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Anton Cechov La steppa e altri racconti Traduzione di Monica Bottazzi Introduzione di Igor Sibaldi Copyright 1995 Arnoldo Mondadori

Editore S'p'A' Milano In queste pagine "l'umorismo cechoviano si affina via via, si libera dell'ansia dell'effetto buffo, e diviene impalpabile: diventa quell'aria, quel fondo di silenzio nell'aria, intorno a personaggi la cui vita va irresistibilmente e ormai scopertamente verso un nulla tragico, come acqua verso il mare. Gli umoristi, si sa, sono sempre cupi; il riso un esercizio di eleganza e disinvoltura nel tollerare la disperazione che essi avvertono ogni volta che porgono orecchio al senso delle vite e delle cose. E' un modo gentile, affabile, sociale, di venir incontro al balbettamento o al mutismo con cui tutto sembra rispondere loro, al loro invito: "Di' quel che hai da dire". E 4cechov un umorista che si stanca di ridere, ma non di rivolgere quell'invito a tutti, alle sue moltitudini". (dall'Introduzione) Introduzione @di Igor Sibaldi Antn 4cechov era figlio di un bottegaio di Taganrg, e l'insegna sulla bottega diceva: T, zucchero, caff e altri coloniali. Da portar via o da bere sul posto- con errori di ortografia, giacch "in tutta la citt non c'era nemmeno un'insegna senza errori di ortografia". (1)cechov alla sorella Marija, del 7 aprile 1887.(1) La bottega era sudicia, scura, minuscola, e strapiena di merci di poco conto, un po' di tutto e tutto a poco prezzo: candele, chiodi, caramelle, temperini, purganti, stoppini, lampadine, pacchetti di spezie, di tabacco machorka, sacchi di farina, di riso, di semi di girasole, qualche latta di petrolio; e vodka, servita a caraffe. E 4(1)cechov da bambino serviva al banco, odiando quella bottega, e obbedendo meccanicamente a tutti, con un inchino del capo. Anche l'anima dei personaggi dei suoi racconti cos: sempre piena di cose utili e minute, ma troppo utili, troppo minute, troppo piena; e sudicia, scura, minuscola; con una coscienza acquattata in un angolo, che rumina, sogna, brama, odia, e alla fine obbedisce sempre, fatalmente, rappresa in un inchino da commesso di drogheria, a ci che semplicemente c', a tutti, a tutto. Ed davvero difficile trovare, nelle letterature europee, un altro autore il cui tutto sia talmente strapieno, e i cui tutti siano talmente numerosi. E ci fin dagli esordi. Cominci a scrivere nel 1880, a vent'anni, e nel 1884 era gi autore di pi di trecento racconti brevi, venduti uno per uno a riviste umoristiche mediocri o infime, a un prezzo che variava tra le cinque e le otto kopjki a riga. Le riviste esigevano che quel genere di racconti - molto apprezzati dal pubblico medio-basso: impiegati, cassieri, commessi, artigiani, sartine, studenti del ginnasio, ecc' - non superassero le cento righe e fornissero d'ordinario tre protagonisti ciascuno, netti, vividi, messi a fuoco fino all'estremo in quelle cento righe,

e ogni volta nuovi, "colti dal vero quotidiano", e circondati da non meno individuati e autentici comprimari, ch si sentisse l'aria dell'ambiente, la vita pulsante. Mestiere duro, da "talento naturale" davvero: e in quei suoi primi trecento racconti 4(1)cechov comincia appena a riversare le moltitudini che per dono di natura gli avevano popolato la mente e l'anima - migliaia di esseri gi compiuti, bell'e pronti a entrare in scena nella loro colonnetta di stampa, brueghelianamente rifiniti fin dal primo capoverso. E gi allora, nel 1884, per numero dei personaggi solo il Tolstj di Guerra e pace e Anna Karenina poteva stargli alla pari. Altre migliaia ne vennero, di racconto in racconto, di dramma in dramma, nei vent'anni successivi. Nomi, volti, vite di tutta una vita affollata fino allo spasimo. Da bambino, nella bottega, le decine e decine di clienti ogni giorno, con le loro storie vere e false, sagge o assurde, impresse sul volto come cicatrici oppure raccontate mentre vuotavano la caraffa. Da adolescente, i lunghi giri quotidiani per la citt, a dar ripetizioni a domicilio a frotte di ragazzini zucconi, coi loro familiari che sbirciavano, controllavano, intervenivano e poi offrivano la tazza di t (dal 1876 al 1879, 4(1)cechov visse di ripetizioni: la bottega paterna era fallita nel 1876, il padre era fuggito a Mosca per evitare la prigione per debiti e tutta la famiglia l'aveva seguito, lasciando Antn da certi conoscenti, perch terminasse il ginnasio). Poi, a Mosca, durante l'universit, l'incessante caccia a personaggi, trame, spunti per quei racconti umoristici, che gli servivano per pagarsi gli studi e tamponare la miseria familiare - e, come svago, una precocissima passione per i cabaret, i teatri, i caf-chantants: gente, sempre gente! E poi, fino alla morte, la professione di medico, con altre quotidiane moltitudini di nomi, volti, vite e morti di pazienti paganti e gratuiti - e parallelamente, sempre, il lavoro di scrittore-drammaturgo (i teatri da dietro le quinte: attori, registi, lavoranti, e il pubblico); e con in pi la numerosa famiglia sempre appresso; e con in pi un'ansia, un'ansia di amicizie, di aver sempre la casa piena di visitatori e parassiti: "...Non posso assolutamente vivere senza che venga gente a trovarmi. Non so perch, ma quando sono solo ho paura, quasi mi trovassi su una fragile imbarcazione in mezzo all'oceano". (2) Tutta una vita con gente che ti parla accanto. E fin dai primi racconti l'intuizione - tradottasi subito in constatazione, e da allora e per sempre definitiva - che parlare non serve: n a se stessi n agli altri, e n con gli altri, n con se stessi. Tutti sono soli, e quanto pi sono insieme e quanto pi son numerosi, tanto pi sono soli; e quanto pi si accorgono di essere cos soli, tanto pi hanno paura, angoscia, o tedio. "S, la vita una brutta faccenda per ciascuno di noi. Quando ci penso seriamente, mi pare che le persone che hanno orrore della morte non siano coerenti. Da quanto posso giudicare, l'esistenza consiste soltanto in infamie, baruffe e banalit che si alternano e si mescolano tra loro... Si vivacchia soltanto, nel grigiore, senza vedere gente felice". (3) Tutta l'esistenza? Per tutti? Sempre? Sempre, secondo 4(3)cechov. L'umorismo giovanile di 4(3)cechov l'umorismo dell'equivoco, di infamie, baruffe e banalit imperniate tutte su un non detto che non si riesce a dire, e su cose dette che non bastano mai, e che non toccano n la sostanza di quel che si vorrebbe dire, n il cuore e la mente altrui - e che quanto pi si sforzano di dire, tanto pi conducono il parlante nel ne to, come si dice in russo, ovvero in-ci-che-non--quello-che-ci-vuole-e-che-si-vorrebbe. E nei primi racconti questo buffo: buffo-buffo, buffo-malinconico, buffo-crudele, buffo-malizioso, buffo-"ma in fondo che importa", o

buffo-orribile, da incubo buffo. Poi, verso il 1884, l'umorismo cechoviano comincia ad affinarsi, si libera via via dall'ansia dell'effetto buffo, e diviene impalpabile: diventa quell'aria, quel fondo di silenzio nell'aria, intorno a personaggi la cui vita va irresistibilmente e ormai scopertamente verso un nulla tragico, come acqua verso il mare. Gli umoristi, si sa, sono sempre cupi; il loro riso un esercizio di eleganza e disinvoltura nel tollerare la disperazione che avvertono ogni volta che porgono orecchio al senso delle vite e delle cose. E' un modo gentile, affabile, sociale, di venir incontro al balbettamento o al mutismo con cui tutto sembra rispondere loro, al loro invito: "Di' quello che hai da dire". E 4(3)cechov un umorista che si stanca di ridere, ma non di rivolgere quell'invito a tutti e tutto, alle sue moltitudini. E sa di aver ragione, in quel suo pensar tanto cupo. Dopo di lui, e gi ai tempi della sua maggiore fama, per moda gli scrittori e i poeti del decadentismo russo - degli "anni squallidi della Russia: gli anni Novanta, il loro lento strisciare, la loro tranquillit morbosa, il loro profondo provincialismo, una quieta insenatura: l'ultimo rifugio di un'epoca morente" (4)l4(4)stam, Il rumore del tempo (ed' it' Einaudi, Torino 1970, p' 7).(4) - gli scrittori e i poeti del decadentismo russo, dicevo, faranno a gara per convincere che tutto vuoto, e che la vita non val la pena. 4(4)cechov fu il loro maestro dichiarato; ma 4(4)cechov non cerca di convincere, non propaganda il nulla: lo dimostra come un teorema, scuotendo il capo alla fine d'ogni suo racconto-dimostrazione, come tra s. Sa che ha ragione e che in tutto questa sua ragione trover conferme. Si provi a dargli torto: quale prova puoi addurgli in contrario, su chi ti puoi fondare? Allineati accanto a 4(4)cechov, tutti i grandi prosatori russi che l'avevano preceduto fan diventare azzurra la cartina al tornasole che vi immergi, per testarvi la presenza dell'alcali del pessimismo, della disperazione. Da Gogo4(4)l, a Turgenev, a Dostoevskij, a Gon4(4)carv, fino a Tolstj, che proprio negli anni in cui 4(4)cechov si accostava alla letteratura aveva rischiato pi e pi volte di impiccarsi, per orrore del vuoto e dell'insensatezza dell'esistere, prima di scoprire nel Vangelo "l'unica via di scampo". Ah, certo, tutti questi Maggiori della letteratura russa avevano reagito vigorosamente a quella loro comune disperazione, come a una sfida: e avevano colmato a forza la loro percezione del vuoto, con le idee e con sbracciantisi professioni di fede in quelle loro idee - idee di bene, di felicit, di bellezza salvifica, d'illuminazione, di giustizia e d'amore futuri e possibili e indispensabili e imperativi. 4(4)cechov dal canto suo, nel lento strisciare degli anni squallidi della Russia, coglie appieno quella forzosit dei grandi, e la stanchezza di essa, come di chi si imponga di star sempre con i talloni staccati da terra. Che bisogno c'? 4(4)cechov un umorista: e forse che non fa ridere, uno che se ne stia sempre con i talloni staccati da terra? Ma se fa ridere, come puoi credergli, poi? Che bisogno c', dunque? La vita vuota, la vita quel vuoto, quella "brutta faccenda", senza che nulla, in essa, abbia da dir qualcosa di per s, se non che cos , appunto. E va notato subito, fin da questo primo volume: che appunto nella tensione fra questa percezione del vuoto e quelle idee, e forzosit di quelle idee, appunto in ci consiste la composizione chimica del Novecento russo, degli anni terribili della Russia, dalle rivoluzioni agli stermini al caos. Viene tutto da l, dall'interagire di quello sforzo di porre idee a puntellar la volta celeste, e del "che bisogno c', la vita quota", che fa franare il terreno sotto a quei puntelli. Gli orrori del Novecento russo hanno questi poli soltanto, ai capi del loro campo d'energia; questa ne e ne rimane la formula,

con un variare del dosaggio soltanto, di decennio in decennio, ma non dei componenti, sempre presenti. E' da 4(4)cechov, con 4(4)cechov, che incomincia. Ora, 4(4)cechov era tisico, i primi sbocchi di sangue risalgono al 1884 - giustappunto l'anno della sua laurea in medicina: e seppe da subito cosa significava quel sangue nel fazzoletto, e la linea delle sopracciglia gli si incurv, da allora, in un modo tutto particolare, nel guardare il mondo degli altri. Ma 4(4)cechov non un Ippolt il giovanotto tisico che nell'Idiota di Dostoevskij conclama cose pre-cechoviane, durante l'agonia. Non la tisi, o il peso della morte, la sua chiave di volta. 4(4)cechov nato povero, gli altri erano nati ricchi, tutti quanti. Pu4(4)skin, Turgenev, Tolstj, Saltykv erano rampolli dell'alta nobilt; Gogo4(4)l veniva da una famiglia della media aristocrazia ucraina; Dostoevskij e Gon4(4)carv appartenevano a una nobilt di minor conto, recente, - ma in compenso il padre di Dostoevskij era un medico, un uomo colto, proprietario terriero, e il padre di Gon4(4)carv era uno stimato mercante -; il padre di Leskv era un funzionario nobile; il padre di 4(4)cerny4(4)sevskij era un arciprete membro d'un concistoro... Nella famiglia di 4(4)cechov, invece, il primo ad aver avuto un cognome vero e proprio era stato il nonno, Egr 4(4)cech, un servo della gleba che con tenacia, astuzia e ferocia era riuscito ad accumulare il denaro sufficiente a riscattare dal servaggio se stesso, la moglie e i quattro figli. E il padre di 4(4)cechov, Pvel Egrovi4(4)c, nato servo, era rimasto un servo nell'animo e agli occhi dei figli, non era riuscito a combinar nulla nella vita perch non aveva avuto un padrone a cui obbedire. La differenza tra il ricco e il servo, nella Russia dell'Ottocento, era e rimase una differenza di anima, totale, grande come il mondo intero, tanto da escludere persino l'invidia del povero per il ricco, perch non si invidia ci che incomprensibile. E 4(4)cechov visse in quella differenza, e da l guardava il mondo. "Provate dunque a scrivere," ( uno dei suoi passi celeberrimi, tratto da una lettera del 1889 all'amico editore Suvorin), "provate a scrivere la storia di un giovane, figlio di un servo della gleba, che fa il garzone di bottega, poi lo studente ginnasiale e poi va all'universit; e che educato a rispettare tutte le classi sociali, tutte, a baciare la mano ai popi, a inchinarsi a ogni pensiero altrui, a ringraziar sempre qualcuno per ogni pezzo di pane che mangia; e che ha assaggiato spesso la frusta, e d'inverno gira per la citt senza le soprascarpe ai piedi, va a dare ripetizioni... e si comporta con un'ipocrisia totale, davanti a Dio come davanti agli uomini, e senza alcuna giustificazione, ma solamente perch conscio della propria totale indegnit e nullit. Potreste voi raccontare come questo giovane abbia spremuto da s, goccia a goccia, la propria anima di servo, e come, svegliandosi una mattina, abbia sentito che il sangue che gli scorre nelle vene il sangue di un uomo vero e libero, e non pi il sangue di un servo?". (5) Questa storia 4(5)cechov non la scrisse. E perch poi avrebbe dovuto? Perch raccontarlo, a chi potrebbe interessare un simile Bildungsroman socialmente contronatura? Ma ancor di pi: perch averlo vissuto? Perch tanta fatica nello "spremer via da s goccia a goccia" quel sangue ereditario, se poi la tisi viene a spremergli via pian piano il sangue nuovo? Questo e rimase sempre il mondo di 4(5)cechov, quello che si ritrova infallibilmente in ogni sua pagina, non narrato, ma semplicemente l presente, a decider di tutto, a dare a tutto la sua risposta muta. Per quanto affollato e strapieno di cose, il mondo di 4(5)cechov e rimane nell'anima un mondo desolato, colmo d'un vuoto risonante, come un continente abitato da un uomo solo, e non segnato

sulle carte; non ha una storia sua, non ha passato: tutto il passato l'ha spremuto via "goccia a goccia"; non vuol avere futuro: poich quel che chiunque ha da augurarsi nel futuro che il pi presto possibile - "tra due o trecento anni", era un'espressione favorita di 4(5)cechov - si perda la memoria di quell'orrore sociale e umano della disuguaglianza tra le anime, da cui il mondo di 4(5)cechov aveva cercato di strapparsi, vivendo e consumandosi tutto quanto in quello strapparsene. Che lo si dimentichi, che non lo si possa pi capire, che non esista pi in nessun modo. E in Russia, dove 4(5)cechov continua ad essere amatissimo, un mondo che dura tuttora. Fu probabilmente quello "spremer via goccia a goccia", quel lungo liberarsi, a determinare la vocazione medica di 4(5)cechov, il suo interesse professionale per i processi della guarigione. Fu senza dubbio quel suo lungo liberarsi, a dargli l'energia per le sue tante attivit d'interesse sociale, per i suoi pdvig di filantropia. (6)cechov rientra decisamente tra gli scrittori pi socialmente impegnati della storia della letteratura russa: a lui si dovette tra l'altro la realizzazione della prima Casa del Popolo di Mosca, con annessa biblioteca e auditorio e della prima clinica moscovita specializzata in malattie della pelle; insieme al pittore Repin organizz e realizz un Museo di Belle Arti a Taganrg; inizi la costruzione della prima stazione biologica della Crimea; fece costruire, a sue spese e su suo progetto, numerose scuole rurali; si prodig fino allo sfinimento durante le ricorrenti epidemie di tifo, durante le carestie, eccetera. L'esempio gli veniva, naturalmente, da Tolstj, maestro di opere filantropiche; ma per Tolstj, il prodigarsi era un traboccare di forza e di gioia e orgoglio dell'agire; mentre nel 4(6)cechov filantropo rimase sempre un fondo di malinconia struggente: "Il musulmano per salvarsi l'anima scava un pozzo. Sarebbe una bella cosa se ciascuno di noi lasciasse dietro a s una scuola, un pozzo o qualcosa del genere, perch cos la sua vita non fosse trascorsa e finita nel nulla, senza lasciare traccia" (I quaderni del dottor 4(6)cechov, Feltrinelli, Milano 1978, pp' 72-73).(6) Mentre a determinare la sua vocazione di scrittore (non amata all'inizio, adoperata soltanto per fare qualche soldo con le rivistine) era la spietata certezza che un mondo tale e quale al suo fosse nel destino di ogni uomo, del ricco non meno che del servo: e che la sua personale, faticosa dislocazione social-esistenziale fosse soltanto un'accezione di quel non-esserci, di quel ne to, con cui tutti, anche i non-poveri, si accorgono, prima o poi, di star facendo i conti, nella propria vita. Gli altri, i ricchi predecessori di 4(6)cechov nella letteratura russa avevano invece tutti qualcosa da difendere. Oh, non la loro ricchezza o il loro diritto ad averla (questo fu un problema per Tolstj soltanto), n un qualche loro consapevole primato di rango; bens quel quid che solamente la ricchezza pu dare all'anima di un bambino, equipaggiandogliela per la vita intera. La sensazione che, per quanto orribile e brutale sia il mondo, per quanto gretta o disperata sia l'umanit e per quanto spietato possa apparire il cielo, c' pur sempre un luogo ordinato e bello e accogliente dove trovar rifugio e dove essere felicemente e degnamente vivi. Per un bambino ricco quel luogo la sua casa, con le sue terre che si vedono dalle finestre: il luogo fisico, le stanze e le terre potranno poi magari scomparire o rimanere chiss dove, ma il calco interiore, la categoria dell'essere che quel luogo ha lasciato nell'anima rimane, e l si pu continuare a essere in ogni istante, e quella va difesa, a ogni istante, come il proprio territorio vero. Ai russi ricchi della generazione precedente questo aveva dato, appunto, il primo Ottocento russo, l'epoca d'una ricchezza salda e dalle radici

forti, orgogliosa e assoluta e in pace con se stessa come le querce di Guerra e pace. Da l la loro forza, di regger fino in fondo, fino allo stremo, alla pressione esterna esercitata dal mondo intero su quel loro luogo interiore, che diveniva il luogo del loro scrivere. Da l erano venute anche le idee salvifiche dei grandi scrittori russi ricchi, nel loro sforzo di rintracciare comunque un senso, un ordine prospettico e una mappa di direzioni, in quel che c'era fuori. 4(6)cechov, che ne ride senza riderne, alla fine di quell'Ottocento proclama in tutta semplicit che non vero, che quello sforzo era una caparbia debolezza di pochi ricchi nati settanta o sessant'anni prima e che se ne pu fare a meno, per amor di chiarezza, anche se senza quello non ti resta pi nulla. Proprio nel ricchissimo Tolstj, che era allora il pi accanito assertore della potenza salvifica delle idee e al contempo il pi fervido, addirittura brutale difensore del proprio aristocratico "territorio" di felicit interiore, 4(6)cechov cominci a trovare, via via che si precisava il suo pessimismo, un autentico maestro e fratello in spirito - e ne venne in seguito un'affettuosa, lunga amicizia personale. L'accanimento, il fervore, la brutalit ideologica del vecchio Tolstj mantenevano infatti, anche dopo la sua scoperta del Vangelo, un'urgenza, un'intima disperazione precisamente cechoviana. Condividevano, del "4(6)cechovismo", la premessa fondamentale: niente ha senso, e l'uomo non sa che cosa abbia senso. Tolstj - uomo vitale, sano, aggressivo - si salvava da questo naufragio trasformando la premessa in un'accusa, e arroccandosi nell'ultima idea rimasta disponibile, la pi impossibile, la pi lontana da tutto, il Vangelo, appunto; in nome e per conto del Vangelo Tolstj si dava a distruggere metodicamente ogni ragione, ogni struttura, ogni altra fede e convinzione. 4(6)cechov - uomo malato e gentile - si mette tranquillamente sulle sue tracce, senza condividere soltanto la fede nel Vangelo. Ebbe inizio, questa sua adesione a Tolstj (e non al tolstoianesimo), tra il 1887 e il 1888, all'epoca dei primi grandi successi di 4(6)cechov, e si sovrappose a una fase nuova della maturazione artistica di 4(6)cechov, pi severa, pi paziente, e pi inesorabile. "E 4(6)cechov," come scriveva Ajchenv4(6)ld, "si volse al serio. Su qualunque cosa egli fermasse ora lo sguardo dei suoi occhi pensosi, tutto assumeva per lui il tratto del dolore. 4(6)cechov non aveva chiesto un tale dono, n lo voleva, forse: egli aveva sete di gioia e di vita, ma involontariamente cominciava a trasmutare la vita nell'oro della tristezza, nell'oro autunnale delle foglie che appassiscono". Tolstj gli serviva da pathfinder, gli era d'aiuto nella ricerca delle cose su cui fermar lo sguardo, nell'individuazione del punto di vista pi doloroso: in Tolstj, quella ricerca e contemplazione si risolvevano sempre in tremendo, splendido, luccicante e mortale inverno guardato dalle alte e luminose finestre del suo maniero di Jsnaja Poljana. In 4(6)cechov era davvero l'autunno, 4(6)cechov lasciava che il freddo e l'umido del dolore gli entrassero liberamente nelle ossa. Ma quell'autunno finisce per andar oltre il Tolstj stesso di quegli anni: sorpassa il pathfinder, lo precede, indovinandone tutto, anche il futuro, quasi, e spiegandolo a lui stesso. Il primo volume di questa raccolta abbraccia appunto quest'inizio nuovo; e la linea tolstoiana ben visibile davvero in questi racconti: cos, ad esempio, il protagonista del racconto-parabola La scommessa in realt proprio lui, Tolstj, chiuso nell'eremo della sua grandezza e ricchezza, intento a ricapitolare in solitudine le sorti della cultura e della sua epoca. "E io disprezzo i vostri libri, disprezzo tutti i beni del mondo e la saggezza. Tutto inconsistente, effimero, diafano e illusorio come un miraggio. Siate

pure orgogliosi, saggi e stupendi, ma la morte vi spazzer dalla faccia della terra allo stesso modo dei topi del sottosuolo... Voi avete perso la ragione e non seguite la giusta via. Scambiate la menzogna per verit e la deformit per bellezza..." (7) Qui proprio Tolstj che parla: leggendo questo brano impossibile non pensare alle torbide invettive di Che cos' l'arte? (che Tolstj avrebbe scritto dodici anni dopo); e questo Tolstj cechoviano, senza il Vangelo in tasca, vien portato, nel racconto, fino all'estremo addirittura (ma guardacaso!) fino a una fuga a cui assomiglier in modo sorprendente la fuga vera di Tolstj da Jsnaja, quella "violazione del contratto" con l'umanit che Tolstj avrebbe compiuto nel 1910, sei anni dopo la morte di 4(7)cechov. "Tolstoiano", nella medesima accezione del termine, Crisi di nervi: vera e propria rivisitazione de Le memorie di un marqueur che Tolstj aveva scritto nel 1853 - ma il giovanile, moralissimo sgomento tolstoiano dinanzi alla disumanit della prostituzione si amplia qui nello sgomento, ben noto a Tolstj gi negli anni Ottanta, dinanzi all'assoluta, abissale incapacit dell'anima e della morale stessa a trarre non fosse che un lembo di prassi dal caos della propria indignazione (e qualche anno dopo, questo sgomento diverr il motivo conduttore di Resurrezione). "Tolstoiano" del pari il sermone che il medico Michal Ivnovi4(7)c tiene alla dama Vera Gavrlovna, ne La principessa; e ancor pi fatalmente, e ironicamente "tolstoiana" l'assoluta inutilit di quel sermone. Tolstoiano il vuoto, senza rimedio e senza riscatto possibile, in cui per vie del tutto opposte sprofondano la protagonista de Le luci e i due coniugi de L'onomastico, e che in entrambi i racconti condizione necessaria e sufficiente di un crimine: distrugge una vita, che immagine, simbolo della Vita stessa, cos orrendamente indifesa dinanzi alla non-vita in cui brancolano gli uomini, nel sonno della loro coscienza. (8) Tagliato su misura per un personaggio dell'ultimo Tolstj il grido balbettante in cui si impernia tutto il racconto La seccatura: "Non so che cosa voglio, ma prender cos la vita, signori... Ah, Dio mio! E' penoso!". (9) E' proprio lo stesso tormento di Ivn I4(9)l4(9)c, ne La morte di Ivn I4(9)l4(9)c di Tolstj, pubblicato nel 1886, e 4(9)cechov lo incastona, qui, in un nulla grottesco, da commedia, in cui accanto a ogni segmento della trama, dal contrattempo iniziale alla risoluzione, si sente risuonare in sottofondo una sorta di tragico "e con ci?", ovvero l'ordinariet senza scampo - della tragedia umana. Per finire con la beffarda durezza di quella esplicita risposta a Tolstj - alla sollecitudine evangelica di Tolstj per l'anima dei lettori -, che conclude il racconto Il calzolaio e la forza impura: la vita dell'anima, dice il Vangelo e ripete Tolstj, val pi di tutto quel che il mondo offre? Ma certamente, risponde 4(9)cechov, con la sua malizia tragica: "Ma Fedor non li invidiava pi e non si lamentava della sua sorte. Ora gli sembrava che fosse ugualmente dura sia per i ricchi che per i poveri. I primi hanno la possibilit di andare in carrozza, gli altri di cantare a tutta voce e di suonare l'armonica, ma nel complesso a tutti tocca lo stesso, la stessa tomba, e nella vita non c' niente per cui valga la pena di dare al diavolo anche solo una piccola parte della propria anima". (10) Provate a chiedervi chi va pi in l, dei due, in quella ricerca della Verit-Verit, della stina, come si dice in russo, che fin dai suoi primi passi la letteratura russa si era posta esplicitamente, e con sovrana, barbarica ingenuit, come scopo essenziale, come principium individuationis del mestiere stesso di scrittore russo il quale quasi per contratto esigeva che i lettori lo leggessero

anche come un filosofo e un sacerdote. In genere, non c' verso: una regola, un gioco, questo della Verit-Verit, che bisogna accettare nei russi, per non correre il rischio di equivocarli, o di sperdersi seguendoli. Con 4(10)cechov per il gioco non funziona. Quel senso che 4(10)cechov non trova nel procedere dell'esistenza umana e negli uomini, egli lo rifiuta senz'altro anche a qualsiasi bilancio filosofico che dall'esperienza si possa trarre. Non gli interessano le Verit-Verit, e meno che mai quelle degli scrittori russi; la sua frase prediletta (e infinite volte ripetuta dopo di lui), riguardo agli scrittori russi in genere e al tolstoismo in particolar modo, era: "compito dello scrittore porre i problemi, non trovare soluzioni". Il pessimismo di 4(10)cechov uno stato d'animo. E il suo capolavoro, nel pieno del pessimismo dei suoi anni Ottanta, La steppa: il suo primo racconto lungo, sorprendentemente, sfrontatamente privo di trama e di significato. "Per scrivere La steppa... ho lavorato con fatica e con tensione, estirpando tutto da me, e ci mi ha stancato terribilmente. Il racconto riuscito o no? Davvero non lo so. In ogni caso, il mio capolavoro; non sono in grado di fare di meglio". (11)cechov a Ple4(11)s4(11)ceev, del 4 febbraio 1888.(11) Un bambino vede la steppa. Fa un viaggio che in Ucraina fanno tutti, prima o poi: vede orizzonti, declivi, albe, tramonti, temporali, carrettieri, insetti, stagni, arvicole, cavalli. Intorno a s, durante il viaggio, vede molta bellezza, molte cose paurose, e soprattutto molto dolore - dalla mosca che sbranata da una cavalletta "vola via senza ventre", all'erba che muore perch luglio - l'erba checercava di persuadere qualcuno, senza parole, ma con voce lamentosa e sincera, di non aver colpa alcuna, di essere stata inutilmente bruciata dal sole; assicurava che aveva una voglia appassionata di vivere, che era ancora giovane, e sarebbe stata bella se non fossero state l'afa e la siccit; colpa non ne aveva, e tuttavia pregava qualcuno di perdonarle e giurava di sentire un dolore, una tristezza e una piet di s stessa intollerabili... (12) Durante il viaggio il bambino Egru4(12)ska si sente solo, smarrito, si ammala, poi guarisce. Giunge a destinazione, alla fine d'un tratto di steppa, in "un qualche posto" dove frequenter il ginnasio e dove incomincer per lui un nuovo tratto di vita, che non si sa come sar. Ed ecco, cos per tutti, la vita fatta cos, la si pu descrivere, narrare, ma il gioco alla Verit soltanto un passatempo, per chi ha tempo ed inquieto. Ecco tutto. E fu, La steppa, il primo successo clamoroso di 4(12)cechov. Il pubblico degli anni Ottanta lo cap al volo, e tutt'intero, riconoscendovisi appieno, e da allora egli ebbe entusiasti a non finire; tanto che, come narra Nabkov, "era in uso in Russia una specie di gioco di societ che consisteva nel dividere i propri conoscenti tra quelli che amavano 4(12)cechov e quelli che non lo amavano. Questi ultimi non erano persone a posto". (13) Igor Sibaldi NOTE: (1) Lettera di A' 4 (2) Lettera a Suvorin, del 7 giugno 1889. (3) Lettera a Marija Kiselva, del 29 settembre 1886. (4) O' Mande4 (5) Lettera a Suvorin, del 7 gennaio 1889. (6) 4 (7) V' vol' V, pp' 132-135. (8) Cfr' il saggio Perch la gente si droga?, in L' Tolstj, Perch la gente si droga? e altri saggi su societ, politica e religione, Mondadori, Milano 1989.

(9) V' vol' IV, p' 73. (10) V' vol' V, p' 150. (11) Lettera di A' 4 (12) V' vol' I, p' 96. (13) V' Nabokov, Lezioni di letteratura russa, ed' it' Garzanti, Milano 1981, p' 291. 4(13)cechov: vita e opere 1825 Nascita del padre di 4(13)cechov, Pavel Egorovi4(13)c, nel villaggio O4(13)lchovatka, governatorato Vorone4(13)z, da una famiglia di servi della gleba. 1835 24 dicembre - Nasce la madre di 4(13)cechov Evgenija Jakovlevna Morosova, nella citt di Mor4(13)sansk da una famiglia di mercanti di stoffe. Il nonno di 4(13)cechov Egor Michajlovi4(13)c 4(13)cechov, servo della gleba del conte A'D' 4(13)certkov, riscatta tutta la sua famiglia dal servaggio. 1844-1857 P'E' 4(13)cechov va a Taganrog dal mercante Kobylin e presso di lui lavora come impiegato e cassiere; nel 1854 sposa E'Ja' Morosova; nel 1857 si mette in proprio e apre un negozio. 1860-1865 Il 29 gennaio 1860 (17 gennaio vecchio stile) a Taganrog, citt della Russia meridionale, nasce Anton Pavlovi4(13)c 4(13)cechov, terzo figlio di P'E' ed E'Ja' 4(13)cechov (i primi due sono Aleksandr e Nikolaj). Nel 1861 nascer Ivan, nel 1863 la sorella Marija e nel 1865 Michail. 1867-68 Anton 4(13)cechov e suo fratello Nikolaj vengono iscritti alla scuola greca della parrocchia del Re Costantino. Dai 7 ai 17 anni Anton e i fratelli cantano nel coro della chiesa, organizzato da Pavel E' 4(13)cechov. 1868 23 agosto - Si iscrive al ginnasio di Taganrog dove rester 10 anni. 1869-75 Durante questo periodo Anton aiuta il padre a bottega nel tempo libero dalla scuola. 1872 Rimandato in aritmetica e geografia. Trascorre l'estate presso il nonno, amministratore della propriet del conte Platov. 1873 Fa domanda con i fratelli Nikolaj e Ivan per studiare alla nuova "scuola di arti e mestieri" del distretto (per calzolai e sarti). Autunno - Prima visita a teatro: vede l'operetta La bella Elena. Da novembre impara il mestiere di sarto nella scuola distrettuale di Taganrog. 1874

Nell'estate, il padre apre una nuova bottega vicino alla stazione e l'affida a Anton e Aleksandr, poi la chiude, ne riapre un'altra: liquida anche quella. Anton pensa di adattare Taras Bu4(13)lba di Gogol in tragedia. 1874-79 Va a teatro varie volte. Vede fra l'altro Amleto, L'assalto alla posta (citato nel Gabbiano), I guai dell'intelligenza di Griboedov, Colpevoli senza colpa di Ostrovskij, La capanna dello zio Tom, ecc'. I fratelli maggiori vanno a Mosca a studiare (universit e pittura per Nikolaj). Il padre privato dell'aiuto dei due figli; gli affari vanno male. Si accumulano i debiti. 1874-75 Coi fratelli fa spettacoli in casa; rappresentano Il revisore di Gogo4(13)l in cui Anton recita la parte del governatore. 1875 Estate - Durante un viaggio verso la propriet di Selivanov, Anton si ammala: peritonite. Ricoverato la notte in una locanda, al mattino lo riportano a casa. L'episodio sar rievocato nella Steppa. Non supera l'esame di greco e ripeter il secondo anno. Comincia a pubblicare scenette umoristiche sulla vita di Taganrog sul giornale manoscritto della scuola: "Il balbuziente". Ottobre - Anton e suo fratello non frequentano il ginnasio perch non sono state versate le quote d'iscrizione. 1875-76 Partecipa a spettacoli in casa di un amico, in particolare a: I cocchieri o le buffonate dell'ufficiale degli ussari, vaudeville di Grigo4(13)rev. 1876 Fallito per debiti, Pavel E' 4(13)cechov costretto a fuggire a Mosca per evitare la prigione. Giugno - Incaricato dalla madre di 4(13)cechov di vendere la casa per pagare i 500 rubli di una cambiale, l'inquilino Selivanov, impiegato al tribunale di commercio dove si esamina l'affare della cambiale, promette di aiutare i 4(13)cechov, ma fa in modo che per 500 rubli la casa sia assicurata a lui. La madre di 4(13)cechov, con Marija e Michail, raggiunge il marito e gli altri figli a Mosca; Anton resta solo a Taganrog, e vive con Selivanov. 25 novembre - Il padre gli scrive da Mosca: "Noi da te abbiamo ricevuto due lettere piene di scherzi, e noi in tutto questo tempo abbiamo avuto solo 4 copechi per il pane e per la luce. Ci aspettavamo che ci mandassi dei soldi... tua sorella Ma4(13)sa non ha una pelliccia... scrivi presto, manda del denaro... Vendi il com e manda...". 1876-79 Si mantiene da solo dando lezioni. 1877 Primo viaggio a Mosca. Di ritorno scrive al cugino Mi4(13)sa: "Ho confrontato i vostri teatri e i nostri... che noia qui!". 1877-78 Scrive il dramma Senza padre, e il vaudeville Non invano cant la gallina, entrambi perduti.

1879 Raggiunge la famiglia a Mosca e si iscrive all'Universit, alla facolt di Medicina. Ottobre - Collabora con un racconto al giornale umoristico "La Sveglia" e lo firma con lo pseudonimo Anto4(13)sa 4(13)cechonte, un nomignolo datogli a scuola; lo abbandoner nel 1888. Collaborer poi alla "Libellula", scrivendo sotto diversi pseudonimi racconti, scene e appendici; i suoi scritti appariranno inoltre, dal 1881, anche su altre riviste (fra cui "Schegge") e sulla "Gazzetta di Pietroburgo" del 1885. 1880-1883 Durante il secondo anno di universit scrive un lungo dramma che propone all'attrice Ermolova e che gli viene respinto; sar messo in scena postumo col titolo di Platonov. Scrive anche Il nobile, proibito dalla censura, Il segretario senza barba e con la pistola, entrambi perduti. 1881 Alessandro II "lo zar buono" assassinato dai terroristi. Il regno di Alessandro III inizia con arresti di massa e deportazioni. Durante i suoi reportages per lo "Spettatore", esercita le funzioni di critico teatrale. Assiste alle recite di Sarah Bernhardt: "Ogni sospiro di Sarah Bernhardt, le sue lacrime, le sue agonie in scena, tutte le sue recitazioni, sono una lezione impeccabilmente imparata a memoria". 1884 Luglio - Esce in volume la prima raccolta: Racconti di Melpomene con lo pseudonimo A' Cechonte. Settembre - Con l'intenzione di avviare la pratica medica, mette sulla porta la targhetta: "Dottor A'P' 4(13)cechov". Fa domanda di entrare all'ospedale pediatrico di Mosca. 1885 Scrive il dramma Sulla grande strada, proibito dal censore il 20 settembre perch "cupo e indecente". Dicembre - Il suo editore Leikin lo invita per quindici giorni a Pietroburgo, dove 4(13)cechov scopre di essere apprezzato e letto dai maggiori scrittori contemporanei. "Prima, quando non sapevo che leggevano i miei racconti e li giudicavano, scrivevo tranquillamente come mangio pasticcini, adesso ho paura quando scrivo." 1885-1886 Ultimo semestre di scuola di medicina. "Oltre gli esami, c' la dissezione dei cadaveri. C' il lavoro clinico con il suo inevitabile carico di visite d'ospedale. Io lavoro e lavoro e comincio a sentire debolezza fisica. La mia memoria sta peggiorando, divento pigro. La letteratura puzza di vodka, ho paura di essere bocciato." 1886 Gennaio - Suvorin, direttore del "Tempo Nuovo", lo invita a collaborare e ad abbandonare lo pseudonimo di 4(13)cechonte. 4(13)cechov gli risponde: "Scrivo da sei anni e voi siete il primo che si sia preso la briga di darmi consigli e di motivarli". 4(13)cechov scriver per "Tempo Nuovo" il racconto Requiem e intratterr con Suvorin una corrispondenza; l'inizio di una lunga amicizia. Esce la sua raccolta Racconti variopinti. 28 febbraio - "Scrivo e curo malati. A Mosca infuria il tifo

petecchiale. Questo tifo, io lo temo in modo particolare. Mi sembra che se m'ammalassi di questa schifezza non me la caverei, e pericolo di contagio ce n' ad ogni passo... Perch faccio il medico e non l'avvocato? Sono stato stasera da una bambina malata di difterite, e ogni giorno vado da un ebreo, alunno del ginnasio, che ha la malattia di Nan, il vaiolo." Marzo - Laurea in medicina. L'autorevole Grigorovi4(13)c gli scrive: "Occorre rispettare il talento che una dote cos rara, ...serbate le vostre impressioni per un'opera meditata, che non sia stata scritta tutta d'un fiato... Di colpo vincerete la gara e acquisterete la considerazione della gente di gusto delicato, e pi tardi di tutti i lettori". 28 marzo - A Dimitrij V' Grigorovi4(13)c: "La vostra lettera... mi ha colpito come un fulmine... Se vero che c' in me un dono che debba essere rispettato, io confesso alla purezza del vostro cuore che fino a oggi io non l'ho rispettato. Sentivo di possederlo, ma ero avvezzo a considerarlo cosa di poco conto... Tutti i miei hanno sempre considerato con disprezzo la mia attivit letteraria e non hanno mai cessato di consigliarmi amichevolmente di non abbandonare la mia vera professione per fare l'imbrattacarte. A Mosca conto centinaia di conoscenti, fra i quali una ventina di scrittori, ma non riesco a ricordarne uno solo che mi abbia considerato o mi abbia letto come un artista. Esiste un circolo detto "letterario"... Se andassi laggi a leggere anche soltanto un passo della vostra lettera mi riderebbero in faccia. Nei miei cinque anni di peregrinazione da un giornale all'altro, ho avuto modo di assorbire l'opinione generale circa la mia mediocrit letteraria... Questo il primo motivo... Il secondo che sono medico e immerso nella medicina fino al collo, sicch a nessuno come a me il proverbio delle due lepri (chi caccia due lepri non ne prende nessuna) ha turbato tanto il sonno. La vostra lettera m'ha fatto l'effetto di un ordine del governatore di abbandonare la citt entro ventiquattro ore. In altre parole ho provato a un tratto il bisogno di affrettarmi a uscire dal luogo dove m'ero impantanato... Mi liberer da ogni impegno a data fissa ma non cos presto... Sono disposto a patir la fame, come gi l'ho patita, ma non si tratta soltanto di me... Io dedico alla letteratura il mio tempo libero, due o tre ore al giorno e una piccola parte della notte, cio un lasso di tempo che conviene solo a opere di breve respiro. Nell'estate, quando sar pi libero e avr meno spese, mi metter a lavorare seriamente". Scrive Il tabacco fa male, monologo teatrale. 6 aprile - "Sono malato. Sputo sangue e mi sento debole... Dovrei andare al sud, ma non ho soldi..." 11 aprile - Da una lettera allo zio Mitrofan: "A poco a poco la mia clientela aumenta. Per i nostri una cuccagna... Fa comodo aver il medico in casa. La mia attivit letteraria, che una occupazione accessoria, in continuo progresso. Ormai collaboro a "Tempo Nuovo" che mi paga 12 copechi a riga". 1887 Ricava dal racconto Calcante il monologo drammatico Il canto del cigno. "L'ho scritto in un'ora e cinque minuti." Ottobre - Seguendo i consigli di Grigorovi4(13)c comincia a scrivere un romanzo, un'impresa che abbandoner dopo una lunga serie di tentativi. 10 ottobre - Scrive Ivanov. "Ho scritto la commedia per caso, dopo una conversazione con Kor4(13)s. sono andato a dormire, ho trovato il soggetto e ho scritto. Ci ho impiegato... dieci giorni." E' malato e depresso. "Derubo me stesso scrivendo nei giornali..." 4 novembre - "Ivanov, non ho faticato tanto a scriverlo, ma la sua

messa in scena richiede non solo spese di carrozza e perdita di tempo, ma anche una massa di lavoro snervante." Vorrebbe ritirare la commedia, ma ormai l'ha data a Kor4(13)s, che un "commerciante". "Davydov, il grande attore che l'interpreter, si messo a studiare la sua parte con trasporto. Dice che ci sono cinque parti eccellenti, ma che appunto per questo la commedia cadr clamorosamente, perch da Kor4(13)s non c' proprio nessuno in grado di recitarla." 19 novembre - Prima di Ivanov al Teatro Kor4(13)s. "alla prima c'era una tale eccitazione nel pubblico e dietro le scene, quale il suggeritore, che serve nel teatro da 32 anni, non ha mai visto. Tutti rumoreggiavano, vociavano, applaudivano, zittivano, fischiavano. Al buffet per poco non sono venuti alle mani, in galleria gli studenti volevano buttar fuori qualcuno, e la polizia ne ha espulsi due." 1888 30 maggio - Parte per Sumy (Cha4(13)rkov), podere di A'V' Lintvariova. Compie un viaggio in Ukraina, nei luoghi di Gogo4(13)l; ospite di Suvorin a Teodosia. In quel viaggio incontra personaggi che gli ispireranno Le4(13)sij e Zio Vanja. A Suvorin: "A me pare che non tocchi ai letterati risolvere problemi come quello di Dio, del pessimismo ecc'. Compito del narratore soltanto ritrarre chi lo ha fatto e in quali circostanze, chi ha parlato oppure meditato su Dio e sul pessimismo. L'artista non deve essere giudice dei suoi personaggi n di ci che essi dicono, ma solamente un testimone spassionato. Io ho sentito un discorso sconnesso e inconcludente di due russi sul pessimismo e debbo riferire tale discorso nella stessa forma in cui l'ho udito; formulare un apprezzamento sar cosa dei giurati, cio dei lettori". 9 giugno - Allo scrittore 4(13)s4(13)ceglov, che critica il finale del racconto Fuochi: "Non compito dello psicologo capire quello che non capisce. Oltre tutto, non compito dello psicologo far finta di capire quel che nessuno capisce. Noi non faremo i ciarlatani e diremo francamente che a questo mondo non si capisce niente. Sanno tutto e capiscono tutto solo gli sciocchi e i ciarlatani... Coloro che scrivono, e gli artisti in particolare, dovrebbero ormai riconoscere che a questo mondo non si capisce nulla, come a suo tempo lo riconobbero Socrate e Voltaire". Agosto - Vuol comprare una piccola casa in Ukraina. Gli mancano trecento rubli per arrivare alla cifra richiesta. Settembre - A Suvorin, che lo ammonisce a non inseguire due lepri: "La medicina mia moglie, la letteratura la mia amante". 14 ottobre - Sulla tisi e sugli sbocchi di sangue, che lo affliggono da qualche anno, rivolgendosi ancora a Suvorin: "Li ebbi per la prima volta tre anni fa, al Palazzo di Giustizia, durarono tre o quattro giorni e portarono non lieve scompiglio nella mia anima e nella mia casa. Una notevole quantit di sangue proveniente dal polmone destro. Da allora un paio di volte l'anno mi sono accorto che veniva del sangue, ora in abbondanza, cio sino a colorire intensamente di rosso ogni sputo, ora meno. Ogni inverno, nell'autunno e in primavera, e in ogni giornata estiva un po' umida, ho la tosse. Ma mi spavento solo quando vedo il sangue: nel sangue che vien fuori dalla bocca c' qualcosa di sinistro, come nel bagliore di un incendio". Ma tranquillizza l'amico: "Se l'emorragia che mi colse al Palazzo di Giustizia fosse stata il sintomo di una tisi incipiente, da un pezzo sarei all'altro mondo, questa la mia logica". 7 novembre - "Non ho nessun amore per il teatro. Il teatro contemporaneo un'eruzione, una malattia infetta delle citt. Bisogna sbarazzarsi della malattia, ma amarla malsano... Voi dite

che il teatro una scuola? Il teatro oggi non pi elevato della folla, al contrario, la vita della folla pi alta e pi intelligente del teatro. Questo vuol dire che non una scuola ma qualche cosa d'altro." Riceve il premio Pu4(13)skin dall'Accademia. 23 dicembre - "Soggetti per vaudeville ne ho tanti: zampillano fuori da me come il petrolio dalla terra di Baku." Ha avuto grande successo il suo Orso al teatro Kor4(13)s il 29 ottobre. 1889 24 giugno - Morte del fratello Nikolaj. "Il nostro povero pittore morto... Quando partito da Mosca era gi malato di tisi. Il funerale stato magnifico. Secondo l'usanza meridionale, l'abbiamo portato a spalle in chiesa e dalla chiesa al cimitero, senza fiaccole e senza il lugubre carro mortuario, senza fiaccole, e con la cassa aperta. Le ragazze portavano il coperchio, noi la cassa. Durante il trasporto le campane suonavano. L'abbiamo sepolto in un cimitero di campagna, sorridente e tranquillo, dov' tutto un canto d'uccelli, un profumo di melissa." 18 dicembre - "...bozzetti, feuilletons, sciocchezze, vaudevilles, "storie noiose", una quantit di errori e incoerenze, quintali di carta imbrattata, il premio Pu4(13)skin... e in tutto questo non una riga che abbia ai miei occhi un vero significato letterario... Ho un appassionato desiderio di rintanarmi in qualche posto per quattro o cinque anni e di dedicarmi a un lavoro scrupoloso e serio. Ho bisogno di studiare, d'imparare tutto da capo, giacch, come letterato, sono un perfetto ignorante; ho bisogno di scrivere con coscienza, con sentimento, con intendimento, di scrivere non cinque sedicesimi al mese, ma un sedicesimo in cinque mesi. Debbo andarmene da casa, cominciare a vivere con settecento o novecento rubli all'anno e non con tre o quattromila come adesso. Debbo rinunziare a molte cose, ma in me c' pi pigrizia ucraina che coraggio... In gennaio compir trent'anni. Che orrore. E pensare che me ne sento ventidue." Decide di partire per l'isola di Sachalin. 27 dicembre - Prima di Le4(13)sij al teatro Abramova: insuccesso. 1890 Primi mesi: raccoglie e legge tutto il materiale possibile per la sua spedizione all'isola di Sachalin. "Devo diventare geologo, meteorologo, etnologo... Nella mia testa non c' che Sachalin... Mania Sachalinosa..." Poco dopo firmer "Homo Sachalinensis". 9 marzo - Spiega a Suvorin le ragioni della sua spedizione a Sachalin: "...Il mio viaggio non dar un pregevole contributo n alla letteratura n alla scienza; mi mancano per questo le cognizioni, il tempo e l'ambizione. ...Desidero solo scrivere cento o duecento pagine e in tal modo sdebitarmi un poco con la mia medicina, verso la quale, come sapete, mi comporto come un maiale. ...Mi spiace di non essere un sentimentale, altrimenti direi che in luoghi simili a Sachalin noi dovremmo andare in pellegrinaggio come i turchi vanno alla Mecca... Dai libri che ho letto e sto leggendo chiaro che abbiamo fatto marcire in prigione milioni di uomini, li abbiamo fatti marcire invano, senza criterio, barbaramente; abbiamo obbligato gente a percorrere migliaia di verste al freddo, in catene, l'abbiamo contagiata con la sifilide, l'abbiamo corrotta, abbiamo moltiplicato i delinquenti, e di tutto questo addossiamo la colpa ai carcerieri dal naso rosso per il gran bere. Adesso tutta l'Europa colta sa che la colpa non dei carcerieri ma di ognuno di noi, per questo non ci interessa...". Aprile - Parte per Sachalin. Attraversa la Siberia in carrozza e i

fiumi siberiani in barca. Arrivato a Sachalin, vi passer tre mesi e due giorni, conducendo un'inchiesta sulle case di pena e gli ergastolani. "...Ho avuto la pazienza di fare il censimento di tutta la popolazione di Sachalin. Ho fatto il giro di tutte le colonie, sono entrato in ogni casa e ho parlato con ciascuno. Per il censimento ho usato il sistema delle schede e ho gi registrato circa diecimila fra ergastolani e coloni. ...Ho assistito a una fustigazione, dopo di che per tre o quattro notti ho sognato il boia e l'orribile cavalletto... Ho parlato con gli ergastolani incatenati alle carriole..." 13 ottobre - Parte da Sachalin via mare. 9 dicembre - Mosca. "Urr... sono finalmente a casa, seduto davanti alla mia scrivania... Finch stavo a Sachalin, sentivo dentro di me solo un sapore amarognolo, come dopo aver mangiato burro rancido; ora invece Sachalin mi appare nel ricordo un vero inferno... Dell'Estremo Oriente e in genere della nostra costa orientale con le sue flotte, i suoi problemi e le mire sul Pacifico, dir solo una cosa: una povert che grida al cielo. Povert, ignoranza e insipienza tali da ridurre alla disperazione. Un uomo onesto su novantanove ladri che infamano il nome della Russia..." Scriver sull'isola di Sachalin un libro che pubblicher nel 1893-94. 1891 Febbraio - Prima della Domanda di matrimonio al Malyj Teatr. Marzo - Parte con Suvorin per l'Europa che ancora non conosce, visita l'Austria, l'Italia e la Francia. Torna indebitato. Estate - Scrive Il duello. "Incatenato alla scrivania! Lavoro, lavoro, lavoro!" Dicembre - Carestia nelle campagne. Per tutto l'inverno cerca di organizzare soccorsi ai contadini affamati. Insieme col capo di uno zemstvo del governatorato di Ni4(13)znij-Novgorod ha ideato un piano originale di assistenza ai contadini. Da una lettera dell'11 dicembre: "Oltre tutte le opere di assistenza agli affamati, noi cerchiamo soprattutto di salvare il raccolto dell'anno venturo. Dato che i contadini vendono i loro cavalli per pochi soldi, incombe il pericolo che in primavera i campi non siano arati e si ripeta la storia della fame. Quindi noi compriamo i cavalli e li nutriamo, e poi li restituiamo in primavera ai loro proprietari". (Mia moglie, scritta in quei mesi, ambientata nel quadro di questa carestia.) 1892 Febbraio - Nonostante alcune difficolt finanziarie realizza il suo sogno di comprare una casa in campagna (a Melichovo) e vi si installa. Vi rester 8 anni e in questo periodo scriver, oltre Il gabbiano, alcuni dei suoi racconti migliori: La sventata e Vicini (1892), Racconto di uno sconosciuto (1893), Il monaco nero (1894), Ariadne (1895). Il racconto Contadini (1897) fece scandalo perch per la prima volta la vita nelle campagne era ritratta con crudezza, senza compiacimenti n sentimentalismi. Dopo averlo letto, Tolstoj comment: "4(13)cechov non conosce i contadini", e 4(13)cechov: "Ho sangue contadino nelle vene, quindi dalle virt contadine non mi lascio impressionare". 16 agosto - A proposito dell'epidemia di colera scoppiata fra i contadini scriver a Suvorin da Melichovo: "Il trattamento del colera esige dal medico prima di tutto molta disponibilit di tempo; bisogna, cio, dedicare a ogni ammalato da cinque a dieci ore, se non di pi. Alla letteratura, naturalmente, non c' neanche da pensare. Non scrivo nulla. Per riservarmi un minimo di libert d'azione, ho rifiutato ogni compenso e mi trovo

perci senza un soldo... Quando saprete dai giornali che il colera finito, significher che avr ricominciato a scrivere. Finch, invece, sar al servizio dello zemstvo, non mi considerate uno scrittore. Non si possono fare due cose alla volta". 1895 23 marzo - A Suvorin che lo esorta a sposarsi: "Mi sposer se volete. Ma queste sono le mie condizioni: tutto dovr essere com' stato finora, cio lei dovr vivere a Mosca, e io in campagna, e io andr a trovarla... Prometto d'essere un marito meraviglioso, ma datemi una moglie che, come la luna, non compaia nel mio cielo tutti i giorni; se mi sposassi, non per questo mi metterei a scrivere meglio". Novembre - Termina la prima versione del Gabbiano che andr in scena, dopo vari rifacimenti, il 17 ottobre 1896 al Teatro Aleksandrinskij di Pietroburgo. 1896 18 ottobre - "Il dramma crollato, stato un fiasco solenne. In teatro c'era un'atmosfera tesa, d'imbarazzo e vergogna. Gli attori hanno recitato da cani, da cretini. Di qui la morale: non bisogna scriver lavori teatrali." Poi scriver: "E' stato un fallimento non per il mio dramma ma per me... E' stato come uno schiaffo in faccia". 1896-97 Si dedica a un'attivit frenetica. Corrono voci di guerra con l'Inghilterra: pensa di arruolarsi come medico. Costruisce una scuola a Melichovo. Collabora a progettare un "palazzo del popolo" a Mosca. Vuol fondare un giornale "che costi poco, 4 rubli all'anno. E' necessario". Lo vorrebbe dirigere con Go4(13)lzev. 1897 8 febbraio - "Di nuovo costruisco una scuola. E' stata da me una deputazione di contadini, me l'ha chiesto, e non ho avuto il coraggio di dir di no. Lo zemstvo d mille rubli, i contadini ne hanno raccolti 300 ma non basta, per la scuola ce ne vorranno almeno tremila. Vorr dire che di nuovo dovr pensare tutta l'estate a questi soldi, e trovarli un po' qua un po' l. Non d pace questa vita di campagna." 19 febbraio - Cena al "Continentale" in memoria della Grande Riforma (l'abolizione della servit della gleba). "Noioso e assurdo. Pranzare, bere champagne, gridare, fare discorsi sul tema della presa di coscienza del popolo, sulla libert popolare ecc' mentre intorno al tavolo vanno avanti e indietro schiavi in frak, quegli stessi che erano servi della gleba, e fuori in strada, nel gelo, aspettano i cocchieri, questo vuol dire mentire allo spirito santo." 1 marzo - A Suvorin: "Al congresso degli attori vedrete probabilmente il progetto del grandioso teatro nazionale da noi ideato. Noi cio i rappresentanti dell'intelligencija moscovita (l'intelligencija va incontro al capitale, e il capitale non alieno dal fare altrettanto). Sotto uno stesso tetto, in una bella, linda costruzione troveranno posto il teatro, l'auditorio, la biblioteca, la sala di lettura, quella da t ecc...". 21 marzo - Durante una cena con Suvorin ha un'emorragia. E' trasportato in clinica. Uscir il 10 aprile. Su consiglio dei medici, in agosto andr a Biarritz e trascorrer l'inverno a Nizza. 1898 Gennaio - Segue con passione l'affare Dreyfus, e approva J'accuse, di Zola pubblicato su l'"Aurore". E' in disaccordo con Suvorin,

antidreyfusardo. 6 febbraio - Espone a Suvorin le sue opinioni sull'affare Dreyfus. "Anche se Dreyfus fosse colpevole, Zola avrebbe sempre ragione, perch il compito degli scrittori non accusare, n perseguire, ma prender le difese di chi, magari colpevole, stato ormai giudicato e condannato. Si dir: e la politica? E gli interessi dello stato? Ma i grandi scrittori e artisti debbono occuparsi di politica solo quel tanto che necessario per difendersi da lei. Di accusatori, procuratori, gendarmi ce n' troppi anche senza di loro, e in ogni caso si addice loro pi la parte di Paolo che quella di Saul." Konstantin Stanislavskij e Nemirovi4(13)c-Dan4(13)cenko fondano il Teatro d'Arte di Mosca e chiedono a 4(13)cechov il permesso di mettere in scena Il gabbiano. 12 ottobre - Morte del padre di 4(13)cechov, Pavel. "Mi sembra che dopo la morte di mio padre la vita non sar pi la stessa, a Melichovo." 4(13)cechov costretto ormai, per ragioni di salute, a vivere gran parte dell'anno nel sud, a Jalta, in Crimea, sul Mar Nero; in seguito comprer un terreno a Autka, dove si costruir una casa, e un altro, nel 1900 a Gurzuf, entrambi nella penisola di Crimea. 17 ottobre - Prima del Gabbiano al Teatro d'Arte. Un trionfo. 1899 Scrive il racconto La signora col cagnolino. 2 aprile - A proposito del movimento degli studenti scrive: "A Cha4(13)rkov, alla stazione, il pubblico fa ovazioni agli studenti che passano; sempre a Cha4(13)rkov, ci si agita per l'affare dei fratelli Skitskij. Scaccia la natura dalla porta, rientrer dalla finestra; quando manca il diritto di esprimere liberamente la propria opinione, la si proclama allora con aria provocante, con rabbia, e sovente - dal punto di vista governativo - in forma mostruosa e scandalosa. Date libert di stampa e di coscienza, e subentrer l'invocata calma. Calma, che a dire il vero, non sarebbe di lunga durata, ma sufficiente per i nostri giorni". 1900 26 ottobre - Prima di Zio Vanja al Teatro d'Arte. 4(13)cechov ha terminato Tre sorelle e lo porta a Mosca per leggerlo agli attori. Parte per Nizza. 1901 31 gennaio - Prima di Tre sorelle al Teatro d'Arte. 25 maggio - Sposa l'attrice O4(13)lga Knipper del Teatro d'Arte. La tubercolosi si aggravata e 4(13)cechov costretto a condurre la sposa nella regione di Ufa, a fare la cura del kumyss (latte di cavalla fermentato). 1903 Scrive il racconto La fidanzata. 1904 Il giorno del suo compleanno, il 17 gennaio, ha luogo la prima del Giardino dei ciliegi al Teatro d'Arte. Febbraio - Ritorno a Jalta. Maggio - Torna a Mosca. Il medico gli consiglia di andare per cura a Badenweiler, nella Foresta Nera. Parte accompagnato dalla moglie O4(13)lga. 3 giugno - Si ferma a Berlino. 28 giugno - Ultima lettera in cui progetta di tornare in Russia per mare via Marsiglia.

2 luglio - Chiama il dottore: "Ich sterbe". Il dottore ordina che gli sia dato un bicchiere di champagne. Vuota il bicchiere, si volta su un fianco e muore. Qualcuno noter che sul vagone che trasport i resti di 4(13)cechov a Pietroburgo era scritto "Ostriche fresche". Bibliografia La versione delle opere e delle lettere citate in questo volume stata riveduta o condotta sull'ultima edizione annotata delle Opere Complete apparsa in Unione Sovietica e cio: 4(13)cechov A'P', Polnoe Sobranie So4(13)cinenij i Pisem, v tridcati tomach. (Raccolta completa delle opere e delle lettere in trenta volumi, curatori vari. Mosca 1978 e segg'.) Per alcune lettere gi ottimamente tradotte in italiano da Gigliola Venturi e Clara Cosson e pubblicate nella loro scelta dell'Epistolario 4(13)cechoviano presso Einaudi (1960), mi sono valso della loro versione, e le ringrazio. Saggi biografici e memorie Avilova Lidija A'P' 4(13)cechov v moi 4(13)zizni, Mosca 1952. Trad' ingl': Chekhov in my Life: a Love Story. Introduction by David Magarshack, Londra 1950. Trad' it': 4(13)cechov nella mia vita, Milano 1960. Balabanovi4(13)c E', 4(13)cechov i 4(13)caikovskij, Mosca 1978. Bel4(13)cikov N'F', 4(13)cechov i ego sreda (4(13)cechov e il suo ambiente), Leningrado 1930. Bruford W'H', Anton Chekhov, Londra 1957. -, Chekhov and his Russia. A Sociological Study, Londra 1948. Bunin I'A', O 4(13)cechove, New York 1955. 4(13)cechov, Volume 68 del Literaturnoe Nasledstvo edito dall'Accademia delle Scienze dell'Urss, Mosca 1960. Contiene tra l'altro una serie di ricordi e diari inediti su 4(13)cechov: Diari di I'L' 4(13)s4(13)ceglov, V'A' Tichonov, N'A' Leikin, V'A' Teljakovskij, V'S' Miroljubov, V'G' Korolenko. Lettere di Mejercho4(13)ld e altri. Ricordi di M'D' Drossi-Steiger, Z'E' Pi4(13)cugin, K'A' Korovin, N'V' Golubeva, K'A' Karatygina, M'K' Za4(13)nkoveckaja, A'S' Sergeenko, L'K' Fedorova, I'A' Bunin, I'N' Alt4(13)suller. 4(13)cechov v vospominanijach sovremennikov, (4(13)cechov nei ricordi dei contemporanei) a cura di N'I' Gitovi4(13)c e I'B' Federova. Contiene testi dei fratelli di 4(13)cechov Aleksandr, Marija e Michail, di V'A' Simov, V'A' Giljarovskij, V'G' Korolenko, I'E' Repin, A'S' Lazarev-Gruzinskij, I'L' 4(13)s4(13)ceglov, L'A' Avilova, I'N' Potapenko, T'L' 4(13)s4(13)cepkina-Kupernik, K'S' Stanislavskij, V'I' Nemirovi4(13)c-Dan4(13)cenko, V'V' Lu4(13)zskij, V'I' Ka4(13)calov, P'N' Orlenev, L'N' 4(13)sapovalov, A'M' Go4(13)rkij, A'I' Kuprin, N'D' Tele4(13)sov, I'A' Bunin, V'V' Veresaev, S'A' Elpatevskij, S'N' 4(13)s4(13)cukin, I'A' Novikov, M'A' 4(13)clenov, A' Serebrov (Tichonov), E'P' Karpov, N' Garin, R'I' Rossolimo, O'L' Knipper-4(13)cechova. IV ed', Mosca 1960. 4(13)cechov Marija P', Pi4(13)sma k bratu A'P' 4(13)cechov (Lettere al fratello A'P' 4(13)cechov), introduzione di N'A' Susoeva, Mosca 1959. 4(13)cechov Michail P', Anton 4(13)cechov i ego sju4(13)zety (Anton 4(13)cechov e i suoi soggetti), Mosca 1923. -, Vokrug 4(13)cechova (Intorno a 4(13)cechov), Mosca-Leningrado 1933. Ermilov V', Anton Pavlovic 4(13)cechov 1860-1904, Mosca 1956, trad' ingl', Londra 1957. Esin B'I', 4(13)cechov 4(13)zurnalist (4(13)cechov giornalista), Mosca 1977.

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fornello. Per la velocit la camicia rossa gli si gonfiava sulla schiena come una bolla e il cappello nuovo da postiglione con la piuma di pavone gli scivolava in continuazione sulla nuca. Si sentiva oltremodo infelice e voleva piangere. Quando il calesse pass vicino alla prigione, Egoru4(1)ska gett uno sguardo alle sentinelle che camminavano adagio lungo l'alto muro bianco, alle piccole finestre con le inferriate, alla croce che brillava sul tetto, e ricord quando, una settimana prima, il giorno della Madonna di Kaza4(1)n, era andato con la mamma alla chiesa della prigione per la festa patronale; e ancora prima, a Pasqua, era venuto alla prigione assieme alla cuoca Ljudmila e a Deniska e aveva portato i kulic, (2) le uova, le torte e il manzo arrosto; i detenuti avevano ringraziato e fatto il segno di croce, e uno di loro aveva regalato a Egoru4(2)ska dei gemelli di stagno fatti con le sue mani. Il ragazzo contemplava i luoghi conosciuti, mentre l'odioso calesse correva loro vicino e lasciava tutto dietro di s. Dopo la prigione balenarono le nere fucine affumicate, e dopo queste l'accogliente cimitero verde, cinto da un muretto di sampietrino; dal muretto facevano allegramente capolino le croci e i monumenti bianchi che si nascondevano nel verde dei ciliegi e da lontano parevano delle macchie bianche. Egoru4(2)ska ricord che, quando il ciliegio fioriva, queste macchie bianche si fondevano con i fiori dei ciliegi in un mare bianco; e quando i frutti maturavano, i monumenti e le croci bianche risultavano tempestati di punti purpurei come sangue. Dietro al muretto sotto i ciliegi dormivano giorno e notte il padre di Egoru4(2)ska e la nonna Zinaida Danilovna. Quando la nonna mor, la deposero in una bara lunga, stretta e le coprirono gli occhi, che non volevano restare chiusi, con due monete da cinque copeche. Sino a prima di morire era stata vivace e portava dal mercato ciambelle morbide, cosparse di semi di papavero, ora invece dormiva, dormiva... E dietro il cimitero fumavano i mattonifici. Un fumo denso, nero, a grandi nugoli usciva dai lunghi tetti schiacciati a terra, di canne, e saliva pigramente verso l'alto. Il cielo sulle fabbriche e sul cimitero era cupo, e grandi ombre prodotte dai nugoli di fumo strisciavano sui campi e attraverso la strada. Nel fumo vicino ai tetti si muovevano persone e cavalli coperti di polvere rossa... Dietro le fabbriche terminava la citt e cominciava la campagna. Egoru4(2)ska per l'ultima volta gett un'occhiata alla citt, strinse il viso al gomito di Deniska e scoppi a piangere amaramente... "Ebbene, non hai ancora smesso di piangere, frignone!" disse Ku4(2)zmi4(2)cov. "Si messo di nuovo a piangere, il viziato! Se non vuoi partire, resta. Nessuno ti trascina via a forza!" "Non nulla, non nulla, fratello Egor, non nulla..." mormor in fretta padre Christofor. "Non nulla, fratello... Rivolgiti a Dio... Non vai a compiere del male, ma del bene. Lo studio, come si suol dire, luce, mentre l'ignoranza tenebra... E' veramente cos." "Vuoi tornare indietro?" chiese Ku4(2)zmi4(2)cov. "S... s..." rispose Egoru4(2)ska singhiozzando. "E allora torna. Comunque, fai un viaggio inutile: troverai ci che puoi trovare a casa tua." "Non niente, non niente, fratello..." continuava padre Christofor. "Raccomandati a Dio. Lomonosov, anche lui, ha viaggiato con i pescatori, eppure divenne un uomo celebre in tutta Europa. L'erudizione, assimilata assieme alla fede, d frutti graditi a Dio. Come dice la preghiera? A gloria del Creatore, a conforto dei nostri genitori, a beneficio della chiesa e della patria... Proprio cos." "Il beneficio pu essere di diverso tipo..." disse Ku4(2)zmi4(2)cov, accendendosi un sigaro da poco. "C' chi studia vent'anni senza alcun risultato." "Capita."

"C' a chi la scienza risulta utile, e c' a chi si confonde solo la mente. Mia sorella non capisce, si sforza di fare tutto come i signori e vuole fare di Egorka uno studioso, ma non capisce una cosa, che io con i miei affari potrei rendere feliceEgorka per sempre. Ve lo spiego perch se tutti divenissero scienziati e signori, non ci sarebbe pi nessuno a commerciare o seminare il grano. Morirebbero tutti di fame." "Ma se tutti commerciassero e seminassero il grano, nessuno assimilerebbe pi la scienza." E ritenendo di aver detto entrambi qualcosa di persuasivo e autorevole, Ku4(2)zmi4(2)cov e padre Christofor assunsero un'espressione seria e diedero simultaneamente un colpo di tosse. Deniska, che aveva ascoltato la loro conversazione e non ci aveva capito niente, scroll la testa e, sollevatosi leggermente, diede una frustata ai due bai. Si fece silenzio. Frattanto davanti agli occhi dei viaggiatori si stendeva gi una vasta pianura, infinita, cinta da una catena di colline. Infittendosi e spuntando l'una dietro l'altra, queste colline confluiscono in un'altura che a destra della strada si tende sino all'orizzonte e scompare nella lontananza violacea; cammini, cammini, e non riesci a capire dove essa cominci e dove finisca... Il sole aveva gi fatto capolino da dietro la citt e con calma, senza affannarsi, si era messo al lavoro. Dapprima, di fronte, in lontananza, dove il cielo si unisce alla terra, vicino ai tumuli e al mulino a vento, che da lontano somiglia a un omino che agita le braccia, strisci sulla terra un'ampia fascia giallo chiaro; dopo un minuto una fascia identica risplendette leggermente pi vicino, scivol a destra e avvolse le colline; qualcosa di tiepido sfior la schiena di Egoru4(2)ska, la fascia di luce, avvicinatasi di soppiatto alle spalle, sgusci dal calesse e dai cavalli, si precipit incontro alle altre fasce, e d'un tratto tutta l'ampia steppa si scroll di dosso la penombra mattutina, sorrise e sfavill di rugiada. La segala falciata, l'erbaccia, l'euforbia, la canapa selvatica: tutto, imbrunito dall'arsura, rossiccio e mezzo morto, lavato ora dalla rugiada e accarezzato dal sole, rinasceva per fiorire nuovamente. Sulla strada le procellarie passavano velocemente con un allegro stridio, nell'erba le arvicole si chiamavano reciprocamente, lontano da qualche parte a sinistra piangevano le pavoncelle. Uno stormo di pernici, spaventate dal calesse, spicc il volo e con il suo dolce "trrr" si diresse verso le colline. Le cavallette, i grilli, i canterini e le grillotalpe intonarono nell'erba la loro musica stridula, monotona. Non trascorse molto tempo che la rugiada evapor, l'aria stagn, e la steppa, ingannata, assunse il suo misero aspetto di luglio. L'erba chin il capino, la vita si arrest. Le colline abbronzate, bruno-verdi, in lontananza violacee, con i loro toni tranquilli come ombra, la pianura con il suo sfondo nebbioso e, ribaltato su di essi, il cielo, che nella steppa, dove non ci sono boschi e monti elevati, sembra tremendamente azzurro e trasparente, apparivano ora infiniti, impietriti dalla malinconia... Che afa e che sconforto! Il calesse corre, ma Egoru4(2)ska vede sempre le stesse cose: cielo, pianura, colline... Nell'erba la musica cessata. Le procellarie sono volate via, non si vedono le pernici. Sull'erba avvizzita, non avendo altro da fare, volteggiano i gracchi; si somigliano l'uno all'altro e rendono la steppa ancor pi uniforme. Vola il nibbio rasente terra, sbattendo adagio le ali, e all'improvviso si ferma in aria, come se meditasse sulla noia della vita, poi sbatte le ali e sfreccia sulla steppa, e non si capisce perch voli e che cosa gli occorra. E in lontananza un mulino agita le ali...

Tanto per variare, fra l'erbaccia balena un teschio bianco o un sampietrino; per un attimo si innalza una donna grigia di pietra oppure un salice disseccato con una gazza azzurra sul ramo pi alto, un'arvicola attraversa la strada di corsa, e... di nuovo scorrono davanti agli occhi l'erbaccia, le colline, i gracchi... Ma ecco, grazie a Dio, venire incontro un carro carico di covoni. Proprio in cima sdraiata una ragazza. Assonnata, spossata dalla calura, solleva la testa e fissa coloro che vengono incontro. Deniska la guarda a bocca aperta, i bai protendono i musi verso i covoni, il calesse con uno stridio sbatte contro il carro, e le spighe pungenti passano come scopa sul cilindro di padre Christofor. "Vai addosso alla gente, cicciona!" urla Deniska. "Guarda, ha il muso gonfio, manco l'avesse punta un calabrone!" La ragazza sorride con aria assonnata e, mosse appena le labbra, torna a coricarsi... Ed ecco sulla collina compare un pioppo solitario; chi l'abbia piantato e perch sia qui, Dio solo lo sa. E' difficile staccare gli occhi dalla sua figura slanciata e dalla sua veste verde. E' felice questo bel tipo? D'estate la calura, d'inverno il gelo e le tempeste di neve, d'autunno le notti terribili, quando si vedono solo le tenebre e non si sente nient'altro che il vento sfrenato che spira furioso, ma, soprattutto, tutta la vita sempre solo, sempre solo... Dietro il pioppo, come un tappeto giallo brillante, si stendono fasce di grano dalla cima della collina sin proprio alla strada. Sulla collina il grano gi falciato e raccolto in covoni, mentre in basso stanno ancora falciando... Sei mietitori stanno uno di fianco all'altro e agitano le falci, mentre le falci scintillano allegramente e tutte insieme a tempo emettono un suono: "vzzi, vzzi!". Dai movimenti delle donne che legano i covoni, dai volti dei falciatori, dallo scintillio delle falci si capisce che la calura scotta e soffoca. Un cane nero con la lingua penzoloni corre dai falciatori incontro al calesse, probabilmente con l'intenzione di abbaiare, ma si arresta a met strada e fissa indifferente Deniska che lo minaccia con la frusta: fa caldo per abbaiare! Una donna si drizza e, sostenendo con entrambe le mani la schiena esausta, accompagna con lo sguardo la camicia rossa di Egoru4(2)ska. Sar perch le piace il colore rosso oppure perch si ricordata dei propri figli? Rimane, comunque, a lungo immobile e lo segue con lo sguardo... Ma ecco che anche il grano balenato via. Si stende di nuovo la pianura arsa, le colline abbronzate, il cielo torrido, di nuovo il nibbio vola rasente terra. Lontano, come prima, il mulino muove le ali e somiglia ancora a un omino che agiti le braccia. E' venuto a noia guardarlo e sembra che non lo si raggiunger mai, che esso sfugga al calesse. Padre Christofor e Ku4(2)zmi4(2)cov tacevano. Deniska sferzava i bai e di tanto in tanto gridava, mentre Egoru4(2)ska non piangeva pi e guardava in giro indifferente. La calura e la noia della steppa lo avevano estenuato. Gli sembrava che stesse viaggiando e ballonzolando gi da molto tempo, che il sole da molto tempo gli cuocesse la schiena. Non avevano ancora percorso dieci verste che egli gi pensava: "Sarebbe ora di riposare!". Dal volto dello zio poco per volta era scomparsa la benevolenza ed era rimasta la sola asciuttezza professionale, e al viso rasato, scarno, soprattutto quando metteva gli occhiali, e quando il naso e le tempie erano coperti di polvere, questa asciuttezza conferiva un'espressione implacabile, inquisitoria. Padre Christofor, invece, non cessava di guardare stupito il creato e di sorridere. In silenzio pensava a qualcosa di bello e di allegro, e un sorriso buono, benevolo si era impresso sul suo volto. Pareva che quel pensiero buono, allegro, per la calura gli si fosse impresso anche nel cervello...

