare la moglie, ma che non potesse farci ormai più nulla, essendo rimasto
completamente privo di amici 1 •
Altre fonti si spingono più in là, dipingendo Lisimaco come un sovrano or
mai completamente manovrato dalla moglie Arsinoe I I e quindi artefice lui
stesso della morte (per avvelenamento) del figlio, Agatocle. Effettivamen
te, nel racconto di Pausania, Arsinoe figura come una giovane matrigna o la
sorellastra cattiva delle favole che trama contro la dolce fanciulla innocente
e l'armonia di corte. Se Demetrio poteva permettersi di ironizzare pesan
temente sulla virtù di Arsinoe-Penelope, allora moglie di Lisimaco, in ri
sposta alle battute sulla sua adorata etera Lamia, anche altri non lesinavano
critiche alla regina figlia di Tolemeo I e Berenice, a costo della vita:
E appunto fece bene il re Lisimaco - aggiunse Mirtilo - che si adirò perché era
spesso oggetto di motteggi da parte di persone di questo tipo : una volta infatti
Telesforo, uno dei suoi ufficiali, durante un simposio fece una battuta su Arsinoe
(la moglie di Lisimaco) , dicendo che era "vomitevole", e citò questo verso : << Fai
male a far entrare questa donna vomitevole >> . Quando Lisimaco sentì, lo fece rin
chiudere in una gabbia e portare in giro a nutrire come una bestia; poi dopo questa
punizione lo fece morire 2 •
So per sentito dire che un' infinità di persone è piombata nelle più gravi sventure
per non aver saputo tenere a freno la lingua. Tralasciando gli altri, mi limiterò a
menzionare uno o due casi, a mo ' di esempio. Quando il Philadelphos [scii. Tole
meo 11] sposò la sorella Arsinoe, Sotade gli disse : << Tu spingi il pungolo in un foro
47
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
proibito >> . Così marcì molti anni in prigione, pagando il non biasimevole fio di
un parlare inopportuno, e per far ridere gli altri finì lui per piangere a lungo S .
4 ()
5
La chiocciola di Demetrio del Falero
<< Il tempo è un galantuomo, rimette a posto tutte le cose >> , secondo un no
to aforisma di Voltaire. Ma non sempre è vero, e soprattutto non nel caso
di Demetrio del Falero. Politico, oratore, filosofo, ovvero l'intellettuale più
bistrattato dalla storia, e al quale invece la cultura europea deve molto. An
zi, la cultura globale, quella che pretende di racchiudere in una biblioteca,
virtuale o cartacea, tutto lo scibile del mondo, dato che fu lui il massimo
consigliere e ispiratore del progetto di Tolemeo I di creare una biblioteca
universale ad Alessandria, a cui si aggiunse il Museo, laboratorio e casa co
mune di artisti e letterati di prim'ordine, ancorché litigiosi e pieni di invi
die reciproche.
Ammettiamo pure, quasi per assurdo e seguendo una tradizione infi
da, che Demetrio sia nato schiavo in casa di T imoteo, e che poi si sia fatto
da sé, come molti protagonisti della storia greca. Comunque sia, era pur
sempre discepolo di Aristotele. Per essere più precisi, uno dei principali e
migliori allievi del maestro di Stagira, e per di più ateniese doc, a differenza
dell'amico Teofrasto, originario di Ereso nell'isola di Lesbo. Un Ateniese
originario della baia del Falera, attivo in città nel periodo forse più contro
verso e affascinante della storia ateniese, quello tra la morte di Alessandro
Magno e la democrazia radicale che prese il potere nel 307 grazie a Deme
trio Poliorcete e vi rimase fino alla battaglia di Ipso, scontro che segnò la
morte di Antigono Monoftalmo e l'eclissi temporanea del figlio Demetrio
(estate 301). È in quel periodo che scoppiarono tutte le contraddizioni e le
tensioni covate per anni e che divisero la città in fazioni, che sarebbe sem
plicistico etichettare come filomacedoni e antimacedoni. Una stagione di
lunghi coltelli, in cui anche l'alleato momentaneo diventava un avversario
dall'oggi al domani, un nemico se non da uccidere, almeno da esiliare. Una
stagione gloriosa e sfortunata, se intesa dal punto di vista ateniese (che poi
è quello, tutto soggettivo, che è spesso proposto nella manualistica): Iperi
de e Demostene tentarono infatti una velleitaria e infelice ribellione contro
5 . LA CHIOCCIOLA DI DE ME TRIO DEL FALE RO
i Macedoni (la cosiddetta guerra lamiaca, nota agli inizi come guerra elle
nica), soffocata nel sangue e che diede luogo a un regime timocratico im
posto da Antipatro ( 3 22 / 3 2 1 - 3 1 9 /3 1 8 ) e guidato da Focione, soprannomi
nato Chrestos ("onesto"), a cui fece séguito una brevissima stagione demo
cratica, prima dell'avvento nel 3 1 7 di Demetrio del Falera, "curatore della
città'' sotto l'egida di Cassandra.
A differenza di un altro momento chiave di Atene, quello tra il 4 1 1 e la
caduta dei Trenta T iranni nel 40 3 / 40 2, nello scorcio finale del IV secolo il
problema non era tanto e non solo decidere quale fosse il regime politico più
appropriato, nel rispetto della patrios politeia ("costituzione patrià'), anche
se era un tema ben presente e sbandierato dalla pubblicistica. Ben cinque
peraltro se ne contarono tra il 323 e il 307. Un numero indicativo e per taluni
addirittura spropositato, dato che, dalle origini ai tempi di Aristotele e della
Costituzione degli Ateniesi a lui attribuita (redatta forse tra il 3 29 / 3 28 e il 3 2 2,
anno della morte del filosofo), se ne annoverarono undici. Sicuramente il
buon Stagirita, se avesse potuto vedere tutto ciò e i mala tempora che curre
bant, ne sarebbe stato quanto meno profondamente turbato.
Il problema ad Atene, dal 3 24- 3 2 3 in poi, era capire se bisognava aprirsi
ai mutamenti, anche religiosi, ovvero rimanere ancorati alla tradizione, a
qualunque costo. E il nuovo in quel momento era rappresentato, tra l'altro,
dall'opportunità o necessità di attribuire onori divini ad Alessandro, e ono
ri eroici ai suoi uomini (Efestione, eroizzato post mortem). Un personaggio
come Demostene, ad esempio, che costituiva davvero la quintessenza della
lotta agli odiati Macedoni, nel 3 2 4- 3 23 fu accusato a torto o a ragione di
pericolose giravolte e concessioni ai desideri di Alessandro dai puristi della
lotta ad oltranza, come Iperide e Dinarco. Proprio il primo espresse nel suo
Epitafio, scritto per onorare i primi caduti della guerra lamiaca ( 3 23- 3 2 2 ) ,
l'amarezza e, fors'anche, l'incapacità degli Ateniesi di cogliere il cambia
mento epocale che stava avvenendo:
In poche parole, l 'arroganza macedone e non la forza del diritto avrebbe avuto
la meglio su ognuno, cosicché non sarebbero risparmiati a nessuno gli oltraggi
contro donne, ragazze, bambine. E questo risulta evidente anche da ciò a cui siamo
costretti ora: assistere a sacrifici in onore di uomini, vedere statue, altari e templi
dedicati agli dèi senza scrupolo religioso e invece dedicati con ogni zelo a degli
esseri umani, ed essere costretti a onorare come eroi i servi di questi. Quando le
norme religiose sono soppresse dalla temerarietà dei Macedoni, cosa bisogna pen
sare di quelle che riguardano gli uomini ? 1
Demetrio del Falero, che pure apparteneva a una scuola filosofica, quella di
Aristotele, ancorata alla tradizione (anche quella religiosa), viveva e cavalca
va, per certi aspetti, anche questo travaglio. La vita talora si diverte a mettere
i fratelli in schieramenti diversi, se non opposti. Demetrio aveva un fratello,
lmereo, che era schierato su posizioni politiche divergenti dalle sue, dato
che era un seguace di Demostene e Iperide e che come loro trovò la morte,
pagando il suo sogno di libertà antimacedone. Fu infatti ucciso da un perso
naggio che non avrebbe sfigurato nella Banda Koch, ai tempi della Repub
blica sociale italiana: Archia di Turi, già apprezzato attore tragico e noto
come Phygadotheras ("cacciatore di esuli"). Costui si divertiva a provocare
le sue vittime, come dimostra il suo rapporto con Demostene, poi oggetto
della divertita e divertente satira di Luciano nel suo Elogio di Demostene. Ma
anche lui ebbe la sua punizione, trovando la morte dopo una vita vissuta in
grande povertà e vergogna, come stigmatizza la tradizione2 •
Ciò nonostante, Demetrio era politico che amava e forse ricercava il con
senso popolare, pur in un regime di ristrettezze. Evitando misure tipica
mente demagogiche, ricorse a marchingegni di sicuro effetto, atti a susci
tare la meraviglia dei concittadini. Viene in mente la preziosa bambola
meccanica creata da Jacques de Vaucanson, oggetto del desiderio di Virgil
Oldman, protagonista del film La migliore offerta di Giuseppe Tornato
re. Demetrio, certo memore di esperimenti simili che avevano incomin
ciato a circolare nel mondo greco e che poi ebbero una certa diffusione
in età ellenistico-romana, mise in mostra qualcosa di simile nelle Dionisie
del 309 /30 8 (anno del suo arcontato). Il mezzo scelto per stupire era una
chiocciola semovente che emetteva saliva e che precedeva la processione
sacra condotta durante quell'importante festa ateniese. Una trovata ad ef
fetto, che poteva piacere o, per converso, risultare profondamente sgradita.
Pronto infatti fu lo sdegno di Democare di Leuconoe, il nipote di Demo
stene, a sua volta oggetto della feroce critica di Polibio di Megalopoli in
un passo che è un vero e proprio gioco di matrioske storiografiche (in cui
c'entra anche T imeo di Tauromenio, esule ad Atene e capace di spendere
una cattiva parola per chiunque gli capiti a tiro, immerso com'era nelle sue
malinconie occidentali).
A quest 'ultimo egli [scii. Democare a Demetrio] ha mosso nelle Storie un'accusa
di non poco conto, affermando che era stato un tale difensore della patria e si
vantava nell 'esercizio del governo di tali cose, quali quelle di cui avrebbe potuto
vantarsi anche un volgare esattore delle imposte. Dice infatti che egli era orgoglio
so del fatto che nella città venissero vendute molte merci e a buon prezzo e che per
tutti ci fossero in abbondanza i mezzi per vivere. Dice anche che una chiocciola
semovente precedeva la sua processione, sputando saliva, e insieme degli asini ve
nivano condotti attraverso il teatro, e la patria, avendo ceduto agli altri tutte le
virtù della Grecia, eseguiva gli ordini di Cassandra, e dice che egli di questo non
si vergognava. Eppure, né Demetrio né nessun altro ha detto nulla del genere di
Democare 9 •
una vita e una carriera alla corte di Tolemeo I nelle vesti di illuminato con
sigliere. Le polemiche nei suoi confronti dovevano infatti aver attraversato
il Mediterraneo, lambendo il palazzo regale del Lagide ad Alessandria.
Lo stesso Demetrio, poi, commise un errore fatale, appoggiando le pre
tese dinastiche dei figli di primo letto di Tolemeo I (in particolare Tolemeo
Cerauno, nato dall'unione con Euridice), contro quelle dell'altrettanto
rampante Tolemeo I I, nato da Berenice I e prediletto dal padre.
Comunque sia, e anche se i rapporti con Tolemeo I I furono metafori
camente burrascosi, Demetrio del Falero era uomo di mondo e sapeva che
tutto passa o è destinato a passare, senza necessariamente essere ferventi
adepti di Eraclito o strizzare l'occhio alla sapienza orientale, come peral
tro talora fanno i Peripatetici. Anche il dominio macedone, pertanto, era o
sarebbe destinato a essere effimero. Esattamente come quelli che lo aveva
no preceduto, secondo l'applicazione del canone storiografico noto come
successione degli imperi (Assiri-Medi-Persiani e, appunto, Macedoni), già
visto nel capitolo su Alessandro Magno u. I Romani nel II secolo, ormai
padroni di gran parte dell'ecumene, se ne appropriarono, tentando invano
poi di esorcizzare la fine della loro egemonia con l'invenzione dell'imma
gine di Roma aeterna.
11. F 82a Stork-van Ophuijsen-Dorandi, in Polyb. XXI X 21, 4-6; cfr. F 82b, in Diod.
XXXI I O.
6
Seduto a cavalcioni del mondo abitato
In una delle scene più famose del film Il grande dittatore (ma si potrebbe
anche definirla una delle scene più conosciute della cinematografia mon
diale) Charlie Chaplin/ Adenoyd Hynkel, parodiando le ossessioni para
noiche di Hitler, gioca con un leggero mappamondo nel suo lussuoso pa
lazzo. Sollevandolo e lanciandolo, come un bambino pieno di gioia, il ti
ranno nella sua follia si illude di poter presto avere il controllo del mondo.
L'idea di un'egemonia mondiale è antica per lo meno quanto la civiltà
umana. In ambito geopolitico, come si è appena visto, è solo dagli Assiri in
poi che si sviluppa l'idea di un grande imperium, che abbraccia dapprima
l'Asia e poi gli altri continenti (Europa, o almeno una sua porzione, e l'A
frica, ovvero l'Egitto e parte della costa settentrionale). I diadochi coltiva
vano tutti sogni di egemonia, pronti a ricalcare le orme di Alessandro. Co
sì anche per quelli apparentemente più miti o prudenti, come Tolemeo I
(Meeus, 2014) .
Ma, tra tutti, è Demetrio Poliorcete (assieme al padre Antigono Mo
noftalmo) a essere spinto nelle sue azioni da sogni ambiziosissimi e infar
citi di eccessi, che ne fanno il personaggio più fuori dalle righe (ma anche
umanamente più simpatico, almeno per i moderni) del primo Ellenismo.
Vi è un passo di Duride illuminante al riguardo, tratto da Ateneo. Nel
XXI I libro delle sue Storie, lo storico di Samo offre un interessante spaccato
delle manie di alcuni sovrani, tiranni e aspiranti monocrati dell'antichità:
era intessuto un cielo stellato, completo di astri dorati e dei dodici segni zodiacali.
