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Domenico Rea

Tentazione
e altri racconti
Prefazione di Giulio Ferroni
A cura di Piero Antonio Toma

Compagnia E.s.p.r.i.t.
dei Edizioni
Trovatori
Tentazione e altri racconti
di Domenico Rea
Prima edizione Societ Editrice Napoletana, novembre 1976
Seconda Edizione aprile 2017
Propriet letteraria riservata

Edito da
Compagnia dei Trovatori
Via Nilo 28 80140 Napoli
compagniadeitrovatori@gmail.com
e dallAssociazione dei grafici europei E.s.p.r.i.t.
esprit.edizioni@gmail.com

Presidente
Piero Antonio Toma
info@pieroantoniotoma.it

Direttore editoriale
Nando Vitali
nandovitali@libero.it

Direttore artistico
Vittorio Bongiorno
vicbongiorno@gmail.com

ISBN 9788894208313

Prezzo 29.90 euro


Indice
Prefazione 7
Favole
Lo scarafaggio 15
Lalbero di Natale 20
La generazione del vino 36
Novelle
La carrucola 45
Padri & Figli 60
Alcibiade 68
Il grillo del focolare 74
Il maestro confuso 81
La delusione 87
Za Bum 93
Il Guaranise 101
La zitella 109
Tentazione 124
Lamericana 153
Cronache
I barbari 173
I Sassi di Matera 181
La preghiera della sera 191
Luniverso mangereccio del presepe 197
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti
Prefazione

Prefazione

Quella napoletanit dislocata


di Giulio Ferroni

Pubblicato nel 1976 dalla Societ editrice napoletana, Tenta-


zione e altri racconti uno dei libri meno noti di Domenico
Rea, piuttosto trascurato dalla critica, che sembrata chiu-
dere il conto con lautore dopo il romanzo del 1959 Una vam-
pata di rossore e la raccolta de I racconti del 1965, ed tor-
nata a prestargli attenzione solo allapparizione dellesplosivo
romanzo del 1992 Ninfa plebea. Ma, anche se lontani dalla
rutilante espressivit rappresentativa e linguistica di cui
aveva fatto prova precedentemente e che avrebbe riproposto,
come miracolosamente potenziata, in Ninfa plebea, questi

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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti
racconti vedono dispiegarsi tutta la vitalit e la curiosit di
Rea per la vita dei suoi luoghi di elezione, la No/ Nocera In-
feriore, reale e mitica allo stesso tempo, e una brulicante Na-
poli sempre proiettata verso il suo entroterra meridionale, tra
la costa prospiciente il Vesuvio, il mare e la penisola sorren-
tina, gli approdi amaltani e salernitani (e si avverte qui chia-
ramente come No sia il centro di una napoletanit dislocata,
come riannodata su se stessa, in un suo pi dimesso esito mi-
cropopolare, in una pungente riduzione del suo orizzonte sto-
rico e ambientale).
Vitalit e curiosit che nei primi tre testi sora con
giocosa leggerezza luniverso della aba: piccole abe che
sembrano piccoli omaggi al grande e amato Basile, disegnati
in misura ridotta, con piccole situazioni che suscitano effetti
di amplicazione corale (e la prima aba evoca verso il mo-
dello de Lo cunto de li cunti: e almeno il titolo O scarrafone,
pu far pensare alla aba III, 5 di Basile, Lo scarafone, lo so-
rece e lo grillo).

Quando i presupposti illusori cadono


Ma il corpo pi ampio del libro costituito da novelle reali-
stiche, ambientate nel mondo contemporaneo, con alcune si-
tuazioni che registrano il modicarsi della vita quotidiana,
lavvento di forme consumistiche che alterano i rapporti in-
terpersonali, il vario prolungarsi di forme di egoismo e di

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Prefazione
ostinazione dentro manie e ossessioni, testarde convinzioni di
s. Si danno marginali equivoci, scambi di prospettiva, esiti
pungenti o paradossali: nellaffollata solitudine, nella diffusa
indifferenza rivestita di indiscreta curiosit. Padri & gli e
Alcibiade scavano in modo diverso sulla frattura tra le gene-
razioni, sulla perdita di considerazione per la vecchiaia, nel
trionfo di un consumistico egoismo, segnato dalla diffusione
delle automobili.
Nella campagna devastata non circolano pi gli antichi e
rari carriaggi, sostituiti da autoveicoli pieni di uomini il
cui unico grido di guerra sembrava fosse: Mio padre per un
automobile! Mio padre per un automobile!. Presupposti il-
lusori cadono di fronte alla durezza della realt: cos il gio-
vane maestro che negli inferi cittadini cerca allievi adulti
da alfabetizzare in una scuola serale deve constatare che
questi sono disposti a seguire le lezioni solo se pagati (Il mae-
stro confuso).

Eros sospeso e inafferrabilit dellesistenza


Tra i tanti segni del dissolversi di un mondo che nella sua du-
rezza manteneva un equilibrio vitale che dava comunque un
senso al vivere, resta in piena luce la resistenza di gure fem-
minili, come la levatrice di cui in La carrucola riferisce la
voce del glio: donna energica, sempre disponibile e in corsa
per assistere le partorienti del paese, alla cui incessante atti-

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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti
vit sembra far da riscontro una relativa passivit del mondo
maschile che la circonda (il racconto appare peraltro come
una sorta di esergo o di prova laterale del romanzo del 1959
Una vampata di rossore, che ha la centro la malattia della le-
vatrice Rita). Come estranea al mondo e addirittura a se
stessa, chiusa nei suoi risentimenti che quasi la conducono a
non sapere di s, del valore della propria vita, invece la pro-
tagonista del La zitella, che lautore tende ad ambientare
negli anni cinquanta, mentre ascrive ai sessanta la successiva
Tentazione e ai settanta Lamericana. In queste ultime due
novelle siamo lontani dal mondo popolare di No: ci tro-
viamo in ambienti genericamente borghesi seguendo una
delle tante proiezioni del desiderio maschile di fronte a im-
previsti incontri con donne sorate per breve tratto. Eros so-
speso, che si affaccia, si nasconde, si annuncia e si dissolve,
soprattutto quello di Tentazione, la novella che d titolo al-
lintero libro e che sembra come ricondurre tutto il libro al-
linafferrabilit dellesperienza, al richiamo di una realt
(anche narrativa) che continua ad attrarre, ma non pu com-
piersi e risolversi no in fondo.

La danza leggera e divertita di un perdita


E a uninsucienza, a un vuoto, a una contraddittoriet della
realt, sembrano ricondurre le quattro Cronache che chiu-
dono il libro: sguardo alla particolare immagine che la breve

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Prefazione
occupazione tedesca ha lasciato nel napoletano (I barbari);
ritorno alla desolazione dei Sassi di Matera, sulle orme di
Cristo si fermato a Eboli e ormai poco prima del loro risa-
namento e dellattuale trasformazione turistica (I Sassi);
sguardo sarcastico allegoismo e allindifferenza su cui si
regge la normalit della vita (La preghiera della sera); ries-
sione sullo svuotarsi dellantico signicato del presepe napo-
letano, sulla perdita del suo orizzonte antropologico (esorciz-
zazione della fame e proiezione di un ondo pi giusto) sul suo
naufragio nei gorghi del consumismo (Luniverso mange-
reccio del presepe). Questo testo nale viene peraltro a ricon-
nettersi, per rapporto e per contrasto, con il secondo testo del
libro, Lalbero di Natale, favola che, narra di una singolare e
magica passione per il nordico emblema dellalbero, che sca-
turisce proprio dalla decadenza della sceneggiata pastorale
del presepe.
Nella vitalit e nella curiosit di Rea sentiamo cos af-
facciarsi (ed la cifra dominante di questo libro), il senso di
una mancanza, di una perdita: la danza, a tratti leggera e di-
vertita, in altri perplessa e corrucciata, di una realt che si al-
tera in una direzione incontrollata, che forse non era quella
verso cui il sanguigno narratore aveva originariamente cre-
duto di muovere.

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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti
F a v o l e
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti
Lo scarafaggio

Lo scarafaggio

Dovete sapere disse Maria che mio padre faceva il


fornaio in via Fornelle. Aveva per clienti le persone pi ni,
potete chiederlo. E quando veniva la buona stagione, ci man-
dava in carrozza con don Luigino (ma come, non conoscete
don Luigino il cocchiere? Ges, ma ancora in vita; i gli
sono diventati pezzi grossi, attano automobili). Questo per
non centra. Dunque, su questa carrozzella, con un ombrel-
lone bianco e rosso, andavamo a Portici a fare i bagni. E una
bella mattina, che faceva tanto caldo da avvampare la faccia,
mentre mia cugina distesa sulla sabbia prendeva il sole, uno
scarafaggio piccolo quanto ununghia, piano piano, con lidea
di rinfrescarsi, sinl in uno dei due buchi del naso (di mia
cugina). Se io lavessi visto in tempo, quant vero Dio,
lavrei tirato via per una zampa (quel soggetto da forca). Il
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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

bello che neanche mia cugina se ne accorse, perch dormiva


sodo. Intanto lo scarafaggio, non solo stava al fresco, ma
aveva anche trovato da bere e da mangiare nelle due grotti-
celle del naso. Ma no a quando non tornammo a casa, dove
ci aspettava la mamma di mia cugina (che poi anche mia
madrina), che ci aveva preparato un timballo di maccheroni
condito con mozzarella e melanzane, e, per secondo piatto,
peperoni ripieni e pesche di giardino, quellavanzo di forca
era gi salito sotto la fronte (di mia cugina). Subito alla ra-
gazza venne il primo mal di testa.
Avr preso troppo soledisse la mamma di lei, che
era anche mia zia.O sar stato il vento del mare, oppure
saranno state le occhiate delle compagne invidiose. Ora pas-
ser, non ti preoccupare!
Quel disgraziato intanto, come una pecorella, non gli sem-
brava vero di godersela in quel ben di Dio: nel corpo profu-
mato di mia cugina. Proprio cos, perch noi siamo un mi-
stero! Il nostro corpo pieno di fontanelle: la fontanella della
lingua per far parlare; la fontanella del sudore; la fontanella
delle lacrime e della gioia. Frattanto il mal di testa della ra-
gazzina era diventato pi forte perch lo scarafaggio pi pas-
sava il tempo e pi diventava grasso e tondo. Dovemmo sol-
levarla dalla seggiola e distenderla sul letto. La ragazza aveva
una faccia bianca, bianca, mani e piedi freddi, cento gocce di
sudore sulla fronte e il corpo tremante. Che trambusto! Che
spavento! La comare svenne e io mi misi a gridare e a chia-

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Lo scarafaggio

mare la genteChiamammo il medico condotto e quello stu-


pido ci disse che aveva un raffreddore asciutto.
Chiamammo don Nicolino, linfermiere del manicomio
(ma come, non conoscete don Nicolino? fa tutto lui al mani-
comio!) il quale subito disse:A me questo mal di testa non
mi piace.
Donna Rosina, le avete dato unaspirina?S.Le
avete dato questo e quello?S.E allora le facciamo la
peretta di acqua e sapone, cos la ragazza va di corpo e si ri-
prende subito.La peretta no, la peretta nodisse pian-
gendo e con un lo di voce mia cugina. Il tempo passava, il
caldo cresceva, e allora io le rivoltai i guanciali sotto il capo e
le coprii le gambe con un lenzuolino. (Non per mancarvi di
rispetto, la mia madrina aveva tutta roba na a ventiquattro a
ventiquattro, tutta roba ricamata fatta dalle suore di clausura
di Santa Chiara). Ma n cure, n parole, n ogni altro con-
forto fecero il miracolo. E chi andava mai a pensare che si
trattasse di uno scarafaggetto? Un povero innocente che vo-
leva cercarsi un po di fresco? Il Padre eterno prende in giro
la buona gente! Sul pi bello spunt dalla porta zio Peppino,
lo zio di mia cugina e mio, caposquadra degli scaricatori delle
navi nel porto. Un uomo severo, posato e taciturno. Entr, si
sedette, sor con la punta delle dita la fronte della ragazzina
e la trov pi fredda della neve e triste e preoccupato disse:
Una soltanto la pu salvare, donna Trifola.Donna Tri-
fola!dicemmo terrorizzati, come se fosse entrato nel basso
il diavolo con le corna col puzzo e col fumo. Donna Trifola
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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

era una fattucchiera, che parlava con i morti e che addormen-


tava i vivi. Aveva fatto tante e tante fatture A due predica-
tori una volta li fece diventare due pezzi di baccal perch
essi dal pulpito lavevano maledetta come la sorella carnale
del demonio.
Ma chi pensa a queste cose quando il momento grave?
Per questo motivo questa mia zia, impazzita dal dolore, per
salvare la vita della glia, prima si mise un santino della Ma-
donna di Pompei inlato nel petto, e poi corse a chiamare
donna Trifola:Ascoltamile dissese tu hai carne cri-
stiana addosso, se hai sangue nel cuore, se insomma sei come
noi, e mangi e bevi, vieni a parlare a questo spirito maligno
che entrato in corpo a Carmelina mia. Ha tredici anni, ed
tutta la vita mia e la devi far tornare comera prima, come
lha creata Colui che tutto sa e tutto pu.A queste parole,
donna Trifola cont le nove lacrime celesti sulla faccia di
questa mia zia e le disse:Non preoccuparti, vengo e te la
salvo.Quando arriv a casa la fattucchiera, con i capelli
scarmigliati e la faccia di una belva infuriata, la gente scapp
nel vicolo. Dopo un po sentimmo un rumore di catene, un
terremoto, lamenti di gente impiccata e, poi, un silenzio di
morte. Sembra che la testa di mia cugina si fosse fatta cos
fredda e cos fredda che lo scarafaggetto, questa volta per tro-
vare un po di caldo, se ne usc dal buco di un orecchio e
scomparve. Sembra, questo lo dissero gli altri, perch nes-
suno, salvo donna Trifola, venne mai a sapere come and
questo mistero. Certo che la porta del basso si apr e ve-
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Lo scarafaggio

demmo uscire mia cugina, pi bella di una fata, che disse:


Oh, ma si pu sapere cosa va cercando tutta questa gente qui
fuori?.

