Sei sulla pagina 1di 8

Boccaccio

Nacque nel 1313 a Firenze, glio illegittimo di ser Boccaccino di Chellino,


ricco uomo d'a ari di Certaldo, che l'avviò giovane alla carriera nanziaria,
portandolo con sé a Napoli (1327), dove si era trasferito in qualità di agente
della banca dei Bardi, nanziatrice del re di Napoli Roberto d'Angiò.

Gli anni di Napoli e i primi scritti

Il trasferimento a Napoli segnò un momento decisivo nella formazione di


Boccaccio. Mentre si dedicava alla pratica di banca, ebbe l'opportunità di
frequentare gli ambienti signorili della città e la stessa corte angioina.

Alcune opere di questo periodo sono “la Caccia di Diana”, poemetto


allegorico-mitologico di 18 canti in terza rima in cui sono vagheggiate e
celebrate le belle donne dell'aristocrazia napoletana.

Boccaccio ci descrive una battuta di caccia, indetta dalla dea Diana, cui
accorrono tutte le più belle nobildonne napoletane. Dopo aver cacciato no
a mezzogiorno, Diana ordina alle donne di fermarsi e di o rire in sacri cio le
proprie prede a Giove, celebrando una scelta di castità. L’autore presenta
tutte le donne, tranne una,una, si pensa essere Fiammetta (Maria d'Aquino,
glia illegittima di re Roberto d'Angiò) l’amata, gura che rimane
fondamentale in tutta l’opera e che guida la compagnia a sacri care la
cacciagione a Venere, dea dell’amore che per sdebitarsi delle o erte
ricevute, decide di trasformare gli animali cacciati in giovani per le donne
(sembra un riversamento del mito di circe, in cui però lei trasforma gli uomini
di Ulisse in maiali).

Poi Boccaccio lavorò al Filostrato, romanzo sentimentale in ottave


sull'amore tradito di Troiolo per Criseida, il termine “ lostrato” signi ca
secondo una etimologia errata, “vinto d’amore” In questo poemetto epico
infatti viene raccontata una triste e travagliata storia d’amore.

Il poema epico Teseida è l’ultimo esempio della produzione del periodo


napoletano di Boccaccio,è formato da 12 canti in ottave e l’obiettivo era
quello di essere il primo italiano a comporre un poema epico in volgare, sulle
orme dell’Eneide virgiliana e della Tebaide di Stazio. infatti il contesto storico
nel quale è ambientato il poemetto è quello delle guerre che Teseo, sovrano
di Atene, mosse contro le Amazzoni e la città di Tebe. il vero nucleo narrativo
si riconferma ancora una volta quello della vicenda amorosa, infatti Arcita e
Palemone sono legati da un profondo sentimento d’amicizia, ma l’amore
comune per Emilia li rende nemici. Il lologo è l’opera più importante della
giovinezza boccaccia, " locolo" signi ca infatti in questo caso "fatica
d’amore". Il romanzo, composto in prosa e in lingua volgare, racconta una
travagliata vicenda d’amore, che vede protagonisti Florio e Bianco ore che
terminerà con un lieto ne.

fi
ff
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
ff
fi
ff
fi
fi
fi
fi
fi
Il ritorno a Firenze e le opere della maturità
Tra il 1340 e il 1341 Boccaccio ritornò a Firenze. Gli anni subito dopo il
rimpatrio risultarono fecondi per lo scrittore che si avviava alla piena
maturità.

La Comedia delle ninfe orentine, formata da testi poetici in un quadro di


prosa, narra l'elevazione all'amore spirituale di un rozzo pastore, Ameto, da
parte di sette ninfe. Un tragitto di avvicinamento all'amore e alla virtù si può
riscontrare anche nell'Amorosa visione, poema allegorico di 50 canti in
terzine, architettato su modelli danteschi e intessuto di reminiscenze
ovidiane.

D'impianto essenzialmente realistico è invece il romanzo Elegia di madonna


Fiammetta, storia di travagli amorosi raccontata in prima persona dalla
protagonista, in cui all'ambientazione nella Napoli dei suoi tempi risponde la
continua evocazione del mondo esemplare della mitologia classica.

Punto d'arrivo della produzione precedente il Decameron è il poema in


ottave Ninfale esolano che, partendo dalla narrazione dei tragici amori del
pastore Africo e della ninfa Mensola, giunge a celebrare le leggendarie origini
di Fiesole e Firenze; in esso alterna abilmente il realismo della letteratura
popolare e il tono alto della poesia lirica.