Una fascia tramata di punti d 'oro stringeva una kausia di autentica porpora, e la
sciava pendere sul dorso a mo' di frange i capi del tessuto. Ad Atene, in occasione
delle feste Demetrie, si faceva ritrarre sulla parete del proscenio a cavalcioni di una
personificazione del mondo abitato 1 •
Duride accomuna figure tra loro assai lontane. Inizia citando Pausania, in
realtà "solo" reggente a Sparta per il cugino Plistarco (il figlio di quel Le
onida che si conquistò gloria imperitura alle Termopili). Un personaggio
fuori dalle righe e lontano dalle rigide regole lacedemoni, grande artefice
della vittoria a Platea nella seconda guerra persiana (479 ) , ma anche aspra
mente biasimato per essersi creato un potere personale a Bisanzio e dintor-
ni. E una critica pesante, in cui non c 'è spazio per la satira o anche la sempli-
ce ironia : Pausania andava contro le regole di Sparta, come ricorda lo stesso
Duride : non usava la tunica che portavano in ogni stagione gli Spartiati,
ma indossava la veste dei Persiani. Una concessione alla tryphe, ovvero al
lusso (a cui poi non fu estraneo lo stesso Alessandro) , che di per sé suscitava
il disprezzo di tutti i suoi conterranei, abituati al rigido programma educa
tivo di Licurgo, mitico legislatore di Sparta. Lo storico passa poi alle manie
tragiche di Dionisio I, simboleggiate da alcuni oggetti e dall 'abbigliamen
to (la sistide, la corona d 'oro e un manto da tragedia con fermaglio) : orna
menti in linea con le velleità di scrittura tragica del personaggio.
Ma gran parte dell 'attenzione è riservata a Demetrio, che si addobbava
in modo molto vistoso nelle sue apparizioni pubbliche. Già altri diadochi
erano stati affascinati dal miraggio persiano, adottando alcuni particola
ri nell 'abbigliamento (Peucesta addirittura, satrapo di Perside, si vestiva e
parlava proprio come un Persiano, quasi un precursore di Lawrence d'A
rabia) . La mise del figlio di Antigono si segnala comunque per caratteristi
che ben precise. Anzitutto, la porpora, colore regale e predominante, tanto
nei suoi preziosi stivaletti quanto nelle clamidi e nel copricapo tipicamente
macedone, la kausia. Una kausia che deve essere diadematophoros, ovvero
cinta dal diadema, fascia introdotta da Alessandro e mutuata dai Persiani
(ma l 'origine è controversa) . Diadema e porpora, dunque, simboli per ec
cellenza di una regalità intrinsecamente diversa da quella arcaica e classica,
ostentata e, anzi, teatralizzata.
Ciò emerge in modo vistoso durante le Dionisie ateniesi, ribattezzate
Demetrie. Sull 'intera parete spiccava l 'immagine di Demetrio a cavalcio-
ni del mondo abitato, in modo che tutti gli spettatori potessero vederlo.
Il passo di Duride trova un echeggiamento in Plutarco, dove figura la me
desima descrizione del vestiario. Il biografo aggiunge che Demetrio ebbe
a lungo in preparazione un superbo mantello, con l'immagine del cosmo
e dei corpi celesti. Una tela di Penelope, ovvero una sorta di corredo che
tuttavia nessun re macedone in séguito seppe completare, specifica con un
velo d'ironia Plutarco. E ciò nonostante diversi sovrani avessero cercato di
proseguire la politica imperialistica che traspare da queste immagini di De
metrio, signore del cosmo. Il dinasta si fece anche effigiare come un novello
Posidone in una rara coniazione: armato di tridente poggia con un piede
non già su un masso, bensì su un vero e proprio globo2..
Tutto ciò appartiene al periodo in cui egli divenne re di Macedonia
(294-28 7 ) , ma già da tempo gli Ateniesi avevano recepito le ambizioni
dell'Antigonide, ossequiando lui e suo padre Antigono, dopo la liberazione
da Demetrio del Falero, nel periodo 307- 3 01. Elargirono fin troppo genero
samente onori divini (sotto la regìa di Stratocle, come si vedrà nel CAP. 7),
che parevano eccessivi a molti contemporanei e anche alle fonti successive.
Famoso è il reiterato sdegno di Plutarco nella Vita di Demetrio, che non
risparmia descrizioni accurate, pur con qualche imprecisione e fraintendi
menti, stigmatizzando la perversa ambizione del protagonista e quella che
considera un'adulazione senza ritegno degli Ateniesi: il biografo accoppia
l'Antigonide ad Antonio, fermamente convinto che anche i paradigmi ne
gativi forniscano un utile ammaestramento morale.
Gli Ateniesi, tra l'altro, intonarono un itifallo in onore del re, ali'epoca
del suo ritorno dalle nozze a Corcira con Lanassa, figlia di Agatocle (nel
29 1 o 29 0) e poco prima di un'inconcludente campagna contro gli Etoli.
In una processione in cui era portato un fallo, Demetrio fu accolto e cele
brato come dio manifesto e benefattore. Se gli dèi tradizionali non ascol
tavano più le preghiere, ormai sordi o abituati a vivere in un'altra dimen
sione (come sottolinea anche Epicuro), Demetrio era pronto a soddisfare
ogni richiesta. Egli è paragonato al sole e gli uomini del suo séguito sono
considerati come satelliti che ruotano attorno a lui 3 • Nei versi dell'itifallo
il dinasta è presentato come un sovrano affabile e sorridente. Non si tratta
in questo caso soltanto di mera adulazione, perché è tangibile il cambia
mento di mentalità nel mondo greco tra IV e I I I secolo, ma è comunque
60
6 . SEDUTO A CAVALCIONI DE L MONDO A BITATO
una fiducia assai mal riposta. Infatti Plutarco, che non cita né mostra ap
parentemente di conoscere i versi degli Ateniesi, afferma che Demetrio era
scostante, difficile da avvicinare ovvero aspro e duro con gli interlocutori 4 •
A fronte di questa rappresentazione positiva dei versi dell'itifallo, par
ticolarmente violenta è la tradizione ostile, pronta a usare tutti i toni della
critica, dall'ironia al sarcasmo. A dire il vero, Demetrio viveva una conti
nua commedia, che poi si trasformava in tragedia, come ben chiosa ancora
una volta Plutarco nella sua biografia del personaggio, mettendo in pubbli
co, se non addirittura ostentando, virtù e soprattutto vizi. Non c'è dunque
bisogno di evocare per lui il detto hegeliano, secondo cui << nessuno è un
grande uomo per il suo cameriere>> .
Il dinasta è oggetto del gossip più sfrenato. Già riguardo ai suoi natali,
Plutarco ricorda la diceria secondo la quale Demetrio Poliorcete non era
davvero figlio di Antigono, ma del fratello di costui.
Ma a parte ciò, sono soprattutto i suoi amori e i suoi legami a suscitare
l'ironia della Commedia e della poesia. Diverse le mogli ufficiali, a comin
ciare da Fila, attempata figlia di Antipatro (cfr. infra, CAP. 11) e per questo
disdegnata dal ben più giovane marito Demetrio, per continuare poi con
l'ateniese Euridice (o, meglio, Eutidice), discendente di Milziade (il vincito
re di Maratona nel 490 !) e già moglie di Ofella, signore di Cirene; l'elenco
prosegue con Deidamia, sorella di Pirro e la già ricordata Lanassa.
Come e forse più di Filippo I I, le fonti sottolineano la "dedizione" del
dinasta verso il gentil sesso: "il sovrano che amava le donne", si potrebbe
dire parafrasando il titolo di un film di Truffaut. Tutte le mogli sono eufe
misticamente trascurate a favore di amori e passioni fugaci, senza che venga
operata alcuna selezione tra donne libere ed etere. Poco importa peraltro
se vengano salvate le apparenze e venga eretto nel demo attico di Tria, per
volontà di Adimanto di Lampsaco e della sua cerchia, un tempio a Fila,
onorata come Afrodite Fila5 •
Ma sono le amanti fisse, anch'esse assimilate ad Afrodite dagli Ateniesi,
quelle su cui si appunta l'attenzione e viene cosparso il sale dell'ironia dai
detrattori: Lamia, virtuosa dell 'aulos (una sorta di flauto o, meglio, oboe a
due canne: la professione della suonatrice di aulos è spesso associata a quella
della prostituta), Leena e molte altre ancora, come ricorda Ateneo 6 • Il quale
poi continua a disquisire sulle etere riportando un lungo passo degli Aned
doti di Macone, vissuto probabilmente all'epoca dei primi due Tolemei. Il
che ci permette di affermare che Demetrio era personaggio su cui si rumo
reggiò per lungo tempo, anche dopo la sua morte ad Apamea nel 283, e le
sue gesta, pure quelle antifrastiche al comune sentire, venivano additate ad
esempio o erano oggetto di divertita e piccante ironia.
Nel luogo il poeta si dilunga sulle doti geometrico-amatorie di Leena,
degna anticipatrice del Kamasutra ( <<una certa figura sapeva fare>> ) e della
stessa Lamia, che ripiegava invece su pose forse più convenzionali ma non
meno redditizie ( <<un dì con gran sapienza al re stava in arcione>> ). Scio
rina poi aneddoti e facezie di grana alquanto grossa di cui si sarebbe reso
responsabile il condottiero nei confronti della stessa Lamia (oggetto dei
lazzi reciproci era l'olezzo proveniente dalle parti intime del Poliorcete, co
me viene precisato maliziosamente). Non si può comunque chiedere a un
generale di essere anche un fine battutista, come ben sapeva Cleopatra VII ,
alle prese con il rude Marco Antonio e il suo umorismo da caserma.
Gli stessi personaggi femminili figurano anche nella biografia di Plu
tarco, che aggiunge altri nomi di cortigiane (Criside, Anticira, Demò). Di
versi i toni che si alternano nel corso delle pagine, e tra questi anche quelli
umoristici, a proposito di aneddoti più o meno salaci o piccanti dai contor
ni storici malcerti (Wheatley, 2004) . Il primo di questi, che generalmen
te si ascrive a Duride di Samo, riguarda Cratesipoli, chiaro nome parlante
("Prendicittà"), già moglie di Alessandro figlio di Poliperconte, personag
gio lodato per le sue qualità di benefattrice, l'intelligenza e il coraggio da
Diodoro, sulla scorta di Ieronimo di Cardia, storico legato alla famiglia
degli Antigonidi7, e di cui viene magnificata la bellezza dal biografo. Co
stei era pronta ad avere un proficuo téte a téte con Demetrio a Patre. Se si
considera che Demetrio all'epoca si trovava a Megara, circa 15 0 km ad est,
doveva essere davvero un richiamo degno delle Sirene, a meno di pensare,
più semplicemente, che il figlio di Antigono fosse a pochi chilometri di di
stanza (e dunque bisognerebbe leggere Paghe invece di Patre). Incontro che
non passò inosservato ad alcuni avversari, legati al nemico giurato: Cassan
dra, figlio di Antipatro e signore di Macedonia. Non sappiamo purtroppo
nulla del prosieguo, ma il finale è davvero degno di una pochade: Deme
trio, spaventato dall'imminente pericolo, scappò ricoperto di un semplice
mantello, evitando la più vergognosa delle catture8 • Come si suol dire, il re
7. Diod. XIX 6 7, 1 - 2.
8. Plut., Demetr. 9, 5- 7.
6. SEDUTO A CAVALCIONI DE L MONDO A BITATO
è nudo (o quasi). Questa fuga repentina piacque a Kavafis, che nel suo Il re
Demetrio se ne ricordò, mescolando però i dati della storia e riferendola alla
ritirata del sovrano nel 287, di fronte alle truppe di Pirro:
Soffici letti, dure battaglie. Demetrio era sovrano che sapeva perfetta
mente scindere l'ambito erotico da quello bellico, e quando bisognava com
battere non vi era Sirena che tenesse, giovane o attempata che fosse. Anzi,
durante le guerre egli era sobrio proprio come chi è temperante per naturaII .
Plutarco ricorda inoltre che dileggiava chi chiamava re chiunque altro
tranne lui stesso e il padre Antigono: una caratteristica condivisa anche dal
figlio Antigono Gonata, pronto a canzonare l'avventatezza in battaglia del
suo antagonista Pirro, pur riconoscendone il valore1 2 •
Le battute piacevano anche a Demetrio Poliorcete, come scrive Filarco nel \'I libro
delle Storie. Demetrio diceva tra l'altro che la corte di Lisimaco non era per niente
diversa da una scena di commedia, perché tutti i personaggi che vi comparivano
avevano nomi di due sillabe ; intendeva con questo prendere in giro Biti e Pari
de [ in greco Paris ] , che erano tenuti in gran conto da Lisimaco, ed altri amici di
costui. Invece la sua corte era frequentata dai vari Peucesta, Menelao, e persino
Ossitemide. Venuto a conoscenza della battuta, Lisimaco ribatté : << Da parte mia
non ho mai visto una puttana comparire su una scena di tragedia >> , alludendo a
Lamia, la nota suonatrice d ' aulos. Quando gli fu riferita la frecciata, a sua volta
Demetrio replicò : << Ma la puttana che sta a casa mia fa una vita più onesta che la
sua Penelope >> 1 4 •
Secondo questa descrizione a tinte forti, il re, che come si è detto era peren
nemente sulla scena, si circondava dunque di personaggi con nomi altiso
nanti propri della Tragedia (Peucesta, Menelao, Ossitemide), a differenza
degli amici di Lisimaco, che avevano invece nomi bisillabici, proprio come
di norma usano i servi. Pesante l'ironia nei confronti di Arsinoe I I, alla qua
le molto si può imputare (come avvenne, successivamente, in occasione del
matrimonio in terze nozze con il fratello germano Tolemeo 11) ma che all'e
poca doveva essere di specchiata moralità. Casomai ombre possono essere
gettate sul suo rapporto con il figlio di primo letto di Lisimaco, Agatocle.
Si profila dunque uno scambio acceso di battute tra Demetrio e Lisi
maco, con allusioni che riguardavano la sfera sessuale, la corte e forse anche
quello che costituisce un Leitmotiv del buon re ellenistico (la capacità di
essere un sovrano in armi, pronto a difendere e a conquistare nuovi territori
con la sua lancia: principio della doriktetos chora ). Il figlio di Antigono si è
ritagliato uno spazio importante nella tradizione e rivitalizzazione dell'an-
Vi sono politici che vivono solo in funzione di sovrani potenti, tanto più in
età ellenistica. Antigono Monoftalmo e Demetrio Poliorcete furono tra i
primi a circondarsi di una serie di philoi, termine da intendersi in senso per
sonale e, progressivamente, tecnico (secondo una scala gerarchica nella tito
latura aulica che verrà ampliata e ramificata sotto i Tolemei e i Seleucidi, per
diffondersi anche in altre dinastie). Tutti o quasi persone degnissime, se non
addirittura figure rilevanti in patria. A cominciare da Adimanto di Lampsa
co: uno degli uomini più famosi della sua città, insieme al logografo Carone,
allo storico e retore Anassimene, al filosofo epicureo Metrodoro. Tanto illu
stre che gli venne affidata una delle tre copie del testamento del peripatetico
Teofrasto1 Eppure lui, come diversi altri personaggi ( Ossitemide, Burico,
•
66
7. IL RE E IL P OLITICO .. B U F FONE
ritrova negli anni caldissimi della guerra lamiaca (in cui i Greci si opposero
ai diadochi subito dopo la morte di Alessandro Magno), presumibilmente
schierato sulle posizioni di Iperide. Quando la flotta ateniese perse la deci
siva battaglia ad Amorgo nel 322 ad opera di Clito, egli anticipò i messag
geri, attraversando a cavallo il Ceramico con il capo incoronato e propa
lando una notizia diametralmente opposta alla realtà: annunciò la vittoria
proponendo sacrifici e facendo una distribuzione di carne per tribù. Carne
quanto mai indigesta, visto che ben presto la verità venne a galla, con la
sconfitta ateniese. Ma anche in quel frangente emersero le qualità di retore
di Stratocle, in grado di far fronte al popolo in preda all'ira3 •
Poi divenne un fantasma, nella vita politica ateniese e nel verticoso suc
cedersi degli eventi e dei cambiamenti costituzionali tra il 322/321 e il 307.