"Che dici, Deniska, raggiungiamo oggi il convoglio?" chiese Ku4(2)zmi4(2)cov. Deniska diede un'occhiata al cielo, si alz leggermente, sferz i cavalli e solo dopo rispose: "Prima di notte, se Dio vorr". Si ud un latrare di cani. Una mezza dozzina di enormi cani della steppa, sbucando come da un'imboscata, si lanciarono verso il calesse abbaiando ferocemente. Tutti insieme, straordinariamente cattivi, con i musi pelosi da ragno e gli occhi rossi dalla rabbia, attorniarono il calesse e, urtandosi gelosamente l'un l'altro, levarono un ululato rauco. Odiavano al punto estremo e pareva fossero pronti a fare a brandelli i cavalli, il calesse, le persone... Deniska, a cui piaceva provocare e frustare, fu lieto di questa occasione e, facendo assumere al proprio volto un'espressione maligna, si sporse e vibr una frustata a un cane pastore. I cani si misero a ringhiare ancor pi forte, i cavalli partirono a briglia sciolta; ed Egoru4(2)ska, che a malapena si reggeva in serpa, guardando gli occhi e i denti dei cani, capiva che, se fosse caduto, l'avrebbero fatto a brandelli in un baleno, ma non provava paura, anzi li guardava con la stessa malignit di Deniska, e si dispiaceva di non avere tra le mani una frusta. Il calesse raggiunse un gregge di pecore. "Ferma!" url Ku4(2)zmi4(2)cov. "Ferma i cavalli! Trrr..." Deniska si gett indietro con tutto il busto e ferm i bai. Il calesse si arrest. "Vieni qui!" url Ku4(2)zmi4(2)cov al pastore. "Fa' calmare i cani, che siano maledetti!" Il vecchio pastore, lacero e scalzo, con un cappello di lana in testa, un sacchetto sudicio legato al fianco e un lungo bastone che terminava a uncino (una figura proprio da Antico Testamento), fece calmare i cani e, levatosi il cappello, si accost al calesse. Un individuo del tutto identico, anch'esso da Vecchio Testamento, stava in piedi immobile all'altro capo del gregge e guardava con indifferenza i passanti. "Questo gregge di chi ?" chiese Ku4(2)zmi4(2)cov. "Di Varlamov!" rispose forte il vecchio. "Di Varlamov!" ripet il pastore in piedi all'altro capo del gregge. "Allora, ieri Varlamov passato di qui o no?" "Niente affatto... E' passato il suo fattore, questo certo..." "Andiamo!" Il calesse rotol oltre, e i pastori rimasero indietro con i loro feroci cani. Egoru4(2)ska guardava svogliatamente avanti l'orizzonte violaceo, e gi cominciava a sembrargli che il mulino che agitava le ali si avvicinasse. Esso diventava sempre pi grande, crebbe del tutto, e se ne potevano gi chiaramente distinguere le due ali. Un'ala era vecchia, rattoppata, l'altra era stata fatta recentemente di legno nuovo e luccicava al sole. Il calesse correva diritto, mentre il mulino, chiss perch, cominci ad allontanarsi sulla sinistra. Si andava, si andava, ma il mulino si spostava sempre di pi verso sinistra e non scompariva. "Che bel mulino ha costruito Boltv a suo figlio!" not Deniska. "Chiss perch non si vede ancora la sua fattoria." "E' l, dopo il burrone." Presto comparve anche la fattoria di Boltv, ma il mulino non scompariva ancora, non rimaneva indietro, guardava Egoru4(2)ska con la sua ala luccicante e l'agitava. Che stregone! NOTE: (1) I collegi erano enti statali paragonabili ai ministeri,

istituiti da Pietro il Grande nel 1717. Nella gerarchia interna i segretari occupavano il decimo livello e possedevano limitate mansioni direttive. (2) Dolce pasquale di forma cilindrica. II Verso mezzogiorno il calesse volt a destra della strada, prosegu un poco a passo d'uomo e si ferm. Egoru-4(2)ska ud un gorgoglio sommesso, carezzevole e si sent il volto sfiorato da un'aria diversa, come velluto fresco. Dalla collina, che la natura aveva composto di massi enormi, deformi, attraverso un cannello di cicuta messo da qualche ignoto benefattore scorreva un sottile zampillo d'acqua. Essa cadeva per terra e trasparente, allegra, luccicante al sole e mormorando sommessa, quasi si immaginasse un torrente forte e impetuoso, correva veloce da qualche parte a sinistra. A poca distanza dalla collina il fiumiciattolo si allargava in una pozza; i raggi cocenti e la terra arroventata che la bevevano con avidit gli sottraevano forza; ma poco pi in l esso probabilmente confluiva con un altro fiumiciattolo identico, perch a circa cento passi dalla collina lungo il suo corso verdeggiavano folti, rigogliosi falaschi dai quali, mentre si avvicinava il calesse, tre beccacce si alzarono in volo con uno stridio. I viaggiatori si sistemarono presso il ruscello a riposare e a dar da mangiare ai cavalli. Ku4(2)zmi4(2)cov, padre Christofor ed Egoru4(2)ska si sedettero su un pezzo di feltro nella poca ombra data dal calesse e dai cavalli da questo staccati e presero a fare uno spuntino. Il pensiero buono, allegro che per la calura si era impresso nel cervello di padre Christofor riemerse dopo che questi ebbe abbondantemente bevuto dell'acqua e mangiato un uovo al forno. Gett un'occhiata affettuosa a Egoru4(2)ska, mastic e cominci: "Anch'io, fratello, ho studiato. Sin dalla prima infanzia Dio pose in me l'intelligenza e la facolt di comprendere, cos io, a differenza di altri, quando ero come te, ero di conforto ai miei genitori e ai precettori per la mia capacit di intendimento. Non avevo ancora quindici anni, ma gi parlavo e componevo versi in latino come se fossero in russo. Mi ricordo che ero portapastorale dell'episcopo Christofor. Una volta, dopo la messa mattutina, me lo ricordo come se fosse adesso, nel giorno dell'onomastico del piissimo imperatore Aleksandr Pavlov il Benedetto, egli si toglie i paramenti nella zona dell'altare, mi guarda affettuosamente e mi chiede: "Puer bone, quam appellaris?". (3) E io rispondo: "Christophorus sum". Ed egli: "Ergo connominati sumus", ovvero siamo omonimi... Poi chiede in latino: "Di chi sei figlio?". E anch'io rispondo in latino che sono figlio del diacono Sirijskij del villaggio Lebedinskoe. Nel vedere la prontezza e l'esattezza delle mie risposte, l'episcopo mi benedisse e disse: "Scrivi a tuo padre che io non lo lascio e ti terr presente". Anche gli arcipreti e i sacerdoti che erano all'altare, sentendo il colloquio in latino, si stupirono non poco, e ognuno di loro mi espresse la propria ammirazione e le proprie lodi. Non avevo ancora i baffi che gi, fratello, leggevo in latino, e in greco, e in francese, conoscevo la filosofia, la matematica, la storia civile e tutte le scienze. Dio mi aveva donato una memoria sorprendente. Capitava che leggessi qualcosa due volte e gi lo sapessi a memoria. I miei precettori e i miei benefattori si stupivano e supponevano che sarei divenuto un dotto, un luminare della chiesa. Io stesso pensavo di recarmi a Kiev, di continuare gli studi, ma i miei genitori non diedero la loro benedizione. "Tu" diceva mio padre "studierai tutta la vita, quando ti rivedremo?" Sentendo tali parole, abbandonai gli studi e mi feci prete nel mio paese. Ovviamente non divenni un dotto, in compenso non disubbidii ai miei genitori, consolai la loro

vecchiaia, li seppellii con dignit. L'ubbidienza prima del digiuno e della preghiera!" "Probabilmente avrete gi dimenticato tutte le scienze!" osserv Ku4(3)zmi4(3)cov. "E come non dimenticarle? Grazie a Dio, sono gi entrato negli ottanta! Di filosofia e retorica ricordo ancora qualcosa, ma le lingue e la matematica le ho completamente dimenticate." Padre Christofor socchiuse gli occhi, riflett un istante e disse a mezza voce: "Che cos' l'essenza? L'essenza qualcosa di peculiare, che non richiede niente altro per la sua realizzazione". Scosse il capo e si mise a ridere per la tenerezza. "Cibo spirituale!" disse. "E' vero, il corpo nutrito dalla materia, e l'anima dal cibo spirituale!" "La scienza scienza" sospir Ku4(3)zmi4(3)cov "ma se non raggiungeremo Varlamov, bella scienza sar la nostra!" "L'uomo non un ago, lo troveremo. Adesso star girando in questi paraggi." Sopra i falaschi passarono in volo le tre beccacce gi viste, e nel loro pigolio si sentivano la paura e il risentimento per essere state scacciate dal ruscello. I cavalli masticavano con gravit e sbuffavano; Deniska girava loro intorno e, tentando di mostrare la sua assoluta indifferenza ai cetrioli, alle torte e alle uova che mangiavano i padroni, si era concentrato tutto nello sterminio dei tafani e delle mosche che si erano appiccicate alle pance e alle schiene dei cavalli. Con gusto, emettendo dalla gola un suono particolare, maligno e vittorioso, colpiva le sue vittime, e in caso di insuccesso grugniva stizzito e seguiva con lo sguardo il fortunato scampato alla morte. "Deniska, dove sei? Vieni a mangiare!" disse Ku4(3)zmi4(3)cov, sospirando profondamente e facendo con ci capire di essersi rimpinzato. Deniska si avvicin timidamente al pezzo di feltro e scelse cinque grossi cetrioli gialli, i cosiddetti "giallini" (si vergogn di sceglierne di pi piccoli e di pi freschi), prese due uova al forno, nere e screpolate, poi, esitando, come se temesse che lo colpissero sulla mano tesa, tocc con il dito la torta. "Prendi, prendi!" lo incit Ku4(3)zmi4(3)cov. Deniska prese la torta con decisione e, allontanatosi in disparte, si sedette per terra con la schiena rivolta verso il calesse. Subito si sent un masticare talmente rumoroso che persino i cavalli si voltarono e guardarono Deniska con sospetto. Dopo aver mangiato, Ku4(3)zmi4(3)cov prese dal calesse un sacco con dentro chiss cosa e disse a Egoru4(3)ska: "Voglio dormire, e tu sorveglia che non mi levino questo sacco da sotto la testa." Padre Christofor si tolse la tonaca, la cintura e il caffettano, edEgoru4(3)ska, gettatagli un'occhiata, rimase sbalordito. Non avrebbe mai supposto che i preti portassero i pantaloni, e padre Christofor portava dei veri pantaloni di tela grossa ficcati dentro ad alti stivali e una giubba corta di traliccio. Guardandolo, Egoru4(3)ska trov che in questo abito che non si conveniva al suo ministero egli, con i suoi capelli lunghi e la barba, somigliasse molto a Robinson Crusoe. Toltosi gli indumenti, padre Christofor e Ku4(3)zmi4(3)cov si coricarono nell'ombra sotto il calesse, rivolti l'uno verso l'altro, e chiusero gli occhi. Deniska, finito di masticare, si sdrai al sole con la pancia in su e chiuse anch'egli gli occhi. "Controlla che nessuno porti via i cavalli!" disse a Egoru4(3)ska e subito si addorment. Si fece silenzio. Si sentiva solo il masticare e lo sbuffare dei

cavalli e il russare dei dormienti; da qualche parte, lontano, una pavoncella piangeva e di tanto in tanto echeggiava il pigolio delle tre beccacce giunte a controllare se gli ospiti indesiderati se ne fossero andati; balbettando dolcemente, il ruscello gorgogliava, ma tutti questi suoni non turbavano la quiete, non scuotevano l'aria impietrita, al contrario facevano sprofondare la natura nel torpore. Egoru4(3)ska, ansando dalla calura che si avvertiva soprattutto ora dopo aver mangiato, corse ai falaschi e da qui osserv i dintorni. Vide tutto ci che aveva visto sino a mezzogiorno: la pianura, le colline, il cielo, l'orizzonte violetto; solo le colline erano pi vicine e non c'era il mulino a vento, rimasto indietro, lontano. Da dietro la collina rocciosa dove correva il ruscello se ne innalzava un'altra, pi liscia e pi ampia; su di essa era modellato un piccolo borgo con cinque o sei case. Vicino alle isbe non si vedevano n persone, n alberi, n ombre, come se il borgo fosse soffocato nell'aria ardente e fosse rinsecchito. Non sapendo cosa fare, Egoru4(3)ska cattur nell'erba un grillo canterino, lo port all'orecchio dentro il pugno e stette a lungo ad ascoltare come questo suonava il suo violino. (4) Quando si stuf della musica, insegu un nugolo di farfalle gialle, che erano giunte in volo ai falaschi ad abbeverarsi, ed egli stesso non si accorse di trovarsi di nuovo nei pressi del calesse. Lo zio e padre Christofor dormivano profondamente; il loro sonno doveva durare due-tre ore finch i cavalli non si fossero del tutto riposati... Come ammazzare questo lungo lasso di tempo e dove rifugiarsi dalla calura? Problema difficile... Macchinalmente Egoru4(4)ska mise la bocca sotto lo zampillo d'acqua che sgorgava dal cannello; in bocca avvert freddo e sent il gusto di cicuta; dapprima bevve con piacere, poi controvoglia e sino a che il freddo acuto dalla bocca corse in tutto il corpo e l'acqua non cominci a scorrere sulla camicia. In seguito si avvicin al calesse e prese a osservare i dormienti. Il volto dello zio, come sempre, esprimeva asciuttezza professionale. Fanatico del suo mestiere, Ku4(4)zmi4(4)cov sempre, anche nel sonno e durante la preghiera in chiesa quando si cantava "E quei cherubini", pensava ai suoi affari, non poteva dimenticarli nemmeno un minuto, e anche ora, probabilmente, vedeva in sogno le balle di lana, i carri, i prezzi, Varlamov... Padre Christofor, persona mite, spensierata e incline al riso, in tutta la sua vita non aveva mai avuto un problema che, come boa, gli avesse soffocato l'animo. In tutti i numerosi affari in cui si era impegnato in vita sua era stato affascinato non tanto dall'affare in s, quanto dall'affaccendarsi e dai rapporti con le persone propri di ogni impresa. Cos, nel viaggio attuale lo interessavano non tanto la lana, Varlamov e i prezzi, quanto il lungo tragitto, le conversazioni fatte in viaggio, il dormire sotto il calesse e il mangiare a orari diversi... E ora, a giudicare dal suo volto, vedeva in sogno probabilmente l'episcopo Christofor, il colloquio in latino, la popessa, i panini con la panna acida e tutto ci che non poteva sognare Ku4(4)zmi4(4)cov. Mentre Egoru4(4)ska guardava i volti addormentati, inaspettatamente si sent un debole canto. Da qualche parte, lontano, una donna cantava, ma dove precisamente e da quale parte era difficile capirlo. La canzone sommessa, monotona e malinconica, simile a un canto funebre e appena percettibile, proveniva ora da destra, ora da sinistra, ora dall'alto, ora da sottoterra, come se uno spirito invisibile si librasse sulla steppa e cantasse. Egoru4(4)ska guardava attorno e non capiva da dove venisse questo strano canto; poi, quando si mise in ascolto, gli parve che fosse l'erba a cantare; nella sua canzone, essa, mezza morta, ormai spacciata, senza parole ma con voce lamentosa e sincera, persuadeva qualcuno di non essere colpevole di nulla, che il sole l'aveva bruciata ingiustamente; assicurava di

nutrire un ardente desiderio di vivere, di esser ancora giovane e che sarebbe stata ancora bella se non fosse stato per la calura e la siccit; non aveva alcuna colpa, tuttavia chiedeva comunque perdono a qualcuno e giurava di aver un dolore insopportabile, di esser triste e di provar pena per se stessa... Egoru4(4)ska stette un poco in ascolto e gli parve che per questo canto malinconico, monotono, l'aria si fosse fatta pi soffocante, pi cocente e pi immobile... Per soffocare il canto, egli, canticchiando e cercando di battere i piedi, corse ai falaschi. Da qui guard in tutte le direzioni e trov chi stava cantando. Vicino all'ultima isba del borgo c'era una donna con una sottana corta, dalle gambe lunghe come un airone, e stava setacciando qualche cosa; dal setaccio cadeva pigramente sul monticello una polvere bianca. Ora era evidente che era proprio lei a cantare. A una sagena da lei se ne stava immobile un ragazzino con indosso solo la camicia e senza cappello. Come rapito dal canto, non si muoveva e guardava qualcosa verso il basso, probabilmente la camicia di tela rossa di Egoru4(4)ska. Il canto cess. Egoru4(4)ska si diresse lentamente verso il calesse e di nuovo, non sapendo cosa fare, prese a giocare con lo zampillo d'acqua. E di nuovo si fece sentire il canto malinconico. Cantava sempre la stessa donna dalle gambe lunghe dietro il poggio nel borgo. Egoru4(4)ska d'un tratto torn a sentire la noia. Lasci il cannello e sollev lo sguardo... Ci che vide fu talmente inaspettato che si spavent un poco. Sopra la sua testa, su una delle grandi pietre deformi, stava in piedi un ragazzino con indosso la sola camicia, paffuto, con il ventre grande, sporgente, su gambette sottili, quello stesso che prima era vicino alla donna. Con uno stupore ottuso e non senza paura, proprio come se vedesse davanti a s un abitante dell'altro mondo, egli, senza battere ciglio e a bocca spalancata, osservava la camicia rossa di Egoru4(4)ska e il calesse. Il colore rosso della camicia lo attirava e lo affascinava, mentre il calesse e le persone addormentate sotto di esso destavano la sua curiosit; forse egli stesso non si era accorto di come il piacevole colore rosso e la curiosit lo avessero attirato dal borgo in basso, e, probabilmente, ora si stupiva della propria audacia. Egoru4(4)ska lo squadr a lungo e lui squadr Egoru4(4)ska. Entrambi tacevano e provavano un certo imbarazzo. Dopo un lungo silenzio, Egoru-4(4)ska chiese: "E tu, come ti chiami?". Le guance dello sconosciuto si gonfiarono ancora di pi; si appoggi con la schiena al masso, sgran gli occhi, mosse le labbra e rispose con voce bassa e roca: "Tit". I ragazzi non si scambiarono pi una parola. Dopo essere stato ancora un poco in silenzio e senza staccare gli occhi da Egoru4(4)ska, il misterioso Tit alz la gamba, sond con il calcagno un punto d'appoggio e si arrampic sul masso; da qui, camminando all'indietro e guardando fisso Egoru-4(4)ska, come se temesse che questi lo colpisse alle spalle, sal sul masso successivo e continu in tal modo ad arrampicarsi finch non scomparve dietro la cima del poggio. Accompagnatolo con lo sguardo, Egoru4(4)ska si abbracci le ginocchia e chin la testa... I raggi arroventati gli bruciavano la nuca, il collo e la schiena. Il canto malinconico ora cessava, ora di nuovo risuonava nell'aria stagnante, soffocante, il ruscello mormorava monotono, i cavalli masticavano, e il tempo si trascinava senza fine, come se si fosse rappreso e fermato. Pareva che dal mattino fossero gi trascorsi cent'anni... Forse Dio voleva che Egoru4(4)ska, il calesse e i cavalli rimanessero paralizzati in quest'aria e, come le colline, si pietrificassero e restassero per

l'eternit nello stesso posto? Egoru4(4)ska sollev la testa e con gli occhi offuscati guard davanti a s; l'orizzonte violaceo, che sino a ora era rimasto immobile, cominci a ondeggiare e assieme al cielo fugg ancor pi lontano... Trascin dietro di s l'erba bruna, i falaschi, edEgoru4(4)ska si lanci di corsa con velocit insolita all'inseguimento dell'orizzonte in fuga. Una forza misteriosa lo attirava silenziosamente da qualche parte, e la calura e il canto opprimente lo inseguivano. Egoru4(4)ska chin il capo e chiuse gli occhi... Deniska si svegli per primo. Qualcosa doveva averlo punto, perch balz in piedi, si gratt velocemente la spalla e disse: "Che tu sia maledetto, non c' nulla che ti possa ammazzare!" Poi and al ruscello, si disset e si lav a lungo. Il suo sbuffare e lo sciabordio dell'acqua trassero Egoru4(4)ska dal torpore. Il ragazzo guard la sua faccia bagnata, coperta di gocce e di grosse lentiggini che lo rendevano simile al marmo, e chiese: "Partiremo presto?". Deniska misur con lo sguardo quanto fosse alto il sole, e rispose: "Probabilmente presto!". Si asciug con un lembo della camicia e, assunta un'espressione molto seria, prese a saltare su un piede. "Di, vediamo chi arriva per primo sino ai falaschi saltando!" Egoru4(4)ska era sfinito dalla calura e dal dormiveglia, comunque prese a saltargli dietro. Deniska aveva gi quasi vent'anni, era a servizio come cocchiere ed era prossimo alle nozze, ma non cessava ancora di essere un ragazzo. Gli piaceva molto far volare l'aquilone, cacciare i piccioni, giocare con gli aliossi, a rincorrersi, e si intrometteva sempre nei giochi e nelle liti dei bambini. Bastava solo che i padroni se ne andassero o si addormentassero perch egli si mettesse a fare qualcosa, come saltare su una gamba o tirare i sassi. Alla vista del sincero entusiasmo con cui egli ruzzava in compagnia dei marmocchi qualsiasi adulto difficilmente poteva astenersi dall'esclamare: "Che scioccone!". I bambini, invece, non trovavano niente di strano nell'intrusione di questo grosso cocchiere nel loro campo: che giochi pure, basta che non faccia a pugni! Nello stesso modo i cani piccoli non vedono niente di strano quando nella loro compagnia si insinua un qualche grosso cane sincero e comincia a giocare con loro. Deniska sorpass Egoru4(4)ska e, a quanto pare, ne fu molto soddisfatto. Fece l'occhiolino a Egoru4(4)ska e, per mostrare di poter percorrere qualsiasi distanza saltando su una gamba, gli propose di saltare con lui sulla strada e di tornare indietro al calesse senza pausa. Egoru4(4)ska respinse questa proposta perch ansimava molto e si sentiva sfinito. All'improvviso Deniska fece una faccia molto seria, quale non faceva neanche quando Ku4(4)zmi4(4)cov gli dava una strigliata oppure alzava su di lui il bastone; stando in ascolto con l'orecchio teso, si pieg adagio su un ginocchio, e sul suo viso comparve un'espressione di severit e di paura, quale capita alle persone quando ascoltano un'eresia. Fiss con gli occhi un punto, lentamente sollev la mano piegata a barchetta, e all'improvviso cadde con il ventre a terra e batt la mano a barchetta sull'erba. "C'!" esclam con voce rauca ed esultante e, alzatosi, avvicin agli occhi di Egoru4(4)ska una grossa cavalletta. Pensando di fare cosa piacevole alla cavalletta, Egoru4(4)ska e Deniska la accarezzarono con le dita e le toccarono le antenne. Poi Deniska acchiapp una grossa zanzara che aveva succhiato sangue a saziet, e la offr alla cavalletta. Questa con perfetta indifferenza, come se conoscesse Deniska gi da tempo, serr la

zanzara tra le sue grandi mascelle simili a una visiera, e le mangi l'addome. La lasciarono andare, la fodera rosa delle ali balen e, posatasi sull'erba, si mise subito a stridere la sua canzone. Lasciarono andare anche la zanzara; questa spieg le ali e, priva di addome, vol verso i cavalli. Da sotto il calesse si sent un profondo sospiro. Era Ku4(4)zmi4(4)cov che si era svegliato. Sollev in fretta il capo, guard preoccupato l'orizzonte e da questo sguardo, che scivol indifferente vicino a Egoru4(4)ska e Deniska, si cap che, svegliatosi, stava pensando alla lana e a Varlamov. "Padre Christofor, svegliatevi, ora!" disse agitato. "Continuer a dormire, e gi cos abbiamo perso l'affare! Deniska, attacca i cavalli!" Padre Christofor si svegli con lo stesso sorriso col quale si era addormentato. Per il sonno il volto gli si era stropicciato, si era raggrinzito, era divenuto la met. Dopo essersi lavato e vestito, senza fretta trasse di tasca un piccolo salterio bisunto e, voltatosi verso oriente, cominci a leggere a bassa voce e a segnarsi. "Padre Christofor!" disse con tono di rimprovero Ku4(4)zmi4(4)cov. "E' ora di andare; i cavalli sono gi pronti, e voi, Dio mio..." "Adesso, adesso!" borbott padre Christofor. "Devo leggere i salmi... Oggi non li ho ancora letti." "Si possono leggere anche dopo." "Ivan Ivany4(4)c, devo leggerli ogni giorno... Non si pu altrimenti." "Dio non vi punirebbe." Per un intero quarto d'ora padre Christofor stette in piedi immobile rivolto verso oriente, muovendo le labbra, mentre Ku4(4)zmi4(4)cov lo guardava quasi con odio e alzava le spalle con impazienza. Lo faceva soprattutto arrabbiare quando dopo ogni "gloria" padre Christofor inspirava, si segnava rapidamente, e apposta, ad alta voce, cos che gli altri si segnassero, diceva tre volte: "Alleluia, alleluia, alleluia, gloria a Te, Signore!". Finalmente sorrise, sollev lo sguardo al cielo e, deposto il salterio in tasca, disse: "Fini!". (5) Un minuto dopo il calesse si mise in cammino. Proprio come se esso stesse andando indietro, e non avanti, i viaggiatori vedevano tutto ci che avevano visto sino a mezzogiorno. Le colline come prima sprofondavano nell'orizzonte violaceo e non se ne intravedeva la fine; l'erbaccia e il sampietrino baluginavano, le fasce mietute sfrecciavano, e sempre gli stessi gracchi e il nibbio, che sbatteva seriamente le ali, volavano sulla steppa. L'aria si rapprendeva sempre di pi per la calura e la quiete, la natura mansueta si immobilizzava nel silenzio... Non un po' di vento, n un suono chiaro, vivo, nemmeno una nuvoletta. Ma ecco, finalmente, quando il sole cominci a calare verso occidente, la steppa, le colline e l'aria non sopportarono pi il peso e, esaurita la pazienza, estenuate, tentarono di scrollarsi di dosso il giogo. Dalle colline comparve inaspettatamente una nuvola ricciuta grigio cenere. Scambi un'occhiata con la steppa - "Io sarei pronta!" - e divenne cupa. All'improvviso nell'aria stagnante qualcosa si lacer, il vento proruppe e con fragore, sibilando, cominci a turbinare sulla steppa. All'istante l'erba e l'erbaccia dell'anno scorso levarono un mormorio, sulla strada la polvere prese a girare a spirale, corse sulla steppa e, trascinando con s la paglia, le libellule e le penne, in un'oscura colonna vorticosa si sollev in cielo e offusc il sole. Per la steppa, in lungo e in largo, inciampando e saltando, correvano i cardi, e uno di essi fin nel vortice, rotol come un uccello, vol verso il cielo e trasformatosi l in un punto nero, scomparve dalla vista. Dietro di

lui ne corse un secondo, poi un terzo, e Egoru4(5)ska vide che due cardi si scontrarono in alto nell'aria azzurra e si aggrapparono l'uno all'altro come in duello. Proprio vicino alla strada una gallina prataiola spicc il volo. Con il bagliore delle ali e della coda essa, inondata dal sole, somigliava a un'esca da pescatore oppure a una farfalla di stagno, le ali della quale, quando guizza sull'acqua, si fondono con le antenne e pare che le antenne gli spuntino sia davanti, sia dietro, sia ai lati... Tremando nell'aria come un insetto, giocando con la sua screziatura, la gallina prataiola si alz in verticale, poi, probabilmente spaventata dalla nuvola di polvere, vol di lato e ancora a lungo si vide il suo scintillio... Ed ecco, allarmato dal vortice e senza capire cosa stesse accadendo, dall'erba usc in volo un rallo. Volava nella direzione del vento, e non contro come facevano tutti gli uccelli; per questo le sue penne erano arruffate, esso stesso si era gonfiato sino ad assumere le dimensioni di un pollo e aveva un aspetto molto arrabbiato, imponente. Solo i gracchi, invecchiati nella steppa e abituati ai suoi improvvisi scompigli, volavano tranquillamente sull'erba oppure indifferenti, senza far caso a niente, pestavano con i grassi becchi la terra rafferma. Dietro le colline un tuono rimbomb sordamente; spir aria fresca. Deniska fischi allegramente e frust i cavalli. Padre Christofor e Ku4(5)zmi4(5)cov, tenendosi i cappelli, fissarono le colline... Che bello se piovesse un poco! Pareva che bastasse un solo piccolo sforzo, un tentativo, e la steppa avrebbe avuto il sopravvento. Ma una forza invisibile, opprimente, poco per volta incaten il vento e l'aria, depose la polvere, e di nuovo, come se non fosse accaduto nulla, torn la quiete. La nuvola si nascose, le colline abbronzate si fecero scure, l'aria si rapprese ubbidiente e le sole pavoncelle inquiete da qualche parte piangevano e si lamentavano del loro destino... Poi rapidamente cal la sera. NOTE: (3) Cos nel testo. (4) In russo il grillo canterino chiamato "violinista". (5) Cos nel testo. III Nella penombra serale apparve una grande casa a un piano dal tetto di ferro arrugginito e le finestre scure. Questa casa era chiamata stazione di posta sebbene non avesse accanto alcun cortile e sorgesse in mezzo alla steppa, senza alcuna recinzione. Leggermente di lato nereggiava un misero bosco di ciliegi cinto da un graticcio, e sotto le finestre, con le pesanti corolle chinate, dormivano i girasoli. Nel giardinetto scricchiolava un piccolo mulino, messo per spaventare le lepri con il suo picchiettio. Attorno alla casa non si vedeva e non si sentiva niente altro che la steppa. Appena il calesse si ferm all'ingresso con la tettoia, nella casa si sentirono delle voci gioiose, una maschile, un'altra femminile, la porta stridette sui cardini e vicino al calesse comparve in un istante una grande figura scarna, che agitava le braccia e le falde dell'abito. Era questi il padrone della stazione, Mojsej Mojsei4(5)c, un uomo di mezza et dal volto molto pallido e dalla bella barba nera come inchiostro. Indossava una finanziera nera lisa che pendeva sulle sue strette spalle come su un attaccapanni, e Mojsej Mojsei4(5)c ne agitava le falde, proprio come ali, ogni volta che batteva le mani dalla gioia o dall'orrore. Oltre alla finanziera indossava anche dei

larghi pantaloni bianchi sugli stivali e un panciotto di velluto a fiori rossi che somigliavano a delle cimici giganti. Mojsej Mojsei4(5)c, riconosciuti i nuovi venuti, inizialmente rest paralizzato dall'afflusso di emozioni, poi batt le mani ed emise un gemito. Le falde della sua finanziera si scossero, la schiena si pieg ad arco e il pallido viso si storse in un tale sorriso come se la vista del calesse per lui non fosse solo piacevole, ma anche una tormentosa delizia. "Oh, Dio mio, Dio mio!" esclam con una voce sottile e melodiosa, respirando a fatica, affaccendandosi e con i suoi movimenti impedendo ai passeggeri di scendere dal calesse. "Oggi per me un giorno cos fortunato! Ah, che cosa devo fare adesso! Ivan Ivany4(5)c! Padre Christofor! Che bel signorino seduto in serpa, che Dio mi punisca! Ah, Dio mio, che cosa me ne sto qui fermo e non faccio entrare gli ospiti in casa? Prego, vi prego umilmente... siate i benvenuti! Datemi le vostre cose... Ah, Dio mio!" Mojsej Mojsei4(5)c, frugando nel calesse e aiutando gli ospiti a scendere, d'un tratto si volt e url con una voce cos rozza, cos soffocata, come se stesse annegando e chiedesse aiuto: "Solomon! Solomon!" "Solomon! Solomon!" ripet in casa una voce femminile. La porta cigol ancora, e sulla soglia comparve un giovane ebreo piuttosto basso, con i capelli rossi, un grosso naso aquilino e la calvizie in mezzo ai ruvidi capelli ricci; indossava una giacca corta, molto lisa, con le falde arrotondate e le maniche corte, dei pantaloni corti di maglia, e perci egli stesso sembrava piccolo e stretto come un uccello spennato. Era Solomon, fratello di Mojsej Mojsei4(5)c. In silenzio, senza salutare ma facendo solo uno strano sorriso, si avvicin al calesse. "Sono arrivati Ivan Ivany4(5)c e padre Christofor!" gli disse Mojsej Mojsei4(5)c con un tono come se temesse che questi non gli avrebbe creduto. "Oh, che meraviglia, che brave persone sono arrivate all'improvviso! Su, Solomon, prendi i bagagli! Prego, miei cari ospiti!" Dopo poco Ku4(5)zmi4(5)cov, padre Christofor ed Egoru4(5)ska erano gi seduti in una stanza grande, scura e vuota a un vecchio tavolo di quercia. Questo tavolo era quasi solo, poich nella grande stanza, oltre a esso, a un ampio divano con l'incerata bucata e tre sedie, non c'era nessun altro mobile. E per quanto riguarda le sedie non tutti avrebbero osato chiamarle sedie. Era un misero simulacro di mobilio con l'incerata che aveva fatto il suo tempo e con gli schienali fortemente ripiegati indietro in modo innaturale, schienali che conferivano alle sedie una forte somiglianza con le slitte dei bambini. Era difficile capire che tipo di comodit avesse avuto in mente l'ignoto falegname nel piegare cos spietatamente gli schienali, e si era portati a credere che non ne fosse colpevole il falegname, ma un qualche forzuto di passaggio che, desiderando vantarsi della propria forza, aveva curvato gli schienali alle sedie, poi si era messo a riaccomodarli e li aveva piegati ancor di pi. La stanza aveva un aspetto lugubre. Le pareti erano grigie, il soffitto e i davanzali erano anneriti dal fumo, sul pavimento si allungavano le crepe e si aprivano buchi di origine oscura (veniva da pensare che li avesse fatti con il tacco sempre lo stesso forzuto), e si aveva l'impressione che, se nella stanza avessero appeso una decina di lampade, essa sarebbe rimasta comunque buia. N sulle pareti n alle finestre c'era qualcosa che somigliasse a un addobbo. Peraltro, su una parete in una cornice grigia di legno erano appesi dei precetti con un'aquila bicipite e in un'altra cornice identica un'incisione con la scritta: "L'indifferenza degli uomini". A cosa fossero indifferenti gli uomini era impossibile capirlo poich l'incisione

era molto sbiadita dal tempo ed era stata generosamente chiazzata dalle mosche. Nella camera c'era un odore mucido e acre. Mentre introduceva gli ospiti nella stanza, Mojsej Mojsei4(5)c continuava a piegarsi, a battere le mani, a stringersi nelle spalle e a mandare esclamazioni di gioia: riteneva necessario fare tutto ci per mostrarsi straordinariamente gentile e affabile. "Quando sono passati di qui i nostri carri?" gli chiese Ku4(5)zmi4(5)cov. "Una parte passata questa mattina, un'altra, Ivan Ivany4(5)c, si fermata a riposare qui a pranzo ed ripartita prima di sera." "E'... E' passato di qui Varlamov o no?" "No, Ivan Ivany4(5)c. Ieri mattina passato il suo fattore GrigorijEgory4(5)c e ha detto che egli in quel momento doveva trovarsi probabilmente alla fattoria del molokan." (6) "Perfetto. Allora noi adesso raggiungiamo il convoglio e poi andiamo anche dal molokan." "Che Dio sia con voi, Ivan Ivany4(6)c!" inorrid Mojsej Mojsei4(6)c, battendo le mani. "Dove andate prima di notte? Cenate per benino e pernottate qui, e domani mattina, come Dio comanda, partirete e raggiungerete chi dovete!" "Non c' tempo, non c' tempo... Scusate, Mojsej Mojsei4(6)c, un'altra volta, ma ora non il momento. Ci fermiamo un quarto d'ora e partiamo, possiamo pernottare anche dal molokan." "Un quarto d'ora!" strill Mojsej Mojsei4(6)c. "Ma abbiate timore di Dio, Ivan Ivany4(6)c! Mi costringete a nascondere i vostri cappelli e a chiudere la porta a chiave! Mangiate almeno qualcosa e bevete una tazza di t!" "Non abbiamo tempo di bere il t" disse Ku4(6)zmi4(6)cov. Mojsej Mojsei4(6)c chin la testa da un lato, pieg le ginocchia e mise in avanti le palme delle mani, come per difendersi dalle botte, e con un sorriso sofferente e dolce supplic: "Ivan Ivany4(6)c! Padre Christofor! Siate buoni, prendete il t a casa mia! E' possibile che io sia una persona cos cattiva che a casa mia non si possa neanche bere un t? Ivan Ivany4(6)c!". "D'accordo, il t si pu bere" sospir, approvando, padre Christofor. "Non ci tratterr troppo." "Va bene!" cedette Ku4(6)zmi4(6)cov. Mojsej Mojsei4(6)c si anim, si scosse allegramente e, rannicchiandosi come se fosse appena uscito con un salto dall'acqua fredda in un ambiente caldo, corse alla porta e url con quella voce rozza e soffocata con la quale aveva prima chiamato Solomon: "Rosa! Rosa! Porta il samovar!". Dopo un minuto si apr la porta e nella stanza entr Solomon con un grosso vassoio in mano. Mentre appoggiava il vassoio sul tavolo, guardava con aria di scherno da qualche parte di lato e come prima sorrideva in modo strano. Ora, alla luce della lampada, si poteva scorgere il suo sorriso; era molto complesso ed esprimeva molti sentimenti, ma ve n'era uno dominante: un chiaro disprezzo. Si sarebbe detto che pensasse a qualcosa di ridicolo e stupido, come se non potesse sopportare qualcuno e lo disprezzasse, si compiacesse di qualcosa e aspettasse il momento opportuno per offendere deridendo e per sbellicarsi dalle risate. Sembrava che il suo naso lungo, le labbra grasse e i furbi occhi sbarrati fossero tesi per il desiderio di sbottare in una risata. Dopo aver dato un'occhiata al suo volto, Ku4(6)zmi4(6)cov sorrise con aria di scherno e chiese: "Solomon, per che motivo quest'estate non sei venuto da noi a N' alla fiera a rappresentare i giudei?". Circa due anni prima, come ancheEgoru4(6)ska ricordava perfettamente, Solomon aveva raccontato delle scene di vita ebraica alla fiera di N', in uno dei baracconi, e aveva riscosso un enorme

successo. Questo ricordo non suscit in Solomon alcuna reazione. Senza rispondere, usc dalla stanza e dopo poco torn con il samovar. Fatto ci che doveva fare al tavolo, si trasse in disparte e, incrociate le braccia sul petto, messa una gamba avanti, fiss i suoi occhi canzonatori su padre Christofor. Nella sua posa c'era qualcosa di provocatorio, di arrogante e di sprezzante e allo stesso tempo di estremamente pietoso e comico, perch tanto pi imponente diveniva la sua posa, tanto pi spiccavano in primo piano i suoi pantaloni corti, la corta giacchetta, il naso caricaturale e tutta la sua figura d'uccello spennacchiato. Mojsej Mojsei4(6)c port uno sgabello da un'altra camera e si sedette a una certa distanza dal tavolo. "Buon appetito! Buon appetito!" cominci a intrattenere gli ospiti. "Buon appetito. Che ospiti rari, cos rari! Erano gi cinque anni che non vedevo padre Christofor. E nessuno mi vuol dire chi questo bel signorino?" chiese rivolgendo un'occhiata affettuosa a Egoru4(6)ska. "E' il figliolo di mia sorella O4(6)lga Ivanovna" rispose Ku4(6)zmi4(6)cov. "E dove si sta recando?" "A studiare. Lo portiamo al ginnasio." Mojsej Mojsei4(6)c per gentilezza assunse un'espressione di stupore e scosse la testa in modo significativo. "Oh, bene!" disse, minacciando il samovar con il dito. "Bene! All'uscita dal ginnasio sarai un tale signore che noi tutti ci toglieremo il cappello in tua presenza. Diventerai intelligente, ricco, altezzoso, tua mamma ne sar compiaciuta. Oh, che bella cosa!" Tacque un poco, si accarezz le ginocchia e riprese a parlare con un tono di scherzoso rispetto: "Voi mi dovete scusare, padre Christofor, ma ho intenzione di scrivere una lettera al metropolita per informarlo che voi togliete il pane ai mercanti. Prendo la carta bollata e scrivo che a padre Christofor non bastano i suoi spiccioli, che si messo nel commercio e ha cominciato a vendere lana". "S, mi saltata l'idea proprio adesso che sono vecchio..." disse padre Christofor e si mise a ridere. "Da pope sono diventato mercante. Sarebbe ora di restare a casa e di pregare Dio, invece galoppo come un faraone sul cocchio... Vanit!" "In compenso ci saranno molti soldini!" "Ma no! Un fico secco, ma niente soldi. La merce non affatto mia, ma di mio genero Michala!" "E perch non partito lui?" "Perch... Il latte della mamma non gli si ancora asciugato sulle labbra. Per comprarla, la lana, l'ha comprata, ma per venderla non ha cervello, ancora giovane. Ha dilapidato tutti i suoi soldi. Voleva arricchirsi e vantarsi, invece si rivolto a questo e a quello, e nessuno gli d nemmeno il proprio prezzo. Ha annaspato quasi un anno, poi viene da me e "Paparino, vendete la lana, fatemi il favore! Non ci capisco niente in questi affari!". Ecco qui. Cos adesso c' il paparino, mentre prima si poteva fare a meno del paparino. Quando comprava, non chiedeva consiglio, mentre ora che indispensabile, c' il paparino. Ma cosa pu fare il pap? Se non fosse per Ivan Ivany4(6)c, anche il paparino non farebbe niente. Quante preoccupazioni!" "S, quante preoccupazioni dai figli, ve lo dico io!" sospir Mojsej Mojsei4(6)c. "Io stesso ne ho sei. Fa' studiare uno, cura l'altro, tieni in braccio l'altro, e quando crescono aumentano le preoccupazioni. Non solo ora, era cos anche nelle Sacre Scritture. Quando Giobbe aveva i bambini piccoli piangeva, ma quando crebbero pianse ancor di pi!" "Eh s..." convenne padre Christofor, guardando pensieroso il bicchiere. "Io, a dire il vero, non ho niente di cui lamentarmi con

Dio, sono giunto alla fine della vita, che Dio lo conceda a tutti... Ho fatto sposare le figlie con brave persone, ho fatto far carriera ai figli e ora sono libero, ho compiuto il mio dovere, ora posso fare ci che voglio. Vivo tranquillamente con la popessa, mangio, bevo e dormo, mi rallegro dei miei nipoti e prego Iddio, e non chiedo altro. Guazzo nei comodi e non ho a che fare con nessuno. In vita mia non ho mai avuto un dispiacere e ora se, supponiamo, lo zar chiedesse: "Di cosa hai bisogno? Cosa vuoi?" risponderei che non ho bisogno proprio di niente! Ho tutto, e tutto grazie a Dio. In tutta la citt non c' persona pi felice di me. Ho molti peccati, questo s, ma che dire? Solo Dio senza peccati. Non cos?" "Proprio cos." "Certo, denti non ne ho pi, la schiena mi duole per la vecchiaia, ho questo e quello... ho l'affanno e altro... Ho i dolori, il corpo debole, ma potete giudicare anche voi quanto abbia vissuto! Sono entrato negli ottanta! Non si pu vivere in eterno, si deve sapere che cosa la discrezione." Improvvisamente padre Christofor si ramment di qualcosa, spruzz nel bicchiere e dal ridere ebbe un eccesso di tosse. Anche Mojsej Mojsei4(6)c per cortesia si mise a ridere e a tossire. "Che divertente!" disse padre Christofor e fece un gesto con la mano. "Viene a trovarmi mio figlio maggiore Gavrila. E' medico e opera allo zemstvo (7) del governatorato di 4(7)cernigov... Bene... Gli dico: "Vedi, ho l'affanno, ho questo e quello... Sei medico, cura tuo padre!". Egli mi fa subito spogliare, bussa, ausculta, fa diverse cosette... Mi tasta il ventre, e poi dice: "Voi, pap, dovete fare una cura di aria compressa"." Padre Christofor si mise a ridere convulsamente, sino alle lacrime e si alz. "E io gli dico: "Che Dio l'abbia in custodia, quest'aria compressa!"" articol tra le risa e agit entrambe le mani. "Che Dio l'abbia in custodia, l'aria compressa!" Anche Mojsej Mojsei4(7)c si alz e, tenendosi la pancia, proruppe in una risata sottile simile al latrato di un cane maltese. "Che Dio l'abbia in custodia, l'aria compressa" ripet padre Christofor ridendo. Mojsej Mojsei4(7)c prese due note pi alte e scoppi in una risata cos convulsa che a malapena si resse in piedi. "Oh, Dio mio..." gemette fra le risa. "Fatemi riprendere il fiato... Mi avete fatto ridere da... oh!... da morire!" Rideva e parlava, ma intanto gettava delle occhiate sospettose e paurose a Solomon. Questi stava ancora nella stessa posa e sorrideva. A giudicare dai suoi occhi e dal sorriso, disprezzava e odiava con forza, ma ci si confaceva cos poco alla sua figura spennacchiata che a Egoru4(7)ska sembrava che avesse assunto la posa provocatoria e l'espressione sarcastica e sprezzante apposta per recitare il ruolo del buffone e far ridere i cari ospiti. Dopo aver bevuto in silenzio una mezza dozzina di bicchieri di t, Ku4(7)zmi4(7)cov sgomber lo spazio davanti a s sul tavolo, prese il sacco, quello stesso che, quando dormiva all'ombra del calesse, gli stava sotto la testa, sciolse la cordicella e lo scroll. Dal sacchetto piovvero sul tavolo pacchetti di banconote. "Gi che c' tempo, padre Christofor, facciamo i conti" disse Ku4(7)zmi4(7)cov. Alla vista dei soldi Mojsej Mojsei4(7)c si confuse, si alz e, come persona gentile che non desidera conoscere i segreti altrui, in punta di piedi e mantenendosi in equilibrio con le braccia, usc dalla stanza. Solomon rest al suo posto. "Nei pacchetti da un rublo quanti ce ne sono?" chiese padre Christofor.

"Cinquanta... In quelli da tre, novanta... Da venticinque e da cento, mille. Contatene settemilaottocento per Varlamov, mentre io conto quelli per Gusevi4(7)c. State attento a non sbagliare..." Egoru4(7)ska da che era al mondo non aveva mai visto un tal mucchio di denaro quale si trovava ora sul tavolo. Di soldi ce n'erano probabilmente tantissimi visto che il pacchetto di settemilaottocento rubli che padre Christofor mise da parte per Varlamov pareva molto piccolo rispetto a tutto il mucchio. In un altro momento una tale quantit di denaro avrebbe probabilmente colpito Egoru4(7)ska e l'avrebbe indotto a riflettere su quante ciambelle, pasticcini, dolci ai semi di papavero si sarebbero potuti comprare con quel mucchio di soldi; ora, invece, lo guardava con indifferenza e sentiva solo l'odore ripugnante di mele marce e di petrolio che proveniva dal mucchio di soldi. Era estenuato dal viaggio a scossoni, era stanco e voleva dormire. La testa tirava verso il basso, gli occhi si chiudevano e i pensieri si imbrogliavano come fili. Se fosse stato possibile, col massimo piacere avrebbe appoggiato la testa al tavolo, avrebbe chiuso gli occhi per non vedere la lampada e le dita che si spostavano sul mucchio di denaro, e avrebbe permesso ai suoi pensieri fiacchi e assonnati di confondersi ancora di pi. Quando si sforzava di non sonnecchiare, il fuoco della lampada, le tazze e le dita si sdoppiavano, il samovar oscillava, e l'odore delle mele marce sembrava ancor pi acuto e ripugnante. "Ah, soldi, soldi!" sospirava padre Christofor sorridendo. "Quante preoccupazioni per colpa loro! Ora il mio Michajlo star dormendo e vedr in sonno che io gliene sto portando un tal mucchio!" "Il vostro Michajlo Tomofei4(7)c non capisce," disse a bassa voce Ku4(7)zmi4(7)cov "si mette in affari che non sono suoi, mentre voi capite e potete giudicare. Se voi, come ho gi detto, mi deste la vostra lana, tornereste a casa e io vi darei sia pure mezzo rublo in pi del mio prezzo, e solo per rispetto..." "No, Ivan Ivany4(7)c" sospirava padre Christofor. "Grazie della cura... Certo, se dipendesse da me, non starei neanche a parlarne, ma vedete, lo sapete anche voi, la merce non mia..." Mojsej Mojsei4(7)c entr in punta di piedi. Cercando per delicatezza di non guardare il mucchio di soldi, si avvicin quatto quatto a Egoru4(7)ska e lo tir di dietro per la camicia. "Andiamo, signorino," disse a mezza voce "vedrai che bell'orsetto ti mostro! Cos spaventoso, furioso! U-u!" L'assonnato Egoru4(7)ska si alz e si trascin pigramente dietro a Mojsej Mojsei4(7)c per vedere l'orso. Entr in una stanzetta dove, prima di vedere qualcosa, gli manc il respiro per l'acre odore di stantio, odore che qui era molto pi intenso che nella stanza grande e probabilmente da qui si diffondeva in tutta la casa. Met stanza era occupata da un grande letto con una coperta unta trapuntata, l'altra met da un cassettone e da montagne di ogni sorta di stracci, a cominciare da gonne duramente inamidate per finire con pantaloncini e bretelle per bambini. Sul cassettone bruciava una candela di sego. Invece dell'orso, come promesso,Egoru4(7)ska vide un'ebrea enorme, molto grassa con i capelli sciolti e un vestito di flanella rosso a pallini neri; si muoveva a fatica nello stretto passaggio tra il letto e il cassettone, ed emetteva sospiri prolungati, gementi, come se le dolessero i denti. Alla vista di Egoru4(7)ska assunse un'espressione piagnucolosa, sospir lungamente e, prima che egli avesse il tempo di guardarsi intorno, gli avvicin alla bocca una fetta di pane spalmata di miele. "Mangia, bimbo mio, mangia!" disse. "Sei qui senza mamma, non c' nessuno che ti dia da mangiare. Mangia!" Egoru4(7)ska si mise a mangiare, sebbene dopo gli zuccherini e i dolci coi semi di papavero che mangiava ogni giorno a casa sua, non

trovasse niente di buono nel miele che era a met mischiato con cera e ali di api. Egli mangiava, e intanto Mojsej Mojsei4(7)c e l'ebrea lo guardavano e sospiravano. "Dove stai andando, bimbo mio?" chiese l'ebrea. "A studiare" rispose Egoru4(7)ska. "E quanti figlioli ha la tua mamma?" "Ci sono solo io. Non c' nessun altro." "Oh!" sospir l'ebrea e alz gli occhi al cielo. "Povera mammina, povera mammina! Come sentir la nostalgia e quanto pianger! Tra un anno anche noi manderemo a studiare il nostro Naum! Oh!" "Ah, Naum, Naum!" sospir Mojsej Mojsei4(7)c e sul suo pallido viso la pelle trem nervosamente. "E' cos malato." La coperta unta si mosse, e di sotto comparve una testa riccioluta di bambino su un collo molto sottile; due occhi neri scintillarono e si fissarono con curiosit su Egoru4(7)ska. Mojsej Mojsei4(7)c e l'ebrea, senza smettere di sospirare, si avvicinarono al cassettone e si misero a parlare in ebraico. Mojsej Mojsei4(7)c parlava a bassa voce, con tono profondo di basso, e nell'insieme la sua parlata ebraica somigliava a un incessante "gal-gal-gal-gal...", mentre la moglie gli rispondeva con voce sottile da tacchino, e ne veniva fuori qualcosa tipo: "tu-tu-tu-tu...". Mentre si consultavano, dalla coperta unta apparve un'altra testolina ricciuta su un collo sottile, dopo questa una terza, poi una quarta... Se Egoru4(7)ska avesse posseduto una fervida fantasia, avrebbe potuto pensare che sotto la coperta ci fosse un'idra dalle cento teste. "Gal-gal-gal-gal..." diceva Mojsej Mojsei4(7)c. "Tu-tu-tu-tu..." gli rispondeva l'ebrea. Il consiglio termin con il risultato che l'ebrea con un profondo sospiro si mise a frugare nel cassettone, l svolse uno straccio verde ed estrasse un panpepato di segala a forma di cuore. "Prendi, bimbo mio" disse porgendo il panpepato a Egoru4(7)ska. "Adesso sei senza la tua mammina, non c' nessuno che ti faccia i regali." Egoru4(7)ska si ficc il panpepato in tasca e indietreggi verso la porta, poich non aveva pi forza di respirare l'aria mucida e acre in cui vivevano i padroni di casa. Tornato nella stanza grande, si sistem comodamente sul divano e si abbandon ai suoi pensieri. Ku4(7)zmi4(7)cov aveva appena finito di contare il denaro e lo stava rimettendo nel sacco. Non lo trattava con particolare rispetto e lo gettava nel sacco sporco senza molte cerimonie, con una tale indifferenza come se si trattasse non di denaro ma di cartacce. Padre Christofor conversava con Solomon. "Allora, Solomon il saggio?" chiese, sbadigliando e facendosi il segno di croce davanti alla bocca. "Come vanno gli affari?" "Di che affari parlate?" chiese Solomon e guard con una malizia tale, come se si fosse fatto allusione a qualche delitto. "In generale... Che fai di bello?" "Che faccio di bello?" chiese di nuovo Solomon e alz le spalle. "Quello che fanno tutti... Lo vedete: sono un servitore. Sono il servitore di mio fratello, mio fratello il servitore dei passanti, i passanti sono i servitori di Varlamov, ma se io avessi dieci milioni, Varlamov sarebbe il mio servitore." "Ovvero, perch mai sarebbe lui il tuo servitore?" "Perch? Ma perch non esiste un tale signore o un milionario che per un copeco in pi non leccherebbe le mani di un ebreo rognoso. Io adesso sono un ebreo rognoso e indigente, tutti mi guardano come se fossi un cane, ma se avessi del denaro, Varlamov farebbe il buffone davanti a me come Mojsej lo fa davanti a voi." Padre Christofor e Ku4(7)zmi4(7)cov si scambiarono un'occhiata. N l'uno n l'altro avevano capito Solomon. Ku4(7)zmi4(7)cov lo guard

in modo severo e asciutto e chiese: "Come puoi tu, stupido, metterti sullo stesso piano di Varlamov?" "Non sono ancora tanto stupido da mettermi sullo stesso piano di Varlamov" rispose Solomon, squadrando con aria beffarda i suoi interlocutori. "Varlamov, pur essendo russo, nell'animo un ebreo rognoso; ha trascorso tutta la vita a far soldi e a trarre qualche guadagno, mentre io, i miei soldi, li ho bruciati nella stufa. Io non ho bisogno n di soldi, n di terra, n di pecore, e non ho bisogno che mi temano e si tolgano il cappello quando passo. E ci vuol dire che sono pi intelligente del vostro Varlamov e rassomiglio di pi a un essere umano!" Dopo poco Egoru4(7)ska nel dormiveglia sent che Solomon, con voce sorda e rauca per l'odio che lo soffocava, con l'erre moscia e in maniera concitata, si era messo a parlare degli ebrei; all'inizio parl correttamente, in russo, poi pass al tono dei narratori delle scene di vita ebraica e cominci a parlare come quella volta al baraccone, con un esagerato accento ebraico. "Fermati..." lo interruppe padre Christofor. "Se la tua fede non ti piace, cambiala, ma deriderla peccato; colui che schernisce la propria fede l'ultimo degli esseri umani." "Non capite proprio nulla!" Solomon lo interruppe rozzamente. "Io vi parlo di una cosa, e voi di un'altra..." "Ecco, adesso si capisce che sei stupido" sospir padre Christofor. "Io ti ammonisco come sono capace, e tu ti arrabbi. Io ti parlo da vecchio, pian pianino, e tu come un tacchino: bla-bla-bla! Sei veramente strano..." Entr Mojsej Mojsei4(7)c. Lanci un'occhiata allarmata a Solomon e agli ospiti, e di nuovo sul suo viso la pelle trem nervosamente. Egoru4(7)ska scosse il capo e si guard attorno; vide di sfuggita il viso di Solomon e proprio in quel momento quando era rivolto di tre quarti verso di lui e quando l'ombra del suo lungo naso solcava tutta la guancia sinistra; il sorriso sprezzante, mescolato con quest'ombra, gli occhi luccicanti, beffardi, l'espressione arrogante e tutta la sua figura spennacchiata, sdoppiandosi e guizzando negli occhi di Egoru4(7)ska, lo facevano somigliare ora non a un buffone, ma a qualche cosa che talvolta si vede in sogno, probabilmente a uno spirito maligno. "Che razza di indemoniato, Mojsej Mojsei4(7)c, che Dio sia con lui!" disse sorridendo padre Christofor. "Dovreste sistemarlo da qualche parte, oppure ammogliarlo... Non somiglia a un essere umano..." Ku4(7)zmi4(7)cov arrabbiato si accigli. Mojsej Mojsei4(7)c, allarmato e con occhio scrutatore, guard nuovamente il fratello e gli ospiti. "Solomon, esci di qui!" disse severamente. "Esci!" E aggiunse ancora qualcosa in ebraico. Solomon scoppi a ridere a scatti e usc. "Cos' successo?" chiese preoccupato Mojsej Mojsei4(7)c a padre Christofor. "Non sa controllarsi" rispose Ku4(7)zmi4(7)cov. "E' un insolente e si crede troppo." "Lo sapevo!" inorrid Mojsej Mojsei4(7)c battendo le mani. "Ah, Dio mio! Dio mio!" brontol a bassa voce. "Siate buoni, scusatelo e non arrabbiatevi. E' un tale individuo, un tale individuo! Ah, Dio mio! Dio mio! E' mio fratello, ma da lui non ho avuto altro che dispiaceri. Perch lui, sapete..." Mojsej Mojsei4(7)c fece con il dito un giro attorno alla fronte e continu: "E' pazzo... un'anima dannata. E non so cosa devo fare con lui! Non vuol bene a nessuno, non rispetta nessuno, non teme nessuno. Sapete, ride di tutti, dice sciocchezze, rampogna tutti. Non ci credereste: una volta venne qui Varlamov, e Solomon gli disse tali cose che quello frust sia lui che

me... E me per che cosa? Sono forse io colpevole? Dio gli ha tolto la ragione, significa che questa la volont divina, ne sono forse io colpevole?". Erano trascorsi circa dieci minuti, ma Mojsej Mojsei4(7)c continuava a borbottare e a sospirare: "Di notte non dorme e continua a pensare, a pensare, a pensare, ma a cosa pensi solo Dio lo sa. Se gli vai vicino di notte, si arrabbia e ride. Non vuole bene neanche a me... E non vuole niente! Il pap, quando mor, ci lasci seimila rubli a testa. Io comprai la stazione di posta, mi sposai e ora ho dei bambini, lui, invece, bruci i suoi soldi nella stufa. Un tale peccato, un tale peccato! Perch bruciarli? Se tu non ne hai bisogno, dalli a me, ma perch bruciarli?". Improvvisamente la porta stridette sui cardini e il paviment trem sotto i passi di qualcuno. Su Egoru4(7)ska alit un venticello leggero e gli parve che un grande uccello nero gli fosse volato accanto e avesse sbattuto le ali proprio vicino al suo volto. Apr gli occhi... Lo zio con il sacco in mano, pronto a partire, era in piedi presso il divano. Padre Christofor, tenendo in mano il cilindro a falde larghe, faceva un inchino e sorrideva non in modo dolce e tenero come sempre, ma con fare rispettoso e affettato, cosa che al suo viso non si addiceva molto. Mojsej Mojsei4(7)c, come se il suo corpo si fosse spezzato in tre parti, stava in equilibrio e cercava in tutti i modi di non disfarsi. Solo Solomon, come se non fosse successo nulla, se ne stava nel suo angolo con le braccia conserte e al solito sorrideva sprezzante. "Vostra eccellenza, mi scusi, la casa in disordine!" si lamentava Mojsej Mojsei4(7)c con un sorriso sofferente e dolce, senza rivolgere pi alcuna attenzione n a Ku4(7)zmi4(7)cov, n a padre Christofor, ma stando in equilibrio con tutto il corpo per non cadere. "Siamo gente semplice, vostra eccellenza!" Egoru4(7)ska si stropicci gli occhi. In mezzo alla stanza c'era veramente un'eccellenza con le sembianze di una giovane donna, molto bella e robusta in abito nero e cappello di paglia. Prima che Egoru4(7)ska riuscisse a scorgerne i lineamenti, gli venne chiss perch in mente quel pioppo solitario, slanciato, che aveva visto quel pomeriggio sulla collina. "E' passato di qui oggi Varlamov?" chiese una voce femminile. "No, vostra eccellenza!" rispose Mojsej Mojsei4(7)c. "Se lo vedete domani, pregatelo di passare da me un minuto." All'improvviso, del tutto inaspettatamente, a mezzo metro dai propri occhi Egoru4(7)ska vide delle sopracciglia nere, vellutate, dei grandi occhi castani e guance femminili curate, con le fossette, dalle quali il sorriso si diffondeva su tutto il viso come un raggio di sole. Si sent un profumo squisito. "Che ragazzo carino!" disse la signora. "Di chi figlio? Kazimir Michajlovi4(7)c, guardate che incanto! Dio mio, sta dormendo! Sei il mio bel bambino..." e la signora baci forte Egoru4(7)ska su entrambe le guance, ed egli sorrise, e pensando di star dormendo, chiuse gli occhi. I cardini della porta stridettero e si udirono dei passi frettolosi: qualcuno entrava e usciva. "Egoru4(7)ska! Egoru4(7)ska!" echeggi un fitto mormorio di due voci. "Alzati, ora di andare!" Qualcuno, forse Deniska, mise Egoru4(7)ska in piedi e lo condusse per mano; mentre stava camminando, apr a met gli occhi e vide di nuovo la bella signora dall'abito nero che l'aveva baciato. Era in piedi in mezzo alla stanza e, guardandolo mentre usciva, sorrideva e lo salutava benevolmente con il capo. Mentre si avvicinava alla porta, vide un bel giovane bruno, robusto, con un cappello a tubino e le ghette. Doveva essere l'accompagnatore della signora. "Tprrr!" giunse dal cortile.

Sulla porta di casa Egoru4(7)ska vide una carrozza nuova, lussuosa e un paio di cavalli neri. In serpa sedeva un servitore in livrea con un lungo scudiscio in mano. Ad accompagnare gli ospiti in partenza usc solo Solomon. Il suo volto era teso dal desiderio di scoppiare a ridere; sembrava che aspettasse con grande impazienza la partenza degli ospiti per ridere di loro a volont. "La contessa Dranizkaja" bisbigli padre Christofor, salendo sul calesse. "S, la contessa Dranizkaja" ripet Ku4(7)zmi4(7)cov, anch'egli sottovoce. L'impressione prodotta dall'arrivo della contessa doveva essere molto forte, giacch anche Deniska parlava a bassa voce e si decise a frustare i bai e a gridare solo quando il calesse ebbe percorso un quarto di versta e quando indietro, al posto della stazione di posta, si vedeva solo un pallido lumicino. NOTE: (6) Membro di una setta religiosa cristiana che rifiutava di mangiare carne e si nutriva quasi esclusivamente di latte. (7) Organo elettivo di autonomia locale. IV Ebbene, chi questo inafferrabile, misterioso Varlamov di cui tanto si parla, che Solomon disprezza e di cui ha bisogno anche la bella contessa? Sedutosi in serpa accanto a Deniska, l'assonnato Egoru4(7)ska pensava proprio a questo uomo. Non l'aveva mai visto, ma ne aveva spesso sentito parlare e non di rado se l'era raffigurato con l'immaginazione. Gli era noto che Varlamov possedeva qualche decina di migliaia di desjatine di terreno, circa centomila pecore e moltissimo denaro; del suo stile di vita e delle sue occupazioni Egoru4(7)ska sapeva solo che egli "stava girando in quei paraggi" e che lo cercavano sempre. A casa aveva sentito parlare molto anche della contessa Dranizkaja. Anch'ella possedeva qualche centinaia di migliaia di desjatine, molte pecore, un allevamento di cavalli di razza e molto denaro, ma non "girava" e viveva nella sua ricca casa signorile, della quale i conoscenti e Ivan Ivany4(7)c, pi volte recatosi dalla contessa per affari, raccontavano molte meraviglie; dicevano, per esempio, che nella sala della contessa, dove erano appesi tutti i ritratti dei sovrani polacchi, c'era un grande orologio da tavolo a forma di rupe. Sulla rupe c'era un cavallo impennato, d'oro con gli occhi di brillante, e sul cavallo sedeva un cavaliere dorato che, ogni volta che battevano le ore, agitava la sciabola a destra e a sinistra. Raccontavano anche che un paio di volte l'anno la contessa dava un ballo al quale erano invitati i nobili e i funzionari di tutto il governatorato e veniva persino Varlamov; tutti gli ospiti bevevano il t da samovar d'argento, mangiavano cibi insoliti (per esempio d'inverno, a Natale, venivano serviti i lamponi e le fragole) e ballavano al ritmo della musica che suonava giorno e notte... "E com' bella!" pensava Egoru4(7)ska ricordandone il viso e il sorriso. Anche Ku4(7)zmi4(7)cov stava probabilmente pensando alla contessa perch, dopo che il calesse ebbe percorso circa due verste, disse: "E quel Kazimir Michajlovi4(7)c la deruba ben bene! Tre anni fa, quando comprai da lei la lana - vi ricordate? - quello guadagn circa tremila rubli sul mio solo acquisto". "Da un polacco non ci si pu aspettare altro" comment padre Christofor. "E lei non ci fa caso. Come si dice, giovane e stupida. In testa le

passa il vento!" Egoru4(7)ska, chiss perch, aveva voglia di pensare solo a Varlamov e alla contessa, soprattutto a quest'ultima. Il suo cervello addormentato rifiutava i pensieri abituali, si annebbiava e tratteneva solo quelle immagini fiabesche, fantastiche, che posseggono l'agio di svilupparsi nel cervello da sole, senza alcuno sforzo da parte di chi pensa, basta solo scuotere per benino la testa ed esse scompaiono senza lasciar traccia; del resto, tutto ci che c'era intorno non disponeva ai soliti pensieri. A destra le colline, che sembravano nascondere qualcosa di misterioso e tremendo, diventavano scure, a sinistra tutto il cielo all'orizzonte era inondato dal tramonto purpureo ed era difficile capire se si trattasse di un incendio oppure se stesse per levarsi la luna. Si vedeva l'orizzonte come fosse giorno, ma gi la sua tenera colorazione violetta, velata dal buio serale, era scomparsa e tutta la steppa si nascondeva nel buio come i bambini di Mojsej Mojsei4(7)c sotto la coperta. Nelle serate e nelle notti di luglio le quaglie e le gallinelle non gridano pi, gli usignoli non cantano nei burroni dei boschi, non si sente il profumo di fiori, ma la steppa sempre magnifica e piena di vita. Appena tramonta il sole e il buio avvolge la terra, l'angoscia del giorno dimenticata, tutto perdonato e la steppa sospira con facilit a pieni polmoni. Quasi fosse perch nelle tenebre l'erba non riesce a vedere la propria decrepitezza, in essa si solleva un allegro, giovane crepitio, quale non capita di giorno; crepitii, fischi, graffi, bassi, tenori e voci bianche della steppa, tutto si confonde in un brusio incessante, monotono, ascoltando il quale piacevole ricordare e intristirsi. Il crepitio uniforme culla come una ninnananna; si viaggia e si sente che ci si sta addormentando, ma ecco che giunge chiss da dove un grido discontinuo, inquietante di un uccello che non si addormentato, oppure echeggia un suono indefinito, simile a una voce, una specie di "ah!" stupito e il torpore abbassa le palpebre. Oppure capita di passare vicino a un burrone ove ci sono degli arbusti e si sente un uccello, chiamato dormiglione dagli abitanti della steppa, gridare a qualcuno: "Splju!! splju! splju!", (8) mentre un altro se la ride oppure si effonde in un pianto isterico: la civetta. Per chi urlino e chi li ascolti in questa pianura, Dio solo lo sa, ma nel loro urlare c' molta tristezza e grande lamento... Si sente l'odore di fieno, di erba essiccata e di fiori tardivi, ma l'odore greve e dolciastro. Nel buio si vede tutto, ma difficile distinguere i colori e i contorni degli oggetti. Tutto appare diverso da come . Si viaggia e all'improvviso si vede che davanti, proprio vicino alla strada, c' una figura simile a un monaco; non si muove, aspetta e tiene qualcosa in mano... Non sar un brigante? La figura si avvicina, cresce, ecco che giunge all'altezza del calesse, e si vede che non un uomo, ma un cespuglio solitario oppure un grande masso. Tali figure immobili, in attesa di chiss chi, stanno ritte sulle colline, si nascondono dietro ai tumuli, sbirciano dall'erbaccia, e tutte loro somigliano a delle persone e incutono sospetto. E quando spunta la luna, la notte diventa pallida e languida. Come se le tenebre non ci fossero mai state. L'aria trasparente, fresca e tiepida, si vede bene dappertutto e si possono persino distinguere presso la strada i singoli steli dell'erbaccia. A grande distanza si vedono i teschi e i massi. Le figure sospette, simili a monaci, sul fondo chiaro della notte sembrano pi scure e pi sinistre. Nel monotono crepitio che disturba l'aria immobile risuona sempre pi spesso un "ah!" stupito e si sente il grido di un uccello che non si addormentato o che vaneggia. Le larghe ombre si muovono sulla pianura come nuvole nel cielo, e a una distanza incomprensibile, se

le si fissa a lungo, si levano e si ammucchiano l'una sull'altra delle immagini confuse, bizzarre... Fa un po' paura. Ma se si getta uno sguardo al cielo verde pallido, tempestato di stelle, nel quale non ci sono n nuvolette n macchie, allora si capisce perch l'aria tiepida immobile, perch la natura all'erta e teme di muoversi: ha paura e le spiace di perdere anche solo un attimo di vita. Solo in mare e nella steppa di notte quando brilla la luna si pu giudicare la profondit sconfinata e l'illimitatezza del cielo. Esso terribile, bello e carezzevole, guarda languidamente e attrae a s, e per la sua dolcezza gira la testa. Si viaggia un'ora, due... Ci si imbatte in un vecchio silenzioso, un monticello, o in una donna di pietra posta sa Dio da chi e quando; un uccello notturno vola silenziosamente sopra la terra, e a poco a poco riaffiorano alla memoria le leggende della steppa, i racconti delle persone incontrate, le fiabe della bambinaia natia della steppa e tutto ci che si visto con i propri occhi e che si capito con l'anima. E allora nel crepitio degli insetti, nelle figure e nei monticelli sospetti, nel cielo profondo, nella luce della luna, nel volo di un uccello notturno, in tutto ci che si vede e si sente, cominciano ad apparire il trionfo della bellezza, la giovinezza, il rigoglio delle forze e l'appassionata sete di vita; l'anima fa eco alla magnifica, severa terra natia, e viene voglia di volare sopra la steppa assieme all'uccello notturno. E nel trionfo della bellezza, nell'eccesso di felicit, si avvertono la tensione e la tristezza, come se la steppa riconoscesse di essere sola, che la sua ricchezza e la sua ispirazione muoiono invano per il mondo, senza esser celebrate da nessuno e a nessuno necessarie, e attraverso il lieto rombo si sente il suo appello malinconico, disperato: poeta! poeta! "Tprr! Salve, Pantelej! Tutto bene?" "Grazie a Dio, Ivan Ivany4(8)c!" "Ragazzi, non avete visto Varlamov?" "No, non l'abbiamo visto." Egoru4(8)ska si svegli e apr gli occhi. Il calesse era fermo, A destra, sulla strada, si allungava lontano e in avanti un convoglio lungo il quale delle persone andavano avanti e indietro. Tutti i carri, per il fatto che su di essi c'erano delle grandi balle di lana, sembravano molto alti e soffici, mentre i cavalli sembravano piccoli e con le gambe corte. "Allora, adesso andiamo dal molokan!" disse Ku4(8)zmi4(8)cov a gran voce. "Il giudeo ha detto che Varlamov pernotta dal molokan! Allora ci salutiamo, fratelli! Che Dio sia con voi!" "Addio, Ivan Ivany4(8)c!" risposero alcune voci. "Ah, ecco, ragazzi," disse animatamente Ku4(8)zmi4(8)cov "prendete con voi il mio ragazzo! Che ci viene a fare in giro con noi per niente? Sistemalo da te, Pantelej, su una balla e che prosegua con voi pian pianino, e noi poi vi raggiungeremo. Va', Egor! Va', non ti preoccupare!" Egor scese da serpa. Alcune braccia lo afferrarono, lo sollevarono in alto ed egli si trov su qualcosa di grande, morbido e leggermente umido per la rugiada. Ora gli pareva che il cielo fosse vicino e la terra lontano. "Ehi, prendi il tuo cappottino!" gli grid da qualche parte in basso Deniska. Il cappotto e il fagotto, lanciati dal basso, caddero vicino a Egoru-4(8)ska. Velocemente, non desiderando pensare a niente, pose il fagottino sotto la testa, si copr con il cappotto e, stendendo le gambe in tutta la loro lunghezza, rannicchiandosi per la rugiada, si mise a ridere dal piacere. "Dormire, dormire, dormire..." pensava. "E voi, diavoli, non lo offendete!" si sent dal basso la voce di