Nell'epidemia di peste del 1348 gli era morto intanto il padre, oltre a vari
amici e conoscenti. Subito dopo scrisse, la raccolta di novelle Decameron.
Alla ne del decennio gli nacque Violante, illegittima, come gli altri gli,
amorevolmente ricordata nelle epistole e nell'egloga XIV. Gli anni '50 e '60 lo
videro onerato d'incarichi pubblici e missioni diplomatiche e attivissimo nello
studio, nella scrittura e nelle relazioni con amici intellettuali. Di molta
importanza l'incontro e l'amicizia con Petrarca. A questi anni risalgono le
opere umanistiche in latino, destinate ad alimentare considerevolmente la
sua fama in Europa. Ambizioso repertorio dei miti antichi, rivalutati come
veicolo di verità morali e religiose, la Genealogia degli dei gentili (Genealogia
deorum gentilium) culmina nell'appassionata difesa della poesia. Repertorio
di conoscenze geogra che classiche e medievali è il Monti, selve, laghi,
umi, stagni o paludi e nomi del mare (De montibus...). Un programma
moralistico (il tema è quello del favorito dalla fortuna ridotto in miserevole
stato da superbia e stoltezza) informa l'opera Delle sventure degli uomini
illustri (De casibus virorum illustrium), compilazione di pro li biogra ci che
spazia da Adamo a Giovanni il Buono, re di Francia. Complementare,
seppure non del tutto a ne, è lo scritto Delle donne illustri (De mulieribus
claris). Nel 1367 pubblicò le 16 egloghe del Bucolicum carmen, di ispirazione
virgiliana e petrarchesca.

Risale forse agli anni 1354-55 la composizione del Corbaccio, libello in


prosa volgare ispirato da una forte misoginia. Scosso da una lettera del
beato Pietro Petroni che lo ammoniva ad abbandonare la poesia e a
meditare invece sulla morte imminente, fu incoraggiato dallo stesso Petrarca
a perseverare negli amati studi. A questo periodo (1361) risalgono l'Epistola
consolatoria a Pino de' Rossi e forse la Vita di san Pier Damiani (Vita
fi
fi
fi
fi
ffi
fi
fi
fi
fi
sanctissimi patris Petri Damiani heremite). Nel 1365 fu inviato in ambasceria
presso la corte papale ad Avignone. Boccaccio fu grande ammiratore di
Dante (nel 1351 aveva scritto un Trattatello in laude di Dante) e venne perciò
invitato dal Comune di Firenze a dare pubblica lettura della Commedia
dantesca; iniziate nell'ottobre del 1373, le lezioni (Esposizioni sulla
Commedia di Dante) s'interruppero all'inizio del 1374 quando ritornò, malato,
a Certaldo. Qui si spense il 21 dicembre 1375.

Elegia di madonna ammetta


Il prologo alla Elegia di Madonna Fiammetta è un ottimo esempio della
prevalenza della tematica amorosa e della capacità di penetrazione
psicologica che caratterizza tutta l’opera di Boccaccio. L'Elegia si presenta
infatti come un lungo monologo, che vede al centro la narrazione in prima
persona di Fiammetta, immagine femminile ricorrente nella penna di
Boccaccio. La donna rivolge qui un appello esplicito alle donne innamorate
sue lettrici, appello dal quale traspaiono bene le sue nalità: “...mi piace, o
nobili donne, ne’ cuori delle quali amore più che nel mio forse felicemente
dimora, narrando i casi miei, di farvi, s’io posso, pietose”.

Fiammetta non incarna più la donna oggetto d’amore spirituale ereditata


dalla cultura stilnovista, ma è gura attiva e dotata di una forte sensibilità,
che condivide del resto con coloro che l'ascoltano, e che sono le uniche in
grado di capire il suo stato d’animo e la sua triste vicenda.

Qui Boccaccio non indorerà la pillola delle so erenze d’amore adornandola e


confondendola con ambientazioni epiche o favole greche; anzi, l’elegia di
Fiammetta è un’opera fortemente introspettiva, che mette in primo piano
l’animo ferito della donna e l’isteria suicida che deriva dal tradimento
dell'amato: un vero romanzo psicologico, composto da lunghi monologhi
della ‘malata d’amore’, e dalle risposte della paziente e saggia balia: “voi,
leggendo, non troverete favole greche ornate di molte bugie, né troiane
battaglie sozze per molto sangue, ma amorose, stimolate da molti disiri, nelle
quali davanti agli occhi vostri appariranno le misere lagrime, gl’impetuosi
sospiri, le dolenti voci e li tempestosi pensieri, li quali, con istimolo continuo
molestandomi, insieme il cibo, il sonno, i lieti tempi e l’amata bellezza hanno
da me tolta via”