Figura infatti tangibilmente solo con la democrazia instaurata grazie all'in
tervento manu militari di Demetrio Poliorcete, con l'allontanamento di
Demetrio del Falera nel giugno del 307. Un governo considerato per lo più
solo come un regime fantoccio, manovrato dagli Antigonidi e di cui Stra
tocle era il più chiassoso corifeo. A torto, almeno in parte.
A favore del personaggio parlano i fatti, vale a dire le iscrizioni, integre
o mutile che siano. Infatti nel periodo tra il 307 e il 301 egli fu il proponen
te di un numero spropositato di decreti presso l'assemblea ateniese, integri
o mutili, come mai nessun altro nella politica ateniese e, oseremmo dire,
nella storia di altri regimi democratici. Una capacità di indirizzare, se non
di "addomesticare" il demos quasi superiore a quella di Pericle, o di altri po-
68
7. IL RE E IL P OLITICO .. B U F FONE
Nel passo si allude, tra l'altro, alle immagini di Antigono e Demetrio rica
mate insieme a quelle delle divinità, per volontà di Stratocle, nel peplo che
veniva mostrato ad Atene durante la festa delle Panatenee; peplo che ap
punto era stato lacerato a metà da un turbine durante la processione 11 L'e •
La ricerca della vera democrazia divenne così la ricerca del sacro Graal,
animando la passione politica di molti personaggi e le loro vicende perso
nali e pubbliche, e si ritrovò poi anche in Callia di Sfetto, protagonista ad
Atene di qualche anno più tardi, quando la città era in sospeso tra nuove
forme di tirannide (Lacare) e ritorni di fiamma con Demetrio Poliorcete.
Filippide, come molti altri prima di lui, (tra i quali, come si è visto,
Iperide nel suo Epitaflo per i caduti nella guerra lamiaca), non si accorgeva
però che i tempi, come cantava Dylan, stavano cambiando. E che dunque
nelle dinamiche tra sovrano e città la concessione di onori divini, per cui
Stratocle era così pesantemente vituperato, era ormai una delle carte a cui
l ' élite o la democrazia civica doveva ricorrere, per ottenere o mantenere
buoni rapporti con i re emergenti.
Lo stesso Filippide, pronto a stigmatizzare le concessioni di Stratocle
nei confronti di Demetrio, non era certo una verginella pudica e inesper
ta di come va il mondo, anche se viene ritenuto personaggio lontano dalla
petulanza e dalla vile cortigianeria sempre da Plutarco. Il biografo si di
verte infatti a contrapporre l'uomo della tribuna (Stratocle) all'uomo del
palcoscenico (appunto Filippide). Quest'ultimo era legato a Lisimaco e,
precisa sempre doviziosamente Plutarco, <<grazie a lui gli Ateniesi ricevet
tero molti benefici dal re>> a cui fece séguito, come contraccambio, una
corona d'oro conferita al sovrano. Apice del successo di Filippide, non nel
teatro di Dioniso ma nell'assemblea della Pnice, è il decreto in suo onore
del 283/ 282 1 3 •
1 1. Plut., Demetr. 10, 5 ; 12, 3 (e 5 per l'azione distruttiva del gelo) ; Diod. xx 46, 2.
12. Rispettivamente, IG 11 3 1, 8 7 7, IL 48-50 e [Pluc.], x orat. vitae 851f.
13. JG 11 3 I , 8 77.
70
7. IL RE E IL P OLITICO .. B U F FONE
<<Rapide come uccelli>> ricorda l'Iliade (11 764), ma qui non si tratta come
nel poema omerico delle cavalle di Eumelo, le migliori dell'esercito acheo.
A sgombrare ogni dubbio, oltre al sostantivo, è il doppio senso dell'aggetti
vo thaumatopoioi, generalmente e più innocentemente usato per i giochi di
prestigio con cui si allietavano i banchetti. La sfera sessuale, come si è ripe
tutamente visto, è campo prediletto per la parodia. E anche Stratocle non
era esente da pesanti allusioni, oltre alle sue preferenze per le giocolerie (si
presume sessuali) di abili fanciulle. Del resto, un uomo di potere e di suc
cesso è più facile alle lusinghe femminili. Le fonti antiche, evidentemente
imbeccate dalla pubblicistica coeva (Filippide, ancora lui !), si dilungano
sull'etera Filacio, con cui Stratocle conviveva. Un'etera che non sfuggì ai
14. Athen. Iv· 135b-c, 137 c, qui citati (cfr. Suppi. Hell. 534, pp. 259-66).
15. Od. X 218; Il. XXIV" 724.
16. Plut., Demetr. 11, 3.
71
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
soprannomi della Commedia, visto che è nota, con ogni probabilità, come
"Mal d'occhi" o "Abbaglio", e ad altre pungenti insinuazioni. L'informa
tissimo Gorgia (11 secolo) nel suo scritto intitolato Sulle etere precisa che
costei si concedeva al primo venuto, per la modica cifra di due dracme 1 7•
Come nella Repubblica di Salò, in cui il Consiglio dei ministri continuò
a disquisire fino al 21 aprile del 194 5, con gli Alleati che bussavano già alle
porte, anche Stratocle era attivo ancora nell'estate del 301, sempre pronto a
indirizzare e a manipolare l'assemblea, magari in modo più cauto e in attesa
degli eventi, come dimostra la documentazione epigrafica di quel periodo.
L'ultimo atto ufficiale a lui attribuibile è /G 11 2 640, un decreto mutilo, pre
sentato circa un mese dopo la battaglia di Ipso in Frigia (agosto 301).
Dopo quello scontro decisivo, esiziale per gli Antigonidi, Atene fu co
stretta a cercarsi nuovi patroni politici e dunque a scendere a patti con quelli
che fino a poco prima erano odiati nemici, come Cassandra. E così in IG 11 3
1, 844, del 299/298, si decise di onorare un certo Posidippo, che aveva parte
cipato a una (inutile dirlo, delicata) ambasceria presso il figlio di Antipatro.
La città non poté comunque sottrarsi a pericolose derive autoritarie, come
quella di Lacare (ca. 299-295), avversato ferocemente da Pausania, e da lui
considerato il tiranno più crudele nei confronti degli uomini e il più empio
verso gli dèi 1 8 •
Ma la vita è una ruota che gira, spesso vorticosamente, ed emersero ben
presto nuovi politici, come Olimpiodoro (esaltato in modo quasi imbaraz
zante dallo stesso Pausania, e puntualmente ignorato invece dalle altre fonti
letterarie). Quando Atene si liberò della tirannide e Demetrio recuperò po
sizioni, diventando, finalmente, re di Macedonia (294), ecco che riaffiorò
dal suo cono d'ombra Stratocle, quasi chiamato a un'ultima recita sul pro
scenio dell'assemblea ateniese, dopo anni di forzato silenzio. Lo vediamo
infatti artefice di un decreto del 293/292, in onore di Filippide di Peania
(solo omonimo del precedente Filippide), benemerito nei confronti degli
Ateniesi così come lo era stato il padre1 9 • Un moderato, a quanto sembra, e,
ironia della sorte, legato a Cassandra: era, infatti, proprio colui che qualche
anno prima aveva proposto di onorare Posidippo.
72
8
La piuma di Agatocle
lui favorevole, d'altro canto molti erano i suoi detrattori, affezionati ad al
tri modelli di potere monocratico, come Timeo di Tauromenio e Duride di
Samo (pressoché suoi contemporanei, se non coetanei).
T imeo in particolare era il nemico per eccellenza, per motivi politici e
personali. Agli occhi di Polibio (che ormai guardava, pur con qualche di
stinguo, a Roma come modello politico per eccellenza), egli aveva molte
colpe, tra cui quella di esaltare eccessivamente il corinzio T imoleonte, che
dopo oscure vicende in patria (forse l'uccisione del fratello Timofane, aspi
rante tiranno) si riscattò divenendo il liberatore della Sicilia. Lodi sperti
cate per un personaggio che, obiettivamente, ha un posto nella storia assai
piccolo (nonostante le sue vicende corinzie siano state immortalate anche
da Vittorio Alfieri in un'apposita tragedia).
Comunque sia, T imeo vide in lui il degno erede del suo dinasta predi
letto, il dinomenide Gelone, il vincitore (insieme a Terone) della battaglia
di !mera nel 4 8 0 contro i Cartaginesi (l'equivalente, agli occhi dei Greci
74
8 . LA P IUMA DI AGATOCLE
Polibio ci lascia intendere che Timeo non era il solo a usare una satira
corrosiva nei confronti di Agatocle. Parallela, o forse addirittura preceden
te, vi era la stessa tradizione comica che non esitava a dileggiare Stratocle,
Democare e Demetrio Falereo. Spicca il peraltro oscuro poeta siracusano
Beoto, anch'egli espulso dalla sua città dalla ferocia di Agatocle e autore di
satire assai indigeste al dinasta.
Ne risulta un ritratto tutt'altro che edificante, tanto nell'incipit quan
to nell'explicit. Un ritratto in sospeso tra demonio e santità, che lascia per
plessi gli antichi e ancor più i moderni. Agatocle era infatti uomo capace di
giocare con le parole e con i giuramenti, come molti prima di lui, non solo
tiranni (per tutti, Lisandro di Sparta, il vero vincitore della guerra del Pelo
ponneso). Diodoro scrive che Agatocle <<disprezzò sempre i giuramenti e
la parola data, trasse la propria forza non dall'esercito che lo accompagna
va, ma dalla debolezza dei sudditi>> 3 • Rifondò Segesta, punendone gli abi
tanti e denominandola Diceopoli (città della giustizia) in cui il riferimento
alla dike è stato inteso dagli antichi, forse a torto, in senso negativo 4 , lad
dove invece taluni moderni riconoscono al dinasta una vera volontà rifor
matrice in linea con pratiche di quel periodo (cfr. De Vido, 2015 , p. 172 ) .
In tale contesto non manca neppure il coup de thédtre finale, forse uno
dei più intriganti nel panorama della regalità ellenistica, descritto sempre
da Diodoro5 • Agatocle, dopo aver consumato i pasti, era solito pulirsi i
denti per mezzo di una piuma: capitò così che, dopo aver bevuto, egli ri
chiedesse lo strumento allo schiavo Menane che, dopo averlo intriso con
una soluzione mortale, glielo riconsegnò.
Il veleno è una costante nell'età ellenistica, dalla morte di Alessandro
(ucciso con veleno raccolto nello zoccolo di una mula, secondo una diffusa
tradizione antica) fino ad Attalo I I I, Mitridate VI, Cleopatra Thea e Cleo
patra VII, e anche in questo caso assolse egregiamente al proprio compito.
Agatocle, incurante del pericolo e distratto dall'accaduto, si servì con
troppa foga della piuma fatale. Inevitabile l'avvelenamento determinato
dal contatto dell'improprio spazzolino imbevuto di siero. La morte del so
vrano avvenne così con un crescendo parossistico, degno di un film di Peter
6. Diod. xx 5 3, 3-54, 1.
7. Diod. xx 54, 1.
8 . LA P IUMA DI AGATOCLE
8. Diod. xx 6 3, 4.
9. Caec. Calact., FGrHistlBNJ 1 83 F 2, in Achen. XI 466a.
10. Diod. xx 63, 2-3 e 6.
1 1 . Diod. XXI 1 7, 4.
77
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
7g
9
Sogni e crudeltà dei tiranni,
da Apollodoro a Ieronimo
Dicono che Apollodoro sognò di essere scorticato e poi messo a bollire dagli Sci ti,
e che il suo cuore sussurrasse dalla pentola, dicendo : << Sono io per te la causa di
questo >> . E un'altra volta sognò che le sue figlie corressero in circolo attorno a lui
con il corpo che bruciava e che era avvolto dalle fiamme 1 •
Un'immagine degna dell 'Inferno dantesco, e che ben si adatta al luogo co
mune degli Sciti come il popolo crudele per eccellenza, privo di ogni pietà.
L'Apollodoro del testo è tiranno di Cassandrea, una fondazione di Cassan
dra nel 316, nata sulle ceneri di Potidea, distrutta a suo tempo nella guer
ra del Peloponneso. Colà egli riuscì a ritagliarsi un regime monocratico,
genericamente definito tirannico (ca. 279-276, secondo la cronologia tra
dizionale). Le dinamiche politiche e socio-economiche nel mondo greco
tendono a ripetersi, dall'età arcaica a quella ellenistica, per cui la presa e la
gestione del potere di Apollodoro si prestano almeno in parte al confronto
con quelle di altri tiranni di IV-I I I secolo : Eufrone di Sicione, Clearco di
Eraclea Pontica, Cherone di Pellene, Archino di Argo, Agatocle a Siracusa,
Molpagora di Cio.
Momento davvero confuso quello in cui agisce Apollodoro. Il breve re
gno di Tolemeo Cerauno (281-279) sulla Macedonia vede anche il control
lo di Cassandrea, affidata alla madre Euridice, la moglie ripudiata di Tole
meo I (dapprima la città era sotto il controllo di Arsinoe I I , sorellastra di
Tolemeo e sposa di Lisimaco, come si ricorderà, e poi di Tolemeo : un'unio-
80
9 . SOGNI E CRUDELTÀ DEI TIRANNI, DA A P OLLODORO A IE RONIMO
2. Diod. XXII 2 e 7.
81
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
6. Cic., Dedivin . I 39, 46, 53; cfr. Tim.,F GrH ist/BNJ 5 6 6 F 29; Val. Max. I 7, ext. 6.
7. Hdt. , 92 Y]; cfr. Diog. Laert. I 94.
r
tempi e alle circostanze, la palma del peggior tiranno viene variamente as
segnata. Così Livio (che attinge probabilmente a Polibio) definisce Nabide
di Sparta <<il tiranno che fu il più crudele e il più violento nei confronti dei
suoi>> I I, mentre per Pausania, come si è visto, Lacare ad Atene è la quin
tessenza di tutte le nequizie. Un giudizio isolato, per un protagonista in
negativo della storia ateniese del dopo Ipso, prima del rinnovato abbraccio
mortale con Demetrio Poliorcete.
Se il nome di Apollodoro è accostato a quello di Falaride, non manca
anche il collegamento con un altro tiranno siracusano, Dionisio I I . Plutar
co, lanciandosi in un confronto con Eupoli e i suoi strali contro gli adula
tori di Callia, sottolinea la differenza tra costoro e gli amici e famigliari di
Apollodoro, Falaride e Dionisio. Se i primi facevano male solo al ricco ate
niese (nipote di Callia I I , noto per la pace o presunta tale che porta il suo
nome con i Persiani nel 449 ca.), i secondi, attraverso il loro rispettivo si
gnore, facevano male a molti. Per questo motivo furono bastonati a morte,
torturati, bruciati, bollati come empi e maledetti 1 2 Un chiaro riferimento •
I I. Liv. xxx1,r 3 2, 3 .