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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Lalbero di Natale

Tanto tempo fa, un certo Ciccio Maest che della


Maest non aveva nulla, anzi era quasi gobbo, con le gambe
storte, la faccia lunga e rognosa, con la testa della forma di
una pera, insomma brutto oltre ogni dire, ricorrendo la festa
della Nativit del Bambino Ges, decise di comprare un al-
bero di Natale nella speranza di attirare i ragazzi del vicinato
e renderseli amici.
In un primo momento aveva pensato di costruire un pre-
sepe; ma da alcuni anni la sceneggiata pastorale era in de-
cadenza e non attirava n grandi n piccini. Il presepe inoltre
avrebbe richiesto un impegno maggiore: lacquisto di tavole,
ferro lato, carte, cartoni, una serie di palagi e di castelli, di
casolari e di masserie, di canili e pollai, erbe, muschio,
specchi per ngere laghi e mari lontani dOriente, lattenta e
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Lalbero di Natale

scrupolosa scelta dei pastori, con le rappresentanze delle arti


e dei mestieri al completo: contadini, massari, cacciatori,
guardaboschi, suonatori, venditori, soldati di Erode ammaz-
zabambini, dame e cavalieri, cantanti e ballerini e poi cani,
gatti e galline, colombi, pecore e capretti, buoi, cavalli, asini
e muli; e una disposizione pia e generosa da parte degli even-
tuali visitatori: una capacit di scendere ai particolari della
vita e di risalire al grande concetto della Nativit. Uno spetta-
colo insomma per un altro genere di ragazzi, diversi da quelli
che ogni giorno lo schernivano e quasi lo picchiavano, vestiti
come ladroni della prateria e armati no ai denti di fucili,
mitra, e pistole automatiche.
A costruire un presepe avrebbe corso il rischio di ri-
maner pi che mai solo, di sborsare una maggiore quantit di
denaro e di dover provvedere alla conservazione di tutto il
corredo presepiale, una volta che i Re Magi, guidati dalla
stella, il gennaio, vigilia della Epifania, raggiungevano la
Santa Grotta per deporre oro, incenso e mirra ai piedi del Re-
dentore.
Lalbero aveva molti vantaggi: un facile acquisto, una
modesta spesa per le palle di vetro e uno scarso ingombro.
Scelto lalbero, Ciccio Maest cominci a sottoporsi a un pe-
riodo di rigoroso digiuno e di risparmio. A questa regola egli
era abituato, ma per realizzare il suo sogno cap che qualsiasi
forma di economia non sarebbe bastata e che era duopo, no-
nostante fosse vecchio, scendere nella strada e offrirsi al
primo e allultimo venuto come uomo di fatica. Si acconci a
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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

tirare al mercato carretti e carrettini carichi di ceste colme di


frutti e verdure zuppe di rugiada, a fare il guardiano di porci e
mille altri mestieri duri, lunghi e umilianti, ma con nellanima
la amma di un albero che avrebbe dovuto essere grande
quanto un giovane pino di Cuma, scintillare col carico di doni
come i raggi del sole e risonare come la cupola del cielo.
Ben presto per la fatica lo ridusse a letto ammalato e
questo proprio ai primi di dicembre. Finse di non credere al
male, imponendosi di sentirsi bene, in grado di alzarsi e re-
carsi al mercato per riprendere il lavoro e accumulare soldi;
ma, ahim, il suo corpo non rispose allappello della volont
e addirittura un giorno si sent venir meno in una pubblica
strada da costringere uno sbirro a prestargli soccorso e a di-
fenderlo dai maltrattamenti dei ragazzi sotto gli sguardi e le
risate degli adulti. Il suo cuore si rinchiuse nella ghiaccia teca
di un innito dolore. Era vecchio, ma si sentiva quel che era
sempre stato: un bambino sperduto e sfortunato, un orfano
con le mani coperte di lividi, di frustate subite anche quando,
dimentico di se stesso e della sua nullit, aveva osato erigersi
a difensore degli altri. Nella sua amata citt, capitale del
Regno, si sentiva uno straniero. Nel suo borgo, un lebbroso.
Nessuno lo salutava al mattino e alla sera, nonostante egli ri-
verisse anche gli animali. Se chiudeva la porta di casa e non
usciva nessuno si preoccupava di vericare se fosse vivo o
morto, neanche il lattaio o lo spazzino.
Ne aveva quindi di ragioni per perdere ogni forza e ab-
bandonarsi a unamara solitudine, piangendo e consumandosi
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Lalbero di Natale

lo spirito. E sarebbe di certo passato a miglior vita se Donna


Beatrice, fattucchiera e medichessa, non sentendolo atare,
n uscire, n entrare, non si fosse incuriosita e non fosse en-
trata di prepotenza nella tana; che una tana era la casa di
Ciccio Maest.
Donna Beatrice aveva la faccia e le mani delle streghe,
ma la voce delle fate. Lo rincuor e gli rinfresc lo spirito, di-
cendogli che per guarire doveva curarsi in due modi. Prima
doveva riacquistare ducia in se stesso, coltivare il senti-
mento della speranza, la certezza che il mondo, pur essendo
composto in maggioranza di cattivi soggetti, ha un certo nu-
mero di buoni, di individui caritatevoli e, in secondo luogo,
doveva attenersi scrupolosamente alle prescrizioni di una
maga come lei. Detto fatto. Gli prepar un eccellente brodo di
coccodrillo e alcune polpette di ranocchietti teneri di ume,
obbligandolo a mangiare con mille belle maniere e modi e an-
dando di qua e di l per la tana, rassettando, rinnovando
laria, creando unatmosfera operosa e, appunto, carica del
senso del divenire e della ducia. La sera ritorn per rifargli il
letto e il giorno seguente gli diede da bere una brocca di latte
spumeggiante di uccello-mosca, che la beneca vecchia du-
rante la notte da un suo paggio aveva mandato a prendere
sulle montagne dellAmerica del Sud in una giungla del Per,
una pastetta di cento orecchie di anguille del Sarno, pratican-
dogli inoltre alcuni impacchi di unguento, ricavato da grasso
di foca.

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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Ciccio Maest si mise di proposito a seguire le due cure


indicategli da donna Beatrice ottemperando pi alla prima
che alla seconda. La benevolenza bisogna propiziarsela con la
tenacia, con la testardaggine, con unidea ssa. Segu quindi
la cura punto per punto, sollecitato dalla visione dellalbero
che lo faceva smaniare dimpazienza.
Ma guarito che fu, per poco non si ammal di nuovo
nellapprendere che la guarigione costava ben tre ducati
doro. Ciccio ne aveva da parte appena quattro raggranellati,
come si detto, col sudore della fronte e destinati alla grande
spesa del suo sogno. Se avesse pagato lintera somma alla fat-
tucchieraprestazione personale pi medicine; una volta i
cerusici vendevano oltre alla loro arte anche i medicamenti
gli sarebbe stato impossibile comprare non il mitico gio-
vane pino di Cuma, ma soltanto un ramo avanzato dal taglio
di un bosco di alberi.
Propose quindi a Donna Beatrice di accettare un paga-
mento rateale; ma la fattucchiera si mise a gridare, minac-
ciandolo di ricorrere alle guardie del Regno e di farlo gettare
nella botte dellorco. Natale intanto era alle porte. Aveva un
caldo cuore dinverno per tutti, fuori che per Ciccio Maest.
Il profumo delle essenze di ranati liquori e gli aromi di deli-
cate pasticcerie giungevano a volte no al suo povero borgo.
Come un vigile urbano addetto al traco lodor di Natale in-
dicava a ciascuno la via giusta da prendere per rintracciare
una lieta compagnia, i grandi e i piccoli focolari: i primi illu-
minati da fastosi lampadari rampicanti, i secondi, quanto si
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Lalbero di Natale

voglia da un semplice lume o persino da una candela, ma as-


surti a amme con aureole. I duemila balconi del Palazzo del
Re splendevano. Tutti i parenti vicini e lontani del benigno
ma irraggiungibile sovrano in lussuose diligenze, carrozze
vittoria e landeaux giungevano a corte a drappelli in attesa del
Grande Evento e della conseguente apertura delle feste. Solo
lui, Ciccio Maest, si sentiva ed era un derelitto.
Vagabond per giorni e giorni nellimpossibilit di
poter prendere una decisione. Che cosa doveva fare? Andava
a curiosare al mercato dei giocattoli. Gli alberi pi striminziti
e spogli costavano ottocento grani. Gliene sarebbero rimasti
altri duecento con i quali avrebbe dovuto acquistare le palle
di stagnola, i nastri dargento, le candeline, i occhi di neve,
ecc. ecc. e provvedere inoltre al cibo di quei giorni.
Pens di andare alla foresta del duca di Cuma, lontana
trenta chilometri, scavalcare il muro, rubare un pino e tra-
sportarlo nella tana. Ma non ne avrebbe avuto la forza, n vo-
leva rubare. Col bel sogno infranto nel cuore e lanima fru-
strata, perse di nuovo ogni speranza e, ritornato a casa, si
mise a guardare dalla porta la gente che passava, trasportando
gli alberi. Alcuni li trascinavano come grosse ramazze, infan-
gandoli e sciupandoli; altri, per fortuna, come stendardi al se-
guito di una processione; altri ancora, i ragazzi delle famiglie
numerose, cavalcandoli e menandoli avanti di corsa come ca-
valli. Lo spettacolo era di una generale anche se bonaria irri-
spettosit.

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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

In questo mentre pass Melina, vecchia amica di una


sua sorella perdutasi nel mondo, nascosta sotto il peso di un
albero di grandi proporzioni. Affranta dalla fatica e sbirciato
di tra i rami Ciccio Maest la donna si ferm per riprender
ato. La chioma del pino era cos fronzuta e intricata da occu-
pare per intero luscio del basso di Ciccio Maest. E per
questo motivo il nostro aitto amico disse alleventuale tra-
sportatore del vegetale:
Buon uomo, fermati pi avanti, privi dellaria me e
la mia casa.
La vecchia serva sorrise tra s e disse:
Non vuoi neanche pi bene agli amici? Sono Melina,
lamica della tua povera sorella.
Oh, Melina, quale piacere. Che fai, donde vieni,
come stai? Sei ancora tra il numero dei vivi in questo Regno
in cui i ricchi sono distratti e i poveri si ammazzano tra loro?
Melina, liberando il volto, il collo e parte delle spalle
dallintrico dei rami, rispose:
Sono al servizio da anni di un ricco signore, n
buono n cattivo e a soddisfare un ordine della di lui moglie,
tanto vanitosa da preferirla cattiva, sono andata a comprare
questalberoil pi fronzuto, il pi alto, il pi robusto, il
pi pregiato fra tutti, inimitabile-impareggiabile, secondo
linappellabile volere della padrona, intenta a far dispetto alle
amicheper cui gi sono pronte cento palle di oro zecchino
soato e tempestate di diamanti. Non me la passo male come
serva, amico, mangio pane e fatica; ma mi sono dimenticata
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Lalbero di Natale

dessere stata fatta donna, con dolci forme, mani tenere e


aereo piede, di essere stata giovane, di aver cantato e amato
per contrade e ville. Ecco le risposte alle tue tre domande ed
ora spero vorrai darmi conto di te. Ti vedo pi aitto del so-
lito in un giorno in cui anche gli spazzacamini hanno mele e
chi secchi in saccoccia. Perch non mi condi i tuoi affanni?
Confortato dal caldo usso damicizia corrente sul lo
delle parole della donna, Ciccio Maest liber lamica dal
peso e dallimpaccio dellalbero e, invitandola a entrare in
casa e fattala sedere e versatole un bicchier dacqua, co-
minci a raccontarle quel che noi tutti sappiamo: del suo pro-
posito di apparecchiare un albero per divertire i bambini po-
veri della sua strada e renderseli amici, delle fatiche e dei di-
giuni cui si era sottoposto per raggranellare la somma e del-
limprovvisa malattia, della fattucchiera, eccetera, eccetera.
Io ti aiutereirispose Melina.Ma tutti i miei ri-
sparmi mi sono stati rubati dal glio del padrone, degno glio
della padrona e come questa giocatore; e non ho proprio, dico
uno, un solo spicciolo. E aggiunse:Non pensarci pi. Lo
farai, ne sono sicura, lanno prossimo. Intanto, se vuoi, a Na-
tale vieni a trovarmi di pomeriggio. Entra dalla porta di ser-
vizio, il cocchiere ti far passare e divider con te gioie e
pene. Ora, addio, debbo andare, tardi.
La donna si alz e Ciccio Maest la aiut ad assestarsi
lalbero sulle spalle. Nelloperazione un ramo si ruppe e
cadde a terra allinsaputa dei due amici. Chiusa la porta,
nellaccingersi a passare unaltra lunga notte, al oco lume
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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

della lucerna, Ciccio Maest vide a terra il ramo del pino. Lo


guard una prima, una seconda e una terza volta, come ac-
cade, senza notarlo, senza assumere la sua forma in una im-
magine e, quindi, in unidea. Lo guard senza discernerlo e
isolarlo dalla congerie delle robe vecchie, ferri, li, spago,
chiodi, cocci e poi, dun tratto, senza una comunicazione con-
creta del corpo alla mente, senza un preciso ordine della cen-
trale nervosa agli strumenti motorii (gambe e braccia), Ciccio
Maest si butt gi dal letto e and ad accoccolarsi su quel
ramo insignicante allimprovviso caricatosi di una magica
vitalit.
Afferrato un coltellaccio, ne stacc la parte inferiore,
sentendosi prendere dai sette grandi spiriti della speranza. Era
un tozzo avanzo di pino, con appena quattro ramicelli, ma in
compenso ben staccati luno dallaltro come palchi di cervi e
adatti a essere rivestiti di palle, bottigliette, limoni, uccelli
impagliati, spighe e tinule campanelle. Lo cc subito in un
vaso di morbida e umida terra e and a comprare duecento
grani di doni. Due ragazzini gliene rubarono alcuni e stacca-
rono da ci che ora fungeva da albero uno dei quattro rami-
celli.
Ma che cosa poteva contare il danno? Lalbero bastava a
Ciccio Maest e con gli occhi della sua alacre immaginazione
egli lo vide armonioso e fulgente. Non si stancava di cam-
biare posizione agli oggetti, provando e riprovando. Modesto,
anzi meschino e risibile, lalbero, sempre meglio vestito,