Tuttavia, se anche la vicenda di Fiammetta ha una forte componente


patetica, non viene mai meno l'elaborazione letteraria; la vicenda è sempre
ltrata dallo stile letterario di Boccaccio, attento a conservare una forma
ra natamente elevata, costruita a partire dal modello delle Heroides dello
scrittore latino Ovidio.

fi
ffi
fi
fi
ff
fi
Il decameron
Il Decameron, l’opera più celebre di Giovanni Boccaccio, viene composto tra il
1349 e il 1353, racconta la vicenda di dieci giovani che, per sfuggire alla peste
del 1348, si ritirano in una villa di campagna, dove trascorrono dieci giornate
narrandosi vicendevolmente delle novelle per ingannare piacevolmente il
tempo .
 Il nome di “Decameron” ha origine greca, come quello di molte opere
giovanili di Boccaccio, provenendo da déka, “dieci” ed hēméra, “giorno”,
infatti nel Decameron vengono raccontate 10 novelle al giorno per 10 giorni.
Boccaccio si dedica a un'opera che ha come fine quello di intrattenere le
"vaghe donne", ovvero le lettrici alto-borghesi, che diventano le destinatarie
privilegiate del testo, come Boccaccio stesso specifica nel Proemio al
Decameron. La finalità dello svago è del resto la stessa anche per i giovani
della brigata, composta da sette donne e tre uomini, che, per far fronte
all’emergenza sanitaria e morale della peste, che ha sconvolto i costumi
cittadini, vuole restaurare una nuova misura di equilibrio e comportamento.
La sfida alla morale dell’epoca (i giovani, maschi e femmine, convivono sotto
lo stesso tetto giorno e notte) si traduce così nell’attività della narrazione, che
mette in scena i valori fondamentali della visione del mondo dell’autore: la
Fortuna e il caso, la Natura e l’amore, l’ingegno umano e l’abilità con la
parola.
L’opera poi è composta da una cornice narrativa, in cui l’autore racconta le
vicende della brigata in fuga da Firenze e poi inizia la prima giornata
introdotta da una rubrica in cui ne sintetizza il tema

Ser Ciappelletto
Ser Cepparello da Prato è la prima novella del Decameron, narrata durante la
prima giornata da Pan lo, uno dei membri dell’ "allegra brigata”. Se è da
ricordare che la prima giornata, "sotto il reggimento di Pampinea", è a tema
libero, va tuttavia notato - come da tempo ha fatto la critica - che le dieci
storie d'apertura insistono, con notevole coerenza tematica, attorno alla
corruzione dei potenti e alla condanna (non moralistica, ma spesso con lo
strumento del riso e della "be a" arguta) dei vizi degli strati più elevati della
società. In tal senso, la storia di Cepparello (o Ciappelletto, secondo il nome
che il personaggio assume in Francia) è davvero emblematica: un incallito
peccatore riesce, in punto di morte, ad ingannare i suoi confessori e a passar
per santo, con tanto di seguito di fedeli devoti.

Probabilmente il protagonista del racconto, Ciappelletto, è un personaggio


realmente esistito all’epoca di Boccaccio: è stato identificato, infatti, con un
certo Cepparello o Ciapparello Dietaiuti da Prato che, alla fine del Duecento,
si occupava di raccogliere le decime e le taglie per il re di Francia Carlo di
Valois e il papa Bonifacio VIII. Inoltre, anche colui che introduce Ciappelletto
nella novella, il mercante Musciatto Franzesi, è un personaggio storico
attestato. Dai dati cronachistici, Panfilo (che è il narratore deputato ad aprire
il Decameron) passa subito alla vivace caratterizzazione di Ciappelletto - con
l'appellativo di "ser" poiché notaio -, figura che incarna tutti i vizi e i difetti
umani

