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LUCIO ANNEO SENECA

Il maggiore filosofo di Roma fu un brillante avvocato spagnolo, che per tutta la vita assaporò i
vantaggi e i pericoli della mondanità e che seppe difendersi con bravura dall'abbraccio mortale con
il potere, fino a uscirne con le ossa rotte -ma da filosofo, con una morte architettata per fare concor -
renza a quella di Socrate. Dalla vita Seneca ebbe tutto, eppure leggendo le sue opere egli appare un
uomo perennemente insoddisfatto, forse perché non si accontentava di nulla, né nulla lo poteva sa-
ziare. È questa, forse, la ragione più vera del fascino che promana dai suoi scritti filosofici, i Dialo-
ghi, le Epistole a Lucilio, senza dimenticare le truci e veementi tragedie.
Il messaggio - profondamente socratico - dell'interiorità, del rientrare in se stessi, così da non
sprecare il meglio dell'esistenza che ci è concessa, appartiene alla coscienza comune
dell'Europa. Quanto al linguaggio, lo stile teso e «barocco» di Seneca pare un respiro di vita nella
lingua ormai «morta» di Roma.

La figura di Seneca è complessa e ambigua per la complessità stessa del contesto in cui vive e delle
scelte che compie. C’è in lui da un lato la profonda ambiguità che la compromissione con il potere e
con gli intrighi di corte doveva inevitabilmente produrre, dall’altro un'aspirazione profonda a una
vita ascetica e contemplativa, nella consapevolezza dell'oscillazione perenne tra vizio e virtù
che caratterizza l'animo umano, pur nella progressiva ricerca di elevazione e perfezionamento
morale.
Le parole rivolte a Lucilio (Epistulae ad Lucilium, 26, 5-6) costituiscono una sorta di testamento
spirituale, una risposta all'amico e ai posteri sui tanti dubbi che le scelte compiute dall'uomo Seneca
possono ingenerare:

Io mi osservo attentamente, come se si avvicinasse la prova e fosse giunto quel giorno che dovrà
giudicare tutta la mia vita, e dico a me stesso: tutto ciò che finora abbiamo fatto o detto non è nulla.
Sono pegni, dell'anima inconsistenti e fallaci, avvolti in artificiosi abbellimenti. Per conoscere i
miei veri progressi mi affiderò alla morte. Perciò mi preparo senza timore a quel giorno in cui, tolti
di mezzo raggiri e finzioni, potrò giudicare se la virtù è da me sentita nell'intimo, o se l'ho solo sulle
labbra, e se tutte quelle parole superbe contro la fortuna sono state solo falsità e commedia. Non
tener conto dei giudizi umani: sono sempre incerti e ambivalenti. Metti da parte gli studi di cui ti sei
occupato per tutta la vita; sarà la morte a pronunciarsi sul tuo conto. Lo ripeto: le dispute, i colloqui
letterari, le belle parole raccolte dagli insegnamenti dei saggi e le conversazioni erudite non
mostrano la vera forza dell'animo: anche i più vili sono audaci a parole. Apparirà ciò che hai fatto
nella vita solo quando esalerai l'ultimo respiro. Accetto la mia condizione e non temo il giudizio.
(trad. G. Monti)

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