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Lalbero di Natale

prese consistenza, simpose alla tana, forando il buio con una


luce esigua ma netta e accentratrice.
Le poche volte che Ciccio Maest aveva la forza di
uscirecio di abbandonare lalberoper procacciarsi il
cibo, rincasava anelante quasi avesse lasciato un bimbo incu-
stodito e in imminente pericolo o di essere rapito o maltrat-
tato e offeso. Era emozionato come un innamorato, trepido
come una sposa, guardingo come un padre; e quando il
giorno di Natale, memore dellinvito di Melina, dovette sce-
gliere tra questo partito e quello di rimanere in compagnia
dell amica non ebbe un dubbio.
Sopport il digiuno allegramente, operosamente, spo-
stando di bel nuovo palle e campanelle e rimirando a distanza
le originali gurazioni. Caduto gennaio Ciccio Maest si de-
cise anche lui a spogliare lalbero e incartate le palle e gli altri
ninnoli di gracile vetro e riposto ciascun pezzo in altrettanti
nidi di paglia acconci albero e vaso in un angolo in attesa di
tempi migliori.
Febbraio fu per rigidissimo. Ciccio Maest moriva di
freddo. Non potendo accendere il fornello che noi tutti por-
tiamo in mezzo al petto e che alimentiamo come un altoforno
con cibi, vino e altre bevande, tent di riscaldare la sua po-
vera casa, di accendere insomma un braciere, ci che una
volta si chiamava braciere a legna o a carbone e di cui si
perduto il simbolo e la memoria. Per comprare la legna, al li-
mite dellassideramento, Ciccio Maest dovette vendere per
cinque grani il vaso contenente il pino e solo dopo un enorme
29
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

sforzo di volont e di sopportazione non si spinse a bruciare


lalbero stesso.
O meglio: nel deporre il minuscolo pino in una casset-
tina di lamiera in sostituzione del vaso di terracotta venduto e
pensando appunto di accenderlo, si avvide come in un sovra-
pensiero che il ramicello aveva fatto mostra di voler crescere,
lanciando verso terra un grumo di radici nervose e adunche
come artigli di un rapace.
Lalbero viveva? Una ammata si diffuse nel suo corpo,
riscaldandolo questa volta. S, il ramo voleva vivere. Fosse
stato aiutato, curato, tenuto docchio avrebbe saputo rinno-
vare la magnica dinastia da cui discendeva e trasformarsi da
ramo in albero, da glio irresponsabile a capo di una famiglia
di rami e ramicelli. Allora Ciccio Maest prese ad annaarlo
e a concimarlo e ai primi tepori della primavera lo espose
allaria e alla luce, ogni giorno un poco. Ben presto le radici
sfondarono la lamiera e Ciccio Maest dovette preparare un
recipiente pi grande.
Il Natale seguente, a volerlo vendere, il pino sarebbe co-
stato un ducato e mezzo. Ma a una possibilit del genere
Ciccio Maest non pens mai. Al contrario addobb lalbero
con un numero doppio di doni; e la gente prov rabbia. Ven-
nero bambini e ragazzi dogni parte a vederlo e il Capopopolo
fece un elogio a Maest e gli avrebbe conferito il premio per
il miglior albero allestito da un povero, se non fosse stato
quel disgraziato di Ciccio Maest che era.

30
Lalbero di Natale

La grandezza dellalbero cominciava per a preoccu-


parlo. Col ritorno della primavera il pino tocc il tetto della
tana e lanci i suo rami da una parete allaltra, coprendo il
letto di Ciccio Maest, che si trov a dormire come sotto le
foglie di una foresta. Una notte fu sul punto di morire di spa-
vento. Su un ramo del pino sinseguivano due strani animali
dagli occhi di fuoco. Ciccio Maest ebbe il coraggio di gri-
dare, di alzarsi e di mettere in fuga i due viventi simboli infer-
nali, ma lo sforzo per poco non gli si trasform in una nuova
malattia. Non si poteva andare avanti cos. Il pino inoltre ri-
schiava di morire soffocato; per cui Ciccio Maest si vide co-
stretto a spingerlo nel vicolo dove non riusciva a passare ne-
anche la ronda dei soldati in la indiana.
La gente si ribell. Alcuni omaccioni volevano farne
legna da ardere. Gatti, uccelli, pappagalli si davano appunta-
mento per guerre e altro nelle foglie e i carretti, i muli, gli
asini, i cavalli, i buoi e le greggi non riuscivano a passare
tanto lalbero era divenuto, s, bello e robusto, ma ingom-
brante e fastidioso. Inne, uno dei soliti ragazzacci si arram-
pic sui rami e cadde, slogandosi una gamba. Naturalmente la
colpa ricadde su Ciccio Maest e il padre del bambino, con
altri feroci compagni, abbrancarono il pino, lo sradicarono, lo
strapparono dallenorme cassa e andarono a gettarlo di l
dalle porte della citt sulla montagna delle immondizie a ri-
dosso dei canali di scolo.
Ciccio Maest scrisse una supplica al Re, credendo che
il Re leggesse le suppliche dei sudditi. Non ebbe risposta al-
31
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

cuna. Si rivolse a Melina, alla fattucchiera Donna Beatrice: se


avessero amici potenti in grado di trasmettere i suoi deside-
rata a corte. Invano. Allora decise di recarsi di persona alla
reggia, ma i palafrenieri invece di ascoltarlo e di presentarlo
al Re, vedendolo piccolo, storto e buffo si misero a giuocare a
palla con lui, ossia con lui ridotto a guisa di un pallone. La-
sciato inne a terra mezzo morto, gli appiccicarono sulle
spalle un cartiglio di scherno su cui era scritto: Costui vo-
leva parlare al Re in persona!. Uscito dal palazzo, trascinan-
dosi a stento e appoggiandosi ai muri e ignaro di avere sulle
spalle la ridicola scritta, cominci a formarsi dietro di lui un
corteo, una folla di gente che gridava:
Vedete mai chi voleva parlare al Re in persona!
Si pu essere pi sciocchi di cos!
Sono poveri e sono pieni di boria e di vanit!
Un uomo simile inconcepibile nel nostro Regno!
E chi gli lanciava bucce di frutti e chi insulti, peggiori delle
bucce e qualche malandrino persino sassi e altri oggetti per la
qual cosa Ciccio Maest, scovata una fogna vi si cal dentro e
attese tremante di febbre che la bestia trionfantela folla
si placasse e disperdesse.
Il pino intanto giaceva sotto una coltre di neve che in
quellanno cadde abbondante. Ciccio Maest si immalincon
e giacque immemore per lunghi e lunghi mesi.
Lestate seguente, Ciccio Maest, seduto sulluscio
della sua casa per respirare un lo daria fresca, seppe da un
viandante che il suo pino stava ancora tra le immondizie, ma
32
Lalbero di Natale

che gli era sembrato fosse vivo e vegeto. Ciccio Maest


avrebbe voluto recarsi sul posto, soccorrere e aiutare lamico
vegetale, ma non ne ebbe la forza. Dovette accontentarsi di
chiedere notizie del povero pino ai passanti. Ma tutti lo scher-
nivano, considerandolo un insano di mente. Ciccio Maest
per non abbandon mai col pensiero lo smarrito amico e, ri-
messosi a letto per resistere ai primi freddi di autunno, lo so-
gnava grande e raggiante.
Lodore del nuovo Natale penetr anche nella sua tana e
Ciccio Maest si sent morire; e avendo invocata la Morte te-
neramente perch lo aiutasse a uscire da quel mondo belluino
e non accennando quella a venire, con metodo e pazienza co-
minci a studiare un terribile progetto a cui avrebbe dato si-
cura e rapida esecuzione se non fosse stato distratto da un
grandissimo frastuono proveniente dalla strada: un rumore di
zoccoli di cavalli, di speroni e di spade.
Come tutti i poveri Ciccio Maest pens che quegli uo-
mini armati venissero ad arrestarlo per chi sa qual mai colpa e
con questo timore discese dal giaciglio e si mise a origliare. E
che vide mai!
Cerano tutti i notabili del Reame, i cavalieri e i palafre-
nieri in grande uniforme, le corporazioni al completo, le con-
fraternite dei nobili, le monache dellIsola dOro con la Ba-
dessa maggiore, sorella della Regina, e tutti, tutti i bimbi. Il
palafreniere che gli aveva appiccicato lignominioso cartiglio
sulle spalle, con luniforme strappata e degradato a colpi di
frusta fu costretto a bussare alla sua porta e a dire:
33
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Abita qui il signor Ciccio Maest?


Srispose Ciccio Maest con voce timidissima.
Sua Maest il Re Vitruvio di Magnagrecia vinvita a
vestirvi e ad andargli incontro immantinente.
Tremante, con perle di sudore che gli grondavano dalla
fronte, Ciccio Maest si butt addosso quei quattro cenci che
formavano il suo abbigliamento e malfermo sulle gambe
venne fuori dal suo abituro. Un trombettiere a cavallo son
lattenti e la folla rimase muta. In fondo alla strada, tra due ali
di corazzieri, cera la carrozza reale e il Re in persona affac-
ciato al nestrino e con un sorriso benigno in sua attesa. Su-
bito il sovrano ordin che Ciccio Maest fosse introdotto
nella carrozza e sedesse dirimpetto a lui e alla Regina.
Ciccio Maest prov vergogna e voleva gettarsi in gi-
nocchio, ma la Regina, scostando la tenda del nestrino con
la sua mano di opale, gli disse:
Guarda lass!
Sulla montagna delle immondizie sovrastava, stagliandosi gi-
gantesco e possente nel cielo, il pi bel pino che fosse mai
spuntato sulla terra, carico di milioni di palle doro e dar-
gento, scintillanti come i raggi del sole e con su ad ogni estre-
mit una vivida stella, che sul punto di morire nella sua stessa
luce, simile a un respiro, risorgeva pi luminosa.
Il Lord Ciambellano tenne un discorso, che fu tra-
smesso in ogni angolo del Regno. Disse come qualmente
Ciccio Maest, eccetera eccetera e come questo e come
quello, ignaro che proprio in quel momento i Cavalieri del-
34
Lalbero di Natale

lApocalisse, spediti in tutta fretta sulla Terra, eseguivano


lordine di rapire lanima preziosa di Ciccio Maest, la-
sciando agli uomini soltanto la sua spoglia mortale.

35
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

La generazione del vino

Buona sera disse il vecchio cocchiere, entrando


nella cantina con un cartoccio che fuoriusciva da una tasca
della giacca, una specie di sacco, che meglio sarebbe stata ad-
dosso a un autista. Anacleto rispose a caso. Gli fosse stato
possibile, certa gente, certi riuti sociali egli li avrebbe
messi alla porta. Ma non stava in una condizione tale da po-
tersi permettere di questi lussi. E disse:
Buona serastanco e avvilito.
Il cocchiere and a sedersi a un posto dangolo. Apr il
suo cartoccio di alici fritte e chiese sale e pepe. Anacleto,
come una persona che butta via una cartaccia, gli lanci sul
tavolo la boccetta del sale, poi quella del pepe e ritorn subito
a guardare la strada.

36
La generazione del vino

Era inverno, pioveva, una pioggia dura, angolosa, quasi


dei li di ferro. Non sembrava di stare in un paese di mare.
Ma era quello il tempo, quelli i toni chiaroscurali che si addi-
cevano al suo stato danimo. Una volta, vivo il nonno, (senza
scomodare la grande ed eroica gura del bisnonno: la persona
che aveva messo la frasca dalloro come insegna, fuori la
cantina) quando, sopra la Costiera, il tempo si metteva a
nero, non si poteva entrare nel suo locale, tanta era la gente,
ed ora.
Il cocchiere gli disse:Portatemi un mezzo litro.
Terzigno o Posillipo?chiese Anacleto.
Posillipo? che cosa sarebbe?domand il coc-
chiere.
Anacleto cap la canzonatura. Ma il segreto del suo antico
mestiere risiedeva nel non dar corda agli avventori.
Il Posillipo liscio. Distende. Procura il sonno e la
dimenticanza.
E io invece mi voglio ricordare parecchie coseaf-
ferm il cocchiere.
In quel momento entr un uomo basso e tarchiato. Disse:
Buonasera a tuttie, poggiata dietro la vetrina
della porta dentrata la cassetta di lustrascarpe, and a sedersi
esattamente nellangolo opposto a quello del cocchiere.
Beh, e allora?chiese Anacleto.
Mezzo di Terzigno. un vino giovane, ruvido come
carta vetrata e forse aiuta a vivere, a stare meglio allimpiedi,
rispose il cocchiere.
37
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Terzigno di Terzignochiese il lustrascarpe non