fi
ff
Andreuccio da Perugia
Quella di Andreuccio da Perugia è la quinta novella della seconda giornata
del Decameron, dove i dieci giovani della "allegra brigata" hanno stabilito di
raccontare le avventure a lieto fine (qui la narratrice è Fiammetta);
protagonista è un giovane mercante che giunge dalla sua città natale - Perugia
appunto - a Napoli, portando con sé cinquecento fiorini per acquistare cavalli.
L’esperienza di una notte turbolenta lo farà maturare e gli insegnerà come
stare al mondo.
Andreuccio, che non si è mai allontanato da Perugia, è un “cozzone” (cioè, un
mercante) di cavalli assai giovane ed ingenuo, che, giunto a Napoli per
concludere qualche buon affare, fa sfoggio della sua ricchezza sulla piazza del
Mercato.
Boccaccio attraverso Andreuccio ritrae il mondo dei commerci e la nuova
classe sociale dei mercanti: astuti, scaltri, e sempre pronti a cogliere
l'occasione per coronare i loro interessi. Questa è la classe emergente del XIV
secolo, di cui l'autore sintetizza il dinamismo e la vitalità: Andreuccio, nella
sua evoluzione, diventa parte di questa nuova forza, incarnandone
consapevolmente i valori. Inoltre ciò che l’autore descrive con perizia è anche
la realtà urbana napoletana del Trecento, che Boccaccio stesso aveva
conosciuto direttamente: il caotico mercato, i quartieri popolari e malfamati, i
vicoletti e i suoi abitanti. La Fortuna e il Caso dominano questa novella
cittadina, tipica dello spirito del Decameron: Andreuccio dopo diverse
disavventure riesce a tornare al punto di partenza, Perugia, arricchito sia
materialmente sia interiormente. Da giovane ingenuo che era, Andreuccio
diventa un furbo mercante, che usa l’astuzia per sfuggire a situazioni
pericolose. Benedetto Croce osserva in proposito come l’intervento della
Fortuna renda Andreuccio “un ingannato e un ingannatore, un derubato e un
derubante, un mercante che va a comperare cavalli, e un ladro che invece
s'arricchisce di gemme; e, col condurlo a un precipizio, gli salva la vita; col
metterlo a rischio di morte imminente, gli ridà il danaro perduto”.
In tal senso, quello di Andreuccio è un percorso di formazione e di
maturazione che, sulle onde della Fortuna, permette al giovane protagonista
di acquisire una nuova consapevolezza della vita: il suo rito di iniziazione
(cioè uno schema di origine mitica che allude al passaggio dall'età
dell'adolescenza a quella adulta, e che si rintraccia in molte culture diverse)
prevede appunto una morte simbolica, corrispondente alle tre cadute nel
"chiassetto", nel pozzo e nel sepolcro, e poi il ritorno alla vita, con il "premio"
finale al suo coraggio e alla sua intraprendenza.

Corbaccio
Il Corbaccio è la più celebre tra le opere composte da Giovanni Boccaccio
dopo la pubblicazione del suo capolavoro, il Decameron. Probabilmente la
stesura del componimento risale al 1365, dopo che Boccaccio scelse di vivere
in ritiro a Certaldo. Il Corbaccio è scritto in prosa volgare, e gli studiosi si
dividono nel riconoscervi o meno degli elementi autobiografici. L’innovazione
più evidente dell’opera emerge nella presentazione dell’amore e della figura
femminile. Dal Boccaccio amante delle donne e da un amore nobilitante che
rende umani anche gli animali (come nella Caccia di Diana) si passa alla
visione onirica di amanti trasposti in fiere, e di una donna malvagia, orribile e
avvizzita. La Divina Commedia, come sempre, influenza moltissimo il
Boccaccio del Corbaccio. Anche qui, infatti, lo sfondo della vicenda narrativa
è un sogno e l’ambientazione è simile a quella del Purgatorio dantesco.
Corbaccio, deluso dal rifiuto di una vedova di cui era innamorato, si
addormenta e si ritrova tra le anime di coloro che in vita hanno ceduto
all’illusione dell’amore, che si presentano sotto forma di fiere. La "guida" di
Corbaccio, molto poco virgiliana, è l’anima del marito della vedova che, in
cambio della promessa della celebrazione di messe in suo onore e della
trascrittura di ciò che gli rivelerà, racconta a Corbaccio tutti i difetti, morali e
fisici, della donna. Così la figura della vedova, e con lei quella femminile in
genere, viene distrutta dalle parole del Boccaccio. Il Corbaccio,
indipendentemente dalla sua caratterizzazione più o meno autobiografica, è
allora il prodotto della svolta religiosa e classica del Boccaccio, che quasi
rinnega la propria posizione nel Decameron. La Beatrice angelicata di Dante
viene sostituita da una donna turpe, che porta l’uomo alla rovina e alla
follia. Quest’opera riscosse moltissimo successo, e fu la più stampata di
Boccaccio insieme al Decameron. Nell’estratto che segue - buon esempio della
misoginia dell'ultimo Boccaccio - leggiamo ciò che l’anima del marito della
vedova rivela a Boccaccio sulla donna, affinché egli si ravveda e smetta di
soffrire per amore

Potrebbero piacerti anche