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Petrarca, canzone 268 (il lamento per la morte dell’amata, dopo l’annuncio nel sonetto

267)

Che debb’io far? che mi consigli, Amore?


Tempo è ben di morire,
et ò tardato piú ch’i’ non vorrei.
Madonna è morta, et à seco il mio core;
et volendol seguire,
interromper conven quest’anni rei,
perché mai veder lei
di qua non spero, et l’aspettar m’è noia.
Poscia ch’ogni mia gioia
per lo suo dipartire in pianto è volta,
ogni dolcezza de mia vita è tolta.

Che cosa devo fare? Che cosa mi consigli, Amore? E’ certamente ora di morire, ed è già tardi, più di quanto
non vorrei. La mia signora è morta, ed ha con sé il mio cuore; e poiché desidero seguirli, è necessario che
io interrompa questa mia vita di sofferenza, perché non spero di rivederla mai più su questa terra, e
l’attesa di rivederla nell’aldilà mi dà dolore. Da quando ogni mia gioia a causa della sua morte è
trasformata in motivo di pianto, ogni dolcezza è stata sottratta alla mia vita.

Amor, tu ’l senti, ond’io teco mi doglio,


quant’è il damno aspro et grave;
e so che del mio mal ti pesa et dole,
anzi del nostro, perch’ad uno scoglio
avem rotto la nave,
et in un punto n’è scurato il sole.
Qual ingegno a parole
poria aguagliare il mio doglioso stato?
Ahi orbo mondo, ingrato,
gran cagion ài di dever pianger meco,
ché quel bel ch’era in te, perduto ài seco.

Amore, tu stesso senti quanto è doloroso e gravoso il danno (che io sopporto), per il quale con te mi
lamento; e so che della mia sofferenza ti duole e te ne dispiace, anzi della nostra, perché contro il
medesimo scoglio abbiamo rotto entrambi la nostra nave, e in un solo momento ne è stato oscurato il
sole. Quale ingegno poetico potrebbe adeguatamente esprimere a parole la mia condizione di sofferenza?
Ah mondo cieco, privo di gratitudine, hai ben motivo di piangere insieme a me, perché tutto ciò che di
bello avevi ora hai perduto insieme a Laura.

Caduta è la tua gloria, et tu nol vedi,


né degno eri, mentr’ella
visse qua giú, d’aver sua conoscenza,
né d’esser tocco da’ suoi sancti piedi,
perché cosa sí bella
devea ’l ciel adornar di sua presenza.
Ma io, lasso, che senza
lei né vita mortal né me stesso amo,
piangendo la richiamo:
questo m’avanza di cotanta spene,
et questo solo anchor qui mi mantene.

Colei che rappresentava la tua gloria è venuta meno, e tu nemmeno te ne accorgi, né eri degno, mentre
ella era in vita in terra, di conoscerla e di essere toccato da suoi piedi santi, perché una creatura tanto
bella doveva adornare con la sua presenza il cielo, e non il mondo terreno. Ma io, infelice, che senza di lei
non posso amare né la vita mortale né me stesso, piangendo la invoco: solo questo mi rimane della grande
speranza che avevo, e solo questo ancora mi mantiene qui, in vita.

Oïmè, terra è fatto il suo bel viso,


che solea far del cielo
et del ben di lassú fede fra noi;
l’invisibil sua forma è in paradiso,
disciolta di quel velo
che qui fece ombra al fior degli anni suoi,
per rivestirsen poi
un’altra volta, et mai piú non spogliarsi,
quando alma et bella farsi
tanto piú la vedrem, quanto piú vale
sempiterna bellezza che mortale.

Ahimé, il suo bel viso è divenuto terra, quel viso che un tempo era solito portare una testimonianza del
cielo e del bene eterno; la sua parte invisibile è ora in paradiso, liberata da quel corpo che qui rivestì
l’anima nei suoi anni giovanili, per poi rivestirsene un’altra volta e definitivamente, quando la vedremo
divenire nobile e bella tanto più quanto più la bellezza eterna è superiore a quella mortale.

Piú che mai bella et piú leggiadra donna


tornami inanzi, come
là dove piú gradir sua vista sente.
Questa è del viver mio l’una colomna,
l’altra è ’l suo chiaro nome,
che sona nel mio cor sí dolcemente.
Ma tornandomi a mente
che pur morta è la mia speranza, viva
allor ch’ella fioriva,
sa ben Amor qual io divento, et (spero)
vedel colei ch’è or sí presso al vero.

Mi torna davanti (nella memoria) in veste di donna bella e leggiadra più che mai, come là dove sente che
la sua visione è più apprezzata che in ogni altro luogo. Questo è l’ultimo sostegno per la mia esistenza,
l’altra è il suo nome illustre, che risuona nel mio cuore con tanta dolcezza. Ma quanto mi torna in mente
che la mia speranza tuttavia è morta, quella speranza che invece era viva quando Laura prosperava,
Amore sa bene cosa accade di me, e (spero) lo vede anche colei che ora è tanto vicina alla verità eterna ed
assoluta.

Donne, voi che miraste sua beltate


et l’angelica vita
con quel celeste portamento in terra,
di me vi doglia, et vincavi pietate,
non di lei ch’è salita
a tanta pace, et m’à lassato in guerra:
tal che s’altri mi serra
lungo tempo il camin da seguitarla,
quel ch’Amor meco parla,
sol mi ritien ch’io non recida il nodo.
Ma e’ ragiona dentro in cotal modo:

Donne, voi che avete ammirato la sua bellezza e quella sua vita simile a quella di un angelo, caratterizzata
da quel portamento/comportamento celeste benché fosse in terra, vi rincresca per me, e vi vinca la pietà,
non per lei che è ascesa ad una condizione di massima pace, e mi ha lasciato in una condizione di
turbamento e dolore: tanto che se mi viene vietato il cammino per seguirla troppo a lungo, solo quello che
Amore dice parlando con me, mi trattiene dal togliermi la vita. Ma egli parla dentro di me così:

- Pon’ freno al gran dolor che ti trasporta,


ché per soverchie voglie
si perde ’l cielo, ove ’l tuo core aspira,
dove è viva colei ch’altrui par morta,
et di sue belle spoglie
seco sorride, et sol di te sospira;
et sua fama, che spira
in molte parti anchor per la tua lingua,
prega che non extingua,
anzi la voce al suo nome rischiari,
se gli occhi suoi ti fur dolci né cari. –

“Trattieni il grande dolore che ti trascina, perché per desideri smodati si perde l’accesso al cielo, dove il
tuo cuore aspira a giungere, dove è viva della vita eterna colei che pare morta a chi consideri solo quella
terrena, e del ricordo del suo bel corpo ormai defunto ride tra sé, e solo per te sospira e si dispiace; e la
sua fama, che si diffonde ancora ampiamente grazie alla tua poesia, lei prega che non venga meno, e anzi
che tu renda il suo nome ancor più illustre, se i suoi occhi (vale: il suo viso, la sua bellezza) furono per te
dolci e preziosi.”

Fuggi ’l sereno e ’l verde,


non t’appressare ove sia riso o canto,
canzon mia no, ma pianto:
non fa per te di star fra gente allegra,
vedova, sconsolata, in vesta negra.

Fuggi ciò che è caratterizzato da serenità e giovinezza, non ti avvicinare a luoghi in cui si sentano risate o
canti, mia canzone, anzi mio pianto: non è adatta a te la permanenza fra chi è allegro, tu vedova, priva di
consolazione, vestita a lutto.

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