osando rivolgere la domanda a nessuno dei due.
Anacleto non rispose. Ai tempi del nonno, per non dire
del bisnonno, non gli sarebbe mai stata posta una domanda si-
mile. Allora il vino si faceva con luva. Il vinaio and alla
botte, apr il rubinetto e riemp il mezzolitro. Poi lo lanci di
striscio, come aveva fatto con il sale e il pepe, sul tavolo del
cocchiere.
Costui aveva estratto dallaltra tasca della giacca due
fette di pane casareccio che rassomigliava a vecchio parmi-
giano. Cominci a mangiare. Prendeva unalice per la coda,
la inabissava nel sale, la ripassava nel pepe, la lasciava cadere
in bocca. Vi aggiungeva un tocchetto di pane tagliato con un
tozzo coltello. Ad ogni paio di alici beveva un sorso di vino.
Sul principio non aveva dovuto farci caso, ma al terzo, al
quarto sorso, cominci a riconoscere in quel vino, che elev
nel bicchiere semicolmo con la severit di un sacerdote
contro la oca lampada del sotto, un antico lo di sangue
smarrito ed emise dalla sua ingombrante persona, dal suo
volto piegato e ripiegato, un sorriso di tacita soddisfazione
come chi, nalmente, ha la terra sotto i piedi o perlomeno la
sente molto vicina.
Il lustrascarpe lo guardava. Il suo tavolo era vuoto. In
tasca aveva trecento lire e non sapeva decidere se acquistare
un pezzo di pane e formaggio e un quartino di vino o puntare
tutto sul vino, su quel vino che faceva sorridere lo scono-
sciuto. Aveva per sete e fame. Quando il cocchiere infan-
38
La generazione del vino

gava nel sale una di quelle sue alici e poi la impepava e la


buttava in gola con la levit di un giovane che fa un tuffo
destate in un mare invitante, il lustrascarpe chiudeva gli
occhi ma gli sembrava di chiudere la bocca, quasi le palpebre
fossero diventate labbra soddisfatte di chiudersi su di unalice
saporita e ben salata e pepata. Cos decise di non guardare per
non soffrire e disse ad Anacleto:
Vino anche per me. Un quarto.
Anacleto si rec alla botte del Posillipo.
Nodisse il lustrascarpe,vorrei anche io il Ter-
zigno.
Il Terzigno costava 180 lire il litro e Anacleto guard il
lustrascarpe per studiarlo, per cercare dindovinare se un po-
vero diavolo, impiastricciato di mistura come un bambino,
sebbene avesse una sessantina danni, fosse uomo da tanto.
Fu sul punto di dirgli: Riettici, buttati al Posillipo, a quota
100 il litro. Ma il lustrascarpe lo guard con certi occhi pieni
di misericordia per cui Anacleto, macchinalmente, si trov ad
aprire il rubinetto della botte del Terzigno.
Laltro mangiava avidamente, alice dopo alice, masti-
cava ed emetteva rumori di macinazione. Il lustrascarpe gli
volt le spalle e cominci a lippare il suo vino in solitu-
dine. Anacleto si distese su una sedia dirimpetto ai due av-
ventori. Provava fastidio sia della masticazione del cocchiere
e dei suoi sfacciati sorrisi e rumori di soddisfazione corpo-
rale, sia della visibile fame del lustrascarpe e pensava: Ecco,
questa la favola della vita. Costui mangia e laltro no. Co-
39
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

stui se ne inschia della fame di un povero diavolo suo simile


e questaltro subisce in silenzio il sopruso. Ai tempi di mio
nonno si sarebbe niti a coltellate. Allora si alz e and al
banco. Prese un lone di pane, ne stacc una grossa fetta e la
poggi delicatamente sul tavolo del lustrascarpe. Piano piano
costui, dopo un certo tempo, lavvicin a s con la punta delle
dita ed inne ebbe il coraggio dimpadronirsene.
Non ho formaggiogli disse Anacleto. nito.
Me lo porteranno domani.
Dopo vi pulisco le scarperispose per un moto di
gratitudine il lustrascarpe.
Anacleto non vi diede peso. Andava e veniva dalla ve-
trina su cui il cielo rovesciava la sua pioggia spessa e attorci-
gliata no al fondo della cantina di cui solo le prime due botti
erano piene di vino: la Terzigno e la Posillipo. Tutto era come
prima, come cinquanta, forse cento anni addietro. Soltanto
che una volta su quella scena vi erano stati altri uomini, altri
suoni, altri pensieri, il tutto volato via. I due avventori ora si
erano voltati verso lideale corridoio creato dellandirivieni di
Anacleto e aspettavano qualcosa, s, le sue parole.
Una volta il vino rappacicava la gente. Una volta il
nemico, in nome del vino, ritrovando come un sangue co-
mune, quello della terra, ti diventava amico. Io ho visto cose
con questi occhi che a raccontarle non vale neanche la pena.
Ci dovrebbe essere qua mio nonno, Don Filippo!...
E ehi non ha conosciuto don Filippo?disse il coc-
chiere.
40
La generazione del vino

Il lustrascarpe guard smarrito. Lui, no, lui, carne cieca dei


pi profondi vicoli, non si era mai potuto spingere no al
mare e non aveva quindi mai potuto vedere don Filippo.
Quelli erano uominicontinu a dire Anacleto.
Come mio padrelo interruppe il cocchiere.
Era un palafreniere. Che uomo! Che dirittezza! Ragazzi, ci
faceva scialare nella carne, nelle polpette, sui timballi di mac-
cheroni, nei barili di vino.
Mio padreriprese a dire Anacletoper convin-
cere a bere gli astemi diceva: Volete vedere che cosa il
vino? Ve lo dimostro subito. Prendiamo due bicchieri, uno
pieno dacqua, laltro pieno di vino. Immergiamo in ciascuno
di essi una ciliegia. Andiamo a ritrovarla dopo due settimane.
La ciliegia conservata nellacqua diventata gona e malata
come il corpo di un naufrago, quella nel vino rimasta pura,
soda e lucente...
Appartenevano alla generazione del vinogrid il
cocchiere entusiasta, tuffando unaltra alice nella profondit
della sua gola.
Il lustrascarpe guardava incantato Anacleto e il cocchiere. Era
nito il suo quartino, nita la fetta di pane.
E ora siamo alla generazione dellacqua gasata, alla
generazione degli egoisti, o non vero?chiese con tono
strano e inquisitorio Anacleto al cocchiere. Costui rimase col
bicchiere a mezzaria.
Nel silenzio che ne segu il lustrascarpe timidamente disse:
Quanto vi debbo dare?
41
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Centocinquanta lire.
Ma non era Terzigno?: chiese il cocchiere.
Terzigno autentico, fatto dai miei fratelli. Ma io non
tiro sul vino con certi poveri cristiani come gli altri che si ten-
gono la roba tutta per loro. Poi vanno predicando la resur-
rezione dei disperati e quella dei
Allora il cocchiere si alz e umile e servile disse al lustra-
scarpe:Compare, lacqua ci ha rovinati e inariditi al punto
da toglierci persino la creanza. Compare, non vi ho detto an-
cora se volete favorire con me. Prendete, provatene una, sono
alici di scoglio, le ho prese a Pozzuoli. Me le ha date un vec-
chio pescatore amico mio.
Il lustrascarpe guard le alici dorate e ne aspir lodore.
Guard luomo negli occhi e torn a sedere. Prese unalice e
la pass nel sale, poi nel pepe e gi in gola secondo la tecnica
del cocchiere. Assapor con gioia e disse:
Posseggo altre 175 lire, lo prendiamo un altro litro di
Terzigno?
Anacleto era gi piegato sotto la botte a riempire il litro. Si
sentiva meglio. Fuori pioveva a dirotto, ma dentro comin-
ciava una bella serata.
Entrarono infatti in quel momento altri quattro avven-
tori che dissero:
Buonasera a tutti.

42
N o v e l l e
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti
La carrucola

La carrucola

Cominciai a intravvedere mia madre verso il 1925


quando avevo quattro anni. Le sue apparizioni potevano riu-
scirmi chiare o sfumate, ma sempre fugaci. Potevano veri-
carsi a notte profonda, allalba, di pomeriggio o dopo giorni
in cui lei si era ritirata ed era riuscita senza che nessuno di noi
ne ricevesse fastidio. Lei che dorm piuttosto poco aveva un
assoluto rispetto del sonno degli altri, anche di chi doveva
tutto a questa sua veglia, nei primi tempi forzata, in seguito
invincibile, ma mai trasformatasi in unabitudine. Nella fase
nale infatti si avvi senza superui addii con la solita imper-
scrutabile letizia sicura ora che non sarebbe stata disturbata se
non da compagnie a lei care e a noi sconosciute.
Il suo passo era soce, appena un tocco come in un pa-
vimento di pelliccia quando attraversava la casa o discendeva
45
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

la scalinata. Un lieve tocco si avvertiva subito dopo quando


era uscita alla strada perch a questo punto la preoccupazione
per salvare la quiete altrui simbatteva in un ragionevole li-
mite. In ogni caso il suo andare non aveva nulla del tacchettio
delle donne. Era una maniera diversa di toccare la terra, cali-
brata e bene appoggiata la scarpa per evitare fossi, pozzan-
ghere, dislivelli e tutti gli altri trabocchetti disseminati do-
vunque in quella zona. Non rincas mai accusando di aver
preso una storta o di essere affondata con un piede nel fango
o nel terreno morbido dei seminati.
Le strade battute da mia madre erano cittadine e perife-
riche, di montagna e di campagna, tratturi, a volte, piste o
tracce. Altre volte doveva attraversare torrenti o canaloni. A
quei tempi non si andava per il sottile. Il Reame di No era
certamente pi bello e aperto, pi popolato di alberi, ori e
uccelli, ma meno comodo. Capitava che un casolare si tro-
vasse di l dalle rive del Sarno, ma non per questo lAutorit
per una, due o tre case sparse e di povera gentesi deci-
deva a mandare una squadra di operai per gittarvi un ponte e
allacciare i due versanti. Si andava avanti secondo i disegni
della natura.
Destate i torrenti erano secchi. Dinverno si dispone-
vano sui loro letti dei massi di roccia e, di sasso in sasso, mia
madre vi saltellava sopra con quella sua borsa svolazzante
quasi avesse al guinzaglio un cane straordinario. Alla ne, fra
ragli, muggiti, nitriti, pigolii e labbaiare dei cani, che ben
presto lei si sarebbe resi amici, mia madre raggiungeva la
46
La carrucola

casa colonica, labituro o il pagliaio da cui le era stato lan-


ciato lS.O.S.
Mia madre era di media, quasi di piccola statura e di sa-
goma piena. Non le si sarebbe dato un soldo come atleta. In
alcuni periodi fu persino abbondante. Voleva gurare bene al
anco del marito che corpulento fu sempre, ma, per cos dire,
nobilitato dallaltezza. Questa raggiunta armonia di forme in-
torno ai quarantacinque anni da lei fu considerata una meta.
La sua sagoma sinseriva nellideale femminile del marito,
che lei am senza discutere no a morire con la mano nelle
sue mani. Rimane per un mistero il numero delle arti usate
per non sciuparsi dato il tipo di lavoro in cui si era impegnata
e nello svolgere il quale chiunquesobrio anche negli ali-
mentisarebbe diventato asciutto. Mia madre rimase piena.
vero anche che non sempre era costretta a raggiungere
le case delle clienti a piedi. Se si trattava di assistere la mo-
glie di un uziale del 30 Fanteria di stanza a No, di un in-
dustriale o di un grande proprietario, costoro no al 1930 le
mandavano la carrozza di propriet o datto n sotto casa.
Dopo, sentimmo anche lo spegnersi e laccendersi di un mo-
tore di una 906 o di una 921 Fiat. Ma la stragrande maggio-
ranza delle clienti di mia madre erano contadine, mogli di
operai, braccianti, manovali, stagnini, cestai, tappezzieri, arti-
giani, fornai e via lungo questa discesa no alle mogli delle
pi spettrali sagome umane aggirantisi per i sobborghi di
No.

47
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

I contadini erano comunque gli unici che venissero a


prenderla con i loro legni. Alcuni col biroccio, altri col ca-
lesse, altri ancora con il traino o con il carretto o, meglio, con
la carretta a balestre. Erano quattro veicoli assai diversi fra
loro. La prima azione di mia madre era infatti di affacciarsi
per valutare con uno sguardo il mezzo. Il veicolo denunciava,
come lautomobile ai nostri d lestrazione del cliente, il suo
valore in moneta. Se possedeva un biroccio si trattava quasi
certamente di un sensale di frutti o di un massaro molto po-
sato. Il biroccio, oltre ad avere le ruote cerchiate di ferro,
aveva una sorta di considerevole portabagagli. Era una mac-
china per svolgere affari, adoperabile, volendo, anche per una
passeggiata a guisa di una giardinetta che di domenica e nei
giorni di festa funge da automobile per famiglie numerose. Il
calesse denunciava un ceto sociale superiore. Le ruote erano
cerchiate di gomma. Larmatura era composta di legno pre-
giato e verniciato. Snello, dalle stanghe sottili, poteva rag-
giungere notevoli velocit. Era scoperto, ma con la spalliera
imbottita a capitonn e con a bordo una riserva di plaids.
Inoltre aveva fanali penetranti e alimentati da pile.
Con i carretti si passava in un altro mondo, in un di-
verso stadio o cerchio umano. I carriaggi erano di due tipi.
Mia madre ne conosceva le diverse caratteristiche a mena-
dito. Il carretto era un traino pesante a tre attacchi, cavallo
centrale e due balanzini. Di tavolato massiccio, di ruote gi-
gantesche e cerchiate di acciaio lucido e diaccio come rotaie
sembrava quasi unarma di guerra. Aveva una tara alta con
48
La carrucola

linconveniente del peso per cui il suo passare di allora si po-


trebbe paragonare quasi a quello sferragliante di un carro ar-
mato di oggi. Non sfuggiva ai fossi e vi rintronava dentro.
Quando uno di questi legni arrivava sotto casa, special-
mente di notte, chi dormiva si svegliava. La carretta a balestre
di solito veniva acquistata e usata dai contadini giovani con
qualche soldo o con molte speranze. Nei confronti del traino
si manteneva nella stessa proporzione del calesse a paragone
del biroccio. Non ho mai visto, n ne vide mia madre, un gio-
vane su un traino, mentre sulle carrette a balestre i giovani
riuscivano a guidare allimpiedi, a tenere alto il morale del
cavallo e a terrorizzare i pedoni.
ovvio che il legno che pi di frequente veniva sotto
casa nostra era il trano, essendo numerosa e assai prolica a
quei tempi la gente addetta allagricoltura. La carretta a bale-
stre aveva il retro inclinato e mia madre non amava sedersi in
faccia al sedere dellanimale, n sotto le gambe aperte del
contadino alla guida. Il retro del trano si trovava invece alla
stessa altezza della parte anteriore donde partivano le stanghe
e su questo legno mia madre volentieri si sedeva al anco del
contadino chera venuto a prenderla. E cos in due si avvia-
vano verso il buio dei Cicalesi, della Starza, di Codola, Piedi-
monte, Pietraccetta, San Mauro, Sarno, Cerzeti
Noi e gli altri casigliani al contrario preferivamo che ve-
nissero a prenderla dei clienti appiedati o a bordo dei silen-
ziosi e slanti calessi. Si scongiuravano le ribellioni degli in-
sonni a cui non sembrava vero di cogliere loccasione (per far
49
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