Deniska. "Addio, fratelli! Che Dio sia con voi!" grid Ku4(8)zmi4(8)cov. "Ripongo su di voi le mie speranze!" "State tranquillo, Ivan Ivany4(8)c!" Deniska appiopp un colpo ai cavalli, il calesse stridette e rotol veloce, ma non per la strada, bens da qualche parte di lato. Per un paio di minuti ci fu silenzio, quasi il convoglio si fosse addormentato, e si sentiva soltanto in lontananza che pian pianino si smorzava lo sferragliare del secchio legato alla parte posteriore del calesse. Ma ecco che qualcuno in testa al convoglio url: "Kirjucha, parti!". Il carro di testa si mise a scricchiolare, dietro di lui un altro, un terzo... Egoru4(8)ska sent che il carro su cui era coricato cominciava a dondolare e anch'esso a scricchiolare. Il convoglio si mise in moto. Egoru4(8)ska si tenne pi saldo alla corda che legava la balla, scoppi di nuovo a ridere dal piacere, si sistem bene il panpepato in tasca e si accinse a dormire cos come era solito addormentarsi a casa nel suo letto... Quando si svegli, stava gi spuntando il sole; un monticello lo nascondeva, ma esso, nel tentativo di spargere la sua luce sul mondo, tendeva con forza i propri raggi da tutte le parti e inondava d'oro l'orizzonte. A Egoru4(8)ska parve che esso non fosse al suo posto, poich il giorno prima si era levato dietro la sua schiena mentre oggi si levava molto pi a sinistra... E anche tutta la zona non somigliava a quella del giorno prima. Non c'erano pi le colline e, dovunque si guardasse, si stendeva senza fine una pianura bruna, triste; qua e l sorgevano dei monticelli e volavano i gracchi del giorno prima. Davanti a loro, in lontananza, biancheggiavano i campanili e le isbe di un villaggio; essendo domenica, gli ucraini erano a casa, cuocevano al forno o facevano bollire: lo si capiva dal fumo che si levava da tutti i camini e come un velo trasparente grigio-azzurro stava sospeso sul villaggio. Negli intervalli tra le isbe e dietro la chiesa azzurreggiava un fiume, e dietro di esso si offuscava l'orizzonte. Ma niente somigliava cos poco a ci che si era visto il giorno prima come la strada. Qualcosa di insolitamente ampio, vasto e gigantesco si stendeva attraverso la steppa al posto della strada; questa era una fascia grigia, ben battuta e coperta di polvere come tutte le strade, ma di larghezza pari a qualche decina di sagene. La sua ampiezza sconcertava Egoru4(8)ska e fece nascere in lui pensieri da fiaba. Chi percorre questa strada? Chi ha bisogno di una tale ampiezza? E' incomprensibile e strano. Si pu veramente pensare che in Russia non siano ancora scomparsi i personaggi enormi, dall'ampio passo, quali I4(8)lja Muromez e Solovej Razbojnik, e che non siano ancora estinti i cavalli dei bogaty4(8)r. (9) Egoru4(9)ska, data un'occhiata alla strada, si immagin sei alti carri che andavano al galoppo uno di fianco all'altro, simili a quei carri che aveva visto nei disegni della Storia Sacra; questi carri sono attaccati a sei cavalli selvaggi, indiavolati, e con le alte ruote sollevano nugoli di polvere sino al cielo, e i cavalli sono guidati da personaggi quali si possono solo sognare oppure possono svilupparsi solo nei pensieri da fiaba. E come questi personaggi si sarebbero confatti alla steppa e alla strada, se fossero esistiti! Sul lato destro della strada per tutta la sua lunghezza si drizzavano i pali del telegrafo con due fili. Diventando sempre pi piccoli, vicino al villaggio scomparivano dietro le isbe e la verzura, e poi comparivano nuovamente nell'orizzonte violetto sotto forma di bastoncini molto piccoli, sottili, simili a delle matite conficcate per terra. Sparvieri, smerigli e corvi sedevano sui fili e guardavano con indifferenza il convoglio in marcia. Egoru4(9)ska era coricato sull'ultimissimo carro e perci poteva

vedere l'intero convoglio. C'erano circa venti carri nel convoglio e un solo vetturale ogni tre carri. Vicino al carro posteriore dove era Egoru4(9)ska camminava un vecchio dalla barba grigia, altrettanto scarno e basso di statura come padre Christofor, ma con il volto bruno per l'abbronzatura, severo e pensieroso. E' molto probabile che questo vecchio non fosse n severo n pensieroso, ma le palpebre rosse e il lungo naso a punta conferivano al suo viso un'espressione severa, arcigna, quale capita alle persone abituate a pensare sempre a qualcosa di serio e a essere sole. Come padre Christofor, aveva un cilindro a larghe falde, ma non da signore, bens di feltro e bruno, pi simile a un cono tronco che non a un cilindro. Era scalzo. Probabilmente per l'abitudine acquisita negli inverni freddi, quando, forse, gli era toccato spesso di gelare vicino al convoglio, camminando si batteva sulle anche e pestava i piedi. Accortosi che Egoru4(9)ska si era svegliato, lo guard e disse, rannicchiandosi come se facesse un gran freddo: "Ah, ti sei svegliato, giovanotto! Sei il figliolo di Ivan Ivany4(9)c?" "No, il nipote..." "Di Ivan Ivany4(9)c? E io mi sono levato gli stivali e salto a piedi nudi. I piedi ce li ho malati, assiderati, e senza gli stivali si sta pi liberi... Pi liberi, caro... Ovvero senza gli stivali... Allora sei il nipote? Lui un bravo uomo, non c' che dire... Che Dio gli doni la salute... Non c' che dire... Intendo, Ivan Ivany4(9)c... E' andato dal molokan... Oh, Signore, abbi misericordia!" Il vecchio parlava persino come se facesse molto freddo, con delle pause e senza aprire la bocca come si deve; e articolava male le consonanti labiali, tartagliando, come se gli si fossero congelate le labbra. Rivolgendosi a Egoru4(9)ska, non sorrise nemmeno una volta e pareva severo. NOTE: (8) Splju=dormo. (9) Personaggi dei canti epici popolari, noti per la forza, il coraggio e l'ingegno. IV (continuazione) Due carri pi avanti camminava con la frusta in mano un uomo con indosso un lungo cappotto rosso, il berretto e gli stivali con i gambali calati. Non era vecchio, era sulla quarantina. Quando egli guard indietro, Egoru4ska vide un lungo viso rosso con una barbetta rada, caprina e una escrescenza spugnosa sotto l'occhio destro. A parte questa escrescenza molto ripugnante, aveva un altro segno particolare che saltava decisamente all'occhio: con la mano sinistra teneva la frusta, mentre dimenava la destra come se stesse dirigendo un coro invisibile; di tanto in tanto metteva la frusta sotto il braccio e allora dirigeva con entrambe le mani e mugugnava qualcosa sotto i baffi. Il carrettiere successivo era una figura lunga, dritta, con le spalle molto spioventi e la schiena piatta come un'asse. Stava dritto come se marciasse o avesse ingoiato un palo, le braccia non penzolavano, ma pendevano come dei bastoni dritti, e camminava in modo legnoso, alla maniera dei soldatini giocattolo, senza quasi piegare le ginocchia e cercando di fare il passo pi lungo possibile; quando il vecchio oppure l'uomo con l'escrescenza spugnosa facevano due passi, egli riusciva a farne solo uno, e perci sembrava che andasse pi piano di tutti e che restasse indietro. Il suo volto era fasciato da un cencio e sulla testa sporgeva qualcosa di simile a una calotta da monaco; indossava una corta casacca ucraina, cosparsa di

pezze, e larghi pantaloni azzurri, e calzava i lapti. (10) Egoru4(10)ska non riusciva a scorgere chi c'era pi avanti. Stava coricato a pancia in gi, aveva fatto nella balla un buchetto e, non sapendo cosa fare, cominci a intrecciare i fili di lana. Il vecchio che camminava in basso risult essere non cos severo e serio come si sarebbe giudicato dal viso. Una volta cominciato un discorso, non lo finiva pi. "Dove stai andando?" chiese battendo i piedi. "A studiare" rispose Egoru4(10)ska. "A studiare? Aah... Eh, che la Regina del Cielo ci aiuti! Bene. Un'intelligenza cosa buona, ma due sono meglio. A una persona Dio concede un'intelligenza, a un'altra due, a un'altra tre... a un'altra tre, vero... L'intelligenza con la quale la madre l'ha concepito, un'altra dallo studio, una terza dal viver bene. Cos, vedi fratellino, bene se qualcuno ha tre intelligenze. Per costui sar pi facile non tanto vivere quanto morire. Morire... E moriremo tutti quanti!" Il vecchio si gratt la fronte, gett un'occhiata con gli occhi rossi a Egoru4(10)ska in alto e prosegu: "Maksm Nikolaevi4(10)c, un signore di Slavjanoserbsk, anche lui ha mandato il suo figliolo a studiare l'anno scorso. Non so come se la cava con lo studio, ma come ragazzo non male, buono... Che Dio conceda loro la salute, bravi signori. S, anche quello lo mand a studiare... A Slavjanoserbsk non ci sono scuole dove si acquisisca il sapere. Non ce n'... Ma la citt non male, buona... Una scuola normale, che dia un semplice titolo, c', ma per quanto riguarda un'istruzione superiore, di questo tipo non ce n'... Non ce n', vero. Come ti chiami?". "Egoru4(10)ska." "Dunque, Egorij... Il grande protomartire Giorgio il Vincitore il ventitr aprile. Il mio nome Pantelej... Pantelej Zacharov Cholodov... Siamo dei Cholodov... Io stesso sono originario di Tim nel governatorato di Kursk, forse ne hai sentito parlare. I miei fratelli sono divenuti artigiani e hanno un mestiere in citt, mentre io sono contadino... Sono rimasto contadino. Sette anni fa ci sono tornato... a casa, voglio dire. Sono stato nel villaggio, e in citt... A Tim, voglio dire, sono stato. Allora, grazie a Dio, erano tutti vivi e in salute, ma adesso non so... E' probabile che qualcuno sia morto, perch sono tutti vecchi, ce ne sono di pi vecchi di me. La morte non nulla, va bene, basta non morire senza penitenza. Non c' cosa peggiore che la morte sfrontata. La morte sfrontata reca gioia al diavolo. E se vuoi morire con la penitenza, affinch non ti sia vietato di entrare nella dimora divina, prega la protomartire Varvara. Ella intercede. Ella, vero... Per questo Dio le ha riservato nei cieli un posto, perch ognuno abbia pieno diritto di pregare lei per la penitenza." Pantelej borbottava ed evidentemente non si preoccupava che Egoru4(10)ska lo ascoltasse o no. Parlava in modo fiacco, fra s e s, senza alzare o abbassare la voce, ma in breve tempo riusc a raccontare una gran quantit di cose. Tutto ci che raccontava era formato di frammenti molto poco legati tra loro e affatto interessanti perEgoru4(10)ska. Forse egli parlava solo per verificare ad alta voce i propri pensieri dopo la notte trascorsa in silenzio: c'erano tutti in casa? Finito di parlare del pentimento, ritorn a parlare di un certo Maksm Nikolaevi4(10)c di Slavjanoserbsk: "S, ha mandato il suo figliolo... L'ha mandato, vero...". Uno dei carrettieri che camminava molto avanti lasci il suo posto, corse da una parte e si mise a scudisciare per terra con la frusta. Era questi un contadino sulla trentina, alto, largo di spalle, con i capelli biondi, ricci, e dall'aspetto molto forte e sano. A giudicare dai movimenti delle spalle e della frusta, dall'ardore che esprimeva

la sua posa, stava colpendo qualcosa di vivo. Gli corse vicino un altro carrettiere, bassotto e tarchiato, con la barba nera folta, vestito con un panciotto e la camicia fuori dai pantaloni. Questi proruppe in una risata da basso, tossicchiante, e grid: "Fratelli, Dymov ha ucciso una serpe! Come vero Iddio!". Ci sono persone la cui intelligenza si pu valutare con precisione dalla voce e dalla risata. Quest'uomo dalla barba nera apparteneva proprio a questi fortunati: nella sua voce e nella sua risata si avvertiva una stupidit madornale. Finito di frustare, il biondo Dymov sollev da terra con la frusta e gett verso i carri con una risata qualcosa di simile a una corda. "Non una serpe, ma una biscia" url qualcuno. L'uomo dall'andatura legnosa e con la testa fasciata si avvicin velocemente alla serpe uccisa, la guard e batt le mani simili a bastoni. "Galeotto!" url con voce sorda, piagnucolante. "Perch hai ucciso una biscetta? Che cosa ti ha fatto, che tu sia maledetto? Guarda, ha ucciso una biscetta! E se ti facessero altrettanto?" "Non si devono uccidere le bisce, vero..." borbott tranquillamente Pantelej. "Non si deve... Non una vipera. Pur somigliando a una serpe, una bestia mansueta, innocua... Ama l'uomo... E' solo una biscia..." Dymov e quello con la barba nera probabilmente provarono vergogna, poich scoppiarono in una sonora risata e, senza rispondere alle lamentele, si diressero pigramente ai propri carri. Quando il carro posteriore raggiunse il posto dove si trovava la biscia uccisa, l'uomo con la testa bendata, in piedi accanto alla biscia, si rivolse a Pantelej e chiese con voce piagnucolante: "Nonno, ma perch ha ucciso una biscetta?". I suoi occhi, come Egoru4(10)ska pot ora scorgere, erano piccoli, velati, il volto grigio, malato e anch'esso appannato, mentre il mento era rosso e pareva molto gonfio. "Nonno, ma perch l'ha uccisa?" ripet camminando di fianco a Pantelej. "E' uno stupido, gli prudono le mani, per questo l'ha uccisa" rispose il vecchio. "Ma non si devono uccidere le bisce... E' vero... Dymov, si sa, un briccone, uccide tutto ci che gli capita sotto mano, e Kirjucha non intervenuto. Sarebbe dovuto intervenire, ma lui: "ah-ah-ah" e "oh-oh-oh"... E tu, Vasja, non te la prendere... Perch prendersela? L'hanno uccisa, e che Dio sia con loro... Dymov un briccone, e Kirjucha uno stupido... Non fa niente... Gli uomini sono stupidi, non capiscono, ma che Dio sia con loro. Ecco, Eme-4(10)ljan non toccher mai ci che non si deve. Mai, vero... Perch una persona istruita, mentre loro sono stupidi... Eme4(10)ljan... Lui non tocca nulla!" Il carrettiere col cappotto rosso e l'escrescenza spugnosa che dirigeva un coro invisibile, sentito il proprio nome, si ferm e, aspettato che Pantelej e Vasja lo raggiungessero, prosegu al loro fianco. "Di che parlate?" chiese con voce rauca, soffocata. "E' Vasja che si arrabbia" rispose Pantelej. "E io gli dico diverse cose perch non si arrabbi... Eh, i miei piedini malati, congelati! Eh! Si sono messi a prudere perch domenica, la festa del Signore!" "E' per il camminare!" osserv Vasja. "No, mio caro, no... Non per il camminare. Quando cammino mi sento veramente meglio, quando sto coricato e mi riscaldo la mia morte. Mi pi facile camminare." Eme4(10)ljan, con il cappotto rosso, stava tra Pantelej e Vasja e agitava la mano come se questi stessero per cantare. Dopo averla agitata, abbass la mano e grugn disperato. "Non ho voce!" disse. "E'

una vera e propria disgrazia! E' tutta notte e tutta mattina che sento il triplo "Signore, abbi piet" che abbiamo cantato al matrimonio da Marinovskij; qui in testa e in gola... mi sembra di poter cantare, e invece non ce la faccio! Non ho voce!" Tacque un attimo, assorto in qualche pensiero, e prosegu: "Per quindici anni sono stato nel coro, in tutta la fabbrica di Luganskij non c'era forse nessuno con una voce uguale, ma mi bastato, che il diavolo se lo prenda, fare il bagno tre anni fa nel Donez che da quel giorno non posso pi azzeccare una nota giusta. Mi si raffreddata la gola. Ma per me essere senza voce come per un operaio essere senza una mano". "E' vero!" convenne Pantelej. "Di me stesso capisco di essere un uomo finito e nient'altro." In quel momento Vasja vide per caso Egoru4(10)ska. Gli occhi gli brillarono e gli si fecero ancor pi piccoli. "C' anche un signorino a viaggiare con noi!" disse e si copr il naso con la manica, come se provasse vergogna. "Che carrettiere importante! Resta con noi, viaggerai con il convoglio e trasporterai la lana." Il pensiero della compatibilit in uno stesso corpo di signorino e di carrettiere gli pareva probabilmente molto curioso e arguto, giacch si mise a ridacchiare forte e continu a sviluppare questo pensiero. Anche Eme-4(10)ljan gett un'occhiata in alto verso Egoru4(10)ska, ma di sfuggita e con indifferenza. Era preso dai suoi pensieri e se non fosse stato per Vasja non avrebbe notato la presenza di Egoru-4(10)ska. Non erano passati ancora cinque minuti che di nuovo prese ad agitare il braccio, poi, descrivendo ai suoi compagni di viaggio la bellezza del "Signore, abbi piet" nuziale che di notte gli era tornato alla memoria, si mise la frusta sottobraccio e cominci ad agitare entrambe le mani. A una versta dal villaggio il convoglio si ferm presso un pozzo con la carrucola. Mentre calava il proprio secchio nel pozzo, Kirjucha, quello dalla barba nera, si coric con la pancia sul bordo e ficc nel buco scuro la sua testa pelosa, le spalle e una parte del busto, cos che Egoru4(10)ska poteva vedere le sole gambette corte che toccavano terra a malapena; dopo aver visto lontano sul fondo del pozzo il riflesso della propria testa, se ne rallegr e proruppe in una risata stupida, bassa, e l'eco del pozzo gli rispose con una pari risata; quando si sollev, il suo viso e il collo erano rossi come scarlatto. Per primo a bere accorse Dymov. Beveva ridendo, staccandosi spesso dal secchio e raccontando a Kirjucha qualcosa di ridicolo, poi gli and di traverso dell'acqua e a voce alta, che lo si potesse sentire per tutta la steppa, pronunci circa cinque parole indecenti. Egoru4(10)ska non capiva il significato di simili parole, ma gli era ben noto che erano sconce. Sapeva dell'avversione che i suoi cari e i conoscenti tacitamente provavano per esse; egli stesso, senza sapere perch, condivideva questo sentimento ed era solito pensare che solo gli ubriachi e i violenti godessero del privilegio di pronunciare ad alta voce queste parole. Si ricord dell'uccisione della biscia, ascolt la risata di Dymov e prov per questo individuo qualcosa di simile all'odio. E, come a farlo apposta, in quell'istante Dymov vide Egoru4(10)ska, che era sceso dal carro e andava al pozzo; scoppi in una sonora risata e grid: "Fratelli, di notte il vecchio ha partorito un ragazzino!". Kirjucha ebbe un eccesso di tosse per la risata da basso. Anche qualcun altro scoppi a ridere, mentre Egoru4(10)ska arross e decise definitivamente che Dymov era una persona molto cattiva. Biondo, con la testa ricciuta, senza cappello e la camicia sbottonata sul petto, Dymov appariva bello e straordinariamente forte; in ogni suo movimento si scorgeva il briccone e il forzuto che

conosce il proprio valore. Alzava le spalle, poggiava le mani sui fianchi, parlava e rideva pi forte di tutti e aveva un tale aspetto come se si accingesse a sollevare qualcosa di molto pesante con una mano sola e a stupire con ci tutto il mondo. Il suo sguardo impertinente e beffardo scivolava sulla strada, sul convoglio e sul cielo senza arrestarsi su nulla e pareva che cercasse chi ancora poteva uccidere, non sapendo che altro fare, e di cosa burlarsi. A quanto pare non temeva nessuno, niente lo turbava e, probabilmente, non gli importava per niente l'opinione di Egoru-4(10)ska... Ed Egoru4(10)ska odiava gi con tutta l'anima la sua testa bionda, il viso pulito e la forza; ascoltava con avversione e paura il suo riso e cercava di escogitare quale ingiuria potergli rivolgere per dispetto. Anche Pantelej si avvicin al secchio. Trasse di tasca un bicchierino verde fatto a lumino, lo pul con uno straccetto, con esso attinse dal secchio e bevve, poi attinse nuovamente, avvolse il bicchierino nello straccetto e lo ripose in tasca. "Nonno, perch bevi dal lumino?" si stup Egoru4(10)ska. "C' chi beve dal secchio e chi dal lumino" rispose evasivamente il vecchio. "Ognuno a modo suo... Tu bevi dal secchio, be...' alla salute!" "Colombella, bellezza!" disse all'improvviso Vasja con una voce tenera, piagnucolante. "Colombella!" I suoi occhi erano fissi verso un punto lontano, presero a luccicare, sorridevano, e il viso assunse la stessa espressione che aveva prima quando guardava Egoru4(10)ska. "A chi stai parlando?" chiese Kirjucha. "Una volpe... si coricata sulla schiena e gioca come un cagnolino..." Tutti si misero a guardare lontano e a cercare con gli occhi la piccola volpe, ma non trovarono niente. Soltanto Vasja vedeva qualcosa con i suoi occhietti grigi opachi e ne era rapito. Aveva una vista, come poi si convinse Egoru4(10)ska, straordinariamente acuta. Vedeva cos bene che la desertica steppa bruna era per lui sempre piena di vita e di contenuti. Gli bastava guardare attentamente lontano per vedere una volpe, una lepre, un'ottarda oppure un qualche altro animale che si teneva lontano dalla gente. E' semplice vedere una lepre scappare oppure un'ottarda volare: l'hanno visto tutti coloro che sono passati nella steppa, ma non a tutti dato vedere gli animali selvaggi nella loro vita domestica, quando essi non fuggono, non si nascondono e non guardano preoccupati attorno. Vasja, invece, vedeva le volpi giocare, le lepri che si lavavano con le zampette, le ottarde che si stiravano le ali, i francolini che becchettavano le macchie sulle proprie penne. Grazie alla vista cos acuta, oltre al mondo visibile a tutti, Vasja aveva anche un altro mondo, suo proprio, inaccessibile e, probabilmente, molto buono perch quando guardava e rimaneva incantato era difficile non invidiarlo. Quando il convoglio ripart, in chiesa le campane suonarono la messa. NOTE: (10) Calzature contadine di corteccia di betulla o di tiglio intrecciata. V Il convoglio si dispose discosto dal villaggio sulla riva del fiume. Il sole scottava come il giorno innanzi, l'aria era immobile e mesta. Sulla riva c'erano alcuni salici, ma la loro ombra cadeva non

sulla terra, ma sull'acqua, dove si perdeva inutilmente, mentre nell'ombra sotto i carri si soffocava e si provava fastidio. L'acqua, azzurra per il riflesso del cielo, attirava tremendamente a s. Il carrettiere Stepka, a cui solo ora Egoru4(10)ska rivolse l'attenzione, un ragazzo ucraino di diciotto anni con una camicia lunga senza cintura e ampi pantaloni alla zuava fuori dagli stivali che, quando camminava, sventolavano come bandiere, si spogli velocemente, corse in basso lungo la riva scoscesa e fece un tuffo in acqua. Per circa tre volte si tuff, poi nuot sulla schiena e chiuse gli occhi dal piacere. Il suo viso sorrideva e si raggrinziva, come se sentisse prurito, dolore e desiderio di ridere. Nelle giornate torride, quando non si sa dove ripararsi dalla calura e dall'afa, lo sciabordio dell'acqua e la respirazione sonora di chi nuota agiscono sull'udito come musica gradevole. Dymov e Kirjucha, vedendo Stepka, si svestirono velocemente e, l'uno dopo l'altro, con una risata sonora e pregustando il piacere, si gettarono in acqua. E il tranquillo e timido fiumiciattolo echeggi di sbuffi, sciabordii e grida. Kirjucha tossiva, rideva e gridava come se volessero annegarlo, mentre Dymov lo inseguiva e cercava di afferrarlo per una gamba. "He, he, he!" urlava. "Pescalo, tienilo!" Kirjucha rideva e se la godeva, ma l'espressione del suo viso era la stessa di quando era a terra: stupida, sbalordita, come se qualcuno furtivamente senza farsi notare gli si fosse avvicinato alle spalle e gli avesse appioppato un colpo in testa. AncheEgoru4(10)ska si svest, ma non scese lungo la riva, bens prese la rincorsa e salt da un'altezza di una sagena e mezzo. Descritto in aria un arco, cadde in acqua, si immerse profondamente ma non tocc il fondo; una forza fredda e piacevole al tatto lo afferr e lo riport in superficie. Venne a galla e, sbuffando, facendo le bolle, apr gli occhi; ma sul fiume proprio vicino al suo volto si rifletteva il sole. Prima scintille accecanti, poi arcobaleni e macchie scure gli passavano negli occhi; si affrett a immergersi nuovamente, apr gli occhi sott'acqua e vide qualcosa verde sfuocato, simile al cielo in una notte di luna. Di nuovo quella forza che non gli lasciava toccare il fondo e restare un po' al fresco lo port in alto, egli venne a galla e sospir cos profondamente che sent spazio e fresco non solo nel petto, ma anche nello stomaco. Poi, per trarre dall'acqua tutto ci che si pu trarre, si permise ogni sorta di lusso: stette coricato sulla schiena e poltr, si spruzz, fece capriole, nuot sulla pancia, e di lato, e sulla schiena, e in piedi, come ne ebbe voglia finch non fu stanco. L'altra sponda era coperta da un fitto canneto, risplendeva d'oro al sole, e i fiori delle canne si piegavano in splendidi grappoli verso l'acqua. In un punto il canneto sussultava, piegava i fiori ed emetteva un crepitio: Stepka e Kirjucha stavano "estraendo" i gamberi. "Un gambero! Guardate, fratelli: un gambero!" url solennemente Kirjucha e in effetti mostr un gambero. Egoru4(10)ska nuot verso il canneto, si tuff e cominci a frugare tra le radici delle canne. Cercando nella melma liquida e vischiosa, tast qualcosa di affilato e ripugnante, forse era proprio un gambero, ma in quel momento qualcuno lo acchiapp a una gamba e lo tir in superficie. Inghiottendo acqua e tossendo, Egoru4(10)ska apr gli occhi e vide davanti a s il viso bagnato e beffardo del briccone Dymov. Il briccone respirava affannosamente e, a giudicare dagli occhi, voleva continuare a scherzare. Teneva saldamente Egoru4(10)ska per la gamba e aveva gi alzato l'altra per afferrarlo per il collo, ma Egoru4(10)ska impaurito, provando ribrezzo e temendo che il forzuto lo facesse annegare, si stacc bruscamente e profer: "Stupido! Te le do sul muso!".

Sentendo che questo non bastava a esprimere il suo odio, pens un po' e aggiunse: "Mascalzone! Bastardo!". Ma Dymov, come se niente fosse, non faceva gi pi caso a Egoru4(10)ska, nuotava verso Kirjucha e urlava: "Eh, eh, eh! Mettiamoci a pescare! Ragazzi, peschiamo!". "Perch no?" acconsent Kirjucha. "Ci devono essere molti pesci qui..." "Stepka, corri al villaggio, chiedi ai contadini la rete a strascico!" "Non ce la daranno!" "Ce la daranno! Tu chiedila! Di' che lo facciano per amor di Dio, perch noi siamo come i pellegrini." "E' vero!" Stepka scivol fuori dell'acqua, si vest in fretta e, senza cappello, sventolando i suoi ampi pantaloni, corse al villaggio. Dopo lo scontro con Dymov l'acqua aveva perso per Egoru4(10)ska il suo fascino. Usc e cominci a vestirsi. Pantelej e Vasja erano seduti sulla riva scoscesa con le gambe penzoloni e osservavano i natanti. Eme4(10)ljan, nudo, stava in piedi proprio presso la sponda con l'acqua alle ginocchia, con una mano si teneva aggrappato all'erba per non cadere, e con l'altra si accarezzava il corpo. Con le scapole ossute, l'escrescenza sotto l'occhio, curvo e temendo palesemente l'acqua, risultava ridicolo. Il volto era serio, severo, guardava l'acqua arrabbiato, come se avesse intenzione di rimproverarla per averlo un tempo fatto raffreddare nel Donez e per avergli sottratto la voce. "E tu perch non fai il bagno?" chiese Egoru4(10)ska a Vasja. "Cos... Non mi piace" rispose Vasja. "Perch ti si gonfiato il mento?" "Mi fa male. Io, signorino, lavoravo alla fabbrica di fiammiferi... Il dottore ha detto che proprio per questo mi si gonfia la mascella. L'aria l malsana. Oltre a me, anche ad altri tre si gonfiata la mascella, e a un altro marcita del tutto." Dopo poco Stepka torn con la rete a strascico. Dymov e Kirjucha erano diventati lividi e rauchi per la lunga permanenza in acqua, ma si misero a pescare con slancio. Inizialmente andarono in un luogo profondo lungo il canneto; qui l'acqua arrivava a Dymov al collo, e al basso Kirjucha alla testa; quest'ultimo inghiottiva acqua e faceva le bolle, mentre Dymov, urtando nelle radici spinose, cadeva e si imbrogliava nella rete, entrambi sguazzavano e facevano chiasso, e la loro pesca si riduceva a una birichinata. "E' profondo" rantolava Kirjucha. "Non si prende niente!" "Non tirare, diavolo!" urlava Dymov tentando di far assumere alla rete la posizione adatta. "Tienila con le mani!" "L non prendete niente!" url loro dalla riva Pantelej. "Non fate altro che spaventare i pesci, stupidi! Spostatevi a sinistra! L meno profondo!" Una volta sulla rete guizz un grosso pesce; tutti esclamarono, Dymov colp con il pugno il posto dove era scomparso, e il suo volto espresse disappunto. "Eh!" url Pantelej e pest i piedi. "Vi siete fatti scappare un pesce persico! Se n' andato!" Spostatisi a sinistra, Dymov e Kirjucha poco alla volta cominciarono a gettare la rete dove era poco profondo, e qui cominci la vera pesca. Si erano spostati di circa trecento passi dai carri; si vedeva che, in silenzio e muovendo appena le gambe, tentando di spostarsi pi in profondit possibile e pi vicino al canneto, trascinavano la rete, e che, per spaventare i pesci e spingerli verso di s nella rete, picchiavano con i pugni sull'acqua e frusciavano nel canneto. Dal canneto si diressero verso l'altra riva,

trascinarono qui la rete, poi, con aria delusa, sollevando alte le ginocchia, tornarono al canneto. Parlavano di qualcosa, ma di che cosa non si sentiva. E il sole scottava loro la schiena, le mosche erano fastidiose e i loro corpi da viola si erano fatti purpurei. Dietro di loro, con il secchio, rimboccata la camicia sino alle ascelle e tenendone un lembo con i denti, camminava Stepka. Dopo ogni pesca riuscita, sollevava in alto qualche pesce e, facendolo luccicare al sole, gridava: "Guardate che persico! Come questo ce ne sono gi cinque!". Si vedeva che, tirata la rete, Dymov, Kirjucha e Stepka ogni volta vi frugavano dentro a lungo, deponevano qualcosa nel secchio, qualcos'altro lo buttavano; di tanto in tanto si passavano di mano in mano qualcosa che era capitato nella rete; lo esaminavano con curiosit, poi lo buttavano... "Che cos'?" urlavano loro dalla sponda. Stepka rispondeva qualcosa, ma era difficile afferrare le sue parole. Eccolo uscire dall'acqua e, tenendo il secchio con entrambe le mani, dimenticando di lasciare andare la camicia, correre verso i carri. "E' gi pieno!" url, respirando a fatica. "Datemene un altro!" Egoru4(10)ska gett uno sguardo nel secchio: era pieno; dall'acqua sporgeva il brutto muso di un giovane luccio, e attorno a esso formicolavano i gamberi e dei piccoli pescetti. Egoru4(10)ska cacci la mano sul fondo e scosse l'acqua; il luccio scomparve sotto i gamberi e al suo posto vennero a galla un pesce persico e una tinca. Anche Vasja si mise a guardare nel secchio. I suoi occhi luccicarono e il viso si fece tenero come prima quando guardava la volpe. Trasse qualcosa dal secchio, lo port alla bocca e cominci a masticare. Si sent sgranocchiare. "Fratelli," si meravigli Stepka "Vaska mangia un ghiozzo vivo! Tfu!" "Non un ghiozzo, ma un gobbio" rispose tranquillamente Vasja, continuando a masticare. Trasse di bocca una codina di pesce, la guard con tenerezza e se la rimise in bocca. Mentre masticava e sgranocchiava con i denti, Egoru4(10)ska aveva l'impressione di vedere davanti a s non un essere umano. Il mento gonfio di Vasja, gli occhi appannati, la vista straordinariamente acuta, la coda di pesce in bocca e la tenerezza con cui masticava il ghiozzo lo rendevano simile a un animale. Egoru4(10)ska si stanc di stargli vicino. E poi la pesca era gi finita. Pass vicino ai carri, pens un poco e dalla noia si diresse a passo lento al villaggio. Dopo poco era gi in chiesa e, poggiata la fronte sulla schiena di qualcuno che odorava di canapa, ascoltava il coro cantare. La messa volgeva gi al termine. Egoru4(10)ska non capiva niente dei canti da chiesa e ne era indifferente. Ascolt un poco, sbadigli e si mise a esaminare le nuche e le schiene. Da una nuca rossa e bagnata per il recente bagno riconobbe Eme-4(10)ljan. I capelli sulla nuca erano tagliati a scodella e pi in alto di quanto usasse; anche sulle tempie i capelli erano tagliati pi in alto del dovuto, e le orecchie rosse di Eme-4(10)ljan spuntavano come due lappole e pareva che non si sentissero al proprio posto. Guardando la nuca e le orecchie, Egoru4(10)ska chiss perch pens che Eme4(10)ljan fosse probabilmente molto infelice. Ricord il suo dirigere, la voce rauca, l'aspetto pauroso durante il bagno e prov nei suoi confronti una forte pena. Gli venne voglia di dirgli qualcosa di affettuoso. "Sono qui!" disse, tirandolo per la manica. Le persone che nei cori cantano da tenore o da basso, specialmente coloro ai quali almeno una volta in vita loro capitato di dirigere, sono solite guardare i ragazzi severamente e in modo poco socievole.

Questa abitudine non la lasciano neanche dopo, quando cessano di cantare. Voltatosi verso Egoru4(10)ska, Eme4(10)ljan lo guard di traverso e disse: "Non fare chiasso in chiesa!". Poi Egoru4(10)ska si spinse oltre, pi vicino all'iconostasi. Qui vide delle persone interessanti. Davanti a tutti, sul lato destro, sul tappeto, stavano un signore e una signora. Dietro ciascuno di loro c'era una sedia. Il signore indossava un completo di tussor stirato, stava in piedi immobile come un soldato sull'attenti e teneva in alto il suo mento azzurro rasato. Nel suo colletto diritto, nell'azzurro del mento, nella piccola calvizie e nel bastone si avvertiva moltissima dignit. Per eccesso di dignit il suo collo era teso e il mento era alzato con tale forza che sembrava che la testa fosse pronta ogni minuto a staccarsi e volare in alto. La signora, invece, robusta e anziana, avvolta in un bianco scialle di seta, teneva la testa piegata di lato e pareva che avesse appena fatto un favore a qualcuno e volesse dire: "Ah, non datevi la pena di ringraziarmi! Non mi piacciono queste cose...". Attorno al tappeto, come un muro compatto, stavano gli ucraini. Egoru4(10)ska si accost all'iconostasi e cominci a baciare le icone del luogo. Davanti a ogni immagine, senza fretta, si inchinava fino a terra, guardava indietro la gente senza alzarsi, poi si alzava e baciava l'icona. Il contatto della fronte con il pavimento freddo gli dava un estremo piacere. Quando dalla zona dell'altare usc il custode con delle lunghe pinze per spegnere le candele, Egoru4(10)ska salt in piedi veloce e gli si avvicin di corsa. "Hanno gi distribuito l'ostia?" chiese. "Non ce n', non ce n'..." borbott cupo il custode. "Qui non c' pi nulla..." La messa era finita. Egoru4(10)ska senza fretta usc dalla chiesa e vag per la piazza. In vita sua aveva visto non pochi villaggi, piazze e contadini, e tutto ci che gli capitava ora sotto gli occhi non lo interessava affatto. Non sapendo che cosa fare, per passare in qualche modo il tempo entr in una bottega, sulla porta della quale c'era un'ampia fascia di tela rossa. La bottega era composta da due met spaziose e male illuminate: in una si vendevano stoffe e spezie, nell'altra c'erano delle botti di catrame e al soffitto pendevano dei gioghi; da questa, la seconda, si spandeva un odore squisito di cuoio e di catrame. Il pavimento della bottega era bagnato; lo innaffiava, probabilmente, un fantasticatore e un libero pensatore, perch era tutto coperto di decorazioni e di simboli cabalistici. Dietro al bancone, appoggiato con la pancia alla scrivania, stava un bottegaio ben pasciuto con il viso largo e la barba rotonda, a quanto pareva un russo. Beveva il t con una zolletta di zucchero tra i denti e dopo ogni sorso emetteva un profondo sospiro. Il volto esprimeva un'assoluta indifferenza, ma in ogni sospiro si sentiva: "Aspetta un po' che te la do io!". "Dammi un copeco di semi di girasole!" gli si rivolse Egoru4(10)ska. Il bottegaio alz le sopracciglia, usc da dietro il bancone e mise in tasca a Egoru4(10)ska un copeco di semi di girasole; come misurino aveva usato un vasetto di pomata vuoto. Egoru4(10)ska non aveva voglia di andarsene. Osserv a lungo le cassette di panpepato, riflett e chiese, indicando i minuti panpepati di Via4(10)zma sui quali si era formata la muffa per la vecchiezza: "Quanto vengono quei panpepati?". "Un copeco al paio." Egoru4(10)ska trasse di tasca il panpepato regalatogli il giorno prima dall'ebrea e chiese: "E panpepati come questo a quanto li vendi?". Il bottegaio prese in mano il panpepato, lo esamin da tutte le

parti e alz un sopracciglio. "Come questo?" chiese. Poi alz l'altro sopracciglio, pens e rispose: "Tre copechi al paio...". Si fece silenzio. "Di chi siete figlio?" chiese il bottegaio versandosi del t dalla teiera di rame rosso. "Sono il nipote di Ivan Ivany4(10)c." "Esistono diversi Ivan Ivany4(10)c" sospir il bottegaio; guard la porta al di sopra della testa di Egoru4(10)ska, stette un attimo in silenzio e chiese: "Non desiderate una tazza di t?". "Grazie!" acconsent Egoru4(10)ska con una certa esitazione, sebbene sentisse molto la mancanza del t mattutino. Il bottegaio riemp un bicchiere e glielo serv con un pezzetto di zucchero rosicchiato. Egoru4(10)ska si sedette su un seggiolino pieghevole e cominci a bere. Voleva ancora chiedere quanto costasse una libbra di mandorle zuccherate, e aveva appena introdotto il discorso che entr un acquirente e il padrone, messo da parte il proprio bicchiere, si mise al lavoro. Condusse l'acquirente in quella met che odorava di catrame e parl a lungo con lui di qualcosa. L'acquirente, persona all'apparenza molto caparbia e sorniona, in segno di disaccordo continu tutto il tempo a scuotere la testa e a indietreggiare verso la porta. Il bottegaio lo convinse di qualcosa e cominci a versargli dell'avena in un grosso sacco. "Questa sarebbe avena?" chiese tristemente l'acquirente. "Questa non avena, ma pula, farebbe ridere i polli... No, vado da Bondarenko!" (11) Quando Egoru4(11)ska torn al fiume, sulla riva fumava un piccolo fal. Erano i carrettieri che si preparavano il pranzo. Stepka stava in piedi in mezzo al fumo e con un grande cucchiaio intaccato rimescolava in una marmitta. Leggermente in disparte, con gli occhi rossi dal fumo, stavano seduti Kirjucha e Vasja e pulivano il pesce. Davanti a loro era stesa la rete coperta di melma e alghe sulla quale scintillavano i pesci e strisciavano i gamberi. Eme4(11)ljan, tornato da poco dalla chiesa, era seduto accanto a Pantelej, agitava il braccio e con voce roca appena udibile canticchiava: "A te cantiamo...". Dymov gironzolava attorno ai cavalli. Terminato di pulirli, Kirjucha e Vasja raccolsero i pesci e i gamberi vivi nel secchio, li sciacquarono e dal secchio vuotarono il tutto nell'acqua bollente. "Devo metterci il lardo?" chiese Stepka nel togliere la schiuma con il cucchiaio. "Perch? Il pesce lascia il suo succo" rispose Kirjucha. Prima di togliere la marmitta dal fuoco, Stepka gett nell'acqua tre manciate di miglio e una cucchiaiata di sale; per concludere assaggi, schiocc le labbra, lecc il cucchiaio e grugn con aria soddisfatta: questo significava che la zuppa era pronta. Tutti, eccetto Pantelej, si sedettero attorno alla marmitta e si misero a lavorare di cucchiaio. "Voi! Date un cucchiaio al ragazzo!" not severamente Pantelej. "Anche lui vorr mangiare!" "Il nostro cibo da contadini!..." sospir Kirjucha. "E anche quello contadino fa bene, se ne ha voglia." Diedero un cucchiaio a Egoru4(11)ska. Egli cominci a mangiare, ma senza sedersi, in piedi presso la marmitta e guardando in essa come in una fossa. La zuppa odorava di pesce crudo e tra il miglio capitava spesso una scaglia di pesce; era impossibile raccogliere i gamberi con il cucchiaio e i commensali li traevano dalla marmitta direttamente con le mani; da questo punto di vista meno di tutti si

vergognava Vasja, che intingeva nella zuppa non solo le mani, ma anche le maniche. Nonostante tutto, la zuppa pareva aEgoru4(11)ska molto saporita e gli ricordava la zuppa di gamberi che preparava la sua mammina nei giorni di quaresima. Pantelej stava seduto in disparte e masticava del pane. "Nonno, e tu perch non mangi?" gli chiese Eme4(11)ljan. "Io non mangio i gamberi... Per carit!" disse il vecchio e si volt disgustato. Mentre mangiavano, discorrevano tra di loro. Da questi discorsi Egoru-4(11)ska cap che tutti i suoi nuovi conoscenti, malgrado la differenza di et e di carattere, avevano una cosa in comune che li rendeva simili: erano tutte persone dal passato fantastico e dal presente assai brutto; del passato tutti quanti senza eccezione parlavano con entusiasmo, al presente facevano riferimento quasi con disprezzo. All'uomo russo piace ricordare ma non piace vivere; Egoru4(11)ska non lo sapeva ancora e, prima che la zuppa fosse consumata, credeva gi fermamente che attorno alla marmitta fossero sedute persone che il destino aveva offeso e umiliato. Pantelej raccontava che in passato, quando non esisteva ancora la ferrovia, si recava a Mosca e a Ni4(11)znij con i carri e guadagnava cos tanto che non sapeva dove mettere i soldi. E che mercanti c'erano a quei tempi, che pesce, come era tutto a buon mercato! Ora, invece, i tragitti erano diventati pi corti, i mercanti pi avari, la gente pi povera, il pane pi caro, tutto diventava molto pi piccolo e pi stretto. Eme4(11)ljan diceva che prima aveva lavorato nel coro della fabbrica di Luganskij, possedeva una voce eccellente e leggeva le note alla perfezione; ora invece era diventato un contadino e viveva della carit del fratello, che lo mandava con i suoi cavalli e teneva per s la met del guadagno. Vasja un tempo aveva lavorato in una fabbrica di fiammiferi; Kirjucha era stato cocchiere presso brave persone e in tutto il circondario era ritenuto il migliore conducente di trojka. Dymov, figlio di un contadino benestante, se la godeva, faceva baldoria e non sapeva cosa fossero le preoccupazioni, ma appena compiuti vent'anni il padre severo, rigido, desiderando abituarlo al lavoro e temendo che a casa diventasse viziato, lo mand a lavorare come vetturale, come un povero diavolo senza famiglia n terra. Solo Stepka taceva, ma dal suo viso imberbe si capiva che un tempo viveva molto meglio di adesso. Ricordatosi il padre, Dymov smise di mangiare e si accigli. Guard di traverso i compagni e ferm lo sguardo su Egoru4(11)ska. "Tu, miscredente, togliti il cappello!" disse in tono rude. "Si pu forse mangiare con il cappello in testa? E per lo pi un signore!" Egoru4(11)ska si tolse il cappello e non profer parola, ma ormai non sentiva pi il gusto della zuppa e non sentiva che Pantelej e Vasja avevano preso le sue difese. Nel suo petto si rivoltava l'astio per il briccone e decise di fargli qualche cattiveria a qualsiasi costo. Dopo pranzo tutti si trascinarono verso i carri e si distesero all'ombra. "Nonno, partiamo presto?" chieseEgoru4(11)ska a Pantelej. "Partiremo quando Dio vorr... Ora non si pu, fa molto caldo... Oh, sia fatta la volont del Signore, Madre di Dio... Coricati, ragazzo!" Ben presto da sotto i carri si sent russare. Egoru4(11)ska avrebbe voluto tornare di nuovo al villaggio, ma riflett un poco, sbadigli e si coric di fianco al vecchio. NOTE: (11) Nel testo in ucraino.

VI Il convoglio sost tutto il giorno vicino al fiume e part quando il sole stava tramontando. Egoru4(11)ska stava di nuovo coricato su una balla, il carro cigolava debolmente e dondolava, in basso camminava Pantelej, pestava i piedi, si batteva sulle anche e borbottava; nell'aria, come il giorno innanzi, crepitava la musica della steppa. Egoru4(11)ska era coricato sulla schiena e, messe le braccia sotto la testa, guardava in alto verso il cielo. Vide infiammarsi il crepuscolo, lo vide poi spegnersi; gli angeli custodi, coprendo l'orizzonte con le loro ali d'oro, si preparavano a dormire; la giornata era passata felicemente, era cominciata una notte silenziosa, felice, ed essi potevano tranquillamente starsene a casa su in cielo... Egoru4(11)ska vedeva il cielo oscurarsi poco per volta e le tenebre calare sulla terra, le stelle accendersi una dopo l'altra. Quando si guarda il cielo profondo a lungo, senza staccare gli occhi, i pensieri e l'anima chiss perch si fondono nella consapevolezza della solitudine. Ci si comincia a sentire irrimediabilmente soli, e tutto ci che prima si riteneva vicino e caro diviene infinitamente remoto e privo di valore. Le stelle, che gi da mille anni guardano dal cielo, lo stesso incomprensibile cielo e l'oscurit, indifferenti alla breve vita dell'uomo, quando si resta con loro a quattr'occhi e ci si sforza di coglierne il senso, opprimono l'anima con il loro silenzio; viene da pensare a quella solitudine che attende ognuno di noi nella tomba, e l'essenza della vita appare disperata, terribile... Egoru4(11)ska pensava alla nonna che ora dormiva nel cimitero sotto i ciliegi; la ricord quando giaceva nella bara con le monete di rame da cinque copechi sugli occhi, quando poi la coprirono con il coperchio e la calarono nella tomba; si ramment anche del bussare sordo delle zolle di terra sul coperchio... Si immagin la nonna nella bara stretta e buia, abbandonata da tutti e impotente. La sua immaginazione raffigur la nonna che, svegliatasi improvvisamente, non capendo dove si trovasse, bussava contro il coperchio, chiamava aiuto e da ultimo, sfinita dall'orrore, moriva nuovamente. Si immagin morti la mamma, poi padre Christofor, la contessa Dranizkaja, Solomon. Ma per quanto tentasse di immaginare se stesso nella bara buia, lontano da casa, abbandonato, impotente e morto, non ci riusciva; personalmente non ammetteva la possibilit di morire e sentiva che non sarebbe mai morto... Intanto, Pantelej, per il quale era gi sopraggiunta l'ora di morire, camminava in basso e faceva l'appello dei suoi pensieri. "Non c' che dire... bravi signori..." borbottava. "Hanno mandato il figliolo a studiare, ma come lui stia l, non se ne sa niente... A Slavjanoserbsk, dico, non c' una scuola che possa dare una grande istruzione... Non c', vero... E il ragazzo bravo, non c' che dire... Crescer, aiuter il padre. Tu, Egoru4(11)ska, adesso sei piccolo, ma diventerai grande, manterrai tuo padre e tua madre. Cos ha deciso Dio... Onora tuo padre e tua madre... Io stesso avevo dei bambini, ma sono morti in un incendio... E anche mia moglie morta nell'incendio, e i bambini... E' vero, la notte dell'Epifania ha preso fuoco l'isba... Io non ero a casa, ero andato a Orel. A Orel... Ma4(11)rja si precipit in strada, ma si ricord che i bambini stavano dormendo nell'isba, corse indietro e bruci assieme ai bambini... S... Il giorno dopo trovarono solo le ossa." Verso mezzanotte i carrettieri ed Egoru4(11)ska sedevano nuovamente attorno a un piccolo fal. Mentre l'erbaccia prendeva fuoco, Kirjucha e Vasja andarono a prendere l'acqua in un piccolo burrone;

scomparvero nelle tenebre, ma si continuava a sentire i secchi tintinnare e il loro chiacchierio; quindi il burrone era vicino. La luce del fal gettava sulla terra una grande macchia tremolante; sebbene splendesse la luna, al di l della macchia rossa tutto sembrava impenetrabilmente nero. La luce colpiva i carrettieri negli occhi ed essi vedevano solo una parte della grande strada; nell'oscurit i carri con le balle e i cavalli si notavano appena, come montagne dalla forma indefinita. A venti passi dal fal, sul limitare della strada con il campo, c'era una croce tombale di legno, piegata da un lato. Egoru-4(11)ska, quando non era ancora acceso il fal e si poteva vedere lontano, aveva notato che c'era una croce altrettanto vecchia e storta dall'altra parte della grande strada. Tornati con l'acqua, Kirjucha e Vasja riempirono la marmitta e la fissarono sopra il fuoco. Stepka, con il cucchiaio intaccato in mano, occup il suo posto nel fumo vicino alla marmitta e, guardando pensieroso l'acqua, si mise ad attendere la comparsa della schiuma. Pantelej ed Eme4(11)ljan erano seduti fianco a fianco, tacevano e pensavano chiss a che cosa. Dymov stava coricato sulla pancia, con la testa appoggiata sui pugni e guardava il fuoco; l'ombra di Stepka saltellava su di lui, perci il suo bel viso ora era coperto dalle tenebre, ora d'un tratto divampava... Kirjucha e Vasja vagavano a una certa distanza e raccoglievano erbaccia e legna di olmo per il fal. Egoru4(11)ska, ficcate le mani in tasca, stava in piedi vicino a Pantelej e guardava il fuoco divorare l'erba. Tutti riposavano, pensavano chiss a che cosa, guardavano di sfuggita la croce sulla quale saltellavano le macchie rosse. C' qualcosa di triste, di fantastico e di altamente poetico in una tomba solitaria... Si sente che essa tace, e in questo silenzio si avverte la presenza dell'anima dello sconosciuto che giace sotto la croce. Si trova bene quest'anima nella steppa? Non sente malinconia nelle notti di luna? E la steppa attorno alla tomba pare triste, malinconica e pensierosa, l'erba accorata e pare che i grilli stridano in modo pi dimesso... E non c' un solo passante che non rivolga il pensiero a quell'anima solitaria e non si volti a guardare la tomba finch essa non resta indietro lontano e non avvolta dal buio... "Nonno, perch c' quella croce?" chiese Egoru4(11)ska. Pantelej guard la croce, poi Dymov e chiese: "Mikola, non forse quello il posto dove i mietitori uccisero i mercanti?". Dymov si alz malvolentieri sul gomito, guard la strada e rispose: "E' proprio quello...". Si fece silenzio. Kirjucha fece scricchiolare l'erba secca, la compresse in una palla e la ficc sotto la marmitta. Il fuoco divamp pi vivido; Stepka fu avvolto dal fumo nero, e nelle tenebre l'ombra della croce corse lungo la strada, vicino ai carri. "S, li hanno uccisi..." disse malvolentieri Dymov. "I mercanti, padre e figlio, stavano andando a vendere delle icone. Si fermarono non lontano da qui alla locanda postale che ora tenuta da Ignat Fomin. Il vecchio bevve pi del necessario e cominci a vantarsi di aver con s molto denaro... Non si trattenne dal mostrarsi al prossimo nel modo migliore. In quel periodo alla locanda pernottavano dei mietitori. Be', sentirono il mercante vantarsi e lo tennero a mente." "Oh, Signore... oh, Madre di Dio!" sospir Pantelej. "Il giorno dopo, appena fatto giorno," prosegu Dymov "i mercanti si prepararono a partire e i mietitori si unirono a loro. "Andiamo insieme, signoria. E' pi allegro e meno pericoloso, perch qui il luogo remoto..." I mercanti, per non ammaccare le icone, andavano al passo, cosa questa che tornava comoda ai mietitori..." Dymov si alz sulle ginocchia e si stir. "S" prosegu sbadigliando. "All'inizio non accadde nulla, ma

appena i mercanti giunsero in questo posto, i mietitori si gettarono a sventrarli con le falci. Il figlio, un ragazzo in gamba, sottrasse a uno la falce e prese anch'egli a colpire... Be', ovviamente, questi ebbero il sopravvento, perch erano in otto. Fecero i mercanti in tali pezzi da non lasciare sui loro corpi un pezzo intatto; finirono di fare ci che dovevano e trascinarono entrambi via dalla strada, uno da una parte, il figlio dall'altra. Di fronte a questa croce da quella parte ce n' un'altra... Se sia intatta, non lo so... Da qui non si vede." "E' intatta" disse Kirjucha. "Si dice che poi di soldi ne abbiano trovati pochi." "S, pochi" conferm Pantelej. "Trovarono un centinaio di rubli." "S, e poi tre di loro morirono, perch anche il mercante li aveva conciati bene con la falce... Morirono dissanguati. A uno il mercante mozz la mano e questo, dicono, corse per quasi quattro verste senza mano e lo trovarono nei pressi di Kurikov su un monticello. Era accovacciato, aveva appoggiato la testa sulle ginocchia come se stesse pensando, ma guardarono: in lui non c'era pi l'anima, era morto..." "L'avevano trovato seguendo le tracce di sangue..." disse Pantelej. Tutti guardarono la croce e di nuovo cadde il silenzio. Da qualche parte, probabilmente dal burrone, giungeva il grido triste di un uccello: "Splju! splju! splju!...". "Al mondo c' tanta gente cattiva" disse Eme4(11)ljan. "Tanta, tanta!" conferm Pantelej e si avvicin ulteriormente al fuoco con un'espressione tale come se provasse terrore. "Tanta" continu a bassa voce. "Ne ho vista in gran quantit in vita mia... Di gente cattiva... Di santi e di giusti ne ho visti tantissimi, ma anche i peccatori non si contano... Salvaci e facci la grazia, Regina dei Cieli... Mi ricordo una volta, una trentina di anni fa, o forse di pi, sono partito con un mercante di Mor4(11)sansk. Il mercante era bravo, di bella presenza e aveva con s molti soldi... un mercante... Brava persona, non c' che dire... Ecco, dunque, viaggiavamo e ci fermammo a pernottare alla stazione di posta. Ma in Russia le stazioni di posta non sono come quelle di queste parti. L i cortili sono coperti come gli stabbi, oppure, diciamo, come i granai delle buone aziende. Solo che i granai sono pi alti. Be', ci fermammo e qui niente di male. Il mio mercante in una stanza, io con i cavalli, e tutto come deve essere. E cos, fratelli, pregai Dio prima di dormire e feci una passeggiata per il cortile. La notte era buia, non si vedeva niente, come se non si guardasse. Feci quattro passi, pi o meno fino ai carri, e vedo: c' una lucina. Che storia questa? Sembrava che anche i padroni di casa fossero da tempo andati a dormire, e oltre a me e al mercante non c'erano altri ospiti... Da dove poteva venire la luce? Fui preso da un dubbio. Mi avvicinai... alla luce... Signore, facci la grazia e salvaci, Regina dei Cieli! Guardo, e proprio a terra c' una finestrella con la grata... nella casa... Mi distesi per terra e guardai; appena ebbi guardato, sentii i brividi in tutto il corpo..." Kirjucha, cercando di non far rumore, ficc nel fal un fascio di erbaccia. Atteso che l'erbaccia smettesse di crepitare e di sfrigolare, il vecchio prosegu. "Guardai e l c'era uno scantinato, grande, buio e lugubre... Su una botte acceso un lanternino. In mezzo allo scantinato ci sono una decina di persone in camicia rossa, si sono rimboccati le maniche e arrotano dei lunghi coltelli... Ehe! Siamo capitati in mezzo a una banda, dai banditi... Che fare? Corsi dal mercante, lo svegliai pian pianino e gli dissi: "Tu, mercante, non spaventarti, ma le cose si mettono male... siamo finiti in un covo di banditi". Mut espressione e chiese: "Pantelej, che cosa facciamo adesso? Ho con me molto denaro

per gli orfani... Per quanto riguarda la mia anima, sia fatta la volont di Dio, non ho paura di morire, ma terribile perdere i soldi per gli orfani...". Che cosa si pu fare? Il portone chiuso, non si pu uscire n col carro n a piedi... Se ci fosse stato un recinto, lo si sarebbe potuto scavalcare, ma il cortile qui coperto!... "Be'," dico "mercante, non avere paura e prega Dio. Forse Dio non vorr offendere gli orfani. Resta qui," dico "e fa' finta di niente, e io nel frattempo forse invento qualcosa..." Dunque... Rivolsi a Dio una preghiera, e Dio mi indic cosa fare... Salii sul tarantas e pian pianino... pian pianino, che nessuno sentisse, cominciai a strappare la paglia dal tetto, feci un buco e scivolai fuori. Fuori... Poi saltai dal tetto e corsi per la strada finch ebbi fiato. Corsi, corsi, corsi sino a non poterne pi... Corsi forse per cinque verste tutto d'un fiato, o forse anche di pi... Grazie a Dio, guardo: c' un villaggio. Corsi a un'isba, cominciai a bussare alla finestra. "Ortodossi" dico "non lasciate che uccidano un cristiano..." Svegliai tutti... I contadini si riunirono e mi seguirono... Chi con una fune, chi con il bastone, chi con il forcone... Abbattemmo il portone della stazione e subito corremmo nello scantinato... I banditi avevano gi arrotato i coltelli ed erano gi pronti a sgozzare il mercante. I contadini presero tutti quelli che c'erano, li legarono e li consegnarono alle autorit. Il mercante per la gioia don loro tre biglietti da cento rubli, a me dette cinque monete d'oro e si scrisse il mio nome nel libretto della commemorazione. Raccontano che poi nello scantinato abbiano trovato molte ossa umane. Proprio ossa... Quindi, derubavano la gente e poi la sotterravano perch non restassero tracce... Be', poi a Mor4(11)sansk furono puniti dai carnefici." Pantelej termin il racconto e guard i suoi ascoltatori. Quelli tacevano e lo guardavano. L'acqua stava gi bollendo e Stepka toglieva la schiuma. "E' pronto il lardo?" gli chiese sottovoce Kirjucha. "Aspetta un attimo... Ora." Stepka, senza togliere gli occhi da Pantelej e come temendo che questo cominciasse a raccontare senza di lui, corse ai carri; torn presto con una piccola tazza di legno e prese a sciogliervi il lardo. "Un'altra volta ancora viaggiavo sempre con un mercante..." continu Pantelej, come prima a bassa voce e senza batter ciglio. "Si chiamava, come ricordo ancora oggi, Petr Grigo4(11)ri4(11)c. Era una brava persona, quel mercante... Ci fermammo nello stesso modo in una stazione di posta... Lui in una cameretta, io con i cavalli... I padroni, marito e moglie, sembravano brave persone, affabili, anche i garzoni non erano proprio male, ma io, fratelli, non riuscivo a dormire, il cuore presentiva qualcosa! Presentiva, e basta. Eppure il portone aperto, e c' molta gente attorno, ma tutto fa paura, ha un'aria strana. Tutti si sono addormentati da tempo, gi notte fonda, presto ci si deve svegliare, e io solo sto coricato nella mia kibitka (12) e non chiudo occhio come un barbagianni. All'improvviso, fratelli, sento: tup! tup! tup! Qualcuno si avvicina di soppiatto alla kibitka. Sporgo la testa, guardo: c' una donna con indosso solo la camicia, a piedi nudi... "Che cosa vuoi" dico, "donna?" Ed ella trema tutta, pallida come uno straccio... "Alzati," dice "buon uomo! E' una sciagura... I padroni hanno brutte intenzioni... Vogliono far fuori il tuo mercante. Io stessa ho sentito parlottare tra loro il padrone e la padrona..." Be', il cuore non faceva male invano! ""E tu chi sei?" chiedo. "Io sono la loro cuoca..." Bene... Scivolai fuori dalla kibitka e andai dal mercante. Lo sveglio e dico: "Cos e cos, Petr Grigo4(12)ri4(12)c, la faccenda non del tutto chiara... Avrai tempo, messere, per dormire come si deve, ma adesso,

finch c' tempo, vestiti," dico "e andiamocene per benino pi lontano possibile dal peccato...". Aveva appena cominciato a vestirsi che la porta si apr, e salve!... guardo: Madre Regina! Entrano nella cameretta il padrone e la padrona e tre garzoni! Quindi, avevano istigato anche i garzoni... Di denaro il mercante ne ha tanto, cos ce lo dividiamo... Tutti e cinque hanno in mano un lungo coltello... Un coltello ciascuno... Il padrone chiude la porta a chiave e dice: "Pregate Dio, viaggiatori... E, se vi mettete a urlare, non vi lasceremo neanche pregare prima di morire...". "Ma come urlare? Dal terrore la gola si era paralizzata, c'era poco da gridare... Il mercante scoppi a piangere e disse: "Ortodossi! Voi avete deciso di uccidermi perch vi siete fatti tentare dai miei soldi. Cos sia, non sono n il primo n l'ultimo; molti dei nostri fratelli mercanti sono stati sgozzati nelle stazioni di posta. Ma perch mai, fratelli ortodossi, uccidere il mio vetturale? Che bisogno ha lui di patire per i miei soldi?". E lo dice in modo cos commovente! E il padrone gli risponde: "Se lo lasciamo vivo, sar il primo a testimoniare contro di noi. Ammazzarne uno o due fa lo stesso. Sette guai, una punizione sola. Pregate Dio, ecco tutto, e niente chiacchiere!". Ci mettemmo vicini in ginocchio a pregare, scoppiammo a piangere, e di a pregare. Lui ricorda i suoi bambini, io a quel tempo ero ancora giovane, volevo vivere... Guardiamo le icone, preghiamo con una tale pena che ancora adesso mi vengono le lacrime agli occhi... E la padrona, la donna, ci guarda e dice: "Ma voi, brava gente, non serbateci rancore all'altro mondo e non pregate Dio a nostra disgrazia, perch noi questo lo facciamo per bisogno". "Pregammo, pregammo, piangemmo, piangemmo, e Dio ci sent. Ebbe piet... Proprio quando il padrone afferr il mercante per la barba per infilargli il coltello nel collo, all'improvviso qualcuno bussa cos forte alla finestra dal cortile! Ci accasciammo tutti, e il padrone abbass le braccia... Qualcuno bussava alla finestra e urlava: "Petr Grigo4(12)ri4(12)c, sei qui? Preparati, partiamo!". I padroni vedono che sono venuti a prendere il mercante, si spaventano e corrono via a gambe levate... E noi di corsa in cortile, attaccammo i cavalli e chi s' visto s' visto..." "Chi aveva bussato alla finestra?" chiese Dymov. "Alla finestra? Deve essere stato un santo o un angelo. Perch non poteva esser nessun altro... Quando uscimmo dal cortile, in strada non c'era nessuno... Un intervento di Dio!" Pantelej raccont ancora qualcosa, e in tutti i suoi racconti avevano ugualmente importanza i "lunghi coltelli" e ugualmente si sentiva l'invenzione. Aveva sentito questi racconti da qualcun altro oppure se li era inventati lui stesso in un lontano passato e poi, quando la memoria si era indebolita, aveva confuso i fatti vissuti con l'invenzione e non era pi stato capace di distinguerli l'uno dall'altro? Tutto possibile, ma una cosa era strana, che ora e durante tutto il viaggio, quando gli capitava di raccontare, egli dava chiara preferenza all'invenzione, non parlava mai di ci che era successo. Ora Egoru4(12)ska prendeva tutto per vero e credeva a ogni parola, ma in seguito gli parve strano che un uomo che in vita sua aveva attraversato tutta la Russia, che aveva visto e conosciuto cos tanto, al quale erano morti carbonizzati moglie e figli, sottovalutasse la sua ricca vita a tal punto che ogni volta, seduto presso il fal, o taceva o raccontava ci che non era successo. Mentre mangiavano la zuppa, tutti tacevano e pensavano a ci che avevano appena ascoltato. La vita terribile e meravigliosa, e per terribile che sia qualsiasi racconto che si possa raccontare in Russia, per quanto lo si possa abbellire con covi di banditi, lunghi coltelli e prodigi, esso sar accolto nell'anima dell'ascoltatore come una storia vera, e forse solo una persona molto versata in

letteratura guarder di sbieco, ma anche questa star zitta. La croce presso la strada, le balle scure di lana, lo spazio aperto e il destino delle persone riunite attorno al fal, tutto ci era di per s cos meraviglioso e terribile che il carattere fantasioso di una menzogna oppure di una fiaba impallidiva e si fondeva con la vita. Tutti mangiavano dalla marmitta, mentre Pantelej sedeva in disparte, da solo, e mangiava la zuppa da una ciotola di legno. Il suo cucchiaio non era come quello di tutti gli altri, ma di cipresso e con una piccola croce. Egoru4(12)ska, guardandolo, si ricord del bicchierino fatto a lumino e chiese a bassa voce a Stepka: "Perch il nonno sta seduto in disparte?". "E' un vecchio credente" risposero sottovoce Stepka e Vasja, e nel dirlo assunsero un'espressione come se stessero parlando di una debolezza oppure di un vizio segreto. Tutti tacevano e pensavano. Dopo i racconti paurosi non si aveva pi voglia di parlare delle cose solite. Improvvisamente in pieno silenzio Vasja si drizz e, fissando con i suoi occhi appannati un punto, tese le orecchie. "Che cosa c'?" chiese Dymov. "C' qualcuno che cammina" rispose Vasja. "Dove lo vedi?" "Eccolo l! Biancheggia appena..." L dove guardava Vasja non si vedeva niente, a parte le tenebre; tutti si misero all'ascolto, ma i passi non si sentivano. "Cammina lungo la strada maestra?" chiese Dymov. "No, per i campi... Viene qui." Pass un minuto di silenzio. "Forse il mercante qui sepolto che vaga per la steppa" disse Dymov. Tutti guardarono di sbieco la croce, si scambiarono un'occhiata e di colpo scoppiarono a ridere; si vergognarono della propria paura. "Perch dovrebbe vagare per la steppa?" disse Pantelej. "Vagano soltanto coloro che la terra non accoglie. Ma con i mercanti niente di tutto ci... I mercanti hanno ricevuto la corona del martirio..." Ma ecco che si udirono dei passi. Qualcuno camminava frettolosamente. "Ha qualcosa in mano" disse Vasja. Si cominci a sentire l'erba frusciare e l'erba secca scricchiolare sotto i piedi di chi camminava, ma oltre la luce del fal non si vedeva nessuno. Finalmente dei passi risuonarono vicino; qualcuno toss; la luce vacillante parve incrinarsi, dagli occhi cadde il velo e i carrettieri di colpo videro un uomo davanti a loro. Sar stato perch il fuoco vacill o perch tutti volevano scorgere prima di tutto il viso di quest'uomo, ma, cosa strana, essi alla prima occhiata videro prima di tutto non il viso, non gli abiti, ma il sorriso. Era un sorriso insolitamente buono, ampio e dolce, come quello di un bambino appena sveglio, uno di quei sorrisi contagiosi cui difficile non rispondere con altrettanto sorriso. Lo sconosciuto, quando l'ebbero osservato, risult essere un uomo sulla trentina, brutto e privo di qualcosa degno di nota. Era un ucraino alto, con il naso lungo, le braccia lunghe e le gambe lunghe; in generale tutto in lui sembrava lungo e il solo collo era talmente corto da farlo apparire curvo. Indossava una camicia bianca pulita con il colletto ricamato, ampi pantaloni bianchi e stivali nuovi e, in confronto ai carrettieri, sembrava un damerino. Teneva in mano qualcosa di grande, bianco e a prima vista strano, e da dietro la spalla spuntava la canna di un fucile, anch'essa lunga. Passato dalle tenebre a un cerchio di luce, si ferm come impietrito e per mezzo minuto guard i carrettieri come se volesse dire: "Guardate che sorriso ho!". Poi si avvicin al fal, sorrise in

modo ancor pi luminoso e disse: "Buon appetito, fratelli!". "Che tu sia il benvenuto!" rispose Pantelej per tutti. Lo sconosciuto depose vicino al fal ci che teneva in mano (era un'ottarda uccisa) e salut ancora una volta. Tutti si accostarono all'ottarda e si misero a osservarla. "Uccello notevole! Con cosa l'hai presa?" chiese Dymov. "A mitraglia... Con i pallini non si prende, non si lascia avvicinare... Compratela, fratelli! Ve la darei per venti copechi." "Ma che ce ne facciamo? Va bene arrosto, ma bollita sar dura... Non si riesce a morsicare..." "Eh, che peccato! Sarebbe da portare ai signori di qualche fattoria, quelli darebbero mezzo rublo, ma troppo lontano: a quindici verste da qui!" Lo sconosciuto si sedette, si tolse il fucile e lo depose accanto a s. Sembrava assonnato, languido, sorrideva, strizzava gli occhi per il fuoco e probabilmente pensava a qualcosa di molto piacevole. Gli dettero un cucchiaio. Cominci a mangiare. "Tu chi sei?" gli chiese Dymov. Lo sconosciuto non sent la domanda; non rispose e non gett nemmeno un'occhiata a Dymov. E' probabile che questo uomo sorridente non sentisse neanche il sapore della zuppa perch masticava macchinalmente, in modo pigro, portandosi alla bocca il cucchiaio ora molto pieno, ora del tutto vuoto. Ubriaco non era, ma in testa gli frullava qualcosa di stravagante. "Ti ho chiesto: tu chi sei?" ripet Dymov. "Io?" trasal lo sconosciuto. "Konstantin Zvonyk, di Rovno. A quasi quattro verste da qui." E desideroso di mostrare dal primo momento di non essere un semplice contadino come tutti, ma qualcosa di meglio, Konstantin si affrett ad aggiungere: "Abbiamo un arnaio e alleviamo maiali". "Vivi con tuo padre o da solo?" "No, adesso vivo da solo. Mi sono staccato. Ho preso moglie questo mese dopo San Pietro. Adesso sono sposato!... Oggi fanno diciotto giorni che sono sposato!" "Ben fatto!" disse Pantelej. "La moglie non male... E' Dio che l'ha voluto..." "La giovane moglie a casa che dorme e lui se ne va a zonzo per la steppa!" scoppi a ridere Kirjucha. "Che sagoma!" Konstantin, come se l'avessero punto nel posto pi sensibile, trasal, scoppi a ridere, arross... "Mio Dio, non a casa!" disse, togliendosi in fretta il cucchiaio di bocca e guardando tutti con aria allegra e stupefatta. "Non c'! E' andata due giorni da sua madre! Come vero Iddio, partita e io come se fossi scapolo..." Konstantin fece un gesto con la mano e scosse la testa; voleva continuare a pensare, ma la gioia che gli aveva illuminato il volto glielo impediva. Come se gli riuscisse scomodo stare seduto, assunse un'altra posizione, scoppi a ridere e fece un altro gesto con la mano. Provava vergogna a palesare a persone estranee i propri pensieri piacevoli, ma nello stesso tempo provava il desiderio irresistibile di rendere gli altri partecipi della propria gioia. "E' andata da sua madre a Demidovo!" disse arrossendo e posando il fucile in un altro posto. "Torna domani... Ha detto che sar indietro per pranzo." "Ti manca?" chiese Dymov. "Dio mio, come no? Ci siamo appena sposati e lei partita... Ah? Uh, s birichina, che Dio mi punisca! E' cos buona e cos bella, cos ridanciana e canterina, proprio argento vivo! Quando c' lei, mi gira la testa, ma senza di lei come se avessi perso qualcosa, vago per la steppa come uno stupido. E' dall'ora di pranzo che cammino,

chiamerei quasi soccorso." Konstantin si stropicci gli occhi, guard il fuoco e scoppi a ridere. "Quindi sei innamorato..." disse Pantelej. "E' cos buona, cos bella," ripet Konstantin senza prestare ascolto " una tale padrona di casa intelligente e giudiziosa, un'altra uguale che viene dal popolo non la si trova in tutto il governatorato. E' andata via... Ma sente la nostalgia, lo so-o! La conosco bene! Ha detto che torner domani verso l'ora di pranzo... Ma che storia!" quasi grid Konstantin, assumendo all'improvviso un tono di voce pi alto e cambiando posizione "Ora mi ama e le manco, ma non voleva sposarmi!" "Mangia, su!" lo esort Kirjucha. "Non voleva sposarmi!" continu Konstantin senza ascoltare. "Per tre anni ho lottato con lei! La vidi alla fiera di Kala4(12)cik, mi innamorai da morire, sarei andato sulla forca... Io a Rovno, lei a Demidovo, lontani l'uno dall'altro venticinque verste, e per me nessuna possibilit. Le mando i pronubi, e lei: "Non voglio!". Ah, la pettegola! E io cerco di convincerla in un modo e nell'altro; le mando gli orecchini, e il panpepato, e mezzo pud di miele: "Non voglio!" Che fare? A pensarci, sono forse alla sua altezza? E' giovane, bella, argento vivo, e io sono vecchio, fra poco compir trent'anni, e poi non sono proprio bello: invece della barba folta, la barba a chiodo; invece del viso liscio, tutto un bernoccolo. Come posso essere alla sua altezza? Forse solo perch siamo di famiglia benestante, ma anche loro, i Vachramenk, vivono bene. Hanno tre paia di buoi e due lavoranti. Mi innamorai, fratelli, e persi la ragione... Non dormivo, non mangiavo, in testa avevo tali pensieri e un delirio tale, che il Signore vi risparmi! Voglio vederla, ma lei a Demidovo... E cosa pensate? Dio mi punisca se me lo invento, circa tre volte alla settimana andavo l a piedi a guardarla. Lasciai il lavoro! Dimenticai tutto, e volevo persino mettermi a lavorare come bracciante a Demidovo per esserle pi vicino. Mi tormentavo! Mia madre chiam una guaritrice, mio padre almeno una decina di volte fece per picchiarmi. Be', languii tre anni e avevo gi preso una decisione: che sia tre volte maledetto, vado in citt a fare il vetturino... Vuol dire che non destino! A Pasqua mi recai a Demidovo a vederla per l'ultima volta..." Konstantin gett la testa indietro e scoppi in una risata cos sottile, cos allegra, come se avesse appena truffato qualcuno con grande astuzia. "Guardo, con dei giovanotti vicino al fiume" prosegu. "Mi prese la rabbia... La chiamai in disparte e forse per un'ora intera le dissi diverse cose... E lei si innamor! Per tre anni non mi aveva amato, ma si innamor per quelle mie parole!" "Ma quali parole?" chiese Dymov. "Quali parole? E non me lo ricordo... Come fare a ricordarsene? Allora mi vennero come acqua dalla gronda, senza prendere il fiato: ta-ta-ta-ta! Ma ora non mi ricordo neanche una di quelle parole... Be', e mi ha sposato... Adesso la pettegola andata da sua madre e io senza di lei vago per la steppa. Non ce la faccio a stare a casa. Non reggo!" Konstantin liber goffamente le gambe da sotto se stesso, si sdrai per terra e appoggi la testa sui pugni, poi si alz e si sedette di nuovo. Tutti ora capivano perfettamente che quello era un uomo innamorato e felice, felice sino a esserne angosciato; il suo sorriso, i suoi occhi e ogni suo movimento esprimevano una felicit opprimente. Non riusciva a star fermo e non sapeva che posizione assumere e cosa fare per non spossarsi per l'eccesso di pensieri piacevoli. Dopo aver aperto il proprio cuore a degli sconosciuti, si

sedette finalmente tranquillo e, guardando il fuoco, si mise a riflettere. Alla vista di un uomo felice tutti provarono un senso di noia e il desiderio di essere anch'essi felici. Si erano fatti tutti pensierosi. Dymov si alz, pass piano vicino al fal e dall'andatura e dal movimento delle sue scapole era chiaro che si struggeva e che sentiva nostalgia. Rimase un poco in piedi, guard Konstantin e si sedette. Intanto il fal stava gi spegnendosi. La luce non guizzava pi e la chiazza rossa si affievoliva, si offuscava... E tanto pi in fretta il fuoco si estingueva, tanto pi visibile diveniva la notte di luna. Ora si vedeva la strada in tutta la sua ampiezza, le balle, le stanghe dei carri, i cavalli che masticavano; da quella parte si delineava confusamente l'altra croce... Dymov poggi la guancia alla mano e piano inton una canzone malinconica. Konstantin sorrise con aria assonnata e l'accompagn con voce sottile. Cantarono per mezzo minuto e poi tacquero... Eme4(12)ljan trasal, cominci a muovere i gomiti e le dita. "Fratelli" disse con voce supplichevole "cantiamo un canto religioso!" Gli vennero le lacrime agli occhi. "Fratelli!" ripet stringendosi la mano sul cuore. "Cantiamo un canto religioso!" "Io non sono capace" confess Konstantin. Tutti rifiutarono; allora Eme4(12)ljan si mise a cantare da solo. Cominci ad agitare entrambe le mani, ad annuire con il capo, apr la bocca, ma dalla gola sgorg solo un respiro rauco, atono. Cantava con le mani, la testa, gli occhi e persino con l'escrescenza, cantava con passione e dolore, e tanto pi sforzava il petto per strappare da esso almeno una nota, tanto pi atono si faceva il suo respiro. La noia si era impadronita anche di Egoru4(12)ska, come degli altri. And al suo carro, si arrampic sulla sua balla e si coric. Guardava il cielo e pensava al felice Konstantin e a sua moglie. Perch la gente si sposa? A cosa servono le donne a questo mondo? Egoru4(12)ska si poneva delle domande confuse e pensava che un uomo probabilmente sta bene se vicino a lui vive una donna affettuosa, allegra e bella. Chiss perch, gli torn in mente la contessa Dranizkaja, ed egli pens che doveva essere molto piacevole vivere con una donna simile; forse con lei si sarebbe sposato volentieri, se non se ne fosse vergognato tanto. Ricord le sue sopracciglia, le pupille, la carrozza, l'orologio con il cavaliere... La notte cheta, tiepida, scendeva su di lui e gli bisbigliava qualcosa all'orecchio, e gli pareva che fosse quella bella donna che si chinava su di lui, lo guardava sorridendo e lo voleva baciare... Del fal erano rimasti solo due piccoli occhi rossi che si facevano sempre pi piccoli. I carrettieri e Konstantin vi erano seduti vicino, scuri, immobili, e sembrava che essi ora fossero molto pi grossi di prima. Entrambe le croci erano ugualmente visibili, e lontano lontano, da qualche parte sulla grande strada splendeva un focherello rosso, probabilmente qualcun altro stava cuocendo la zuppa. "La nostra Madre Russia a capo di tutto il mondo!" Kirjucha si mise all'improvviso a cantare con voce rozza, gli and qualcosa di traverso e tacque. L'eco della steppa acchiapp la sua voce, la port lontano e sembrava che la stupidit in persona rotolasse per la steppa su pesanti ruote. "E' ora di partire!" disse Pantelej. "Ragazzi, alzatevi!" Mentre attaccavano i cavalli, Konstantin camminava vicino ai cavalli e lodava sua moglie. "Addio, fratelli!" grid quando il convoglio si mise in moto.

"Grazie dell'ospitalit! Io vado di nuovo verso quel fuoco. Non reggo!" E presto scomparve nelle tenebre e a lungo lo si pot sentire mentre si dirigeva l dove brillava il focherello per confidare la propria felicit a degli estranei. Quando il giorno dopo Egoru4(12)ska si svegli, era primo mattino; il sole non si era ancora levato. Il convoglio era fermo. Una persona con un berretto bianco e un vestito di stoffa grigia di poco prezzo, in groppa a un puledrino cosacco presso il carro anteriore, parlava con Dymov e Kirjucha. Davanti, a circa due verste dal convoglio, biancheggiavano dei magazzini lunghi e bassi e delle casette con tetti di tegole; intorno alle casette non si vedevano n cortili n alberi. "Nonno, che villaggio quello?" chiese Egoru4(12)ska. "Quelle, ragazzo, sono fattorie armene" rispose Pantelej. "L vivono gli armeni. Sono persone niente male... gli armeni." L'uomo in grigio termin di chiacchierare con Dymov e Kirjucha, fece indietreggiare il puledrino e guard le fattorie. "Che roba, pensa!" sospir Pantelej, guardando anch'egli le fattorie e rannicchiandosi per la frescura mattutina. "Ha inviato una persona alle fattorie a prendere non so che carta, e quello non torna... Dovrebbe mandarci Stepka!" "Nonno, ma chi ?" chiese Egoru-4(12)ska. "Varlamov." Dio mio! Egoru4(12)ska balz in fretta in piedi, si mise in ginocchio e guard il berretto bianco. In quell'individuo basso, grigio, con grandi stivali, seduto su un brutto cavallino, che parlava con i carrettieri a un'ora in cui tutte le persone perbene stanno ancora dormendo, era difficile riconoscere il misterioso, irreperibile Varlamov che tutti cercavano, che "girava" sempre e che possedeva molto pi denaro della contessa Dranizkaja. "Non c' che dire, una brava persona..." diceva Pantelej guardando le fattorie. "Che Dio gli conceda la salute, un bravo signore... Varlamov, Semen Aleksandrovi4(12)c... E' su queste persone, fratello, che si regge il mondo. E' la verit... I galli non hanno ancora cantato, ma lui gi in piedi... Un altro sarebbe a letto o a casa con gli ospiti a far pettegolezzi, ma lui va in giro per la steppa tutto il giorno... Gira... Lui non si lascia scappare un affare... No! E' proprio bravo..." Varlamov non distoglieva gli occhi dalla fattoria e diceva qualcosa; il puledrino impaziente si appoggiava ora su una gamba ora sull'altra. "Semen Aleksandry4(12)c," grid Pantelej togliendosi il cappello "permettete di mandare Stepka! Eme4(12)ljan, grida di mandare Stepka!" Ma ecco, finalmente, staccarsi dalla fattoria un messaggero a cavallo. Piegatosi fortemente su un fianco e agitando sopra la testa la frusta, quasi facesse volteggi acrobatici a cavallo e desiderasse stupire tutti con la sua ardita cavalcata, vol verso il convoglio alla velocit di un uccello. "Quella deve essere una sua guardia" disse Pantelej. "Ne ha, di guardie, forse cento, o forse di pi." Affiancatosi al carro anteriore, il messaggero arrest il cavallo e, toltosi il cappello, consegn a Varlamov un libretto. Varlamov trasse dal libretto delle carte, le lesse e grid: "E dove il biglietto di Ivan-4(12)cuk?". Il messaggero riprese il libretto, esamin le carte e alz le spalle, si mise a dire qualcosa, probabilmente si stava giustificando, e chiese il permesso di tornare nuovamente alle fattorie. Il puledro all'improvviso cominci a muoversi come se Varlamov fosse divenuto pi pesante. Anche Varlamov cominci a

muoversi. "Vattene!" url arrabbiato e lev la frusta sul messaggero. Poi volt il cavallo indietro e, mentre esaminava nel libretto le carte, and al passo lungo il convoglio. Quando stava avvicinandosi al carro posteriore, Egoru4(12)ska sforz la vista per esaminarlo meglio. Varlamov era gi vecchio. Il viso con la piccola barbetta grigia, un viso semplice, russo, abbronzato, era bagnato dalla rugiada e coperto di venette azzurre; esprimeva la stessa asciuttezza professionale del viso di Ivan Ivany4(12)c, lo stesso fanatismo per gli affari. Eppure, che differenza si sentiva fra lui e Ivan Ivany4(12)c! Lo zio Ku4(12)zmi4(12)cov, insieme all'asciuttezza professionale, aveva sul volto sempre l'inquietudine e il terrore di non trovare Varlamov, di far tardi, di lasciarsi scappare un buon prezzo; niente di simile, niente di ci che proprio delle persone umili e dipendenti si notava sul volto o nella figura di Varlamov. Questo uomo da solo determinava i prezzi, non cercava nessuno e non dipendeva da nessuno; per quanto ordinario fosse il suo aspetto, in tutto, persino nel modo di tenere la frusta, si sentiva la coscienza della propria forza e del dominio abituale sulla steppa. Passando vicino a Egoru4(12)ska non gli rivolse un'occhiata; solo il puledrino degn Egoru4(12)ska della propria attenzione e lo guard con occhi grandi, stupidi, ma anche con indifferenza. Pantelej salut Varlamov con un inchino; questi lo not e, senza distogliere gli occhi dalle carte, disse con la erre moscia: "Buongiovno, vecchio!". Il colloquio di Varlamov con il messaggero e la frusta agitata, a quanto pare, avevano prodotto un'impressione penosa su tutto il convoglio. Tutti avevano visi seri. Il messaggero, scoraggiato dalla collera di quell'uomo forte, senza cappello, lasciate cadere le redini, stava in piedi presso il carro anteriore, taceva ed era come se non volesse credere che per lui la giornata fosse cominciata cos male. "Severo il vecchio..." mormorava Pantelej. "Molto severo! Ma non c' che dire, una brava persona... Non offende invano... Non c' che dire..." Dopo aver esaminato le carte, Varlamov si mise il libretto in tasca; il puledro, come se avesse capito il suo pensiero, senza aspettare il comando, sobbalz e corse via lungo la grande strada. NOTE: (12) Carro coperto da tenda. VII Anche la notte successiva i carrettieri fecero sosta e prepararono la zuppa. Questa volta, per, sin dall'inizio si avvertiva in tutto un'angoscia indefinita. C'era afa, tutti bevevano molto e non riuscivano a togliersi la sete. La luna spunt violentemente purpurea e scura, come malata; anche le stelle si erano scurite, le tenebre erano pi fitte, l'orizzonte pi offuscato. Pareva che la natura presentisse qualcosa e languisse. Presso il fal non c'erano pi l'animazione e il chiacchierio del giorno prima. Tutti si annoiavano e parlavano con indolenza e malvolentieri. Pantelej non faceva altro che sospirare, lamentarsi dei piedi e portare continuamente il discorso sulla morte sfrontata. Dymov era coricato sul ventre, taceva e masticava un filo di paglia; il suo viso aveva un'espressione disgustata (come se il filo di paglia mandasse cattivo odore), malvagia e spossata... Vasja si lamentava che gli doleva la mascella e presagiva tempo cattivo. Eme4(12)ljan non agitava le braccia, ma stava seduto immobile e guardava il fuoco con aria cupa. AncheEgoru4(12)ska languiva. Il

viaggio a passo d'uomo l'aveva estenuato, e per la calura della giornata gli doleva la testa. Quando la zuppa fu pronta, Dymov per la noia si mise ad attaccar lite con i compagni. "Si messo comodo, l'escrescenza, e si fa avanti per primo con il cucchiaio!" disse, guardando con astioEme4(12)ljan. "Che ingordigia! Si d da fare in tutti i modi per essere il primo alla marmitta. E' stato un cantore, quindi pensa di essere un signore! Sono tanti i cantori come voi che chiedono l'elemosina sulla strada maestra!" "E tu perch ce l'hai con me?" chiese Eme4(12)ljan guardandolo anch'egli con astio. "Perch ti cacci per primo vicino alla marmitta. Non darti troppa importanza!" "Sei uno stupido, ecco tutto" disse Eme4(12)ljan con voce roca. Sapendo per esperienza come terminano simili battibecchi, Pantelej e Vasja si intromisero e presero a convincere Dymov di non bisticciare invano. "Un cantore..." il birbone non si calmava, ridacchiando sprezzante. "Cos sono capaci di cantare tutti. Te ne stai seduto in chiesa o sul sagrato e canti: "Fate la carit, di grazia!". Eh, voi!" Eme4(12)ljan taceva. Su Dymov questo silenzio ebbe un effetto irritante. Guard con odio ancor pi forte l'ex cantore e disse: "Solo perch non ho voglia di avere a che fare con te, senn ti farei vedere io chi ti devi credere!". "Ma perch ce l'hai con me, Mazeppa?" sbott Eme4(12)ljan. "Ti sto toccando?" "Come mi hai chiamato?" chiese Dymov drizzandosi, e i suoi occhi si iniettarono di sangue. "Come? Io sono Mazeppa? S? Allora ti faccio vedere! Vattelo a cercare!" Dymov strapp dalle mani di Eme-4(12)ljan il cucchiaio e lo scaravent lontano. Kirjucha, Vasja e Stepka balzarono in piedi e corsero a cercarlo, mentre Eme4(12)ljan fissava Pantelej con aria supplichevole e interrogativa. Il suo viso si fece improvvisamente piccolo, fece una smorfia, cominci a battere le palpebre, e l'ex cantore scoppi a piangere come un bambino. Egoru4(12)ska, che gi da tempo aveva preso in odio Dymov, sent che l'aria si era fatta d'un tratto insopportabilmente soffocante, che il fuoco del fal scottava il viso; gli venne voglia di correre in fretta al convoglio, nelle tenebre, ma gli occhi cattivi, annoiati del birbone lo attiravano a s. Desiderando ardentemente di dirgli qualcosa di oltremodo offensivo, fece un passo verso Dymov e disse ansimando: "Sei il peggiore di tutti! Non ti posso sopportare!" Dopo ci avrebbe dovuto correre al convoglio, ma non riusciva a muoversi e prosegu: "All'altro mondo brucerai all'inferno! Mi lamenter con Ivan Ivany4(12)c! Non osare pi offendereEme4(12)ljan!". "Ma guarda un po'!" ridacchi Dymov. "Un qualsiasi porcellino, sulle labbra non gli si ancora asciugato il latte, e si mette a comandare. E se ti prendessi per l'orecchio?" Egoru4(12)ska sent di non poter pi respirare; egli (non gli era mai successo niente di simile prima) cominci a tremare in tutto il corpo, prese a pestare i piedi e url con voce stridula: "Picchiatelo! Picchiatelo!". Gli zampillarono le lacrime dagli occhi; prov vergogna e corse barcollando al convoglio. Egli non vide l'impressione prodotta dal suo urlo. Coricato sulla balla, in lacrime, agitava braccia e gambe e sussurrava: "Mamma! Mamma!". E quelle persone, e le ombre attorno al fal, e le balle scure di lana, e il lampo lontano che ogni minuto balenava all'orizzonte,

tutto ora gli pareva deserto e tremendo. Provava orrore e si chiedeva disperato come mai e perch fosse capitato in una terra sconosciuta in compagnia di uomini terribili. Dove sono adesso lo zio, padre Christofor e Deniska? Perch tardano tanto? Si erano forse dimenticati di lui? Al pensiero di essere stato dimenticato e abbandonato al destino, cominci a sentir freddo e una tale paura che pi volte fece l'atto di saltare dalla balla per correre a rotta di collo, senza voltarsi indietro, ma il ricordo delle croci scure, tetre, che inevitabilmente avrebbe incontrato sulla strada, e il lampo che balenava lontano lo trattenevano... E solo quando sussurrava: "Mamma! Mamma!" avvertiva un poco di sollievo. E' probabile che anche i carrettieri avessero paura. Dopo che Egoru4(12)ska si fu allontanato di corsa dal fal, dapprima stettero a lungo in silenzio, poi con voce bassa e sorda si misero a parlare di qualcosa che stava arrivando e che si doveva partire alla svelta e allontanarsene... Cenarono in fretta, spensero il fuoco e in silenzio cominciarono ad attaccare i cavalli. Dal loro affaccendarsi e dalle frasi monche si cap che avevano previsto qualche guaio. Prima di mettersi in cammino, Dymov si avvicin a Pantelej e chiese piano: "Come si chiama?". "Egorij..." rispose Pantelej. Dymov appoggi il piede su una ruota, si aggrapp alla fune che legava la balla e sal. Egoru4(12)ska vide il volto e la testa ricciuta di questi. Il volto era pallido, estenuato e serio, ma non esprimeva pi collera. "Egoru4(12)ska!" disse piano. "Di, picchia!" Egoru4(12)ska lo guard stupito; in quel mentre balen un lampo. "Non fa niente, picchia!" ripet Dymov. E senza aspettare che Egoru4(12)ska lo picchiasse o parlasse con lui, scese con un balzo e disse: "Che noia!". Poi, camminando barcolloni, muovendo le scapole, cammin pigramente lungo il convoglio e con una voce tra il piangente e lo stizzito ripet: "Che noia! Signore! E tu non offenderti, Eme4(12)ljan:" disse passando vicino aEme4(12)ljan "la nostra una vita dannata, crudele!". A destra s'accese un lampo e, come se si fosse riflesso in uno specchio, balen subito in lontananza. "Egorij, prendi!" grid Pantelej, passando dal basso qualcosa di grosso e scuro. "Che cos'?" chiese Egoru4(12)ska. "Una stuoia! Sta per mettersi a piovere, cos ecco, copriti." Egoru4(12)ska si sollev leggermente e si guard attorno. L'orizzonte si era notevolmente annerito e gi pi spesso che a ogni minuto scintillava una luce pallida come un ammiccare di palpebre. La sua massa nera si piegava verso destra, quasi per il peso. "Nonno, ci sar un temporale?" chiese Egoru4(12)ska. "Ah, le mie gambe malate, congelate!" diceva cantilenando Pantelej senza sentirlo e pestando i piedi. A sinistra, come se qualcuno avesse sfregato uno zolfanello contro il cielo, una striscia pallida, fosforescente balen e si spense. Si sent qualcuno molto lontano correre velocemente su un tetto di ferro. Probabilmente sul tetto camminavano a piedi nudi, perch il ferro brontolava gravemente. "Piover a dirotto!" url Kirjucha. Tra lo sfondo lontano e l'orizzonte a destra balen un lampo cos sfolgorante che illumin una parte della steppa e la zona dove il cielo sereno confinava con la macchia nera. La nube spaventosa si avvicinava senza fretta, in massa compatta; dai suoi bordi pendevano dei grossi brandelli neri; brandelli identici, pigiandosi l'un l'altro, si ammucchiavano all'orizzonte, a destra e a sinistra.