1 2 . Plut., Max. cum prin c. phil. esse diss. 778e.
I 3 . Cic., Ad Att. ,r 11 1 2, 2 .
1 4. Diod. IX 1 8, 1 ; 1 9, 1 (cfr. XI I I 9 0, 4- 5 ; XIX 1 0 8, 1 ) .
9 . SOGNI E CRUDELTÀ DEI TIRANNI, DA A P OLLODORO A IE RONIMO
1 8. Polyb. V"I I 7, 2.
1 9. Baton, FGrHistlBN] 26 8 F 4, in Athen. v"I 25 1 e-f.
20. Liv. XXIV" S, 3-4.
86
9. SOGNI E CRUDELTÀ DEI TIRANNI, DA A P OLLODORO A IE RONIMO
Annibale, scrive che Ieronimo sposò una prostituta di nome Peithò, dotata
di argomenti evidentemente convincenti (peitho, "persuasione"), renden
dola regina2 3 •
Polibio classifica lo sforzo narrativo di Batone e dei "logografi" con il
verbo tragodein, ben poco elogiativo, stigmatizzando il loro indugiare su
una narrazione piena di effetti inverosimili, tipica della Tragedia, con par
ticolari assolutamente fantasiosi. Una caratteristica peraltro propria anche
di altri scrittori, come Duride e Filarco (rappresentanti, come si è già detto,
della cosiddetta storiografia tragica), e assai viva in età ellenistica, in con
trapposizione a una storiografia di stampo pragmatico, adatta a scrittori
amanti del buon senso: in altri termini, cultori del principio dell ' eikos, ov
vero del verosimile, in auge comunque da Ecateo di Mileto in poi, pur at
traverso percorsi a volte carsici.
E comunque difficile attribuire tanta crudeltà e tante stranezze a un
giovinetto, Ieronimo, al potere a Siracusa per appena due o tre anni prima
dell 'arrivo dei Romani, per cui la critica di Polibio va sottoscritta. La for
zatura nella rappresentazione del tiranno fa da contrappeso all'esaltazione
del nonno, Ierone I I, nello storico acheo e nella tradizione antica. Quest 'ul
timo è un personaggio che vantava o millantava antenati illustri, il dinome
nide Gelone, attraverso una genealogia ampiamente recepita nel mondo
greco. Si proclamava infatti suo discendente per parte di padre, mentre la
madre sarebbe stata una schiava. Un collegamento assai dubbio, tanto è ve
ro che non manca una tradizione ancora più negativa, secondo cui anche il
padre avrebbe avuto modesti natali 2 4 • Comunque sia, due figli di Ierone I I
si chiamavano Gelone e Damarata, a ricordo di una stagione illustre, legata
all 'accordo dell 'omonimo Gelone con Terone, tiranno di Agrigento e alla
vittoria di !mera del 4 8 0 contro i Cartaginesi e i loro alleati.
88
IO
Un trian golo molto edificante
go
I O . UN TRIANGOLO M OLTO E D IFICANTE
gI
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
4. Liv. xxxv· 1 5 .
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
5 . Liv. XXXV"!, 1 7, 7.
6. Polyb. xx 8.
7. Plut., Philop. 1 7, 1.
g4
I O . UN TRIANGOLO M OLTO E D I FICANTE
'
E solo in età ellenistica, a partire da Olimpiade, che le donne divennero
protagoniste, per lo più in senso negativo. Alcune sono infatti quasi dark
ladies, avvolte da un fascino di mistero e dietro le quali si sprecano i chiac
chiericci e le notazioni malevole. A ben guardare, tralasciando la propa
ganda ufficiale, che magnifica sempre le virtù femminili (in questo senso
l'apice è forse toccato nel piccolo ma culturalmente importante regno di
Commagene, nel I secolo, con ad esempio la regina Isias, di cui vi è ade
guata memoria epigrafica), non mancano però casi di regine virtuose. Due
esempi su tutti di queste autentiche, laboriose api regine: Fila, figlia del dia
doco Antipatro e moglie dapprima di Cratero e poi del ben più impegnati
vo Demetrio Poliorcete, e, tra I I I e I I secolo, Apollonide di Cizico, moglie
di Attalo I di Pergamo.
Secondo Diodoro Siculo, che forse attinge a Ieronimo di Cardia, la pri
ma, fedele consigliera del peraltro già saggio padre, brillava per intelligenza
e capacità di trattare con le truppe ed era davvero una benefattrice nei con
fronti degli indigenti e di coloro che erano ingiustamente accusati1 Ma la
•
sua virtù spicca ancor più nei confronti del marito Demetrio, più giovane
di lei e fedifrago impenitente (oltre che cultore della poligamia, come spes
so capita nella regalità macedone ; cfr. supra, CAP. 6). Incurante di tutto ciò
e sempre al suo fianco anche nei frangenti più importanti, angosciata della
sorte dell'Antigonide, quando costui ritornò ad essere un privato cittadino
dopo aver perso il regno di Macedonia (287 ), rinunciò ad ogni speranza e
ripugnò la sorte di Demetrio, davvero più salda nella cattiva fortuna che in
quella buona. Perciò scelse un'uscita di scena degna delle propensioni tea
trali del marito. Come un'eroina tragica, bevve un veleno trovando così la
morte 2 •
3 . Polyb. XVI I I 41 ; XXII 20 ; Anth. Pal. III ; Plut., DeJrat. am. 48 9d-49 oa; Strabo XI I I
4, 2 ; Suda, s.v. Apollonias.
4. Hdt. I 3 1 ; cfr. Cic., Tusc. I 1 1 3 .
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
5 . App., Syr. 65, 345; Val. Max. IX , 14, ext. 1; Plin., N.H. V"II 53.
I I . RE GINE VIRTUOSE , SOVRANE VIZIOSE
qq
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
10 0
I I . RE GINE VIRTUOSE , SOVRANE VIZIOSE
IO I
12
Il ronzino di Antioco IV
1 02
1 2 . IL RONZINO DI ANTIOCO IV
mello che però riesce a parlare alla gente, come si usava tempo addietro nel
lessico politico italiano, attraverso esempi calzanti e stringenti citazioni di
Brecht. A suo modo Antioco IV, a differenza dei suoi predecessori, incarna
l'animo jòu del sovrano ellenistico, con atteggiamenti popolareggianti se
non di stampo demagogico, attirandosi anche per questo i commenti ma
levoli o smaccatamente sarcastici dei suoi detrattori, ma anche una certa
popolarità tra i sudditi.
Fu il primo o comunque tra i primi a capire l'importanza dei titoli uffi
ciali come mezzo di propaganda, e per questo scelse appellativi altisonanti:
Theos Epiphanes Nikephoros ("dio manifesto portatore di vittoria"). Epiteti
che fanno capire come Antioco sia stato sovrano ambizioso e ostinato, in
curante dei rovesci e degli insuccessi diplomatici, enfatizzati e considerati
significativi della crisi della regalità ellenistica, come il cosiddetto "cerchio
di Popilio Lenate" del 1 6 8, che pose fine alla sesta guerra di Celesiria. Il
momento in cui il dinasta, sotto le pressioni dei Romani, fu costretto a ri
nunciare alle sue ambizioni di conquista del regno lagide: Popilio Lenate,
inviato per far desistere il Seleucide dalla guerra contro l'Egitto (e conse
guentemente Roma), tracciò un cerchio sul terreno intorno al sovrano e gli
impose di decidere sulle sue intenzioni prima di uscirne. Tuttavia, al ritor
no in Siria, il sovrano non esitò a celebrare la sua spedizione assumendo il
titolo di Nikephoros.
Nonostante il fuoco di fila delle fonti letterarie, si sa che all'interno del
suo regno Antioco IV lasciò un segno profondo, e che la sua memoria fu
coltivata a lungo anche dopo la morte. Prova ne sia il fatto che sotto Ales
sandro Balas, probabilmente un impostore che si spacciava per figlio del
Seleucide, nelle zecche di Apamea e di Antiochia in Siria furono coniate
monete nel 1 5 1 / 1 5 0 e nel 1 4 6 / 1 4 5 con l'effigie di Antioco IV, denomina
to Epiphanes nella seconda polis. <<Assenza più acuta presenza>> , scriveva
Attilio Bertolucci, e la mancanza di un sovrano di peso come Antioco IV è
tanto più significativa sotto il regno dei successori, monarchi per lo più di
mediocre caratura o impegnati in interminabili conflitti dinastici. La sto
ria dei Seleucidi, fino alla dissoluzione della casata nel 63, è una serie inin
terrotta di lotte tra i vari rami della famiglia, con l'intrusione di più di un
usurpatore, tanto che per loro si può applicare l'espressione "the sick man
of Asià'. Un'espressione che indica la debolezza intrinseca del potere mo
narchico e delle sue capacità carismatiche, riferita tanto agli Achemenidi
quanto ad altri poteri monocratici di quel continente nel corso dei secoli.
In pochi casi la dissociazione tra realtà storica e tradizione letteraria è
così percepibile come nel caso di Antioco IV. Un piccolo prontuario delle
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
A volte fuggiva dalla corte, di nascosto dai suoi attendenti, e lo si vedeva vagare
per la città con uno o due compagni ; lo si trovava di preferenza presso le botte
ghe degli argentieri e degli orafi, a fare dotte disquisizioni e a parlare con sicura
competenza con toreuti ed altri del mestiere. Poi scendeva tra il popolo e si in
tratteneva con chi capitava, e beveva anche con i più umili dei forestieri. A volte,
quando veniva a sapere che dei giovani erano riuniti a banchetto, si presentava da
loro senza alcun preavviso, a far baldoria, con l'accompagnamento di un cornetto
e di una symphonia e finiva in genere che i commensali, spaventati dalle sue stra
vaganze, si defilassero. Spesso, smessa la veste regale, con una toga girava per la
piazza e si presentava come candidato ; porgendo agli uni la destra e abbracciando
altri, invitava tutti a votare per lui, ora per la carica di agoranomo ora per quella di
demarco. Una volta ottenuta la carica, sedeva su uno scranno d 'avorio, secondo il
costume romano, e ascoltava le liti che avvenivano sovente al mercato e alla fine
emetteva la sua sentenza, tutto serio e compreso nella parte. Questi suoi compor
tamenti suscitarono un certo imbarazzo negli uomini di senno ; c 'era chi lo giu
dicava spontaneo, chi, invece, folle. Anche in fatto di donazioni si comportava in
modo bizzarro. A qualcuno regalava dadi fatti di corno di gazzella, a qualcun altro
una manciata di datteri, ad altri, infine, pezzi d 'oro. Oppure dispensava doni del
tutto inattesi a gente incontrata per caso, mai vista prima. Nei sacrifici offerti in
onore delle città e nelle feste in onore degli dèi superò tutti i suoi predecessori. Lo
si capisce, ad es. , dal tempio di Zeus Olimpio ad Atene e dalle statue erette intorno
all 'altare di Delo. Usava lavarsi anche nei bagni pubblici, quando erano gremiti di
popolani, e qui si faceva portare orci pieni dei profumi più preziosi. Una volta un
tale gli disse : << Beati voi, re, che potete avere questo ben di dio, e odorate sempre
di buono >> . Antioco non rispose nulla, ma il giorno dopo tornò dove quello faceva
il bagno e gli fece rovesciare sulla testa un grande orcio pieno di un profumo chia
mato "lacrime di mirra". Allora anche gli altri accorsero per rotolarsi nella mirra e,
unti com 'erano, scivolarono e caddero tutti quanti sul pavimento, e il re insieme a
loro, in una risata generale 1 •
10 4
1 2 . IL RONZINO DI ANTIOCO IV
Egli invece si comportò in modo opposto. Infatti radunò alla sua festa [lett.
panegyri.s: "processione sacra"] tutti gli uomini più illustri dell' intera ecumene, e
ornò con magnificenza tutte le parti della sua reggia. E avendo così radunato in
un unico luogo e messo quasi come su una scena tutto quanto il suo regno, non
nascose ai Romani nulla di ciò che lo riguardava6 •
Sempre Antioco, informato dei giochi che venivano celebrati in Macedonia dal
console romano Emilio Paolo, preso dal desiderio di superarlo in munificenza, in
viò ambascerie e legazioni nelle varie città della Grecia, per annunciare che avreb
be istituito dei giochi a Dafne. Così avrebbe suscitato nei Greci il desiderio di
accorrere da lui. Diede inizio alla festa con una solenne processione allestita come
segue. Precedevano alcuni soldati, armati alla maniera dei Romani, con corazze
a maglia, cinquemila uomini nel pieno del vigore; dopo di questi venivano cin
quemila Misi, e subito dopo tremila Cilici armati al modo della fanteria leggera, e
6. Diod. xxxi 1 6, 1.
10 6
1 2 . IL RONZINO DI ANTIOCO IV
con corone d 'oro. Seguivano tremila Traci e cinquemila Galati. A questi tenevano
dietro ventimila Macedoni, dei quali diecimila portavano scudi d 'oro, cinquemila
portavano scudi di bronzo, gli altri, scudi d 'argento. Seguivano duecentoquaran
ta coppie di gladiatori. A questi facevano séguito mille cavalieri di Nisa, tremila
dei contingenti cittadini, la maggior parte dei quali aveva bardatura e corona d 'o
ro ; gli altri avevano bardature d'argento. Dopo di questi era la volta dei cavalieri
chiamati "Eteri", un migliaio all ' incirca, tutti bardati d 'oro. Subito dopo veniva il
corpo degli ''Amici del re", pari per numero e per ornamento. Dietro a questi, mille
cavalieri scelti, seguiti dal cosiddetto agema, che era ritenuto il più forte corpo di
cavalleria, di circa mille uomini. Per ultima sfilava la cavalleria "corazzata", nella
quale, come dice propriamente il nome, cavalli e uomini erano rivestiti intera
mente di armatura: erano in tutto millecinquecento unità. Tutti questi portavano
mantelli di porpora, molti dei quali erano intessuti d 'oro e variamente istoriati.
Dietro a questi, cento carri a sei cavalli e quaranta a quattro cavalli, e poi un carro
tirato da quattro elefanti e un altro tirato da una coppia di elefanti. Seguivano, uno
dietro l 'altro, trentasei elefanti riccamente bardati.