qualcosa) per aprire il balcone, affacciarsi e protestare contro


il conducente, quasi che costui potesse evitare o attutire il ru-
more del suo veicolo. Il carrettiere rispondeva a suo modo e
tra denunce, minacce e altre rimostranze, mia madre provava
come un senso di colpa. Questa colpa per nessuno dei vicini
gliela addebitava, anzi aggiungevano: Non vogliamo pren-
dercela con la signora, con questa povera donna e se il
carrettiere con mia madre si erano gi avviati, dentro di noi,
nellanimo delle mie sorelle, e nel mio e forse anche in quello
di mio padre, avendo ascoltato lalterco e i compassionevoli
commenti, la famigerata carrucola cominciava a scendere e a
salire con pi insistenza del solito.
Cosa era questa carrucola? Mio padre fu sul punto di
dannarsene. Esegu lunghe ricerche, si fece aiutare da amici
muratori e, in capo a molti anni, da schiere di idraulici, per-
suaso che si trattasse di un difetto dei raccordi esterni della
grondaia. Fece rimuovere il sistema idrico esterno, dalla
strada al cornicione, spostare e togliere tegole vecchie, rim-
piazzandole con nuove, ma di quel che noi si diceva come di
un suono di carrucola non si trov la causa. La misteriosa
carrucola doveva essere qualcosa di pendulo che cominciava
a muoversi e a sbizzarrirsi sinistramente al ritorno della cat-
tiva stagione.
A No, citt chiusa fra i monti, umida da lasciar bagnati
gli abiti addosso anche destate, gli autunni e gli inverni si
succedevano a volte con interminabili piogge, temporali rotti
da tuoni e fulmini, con vere e proprie tempeste, grandinate e
50
La carrucola

ghiacciate. No, nel cuore del sud, potentemente industriale,


dautunno e dinverno neanche per nebbia e freddo ha da in-
vidiare nulla a molti comuni del nord. Fra questi elementi la
carrucola impazziva. Essa che normalmente doveva muoversi
con moto oscillante in certe notti compiva giri vorticosi. Vo-
leva dire che fuori cera il nimondo e che era prudente star-
sene in casa riparati e al caldo.
Si poteva invece scommettere sullarrivo di qualche
cliente e tra i pi sperduti e forastici come quelli della Starza,
una frazione al limite della campagna pi tta, forse anche
pi ricca, ma di certo pi selvaggia di No. In questi casi
di novembre, di dicembre, di gennaioera duro assistere
alla vestizione di mia madre mentre noi si ngeva di conti-
nuare a dormire. Qualcuno avrebbe potuto offrirsi di accom-
pagnarla per proteggerla sia dagli elementi, sia dalluomo,
che spesso non aveva una faccia rassicurante. Ma nessuno di
noi si offr una sola volta di prender parte allimpresa. Il ma-
rito laiutava ad imbacuccarsi e a coprirsi bene; qualche mia
sorella si alzava dal letto per decenza, caso mai accompa-
gnandola n gi alle scale, discese le quali per mia madre ri-
maneva sola in compagnia dellestraneo sopra una carretta il-
luminata da un oco lume oscillante e che lavrebbe traspor-
tata fra sbalzi ed imminenti cadute e ribaltamenti e in un fra-
casso dinferno in posti, luoghi e gente di cui nessuno dei ri-
masti a casa aveva la minima idea. Ed ecco che ci pensava la
carrucola a tenerci desti per almeno cinque mesi allanno.
Negli altri, il Reame di No cupo e freddo dinverno e chiaro
51
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

e dolce destate, potevamo consolarci dicendoci che uscire di


notte col tempo bello non era poi questo disastro. E difatti la
carrucola taceva.
Il suo ronzo non fu mai avvertito da mia madre, che in
proposito si prendeva burla di noi e di pap. Conoscendo la
lunghezza donda del suo udito, in grado di avvertire larrivo
di una carretta e in genere di una chiamata a molti chilo-
metri di distanza e molto tempo prima che venisse bussato
alla porta, questa sua singolare sordit per noi rimase sempre
un mistero. Della capacit del suo udito mia madre diede in-
numerevoli prove. Spontaneamente e in pieno silenzio si al-
zava dal letto e al marito che la guardava diceva: Star arri-
vando Agostino, o Nicola, eccetera. Mio padre non osava
dirle: ma resta a letto pi che puoi; oppure: come fai ad es-
serne tanto sicura? Col suo passo daria, senza sollevare un
rumore, aprendo e chiudendo le vecchie porte di casa, quasi
tutte cigolanti, con estrema lentezza, sostenendole sui cardini,
si lavava, si vestiva, si dava una passatina di cipria, deponeva
in vista borsa, cappello, sciarpa, soprabito e attendeva tran-
quilla larrivo nella stanza che oggi avremmo chiamato sog-
giorno. Se nel frattempo qualcuno di noi si alzava non rima-
neva sorpreso di trovare la signora intenta a leggere uno di
quei suoi libri in molti volumi o a scrivere una di quelle sue
lettere riempiendo i fogli con una graa nervosa come lo
spinato disposto a reticolato. Sollevava il capo e sorrideva
come pu fare un estraneo cortese quel tanto che basti, ma in
effetti contrariata.
52
La carrucola

La notte per lei era diventata un ambiente naturale e


forse pi spazioso e animato del giorno. Carrettieri, contadini,
erbivendoli, facchini, fornai, spazzini, vagabondi, guardie
notturne, pattuglie, tutta gente quasi invisibile durante il
giorno, durante la notte debbono avere una strana solidariet
fra loro. Quando ognuno ritorna a casa non deve sentirsi a suo
agio. Va come a nascondersi o si mantiene in disparte in at-
tesa della notte in cui sicuro dincontrare gli addetti al la-
voro proprio di mantenimento della notte perch non si ab-
batta proditoria sul sonno degli altri uomini. Nottambuli
una parola volgare e impropria per denire questa categoria
di gente che lavora nelluniverso del silenzio, senza dar fa-
stidio ad alcuno, con passi felpati e in grado di fondare ami-
cizie profonde e puntuali con poche parole dintesa. Nelle
notti serene quando mia madre si avviava su una carretta le
sue parole suonavano fresche davanti al palazzetto della no-
stra casa.
Parole, risate o risonanze accompagnavano le sue par-
tenze (pi di mille, forse pi di diecimila e quindicimila in
tanti anni di attivit) lungo le strade esterne e interne del
Reame, con altrettanti ritorni mattutini con gli occhi ridenti e
le guance rosse di una scolara; spesso con mazzetti di ori di
campo, narcisi, giunchiglie, viole, rose, anemoni o con un pa-
niere di chi appena colti o di albicocche o di altri frutti, che i
contadini le offrivano.
Eravamo la prima famiglia di No ad adornare la casa
con rami di ori di pesco e di ciliegio. Ne portava a volte
53
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

anche di febbraio, raccolti in mezzo alla neve e con ori vi-


vidi e gelidi da sembrare cristallizzati. Portava spesso anche
pagnotte di pane caldo di forno su cui noi, le mie sorelle ed
io, ci affrettavamo a spalmare il burro sotto i suoi occhi ri-
denti e di una rara potenza di luce. Questo nostro mangiare e
il girarle dattorno delle glie era il suo riposo: il canale in cui
poteva versare i suoi racconti uviali di cose viste e sentite.
Si capiva che in questo modo si scaricava, si distendeva e ri-
posava.
Unora dopo era di nuovo in forma e ove mai le capi-
tava una mattinata o unintera giornata vuota la sua attivit di
casalinga, di cuoca e di pasticciera raggiungeva primati di or-
dine e lindura e misteriose e sperdute tradizioni di cibi anti-
chissimi, secondo unennesima ricetta di nostra nonna; che
non avevamo potuto conoscere neanche in fotograa, ma alla
quale lei sosteneva di continuare a parlare, a condarsi e a ri-
ceverne lumi e consigli. Lo stesso poteva dirsi di zia Giusep-
pina e zio Luigi, inseriti fra noi come conviventi.
La domenica era senza dubbio la giornata centrale della
settimana. Incredibilmente le partorienti si prendevano ri-
poso. Difatti i nati di domenica (come di giorno) sono (o
erano) rarissimi e le mie sorelle imponevano a mia madre di
riposare qualche ora di pi. Volevano servirla, portarle il caff
a letto, prepararle la mise invernale o primaverile che
avrebbe dovuto indossare in quel giorno destinato ai batte-
simi.

54
La carrucola

Se ne celebravano decine, diversi nella classe e nel


grado. I poveri mandavano a prendere mia madre con la car-
rozzella, pur essa comunque lustra e stillante acqua della re-
cente lavatura. I pi agiati mandavano la Vittoria, aperta,
larga, dai cuscini trapuntati, con grandi fanali di cristallo tra-
scolorante, il cavallo nero e dalla pelle lucidissima col pen-
nacchio e i nimenti di cuoio naturale o quasi rosso, lauto-
medonte in tuba e stiffelius.
La toletta in un veicolo di cosiffatta tradizione regale
era di rigore. I clienti lo pretendevano. Era un giorno troppo
importante per il glio o la glia che da animali, battezzati,
sarebbero diventati cristiani. E mia madre, aiutata dalle mie
sorelle, non li scontentava e si scherniva appena se la parago-
navano alla regina Margherita e in qualche cosa per davvero
le somigliava, nel cipiglio e nella bonomia; mentre certo
che quanto a devozione da parte dei suoi umili sudditi mia
madre la regina la superava di parecchio.
Tutti sinchinavano volentieri davanti a una donna stra-
ordinariamente attiva e che conosceva i pi intimi segreti di
migliaia di famiglie. Quando poi ci si accorgeva che aveva
saputo rispettarli e tenerli sepolti insieme con tanti altri parti-
colari in quegli anni di forsennati tab, alla stima seguivano
la gratitudine e laffetto, un senso di ducia e qualcosa -
nanche di pi sottile e profondo, di natura materna e religiosa.
Il suo andare era fatto di soste pi o meno lunghe, fer-
mandosi a parlare con questa o quella donna, di recente o re-
mota conoscenza. La fermavano i maestri elementari per co-
55
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

noscere le reali condizioni della famiglia di un certo ragazzo


(di strada); i carabinieri per prendere informazioni su qualche
sperduto casato di campagna o di citt. Mia madre conosceva
nascita e morte di intere dinastie e dal contrassegno di un
volto di un bimbo, da un neo, da un tic, da una voglia era
capace di risalire ai genitori, ai fondatori di quella determi-
nata stirpe salva o dannata, contadina od operaia.
La sua entrata nei vicoli dei casali aveva del memora-
bile. Dai bassi e daglinterrati si affacciavano a salutarla le
donne coi bambini seminudi fra le vesti, mentre ragazzi, cani,
e cagnolini cominciavano a compiere acrobazie, capriole e gi-
rotondi sempre pi stretti intorno alla sua borsa da cui si di-
ceva saltassero fuori i neonati cinguettanti, ma nella quale,
per scienza, quei furbi sapevano si trovassero depositi di cara-
melle, biscotti e cioccolatini, gomitoli di fasce, pacchi di
ovatta, campioni di medicinali, supposte, pasticche, persino
un fornello a spirito con tegamino per bollire le siringhe, ter-
mometri, bottigliette di alcool oltre, sintende, limmancabile
tabacchiera. Il suo vizio.
Davanti a certi antri di spietata miseria (in quegli anni di
tetra gloria molti vicoli sembravano corridoi di lazzaretti) mia
madre si fermava, sapeva che dentro cera quasi sempre
qualche ammalato. Chiedeva notizie della malattia, il nome
del medico curante, inlava qualcosa sotto il guanciale della
paziente o della puerpera bisognosa e accettava volentieri un
caff. Cercava insomma di mettere un po dordine allindi-

56
La carrucola

genza per poi passare alla casa seguente: da una cortina


allaltra.
Molte di esse avevano un nome: la cortina dei Pezzenti,
la cortina dei Pignara (antica famiglia feudale), la cortina del
Pozzo, di Capocasale (famigerata), di Casalnuovo: veri e
propri superaffollati e promiscui paesi intercomunicanti fra
loroin tangente o concentricilabirinti di cui mia madre
e pochi altri conoscevano il lo giusto per venirne fuori.
Qualche volta provai ad accompagnarla in una di queste
visite quotidiane, deciso ad andare no in fondo. Invano per
tentai (come fosse niente) di entrare e rimanere tranquillo in
quei fondaci neri. Spesso si dovevano discendere una serie di
scalini al di sotto del livello della strada. Quasi sempre il
luogo era illuminato da un lume a petrolio. Tutto appariva su-
dicio, logoro, pieno di mosche ed insetti striscianti. Tavole af-
ancate ai letti, cucine economiche dai portelli sfondati e con
su pentole in cui sembrava potessero bollire soltanto intrugli.
Spesso lammalata, una vecchia, madre della cliente di mia
madre, voleva vedermi da vicino, toccarmi e percorrermi il
volto con le sue dita stecchite e maculate per accertarsi se ras-
somigliavo a mia madre e se, rassomigliandole, ne avessi ere-
ditato anche lapertura del cuore e della mente. Erano attimi
atroci di ribrezzo. Dal corpo e dalla biancheria della paziente,
che pure qualche volta poteva indossare camicie con merletti
e ricami, denunce di usanze forzosamente abbandonate, sa-
liva, quasi come un vapore, un tanfo repugnante.