Questo aspetto a brandelli, arruffato, della nube le conferiva un'espressione ebbra, birichina. Il tuono borbott distintamente e non pi in modo grave. Egoru4(12)ska si segn e indoss in fretta il cappotto. "Che noia!" giunse dai carri anteriori l'urlo di Dymov, e dalla voce poteva arguirsi che stava nuovamente infuriandosi. "Che noia!" All'improvviso si scaten il vento e con tale forza che quasi strapp a Egoru4(12)ska il fagottino e la stuoia; scuotendosi, la stuoia si lanciava in ogni direzione e prese a battere sulla balla e sul viso di Egoru4(12)ska. Il vento sfrecci sibilando sulla steppa, turbin disordinatamente e con l'erba sollev un tale frastuono che, per colpa sua, non si sentirono pi n il tuono n il cigolare delle ruote. Esso spirava dalla nube nera, trascinando con s nugoli di polvere e odore di pioggia e di terra bagnata. La luce della luna si annebbi, si fece come pi sporca, le stelle diventarono pi cupe e sul margine della strada si potevano vedere i nugoli di polvere e le loro ombre correre indietro. Ora, con tutta probabilit, i vortici, turbinando e trascinando da terra polvere, erba secca e penne, si levavano fin proprio sotto il cielo; probabilmente presso la nube pi scura volavano i cardi e senz'altro provavano terrore! Ma attraverso la polvere accecante non si vedeva niente se non il balenio dei lampi. Egoru4(12)ska, pensando che si sarebbe subito messo a piovere a dirotto, si mise in ginocchio e si copr con la stuoia. "Pantele-ej!" url qualcuno davanti. "A... a... a!" "Non si se-ente!" rispose forte e a cantilena Pantelej. "A... a... va! Aria... a!" Il tuono rimbomb arrabbiato, rotol nel cielo da destra a sinistra, poi indietro e si spense nei pressi dei carri anteriori. "Santo, santo, santo il Signore Jahv," mormor Egoru4(12)ska segnandosi "che il cielo e la terra siano pieni della tua gloria..." La massa nera del cielo spalanc la bocca e fiat un fuoco bianco; subito rimbomb nuovamente un tuono; appena tacque, un lampo guizz cos ampio che Egoru4(12)ska attraverso le fessure della stuoia vide di colpo tutta la grande strada sino all'orizzonte, tutti i carrettieri e persino il panciotto di Kirjucha. I brandelli neri da sinistra si stavano gi sollevando verso l'alto, e uno di essi, rozzo e goffo, simile a una zampa con le dita, si protese verso la luna. Egoru4(12)ska decise di chiudere forte gli occhi, di non fare caso a nulla e di aspettare quando tutto fosse finito. La pioggia, chiss perch, tard molto a cadere. Egoru4(12)ska, nella speranza che la nuvola sarebbe passata oltre, sbirci dalla stuoia. Era spaventosamente buio. Egoru4(12)ska non vide n Pantelej, n la balla, n se stesso; guard di sbieco l dove poco prima c'era la luna, ma l nereggiava la stessa oscurit che c'era sul carro. Solo i lampi nelle tenebre parevano pi bianchi e pi accecanti, tanto che dolevano gli occhi. "Pantelej!" chiam Egoru4(12)ska. Non segu alcuna risposta. Ma ecco, finalmente, il vento dette per l'ultima volta uno strappo alla stuoia e corse via chiss dove. Si sent un rumore costante, tranquillo. Una grande goccia fredda cadde sul ginocchio di Egoru4(12)ska, un'altra scivol sulla mano. Egli not di non avere le ginocchia coperte e volle accomodare la stuoia, ma in quel mentre qualcosa cominci a cadere e a picchiettare sulla strada, poi sulle stanghe, poi sulla balla. Era la pioggia. Essa e la stuoia, come se si capissero a vicenda, si misero a parlare di qualcosa velocemente, allegramente e in modo estremamente fastidioso, come due pettegole. Egoru4(12)ska stava in ginocchio, o meglio, era seduto sugli stivali. Quando la pioggia cominci a picchiettare sulla stuoia, si

sporse con il busto in avanti per riparare con se stesso le ginocchia che erano divenute improvvisamente bagnate; riusc a proteggere le ginocchia, tuttavia, dopo meno di un minuto, sent dietro, pi in basso della schiena e sui polpacci, una umidit penetrante, sgradevole. Assunse la posizione precedente, espose le ginocchia alla pioggia e si mise a pensare al da farsi, a come sistemare nelle tenebre la stuoia invisibile. Ma le braccia erano gi bagnate, nelle maniche e nel colletto scorreva l'acqua, le scapole gelavano. Decise allora di non far niente, ma di starsene seduto immobile e di aspettare che finisse tutto. "Santo, santo, santo..." mormorava. Improvvisamente, proprio sulla sua testa, il cielo si lacer con un fragore terribile e assordante; egli si pieg e trattenne il respiro in attesa che sulla nuca e sulla schiena cominciassero a caderne i brandelli. I suoi occhi si aprirono involontariamente ed egli vide che sulle dita, sulle maniche bagnate e sui rivoli che scorrevano dalla stuoia, sulla balla e in basso sulla terra una luce smagliante si accese e cinque volte balugin abbagliando. Rimbomb un altro schianto, altrettanto forte e tremendo. Il cielo non tuonava pi, non strepitava, ma emetteva suoni asciutti, crepitanti, simili allo scoppiettare della legna secca. "Trrach! tach, tach! tach!" scandiva distintamente il tuono, rotolava nel cielo, inciampava e, da qualche parte, presso i carri anteriori oppure lontano, cadeva con un rabbioso, discontinuo "trra!"... Prima i lampi erano solo terribili, ora, con un tuono simile, parevano sinistri. La loro luce ammaliante penetrava attraverso le palpebre chiuse e diffondeva il gelo in tutto il corpo. Cosa si poteva fare per non vederli? Egoru4(12)ska decise di voltarsi all'indietro. Con cautela, quasi temesse di essere osservato, si mise carponi e, scivolando con le palme delle mani sulla balla bagnata, si volt indietro. "Trak! tak! tak!" sfrecci sul suo capo, cadde sotto il carro e si schiant con un "Rrra!". Gli occhi involontariamente gli si riaprirono, ed Egoru4(12)ska vide un nuovo pericolo: dietro il carro camminavano tre enormi giganti dalle lunghe spade. Il lampo balen sulla lama delle loro spade e illumin distintamente le loro figure. Questi uomini erano di dimensioni colossali, con i volti coperti, le teste chine e l'incedere pesante. Parevano tristi e malinconici, meditabondi. Forse non seguivano il carro per recare danno, comunque nella loro vicinanza c'era un non so che di spaventoso. Egoru4(12)ska si volt velocemente in avanti e, tremando in tutto il corpo, grid: "Pantelej! Nonno!". "Trak! tak! tak!" gli rispose il cielo. Apr gli occhi per vedere se i carrettieri fossero ancora l. Il lampo balen in due punti e illumin la strada sino all'orizzonte, tutto il convoglio e tutti i carrettieri. Sulla strada scorrevano i ruscelli e saltellavano le gallozze d'acqua. Pantelej camminava presso il carro, il suo alto cappello e le spalle erano coperti da una piccola stuoia; la sua figura non esprimeva n paura n inquietudine, come se fosse divenuto sordo per i tuoni e cieco per i lampi. "Nonno, i giganti!" gli url Egoru4(12)ska piangendo. Ma il nonno non sentiva. Pi in l camminava Eme4(12)ljan. Questi era coperto dalla testa ai piedi da una grande stuoia e aveva ora la forma di un triangolo. Vasja, scoperto, aveva come sempre un'andatura legnosa, e sollevava in alto le gambe senza piegare le ginocchia. Al bagliore dei lampi sembrava che il convoglio non si muovesse e che i carrettieri fossero impietriti, che a Vasja si fosse intorpidita la gamba sollevata...

Egoru4(12)ska chiam nuovamente il nonno. Non ottenendo alcuna risposta, si sedette immobile e non aspett pi che tutto finisse. Era sicuro che da un momento all'altro il tuono lo avrebbe ucciso, che gli occhi si sarebbero involontariamente aperti e che avrebbe visto i terribili giganti. E non si segnava pi, non chiamava il nonno, non pensava a sua mamma, ma era solo intirizzito dal freddo e dalla certezza che il temporale non sarebbe finito mai. Ma d'un tratto si sentirono delle voci. "Egorij, ma che, dormi?" url in basso Pantelej. "Scendi! Sei diventato sordo, sciocchino?" "Che temporale!" disse una sconosciuta voce da basso e grugn come se avesse bevuto un bel bicchiere di vodka. Egoru4(12)ska apr gli occhi. In basso vicino al convoglio stavano Pantelej, Eme4(12)ljan a forma di triangolo e i giganti. Questi ultimi, ora, erano molto pi bassi di statura e, quando Egoru4(12)ska li ebbe osservati, risultarono essere dei comuni contadini che tenevano sulle spalle non spade, ma forconi di ferro. Nello spazio tra Pantelej e il triangolo era illuminata la finestra di una bassa isba. Il convoglio era, dunque, fermo in un villaggio.Egoru4(12)ska si tolse di dosso la stuoia, prese il fagottino e si affrett a scendere dal carro. Adesso che delle persone stavano parlando l vicino e una finestra era illuminata, non aveva pi paura, sebbene il tuono crepitasse come prima e il lampo striasse tutto il cielo. "Un bel temporale, non c' che dire..." borbottava Pantelej. "Grazie a Dio... I piedi si sono un poco bagnati per la pioggia, ma poco male... Stai scendendo, Egorij? Di, entra nell'isba... Non nulla..." "Santo, santo, santo..." disseEme4(12)ljan con voce rauca. "Senz'altro il lampo si abbattuto da qualche parte... Siete del luogo?" chiese ai giganti. "No, siamo di Glinovo... Siamo glinovesi. Lavoriamo dai signori Plater." "Che fate, trebbiate?" "Facciamo diverse cose. Per ora stiamo ancora raccogliendo il grano. Che lampi, che lampi! Era da tanto che non c'era un temporale simile..." Egoru4(12)ska entr nell'isba. Lo accolse una vecchia sparuta, gobba, dal mento a punta. Teneva in mano una candela di sego, strizzava gli occhi e sospirava profondamente. "Che temporale ha mandato il Signore!" diceva. "E i nostri passano la notte nella steppa, quante ne sopporteranno i poveretti! Spogliati, caro, spogliati..." Tremando dal freddo e contraendosi con disgusto, Egoru4(12)ska si tolse il cappotto inzuppato, poi allarg le braccia e le gambe e a lungo non si mosse. Ogni pur piccolo movimento suscitava in lui una sensazione spiacevole di bagnato e di freddo. Le maniche e il dorso della camicia erano bagnati, i pantaloni si erano appiccicati alle gambe, dalla testa colava l'acqua... "Be', ragazzino, vuoi restare l con le gambe aperte?" domand la vecchia. "Vieni, siediti!" Tenendo le gambe ben allargate,Egoru4(12)ska si accost al tavolo e sedette su una panca vicino alla testa di qualcuno. La testa si mosse, emise dal naso un flusso d'aria, biascic un poco e si calm. Dalla testa per tutta la panca si allungava un monticello coperto da una pelliccetta di pecora. Era una donna che dormiva. La vecchia, sospirando, usc e torn dopo poco con un'anguria e un melone. "Mangia, caro! Non ho nient'altro da offrirti..." disse sbadigliando, poi rovist nel tavolo e prese un coltello lungo, affilato, molto simile a quei coltelli affilati con i quali i banditi

scannano i mercanti alle stazioni di posta. "Mangia, caro!" Egoru4(12)ska, tremando come se avesse la febbre, mangi una fetta di melone con del pane nero, poi una fetta di anguria, e cos gli venne ancor pi freddo. "I nostri passano la notte nella steppa..." sospirava la vecchia mentre lui mangiava. "La passione del Signore... Bisognerebbe accendere una candelina davanti alle immagini, ma non so dove Stepanida l'ha messa. Mangia, caro, mangia..." La vecchia sbadigli e, sollevata indietro la mano destra, si gratt la spalla sinistra. "Devono essere circa le due" disse. "Presto sar anche ora di alzarsi. I nostri passano la notte nella steppa... Saranno tutti bagnati fradici." "Nonna," disse Egoru4(12)ska "ho sonno." "Coricati, caro, coricati..." sospir la vecchia sbadigliando. "Signore Ges Cristo! Sto dormendo anch'io e mi sembra di sentire qualcuno bussare. Mi sveglio, guardo, ed Dio che ha mandato il temporale... Bisognerebbe accendere una candelina, ma non l'ho trovata." Parlando tra s e s, strapp dalla panca dei cenci, probabilmente il proprio giaciglio, stacc dal chiodo vicino alla stufa due pellicce e si mise a preparare il letto per Egoru4(12)ska. "Il temporale non cessa" borbottava. "C' da temere che qualcosa prenda fuoco. I nostri passano la notte nella steppa. Coricati, caro, dormi... Che Dio sia con te, nipotino... Il melone non lo porto via, forse, se ti svegli, ti viene voglia di mangiarlo..." I sospiri e lo sbadigliare della vecchia, il respiro cadenzato della donna addormentata, il buio dell'isba e il rumore della pioggia dietro la finestra conciliavano il sonno. Egoru4(12)ska aveva soggezione a svestirsi in presenza della vecchia. Si sfil gli stivali, si coric e si copr con la pelliccetta di pecora. "E' andato a dormire il ragazzo?" si sent un minuto dopo Pantelej sussurrare. "S!" rispose sussurrando la vecchia. "La passione, la passione del Signore! Tuona, tuona e non se ne sente la fine..." "Tra poco passa..." bisbigli Pantelej mettendosi a sedere. "Si calmato... I ragazzi si sono sistemati nelle isbe, due sono rimasti con i cavalli... I ragazzi... Non si pu... Ruberebbero i cavalli... Ecco, sto un poco seduto, poi vado a dare il cambio... Non si pu, li ruberebbero..." Pantelej e la vecchia sedevano di fianco ai piedi di Egoru4(12)ska e parlavano a bassa voce sibilando, intervallando la conversazione con sospiri e sbadigli. Ma Egoru4(12)ska non riusciva a scaldarsi. Era coperto da una pelliccetta calda, pesante, eppure tutto il corpo fremeva, le braccia e le gambe si contraevano per i brividi, i visceri tremavano... Si svest sotto la pelliccetta, ma neanche questo serv. I brividi si facevano sempre pi forti. Pantelej usc a dare il cambio e poi ritorn, ma Egoru4(12)ska non dormiva ancora e tremava in tutto il corpo. Qualcosa gli gravava sulla testa e sul petto, lo opprimeva, ed egli non sapeva cosa fosse: il bisbigliare dei vecchi oppure l'odore greve di pecora? Gli era rimasto in bocca un sapore sgradevole, metallico, per l'anguria e il melone mangiati. Inoltre, le pulci lo morsicavano. "Nonno, ho freddo!" disse, e non riconobbe la propria voce. "Dormi, nipotino, dormi..." sospir la vecchia. Tit su delle gambette sottili si accost al letto e cominci ad agitare le braccia, poi crebbe sino al soffitto e si trasform in un mulino a vento. Padre Christofor, non come quello che sedeva sul calesse, ma con indosso tutti i paramenti sacerdotali e con l'aspersorio in mano, gir attorno al mulino, lo asperse di acqua

santa e questo smise di girare le pale. Egoru4(12)ska, sapendo che si trattava di un incubo, apr gli occhi. "Nonno!" chiam. "Dammi un po' d'acqua!" Non rispose nessuno. Egoru4(12)ska sent un'afa insopportabile e gli divenne scomodo star coricato. Si alz, si vest e usc dall'isba. Era gi mattino. Il cielo era nuvoloso, ma non pioveva pi. Tremando e avvolgendosi nel cappotto bagnato, Egoru4(12)ska cammin nel cortile sporco, stette in ascolto del silenzio; gli occhi gli caddero su una piccola stalla con la porticina di giunco aperta a met. Gett un'occhiata in questa piccola stalla, vi entr e si sedette in un angolo buio sul kizjak. (13) Nella testa pesante i pensieri si confondevano, aveva la bocca asciutta e sentiva un disgustoso sapore metallico. Esamin il proprio cappello, aggiust la penna di pavone e si ricord di quando era andato con la mamma a comprare questo cappello. Mise la mano in tasca e vi trov un mucchietto di mastice scuro e appiccicoso. Come aveva fatto quel mastice a finirgli in tasca? Pens, annus: odore di miele. Aha, il panpepato dell'ebrea! Poverino, come si era inzuppato! Egoru4(13)ska esamin il cappotto. Il cappotto era grigio, con grandi bottoni di osso, cucito a finanziera. In quanto cosa nuova e costosa, a casa stava appeso non in anticamera, ma nella stanza da letto, vicino agli abiti della mamma; gli era permesso indossarlo solo per le feste. Guardatolo,Egoru4(13)ska prov pena per lui, si ricord che erano entrambi abbandonati alla merc del destino, che non sarebbero pi tornati a casa, e scoppi in tali singhiozzi che quasi stava per cascare dal kizjak. Un grosso cane bianco, bagnato dalla pioggia, con ciuffi di pelo sul muso simili a bigodini, entr nella stalla e fiss con curiosit Egoru4(13)ska. Evidentemente pensava: devo mettermi ad abbaiare o no? Deciso che non ci fosse bisogno di abbaiare, si avvicin guardingo a Egoru4(13)ska, mangi il mastice e usc. "Sono quelli di Varlamov!" url qualcuno in strada. Rimasto senza lacrime, Egoru4(13)ska usc dalla stalla e, aggirata una pozzanghera, si incammin a fatica verso la strada. Proprio davanti al portone, sulla strada erano fermi dei carri. I carrettieri bagnati, con le gambe sporche, fiacchi e assonnati come le mosche in autunno, vagavano intorno o stavano seduti sulle stanghe. Egoru4(13)ska li guard e pens: "Come noioso e scomodo essere contadino!". Si avvicin a Pantelej e gli si sedette vicino sulla stanga. "Nonno, ho freddo!" disse tremando e ficcando le mani nelle maniche. "Non nulla, fra poco arriviamo a destinazione" sbadigli Pantelej. "Non nulla, ti scalderai." Il convoglio si mise in cammino di buon'ora perch non faceva caldo. Egoru4(13)ska era coricato su una balla e tremava dal freddo, sebbene il sole fosse comparso presto in cielo e avesse asciugato gli abiti, la balla e la terra. Appena ebbe chiuso gli occhi, ecco che vide di nuovo Tit e il mulino. Con un senso di nausea e di pesantezza in tutto il corpo, tendeva tutte le forze per scacciare da s queste immagini, ma appena quelle scomparivano, ecco il briccone Dymov buttarsi su di lui ruggendo, con gli occhi rossi e i pugni sollevati, oppure lo sentiva lamentarsi: "Che noia!". Sul puledrino cosacco passava Varlamov, passava il felice Konstantin con il suo sorriso e con l'ottarda. E come tutti, queste persone erano pesanti, moleste e insopportabili. Una volta - era gi sul fare della sera - sollev la testa per chiedere da bere. Il convoglio era fermo su un grande ponte che si allungava su un ampio fiume. In basso, sul fiume, c'era del fumo nero

e attraverso questo fumo si vedeva un battello a vapore che trascinava a rimorchio un barcone. Oltre al fiume c'era un'enorme montagna screziata costellata di case e di chiese; ai piedi della montagna, vicino ai carri della merce, correva una locomotiva... Egoru4(13)ska non aveva mai visto prima n i battelli a vapore, n le locomotive, n i fiumi larghi. Alla loro vista ora non prov n paura, n stupore; il suo viso non espresse neppure qualcosa che somigliasse a curiosit. Sent solo nausea e si affrett a coricarsi con il petto sul bordo della balla. Vomit. Pantelej, notatolo, grugn e scosse il capo. "Il nostro ragazzo si ammalato!" disse. "Deve aver preso freddo alla pancia... il ragazzo... Lontano da casa... Brutt'affare!" NOTE: (13) Letame secco e ridotto in formelle, usato come combustibile. VIII Il convoglio si ferm non lontano dallo scalo in una grande locanda di commercio. Mentre scendeva dal carro, Egoru4(13)ska sent una voce molto nota. Qualcuno lo aiutava a scendere e diceva: "E noi siamo qui gi da ieri sera... E' tutto il giorno che vi aspettiamo. Volevamo raggiungervi ieri, ma non eravate a portata di mano, abbiamo preso un'altra strada. Guarda un po' come hai sgualcito il tuo cappottino! Te ne sentirai dallo zio!". Egoru4(13)ska guard attentamente il viso marmorizzato di colui che stava parlando e ricord che era Deniska. "Lo zietto e padre Christofor ora sono in camera," prosegu Deniska "stanno prendendo il t. Andiamo!" E condusse Egoru4(13)ska verso un grande edificio a due piani, buio e cupo, che somigliava all'istituto di carit di N'. Attraversato il vestibolo, la scala buia e un corridoio lungo e stretto, Egoru4(13)ska e Deniska entrarono in una cameretta dove Ivan Ivany4(13)c e padre Christofor stavano effettivamente prendendo il t. Alla vista del ragazzo, entrambi i vecchi assunsero un'espressione di stupore e di gioia. "Aah, Egor Nikola-ai4(13)c!" canticchi padre Christofor. "Il signor Lomonosov!" "Ah, il signore!" disse Ku4(13)zmi4(13)cov. "Siate il benvenuto!" Egoru4(13)ska si tolse il cappotto, baci la mano allo zio e a padre Christofor e si sedette al tavolo. "Ebbene, com' andato il viaggio, puer bone?" (14) padre Christofor lo tempestava di domande mentre gli versava il t e, come sua abitudine, sorrideva raggiante. "Ti sarai annoiato, vero? Che Dio vi guardi dal viaggiare con un convoglio o con un carro tirato da buoi! Vai, vai, Dio mi perdoni, guardi avanti, e la steppa rimane sempre vasta come prima; non se ne vede la fine! Non un viaggio, ma una vera lagna. Com' che non bevi il t? Bevi! E noi qui, senza di te, intanto che tu viaggiavi con il convoglio, abbiamo sbrigato tutti gli affari nel migliore dei modi. Grazie a Dio! Abbiamo venduto la lana a 4(14)cerepachin e a un prezzo tale che il Signore voglia concedere a tutti... Ne abbiamo ricavato un buon profitto." Appena visti i suoi, Egoru4(14)ska sent il bisogno irresistibile di lamentarsi. Non prestava ascolto a padre Christofor e pensava da che cosa cominciare e di che cosa precisamente lamentarsi. Ma la voce di padre Christofor, che sembrava sgradevole e brusca, gli impediva di concentrarsi e gli confondeva i pensieri. Non era stato seduto nemmeno cinque minuti quando si alz da tavola, and al divano e si coric. "Questa s che bella!" si stup padre Christofor. "E il t?"

Escogitando di che cosa lamentarsi, Egoru4(14)ska appoggi la fronte allo schienale del divano e scoppi improvvisamente in singhiozzi. "Questa s che bella!" ripet padre Christofor, alzandosi e andando verso il divano. "Georgij, che cosa hai? Perch piangi?" "Io... io sto male!" disse Egoru-4(14)ska. "Stai male?" si turb padre Christofor. "Non va affatto bene, fratello... Ci si pu forse ammalare in viaggio? Ahi, ahi, come sei, fratello... eh?" Pose la mano sulla testa di Egoru4(14)ska, gli tast leggermente la guancia e disse: "S, la testa scotta... Probabilmente ti sei raffreddato oppure hai mangiato qualcosa... Raccomandati a Dio". "Bisogna dargli del chinino..." disse turbato Ivan Ivany4(14)c. "No, deve mangiare qualcosa di caldo... Georgij, vuoi una minestrina? Eh?" "No... non la voglio..." risposeEgoru4(14)ska. "Hai molto freddo?" "Prima avevo freddo, adesso... adesso ho caldo. Ho male in tutto il corpo..." Ivan Ivany4(14)c si avvicin al divano, palp la testa di Egoru4(14)ska, borbott preoccupato e torn al tavolo. "Ecco cosa: spogliati e mettiti a dormire," disse padre Christofor "hai bisogno di fare una bella dormita." Aiut Egoru4(14)ska a spogliarsi, gli diede un guanciale e lo copr con una coperta; vi stese sopra il cappotto di Ivan Ivany4(14)c, poi si allontan in punta di piedi e si sedette al tavolo. Egoru4(14)ska chiuse gli occhi e gli parve immediatamente di essere non nella camera d'albergo, ma sulla grande strada presso il fal; Eme4(14)ljan agitava un braccio, mentre Dymov con gli occhi rossi era coricato sulla pancia e guardava con aria di scherno Egoru-4(14)ska. "Picchiatelo! Picchiatelo!" url Egoru4(14)ska. "Delira..." disse a bassa voce padre Christofor. "Quante preoccupazioni!" sospirIvan Ivany4(14)c. "Bisogner fargli le frizioni con olio e aceto. Se Dio vuole, domani sar guarito." Per sottrarsi ai sogni pesanti,Egoru4(14)ska apr gli occhi e si mise a guardare il fuoco. Padre Christofor e Ivan Ivany4(14)c avevano gi bevuto il t e parlavano di qualcosa sottovoce. Il primo sorrideva felice e a quanto pare non riusciva a dimenticare di aver ricavato un buon guadagno dalla lana; lo rallegrava non tanto il guadagno in s, quanto il pensiero che, giunto a casa, avrebbe riunito tutta la sua grande famiglia, avrebbe strizzato maliziosamente l'occhio e sarebbe scoppiato a ridere; dapprima avrebbe ingannato tutti e avrebbe detto di aver venduto la lana a un prezzo inferiore del suo valore, poi avrebbe dato al genero Michaila il portafoglio gonfio e avrebbe detto: "Su, prendi! Ecco come si devono condurre gli affari". Ku4(14)zmi4(14)cov, invece, non sembrava soddisfatto. Il suo viso esprimeva, come sempre, asciuttezza professionale e preoccupazione. "Eh, se avessi saputo che 4(14)cerepachin avrebbe offerto un tale prezzo" diceva a bassa voce "a casa non avrei venduto quei trecento pud a Makarev! Che peccato! Ma chi sapeva che qui hanno alzato il prezzo?" Un uomo in camicia bianca port via il samovar e accese nell'angolo accanto all'immagine un lumicino. Padre Christofor gli bisbigli qualcosa all'orecchio; questi assunse un'espressione misteriosa, da cospiratore, "Capisco" disse mentre usciva e, tornato dopo poco, depose sotto il divano un recipiente. Ivan Ivany4(14)c si prepar il letto per terra, sbadigli qualche volta, preg pigramente e si coric.

"Domani penso che andr alla cattedrale..." disse padre Christofor. "Il sagrestano mio conoscente. Dovrei passare dal monsignore dopo la messa, ma dicono che malato." Sbadigli e spense la lampada. Ora splendeva solo il lumicino. "Dicono che non riceve" continu padre Christofor togliendosi i paramenti. "Cos, partir senza avergli fatto visita." Si tolse il caffettano, ed Egoru-4(14)ska vide davanti a s Robinson Crusoe. Robinson mescol qualcosa in un piattino, si avvicin a Egoru4(14)ska e sussurr: "Lomonosov, dormi? Alzati! Ti faccio le frizioni con olio e aceto. Fa bene, tu pensa solo a raccomandarti a Dio". Egoru4(14)ska si sollev velocemente e si mise seduto. Padre Christofor gli tolse la camicia e, contraendosi, respirando a intervalli come se sentisse egli stesso solletico, prese a frizionare il petto di Egoru4(14)ska. "In nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo..." sussurrava. "Coricati con la schiena in su!... Ecco, cos. Domani sarai guarito, solo non devi commettere prima un peccato... Scotti come il fuoco! Eravate forse in viaggio quando c'era il temporale?" "S, eravamo in viaggio." "E come non ammalarsi! In nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo... E come non ammalarsi!" Dopo aver frizionato Egoru4(14)ska, padre Christofor gli infil la camicia, lo copr, gli fece il segno di croce e se ne and. Egoru4(14)ska lo vide poi mentre stava pregando. Il vecchio doveva sapere a memoria moltissime preghiere, perch stette a lungo davanti all'icona a bisbigliare. Finito di pregare, fece il segno di croce alle finestre, alla porta, a Egoru4(14)ska, a Ivan Ivany4(14)c, si coric senza guanciale su un piccolo divano e si copr con il caffettano. In corridoio un pendolo suon le dieci. Egoru4(14)ska ricord che restava ancora molto tempo sino a mattina, per la tristezza appoggi la fronte allo schienale e non tent pi di sottrarsi ai sogni confusi e opprimenti. Ma si fece mattina molto prima di quanto avesse pensato. Gli pareva di non aver dormito a lungo dopo aver appoggiato la fronte allo schienale del divano, ma, quando ebbe aperto gli occhi, da entrambe le finestre della cameretta i raggi di sole obliqui si protendevano gi verso il pavimento. Padre Christofor eIvan Ivany4(14)c non c'erano. La stanzetta era stata rassettata, era chiara, comoda, e si sentiva l'odore di padre Christofor, che emanava sempre un profumo di cipresso e di fiordalisi disseccati (a casa con i fiordalisi faceva degli aspersori e degli addobbi per le cornici delle icone, per questo era impregnato del loro profumo). Egoru4(14)ska guard il guanciale, i raggi obliqui, i propri stivali, che ora erano ben spazzolati ed erano accanto al divano, e si mise a ridere. Gli pareva strano di non trovarsi sulla balla, che attorno tutto fosse asciutto e che sul soffitto non ci fossero lampi e tuoni. Scese con un balzo dal divano e cominci a vestirsi. Si sentiva in perfetta forma; del malessere del giorno prima restava solo una leggera debolezza alle gambe e al collo. Quindi, l'olio e l'aceto erano serviti. Gli tornarono in mente il battello a vapore, la locomotiva e l'ampio fiume che aveva visto confusamente il giorno innanzi, e ora si affrett a vestirsi per poi correre allo scalo e guardarli. Mentre stava indossando la camicia di tela rossa, dopo essersi lavato, all'improvviso la serratura nella porta scatt e sulla soglia comparve padre Christofor con il suo cilindro, il pastorale e una veste talare di seta marrone sopra il caffettano di tela grossa. Sorridente e raggiante (i vecchi, appena tornati dalla chiesa, sono sempre raggianti), depose sul tavolo il pane consacrato e un involto, disse una preghiera e aggiunse: "Dio stato

misericordioso! Dunque, come va la salute?". "Adesso bene" rispose Egoru4(14)ska baciandogli la mano. "Grazie a Dio... Torno da messa... Mi sono incontrato con il mio conoscente sagrestano. Mi ha invitato a casa sua a prendere il t, ma non ci sono andato. Non mi piace andare in visita di buon mattino. Che Dio sia con loro!" Si tolse la veste talare, si accarezz il petto e senza fretta disfece l'involto. Egoru4(14)ska vide un barattolino di caviale, un pezzetto di balyk (15) e un pane francese. "Ecco, sono passato vicino alla bottega del pesce fresco e ho comprato qualcosa" disse padre Christofor. "Nei giorni feriali non ci sarebbe motivo di scialare, ma, pensai, a casa c' un malato, quindi la cosa perdonabile. E il caviale buono, di storione..." L'uomo in camicia bianca port il samovar e il vassoio con i piatti. "Mangia" disse padre Christofor spalmando del caviale su una fettina di pane e porgendola a Egoru4(15)ska. "Adesso mangia e divertiti, poi verr il tempo che studierai. Ma bada, studia con attenzione e diligenza, da trarne profitto. Quello che si deve studiare a memoria, studialo a memoria, e quando si deve raccontare con le proprie parole il senso, senza badare alla forma esteriore, dillo con parole tue. E cerca di far s di apprendere tutte le materie. C' chi conosce la matematica alla perfezione ma non ha mai sentito parlare di Petr Mogila, c' chi conosce Petr Mogila, ma non pu dir nulla della luna. No, tu studia in modo tale da capire tutto! Impara il latino, il francese, il tedesco... la geografia, ovviamente la storia, la teologia, la filosofia, la matematica... E quando avrai imparato tutto, senza fretta, ma pregando e con zelo, allora trovati un impiego. Quando saprai tutto, qualsiasi strada ti torner facile. Bada solo a studiare e ad assimilare ogni bene divino, e sar poi Dio a indicarti chi devi diventare. Dottore, giudice, ingegnere..." Padre Christofor spalm su un pezzettino di pane un po' di caviale, se lo mise in bocca e disse: "L'apostolo Paolo dice: "Non accostatevi agli studi strani e diversi". Certo, se si imparano la magia nera, le eresie, oppure a evocare gli spiriti dall'altro mondo come Saul, oppure quelle scienze dalle quali non si trae alcun giovamento n per s n per gli altri, allora meglio non studiare. Si deve accettare solo ci che Dio ha benedetto. Conformati a ci... I santi apostoli parlavano in tutte le lingue, e tu studia le lingue; Basilio il Grande studiava matematica e filosofia, e tu studiale; san Nestore redigeva la storia, e tu studia e redigi la storia. Conformati ai santi...". Padre Christofor sorseggi dal piattino, si asciug i baffi e scroll il capo. "Bene!" disse. "Io sono stato istruito alla vecchia maniera, ho gi dimenticato molto, comunque vivo in modo diverso rispetto agli altri. E non si pu neanche fare il confronto. Per esempio, talvolta nella buona societ, a pranzo oppure a qualche riunione, capita di dire qualcosa in latino, oppure di storia, o di filosofia; alle persone fa piacere, e fa piacere anche a me... Oppure anche quando giunge il tribunale del circondario e si deve procedere al giuramento; tutti gli altri preti hanno soggezione, mentre io ho un rapporto di familiarit con i giudici, con i procuratori e con gli avvocati: parlo in modo forbito, prendo il t con loro, scherzo, chiedo chiarimenti su ci che non so... E a loro fa piacere. Quindi, fratello... L'istruzione luce, mentre l'ignoranza tenebra. Studia! Certo, difficile: in questi tempi studiare costa caro... La tua mamma vedova, vive della pensione, ma vedi..." Padre Christofor diede un'occhiata timorosa alla porta e prosegu sottovoce: "Ivan Ivany4(15)c ti aiuter. Non ti abbandoner. Figli

suoi non ne ha, e ti aiuter. Non temere". Assunse un'espressione seria e bisbigli a voce ancor pi bassa: "Ma tu bada, Georgij, che Dio ti protegga, non dimenticare la mamma e Ivan Ivany4(15)c. I comandamenti ordinano di rispettare la propria madre, mentreIvan Ivany4(15)c tuo benefattore e ti fa da padre. Se mai diverrai uno studioso e, che Dio non voglia, comincerai ad annoiarti e a disprezzare le persone per il semplice fatto che sono pi ignoranti di te, guai, guai a te!". Padre Christofor sollev la mano e ripet a voce bassa: "Guai! Guai a te!". Padre Christofor si era infervorato e, come si dice, ci aveva preso gusto; non avrebbe terminato per pranzo, ma la porta si apr ed entr IvanIvany4(15)c. Lo zio salut in fretta, si sedette al tavolo e cominci a trangugiare velocemente il t. "Dunque, ho sistemato tutte le faccende" disse. "Si potrebbe tornare a casa oggi stesso, ma c' ancora la questione di Egoru4(15)ska. Bisogna trovargli una sistemazione. Mia sorella ha detto che qui, da qualche parte, vive una sua amica, Nasta4(15)sja Petrovna; quindi, forse lei lo prender con s a casa sua." Frug nel portafoglio, ne trasse una lettera sgualcita e lesse: ""Nasta4(15)sja Petrovna Toskunova, via Malaja Ni4(15)znjaja, casa propria". Bisogner andare a cercarla subito. Quante preoccupazioni!". Subito dopo aver bevuto il t,Ivan Ivany4(15)c ed Egoru4(15)ska uscivano dalla locanda. "Quante preoccupazioni!" borbottava lo zio. "Ti sei appiccicato a me come una lappola, va' un po' con Dio! A voi l'istruzione e la nobilt, a me da voi solo dei tormenti..." Quando attraversarono il cortile, non c'erano pi i carri e i carrettieri; sin dalla mattina presto erano andati tutti allo scalo. Nell'angolo pi lontano del cortile bruneggiava il noto calesse; accanto a esso stavano i cavalli bai e mangiavano l'avena. "Addio, calesse!" pens Egoru4(15)ska. Dapprima dovettero salire a lungo per un viale sulla collina, poi dovettero attraversare la grande piazza del mercato; qui Ivan Ivany4(15)c si inform da un poliziotto dove si trovasse la via Malaja Ni4(15)znjaja. "Caspita!" ridacchi il poliziotto. "E' lontano, laggi, dalla parte del pascolo!" Per strada venivano loro incontro le carrozze di piazza, ma una tale debolezza, come una corsa in vettura di piazza, lo zio se la permetteva solo in casi eccezionali e in occasione di grandi solennit. Lui ed Egoru4(15)ska camminarono a lungo per le vie selciate, poi per strade dove c'erano solo marciapiedi e senza selciato, e alla fine in strade dove non c'erano n selciato n marciapiede. Quando gambe e lingua li ebbero condotti alla via Malaja Ni4(15)znjaja, erano entrambi rossi e, toltosi il cappello, si asciugarono il sudore. "Mi potrebbe dire, per favore,"Ivan Ivany4(15)c si rivolse a un vecchio seduto su una panchina presso un portone "dove si trova qui la casa di Nasta4(15)sja Petrovna Toskunova?" "Qui non c' nessuna Toskunova" rispose il vecchio dopo aver riflettuto. "Forse Timo4(15)senko?" "No, Toskunova..." "Scusate, non c' nessuna Toskunova..." Ivan Ivany4(15)c alz le spalle e and oltre. "Non state a cercare!" gli url dietro il vecchio. "Se dico che non c', non c'!" "Senti, zietta," si rivolse Ivan Ivany4(15)c a una vecchia che vendeva semi di girasole e pere a una bancarella all'angolo "dove si

trova qui la casa di Nasta4(15)sja Petrovna Toskunova?" La vecchia lo guard stupita e si mise a ridere. "Perch, Nasta4(15)sja Petrovna adesso abita a casa propria?" chiese. "O Signore, sono gi otto anni che ha dato la figlia in sposa e ha ceduto la casa al genero! Adesso ci abita il genero." E i suoi occhi dicevano: "Come fate voi, ignoranti, a non sapere una simile bazzecola?". "E dove abita adesso?" chiese Ivan Ivany4(15)c. "O Signore!" si stup la vecchia, battendo le mani. "E' gi da tempo che vive in un appartamento! Sono ormai otto anni che ha lasciato la casa al genero. Che dite!" Probabilmente si aspettava che anche Ivan Ivany4(15)c si stupisse ed esclamasse: "Non pu essere!", ma questi chiese con calma: "Dunque, dove il suo appartamento?". La venditrice si rimbocc le maniche e, indicando con il braccio nudo, si mise a gridare con una voce acuta e penetrante: "Andate sempre dritto, dritto, dritto... Quando avrete passato una casetta rossiccia, l sulla sinistra ci sar un vicoletto. Andate in questo vicoletto e guardate il terzo portone a destra...". Ivan Ivany4(15)c ed Egoru4(15)ska giunsero alla casetta rossa, svoltarono a sinistra nel vicolo e si diressero al terzo portone a destra. Da entrambi i lati di questo portone grigio, molto vecchio, si allungava una palizzata grigia con ampie fessure; la parte destra della palizzata si inclinava fortemente in avanti e minacciava di cadere, quella sinistra pendeva indietro verso il cortile; il portone, invece, stava diritto e pareva che stesse scegliendo da che parte fosse pi comodo crollare, in avanti o all'indietro.Ivan Ivany4(15)c apr il cancello e con Egoru4(15)ska vide un grande cortile coperto di erbaccia e di lappola. A cento passi dal portone si trovava una casetta dal tetto rosso e le imposte verdi. Una donna robusta, con le maniche rimboccate e il grembiule sollevato, stava in mezzo al cortile, spargeva qualcosa per terra e gridava con la stessa voce penetrante e sottile della venditrice: "Pio!... pio! pio!". Dietro di lei era accucciato un cane rossiccio con le orecchie a punta. Visti gli ospiti, corse al cancello e si mise ad abbaiare con tono da tenore (tutti i cani rossicci abbaiano con tono da tenore). "Chi state cercando?" grid la donna, facendosi schermo dal sole con la mano. "Buongiorno!" le url a sua volta Ivan Ivany4(15)c, scacciando con il bastone il cane rossiccio. "Mi dica, per favore, vive qui Nasta4(15)sja Petrovna Toskunova?" "S, vive qui! Che cosa volete da lei?" Ivan Ivany4(15)c ed Egoru4(15)ska le si avvicinarono. Ella li guard sospettosa e ripet: "Che cosa volete da lei?". "Siete forse voi Nasta4(15)sja Petrovna?" "Ebbene, sono io!" "Molto piacere... Vede, vi porto i saluti di una vostra amica di vecchia data, O4(15)lga Ivanovna Knjazeva. Questo il suo figliolo. Io, forse ve ne ricordate, sono suo fratello, Ivan Ivany4(15)c... Voi siete della nostra citt, di N... A N' siete nata e vi siete sposata..." Si fece silenzio. La donna robusta fiss attonita Ivan Ivany4(15)c, come se non gli credesse o non lo capisse, poi arross tutta e batt le mani; dal grembiule cadde l'avena, dagli occhi sgorgarono le lacrime. "O4(15)lga Ivanovna!" lanci uno strillo, respirando a fatica per la commozione. "La mia cara colombella! Ah, misericordia, e cosa me ne sto io, come una sciocca, qui in piedi? Il mio bell'angioletto..." Abbracci Egoru4(15)ska, gli inumid il viso con le lacrime e scoppi definitivamente a piangere.

"Signore!" disse, torcendosi le mani. "Il figliolo di Ole4(15)cka! Che gioia! E' tutto sua madre! E' identico a sua mamma! Ma cosa fate l in piedi in cortile? Prego, accomodatevi in casa!" Piangendo, ansimando e parlando mentre camminava, si affrett verso casa; gli ospiti la seguivano piano. "La casa non in ordine!" diceva, mentre introduceva gli ospiti in una piccola sala afosa, tutta stipata di icone e di vasi di fiori. "Ah, Madre di Dio! Vasilisa, vieni almeno ad aprire le imposte! Il mio angioletto! Bellezza mia! Io neanche sapevo che O4(15)lga avesse un tale figliolo!" Quando si fu calmata e si fu abituata agli ospiti, Ivan Ivany4(15)c la invit a parlare in disparte. Egoru4(15)ska pass in un'altra stanzetta; qui c'era una macchina per cucire, alla finestra era appesa una gabbietta con uno stornello e c'erano altrettante icone e altrettanti fiori che in sala. Vicino alla macchina per cucire stava immobile una bambina abbronzata, con le guance paffute come quelle di Tit, che indossava un vestitino lindo di indiana. Guardava Egoru4(15)ska senza batter ciglio e, a quanto pare, si sentiva molto a disagio. Egoru4(15)ska la guard, stette un poco in silenzio e chiese: "Come ti chiami?". La bambina mosse le labbra, assunse un'espressione piagnucolosa e rispose piano: "A4(15)tka...". Significava: Ka4(15)tka. "Potrebbe vivere da voi," mormorava in sala Ivan Ivany4(15)c "se voi sarete cos buona; noi vi pagheremo dieci rubli al mese. Non un bambino viziato, tranquillo..." "Non so proprio che dirvi, IvanIvany4(15)c!" sospirava piagnucolando Nasta4(15)sja Petrovna. "Dieci rubli sono una cifra considerevole, ma tenere un bambino altrui fa paura! Se all'improvviso si ammala, o..." Quando chiamarono Egoru4(15)ska di nuovo in sala, Ivan Ivany4(15)c era gi in piedi con il cappello in mano e stava prendendo commiato. "Allora! Per ora, quindi, rimarr da voi" disse. "Addio! Rimani qui, Egor!" fece, rivolgendosi al nipote. "Non fare birichinate, ubbidisci a Nasta4(15)sja Petrovna... Addio! Verr ancora domani." E se ne and. Nasta4(15)sja Petrovna abbracci ancora una volta Egoru4(15)ska, lo chiam angioletto e, con le lacrime sul viso, si mise ad apparecchiare la tavola. Tre minuti dopo Egoru4(15)ska era gi seduto al suo fianco, rispondeva alle sue interminabili domande e mangiava un denso e bollente 4(15)s4(15)ci. La sera stava di nuovo seduto allo stesso tavolo e, appoggiata la testa sulla mano, ascoltava Nasta4(15)sja Petrovna. Questa, ora ridendo, ora piangendo, gli raccontava della giovent di sua madre, del proprio matrimonio, dei figli... Un grillo trillava nella stufa e, appena percettibile, il cannello della lampada sibilava. La padrona di casa parlava a bassa voce e dall'emozione faceva continuamente cadere il ditale, mentre Katja, sua nipote, si piegava a cercarlo sotto il tavolo e ogni volta restava a lungo seduta sotto il tavolo, probabilmente a guardare i piedi di Egoru4(15)ska. EdEgoru4(15)ska ascoltava, sonnecchiava ed esaminava il viso della vecchia, il suo porro con i peletti, le righette delle lacrime... E si sentiva triste, tanto triste! A dormire lo sistemarono su un baule e lo avvertirono che, se di notte gli fosse venuta fame, egli stesso poteva uscire nel piccolo corridoio e prendere sulla finestra il pollo coperto da un piatto. Il giorno dopo, di mattina, Ivan Ivany4(15)c e padre Christofor vennero ad accomiatarsi. Nasta4(15)sja Petrovna se ne rallegr e stava gi per accendere il samovar, ma Ivan Ivany4(15)c, che era di gran fretta, agit la mano e disse: "Non abbiamo tempo di bere il t!

Andiamo via subito". Prima di accomiatarsi, tutti si sedettero e stettero un minuto in silenzio. (16) Nasta4(16)sja Petrovna sospir profondamente e con gli occhi bagnati dalle lacrime guard le immagini sacre. "Dunque," cominci Ivan Ivany4(16)c alzandosi "allora tu resti..." D'un tratto dal suo viso scomparve l'asciuttezza professionale, arross leggermente, sorrise triste e disse: "Bada di studiare... Non dimenticare tua madre e obbedisci a Nasta4(16)sja Petrovna... Se, Egor, studierai bene, non ti abbandoner". Trasse di tasca il borsellino, gli volt le spalle, frug a lungo tra gli spiccioli e, trovata una moneta da dieci copechi, la diede a Egoru4(16)ska. Padre Christofor sospir e, senza fretta, bened Egoru4(16)ska. "Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo... Studia" raccomand. "Applicati, fratello... Se morir, ricordami nelle tue preghiere. Ecco, prendi anche da me una monetina..." Egoru4(16)ska gli baci la mano e scoppi in lacrime. Qualcosa nell'anima gli aveva sussurrato che non avrebbe pi rivisto quel vecchio. "Nasta4(16)sja Petrovna, ho gi presentato la domanda al ginnasio" disseIvan Ivany4(16)c con una voce come se nella stanza ci fosse un defunto. "Il sette di agosto accompagnatelo all'esame... Allora, addio! Che Dio sia con voi. Addio, Egor!" "Prendete almeno una tazza di t!" gemette Nasta4(16)sja Petrovna. Attraverso le lacrime che gli avevano velato gli occhi Egoru4(16)ska non vide uscire lo zio e padre Christofor. Si gett alla finestra, ma nel cortile non c'erano pi e il cane rossiccio, che aveva appena abbaiato, stava correndo indietro dal portone con l'espressione di chi ha eseguito il proprio dovere. Egoru4(16)ska, senza sapere egli stesso a che pro, si lanci e corse fuori di casa. Quando fu fuori del portone, Ivan Ivany4(16)c e padre Christofor, agitando il primo il bastone con l'uncino, il secondo il pastorale, stavano gi svoltando l'angolo. Egoru4(16)ska sent che con queste persone era per lui scomparso per sempre, come fumo, tutto ci che aveva vissuto sino ad allora; si lasci cadere, spossato, su una panchina e salut con lacrime amare la vita nuova, sconosciuta, che stava ora cominciando per lui... Come sarebbe stata questa vita? NOTE: (14) Cos nel testo. (15) Pesce secco salato. (16) Secondo le credenze popolari, questo atto garantiva il ritorno, e quindi il futuro incontro, dei presenti. Le luci "Le luci" fu iniziato da 4(16)cechov nel febbraio 1888 dopo un breve intervallo che fece seguito alla fine della stesura de "La steppa". Nonostante sia piuttosto breve, la poves4(16)t fu terminata solo nell'aprile dello stesso anno, dopo numerosi rifacimenti che lasciarono intatti solo alcuni frammenti della stesura originaria, mentre il corpus fondamentale risultava completamente diverso. Fu pubblicata la prima volta sul N' 6 de "Il messaggero del nord" ("Severnyj Vestnik") del 1888. E' l'unica tra gli scritti pi lunghi della fine anni '80-inizio anni '90 a non essere stata inserita da 4(16)cechov in una raccolta di opere. Dietro la porta il cane si mise ad abbaiare in modo preoccupato. L'ingegnere Ana4(16)nev, lo studente von 4(16)stenberg, suo aiutante,

e io uscimmo dalla baracca a guardare. Ero ospite nella baracca e sarei potuto non uscire ma, devo ammettere, per il vino bevuto mi girava un poco la testa e fui lieto di prendere una boccata d'aria fresca. "Non c' nessuno..." disse Ana4(16)nev quando fummo fuori. "Perch menti,Azorka? Stupido!" Intorno non si vedeva anima viva. Lo stupido Azorka, un cane nero da cortile, probabilmente desideroso di scusarsi del suo vano abbaiare, si avvicin timidamente e scodinzol. L'ingegnere si pieg e lo tocc tra le orecchie. "Perch tu, bestia, abbai per niente?" chiese con il tono con cui le persone gentili parlano con i bambini e con i cani. "Hai fatto forse un brutto sogno? Ecco, dottore, raccomando alla vostra attenzione" disse rivolgendosi a me "un soggetto straordinariamente nervoso! Figuratevi: non sopporta la solitudine, ha sempre sogni terribili e soffre di incubi, e, quando si alza la voce, viene colto da una sorta di attacco isterico." "S, un cane delicato..." conferm lo studente. Azorka evidentemente cap che si stava parlando di lui; alz il muso e si mise a guaire con fare lamentoso, come volendo dire: "S, talvolta soffro in modo insopportabile, ma voi, per favore, scusatemi!". Era una notte d'agosto, stellata ma buia. Per il fatto di non essermi mai trovato in vita mia nella situazione singolare nella quale ero capitato ora per caso, questa notte stellata mi sembrava pi solitaria, pi ostile e pi buia di quanto lo fosse in realt. Mi trovavo sulla linea della ferrovia che avevano appena cominciato a costruire. L'alto terrapieno pronto per met, i mucchi di sabbia, argilla e pietrisco, le baracche, le fosse, le carriole sparse qua e l, i piatti rialzamenti sopra i rifugi interrati nei quali vivevano gli operai: tutta questa confusione, tinta dalle tenebre di un solo colore, conferiva alla terra una fisionomia strana, selvatica, che ricordava l'epoca del caos. In tutto ci che si trovava davanti a me c'era talmente poco ordine che in mezzo alla terra indecentemente scavata, dissimile da tutto, era quasi strano vedere le sagome delle persone e gli snelli pali telegrafici; sia le une che gli altri rovinavano l'insieme del quadro e non sembravano di questo mondo. C'era silenzio e si sentivano soltanto i fili del telegrafo ronzare la loro canzone monotona sopra le nostre teste, chiss dove, molto in alto. Ci arrampicammo sul terrapieno e dalla cima guardammo la terra. A una cinquantina di sagene da noi, l dove le buche, le fosse, i mucchi si fondevano stretti con le tenebre notturne, vacillava una luce fioca. Dietro a questa luccicava un'altra luce, dietro questa una terza, poi, retrocedendo di un centinaio di passi, luccicavano l'uno di fianco all'altro due occhi rossi, probabilmente le finestre di una qualche baracca, e una lunga fila di luci simili, sempre pi fitte e pi tenui, si stendeva lungo la linea ferroviaria sino all'orizzonte, poi voltava a semicerchio a sinistra e scompariva nelle lontane tenebre. Le luci erano immobili. In esse, nella quiete notturna e nella canzone monotona del telegrafo, si avvertiva qualcosa in comune. Sembrava che sotto il terrapieno fosse sepolto un mistero importante, ed esso fosse noto solo alle luci, alla notte e ai cavi... "Che magnificenza, Signore!" sospir Ana4(16)nev. "Quanto spazio e quanta bellezza, a iosa! E che terrapieno! Questo, caro mio, non un terrapieno, ma un vero e proprio Monte Bianco! Costa milioni..." Incantato dalle luci e dal terrapieno che costava milioni, ebbro di vino e incline ai sentimenti, l'ingegnere batt sulla spalla dello studente von 4(16)stenberg e prosegu in tono faceto: "Come mai,

Michajlo Michajly4(16)c, vi siete impensierito? E' vero che gradevole guardare ci che si fatto con le proprie mani? L'anno scorso in questo stesso posto c'era la nuda steppa, non c'era anima viva, e ora guardate: vita, civilt! E come tutto bello, come vero Dio! Noi costruiamo la ferrovia, e dopo di noi, fra circa cento o duecento anni, della brava gente costruir qui fabbriche, scuole, ospedali e... la macchina si metter in moto!". Lo studente stava immobile, con le mani in tasca, e non staccava gli occhi dalle luci. Non stava ascoltando l'ingegnere, pensava e probabilmente provava quello stato d'animo di quando non si ha voglia n di parlare n di ascoltare. Dopo un lungo silenzio si volt verso di me e disse piano: "Sapete a che cosa somigliano queste luci sterminate? Destano in me l'immagine di qualcosa scomparso molto tempo fa, vissuto migliaia di anni fa, qualcosa di simile agli accampamenti degli amaleciti o dei filistei. Come se qualche popolo del Vecchio Testamento si fosse accampato e aspettasse il mattino per combattere con Saul o Davide. Perch l'illusione sia completa mancano solo gli squilli di tromba e i richiami delle sentinelle in qualche lingua etiopica". "E' possibile..." assent l'ingegnere. E, come a farlo apposta, il vento corse lungo la linea e port un suono simile allo sferragliare d'armi. Si fece silenzio. Non so a cosa stessero pensando ora l'ingegnere e lo studente, ma gi mi sembrava di vedere realmente davanti a me qualcosa scomparso tanto tempo fa e di sentire persino le sentinelle parlare in qualche lingua incomprensibile. La mia immaginazione si affrettava a disegnare tende, persone strane, i loro abiti, le armature... "S" borbott lo studente riflettendo. "Un tempo in questo mondo vivevano i filistei e gli amaleciti, guerreggiavano, erano importanti, ma ora persino le loro tracce sono scomparse. Cos accadr anche con noi. Adesso costruiamo la ferrovia, stiamo qui e filosofeggiamo, ma passeranno due millenni e di questo terrapieno e di tutta questa gente che ora dorme dopo il duro lavoro non rester nemmeno la polvere. In sostanza, spaventoso!" "Ma voi smettetela con questi pensieri..." esort l'ingegnere in tono serio e didattico. "Perch?" "Perch s... Con tali pensieri si pu terminare la propria vita, ma non cominciarla. Siete ancora troppo giovane per essi." "Ma perch?" ripet lo studente. "Tutti questi pensieri sulla precariet e sulla nullit, sulla vanit della vita, sulla ineluttabilit della morte, sulle tenebre dell'oltretomba e cos via, tutti questi pensieri elevati, dico io, anima mia, sono buoni e consueti nella vecchiaia, quando risultano essere il frutto di un lungo lavoro interiore, di molte sofferenze e costituiscono realmente una ricchezza intellettuale; per una giovane mente che comincia appena la propria vita indipendente sono solo una disgrazia! Una disgrazia!" ripet Ana4(16)nev e fece un gesto con la mano. "Secondo me alla vostra et meglio non avere affatto la testa sulle spalle che ragionare in questo modo. Vi parlo seriamente, barone. E gi da tempo volevo parlarvene, poich sin dal primo giorno della nostra conoscenza notai la vostra predilezione per tali pensieri maledetti." "Dio mio, e perch mai sono maledetti?" chiese sorridendo lo studente, e dalla voce e dall'espressione del viso era evidente che rispondeva per sola cortesia e che la discussione iniziata dall'ingegnere non lo interessava affatto. Gli occhi mi si chiudevano. Sognavo che subito dopo la passeggiata ci saremmo augurati la buona notte e saremmo andati a dormire, ma il mio sogno non si realizz tanto in fretta. Quando tornammo alla

baracca, l'ingegnere mise le bottiglie vuote sotto il letto, ne prese due piene dalla grande cassa di vimini e, stappatele, si sedette al suo tavolo da lavoro con l'intenzione palese di continuare a bere, a parlare e a lavorare. Sorseggiando dal bicchiere, tracciava dei segni con la matita su alcuni disegni e proseguiva nel dimostrare allo studente che questi ragionava in modo sconveniente. Lo studente era seduto al suo fianco, verificava dei conti e taceva. Come me, non aveva voglia n di parlare n di ascoltare. Io, per non disturbare il loro lavoro e aspettando ogni minuto che mi proponessero di andare a dormire, ero seduto in disparte rispetto al tavolo, sulla branda dalle gambe storte dell'ingegnere, e mi annoiavo. Era gi passata la mezzanotte. Non sapendo cosa fare, osservavo i miei nuovi conoscenti. Non avevo mai visto prima n Ana4(16)nev, n lo studente, e avevo fatto la loro conoscenza solo la notte qui descritta. A tarda sera, dalla fiera, stavo tornando a cavallo dal proprietario fondiario presso il quale ero ospite; per le tenebre capitai sulla strada sbagliata e mi smarrii. Aggirandomi nei pressi della linea ferroviaria e vedendo che la notte buia si faceva pi fitta, mi ricordai della "ferraglia scalza" che assale il viaggiatore a piedi e a cavallo, mi venne paura e bussai alla prima baracca incontrata. Qui fui accolto cordialmente da Ana4(16)nev e dallo studente. Come capita alle persone fra loro estranee e incontratesi per caso, facemmo conoscenza e amicizia rapidamente, e, prima bevendo il t, poi il vino, ci sentivamo gi come se ci conoscessimo da molti anni. Dopo un'oretta sapevo gi chi fossero e come il destino li avesse portati dalla capitale alla remota steppa, ed essi sapevano chi ero io, di che cosa mi occupavo e come pensavo. L'ingegnere Ana4(16)nev, Nikolaj Anasta4(16)sevi4(16)c, era robusto, largo di spalle e, a giudicare dall'aspetto, cominciava gi, come Otello, a "discendere nella valle della maturit" e a ingrassare troppo. Si trovava proprio in quel periodo che le pronube definiscono dell'"uomo nel pieno delle forze", ovvero non era n giovane, n vecchio, gli piaceva mangiar bene, bere e lodare il passato, ansimava leggermente quando camminava, nel sonno russava forte e nel modo di rivolgersi a chi lo circondava mostrava gi quell'affabilit imperturbabile che acquisiscono le persone oneste quando raggiungono i gradi di ufficiale di stato maggiore e cominciano a ingrassare. I capelli e la barba erano ancora lontani dall'essere grigi, ma egli involontariamente, senza farci egli stesso caso, chiamava con condiscendenza i giovani "anima mia" e si sentiva quasi in diritto di far loro benevolmente la ramanzina per il loro modo di pensare. I suoi gesti e la sua voce erano tranquilli, leggiadri, decisi, come di persona che sa perfettamente di aver gi imboccato la strada giusta, di avere un lavoro giusto, un giusto tozzo di pane, un giusto punto di vista sulle cose... Il suo volto abbronzato dal grosso naso e il collo muscoloso parevano dire: "Io sono sazio, sano, soddisfatto di me stesso, e verr il giorno in cui anche voi, giovani, sarete sazi, sani e soddisfatti di voi stessi...". Indossava una camicia di indiana con il colletto sghembo e degli ampi pantaloni di tela infilati in grandi stivali. Da alcune minuzie quali, per esempio, la cintura colorata di lana grossa, il colletto ricamato e la toppa sul gomito, potei indovinare che era sposato e, molto probabilmente, teneramente amato dalla moglie. Il barone von 4(16)stenberg, Michail Michajlovi4(16)c, studente dell'istituto delle vie di comunicazione, era giovane, di ventitr-ventiquattro anni. Solo i capelli castano chiari e la barbetta rada, forse anche una certa rozzezza e asciuttezza dei tratti del viso ricordavano la sua discendenza da baroni baltici, mentre tutto il resto, il nome, la fede, i pensieri, le maniere e

l'espressione del viso, era tipicamente russo. Vestito come Ana-4(16)nev, con una camicia di indiana fuori dai pantaloni e grandi stivali, leggermente curvo, con i capelli che da tempo non tagliava, abbronzato, egli somigliava non a uno studente, non a un barone, ma a un comune apprendista russo. Parlava e si muoveva poco, il vino lo beveva malvolentieri, senza gusto, controllava i conti macchinalmente e sembrava che pensasse sempre a qualcosa. Anche i suoi movimenti e la sua voce erano tranquilli e leggiadri, ma la sua calma era di tutt'altro tipo rispetto a quella dell'ingegnere. Il viso abbronzato, leggermente beffardo, pensieroso, gli occhi che osservavano un poco di traverso e tutta la persona esprimevano calma d'animo, pigrizia cerebrale... Guardava in tal modo come se gli fosse assolutamente indifferente che davanti a lui bruciasse o no un incendio, che il vino fosse gradevole oppure disgustoso, che i conti che controllava fossero esatti o no... E sul suo viso intelligente, tranquillo leggevo: "Per ora non vedo nulla di buono nell'avere un lavoro giusto, un giusto tozzo di pane, un giusto punto di vista sulle cose. Sono tutte sciocchezze. Ero a Pietroburgo, ora mi trovo qui nella baracca, in autunno partir da qui nuovamente per Pietroburgo, poi in primavera verr di nuovo qui... Quale utile venga da tutto ci non lo so, e nessuno lo sa... Quindi, non c' niente di cui parlare...". Ascoltava l'ingegnere senza alcun interesse, con quella indifferenza altezzosa con la quale i cadetti delle classi superiori ascoltano il buon capocamera quando di buon umore. Sembrava che tutto ci che l'ingegnere diceva fosse per lui non nuovo e che, se egli stesso non fosse stato pigro a parlare, avrebbe detto qualcosa di pi nuovo e intelligente. Ana4(16)nev nel frattempo non la smetteva. Aveva gi abbandonato il tono bonario e scherzoso e parlava seriamente, persino con fervore, cosa che non si addiceva affatto alla sua espressione di tranquillit. A quanto pareva non era indifferente alle questioni astratte, gli piacevano, ma non era capace n era abituato a discuterne. E questa mancanza di abitudine si manifestava cos tanto nel suo modo di parlare che io non capii subito che cosa volesse. "Odio con tutta l'anima questi pensieri!" diceva. "Io stesso ne fui affetto da giovane, adesso non me ne sono ancora pienamente liberato e vi dir, forse perch sono stupido e questi pensieri non erano pane per i miei denti, che non mi recarono niente altro che del male. E' cos chiaro! I pensieri sulla vanit della vita, sulla nullit e sulla precariet del mondo visibile, sulla "vanit delle vanit" di Salomone costituivano e costituiscono ancora oggi il gradino superiore e ultimo nel campo del pensiero umano. Il pensatore giunge sino a questo livello e... la macchina si ferma! Non si pu andare oltre. Con questo termina l'attivit di un cervello normale, cosa naturale e nell'ordine delle cose. La nostra disgrazia sta nel fatto che noi cominciamo a ragionare proprio cominciando da questa fine. Noi cominciamo da ci con cui le persone normali terminano. Noi dall'inizio, appena il cervello comincia il suo lavoro indipendente, saliamo al suo gradino pi alto, finale e non vogliamo saperne dei gradini che si trovano pi in basso." "Che cosa c' di male in ci?" chiese lo studente. "Ma capite che questo non normale!" grid Ana4(16)nev, guardandolo quasi con cattiveria. "Se abbiamo trovato il modo di salire al gradino pi alto senza l'aiuto di quelli pi bassi, tutta la lunga scala, ovvero tutta la vita con i suoi colori, i suoi suoni e i suoi pensieri perde per noi ogni significato. Che alla vostra et un tale modo di pensare rappresenti un male e un'assurdit, lo potete capire da ogni passo della vostra vita assennata, indipendente. Supponiamo che in questo stesso minuto vi sediate a leggere Darwin o Shakespeare. Avete letto a malapena una pagina che il veleno comincia

gi a farsi sentire: e la vostra lunga vita, e Shakespeare e Darwin vi sembrano una banalit, un'assurdit, perch sapete che morirete, che anche Shakespeare e Darwin sono morti, che i loro pensieri non hanno salvato n loro stessi, n la terra, n voi, e se, quindi, la vita priva di senso, tutta questa erudizione, la poesia e i pensieri elevati risultano essere solo un divertimento inutile, un trastullo superfluo per bambini adulti. E voi interrompete la lettura alla seconda pagina. Ora, supponiamo che giungano da voi, in quanto persone intelligenti, alcuni e chiedano il vostro parere, per esempio, sulla guerra: se sia necessaria, morale o no? In risposta a questa domanda tremenda voi alzerete solo le spalle e vi limiterete a qualche luogo comune, perch per voi, per il vostro modo di ragionare, decisamente indifferente che centinaia di migliaia di persone muoiano di morte violenta o naturale: sia in uno che nell'altro caso i risultati sono gli stessi... cenere e oblio. Noi costruiamo la ferrovia. A che scopo, ci si chiede, dobbiamo scervellarci, inventare, sollevarci al di sopra della banalit, aver compassione degli operai, rubare o non rubare, se sappiamo che questa strada tra duemila anni si trasformer in polvere? E cos via, e cos via... Convenite che con questo modo infelice di pensare non possibile alcun progresso, n della scienza, n dell'arte, n dello stesso modo di pensare. Ci sembra di essere pi intelligenti della massa o di Shakespeare, ma in sostanza il nostro lavoro mentale si riduce a nulla, poich non abbiamo voglia di scendere ai gradini pi bassi, e su non si pu, cos il nostro cervello resta a un punto morto... n avanti, n indietro... Io rimasi sotto il giogo di questi pensieri circa sei anni e, giuro davanti a Dio, in tutto questo tempo non lessi nemmeno un libro decente, non divenni neanche un briciolo pi intelligente e non arricchii il mio codice morale di una sola lettera. Non questa una disgrazia? Inoltre, non solo avveleniamo noi stessi, ma avveleniamo la vita di chi ci circonda. Se almeno con il nostro pessimismo ci ritirassimo dalla vita, ce ne andassimo nelle caverne oppure ci affrettassimo a morire, ma noi, invece, ubbidienti alla legge comune, viviamo, sentiamo, amiamo le donne, educhiamo i bambini, costruiamo le strade!" "Dei nostri pensieri non interessa niente a nessuno..." disse lo studente malvolentieri. "No, questo voi... Ah, piantatela! Non avete ancora annusato la vita come si deve, e quando avrete vissuto tanto quanto me, caro mio, saprete quanto dura la vita! Il nostro modo di pensare non cos innocente come pensate. Nella vita pratica, nelle dispute con le persone conduce solo a orrori e sciocchezze. Mi capitato di vivere situazioni tali che non augurerei neppure a un cattivo tartaro." "Per esempio?" chiesi io. "Per esempio?" ripet l'ingegnere; riflett, sorrise e disse: "Per esempio, prendiamo pure questo caso. O meglio, non si tratta di un caso, ma di un intero romanzo con intreccio ed epilogo. Una lezione eccellente! Ah, che lezione!". Vers il vino a noi e a s, bevve, si carezz con le palme delle mani l'ampio petto e continu, rivolgendosi pi a me che allo studente: "Era l'estate dell'anno 187..., subito dopo la guerra e alla fine dei miei studi. Partii per il Caucaso e di passaggio mi fermai cinque giorni nella citt marittima di N'. Devo dirvi che in questa citt sono nato e cresciuto, perci non vi nulla di strano nel fatto che N' mi paresse insolitamente confortevole, accogliente e bella, sebbene a chi abita nella capitale la vita qui paia tanto noiosa e scomoda quanto in una 4cuchlom o Ka4sira qualsiasi. Passai con malinconia vicino al ginnasio dove avevo studiato, passeggiai con malinconia nel ben noto parco cittadino, feci un malinconico tentativo di vedere pi da vicino le persone che da tempo non vedevo,

ma che ricordavo... Tutto con malinconia... "A proposito, una sera mi recai alla cosiddetta Quarantena. E' un boschetto piccolo, spelacchiato, nel quale un tempo, nel periodo ormai dimenticato della peste, c'era stata veramente la quarantena, mentre ora vi abitano i villeggianti. Dalla citt si devono percorrere quattro verste su una piacevole strada liscia. Si viaggia e si vede: a sinistra il mare azzurro, a destra la cupa steppa infinita; si respira bene e gli occhi spaziano. Il boschetto stesso si trova sulla riva del mare. Congedato il cocchiere, entrai nel noto cancello e per prima cosa mi avviai lungo il viale verso il piccolo chiosco di pietra che mi piaceva da bambino. Per me questo chiosco rotondo, pesante, su delle colonne sgraziate, che univa in s il lirismo del vecchio monumento tombale e la rozzezza di Sobakevi4c, (1)l cos descritto: "E' noto che al mondo ci siano molte persone per rifinire le quali la natura non sottilizz molto, non utilizz alcuno strumento fine quale la lima, il succhiello e altro, ma spacc solo con tutta la propria forza; prese l'accetta una volta: ed ecco il naso, la prese una seconda: ecco le labbra, con una punta grande scav gli occhi e lo lasci libero nel mondo dopo aver detto: "vive!"".(1) era il cantuccio pi poetico di tutta la citt. Si trovava ai margini della riva, proprio sopra il pendio, e da esso si aveva una vista perfetta sul mare. "Mi sedetti su una panchina e, sportomi dal parapetto, guardai in basso. Dal chiosco lungo la riva scoscesa, quasi a strapiombo, vicino ai massi di argilla e alla lappa correva un sentiero; l dove esso terminava, lontano in basso presso il litorale sabbioso, piccole onde schiumavano pigramente e facevano soavemente le fusa. Il mare era altrettanto imponente, infinito e burbero di sette anni prima, quando, terminato il ginnasio, partii dalla citt natia per la capitale; in lontananza c'era una piccola striscia scura di fumo: era un battello a vapore che passava e, oltre a questa righetta appena visibile e immobile e ai gabbiani che balenavano sull'acqua, non c'era nient'altro che ravvivasse il quadro monotono del mare e del cielo. A destra e a sinistra del chiosco si stendevano le rive argillose e irregolari... "Sapete, quando qualcuno si sente triste e resta da solo con il mare, oppure in genere con un paesaggio che gli pare maestoso, per chiss quale ragione alla sua tristezza si mescola sempre la certezza che vivr e morr sconosciuto, ed egli di riflesso afferra la matita e si affretta a scrivere il proprio nome sulla prima cosa che gli capita. E' appunto per questo, probabilmente, che tutti i cantucci solitari, remoti, quali il mio chiosco, risultano essere sempre imbrattati dalle matite e incisi dai temperini. Come ora ricordo, osservando il parapetto, lessi: "L'R' (ovvero: lasci un ricordo) Ivan Koro4(1)lkov il 16 maggio 1876". Proprio di fianco a Koro4(1)lkov appose la propria firma qualche sognatore del luogo, che aggiunse anche: "Sulla riva delle onde deserte stava lui, pieno di pensieri elevati". (2)skin.(2) Anche la sua calligrafia era da sognatore, indolente come seta bagnata. Un certo Kross, probabilmente una persona molto piccola e insignificante, sent cos forte la propria nullit che dette piena libert al proprio temperino e incise il proprio nome con lettere profonde, alte una versta. Io macchinalmente trassi la matita di tasca e apposi anch'io la mia firma su una delle colonne. Del resto, tutto ci non riguarda la nostra questione... Scusatemi, ma non sono capace di raccontare in modo succinto. "Ero triste e anche un po' annoiato. La noia, la tranquillit e le fusa delle onde mi suggerirono poco per volta quel modo di pensare di cui abbiamo appena parlato. Allora, alla fine degli anni Settanta, esso cominciava a divenire di moda tra la gente e poi, all'inizio

degli anni Ottanta, cominci gradualmente a passare dalla gente alla letteratura, alla scienza e alla politica. A quel tempo non avevo pi di ventisei anni, ma sapevo gi perfettamente che la vita inutile e non ha alcun senso, che tutto inganno e illusione, che in sostanza e nei suoi risultati la vita in galera sull'isola Sachalin non differiva affatto dalla vita a Nizza, che la differenza tra il cervello di Kant e il cervello di una mosca non ha un significato sostanziale, che nessuno in questo mondo non n innocente, n colpevole, che sono tutte sciocchezze e inezie, e che vada tutto al diavolo! Vivevo ed era come se con ci facessi un favore a una forza misteriosa che mi obbligava a vivere: guarda, forza, non stimo per niente la mia vita, ma vivo! Ragionavo solo in una determinata direzione ma in tutti i modi possibili e sotto questo aspetto somigliavo a quel fine gastronomo che con le sole patate sapeva preparare centinaia di piatti squisiti. E' indubbio che io fossi parziale e in un certo modo persino limitato, ma allora mi pareva che il mio orizzonte mentale non avesse n principio n fine e che il mio pensiero fosse ampio come il mare. Bene, per quanto possa giudicare per me stesso, il modo di pensare di cui sto parlando qui contiene nella sua essenza qualcosa di coinvolgente, di narcotizzante, come il tabacco o la morfina. Esso diviene un'abitudine, una necessit. Si usa ogni minuto di solitudine e ogni occasione propizia per abbandonarsi alla volutt dei pensieri sull'inutilit della vita e sulle tenebre dell'oltretomba. Mentre ero seduto nel chiosco, lungo il viale passeggiavano posatamente dei bambini greci dai lunghi nasi. Utilizzai quest'occasione favorevole e, dopo averli squadrati, cominciai a fare pensieri del tipo: "A che scopo, sorge la domanda, questi bambini nascono e vivono? C' un senso qualsiasi nella loro esistenza? Cresceranno senza sapere essi stessi a che scopo, vivranno in questo angolo sperduto senza alcun motivo e moriranno...". "Provai persino stizza per quei bambini, per il loro camminare posato e il loro serio conversare, come se essi tenessero veramente in gran conto le proprie piccole vite insipide e sapessero perch vivono... Mi ricordo che lontano, alla fine del viale, comparvero tre figure femminili. Delle signorine giovani, una vestita in rosa, due in bianco, camminavano l'una di fianco all'altra, a braccetto, parlavano di qualcosa e ridevano. Mentre le accompagnavo con gli occhi, pensavo: "Sarebbe bello adesso, tanto per combattere la noia, avere un'avventura di un paio di giorni con qualche donna!". "A questo proposito mi ricordai di essere stato l'ultima volta dalla propria signora pietroburghese tre settimane addietro e pensai che un'avventura fugace sarebbe capitata adesso giusto a proposito. La signorina in mezzo, vestita di bianco, sembrava pi giovane e pi bella delle sue amiche e, a giudicare dalle maniere e dal riso, era una studentessa dell'ultimo anno di ginnasio. Non senza pensieri impuri guardavo il suo busto e allo stesso tempo pensavo di lei: "Studier musica e comportamento, si sposer con un qualche, perdonami Signore, greco dei monti Pindo, condurr un'esistenza grigia e stupida, senza scopo, metter al mondo, senza che nemmeno lei sappia per che cosa, un mucchio di bambini e morir. Che vita assurda!". "In genere, devo dirlo, ero un maestro nel combinare i miei pensieri elevati con la prosa pi volgare. I pensieri sulle tenebre dell'oltretomba non mi impedivano di pagare il debito tributo ai busti e alle gambe. Anche al nostro caro barone i pensieri elevati non impediscono affatto di recarsi la domenica a Vukolovka e di compiere l scorrerie da dongiovanni. A dirla francamente, per quanto ricordi, i miei rapporti con le donne erano dei pi offensivi. Ora, per esempio, nel ricordare la studentessa, sono arrossito dei miei pensieri di un tempo, ma allora la mia coscienza era perfettamente

tranquilla. Io, figlio di genitori nobili, cristiano, con istruzione superiore, di natura non cattivo e non stupido, non provavo il bench minimo fastidio quando pagavo alle donne, come dicono i tedeschi, il Blutgeld, oppure quando accompagnavo le studentesse con sguardi ingiuriosi... Il guaio che la giovinezza possiede i propri diritti, e il nostro modo di pensare in via di principio non ha niente contro questi diritti, che siano buoni o ripugnanti. Chi sa che la vita inutile e la morte inevitabile del tutto indifferente alla lotta contro la natura e al concetto di peccato: che tu lotti o non lotti, comunque morirai e scomparirai... In secondo luogo, signori miei, il nostro modo di pensare inculca persino nelle persone molto giovani il cosiddetto senno. In noi il predominio del senno sul cuore opprimente. Un sentimento spontaneo, l'ispirazione: tutto soffocato dall'analisi minuziosa. Dove c' il senno, c' freddezza, e le persone fredde, bisogna riconoscerlo, non conoscono la purezza. Questa virt nota solo a coloro che sono affettuosi, spontanei e capaci di amare. In terzo luogo, il nostro modo di pensare, negando il senso della vita, nega con ci anche il senso di ogni singola personalit. E' ovvio che, se nego la personalit di una qualsiasi Nata4(2)lja Stepanovna, per me assolutamente indifferente se essa sia offesa o no. Oggi ho offeso la sua dignit umana, le ho pagato il Blutgeld, e domani non mi ricordo pi di lei. "Dunque, stavo seduto nel chiosco e osservavo le signorine. Sul viale comparve ancora un'altra figura femminile con il capo biondo scoperto e uno scialle bianco lavorato a maglia sulle spalle. Passeggi lungo il viale, poi entr nel chiosco e, afferrato il parapetto, guard indifferente in basso e lontano sul mare. Entrando, non mi rivolse la minima attenzione, come se non mi avesse notato. La squadrai dai piedi al capo (non da capo ai piedi come si squadrano gli uomini) e stimai che era giovane, non aveva pi di venticinque anni, graziosa, ben fatta, con tutta probabilit non pi signorina e apparteneva alla categoria delle donne perbene. Era vestita come si soliti vestirsi in casa, ma alla moda e con gusto, come in genere si vestono a N' tutte le signore colte. ""Ecco, con questa mi piacerebbe fare amicizia..." pensai guardando la bella vita e le mani. "Niente male... Probabilmente la moglie di qualche Esculapio o di qualche insegnante di ginnasio..." Ma fare amicizia con lei, ovvero farla diventare l'eroina di uno di quei romanzi improvvisi di cui sono tanto avidi i turisti, era non facile e difficilmente possibile. Lo presentii guardandole attentamente il viso. Aveva un tale sguardo e una tale espressione come se il mare, il fumo lontano e il cielo le fossero da tempo venuti a noia e affaticassero la sua vista; pareva stanca, annoiata, pensava a qualcosa di triste e sul suo volto non c'era neppure quell'espressione vanitosa, forzatamente indifferente che capita quasi a ogni donna quando sente vicino a s la presenza di un uomo sconosciuto. "La biondina mi guard di sfuggita e con aria annoiata, si sedette sulla panchina e prese a riflettere su qualche cosa, e io dal suo sguardo capii che non la interessavo e che la mia fisionomia tipica della capitale non aveva suscitato in lei la bench minima curiosit. Decisi, comunque, di mettermi a parlare con lei e chiesi: "Signora, mi permetta di chiederle a che ora il tram a cavalli parte da qui per la citt?". ""Mi pare alle dieci o alle undici..." "Ringraziai. Ella mi guard alcune volte, e sul suo viso impassibile balen all'improvviso la curiosit, poi qualcosa di simile allo stupore... Mi affrettai ad assumere un'espressione d'indifferenza e una posa confacente: abbocca! Come se qualcosa l'avesse punta forte, all'improvviso si alz dalla panchina, sorrise

con dolcezza e, squadrandomi in fretta, chiese timidamente: "Ascolti, non siete per caso Ana4(2)nev?". ""S, sono Ana4(2)nev..." risposi. ""E voi non mi riconoscete? No?" "Rimasi un poco confuso, la guardai fisso e, vi potete immaginare, la riconobbi non dal viso, non dalla figura, ma dal sorriso timido, stanco. Era Nata4(2)lja Stepanovna, Kiso4(2)cka, come l'avevamo soprannominata, quella stessa di cui ero follemente innamorato sette-otto anni addietro, quando ancora portavo la divisa ginnasiale. Fatti di giorni da tempo passati, leggende di antichit remota... (3)skin.(3) "Mi ricordo come Kiso4(3)cka fosse una studentessa minuta, magrolina di quindici-sedici anni, quando rappresentava qualcosa che rientrava nel gusto ginnasiale, creato dalla natura appositamente per l'amore platonico. Che ragazza incantevole! Palliduccia, esile, snella; pareva che, se si fosse soffiato su di lei, sarebbe volata via come piuma nel cielo: volto timido, perplesso, manine piccole, capelli lunghi sino alla cintola, morbidi, vita sottile, da vespa; in breve, qualcosa di effimero, diafano, simile alla luce lunare, insomma, dal punto di vista dello studente ginnasiale, una bellezza indescrivibile... Ne ero innamorato... ecco! La notte non dormivo, scrivevo poesie... Alcune sere capitava che stesse seduta su una panchina del parco cittadino, e noi ginnasiali ci affollavamo attorno a lei e la contemplavamo con venerazione... In risposta a tutti i nostri complimenti, alle nostre pose e ai nostri sospiri, ella si rannicchiava nervosamente per l'umidit serale, socchiudeva gli occhi e sorrideva timidamente, e in quel momento somigliava terribilmente a un piccolo micetto carino; quando la contemplavamo, ognuno di noi provava il desiderio di vezzeggiarla e accarezzarla come si accarezza un gatto: da ci il soprannome di Kiso4(3)cka. (4) "Nei sette-otto anni in cui non ci eravamo visti, Kiso4(4)cka era molto cambiata. Si era fatta pi audace, pi robusta e aveva perduto del tutto la somiglianza con un tenero e morbido gattino. Non che i tratti del volto fossero invecchiati o appassiti, ma sembrava che si fossero appannati e fossero divenuti pi austeri, i capelli parevano pi corti, la statura maggiore, le spalle quasi due volte pi larghe, ma, cosa fondamentale, sul viso aveva gi quell'espressione materna e di rassegnazione quale capita alle donne perbene alla sua et e che prima io, ovviamente, non le avevo visto... Insomma, della precedente immagine ginnasiale e platonica di un tempo era rimasto solo il timido sorriso e nient'altro... "Parlammo a lungo. Saputo che ero gi ingegnere, Kiso4(4)cka se ne rallegr moltissimo. ""Che bella cosa!" disse, fissandomi allegramente negli occhi. "Ah, che bello! E come siete tutti bravi! Di tutta la nostra classe nessuno ha avuto una cattiva riuscita, si sono fatti tutti una posizione. Uno ingegnere, un altro dottore, un terzo insegnante, un quarto, dicono, ora un cantante famoso a Pietroburgo... Siete tutti, tutti bravi! Ah, che bello!" "Gli occhi di Kiso4(4)cka splendevano di gioia sincera e di benevolenza. Mi contemplava come una sorella maggiore oppure un'ex insegnante. E io guardavo il suo buon viso e pensavo: "Sarebbe bello oggi avere un'avventura con lei!". ""Vi ricordate, Nata4(4)lja Stepanovna," chiesi "quando una volta al parco cittadino vi portai un mazzo di fiori con un bigliettino? Leggeste il mio bigliettino e sul vostro viso si diffuse un tale imbarazzo..." ""No, non me lo ricordo" disse ridendo. "Ma mi ricordo che per me volevate sfidare a duello Florens..." ""E io questo, figuratevi, non me lo ricordo..."

