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Canzone 264 – testo e parafrasi

I’ vo pensando, et nel penser m’assale


una pietà sí forte di me stesso,
che mi conduce spesso
ad altro lagrimar ch’i’ non soleva:
ché, vedendo ogni giorno il fin piú presso,
mille fïate ò chieste a Dio quell’ale
co le quai del mortale
carcer nostro intelletto al ciel si leva.
Ma infin a qui nïente mi releva
prego o sospiro o lagrimar ch’io faccia:
e cosí per ragion conven che sia,
ché chi, possendo star, cadde tra via,
degno è che mal suo grado a terra giaccia.
Quelle pietose braccia
in ch’io mi fido, veggio aperte anchora,
ma temenza m’accora
per gli altrui exempli, et del mio stato tremo,
ch’altri mi sprona, et son forse a l’extremo.
Continuo a pensare e nel pensare mi assale una compassione tanto forte nei confronti di me stesso, che
mi spinge spesso a un pianto di natura diversa rispetto a quanto io sia solito: poiché, vedendo ogni
giorno la mia morte più vicina, innumerevoli volte ho pregato Dio di concedermi gli strumenti con cui
l’intelletto umano può elevarsi oltre la nostra condizione di prigionia mortale. Ma sino a questo
momento nulla mi ha liberato, né preghiere, né sospiri, né lacrime: ed è necessario che sia così per una
buona ragione, poiché chi, potendo stare in piedi, cadde lungo la strada, è giusto che giaccia a terra suo
malgrado. Io vedo ancora aperte e pronte ad accogliermi quelle braccia piene di pietà nelle quali
confido, ma mi angoscia la paura a causa degli esempi di coloro che non riuscirono a distaccarsi dal
peccato, e temo per la mia condizione, perché mi pungola anche una diversa inclinazione e sono forse
giunte alla fine della mia vita.

L’un penser parla co la mente, et dice:


- Che pur agogni? onde soccorso attendi?
Misera, non intendi
con quanto tuo disnore il tempo passa?
Prendi partito accortamente, prendi;
e del cor tuo divelli ogni radice
del piacer che felice
nol pò mai fare, et respirar nol lassa.
Se già è gran tempo fastidita et lassa
se’ di quel falso dolce fugitivo
che ’l mondo traditor può dare altrui,
a che ripon’ piú la speranza in lui,
che d’ogni pace et di fermezza è privo?
Mentre che ’l corpo è vivo,
ài tu ’l freno in bailia de’ penser’ tuoi:
deh stringilo or che pôi,
ché dubbioso è ’l tardar come tu sai,
e ’l cominciar non fia per tempo omai.
Un pensiero si rivolge alla mia mente e dice: “Che cosa desideri ancora? Da dove attendi un aiuto?
Infelice, non comprendi quanto sia disonorevole per te il continuo passare del tempo? Compi una scelta
in modo attento e consapevole; e dal tuo cuore elimina ogni traccia di quel desiderio che non può mai
rendere felici e non lascia respirare. Da molto tempo sei già addolorata e affaticata da quel falso piacere
fuggevole che solo il mondo mortale può dare, a che scopo continui a riporre speranze in esso, che è
privo di ogni tranquillità e stabilità? Finché il corpo mortale è vivo, sei tu ad essere in possesso del freno
che governa i pensieri: tiralo, ora che ti è ancora possibile, poiché il rimandare è pericoloso, come tu sai,
e già ora non inizieresti questo cambiamento per tempo.

Già sai tu ben quanta dolcezza porse


agli occhi tuoi la vista di colei
la qual ancho vorrei
ch’a nascer fosse per piú nostra pace.
Ben ti ricordi, et ricordar te ’n dêi,
de l’imagine sua quand’ella corse
al cor, là dove forse
non potea fiamma intrar per altrui face:
ella l’accese; et se l’ardor fallace
durò molt’anni in aspectando un giorno,
che per nostra salute unqua non vène,
or ti solleva a piú beata spene,
mirando ’l ciel che ti si volve intorno,
immortal et addorno:
ché dove, del mal suo qua giú sí lieta,
vostra vaghezza acqueta
un mover d’occhi, un ragionar, un canto,
quanto fia quel piacer, se questo è tanto? –
Tu sai già quanta dolcezza offrì ai tuoi occhi la visione di colei che vorrei, per la nostra pace interiore,
ancora dovesse nascere (così non l’avrebbe conosciuta). Senz’altro ti ricordi, e devi proprio ricordartene,
della sua immagine quando giunse al cuore, là dove forse non poteva apprendersi una fiamma d’amore
grazie alla scintilla di alcuna altra donna: proprio ella la accese; e se quell’ardore erroneo durò molti
anni nell’attesa di un solo giorno (quello in cui l’amore sarebbe stato ricambiato), che per la nostra
salvezza finora non è giunto, or sollevati ad una speranza più meritevole e tranquilla, contemplando il
cielo, eterno e splendido: poiché se la vostra bramosia, in terra tanto lieta di ciò che vi fa male, è
soddisfatta da uno sguardo, una parola, un canto, quanto potrà essere la soddisfazione e il piacere che
vengono dal cielo, se questo terreno è tanto grande?”