57
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Era dicile riutare una tazza di caff o cioccolato o,


peggio, residui di pasticci o di torte. Mia madre invece accet-
tava di buon grado, sorbiva e assaggiava con gusto e, inau-
dito, invogliandomi a fare altrettanto, ngeva di non avvertire
la mia ansia di ritornare allaria aperta. Altrettanto le sue
ospiti contro i miei riuti non insistevano per cui, dopo pochi
istanti, loro venivano a trovarsi di l e io di qua, solo. Ma fra
loro, cordiale, ciarliera e vivicatrice, era rimasta mia madre.
Questa separazione col passare degli anni aument in-
vece di diminuire. La intravedemmo sempre di meno. Forse,
per risparmiarsi un poco e costrettavi da chiamate contempo-
ranee e in una stessa zona, restava fuori anche due tre giorni,
rimanendo in contatto solo con mio padre, il suo uomo daf-
fari. Ma mentre lei approfondiva luniverso del dolore e degli
affanni, di parti dicili, di stupri, di tagli cesarei, di abusi, so-
prusi e incesti, noi potemmo distruggerci, grazie al suo la-
voro, in una vita, al confronto della sua, vana ed estranea.
Ai suoi ritorni il suo bene e il suo affetto materno non ci
mancarono mai. Ma i gruppi di minuti liberi di cui poteva di-
sporre li dedicava a scrivere lettere tte e gremite a zio Luigi
in viaggio da anni a bordo di carrette della marina mercantile,
molte delle quali le venivano restituite dalle Regie Poste
perch sconosciuto il destinatario allultimo indirizzo, e a zia
Giuseppina da trentanni emigrata nellAmerica del Sud.
La sua famiglia da fossa comune si era ben presto dis-
solta, ma i pochi anni in cui riusc a mantenersi unita dovette
seminare in lei affetti profondissimi e tali da improntare il
58
La carrucola

resto della sua vita fra noi come a una fuga. Quando infatti le
pervenne lultima chiamata da molto lontano, prima di sa-
lire a bordo della barcollante carretta, sinl nel petto una
foto come un salvacondotto.
Questa foto, che si trova fra i ricordi di mia sorella, do-
veva risalire (suppongo) al periodo precedente il matrimonio
con mio padre. Vi ritratta in compagnia di zia Giuseppina.
Entrambe vestono allo stesso modo e sembrano gemelle.
Cappellini a forma di pagliette con nastri e ori sulle falde,
abiti serici lunghi, scarpe appuntite con fbbia, orologetti con
occo a pendentif, sotto lo stesso ombrellino da sole. Sullo
sfondo i platani della villa comunale di Napoli, in quegli anni
ancora adibita a maneggio.
In questa foto si direbbe che le due fanciulle siano di ot-
tima discendenza, piene di buon gusto, leggere e soavi, per-
corse da miti e contenute passioni, senza una ombra intorno
agli occhi ridenti del buio sociale da cui provenivano.

59
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Padri & Figli

Il padre era seduto nella solita poltrona della sua vec-


chia camera matrimoniale. I quattro gli andavano e veni-
vano per tener dietro a unanimata discussione. Passavano
dalla stanza da pranzo al corridoio e da questo alla camera da
letto quando volevano evitare di fargli sentire certe cose che
era meglio rimanessero tra loroIl vecchio aveva intuito che
un suo qualsiasi intervento sarebbe stato inutile.
Tu non centrigli aveva detto Raffaele.La
cosa riguarda noi e in ogni caso oggi sar presa una deci-
sione.
Vincenzo, laltro fratello, si dimostr daccordo con il primo-
genito e aggiunse:Oggi dobbiamo lasciarci con una deci-
sione, a tutti i costi.

60
La carrucola

Scriviamo tutto per beninosugger Gilda, la so-


rella,cos non vi potranno essere malintesi.
Il quarto glio, Nicola, medico condotto, osserv, come
al solito, un rigido silenzio. Provava un senso di fastidio per i
suoi fratelli e sentiva unacuta comprensione per quel padre,
burbero e severo quanto si voglia, ma che non si era mai fatto
indietro di fronte a nessun ostacolo pur di riuscire a dare ai
gli un nome e cognome.
Raffaele aveva avuto uninfanzia e una giovinezza sa-
cricate. Diplomatosi in ragioneria aveva dovuto a sua volta
gareggiare con il padre, un impiegato di banca, nellaiutare a
mantenere agli studi gli altri fratelli. Ciononostante Raffaele
aveva dimenticato e pur di giungere a una composizione
equanime della vertenza non voleva usare lodiosa tecnica del
ricatto.
Per il letto di giustizia in corso, come avrebbe detto
Saint-Simon, lo storico della turbolenta famiglia del Re Sole,
Vincenzo era venuto da Milano, Gilda, maestra elementare,
da Firenze, dove viveva con il marito, segretario capo delle
FF. SS., e Nicola, non senza dicolt di allontanarsi dalla
coatta clientela, da Viterbo.
Un medico condottostava appunto dicendo
come un condannato a vita.
Credi che noi siamo venuti a divertirci quaggi
disse la sorella.
Era un giorno destate e N., affondata tra Monte Albino
e San Pantaleone, sembrava un deposito dacqua stagnante,
61
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

un canale abbandonato in una marcia umidit, mista agli


espurghi degli scarichi delle sue fabbriche di pomodori. La
casa era allombra e il vecchio aveva ancora cravatta e bot-
toni neri per il lutto della vecchia, come negli ultimi tempi
i gli avevano preso il vezzo di chiamare la madre. Sintende,
per gioco, allamericana. Il padre, lui presente, lo chiamavano
pap; assente, il vecchio. Ora la parola era ritornata a Raf-
faele.Signoridisse con sussiego per labitudine con-
tratta nei quotidiani consigli di fabbrica della grande azienda
di cui era ragioniere caposignori, onestamente, potrei dire
basta. Ma quel che stato stato e
Intanto cominci a rinfacciarelo interruppe la so-
rella.
Quel che stato statoriprese a dire Raffaele
ma non dovete abusare ulteriormente del mio affetto liale
per il semplice fatto che sono lunico a essere rimasto a N.
Ora tempo di dimostrare a vostra volta di essere dei buoni
gli e dei fratelli comprensivi.
Non continuaredisse Vincenzo -. Lo avrei
portato da tempo a Milano. Ma in questo caso commette-
remmo un delitto. Il vecchio vuol restare a N. Milano, lo sa-
pete, una citt infernale. Poi, mia moglie, la conoscete.
Ora ti avvicini allargomento.
vero, non lo nascondo, mia moglie unestranea,
una mezza tedesca ed abituata a un altro sistema. In Ger-
mania un vecchio non determina la condanna dei gli
Ma che dici?disse Nicola.
62
La carrucola

Siamo sinceri: in Italia i gli sono delle vittime le-


gate a un patto diabolico. Un gli dovrebbe essere perpetua-
mente obbligato al padre di essere nato. In Germania, vi-
vaddio, i vecchi trascorrono, anzi vogliono trascorrere il resto
della vita in magniche case di cura, private o statali Per
non dire dellURSS e degli USA. Qua invece viviamo ancora
come barbari. A ogni modo non voglio far storie. Io sono di-
sposto a pagare il disturbo che tu e tua moglie vi prenderete
se il vecchio rimarr ancora con voi.
Raffaele si mise a ridacchiare.
Le tue ragioni germaniche, caro Vincenzo, non mi
fanno n caldo n freddo, senza dire che siamo tutti suoi gli.
Ma ora la cosa cambiata. Rosaria (la glia di Raffaele)
andr sposa tra un paio di mesi e poich la nostra unica -
glia, la nostra unica gioia, vogliamo che viva con noi e per far
questo dovremmo rintanare il vecchio nella cameretta della
roba vecchia. Ve la ricordate?
(Se la ricordavano bene i 4 Fratelli. Nicola vi aveva trascorso
lunghe ore a studiare e una volta vi era stato trovato svenuto
per mancanza daria. Gilda vi era invece stata sorpresa in in-
timo colloquio con un grosso sergente maggiore dellallora
imperante quartiere militare. Ma, dimentica del passato, ri-
spose):
Io trovo che rimessa a nuovo con un po di buon
gusto (e poi ti aiuteremmo nella spesa, caro Raffaele), po-
trebbe essere una buona soluzione.
Il cinismo della donna sorprese i tre fratelli.
63
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Ma vogliamo nire in galera?disse Nicola.


Nicola ha ragionedisse Vincenzo e ssando il
fratello medico aggiunse:Tu, tu solo potresti salvare la si-
tuazione.
Sarebbe tuo dovere. Sei ben piazzato. Sei stato
lunico fra noi ad avere una laurea e sei ancora celibe. La
compagnia del vecchio ti gioverebbe in ogni caso. Lo sai, non
uomo capace di starsene con le mani in mano e in una citta-
dina di provincia non dovrebbe soffrire come gli accadrebbe
di certo a Milano.
Credete che non vi abbia pensato?rispose Nicola.
il mio pensiero dominante. Ma dove lo cco? Nella mia
unica camera? E a chi lo lascio quando sono via. Io sono co-
stretto a uscire giorno e notte. Sono il medico condotto del
paese e se non rigo diritto le lettere anonime si ammucchiano
sul tavolo del medico provinciale.
E allora?disse, cercando di riprendere le la Raf-
faeleche si fa? Tu, Gilda, non parli?
Io sono donna e i padri di regola spetterebbero ai
gli come le madri alle glie. Ma non voglio farne una que-
stione. Io, poveretta, lotto da tre anni perch il fratello di mio
marito vuole spedirci mio suocero da Trieste. Se oso soltanto
fare a mio marito una proposta del genere mi capite? E poi,
ho le ragazze per casa e il vecchio, lo sapete, lo conoscete,
incorreggibile, ama girare in libert per casa. Dimentica
spesso e volentieri di essere un uomo.

64
La carrucola

***

Il vecchio dalla poltrona diede un sospiro. La cosa sor-


prese i gli che dissero:Ma stava ascoltando? . Per
evitare questo inconveniente andarono a rinchiudersi in ca-
mera da letto.
Il vecchio rimase solo. Si sollev dalla poltrona. Si rec
alla nestra. Apr di un quarto le gelosie e guard il ume
daria calda stagnante nella piazza, una volta (ma tanto-tanto-
tempo-fa) campagna, campagna verde, suddivisa allinnito
da bassi muriccioli di sassi con il semplice ordine del vec-
chio mondo. E il vecchio padre, che egli aveva amato e ub-
bidito n dopo la morte, quante volte gli aveva spiegato (e
aveva spiegato ai nipotini: Raffaele, Vincenzo, Gilda, Nicola)
il volo nuziale dellape regina e lo sventurato destino, la sua
caduta a piombo, mortale, dello sposo. Anche quando era di-
ventato un uomo-padre di quattro gli, il vecchio aveva inten-
samente amato suo padre. E da grande, con i suoi fratelli, gli
zii dei suoi gli, se lerano conteso. Ora la campagna era de-
vastata. I rari carriaggi, una volta risonanti nella notte come
diacce costellazioni, erano stati sostituiti da autoveicoli pieni
di uomini il cui unico grido di guerra sembrava fosse:
Mio padre per unautomobile! Mio padre per unautomo-
bile!.
Cos gli sembr di sentir urlare in una valle lontana
della sua memoria, dove gli apparvero le sembianze di Te-
resa, sua cognata, una maestra in pensione, in dolce ritiro nel
65
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

villaggio di Lazzarinico. Tante volte Teresa gli aveva detto:


Lasciali, vieni a stare con me. Ci divideremo una buona
morte insieme, staremo come due sopravvissuti dello scredi-
tato mondo copernicano.
Teresa si dilettava di losoa. Era unamica della sag-
gezza e aveva saputo accettare il mondo in letizia.