Descrivere il resto della processione sarebbe fatica improba, per cui sarà me
glio parlarne per sommi capi. Sfilarono circa ottocento efebi, con corone d 'oro, e
circa mille buoi, splendidi capi, e poco meno di trecento delegazioni sacre e otto
cento zanne di elefante. Impossibile poi passare in rassegna la moltitudine di sta
tue : furono portate in processione statue di tutti gli dèi e demoni di cui si conosca
il nome o che siano venerati tra gli uomini, e poi statue di eroi, alcune ricoperte
interamente d 'oro, altre rivestite di abiti intessuti d 'oro. Accanto alle statue stava
no le raffigurazioni, fatte di materiali pregiati, dei miti relativi alle varie divinità,
secondo i racconti tradizionali. Dopo di queste venivano le immagini della notte,
del giorno, della terra, del cielo, dell 'aurora e del mezzogiorno. È possibile farsi
un' idea di quale fosse la quantità di oggetti d'oro e d 'argento da quanto segue :
mille schiavi, che appartenevano a uno degli ''Amici del re", Dionisio, lo scrivano
ufficiale, sfilarono portando pezzi d 'argento, nessuno dei quali pesava meno di
mille dracme. Passarono poi seicento schiavi del re, portando pezzi d 'oro. E poi
circa duecento donne spargevano profumi da vasi d 'oro. Subito dietro a queste
sfilarono ottanta donne, sedute su lettighe dai piedi d 'oro, e altre cinquecento su
lettighe dai piedi d 'argento, tutte con acconciature sfarzose. Questi sono gli ele
menti più suggestivi della processione.
I giochi, le lotte dei gladiatori e i tornei di caccia si protrassero per trenta
giorni, tanto durarono gli spettacoli, e per i primi cinque giorni successivi tutti si
raccolsero nella palestra, dove venivano cosparsi di profumo di zafferano, attinto
da orci d 'oro, quindici di numero e altrettanti erano gli orci di profumo di cinna
momo e di nardo. Anche nei giorni seguenti, allo stesso modo, agli ospiti veniva
offerto profumo di fieno greco, di maggiorana, di iris, tutti preziosi per fraganza.
Per il banchetto, furono approntati ora mille, ora millecinquecento triclini, ad
dobbati con il corredo più lussuoso. Il re in persona volle sovraintendere all 'or
ganizzazione della festa. A cavallo di un povero ronzino, scorrazzava da un capo
10 7
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
ali' al ero della processione, solleci cando gli uni ad avanzare, gli al cri a rallentare.
Poi, in occasione dei banchetti, mettendosi ali ' ingresso, ora accoglieva gli ospiti,
ora li faceva accomodare, e guidava personalmente i servitori con le varie portate.
E girava per la sala senza posa, sedendosi da una parte, sdraiandosi dall 'altra : e po
sando qua il piatto, là il bicchiere, si alzava e cambiava posto, andando in giro per
tutta la sala del banchetto, brindando in piedi, ora con un commensale, ora con
un altro, e non mancava, allo stesso tempo, di scherzare con i cantanti. A una certa
ora - il banchetto andava per le lunghe e molti ospiti se ne erano già andati - il
re tutto coperto di veli fu portato in sala dai mimi e deposto a terra, come fosse
anche lui un mimo. Al segnale della symphonia il re, balzando in piedi, si mise a
ballare e a recitare, insieme ai buffoni, fino a che tutti i commensali, scandalizzati,
si dileguarono. Tutto questo Antioco realizzò in parte con le ricchezze che aveva
sottratto all ' Egitto, quando tradì il re Philometor, che era ancora bambino [scii.
Tolemeo ,,1] , in parte con i contributi degli "Amici del re". Ma aveva spogliato
anche gran parte dei templi.
I commensali espressero il loro stupore sia per il comportamento del re, che
giudicarono non Epiphanes, ma davvero Epimanes [ ... ] 7•
Non può sfuggire come la prima parte del lungo estratto polibiano abbia
tutt'altro tono rispetto alla seconda. Anche accettando la motivazione che
viene suggerita (il desiderio di emulazione nei confronti di Lucio Emilio
Paolo), in realtà la processione si innesta nel filone delle parate ellenistiche,
e paralleli vanno individuati con la famosa pompe dei Ptolemaia, descritta
da Callissino di Rodi. La cerimonia del 1 6 6 era una parata militare tesa a
magnificare la potenza, militare e non, del sovrano seleucide (come ogni
buon re e tiranno ha fatto e fa, ad ogni latitudine), in una rappresentazio
ne visiva dell'ideologia regale agli occhi degli astanti e, di riflesso, anche di
Roma. E quasi la messa in scena del regno ideale, che potrebbe trovare un
antecedente nella revue de /'empire, attestata sotto gli Achemenidi (lossif,
2011; Couvenhes, 2014, pp. 202-3) .
La seconda parte del passo comprende l'esaltazione della tryphe, in cui
l'elemento parodico è costituito dallo scambio dei ruoli, per cui il tutto
diventa alla fine una cerimonia quasi carnevalesca. Il sovrano si comportò
infatti esattamente all'opposto di come si sarebbe dovuto comportare, la
sciandosi andare a una serie di atti che stridevano con il carattere ufficiale
e, addirittura, sacrale della pompe. L'immagine di Antioco che, in sella a
un povero ronzino, dà i tempi della cerimonia è di quelle che rimangono
impresse nel lettore, antifrastica a quella del sovrano abile cavallerizzo (in
108
1 2 . IL RONZINO DI ANTIOCO IV
IO ()
13
In cauda venenum
I IO
1 3 . IN CA UDA VENEN UM
nominare o a ridenominare altre città sparse per il regno con il suo epiteto
più altisonante, Epiphanes.
Il culto di Zeus doveva diffondersi in tutte le regioni del multietnico
regno del Seleucide. Anche laddove sarebbe stata preferibile una politica
più prudente, come nei confronti di Gerusalemme e degli Ebrei. Nei piani
di Antioco IV era anche quello di assoggettare tutti i popoli a un'unica leg
ge, secondo un passo discusso del I Libro dei Maccabei:
Poi il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti formassero un solo popolo e ciascu
no abbandonasse le proprie usanze. Tutti i popoli si adeguarono agli ordini del re3 •
3. Mach. I 1, 4 1 -4 2 .
4 . Mach. I I 3.
III
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
5 . Tac.,Hist. v· 8.
6. OGIS 25 3.
II2
1 3 . IN CA UDA VENEN UM
alcuni, dal fatto che vi erano stati alcuni segni d'intervento divino come
conseguenza dell'oltraggio al tempio>> . Appiano, dal canto suo, parla di
consunzione (tubercolosi?), fisica prima ancora che morale, dopo una vita
di eccessi7•
Il I Libro dei Maccabei si allinea con il resto della tradizione, intingen
do il manzoniano sugo della storia nel pentimento del sovrano per le male
fatte commesse nei confronti degli Ebrei. Il re, venuto a sapere che le cose
si stanno mettendo male a Gerusalemme e nella lotta contro Giuda Macca
beo, cadde malato per la tristezza, e rimase a letto molti giorni in preda ad
uno spleen terribile. Chiamati a sé gli amici, riconobbe i suoi peccati, causa
dei mali che lo attanagliavano. Il finale è amarissimo: <<ed ecco, muoio nel
la più profonda tristezza in paese straniero>> 8 •
Il I I Maccabei tramanda invece una versione più cupa e infinitamente
più truce, inverosimile ma di grande effetto e che, per certuni, presenta al
cuni tratti in comune con la cosiddetta preghiera del re neobabilonese Na
bonide, nota da uno dei manoscritti di Qumran9 • Antioco IV, giunto nella
città di Persepoli, cercò invano di depredare il tempio locale e di impadro
nirsi della città. Venuto a conoscenza a Ecbatana, in Media, che le vicende
giudaiche stavano volgendo al peggio per lui, fu preso non già dalla tristez
za e dalla depressione, bensì da un violento attacco di collera (il che sarebbe
più in linea con il personaggio, in un contesto storicamente assai traballan
te). Lo animava subito il desiderio di vendicarsi e di fare personalmente di
Gerusalemme un cimitero di Giudei, preludio di nefaste ondate antisemite
nella storia dell'umanità. La vendetta divina però, come suggerisce rassicu
rante e rassicurato l'autore del I I Libro dei Maccabei, è una piaga invisibile
e insanabile. Lancinanti dolori alle viscere e terribili spasmi intestinali nel
corpo del re furono la prima avvisaglia che il Dio dei Giudei, con ogni evi
denza, è più potente di Zeus Olimpio.
Antioco IV si lanciò, nonostante tutto, con il suo carro verso la Giudea
e gli odiati ribelli. Caduto però durante la sua folle corsa, riportò ferite in
tutto il corpo:
Colui che poco prima, nella sua sovrumana arroganza, pensava di comandare ai
flutti del mare, e credeva di pesare sulla bilancia le cime dei monti, ora, gettato a
terra, doveva farsi portare in lettiga, rendendo a tutti manifesta la potenza di Dio.
II �
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
Segue una fine degna del miglior film del genere splatter:
a tal punto che nel corpo di quell 'empio si formavano i vermi e, mentre era ancora
vivo, le sue carni, fra spasimi e dolori, cadevano a brandelli e l 'esercito era tutto
nauseato dal fetore e dal marciume di lui. Colui che poco prima credeva di toccare
gli astri del cielo, ora nessuno poteva sopportarlo per l' intollerabile intensità del
fetore.
Chi ha redatto questa "uscita di scena" del Seleucide ha ben presente la pro
paganda di Antioco IV e la sua pretesa di essere Theos Epiphanes e di pro
clamarsi Nikephoros, a qualunque costo (forzando anche la realtà storica:
lo insegnano gli avvenimenti del 168, come si è visto). Probabilmente co
nosce anche i simboli astrali presenti nella monetazione del Seleucide, utili
come collanti anche nelle regioni orientali. Nell'immaginario giudaico il
disfacimento del corpo naturale, con buona pace di Kantorowicz (1989)
e del suo noto libro sui Due corpi del re, si fonde qui con la corruzione del
corpo politico, oramai non più intangibile e inarrivabile: la putrefazione
delle membra di Antioco IV incarna dunque, agli occhi dei Giudei, la crisi
inarrestabile del regno impiantato da Seleuco I, che è vinto dalle armi dei
Maccabei, infervorate e benedette da Dio.
Di fronte a tale svilimento e decadenza della carne, l'unica via di salvez
za è costituita dal ravvedimento e dalla preghiera. Una sana contritio cordis,
come insegnò anche la precettistica cristiana, che portò, inevitabilmente, al
pentimento, all'espiazione nonché addirittura alla conversione. Lo stesso
Nabonide, caduto malato a Teiman in Arabia, aveva rivolto una preghiera
a Dio e fu guarito da un Ebreo.
Sempre secondo il I I Libro dei Maccabei, Antioco IV, la più malvagia
delle radici di Alessandro, volle dunque farsi giudeo e annunciare la poten
za del Dio degli Ebrei recandosi in ogni luogo abitato. Più modestamente,
il primo atto di tale cambiamento passava attraverso una lettera ai Giudei,
che reca pur sempre nell'intestazione le tracce della potenza pagana ( <<Ai
Giudei, ottimi cittadini, il re e condottiero Antioco augura perfetta salu
te, benessere e prosperità>> )1 0 • Chiaramente un falso, di tipo epistolare, ri
calcato, con evidenti stonature, sulle lettere regie ellenistiche (documenti
che abbondano nei Libri dei Maccabei). Un documento scritto con stilemi
degni di una supplica, in cui il sovrano, voglioso di riabilitazione, racco
manda ai Giudei, in nome dei benefici pregressi, ricevuti pubblicamente
10. Mach. 11 9, 1 9.
1 14
1 3 . IN CA UDA VENEN UM
II6
1 4 . F ILIP PO V E P E RSEO, S OV RANI ON THE R UN
sino i loro oppositori più accaniti, come Polibio, non dubitano minima
mente della veridicità di tale rapporto genealogico. Gli appunti, per non
dire strali, dello storico acheo sono semmai sulla reale capacità (o meglio,
incapacità) di Filippo v di essere pari ad Alessandro ma, soprattutto, a Fi
lippo II, sovrano rivalutato nel medio-tardo Ellenismo e nella pubblicistica
greco-romana.
In particolare, il richiamo ad Alessandro da parte del re di Macedonia
poteva rivelarsi un fardello piuttosto pesante, come ben illustra un passo di
Plutarco, ambientato nei momenti immediatamente precedenti lo scontro
di Cinoscefale:
I soldati non furono colti da paura per lo scontro imminente, ma furono presi
ancor più dall 'entusiasmo e dal desiderio di gloria, dal momento che i Romani
desideravano vincere i Macedoni, la cui reputazione di valore e potenza era gran
dissima presso di loro grazie ad Alessandro ; i Macedoni a loro volta, ritenendo
i Romani superiori ai Persiani, speravano di mostrare con una loro vittoria che
Filippo era un generale più illustre di Alessandro 1 •
1. Plut., Flamin. 7, 4- 5 .
2 . Plut., Flamin. 9 , 1.
3. Tac., An n . VI 6, 1 8.
I1 7
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
nello scontro, riempiendo la Grecia con i racconti del loro valore, con un
impegno tale da risultare quasi boriosi, persino agli occhi di Polibio 4 •
Secondo Plutarco, un componimento si diffuse di bocca in bocca, qua
si a testimoniare che la poesia non è solo materia per pochi eletti, neppure
nella Grecia ellenistica, quando questa tocca le corde del nazionalismo più
acceso, in questo caso etolico. L'autore è Alceo di Messene. Se esiste un ge
nere nella letteratura greca per cui è valido l'adagio l 'art pour l 'art, questo
è forse l'epigramma ellenistico. A cavaliere tra I I I e I I secolo, però, gli epi
grammi di Alceo contro Filippo v costituiscono una notevole eccezione,
facendo del loro autore l'unico poeta autenticamente politico dell 'Antolo-
gia Palatina, come generalmente riconosciuto. Tali componimenti mesco
lano mirabilmente poesia e storia, satira e difesa dell'integrità della polis di
fronte al re/tiranno che viene dalla Macedonia. Il testo citato da Plutarco
.
cosi' rec1 ta:
II 8
1 4 . F ILIP PO V E P E RSEO, SOVRANI ON THE R UN
Il punto di non ritorno nei rapporti tra Alceo e Filippo è costituito dal 215 -
214, quando il sovrano fece una spedizione in Messenia, patria del poeta.
Secondo alcuni, in precedenza questi sarebbe stato un supporter infervora
to del sovrano e delle sue pretese egemoniche per terra e per mare sulla scia
degli Argeadi. Così almeno recita un noto epigramma:
7. Archiloch. F s West l.
8. Plut., Flamin. 9, 4.
9. An th. Pal. IX 518 e 526 (trad. it. F. M. Pantani, come negli altri testi della raccolta).
I I ()
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
Due sono gli ospiti oggetto delle pericolose "attenzioni" a banchetto di Fi
lippo, sempre ricordati da Alceo: Callia ed Epicrate.
1 0. Anth. Pal. IX 5 1 9 .
1 1. Anth. Pal. XI 12.