""S, quel che stato, stato..." sospir Kiso4(4)cka. "Un tempo per voi ero un idolo, ma ora venuto il mio turno di guardarvi tutti dal basso in alto..." "Dalla conversazione successiva venni a sapere che Kiso4(4)cka, dopo circa due anni dalla fine del ginnasio, si era sposata con uno del luogo, mezzo greco e mezzo russo, che lavorava non so se in banca o in una societ di assicurazioni e che si occupava contemporaneamente del commercio di grano. Aveva un cognome bizzarro, qualcosa come Populaki o Skarandopulo... Il diavolo lo sa, l'ho dimenticato... In genere Kiso4(4)cka parlava di s poco e malvolentieri. Si parlava solo di me. Mi fece mille domande sull'universit, sui miei compagni, su Pietroburgo, sui miei progetti, e tutto ci che dicevo destava in lei viva gioia e la portava a esclamare: "Ah, che bello!". "Scendemmo verso il mare, passeggiammo sulla sabbia, poi, quando dal mare spir l'umidit della sera, risalimmo. Per tutto il tempo si parl di me e del passato. Passeggiammo sinch alle finestre delle dacie non cominciarono a spegnersi i riflessi del tramonto. ""Andiamo a casa mia a prendere un t" propose Kiso4(4)cka. "Il samovar sar gi da tempo sul tavolo... Sono a casa da sola" disse quando attraverso le fronde delle acacie comparve la sua dacia. "Mio marito sempre in citt e torna solo per la notte, e nemmeno ogni giorno, e io, devo ammetterlo, mi annoio da morire." "La seguivo, ammirando la sua schiena e le sue spalle. Mi faceva piacere che fosse sposata. Per le avventure fugaci le donne sposate sono un materiale pi adatto delle signorine. Mi faceva persino piacere che suo marito non fosse a casa... Ma nello stesso tempo sentivo che non ci sarebbe stata alcuna avventura... "Entrammo in casa. Le stanze di Kiso4(4)cka non erano grandi, con il soffitto basso, l'arredamento tipico della dacia (nella dacia al russo piace l'arredamento scomodo, massiccio, scialbo, che dispiace buttare e di cui non si sa che fare), ma da alcuni dettagli si poteva comunque notare che Kiso4(4)cka e suo marito non vivevano poveramente e che spendevano cinque-seimila rubli all'anno. Ricordo che, in mezzo alla stanza che Kiso4(4)cka defin sala da pranzo, c'era un tavolo rotondo chiss perch a sei gambe, su di esso il samovar e le tazze, e sul bordo del tavolo c'era un libro aperto, una matita e un quaderno. Gettai uno sguardo al libro e riconobbi l'eserciziario di aritmetica di Malinin e Burenin. Era aperto, come mi ricordo ancora adesso, ai "principi di scomposizione proporzionale". ""A chi fate lezione?" chiesi a Kiso4(4)cka. ""A nessuno..." rispose. "Sono io che cos... per la noia e non sapendo cosa fare ricordo i vecchi tempi, faccio degli esercizi." ""Avete figli?" ""Avevo un bambino, ma visse una settimana e mor." "Ci sedemmo a bere il t. Guardandomi con ammirazione, Kiso4(4)cka disse nuovamente della bellezza che io fossi ingegnere e quanto fosse lieta dei miei successi. E tanto pi parlava, tanto pi sinceramente sorrideva e si faceva pi forte in me la certezza che me ne sarei andato da lei a bocca asciutta. A quei tempi ero gi esperto di avventure e sapevo soppesare con precisione le possibilit di successo o di insuccesso. Potete contare senza esitare sul successo se date la caccia a una sciocca oppure a una cacciatrice di avventure e di sensazioni come voi stessi, oppure a una furbetta per la quale voi siete inconsueto. Ma se incontrate una donna abbastanza intelligente e seria, il viso della quale esprime stanca rassegnazione e benignit, che gioisce sinceramente della vostra presenza e, cosa fondamentale, vi rispetta, potete fare marcia indietro. In questo caso per avere successo ci vuole un periodo pi lungo di un solo giorno.

"Ma Kiso4(4)cka alla luce serale pareva ancora pi interessante che di giorno. Mi piaceva sempre di pi, e anch'io, a quanto pareva, le ero simpatico. E le circostanze erano le pi propizie per un'avventura: il marito non in casa, non si vede la servit, tutt'attorno tranquillo. Per quanto credessi poco in un successo, comunque decisi in ogni caso di iniziare l'attacco. Prima di tutto si doveva passare a un tono familiare e mutare l'umore lirico-serio di Kiso4(4)cka in un umore pi spensierato... ""Suvvia, Nata4(4)lja Stepanovna, cambiamo discorso" cominciai. "Parliamo di qualcosa di allegro... Prima di tutto permettetemi di chiamarvi come in passato Kiso4(4)cka." "Me lo permise. ""Ditemi, per favore, Kiso4(4)cka," proseguii "che razza di zanzara ha punto il gentilsesso locale? Che cosa gli successo? Prima tutte avevano un'alta moralit, erano virtuose, e ora, per carit, di chi non si chieda, se ne dicono delle cose che si ha timore per la persona in causa... Una signorina scappata con un ufficiale, un'altra scappata e ha trascinato con s uno studente ginnasiale, la terza, una signora, fuggita dal marito con un attore, una quarta ha lasciato il marito per un ufficiale, e cos via, e cos via... Una vera epidemia! A questo modo probabile che presto nella nostra citt non rimarr n una signorina, n una giovane moglie!" "Parlavo con un tono triviale, frivolo. Se in risposta Kiso4(4)cka si fosse messa a ridere, avrei continuato nel seguente modo: "Stia attenta, Kiso4(4)cka, che qui qualche ufficiale o qualche attore non vi rapisca!". Ella avrebbe abbassato gli occhietti e avrebbe detto: "A chi verrebbe in mente di rapire una come me? Ce ne sono di pi giovani e di pi belle..." e io le avrei detto: "Suvvia, Kiso4(4)cka, io per primo vi rapirei col massimo piacere!". E cos via in questo modo, e alla fin fine avrei avuto l'affare in tasca. Ma in risposta Kiso4(4)cka non si mise a ridere, al contrario, assunse un'espressione seria e sospir. ""Tutto ci che raccontano vero..." disse. "A scappare dal marito con un attore fu mia cugina Sonja. Certo, non sta bene... Ogni persona deve sopportare ci che le dato dal destino, ma io non le biasimo e non le condanno... Le circostanze talvolta sono pi forti dell'uomo!" ""E' cos, Kiso4(4)cka, ma quali circostanze hanno potuto generare un'intera epidemia?" ""E' molto semplice e comprensibile..." disse Kiso4(4)cka alzando le sopracciglia. "Qui da noi le ragazze e le donne colte non sanno assolutamente cosa fare. Non tutte possono partire per continuare gli studi oppure diventare insegnanti, in genere vivere di idee e di scopi come vivono gli uomini. Ci si deve sposare... Ma con chi? Voi ragazzi finite gli studi al ginnasio e ve ne andate a studiare all'universit per poi non tornare mai pi alla citt natale, e vi sposate in citt, ma le ragazze restano qui!... Con chi volete che si sposino? In assenza di uomini perbene, colti, sposano, Dio solo sa, dei mediatori o dei greci, che non sanno far altro che bere e far chiasso al circolo... Le ragazze si sposano cos, senza senso... Che vita ci pu essere dopo? Voi stesso lo capite: una donna colta ed educata vive con un uomo stupido, noioso; le capita di incontrare un uomo istruito, un ufficiale, un attore o un medico, si innamora, la vita le diventa insopportabile e allora fugge dal marito. E non la si pu biasimare!" ""Se cos, Kiso4(4)cka, perch sposarsi?" domandai io. ""Ovvio," sospir Kiso4(4)cka "ma a ogni ragazza pare che sia meglio avere un marito qualsiasi piuttosto di niente... In generale, Nikolaj Anasta-4(4)sevi4(4)c, qui si vive male, molto male! Si soffoca quando si ragazze, e si soffoca quando si sposate...

Ridono di Sonja perch scappata, per di pi con un attore, ma se dessero un'occhiata nella sua anima non riderebbero..."" Dietro la porta Azorka si mise di nuovo ad abbaiare. Ringhi con cattiveria contro qualcuno, poi ulul malinconicamente e si butt con tutto il corpo contro la parete della baracca... Il viso di Ana4(4)nev fece una smorfia di pena; interruppe il racconto e usc. Per un paio di minuti lo si sent che confortava il cane dietro la porta: "Che cane buono! Povero cane!". "Al nostro Nikolaj Anasta4(4)si4(4)c piace chiacchierare" disse von 4(4)stenberg ridacchiando. "E' una brava persona!" aggiunse dopo un certo silenzio. Tornato alla baracca, l'ingegnere vers del vino nei nostri bicchieri e, sorridendo, accarezzandosi il petto, prosegu: "Cos il mio attacco non riusc. Non c'era niente da fare. Lasciai i miei pensieri impuri per un'occasione pi favorevole, mi rassegnai all'insuccesso e, come si dice, lasciai perdere. Non solo, sotto l'influsso della voce di Kiso4(4)cka, dell'aria serale e della quiete, io stesso poco per volta mi abbandonai a uno stato d'animo quieto, lirico. Ricordo che ero seduto in poltrona presso la finestra spalancata e guardavo gli alberi e il cielo fattosi buio. Le sagome delle acacie e dei tigli erano le stesse di otto anni prima; come allora, durante l'infanzia, chiss dove lontano strimpellava un pianoforte stonato, la gente aveva sempre la stessa abitudine di passeggiare lungo i viali avanti e indietro, ma le persone non erano quelle. Lungo i viali non passeggiavamo pi n io, n i miei compagni, n gli oggetti della mia passione, ma degli studenti estranei, delle signorine estranee. E mi sentii triste. E quando, alle mie molteplici domande sui conoscenti, circa cinque volte ricevetti da Kiso4(4)cka in risposta: " morto", la mia tristezza si trasform in quel sentimento che si prova alla messa funebre di una brava persona. E io, seduto l alla finestra, mentre guardavo la gente passeggiare e ascoltavo lo strimpellare del pianoforte, vidi con i miei occhi per la prima volta in vita mia con quale brama una generazione si affretta a sostituirne un'altra e che significato fatale nella vita dell'uomo hanno anche solo sette-otto anni! "Kiso4(4)cka pos sul tavolo una bottiglia di vino di Santorino. Bevvi, divenni fiacco e cominciai a lungo a raccontare non so che cosa. Kiso4(4)cka ascoltava e come prima ammirava me e la mia intelligenza. Ma il tempo passava. Il cielo si era gi fatto cos scuro che le sagome delle acacie e dei tigli si erano fuse insieme, la gente non passeggiava pi per i viali, il pianoforte taceva e si sentiva solo il rumore uniforme del mare. "I giovani sono tutti uguali. Vezzeggiate un giovane, coccolatelo, offritegli del vino, dategli da intendere che interessante, e lui si accomoder, dimenticher che ora che se ne vada, e parler, parler, parler... Ai padroni di casa si chiudono gli occhi, gi ora di andare a dormire, ma egli continua a stare seduto e a parlare. Cos feci anch'io. Diedi per caso un'occhiata all'orologio: erano le dieci e mezzo. Feci per congedarmi. ""Bevete il bicchiere d'addio," disse Kiso4(4)cka. "Bevvi il bicchiere d'addio, mi misi di nuovo a parlare a lungo, dimenticai che era ora di andare e mi sedetti. Ma ecco, si udirono delle voci maschili, dei passi e il tintinnare degli speroni. Delle persone passarono sotto le finestre e si fermarono vicino alla porta. ""A quanto pare tornato mio marito..." concluse Kiso4(4)cka porgendo l'orecchio. "La porta schiocc, le voci risuonavano gi in anticamera, e io vidi passare due persone davanti alla porta che conduceva in sala da pranzo: uno era un bruno robusto, posato, con il naso aquilino e il cappello di paglia, e l'altro era un giovane ufficiale con la giubba

bianca. Passando davanti alla porta, entrambi lanciarono uno sguardo indifferente e di sfuggita a me e a Kiso4(4)cka, e mi parve che fossero entrambi ubriachi. ""Quindi, lei ti ha mentito e tu le hai creduto!" echeggi dopo un minuto una voce forte, con una accentuata pronuncia nasale. "In primo luogo, accaduto non al circolo grande, ma a quello piccolo." ""Tu, Giove, ti arrabbi, quindi hai torto..." disse l'altra voce, evidentemente dell'ufficiale, ridendo e tossendo. "Ascolta, posso restare a dormire da te? Dillo sinceramente: non ti do incomodo?" ""Che domanda?! Non solo puoi, ma devi. Che cosa vuoi, birra o vino?" "Erano entrambi a due stanze da noi, discorrevano ad alta voce e si disinteressavano palesemente sia di Kiso4(4)cka, sia del suo ospite. In Kiso4(4)cka, invece, all'arrivo del marito, era avvenuto un cambiamento sensibile. Dapprima era arrossita, poi il suo volto aveva assunto un'espressione timorosa, colpevole; era in preda all'agitazione e mi parve che provasse vergogna a mostrarmi suo marito e che desiderasse che me ne andassi. "Cominciai a prendere commiato. Kiso4(4)cka mi accompagn sino all'ingresso. Ricordo perfettamente il suo sorriso docile, triste e gli occhi teneri, remissivi, allorch mi strinse la mano e disse: "Probabilmente non ci vedremo mai pi... Che Dio vi conceda ogni bene. Vi ringrazio!"" "N un sospiro, n una parola. Mentre mi salutava, teneva in mano una candela; chiazze chiare le saltellavano sul viso e sul collo, come se inseguissero il suo sorriso triste; mi immaginai la Kiso4(4)cka di un tempo che talvolta si aveva voglia di accarezzare come una gatta, guardai fisso l'attuale, mi tornarono chiss perch in mente le sue parole: "Ogni persona deve sopportare ci che le dato dal destino" e mi sentii un peso sul cuore. Il mio intuito indovinava e la mia coscienza mormorava a me, felice e indifferente, che avevo davanti una persona buona, affabile, affettuosa, ma tormentata... "Feci un inchino e mi diressi al cancello. Era gi buio. A sud in luglio la sera comincia presto e il cielo diviene scuro velocemente. Verso le dieci gi buio pesto. Mentre raggiungevo il cancello quasi a tentoni, accesi una ventina di cerini. ""Vetturino!" gridai uscendo dal cancello; in risposta n una voce, n un sospiro... "Vetturino!" ripetei. "Ehi, carrozza!" Ma non c'erano n vetturini, n carrozze. Un silenzio di tomba. Sento solo il mare assonnato rumoreggiare e il mio cuore battere per il vino. Alzo gli occhi al cielo: nemmeno una stella. E' buio e c' foschia. Evidentemente le nubi coprono il cielo. Per chiss quale motivo alzo le spalle, sorrido stupidamente e chiamo ancora una volta il vetturino, non pi in modo cos deciso. "...ino... mi risponde l'eco. "Percorrere a piedi quattro verste per i campi, per di pi immerso nelle tenebre, non una prospettiva piacevole. Prima di decidermi ad andare a piedi rifletto a lungo e chiamo il vetturino, poi alzo le spalle e senza alcuna meta precisa torno indietro pigramente al boschetto. Nel boschetto buio da far paura. Qua e l tra gli alberi rosseggiano pallidamente le finestre dei villeggianti. Un corvo, svegliato dai miei passi e spaventato dai fiammiferi con i quali illumino il mio cammino sino al chiosco, vola di albero in albero e fruscia nel fogliame. Provo stizza e vergogna, e il corvo sembra capirlo e mi canzona: crrra! Provo stizza perch mi toccher andare a piedi, e vergogna per aver chiacchierato troppo, come un ragazzino, da Kiso4(4)cka. "Raggiunsi a stento il chiosco, trovai a tastoni la panchina e mi sedetti. Laggi in lontananza, dietro le fitte tenebre, il mare

brontolava sommesso e arrabbiato. Mi ricordo che, come un cieco, non vedevo n il mare, n il cielo, neanche il chiosco in cui ero seduto, e gi mi sembrava che tutto questo mondo fosse composto solo dai pensieri che vagavano nella mia testa ebbra di vino, e da una forza invisibile che mormoreggiava monotona chiss dove in basso. Ma poi, quando mi assopii, cominci a sembrarmi che a mormoreggiare non fosse il mare, ma i miei pensieri, e che tutto il mondo fosse composto da me soltanto. E, concentrando in tal modo in me stesso tutto il mondo, dimenticai i vetturini, la citt, Kiso4(4)cka, e mi abbandonai a quella sensazione che amavo tanto. E' questa una sensazione di tremenda solitudine, quando vi pare che in tutto l'universo scuro e informe esistete solo voi. E' una sensazione fiera, demoniaca, accessibile solo all'uomo russo, i pensieri e le sensazioni del quale sono altrettanto ampi, sconfinati e austeri come le sue pianure, i boschi, la neve. Se fossi un pittore, dipingerei senza fallo l'espressione del viso dell'uomo russo quando siede immobile e, raccolte le gambe sotto di s, presasi la testa fra le mani, si abbandona a questa sensazione... E assieme a questa sensazione, i pensieri sull'inutilit della vita, sulla morte, sulle tenebre dell'oltretomba... questi pensieri non valgono un soldo bucato, ma l'espressione del viso deve essere magnifica... "Mentre ero seduto e sonnecchiavo, senza decidermi ad alzarmi (faceva caldo e stavo comodo), all'improvviso in mezzo al rumore uniforme, monotono del mare, come su un canovaccio, cominciarono a delinearsi dei suoni, che distolsero la mia attenzione da me stesso... Qualcuno camminava in fretta sul viale. Avvicinatosi al chiosco, questo qualcuno si ferm, singhiozz come una bambina e chiese con la voce di una bambina in lacrime: "Dio mio, quando, finalmente, tutto questo finir? O Signore!". "A giudicare dalla voce e dal pianto si trattava di una bambina di dieci-dodici anni. Entr esitante nel chiosco, si sedette e cominci non so se a pregare o a lamentarsi ad alta voce... ""O Signore!" diceva cantilenando e piangendo. "E' insopportabile! Non c' pazienza che lo sopporterebbe! Io sopporto, taccio, ma, credimi, anch'io voglio vivere... Ah, Dio mio, Dio mio!" "E tutto il resto di questo tipo... Mi venne voglia di guardare la bambina e di parlare con lei. Per non spaventarla, dapprima sospirai forte e tossii, poi accesi con cautela un fiammifero... Una luce vivida balen nelle tenebre e illumin chi stava piangendo. Era Kiso4(4)cka!" "Che cose incredibili!" sospir von 4(4)stenberg. "Una notte buia, il rumore del mare, una lei sofferente, un lui con una sensazione di solitudine universale... che diavolo! Mancano solo i circassi con i pugnali." "Non vi sto raccontando una fiaba, ma una storia vera." "Anche se fosse una storia vera... Tutto ci non serve a nulla e lo sanno tutti da un bel pezzo..." "Aspettate a disprezzare, lasciatemi finire!" disse Ana4(4)nev, facendo stizzito un gesto con la mano. "Non disturbate, per favore! Non sto raccontando a voi, ma al dottore... Dunque" prosegu rivolgendosi a me e lanciando delle occhiate di traverso allo studente, che si era chinato sui suoi conti e, a quanto pare, era molto soddisfatto di aver stuzzicato l'ingegnere: "Dunque, Kiso4(4)cka non si stup di vedermi, n si spavent, come se sapesse da prima che mi avrebbe visto al chiosco. Respirava affannosamente e tremava in tutto il corpo come per la febbre, e il suo viso, bagnato dalle lacrime, per quanto potessi vedere accendendo un fiammifero dopo l'altro, non era pi quello di prima, intelligente, rassegnato e stanco, ma un altro, che io a tutt'oggi non riesco a capire. Non esprimeva n dolore, n inquietudine, n malinconia, niente di tutto

ci che le sue parole e le lacrime esprimevano... Lo confesso: probabilmente per il fatto che non lo capivo, mi pareva folle e ubriaco. ""Non ce la faccio pi..." borbott Kiso4(4)cka con la voce di una bambina in lacrime. "Non ho pi forza, Nikolaj Anasta4(4)si4(4)c! Scusatemi, Nikolaj Anasta4(4)si4(4)c... Non posso vivere in questo modo... Me ne andr in citt da mia madre... Accompagnatemi... Per amor di Dio, accompagnatemi!" "In presenza di persone in lacrime non ero capace n di parlare, n di tacere. Mi sentii confuso e per consolarla mi misi a borbottare chiss quale sciocchezza. ""No, no, vado da mia madre!" disse Kiso4(4)cka con decisione, alzandosi e prendendomi per mano convulsamente (le mani e le maniche erano bagnate dalle lacrime). "Scusatemi, Nikolaj Anasta4(4)si4(4)c, io vado... Non ne posso pi..." ""Kiso4(4)cka, ma non c' nemmeno un vetturino!" dissi. "Come ci andrete?" ""Non fa niente, andr a piedi... Non lontano da qui. Non ne posso pi..." "Ero turbato ma non commosso. Per me nelle lacrime di Kiso4(4)cka, nel suo tremare e nell'espressione ottusa del viso si avvertiva un melodramma poco serio francese o ucraino, in cui ogni zolotnik (5) di futile dolore e a buon mercato affogato in un pud (6) di lacrime. Non la capivo e sapevo di non capire: avrei dovuto tacere, ma chiss perch, probabilmente perch il mio silenzio non fosse interpretato come stupidit, ritenevo necessario convincerla a non andare da sua madre e a restare a casa. Chi piange non vuole che qualcuno veda le sue lacrime. Ma io accendevo un fiammifero dopo l'altro e li sfregai finch la scatola non fu vuota. A che cosa mi servisse questa ingenerosa luminaria non sono ancora riuscito a capirlo adesso. In genere le persone fredde spesso sono goffe e persino stupide. "Alla fine Kiso4(6)cka mi prese a braccetto e ci incamminammo. Uscendo dal cancello, svoltammo a destra e camminammo lentamente sulla strada liscia e polverosa. Era buio; quando i miei occhi poco per volta si furono abituati all'oscurit, cominciai a distinguere le sagome delle querce, vecchie ma sparute, e dei tigli, che crescevano ai lati della strada. Ben presto a destra si deline confusamente la fascia nera della riva irregolare, scoscesa, qua e l solcata da burroni e fossati piccoli e profondi. Accanto ai burroni si accalcavano dei cespugli piuttosto bassi somiglianti a delle persone sedute. Cominciai ad aver paura. Sbirciavo con sospetto la riva, e il rumore del mare e il silenzio della campagna spaventavano sgradevolmente la mia immaginazione. Kiso4(6)cka taceva. Non smetteva di tremare e non avevamo percorso nemmeno mezza versta che gi si era stancata di camminare e ansimava. Anch'io tacevo. "A una versta da Quarantena c' un edificio abbandonato di tre piani con un fumaiolo molto alto, in cui un tempo c'era un'azienda molitoria a vapore. Sta da solo sulla spiaggia e di giorno capita di vederlo bene da lontano, dal mare e dalla campagna. Per il fatto di essere abbandonato e che non ci vive nessuno, e per il fatto che in esso c' l'eco che ripete distintamente i passi e le voci dei passanti, esso sembra misterioso. Ecco, immaginatemi in una notte buia al braccio di una donna che sta scappando dal marito, nei pressi di un colosso lungo e alto, che ripete ogni mio passo e che mi guarda immobile con le sue cento finestre. Un giovane normale in una tale situazione si sarebbe abbandonato al romanticismo, io, invece, guardavo le finestre buie e pensavo: "Tutto ci suggestivo, ma verr il tempo quando di questo edificio e di Kiso4(6)cka con il suo dolore e di me con i miei pensieri non rester neppure la polvere... Sono tutte sciocchezze e vanit...".

"Quando giungemmo all'altezza dell'azienda molitoria, Kiso4(6)cka all'improvviso si ferm, liber il suo braccio e disse, non pi con voce da bambina, ma con la sua propria: "Nikolaj Anasta4(6)si4(6)c, so che tutto ci vi pare strano. Ma io sono terribilmente infelice! E non potete nemmeno immaginarvi quanto io sia infelice! E' impossibile immaginarselo! Non ve lo racconto perch non lo si pu raccontare... Una tale vita, una tale vita...". "Kiso4(6)cka non termin la frase, strinse i denti ed emise un gemito tale come se tentasse con tutte le forze di non urlare dal dolore. ""Una tale vita!" ripet con terrore e a cantilena, con quell'accento meridionale, leggermente ucraino, che conferisce il carattere di canzone alla parlata concitata, soprattutto delle donne. "Una tale vita! Ah, Dio mio, Dio mio, ma che cosa ? Ah, Dio mio, Dio mio!" "Come desiderando indovinare il mistero della propria vita, sollevava sconcertata le spalle, crollava il capo e batteva le mani. Parlava come se cantasse, si muoveva con grazia, piacevolmente e mi ricordava una famosa attrice ucraina. ""O Signore, proprio come se fossi in prigione!" prosegu torcendosi le mani. "Se potessi vivere felicemente almeno un minutino come vive la gente! Ah, Dio mio, Dio mio! Mi sono ridotta alla vergogna di andarmene di notte da mio marito in presenza di un estraneo come una qualsiasi donna dissoluta. Che cos'altro di buono ci si pu aspettare dopo una cosa simile?" "Mentre ammiravo i suoi movimenti e la sua voce, d'un tratto cominciai a provare piacere del fatto che ella non andasse d'accordo con il marito. "Sarebbe bello avere un'avventura con lei!" balen tra i pensieri e questo pensiero spietato si ferm nel mio cervello, non mi lasci per tutta la strada e mi sorrideva sempre di pi... "Percorsa una versta e mezzo dall'azienda molitoria per andare verso la citt bisognava voltare a sinistra dopo il cimitero. Alla curva sull'angolo del cimitero c' un mulino a vento di pietra, e accanto una piccola casa rustica in cui vive il mugnaio. Superammo il mulino e la casa, svoltammo a sinistra e giungemmo al cancello del cimitero. Qui Kiso4(6)cka si ferm e disse: "Io torno indietro, Nikolaj Anasta4(6)si4(6)c! Voi andate pure, io torno da sola. Non ho paura". ""Figuratevi!" mi spaventai. "Se si deve andare, si va..." ""Mi sono accalorata inutilmente... E' accaduto tutto per una sciocchezza. Voi con i vostri discorsi mi avete fatto ricordare il passato, mi avete fatto venire diversi pensieri... Ero triste e avevo voglia di piangere, mentre mio marito in presenza dell'ufficiale mi ha detto una villania, e io non l'ho sopportato... E per che motivo dovrei andare in citt da mia madre? Sar forse per questo pi felice? Devo tornare... D'altra parte... andiamo!" disse Kiso4(6)cka e scoppi a ridere. "E' lo stesso!" "Ricordai che sul cancello del cimitero c'era la scritta: "Verr l'ora in cui tutti gli esseri viventi nelle tombe sentiranno la voce del Figlio di Dio", sapevo alla perfezione che presto o tardi sarebbe giunto il tempo in cui sia io, sia Kiso4(6)cka, suo marito, l'ufficiale con la giubba bianca saremmo giaciuti dietro il recinto sotto gli alberi scuri, sapevo che accanto a me camminava un essere infelice, offeso: ecco, di questo avevo piena coscienza, ma nello stesso tempo mi preoccupava il timore opprimente, spiacevole che Kiso4(6)cka tornasse indietro e che io non sarei stato capace di dirle ci che dovevo. Mai, in nessun altro momento, nella mia testa i pensieri di ordine superiore si erano intrecciati cos strettamente con la prosa pi bassa, pi animale, come in quella notte... Spaventoso!

"A poca distanza dal cimitero trovammo un vetturino. Giunti sino alla via Bo4(6)l4(6)saja dove viveva la madre di Kiso4(6)cka, congedammo il vetturino e proseguimmo a piedi sul marciapiede. Kiso4(6)cka per tutto il tempo stette in silenzio, mentre io la guardavo e mi arrabbiavo con me stesso: "Perch non cominci? E' ora!" A venti passi dall'albergo ove vivevo, Kiso4(6)cka si ferm presso un lampione e scoppi a piangere. ""Nikolaj Anasta4(6)si4(6)c!" disse piangendo, ridendo e guardandomi in faccia con gli occhi bagnati, luccicanti. "Non dimenticher mai il vostro interessamento... Come siete buono! E siete tutti talmente bravi! Onesti, generosi, sinceri, intelligenti... Ah, che bello!" "Vedeva in me una persona colta ed evoluta sotto tutti i punti di vista, e sul suo viso bagnato, ridente, assieme alla commozione e all'entusiasmo che destava in lei la mia persona, c'era scritta la tristezza di poter vedere cos raramente persone simili e che Dio non le avesse concesso la gioia di essere la moglie di uno di loro. Mormorava: "Ah, che bello!". Alla luce del lampione la gioia infantile sul volto, le lacrime, il sorriso dolce, i capelli morbidi, sfuggiti dal fazzoletto gettato con negligenza sulla testa, mi ricordarono la precedente Kiso4(6)cka che si aveva voglia di accarezzare come una gatta... "Non resistetti e cominciai ad accarezzarle i capelli, le spalle, le braccia... ""Kiso4(6)cka, ma cosa vuoi?" presi a mormorare. "Vuoi che venga con te in capo al mondo? Ti porter via da questa prigione e ti render felice. Ti amo... Andiamo, tesoro mio? S? D'accordo?" "Sul viso di Kiso4(6)cka si diffuse lo sconcerto. Indietreggi dal lampione e, sbalordita, mi guard con gli occhi spalancati. La afferrai forte per il braccio, cominciai a coprirle di baci il viso, il collo, le spalle e continuai a giurare e a far promesse. Nelle questioni amorose i giuramenti e le promesse rappresentano quasi una necessit fisiologica. Non se ne pu fare a meno. Talvolta sai di mentire e sai che le promesse non sono necessarie, e comunque giuri e prometti. Kiso4(6)cka, sbalordita, continuava a indietreggiare e mi guardava con gli occhi spalancati... ""Non c' bisogno! Non c' bisogno!" mormor allontanandomi con le mani. "La abbracciai stretta. Improvvisamente scoppi in un pianto isterico e il viso assunse quella stessa espressione stolida, ottusa che le avevo visto al chiosco quando accendevo i fiammiferi... Senza chiederle il consenso, impedendole di parlare, la trascinai a forza in camera mia in albergo... Era come impietrita e non camminava, ma io la presi sottobraccio e quasi la trascinai... Ricordo che mentre salivamo le scale, una figura con l'orlo del berretto rosso mi guard stupita e fece un inchino a Kiso-4(6)cka..." Ana4(6)nev arross e tacque. Cammin in silenzio attorno al tavolo, si gratt stizzito la nuca e alcune volte convulsamente alz le spalle e le scapole per i brividi che gli correvano lungo la grande schiena. Si vergognava e faceva fatica a raccontare, ma lottava con se stesso... "Che brutta cosa!" disse bevendo un bicchiere di vino e scuotendo la testa. "Dicono che ogni volta alla lezione introduttiva sulle malattie femminili consigliano agli studenti di medicina, prima di spogliare e tastare una donna malata, di ricordarsi che ognuno di loro ha una madre, una sorella, una fidanzata... Questo consiglio sarebbe valido non per i soli medici, ma per tutti coloro a cui in un modo o nell'altro nella vita capita di imbattersi nelle donne. Ora che ho moglie e figlia, ah, come capisco questo consiglio! Come lo capisco, Dio mio! Comunque, ascoltate il seguito... Divenuta la mia

amante, Kiso4(6)cka prendeva la questione in modo diverso da me. Prima di tutto si innamor appassionatamente e profondamente. Ci che per me rappresentava una comune improvvisazione amorosa, per lei fu un vero e proprio rivolgimento della sua esistenza. Ricordo che mi pareva che ella fosse impazzita. Felice per la prima volta in vita sua, ringiovanita di circa cinque anni, con il viso ispirato, entusiasta, senza sapere dove stare dalla felicit, ora rideva, ora piangeva e non smetteva di sognare ad alta voce che l'indomani saremmo andati nel Caucaso, da l in autunno a Pietroburgo, come avremmo vissuto in seguito... ""Riguardo a mio marito, non ti preoccupare!" mi tranquillizz. "E' obbligato a concedermi il divorzio. Tutta la citt sa che vive con la maggiore delle Kostovi4(6)c. Otteniamo il divorzio e ci sposiamo." "Le donne, quando amano, si acclimatano e si abituano alle persone in fretta, come i gatti. Kiso4(6)cka era stata in camera mia un'oretta, e in essa si sentiva gi come a casa propria, e disponeva dei miei beni come se fossero suoi. Riponeva in valigia le mie cose, mi faceva la ramanzina perch non appendevo al chiodo il mio costoso cappotto nuovo, ma lo gettavo sulla sedia come uno straccio, eccetera. "La guardavo, l'ascoltavo e provavo stanchezza e stizza. Mi urtava leggermente il pensiero che una donna perbene, onesta e sofferente fosse divenuta cos facilmente, in sole tre-quattro ore, l'amante del primo venuto. Questo proprio a me, in quanto persona perbene, vedete, non piaceva. Inoltre, aveva su di me un effetto spiacevole anche il fatto che le donne del tipo di Kiso4(6)cka sono superficiali e futili, amano troppo la vita e persino una tale bazzecola quale l'amore per un uomo la elevano a livello di felicit, di sofferenza, di sconvolgimento dell'esistenza... Per di pi, adesso che ero pago, ero stizzito con me stesso per aver commesso una sciocchezza ed essermi legato a una donna che avrei dovuto per forza ingannare... e io, bisogna notare, nonostante la mia disonest, non sopporto la menzogna. "Ricordo che Kiso4(6)cka stava seduta ai miei piedi, aveva appoggiato la testa sulle mie ginocchia e, guardandomi con occhi splendenti, amorosi, chiese: "Kolja, mi ami? Tanto? Tanto?" e si mise a ridere dalla felicit... Tutto ci mi pareva sentimentale, falso e piuttosto stupido, ma intanto avevo gi quello stato d'animo di quando cercavo in tutto e prima di tutto la "profondit del pensiero". ""Kiso4(6)cka, dovresti andare a casa," dissi "altrimenti i tuoi familiari potrebbero accorgersi della tua assenza e cercarti per la citt. Inoltre, imbarazzante che tu arrivi da tua madre verso mattina..." "Kiso4(6)cka fu d'accordo con me. Nel separarci ci accordammo che l'indomani a mezzogiorno ci saremmo incontrati al parco cittadino e che il giorno dopo saremmo partiti insieme per Pjatigorsk. Uscii ad accompagnarla e, ricordo, strada facendo la accarezzavo dolcemente e sinceramente. Ci fu un attimo in cui sentii improvvisamente una pena insopportabile per il fatto che lei mi credesse cos senza riserve, e io mi ero quasi deciso a prenderla con me, ma ricordatomi di avere in valigia solo seicento rubli e che in autunno sbarazzarmi di lei sarebbe stato molto pi difficile di adesso, mi affrettai a soffocare la piet. "Giungemmo alla casa dove viveva la madre di Kiso4(6)cka. Tirai il campanello. Quando dietro la porta si sentirono dei passi, Kiso4(6)cka assunse subito un'espressione seria, gett uno sguardo al cielo e in fretta mi fece il segno di croce un po' di volte, come a un bambino, poi afferr la mia mano e se la strinse alle labbra. ""A domani!" disse, e scomparve dietro la porta.

"Passai sul marciapiede opposto e da qui stetti a osservare la casa. Dapprima le finestre erano buie, poi a una di esse balen la fiammella debole e bluastra di una candela appena accesa; la fiammella crebbe, diffuse i suoi raggi, e io vidi che insieme a essi per le stanze cominciarono a muoversi delle ombre. ""Non la aspettavano" pensai. "Tornato in camera mia, mi svestii, bevvi un bicchiere di vino di Santorino, mangiai del caviale fresco che avevo acquistato di giorno al mercato, senza fretta mi coricai e mi addormentai del sonno profondo, sereno del turista. "La mattina mi svegliai con il mal di testa e di cattivo umore. Qualcosa mi inquietava. "Di che si tratta?" mi chiedevo con il desiderio di spiegare la mia inquietudine. "Cosa mi preoccupa?" E spiegai la mia inquietudine con la paura che ora sarebbe probabilmente arrivata Kiso4(6)cka, mi avrebbe impedito di partire e sarei stato costretto a mentire e a impuntarmi davanti a lei. Mi vestii alla svelta, feci le valigie e lasciai l'albergo dopo aver dato l'ordine al portiere di portare il mio bagaglio alla stazione per le sette di sera. Trascorsi tutto il giorno da un mio conoscente medico, e la sera stavo gi lasciando la citt. Come vedete, il mio modo di pensare non mi impediva di darmi a una fuga vile, da traditore... "Per tutto il tempo che trascorsi dal mio conoscente e, poi, mentre mi recavo alla stazione, fui tormentato dall'inquietudine. Mi sembrava di temere un incontro con Kiso4(6)cka e una scenata. Alla stazione rimasi apposta in bagno sino al secondo squillo, e mentre entravo di soppiatto nel mio vagone, ero oppresso dall'impressione di essere coperto dalla testa ai piedi di cose rubate. Con quale impazienza e paura aspettavo il terzo squillo! "Ma ecco che risuon il terzo squillo salvatore e il treno si mise in marcia; passammo la prigione, le caserme, sbucammo nella campagna, ma l'inquietudine, con mia grande sorpresa, continuava a non abbandonarmi, e continuavo a sentirmi un ladro che ha una voglia matta di scappare. Che stranezza questa? Per distrarmi e calmarmi mi misi a guardare dal finestrino. Il treno stava passando lungo la riva. Il mare era liscio e in esso in modo allegro e tranquillo si specchiava il cielo turchino, quasi per met tinto del delicato colore dorato-purpureo del tramonto. Qua e l nereggiavano le barchette dei pescatori e le zattere. La citt, pulita e bella, sorgeva come un giocattolo sull'alta sponda e si stava gi velando della nebbia serale. Le cupole dorate delle sue chiese, le finestre e la vegetazione riflettevano in s il sole al tramonto, ardevano e si liquefacevano come oro che fonde... L'odore della campagna si mischiava con la dolce umidit che spirava dal mare. "Il treno volava veloce. Si sentiva il riso dei passeggeri e dei bigliettai. Tutti erano allegri e spensierati, mentre la mia incomprensibile inquietudine continuava ad aumentare... Guardavo la nebbia leggera che copriva la citt, e mi immaginavo che in quella nebbia vicino alle chiese e alle case, con un volto folle, ottuso, una donna vagasse, mi cercasse e con voce da bambina oppure cantilenando come un'attrice ucraina gemesse: "Ah, Dio mio, Dio mio!" Mi venivano in mente il suo viso serio e i grandi occhi preoccupati di quando il giorno prima mi aveva fatto il segno di croce come se lo stesse facendo a un familiare, e guardavo macchinalmente la mia mano che il giorno prima aveva baciato. ""Che io sia innamorato?" mi chiedevo, grattandomi di tanto in tanto la mano. "Solo al calare della notte, quando i passeggeri dormivano e io rimasi da solo con la mia coscienza, divenne per me comprensibile ci che non avrei potuto capire prima. Nella penombra del vagone stava in

piedi davanti a me l'immagine di Kiso4(6)cka, non si allontanava da me, e io stavo gi chiaramente rendendomi conto di aver commesso un peccato della stessa gravit di un omicidio. La coscienza mi tormentava. Per soffocare questo sentimento insopportabile mi convincevo che erano tutte sciocchezze e vanit, che io e Kiso4(6)cka saremmo morti e putrefatti, che il suo dolore non era niente in confronto alla morte, e cos via e cos via... Che alla fine il libero arbitrio non esiste e che io, quindi, non ero colpevole; ma tutte queste giustificazioni non facevano altro che irritarmi, e in modo particolarmente veloce scomparivano tra gli altri pensieri. Nella mano che Kiso4(6)cka aveva baciato provavo una sensazione di angoscia... Ora mi coricavo, ora mi alzavo, alle stazioni bevevo vodka, mi costringevo a mangiare dei panini, incominciavo di nuovo a convincermi che la vita non avesse senso, ma niente mi dava sollievo. Nella mia testa ribolliva un lavorio strano e, se volete, ridicolo. I pensieri pi diversi si accalcavano caoticamente l'uno sull'altro, si confondevano, si disturbavano vicendevolmente e io, pensatore, piegata la fronte a terra, non capivo nulla e non riuscivo a orientarmi in questo mucchio di pensieri necessari e non necessari. Risult che io, pensatore, non avevo ancora appreso neppure la tecnica di pensare e che ero incapace di gestire la mia testa tanto quanto di aggiustare un orologio. Per la prima volta in vita mia ragionavo con zelo e intensamente, e ci mi pareva una tale rarit che pensavo: "Sto impazzendo!" A colui, il cui cervello funziona non sempre, ma solo nei momenti difficili, viene spesso di pensare alla pazzia. "Mi tormentai in tal modo tutta la notte, tutto il giorno, poi ancora tutta la notte, e convintomi di quanto poco mi aiutasse il mio modo di pensare, cominciai a vederci chiaro e capii finalmente chi fossi. Capii che i miei pensieri non valevano un soldo bucato, che prima di incontrare Kiso-4(6)cka non avevo nemmeno cominciato a pensare e che non avevo la minima idea di cosa significasse un pensiero serio; ora, dopo aver penato molto, capii di non aver avuto n convinzioni, n un determinato codice morale, n cuore, n senno; tutta la mia ricchezza intellettiva e morale consisteva di cognizioni particolari, di frammenti, di ricordi inutili, di pensieri altrui, e nient'altro, mentre i miei moti psichici erano poco complicati, semplici e ovvi come quelli di un iacuto... Se non mi piaceva mentire, non rubavo, non ammazzavo e in genere non commettevo palesemente degli errori grossolani, non era in forza delle mie convinzioni (non ne avevo), ma solo perch avevo mani e piedi legati dalle favole della bambinaia e della morale comune, che mi erano entrate nel corpo e nel sangue e che in modo per me impercettibile mi guidavano nella vita, bench io le considerassi delle assurdit... "Capii di non essere un pensatore, un filosofo, ma solo un virtuoso. Dio mi aveva dato un cervello russo sano, robusto, con delle attitudini al talento. Ecco, immaginatevi questo cervello al ventiseiesimo anno di vita, non ammaestrato, assolutamente libero da ogni impaccio, non appesantito da alcun carico, ma solo con una leggera infarinatura di qualche nozione di ingegneria; esso giovane e brama fisiologicamente un lavoro, lo cerca, e improvvisamente, del tutto per caso, resta impresso in lui un pensiero bello, sostanzioso sull'inutilit della vita e sulle tenebre dell'oltretomba. Egli lo assorbe in s avidamente, mette a sua disposizione tutto il proprio spazio e comincia a giocare con esso in tutti i modi possibili, come il gatto col topo. Il cervello non possiede n erudizione n sistema, ma questo non un male. Egli, alla maniera di un autodidatta, con le proprie forze naturali gestisce questo ampio pensiero, e non passato un mese che gi il proprietario del cervello riesce a preparare con una sola patata centinaia di piatti squisiti e si

ritiene un pensatore... "La nostra generazione introdusse questo virtuosismo, il giocare con un pensiero serio, nella scienza, nella letteratura, in politica, ovunque non fosse pigra per farlo, e assieme al virtuosismo introdusse la propria freddezza, la noia, la parzialit e, per quanto mi sembra, era gi riuscita a educare nelle masse un nuovo atteggiamento senza precedenti verso il pensiero serio. "Capii e valutai la mia anormalit e la mia crassa ignoranza grazie a una sventura. Il mio modo di pensare normale, come mi sembra ora, cominci solo nel momento in cui misi mano all'alfabeto, ovvero quando la coscienza mi spinse indietro a N', e io, senza sotterfugi, ammisi la mia colpa davanti a Kiso4(6)cka, le chiesi perdono come un ragazzino e piansi assieme a lei..." Ana4(6)nev descrisse brevemente il suo ultimo incontro con Kiso4(6)cka e tacque. "Cos..." mormor tra i denti lo studente quando l'ingegnere ebbe terminato. "Cos stanno le cose a questo mondo!" Il suo volto come prima esprimeva pigrizia cerebrale e a quanto pare il racconto di Ana4(6)nev non lo aveva affatto commosso. Solo quando l'ingegnere, riposatosi un minuto, si mise di nuovo a svolgere il proprio pensiero e a ripetere ci che gi aveva detto all'inizio, lo studente irritato fece una smorfia, si alz da tavola e and al suo letto. Fece il letto e cominci a svestirsi. "Adesso avete un tale aspetto come se voi aveste effettivamente convinto qualcuno!" disse irritato. "Io avrei convinto qualcuno?" chiese l'ingegnere. "Anima mia, ho forse tali pretese? Che Dio sia con voi! E' impossibile convincervi! Voi potrete giungere a delle convinzioni solo tramite l'esperienza personale e le sofferenze!" "E poi, che logica sorprendente!" borbott lo studente indossando la camicia da notte. "I pensieri che voi amate cos poco, per i giovani sono micidiali, per i vecchi, invece, come dite voi, rientrano nella norma. Come se si trattasse della canizie... Da dove viene questo privilegio senile? Su che cosa fondato? Se questi pensieri sono velenosi, allora lo sono per tutti nello stesso modo." "E no, anima mia, non dite cos!" rispose l'ingegnere e strizz furbescamente l'occhio. "Non dite cos! In primo luogo i vecchi non sono dei virtuosi. Il loro pessimismo giunge a loro non dall'esterno, non per caso, ma dal profondo del cervello e solo dopo aver studiato a fondo ogni Hegel e Kant, dopo aver sofferto molto, dopo aver commesso una moltitudine di errori, ovvero quando hanno percorso tutta la scala dal basso all'alto. Il loro pessimismo ha dietro di s sia l'esperienza personale che una solida preparazione filosofica. In secondo luogo, per i vecchi pensatori il pessimismo costituisce non un'inezia, come per me e per voi, ma un male mondiale, un tormento; esso ha per loro una base cristiana perch deriva dall'amore per l'uomo e dai pensieri sull'uomo ed del tutto privo di quell'egoismo che si nota nei virtuosi. Voi disprezzate la vita perch il suo significato e il suo scopo sono nascosti proprio a voi, e avete paura solo della vostra propria morte; il vero pensatore, invece, soffre per il fatto che la verit nascosta a tutti e teme per tutte le persone. Per esempio, non lontano da qui vive il guardacaccia Ivan Aleksandry4(6)c. E' un buon vecchietto. Un tempo era insegnante, scribacchi qualcosa, sa il diavolo che lavoro facesse, comunque un sapientone e in filosofia un vero asso. Ha letto molto e ancora adesso legge in continuazione. Bene, recentemente ci siamo incontrati sul tratto Gruzovskoj... L proprio in quel mentre stavano deponendo le traversine e le rotaie. Lavoro semplice, ma a Ivan Aleksandry4(6)c, non essendo uno specialista, sembrava un gioco di prestigio. Un artigiano esperto impiegava meno di un minuto per

deporre la traversina e fissare a essa la rotaia. Gli operai erano di buon umore e lavoravano effettivamente con destrezza e velocemente; soprattutto un mascalzone con estrema abilit colpiva con il martello la testa del chiodo e lo piantava con un colpo solo, e il manico del martello lungo quasi una sagena e ogni chiodo misura un piede. Ivan Aleksandry4(6)c guard a lungo gli operai, si commosse e mi disse con le lacrime agli occhi: "Che peccato che queste persone straordinarie moriranno!". Un tale pessimismo io lo capisco..." "Tutto ci non prova e non spiega nulla," disse lo studente coprendosi con il lenzuolo " solo un pestare l'acqua nel mortaio! Nessuno sa niente e non possibile dimostrare niente con le parole." Sbirci da sotto il lenzuolo, sollev la testa e, facendo una smorfia stizzita, disse velocemente: "Si deve essere molto ingenui per credere e attribuire un significato decisivo alle parole umane e alla logica. Con le parole si pu dimostrare e confutare ci che si vuole, e presto gli uomini perfezioneranno la tecnica del linguaggio sino al punto da poter dimostrare in modo matematicamente corretto che due per due fa sette. Mi piace ascoltare e leggere, ma credere non sono capace e non voglio, vi ringrazio. Creder solo a Dio, ma a voi, anche se mi parlerete sino alla venuta di Cristo e ingannerete cinquecento Kiso-4(6)cka, creder soltanto quando sar divenuto pazzo... Buonanotte!". Lo studente nascose la testa sotto il lenzuolo e si volt con il viso verso il muro, desiderando con questo gesto far capire di non voler pi n ascoltare n parlare. Con questo si concluse anche la discussione. Prima di coricarci, io e l'ingegnere uscimmo dalla baracca e io vidi ancora una volta le luci. "Vi abbiamo stancato con le nostre chiacchiere!" disse Ana4(6)nev sbadigliando e guardando il cielo. "Be', che altro c' da fare, caro mio! Gli unici piaceri in questa noia sono bere vino e filosofeggiare... Che terrapieno, Signore!" si commosse quando ci avvicinammo al terrapieno. "Questo non un terrapieno, ma il monte Ararat." Rimase in silenzio per qualche tempo e disse: "Queste luci al barone ricordano gli amaleciti, mentre a me sembra che somiglino ai pensieri umani... Sapete, i pensieri di ogni singolo individuo sono anch'essi gettati disordinatamente in questo modo, si stendono verso uno scopo lungo una stessa linea in mezzo alle tenebre e, senza illuminare niente, senza rischiarare la notte, scompaiono chiss dove, lontano dietro la vecchiaia... Ma basta filosofeggiare! E' ora di andare a nanna...". Quando fummo tornati alla baracca, l'ingegnere si mise a pregarmi con insistenza perch dormissi assolutamente sul suo letto. "Per favore!" diceva con tono supplichevole, stringendosi entrambe le mani al cuore. "Vi prego! E non preoccupatevi per me. Io riesco a dormire dappertutto, e poi non mi coricher ancora per molto... Fatemi questo favore!" Acconsentii, mi svestii e mi coricai, mentre lui si sedette al tavolo e si mise a guardare i disegni. "Il nostro fratello, caro mio, non ha tempo per dormire" diceva a bassa voce quando mi coricai e chiusi gli occhi. "Chi ha moglie e un paio di bambini ha altro a cui pensare che dormire. Bisogna dar loro da mangiare, vestirli e risparmiare per il futuro. E io ne ho due: un maschietto e una bambina... Il ragazzino, un furfante, ha un bel muso... Non ha ancora sei anni, ma, vi dico, ha delle capacit straordinarie... Qui da qualche parte c'erano le loro fotografie... Eh, figlioli miei, figlioli!" Rovist fra le carte, trov le fotografie e si mise a guardarle. Mi addormentai. Mi svegli l'abbaiare di Azorka e il forte vociare. Von

4(6)stenberg, con addosso la sola biancheria, scalzo e con i capelli arruffati, stava sulla porta e parlava con qualcuno ad alta voce. Albeggiava... L'aurora cupa e azzurra guardava dalla porta, dalle finestre e dalle fessure della baracca e illuminava debolmente il mio letto, il tavolo con le carte e Ana4(6)nev. Sdraiatosi sul pavimento sopra la burka, (7) con il petto carnoso, villoso che sporgeva, e con un guanciale di pelle sotto la testa, l'ingegnere dormiva e russava cos forte che io di tutto cuore provai pena per lo studente a cui toccava dormire con lui ogni notte. "Per quale ragione dovremmo accettarle?" gridava von 4(7)stenberg. "Non ci riguarda! Va' dall'ingegnere 4(7)calisov! Da chi vengono le marmitte?" "Da Nikitin..." rispose triste una voce da basso. "Bene, ecco! Va' da 4(7)calisov... Non di nostra competenza. Per che diavolo stai l in piedi? Va'!" "Eccellenza, siamo gi stati dal signor 4(7)calisov!" disse la voce da basso ancor pi triste. "Ieri l'abbiamo cercato tutto il giorno lungo la linea, e nella sua baracca ci hanno detto cos, che andato al tratto Dymkovskij. Prendetele, ci faccia il favore! Fino a quando dovremo trasportarle? Continuiamo a trasportarle lungo la linea e non ne vediamo la fine..." "Cosa succede l?" chiese con voce rauca Ana4(7)nev, svegliandosi e sollevando in fretta la testa. "Hanno portato delle marmitte da parte di Nikitin," disse lo studente "e chiedono che le ritiriamo noi. Ma che cosa c'entriamo noi?" "Cacciateli!" "Fateci il favore, eccellenza, mettete ordine! Sono due giorni che i cavalli non mangiano e il padrone certamente si arrabbier. Dobbiamo forse portarle indietro? La ferrovia ha ordinato le marmitte, quindi deve prenderle..." "Ma capiscila, testa di legno, che non affare nostro! Vai da 4(7)calisov!" "Cosa succede? Chi c' l?" disse di nuovo Ana4(7)nev. "E che il diavolo se li prenda tutti" bestemmi alzandosi e andando alla porta. "Che cosa c'?" Mi vestii e due minuti dopo uscii dalla baracca. Ana4(7)nev e lo studente, entrambi con indosso la sola biancheria e scalzi, accalorati e insofferenti, spiegavano qualcosa al mu4(7)zik che stava davanti a loro senza cappello, con la frusta in mano e che, a quanto pare, non li capiva. Sul volto di entrambi era dipinta la preoccupazione solita di tutti i giorni. "Che cosa me ne faccio delle tue marmitte?" gridava Ana4(7)nev. "Me le metto in testa, eh? Se non hai trovato 4(7)calisov, cerca il suo aiutante, e lasciaci in pace!" Avendomi visto, lo studente probabilmente ricord la chiacchierata che c'era stata di notte, e sul suo viso assonnato scomparve la preoccupazione e comparve l'espressione di pigrizia cerebrale. Non fece pi caso al mu4(7)zik e, pensando a qualcosa, si trasse in disparte. Il mattino era nuvoloso. Lungo la linea dove la notte risplendevano le luci, formicolavano gli operai appena svegli. Si sentivano le voci e il cigolio delle carriole. Cominciava la giornata di lavoro. Un cavalluccio con i finimenti di corda si trascinava gi sul terrapieno e con tutte le forze allungava il collo, trainando il carro della sabbia... Mi accomiatai... Molto era stato detto la notte, ma non portavo via con me neppure una questione risolta e di tutto quel discorrere adesso, di mattina, rimanevano nella mia memoria, come in un filtro, solo le luci e l'immagine di Kiso4(7)cka. Montato a cavallo, gettai

per l'ultima volta uno sguardo allo studente e ad Ana4(7)nev, al cane isterico dagli occhi offuscati, come ubriachi, agli operai che baluginavano nella nebbia mattutina, al terrapieno, al cavallo che allungava il collo, e pensai: "A questo mondo non si capisce niente!". E quando detti un colpetto al cavallo e galoppai lungo la linea e quando, poco dopo, vidi davanti a me solo la pianura infinita, cupa, e il cielo nuvoloso, freddo, mi sovvennero le questioni che si erano discusse la notte. Io pensavo, e la pianura arsa dal sole, il cielo immenso, il bosco di querce che all'orizzonte era divenuto scuro e la nebbia lontana era come se mi dicessero: "S, a questo mondo non si capisce niente!". Cominci a sorgere il sole... NOTE: (1) Personaggio delle Anime morte di Gogo4 (2) Primi due versi de Il cavaliere di bronzo di A'S' Pu4 (3) Da Ruslan e Ljudmila di A'S' Pu4 (4) Ovvero micetta. (5) Unit di misura del peso pari a 4,266 grammi. (6) 1 pud=16,38 kg. (7) Nel Caucaso, tipo di mantello di feltro sottile e di pelo di capra. L'onomastico "L'onomastico" fu scritto da 4(7)cechov tra il 10 agosto e il 30 settembre 1888 su richiesta della redazione della rivista "Il messaggero del nord" ("Severnyj Vestnik"), che pubblic poi la poves4(7)t sul N' 11 di quell'anno. In forma fortemente modificata, fu pubblicato separatamente a Mosca nel 1893, mentre con poche modifiche entr nella raccolta edita da A'F' Marks. Venne tradotto in tedesco ancora prima della sua inclusione in una raccolta di opere. I Dopo il pranzo di onomastico, con le sue otto portate e gli interminabili discorsi, O4(7)lga Michajlovna, moglie del festeggiato, and in giardino. Il dover sorridere e parlare incessantemente, il tintinnio delle posate, la stupidit della servit, i lunghi intervalli durante il pranzo e il busto che aveva indossato per nascondere agli ospiti la gravidanza l'avevano spossata sino allo sfinimento. Aveva voglia di stare un poco seduta all'ombra vicino casa e di riposare pensando al bambino che sarebbe dovuto nascere tra un paio di mesi. Era abituata al sopraggiungere di questi pensieri quando svoltava dal grande viale a sinistra in uno stretto sentiero: l, nella fitta ombra dei susini e dei ciliegi, i rami secchi le graffiavano le spalle e il collo, una ragnatela le si posava sul volto, e di tra i pensieri si sviluppava l'immagine dell'esserino di sesso indefinito e dai lineamenti confusi; cominciava allora a sembrarle che non fosse la ragnatela a solleticarle con dolcezza il viso e il collo, ma questo esserino; e proprio quando compariva la rada siepe alla fine del sentiero, e dietro di essa le arnie panciute con i tetti d'argilla, quando nell'aria immobile, stagnante, si cominciava a sentire l'odore sia di fieno sia di miele e si udiva il mite ronzio delle api, l'esserino si impadroniva completamente di O4(7)lga Michajlovna. Ella si sedeva sulla panchetta vicino alla capanna di vimini intrecciati e cominciava a pensare. Anche questa volta giunse alla panchetta, si sedette e cominci a pensare; ma nell'immaginazione al posto del piccolo essere si presentavano le persone grandi dalle quali si era appena allontanata. La inquietava molto il fatto che lei, la padrona di casa, avesse

lasciato gli ospiti; e ricordava che durante il pranzo suo marito Petr Dmitri4(7)c e suo zio Nikolaj Nikolai4(7)c avevano avuto una discussione sulla corte d'assise, sulla stampa e sull'istruzione femminile; il marito, come al solito, aveva discusso per ostentare davanti agli ospiti il suo conservatorismo, ma soprattutto per non condividere il parere dello zio, che non gli piaceva; lo zio a sua volta lo aveva contrastato e aveva cavillato su ogni parola per mostrare ai commensali che lui, lo zio, nonostante i suoi cinquantanove anni, conservava ancora la giovanile freschezza d'animo e la libert di pensiero. E la stessa O4(7)lga Michajlovna verso la fine del pranzo non aveva retto e aveva preso a difendere con poca abilit le scuole superiori femminili, non perch queste scuole avessero bisogno di essere difese, ma semplicemente perch aveva voglia di far dispetto al marito che, secondo lei, era ingiusto. Questa discussione aveva sfinito gli ospiti, ma tutti avevano ritenuto necessario immischiarsi e avevano discusso a lungo, sebbene a tutti loro non interessasse niente n della corte d'assise, n dell'istruzione femminile... O4(7)lga Michajlovna sedeva di qua della siepe, vicino alla capanna. Il sole stava nascondendosi dietro le nuvole, gli alberi e l'aria stavano incupendosi come prima della pioggia, ma nonostante questo faceva caldo e c'era afa. Il fieno, falciato sotto gli alberi alla vigilia di san Pietro, giaceva sparpagliato, triste, screziato dai suoi colori sbiaditi ed emanava un odore greve e dolciastro. C'era silenzio. Dietro la siepe le api ronzavano monotone... D'un tratto si udirono dei passi e delle voci. Qualcuno camminava lungo il sentiero verso le arnie. "Che afa!" disse una voce femminile. "Che cosa ne dite: piover o no?" "Piover, tesoro mio, ma non prima di notte" rispose languidamente una ben nota voce maschile. "Piover molto." O4(7)lga Michajlovna riflett che, se si fosse sbrigata a nascondersi nella capanna, non l'avrebbero notata e sarebbero passati oltre, e lei non avrebbe dovuto parlare e sorridere forzatamente. Raccolse l'abito, si curv ed entr nella capanna. Subito il volto, il collo e le mani furono investiti da un'aria cocente e soffocante come vapore. Se non fosse stato per il caldo soffocante e per l'odore pesante di pane di segale, di aneto e di vimini che toglieva il respiro, l, al buio, sotto il tetto di paglia, avrebbe potuto nascondersi perfettamente agli ospiti e pensare al suo bambino. Stava comoda e c'era calma. "Che bel posticino!" disse la voce femminile. "Sediamoci qui, Petr Dmitri4(7)c." O4(7)lga Michajlovna si mise a guardare da una fessura tra due rametti secchi. Vide suo marito Petr Dmitri4(7)c e l'ospite Ljubo4(7)cka 4(7)seller, una ragazza di diciassette anni che aveva da poco terminato la scuola. Petr Dmitri4(7)c, con il cappello sulla nuca, languido e indolente per aver bevuto molto a pranzo, camminava ciondoloni vicino alla siepe e con il piede ammucchiava il fieno; Ljubo4(7)cka, rosea in volto per il caldo e graziosa come sempre, stava in piedi con le mani dietro la schiena e seguiva i movimenti pigri del grande e bel corpo di lui. O4(7)lga Michajlovna sapeva che suo marito piaceva alle donne e... non le piaceva vederlo in loro compagnia. Non c'era nulla di particolare nel fatto che Petr Dmitri4(7)c ammucchiasse pigramente il fieno per sedercisi sopra con Ljubo4(7)cka e chiacchierare di sciocchezze; non c'era nulla di speciale neanche nel fatto che la graziosa Ljubo4(7)cka lo guardasse con aria mansueta, tuttavia O4(7)lga Michajlovna prov dispetto per il marito, paura e piacere per il fatto che ora le fosse possibile origliare.

"Sedetevi, incantatrice" disse Petr Dmitri4(7)c sprofondando nel fieno e sgranchendosi. "Ecco. Ebbene, raccontatemi qualche cosa." "Questa poi! Io comincer a raccontare e voi vi addormenterete." "Io addormentarmi? Allah kerim! Posso fors'io addormentarmi quando mi guardano occhietti simili?" Anche nelle parole del marito e nel fatto che in presenza dell'ospite sedesse scomposto e con il cappello sulla nuca non c'era nulla di speciale. Era stato viziato dalle donne, sapeva di piacer loro e nel rivolgersi a loro aveva adottato un tono particolare che, come dicevano tutti, gli si addiceva. Con Ljubo4(7)cka si comportava come con tutte le donne. Ma O4(7)lga Michajlovna era comunque gelosa. "Ditemi, per favore," cominci Ljubo4(7)cka dopo un certo silenzio " vero ci che dicono, che siete sotto processo?" "Io? S, vero... Sono entrato a far parte dei malfattori, tesoro mio!" "Ma per che cosa?" "Per niente, cos... pi che altro per politica" sbadigli Petr Dmitri4(7)c. "Lotta fra sinistra e destra. Io, oscurantista e conservatore, ho osato adoperare in un atto ufficiale delle espressioni offensive per quegli infallibili Gladstone come il nostro giudice conciliatore distrettuale Ku4(7)zma Grigo4(7)reci4(7)c Vostrjakov e Vladimir Pavlovi4(7)c Vladimirov." Petr Dmitri4(7)c sbadigli ancora una volta e continu: "E abbiamo un sistema tale per cui potete esprimere la vostra opinione sfavorevole sul sole, sulla luna, su qualsiasi cosa, ma che Dio vi guardi dal toccare i liberali! Che Dio ve ne guardi! Il liberale quell'esecrabile fungo secco che, se inavvertitamente sfiorate con un dito, vi avvolge in una nuvola di polvere". "Che cosa vi successo?" "Niente di particolare. Tutto il subbuglio scoppiato per la pi piccola delle sciocchezze. Un maestro, un personaggio squallido, di origine ecclesiastica, sporge querela presso Vostrjakov contro un oste, accusandolo di averlo offeso con parole e atti in luogo pubblico. Da tutto ci chiaro che sia il maestro sia l'oste erano entrambi ubriachi fradici, e che entrambi si sono comportati in modo parimenti vergognoso. Se c'era stata effettivamente un'offesa, era stata in ogni caso reciproca. Vostrjakov avrebbe dovuto multare entrambi per disturbo della quiete e cacciarli dalla sala, ecco tutto. Ma da noi come vanno le cose? Da noi in primo piano c' sempre non la persona, non il fatto, ma la ditta e l'etichetta. Il maestro, non importa che mascalzone sia, ha sempre ragione perch un maestro; l'oste, invece, ha sempre torto perch un oste e un taccagno. Vostrjakov condann l'oste all'arresto, questi rinvi la causa al tribunale. Il tribunale ratific solennemente la condanna di Vostrjakov. Ebbene, io rimasi della mia opinione... Mi accalorai un pochino... Ecco tutto." Petr Dmitri4(7)c parlava con calma, con sprezzante ironia. In realt, invece, l'imminente processo lo inquietava molto. O4(7)lga Michajlovna si ricordava come, tornato dal nefasto tribunale, egli tentasse con tutte le forze di nascondere ai familiari quanto fosse in pena e scontento di s. Da persona intelligente non poteva non sentire che nell'esprimere la sua opinione aveva superato i limiti, e di quante bugie aveva avuto bisogno per nascondere a s e agli altri questo sentimento! Quante chiacchiere inutili, quanto brontolare e quante finte risate su ci che non fa ridere! Venuto a sapere di esser stato citato in giudizio, perse improvvisamente le forze e si ritrov nel pi grande smarrimento, cominci a dormire male, pi spesso del solito stava alla finestra e tamburellava con le dita sui vetri. E si vergognava di ammettere davanti alla moglie quanto fosse in pena, e lei se ne risentiva...