Da l’altra parte un pensier dolce et agro,


con faticosa et dilectevol salma
sedendosi entro l’alma,
preme ’l cor di desio, di speme il pasce;
che sol per fama glorïosa et alma
non sente quand’io agghiaccio, o quand’io flagro,
s’i’ son pallido o magro;
et s’io l’occido piú forte rinasce.
Questo d’allor ch’i’ m’addormiva in fasce
venuto è di dí in dí crescendo meco,
e temo ch’un sepolcro ambeduo chiuda.
Poi che fia l’alma de le membra ignuda,
non pò questo desio piú venir seco;
ma se ’l latino e ’l greco
parlan di me dopo la morte, è un vento:
ond’io, perché pavento
adunar sempre quel ch’un’ora sgombre,
vorre’ ’l ver abbracciar, lassando l’ombre.
Dalla parte opposta (della mente) un pensiero (quello della gloria poetica) dolce ed aspro insieme,
collocandosi quasi a dominare l’anima con peso grave e piacevole insieme, opprime il cuore di desiderio
e lo nutre di speranza; il quale pensiero non sente quando soffro tremando dal freddo o bruciando di
calore, se sono pallido o scarno, nello studiare e comporre; e se cerco di estirparlo esso rinasce più forte.
Questo pensiero dal momento in cui ero bambino è cresciuto giorno dopo giorno insieme a me, e temo
che una sola tomba racchiuderà entrambi noi. Dopo che l’anima sarà liberata dal corpo, questo
desiderio non potrà più seguirla; ma se anche sulla terra resterà fama di me dopo la morte, sarà solo
vento, destinato a perdersi: per cui io, che temo di passare la vita a raccogliere ciò che in un attimo
(quello della morte) sarà disperso, vorrei stringere la verità, abbandonando i fantasmi terreni.

Ma quell’altro voler di ch’i’son pieno,


quanti press’a lui nascon par ch’adugge;
e parte il tempo fugge
che, scrivendo d’altrui, di me non calme;
e ’l lume de’ begli occhi che mi strugge
soavemente al suo caldo sereno,
mi ritien con un freno
contra chui nullo ingegno o forza valme.
Che giova dunque perché tutta spalme
la mia barchetta, poi che ’nfra li scogli
è ritenuta anchor da ta’ duo nodi?
Tu che dagli altri, che ’n diversi modi
legano ’l mondo, in tutto mi disciogli,
Signor mio, ché non togli
omai dal volto mio questa vergogna?
Ché ’n guisa d’uom che sogna,
aver la morte inanzi gli occhi parme;
et vorrei far difesa, et non ò l’arme.
Ma quell’altro desiderio (quello amoroso) da cui io sono completamente pervaso, sembra che uccidere
ogni altro che gli nasce accanto; e intanto che non mi occupo di me stesso, scrivendo a proposito di
un’altra persona, il tempo scorre inesorabile; e la luce di quei begli occhi che mi tormenta col dolcezza
nel suo ardente splendore, mi trattiene con una briglia contro la quale nessun intelletto né alcuna forza
mi aiuta. A cosa serve dunque che io rafforzi con la pece la chiglia della mia nave, se poi nel pericolo
degli scogli è trattenuta da queste due catene? Tu, mio Signore, che mi liberi da ogni altro vincolo tra
quelli che trattengono a vario titolo i mortali, perché non mi liberi da questa infamia? Poiché come un
uomo che sogna, mi sembra di avere già la morte di fronte a me; e vorrei difendermi, ma non ho gli
strumenti che mi servono.

