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Cfr. S. THOMPSON, Motif-Index of folk-literature, Copenhagen, Rosenkilde-Bagger, 1955-58,
Q 478 1: Adulteress is caused unwittingly to eat her lover’s heart.
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II cuore mangiato. Storia di un tema letterario dal Medioevo all’Ottocento, Milano, Gueri-
ni e Associati, 1996. Merito della Di Maio è di aver scoperto una continuità ininterrotta del tema
dopo il Medioevo e la sua presenza nei generi letterali più disparati, dalla novella macabra cin -
quecentesca al romanzo e alla tragedia nel Settecento, e infine al melodramma, dove anzi cono-
sce il suo approdo più produttivo.
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Tra i primi contributi, caratterizzati in genere da un approccio di tipo comparatistico, oc -
corre ricordare principalmente quelli di G. PARIS, Le Roman du Châtelain de Coucy, in Rom,
VIII, 1879, pp. 343-73; di J.E. MATZKE, The legend of eaten heart, in MLN, XXVI, 1911, pp. 1-8; di
H. HAUVETTE, La 39e nouvelle du “Decameron” et la legende du “coeur mangé”, in Rom., XLI,
1912. pp. 184-205. A partire dagli anni Ottanta, si è registrata intorno al tema una ripresa degli
interessi, culminata nello studio di L. ROSSI, 11 cuore, mistico pasto d’amore: dal Lai Guirun al
Decameron. in «Studi provenzali e francesi 82», 6, L’Aquila, Japadre, 1983, pp. 28-128. Vd. inol-
tre D. BERTRAND - J.J. VINCENSINI, La vengeance est un plat qui se mange cuit, in "Bulletin du
Groupe de Recherches Sémio-Linguistiques», XVI, 1980, pp. 30-40; e *Capitoli per una storia del
cuore. Saggi sulla lirica romanza, a c. di F. Bruni, Palermo, Sellerio, 1988.
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Cfr. THOMAS, Les fragments du “Roman de Tristan”. Poème du XIIe siede, a c. di B.H.
WIND, Genève-Paris 19602, pp. 64 sgg.
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Soltanto due delle quali corrispondono a delle vere e proprie vidas, vale a dire biografie
romanzate (dai dati storici solo in parte attendibili), anteposte, nei mss., e probabilmente anche
nelle performances giullaresche, ai componimenti di un trovatore; si tratta delle versioni indica-
te, dall’antologia di Boutière e Schutz, con le sigle A (contenuta nei mss. FbIK) e B (mss.
ABN2). Le altre due versioni, catalogate rispettivamente come C (mss. HR) e D (ms. P), posso-
no definirsi piuttosto come esempi di quelle forme intermedie tra vidas e razos in cui alla bio-
grafia del trovatore (la vida) è giustapposta la menzione della razo, ovvero dell’occasione e del-
le circostanze all’origine di un determinato componimento, qui la più celebre delle chansos at-
tribuite a Cabestaing, Lo dous cossire. Cfr. J. BOUTIERE - A.H. SCHUTZ, Biographies des
troubadours (textes provençaux des XIII et XIV siècles), Paris, Nizet, 19732, pp. 530-55.
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tenzione sul fatto che la qualifica di poeta del protagonista non ha, nel rac-
conto, un mero valore di caratterizzazione neutra, e in fondo intercambiabile,
ma assume invece una precisa funzione strutturale, dal momento che l’insor-
gere della passione amorosa, nucleo centrale della vicenda, è stretto in un
nesso immediato proprio con il trobar, la comparsa nel protagonista di una
vocazione poetica; nesso particolarmente evidente in alcune versioni della
biografia. Ecco infatti come la razo tradita dal ms. P (corrispondente alla ver-
sione D) commenta il primo innamoramento di Guillem:
6
Ivi, p. 545.
7
Accessibile ai lettori italiani nel testo, con traduzione a fronte, approntato da G. E. SANSO-
2
NE, in la poesia dell’Antica Provenza. Testi e storia dei trovatori, Parma, Guanda 1993 , pp. 456-
61.
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Per cui cfr. la classica edizione di M. DELBOUILLE, Le Roman du Castelain de Couci et de
la dame de Fayel, Paris 1936, e quella, più recente, con traduzione italiana a fronte, curata da
A.M. BABBI: JAKEMES il romanzo del Castellano di Coucy e della dama di Fayel, Parma. Pratiche,
1994. Della stessa studiosa cfr. anche l’edizione della mise en prose di questo testo: Le Roman
du Chastelain de Coucy et de la dame de Fayel, Fasano, Schena, 1994.