"E' vero ci che dicono, che siete stato nel governatorato di Poltava?" chiese Ljubo4(7)cka. "S, ci sono stato" rispose Petr Dmitri4(7)c. "Sono tornato l'altro ieri." "E' vero che l si sta bene?" "S. Si sta persino molto bene. Io, devo dire, sono capitato l proprio durante il raccolto e in Ucraina il raccolto il momento pi poetico. Qui abbiamo una casa grande, il giardino grande, molto personale e molto trambusto, perci non si vede quando falciano; qui tutto avviene senza accorgersene. L nella fattoria, invece, ho quindici desjatine di prato che si possono abbracciare con lo sguardo: a qualsiasi finestra si stia, ovunque si possono vedere i falciatori. Falciano sul prato, falciano in giardino, non ci sono ospiti, non c' trambusto, cosicch volente o nolente si vede, si ascolta e si sente solo falciare. Dentro e fuori si sente il profumo del fieno, da mattina a sera le falci tintinnano. In generale la Chochlandija (1) un paese piacevole. Credetemi, quando bevevo l'acqua ai pozzi, attingendola con la carrucola, e la cattiva vodka nelle bettole ebraiche, quando nelle serate silenziose giungevano a me i suoni del violino ucraino e del tamburello, mi allettava un pensiero seducente: rinchiudermi nella fattoria e vivere l finch si pu, lontano da questi tribunali, dai discorsi intelligenti, dalle donne che filosofeggiano, dai lunghi pranzi..." Petr Dmitri4(1)c non mentiva. Era oppresso e aveva veramente voglia di riposarsi. E si era recato nel governatorato di Poltava solo per non vedere il suo studio, la servit, i conoscenti e tutto ci che avrebbe potuto ricordargli il suo amor proprio ferito e i suoi errori. Ljubo4(1)cka salt improvvisamente in piedi e prese ad agitare le mani terrorizzata. "Ah, un'ape, un'ape!" strill. "Mi vuol pungere!" "Finitela, non vi punger!" disse Petr Dmitri4(1)c. "Che paurosa siete!" "No, no, no!" url Ljubo4(1)cka e, controllando con lo sguardo l'ape, indietreggi velocemente. Petr Dmitri4(1)c la seguiva e la guardava con tenerezza e tristezza. Forse nel guardarla pensava alla sua fattoria, alla solitudine e (chi lo sa?) forse pensava persino a come sarebbe stato bello e confortevole vivere nella fattoria se sua moglie fosse stata quella ragazzina giovane, pulita, fresca, non corrotta dalle scuole superiori, non incinta... Quando le voci e i passi si spensero, O4(1)lga Michajlovna usc dalla capanna e si diresse verso casa. Aveva voglia di piangere. Provava gi una forte gelosia nei confronti del marito. Capiva che Petr Dmitri4(1)c era stanco, era scontento di s e si vergognava e, quando si prova vergogna, ci si nasconde prima di tutto alle persone care e ci si confida con gli estranei; capiva persino che Ljubo4(1)cka non era pericolosa cos come non lo erano tutte quelle donne che ora in casa stavano bevendo il caff. Ma nell'insieme tutto riusciva incomprensibile, terribile e ad O4(1)lga Michajlovna sembrava gi che Petr Dmitri4(1)c non le appartenesse per met... "Non ne ha il diritto!" mormorava, tentando di comprendere la propria gelosia e la propria stizza nei confronti del marito. "Non ne ha alcun diritto. Adesso gli dico tutto!" Decise di trovare subito il marito e di dirgli tutto: che era disgustoso, infinitamente disgustoso che lui piacesse alle altre donne e che ottenesse ci come la manna dal cielo; che era ingiusto e disonesto che lui concedesse alle altre ci che di diritto spettava a sua moglie, che nascondesse la sua anima e la sua coscienza alla moglie per aprirle al primo visino carino incontrato. Che cosa gli

aveva fatto sua moglie di male? Di che cosa si era resa colpevole? Infine, era da tempo che questo mentire le era venuto a noia: egli posava in continuazione, civettava, non diceva ci che pensava, e tentava di mostrarsi non quale era e sarebbe dovuto essere. A che scopo questa menzogna? Si addiceva a una persona perbene? Se egli mente, offende sia se stesso sia le persone alle quali mente, e non rispetta ci su cui mente. E' possibile che non capisca che, se egli civetta e posa al banco del giudice, oppure se discute a pranzo delle prerogative del potere solo per dar fastidio allo zio, possibile che non capisca che con ci non stima n il tribunale, n se stesso, n tutti coloro che lo ascoltano e lo vedono? Sbucando sul grande viale, O4(1)lga Michajlovna assunse un'espressione tale come se si fosse ora allontanata per delle questioni domestiche. Sulla terrazza gli uomini bevevano il liquore e mangiavano le bacche; uno di loro, un giudice istruttore, un uomo grasso e anziano, mattacchione e burlone, stava certo raccontando qualche storiella oscena giacch alla vista della padrona di casa si afferr all'improvviso le grasse labbra, stralun gli occhi e si accovacci. O4(1)lga Michajlovna non provava simpatia per i funzionari distrettuali. Non le piacevano le loro mogli sgraziate e complimentose, i pettegolezzi, le frequenti visite, l'adulazione davanti a suo marito che tutti loro odiavano. Ora che bevevano, erano sazi e non si accingevano ad andarsene, ella sentiva che la loro presenza era estenuante fino alla disperazione, ma per non apparire scortese sorrise affabilmente al giudice istruttore e lo minacci con il dito. Attravers la sala e il salotto sorridendo e con un'aria tale come se si stesse recando a dare un ordine e delle disposizioni. "Dio non voglia che qualcuno mi fermi!" pensava, ma ella stessa si obblig a fermarsi in salotto ad ascoltare per motivi di convenienza il giovane che era seduto al pianoforte e stava suonando; soffermatasi un minuto, grid: "Bravo, bravo, Georges!" e, battute due volte le mani, prosegu oltre. Trov suo marito nello studio. Era seduto al tavolo e pensava chiss a che cosa. Il suo viso era severo, pensieroso e colpevole. Non era pi ormai quel Petr Dmitri4(1)c che aveva discusso a pranzo e che conoscevano gli ospiti, ma un altro, estenuato, tremebondo e scontento di s, che solo sua moglie conosceva. Si era recato nello studio probabilmente per prendere da fumare. Davanti a lui stava il portasigarette aperto e ricolmo e una mano era abbassata nel cassetto del tavolo. Era rimasto impietrito. O4(1)lga Michajlovna prov compassione per lui. Era chiaro come il giorno che questo uomo era in pena e non trovava pace, forse lottava con se stesso. O4(1)lga Michajlovna si avvicin al tavolo in silenzio; desiderando mostrare di non ricordare la discussione avvenuta a pranzo e di non essere pi arrabbiata, chiuse il portasigarette e lo depose nella tasca laterale della giacca di suo marito. "Che cosa dirgli?" pensava. "Gli dir che la menzogna come un bosco: pi ci si addentra, pi diventa difficile uscirne. Gli dir: ti sei infervorato nel tuo finto ruolo e hai oltrepassato i limiti; hai offeso le persone che erano affezionate a te e che non ti avevano fatto alcun torto. Va', scusati davanti a loro, scherza di te stesso, e ti sentirai meglio. E se vuoi la tranquillit e la solitudine, ce ne andremo via di qui insieme." Incontrata la moglie con gli occhi, Petr Dmitri4(1)c fece di colpo assumere al suo viso l'espressione che aveva a pranzo e in giardino, indifferente e leggermente beffarda; sbadigli e si alz. "Adesso sono le cinque passate" disse, dando un'occhiata all'orologio. "Se gli ospiti avranno piet e se ne andranno alle undici, dovremo aspettare ancora sei ore. Che allegria, non c' che

dire!" E, fischiettando, lentamente, con la sua solita andatura posata, usc dallo studio. Lo si sent attraversare con passo pesante la sala, poi il soggiorno, mettersi a ridere affettatamente e dire al giovane che suonava: "Bra-o! bra-o!". Presto i suoi passi si spensero: era certo uscito in giardino. E non pi la gelosia o la stizza, ma un autentico odio per i suoi passi, per il suo riso artificioso e per la sua voce si impadron di O4(1)lga Michajlovna. Ella si avvicin alla finestra e guard fuori. Petr Dmitri4(1)c camminava gi lungo il viale. Con una mano in tasca, schioccando le dita dell'altra, rovesciata leggermente indietro la testa, egli camminava posatamente, ciondoloni e con una tale aria come se fosse molto soddisfatto di s, e del pranzo, e della digestione, e della natura... Sul viale comparvero due giovani studenti di ginnasio, i figli della possidente 4(1)ci4(1)zevskaja, appena arrivati, e, assieme a loro, uno studente universitario, loro istitutore, in giubba bianca e pantaloni molto stretti. Raggiunto Petr Dmitri4(1)c, i ragazzi e lo studente si fermarono e probabilmente gli porsero gli auguri di buon onomastico. Alzando graziosamente le spalle, egli diede un buffetto sulle guance ai bambini e porse la mano allo studente con negligenza, senza guardarlo. Probabilmente lo studente aveva lodato il clima e lo aveva paragonato a quello di Pietroburgo, perch Petr Dmitri4(1)c disse ad alta voce e con un tono come se parlasse non con un ospite, ma con un ufficiale giudiziario oppure con un testimone: "Come? Da voi a Pietroburgo fa freddo? Noi qui, caro mio, abbiamo aria salubre e dovizia di frutti terreni. Eh? Cosa?" e, messa una mano in tasca e schioccando le dita dell'altra, pass oltre. Finch non scomparve dietro i cespugli del nocciolo, O4(1)lga Michajlovna gli guard tutto il tempo la nuca: era perplessa. Da dove veniva a un uomo di trentaquattro anni quell'andatura posata, da generale? Da dove veniva quel portamento grave e bello? Da dove veniva quella vibrazione autoritaria nella voce, da dove tutti quei "come", "ehm-s" e "caro mio"? O4(1)lga Michajlovna si ricord di quando, nei primi mesi di matrimonio, per non annoiarsi a casa da sola, si recava in citt al tribunale dove talvolta al posto del suo padrino, il conte Aleksej Petrovi4(1)c, presiedeva Petr Dmitri4(1)c. Sulla poltrona presidenziale, in uniforme e con la catena al petto egli cambiava completamente. I gesti maestosi, la voce tonante, "come", "ehm-s", il tono sprezzante... Tutto ci che di comune e umano, di personale O4(1)lga Michajlovna era avvezza a vedere in lui a casa, scompariva nella maestosit, e in poltrona sedeva non Petr Dmitri4(1)c, ma un altro individuo che tutti chiamavano signor presidente. La consapevolezza di essere il potere gli impediva di star seduto tranquillamente al suo posto: egli cercava ogni occasione per suonare il campanello, per gettare un'occhiata severa al pubblico, per urlare... Da dove venivano la miopia e la sordit quando cominciava improvvisamente a vedere e a sentire male e con una smorfia maestosa esigeva che si parlasse pi forte e che ci si avvicinasse di pi al banco? Dall'alto della sua posizione discerneva male i volti e i suoni, cosicch pareva che, se in quei momenti gli si fosse avvicinata la stessa O4(1)lga Michajlovna, avrebbe urlato anche a questa: "Qual il vostro cognome?". Ai testimoni contadini dava del tu, al pubblico gridava in tal modo che la sua voce si sentiva persino in strada e con gli avvocati si comportava in maniera impossibile. Se toccava all'avvocato parlare, Petr Dmitri4(1)c si sedeva leggermente di sbieco rispetto a lui e strizzava gli occhi guardando il soffitto, desiderando con ci mostrare che l'avvocato l non era affatto necessario e che lui non lo riconosceva e non lo

ascoltava; se, invece, a parlare era un procuratore vestito di grigio, Petr Dmitri4(1)c si faceva tutto orecchi e squadrava il procuratore con uno sguardo beffardo, sprezzante: ecco, pareva dire, che avvocati ci sono al giorno d'oggi! "Che cosa volete dire con ci?" interrompeva. Se l'ampolloso procuratore utilizzava qualche parola straniera e, per esempio, invece di "fittizio" pronunciava "fattizio", Petr Dmitri4(1)c si animava di colpo e chiedeva: "Cosa? Come? Fattizio? E che significa?" e poi in modo istruttivo osservava: "Non utilizzate parole che non capite". E l'avvocato, terminato il suo discorso, si allontanava dal banco tutto rosso e sudato, mentre Petr Dmitri4(1)c, sorridendo con aria di sufficienza, esultando per la vittoria, si gettava indietro sullo schienale della poltrona. Nel suo modo di trattare gli avvocati imitava un poco il conte Aleksej Petrovi4(1)c, ma quando questi, per esempio, ordinava: "Difesa, tacete un momento!", a lui risultava detto con la bonariet spontanea della persona anziana, mentre a Petr Dmitri4(1)c suonava brusco e affettato. NOTE: (1) Appellativo ironico dato dai russi all'Ucraina; letteralmente "terra dei ciuffi". II Si udirono degli applausi. Era il giovane che aveva terminato di suonare. O4(1)lga Michajlovna si ricord degli ospiti e si affrett in salotto. "Vi ho ascoltato senza fiatare" disse avvicinandosi al pianoforte. "Vi ho ascoltato senza fiatare. Avete delle capacit sorprendenti! Ma non trovate che il nostro pianoforte sia scordato?" In quel momento entrarono in salotto i due studenti di ginnasio e con loro lo studente universitario. "Dio mio, Mitja e Kolja!" disse con voce strascicata e con gioia O4(1)lga Michajlovna nell'andar loro incontro. "Come siete diventati grandi! Non vi si riconosce quasi! E dov' la vostra mamma?" "Auguri al festeggiato" cominci disinvolto lo studente. "Gli auguro le migliori cose. Ekaterina Andreevna porge i suoi auguri e domanda scusa. Non si sente molto bene." "Che cattiva! L'ho attesa tutto il giorno. E voi da tanto che siete arrivati da Pietroburgo?" chiese O4(1)lga Michajlovna allo studente. "Che tempo fa l, ora?" e, senza aspettare la risposta, gett uno sguardo carezzevole agli studenti di ginnasio e ripet: "Come siete cresciuti! Non molto che venivano qui con la bambinaia, e adesso studiano gi al ginnasio! Il vecchio invecchia, e il giovane cresce... Avete pranzato?". "Ah, non vi disturbate, vi prego!" raccomand lo studente. "Ma non avete pranzato?" "Per amor di Dio, non preoccupatevi!" "Ma volete mangiare?" chiese O4(1)lga Michajlovna ruvidamente, con voce impaziente e quasi stizzosa; le era scappato senza volerlo, ma ebbe subito un accesso di tosse, poi arross e sorrise. "Come siete cresciuti!" disse dolcemente. "Non disturbatevi, vi prego!" disse ancora una volta lo studente. Questi la pregava di non disturbarsi, i ragazzi tacevano; evidentemente tutti e tre volevano mangiare. O4(1)lga Michajlovna li condusse in sala da pranzo e diede ordine a Vasilij di apparecchiare la tavola. "Che cattiva la vostra mamma!" diceva facendoli sedere. "Mi ha completamente dimenticata. Cattiva, cattiva, cattiva... Ditele proprio cos. E voi a che facolt studiate?" chiese allo studente.

"Alla facolt di medicina." "Bene, io ho un debole per i dottori, pensate. Mi spiace molto che mio marito non sia medico. Che coraggio bisogna avere, per esempio, per effettuare un'operazione, o per sezionare i cadaveri! Terribile! Non avete paura? Io probabilmente morirei dal terrore. Certo voi gradirete della vodka?" "Non disturbatevi, vi prego." "Dopo il viaggio si deve bere, si deve. Io sono una donna, eppure talvolta bevo anch'io. Mitja e Kolja berranno del malaga. E' un vino piuttosto leggero, non temete. Che bravi che sono, veramente! Si potrebbe persino trovar loro moglie." O4(1)lga Michajlovna parlava senza posa. Sapeva per esperienza che, intrattenendo gli ospiti, era molto pi facile e pi comodo parlare che ascoltare. Quando si parla, non c' bisogno di sforzare l'attenzione, di inventarsi le risposte alle domande e di mutare espressione del viso. Ma senza volerlo fece una qualche domanda seria, lo studente parl a lungo, e a lei, volente o nolente, tocc ascoltare. Lo studente sapeva che un tempo ella aveva frequentato le scuole superiori, e per questo, rivolgendosi a lei, cercava di mostrarsi serio. "A quale facolt studiate?" chiese, avendo dimenticato di aver gi fatto questa domanda. "Alla facolt di medicina." O4(1)lga Michajlovna si ricord che era gi da tempo che non stava con le signore. "S? Quindi diventerete dottore?" concluse alzandosi. "Bene. Mi rincresce di non aver io stessa studiato medicina. Quindi, pranzate qui, signori, e uscite poi in giardino. Vi presenter alle signorine." Se ne and dando un'occhiata all'orologio: erano le sei meno cinque. Si stup che il tempo passasse cos lentamente e inorrid al pensiero che alla mezzanotte, quando gli ospiti se ne sarebbero andati, restavano ancora sei ore. Come ammazzare il tempo in queste sei ore? Che frasi dire? Come comportarsi con il marito? Nel salotto e in terrazza non c'era anima viva. Tutti gli ospiti si erano sparpagliati per il giardino. "Si dovr proporre loro una passeggiata nel bosco di betulle oppure una gita in barca sino all'ora del t" pensava O4(1)lga Michajlovna affrettandosi al croquet da dove provenivano voci e risate. "E i vecchi metterli a giocare a vingt-et-un..." Dal croquet le stava venendo incontro il servitore Grigorij con le bottiglie vuote. "Ma dove sono le signore?" chiese lei. "Nella lamponaia. C' anche il signore l." "Ah, Signore Dio mio!" qualcuno url esasperato sul campo di croquet. "Ma io vi ho gi detto mille volte la stessa cosa! Per conoscere i bulgari bisogna vederli! Non si pu giudicare in base ai giornali!" Per questo urlo o per qualcos'altro, O4(1)lga Michajlovna all'improvviso avvert una forte debolezza in tutto il corpo, soprattutto nelle gambe e nelle spalle. Le venne improvvisamente voglia di non parlare, di non sentire, di non muoversi. "Grigorij," disse languidamente e con un certo sforzo "quando servirete il t e qualsiasi altra cosa, per favore, non rivolgetevi a me, non fate domande, non parlate di niente... Fate tutto voi e... non picchiate i piedi. Ve ne prego... Io non ce la faccio, perch..." non termin la frase e prosegu verso il croquet, ma strada facendo si ricord delle signore e volt verso la lamponaia. Il cielo, l'aria e gli alberi si stavano facendo cupi e promettevano pioggia; faceva caldo e c'era afa; enormi stormi di

corvi, presentendo il maltempo, passavano velocemente sul giardino con un grido. Pi ci si avvicinava all'orto, pi i viali divenivano trascurati, cupi e stretti; in uno di essi, che era nascosto nella fitta boscaglia di peri selvatici, di acetosella, di giovani querce, di luppolo, intere nuvole di minuti moscerini neri attorniarono O4(1)lga Michajlovna; ella si copr il volto con le mani e si mise a immaginare con forza il volto dell'esserino... Nella sua immaginazione balenarono Grigorij, Mitja, Kolja, i volti dei contadini giunti la mattina a porgere gli auguri... Si sentirono dei passi, ed ella apr gli occhi. Suo zio Nikolaj Nikolai4(1)c le veniva incontro velocemente. "Sei tu, cara? Sono molto contento..." cominci ansando. "Solo due parole..." Si asciug con il fazzoletto il rosso mento rasato, poi retrocesse improvvisamente di un passo, batt le mani e sgran gli occhi. "Madre mia, fino a quando continuer questa storia?" cominci a parlare velocemente, quasi soffocando. "Ti chiedo: dove sono i limiti? Non parlo gi del fatto che le sue occhiate da caporale demoralizzano i presenti, che egli offende in me e in ogni persona onesta e pensante tutto ci che c' di santo e di migliore, non lo dico, ma che sia almeno corretto! Che cosa ? Urla, ringhia, fa le smorfie, si d delle arie da Bonaparte, non lascia dire una parola... il diavolo lo sa! I gesti maestosi, la risata da generale, il tono indulgente! Permetti la domanda: ma chi costui? Io ti chiedo: ma chi ? Il marito di sua moglie, un impiegato con un boccone di terra che ha avuto la fortuna di sposare una donna ricca! Un parvenu e uno junker, (2) come ce ne sono tanti! Un tipo alla 4(2)s4(2)cedrin! (3)s4(3)cedrin (1826-1889), scrittore satirico.(3) Giuro davanti a Dio che una delle due: o soffre di manie di grandezza, oppure ha veramente ragione quel vecchio topo rimbambito, il conte Aleksej Petrovi4(3)c, quando dice che i bambini e i giovani del giorno d'oggi diventano adulti tardi e sino a quarant'anni giocano a fare i vetturini o i generali!" "E' vero, vero..." approv O4(3)lga Michajlovna. "Permettimi di passare." "Ora giudica tu, tutto ci a che cosa porta?" prosegu lo zio sbarrandole la strada. "Come finisce questo gioco a fare il conservatore e il generale? E' gi finito sotto processo! Sotto processo! E ne sono molto lieto! Ha urlato e attirato su di s tali guai da finire sul banco degli accusati. E non al tribunale di circondario o altro, ma alla camera giudiziaria! (4) Non si potrebbe forse inventare nulla di peggio! In secondo luogo, si inimicato tutti! Oggi il suo onomastico e guarda: non sono venuti n Vostrjakov, n Jachontov, n Vladimirov, n 4(4)sevud, n il conte... E chi sarebbe pi conservatore del conte Aleksej Petrovi4(4)c, eppure non venuto nemmeno lui. E non verr mai pi! Vedrai che non verr pi!" "Ah, Dio mio, ma io che c'entro?" chiese O4(4)lga Michajlovna. "Come, che c'entri? Sei sua moglie! Sei intelligente, hai studiato, ed in tuo potere fare di lui un onesto lavoratore!" "A scuola non insegnano come influire sulle persone difficili. Dovr, a quanto pare, chiedere a tutti voi perdono per aver studiato!" disse aspra O4(4)lga Michajlovna. "Senti, zio, se per tutto il giorno nelle orecchie ti suonasse sempre la stessa musica, non rimarresti seduto, ma scapperesti. E' un anno che per giorni e giorni sento sempre la stessa cosa, la stessa cosa. Signori, alla fine bisogna aver piet!" Lo zio assunse un'espressione molto seria, poi la guard con occhio scrutatore e storse la bocca con un sorriso beffardo. "Ecco come stanno le cose!" disse cantilenando con voce senile. "Scusa!" disse, facendo un inchino cerimonioso. "Avresti potuto dirlo

prima di finire tu stessa sotto la sua influenza e di cambiare cos le tue convinzioni. Scusa!" "S, ho cambiato le mie convinzioni!" ella url. "Siine felice!" "Scusa!" Lo zio fece per l'ultima volta un inchino cerimonioso, un po' di traverso e, restringendosi tutto, strisci un piede e torn indietro. "Che stupido!" pens O4(4)lga Michajlovna. "Che se ne vada a casa!" Trov le signore e i giovani nell'orto dei lamponi. Alcuni ne mangiavano, altri, a cui i lamponi erano gi venuti a noia, erravano lungo le file di fragole oppure frugavano tra i piselli dolci. Poco pi in l dei lamponi, vicino a un melo frondoso, puntellato dai bastoni strappati dal vecchio steccato, Petr Dmitri4(4)c stava falciando l'erba. I capelli gli cadevano sulla fronte, la cravatta si era sciolta, la catenella dell'orologio era scivolata dall'occhiello. In ogni suo passo e in ogni movimento della falce si sentiva l'abilit e la presenza di un'enorme forza fisica. Accanto a lui c'erano Ljubo4(4)cka e le figlie del vicino, il colonnello Bukreev, Nata4(4)lja e Valentina, oppure, come tutte le chiamavano, Nata e Vata, due anemiche biondine di sedici-diciassette anni, grassocce in modo malsano e vestite di bianco, straordinariamente somiglianti l'una all'altra. Petr Dmitri4(4)c insegnava loro a falciare. "E' semplicissimo..." diceva. "Bisogna solo saper tenere la falce e non accalorarsi, ovvero non utilizzare pi forza del necessario. Ecco cos... Non desiderate provare voi adesso?" porse la falce a Ljubo4(4)cka. "Su!" Ljubo4(4)cka prese la falce con mano inesperta, all'improvviso arross e si mise a ridere. "Non fate la timida, Ljubo4(4)v Aleksandrovna!" url O4(4)lga Michajlovna, cos forte che tutte le signore potessero sentirla e sapere che ella era con loro. "Non fate la timida! Bisogna imparare! Se sposerete un tolstoiano, vi far falciare." Ljubo4(4)cka sollev la falce, ma si mise di nuovo a ridere e, perdute le forze, la abbass subito. Provava vergogna e piacere che parlassero con lei come con un'adulta. Nata, senza sorridere e senza far la timida, con il viso serio, freddo, prese la falce, la sollev e la impigli nell'erba; Vata, anch'ella senza sorridere, seria e fredda come la sorella, afferr in silenzio la falce e la conficc in terra. Fatto ci, le sorelle si presero a braccetto e si diressero in silenzio verso i lamponi. Petr Dmitri4(4)c rideva e ruzzava come un bambino, e questo umore infantile e giocherellone, quando diveniva oltremodo affabile, gli si confaceva molto di pi di qualsiasi altro. O4(4)lga Michajlovna lo amava quando era cos. Ma la sua fanciullaggine solitamente non durava a lungo. Cos anche questa volta, scherzato con la falce, ritenne chiss perch opportuno conferire alla sua monelleria una sfumatura seria. "Quando falcio mi sento, sapete, pi sano e pi normale" disse. "Se mi obbligassero ad appagarmi della sola vita intellettuale, penso che impazzirei. Sento di non esser nato per essere una persona di cultura! Io devo falciare, arare, seminare, scozzonare i cavalli..." E Petr Dmitri4(4)c intraprese con le signore una conversazione sui vantaggi del lavoro fisico, sulla cultura, poi sul danno recato dal denaro, sulla propriet. Ascoltando il marito, O4(4)lga Michajlovna chiss perch ricord la propria dote. "E verr il momento," pens "che non mi perdoner di essere pi ricca di lui. E' orgoglioso e permaloso. Probabilmente mi prender in odio per il fatto di dovermi molto." Si ferm presso il colonnello Bukreev, che stava mangiando i lamponi e prendeva anch'egli parte alla conversazione. "Prego" disse, facendo passare O4(4)lga Michajlovna e Petr

Dmitri4(4)c. "Qui ci sono i pi maturi... Dunque, secondo Proudhon," continu alzando la voce "la propriet un furto. Ma io, devo ammettere, non rispetto Proudhon e non lo ritengo un filosofo. Per me i francesi non sono un'autorit, che Dio sia con loro!" "Per quanto riguarda i Proudhon e qualsiasi Buckle, io qui sono debole" confess Petr Dmitri4(4)c. "Per la filosofia rivolgetevi a lei, alla mia consorte. Ha studiato e conosce a menadito tutti questi Schopenhauer e Proudhon..." O4(4)lga Michajlovna fu colta nuovamente dalla noia. Cammin di nuovo in giardino, per lo stretto sentierino, oltre i meli e i peri, e di nuovo aveva quell'aria come se stesse andando a far qualcosa di molto importante. Ed ecco l'isba del giardiniere... Sulla porta erano seduti Varvara, la moglie del giardiniere, e i suoi quattro ragazzini dalle grandi teste rapate. Anche Varvara era incinta e, secondo i suoi calcoli, doveva partorire per il giorno del profeta I4(4)lja. Salutatala, O4(4)lga Michajlovna guard in silenzio lei e i bambini e chiese: "Ebbene, come ti senti?" "Non c' male..." Si fece silenzio. Pareva che entrambe le donne in silenzio si capissero vicendevolmente. "Che paura partorire per la prima volta," disse O4(4)lga Michajlovna, dopo aver riflettuto un poco "mi sembra sempre che non lo sopporter, che morir." "Anch'io lo pensavo, ma eccomi viva... Non fateci caso!" Varvara, incinta gi per la quinta volta ed esperta, guardava la sua padrona con una leggera aria di superiorit e le parlava con tono sentenzioso; O4(4)lga Michajlovna sentiva involontariamente la sua autorit: aveva voglia di parlare della sua paura, del bambino, delle sue sensazioni, ma temeva che questo a Varvara paresse meschino e ingenuo. Cos taceva ed aspettava che Varvara stessa dicesse qualcosa. "Olja, noi andiamo a casa!" grid dalla lamponaia Petr Dmitri4(4)c. Ad O4(4)lga Michajlovna piaceva tacere, aspettare e guardare Varvara. Avrebbe acconsentito a stare in piedi cos, in silenzio e senza alcuno scopo, fino a notte fonda. Ma doveva andare. Appena lasciata l'isba le corsero incontro Ljubo4(4)cka, Vata e Nata. Queste ultime si fermarono a una sagena da lei ed entrambe si arrestarono simultaneamente di colpo, come inchiodate; Ljubo4(4)cka, invece, la raggiunse e le si aggrapp al collo. "Cara! Buona! Inestimabile!" cominci a dire baciandole il volto e il collo. "Andiamo a prendere il t sull'isola!" "Sull'isola! Sull'isola!" le identiche Vata e Nata parlarono simultaneamente, senza sorridere. "Ma piover, mie care." "Non piover, non piover!" url Ljubo4(4)cka assumendo un'espressione piagnucolosa. "Sono tutti d'accordo per andare! Cara, buona!" "L si stanno preparando tutti ad andare a prendere il t sull'isola" disse Petr Dmitri4(4)c avvicinandosi. "Da' disposizioni... Noi tutti andiamo in barca, ma si deve mandare i samovar e tutto il resto con la servit in carrozza." Si affianc alla moglie e la prese a braccetto. Ad O4(4)lga Michajlovna venne voglia di dire al marito qualcosa di spiacevole, di pungente, anche solo di ricordargli della dote, in modo tanto pi crudele, le sembrava, tanto meglio. Pens e disse: "Per quale motivo il conte Aleksej Petrovi4(4)c non venuto? Che peccato!". "Sono molto lieto che non sia venuto" ment Petr Dmitri4(4)c. "Ne ho piene le tasche di quello jurodivyj." "Eppure sino a pranzo l'hai aspettato con tale impazienza!"

NOTE: (2) Allievo dell'Accademia navale. (3) Ovvero un nobile buono a nulla, come quelli descritti nei suoi romanzi da Saltykov-4 (4) Organo giudiziario che esaminava solo i principali crimini o i reati dei pubblici ufficiali. III Mezz'ora dopo gli ospiti gi si affollavano sulla riva vicino all'ormeggio delle barche. Tutti parlavano e ridevano molto, e per l'eccessiva agitazione non riuscivano a prender posto sulle barche. Tre di esse erano gi piene zeppe di passeggeri, e due erano vuote. Le chiavi di queste due erano scomparse chiss dove, e dal fiume al cortile gli inviati correvano in continuazione in cerca delle chiavi. Alcuni dicevano che le aveva Grigorij, altri che erano dal fattore, i terzi consigliavano di chiamare il fabbro e di rompere le serrature. E tutti parlavano a un tempo interrompendosi e soffocandosi a vicenda. Petr Dmitri4(4)c camminava impaziente lungo la riva e strillava: "Sa il diavolo che cosa succede! Le chiavi devono stare sempre in anticamera sulla finestra! Chi ha osato prenderle? Il fattore, se lo desidera, pu procurarsi una barca tutta per s!" Finalmente le chiavi furono trovate. Ma allora risult che mancavano due remi. Scoppi di nuovo il pandemonio. Petr Dmitri4(4)c, al quale era venuto a noia camminare, salt in una canoa stretta e lunga, scavata nel legno di pioppo, e barcollando, quasi cadendo in acqua, si stacc dalla riva. Dietro di lui, l'una dopo l'altra, tra le risate sonore e gli strilli delle signorine, si misero in moto anche le altre barche. Il bianco cielo nuvoloso, gli alberi della riva, le canne, le barche con la gente e i remi si riflettevano nell'acqua come in uno specchio; anche sotto le barche, lontano in profondit, nell'abisso senza fondo c'era il cielo e volavano gli uccelli. Una riva, sulla quale c'era una villa, era alta, scoscesa e tutta coperta di alberi; sull'altra, in dolce declivio, verdeggiavano ampie marcite e scintillavano le insenature. Le barche percorsero una cinquantina di sagene, e dietro i salici tristemente piegati sulla riva in dolce pendenza comparvero alcune isbe e una mandria di mucche; cominciarono a sentirsi delle canzoni, grida ubriache e le note di un'armonica. Qua e l lungo il fiume andavano e venivano le canoe dei pescatori, intenti a collocare i palangari per la notte. In una barchetta sedevano dei musicisti dilettanti ubriachi che suonavano violini e violoncelli di propria fabbricazione. O4(4)lga Michajlovna era al timone. Sorrideva affabilmente e parlava molto per intrattenere gli ospiti, ma di tanto in tanto guardava con la coda dell'occhio il marito. Egli vogava sulla sua canoa davanti a tutti, in piedi e lavorando con un solo remo. La leggera canoa dalla forma appuntita, che tutti gli ospiti chiamavano lancia, ma Petr Dmitri4(4)c, chiss perch, "Penderaklija", filava veloce; essa aveva un'espressione vivace, furba e sembrava detestare il pesante Petr Dmitri4(4)c e aspettare il momento opportuno per scivolargli da sotto i piedi. O4(4)lga Michajlovna guardava di soppiatto il marito, e le risultavano odiosi la sua bellezza, che piaceva a tutti, la nuca, la posa, il modo di rivolgersi con familiarit alle donne; odiava tutte le donne sedute in barca, ne era gelosa e allo stesso tempo ogni minuto sussultava e temeva che la traballante canoa si rovesciasse e accadesse una disgrazia. "Va' piano, Petr!" gridava, e il cuore le si arrestava dalla paura.

"Siediti! Sappiamo gi che sei coraggioso!" La infastidivano anche le persone che erano con lei in barca. Erano persone comuni, abbastanza buone, come ce ne sono molte, ma adesso ognuno di loro le pareva singolare e cattivo. In ognuno vedeva solo la falsit. "Ecco," pensava "lavora di remo un giovane castano con gli occhiali dorati e la bella barbetta; un figlio di mamma ricco, sazio e sempre felice, che tutti ritengono una persona onesta, un libero pensatore, un progressista. Non ancora passato un anno da quando ha terminato l'universit ed venuto a vivere nel distretto che gi dice di s: "Noi membri dello zemstvo". Ma passer un anno ed egli, come molti altri, comincer ad annoiarsi, se ne andr a Pietroburgo e, per giustificare la sua fuga, dir ovunque che lo zemstvo non serve a nulla e che stato ingannato. E dall'altra barca, senza levargli gli occhi di dosso, la giovane moglie lo guarda e crede che egli sia un "membro dello zemstvo" cos come fra un anno creder che lo zemstvo non serve a nulla. Ed ecco un signore grasso, accuratamente rasato, con il cappello di paglia con un largo nastro e un sigaro costoso fra i denti. A costui piace dire: "E' ora di abbandonare le fantasie e di mettersi all'opera!". Possiede maiali dello Yorkshire, alveari di Butlerov, (5)c Butlerov (1828-1886), chimico organico, studioso di apicoltura.(5) colza, ananassi, un oleificio, un caseificio, la contabilit all'italiana a partita doppia. Ma ogni estate, per passare l'autunno con l'amante in Crimea, vende il proprio bosco per il taglio e impegna la terra pezzo per pezzo. Ed ecco lo zio Nikolaj Nikolai4(5)c, che arrabbiato con Petr Dmitri4(5)c e comunque, chiss perch, non se ne va a casa!" O4(5)lga Michajlovna sbirciava nelle altre barche e vi vedeva soltanto delle persone strane affatto interessanti, degli attori oppure delle persone limitate. Richiam alla mente tutti quelli che conosceva nel distretto e non riusc a ricordare neppure una persona della quale potesse dire o pensare qualcosa di buono. Tutti le parevano inetti, scialbi, limitati, gretti, ipocriti, crudeli, tutti dicevano non ci che pensavano e facevano non ci che volevano. La noia e la disperazione la soffocavano; aveva voglia di smettere all'improvviso di sorridere, di balzare in piedi e di urlare: "Mi avete stufato!" e poi di tuffarsi dalla barca e raggiungere la riva a nuoto. "Signori, prendiamo Petr Dmitri4(5)c a rimorchio!" grid qualcuno. "A rimorchio! A rimorchio!" raccolsero la proposta gli altri. "O4(5)lga Michajlovna, prendete a rimorchio vostro marito!" Per prenderlo a rimorchio, O4(5)lga Michajlovna, che stava al timone, non doveva lasciarsi scappare il momento opportuno e afferrare con destrezza Penderaklija per la catena alla prua. Mentre si curvava per afferrare la catena, Petr Dmitri4(5)c fece una smorfia e la guard spaventato. "Guarda di non prender freddo!" disse. "Se temi per me e per il bambino, perch mi tormenti?" pens O4(5)lga Michajlovna. Petr Dmitri4(5)c si dichiar vinto e, non desiderando andare a rimorchio, salt dalla Penderaklija sulla barca, gi di per s stipata di passeggeri; salt con cos poco riguardo che la barca si inclin fortemente e tutti lanciarono un grido di terrore. "Ha saltato per far colpo sulle donne" pens O4(5)lga Michajlovna. "Sa che fa effetto..." Per la noia e la stizza, per il sorriso forzato e per il disagio che sentiva in tutto il corpo, cos pensava lei, cominciarono a tremarle le mani e le gambe. E per nascondere agli ospiti questo tremito si sforzava di parlare pi forte, di ridere, di muoversi... "Nel caso che scoppiassi a piangere," pensava "dir che ho mal di denti..."

Ma ecco, finalmente, che le barche approdarono all'isola "Buona Speranza". Cos si chiamava la penisola formatasi in seguito alla deviazione del fiume ad angolo acuto, coperta da un vecchio boschetto di betulle, querce, salici e pioppi. Sotto gli alberi c'erano gi i tavoli, i samovar fumavano, e vicino alle stoviglie si affaccendavano gi Vasilij e Grigorij, con i loro frac e i guanti bianchi lavorati a maglia. Sull'altra riva, di fronte alla "Buona Speranza" stavano le carrozze giunte con le vettovaglie. Dalle carrozze i canestri e i fagotti con le provviste erano trasportati sull'isola su una canoa molto simile alla Penderaklija. I servitori, i cocchieri e persino il mu4(5)zik che era nella canoa avevano un'espressione solenne, da festa di onomastico, quale capita solo ai bambini e alla servit. Mentre O4(5)lga Michajlovna preparava il t e ne versava i primi bicchieri, gli ospiti erano occupati con il liquore e i dolciumi. Poi cominci la confusione abituale dei picnic quando si beve il t, molto noiosa e sfibrante per le padrone di casa. Grigorij e Vasilij avevano appena fatto a tempo a distribuire i bicchieri di t, che gi verso O4(5)lga Michajlovna si protendevano le mani con i bicchieri vuoti. Uno lo voleva senza zucchero, un altro pi forte, un terzo pi leggero, un quarto ringraziava. E tutto ci O4(5)lga Michajlovna doveva tenerselo a mente e poi gridare: "Ivan Petrovi4(5)c, siete voi che lo volete senza zucchero?" oppure: "Signori, chi lo voleva pi leggero?". Ma colui che lo voleva senza zucchero oppure pi leggero non se ne ricordava pi ormai e, distratto dalle piacevoli conversazioni, prendeva il primo bicchiere che capitava. In disparte rispetto al tavolo erravano come ombre delle figure malinconiche che fingevano di cercare dei funghi nell'erba oppure di leggere le etichette sulle scatole: erano quelli rimasti senza bicchiere. "Avete bevuto il t?" chiedeva O4(5)lga Michajlovna, e colui al quale era rivolta questa domanda la pregava di non disturbarsi e le diceva: "Aspetter", sebbene per la padrona di casa fosse pi comodo che gli ospiti non aspettassero ma che si affrettassero. Alcuni, occupati nelle conversazioni, bevevano il t lentamente, tenendosi i bicchieri mezz'ora, altri, invece, soprattutto coloro che avevano bevuto molto a pranzo, non si scostavano dal tavolo e bevevano un bicchiere dopo l'altro, tanto che O4(5)lga Michajlovna faceva appena a tempo a riempirlo. Un giovane buontempone beveva il t succhiando pezzetti di zucchero e continuava a ripetere: "A me, peccatore, piace viziarmi con l'erba cinese". Chiedeva in continuazione, con un profondo sospiro: "Permettete ancora uno scodellino!". Beveva molto e addentava rumorosamente lo zucchero; riteneva di imitare i mercanti alla perfezione e che tutto ci fosse buffo e originale. Nessuno capiva che tutte queste piccolezze erano un tormento per la padrona di casa; d'altra parte era difficile capirlo, poich O4(5)lga Michajlovna sorrideva cordialmente e chiacchierava tutto il tempo. Ma ella stava male... La irritavano la folla, le risa, le domande, il buontempone, i servitori storditi e spossati, i bambini che ruzzavano attorno al tavolo; la irritava che Vata somigliasse a Nata, Kolja a Mitja e che non si capisse chi di loro avesse gi preso il t e chi no. Sentiva che il suo forzato sorriso cordiale si stava trasformando in un'espressione cattiva, e ogni momento le pareva che sarebbe scoppiata a piangere. "Signori, piove!" grid qualcuno. Tutti guardarono il cielo. "S, effettivamente piove..." conferm Petr Dmitri4(5)c e si asciug la guancia. Il cielo aveva lasciato cadere solo alcune gocce, non era ancora una pioggia vera e propria, ma gli ospiti abbandonarono il t e si affrettarono a partire. Dapprima tutti volevano andare in carrozza,

poi ci ripensarono e si diressero alle barche. O4(5)lga Michajlovna, con il pretesto di dover dare al pi presto disposizioni per la cena, chiese il permesso di staccarsi dalla compagnia e di andare a casa in carrozza. Salita in carrozza, prima di tutto smise quel suo sorriso forzato. Attravers il villaggio con viso cattivo, e con viso cattivo rispose agli inchini dei contadini che incontrava. Giunta a casa, dall'entrata di servizio and nella sua camera da letto e si coric sul letto del marito. "Signore, Dio mio," mormorava "perch tutta questa fatica? Perch questa gente si accalca qui e fa finta di divertirsi? Perch io sorrido e mento? Non capisco, non capisco!" Si sentirono dei passi e delle voci. Erano gli ospiti che tornavano. "Pazienza," pens O4(5)lga Michajlovna. "Resto ancora un poco coricata." Ma in camera da letto entr la cameriera che disse: "Signora, Ma4(5)rja Grigo4(5)revna sta andando via!". O4(5)lga Michajlovna balz in piedi, si aggiust la pettinatura e usc di corsa dalla camera da letto. "Ma4(5)rja Grigo4(5)revna, che cosa significa?" cominci con voce offesa andando incontro a Ma4(5)rja Grigo4(5)revna. "Dove andate cos di fretta?" "Non posso, colombella, non posso! Mi sono gi trattenuta troppo. A casa i bambini mi stanno aspettando." "Siete proprio cattiva. Perch non avete preso con voi i bambini?" "Cara, se permettete, ve li porter in un giorno feriale, ma oggi..." "Ah, ve ne prego," la interruppe O4(5)lga Michajlovna "ne sar molto lieta! Avete dei bambini cos simpatici! Date a tutti loro un bacio... Ma, davvero, voi mi offendete! Perch tanta fretta, non capisco!" "Non posso, non posso... Arrivederci, mia cara. Abbiate cura di voi. Ora siete in una tale situazione..." E si baciarono. Dopo aver accompagnato l'ospite sino alla carrozza, O4(5)lga Michajlovna and in salotto dalle signore. L i lumi erano gi stati accesi e gli uomini stavano prendendo posto per giocare a carte. NOTE: (5) Aleksandr Michajlovi4 IV Gli ospiti cominciarono ad andarsene dopo cena, a mezzanotte e un quarto. Accompagnandoli, O4(5)lga Michajlovna stava sul terrazzino d'ingresso e diceva: "Davvero, se prendeste lo scialle! Comincia a far fresco. Dio non voglia che vi prendiate un raffreddore!" "Non preoccupatevi, O4(5)lga Michajlovna!" rispondevano gli ospiti prendendo posto. "Ebbene, arrivederci! Guardate che vi aspettiamo! Non ingannateci!" "Tprrr!" il cocchiere teneva i cavalli a freno. "Parti, Denis! Arrivederci, O4(5)lga Michajlovna!" "Date un bacio ai bambini!" La carrozza partiva e scompariva subito nelle tenebre. Nel cerchio rosso gettato dal lume sulla strada compariva una nuova pariglia o una trojka di cavalli impazienti e la sagoma del cocchiere con le braccia protese in avanti. Cominciavano di nuovo i baci, i rimproveri e gli inviti a venire ancora una volta oppure a prendere lo scialle.

Petr Dmitri4(5)c correva dall'anticamera e aiutava le signore a salire in carrozza. "Tu adesso va' verso Efremovo" dava istruzioni al cocchiere. "Passando attraverso Ma4(5)nkino pi vicino, ma la strada peggiore. Potresti ribaltarti... Arrivederci, tesoro mio! Mille compliments (6) al vostro artista!" "Arrivederci, anima mia, O4(6)lga Michajlovna! Entrate in casa, senn prendete freddo! E' umido!" "Tprrr! Come ti agiti!" "Che cavalli avete?" chiedeva Petr Dmitri4(6)c. "Li abbiamo comprati durante la Quaresima da Chajdarov" rispondeva il cocchiere. "Bei cavallucci..." E Petr Dmitri4(6)c dava un colpetto al bilancino sulla groppa. "Di, parti! Che Dio vi faccia fare buon viaggio!" Finalmente se ne and l'ultimo ospite. Il cerchio rosso sulla strada cominci a dondolare, scivol di lato, si restrinse e si spense: era Vasilij che portava via la lampada dal terrazzino. Le volte precedenti, di solito, dopo aver accompagnato gli ospiti, Petr Dmitri4(6)c e O4(6)lga Michajlovna si mettevano l'uno davanti all'altra in sala a saltare, a battere le mani e a cantare: "Se ne sono andati! Se ne sono andati! Se ne sono andati!". Ora, invece, O4(6)lga Michajlovna aveva altri pensieri. And in camera da letto, si svest e si coric sul letto. Le pareva che avrebbe subito preso sonno e che avrebbe dormito profondamente. Le gambe e le spalle le dolevano penosamente, la testa era appesantita dalle conversazioni, e come prima avvertiva in tutto il corpo una sorta di disagio. Copertasi sino alla testa, rimase coricata tre minuti, poi sbirci da sotto la coperta il lumicino, si mise in ascolto del silenzio e sorrise. "Bene, bene..." sussurr, piegando le gambe che le sembravano divenute pi lunghe per il gran camminare. "Dormire, dormire..." Le gambe non stavano a posto, tutto il corpo era a disagio ed ella si volt sull'altro fianco. Nella camera da letto volava ronzando una grande mosca e picchiava inquieta contro il soffitto. Si sentiva anche che in sala Grigorij e Vasilij, appoggiando i piedi con cautela, sparecchiavano i tavoli; ad O4(6)lga Michajlovna cominci a sembrare che si sarebbe addormentata e che sarebbe stata comoda solo quando sarebbero cessati questi suoni. E di nuovo si volt impaziente sull'altro fianco. Dal salotto si sent la voce del marito. Probabilmente qualche ospite era rimasto per la notte, perch Petr Dmitri4(6)c si rivolgeva a qualcuno e diceva ad alta voce: "Io non dico che il conte Aleksej Petrovi4(6)c sia una persona ipocrita. Ma appare per forza tale perch voi tutti, signori, cercate di vedere in lui non ci che lui realmente. Nella sua stravaganza vedono un'intelligenza originale, nei suoi modi familiari l'affabilit, nell'assoluta mancanza di opinioni il conservatorismo. Supponiamo anche che egli sia effettivamente un conservatore di pura lega. Ma che cosa in sostanza il conservatorismo?" Petr Dmitri4(6)c, adirato e con il conte Aleksej Petrovi4(6)c e con gli ospiti e con se stesso, ora si sfogava. Ingiuriava il conte e gli ospiti, e per la stizza nei propri confronti era pronto a dire e a predicare qualunque cosa. Dopo aver accompagnato l'ospite, cammin su e gi per il salotto, pass in sala da pranzo, nel corridoio, nello studio, poi di nuovo in sala, ed entr in camera da letto. O4(6)lga Michajlovna era coricata sulla schiena, con la coperta indosso solo fino alla vita (e gi cos le pareva che facesse caldo), e con volto cattivo curava la mosca che picchiava contro il soffitto. "E' forse rimasto qualcuno a dormire?" chiese.

"S, Egorov." Petr Dmitri4(6)c si spogli e si coric sul letto. Si accese in silenzio una sigaretta e si mise anch'egli a curare la mosca. Il suo sguardo era severo e inquieto. O4(6)lga Michajlovna guard il bel profilo di lui in silenzio per circa cinque minuti. Le pareva, chiss perch, che se il marito si fosse improvvisamente voltato verso di lei e avesse detto: "Olja, ho un peso sul cuore!", ella si sarebbe messa a piangere o a ridere, e si sarebbe sentita meglio. Pensava che le gambe dolessero e che sentisse disagio in tutto il corpo per il fatto di avere l'animo teso. "Petr, a cosa pensi?" chiese. "Cos, a nulla..." rispose il marito. "Ultimamente mi nascondi qualche segreto. Non sta bene." "Perch mai non sta bene?" Petr Dmitri4(6)c rispose seccamente e non subito. "Ognuno di noi ha una propria vita privata, perci ci devono essere anche i propri segreti." "Vita privata, propri segreti... sono tutte parole! Cerca di capire che mi stai offendendo!" disse O4(6)lga Michajlovna sollevandosi e sedendosi sul letto. "Se hai un peso sul cuore, perch lo nascondi a me? E perch trovi pi comodo confidarti con altre donne e non con tua moglie? Ti ho sentito come oggi ti sfogavi con Ljubo4(6)cka l vicino alle arnie." "Bene, mi congratulo. Sono molto lieto che tu abbia sentito." Questo voleva dire: lasciami in pace, non disturbarmi mentre penso! O4(6)lga Michajlovna si indign. La stizza, l'odio e la rabbia che si erano accumulati in lei nel corso della giornata presero d'un tratto proprio a spumeggiare; ella aveva voglia proprio ora, senza rimandare a domani, di dire al marito tutto, di offenderlo, di vendicarsi... Facendo su di s uno sforzo per non urlare, disse: "Ebbene, sappi che tutto ci disgustoso, disgustoso e disgustoso! Oggi ti ho odiato tutta la giornata: ecco cos'hai combinato!" Anche Petr Dmitri4(6)c si sollev e si mise a sedere. "Disgustoso, disgustoso, disgustoso!" continuava O4(6)lga Michajlovna, cominciando a tremare in tutto il corpo. "Non c' niente di cui congratularsi con me! E' meglio che ti congratuli con te stesso! Che vergogna! Hai mentito a tal punto da aver vergogna a restare con tua moglie nella stessa stanza! Sei un ipocrita! Ti vedo da parte a parte e capisco ogni tua azione!" "Olja, quando sei di cattivo umore, per favore, avvertimi. In tal caso dormir nello studio." Detto questo, Petr Dmitri4(6)c prese il guanciale e usc dalla camera da letto. Questo O4(6)lga Michajlovna non l'aveva previsto. Per alcuni istanti in silenzio, con la bocca aperta e tremando in tutto il corpo, fiss la porta dietro la quale era scomparso il marito, e cerc di capire cosa questo significasse. E' questa una delle tecniche che le persone ipocrite utilizzano nelle discussioni quando hanno torto, oppure era un'offesa recata di proposito al suo amor proprio? Come interpretarla? A O4(6)lga Michajlovna venne in mente suo cugino, un ufficiale, un tipo allegro che spesso le raccontava ridendo che, quando la notte "la mogliettina cominciava a rampognarlo", egli di solito prendeva il guanciale e, fischiettando, se ne andava nello studio, mentre la moglie rimaneva in una posizione stupida e ridicola. Questo ufficiale era sposato con una donna ricca, capricciosa e stupida, che egli non rispettava e a malapena sopportava. O4(6)lga Michajlovna balz dal letto. Secondo lei adesso le rimaneva solo una cosa da fare: vestirsi alla svelta e andarsene da quella casa per sempre. La casa era sua, ma tanto peggio per Petr Dmitri4(6)c. Senza ragionare se ci fosse o no necessario, and velocemente nello studio per comunicare la propria decisione al

marito ("Logica da donnetta!", le balen in testa) e per dirgli, accomiatandosi, ancora qualcosa di offensivo, di sarcastico... Petr Dmitri4(6)c era coricato sul divano e fingeva di leggere il giornale. Accanto a lui sulla sedia ardeva una candela. A causa del giornale non gli si vedeva il volto. "Vogliate spiegarmi che cosa significa questo. Sto chiedendo a voi!" "A voi..." scimmiott Petr Dmitri4(6)c senza mostrare il volto. "Basta, O4(6)lga! Parola d'onore, sono stanco, e adesso ho altro a cui pensare... Litigheremo domani." "No, io ti capisco alla perfezione!" continuava O4(6)lga Michajlovna. "Tu mi odi! S, s! Tu mi odi perch sono pi ricca di te! Non me lo perdonerai mai e mi mentirai sempre!" ("Logica da donnetta!" le balen di nuovo in testa.) "Adesso lo so, tu ridi di me... Sono persino sicura che mi hai sposato solo per avere un titolo e questi infidi cavalli... Oh, come sono infelice!" Petr Dmitri4(6)c fece cadere il giornale e si sollev. L'offesa inaspettata l'aveva sbalordito. Sorrise in modo infantile e impotente, guard sbigottito la moglie e, come se si difendesse dalle percosse, tese verso di lei le mani e disse in tono supplichevole: "Olja!" e aspettandosi che ella dicesse ancora qualcosa di tremendo, si strinse allo schienale del divano e tutta la sua grande figura parve altrettanto infantile e impotente quanto il sorriso. "Olja, come hai potuto dire una cosa simile?" mormor. O4(6)lga Michajlovna torn in s. Sent di colpo il suo amore folle per quell'uomo, ricord che egli era suo marito, Petr Dmitri4(6)c, senza il quale ella non poteva vivere nemmeno un giorno e che egli la amava di altrettanto amore folle. Scoppi in violenti singhiozzi, con voce non sua, si afferr la testa con le mani e torn di corsa in camera. Cadde sul letto, e dei piccoli singhiozzi isterici che le impedivano di respirare, per i quali le si torcevano le braccia e le gambe, riempirono la camera. Ricordatasi che tre-quattro stanze pi in l dormiva l'ospite, nascose la testa sotto il guanciale per attutire i singhiozzi, ma il guanciale cadde sul pavimento e manc poco che ella stessa cadesse quando si chin a raccoglierlo; si tir la coperta sul viso, ma le mani non obbedivano e strappavano convulsamente tutto ci che ella afferrava. Le pareva che fosse ormai tutto perduto, che la menzogna che aveva detto per offendere il marito avesse mandato in frantumi tutta la sua vita. Il marito non l'avrebbe perdonata. L'offesa che gli aveva recato era del tipo che non si poteva lenire con nessuna carezza, n con giuramenti... Come avrebbe convinto il marito che ella stessa non credeva in ci che aveva detto? "E' finita, finita!" urlava, senza accorgersi che il guanciale era nuovamente caduto. "Per carit, per carit!" Destati dalle sue grida, l'ospite e la servit si erano probabilmente gi svegliati; l'indomani tutto il distretto avrebbe saputo che ella aveva avuto un attacco di nervi e tutti ne avrebbero incolpato Petr Dmitri4(6)c. Si sforzava di trattenersi, ma i singhiozzi di minuto in minuto si facevano sempre pi forti. "Per carit!" urlava con voce non sua e non capiva perch lo gridasse. "Per carit!" Le sembr che sotto di s il letto fosse sprofondato e che le gambe si fossero impigliate nella coperta. Petr Dmitri4(6)c, in vestaglia e con la candela in mano, entr in camera. "Olja, basta!" disse. Ella si alz e, in ginocchio sul letto, socchiudendo gli occhi per la candela, disse tra i singhiozzi: "Cerca di capirmi... cerca di capirmi!".

Ella voleva dirgli che l'avevano sfinita gli ospiti, il mentire di lui, di lei, che tutto ci le pesava, ma riusciva solo a pronunciare: "Cerca di capirmi... cerca di capirmi!". "Tieni, bevi!" disse egli nel porgerle dell'acqua. Ella prese ubbidiente il bicchiere e fece per bere, ma l'acqua trabocc e le corse sulle mani, sul petto, sulle ginocchia... "Adesso devo essere orrenda!" pens. Petr Dmitri4(6)c, in silenzio, la mise a letto e la copr con la coperta, poi prese la candela e usc. "Per carit!" grid nuovamente O4(6)lga Michajlovna. "Petr, cerca di capirmi, cerca di capirmi!" A un tratto qualcosa la compresse in fondo al ventre e alla schiena con una tale forza che il suo pianto si interruppe ed ella per il dolore morsic il guanciale. Ma il dolore la lasci subito ed ella scoppi nuovamente in singhiozzi. Entr la cameriera e, sistemandole la coperta, chiese allarmata: "Signora, colombella, che cosa avete?" "Andatevene via!" ordin severamente Petr Dmitri4(6)c avvicinandosi al letto. "Cerca di capirmi, cerca di capirmi..." riprese O4(6)lga Michajlovna. "Olja, ti prego, calmati!" disse. "Non intendevo offenderti. Non me ne sarei andato dalla camera se avessi saputo che avrebbe avuto su di te un tale effetto. Mi sento solo oppresso. Ti parlo da galantuomo..." "Cerca di capire... Tu mentivi, io mentivo..." "Capisco... Su, su, basta! Capisco..." diceva Petr Dmitri4(6)c dolcemente, mettendosi a sedere sul letto di lei. "L'hai detto per la collera, capisco... Giuro davanti a Dio, ti amo pi di ogni cosa al mondo e, quando ti sposai, non pensai nemmeno una volta che eri ricca. Ti amavo infinitamente e basta... Te l'assicuro. Non ho mai avuto bisogno e non ho mai saputo il valore dei soldi, e per questo non sono capace di sentire la differenza tra il tuo e il mio patrimonio. Mi sempre sembrato che fossimo ricchi uguale. E che sia stato ipocrita nelle piccole cose... senz'altro vero! Sinora la mia vita stata regolata con cos poca seriet che era quasi impossibile evitare le piccole bugie. Adesso provo io stesso un peso. Mettiamo da parte questo argomento, per carit!" O4(6)lga Michajlovna sent nuovamente un forte dolore e afferr il marito per la manica. "Che male, che male, che male..." disse velocemente. "Ah, che male!" "Al diavolo gli ospiti!" borbott Petr Dmitri4(6)c sollevandosi. "Non avresti dovuto andare sull'isola oggi!" grid. "E perch io, stupido, non ti ho fermata? Signore, Dio mio!" Si gratt stizzito la testa, fece un gesto con la mano ed usc dalla camera. Poi alcune volte vi rientr, si sedette vicino a lei sul letto e le parl a lungo, ora con molta dolcezza, ora arrabbiato, ma lei lo sentiva a malapena. I singhiozzi si alternavano al dolore terribile e ogni nuovo dolore era pi forte e di maggior durata. Dapprincipio, quando sentiva male, tratteneva il respiro e morsicava il guanciale, ma poi cominci a urlare con voce indecente, straziante. Una volta, visto il marito al proprio fianco, si ricord di averlo offeso e, senza pensare se fosse un'allucinazione oppure il vero Petr Dmitri4(6)c, afferr con entrambe le mani la sua mano e prese a baciarla. "Tu mentivi, io mentivo..." si giustificava. "Cerca di capirmi, cerca di capirmi... Mi hanno esasperata, mi hanno fatto perdere la pazienza..." "Olja, non siamo soli!" disse Petr Dmitri4(6)c.

O4(6)lga Michajlovna sollev il capo e vide che Varvara era in ginocchio vicino al canterano e stava aprendo il cassetto inferiore. I cassetti superiori erano gi aperti. Terminato con il canterano, Varvara si alz e, rossa per lo sforzo, con volto freddo e solenne, si mise ad aprire un cofanetto. "Ma4(6)rja, non ce la faccio ad aprirlo!" disse sottovoce. "Aprilo tu." La cameriera Ma4(6)rja stava raschiando con le forbici nel candeliere per mettervi una candela nuova; si avvicin a Varvara e l'aiut ad aprire il cofanetto. "Che non ci sia niente di chiuso a chiave..." bisbigliava Varvara. "Apri, madre mia, anche questa scatoletta. Signore," si rivolse a Petr Dmitri4(6)c "dovreste mandare qualcuno da padre Michailo perch apra le porte dell'altare! Bisogna aprirle!" "Fate ci che volete," disse Petr Dmitri4(6)c, respirando a intervalli "solo, per carit di Dio, chiamate in fretta il dottore o la levatrice! E' andato Vasilij? Manda ancora qualcun altro. Manda tuo marito!" "Sto partorendo" cap O4(6)lga Michajlovna. "Varvara," gemette "non nascer vivo!" "Non si preoccupi, non si preoccupi, signora..." bisbigli Varvara. "Se Dio vuole, ser vivo," (cos pronunciava la parola "sar") "ser vivo!" Quando O4(6)lga Michajlovna si riprese da una nuova fitta di dolore, non singhiozzava pi e non si dimenava, ma gemeva solo. Non poteva trattenersi dal gemere neanche in quegli intervalli in cui non aveva male. Le candele erano ancora accese, ma attraverso le tende penetrava gi la luce del mattino. Probabilmente erano le cinque del mattino. In camera da letto al tavolino rotondo era seduta una donna sconosciuta con il grembiule bianco e il viso molto modesto. Dalla sua figura si capiva che stava seduta da molto tempo. O4(6)lga Michajlovna indovin che era la levatrice. "Finir presto?" chiese, e nella sua voce sent una nota particolare, sconosciuta, che prima non aveva mai avuto. "Probabilmente sto morendo di parto" pens. In camera entr cauto Petr Dmitri4(6)c, vestito come di giorno, e si ferm alla finestra, rivolgendo la schiena alla moglie. Sollev la tenda e guard fuori. "Che pioggia!" disse. "Ma che ore sono?" chiese O4(6)lga Michajlovna per sentire ancora una volta nella propria voce quella piccola nota sconosciuta. "Le sei meno un quarto" rispose la levatrice. "E se stessi veramente morendo?" pens O4(6)lga Michajlovna guardando la testa del marito e i vetri delle finestre sui quali batteva la pioggia. "Come far a vivere senza di me? Con chi berr il t, con chi pranzer, con chi parler la sera, con chi dormir?" Ed egli le parve piccolo, orfano; prov pena per lui e le venne voglia di dirgli qualcosa di piacevole, affettuoso, consolante. Si ricord che in primavera egli voleva comprarsi dei segugi e che lei, ritenendo la caccia un divertimento crudele e pericoloso, glielo aveva impedito. "Petr, comprati i segugi!" gemette. Egli abbass la tenda e si avvicin al letto, voleva dire qualcosa, ma in quel momento O4(6)lga Michajlovna sent dolore e grid con voce indecente, straziante. Il dolore, le grida frequenti e i gemiti l'avevano intontita. Ella sentiva, vedeva, talvolta parlava, ma faceva fatica a capire ed era solo cosciente di aver male o che ora avrebbe sentito dolore. Le pareva che la festa di onomastico fosse stata tanto, tanto tempo fa, non il giorno prima, ma un anno addietro, e che la sua nuova vita di

dolore durasse pi a lungo della sua infanzia, dei suoi studi all'istituto, della scuola superiore, della sua vita coniugale, e che sarebbe durata ancora tanto, tanto, senza fine. Vide che alla levatrice portarono il t, che la chiamarono a mezzogiorno a colazione, e poi a pranzo; vide che Petr Dmitri4(6)c si era abituato a entrare, a stare a lungo alla finestra e a uscire, che si erano abituati alle entrate di persone estranee, la cameriera, Varvara... Varvara diceva soltanto "ser, ser" e si arrabbiava quando qualcuno spostava i cassetti del canterano. O4(6)lga Michajlovna vide che in stanza e alle finestre mutava la luce: ora era crepuscolare, ora offuscata come nebbia, ora chiara, pomeridiana, come il giorno prima a pranzo, ora di nuovo crepuscolare... E ognuno di questi mutamenti durava tanto quanto l'infanzia, i suoi studi all'istituto, alla scuola superiore... La sera due dottori, uno scarno, pelato, con una larga barba rossiccia, l'altro con la faccia da ebreo, bruno e con degli occhiali di poco prezzo, fecero a O4(6)lga Michajlovna non so quale operazione. Ella era assolutamente indifferente al fatto che degli estranei toccassero il suo corpo. Non aveva pi n pudore, n volont e chiunque poteva fare di lei ci che voleva. Se qualcuno in quel momento si fosse gettato su di lei con un coltello o avesse offeso Petr Dmitri4(6)c, oppure se l'avesse privata del diritto sul suo esserino, ella non avrebbe detto nemmeno una parola. Durante l'operazione le dettero il cloroformio. Quando poi si svegli, i dolori continuavano ancora ed erano insopportabili. Era notte. E O4(6)lga Michajlovna si ricord che una notte identica, tranquilla, con il lumino, la levatrice seduta immobile presso il letto, i cassetti aperti del canterano, Petr Dmitri4(6)c in piedi alla finestra, c'era gi stata, ma tempo addietro, tanto, tanto tempo addietro... NOTE: (6) In francese nel testo. V "Non sono morta..." pens O4(6)lga Michajlovna quando cominci di nuovo a percepire ci che la circondava e quando non ebbe pi dolori. Alle due finestre spalancate della camera da letto guardava un chiaro pomeriggio estivo; in giardino, al di l delle finestre, i passeri e le gazze cantavano senza tacere un secondo. I cassetti del canterano erano gi chiusi, il letto del marito rifatto. In camera non c'erano n la levatrice, n Varvara, n la cameriera; solo Petr Dmitri4(6)c stava come prima immobile alla finestra e guardava in giardino. Non si sentiva il pianto di un bambino, nessuno si congratulava e si compiaceva, evidentemente il piccolo esserino era nato morto. "Petr!" O4(6)lga Michajlovna chiam il marito. Petr Dmitri4(6)c volse la testa. Dal momento in cui l'ultimo ospite se n'era andato e O4(6)lga Michajlovna aveva offeso suo marito doveva esser passato moltissimo tempo, poich Petr Dmitri4(6)c era visibilmente emaciato e dimagrito. "Di che cosa hai bisogno?" le chiese avvicinandosi al letto. Egli guardava di lato, muoveva le labbra e sorrideva in modo infantile e impotente. "E' gi finito tutto?" chiese O4(6)lga Michajlovna. Petr Dmitri4(6)c voleva rispondere qualcosa, ma le labbra si misero a tremare e la bocca si storse come si storce ai vecchi, come si storce allo sdentato zio Nikolaj Nikolai4(6)c. "Olja!" disse torcendosi le mani, e dagli occhi improvvisamente

sgorgarono grosse lacrime. "Olja! Io non ho bisogno n del tuo titolo, n dei tribunali" (singhiozz)... "n delle mie opinioni, n degli ospiti, n della tua dote... non ho bisogno proprio di niente! Perch non abbiamo avuto cura del nostro bambino? Ah, ma a che serve parlare?" Egli fece un gesto con la mano e usc dalla camera. Ma per O4(6)lga Michajlovna era gi tutto indifferente. In testa aveva la nebbia per il cloroformio, nel cuore sentiva un vuoto... Quella stessa ottusa indifferenza che aveva provato quando i dottori la stavano operando non l'aveva ancora abbandonata. Crisi di nervi "Crisi di nervi" fu composto da 4(6)cechov tra il 10 ottobre e l'11 novembre 1888. L'idea di comporre questa poves4(6)t gli fu data dall'invito di Al' Nik' Ple4(6)s4(6)cev a partecipare gratuitamente all'edizione di una raccolta di racconti avente lo scopo di raccogliere i fondi per l'edificazione di un monumento in onore di V'M' Gar4(6)sin, autore profondamente apprezzato da 4(6)cechov e del quale egli incarna alcune caratteristiche nel protagonista della sua poves4(6)t. Fu considerato dai contemporanei tra i racconti migliori di 4(6)cechov. Dopo alcune modifiche venne incluso nella raccolta "Gente scontrosa" pubblicata a Pietroburgo nel 1890, e da qui ristampata nella raccolta "Barlumi" pubblicata a Mosca nel 1895. I Lo studente di medicina Majer e l'allievo dell'Accademia di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca Rybnikov giunsero una sera a casa del loro amico Vasi4(6)lev, studente della facolt di giurisprudenza, e gli proposero di fare un salto con loro al vicolo S-v. Dapprima e a lungo Vasi4(6)lev non cedette, ma poi si vest e and con loro. Conosceva le donne di malaffare solo per sentito dire e dai libri, e in vita sua non era mai stato neppure una volta nelle case dove esse vivono. Sapeva che esistevano donne immorali che, sotto la pressione di circostanze fatali, dell'ambiente, della cattiva educazione, del bisogno, e cos via, capitava che fossero costrette a vendere per denaro il proprio onore. Esse non conoscono l'amore puro, non hanno figli, non hanno diritti; le madri e le sorelle le piangono come se fossero morte, la scienza le maltratta con disprezzo come se fossero un male, gli uomini danno loro del tu. Ma, nonostante tutto questo, esse non cessano di essere a immagine e somiglianza di Dio. Tutte sono coscienti del proprio peccato e confidano nella salvezza. Possono far uso nella pi larga misura dei mezzi che portano alla salvezza. E' vero, la societ non perdona alle persone il loro passato, ma davanti a Dio santa Ma4(6)rja Egiziaca non considerata inferiore rispetto agli altri santi. Quando in strada a Vasi4(6)lev capitava di riconoscere dagli abiti o dal comportamento una prostituta, oppure di vedere la sua immagine in una rivista umoristica, ogni volta ricordava una storia letta chiss dove e chiss quando: un giovanotto onesto e altruista si era innamorato di una donna "di vita" e le aveva proposto di divenire sua moglie; ma ella, ritenendosi indegna di una tale felicit, si avvelen. Vasi4(6)lev abitava in uno dei vicoli che sbucano sul viale Tverskoj. Quella sera erano circa le undici quando usc di casa con i suoi amici. Era caduta da poco la prima neve e tutto nella natura si trovava sotto il potere di questa bianca coltre. Se ne sentiva l'odore nell'aria; sotto i piedi essa scricchiolava soffice; la terra, i tetti, gli alberi, le panchine sul viale: tutto era morbido, bianco, giovane, e per questo le case apparivano diverse dal giorno prima, i lampioni mandavano una luce pi viva, l'aria era pi tersa, le carrozze facevano un rumore pi sordo e nell'anima, assieme alla

fresca, leggera aria gelata, penetrava una sensazione simile alla bianca, giovane, soffice neve. "Senza volerlo a queste tristi sponde" prese a cantare lo studente di medicina con piacevole voce da tenore, "mi attira una forza misteriosa..." "Ecco il mulino..." l'accompagn il pittore. "E' gi un rudere..." "Ecco il mulino... E' gi un rudere..." ripet lo studente di medicina sollevando le sopracciglia e scuotendo tristemente il capo. Stette un poco in silenzio, si strofin la fronte per ricordare le parole e si mise a cantare ad alta voce e cos bene che i passanti si voltarono a guardarlo: "Qui un tempo io libero incontravo l'amore libero..." Fecero tutti e tre una capatina in un ristorante e, senza togliersi il cappotto, bevvero al buffet due bicchierini di vodka a testa. Prima di bere il secondo, Vasi4(6)lev not nella propria vodka un pezzetto di tappo, avvicin il bicchierino agli occhi, guard a lungo in esso e aggrott le sopracciglia in modo miope. Lo studente di medicina non cap la sua espressione e chiese: "Be', che cosa stai guardando? Per piacere, niente filosofia. La vodka data per essere bevuta, lo storione per essere mangiato, le donne per star con loro, la neve per camminarci sopra. Almeno una sera vivi umanamente!". "Ma non dico niente..." replic Vasi4(6)lev ridendo. "Sto forse rifiutando?" La vodka gli fece venir caldo nel petto. Guardava i suoi amici commosso, li ammirava e li invidiava. Come tutto equilibrato in queste persone sane, forti, allegre, come tutto perfetto e facile! Essi cantano, amano appassionatamente il teatro, dipingono, parlano molto, bevono, e per questo il giorno dopo non duole loro la testa; sono poetici, dissoluti, teneri e arroganti; sono capaci di lavorare, di indignarsi, di ridere senza motivo, di dire delle sciocchezze; sono appassionati, onesti, altruisti e, come persone, in nulla peggiori di lui, Vasi4(6)lev, che controlla ogni proprio passo e ogni propria parola, diffidente, guardingo ed pronto a elevare ogni minima piccolezza al grado di problema. E gli era venuta voglia di vivere almeno una sera come vivevano gli amici, di distendersi, di liberarsi dal proprio controllo. Si doveva bere vodka? Avrebbe bevuto, anche se l'indomani la testa gli sarebbe scoppiata dal dolore. Lo porteranno dalle donne? Ci sarebbe andato. Avrebbe riso, fatto il buffone, risposto allegramente allo sfiorare dei passanti... Usc dal ristorante ridendo. Gli piacevano i suoi amici, uno con il cappello a tese larghe sgualcito che affetta un disordine artistico, l'altro con un berrettino di lontra, individuo non povero ma che si dava arie di appartenere alla bohme intellettuale; gli piacevano la neve, le luci pallide dei lampioni, le nitide, nere impronte che le suole dei passanti lasciavano sulla prima neve; gli piaceva l'aria e soprattutto quel tono terso, tenero, innocente, proprio verginale, che si pu osservare in natura solo due volte: quando tutto coperto di neve nelle giornate chiare di primavera oppure nelle notti di luna quando sul fiume si rompe il ghiaccio. "Senza volerlo a queste tristi sponde" inton sottovoce "mi attira una forza misteriosa..." E per tutta la strada, chiss perch, a lui e ai suoi amici questo motivo non usc di testa, e tutti e tre lo canticchiavano macchinalmente, ognuno per suo conto. L'immaginazione di Vasi4(6)lev si figurava che fra una decina di minuti lui e i suoi amici avrebbero bussato a una porta, che attraverso corridoietti e stanze buie sarebbero giunti di soppiatto dalle donne, che lui, approfittando delle tenebre, avrebbe acceso un fiammifero e avrebbe improvvisamente illuminato e visto un viso sofferente e un sorriso colpevole. La biondina oppure la brunetta

misteriosa avrebbe probabilmente avuto i capelli sciolti e addosso la sola camicia da notte bianca; si sarebbe spaventata per la luce, si sarebbe terribilmente confusa e avrebbe detto: "Per carit, che fate! Spegnete!". Tutto ci terribile, ma curioso e nuovo. II Dalla piazza della Tromba gli amici svoltarono in via Gra4(6)cevka e presto entrarono nel vicolo che Vasi4(6)lev conosceva solo per sentito dire. Alla vista di due file di case con le finestre ben illuminate e le porte spalancate, ai suoni allegri dei pianoforti e dei violini, suoni che uscivano da tutte le porte e che si mescolavano in una strana confusione, come se chiss dove nelle tenebre, sopra i tetti, un'orchestra invisibile stesse accordando gli strumenti, Vasi4(6)lev si stup e disse: "Quante case pubbliche!". "Questo niente!" disse lo studente di medicina. "A Londra ce ne sono dieci volte di pi. L di donne simili ce ne sono circa centomila." I cocchieri erano seduti in serpa con altrettanta tranquillit e indifferenza che avevano in tutti gli altri vicoli; lungo i marciapiedi camminavano gli stessi passanti che nelle altre strade. Nessuno andava di fretta, nessuno nascondeva il proprio viso nel bavero, nessuno scuoteva la testa in segno di disapprovazione... E in questa indifferenza, nella confusione sonora dei pianoforti e dei violini, nelle finestre illuminate, nelle porte spalancate, si avvertiva un qualcosa di molto esplicito, sfacciato, ardito e libero. Probabilmente, nei tempi che furono, al mercato degli schiavi c'era altrettanta allegria e altrettanto chiasso, e i visi e l'andatura delle persone esprimevano altrettanta indifferenza. "Cominciamo dall'inizio" propose il pittore. Gli amici entrarono in un corridoio stretto, illuminato da una lampada con il paralume. Quando aprirono la porta, da un divano giallo dell'anticamera si alz pigramente un uomo in finanziera nera, con un viso non rasato, da servo, e gli occhi assonnati. C'era qui odore di lavanderia, e persino di aceto. Dal vestibolo una porta conduceva a una stanza illuminata a giorno. Lo studente di medicina e il pittore si fermarono su questa porta e, allungato il collo, gettarono entrambi simultaneamente un'occhiata all'interno. "Bonasera, segnore, rigoletto-ugonotti-traviata! (1)" cominci il pittore, inchinandosi teatralmente. "Havana-tarakano-pistoletta!" disse lo studente di medicina, stringendosi al petto il berretto e facendo un profondo inchino. Vasi4(1)lev stava dietro di loro. Anche lui aveva voglia di inchinarsi in modo teatrale e di dire qualcosa di stupido, ma sorrideva soltanto, provava un imbarazzo simile alla vergogna e aspettava con impazienza ci che sarebbe avvenuto in seguito. Sulla porta comparve una biondina di diciassette-diciotto anni, coi capelli corti, un vestito corto azzurro e una cordellina bianca sul petto. "Perch state sulla porta?" disse. "Toglietevi i cappotti ed entrate in sala." Lo studente di medicina e il pittore, continuando a parlare in italiano, entrarono in sala. Vasi4(1)lev li segu esitando. "Signori, toglietevi i cappotti!" disse severamente il servitore. "Cos non si pu entrare." Oltre alla biondina, in sala c'era anche un'altra donna, assai robusta e alta, con il viso non russo e le braccia nude. Stava seduta vicino al pianoforte e faceva un solitario sulle sue stesse gambe. Non rivolse alcuna attenzione agli ospiti. "Dove sono le altre signorine?" chiese lo studente di medicina. "Stanno bevendo il t" rispose la biondina. "Stepan," grid "va' a dire alle signorine che gli studenti sono arrivati!"

Dopo poco nella sala entr una terza signorina. Indossava un vestito rosso sgargiante a righe azzurre. Il volto era truccato pesantemente e senza maestria, la fronte era nascosta dai capelli, gli occhi guardavano senza batter ciglio e con fare spaventato. Entrando, subito inton una canzone con voce forte, volgare, da contralto. Dietro di lei comparve una quarta signorina, dietro questa una quinta... In tutto ci Vasi4(1)lev non vedeva niente n di nuovo, n di curioso. Gli pareva di aver gi visto altrove e non una volta sola la sala, il pianoforte, lo specchio nella cornice d'oro di poco valore, la cordellina, il vestito a righe azzurre e i volti ottusi, indifferenti. Delle tenebre, del silenzio, del mistero, del sorriso colpevole, di tutto ci che si aspettava di trovare qui e che lo spaventava egli non vedeva nemmeno l'ombra. Tutto era ordinario, prosaico e privo di interesse. Una sola cosa eccitava leggermente la sua curiosit: la tremenda mancanza di gusto, quasi appositamente voluta, che si vedeva nelle cornici, nei goffi quadri, negli abiti, nella cordellina. In questa mancanza di gusto c'era qualcosa di caratteristico, di singolare. "Come tutto misero e stupido!" pensava Vasi4(1)lev. "Che cosa, in tutta questa scempiaggine che ora vedo, pu tentare un individuo normale, spingerlo a compiere un peccato tremendo: comprare per un rublo un essere vivente? Capisco qualsiasi peccato per lo splendore, la bellezza, la grazia, la passione, il gusto, ma qui che cosa c'? Per che cosa si pecca qui? Del resto... non bisogna pensarci!" "Barba, offrite il porter!" si rivolse a lui la biondina. Vasi4(1)lev di colpo si confuse. "Con piacere..." disse, inchinandosi gentilmente. "Solo scusatemi, signora, io... io non berr con voi. Io non bevo." Cinque minuti dopo gli amici si stavano gi recando in un'altra casa. "Be', perch hai ordinato il porter?" si arrabbi lo studente di medicina. "Il riccastro! Hai buttato sei rubli al vento, cos, senza alcuna ragione!" "Se lo voleva, perch non farle questo piacere?" si giustific Vasi-4(1)lev. "Hai fatto piacere non a lei, ma alla padrona. Sono le padrone a ordinare loro di richiedere agli ospiti che si offra da bere, perch ci guadagnano." "Ecco il mulino..." inton il pittore. "E' gi un rudere..." Giunti in un'altra casa, gli amici si fermarono solo nell'anticamera, in sala non entrarono. Come nella prima casa, in anticamera si alz dal divano un individuo in finanziera e con il volto assonnato da servo. Guardando lui, il suo volto e la finanziera lisa, Vasi4(1)lev pens: "Quanto deve sopportare il comune, semplice uomo russo prima che il destino lo getti qui a fare il servitore? Dove era prima e che cosa faceva? Che cosa lo attende? Ha moglie? Dove sua madre, e sa ella che egli fa il servitore qui?". E, senza volerlo, in ogni casa Vasi4(1)lev rivolgeva la sua attenzione prima di tutto al servitore. In una casa, forse la quarta di numero, c'era un servitore piccolo, mingherlino, scarno, con una catenella sul panciotto. Stava leggendo il "Foglietto" e non fece assolutamente caso a chi era entrato. Guardatolo in volto, Vasi4(1)lev pens, chiss perch, che una persona con un simile volto potesse rubare, e uccidere, e giurare il falso. E il viso era effettivamente interessante: fronte grande, occhi grigi, naso camuso, labbra fini e strette, espressione ottusa e sfacciata insieme, come di un giovane segugio che sta inseguendo una lepre. Vasi4(1)lev pens che sarebbe stato bello toccare i capelli di questo servitore: erano ispidi o morbidi? Probabilmente, ispidi come il pelo di un cane.

NOTE: (1) In italiano nel testo. III Il pittore, per aver bevuto due bicchieri di porter, all'improvviso si ritrov ubriaco e fu preso da eccessiva animazione. "Andiamo in un'altra casa!" comand agitando le braccia. "Vi porto nella migliore!" Condotti gli amici nella casa che, secondo lui, era la migliore, egli manifest il desiderio insistente di ballare la quadriglia. Lo studente di medicina prese a borbottare che si sarebbe dovuto pagare un rublo ai musicisti, ma acconsent a essere vis--vis. Cominciarono a ballare. Nella casa migliore si stava altrettanto male che nella peggiore. C'erano qui gli stessi identici specchi e gli stessi quadri, le stesse pettinature e gli stessi abiti. Osservando l'arredamento e i vestiti, Vasi4(1)lev cominciava gi a capire che non si trattava di mancanza di gusto, ma di qualcosa che si pu definire gusto e persino stile del vicolo S-v e che non si poteva trovare da nessun'altra parte, qualcosa di compiuto nella sua bruttezza, non casuale, elaborato dal tempo. Dopo esser stato in otto case non lo stupivano pi n i colori dei vestiti, n i lunghi strascichi, n i fiocchi vivaci, n gli abiti alla marinara, n il denso colore violetto delle guance; capiva che tutto ci era qui necessario, che, se anche una sola delle donne si fosse vestita in modo umano oppure se alla parete avessero appeso un'incisione decente, di ci ne avrebbe risentito il tono generale di tutto il vicolo. "Che modo poco abile di vendersi!" pensava. "Possibile che non possano capire che il vizio affascinante solo quando bello e si nasconde, quando porta l'involucro della virt? I modesti abiti neri, i volti pallidi, i sorrisi malinconici e le tenebre sono pi efficaci di questo orpello di cattivo gusto. Stupide! Se non lo capiscono da s, che almeno i clienti lo insegnino loro, insomma..." Una signorina in costume polacco orlato di pelliccia bianca si avvicin a lui e gli si sedette accanto. "Simpatico brunetto, perch mai non ballate?" chiese. "Perch siete cos annoiato?" "Perch mi annoio." "E offrite dunque il Laffite. Allora non vi annoierete pi." Vasi4(1)lev non rispose. Stette un poco zitto, quindi chiese: "A che ora andate a dormire?". "Dopo le cinque." "E quando vi svegliate?" "Talvolta alle due, talvolta anche alle tre." "E dopo che vi siete alzate, cosa fate?" "Beviamo il caff e dopo le sei pranziamo." "E che cosa mangiate?" "Di solito... minestra oppure 4(1)s4(1)ci, (2) bistecca, dessert. La nostra madame tratta bene le sue ragazze. Ma perch lo chiedete?" "Cos, tanto per parlare..." Vasi4(2)lev voleva parlare con la signorina di molte cose. Provava un forte desiderio di sapere di dove fosse, se i suoi genitori erano ancora vivi, se sapevano che era qui, come era capitata in questa casa, se ne era contenta e soddisfatta oppure era triste e afflitta da cupi pensieri, se sperava di lasciare un giorno o l'altro la sua situazione attuale... Ma non riusciva in alcun modo a escogitare da dove cominciare e che forma conferire alle sue domande per non sembrare indiscreto. Pens a lungo e chiese:

"Quanti anni avete?" "Ottanta" scherz la signorina, mentre fra le risa guardava i movimenti bizzarri che il pittore ubriaco faceva con le braccia e le gambe. A un tratto, chiss perch, scoppi a ridere e disse una lunga frase cinica ad alta voce, cos che tutti sentissero. Vasi4(2)lev ne fu stupefatto e, non sapendo che espressione fare assumere al proprio volto, sorrise in modo forzato. Solo lui sorrise, tutti gli altri, i suoi amici, i musicisti e le donne, non rivolsero nemmeno un'occhiata alla sua vicina, come se non avessero sentito. "Offrite il Laffite!" disse di nuovo la vicina. Vasi4(2)lev prov ripulsione per il suo bianco orlo di pelliccia e per la sua voce, e si allontan. Gli sembrava che si soffocasse e facesse caldo e il cuore cominciava a battergli lentamente ma forte, come un martello: uno! due! tre! "Andiamo via!" disse tirando il pittore per la manica. "Aspetta un attimo, lasciaci finire." Mentre il pittore e lo studente di medicina finivano la quadriglia, Vasi4(2)lev, per non guardare le donne, osservava i musicisti. Un vecchietto con gli occhiali, dall'aspetto dignitoso, che di viso somigliava al maresciallo Bazaine, suonava il pianoforte; un giovanotto con la barba castana, vestito all'ultima moda, suonava il violino. Il giovanotto aveva un volto non stupido, n emaciato, ma al contrario intelligente, giovane, fresco. Era vestito in modo bizzarro e con gusto, suonava con sentimento. Problema: come sono capitati qui lui e questo vecchietto distinto, dall'aspetto decoroso? Perch non si vergognano di essere qui? A che cosa pensano quando guardano le donne? Se a suonare il pianoforte e il violino fossero state delle persone cenciose, affamate, cupe, ubriache, con i visi smunti oppure ottusi, allora la loro presenza sarebbe stata forse comprensibile. Ma ora Vasi4(2)lev non capiva pi niente. Gli tornava in mente la storia, letta tempo prima, della donna perduta, ma ora trovava che quell'immagine di persona dal sorriso colpevole non aveva niente in comune con ci che egli stava vedendo adesso. Gli sembrava di vedere non delle donne perdute, ma un altro mondo, assolutamente particolare, a lui estraneo e incomprensibile; se avesse visto prima questo mondo a teatro, sul palcoscenico, oppure ne avesse letto in un libro, non vi avrebbe creduto... La donna con il bianco orlo di pelliccia scoppi nuovamente a ridere e pronunci ad alta voce una frase ripugnante. Un senso di disgusto si impossess di lui, che arross e usc. "Aspetta, veniamo anche noi!" gli url dietro il pittore. NOTE: (2) Minestra a base di cavolo. IV "Poco fa, mentre stavamo ballando, ho fatto una chiacchierata con la mia dama" raccont lo studente di medicina quando tutti e tre furono usciti in strada. "Si parlato della sua prima storia d'amore. Lui, il protagonista, un contabile di Smolensk, che ha moglie e cinque figli. Lei aveva diciassette anni e viveva con il paparino e la mammina che commerciavano in sapone e candele." "Come conquist il suo cuore?" chiese Vasi4lev. "Comprandole cinquanta rubli di biancheria. Che diavolo!" "Per, lui stato capace di carpire alla sua dama la sua storia d'amore!" pens Vasi4lev dello studente di medicina. "Mentre io non ci sono riuscito..." "Signori, io vado a casa!" annunci.