12 0
1 4 . F ILIP PO V E P E RSEO, SOVRANI ON THE R UN
che intercorrevano con costoro. Racconta Plutarco che nel caso di Arato il
Vecchio, leader della Lega achea, e del figlio, Arato il Giovane, furono usa
ti sieri con effetti completamente diversi. Il primo morì per un veleno non
rapido e violento, che ali' inizio procurava solo una febbre leggera e una
debole tosse. Al figlio invece ne fu somministrato uno che causava la follia,
inducendolo ad azioni dissennate e a comportamenti tali che la morte, a
confronto, era davvero una liberazione 1 2 •
Filippo, re di Macedonia, nella buona sorte fu così oltre ogni limite arrogante che
fece sgozzare degli amici senza motivo, e saccheggiare le tombe dei predecessori,
e molti dei templi. Antioco, invece, quando pose mano a depredare il santuario di
Zeus in Elimaide, vi trovò una fine meritata e vi morì con tutto il suo esercito. En
trambi, convinti che le loro forze fossero invincibili, con un'unica battaglia furono
costretti a ubbidire alle imposizioni altrui. Perciò attribuirono alla propria colpa
le sventure che avevano avuto, e furono grati per l'umano trattamento ricevuto
da coloro che, nella vittoria, li trattarono con moderazione. In questo modo po
terono vedere che i loro regni venivano dagli dèi portati alla rovina, secondo una
specie di schema, composto dalle loro stesse azioni. Invece i Romani, che sia allora
che dopo ingaggiarono solo guerre giuste, e prestarono la massima attenzione a
giuramenti e trattati, non senza motivo ebbero in ogni impresa gli dèi dalla loro
parte 1 4 •
Il tema della guerra giusta, evocato nel passo in una prospettiva smaccata
mente filoromana, fu ripreso anche per le vicende di Perseo, ultimo dinasta
legittimo del regno di Macedonia (dopo aver brigato per fare uccidere nel
1 2. Plut., Arat. 5 2 ; 5 4, 2- 3 .
1 3 . Polyb. ,r 11 1 3, 7; cfr. V" I I, 6 ; Placo, Rsp. \TIII 565d-5 6 6 a.
1 4. Diod. XX\.r 111 3 ( trad. it. G. Bejor) .
12 1
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
180 - sembra dal padre Filippo v - il fratellastro Demetrio, che era invece
decisamente filoromano). Le sorti finali della dinastia si consumarono in
poco più di un'ora: la battaglia di Pidna, in Macedonia, fu combattuta in
fatti tra le ore 1 5 e le 1 6 del 2 2 giugno 1 6 8 .
Se vi è una coppia nella storia ellenistica per la quale vale il detto "quale
il padre, tale il figlio", questa è rappresentata da Filippo ve Perseo. Quest'ul
timo proseguì ostinatamente la politica paterna, riallacciandosi non solo
agli Argeadi ma anche a figure come Demetrio Poliorcete (ad esempio, fa
cendo reincidere importanti iscrizioni pubbliche dell'antenato). Nel gran
de palazzo di Ege (oggi Vergina) vi è una tholos, presso cui è stata ritrovata
un'iscrizione frammentaria: una dedica dei rampolli regi Filippo e Ales
sandro per il re Perseo (che era il loro padre) ad Eracle Patroos (Savalli-Le
strade 2 0 0 9 , p. 1 3 9 ) . Di questa rimane integra solo l'ultima parte, relativa
alla divinità; il resto è stato oggetto della damnatio memoriae nei confronti
del re. Riguardo al personaggio vi è infatti davvero unanimità di giudizio,
da Polibio fino a Livio e all'annalistica romana (con la sola eccezione di
Appiano nel suo Libro macedonico) . Un'acrimonia che rasenta quasi il pa
radosso, e che si riverbera anche nei documenti ufficiali.
Esemplare a questo proposito è una lettera inviata da Roma alla lega
sacra che amministrava il santuario di Delfi, l'Anfizionia, documento da
tabile al 1 7 1 / 1 7 0, poco prima dello scoppio della terza guerra macedonica1 5 •
I Romani, toccando un nervo sensibile in tutti i Greci fin dall'età arcai
ca, ovvero il rispetto del luogo per eccellenza sacro, il santuario di Apollo,
presentarono Perseo come un sovrano empio, che si permetteva di recarsi
a Delfi con il suo esercito durante la tregua pitica e di partecipare impune
mente ai riti, ai giochi, ai sacrifici e al consiglio dell'Anfizionia. La speran
za (frustrata) del Macedone era quella di saccheggiare e distruggere il san
tuario, contando sui barbari che abitavano oltre il Danubio. Un re che in
frangeva giuramenti e trattati, stipulati dal padre Filippo v, e che compiva
ogni sorta di nefandezze (tra cui un attentato al re di Pergamo, Eumene I I,
in visita a Delfi). Il motivo dominante della lettera è, senza mezzi termini,
l'instabilità mentale del monarca di Macedonia. Anzi, una vera e propria
forma di pazzia, che lo spingeva addiritturare a progettare l'uccisione di
alcuni senatori romani con il veleno, evidentemente in sintonia con le ac
cuse mosse al padre. Un sovrano talmente folle da accogliere esuli, cercare
il favore delle masse nelle città, promettendo la cancellazione dei debiti e
rivoluzioni, quasi fosse un capopopolo qualunque, peraltro senza neppure
122
1 4 . F ILIP PO V E P E RSEO, S OV RANI ON THE R UN
Aeropo di Macedonia, ogni volta che aveva del tempo libero, lo passava a costruire
tavolini e lucernette ; Attalo Philometor coltivava erbe medicinali, non soltanto
giusquiamo ed elleboro ma anche cicuta, aconito e doricnio. Le seminava e pian
tava egli stesso nei giardini reali, preoccupandosi di riconoscere e raccogliere nella
stagione adatta i loro succhi e i loro frutti. I re dei Parti, poi, erano fieri di affilare
e aguzzare personalmente le punte delle frecce 1 .
12 4
1 5 . SCACCO AL RE A PE RGA MO
aggiornata, di un vecchio tema, valido già tanto per i tiranni di epoca arcai
ca (Cipselo di Corinto e Pisistrato, in particolare), quanto per i Dionisi in
età classica: tirannidi e poteri monocratici non arrivavano oltre la seconda,
al massimo la terza generazione.
L'adulazione praticata a Pergamo, divenuta col tempo autentico centro
propulsore della cultura nel mondo ellenistico, finì per essere argomento
preferito di scherno presso le corti rivali. Callimaco ed Ermippo, letterati
legati ai Lagidi, ricordano infatti l'attività di Lisimaco, allievo o di Teodoro
l'Ateo o di Teofrasto, secondo un passo di Ateneo non privo di problemi
cronologici (Lehnus, 199 5 ) . Costui è definito adulatore e maestro di Atta
lo I, e gli si attribuisce un Sull 'educazione di Attalo. Il tema non costituisce
una novità nel panorama letterario greco (dalla senofontea Ciropedia in
poi: si vedano gli scritti di Onesicrito di Astipalea e di Marsia di Pella ri
guardanti Alessandro Magno). L'opera però, a differenza della Ciropedia
(vero modello, letterario e non, anche per la futura classe dirigente romana
della Repubblica), è ritenuta infarcita di ogni adulazione 4 • Visto il discepo
lato, forse più indiretto che diretto da Teofrasto, è possibile che Lisimaco
sia giunto a Pergamo grazie ai buoni uffici di un altro peripatetico, Licone,
preposto all'educazione dei fanciulli 5 •
Tutto è ignoto poi riguardo a un'opera Su Attalo redatta da Neante
(il Giovane), probabilmente anch'essa incentrata su Attalo I. Non è però
frutto di una coincidenza il fatto che Palemone di Ilio, sommo erudito e
autore a sua volta di una Lettera ad Attalo, si sia cimentato anche in uno
scritto intitolato significativamente Contro Neante6 • Vi è da supporre per
tanto che si trattasse di Attalo I I, e che vi sia stato un contrasto tra lette
rati, pronti al reciproco sberleffo, nel quadro dei rapporti con il regnante
di turno.
Laddove si parla di critica nei confronti dei predecessori di Attalo I I I,
questa è comunque per lo più bonaria, infarcita di qualche aneddoto che
lascia trapelare una satira a volte pungente ma mai troppo urticante. Così
sappiamo che Eumene I, adottato dallo zio Filetero, fondatore del regno
di Pergamo, morì per aver bevuto una quantità eccessiva di vino, il che lo
accomuna ai grandi bevitori, siano essi tiranni o sovrani7• Ancora Plutar
co ricorda che Attalo I I, sfibrato totalmente dall'inattività e dalla pace, era
così ingrassato che si faceva menare al pascolo, per così dire, dal suo corti
giano Filopemene, suscitando le battute dei Romani che si chiedevano se il
re avesse una qualche influenza su costui 8. Molti sono i sovrani che soggiac
ciono ai voleri e ai capricci dei loro sottoposti, anche se Filopemene, che
difficilmente sarà stato un semplice cortigiano, è figura importante quasi
come quella del primo ministro regio (ho epi ton pragmaton), ben attestato
presso le regalità ellenistiche.
Secondo un curioso ribaltamento etico (almeno per noi moderni), l'i
nattività e la pace dedita all'otium sono degli antivalori, tanto per i tiran
ni di età arcaica e classica quanto per i sovrani ellenistici. Esemplare a suo
tempo il caso di Dionisio II di Siracusa, pronto a porre fine alle guerre con
i Cartaginesi e con i Lucani, fardelli lasciatigli in eredità dal padre Dionisio
I alla sua morte nel 3 67 (come stigmatizzato da Diodoro) 9 • E dunque, nella
considerazione degli antichi, essere un sovrano o un tiranno pacifico non
necessariamente è un titolo di merito, laddove la virtù bellica (simboleg
giata dal concetto della "terra conquistata con la lancià', doriktetos chora)
continua ad esercitare un grande fascino fino alla fine dell'età ellenistica.
E di questo è ben consapevole lo stesso Plutarco, che pure non passa certo
per un guerrafondaio.
Lo stesso Attalo I I peraltro, ai tempi in cui probabilmente non era an
cora in sovrappeso, non si era o non si sarebbe fatto troppi scrupoli a spo
sare Stratonice, moglie del fratello, Eumene I I, ritenuto morto in séguito
a un attentato subito a Delfi ad opera di sicari di Perseo, re di Macedonia,
come si è detto. Ma tutto si risolse con l'esaltazione della concordia frater
na, quando finalmente si apprese la lieta novella: ovvero colui che era il le
gittimo titolare del talamo, ritenuto erroneamente morto, era invece vivo
e vegeto. Attalo, dunque, fu pronto a ritornare sui suoi passi e a restituire
cavallerescamente Stratonice al fratello Eumene, salvo poi riprendere la co
gnata come moglie alla morte del fratello nel 1 5 9 10 •
Quanto ad Attalo I I I, due fonti su tutte (che forse risalgono allo stesso
filone) si soffermano sulla sua crudeltà. Diodoro dipinge un quadro degno
di un tiranno africano del Novecento, tranne il particolare del cannibali
smo (spesso presente nelle vivide descrizioni nelle dinamiche politiche del
Continente Nero), in contrapposizione a quello dei predecessori:
1 26
1 5 . SCACCO AL RE A PE RGAMO
In Asia il re Attalo, non appena fu salito al trono, tenne una condotta di vita diver
sa da quella dei suoi predecessori. Costoro infatti, esercitando clemenza e umani
tà, regnarono felici; egli invece, crudele e sanguinario, procurò a molti dei sudditi
del suo regno irremediabili disgrazie e funeste sventure. Sospettando che i più po
tenti degli amici di suo padre avessero complottato qualcosa contro di lui, decise
che dovessero essere tolti di mezzo tutti. Scelti dunque i più selvaggi e pronti a
menar stragi tra i suoi mercenari barbari, gente insaziabile nella sua sete di ricchez
ze, li nascose in certe camere della reggia e fece chiamare quei suoi amici sui quali
aveva dei sospetti. Quando questi amici si presentarono [ . . . ] li fece uccidere tutti,
dato che quei suoi aiutanti condividevano la sua sete di sangue. Subito decise che
dovessero subire la stessa punizione anche i loro figli e le loro mogli. E, degli altri
amici che avevano alti gradi nell 'esercito o governavano delle città, ne fece ucci
dere alcuni a tradimento, ne fece mettere a morte altri, confiscandone tutti i beni.
Odiato per la sua crudeltà non solo da chi era sottoposto a lui, ma anche dalle
popolazioni vicine, spinse i suoi sudditi a desiderare un cambiamento di regime l l .
12 7
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
12 8
1 5 . SCACCO AL RE A PE RGA MO
leno, anche personaggi di ben più elevata caratura, come Mitridate VI del
Ponto e Cleopatra VII (cfr. infra, CAP. 1 8 ) .
Decisamente più innocua è invece la tradizione, altrettanto diffusa,
che fa di Attalo addirittura un agronomo provetto, esperto di coltivazione
della vite e dell'olivo.
All'immagine del sovrano crudele si oppone e si sovrappone quella del
re pronto a difendere meritoriamente il suo regno dalle minacce esterne (e
interne). La Suda lo qualifica come Galatonikes ("vincitore dei Galati")1 9 ,
che è epiteto altisonante e generalmente considerato una svista: l'unico au
torizzato a fregiarsi di tale appellativo, si è detto, sarebbe in realtà Attalo I,
in base al suo successo contro i barbari.
Un appiglio per giustificare Galatonikes è in realtà offerto da un te
sto epigrafico, che riguarda la città di Pergamo20 • Qui si ricorda con dovi
zia di particolari l'arrivo di Attalo 111 dapprima al santuario di Asclepio,
poi in città dopo una vittoriosa spedizione militare non meglio specifica
ta. L"'entrata in città'' (apantesis in greco, e relative varianti, o adventus in
latino) ha sempre un significato importante, nel mondo greco come nel
mondo romano (e già prima in altre culture): ad esempio, l'entrata a Ba
bilonia nel 331 di Alessandro Magno o, prima ancora, di Sargon o di Ciro
11 nella medesima città. Certo il buon Attalo non può competere in alcun
modo con simili sovrani, ma il linguaggio ufficiale e pomposo dell'epigrafe
è comunque cristallino nella formulazione del suo elogio. Lungi dall'essere
considerato un tiranno sanguinario, il sovrano viene esaltato con un for
mulario di virtù in gran parte comune anche ad altri monarchi di epoca el
lenistica. In particolare, egli è ritenuto abile e capace in guerra (e, dunque,
anche superiore all'accidioso zio Attalo 11). Insomma, un ottimo basileus;
il suo è ritenuto quasi spinozianamente il migliore dei regni possibile, per
cui, si aggiunge nel testo, non ci si può augurare altro se non che rimanga
eterno. In tale contesto non sorprende certo il tributo, consueto anche per
gli Attalidi, di grandi onori divini, per la pace e la felicità garantite.
La storia, come si è detto, non è stata generosa con Attalo I I I, defor
mandone azioni e carattere e celando dietro la satira più beffarda forse un
complesso gioco di corte. Quali i motivi di tanta crudeltà nei confronti
degli amici? E possibile, come pensano molti, che ali'interno dell'entoura-
ge del sovrano vi sia stato un partito che intendeva privilegiare Aristonico,
forse figlio di Eumene 11 e di una concubina: colui che poi, quando Attalo
donò il suo regno al popolo romano nel 133, si ribellò vanamente assumen
do il nome dinastico di Eumene I I I e, con la consulenza dello stoico
,
Blos-
sio di Cuma, volle instaurare uno Stato chiamato Heliopolis. E una delle
numerose utopie ellenistiche (come già Uranopoli di Alessarco, figlio del
diadoco Antipatro), in cui, tra l'altro, è prevista l'abolizione della schia
vitù. Proprio sotto questa luce interpretativa, la scelta del testamento di
Attalo III può trovare un confronto con quanto aveva fatto a suo tempo
Tolemeo VII I a Cirene nel 155. Come il Lagide aveva "donato" il suo regno
ai Romani, temendo le mene del fratello Tolemeo VI, così anche Attalo I I I,
per un dispetto quasi fanciullesco, avrebbe preferito lasciare tutto al popo
lo romano, pur di non cedere alle pretese del (supposto?) fratellastro.