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Del resto, una differenza sostanziale tra i due racconti sta nel fatto che il cuore di Guil-
lem de Cabestaing viene estirpato direttamente dal marito, dopo che questi lo ha ucciso, mentre
quello del Castellano, inviato per sua disposizione in uno scrigno alla dama, dopo la sua morte alla
crociata, è “intercettato” successivamente dal geloso. Questo ovviamente attenua non poco la
tragica crudeltà del finale.
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L. ROSSI, II cuore, mistico pasto, cit., pp. 93-111.
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Per una storia della diffusione del motivo del cuore e dello stretto rapporto che viene
stabilito tra amore, cuore e poesia nella lirica romanza delle origini cfr. i saggi raccolti in *Capi-
toli per una storia del cuore, cit., passim. Il cuore assume una vera centralità lirica solo a partire
da ernart de Ventadorn (come segnala C. DI GIROI.AMO, «Cor» e «cors»: itinerari meridionali,
ivi, p. 33). ma la sua presenza si farà poi dilagante, soprattutto nella prima poesia italiana (lo di-
mostra il contributo di F. BRUNI, Le costellazioni del cuore nell’antica lirica italiana, ivi, pp.
79-118).
12
D. ALIGHIERI, Vita Nuova, a c. di D. DE ROBERTIS, Milano-Napoli, Ricciardi, 1980, p. 42.
13
L. ROSSI, II cuore, mistico pasto, cit., p. 112.
14
Trionfi, a c. di F. NERI, in F. PETRARCA, Rime, Trionfi e poesie latine, Milano-Napoli, Ric-
ciardi, 1951, p. 503.
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L’accostamento tra la figura del “poeta cortese” e il tema del “cuore mangiato” ricorre
del resto anche in altre biografìe fuori dai confini romanzi: in Germania, per esempio, nel tardo
Duecento, si ritrova in Das Herzmäre (Racconto del cuore) di Konrad von Wurzburg, e più tardi
nella biografia quattrocentesca del Minnesänger Reinmar von Brennenberg.
16
Cito, come nelle occasioni successive, dall’ed. del Decameron a c. di V. BRANCA, Torino,
Einaudi, 1980, pp. 563-69.
17
Per una chiara sintesi sulla questione, cfr. M. DE RIQUER, Los trovadores. Historia literaria
y textos, Barcelona, Pianeta, 1975, II, p. 1065 n. 9, in cui si discutono, tra l’altro, le ipotesi di
Långfors, Panvini e Favati.
18
È questa l’opinione di H. HAUVETTE (vd. La 39e nouvelle du Decameron, cit.).
9
Cfr. L. ROSSI, II cuore, mistico pasto, cit., p. 122.
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La concezione di una fin’amor adultera, completamente estranea al vincolo coniugale,
costituisce un presupposto indiscutibile, anche se venato di sfumature di volta in volta
diverse, per la maggior parte dei lirici provenzali, in questo concordi, come si è già accennato,
con la posizione di Andrea Capellano. Anzi, Köhler, nel rifiutare l’ipotesi (sostenuta da Roncaglia) che
per il “moralista” Marcabru il vero amore coincida con quello coniugale, arriva tra l’altro ad af-
fermare che, in lui come negli altri trovatori, «l’ipotesi di un marito domneiaire [corteggiatore]
della propria moglie appare solo marginalmente e cade nel ridicolo» (E. KÖHLER, Sociologia del-
la fin’amor. Saggi trobadorici, trad. e intr. di M. Mancini, Padova, Liviana, 1987 2, p. 269).
21
Nella novella, è infatti una pervicace iniziativa di Guardastagno a far sorgere l’amore, e
non una fatale coincidenza, come avveniva nelle versioni provenzali; inoltre, la scoperta della
tresca da parte del marito è causata dall’imprudente condotta di Guardastagno e della donna, e
non più da una delazione esterna, come nelle vidas.
22
In generale, la vendetta di Rossiglione appare in qualche modo giustificata dal tradimen-
to del patto amicale che lega all’inizio i due protagonisti nella novella (in verità anche la versione
D della tradizione provenzale presenta Cabestaing come «compaignon qe tant [Raimon de Rossil
lon] amava»). Boccaccio descrive del resto il turbamento di Rossiglione durante la cena
macabra da lui stesso organizzata e lo stordito pentimento che segue al suicidio della moglie: tutti ele-
menti introdotti ex novo. Allo scopo di attenuazione del giudizio negativo sul personaggio ri-
sponde anche la presentazione iniziale, in cui Rossiglione è definito infatti «prod’uomo»,
mentre le versioni provenzali lo descrivevano come «rics e mais e fers e orgoillos» (versioni AB), oppure
si limitavano ad una neutra menzione del nome e del suo stato nobiliare (versioni CD).