"Perch?" "Perch qui non mi diverto. Inoltre, provo noia e disgusto. Che c' qui di allegro? Se almeno fossero degli esseri umani, invece sono solo selvaggi e animali. Io me ne vado, voi fate come volete." "Ma Gri4sa, Grigorij, colombella..." disse il pittore piagnucolando e stringendosi a Vasi4lev. "Andiamo! Passiamo ancora in una, e poi che siano maledette... Per favore! Grigorianz!" Convinsero Vasi4lev e lo condussero su per una scala. Nel tappeto e nel corrimano dorato, nel portiere che apr la porta, e nei panneaux che adornavano l'anticamera si sentiva sempre lo stesso stile del vicolo S-v, ma perfezionato, imponente. "Sul serio, io vado a casa!" disse Vasi4lev togliendosi il cappotto. "Su, su, colombella..." disse il pittore e lo baci sul collo. "Non fare i capricci... Gri-Gri, sii amico! Siamo arrivati insieme, e insieme andiamo via. Che bestia che sei, veramente!" "Posso aspettarvi in strada. Ve lo giuro, qui mi ripugna!" "Su, su, Gri4sa... Se ti ripugna, osserva solo! Capisci? Osserva!" "Bisogna guardare le cose obiettivamente" disse serio lo studente di medicina. Vasi4lev entr in sala e si sedette. Oltre a lui e ai suoi amici, in sala c'erano molti altri ospiti: due ufficiali di fanteria, un signore grigio e calvo con gli occhiali d'oro, due imberbi studenti dell'istituto per agrimensori e un individuo molto ubriaco con il viso da attore. Tutte le signorine erano occupate con questi ospiti e non rivolsero a Vasi4lev la minima attenzione. Solo una di loro, vestita da Aida, gli lanci un'occhiata di sbieco, sorrise di chiss che cosa e profer sbadigliando: "E' arrivato un brunetto...". A Vasi4lev batteva il cuore e bruciava la faccia. Provava sia vergogna davanti agli ospiti per la sua presenza in questo posto, sia disgusto, tormento. Lo torturava il pensiero che lui, persona perbene e amante del prossimo (sino a quel momento si era ritenuto tale), odiasse queste donne e non provasse per loro altro che disgusto. Non provava pena n per queste donne, n per i musicisti, n per i servitori. "E' perch non tento di capirli" pensava. "Tutti loro somigliano pi a degli animali che a degli esseri umani, ma essi sono comunque persone, hanno un'anima. Si deve capirli e solo allora giudicarli..." "Gri4sa, non te ne andare, aspettaci!" gli url il pittore e scomparve chiss dove. Ben presto scomparve anche lo studente di medicina. "S, bisogna cercare di capirli, cos non si pu..." continu a pensare Vasi4lev. E si mise a osservare attentamente il volto di ogni donna e a cercare un sorriso colpevole. Ma... o non era capace di leggere i volti oppure non una di queste donne si sentiva colpevole: su ogni viso leggeva solo un'espressione sorda di comune e triviale noia e di appagamento. Occhi stupidi, sorrisi stupidi, voci brusche e stupide, movimenti sfacciati... e niente altro. A quanto pare ognuna in passato aveva avuto una storia d'amore con un contabile e cinquanta rubli di biancheria, e attualmente non c'era alcun altro godimento nella vita oltre al caff, al pranzo di tre portate, al vino, alla quadriglia, al dormire sino alle due... Non trovando neppure un sorriso colpevole, Vasi4lev prese a cercare almeno un viso intelligente. E la sua attenzione si sofferm su un viso pallido, un poco assonnato, estenuato... Era una brunetta non pi giovane che indossava un abito cosparso di brillantini; era seduta in poltrona, guardava il pavimento e pensava chiss a che cosa. Vasi4lev passeggi da un angolo all'altro della stanza e come per caso si sedette accanto a lei.

"Bisogna cominciare con qualcosa di banale," pens "e poi passare gradualmente a qualcosa di serio..." "Che vestitino grazioso avete!" disse, e tocc con il dito la frangia dorata dello scialle. "E un semplice scialle..." disse fiaccamente la brunetta. "Da quale governatorato venite?" "Io? Da uno lontano... Dal governatorato di 4cernigov." "Bel governatorato. Si sta bene l." "Si sta bene dove non si ." "Peccato che io non sappia descrivere la natura," pens Vasi4lev. "Avrei potuto commuoverla con la descrizione della natura di 4cernigov. Probabilmente le sarebbe piaciuta, visto che vi nata." "Vi annoiate qui?" chiese. "Si capisce che mi annoio." "E perch non ve ne andate se vi annoiate?" "E dove andrei? Forse a chiedere la carit?" "E' pi facile chiedere la carit che vivere qui." "E voi come fate a saperlo? L'avete mai chiesta?" "L'ho chiesta quando non avevo di che pagarmi gli studi. Anche se non l'avessi mai chiesta, si capisce da s. Il mendicante, comunque sia, una persona libera, mentre voi siete una schiava." La brunetta si stiracchi e accompagn con gli occhi assonnati il servitore che portava su un vassoio dei bicchieri e il seltz. "Offritemi del porter" disse e sbadigli di nuovo. "Del porter..." pens Vasi4lev. "E se adesso entrassero tuo fratello o tua madre? Che cosa diresti? E cosa direbbero loro? Me lo vedo, il porter..." All'improvviso si sent piangere. Dalla stanza attigua, dove il servitore aveva portato il seltz, usc in fretta un uomo biondo, con il volto rosso e gli occhi arrabbiati. Lo seguiva la padrona, alta, grassa, e urlava con voce stridula: "Nessuno vi ha dato il permesso di schiaffeggiare le ragazze! Abbiamo clienti migliori di voi, e non picchiano! Ciarlatano!". Si lev un gran chiasso. Vasi4lev si spavent e impallid. Nella stanza attigua qualcuno singhiozzava a dirotto, sinceramente, come piangono le persone offese. Ed egli cap che qui vivevano effettivamente delle persone, delle persone vere, che, come dappertutto, si offendevano, soffrivano, piangevano, chiedevano aiuto... L'odio opprimente e il senso di ribrezzo cedettero il posto a un acuto senso di compassione e di rabbia verso l'offensore. Si precipit nella stanza da cui provenivano quei singhiozzi; attraverso numerose bottiglie che stavano sul ripiano in marmo del tavolo scorse un viso afflitto, bagnato dalle lacrime. Fece un passo avanti e protese verso questo viso le braccia, ma, inorridito, salt immediatamente indietro. La ragazza in lacrime era ubriaca. Spaventato come un ragazzino, ormai completamente smarrito, si apr un varco nella folla chiassosa che si era raccolta attorno all'uomo biondo; gli parve che in questo mondo estraneo, a lui incomprensibile, volessero inseguirlo, picchiarlo, coprirlo di insulti... Strapp dall'attaccapanni il cappotto e si gett a precipizio gi per le scale. V Addossato allo steccato, stava in piedi vicino alla casa e aspettava che i suoi compagni uscissero. I suoni dei pianoforti e dei violini, allegri, audaci, sfrontati e tristi, si confondevano nell'aria in una specie di caos, e questa confusione somigliava come prima a un'orchestra invisibile che nelle tenebre sui tetti stesse accordando gli strumenti. Se si guardava in alto verso queste tenebre, si vedeva che tutto il fondo nero era cosparso di puntini bianchi in movimento: stava nevicando. I fiocchi, finiti nella luce,

ruotavano pigramente nell'aria come delle piume, e ancora pi pigramente cadevano in terra. I cristalli di neve turbinavano fitti attorno a Vasi4lev e restavano attaccati alla sua barba, alle ciglia, alle sopracciglia... I vetturini, i cavalli e i passanti erano bianchi. "Come pu la neve cadere in questo vicolo!" pensava Vasi4lev. "Che queste case siano maledette!" Per aver sceso le scale di corsa, le gambe gli si piegavano dalla stanchezza; ansimava come se stesse scalando una montagna, il cuore gli batteva in modo tale da essere udibile. Lo tormentava il desiderio di andarsene il pi presto dal vicolo e di tornare a casa, ma ancor di pi voleva aspettare i compagni e scaricare su di loro i propri cupi sentimenti. Molte erano le cose che non aveva capito in quelle case, le anime delle donne sulla via della perdizione come prima rimanevano per lui un mistero, ma gli era chiaro che la questione era molto peggiore di quanto si potesse pensare. Se quella donna colpevole che si era avvelenata era considerata perduta, era difficile scegliere una definizione adatta per tutte queste che adesso stavano ballando al suono della baraonda musicale e dicevano lunghe frasi ripugnanti. Esse erano non donne sulla via della perdizione, ma donne gi perdute. "Il peccato c'" pensava "ma non c' n consapevolezza della colpa, n speranza di salvezza. Le vendono, le comprano, le affogano nel vino e nelle turpitudini, ma esse, come pecore, sono ottuse, indifferenti e non capiscono. Dio mio, Dio mio!" Gli divenne anche chiaro che tutto ci che va sotto il nome di dignit umana, di personalit, di immagine e somiglianza divina, veniva qui profanato sino alle fondamenta, era "fradicio", come dicono gli ubriaconi, e che ne erano colpevoli non solo il vicolo e le donne ottuse. Una frotta di studenti bianchi di neve gli pass vicino chiacchierando allegramente e ridendo. Uno di loro, alto ed esile, si ferm, lanci un'occhiata al viso di Vasi4lev e disse con voce ubriaca: "E' dei nostri! Hai sbevazzato, fratello? Aha-ha, fratello! Fa niente, divertiti! Di! Coraggio, zio!". Prese Vasi4lev per le spalle e si strinse alla sua guancia con i baffi freddi e bagnati, poi scivol, barcoll e, agitando entrambe le braccia, grid: "Tieniti! Non cadere!". E messosi a ridere, corse a raggiungere i compagni. Attraverso il baccano si sent la voce del pittore: "Non osate picchiare le donne! Non ve lo permetter, che il diavolo vi porti! Siete una canaglia!". Sulla porta della casa comparve lo studente di medicina. Si guard intorno e, visto Vasi4lev, disse allarmato: "Sei qui? Ascolta, giuro che con Egor assolutamente impossibile andare da qualsiasi parte! Non capisco che persona sia! Ha sollevato uno scompiglio tale! Mi senti? Egor!" url verso la porta. "Egor!" "Non vi permetter di picchiare le donne!" echeggi in alto la voce stridula del pittore. Qualcosa di pesante e di voluminoso rotol gi per le scale. Era il pittore. Evidentemente l'avevano cacciato fuori. Si alz da terra, scosse il cappello e, con una faccia cattiva e indignata, alz il pugno in segno di minaccia e url: "Vigliacchi! Strozzini! Dissanguatori! Non vi permetter di picchiarle! Picchiare una donna debole, ubriaca! Ah, voi...". "Egor... Di, Egor..." prese a supplicarlo lo studente di medicina. "Ti do la mia parola d'onore che la prossima volta non verr pi con te. Parola d'onore!" Il pittore a poco a poco si calm e gli amici si diressero verso

casa. "Senza volerlo a queste tristi sponde," inton lo studente di medicina "mi attira una forza misteriosa..." "Ecco il mulino..." l'accompagn poco dopo il pittore. "E' gi un rudere... Che neve, Madre Santissima! Gri4ska, perch te ne sei andato? Sei un fifone, una donnetta e nient'altro." Vasi4lev camminava dietro ai suoi amici, guardava le loro schiene e pensava: "Una delle due: o pare soltanto che la prostituzione sia un male e si esagera, oppure, se la prostituzione effettivamente un male tale quale in uso pensare, questi miei cari amici sono anch'essi dei mercanti di schiavi, dei violentatori e degli assassini come quegli abitanti della Siria e del Cairo che sono disegnati ne "Il seminato". Essi ora cantano, ridono, ragionano con buon senso, ma non sono stati forse loro ad aver appena sfruttato la fame, l'ignoranza e l'ottusit? Loro, ne sono stato testimone. Che cosa c'entrano qui la loro bont, la loro medicina, la loro pittura? Le scienze, le arti e i sentimenti elevati di questi assassini mi ricordano il lardo di una barzelletta. Due banditi scannarono un mendicante nel bosco; presero a dividersi gli abiti di questo e nella borsa trovarono un pezzetto di lardo di maiale. "Proprio ci che ci voleva," disse uno dei due "mangiamolo!" "Cosa, come puoi mangiarlo?" inorrid l'altro. "Hai forse dimenticato che oggi mercoled?" E non lo mangiarono. Essi, dopo aver scannato una persona, uscirono dal bosco convinti di aver osservato il digiuno. Cos pure costoro, dopo aver comprato delle donne, vanno e pensano di essere dei pittori e degli scienziati..." "Voi, ascoltate!" disse con tono duro e arrabbiato. "Perch venite qui? E' possibile, possibile che non comprendiate quanto tutto ci sia terribile? La vostra medicina dice che ognuna di queste donne muore prematuramente di tisi o di qualcosa d'altro; le arti dicono che ella moralmente muore ancora prima. Ognuna di loro muore perch in vita sua riceve in media, supponiamo, cinquecento uomini. Cinquecento uomini uccidono una donna. Tra questi cinquecento ci siete anche voi! Ora, se entrambi in tutta la vostra vita capitate qui e in altri posti simili duecentocinquanta volte, significa che a voi due si deve l'uccisione di una donna! E' forse difficile da capire? Non forse tremendo? Uccidere in due, in tre, in cinque una stupida donna affamata! Ah, ma non forse tremendo, Dio mio?" "Lo sapevo che sarebbe finita cos" disse il pittore facendo una smorfia. "Non ci si doveva unire con uno stupido e un imbecille simile! Pensi di avere in testa adesso dei pensieri, delle idee sublimi? No, sa il diavolo cos'hai in testa, ma certo non delle idee! Adesso mi guardi con odio e disgusto, ma, secondo me, sarebbe meglio che tu costruissi ancora venti case come queste piuttosto che guardarmi in tal modo. In questo tuo sguardo c' pi vizio che in tutto il vicolo! Andiamo, Volodja, che vada al diavolo! E' uno stupido, un imbecille e nient'altro..." "Noi esseri umani ci ammazziamo l'un l'altro" disse lo studente di medicina. "E' senz'altro immorale, ma la filosofia qui non serve. Arrivederci!" In piazza della Tromba gli amici si salutarono e si separarono. Rimasto solo, Vasi4lev si mise a camminare in fretta lungo il viale. Le tenebre, la neve che a fiocchi cadeva in terra e pareva che volesse ricoprire tutto il mondo gli incutevano terrore; gli incutevano terrore le luci dei lampioni che pallidamente baluginavano attraverso le nuvole di neve. Una paura inesplicabile, vile, si impossess del suo cuore. Di tanto in tanto gli venivano incontro dei passanti, ma egli, pauroso, li evitava. Gli pareva che da tutte le parti venissero e da tutte le parti lo guardassero delle donne, solo delle donne...

"Comincia" pens. "Comincia la crisi di nervi..." VI A casa stava coricato sul letto e diceva, mentre i brividi gli correvano in tutto il corpo: "Vive! Vive! Dio mio, sono vive!". Eccitava in ogni modo la fantasia, si immaginava ora di essere il fratello di una donna perduta, ora il padre, ora la stessa donna perduta con le guance imbellettate, e tutto ci lo inorridiva. Chiss perch, gli sembrava di dover risolvere immediatamente il problema in qualsiasi modo, e che questo problema non fosse a lui estraneo, ma suo personale. Tese le forze, lott dentro di s contro la disperazione e, sedutosi sul letto, presasi la testa fra le mani, tent di risolvere il problema: come salvare tutte le donne che aveva visto quel giorno? A lui, in quanto studioso, erano ben note le modalit per risolvere qualsiasi problema. Ed egli, per quanto fosse eccitato, si atteneva rigorosamente a tali modalit. Richiam alla memoria la storia del problema, la sua letteratura e, dopo le tre di notte, camminava ancora avanti e indietro per la camera e tentava di ricordarsi quei metodi che al momento attuale venivano applicati per salvare tali donne. Aveva moltissimi buoni conoscenti e amici che vivevano in camere d'albergo, Fa4lzfejn, Galja4skin, Ne4caeva, E4ckina... Tra di loro c'erano non poche persone oneste e altruiste. Alcuni di loro avevano tentato di salvare delle donne... "Tutti questi esigui tentativi" pensava Vasi4lev "si possono dividere in tre categorie. Alcuni, riscattata la donna dalla casa di malaffare, prendevano in affitto per lei una stanza, le compravano una macchina per cucire, ed ella diveniva cucitrice. E colui che l'aveva riscattata, volente o nolente, faceva di lei la propria mantenuta, poi, terminati gli studi, partiva e la consegnava nelle mani di un'altra persona onesta come un oggetto qualsiasi. E la donna perduta restava perduta. Altri, una volta riscattata la donna, le prendevano anch'essi in affitto una stanza separata, acquistavano l'inesorabile macchina per cucire, incominciavano l'istruzione, le prediche, la lettura di libri. La donna viveva e cuciva sinch tutto ci le risultava interessante e nuovo, poi, annoiatasi, cominciava a ricevere degli uomini di nascosto dai predicatori oppure scappava l dove poteva dormire fino alle tre, bere il caff e mangiare a saziet. I terzi, i pi ardenti e altruisti, compivano un passo coraggioso, decisivo. Si sposavano. E quando lo sfacciato, viziato o ottuso animale oppresso diveniva moglie, padrona di casa e poi madre, tutto ci ribaltava da cima a fondo la sua vita e la sua concezione del mondo, cosicch era poi difficile riconoscere nella moglie e nella madre la donna perduta di un tempo. S, il matrimonio il mezzo migliore e probabilmente l'unico. "Ma impossibile!" disse Vasi4lev ad alta voce e cadde lungo disteso sul letto. "Io per primo non potrei sposarmi! Per farlo si deve essere dei santi, essere incapaci di odiare e non conoscere il disgusto. Ma supponiamo che io, lo studente di medicina e il pittore vinciamo noi stessi e ci sposiamo, che tutte loro si sposino. Ma con quale risultato? Con quale risultato? Il risultato che, mentre qui a Mosca esse si sposano, il contabile di Smolensk ne corrompe una nuova partita, e questa partita si riverser qui nei posti vacanti assieme a quelle di Saratov, di Ni4znij Novgorod, di Varsavia... E dove mettere le centomila di Londra? Dove mettere quelle di Amburgo?" La lampada, nella quale il petrolio si era consumato, cominci a far fumo. Vasi4lev non se ne accorse. Aveva preso di nuovo a camminare, continuando a pensare. Ora si era posto il problema in modo diverso: che cosa bisogna fare perch le donne perdute cessino di essere necessarie? Per ottenerlo indispensabile che gli uomini che le comprano e le uccidono sentano tutta l'immoralit del loro

ruolo schiavistico e ne provino orrore. Bisognava salvare gli uomini. "Con la scienza e le arti, evidentemente, non si riesce a fare niente..." pensava Vasi4lev. "Qui l'unica via d'uscita l'apostolato." E cominci a sognare che la sera successiva sarebbe stato all'angolo del vicolo e avrebbe detto a ogni passante: "Dove state andando e perch? Abbiate timore di Dio!". Si sarebbe rivolto ai cocchieri indifferenti e avrebbe detto loro: "Perch state qui fermi? Perch non vi sdegnate, non vi infuriate? Eppure voi credete in Dio e sapete che ci peccato, che per questo le persone andranno all'inferno, perch, dunque, state zitti? E' vero, per voi sono delle estranee, ma anche loro hanno dei padri, dei fratelli, proprio come voi...". Qualcuno degli amici una volta disse di Vasi4lev che era una persona di talento. Ci sono talenti letterari, teatrali, artistici, lui aveva il suo particolare talento: umanitario. Possedeva un fiuto sottile, eccellente per la sofferenza in genere. Come il bravo attore riflette in s i movimenti e la voce altrui, cos Vasi4lev era capace di riflettere nella sua anima la sofferenza altrui. Alla vista delle lacrime piangeva; vicino a un malato egli stesso si ammalava e gemeva; se vedeva la violenza, gli sembrava che la violenza fosse fatta a lui, si spaventava come un ragazzino e, spaventatosi, correva in aiuto. La sofferenza altrui lo irritava, lo portava a uno stato di estasi, e cos via. Non so se l'amico avesse ragione, ma ci che prov Vasi4lev quando gli parve che il problema fosse risolto era molto simile all'ispirazione. Piangeva, rideva, diceva ad alta voce le parole che avrebbe detto l'indomani, provava un amore ardente per quelle persone che l'avrebbero ascoltato e che si sarebbero messe al suo fianco all'angolo del vicolo per predicare; si sedeva a scrivere lettere, faceva giuramenti... Tutto ci somigliava all'ispirazione anche solo per il fatto che fu di breve durata. Vasi4lev si sent presto stanco. Le donne di Londra, di Amburgo, di Varsavia lo opprimevano con la loro massa come le montagne opprimono la terra; davanti a questa massa si intimidiva, si confondeva; si ricordava di non avere il dono della parola, di essere vile e pusillanime, che era poco probabile che le persone indifferenti avrebbero voluto ascoltare e capire lui, studente al terzo anno di legge, persona timida e insignificante; che il vero apostolato consisteva non nella sola predica, ma anche nei fatti... Quando fu chiaro e fuori gi scalpitavano le carrozze, Vasi4lev giaceva immobile sul divano e guardava fisso un punto. Egli ormai non pensava pi alle donne, agli uomini, all'apostolato. Tutta la sua attenzione era rivolta al dolore psicologico che lo tormentava. Era un dolore sordo, astratto, indefinito, somigliante sia alla malinconia, sia moltissimo alla paura, sia alla disperazione. Poteva indicare dove si trovasse: nel petto, sotto il cuore; ma non si poteva paragonarlo a niente. Tempo addietro gli era capitato di avere un forte mal di denti, aveva avuto una pleurite e delle nevralgie, ma tutto ci era irrilevante in confronto al dolore psicologico. Quando provava questo dolore, la vita gli sembrava ripugnante. La tesi, l'eccellente opera che aveva gi scritto, le persone care, la salvezza delle donne perdute, tutto ci che il giorno innanzi amava ancora oppure a cui era indifferente, ora, ricordandolo, lo irritava al pari del rumore delle carrozze, dell'andirivieni dei camerieri, della luce del giorno... Se ora qualcuno sotto i suoi occhi avesse compiuto un'azione misericordiosa oppure un'atroce violenza inqualificabile, sia l'uno che l'altro avrebbero prodotto su di lui la stessa impressione ripugnante. Di tutti i pensieri che vagavano pigramente nella sua testa, due soli non lo irritavano: uno, che in ogni momento aveva il potere di uccidersi, l'altro che la sua

sofferenza non sarebbe durata pi di tre giorni. Il secondo fatto lo sapeva per esperienza. Dopo esser stato un poco coricato si alz e, torcendosi le mani, prese a camminare non avanti e indietro come al solito, ma in quadrato, lungo le pareti. Si diede un'occhiata di sfuggita nello specchio. Il suo volto era pallido ed emaciato, le tempie si erano incavate, gli occhi erano pi grandi, pi scuri, pi fissi, come estranei, ed esprimevano un dolore psicologico insopportabile. A mezzogiorno il pittore buss alla porta. "Grigorij, sei in casa?" chiese. Non avendo ricevuto risposta, attese un minuto, riflett e rispose a se stesso in ucraino: "Non c'. E' andato all'universit, il maledetto!". E se ne and. Vasi4lev si coric sul letto e, nascosta la testa sotto il guanciale, si mise a piangere dal dolore, e quanto pi copiose scorrevano le lacrime, tanto pi terribile diventava il dolore psicologico. Quando si fece buio, si ricord della notte tormentosa che l'attendeva, e una terribile disperazione si impossess di lui. Si vest in fretta, corse fuori dalla stanza e, lasciata la porta spalancata, senza alcuna necessit n scopo usc in strada. Senza chiedersi dove andare, si incammin velocemente lungo la via Sadovaja. La neve cadeva come il giorno innanzi; c'era il disgelo. Ficcate le mani nelle maniche, tremando e spaventandosi degli scalpitii, delle scampanellate del tramvai a cavalli e dei passanti, Vasi4lev attravers la via Sadovaja sino alla torre Sucharev, poi sino alle Porte Rosse, da qui volt nella via Basmannaja. Entr in una bettola e bevve un grosso bicchiere di vodka, ma non ne trasse sollievo. Giunto al Razguljaj, volt a destra e cammin per dei vicoli in cui non era mai stato nemmeno una volta in vita sua. Giunse sino a quel vecchio ponte dove rumoreggia la Jauza e da dove si vedono le lunghe file di luci alle finestre delle Caserme Rosse. Per distogliere il dolore psicologico con una qualsiasi sensazione nuova o con un altro dolore, non sapendo cosa fare, piangendo e tremando, Vasi4lev si slacci il cappotto e la finanziera ed espose il suo petto nudo alla neve umida e al vento. Ma neppure questo fece diminuire il suo dolore. Allora si sporse dal parapetto del ponte e guard in basso la nera, impetuosa Jauza, e gli venne voglia di buttarsi a testa in gi, non per disgusto della vita, non per suicidarsi, ma almeno per farsi del male e sviare il dolore con un altro. Ma l'acqua nera, le tenebre, le sponde deserte coperte di neve erano spaventose. Rabbrivid e and oltre. Pass accanto alle Caserme Rosse, poi torn indietro e scese in un boschetto, dal boschetto risal di nuovo sul ponte... "No, vado a casa, a casa!" pensava. "A casa mi pare di star meglio..." E torn indietro. Giunto a casa, si strapp di dosso il cappotto bagnato e il cappello, si mise a camminare lungo le pareti e cammin instancabilmente sino al mattino. VII Quando il giorno dopo giunsero da lui il pittore e lo studente di medicina egli, con la camicia lacera e le mani morsicate, si agitava per la stanza e gemeva dal dolore. "Per amor di Dio!" scoppi in singhiozzi vedendo gli amici. "Portatemi dove volete, fate ci che sapete, ma, per amor di Dio, salvatemi al pi presto! Altrimenti io mi ammazzo!" Il pittore impallid e rimase sconcertato. Anche lo studente di medicina mancava poco che scoppiasse a piangere, ma, ritenendo che i medici in tutti i casi della vita debbano essere impassibili e seri,

disse freddamente: "Hai una crisi di nervi. Ma non niente di grave. Andiamo subito dal dottore". "Andiamo dove volete, solo, per amor di Dio, facciamo presto!" "Non ti preoccupare. Bisogna lottare con se stessi." Il pittore e lo studente di medicina vestirono con mani tremanti Vasi-4lev e lo portarono fuori. "E' gi da tempo che Michail Sergei4c vuole fare la tua conoscenza" disse lo studente di medicina strada facendo. "E' una persona molto affabile e conosce il suo mestiere alla perfezione. Ha terminato gli studi nell'ottantadue e possiede gi un'enorme esperienza. Con gli studenti si comporta da amico." "Presto, presto..." sollecitava Vasi4lev. Michail Sergei4c, un dottore robusto e biondo, accolse gli amici con cortesia, seriet e freddezza e sorrise con una sola guancia. "Il pittore e Majer mi hanno gi parlato della vostra malattia" disse. "Molto lieto di esservi utile. Dunque? Accomodatevi, prego..." Fece sedere Vasi4lev in una grande poltrona vicino al tavolo e gli accost una scatola di sigarette. "Dunque?" cominci, accarezzandosi le ginocchia. "Veniamo al problema... Quanti anni avete?" Egli faceva le domande e lo studente di medicina rispondeva. Chiese se il padre di Vasi4lev avesse sofferto di qualche malattia particolare, se bevesse molto, se si distinguesse per crudelt o per qualche stravaganza. Chiese lo stesso di suo zio, di sua madre, delle sue sorelle e dei suoi fratelli. Saputo che sua madre aveva una voce magnifica e che talvolta aveva recitato in teatro, d'un tratto si anim e chiese: "Scusatemi: non vi ricordate se il teatro rappresentasse per vostra madre una passione?". Trascorsero una ventina di minuti. Vasi4lev cominci a seccarsi che il dottore si accarezzasse le ginocchia e che parlasse sempre della stessa cosa. "Per quanto possa capire dalle vostre domande, dottore," disse "volete sapere se la mia malattia sia ereditaria oppure no. Non ereditaria." In seguito il dottore chiese se Vasi4lev in giovent avesse avuto dei vizi segreti, delle contusioni alla testa, delle passioni, delle stranezze, dei fanatismi eccessivi. A met delle domande che i medici zelanti solitamente pongono si pu non rispondere senza alcun danno per la salute, ma Michail Sergei4c, lo studente di medicina e il pittore avevano tali facce, come se tutto fosse perduto se Vasi4lev non avesse risposto anche solo a una domanda. Ricevendo le risposte, il dottore ne prendeva chiss perch nota su un foglietto. Venuto a conoscenza del fatto che Vasi4lev aveva gi terminato gli studi alla facolt di scienze naturali e che ora seguiva i corsi alla facolt di giurisprudenza, il dottore si fece pensieroso... "L'anno scorso ha scritto un'opera eccellente..." disse lo studente di medicina. "Scusate, non interrompetemi, mi impedite di concentrarmi" disse il dottore e accenn a un sorriso. "S, certo, anche questo ha importanza nell'anamnesi. Esagerato lavoro intellettuale, esaurimento... S, s... E la vodka la bevete?" si rivolse a Vasi-4lev. "Assai di rado." Passarono altri venti minuti. Lo studente di medicina cominci a esprimere a bassa voce il suo parere sulle cause dirette della crisi e raccont che due giorni prima lui, il pittore e Vasi4lev si erano recati al vicolo S-v. Il tono indifferente, contenuto, freddo con cui gli amici e il dottore parlavano delle donne e del disgraziato vicolo, gli pareva estremamente strano... "Dottore, mi dica solo una cosa:" disse, trattenendosi per non

riuscire sgarbato "la prostituzione un male o no?" "Mio caro, chi lo contesta?" disse il dottore con un'espressione come se gi da tempo avesse risolto questi problemi per se stesso. "Chi lo contesta?" "Siete psichiatra?" chiese sgarbato Vasi4lev. "S, sono psichiatra." "Forse avete tutti ragione!" disse Vasi4lev, alzandosi e mettendosi a camminare avanti e indietro. "Forse! Ma a me tutto ci pare sorprendente! Che abbia studiato in due facolt, in questo vedono un atto eroico; per aver scritto un'opera che fra tre anni sar buttata e dimenticata, mi portano alle stelle, ma per il fatto che io non riesca a parlare delle prostitute con altrettanto sangue freddo come di queste sedie, mi si cura, mi si chiama pazzo, mi si compatisce!" Vasi4lev all'improvviso prov, chiss perch, un'insopportabile pena per se stesso, per i suoi compagni, per tutti coloro che aveva visto due giorni prima, per questo dottore, scoppi in pianto e cadde in poltrona. Gli amici guardavano interrogativamente il dottore. Questi, con l'espressione di chi capisce perfettamente sia le lacrime che la disperazione, di chi si sente specialista in questo campo, si avvicin a Vasi4lev e in silenzio gli porse delle gocce da bere, e poi, quando si fu calmato, lo spogli e prese a esaminare la sensibilit della sua pelle, i riflessi del ginocchio e cos via. E Vasi4lev si sent meglio. Mentre usciva dallo studio del dottore, provava gi vergogna, il rumore delle carrozze non gli pareva pi irritante e il peso sotto il cuore diveniva sempre pi lieve, come se si sciogliesse. In mano teneva due ricette: una prescriveva gocce di bromuro, l'altra gocce di morfina... Prendeva tutto ci anche prima! In strada si ferm un poco, riflett e, preso congedo dagli amici, si incammin pigramente verso l'universit. La seccatura "La seccatura" fu iniziato il 22 febbraio e fu terminato il 4 maggio 1888. Il racconto venne pubblicato la prima volta sul giornale "Tempo nuovo" ("Novoe Vremja"), giornale edito da A'S' Suvorin, il 3 e il 7 giugno del 1888 con il titolo "Piccolezze della vita quotidiana". Modificato, abbreviato e con il titolo "La seccatura" entr a far parte della raccolta "Gente scontrosa" pubblicata a Pietroburgo nel 1890. Grigorij Ivanovi4c Ov4cinnikov, medico dello zemstvo, (1) di circa trentacinque anni, anemico e nervoso, noto ai suoi colleghi per i brevi lavori di statistica medica e per l'ardente devozione alle cosiddette "questioni quotidiane", una mattina, in ospedale, stava facendo il giro delle corsie. Era seguito, come al solito, dal suo assistente Michail Zacharovi4(1)c, una persona anziana, dalla faccia grassa, i capelli piatti e unti e l'orecchino all'orecchio. Appena il dottore ebbe iniziato le visite, gli parve molto sospetta una futile circostanza, ovvero: il panciotto dell'assistente si arricciava in tante pieghe e si alzava con ostinazione nonostante l'assistente lo schiacciasse e lo sistemasse in continuazione. La sua camicia era sgualcita e si arricciava anch'essa; sulla lunga finanziera nera, sui pantaloni e persino sulla cravatta biancheggiavano qua e l delle piume... Evidentemente, l'assistente aveva dormito tutta la notte senza spogliarsi e, a giudicare dall'espressione con la quale adesso schiacciava il panciotto e si sistemava la cravatta, il vestito lo impacciava. Il dottore lo guard fisso e cap di che si trattava. L'assistente non barcollava, alle domande rispondeva a tono, ma il volto ottuso e imbronciato, gli occhi torbidi, il tremolio che gli correva lungo il

collo e le mani, il disordine degli abiti, ma soprattutto gli intensi sforzi su se stesso e il desiderio di mascherare il proprio stato testimoniavano che si era appena alzato dal letto, che non aveva dormito abbastanza e che era ubriaco, ubriaco fradicio, dal giorno prima... Si trovava nello stato tormentoso del "dopo sbornia", soffriva ed era visibilmente molto scontento di s. Il dottore, che non nutriva simpatia per l'assistente e aveva le sue ragioni, prov il forte desiderio di dirgli: "Vedo che siete ubriaco!". D'un tratto gli divennero insopportabili il panciotto, la finanziera a lunghe falde, l'orecchino all'orecchio carnoso, ma trattenne il suo cattivo sentimento e disse con voce dolce e gentile come sempre: "E' stato dato il latte a Gerasim?". "Sissignore..." rispose Michail Zachary4(1)c con pari dolcezza. Mentre parlava con il malato Gerasim, il dottore gett uno sguardo alla tabella dove veniva registrata la temperatura e, provato un nuovo accesso di odio, trattenne il respiro per non parlare, ma non resistette e chiese scortesemente e respirando affannosamente: "Perch la temperatura non stata registrata?". "Nossignore, stata registrata!" disse dolcemente Michail Zachary4(1)c, ma, guardata la tabella e convintosi che la temperatura effettivamente non era stata registrata, sollev confuso le spalle e borbott: "Non so, deve essere Nade4(1)zda Osipovna...". "Nemmeno quella di ieri sera stata registrata!" prosegu il dottore. "Non fate altro che ubriacarvi, che il diavolo vi porti! E anche adesso siete ubriaco fradicio! Dov' Nade4(1)zda Osipovna?" La levatrice Nade4(1)zda Osipovna non era in corsia, sebbene ogni mattina dovesse assistere alle medicazioni. Il dottore si guard attorno, e gli parve che in corsia non fossero state fatte le pulizie, che tutto fosse in disordine, che niente di tutto ci che era necessario fare fosse stato fatto e che tutto si arricciasse, fosse sgualcito e coperto di piume come l'insopportabile panciotto dell'assistente, e gli venne voglia di strapparsi di dosso il grembiule bianco, di gridare contro tutti, di piantare tutto, fregarsene e andarsene via. Ma fece uno sforzo su se stesso e prosegu il giro. Dopo Gerasim segu un malato della chirurgia con un'infiammazione di tutto il braccio destro. Gli si doveva fare la medicazione. Il dottore si sedette davanti a lui su uno sgabello e prese a occuparsi del braccio. "Ieri hanno fatto baldoria alla festa di onomastico..." pensava mentre toglieva lentamente la benda. "Aspettate, vi faccio vedere io l'onomastico! Del resto, che posso fare? Non posso fare niente." Tast l'ascesso sul braccio tumefatto, purpureo, e ordin: "Bisturi!". Michail Zachary4(1)c, nel tentativo di mostrare di esser saldo sulle gambe e di poter lavorare, si precipit e porse velocemente il bisturi. "Non questo! Datemene uno dei nuovi" disse il dottore. L'assistente si diresse a passi veloci verso la sedia sulla quale c'era la cassetta con il materiale per le medicazioni, e cominci a frugarvi in fretta. Bisbigli a lungo con le infermiere, spost la cassetta sulla sedia, frusci, fece cadere qualcosa un paio di volte, mentre il dottore stava seduto, aspettava e sentiva nella spina dorsale una forte irritazione per quel continuo bisbigliare e frusciare. "Ci vuole ancora molto?" chiese. "Probabilmente li avete dimenticati da basso..." L'assistente gli si avvicin di corsa e gli porse due bisturi, nello stesso tempo non si controll e fiat nella sua direzione. "Non sono quelli giusti!" disse irritato il dottore. "Vi sto

parlando in russo, datemene dei nuovi. Del resto, andatevene a smaltire la sbornia, puzzate come una bettola! Siete un irresponsabile!" "Ma di quali coltelli avete bisogno?" chiese irritato l'assistente e lentamente alz le spalle. Era stizzito con se stesso e provava vergogna che i malati e le infermiere lo fissassero, e per mostrare di non vergognarsi, ridacchi forzatamente e ripet: "Ma di quali coltelli avete bisogno?". Il dottore sent le lacrime agli occhi e un tremito nelle dita. Fece uno sforzo su se stesso e disse con voce tremante: "Andatevene a smaltire la sbornia! Non desidero parlare con un ubriaco...". "Potete punirmi solo per motivi di lavoro," chiar l'assistente "e se io, supponiamo, ho preso una sbornia, nessuno ha il diritto di rimproverarmi. Non sto forse lavorando? Che cosa volete ancora? Forse che non sto facendo il mio dovere?" Il dottore balz in piedi e, senza rendersi conto dei propri movimenti, alz il braccio e con tutta forza colp l'assistente sul viso. Non capiva perch lo facesse, ma prov un grande piacere per il fatto che il pugno fosse finito proprio sul viso e che una persona robusta, pratica, un padre di famiglia, religioso e che sapeva il proprio valore, fosse barcollato, fosse rimbalzato come una pallina e fosse finito a sedersi sullo sgabello. Prov il tremendo desiderio di colpirlo ancora una volta ma, visti attorno all'odiato viso quelli pallidi, allarmati delle infermiere, smise di provare piacere, fece un gesto con la mano e usc di corsa. In cortile si imbatt in Nade4(1)zda Osipovna, una giovane sui ventisette anni, con il volto giallo pallido e i capelli sciolti, che stava recandosi in ospedale. Il suo vestito rosa di indiana era molto stretto sul fondo, perci i suoi passi erano corti e frequenti. Il vestito frusciava, lei sollevava le spalle a tempo con ogni passo e dondolava il capo come se stesse canticchiando qualcosa di allegro fra s e s. "Aha, la rusalka!" (2) pens il dottore, avendo ricordato che in ospedale la levatrice era soprannominata rusalka, e prov piacere al pensiero che ora avrebbe sistemato quella civetta innamorata di s che procedeva a piccoli passi. "Dove siete andata a finire?" grid quando la raggiunse. "Perch non siete in ospedale? La temperatura non stata registrata, c' disordine ovunque, l'assistente ubriaco, voi dormite sino alle dodici!... Vogliate trovarvi un altro impiego! Qui non lavorate pi!" Giunto al suo appartamento, il dottore si strapp di dosso il grembiule bianco e l'asciugamano che gli cingeva la vita, scaravent con rabbia l'uno e l'altro in un angolo e si mise a camminare per lo studio. "Dio mio, che gente, che gente!" disse. "Non sono degli aiutanti, ma dei nemici! Non ce la faccio pi a lavorare! Non posso! Me ne vado!" Il suo cuore batteva forte, tremava tutto e voleva piangere e, per liberarsi di tutte queste sensazioni, prese a calmarsi al pensiero che era lui ad avere ragione e che aveva fatto bene a colpire l'assistente. Innanzitutto, era ripugnante, riteneva il dottore, che l'assistente fosse stato assunto in ospedale non semplicemente, ma grazie alla raccomandazione di sua zia che lavorava come bambinaia presso il presidente del comitato dello zemstvo ( ripugnante guardare questa zietta influente quando, venuta a farsi curare, si comporta in ospedale come se fosse a casa propria, e pretende che la ricevano senza aspettare il proprio turno). L'assistente poco disciplinato, sa poco e non capisce affatto ci che sa. E' ubriaco, arrogante, trascurato, prende soldi dai malati e vende sottobanco le

medicine dello zemstvo. A tutti noto persino che esercita e cura le malattie segrete ai giovani borghesi, inoltre utilizza dei rimedi propri. Va bene se fosse solo un ciarlatano quali ce ne sono tanti, ma questo un ciarlatano convinto e protesta di nascosto. Di nascosto dal dottore applica le coppette e fa i salassi ai malati esterni, assiste alle operazioni con le mani non lavate, scava nelle ferite sempre con degli specilli sporchi: tutto ci sufficiente per capire quanto disprezzi profondamente e impavidamente la medicina dei dottori con l'erudizione e la meticolosit sua propria. Atteso che le dita smettessero di tremare, il dottore si sedette alla scrivania e scrisse una lettera al presidente dell'amministrazione: "Egregio Lev Trofimovi4(2)c, se, ricevuta questa lettera, il vostro comitato non licenzier l'assistente Smirnovskij e non mi conferir il diritto di scegliermi da solo gli aiutanti, mi riterr costretto (non senza rammarico, ovviamente) a chiedervi di non considerarmi pi medico dell'ospedale di N' e di occuparvi della ricerca del mio successore. I miei ossequi a Ljubo4(2)v Fedorovna e a Jus. Con rispetto, G' Ov4(2)cinnikov" Riletta la lettera, il dottore ritenne che essa fosse breve e non sufficientemente fredda. Inoltre, gli ossequi a Ljubo4(2)v Fedorovna e a Jus (cos canzonavano il figlio minore del presidente) in una lettera d'affari, ufficiale, erano del tutto fuori luogo. "Che diavolo c'entra qui Jus?" pens il dottore, strapp la lettera e si mise a pensarne un'altra. "Egregio signore..." pensava, sedendosi alla finestra aperta e guardando le anatre con gli anatroccoli che, barcollando e inciampando, si affrettavano probabilmente verso lo stagno; un anatroccolo raccolse da terra chiss quale budello, ne rimase soffocato ed emise un pigolio preoccupato; un altro accorse, gli estrasse di bocca il budello e a sua volta ne rimase soffocato... Lontano, nei pressi della palizzata, nell'ombra merlettata che i giovani tigli proiettavano sull'erba, vagava la cuoca Dar'ja che raccoglieva l'acetosella per lo 4(2)s4(2)ci di verdure... Si sentivano delle voci... Il cocchiere Zot con le briglie in mano e l'inserviente dell'ospedale Manujlo con indosso un grembiule sporco erano nei pressi della rimessa, parlavano di qualcosa e ridevano. "Staranno dicendo che ho picchiato l'assistente..." pens il dottore. "Oggi tutto il distretto verr a sapere di questa scenata... Dunque: "Egregio signore, se la vostra amministrazione non licenzier..."." Il dottore sapeva alla perfezione che l'amministrazione non l'avrebbe in nessun caso scambiato con l'assistente e che avrebbe accettato di non avere nemmeno un assistente in tutto il distretto piuttosto che perdere un'ottima persona come il dottor Ov4(2)cinnikov. Certamente, appena ricevuta la lettera, Lev Trofimovi4(2)c si sarebbe precipitato da lui sulla trojka e avrebbe cominciato: "Ma, caro mio, che cosa vi saltato in mente? Colombella, che cosa c', che il Signore sia con voi? Per quale motivo? Perch poi? Dove lui? Portatelo qui, quella canaglia! Cacciatelo! Cacciatelo assolutamente via! Che gi domani, il mascalzone, non sia pi qui!". Poi avrebbe pranzato con il dottore, e dopopranzo si sarebbe coricato a pancia in su su questo divano color lampone, si sarebbe coperto il viso con il giornale e si sarebbe messo a russare; dopo aver ben dormito, avrebbe bevuto il t a saziet e avrebbe portato il medico a casa propria a dormire. E tutta la storia sarebbe terminata cos: l'assistente sarebbe rimasto all'ospedale e il dottore non avrebbe dato le dimissioni. Ma il dottore nel profondo dell'anima non desiderava un tale

epilogo. Voleva che la zia dell'assistente trionfasse e che il comitato, nonostante i suoi otto anni di servizio scrupoloso, senza tanti discorsi e anche con piacere accettasse le sue dimissioni. Si immaginava di lasciare l'ospedale al quale era abituato, di scrivere una lettera al giornale "Il medico", che i colleghi gli avrebbero mandato una lettera di solidariet... Sulla strada apparve la rusalka. A piccoli passi e con il vestito che frusciava si avvicin alla finestra e chiese: "Grigorij Ivany4(2)c, ricevete voi i malati oppure ordinate di riceverli senza di voi?". E i suoi occhi dicevano: "Ti sei accalorato, ma adesso ti sei calmato e ti vergogni, ma io sono magnanima e non lo noto". "Va bene, vengo subito" disse il dottore. Indoss nuovamente il grembiule, si leg in vita l'asciugamano e and all'ospedale. "Non sta bene che me ne sia andato di corsa dopo averlo picchiato..." pensava strada facendo. "Risulta come se io mi sia confuso o mi sia spaventato... Ho fatto la figura dello studentello... Non sta proprio bene!" Pensava che, quando sarebbe entrato in corsia, i malati avrebbero provato imbarazzo a guardarlo ed egli stesso avrebbe provato vergogna, ma quando entr i malati erano tranquillamente coricati sui letti e gli rivolsero appena l'attenzione. Il viso del tisico Gerasim esprimeva un'assoluta indifferenza ed era come se dicesse: "Non ti ha soddisfatto, tu gli hai dato una lezioncina... Caro mio, non se ne poteva fare a meno". Il dottore incise sul braccio purpureo due ascessi e fece la medicazione, poi si diresse nel reparto femminile dove oper una donna a un occhio, e tutto il tempo fu seguito dalla rusalka, che lo aiutava con un'espressione come se non fosse accaduto nulla e tutto andasse bene. Dopo il giro delle corsie cominciarono le visite dei malati esterni. Nel piccolo gabinetto del dottore la finestra era spalancata. Bastava sedersi sul davanzale e curvarsi leggermente per vedere la giovane erba a un ar4(2)sin (3)sin=m 0,711.(3) di distanza. La sera prima c'era stato un acquazzone, perci l'erba leggermente acciaccata e lucida. Il sentiero che corre a poca distanza dalla finestra e che conduce al burrone, pare lavato e il vasellame rotto della farmacia, sparso lungo i suoi lati, anch'esso lavato, gioca al sole e manda degli accecanti raggi sfolgoranti. E pi in l dopo il sentiero si stringono l'uno all'altro i giovani abeti, vestiti di sfarzosi abiti verdi; dietro ci sono le betulle con i loro fusti bianchi come carta, e attraverso il fogliame delle betulle che trema leggermente per il vento si vede il cielo azzurro senza fondo. Quando ci si affaccia alla finestra, gli storni che saltellano lungo il sentiero voltano verso la finestra i loro stupidi becchi e decidono: bisogna spaventarsi o no? E, deciso di spaventarsi, l'uno dopo l'altro, con un grido allegro, proprio come se si beffassero del dottore che non sa volare, volano verso le cime delle betulle... Attraverso l'odore greve dello iodoformio si sente la freschezza e il profumo della giornata primaverile... Che piacere respirare! "Anna Spiridonova!" chiam il dottore. Nel gabinetto entr una giovane donna con un fazzoletto rosso e rivolse una breve preghiera all'icona. "Che cosa fa male?" chiese il dottore. La donna guard di sbieco, con diffidenza, la porta dalla quale era entrata, l'altra apertura che immetteva sulla farmacia; si fece pi vicina al dottore e bisbigli: "Non ho figli!". "Chi non si ancora messo in nota?" url la rusalka in farmacia. "Venite a registrarvi!" "E' un animale gi per il fatto" pensava il dottore mentre visitava

la donna "di avermi fatto fare a pugni per la prima volta in vita mia. Non avevo mai fatto a pugni." Anna Spiridonova usc. Dopo di lei venne un vecchio con una brutta malattia, poi una donna con tre marmocchi con la scabbia, e il lavoro ferveva. Dietro la porticina della farmacia, facendo frusciare il vestito e tintinnare il vasellame, la rusalka cinguettava allegramente; ogni tanto entrava nel gabinetto per assistere a un'operazione oppure per prendere le ricette, e sempre con un'aria tale come se tutto andasse bene. "E' contenta che ho picchiato l'assistente" pensava il dottore porgendo l'orecchio alla voce della levatrice. "Erano come cane e gatto, e per lei una festa se lo licenziano. E pare che anche le infermiere siano contente... Come disgustoso tutto ci!" Nel pieno fervore delle visite cominci a sembrargli che sia la levatrice, sia le infermiere e persino i malati si sforzassero apposta di assumere un'espressione indifferente e allegra. Come se capissero che egli provava vergogna e dolore, ma per delicatezza facessero finta di non notarlo. Ed egli, desiderando mostrar loro di non avere assolutamente vergogna, gridava arrabbiato: "Ehi, voi, l! Chiudete la porta che c' corrente!". Ma provava gi vergogna e oppressione. Dopo aver visitato quarantacinque malati, usc senza fretta dall'ospedale. La levatrice, che aveva gi fatto a tempo a passare da casa e a indossare sulle spalle uno scialle rosso vivo, con una sigaretta in bocca e un fiore nei capelli sciolti si affrettava a uscire, probabilmente per una chiamata oppure a trovare qualcuno. Sulla porta dell'ospedale erano seduti dei malati che stavano scaldandosi in silenzio al sole. Gli storni come prima facevano chiasso e cacciavano i maggiolini. Il dottore guardava attorno e pensava che tra tutte quelle esistenze equilibrate, serene, solo due esistenze spiccavano nettamente come due tasti difettosi di un pianoforte e non valevano nulla: quella dell'assistente e la propria. L'assistente ora era probabilmente andato a dormire per smaltire la sbornia, ma non riusciva ad addormentarsi al pensiero di essere colpevole, offeso e di aver perso il posto. La sua situazione era penosa. A sua volta il dottore, che non aveva mai picchiato nessuno prima, si sentiva come se avesse perso per sempre l'innocenza. Non accusava pi l'assistente e non si giustificava, ma era solo perplesso: come era potuto accadere che lui, una persona perbene, che non aveva mai picchiato nemmeno un cane, avesse potuto dare un pugno a qualcuno? Arrivato a casa, si coric sul divano nello studio, con la faccia rivolta verso lo schienale e prese a pensare cos: "E' un poco di buono, dannoso per il lavoro; nei tre anni che ha lavorato mi sono roso il fegato, nonostante ci la mia azione non pu essere in nessun modo giustificata. Ho approfittato del diritto del pi forte. Egli mio subordinato, colpevole e inoltre ubriaco, e io sono il suo superiore, ho ragione e sono sobrio... Quindi sono pi forte. In secondo luogo, l'ho picchiato in presenza di persone che mi ritengono un'autorit, e in tal modo ho fornito loro un esempio ripugnante...". Chiamarono il dottore a pranzo... Mangi qualche cucchiaio di 4(3)s4(3)ci e, alzatosi da tavola, si coric di nuovo sul divano. "Che fare adesso?" continuava a riflettere. "Bisogna dargli soddisfazione il pi presto possibile... Ma come? Il duello egli, da uomo pratico, lo ritiene una sciocchezza oppure non lo capisce. Se gli chiedo scusa in quella stessa corsia, in presenza delle infermiere e dei malati, queste scuse soddisferanno solo me e non lui; una persona immorale, interpreter le mie scuse come codardia e timore che egli mi quereli presso i superiori. Inoltre, queste mie scuse scuoterebbero del tutto la disciplina dell'ospedale. Offrirgli del denaro? No, immorale e sembra che voglia corromperlo. Se ora,

supponiamo, mi rivolgessi per risolvere la questione ai nostri superiori diretti, ovvero al comitato... potrebbero ammonirmi oppure licenziarmi... Ma questo non lo faranno. E poi non affatto opportuno immischiare nelle questioni interne dell'ospedale l'amministrazione, la quale a questo proposito non ha alcuna autorit..." Tre ore dopo il pranzo il dottore stava recandosi a fare il bagno nello stagno e pensava: "E perch non comportarmi cos come si comportano tutti in simili circostanze? Ovvero, che mi quereli pure. Io sono senza dubbio colpevole, non cercher di discolparmi, e il giudice conciliatore mi condanner all'arresto. In tal modo l'offeso sar soddisfatto e coloro che mi ritengono un'autorit vedranno che avevo torto". Questa idea gli sorrise. Si rallegr e cominci a pensare che la questione era felicemente risolta e che non ci potesse essere alcuna soluzione pi giusta. "Dunque, eccellente!" pensava mentre scivolava in acqua e osservava le frotte di minuscoli carassi dorati che scappavano da lui. "Che mi quereli pure... Gli riesce tanto pi comodo visto che i nostri rapporti di lavoro sono gi interrotti e uno di noi, dopo questa scenata, non pu comunque rimanere in ospedale..." La sera il dottore ordin di attaccare il calesse per recarsi a giocare a vint (4) dal comandante del distretto. Mentre, indossati cappello e cappotto, gi pronto a uscire, era in mezzo allo studio e si stava infilando i guanti, la porta esterna si apr scricchiolando e qualcuno entr senza far rumore nell'anticamera. "Chi l?" chiese il dottore. "Sono io..." rispose con voce sorda chi era entrato. Al dottore il cuore si mise all'improvviso a batter forte e si sent raggelare dalla vergogna e da uno spiacevole senso di paura. L'assistente Michail Zachary4(4)c (era lui) tossicchi leggermente ed entr timidamente nello studio. Dopo qualche istante di silenzio, disse con voce sorda, colpevole: "Mi perdoni, Grigorij Ivany4(4)c!". Il dottore rimase sconcertato, senza sapere cosa dire. Cap che l'assistente era venuto da lui a umiliarsi e a chiedere perdono non gi per umilt cristiana e non per distruggere con la propria umilt l'offensore, ma solo per calcolo: "Faccio uno sforzo su me stesso, chiedo perdono e, forse, non mi cacceranno e non mi priveranno del pezzo di pane...". Che cosa pu esserci di pi offensivo per la dignit umana? "Mi perdoni..." ripet l'assistente. "Sentite..." inizi il dottore sforzandosi di non guardarlo e senza sapere ancora cosa dire. "Sentite... Io vi ho offeso e... e devo subire una punizione, ovvero devo darvi soddisfazione... Voi non riconoscete i duelli... D'altronde, io stesso non riconosco i duelli. Io vi ho offeso e voi... voi potete sporgere querela al giudice conciliatore e io subir la punizione... Ma impossibile rimanere qui entrambi... Uno di noi, io oppure voi, deve andarsene! ("Dio mio! Non questo che gli voglio dire!" inorrid il dottore. "Come tutto stupido, come stupido!") "Insomma, avanzate la supplica perch non vi licenzino! Ma non possiamo pi lavorare insieme!... O io o voi... Avanzatela subito domani!" L'assistente guard il dottore di traverso e nei suoi occhi scuri, appannati, divamp il pi sincero disprezzo. Aveva sempre ritenuto il dottore un ragazzino privo di senso pratico, capriccioso, ma adesso lo disprezzava per il tremore, per l'incomprensibile confusione nelle sue parole... "E lo far" disse tetro e con cattiveria. "Fatelo pure!" "Ma che cosa credete? Che non lo far? Lo far eccome... Non avete

diritto di fare a pugni. Dovreste vergognarvi! Solo gli ubriachi fanno a pugni, mentre voi siete una persona istruita..." Nel petto del dottore si dest inaspettatamente tutto il suo odio, ed egli url con voce non sua: "Fuori di qua!". L'assistente si mosse controvoglia (come se avesse voluto dire ancora qualcosa), and nell'anticamera e qui si ferm perplesso. E, pensato qualcosa, usc definitivamente... "Come tutto stupido, come stupido!" borbottava il dottore dopo che egli fu uscito. "Come tutto stupido e volgare!" Sentiva di essersi comportato con l'assistente come un ragazzino, e cominciava gi a capire che tutti i suoi pensieri a proposito del tribunale non erano sensati, non risolvevano la questione ma la complicavano soltanto. "Come stupido!" pensava mentre era seduto nel calesse e poi mentre giocava a vint a casa del comandante del distretto. "E' possibile che io sia cos poco istruito e che conosca cos poco la vita da non essere in grado di risolvere questa semplice questione? Ebbene, cosa fare?" La mattina del giorno dopo il dottore vide la moglie dell'assistente salire su una vettura per recarsi chiss dove, e pens: "Va dalla zietta. E che vada!". L'ospedale se la cavava senza assistente. Si sarebbe dovuto scrivere una lettera al comitato, ma il dottore non riusciva ancora in nessun modo a idearne la forma. Ora, il senso della lettera doveva essere il seguente: "Chiedo che l'assistente sia licenziato, sebbene non ne sia colpevole lui ma io". Formulare questo pensiero in modo tale che riuscisse non stupido, n vergognoso, era quasi impossibile per una persona perbene. Due o tre giorni dopo riferirono al dottore che l'assistente aveva sporto querela a Lev Trofimovi4(4)c. Il presidente non gli aveva lasciato dire nemmeno una parola, aveva pestato i piedi per terra e lo aveva cacciato urlando: "Ti conosco! Fuori! Non voglio sentir nulla!". Dopo Lev Trofimovi4(4)c, l'assistente si era recato alla sede del comitato e aveva scritto una calunnia nella quale, senza menzionare lo schiaffo e senza chiedere niente per s, segnalava al comitato che il dottore in sua presenza aveva espresso alcune volte disapprovazione nei confronti del comitato e del presidente, che il dottore non curava come suo dovere, che si recava nei distretti senza regolarit e cos via. Venutolo a sapere, il dottore si mise a ridere e pens: "Che stupido!" e prov vergogna e compassione che l'assistente facesse delle sciocchezze; tante pi sciocchezze fa una persona a propria tutela, tanto pi, vuol dire, essa indifesa e debole. Esattamente una settimana dopo la mattina descritta il dottore ricevette il mandato di comparizione dal giudice conciliatore. "Tutto ci del tutto stupido..." pens mentre firmava la ricevuta. "Non si pu inventare niente di pi stupido." E, mentre una mattina grigia e tranquilla si recava dal giudice, ormai non provava pi vergogna, ma stizza e disgusto. Si arrabbiava e con se stesso, e con l'assistente, e con le circostanze... "E io al processo salto su e dico: andatevene tutti al diavolo!" si arrabbiava. "Siete tutti dei somari e non capite niente!" Giunto alla sala delle udienze, sulla soglia vide tre sue infermiere, convocate in qualit di testimoni, e la rusalka. Alla vista delle infermiere e della gioconda levatrice, che per l'impazienza si appoggiava ora su un piede ora sull'altro e avvamp persino per la soddisfazione quando vide l'eroe principale dell'imminente processo, all'arrabbiato dottore venne voglia di aggredirle come uno sparviere e di sbalordirle: "Chi vi ha dato il permesso di andarvene dall'ospedale? Vogliate tornarvene

immediatamente a casa!" ma si trattenne e, cercando di sembrare tranquillo, si fece strada nella folla di contadini ed entr nella sala. La sala era vuota e la catena del giudice era appesa allo schienale della poltrona. Il dottore entr nello stanzino del cancelliere. Qui vide un giovane dal viso smunto e con una giacca di lino dalle tasche gonfie (era il cancelliere), e l'assistente, che era seduto al tavolo e, non sapendo cosa fare, sfogliava dei documenti sulle condanne. All'ingresso del dottore il cancelliere si alz; l'assistente si confuse e si alz a sua volta. "Non ancora arrivato Aleksandr Archipovi4(4)c?" chiese il dottore turbato. "Non ancora. E' a casa..." rispose il cancelliere. La sala era situata nella tenuta del giudice conciliare, in una delle dipendenze, e il giudice stesso abitava nella casa principale. Il dottore usc dalla sala e si diresse senza fretta verso la casa. Trov Aleksandr Archipovi4(4)c in sala da pranzo che beveva il t. Il giudice, senza finanziera e senza panciotto, con la camicia sbottonata sul petto, era in piedi vicino al tavolo e, reggendo con entrambe le mani la teiera, si versava in un bicchiere del t scuro come caff; visto l'ospite, accost velocemente a s un altro bicchiere, vi vers il t e, senza salutare, chiese: "Con o senza zucchero?". Una volta, tanto tempo prima, il giudice era stato ufficiale di cavalleria; ora, per il suo servizio di lunga data, era stato eletto consigliere effettivo di stato, (5) ma non aveva comunque abbandonato n la divisa, n le abitudini militari. Aveva i baffi lunghi da capo della polizia, i pantaloni con le bande, e tutte le sue azioni e le sue parole erano pervase di grazia militare. Parlava con la testa leggermente ripiegata indietro e ornando il discorso con un espressivo "ehm..." da generale, muoveva le spalle e girava gli occhi; quando salutava oppure offriva le sigarette trascinava i piedi, e quando camminava faceva tintinnare gli speroni con una tale cautela e una tale dolcezza, come se ogni suono degli speroni gli infliggesse un dolore insopportabile. Fatto accomodare il dottore al tavolo da t, si accarezz l'ampio petto e la pancia, emise un profondo sospiro e chiese: "Eh s... Forse volete ehmm... della vodka e qualcosa da mangiare? Ehmm?". "No, grazie, non ho appetito." Entrambi sentivano di non poter evitare di parlare della scenata all'ospedale, ed erano entrambi imbarazzati. Il dottore taceva. Il giudice con un gesto grazioso della mano acchiapp una zanzara che l'aveva punto sul petto, la esamin attentamente da tutti i lati e la lasci andare, poi trasse un profondo sospiro, sollev gli occhi sul dottore e chiese, facendo una pausa dopo ogni parola: "Sentite, perch non lo cacciate?". Il dottore colse nella sua voce una nota di simpatia; prov a un tratto compassione per se stesso, e avvert la stanchezza e la spossatezza per le seccature sopportate nell'ultima settimana. Con un'espressione tale come se la sua pazienza fosse finalmente finita, si alz da tavola e, facendo una smorfia per l'irritazione, sollevando le spalle, disse: "Cacciarlo! Come ragionate voi tutti, Dio mio... E' sorprendente come ragionate! Posso forse cacciarlo? State qui seduto e pensate che io in ospedale sia il padrone e faccia tutto ci che voglio! E' sorprendente come ragionate! Posso forse cacciare l'assistente se sua zia lavora come bambinaia da Lev Trofimovi4(5)c e se Lev Trofimovi4(5)c ha bisogno di simili pettegoli e lacch come questo Zachary4(5)c? Cosa posso fare se per lo zemstvo noi dottori non valiamo un soldo bucato, se esso a ogni passo ci mette i bastoni fra le ruote? Che il diavolo li prenda, io non voglio

pi lavorare, ecco tutto! Non voglio!". "Suvvia... Voi, anima mia, date troppa importanza, per cos dire..." "Il maresciallo della nobilt con tutte le sue forze cerca di dimostrare che siamo tutti dei nichilisti, ci spia e ci maltratta come fa con i suoi scrivani. Che diritto ha di venire in ospedale in mia assenza e di interrogare le mie infermiere e i malati? Non forse offensivo? E quel vostro jurodivyj (6) di Semen Aleksei4(6)c, che ara i suoi campi da solo e non crede nella medicina perch sano e robusto come un toro, ci d di parassiti in pubblico e ci rinfaccia ogni tozzo di pane! Che il diavolo se lo prenda! Io lavoro dal mattino alla notte, non conosco riposo, sono pi necessario io qui di tutti questi jurodivye, bigotti, riformatori e degli altri pagliacci presi insieme! Sul lavoro ho perso la salute, e invece di riconoscenza mi rinfacciano un tozzo di pane! Vi ringrazio umilmente! E ognuno si sente in diritto di ficcare il naso in cose che non lo riguardano, di insegnare, di controllare! Questo vostro membro del comitato, Kam4(6)catskij, alla riunione dello zemstvo ha redarguito noi medici perch usiamo troppo ioduro di potassio, e ci ha raccomandato di stare attenti a usare la cocaina! Che cosa ne capisce lui, vi chiedo? Che cosa gli importa? Perch non viene a insegnare a voi a fare il giudice?" "Ma... ma un villano, anima mia, un lacch... Non bisogna badargli..." "Villano, lacch, ci nondimeno avete eletto questo spaccone membro del comitato e gli permettete di ficcare il naso ovunque! Ecco che sorridete! Secondo voi sono tutte bazzecole, inezie, ma cercate di capire: queste bazzecole sono talmente tante che la vita composta solo di esse, come una montagna composta da granelli di sabbia! Io non ce la faccio pi! Non ho pi forze, Aleksandr Archipy4(6)c! Ancora poco e io, vi assicuro, mi metter non solo a picchiare sul muso, ma a sparare alle persone! Vogliate capire che non ho dei fili, ma dei nervi. Sono una persona come voi..." Gli occhi del dottore si riempirono di lacrime e la voce trem; volt le spalle e si mise a guardare alla finestra. Si fece silenzio. "Ehm, s, stimatissimo..." borbott il giudice riflettendo. "D'altra parte, se ragioniamo a sangue freddo,..." il giudice acchiapp una zanzara e, socchiudendo stretti gli occhi, la esamin da tutte le parti, la schiacci e la gett nel lavandino "...vedete, non ha neanche senso cacciarlo. Cacciatelo, e al suo posto ne verr un altro identico, e forse anche peggiore. Cambiate cento persone e non ne troverete una buona... Sono tutti dei mascalzoni!" Il giudice si accarezz sotto le ascelle, si accese lentamente una sigaretta e continu: "Bisogna rassegnarsi a questo male. Vi devo dire che, oggigiorno, lavoratori onesti e sobri sui quali fare affidamento si possono trovare solo tra l'intellighenzia e i contadini, ovvero in questi due estremi, e basta. Voi, per cos dire, potrete trovare il medico pi affidabile, l'insegnante pi eccellente, l'aratore o il fabbro pi onesto, ma la gente media, ovvero, per cos dire, la gente proveniente dal popolo ma che non ha raggiunto l'intellighenzia, costituisce un elemento poco fidato. E', perci, assai difficile trovare un assistente, uno scrivano, un fattore, e cos via, onesto e sobrio. Estremamente difficile! Io servo la giustizia dai tempi di re Salomone e in tutto il tempo del mio servizio non ho mai avuto neanche una volta uno scrivano onesto e sobrio, pur avendone cacciati in vita mia in gran quantit. E' una popolazione priva di qualsiasi disciplina morale, senza parlare dei princpi, per cos dire..." "Perch dice queste cose?" pens il dottore. "Entrambi non diciamo ci che si dovrebbe." "Solo alcuni giorni fa, venerd scorso," prosegu il giudice

"immaginatevi un po' cosa mi ha combinato il mio Dj4(6)zuinskij. La sera ha invitato degli ubriaconi, il diavolo li conosce, e ha passato tutta la notte a ubriacarsi con loro nella sala delle udienze. Che ne dite? Non ho niente contro il bere. Che il diavolo sia con te, bevi pure, ma perch far entrare nella sala delle udienze degli sconosciuti? Giudicate voi stessi: rubare dagli incartamenti qualche documento, una cambiale o altro cosa di un minuto! E che cosa pensate? Dopo questa orgia per due giorni dovetti controllare tutti gli incartamenti per vedere se non fosse scomparso qualcosa... Be', che cosa avreste fatto con questa canaglia? L'avreste cacciato? Bene, ma come avere la garanzia che un altro non sar peggiore?" "E poi come si fa a cacciarlo?" obiett il dottore. "Cacciare una persona facile solo a parole... Come faccio a cacciarlo e a privarlo del tozzo di pane se so che ha famiglia, che ha fame? Dove andr a finire con la sua famiglia?" "Sa il diavolo, non questo che voglio dire!" pens, e gli parve strano di non riuscire in alcun modo a fissare la propria coscienza su un pensiero solo, determinato, oppure su un solo sentimento. "Questo succede perch non sono profondo e non sono capace di pensare" riflett fra s e s. "L'uomo medio, come l'avete definito voi, non d affidamento" prosegu. "Lo cacciamo, lo sgridiamo, lo picchiamo sul viso, ma bisogna anche mettersi al suo posto. Egli non n contadino, n signore, n carne n pesce; il suo passato amaro, attualmente ha solo venticinque rubli al mese, una famiglia affamata e una posizione subalterna. In futuro avr gli stessi venticinque rubli e una posizione subalterna dovesse anche lavorare cent'anni. Non ha n istruzione n propriet; non ha tempo di leggere e di andare in chiesa, non ci ascolta perch non gli permettiamo di avvicinarsi troppo a noi. Vive cos di giorno in giorno sino alla morte, senza alcuna speranza in un miglioramento, senza mangiare mai a saziet, temendo che lo caccino da un momento all'altro dall'appartamento demaniale, senza sapere dove sistemare i propri figli. Dunque, ditemi, come si fa a non ubriacarsi, a non rubare? Da dove volete che spuntino i princpi?" "A quanto pare, stiamo gi risolvendo le questioni sociali" pens. "E in che modo goffo, Signore! Che senso ha tutto ci?" Si udirono delle campanelle. Qualcuno era entrato nel cortile ed era passato dapprima dalla sala delle udienze, poi nel terrazzino d'ingresso dell'edificio principale. "E' venuto lui stesso" disse il giudice guardando alla finestra. "Adesso ve ne sentirete!" "Ma voi, per favore, congedatemi in fretta..." chiese il dottore. "Se possibile, esaminate il mio caso fuori turno. Ve lo giuro, non ho proprio tempo." "Va bene, va bene... E' solo che non so ancora, mio caro, se questo caso sia di mia competenza. Con l'assistente avete dei rapporti, per cos dire, di lavoro, e inoltre l'avete pestato mentre adempiva le sue funzioni. Insomma, non so bene. Adesso lo chiediamo a Lev Trofimovi4(6)c." Si udirono dei passi frettolosi e un respiro affannoso, e sulla porta comparve Lev Trofimovi4(6)c, il presidente, un vecchio grigio e pelato con una lunga barba e le palpebre rosse. "I miei rispetti..." disse ansimando. "Uh, perbacco! Di, giudice, ordina di servirmi del kvas! Sono stanco da morire..." Si lasci cadere in poltrona, ma salt subito in piedi, si avvicin di corsa al dottore e, fissandolo arrabbiato con gli occhi spalancati, si mise a parlare con voce stridula da tenore: "Vi sono molto ed estremamente riconoscente, Grigorij Ivany4(6)c! Vi sono obbligato, vi ringrazio! Non me lo dimenticher nei secoli dei

secoli, amen! Gli amici non si comportano cos! Come volete, ma questo da parte vostra persino disonesto! Perch non me ne avete informato? Cosa sono per voi? Chi? Un nemico o un estraneo? Sono un vostro nemico? Vi ho mai rifiutato qualcosa? Eh?". Spalancando gli occhi e muovendo le dita, il presidente bevve a saziet, si asciug le labbra velocemente e prosegu: "Vi sono molto, molto riconoscente! Perch non mi avete informato? Se nutriste dell'affetto nei miei confronti, sareste venuto da me e mi avreste detto da amico: "Colombella, Lev Trofimy4(6)c, cos e cos... Una storia di questo tipo e cos via...". Io avrei sistemato tutto in un batter d'occhi e non ci sarebbe stato bisogno di questo scandalo... Quello stupido, manco gli avesse dato di volta il cervello, bighellona per il distretto, intriga e spettegola con le donne, e voi, una vergogna dirlo, scusatemi per l'espressione, avete combinato sa il diavolo cosa, avete obbligato quello stupido a sporgere querela! E' una vergogna, una vera e propria vergogna! Tutti mi chiedono di che cosa si tratta, come e cosa, e io, il presidente, non so niente di ci che qui succede. Ve ne infischiate di me! Vi sono molto, molto riconoscente, GrigorijIvany4(6)c!". Il presidente fece un inchino talmente profondo che divenne persino paonazzo, poi si accost alla finestra e grid: "-igalov, fa' venire Michail Zachary4(6)c! Digli di venire immediatamente qui! Molto male!" disse allontanandosi dalla finestra. "Persino mia moglie si offesa, eppure, mi pare, sempre stata benevola con voi. Vi insuperbite molto, signori! Vi date da fare perch tutto sia sensato, secondo i princpi, e con tutti i cavilli, ma ottenete solo una cosa: imbrogliate tutto..." "Voi vi date da fare perch tutto non sia sensato, e che cosa ottenete?" chiese il dottore. "Che cosa otteniamo? Otteniamo che, se io adesso non fossi venuto qui, avreste coperto di vergogna sia voi che noi... E' la vostra fortuna che io sia venuto!" Entr l'assistente e si ferm sulla soglia. Il presidente si mise col fianco rivolto a questi, ficc le mani in tasca, si schiar la gola e disse: "Chiedi immediatamente perdono al dottore!". Il dottore arross e corse via nell'altra stanza. "Vedi, il dottore non vuole accettare le tue scuse!" prosegu il presidente. "Egli desidera che tu dia prova del tuo pentimento non a parole, ma a fatti. Dai la tua parola che da oggi stesso ubbidirai e condurrai una vita sobria?" "Do la mia parola..." disse l'assistente con voce cupa da basso. "Sta' attento! Che Dio ti protegga! Ti faccio perdere il posto in un batter d'occhi! La prossima volta non chiedere perdono... Su, vattene a casa..." Per l'assistente, che aveva gi accettato la disgrazia, un tale mutamento fu una sorpresa imprevista. Impallid persino dalla gioia. Voleva dire qualcosa e protese la mano in avanti, ma non disse niente, sorrise stupidamente e usc. "Ecco tutto!" disse il presidente. "E non c' bisogno di alcun processo." Sospir di sollievo e con una tale foga come se avesse appena portato a termine una questione molto complessa e importante; squadr il samovar e i bicchieri, si strofin le mani e disse: "Santi protettori... Sa4(6)sa, versami un bicchiere. O meglio, da' prima ordine di portare qualcosa da mangiare... E anche della vodka...". "Signori, intollerabile!" disse il dottore entrando in sala da pranzo, ancora rosso in viso e torcendosi le mani. "E'... una commedia! E' ripugnante! Non posso. Meglio esser processati venti volte che risolvere le questioni in questo modo da vaudeville. No, non posso!"