Quel ch’i’ fo veggio, et non m’inganna il vero


mal conosciuto, anzi mi sforza Amore,
che la strada d’onore
mai nol lassa seguir, chi troppo il crede;
et sento ad ora ad or venirmi al core
un leggiadro disegno aspro et severo
ch’ogni occulto pensero
tira in mezzo la fronte, ov’altri ’l vede:
ché mortal cosa amar con tanta fede
quanta a Dio sol per debito convensi,
piú si disdice a chi piú pregio brama.
Et questo ad alta voce ancho richiama
la ragione svïata dietro ai sensi;
ma perch’ell’oda, et pensi
tornare, il mal costume oltre la spigne,
et agli occhi depigne
quella che sol per farmi morir nacque,
perch’a me troppo, et a se stessa, piacque.
Io vedo ciò che faccio, e non sono vittima di un inganno e dell’ignoranza della verità, anzi è Amore che
mi trascina, lui che non lascia mai proseguire su una strada onorevole chi troppo gli si affida; e sento di
momento in momento giungere nel mio cuore un nobile sentimento duro e sdegnoso, che rende i miei
sentimenti più nascosti evidenti agli altri, sul mio viso (in forma di rossore): poiché amare una creatura
mortale con quella fede che è dovuta e adeguata solo a Dio, è tanto più disdicevole a chi più desidera
pregiarsi di virtù. E questo sdegno richiama con insistenza la ragione che ha perso la via seguendo le
sensazioni; ma benché ella senta e pensi di tornare indietro, l’abitudine erronea la spinge a proseguire
in quella direzione, e agli occhi offre la visione di quella che sembra nata solo con lo scopo di condurmi
alla morte, perché ella mi piacque troppo, facendomi dimenticare Dio, e anche a se stessa, che mi ebbe a
sdegno.

Né so che spatio mi si desse il cielo


quando novellamente io venni in terra
a soffrir l’aspra guerra
che ’ncontra me medesmo seppi ordire;
né posso il giorno che la vita serra
antiveder per lo corporeo velo;
ma varïarsi il pelo
veggio, et dentro cangiarsi ogni desire.
Or ch’i’ mi credo al tempo del partire
esser vicino, o non molto da lunge,
come chi ’l perder face accorto et saggio,
vo ripensando ov’io lassai ’l vïaggio
de la man destra, ch’a buon porto aggiunge:
et da l’un lato punge
vergogna et duol che ’ndietro mi rivolve;
dall’altro non m’assolve
un piacer per usanza in me sí forte
ch’a patteggiar n’ardisce co la morte.
Né posso sapere che lunghezza di vita mi concesse il cielo quando per la prima volta io scesi in terra
(come anima incarnata) a sopportare il crudele tormento che io stesso ho causato contro me stesso; né
posso prevedere il giorno della mia morte a causa della natura limitata del mio corpo mortale; ma vedo
che i miei capelli diventano bianchi e che dentro di me cambiano i desideri. Ora che io credo di essere
vicino al momento della morte o comunque non molto lontano, come colui che è reso attento e saggio
da una perdita, io ripenso in che punto io mi allontanai dalla retta via, che conduce a un porto sicuro: e
da una parte mi spingono la vergogna e il dolore che mi riconduce indietro, verso di essa,; dall’altro non
mi abbandona un piacere tanto forte in me per consuetudine che ha addirittura l’ardire di venire a patti
con la morte.

Canzon, qui sono, ed ò ’l cor via piú freddo


de la paura che gelata neve,
sentendomi perir senz’alcun dubbio:
ché pur deliberando ò vòlto al subbio
gran parte omai de la mia tela breve;
né mai peso fu greve
quanto quel ch’i’ sostengo in tale stato:
ché co la morte a lato
cerco del viver mio novo consiglio,
et veggio ’l meglio, et al peggior m’appiglio.
Canzone, mi trovo in questo stato, e ho il cuore agghiacciato dalla paura ben più della gelida neve,
poiché senza dubbio sento che sto per morire: poiché sempre dibattendo senza decidere ho consumato
ormai gran parte del breve tempo concessomi (lett: ho avvolto al subbio la poca tela); né mai alcun peso
fu gravoso quanto quello che in questa condizione io devo sopportare: poiché con la morte già prossima
io cerco per la mia vita una nuova regola, e vedo ciò che sarebbe meglio, ma comunque mi aggrappo a
ciò che è peggio.

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