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Cfr., per l’analisi di questa innovazione alla luce delle complesse strategie onomastiche
del Decameron, B. PORCELLI, Il nome nel racconto. Dal Novellino alla Commedia ai novellieri del
Trecento, Milano, Francoangeli, 1997, in partic. pp. 66-67.
24
In Boccaccio und der Beginn der Novelle, pp. 33-43 (tradotto in italiano col titolo II caso
tipico e il caso particolare: dalla “vida” alla novella, ne Il racconto, a c. di M. Picone, Bologna,
Il Mulino, 1985, pp. 299-308).
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25
M. DI MAIO, II cuore mangiato, cit., p. 24.
26
L. ROSSI, Umore, mistico pasto, cit., p. 124.
27
M. PICONE, L’invenzione della novella italiana. Tradizione e innovazione, in La novella
italiana. Atti del Convegno di Caprarola (19-24 settembre 1988), Roma 1989, I, p. 149. Vd. inol
tre R. FEDI, Il “regno” di Filostrato. Natura e struttura della Giornata IV del Decameron, in MLN,
CII, 1987, pp. 39-54.
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Per una trattazione complessiva della poetica boccacciana cfr. F. TATEO, Retorica e poeti
ca fra Medioevo e Rinascimento, Bari, Adriatica, 1970, in partic. pp. 67-229; e R. STEFANELLI, Boc-
caccio e la poesia, Napoli, Loffredo, 1978.
29
M. PICONE, L’invenzione, cit., p. 143.
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S’affaccia in questo modo una prima risposta possibile, sebbene forse fa-
cilior, all’interrogativo iniziale: proprio all’akme di questa trattazione tematica
(la penultima novella, che, stante il privilegio dell’ultimo narratore Dioneo di
scantonare dal tema della Giornata, corrisponde in realtà al termine del per-
corso compiuto dai narratori in ogni Giornata), Boccaccio rievoca il topos del
“cuore mangiato”, utilizzato in un passato abbastanza recente (nella Vita
Nuova) per suggellare un nuovo e più impegnato rilancio del genere lirico.
Anche questa volta, in realtà, al mito cardiofagico spetta il compito di tenere
a battesimo un’impresa letteraria ambiziosa, ma nella continuità apparente
s’insinua un’incrinatura: il cuore non appartiene più, come nella tradizione,
ad un poeta (Cabestaing, Coucy, Dante), e anzi la poesia (ovvero la tradizio
ne lirica del passato) è oramai del tutto estranea all’intreccio narrativo.
L’espunzione (volontaria, dunque) di ogni riferimento alla poesia - quasi ca-
nonico per ogni lettore contemporaneo - dal mito del cuore, vale allora
quanto un’aperta proclamazione dell’autonoma dignità della prosa narrativa,
che si appropria da sola di questo nodo simbolico e iniziatico, con le sue
connotazioni metaletterarie. La narratio brevis in prosa non è più qui sempli-
cemente un commento accessorio, un elemento aggiunto al primo e irripeti-
bile momento dell’esperienza lirica, com’era nella vida e nelle razos di Cabe-
staing (tale era in fondo anche nella Vita Nuova), ma brilla ormai di luce
propria. Si glossa in tal modo, nella concretezza dell’applicazione narrativa
offerta dalla novella, quanto l’Introduzione, ancora vivida nella memoria del
lettore, aveva asserito.
Tuttavia, un’altra osservazione è possibile: non si dovrebbe mai dimenti-
care che l’autore Boccaccio affida in realtà la “pronunzia” delle novelle a dei
personaggi/narratori che, per quanto finora sfuggenti ad ogni tentativo di ca-
ratterizzazione definitiva, possono sempre far valere i propri diritti. Nel caso
di IV 9, la voce che scandisce la narrazione è quella di Filostrato, re della
Giornata, nonché, secondo un’etimologia boccacciana certo approssimativa,
«abbattuto d’amore» per eccellenza.30 Tale interpretatio nominis lascia facil-
mente intendere che la scelta della materia della Giornata non è affatto acci-
dentale, come del resto aveva esplicitamente suggerito lo stesso personaggio
nella Conclusione della Giornata precedente. Infatti, dopo aver ricordato il
suo destino di amante sempre deluso, il re dichiarava:
«E per ciò non d’altra materia domane mi piace che si ragioni se non
di quello che a’ miei fatti è più conforme, cioè di coloro li cui amori ebbero
infelice fine, per ciò che io a lungo andar l’aspetto infelicissimo, né per altro
il nome, per lo quale voi mi chiamate, da tale che seppe ben che si dire
mi fu imposto».