Eppure questo re così bistrattato si è guadagnato, del tutto inaspetta
tamente e forse immeritatamente, un piccolo spazio anche tra coloro che
sono ignari delle vicende ellenistiche. Infatti nel Medioevo si diffuse, non
è ben chiaro attraverso quali canali, l'idea fallace che il dinasta di Pergamo
fosse stato il creatore dell'amabile gioco degli scacchi. Gioco, se così si può
chiamare, spesso oggetto di passioni monomaniache, come ben insegnano
nella letteratura Mirko Czentovic di Zweig o, per calarsi nella realtà della
Guerra fredda, Bobby Fischer. Viene dunque quasi spontaneo immaginarsi
Attalo I I I come degno precursore di tali personaggi saturnini, giacché an
cora una volta riaffiora la tradizione oscura sul sovrano di Pergamo. Infatti
costui, preso dalla sua smania compulsiva di trovare nuovi passatempi ne
gli interminabili ozi di corte, era animato in modo insano dalla passione
sfrenata per questo nuovo passatempo ludico (ludendi lascivia, l'icastica
espressione usata da Giovanni di Salisbury, che riporta l'aneddoto; Han
sen, 1 9 7 1, p. 1 4 6 ) .
16
La testa mozza di Crasso
2. FGrHistlBNJ 779.
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
Il cosiddetto "amico del re" non divide la tavola con lui, ma, seduto per terra vicino
al re che giace su un alto divano, mangia alla maniera di un cane quello che il re gli
getta e spesso, per un motivo qualsiasi, viene strappato da quel pasto consumato
per terra, è bastonato e frustrato con cinghie di ossicini infilzati, finché tutto co
perto di sangue e prostrato a terra venera quello che l' ha fatto punire, come suo
benefattore.
Poi nel XVI libro, raccontando come il re Seleuco (in realtà Demetrio 1 1 )
in séguito a una spedizione in Media per muover guerra ad Arsace (ovvero
Mitridate 1) fu fatto prigioniero dal barbaro; rimase per molto tempo alla
sua corte, venendo trattato come un re. Posidonio dà anche questa notizia:
Presso i Parti durante i banchetti il re era sdraiato da solo su un divano più alto e
separato dagli altri, e aveva accanto una tavola per lui solo, come se fosse un semi
dio, colma di piatti localiS.
Prese fra i prigionieri quello che più assomigliava a Crasso, Gaio Pacciano, lo vestì
con una veste regale femminile e lo ammaestrò a rispondere a chi lo chiamasse
Crasso e generalissimo ; poi lo fece condurre in corteo issato su un cavallo. Lo pre
cedevano alcuni trombettieri e littori montati su cammelli ; dai fasci pendevano
delle borse e alle scuri erano legate teste di Romani tagliate di fresco. Seguivano
alcune cortigiane cantatrici di Seleucia, che suonavano e cantavano canzoni com
poste di frasi scurrili e burlesche prendendo di mira l 'effeminatezza e codardia di
Crasso.
Nel momento in cui fu portata alle porte della sala la testa di Crasso, le tavole
erano sparecchiate e un attore tragico, di nome Giasone, di Traile, stava cantando
6. Plut., Crass. 32-3 3, p artic. 32, 2-3 e 3 3, 3 ( p er le citazioni nel testo ; trad. it. C. Carena,
con adattamenti) .
1 6 . LA TE STA MOZZA DI CRASSO
il brano delle Baccanti di Euripide che riguarda Agave. Quando poi scoppiarono
gli applausi, Silace si arrestò sulla porta, si inginocchiò e gettò in mezzo alla sala
la testa di Crasso.
Tutto ciò tra il tripudio generale degli astanti. Scena celeberrima, su cui la
tradizione ha ricamato elementi da grand guignol, tanto per condannare
l ' incauto Crasso quanto per esecrare, se mai ve ne fosse ulteriore bisogno,
i barbari Parti. Così fu aggiunto il particolare dell 'oro liquido versato nella
bocca del triumviro, tanto apprezzato anche da Dante, sì da essere beffar
damente ricordato nel Purgatorio (xx 1 1 6 - 1 1 7 : << Crasso, / dilci, che ' l sai :
di che sapore è l 'oro ? >> ) .
Ma se è vero che le leggi della fisica hanno un qualche significato anche
nei comportamenti e nei destini umani, a ogni azione corrisponde una re
azione esatta e contraria. Ovvero, per rimanere ancorati al poeta fiorenti
no, vi è sempre un adeguato contrappasso. Ragione per cui, precisa ancora
Plutarco quasi con tono liberatorio, Orode I I pagò il fio della sua crudeltà,
anche se l ' implacabile vendetta degli dèi (o forse di Ahura Mazda, visto
il contesto) arrivò solo nel 3 7. Il re si ammalò di un morbo, degenerato in
idropisia, e divenne oggetto delle insidie del figlio maggiore, Fraate IV. L'a
conito che questi gli somministrò fu assorbito dalla malattia e anzi, para
dossalmente, diede sollievo al "mastro Adamo" arsacide.
Decisamente spazientito, il povero figliolo decise infine di trovare si
stemi più spicci ed efficaci per ottenere il risultato che si era prefissato,
strozzando il genitore. Interessanti risvolti si trovano in Pompeo Trogo
(nel racconto di Giustino), riguardo all ' incauta scelta di Fraate come so
vrano di Partia e successore di Orode I I. Secondo questo autore, Orode,
quando venne a sapere della morte del figlio Pacoro, designato alla succes
sione, durante una spedizione contro i Romani guidati da Ventidio, cadde
in un lutto devastante e assoluto. Ma, come si sa, chi muore giace e chi vive
si dà pace, per cui si presentò l 'esigenza di cercare un erede dinastico tra i
trenta figli. Dopo accurata scelta, vene preferito il più scellerato tra tutti,
Fraate IV, nonostante le sollecitazioni centrifughe delle molte concubine
dell 'ormai stanco e anziano re, ognuna pronta a dare consigli pro domo sua.
Inevitabilmente, Fraate decise di liberarsi il campo una volta che fu al po
tere, senza mezze misure. A differenza dei tiranni greci, che si limitavano
a uccidere pochi famigliari, sterminò infatti il padre e tutti i fratelli con in
aggiunta un figlio 7•
7. Iustin. XLII 4, 10-5, 2; cfr. Plut. Crass. 3 3, 8-9 ; An t. 37, 1 ; Cass. Dio XLIX 23, 3-5.
1 �7
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
urania Musà', mentre dallo storico ebraico costei viene chiamata, con cu
rioso fraintendimento, Thesmousa). L'incesto, in certe culture (come quel
la iranica, alla quale i Parti appartengono), non era considerato una pratica
aborrita, a differenza del mondo classico (si pensi a Edipo e Giocasta !) e di
quello giudaico, a cui Flavio Giuseppe apparteneva (sia pur divenuto citta
dino romano). Rimane comunque sorprendente, se non affascinante, come
questa figura sorta dal nulla o quasi delle campagne italiche sia potuta as
surgere a regina di un grande impero.
17
La tryphe dei Tolemei
Riprendendo il filo del racconto sui Tolemei, interrotto con le vicende dei
fratelli sposi Arsinoe 1 1 e Tolemeo 11, occorre osservare come i successori fa
tichino a essere all'altezza dei primi sovrani, almeno nel giudizio della pub
blicistica antica, maliziosa e talora piena di acrimonia. Il giudice più severo
è Appiano, peraltro originario di Alessandria ( 11 secolo d.C.) e quindi ben
informato su quelli che egli chiama << i suoi re >> . Questi, nella prefazione
alla sua Storia romana, esalta la magnificenza e l'apparato bellico di Tole
meo 11 e degli altri sovrani del suo periodo, dissipati invece dai successori in
perenne contrasto tra loro, e coinvolgendo implicitamente anche figure di
indubbio spessore come Tolemeo 111 1 D'altro canto, in un passo della sua
•
Geografia nella prima età imperiale, quando ancora era vivissimo il ricordo
dei Lagidi, Strabone afferma recisamente che tutti i Tolemei, dopo Tole
meo 1 1 1 , corrotti dalla tryphe regnarono sempre peggio2 I più depravati, in
•
questa poco edificante graduatoria, furono Tolemeo IV, Tolemeo VII I (v1 1
per Strabone) e, da ultimo, Tolemeo XII detto l'Aulete, il padre di Cleopa
tra VII.
Il lusso eccessivo, ovvero la tryphe, è un tema costante del pensiero e
della storiografia greca, autentico paradigma interpretativo per vagliare
Greci e non Greci. In epoca arcaica come in età ellenistica, ogni ecces
so finiva nel poco raccomandabile calderone della tryphe, e in questo i
Greci sono in parte simili ai Romani della media Repubblica, quella an
corata ai valori di una volta, al fin troppo spesso evocato e celebrato mos
maiorum. Pericolose contaminazioni con la tryphe ebbe peraltro lo stesso
Tolemeo I I , secondo l'acida penna di Filarco, in una versione, ancorché
antifrastica, della favola della volpe e dell'uva ambientata nella reggia di
Alessandria:
14 0
1 7. L A TR YPHÈ D E I T O L E M E I
dei battelli).
14 1
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
7. Plut., Cleom. 3 3 , 1 - 2.
8. Polyb. xxxix 7.
9. lustin. xx�r111 8, 4-5.
142
1 7. L A TR YPHÈ D E I T O L E M E I
Lasciato solo con i suoi in una città così grande, vide che era re non di uomini, ma
di edifici vuoti e con un editto incoraggiò l'arrivo di stranieri 1 1 •
Non c'è dunque nessuna notte piena di turbamenti, nessun << E poi?>> nel
vorticoso succedersi di crimini del Lagide. Infatti, qualche anno dopo (ca.
nel 130) Tolemeo VII I uccise anche il proprio figlio Tolemeo detto Menfi
te, avuto dalla sorella-sposa Cleopatra II, ormai da tempo in rotta con lui.
Sempre Giustino riferisce che ne tagliò il corpo membro a membro, lo pose
in una cesta e lo presentò alla madre il giorno dopo, raccapricciante dono
per il suo compleanno 1 2 •
1 0. Athen. Iv· 184c, da Menecle di Barca e Androne di Alessandria, letterati coevi agli
. .
avven1ment1.
1 1. Iustin. XXXVIII 8, 7.
12. lustin. XXX\·;'I II 8, 13-15; cfr. Diod. XXXIII 13; xxxI,r-xxX\r 14.
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
144
1 7. L A TR YPHÈ DE I TOLE M E I
1 9. Strabo �TI I 1, 8.
20. Plut., Quaest. con v. I 6 24a-b.
I .4- 6
1 7. L A TR YPHÈ DE I TOLE M E I
duce, preferendola, anche un'altra spiegazione, che trae origine dalla pro
paganda del re del Ponto: quando Mitridate era un neonato, un fulmine in
cendiò le sue vesti, senza toccargli il corpo tranne una piccola traccia che ri
mase sul volto e fu nascosta dai capelli. Una volta adulto, nuovamente una
saetta cadde vicino a lui. Gli indovini spiegarono che sarebbe stato temibile
per le truppe fornite d'arco e armate alla leggera, mentre i più, a causa dei
fulmini, lo chiamarono Dioniso in base alla somiglianza con quanto aveva
sofferto il dio (chiaro rimando alle vicende di Semele, madre di Dioniso,
colpita e uccisa da una folgore inviata da Zeus).
Per quanto riguarda i Lagidi, la vena filodionisiaca è soprattutto pal
pabile da Tolemeo IV fino a Tolemeo X I I, il padre di Cleopatra VII. Costui
si proclamò ufficialmente Nuovo Dioniso, a sottolineare il legame con la
divinità e i suoi riti, che prevedevano l'uso dell ' aulos. Questa sua passione
ha fatto passare in secondo piano gran parte della sua politica, che ormai
si tende a rivalutare (a lui si dovrebbe, tra l'altro, lo sviluppo delle comuni
cazioni navali dall'Egitto verso l'India, proseguite poi quando si creò con
Augusto la provincia romana). Nel passo di Strabone ricordato all'inizio
del capitolo, si precisa infatti che il sovrano,
al di là delle altre sfrenatezze, si esercitava a suonare l ' aulos e ne era così fiero che
non si vergognava di indire nella reggia agoni ai quali partecipava lui stesso, gareg
giando con gli altri concorrenti.
Una descrizione confermata da Ateneo, che precisa che Tolemeo XII dissi
pò tutta la ricchezza di Tolemeo I I conservata fino ad allora, lui che era solo
abile a suonare l'aulos e niente più che un bravo prestigiatore 2 2
•
14 7
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
le persone del suo séguito a travestirsi da donna e a bere vino alle feste in
onore del dio Dioniso, le Dionisie2 3 •
Non sorprende dunque che il Lagide fosse chiamato con disprezzo da
gli Alessandrini Auletes ("suonatore di aulos"), e che la tradizione ricami su
altre sue sfrenatezze, pudicamente alluse da Strabone (tra queste andrebbe
annoverata anche l'uccisione della figlia Berenice IV nel 5 5, che aveva osato
detronizzarlo qualche tempo prima).
2 3 . Luc., Calumn . 1 6.
18
Cleop atra v11,fa tale monstrum
Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, sarebbe cambiata l ' intera faccia della
terra1.
Un naso più corto dunque, e non più lungo (così come propone una vul
gata errata, che ha tratto in inganno tra gli altri Pirandello, nel saggio L ' U
morismo) . Un aforisma spesso citato, e su cui si sono affannati a riflettere
storici, comuni mortali e pensatori illustri. Persino Gramsci, nei suoi Qua
derni dal carcere, annota:
Cercare il senso esatto che Pascal dava a questa sua espressione divenuta tanto fa
mosa ( è contenuta nelle Pensées) e il suo legame con le opinioni generali dello
scrittore. (Frivolità nella storia degli uomini; pessimismo giansenistico ) 2 •
3. P.Oxy. LXXI 48 0 9.
4. Plut., An t. 27 ; cfr. Cass. Dio XLII 34, 4-5.
1 8 . CLE OPATRA VII, FA TALE MONS TR UM
5. Plut., An t. 28, 2.
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
6. Strabo �r1 1 1, 1 1.
7. Cass. Dio XLI I 3 S, 4.
1 8 . CLE OPATRA VII, FA TALE M O NS TR UM
Sarà, ma questa follia del nostro generale oltrepassa ogni misura. Quegli indomiti
suoi occhi che in guerra come Marte in armi fiammeggiavano sulle schiere e le
coorti, ora si chinano e dedicano l'ufficio e l 'ossequio dei loro sguardi ad una fron
te bruna. Il suo cuore di condottiero, che negli scontri delle grandi battaglie gli
spezzava le fibbie sul petto, ora rinnega ogni moderazione ed è divenuto mantice e
ventaglio per alimentare e rinfrescare le smanie di una zingara 10 •
8. Lucan. x 360-365.
9. Lucan. x 66-67.
10. Shakespeare, An tonio e Cleopatra, atto I, scena I ( trad. it. F. Franconeri).
1 1. Cass. Dio XLII 4 4 , 2-4; cfr. Beli. Alex. 33, 1 - 2.