"Ma che cosa volete ancora?" gli chiese con stizza il presidente. "Che lo si cacci? Va bene, lo caccer..." "No, cacciarlo no... Non so che cosa voglio, ma prender cos la vita, signori... Ah, Dio mio! E' penoso!" Il dottore cominci ad agitarsi nervosamente e prese a cercare il cappello, ma, non trovandolo, si lasci andare prostrato in poltrona. "E' ripugnante!" ripet. "Anima mia," si mise a sussurrare il giudice "in parte non vi capisco, per cos dire... Voi siete il colpevole di questo incidente! Picchiare in faccia alla fine del diciannovesimo secolo non in un certo modo, comunque la mettiate, una cosa da fare... Egli un mascalzone ma, convenitene, anche voi avete agito con imprudenza..." "Certamente!" fu d'accordo il presidente. Servirono la vodka e gli antipasti. Nel prendere commiato il dottore bevve macchinalmente un bicchierino di vodka e mangi un ravanello. Mentre tornava in ospedale, i pensieri si avvolgevano di nebbia come i prati la mattina in autunno. "E' possibile" pensava "che in quest'ultima settimana si sia sofferto, pensato e parlato cos tanto solo perch poi tutto finisse in modo cos assurdo e volgare? Come tutto stupido! Come stupido!" Provava vergogna per aver coinvolto degli estranei in una sua questione personale, vergogna per le parole da lui dette a queste persone, per la vodka che aveva bevuto per l'abitudine di bere e vivere senza riflettere, vergogna per la sua mente che non capiva, poco profonda... Tornato in ospedale, si mise subito a fare il giro delle corsie. L'assistente camminava vicino a lui, avanzando delicatamente, come un gatto, e rispondendo con dolcezza alle domande... Tanto l'assistente quanto la rusalka e le infermiere facevano finta che non fosse accaduto nulla e che tutto andasse bene. E il dottore stesso tentava con tutte le forze di mostrarsi indifferente. Dava ordini, si arrabbiava, scherzava con i malati, ma in testa gli ribolliva: "Come stupido, come stupido, come stupido...". NOTE: (1) Organo elettivo di autonomia locale. (2) Nella mitologia slava, spiriti femminili nei quali erano trasformate le ragazze morte affogate. (3) Ar4 (4) Gioco di carte che trae le regole in parte dal whist in parte dal prfrence. (5) IV classe nella tavola dei ranghi. (6) "Folle in Cristo", specie di asceta che vagava pregando e vivendo di carit. La principessa 4(6)cechov inizi la stesura de "La principessa" nel novembre 1888 e la termin nel marzo 1889. Il racconto fu pubblicato la prima volta il 26 marzo 1889 sulla terza pagina del giornale "Tempo Nuovo" ("Novoe Vremia"). Fu incluso nella raccolta "Gente scontrosa" pubblicata a Pietroburgo nel 1890 e nell'edizione di A'F' Marks. Nelle grandi porte dette Rosse del monastero maschile della citt di N-skij entr una carrozza tirata da quattro cavalli belli e robusti; i monaci e i novizi, che stavano in folla vicino alla parte della foresteria riservata ai nobili, gi da lontano, dal cocchiere e dai cavalli, avevano riconosciuto nella signora che sedeva in carrozza la loro buona conoscente, la principessa Vera Gavrilovna. Il vecchio in livrea salt dalla serpa e aiut la principessa a

scendere dalla vettura. Ella sollev il velo scuro e, senza fretta, si avvicin a tutti i monaci per riceverne la benedizione, poi con il capo salut affabilmente i novizi e si diresse verso le stanze. "Ditemi, vi siete annoiati senza la vostra principessa?" chiedeva ai monaci che le portavano i bagagli. "E' un mese intero che non vengo da voi. Ed eccomi qui, sono arrivata, guardate la vostra principessa. Ma dov' il padre archimandrita? Dio mio, ardo dall'impazienza! Che vecchio meraviglioso, meraviglioso! Dovete essere orgogliosi di avere un archimandrita tale!" Quando entr l'archimandrita, la principessa mand un grido per l'entusiasmo, incroci le braccia sul petto e gli si avvicin per riceverne la benedizione. "No, no! Lasciate che ve la baci!" disse afferrandogli la mano e baciandola avidamente tre volte. "Come sono contenta, santo padre, di vedervi finalmente! Voi, probabilmente, avete dimenticato la vostra principessa, ma io col pensiero ho vissuto ogni minuto nel vostro caro monastero. Come si sta bene qui da voi! In questa vita dedicata a Dio, lontano dalle vanit del mondo, vi un fascino particolare, santo padre, che sento con tutta l'anima ma che non riesco a rendere con le parole!" Le guance della principessa si fecero di fuoco e le vennero le lacrime agli occhi. Parlava senza posa, con ardore, mentre l'archimandrita, un vecchio di circa settant'anni, serio, brutto e schivo, taceva, solo di tanto in tanto chiedeva a scatti e con fare militaresco: "Proprio cos, vostra signoria... ascolto... capisco... Ci concederete di godere a lungo della vostra presenza?" chiese. "Oggi passer la notte da voi, e domani andr da Klavdija Nikolaevna ( tanto che non ci vediamo), ma dopodomani verr nuovamente da voi e mi fermer quattro giorni. Qui da voi voglio riposare l'anima, padre santo..." Alla principessa piaceva fermarsi al monastero N-skij. Negli ultimi due anni prediligeva questo posto e veniva qui quasi ogni mese estivo e vi restava due-tre giorni, talvolta anche una settimana. I timidi novizi, la quiete, i soffitti bassi, il profumo di cipresso, il cibo semplice, le tende da poco alle finestre: tutto ci la commuoveva, la inteneriva e la predisponeva alla meditazione e ai buoni pensieri. Le bastava rimanere mezz'ora nelle stanze perch cominciasse a sembrarle di essere anch'ella timida e modesta, di profumare anche lei di cipresso; il passato scompariva lontano, perdeva il suo valore, e la principessa cominciava a pensare che, nonostante i suoi ventinove anni, somigliava molto al vecchio archimandrita e che, come lui, ella non fosse nata per la ricchezza, per le grandezze terrene e per l'amore, ma per la vita quieta, ritirata dal mondo, crepuscolare come le stanze del monastero... Capita che nella buia cella dell'anacoreta, immerso in preghiera, improvvisamente penetri per caso un raggio di luce, oppure che un uccellino si posi sulla finestra della cella e intoni la sua canzone; il severo anacoreta involontariamente sorride, e dal suo petto, di sotto alla pena gravosa per i peccati, come di sotto una pietra, improvvisamente sgorga come ruscello una gioia serena, innocente. Alla principessa pareva di portare con s dall'esterno proprio lo stesso conforto del raggio o dell'uccellino. Il suo sorriso affabile, allegro, lo sguardo mite, la voce, gli scherzi, in generale tutta se stessa, piccola, ben fatta, vestita di un semplice abito nero, con la sua comparsa doveva suscitare in quegli uomini semplici, severi, un sentimento di tenerezza e di gioia. Ognuno, guardandola, doveva pensare: "Dio ci ha inviato un angelo...". E sentendo che ognuno involontariamente lo pensava, sorrideva in modo ancor pi affabile e si sforzava di somigliare a un uccellino. Dopo aver bevuto il t ed essersi riposata, usc a passeggiare. Il

sole era gi tramontato. Dalle aiuole del monastero spirava verso la principessa l'umidit fragrante della reseda appena innaffiata, dalla chiesa giungeva il canto sommesso delle voci maschili che da lontano sembrava molto piacevole e triste. C'era la funzione serale. Alle finestre buie, alle quali tremolavano dolcemente le fiammelle dei lumicini, nelle ombre, nella figura del vecchio monaco seduto sul sagrato accanto all'immagine sacra con la cassetta per l'elemosina, era dipinta una tale imperturbabile quiete che alla principessa, chiss perch, venne voglia di piangere... E fuori del portone, nel viale tra il muro e le betulle ove c'erano le panchine, era gi del tutto sera. L'aria si oscurava in fretta in fretta... La principessa pass nel viale, si sedette su una panchina e si mise a pensare. Pensava che sarebbe stato bello stabilirsi per tutta la vita in questo monastero, dove la vita era tranquilla e imperturbabile come una serata estiva; che sarebbe stato bello dimenticare del tutto l'ingrato e dissoluto principe, il proprio enorme patrimonio, i creditori che la infastidivano ogni giorno, le sue disgrazie, la cameriera Da4(6)sa, che quel mattino aveva sul viso un'espressione impertinente. Sarebbe stato bello restare seduta tutta la vita qui sulla panchina e guardare attraverso i tronchi delle betulle, in basso ai piedi della montagna, la nebbia serale vagare in fiocchi; vedere volare i gracchi lontano, lontano sopra il bosco, come una nuvola nera simile a un velo, verso il proprio asilo; vedere due novizi, uno su un cavallo pezzato, l'altro a piedi, spingere i cavalli al pascolo notturno e, allegri per la libert, ruzzare come bambini piccoli; le loro giovani voci risuonano sonore nell'aria immobile e si pu afferrare ogni parola. Sarebbe stato bello star seduti e tendere l'orecchio al silenzio: ora il vento soffia e sfiora le cime delle betulle, ora una ranocchia comincia a frusciare tra il fogliame dell'anno passato, ora dietro il muro l'orologio del campanile batte il quarto... Star seduta immobile, ascoltare e pensare, pensare, pensare... Pass una vecchia con una bisaccia. La principessa pens che sarebbe stato bello fermare quella vecchia e dirle qualcosa di affettuoso, di cordiale, aiutarla... Ma la vecchia non guard indietro nemmeno una volta e svolt dietro l'angolo. Dopo poco sul viale comparve un uomo alto, con la barba grigia e il cappello di paglia. Raggiunta la principessa, si lev il cappello e fece un inchino, e dalla sua ampia calvizie e dal naso adunco la principessa riconobbe in lui il dottor Michail Ivanovi4(6)c, che cinque anni addietro prestava servizio da lei a Dubovki. Ella si ricord che qualcuno le aveva detto che l'anno prima questo dottore aveva perduto la moglie, e prov il desiderio di partecipare al suo dolore, di confortarlo. "Dottore, certo non mi riconoscete?" chiese, sorridendo cordialmente. "No, principessa, vi ho riconosciuta" disse il dottore, togliendosi di nuovo il cappello. "Grazie, altrimenti avrei pensato che anche voi aveste dimenticato la vostra principessa. La gente ricorda solo i propri nemici, ma dimentica gli amici. Siete anche voi venuto a pregare?" "Pernotto qui ogni sabato per dovere. Curo gli abitanti del luogo." "Ebbene, come state?" chiese la principessa sospirando. "Ho sentito che mancata la vostra consorte! Che disgrazia!" "S, principessa, per me una grande disgrazia." "Che fare? Dobbiamo sopportare le disgrazie con rassegnazione. Senza il volere della provvidenza, dalla testa dell'uomo non cade nemmeno un capello." "S, principessa."

Al sorriso cordiale, affabile della principessa e ai suoi sospiri il dottore rispondeva in modo freddo e asciutto: "S, principessa", e persino l'espressione del viso era fredda e asciutta. "Che altro potrei dirgli?" pens la principessa. "Quanto tempo che non ci vediamo, per!" disse. "Cinque anni! In questo tempo quanta acqua passata sotto i ponti, quanti cambiamenti sono avvenuti, fa paura solo a pensarci! Sapete, mi sono sposata... da contessa sono divenuta principessa. E ho gi fatto a tempo a separarmi da mio marito." "S, l'ho sentito." "Quante prove mi ha inviato Dio! Probabilmente anche voi avrete sentito che sono quasi rovinata. Per i debiti del mio disgraziato marito si sono dovuti vendere Dubovki, Ki4(6)rjakovo, e So4(6)fino. Mi sono rimasti solo Baranovo e Micha4(6)lcevo. E' terribile guardarsi indietro: quanti cambiamenti, quante disgrazie di ogni tipo, quanti errori!" "S, principessa, molti errori." La principessa rimase leggermente turbata. Conosceva i suoi errori; erano tutti talmente intimi che lei sola poteva pensare e parlare di essi. Non si trattenne e chiese: "A quali errori state pensando?". "Li avete menzionati voi, quindi sapete a quali..." rispose il dottore e fece un sorrisetto. "A che pro parlarne?" "No, dite, dottore. Ve ne sar molto grata! E, vi prego, non fate complimenti con me. Mi piace molto ascoltare la verit." "Io non sono il vostro giudice, principessa." "Non siete il mio giudice? Dal tono con cui parlate, sapete qualcosa. Dite!" "Se lo desiderate, volentieri. Solo, purtroppo, non sono capace di parlare e non mi si pu comprendere." Il dottore riflett e cominci: "Gli errori sono molti, ma in sostanza il principale, secondo me, lo spirito generale con cui... che regnava in tutte le vostre propriet. Vedete, non so esprimermi. Ovvero, la cosa principale l'antipatia, l'avversione per la gente che si avvertiva proprio in tutto. Sulla base di questa avversione era costruito tutto il vostro sistema di vita. Avversione per la voce umana, per i visi, per le nuche, per i passi... insomma, per tutto ci di cui composto l'uomo. A tutte le porte e sulle scale stanno dei giganti in livrea, sazi, maleducati e pigri, per impedire alle persone vestite in modo non appropriato di entrare in casa; in anticamera ci sono sedie con alti schienali cos che durante i balli e i ricevimenti i servitori non imbrattino la tappezzeria delle pareti con le nuche; in tutte le stanze ci sono tappeti fruscianti affinch non si sentano passi umani; ogni persona che entra immancabilmente avvertita di parlare pi piano e meno e di non dire ci che potrebbe influire negativamente sull'immaginazione e sui nervi. E nel vostro studio non si porge la mano alle persone e non le si invitano ad accomodarsi, proprio come adesso voi non mi avete porto la mano e non mi avete invitato ad accomodarmi...". "Si accomodi se vuole!" disse la principessa tendendo la mano e sorridendo. "Veramente, arrabbiarsi per una simile inezia..." "Mi sto forse arrabbiando?" si mise a ridere il dottore, ma subito si infuri, si lev il cappello e, agitandolo, prese a dire infervorandosi: "A dirla francamente, da tanto che attendo l'occasione di dirvi tutto, tutto... Ovvero, voglio dire che voi guardate tutte le persone alla Napoleone, come carne da cannone. Ma Napoleone almeno aveva un'idea, mentre voi, oltre l'avversione, non avete niente altro!". "Io avrei avversione per le persone?" sorrise la principessa, alzando le spalle per lo stupore. "Io?" "S, voi! Avete bisogno di prove? Prego! A Micha4(6)lcevo vivono di

elemosina tre vostri ex cuochi che sono diventati ciechi nelle vostre cucine per il calore del forno. Tutto ci che c' di sano, di forte e di bello nelle vostre decine di migliaia di desjatine, tutto trasformato da voi e dai vostri parassiti in staffieri, in servitori, in cocchieri. Tutti questi esseri a due gambe sono stati educati per divenire servitori, si sono abbuffati, sono divenuti rozzi, hanno cessato di essere a immagine e somiglianza di Dio, insomma... I giovani medici, gli agronomi, gli insegnanti, le persone colte in genere, Dio mio, sono strappati alle loro occupazioni, al lavoro onesto e sono costretti per un pezzo di pane a prender parte in svariate commedie di marionette delle quali ogni persona perbene prova vergogna! Un giovane non ha ancora prestato servizio tre anni che gi diventato un ipocrita, un leccapiedi, uno spione... E' bene questo? I vostri sovrintendenti polacchi, questi infami spioni, tutti questi Kazimir e Kaetan, frugano da mattino a notte nelle vostre decine di migliaia di desjatine e, per farvi piacere, cercano di strappare tre pelli da un bue. Scusatemi, mi esprimo senza ordine, ma non ha importanza! Nei vostri possedimenti il semplice popolo non ritenuto composto di persone. E persino quei principi, i conti e i metropoliti che venivano a farvi visita, voi li avete considerati come semplici decorazioni e non come persone vive. Ma la cosa principale... ci che pi di tutto mi indigna il possedere un patrimonio di pi di un milione e per gli altri non fare niente, niente!" La principessa stava seduta stupefatta, spaventata, offesa, senza sapere cosa dire e come comportarsi. Nessuno prima le aveva mai parlato con questo tono. La voce sgradevole, irritata del dottore e la sua parlata goffa, tartagliante, producevano nelle sue orecchie e nella sua testa un rumore stridulo, pulsante, poi cominci addirittura a sembrarle che il dottore, gesticolando, la colpisse sulla testa con il cappello. "Non vero!" profer sommessamente e con voce supplice. "Ho fatto molte cose buone per la gente, voi stesso lo sapete!" "Finitela!" grid il dottore. "E' possibile che continuiate a ritenere le vostre opere di beneficenza come qualcosa di serio e di utile e non una commedia di marionette? Perch era dall'inizio alla fine una commedia di marionette, un giocare all'amore per il prossimo, gioco talmente evidente che l'avevano capito anche i bambini e le donne stupide! Prendete anche solo quel vostro... come chiamarlo?... ospizio per le vecchie senza parenti, del quale mi avete costretto a essere qualcosa come un primario, mentre voi stessa eravate la tutrice onoraria. Oh, Signore Dio nostro, che bella istituzione! Si costru una casa con il pavimento di legno e la banderuola sul tetto, nei villaggi si raccolsero decine di vecchie e le si costrinse a dormire sotto delle coperte di flanella, con lenzuola di tela d'Olanda, e a mangiare caramelle." Il dottore sbott in una risata cattiva nel cappello e continu velocemente, tartagliando: "Era un gioco! Il personale subalterno dell'ospizio metteva le coperte e le lenzuola sotto chiave per non farle insudiciare dalle vecchie: che dormano sul pavimento, le streghe! Le vecchie non osavano n sedersi sul letto, n indossare la camicia, n passare sul liscio pavimento di legno. Tutto si conservava per la parata e tutto veniva nascosto alle vecchie come a dei ladri, mentre le vecchie erano nutrite e vestite di nascosto grazie alle elemosine, e giorno e notte pregavano Dio di poter andarsene via al pi presto da quella prigione e dalle prediche edificanti dei furfanti satolli da voi incaricati della loro sorveglianza. E il personale superiore che cosa faceva? E' semplicemente meraviglioso! Dunque, circa due volte la settimana, di sera, giungevano al galoppo trentacinque (?) corrieri e annunciavano

che l'indomani la principessa, ovvero voi, sarebbe giunta all'ospizio. Questo voleva dire che l'indomani si doveva lasciare i malati, ci si doveva vestire e andare alla parata. Va bene, vengo. Le vecchie con indosso abiti puliti e nuovi sono gi state messe in fila e aspettano. Vicino a loro cammina il topo di guarnigione in ritiro, il guardiano, con il suo sorrisetto dolciastro da delatore. Le vecchie sbadigliano e si scambiano delle occhiate, ma hanno paura a lamentarsi. Aspettiamo. Giunge al galoppo il viceintendente. Dopo mezz'ora arriva l'intendente anziano, poi il direttore capo dell'ufficio economato, poi ancora qualcun altro e ancora qualcun altro... giungono al galoppo ininterrottamente! Hanno tutti espressioni misteriose, solenni. Aspettiamo, aspettiamo, ci appoggiamo ora su un piede, ora sull'altro, guardiamo l'orologio: tutto in un silenzio di tomba, perch ci odiamo tutti, l'un l'altro, anche in piedi. Passa un'ora, un'altra, ed ecco, finalmente, in lontananza comparire una carrozza e... e...". Il dottore scoppi in una risata acuta e pronunci con voce sottile: "Voi scendete dalla carrozza, e le vecchie streghe al comando del topo di guarnigione iniziano a cantare: "Quanto glorioso il nostro Signore a Sion, la lingua non pu spiegarlo...". Non male, vero?". Il dottore sghignazz con voce da basso e fece un gesto con la mano come desiderando mostrare che, per il ridere, non riusciva a parlare. Rideva in modo pesante, aspro, con i denti molto stretti, come ridono le persone cattive, e dalla sua voce, dal viso e dagli occhi luccicanti, un poco insolenti, si poteva comprendere che disprezzava profondamente sia la principessa, sia l'ospizio, sia le vecchie. In tutto ci che aveva raccontato con tale incapacit e brutalit, non c'era niente di ridicolo e di allegro, ma egli rideva con gusto e persino con gioia. "E la scuola?" prosegu, respirando a fatica per il ridere. "Vi ricordate come vi venne la voglia di insegnare voi stessa ai figli dei contadini? Dovevate insegnare molto bene, visto che ben presto tutti i ragazzini si diedero alla fuga, tanto che poi tocc fustigarli e dar loro dei soldi perch venissero da voi. E vi ricordate come vi venne voglia di nutrire di vostra mano con il poppatoio i lattanti, le cui madri lavoravano nei campi? Giravate per il villaggio e piangevate perch non c'erano bambini a vostra disposizione: tutte le madri li avevano portati con loro nei campi. Poi lo starosta ordin alle madri di lasciare a turno i bambini per il vostro divertimento. Che cosa stupefacente! Dalle vostre buone azioni scappavano tutti come topi dal gatto! E perch? Molto semplice! Non perch il nostro popolo sia ignorante e irriconoscente, come voi spiegate sempre, ma perch in tutti i vostri capricci, scusate l'espressione, non c'era un filo di amore e di carit! C'era il solo desiderio di divertirsi con delle bambole vive e niente altro... Chi non capace di distinguere le persone dai barboncini non deve occuparsi di beneficenza. Vi assicuro che tra le persone e i barboncini c' una grande differenza!" Alla principessa il cuore batteva all'impazzata; sentiva pulsare nelle orecchie e ancora le pareva che il dottore la pestasse sulla testa con il cappello. Il dottore parlava in fretta, con calore e in modo sgradevole, balbettando e gesticolando eccessivamente; lei capiva soltanto che una persona rozza, maleducata, cattiva, ingrata stava parlando con lei, ma che cosa volesse da lei e di che parlasse, non lo capiva. "Andatevene!" disse con voce piagnucolante, sollevando le braccia per difendere la testa dal cappello del dottore. "Andatevene!" "E in che modo trattate il vostro personale!" continuava a infuriarsi il dottore. "Non li ritenete delle persone e li

maltrattate come se fossero i peggiori furfanti. Per esempio, permettetemi di chiedere il motivo del mio licenziamento. Sono stato dieci anni al servizio di vostro padre, poi al vostro, con onest, senza conoscere festivit o vacanza, mi sono guadagnato l'amore di tutti in un'area di cento verste, e improvvisamente un bel giorno mi annunciano che non sono pi al vostro servizio! Per che motivo? Non l'ho ancora capito adesso! Io, dottore in medicina, nobile, studente dell'universit di Mosca, padre di famiglia, sono una tale nullit che mi si pu mettere alla porta senza spiegarmene le ragioni! Perch far complimenti con me? In seguito venni a sapere che mia moglie, a mia insaputa, era venuta da voi di nascosto, tre volte circa, a intercedere e che voi non l'avete ricevuta nemmeno una volta. Dicono che abbia pianto nell'entrata. E io questo non glielo perdoner mai, a mia moglie! Mai!" Il dottore tacque e strinse i denti, pensando intensamente che cosa si potesse dire ancora di spiacevole, di vendicativo. Gli venne in mente qualcosa, e il viso accigliato, freddo, si fece all'improvviso raggiante. "Prendiamo anche solo i vostri rapporti con questo monastero!" disse freneticamente. "Non avete mai risparmiato nessuno, e tanto pi il posto sacro, tanto maggiori sono le possibilit che esso abbia dei fastidi per la vostra piet e la vostra mitezza angelica. Per che motivo venite qui? Cosa vi occorre da questi monaci, permettete che ve lo chieda? Che cosa Ecuba per voi e che cosa siete voi per Ecuba? Di nuovo un divertimento, un gioco, un oltraggio alla personalit umana e nient'altro. Infatti, nel Dio dei monaci voi non credete, nel cuore avete il vostro proprio Dio al quale siete pervenuta con la vostra intelligenza durante le sedute spiritiche; alle cerimonie religiose guardate con condiscendenza, non andate n a messa, n ai vespri, dormite sino a mezzogiorno... per che motivo, quindi, venite qui? Vi recate in un monastero altrui con il vostro Dio e credete che il monastero lo ritenga un altissimo onore per s! E come no! Tra l'altro, chiedete un poco quanto costano le vostre visite ai monaci. Voi vi siete degnata di arrivare questa sera, ma gi ieri l'altro giunto qui un messaggero inviato dall'economato ad avvisare che avevate intenzione di venire qui. Ieri hanno trascorso l'intera giornata a prepararvi le stanze e ad aspettarvi. Oggi giunta l'avanguardia, una cameriera insolente, che passa in continuazione di corsa in cortile, fruscia, infastidisce con le sue domande, impartisce ordini... non lo posso sopportare! Oggi i monaci sono stati tutto il giorno all'erta: perch, se non vi si accoglie con mille convenevoli, una disgrazia! Ve ne lamentereste con il vescovo! "Vostra Eccellenza, i monaci non mi vogliono bene. Non so come ho potuto irritarli. E' vero, sono una grande peccatrice, ma sono tanto infelice." Gi in un monastero si sono avute alcune lavate di capo per colpa vostra. L'archimandrita una persona occupata, un erudito, non ha neppure un minuto libero, ma voi lo chiamate di continuo in camera vostra. Non avete alcun rispetto n per la sua vecchiaia n per la sua dignit. D'accordo se voi faceste delle grandi offerte, non sarebbe cos offensivo, ma in tutto questo tempo i monaci non hanno ricevuto da voi nemmeno cento rubli!" Quando la principessa era turbata, non era capita, o era offesa, e quando non sapeva cosa dire e cosa fare, di solito si metteva a piangere. Anche ora, alla fine, nascose il volto e si mise a piangere con un vocino sottile, puerile. Il dottore all'improvviso tacque e la guard. Il suo viso si fece scuro e severo. "Perdonatemi, principessa" disse con voce grave. "Ho ceduto a un sentimento cattivo e mi sono lasciato trascinare. Non sta bene." E, tossendo confuso, dimenticando di mettersi il cappello, si allontan di gran fretta dalla principessa.

In cielo le stelle brillavano gi. Probabilmente da quella parte del monastero stava spuntando la luna, perch il cielo era chiaro, trasparente e dolce. Lungo il muro bianco del monastero volavano i pipistrelli. L'orologio batt lentamente i tre quarti di non so che ora, probabilmente erano passate le otto. La principessa si alz e si diresse lentamente al portone. Si sentiva offesa e piangeva, e le pareva che sia gli alberi, sia le stelle, sia i pipistrelli provassero compassione per lei; e che l'orologio avesse battuto melodiosamente solo per partecipare al suo dolore. Piangeva e pensava che sarebbe stato bello ritirarsi in monastero per tutta la vita: nelle tranquille serate estive avrebbe passeggiato in solitudine lungo i viali, offesa, ingiuriata, incompresa dalla gente, e soltanto Dio e il cielo stellato avrebbero visto le sue lacrime da martire. In chiesa si svolgeva ancora la funzione serale. La principessa si ferm e prest ascolto al canto; come risuonava bene questo canto nell'aria immobile, buia! Come era dolce piangere e soffrire al suono di questo canto! Giunta in camera sua, guard allo specchio il suo volto solcato dalle lacrime e si incipri, poi prese a cenare. I monaci sapevano che le piacevano lo sterletto marinato, i funghetti, il malaga e i semplici biscotti di panpepato al miele che lasciano in bocca un profumo di cipresso, e ogni volta che veniva le servivano tutto ci. Mentre mangiava i funghetti e beveva insieme del malaga, la principessa immaginava che l'avrebbero definitivamente rovinata e abbandonata, che tutti i suoi sovrintendenti, i fattori, gli impiegati e le cameriere, per i quali aveva fatto cos tanto, l'avrebbero tradita e avrebbero iniziato a dirle volgarit, che tutte le persone, quante ce ne sono sulla terra, l'avrebbero assalita, ingiuriata, derisa; ella avrebbe rinunciato al suo titolo di principessa, al lusso e alla societ, si sarebbe ritirata in monastero e non avrebbe avuto una parola di rimprovero per nessuno; avrebbe pregato per i suoi nemici, e quando tutti l'avrebbero capita, sarebbero giunti da lei a chiederle perdono, ma sarebbe stato troppo tardi... E dopo cena si mise in ginocchio nell'angolo davanti all'immagine e lesse due capitoli del Vangelo. Poi la cameriera le prepar il letto ed ella si coric. Allungandosi sotto il copriletto bianco, sospir soavemente e profondamente, come si sospira dopo aver pianto, chiuse gli occhi e si addorment... La mattina si svegli e gett un'occhiata al suo orologino: erano le nove e mezzo. Sul tappeto accanto al letto si allungava una fascia stretta e viva di luce per il raggio che entrava dalla finestra e illuminava appena appena la stanza. Dietro la tenda nera, sulla finestra, ronzavano le mosche. "E' presto!" pens la principessa e chiuse gli occhi. Mentre si allungava e poltriva a letto ricord l'incontro del giorno prima con il dottore e tutti quei pensieri con i quali si era addormentata; si ricord di essere infelice. Poi le tornarono in mente il marito che viveva a Pietroburgo, i sovrintendenti, i dottori, i vicini, i funzionari di sua conoscenza... Una lunga fila di volti maschili conosciuti passarono nella sua immaginazione. Sorrise e pens che, se questi uomini fossero stati capaci di penetrare nella sua anima e di capirla, sarebbero stati tutti ai suoi piedi... Alle undici e un quarto chiam la cameriera. "Vestimi, Da4(6)sa" disse languidamente. "Del resto, va' prima a dire che attacchino i cavalli. Devo andare da Klavdija Nikolaevna." Uscendo dalle sue stanze per salire in carrozza, socchiuse gli occhi per la viva luce del giorno e rise dal piacere: il giorno era

meravigliosamente bello! Nel guardare con gli occhi socchiusi i monaci che si erano raccolti presso il terrazzino d'ingresso per prendere da lei congedo, ella salut affabilmente con il capo e disse: "Arrivederci, amici miei! A dopodomani". La stup piacevolmente che, assieme ai monaci, presso il terrazzino si trovasse anche il dottore. Il volto di questi era pallido e severo. "Principessa," disse, togliendosi il cappello e sorridendo in modo colpevole " da molto che vi sto aspettando qui. Per carit, perdonatemi... Ieri mi sono lasciato trascinare da un cattivo sentimento di vendetta e vi ho detto... delle sciocchezze. Insomma, vi domando perdono." La principessa sorrise affabilmente e protese la mano verso le labbra di lui. Egli la baci e arross. Tentando di somigliare a un uccellino, la principessa svolazz dentro la carrozza e prese a salutare con la testa in tutte le direzioni. Si sentiva allegra, serena e mite, ed ella stessa avvertiva che il suo sorriso era insolitamente dolce e indulgente. Quando la carrozza si mosse veloce verso il portone e poi prese a correre lungo la strada polverosa vicino alle isbe e ai giardini, vicino ai lunghi convogli dei contadini ucraini e dei pellegrini che si recavano in fila al monastero, ella seguitava a tenere gli occhi socchiusi e a sorridere con indulgenza. Pensava che non ci fosse piacere maggiore del portare ovunque con s il calore, la luce e la gioia; che perdonare le offese e sorridere affabilmente ai nemici fossero la gioia pi grande. I contadini che incontrava la salutavano, la carrozza frusciava delicatamente, da sotto le ruote si sollevavano nubi di polvere trasportate dal vento sulla segale dorata, e alla principessa pareva che il suo corpo stesse oscillando non sui cuscini della carrozza, ma sulle nuvole e che ella stessa somigliasse a una nuvola leggera, trasparente... "Come sono felice!" mormorava, chiudendo gli occhi. "Come sono felice!" Le belle "Le belle" fu composto in pochi giorni, tra l'11 e il 15 settembre 1888. Fu pubblicato la prima volta il 21 settembre sul "Tempo Nuovo" ("Novoe Vremja") di A'S' Suvorin, al quale 4(6)cechov aveva inviato il racconto nella speranza di estinguere con il ricavato una parte del proprio ingente debito. Dopo una rielaborazione, fu incluso nella raccolta "Strada facendo" pubblicata a Mosca nel 1894 e, dopo correzioni di entit irrisoria, nell'edizione di A'F' Marks. Ricevette numerosi riconoscimenti dalla critica contemporanea. I Ricordo che, quando ero ancora studente della V o VI classe di ginnasio, mi recai con il nonno dal villaggio Bo4(6)l4(6)saja Krepkaja, nella regione del Don, a Rostov-sul-Don. Era un giorno di agosto, torrido, penosamente noioso. Per il caldo e il vento asciutto, cocente che ci aveva spinto addosso nuvole di polvere, gli occhi si chiudevano, la bocca si seccava; non si aveva voglia n di guardare, n di parlare, n di pensare, e quando il vetturino insonnolito, l'ucraino Karpo, alzata la frusta sul cavallo, mi scudisciava sul berretto, io non protestavo, non emettevo alcun suono e, destandomi dal dormiveglia, triste e mansueto, guardavo solo lontano: non si vedeva forse attraverso la polvere un villaggio? Per dar da mangiare ai cavalli ci fermammo nel grande villaggio armeno Bach4(6)ci-Saly presso un ricco armeno, un conoscente del nonno. In vita mia non avevo mai visto niente di pi caricaturale di questo

armeno. Immaginatevi una testa piccola, rapata, le sopracciglia folte, molto spioventi sugli occhi, il naso da uccello, i lunghi baffi grigi e la bocca larga dalla quale sporge un cannello di pipa di ciliegio; questa testolina malamente attaccata a un tronco scarno e gobbo, vestito di un abito fantastico: la giacca corta e rossa e ampi calzoni azzurro chiaro; questo tipo camminava divaricando le gambe e trascinando i piedi, parlava senza togliersi di bocca il cannello della pipa, e si comportava con la fierezza puramente armena: non sorrideva, sgranava gli occhi e cercava di rivolgere la minor attenzione possibile ai suoi ospiti. Nelle stanze dell'armeno non c'era n vento, n polvere, ma si aveva la stessa sensazione di fastidio, di afa e di noia che si aveva nella steppa e in viaggio. Ricordo che, coperto di polvere e spossato dalla calura, stavo seduto in un angolo su un baule verde. Le pareti non pitturate di legno, i mobili e i pavimenti tinti di ocra emanavano un profumo di legna secca bruciata dal sole. Ovunque si guardasse, dappertutto mosche, mosche, mosche... Il nonno e l'armeno parlavano sottovoce di pascoli, di maggese, di pecore... Sapevo che il samovar sarebbe rimasto acceso un'ora intera, che il nonno avrebbe bevuto il t per non meno di un'ora e che poi si sarebbe coricato a dormire per due, tre ore, che un quarto della giornata sarebbe per me passato in attesa, dopo la quale ci sarebbero state di nuovo la calura, la polvere, le strade accidentate. Ascoltavo il borbottio delle due voci e cominciava a sembrarmi che l'armeno, l'armadio delle stoviglie, le mosche, le finestre dalle quali picchiava il sole ardente io li vedessi da tanto, tanto tempo e che avrei smesso di vederli in un futuro molto lontano, e si impadroniva di me l'odio per la steppa, per il sole, per le mosche... Una donna ucraina con un fazzoletto sul capo port un vassoio con i piatti, poi il samovar. L'armeno senza fretta usc nell'antiporta e grid: "Ma4(6)sja! Vieni a servire il t! Dove sei? Ma4(6)sja!". Si udirono dei passi frettolosi e nella stanza entr una ragazza sui sedici anni, con indosso un semplice vestito di indiana e un fazzoletto bianco. Mentre lavava le stoviglie e serviva il t, mi volgeva la schiena, e io notai solo che aveva la vita sottile, che era scalza e che i piccoli talloni nudi erano nascosti dai pantaloni molto lunghi. Il padrone di casa mi invit a bere il t. Mentre mi sedevo a tavola, diedi un'occhiata al volto della ragazza che mi porgeva il bicchiere, e d'un tratto sentii come un soffio di vento correre nella mia anima e spazzar via tutte le impressioni della giornata con la loro noia e la loro polvere. Vidi i lineamenti incantevoli del volto pi splendido che mi fosse mai capitato di vedere a occhi aperti e che mi fosse mai apparso nel sonno. Davanti a me c'era una bella donna, e lo capii al primo sguardo cos come capisco il lampo. Sono pronto a giurare che Ma4(6)sa o, come la chiamava suo padre, Ma4(6)sja, fosse una donna veramente bella, ma non sono capace di dimostrarlo. Accade a volte che le nuvole si affollino disordinatamente all'orizzonte e che il sole, nascostosi dietro di esse, tinga le nuvole e il cielo di tutti i colori possibili: porpora, arancione, oro, lilla, rosa antico; una nuvoletta somiglia a un monaco, un'altra a un pesce, una terza a un turco con il turbante. Il tramonto ha invaso un terzo del cielo, risplende sulla croce della chiesa e sui vetri della casa padronale, si riflette nel fiume e nelle pozzanghere, tremola sugli alberi; lontano, lontano sullo sfondo del tramonto vola per andare chiss dove a dormire uno stormo di anatre selvatiche... E il pastorello che spinge le mucche e l'agrimensore che passa in calesse lungo l'argine, e i signori che passeggiano: tutti guardano il tramonto e tutti quanti lo trovano terribilmente bello, ma nessuno sa e pu dire in che cosa consiste

questa bellezza. Non ero il solo a ritenere che l'armena fosse bella. Mio nonno, un vecchio di ottant'anni, persona severa, indifferente alle donne e alle bellezze della natura, guard Ma4(6)sa per un minuto intero e chiese: "E' vostra figlia, Avet Nazary4(6)c?". "S. E' mia figlia..." rispose il padrone di casa. "E' una bella signorina" la lod il nonno. Un pittore definirebbe la bellezza dell'armena classica e severa. Era proprio quella bellezza, la contemplazione della quale infonde in voi (Dio solo ne conosce l'origine) la certezza che state osservando dei lineamenti regolari, che i capelli, gli occhi, il naso, la bocca, il collo, il petto e tutti i movimenti del giovane corpo sono confluiti in un unico accordo armonioso, nel quale la natura non ha sbagliato nemmeno una piccolissima linea; chiss perch vi sembra che la donna dalla bellezza ideale debba avere proprio il naso come quello di Ma4(6)sa, dritto e con una piccola gobba, gli stessi grandi occhi scuri, le stesse ciglia lunghe, lo stesso sguardo languido; chiss perch pensate che i suoi ricci capelli neri e le sopracciglia si adattano al bianco colore delicato della fronte e delle guance tanto quanto il verde giunco a un placido fiumiciattolo; il collo bianco di Ma4(6)sa e il suo giovane petto sono appena sviluppati, ma per essere capaci di modellarli vi pare che si debba possedere un enorme talento creativo. Voi guardate e a poco a poco vi sorge il desiderio di dire a Ma4(6)sa qualcosa di insolitamente piacevole, di sincero, di bello, altrettanto bello quanto lei. Dapprima mi rincrebbe e provai vergogna che Ma4(6)sa non mi rivolgesse la minima attenzione e che guardasse sempre in basso; mi sembrava che un'aura particolare, felice e orgogliosa, la separasse da me e la riparasse gelosamente dai miei sguardi. "E' perch" pensavo "sono tutto impolverato, abbronzato, e perch sono ancora un ragazzo." Ma poi mi dimenticai a poco a poco di me stesso e mi abbandonai alla sensazione di bellezza. Non mi ricordai pi la noia della steppa, la polvere, non sentivo il ronzio delle mosche, non avvertivo il sapore del t e notavo soltanto che dall'altra parte del tavolo c'era una donna bella. Percepivo la bellezza in modo strano. Ma4(6)sa destava in me non desiderio, non estasi e non piacere, ma una tristezza greve, bench dilettevole. Questa tristezza era indefinita, confusa come un sonno. Chiss perch, provavo compassione per me stesso, per mio nonno, per l'armeno, e per l'armena stessa, e provavo un sentimento tale come se noi quattro avessimo perso qualcosa di importante e necessario per la vita, che ormai non avremmo mai pi ritrovato. Anche mio nonno si era intristito. Non parlava pi del maggese e delle pecore, ma taceva e guardava Ma4(6)sa pensoso. Dopo il t, il nonno and a dormire e io uscii di casa e mi sedetti sul terrazzino d'ingresso. La casa, come tutte le case di Bach4(6)ci-Saly, stava a solato; non c'erano n alberi, n tettoie, n ombra. Il grande cortile dell'armeno, coperto di atrepice e di ibisco, nonostante la forte calura era animato e pieno di allegria. Dietro una delle basse siepi che qua e l attraversavano il grande cortile stavano trebbiando. Attorno al palo conficcato proprio nel mezzo dell'aia, attaccati in fila e formando un unico raggio, correvano dodici cavalli. Accanto ad essi camminava un ucraino dal lungo panciotto e dai pantaloni larghi, faceva schioccare la frusta e gridava con un tono come se volesse stuzzicare i cavalli e vantarsi del proprio potere su di essi: "A-a-a, dannati! A-a-a... non c' colera che vi prenda! Avete paura?". I cavalli, bai, bianchi e pezzati, senza capire perch li facessero girare sul posto e facessero loro schiacciare la paglia di frumento, (1) correvano malvolentieri, come a stento, e dimenavano offesi le code.

Sotto i loro zoccoli il vento sollevava intere nuvole di pula dorata e la portava via lontano attraverso la siepe. Attorno alle alte biche fresche formicolavano le donne con i rastrelli e si muovevano gli arb, (2) e dietro le biche in un altro cortile attorno a un palo un'altra dozzina di cavalli identici correva e un identico ucraino faceva schioccare la frusta e stuzzicava i cavalli. I gradini sui quali ero seduto erano roventi; sugli scorrimano malfermi e sui telai delle finestre qua e l per il caldo fuoriusciva della ragia; sotto i gradini e sotto le imposte, nelle strisce d'ombra, si stringevano l'uno all'altro dei moscerini rossi. Il sole mi scottava la testa, il petto, la schiena, ma io non ci badavo e sentivo solo lo scalpiccio dei piedi nudi sul pavimento di tavole dietro di me nell'antiporta e nelle stanze. Dopo aver sparecchiato la tavola, Ma-4(2)sja pass di corsa sugli scalini, emanando un profumo di vento e, come un uccello, vol verso la piccola costruzione affumicata, probabilmente una cucina, dalla quale veniva un odore di carne di montone arrostita e dove si udiva un arrabbiato parlottio armeno. Ella scomparve nella porta buia e al suo posto sulla soglia comparve una vecchia armena curva, dal volto rosso e i pantaloni verdi. La vecchia era arrabbiata e ingiuriava qualcuno. Presto sulla soglia comparve Ma4(2)sja, rossa per il caldo della cucina e con un grande pane nero sulla spalla; flettendosi con grazia sotto il peso del pane, corse attraverso il cortile verso l'aia, sgusci dalla siepe e, tuffatasi nella nuvola di pula dorata, scomparve dietro gli arb. L'ucraino che spronava i cavalli abbass la frusta, tacque e per un minuto guard in silenzio dalla parte degli arb, poi, quando la piccola armena balen di nuovo vicino ai cavalli e scavalc la siepe, egli l'accompagn con lo sguardo e url ai cavalli con un tono come se fosse molto amareggiato: "Ah, che siate maledetti, forza impura!". Io, poi, per tutto il tempo sentivo incessantemente i passi dei suoi piedi scalzi e la vedevo che, con espressione seria e preoccupata, correva per il cortile. Avvolgendomi di vento, passava di corsa ora sugli scalini, ora in cucina, ora nell'aia, ora fuori del portone, e io facevo appena a tempo a voltare la testa per seguirla. E tanto pi spesso ella mi balenava davanti agli occhi con la sua bellezza, tanto pi intensa si faceva la mia tristezza. Provavo compassione di me, di lei, dell'ucraino che l'accompagnava triste con lo sguardo ogni volta che ella correva verso gli arb attraverso la nuvola di pula. Forse era invidia per la sua bellezza, oppure mi spiaceva che questa ragazzina non fosse mia e non lo sarebbe mai stata e che io fossi per lei un estraneo, oppure sentivo confusamente che questa rara bellezza era casuale, non necessaria e, come tutto al mondo, non duratura, oppure la mia tristezza era forse quel sentimento particolare che si desta nell'individuo quando egli osserva la bellezza autentica, Dio solo lo sa! Le tre ore di attesa passarono senza che me ne accorgessi. Mi sembrava di non aver fatto a tempo a guardare Ma4(2)sa a saziet che gi Karpo era andato al fiume, aveva fatto fare il bagno al cavallo e stava gi attaccandolo. Il cavallo bagnato sbuffava dal piacere e batteva gli zoccoli sulle stanghe. Karpo gli urlava: "Indietro!". Il nonno si svegli. Ma4(2)sa ci apr il portone cigolante, noi montammo sul carro e uscimmo dal cortile. Viaggiavamo in silenzio, come fossimo arrabbiati l'uno con l'altro. Quando, due o tre ore dopo, Rostov e Nachi4(2)cevan comparvero in lontananza, Karpo, che era stato zitto tutto il tempo, guard velocemente indietro e disse: "Che bella figliola ha l'armeno!" e frust i cavalli.

NOTE: (1) Le piante di frumento, dopo l'estrazione delle cariossidi, venivano schiacciate e utilizzate per la costruzione dei tetti delle case. (2) Termine di origine turca che nel Caucaso, in Crimea e nelle regioni meridionali dell'Ucraina indica un tipo di carro lungo a quattro ruote. II Un'altra volta, quando gi ero studente universitario, stavo recandomi a sud in treno. Era maggio. A una stazione, mi pare tra Belgorod e Cha4(2)rkov, uscii dalla carrozza a far due passi sulla banchina. L'ombra della sera era gi scesa sul giardinetto della stazione, sulla banchina e sui campi; la stazione nascondeva il tramonto, ma dalle volute di fumo pi alte tinte di un tenero colore rosa che uscivano dalla locomotiva si vedeva che il sole non si era ancora del tutto nascosto. Mentre passeggiavo lungo il marciapiedi notai che la maggior parte dei passeggeri camminava o stava ferma solo vicino a una carrozza di seconda classe, e con una tale espressione come se in quella carrozza fosse seduto chiss quale personaggio illustre. Fra i curiosi che incontrai vicino a quella carrozza si trovava anche il mio compagno di viaggio, un ufficiale di artiglieria, una persona intelligente, cordiale e simpatica, come tutti coloro con cui facciamo conoscenza in viaggio per caso e per poco tempo. "Che cosa state guardando qui?" chiesi. Egli non rispose e mi indic solo con gli occhi una figura femminile. Era una ragazza ancora giovane, di diciassette-diciotto anni, con indosso un abito russo, a capo scoperto e con una mantellina gettata con negligenza su una spalla, non una passeggera ma, probabilmente, la figlia o la sorella del capostazione. Stava in piedi davanti al finestrino della carrozza e discorreva con un'anziana passeggera. D'un tratto, prima che potessi rendermi conto di ci che vedevo, fui colto da quel sentimento che avevo provato tempo fa nel villaggio armeno. La ragazza era di una bellezza straordinaria e di ci non dubitavamo n io n coloro che la stavano guardando assieme a me. Se si dovesse descrivere, come si soliti fare, il suo aspetto nelle singole parti, di realmente magnifico aveva solo i capelli biondi, ondulati, folti, sciolti e legati attorno alla testa da un nastrino nero; tutto il resto era o irregolare o molto comune. Per un modo particolare di civettare o per la miopia strizzava gli occhi, il naso era leggermente all'ins, la bocca piccola, il profilo delineato in modo incerto e debole, le spalle strette per la sua et; nonostante ci, la ragazza dava l'impressione di essere un'autentica bellezza e, guardandola, potei convincermi che un volto russo per parere molto bello non ha bisogno della severa regolarit dei tratti, anzi, se al posto del naso all'ins alla ragazza avessero messo un naso regolare e impeccabile dal punto di vista plastico come quello della giovane armena, il suo volto avrebbe probabilmente perso tutto il suo fascino. Mentre stava in piedi presso il finestrino e chiacchierava, stringendosi in s per l'umidit serale, la ragazza ora ci lanciava un'occhiata, ora appoggiava le mani ai fianchi, ora portava le mani alla testa per sistemarsi i capelli, parlava, rideva, il volto esprimeva ora stupore, ora sgomento, e non ricordo un attimo in cui il suo corpo e il suo viso siano stati tranquilli. Tutto il segreto e la magia della sua bellezza consistevano proprio in questi movimenti

minuti, infinitamente graziosi, nel sorriso, nel gioco del volto, nelle occhiate veloci a noi rivolte, nella combinazione della fine grazia di questi movimenti; nella giovinezza, nella freschezza, nella purezza d'animo che risuonavano nel riso e nella voce, e nella fragilit, quella che tanto amiamo nei bambini, negli uccelli, nei giovani cervi, nei giovani alberi. Era quella bellezza da farfalla alla quale tanto si addicono i valzer, lo svolazzare in giardino, il riso, l'allegria, e che non si combina con i pensieri seri, con la tristezza e con la quiete; e sembra che basti solo che un forte vento passi di corsa sulla banchina oppure che si metta a piovere perch l'esile corpo subito appassisca e la capricciosa bellezza si sfogli come polline. "Gi..." mormor con un sospiro l'ufficiale quando, dopo il secondo squillo, ci dirigemmo verso la nostra carrozza. E cosa significasse questo "gi", non mi prendo la briga di spiegarlo. Forse era triste e non aveva voglia di allontanarsi dalla bella ragazza e dal vento primaverile per entrare nell'afosa carrozza, oppure, forse, provava come me un'inconsapevole compassione per la bella ragazza, per se stesso, per me, per tutti i passeggeri che con indolenza e malvolentieri camminavano lentamente verso le proprie carrozze. Passando vicino a una finestra della stazione, dietro la quale stava seduto al suo apparecchio un telegrafista pallido, dai capelli rossi, i ricci gonfi, il viso sbiadito e gli zigomi larghi, l'ufficiale sospir e disse: "Scommetto che questo telegrafista innamorato di quella bella ragazza. Vivere in mezzo ai campi e sotto lo stesso tetto con questa creatura eterea e non innamorarsi superiore alle forze umane. E, amico mio, che disgrazia, che beffa essere curvo, arruffato, grigiastro, onesto e abbastanza intelligente, e innamorarsi di questa ragazza carina e sciocchina, che non ti rivolge alcuna attenzione! Oppure ancor peggio: immaginatevi che questo telegrafista sia innamorato e nello stesso tempo sposato, e che sua moglie sia altrettanto curva, arruffata e onesta come lui... Che tortura!". Vicino alla nostra carrozza, appoggiati i gomiti allo steccato della banchina, stava un conduttore e guardava dalla parte della bella ragazza, e il suo viso spossato, floscio, spiacevolmente sazio, estenuato dalle notti insonni e dallo sballottamento della carrozza, esprimeva intenerimento e la pi profonda tristezza, come se nella ragazza vedesse la propria giovinezza, la felicit, la sobriet, la purezza, la moglie, i figli; come se si pentisse e sentisse con tutto il suo essere che quella ragazza non era sua e che lui, con la sua vecchiaia precoce, la goffaggine e il volto grasso era tanto lontano dalla comune felicit umana, dei passeggeri, quanto lo era dal cielo. Risuon il terzo squillo, echeggiarono i fischi e il treno si mise pigramente in marcia. Nei nostri finestrini balenarono dapprima il conduttore, il capostazione, poi il giardino, la bella ragazza con il suo sorriso meraviglioso, infantilmente malizioso... Sportomi fuori e guardando indietro vidi che ella, accompagnato il treno con gli occhi, pass sulla banchina vicino alla finestra dove era seduto il telegrafista, si sistem i capelli e corse in giardino. La stazione non celava pi l'occidente, la campagna era aperta, ma il sole era gi tramontato e il fumo in nere volute si stendeva lungo il vellutato e verde campo seminato. La tristezza si avvertiva sia nell'aria primaverile, sia nel cielo che si oscurava, sia nella carrozza. Il noto conduttore entr nella carrozza e prese ad accendere le candele. La scommessa "La scommessa" fu iniziato da 4(2)cechov il 22 dicembre 1888,

subito dopo la fine de "Il calzolaio e la forza impura", e terminato il 28 dicembre 1888. Il racconto fu scritto appositamente per A'S' Suvorin, il quale si era offeso perch lo scrittore aveva dato il precedente racconto a un altro giornale. Quindi, sar pubblicato su "Tempo nuovo" ("Novoe Vremja") il 1o gennaio 1889 con il titolo "Fiaba". Apportate alcune modifiche al primo e al secondo capitolo, 4(2)cechov lo incluse nella raccolta edita da A'F' Marks con il titolo "La scommessa". I Era una buia notte d'autunno. Il vecchio banchiere camminava da un angolo all'altro del suo studio e ricordava la serata che aveva dato quindici anni addietro in autunno. A quella serata c'erano molte persone intelligenti e si erano svolte conversazioni interessanti. Fra l'altro si era parlato della pena capitale. Gli ospiti, fra cui non pochi scienziati e giornalisti, erano per la maggior parte contrari alla pena capitale. Ritenevano che questa forma di punizione fosse antiquata, inadeguata agli stati cristiani e immorale. Secondo alcuni di essi, la pena capitale sarebbe dovuta essere sostituita ovunque con la reclusione a vita. "Non sono d'accordo con voi" disse il padrone di casa, il banchiere. "Io non ho provato n la pena capitale n la reclusione a vita, ma se possibile giudicare a priori, secondo me la pena capitale pi morale e pi umana della reclusione. La pena capitale uccide subito, mentre la reclusione a vita uccide lentamente. Quale aguzzino pi umano? Quello che vi uccide in pochi minuti, oppure quello che vi sottrae la vita nel corso di molti anni?" "Sia l'uno che l'altro sono ugualmente immorali" not uno degli ospiti "perch hanno lo stesso scopo: togliere la vita. Lo stato non Dio. Esso non possiede il diritto di sottrarre ci che non potrebbe restituire se lo volesse." Tra gli ospiti si trovava un avvocato, un giovane sui venticinque anni. Quando chiesero la sua opinione, egli disse: "Sia la pena capitale che la reclusione a vita sono ugualmente immorali, ma se mi proponessero di scegliere fra la pena capitale e la reclusione a vita, sceglierei ovviamente la seconda. Meglio vivere in qualche modo, che in nessuno". Nacque una discussione animata. Il banchiere, che allora era pi giovane e pi nervoso, perse improvvisamente il controllo di s, picchi il pugno sul tavolo e grid, rivolgendosi al giovane avvocato: "Non vero! Scommetto due milioni che voi in prigione non resistereste neanche cinque anni!". "Se parlate seriamente," gli rispose l'avvocato "scommetto che ci rester non cinque, ma quindici anni!" "Quindici? D'accordo!" url il banchiere. "Signori, io scommetto due milioni!" "D'accordo! Voi scommettete due milioni e io la mia libert!" concord l'avvocato. E questa assurda, insensata scommessa ebbe luogo. Il banchiere, che allora non conosceva il totale dei suoi averi, viziato e superficiale, era entusiasta della scommessa. Durante la cena prendeva in giro l'avvocato e diceva: "Ravvedetevi, giovanotto, prima che sia troppo tardi. Per me due milioni rappresentano un'inezia, ma voi rischiate di perdere tre-quattro degli anni migliori della vostra vita. Dico tre-quattro anni perch non resisterete pi a lungo. Non dimenticate, inoltre, o misero, che la reclusione volontaria molto pi dura di quella forzata. Il pensiero che in qualsiasi momento avete il diritto di uscire in libert, avvelener tutta la vostra esistenza in prigione. Mi fate pena!". E ora il banchiere, camminando avanti e indietro, ricordava tutto ci e si domandava: "A che serviva questa scommessa? Che giovamento

viene dal fatto che l'avvocato perda quindici anni della sua vita o che io getti due milioni? Pu questo dimostrare alla gente che la pena capitale peggiore o migliore della reclusione a vita? No e poi no. E un'assurdit e un nonsenso. Da parte mia stato il capriccio di un uomo sazio, e da parte dell'avvocato semplice brama di soldi...". Egli poi ricord che cosa accadde dopo la serata descritta. Fu deciso che l'avvocato avrebbe trascorso la sua reclusione sotto severissima sorveglianza in una delle dipendenze costruite nel giardino del banchiere. Avevano convenuto che nel corso dei quindici anni sarebbe stato privato del diritto di varcare la soglia della dipendenza, di vedere persone vive, di ascoltare voci umane e di ricevere lettere e giornali. Gli era concesso avere uno strumento musicale, leggere libri, scrivere lettere, bere vino e fumare tabacco. Con il mondo esterno, secondo gli accordi, non poteva comunicare se non in silenzio, attraverso la piccola finestra costruita appositamente. Tutto ci di cui aveva bisogno, libri, note, vino e altro, poteva riceverlo dietro richiesta scritta nella quantit desiderata, ma solo attraverso la finestra. L'accordo contemplava tutti i particolari e le minuzie atti a rendere la reclusione severamente solitaria e obbligava l'avvocato a restare in reclusione esattamente quindici anni, dalle ore 12 del 14 novembre 1870 sino alle ore 12 del 14 novembre 1885. Il minimo tentativo da parte dell'avvocato di violare le condizioni, anche solo due minuti prima del termine, avrebbe svincolato il banchiere dall'obbligo di pagargli i due milioni. Il primo anno di reclusione l'avvocato, per quanto si potesse giudicare dai suoi brevi biglietti, soffr fortemente di solitudine e di noia. Dalla sua dipendenza giorno e notte si sentiva suonare in continuazione il pianoforte. Rifiutava il vino e il tabacco. Il vino, scriveva, eccitava i desideri, e i desideri sono i primi nemici del carcerato; inoltre, non c' niente di pi noioso che bere del buon vino e non vedere nessuno. E il tabacco avrebbe guastato l'aria della sua stanza. Il primo anno inviavano all'avvocato libri prevalentemente di contenuto leggero: romanzi dal complicato intreccio amoroso, racconti polizieschi e fantastici, commedie e cos via. Il secondo anno la musica nella dipendenza cess e nei biglietti l'avvocato richiedeva solo i classici. Il quinto anno si sent nuovamente la musica e il carcerato chiese del vino. Coloro che lo sorvegliavano attraverso la finestra dicevano che in tutto quell'anno egli non aveva fatto altro che mangiare, bere e star coricato sul letto, sbadigliare spesso, parlare arrabbiato con se stesso. I libri non li leggeva. Talvolta di notte si sedeva a scrivere, scriveva a lungo e verso mattino faceva a pezzetti tutto ci che aveva scritto. Pi d'una volta lo sentirono piangere. Nella seconda met del sesto anno il carcerato si diede allo studio assiduo delle lingue, della filosofia e della storia. Si dedic avidamente a queste scienze, tanto che il banchiere faceva a malapena a tempo a ordinargli i libri. In quattro anni furono ordinati su sua richiesta circa seicento volumi. Nel periodo di questa passione il banchiere, tra l'altro, ricevette dal suo carcerato questa lettera: Mio caro carceriere, vi scrivo queste righe in sei lingue. Mostratele alle persone competenti. Che le leggano. Se non vi troveranno nemmeno un errore, ve ne supplico, ordinate di sparare in giardino un colpo di fucile. Questo sparo mi dir che i miei sforzi non sono stati vani. I geni di tutti i tempi e di tutti i paesi parlano in lingue diverse, ma in tutti loro brucia la stessa fiamma. Oh, se voi sapeste che gioia celestiale prova ora il mio cuore perch sono capace di comprenderli!

Il desiderio del carcerato fu esaudito. Il banchiere ordin di sparare in giardino due volte. In seguito, dopo il decimo anno, l'avvocato sedeva immobile al tavolo e leggeva soltanto il Vangelo. Al banchiere pareva strano che una persona che in quattro anni aveva letto seicento libri complicati avesse perso quasi un anno a leggere un solo libro comprensibile e non voluminoso. In sostituzione del Vangelo fecero seguito la storia delle religioni e la teologia. Negli ultimi due anni di reclusione il carcerato lesse una quantit straordinaria di libri, senza alcuna preferenza. Ora si occupava di scienze naturali, ora chiedeva Byron oppure Shakespeare. Capitava di ricevere da lui biglietti in cui chiedeva di inviargli allo stesso tempo opere di chimica, un manuale di medicina, un romanzo, e qualche trattato di filosofia o di teologia. La sua lettura somigliava all'atteggiamento di qualcuno che nuoti in mare tra i rottami di una barca e, desiderando salvarsi la vita, si aggrappa bramosamente ora a un rottame ora a un altro. II Il vecchio banchiere ricordava tutto ci e pensava: "Domani alle ore dodici riacquister la libert. Secondo gli accordi dovr pagargli due milioni. Se li pagher, tutto sar perduto: sar definitivamente rovinato...". Quindici anni addietro egli non sapeva l'ammontare dei suoi averi, ora invece temeva di chiedersi che cosa avesse di pi: denaro oppure debiti? Il gioco azzardato in borsa, le speculazioni arrischiate e l'impetuosit, alla quale non riusciva a rinunciare nemmeno in vecchiaia, poco per volta avevano portato i suoi affari alla rovina, e il riccone impassibile, presuntuoso, orgoglioso si era trasformato in un banchiere di mezzo calibro che palpitava per ogni rialzo o ribasso dei titoli. "Maledetta scommessa!" borbottava il vecchio, prendendosi disperato la testa fra le mani. "Perch non morto? Ha solo quaranta anni. Mi prender gli ultimi soldi, si sposer, si godr la vita, giocher in borsa, mentre io, come un mendicante, star a guardare con invidia e ogni giorno ascolter da lui la stessa frase: "Vi devo la felicit della mia vita, permettetemi di aiutarvi!". No, questo troppo! L'unica salvezza dalla bancarotta e dalla vergogna la morte di questo uomo." Scoccarono le tre. Il banchiere stette in ascolto: in casa dormivano tutti e in giardino si sentiva soltanto il fruscio degli alberi infreddoliti. Cercando di non fare rumore, prese dalla cassaforte la chiave della porta che in quindici anni non era mai stata aperta, indoss il cappotto e usc di casa. In giardino era buio e faceva freddo. Pioveva. Un vento penetrante e umido correva ululando in tutto il giardino e non dava tregua agli alberi. Il banchiere aguzz la vista, ma non riusc a vedere n la terra, n le statue bianche, n la dipendenza, n gli alberi. Avvicinandosi alla dipendenza, chiam due volte la guardia. Non segu alcuna risposta. Evidentemente la guardia aveva trovato riparo dal maltempo e ora stava dormendo chiss dove, in cucina o nella serra. "Se avr il coraggio di attuare il mio piano," pens il vecchio "il sospetto cadr prima di tutto sulla guardia." Nelle tenebre tast i gradini e la porta ed entr nell'anticamera della dipendenza, poi a tastoni entr nel piccolo corridoio e accese un fiammifero. Qui non c'era anima viva. C'era un letto senza biancheria e in un angolo ombreggiava una stufa di ghisa. I sigilli sulla porta che introduceva alla stanza del carcerato erano intatti. Quando il fiammifero si spense, il vecchio, tremando per l'agitazione, gett uno sguardo nella piccola finestra.

Nella stanza del carcerato una candela mandava una luce fioca. L'uomo era seduto al tavolo. Se ne vedevano solo la schiena, i capelli e le mani. Sul tavolo, su due poltrone e sul tappeto vicino al tavolo giacevano dei libri aperti. Trascorsero cinque minuti e il carcerato non si mosse nemmeno una volta. La quindicennale reclusione gli aveva insegnato a star seduto immobile. Il banchiere buss con il dito alla finestra, e il carcerato non rispose a questo bussare nemmeno con un movimento. Allora il banchiere con cautela stacc i sigilli dalla porta e introdusse la chiave nel buco della serratura. La serratura arrugginita emise un suono rauco e la porta scricchiol. Il banchiere si aspettava di udire subito un grido di stupore e dei passi, ma trascorsero tre minuti e dietro la porta tutto era tranquillo come prima. Si decise a entrare nella stanza. Al tavolo, immobile, era seduto un uomo che non somigliava alle persone comuni. Era uno scheletro rivestito di pelle, con lunghi riccioli da donna e la barba arruffata. Il colore del suo viso era giallo, con una sfumatura terrea, le guance infossate, la schiena lunga e stretta, e la mano, che sosteneva la testa capelluta, era talmente sottile e magra che faceva impressione guardarla. Nei capelli brillava gi, come argento, la canizie e, osservando il volto emaciato da vecchio, nessuno avrebbe creduto che egli avesse solo quarant'anni. Stava dormendo... Sul tavolo davanti alla sua testa china stava un foglio di carta sul quale era scritto qualcosa con una scrittura minuta. "Pover'uomo!" pens il banchiere. "Dorme e probabilmente sogna i milioni! Mi basterebbe solo prendere questo semicadavere, buttarlo sul letto, soffocarlo appena con il guanciale e la perizia pi scrupolosa non troverebbe alcun segno di morte violenta. Comunque, leggiamo prima che cosa ha scritto qui." Il banchiere prese il foglio dal tavolo e lesse ci che segue: Domani alle ore dodici sar messo in libert e mi sar dato il diritto di comunicare con le persone. Ma, prima di lasciare questa stanza e di vedere il sole, ritengo necessario dirvi alcune parole. Per avere la coscienza pulita, e davanti a Dio che mi vede, vi comunico che io disprezzo sia la libert, sia la vita, sia la salute, sia tutte le cose che nei vostri libri sono definite i beni del mondo. Per quindici anni ho studiato attentamente la vita terrestre. E' vero, non vedevo n la terra n gli uomini, ma nei vostri libri bevevo vino aromatico, cantavo canzoni, cacciavo i cervi e i cinghiali selvatici nei boschi, amavo le donne... Le belle donne, eteree come nuvole, create dalla magia dei vostri geniali poeti, mi facevano visita di notte e mi mormoravano fiabe meravigliose che inebriavano la mia testa. Nei vostri libri mi arrampicavo sulle cime dell'E4(2)lborus (1) e del Monte Bianco e da l la mattina vedevo sorgere il sole e la sera lo vedevo inondare il cielo, l'oceano e le cime montuose di oro purpureo; da l vedevo i lampi balenare sopra di me fendendo le nubi; vedevo i verdi boschi, i campi, i fiumi, i laghi, le citt, sentivo il canto delle sirene e il suono delle siringhe dei pastori, sentivo le ali di magnifici diavoli che volavano da me a discorrere di Dio... Nei vostri libri mi gettavo in abissi senza fondo, operavo miracoli, uccidevo, incendiavo le citt, predicavo nuove religioni, conquistavo regni interi... I vostri libri mi diedero la saggezza. Tutto ci che nel corso dei secoli l'inappagabile pensiero umano ha creato, serrato nel mio cervello in una piccola palla. Io so di essere pi intelligente di voi tutti. E io disprezzo i vostri libri, disprezzo tutti i beni del mondo e la saggezza. Tutto inconsistente, effimero, diafano e illusorio

come un miraggio. Siate pure orgogliosi, saggi e stupendi, ma la morte vi spazzer dalla faccia della terra allo stesso modo dei topi del sottosuolo, e la vostra progenie, la storia, l'immortalit dei vostri geni geleranno o bruceranno assieme al globo terrestre. Voi avete perso la ragione e non seguite la giusta via. Scambiate la menzogna per verit e la deformit per bellezza. Vi stupireste se, in seguito a qualche particolare circostanza, sui meli e sugli aranci all'improvviso crescessero rane e lucertole invece dei frutti, oppure se le rose emanassero odore di cavalli sudati; cos io mi stupisco di voi che avete barattato il cielo con la terra. Io non voglio capirvi. Per dimostrarvi con i fatti il disprezzo verso ci di cui vivete, rinuncio ai due milioni che un tempo sognavo come si sogna il paradiso e che ora disprezzo. Per privarmi del diritto a essi, uscir di qui cinque ore prima del termine concordato e in tal modo violer l'accordo... Letto questo, il banchiere depose il foglio sul tavolo, baci sulla testa lo strano individuo, si mise a piangere e usc dalla dipendenza. In nessun altro momento, nemmeno dopo forti perdite in borsa, mai aveva provato un tale disprezzo per se stesso come ora. Giunto a casa, si coric sul letto, ma la commozione e le lacrime a lungo non gli permisero di prender sonno... Il giorno successivo, di mattina, i guardiani, pallidi, corsero a informarlo di aver visto l'uomo che viveva nella dipendenza passare attraverso la finestra e uscire in giardino, avviarsi verso il portone e poi sparire chiss dove. Assieme alla servit il banchiere si rec immediatamente alla dipendenza e si accert della fuga del suo carcerato. Per non suscitare voci inutili, prese dal tavolo il foglio della rinuncia e, tornato in camera sua, lo chiuse nella cassaforte. NOTE: (1) Si intende il massiccio vulcanico dell'Elbrus (o Elbruz), la pi alta cima del Caucaso. Il calzolaio e la forza impura "Il calzolaio e la forza impura" fu composto tra il 20 e il 22 dicembre 1888 su ordinazione della redazione de "Il giornale di Pietroburgo" e qui pubblicato in seconda pagina il 25 dicembre. Per l'edizione di A'F' Marks, 4(1)cechov apport numerose modifiche, trasferendo la scena in inferno ed eliminando molte espressioni popolari della parlata del protagonista. Era la vigilia di Natale. Ma4(1)rja gi da tempo stava russando sulla stufa, nella lampada tutto il petrolio si era consumato, ma Fedor Nilov era ancora seduto a lavorare. Da tempo avrebbe lasciato il lavoro e sarebbe uscito, ma il cliente del vicolo Koloko4(1)lnyj che due settimane fa gli aveva ordinato i tomai, era venuto il giorno innanzi, si era infuriato e aveva ordinato di terminare il lavoro assolutamente adesso, prima della messa mattutina. "Che vita da galera!" borbottava Fedor mentre lavorava. "Alcuni dormono da un bel pezzo, altri fanno baldoria, e tu guarda, come un Caino qualsiasi, stai qui a cucire sa il diavolo per chi..." Per non addormentarsi senza volerlo, ogni tanto traeva da sotto il tavolo una bottiglia da cui beveva a canna e dopo ogni sorso scuoteva il capo dicendo ad alta voce: "Perch poi, ditemi un po', i clienti fanno baldoria mentre io sono obbligato a cucire per loro? Per il fatto che loro hanno i soldi mentre io sono un poveraccio?". Odiava tutti i clienti, soprattutto quello che abitava nel vicolo

Koloko4(1)lnyj. Era questi un signore dall'aspetto tetro, con i capelli lunghi, il viso giallo, con grandi occhiali azzurri e la voce roca. Aveva un cognome tedesco che non si riusciva a pronunciare. Che titolo avesse e di cosa si occupasse era impossibile capirlo. Quando, due settimane fa, Fedor si era recato a casa sua per prendergli le misure, egli, il cliente, era seduto sul pavimento e pestava qualcosa in un piccolo mortaio. Fedor non fece a tempo a salutare che il contenuto del mortaietto improvvisamente scoppi e prese fuoco con una fiamma vivida, rossa, si sent un puzzo di zolfo e di piume bruciate, e la stanza si riemp di un denso fumo rosa, tanto che Fedor starnut cinque volte; e mentre, dopo ci, tornava a casa pensava: "Chi teme Dio non si occuper di cose del genere". Quando nella bottiglia non rimase pi nulla, Fedor pos gli stivali sul tavolo e si mise a riflettere. Appoggi la testa pesante al pugno e cominci a pensare alla sua povert, alla pesante vita priva di speranze, poi ai ricchi, alle loro grandi case, alle loro carrozze, ai loro biglietti da cento rubli... Come sarebbe stato bello se a loro, che il diavolo li porti, a questi ricconi fossero crollate le case, fossero morti i cavalli, le loro pellicce e i cappelli di zibellino avessero perduto il pelo! Come sarebbe stato bello se i ricconi si fossero trasformati poco per volta in accattoni che non hanno niente da mangiare, mentre il povero calzolaio fosse diventato un riccone e si fosse comportato egli stesso con boria davanti a un povero calzolaio alla vigilia di Natale! Mentre sognava cos, Fedor all'improvviso si ricord del suo lavoro e apr gli occhi. "Che storia!" pens esaminando gli stivali. "I tomai sono pronti gi da tempo, e io me ne sto seduto. Bisogna portarli al cliente!" Avvolse il lavoro in un fazzoletto rosso, si vest e usc. Cadeva una neve minuta, dura, che pungeva il viso come tanti aghi. Faceva freddo, si scivolava, era buio, i lampioni a gas mandavano una luce fioca e, chiss perch, in strada c'era odore di petrolio, tanto che Fedor cominci a sentire prurito in gola e a tossire. Sul selciato i ricconi passavano avanti e indietro in carrozza, e ogni riccone teneva in mano un prosciutto e un quarto di vodka. Dalle carrozze e dalle slitte le ricche signorine guardavano Fedor, gli mostravano la lingua e gridavano ridendo: "Accattone! Accattone!". Dietro a Fedor camminavano studenti, ufficiali, mercanti e generali e lo canzonavano: "Ubriacone! Ubriacone! Calzolaio senza fede, anima da gambale! Accattone!". Tutto ci era offensivo, ma Fedor taceva e sputava solo. Quando poi gli capit di incontrare il mastro calzolaio Ku4(1)zma Lebedkin di Varsavia e questi disse: "Ho sposato una donna ricca, sotto di me lavorano gli apprendisti, mentre tu sei un pezzente, non hai niente da mangiare", Fedor non resistette e lo insegu. Lo insegu finch non venne a trovarsi nel vicolo Koloko4(1)lnyj. Il suo cliente abitava nella quarta casa a partire dall'angolo, nell'appartamento all'ultimo piano. Per arrivare da lui si doveva percorrere un lungo cortile buio e poi arrampicarsi su una scala molto alta e scivolosa che traballava sotto i piedi. Quando Fedor entr in casa, il cliente come allora, due settimane prima, stava seduto sul pavimento e pestava qualcosa nel mortaietto. "Vostra signoria, vi ho portato gli stivali!" disse Fedor con aria cupa. Il cliente si alz e si mise a provare gli stivali in silenzio. Desiderando aiutarlo, Fedor si pieg su un ginocchio e gli sfil il vecchio stivale, ma balz subito in piedi e indietreggi verso la porta spaventato. Il cliente non aveva un piede, ma uno zoccolo di cavallo. "Eh!" pens Fedor. "Guarda che storia!"

Per prima cosa ci si sarebbe dovuto segnare, poi si sarebbe dovuto gettare tutto e correre da basso; ma subito cap che gli capitava di incontrare la forza impura per la prima e, probabilmente, per l'ultima volta in vita sua, e sarebbe stato stupido non sfruttarne i servigi. Si fece forza e decise di tentare la fortuna. Tirate le mani indietro per non segnarsi, tossicchi rispettosamente e cominci: "Dicono che non ci sia cosa pi immonda e peggiore al mondo della forza impura, ma io, invece, penso, vostra signoria, che la forza impura sia la pi istruita. Il diavolo, scusatemi, ha gli zoccoli e la coda di dietro, in compenso ha pi senno in testa di qualsiasi studente". "Mi piaci per queste parole" disse lusingato il cliente. "Grazie, calzolaio! Che cosa desideri, dunque?" E il calzolaio, senza perder tempo, prese a lamentarsi della propria sorte. Cominci dal fatto che sin dall'infanzia aveva invidiato i ricchi. Gli era sempre parso offensivo che non tutte le persone vivessero ugualmente in grandi case e andassero su buoni cavalli. Perch, si chiedeva, era povero? In che cosa era peggiore di Ku4(1)zma Lebedkin di Varsavia, che ha una casa propria e la moglie porta il cappello? Egli ha lo stesso naso, le stesse mani, le gambe, la testa, la schiena che hanno i ricconi, allora perch egli deve lavorare quando gli altri fanno baldoria? Perch sposato con Ma4(1)rja e non con una signora profumata? Nelle case dei clienti ricchi gli capitava spesso di vedere delle belle signorine, ma loro non gli rivolgevano la minima attenzione e solo talvolta ridevano e bisbigliavano: "Che naso rosso ha questo calzolaio!". E' vero, Ma4(1)rja una donna brava, buona, lavoratrice, ma non istruita, ha le mani pesanti e picchia sodo, e quando capita di parlare di politica oppure di qualcosa di intelligente in sua presenza, si intromette e dice delle stupidaggini tremende. "Ma che cosa vuoi?" lo interruppe il cliente. "Io chiedo, vostra signoria, Diavolo Ivany4(1)c, se lo potete, di farmi diventare ricco!" "Volentieri. Solo che per questo mi devi dare la tua anima! Prima che il gallo canti, va' e firma su questa carta che mi consegni la tua anima." "Vostra signoria!" disse gentilmente Fedor. "Quando mi ordinaste i tomai, io non vi chiesi dei soldi in anticipo. Prima si deve eseguire l'ordinazione, e poi esigere i soldi." "D'accordo!" acconsent il cliente. Nel mortaietto improvvisamente scoppi una fiamma vivida, si diffuse un denso fumo rosa e si sent un puzzo di piume bruciate e di zolfo. Quando il fumo si dirad, Fedor si stropicci gli occhi e vide che non era pi n Fedor, n il calzolaio, ma un uomo diverso, con il panciotto e con la catenella, con i pantaloni nuovi e stava seduto in poltrona a un grande tavolo. Due servitori gli porgevano le vivande, facevano profondi inchini e dicevano: "Buon appetito, vostra signoria!". Che magnificenza! I servitori servirono un grande pezzo di montone arrosto e una scodella di cetrioli, poi presentarono una padella con un'oca arrosto, dopo poco carne di maiale lessata con il rafano. E come tutto elegante, cerimonioso! Fedor mangiava e prima di ogni portata beveva un grande bicchiere di ottima vodka, proprio come chiss quale generale o conte. Dopo la carne di maiale gli servirono la ka4(1)sa con lardo di oca, poi una frittata con lardo di maiale e il fegato arrosto, ed egli continuava a mangiare e ad esserne entusiasta. Ma che altro c'era? Servirono ancora il pasticcio di cipolla e le rape lesse con il kvas. "E com' che i signori non scoppiano per tutto questo cibo!" pensava. E per finire servirono un grande vaso di miele. Dopo pranzo comparve il diavolo con gli

occhiali azzurri e chiese, facendo un profondo inchino: "Siete soddisfatto del pranzo, Fedor Pantelei4(1)c?". Ma Fedor non poteva pronunciare nemmeno una parola da tanto che scoppiava per il pranzo consumato. Si sentiva sazio e sgradevolmente pesante e, per distrarsi, si mise a esaminare lo stivale del suo piede sinistro. "Per stivali simili non prendevo meno di sette rubli e mezzo. Quale calzolaio li ha cuciti?" chiese. "Ku4(1)zma Lebedkin" rispose il servitore. "Chiamate quello stupido!" Ben presto comparve Ku4(1)zma Lebedkin di Varsavia. Si ferm con una posa ossequiosa sulla porta e chiese: "Che cosa desiderate, vostra signoria?". "Taci!" url Fedor e picchi il piede per terra. "Non osare discutere e ricordati della tua condizione di calzolaio! Che uomo sei! Imbecille! Non sei capace di cucire degli stivali! Ti pesto il muso! Perch sei venuto?" "Per il denaro." "Quale denaro? Vattene! Torna sabato! Ehi tu, buttalo fuori!" Ma si ricord subito che i clienti si beffavano anche di lui, e sent un peso sul cuore, e per distrarsi trasse di tasca un portafoglio gonfio e prese a contare il denaro. Di soldi ce n'erano molti, ma Fedor ne voleva ancora di pi. Il demonio dagli occhiali azzurri gli port un altro portafoglio, pi gonfio, ma ne volle ancora di pi, e pi contava, pi ne era insoddisfatto. La sera lo spirito maligno gli port una signora alta, pettoruta, vestita di rosso, e disse che quella era la sua nuova moglie. Fino a notte fonda continu a baciarla e a mangiare biscotti di panpepato. La notte si coric su un piumino soffice, ma continuava a rigirarsi da un lato all'altro e non riusciva ad addormentarsi. Era terrorizzato. "Ho molto denaro:" diceva alla moglie "i ladri potrebbero entrare in casa da un momento all'altro. Per favore, va' a dare un'occhiata con una candela!" Egli non dorm tutta notte, alzandosi in continuazione per vedere se la cassa era intatta. Verso l'alba si doveva andare alla funzione del mattutino. In chiesa tutti hanno la stessa dignit, ricchi e poveri. Quando Fedor era povero, in chiesa pregava cos: "Signore, perdona me peccatore!". Lo stesso diceva anche ora che era divenuto ricco. Che differenza c'era allora? E dopo la sua morte il ricco Fedor sar sotterrato non nell'oro, non nei diamanti, ma nella stessa nera terra come l'ultimo dei poveracci. Fedor brucer nello stesso fuoco ove sono anche i ciabattini. A Fedor tutto ci sembrava oltraggioso, e per di pi sentiva pesantezza in tutto il corpo per l'abbondante pranzo, e invece delle preghiere gli venivano in mente diversi pensieri sulla cassa dei soldi, sui ladri, sulla sua anima venduta e perduta. Usc di chiesa arrabbiato. Per scacciare i cattivi pensieri egli, come spesso accadeva prima, si mise a cantare a squarciagola. Ma aveva appena iniziato che si avvicin a lui di corsa un poliziotto che disse, facendo il saluto militare: "Signore, ai vostri pari non permesso cantare per strada! Non siete un calzolaio!". Fedor si appoggi con la schiena a uno steccato e si mise a pensare: come distrarsi? "Signore!" gli url un portiere. "Non appoggiarti troppo allo steccato, ti sporchi la pelliccia!" Fedor entr in una bottega e si compr la migliore armonica, poi prese a camminare e a suonare. Tutti i passanti lo indicavano con il dito e ridevano. "Ed pure un signore!" lo deridevano i vetturini. "Proprio come un

calzolaio..." "Ai signori forse permesso far chiasso per strada?" gli disse il poliziotto. "Ci mancherebbe solo che andiate in una bettola!" "Signore, fate la carit, per amor di Dio!" imploravano i mendicanti, circondando Fedor da tutti i lati. "Fate la carit!" Prima, quando era calzolaio, i mendicanti non gli rivolgevano alcuna attenzione, adesso non lo lasciavano passare. A casa lo aspettava la nuova moglie, la signora vestita con una camicetta verde e una gonna rossa. Egli voleva vezzeggiarla e aveva gi alzato la mano per darle una pacca sulla schiena, ma ella reag con rabbia: "Villano! Zoticone! Non sai come ci si comporta con le signore! Se ami, bacia la mano, ma non ti permetto di battermi!". "Ah, vita maledetta!" pens Fedor. "Come vive la gente! Non puoi intonare una canzone, non puoi suonare l'armonica, non puoi scherzare con la tua donna... Puh!" Si era appena seduto a bere il t con la signora che comparve lo spirito maligno dagli occhiali azzurri che disse: "Ebbene, Fedor Pantelei4(1)c, ho fatto la mia parte come si deve. Adesso firmate la carta e seguitemi. Ora sapete cosa significa vivere da ricco, quindi basta!". E trascin Fedor all'inferno, direttamente nel fuoco, e i diavoli accorrevano da tutte le parti e gridavano: "Sciocco! Imbecille! Asino!". All'inferno c'era un puzzo tremendo di petrolio, da soffocare. E all'improvviso tutto scomparve. Fedor apr gli occhi e vide il suo tavolo, gli stivali e la lampada di latta. Il vetro della lampada era nero e dalla fiammella dello stoppino si spandeva un fumo puzzolente come da un fumaiolo. Accanto c'era il cliente dagli occhiali azzurri che urlava arrabbiato: "Sciocco! Imbecille! Asino! Ti do una lezione, truffatore! Hai preso l'ordinazione due settimane fa e gli stivali non sono ancora pronti! Pensi che io abbia il tempo di venire da te per gli stivali cinque volte al giorno? Mascalzone! Animale!". Fedor scroll il capo e riprese a lavorare agli stivali. Il cliente bestemmi e minacci ancora a lungo. Quando finalmente si fu calmato, Fedor chiese con aria cupa: "Voi, signore, che mestiere avete?". "Fabbrico i bengala e i razzi. Sono pirotecnico." Le campane chiamarono al mattutino. Fedor consegn gli stivali, ricevette i soldi e si rec in chiesa. In strada le carrozze e le slitte con i copripiedi di pelliccia d'orso andavano avanti e indietro. Sul marciapiede, assieme al volgo, camminavano i mercanti, i signori, gli ufficiali... Ma Fedor non li invidiava pi e non si lamentava della sua sorte. Ora gli sembrava che fosse ugualmente dura sia per i ricchi che per i poveri. I primi hanno la possibilit di andare in carrozza, gli altri di cantare a tutta voce e di suonare l'armonica, ma nel complesso a tutti tocca lo stesso, la stessa tomba, e nella vita non c' niente per cui valga la pena di dare al diavolo anche solo una piccola parte della propria anima. Fine

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