30
Sul valore allusivo e rivelatore dei nomi dei novellatori cfr. L. SASSO. L’“interpretatio no-
minis” in Boccaccio, in SB, XII, 1980, pp. 129-74; in particolare, per la convinzione secondo cui
i nomi dei tre novellieri maschi «svelano il loro carattere allusivo, il riferimento a tre diversi mo-
di di essere nei confronti dell’amore» (ivi, p. 158).
58 LEONARDO TERROSI
Cfr. RENAUT [DE BEAUJEU], Le lai d’Ignaure ou Lai du Prìsonnier, a c. di R. LEJEUNE, Bruxel-
les 1938. Per la presenza del tema in A.G. de Marsan vd. l’ed. di G.E. SANSONE, Testi didattico-
cortesi di Provenza, Bari 1977, pp. 125 e 160-61.
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32
L. ROSSI, II cuore, mistico pasto, cit., pp. 126-28.
33
La novella in questione occupa le pp. 327-29 dell’ed. de La Libraria a e. di V. BRAMANTI,
Milano, Longanesi, 1972. La prima edizione, giolitina, è del 1550.
34
G. PETRAGLIONE, Novelle di Anton Francesco Doni ricavate dalle antiche stampe, Berga-
mo, Istituto italiano d’arti grafiche, 1907. La novella, la XXIa della raccolta, è qui battezzata con
il titolo Terribile vendetta che prese un marito contro ki moglie infedele, pp. 46-48; la nota com-
parativa si trova invece nell’Appendice, a pp. 193-94. Petraglione si era già occupato di alcune
novelle doniane in una serie di interventi pubblicati tra il 1899 e il 1900 sulla «Rassegna puglie-
se di scienze, lettere ed arti» (voll. XV e XVI, passim), interessati soprattutto all’individuazione
delle loro fonti. La nostra novella era analizzata nel n. 7 (luglio 1899) del voi. XVI: nessun ac-
cenno vi compare al precedente boccacciano.
35
Si tratta in alcuni casi di novelle altrui, come una novella attribuita a Luigi Pulci (e già
edita dalla tipografia del Doni nel 1547) e la novella Belfagor di Machiavelli. Cfr. La Libraria,
cit., rispettiv. pp. 354-61 e 374-88.
36
Ivi, p. 329.
60 LEONARDO TF.RKUSI
37
Cfr., in S. THOMPSON, Motif-Index, cit., per il “cuore mangiato”, il già menzionato motivo
Q 478 1; per l’imbalsamazione dell’amante il motivo T 85 4 Loner’s body kept embalmed for
years by grieving mistress, e il T 211 4 Spouse’s corpse kept after death. Questi ultimi due assur
gono nella letteratura popolare ad emblema di fedeltà amorosa oltre la mone; è evidente in Do -
ni una loro riutilizzazione ironica. Del resto, il motivo della punizione consistente nella vista del
cadavere dell’amante è già nel Pecorone (II 1 e VII 1) e soprattutto in Bandello (II 12), dove si
aggiunge, come nel Doni, anche il motivo della segregazione. Ma sembrano affinità assai gene -
riche e reciprocamente indipendenti.
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lontà mia eli continuo la posseggiate. acciò che non sia mai più donna che
si vanti di avere avuto più amorevole marito di voi»;
38
L. Di FRANCIA, Novellistica, Milano, Vallardi, 1924, I, p. 613.
39
A. QUONDAM , La letteratura in tipografia, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa,
Torino, Einaudi, 1983, II (Produzione e consumo), pp. 621-31.
62 LEONARDO TERRUSI
che non può fare a meno di ritornare continuamente sul proprio passato, sui
propri modelli. Di tale concezione la Libraria offre non solo la prassi ma allo
stesso tempo anche la dichiarazione teorica; nella lettera dedicatoria che apre
il Trattato secondo (significativamente indirizzata «A coloro che non
leggono»), infatti, Doni definisce esattamente in questi termini l’esercizio del
la scrittura letteraria, affermando per esempio:
«Che credete voi che sia il fare un libro? [ ... ] Fate conto d’avere un
monte di bronzo, e che uno mastro struggendolo n’abbi formato uomini, ca-
valli, lioni, pecore, asini, cani, erbe, frutti, donne etc. Poi come se n’è servi
to un tempo gli disfa, e riformane degli altri medesimamente, ma sono più
grandi o più piccoli, stanno in altra attitudine, voltono il viso in altra
parte, e quel che era in piedi sta a sedere o quel che giaceva corre»." 10
LEONARDO TERRUSI
40
La Libraria, cit., p. 245.
41
A. QUONDAM, La letteratura in tipografia, cit., p. 631 n. 41.