***

Intanto nella stanza da letto i quattro cavalieri del


mondo einsteiniano stavano per giungere a un accordo. Ni-
cola, sacricando tutto se stesso, aveva formulato una idea,
che avrebbe potuto portare a una soluzione concreta.
Cari fratellistava dicendonoi siamo quattro
affezionati fratelli come le quattro stagioni dellanno. Non ci
avete pensato? Simpegni ciascuno di noi a ospitare il vec-
chio per tre mesi allanno e facciamola nita una buona volta.
Legoismo ha un limite.
Raffaele grid:
Bene, bravo, sono daccordo, a patto per che il
turno non cominci da me. I miei primi tre mesi (sono quindici
anni lati) li ho subiti da tempo e chiedo un po di respiro.
un sistema sperimentaleammise Vincenzo
. Potrebbe dare qualche buon frutto.
Io voglio tanto bene a papdisse Gilda, rom-
pendo in piantoma come faccio con mio marito e con mio
suocero? Vi prego, aiutatemi. vedremoconcluse Raffaele
66
La carrucola

. si fatta ora di pranzo. Propongo di andare a festeggiare


il nostro incontro da Ciccio.
Portiamo anche il vecchio?disse Nicola.
Certamentedisse Gilda . Pap, pap -
grid, avviandosi verso la sua camerafa presto, su, metti il
cappello e andiamo a pranzo da Ciccio.
Nessuno parla? Nessuno soccorre una sorella sfortunata?
Escludendo Gilda dal turno, i tre mesi diventavano
quattro.
un po troppo, un poco sdisse il fratello mila-
nesizzato.
E tu, Raffaele?chiese Gilda rivolta al fratello
maggiore.
Va bene, ora

***
Il vecchio non rispose. Non poteva rispondere. Da una
mezzora era uscito con una valigetta dalla porta di servizio.

67
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Alcibiade

A un centinaio di metri da casa mia dovetti sostare


dietro una la di automobili. In questi casi gli autisti si ci-
mentano in ci che rimasto loro dello spirto guerriero: so-
nare la tromba, gridare alto il fastidio. Ma la la questa volta
restava silenziosa. Poco pi avanti caracollava la nera, abba-
gliante cristalliera di un carro funebre di prima classe e ora si
spiegava il silenzio degli automobilisti. Per la verit, qual-
cuno tent di superare il mesto corteo, ma la folla fece muro,
blocco, mostrando tanto di spalle allo screanzato. A me piace
molto assistere a codeste scene in cui il morto e la sua sorte
non centrano per niente. Ma le regole di un gioco vanno ri-
spettate no in fondo e, quindi, bisogna star buoni, silenziosi,
bisogna aspettare che il rilucente e funebre carro dilegui nel
sole o nelle tenebre di un mondo che, per ora, non cinteressa.
68
Alcibiade

***

Era per la prima volta che in quella strada, la mia, si


svolgeva un corteo funebre. Probabilmente ce nerano stati
altri, ma era la prima volta che mimbattevo in uno di essi. La
novit dest la mia attenzione. Chi poteva essere morto? In
quella strada solitaria e residenziale vi sono quattro palazzi
che dominano, incontrastati, il panorama di Napoli con spa-
ziosi balconi simili a giardini pensili tti di buganvillee e ge-
rani e il morto doveva abitare in uno di essi. Si trattava
dunque di un mio amico o di un suo parente o di un cono-
scente o di un uomo o di una donna o di un fanciullo che, in
una delle mie tante passeggiate, era dovuto capitare nel
raggio del mio sguardo. Piano piano la la di macchine sin-
cammin e, quando giunsi dinanzi al portone donde il fune-
rale si era mosso, fermai lauto, discesi e andai a leggere il bi-
glietto listato di nero e incollato sullampia porta di cristallo.
Era morto il professor Alcibiade Alfano.
Alcibiade Alfano? E chi era? In quel palazzo abitavano
gli Alfano, miei vecchi amici. Conoscevo un Michele, che era
proprio il mio amico, un Arnaldo, una Laura, ma di un Alci-
biade Alfano non avevo mai sentito parlare. Chi era dunque?
Landrone era pieno di ori. In un angolo, su un tavolino
stava aperto il registro delle rme. Vi apposi anche la mia, ma
nel rialzare lo sguardo vidi il portinaio con tanto di faccia
contrita e bramosa di dire quanto sapeva intorno allinsolito
69
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

avvenimento di cui era stato teatro lo stabile da lui sorve-


gliato.
Scusatemi, caro Renzo, ma chi morto degli
Alfano?.
Il professorerispose luomo delle montagne irpine,
il padre dei signorini.
Il padre? dissi a me stesso. Avevano un padre gli Al-
fano? continuai a chiedermi, sollecitando la memoria,
mentre Renzo decantava, in ogni senso, la nobile gura del
professore Alcibiade.
In casa Alfano, gente nata abbastanza bene e salita a ric-
chezza nelle avventure del dopoguerra, non mi era stata mai
presentata persona alcuna col titolo di padre e di professore.
Poveruomodiceva ancora Renzoaveva quasi
ottantanni.
Salutai e andai. Nello stabile adiacente abitavo io. Par-
cheggiai la macchina e salii in casa dove, come al solito,
trovai la tavola apparecchiata e i miei gli. Mia moglie mi
baci e mi disse: Hai saputo della morte del professore Al-
fano?.
S dissi.
Dovresti andare un momento da loro, per le condo-
glianze.
Ci andrrisposima, dimmi, tu eri a conoscenza
che gli Alfano avessero in casa il padre?.
In tanti anni di vicinanza io non mi ero mai imbattuto
nel professore, che, ora, mi raguravo, chi sa perch, come
70
Alcibiade

tutti gli altri Alfano, alto, vigoroso, dai capelli bianchi, dal
volto altero. Fino a quel momento avrei giurato di conoscere
quasi tutti i cento, i centocinquanta abitanti della mia strada e
invece Nel caso degli Alfano la mia ignoranza si rivelava,
per cos dire, madornale. Ero stato almeno dieci volte in casa
loro, di mattina, di sera, persino di notte, a pranzo, a cena, per
giocarvi a bridge, per assistere a qualche incontro di calcio
trasmesso dalla televisione e mi sembrava strano che gli Al-
fano, e Michele in particolare, non mi avesse mai presentato
suo padre.
E alloracontinuai a dire a mia moglielo avevi
mai visto?.
Norisposema sapevo della sua esistenza. Me lo
disse una volta Anna (era costei la moglie di uno degli Al-
fano) in occasione di quella gita mancata al Faito, ricordi?
Disse: Per via del vecchio! Per via del Vecchio!.

***

Il vecchio?. Fu un termine rivelatore. Vecchio, infatti,


diventato sinonimo di padre. Vecchio come la roba che si
butta in un canto e che non si ama avere tra i piedi. Ora tutto
era orribilmente chiaro. Anche gli Alfano, formidabili uomini
daffari, avevano accantonato in qualche remoto angolo della
casa il vecchio e con la scusa che i vecchi non sopportano il
chiasso delle compagnie di amici, i rumori, i ballabili, che
sono di unaltra generazione, lenti a capire e a capirci, lave-
71
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

vano eliminato dal giro dei viventi. Era morto il professore


Alcibiade Alfano, il padre di un mio amico? Era morto sem-
plicemente un vecchio; uno di quei vecchi che quasi ogni
casa nasconde in una stanza quanto pi piccola possibile e
poco sfruttabile perch i vecchi, a detta dei gli, debbono vi-
vere con poco e di poco.
Uscii come al solito sul balcone a fumare e mi misi a
guardare il mare e Capri sollevata sullorizzonte come un di-
rigibile. La suprema levit delle cose create mi dava sollievo
Mi ricordai che la prima volta a esplorare il mondo min-
segn mio nonno, al tempo di mio padre, quando mio padre
era appena un uomo anziano e il nonno, sulla cima dei suoi
ottantanni, sedeva ancora a capotavola o al centro delle com-
pagnie, vecchio, certo, ma ancora utile, attivo, fervido di pen-
sieri.
Anche mio padre avrebbe potuto connare il nonno in
un cantuccio, lanciargli uno scialle sulle spalle, uno scaldino
tra i piedi e considerarlo come una specie di svanito che bi-
sogna lasciar parlare a tempo perso. Lo avesse fatto e ora io
ricorderei non il nonno, ma un vecchio, una sorta di vecchio
oggetto ingombrante per il quale, anche volendo, sembra non
ci sia posto nelle nostre piccole case, che non sopportano
roba vecchia, che la medesima architettura ha congegnato in
un modo che non si conf a un vecchio.
Una cameretta di pochi metri quadrati non pu conte-
nere lesperienza di tanti anni. Una casa nuova, senza un ri-
cordo del passato, un fregio liberty o un motivo barocco non
72
Alcibiade

riscalda, non anima antiche memorie, date ombre di cui cer-


tamente sono piene le menti dei vecchi. Perci, nch riesce
loro possibile cercano di non seguire i gli e, quando vi sono
costretti, restano come ambasciatori muti persuasi che ogni
loro abitudine sar tenuta per una ridicolaggine; ogni loro
consiglio per una ennesima prova di codardia.
Forse per questa ragione il professore aveva preferito ri-
manere ermeticamente chiuso in un punto esiguo della stu-
penda casa degli Alfano con i quali lo legava un convenzio-
nale legame di sangue. E, quando pi tardi mi recai da loro
per esprimere le mie condoglianze e pregai Michele di mo-
strarmi la camera dove abitava, mi avvidi che la stanza di suo
padre era quella degli armadi, accanto a quella della came-
riera. Michele cominci a dirmi che era stato un buon padre,
un professore celebre ai suoi tempi, dalla carriera modesta
solo per via del suo antifascismo. Ma parlava come di una
persona morta tanto tanto prima, con una rassegnazione sta-
gionata.

***

La cameriera aveva aperto la nestra della cameretta,


arrotolato il materasso, appoggiato il letto sulla parete, sciac-
quato e ora stava spruzzando nuvolette di deodorante quasi a
vanicare luomo che vi aveva abitato e la sua memoria.

73
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Il grillo del focolare

A rigore, essendo il 1 aprile, a ben dieci giorni dallen-


trata (ma in altri tempi si sarebbe detto linaugurazione) della
primavera, sarebbe dovuta essere una giornata limpida come
cristallo di Boemia, rigata appena dagli stridi delle rondini,
aromatizzata dal profumo dei peschi e dei ciliegi in ore, ec-
cetera, eccetera. Ma poich rondini, ciliegi e peschi sono di-
ventati rari nello spazio e nel tempo (tanto vero che per fare
intendere a un ragazzo che una volta, ossia una ventina di
anni or sono, queste creature vegetali realmente esistevano, si
costretti a portarlo in campagna) ci possiamo mettere dac-
cordo sul fatto che era soltanto una pessima giornata, nera di
pioggia, di quelle che riducono la nostra citt simile a una
spugna o a un cencio inzuppato o a un paio di scarpe scalca-
gnate.
74
Il grillo del focolare

In questi casi, chi pu farlo, se ne stia in casa; giacch


fuori, allo scoperto, non c ombrello o riparo che tenga. Il
raffreddore, il torcicollo o linuenza niscono per ghermirci
e poich il cielo napoletano, volubilissimo, capace di can-
giare nel corso di unora e sfoderare una spada di sole l dove
aveva sguainato unascia di guerra, con un po di pazienza si
pu uscire allasciutto e far le proprie cose con ordine e pu-
lizia. Se si possiede, inoltre, camera con nestra e vista sul
mare e non su una giungla per civili abitazioni con cucine e
terrazzuoli pieni di riuti proprio dove voi vorreste vedere un
po di mare e un po di coste, una pianticella di basilico o un
prato sia pure minuscolo come un francobollo, graduando
lentrata della luce e grazie proprio alla nefasta, ventosa, irata
e brunognola giornata si riesce a ottenere un ambiente adatto
allintimit familiare, al calore della cucina, al minorino dei
saltellanti fagioli in pentola di coccio, allironica lettura della
cronaca cittadina, o, se si pi esigenti, alla lettura di libri
eroici, di tra le imprese di Ulisse e Magellano, i viaggi di Ibn
Battuta e le guerre di corsa, rapidissime e rapacissime, degli
Uscocchi, i quali anzi pi della scoperta dellAmerica ridus-
sero i vineziani alla limosina.
Niente di pi gradevole, via! in un giorno di aprile an-
cora freddo, gelido e invernale, piovoso e neghittoso (ma, ci
nonostante, con un suo remoto profumo di terra fresca, segna-
colo indiscusso della veniente primavera) che leggere in co-
moda sedia, (le donne in traco per le stanze fra biancherie
di bucato e sughi mucidi di spezie), le gesta delle suddette pe-
75
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

rigliose genti e niente di pi comodo se sul grosso, grasso e


soce bracciuolo della poltrona si pu tener poggiato un tele-
fono a forma di grillo, appunto, di Grillo del focolare di pa-
tetica e dickensiana memoria
Nello stesso momento in cui per un puro miracolo, in
piena et consumistica, si pu stare assisi come in antico, uno
si trova ad avere a portata di mano uno strumento in grado di
porlo dun subito a contatto con un vecchio amico perdutosi,
poniamo a Siracusa o con un cliente operante a Montgano
(Abruzzi) o con un direttore generale o altro potente in Roma
o con un conoscente del Vomero per domandargli graziosa-
mente se anche lass fa vento, neve e pioggia
Il telefono lo strumento che si pu senza mezzi ter-
mini e tanto meno vergogna denire una grande cosa. Si ha il
mondo in casa; lamico sulluscio della Tromba di Eustachio;
i dipendenti sotto pressione per cui, con le spalle al caldo, le
babucce ai piedi e un soriano da accarezzare, ci si pu sentire
uomini del proprio tempo, uomini daffari, capitani, mana-
gers e ordinare e comandare a una ciurma in dicolt su una
carretta nel Mar dei Caraibise si posseggono caratio a
una squadra di facchinise si pi modestamente proprie-
tari di unazienda di trasportialle prese con armadi e di-
vani da estrarre da uscite esterne come balconi e terrazzi.
dolcissimo. Fuori tuona e lampeggia sul prossimo in disagio e
tu, in trono, domini, chiedi, decidi, approvi, rampogni, e tutto
ci formando, sei, sette, otto, nove, dieci numeri.