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
antonomasia terra di zanzare) sulla Rupe Tarpea, e dettar legge tra le statue
e le armi di Mario.
Il poeta insiste poi sulla lussuria della regina, accostandola a un'altra
nota o supposta lussuriosa, Semiramide. Il tema dell'ipersessualità della re
gina tolemaica si accrebbe sempre più, così come la sua ambigua fama. Nel
la tarda antichità, nell'opera Gli uomini illustri della citta di Roma dello
Pseudo-Aurelio Vittore, figura una descrizione in grado di lasciare il segno
nella cultura occidentale:
Era così lasciva che spesso si prostituiva, e talmente bella che molti comprarono
una notte con lei pagandola con la propria morte 1 5 •
Da Aurelio Vittore (o chi per lui) a Puskin dunque, e poi oltre, toccando
T héophile Gauthier e molti altri.
Tornando a Properzio, a proposito della fine della regina, malignamen
te il poeta romano aggiunge il dettaglio, non riportato da altre fonti, secon
do cui Cleopatra avrebbe pronunciato le sue ultime parole e affrontato la
morte essendo ormai obnubilata dal vino. Vigliaccamente incapace quindi
di andare incontro al suo destino. Il che, francamente, è davvero troppo,
anche per un'Egiziana pesantemente e ripetutamente infangata nella me-
•
moria.
1. Tolemei
Tolemeo I 3 0 5 / 3 0 4- 2 8 2
Tolemeo II 2 8 2- 2 4 6
Tolemeo I I I 246-222
Tolemeo IV 222-204
Tolemeo v 2 0 4- 1 8 0
Tolemeo VI 1 8 0 - 1 45
Tolemeo, f. di Tolemeo VI (Tolemeo VII ? ) 145 ?
Tolemeo VIII 1 7 0 - 1 6 4 ; 1 4 5- 1 1 6
Tolemeo IX 1 1 6 - 1 07 ; 8 8- 8 1 / 8 0
Tolemeo x Alessandro I 1 0 7- 8 8
Berenice I I I e Tolemeo XI Alessandro I I 80
Tolemeo XII 8 0 - 5 8 ; 5 5- 5 1
Berenice IV 58-55
Cleopatra VII
e Tolemeo XIII
e Tolemeo XIV
e Tolemeo xv Cesare
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
2. Seleucidi (e usurpatori)
Seleuco I 305 /304-28 1
Antioco I 28 1-26 1
Antioco I I 26 1-246
Seleuco II 246 -226 /225
Seleuco III 226 /225-223
Antioco III 223- 1 8 7
Seleuco IV 1 87- 1 7 5
Antioco, f. di Seleuco IV 17 5- 17 0 ?
Antioco IV 17 5- 1 64
Antioco V 1 6 4- 1 62
Demetrio I 1 6 2- 15 0
Timarco 1 6 2- 1 6 1
Alessandro Balas 150-145
Demetrio II 145- 1 3 9 ; 1 29 - 1 25
Antioco VI 1 4 5 / 1 44- 1 42/141
Diodato Tryphon 1 42/141- 1 3 8 / 1 37
Antioco VII 1 3 8 - 1 29
Alessandro Zabinas 1 28- 1 23 / 1 2 2
Antioco VIII 128 ?; 125- 9 6
Cleopatra Thea 125- 1 2 1
Antioco I X 1 1 4- 9 5 ca.
Seleuco VI 9 6-94 ca.
Antioco x 94- 8 8 ca.
Antioco XI 94/93
Demetrio I I I 97/96-8 8/87
Filippo I 94- 84/8 3 ?
Antioco XII 8 7 /8 6-84/83 ca.
Antioco XIII 6 9 / 6 8- 67, 6 5 / 64
Filippo II 67 / 6 6 - 6 6 / 6 5
3. Attalidi
Filetero 282/28 1-263
Eumene I 263-241
Attalo I 241 - 1 9 7
Eumene II 1 97-159
Attalo II 1 5 9- 1 3 8
Attalo I I I 138-133
Abbreviazioni e biblio grafia
Le traduzioni delle opere degli autori antichi sono dello scrivente, tranne quelle di
Ateneo (ed. Salerno, con minimi adattamenti, in Canfora, 20 0 1 ) ; di altre versioni
è indicato il nome del traduttore. Le abbreviazioni nelle citazioni sono quelle ge
neralmente in uso.
I frammenti degli storici greci figurano secondo le edizioni di K. MULLER,
Fragmenta Historicoru1n Graecorum, voli. 1-,r, Parisiis 1841-70 (FHG) e, soprattut
to, di F. JACOBY, Die Fragmente der griechischen Historiker, Berlin-Leiden 19 23- 58,
con relativa continuazione (FGrHist) , e del Brill's New ]acoby (BNJ) , il cui com
mento si dà per presupposto. Per quanto riguarda le abbreviazioni di iscrizioni e
papiri, oltre a /G (Inscriptiones Graecae) si segnalano IGIAC (Inscriptions grecques
d'Iran et d'Asie Centrale), OGIS ( Orientis Graeci Inscriptiones Selectae) e SJG (Syl
loge Inscriptionum Graecarum ), nonché P.Oxy. (Papyrus Oxyrhynchus) e P.Herc.
(Papyrus Herculanensis ).
Le sigle delle riviste rispettano, di norma, quelle dell 'Année Philologique.
Introduzione
Punto di partenza per qualsiasi indagine sulla tirannide nel mondo greco è Berve
( 1 9 67 ) ; cfr. anche De Libero ( 1 996 ) e, per alcuni aspetti indagati nel testo, Vattuo
ne ( 20 0 2) ; Azoulay (201 2) ; Luraghi ( 2014) ; Teegarden ( 2014). Importante, anche
per il rapporto dell' immagine del tiranno con la Tragedia, Catenacci (20 1 2; cfr.
anche Catenacci, 20 09 ). In generale, sul potere monocratico cfr. i saggi (ri)pub
blicati in Luraghi ( 2013) e, sul binomio re/tiranni in età ellenistica, soprattutto nel
giudizio delle realtà cittadine, Mari ( 2009 ).
Sulle regalità ellenistiche cfr. Virgilio (20 0 3 ) ; Muccioli (2013, ivi bibliografia
dettagliata sulle singole dinastie, così come sugli epiteti ufficiali e i soprannomi dei
sovrani) ; Grainger ( 20 17 ). Il rapporto tra letterati e sovrani in quell 'epoca è inda
gato, tra gli altri, da Weber ( 1992; 1 993; 199 5 ; 1 9 9 8-99 ) ; altri riferimenti sono con
tenuti in Clauss, Cuypers ( 2010) e, più in generale, in Franco ( 20 0 6, pp. 59- 7 5 ) ;
Strootman ( 2010 ) . Sulle dinamiche di corte cfr. i saggi pubblicati in Spawforth
( 20 07 ) ; Strootman ( 2014) ; Erskine, Llewellyn-Jones, Wallace ( 2017 ).
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
Una storia dell ' ironia e della satira nel mondo greco, e in particolare nelle cor
ti dei tiranni e dei sovrani ellenistici, non è stata ancora scritta; oltre a Scott ( 1 9 3 2) ,
cfr. comunque Bremmer, Roodenburg ( 1997) e i lavori citati da Coloru ( 20 14) ;
inoltre Weber ( 1 9 9 8- 9 9 ) ; Touloumakos (20 0 6 ) ; Hamm ( 20 09). Sul banchetto
(soprattutto in età ellenistica) , luogo deputato ai giochi verbali, quale appare in
particolare nei Deipnosofisti di Ateneo e nelle fonti ivi citate, cfr. Murray ( 19 9 6 ) ;
McClure (2003) ; Vossing ( 20 04) e i saggi raccolti in Grandjean, Heller, Peigney
( 20 1 3) (nonché in Grandjean, Hugoniot, Lion, 20 1 3 ) .
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Sulla dimensione politica di Arsinoe I I , spesso sminuita (Burstein, 1982) , cfr. Car
ney (2013). Per i suoi anni alla corte di Lisimaco cfr. i riferimenti in Landucci Gac
tinoni ( 1992) ; Lund ( 199 2) ; Franco ( 1993); Dmitriev ( 2007 ). Sulla coppia Arsinoe
II-Tolemeo II cfr. Mi.iller (2009a) ; Caneva (2016). Su Sotade (e Macone) cfr. Preta-
16 0
A B B RE V IAZIONI E B I B L IO G R A F IA
gostini ( 1 9 84; 199 1 [2007 ] ) ; Weber ( 19 9 8-99, pp. 162-5) ; Prioux (20 09). Riguardo
a Bilistiche e alle altre cortigiane di Tolemeo II cfr. Kosmetatou (20 04) ; Ogden
(20 0 8 ) .
Capitolo s
I frammenti e le testimonianze di Demetrio del Falero sono raccolti in Stork, van
Ophuijsen, Dorandi (2000) , mentre per un quadro dell 'Atene ellenistica (cfr. an
che Bibliografìa del CAP. 6 ) fondamentale è Habicht ( 20 0 6). Sulla politica legisla
tiva del Peripatetico cfr. O ' Sullivan ( 20 0 9 b) ; B anfi (20 10) ; nonché Haake (20 07,
pp. 6 0 ss., importante anche per una panoramica generale del ruolo politico dei
filosofi). Sul culto della personalità di Demetrio e, per converso, la tradizione ne
gativa cfr. Bardelli ( 1 9 9 9 ) ; O ' Sullivan ( 20 0 8 ) ; Muccioli ( 201 5a) ; Faraguna ( 20 1 6 ) .
Sul suo ruolo presso i Tolemei e l a nascita della Biblioteca di Alessandria e del Mu
seo cfr. MacLeod ( 20 0 0 ) ; Bagnali (2002); Berti, Costa ( 20 10). Sulla successione
degli imperi cfr. Muccioli ( 20 0 5).
Capitolo 6
Sulle vicende di Demetrio Poliorcete nella tradizione (soprattutto la Vita di Plu
tarco) cfr. , da ultimi, Duff (2004) ; Monaco (20 1 1- 1 2) ; Scuderi (20 1 4) ; Diefenbach
(20 15). Sull'abilità militare di Demetrio cfr. Lo Presti (2010). Sugli onori ad Atene
cfr. Chaniotis ( 20 1 1 ) ; Landucci Gattinoni (2014). Sull'universo femminile legato
a Demetrio cfr. Miiller (2009b) ; Harders (20 1 3 ) ; nonché Pownall (20 1 6, pp. 185-6,
per Lamia).
Capitolo 7
Sugli amici del re cfr. Savalli-Lestrade ( 1 9 9 8 ) e, su Adimanto di Lampsaco, Landuc
ci Gattinoni (20 0 1 ) ; Wallace (2013). Una rivalutazione di Stratocle è in Muccio
li (20 0 8, ivi anche l ' ipotesi di una riattualizzazione del decreto di Temistocle nel
302-301 ) ; Bayliss (20 1 1). Sulla rappresentazione di Stratocle come un kolax nella
Vita di Demetrio di Plutarco cfr. i lavori citati supra, Bibliografia del CAP. 6, nonché
Whitmarsh ( 20 0 6 ) , in particolare sull'opera Come distinguere l'adulatore dall'ami
co. Su Democare cfr. Smith ( 1962); Marasco ( 19 84) ; Di Salvatore (20 0 2) ; Asmonti
(20 04) ; Haake (20 0 8 ) . Riguardo a Filippide, cfr. Mastrocinque ( 19 79 ) ; O ' Sullivan
(20 09 a) ; Luraghi (20 1 2) ; Monaco (2013). Su Matrone di Pitane cfr. Olson, Sens
( 1999); D 'Andria (20 0 2) ; Condello ( 20 05).
Capitolo 8
Sull ' immagine deformata di Agatocle in Timeo, Giustino e nelle altre fonti, in
particolare Polibio e la tradizione comica, cfr. Vattuone ( 19 9 1, pp. 1 8 7-99, 63-85).
LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitoli 11 e 12
nich (20 1 4). Sulle tradizioni intorno alla morte del sovrano cfr. Mendels ( 19 8 1
[ 1 9 9 8 ] ) ; Lorein ( 20 0 1 ) ; Wiesehofer ( 20 0 2).
Capitolo 1 3
Per un quadro delle donne nella storia greca prima dell 'età ellenistica cfr. i contri
buti contenuti in Bultrighini, Dimauro (20 1 4). Su Apollonide di Cizico, oltre ai
riferimenti nelle opere di carattere generale sugli Attalidi, cfr. Van Looy ( 19 76) ;
Van Looy, Demoen ( 19 8 6 ) ; Mir6n Pérez (2015). Su Laodice I e Berenice nelle fonti
cfr. Martinez-Sève (20 0 3 ) ; Savalli-Lestrade (20 0 6, pp. 72- 6 ) ; D 'Agostini ( 20 1 6 ) .
Riguardo a Cleopatra Thea e il periodo delle guerre dinastiche nel regno di Siria
cfr. Whitehorne ( 1994, pp. 149-63); Ogden ( 19 9 9, pp. 146-53); Muccioli (20 0 3 ) ;
Ehling (2008, pp. 154- 21 6 ) ; Chrubasik (20 1 6).
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 1 6
spedizione di Crasso e alla popolarità della cultura greca nelle corti degli Arsacidi
e d 'Armenia cfr. Wiesehofer ( 20 0 0 ) ; Traina ( 20 1 0 ; 20 1 4) ; Muccioli (201 2a) ; in
chiave più generale, D�browa ( 20 1 1 ) ; Olbrycht (2014).
Capitolo 17
Capitolo 1 8
Sulla figura di Cleopatra \'II nelle fonti letterarie cfr. Luce ( 1963) ; Becher ( 1 9 6 6 ) ;
Pucci ( 20 0 3 ) ; Nebelin (20 1 1 ) . Per una visione d ' insieme cfr. Chauveau ( 19 9 8 ) ;
Burstein ( 20 04) ; Roller (2010). Riguardo alla realtà storica dei matrimoni di
Cleopatra con i fratelli, contro la communis opinio, cfr. Criscuolo ( 1 9 8 9 ). Circa i
supposti esperimenti medici alla corte della regina cfr. Marasco ( 19 9 5) ; Scarborou
gh ( 20 1 2). Sullo scontro, anche ideologico, tra Antonio e Ottaviano cfr. Borgies
( 20 1 6 ) .
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LE ORECCHIE LUNGHE DI ALESSANDRO MAGNO
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INDICE DE I NOMI ANTICHI