76
Il grillo del focolare

Fu cos che, sfumacchiando e pensando ai miei affari


(ho unazienda di export-import) e adocchiando i sottotitoli
della 127 rapina in una banca nel LombardoVeneto, perfetta-
mente riuscita, formai il 37 37 37, il numero diretto del mio
capucio per ordinargli di porsi in immediato contatto col
nostro rappresentante di Amburgo, Evin Von Staffausen, per
un grosso negozio di broccoli surgelati da vendere come fre-
schi, appena colti dalle negre e feraci terre di No, celebre nel
mondo anche per la produzione dei peperoni, dei peperoncini
rossi, del russo forte, delle melenzane, dei cavolori, delle
carote e dei pomodori sia a guisa di lampadine, sia piccoli e
traccagnotti, come quelle di Corbara e di Tramonti, solide
come sassi e trasparenti come clessidre.
Ma ecco che, alzata la cornetta, avverto la cosa pi ur-
tante di questo mondo; il suono isterico delloccupato, simile
a quello di una zitella vecchia e sorda, che parli per parlare. In
mente dissi: Ecco, ci siamo. Speriamo bene. Ma riportato il
ricevitore allorecchio la zitella era ancora l con la sua unica
sillaba ta-ta-ta-ta. Riagganciai la cornetta e mi armai di pa-
zienza, tormentato dal dubbio che un altro export-import mi
soasse laffare. Ripresi quindi la cornetta, ma il trasmetti-
tore diede pi che mai il segno di occupato, questa volta, con
tono anche pi forte e insistito e con unevidente punta di ci-
nismo. Provai a formare il numero lentamente, ma tra un nu-
mero e laltro ecco l la voce della zitella ta-ta-ta-ta, para-
gonabile alle punzecchiature di una vespa. Mi alzai e mi avvi-
cinai alla nestra.
77
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

La mia casa sul mare sembrava un veliero tra i utti di-


pinto da Brueghel il Vecchio e la citt in lontananza un ali-
scafo sbattuto qua e l dai rovesci giganteschi delle onde. Ru-
mori, esplosioni, boati pervenivano ovattati al mio udito. Do-
vevano essere gli effetti dei soliti crolli, dellaltra mezza Na-
poli che stava sprofondando nelle sue stesse viscere, trasci-
nandovi dentro, a matasse, la rete telefonica: onde il persi-
stere del segnale di occupato. Che fare? Che fa labbonato? Si
raccomanda ai suoi santi, aspetta, spera; ritenta, riprova, ri-
forma il numero con buona volont, pausandolo bene, aiutan-
dosi con la lente dingrandimento per liberarsi di ogni ulte-
riore dubbio e lasciando che il disco ritorni comodamente in
posizione di fermo e si riposi un poco.
Trattato con tanta dolcezza il grillo sembr esaudire
le speranze. Ecco infatti il segnale di libero e il raggiungermi
di una voce, un poco strascicata e intrisa di dialetto, ma in
ogni caso preferibile allimperterrito strepito delloccupato.
Sono, io Serana a servirvi. Chi volete?
Scusi, signora, ho sbagliato.
Non vi preoccupate, non fa niente. Arrivederci.
Era decisamente una donna anziana, grazie a Dio, dal
carattere mite. Era intanto impossibile, essendomi aiutato
come ho detto con la lente dingrandimento, che avessi sba-
gliato numero. Lo riformai ed ecco di nuovo la voce della si-
gnora. Questa volta fu lei a rispondere pronto, aggiun-
gendo:
Sono sempre io, Serana a servirvi, quella di prima.
78
Il grillo del focolare

Signora, mi scusi mille volte. Ci devessere un con-


tatto. Qual il suo numero?
37 37 36rispose.
( un bel guaiodissi a me stessoora sono in
trappola. Il numero che sto facendo il 37 37 37. Con questa
tempesta pensai, il contatto fra il 37 e il 36 sar inevitabile. I
due li si staranno toccando in continuazione. Addio!!!...).
Rimetta a posto, gentile signora, riprover pi tardi.
Riprovate quante volte volete, pi riprovate e pi mi
fate piacerefu lincredibile risposta.
Poggiai la cornetta e mi misi a camminare come un
leone in gabbia per una decina di minuti o forse soltanto per
un due o tre. Dopo questa attesa snervante rifeci il numero ed
ecco di nuovo la voce della donna.
Pronto, sono sempre io Serana a servirvi e non c
bisogno che vi scusate. Che volete farci. Io sono una povera
vecchia ma, grazie a Dio, non mi manca nulla. Mia glia ha
fatto un buon matrimonio e mio glio, essendo morto mio
maritoun santuomo, era fornaio di prima classe, lavrete
certamente conosciuto, Pasqualino, lavorava a Via Fiorelli,
vicino al cinema dei signorie mio glio, dicevo, non si
sposato per tenermi compagnia. Per pu tenermi compagnia
solo la sera, perch, somigliante in tutto a suo padre di cuore
e di forma (non andava daccordo con questi sfaticati di napo-
letani) la mattina va a lavorare e ritorna solo la sera. Cos io,
povera vecchia, con un marito chera bello e buono, proprio
ora che sono tutta dolori, sono rimasta vedova e, pur avendo
79
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

una glia a cui non manca niente, neanche quattro bambini,


tre maschietti e una femminuccia, senza dire del frigorifero,
d lavapanni, d lavapiatti e d mchena a cinque posti e
un glio, che non sa cosa sia peccato o juoco e carte passo le
giornate sola sola. E fossero le giornate piene di sole. Ci sta
sempre da fare qualche cosa, annaare una pianta sul bal-
cone, chiamare il ragazzino del salumiere, guardare qualcuno
nella via. Ne accadono tante... Ma quando il tempo si scatena
lunica speranza, signore mio, rimane il telefono. Uno sente
nalmente un campanello arzillo arzillo trillare per le stanze,
pu rispondere pronto e avere il piacere di parlare con un si-
gnore gentile come voi. Credete che poco? Ripetete, ripe-
tete il numero quante volte volete, anche di notte, non vi pre-
occupate, non dovete provare vergogna. Io vi risponder
sempre.. Sono tutta dolori...
Era una giornata di pioggia.

80
Il maestro confuso

Il maestro confuso

Qualcuno doveva cominciare a prendere sul serio lini-


ziativa suggerita dal direttore delle scuole elementari. Il diret-
tore didattico, uomo dalle idee progressive, aveva invitato nel
suo ucio i maestri giovani e disoccupati e aveva tenuto loro
pressa poco il seguente discorso:
Giovanotti, se aspettate lincerto esito del concorso
perderete del tempo prezioso. Io voglio aiutarvi ma a patto
che voi mettiate a disposizione la buona volont. Posso orga-
nizzare quindici corsi serali e popolari. LIstituto offre gratui-
tamente penne, quaderni, libri. Ma debbono essere frequentati
da alunni che abbiano unet superiore ai quattordici anni.
facile. Le nostre misere e affollate strade sono piene di anal-
fabeti, bramosicos dissedimparare a leggere e a scri-
vere. Siete giovani, scendete nelle strade. Sono certo che
81
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

ognuno di voi ritorner indietro con una scolaresca avida di


apprendere e intanto avremo aiutato parte dei nostri concitta-
dini a uscire dallignoranza mentre voi vi guadagnerete un ti-
tolo, unoccupazione e molto merito.
Franz Storone fu subito preso da entusiasmo. Per la ve-
rit, Storone coltivava nella mente e nel cuore idee opposte a
quelle del direttore. Discendeva da una modesta famiglia bor-
ghese, rigidamente cattolica ma, proprio a nome di alcuni
evangelici principi, riteneva utile e necessario strappare al-
lignoranza molti poveri diavoli che, per lignoranza, pote-
vano commettere ulteriori errori di scelte politiche morali e
religiose. Franz Storone avrebbe potuto fare lavvocato come
suo fratello o avviarsi alla medicina come suo cugino o ten-
tare la carriera bancaria come suo padre. Ma n da ragazzo il
maggior divertimento laveva trovato nellimpartire lezioni ai
suoi compagni e quando poteva condurre un fanciullo pi
piccolo di lui per mano e dirgli o donargli il suo sapere si
sentiva pervaso da un profondo sentimento di gioia.
Per questi precisi motivi aveva scelto la carriera di mae-
stro elementare. Il professore di scuola media sarebbe stato
un affare diverso. Lalunno delle medie in gran parte gi
formato. Ai bambini delle elementari un vero maestro pu in-
fondere il meglio di se stesso oltre al sillabario. Gli scolari ri-
chiesti dal direttore didattico dovevano, vero, aver superato
linfanzia, anzi gli scolari desiderati sarebbero stati quelli di
et matura, tra i venti e cinquantanni. Ma che importava? Un
ignorante sempre un fanciullo.
82
Il maestro confuso

I colleghi di Storone, giovani facili, disposti a impiegare


il diploma per qualsiasi altro destino, quando uscirono dallo
studio del direttore, dissero che la sua proposta era vergo-
gnosa. Un giovane dabbene e istruito non pu andare girando
per le strade come un venditore ambulante, cercando donne e
uomini maturi da avviare alla scuola. Franz era invece entu-
siasta.
Disposto a recuperare un grande numero di anime da-
glinferi cittadini prescelse quale zona di esplorazione e di ri-
cerca quella che nella carta topograca della scuola era con-
trassegnata in rosso: Analfabeti 90 per cento. Non si poteva
dire una strada o un vicolo. Era piuttosto una sorta di gigan-
tesca pera capovolta e tratta di buchi-case, formicolante di
uomini-insetti: alcuni come incantati dallarida luce del sole
setacciata da cupi precipizi edilizialtri in perpetuo mo-
vimento, dalla via alla casa, dalla casa alla via.
Franz Storone non si era mai avventurato per quelle
strade che pure formavano il pi grosso agglomerato urbano
della sua citt nativa. Come tanti altri giovani bennati ne
aveva sentito parlare senza decidersi una buona volta a com-
piervi una visita minuziosa. Egli abitava nella parte pi bella
della citt e sebbene avesse sempre avvertito il peso di quel
mondo frantumato alle sue spalle (alle spalle della sua co-
scienza) non si era mai deciso a liberarsivisitandolo e svi-
scerandolodellinamovibile e metodica ossessione. Tanto
meglio. Ora ci stava dentro e non doveva aver timori.

83
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

***

Giunto ad uno slargo, che ricordava il cuore di un paese


di campagna piuttosto che la piazzetta di una metropoli (vi
erano carretti con le stanghe per aria, muri da cui sporgevano
polverosi ciu derba, gabinetti esterni attaccati alle pareti
dei palazzi come gigantesche chiocciole, graziosi balconcini,
la vecchiezza dei quali era invano ingentilita da vasi di gerani
e margherite) decise di cominciare lopera sua. Tent di chia-
mare una donna, ma si avvide di possedere una voce assurda,
inadatta allambiente, quasi fosse capitato in un paese stra-
niero e orientale, fuori del tempo e della storia. Doveva rivol-
gere la parola in italiano o in dialetto? Il suo dialetto era pe-
noso, faticoso, ingombrante, un vero e proprio adattamento
articiale e che, per quel che denunciava, si poteva risolvere
in un danno pi che in un vantaggio.
Decise, dunque, di adoperare litaliano, e, adatosi a
Dio, si avvicin a una donna seduta dinanzi a un uscio con
una pentola tra le gambe in cui lasciava cadere dei fagioli fre-
schi e disse.
Buon giorno, signora.
La donna lo guard con un vago interesse e rispose:
Buon giorno.
Scusatemi se vi reco fastidio, posso farvi una do-
manda?
Me ne potete fare cento.

84
Il maestro confuso

Sapete indicarmi trenta, quaranta persone vecchie o


giovani, ma non bambini, donne e uomini analfabeti che in-
tendono prendere la licenza elementare?
La donna smise di sgranare i fagioli e chiam:
Melinarivolgendosi a qualcuno allinterno della
sua casavieni a sentire che cosa vuole questo giovane.
Melina accorse, restando nellombra della casa e dietro a lei,
a rispettosa e sospettosa distanza, comparvero due mar-
mocchi pieni di scarabocchi sulle faccine, sulle camiciole e
sulle restanti parti del corpo seminudo.
Franz Storone con un sorriso propiziatorio ripet la richiesta.
Melina gli rispose:
Aspettate, ora chiamo mastro Gaetano, che forse
deve saperlo.
La donna venne fuori dalluscio e chiam mastro Gae-
tano, il quale, con la sua opera in mano, una scarpa da riso-
lare, disse al giovanotto di ripetergli la domanda. Franz Sto-
rone ripete la domanda e maestro Gaetano rispose:
Ce ne sarebbero molti. Io solo ne conosco un centi-
naio. Ma sono tutte persone che vanno per la campata. Scu-
sate, la scuola quanto d per questa cosa?
D tutto gratis, quaderni, libri, pennerispose Sto-
rone.
E denaro, nientechiese maestro Gaetano.
Sera radunata gente, tanta gente, dogni tipo, forma,
colore, et, avida di sapere e di riuscire a capire che cosa vo-
leva quel giovane. Frattanto si diceva che fosse un forestiero
85
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

sperdutosi; che era svenuto e perci aveva quella faccia


bianca bianca; che aveva perduto la madre, povero giovane!..
Mastro Gaetano, rivolto ad altri uomini e donne, spieg:
un povero giovane. Fa il maestro. Ma se non trova
gli scolari non ha il posto. E sta bene. Lui per non vuol dar
niente a chi va a prendere le lezioni. E questo non sta bene,
e rivolgendosi di nuovo a Franz Storone concluse: Sen-
tite, fate una cosa, dite al vostro direttore: Direttore, io sono
andato l, la gente c, anzi, ce n tanta che vuole imparare a
leggere e a scrivere, per bisogna darle qualche cosa di
soldi. E se accetta, non vi preoccupate, vi preparo io
lelenco degli scolari. Va bene?
Va benerispose Franze scomparve tra le pie-
tose mormorazioni della gente.

86
La delusione

La delusione

In altri tempi, con quel suo abito lungo da presbiteriano,


con quella sua cravatta fosforescente e il bracciale doro
dellorologio e la camicia di una candida onest operaia, fatta
in serie, in altri tempi, un tipo di questo genere, sbarcando a
No, a piedi o a cavallo, avrebbe fatto la ne di un attore di
grido; avrebbe avuto sempre gente intorno e se fosse entrato
in qualche casa altra gente sarebbe stata ad aspettarlo con
santa pazienza per vederlo in carne e ossa, per ammirare a
lungo e da vicino comera fatto un uomo salvo e che non
aveva paura dellavvenire.
Ma ora seduto sulla panchina di Piazza Municipio a
No si riconosceva da lontano che era un povero diavolo di
emigrante ritornato in patria con la delusione nelle pieghe
della faccia. Pochi gli lanciavano uno sguardo. La maggio-
87
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

ranza delle persone tirava diritto: proprio perch non veniva


notato e se lo era il suo caso era di quelli che infondono un
senso di compassione. In altri tempi, come dicevo innanzi, da
un capo allaltro del paese si sapeva che era tornato un emi-
grante dallAmerica; se ne raccontava la storia, punteggiata di
date e gli altri, i suoi coetanei rimasti a No, ancora una volta
provavano un profondo senso di pentimento per non aver
fatto la stessa cosa al momento giusto e prima che si chiudes-
sero le frontiere dellemigrazione in U.S.A.
Tra le due guerre ne arrivarono due o tre che rimasero
famosi. Giunse una donna della sterminata famiglia degli
Sberi, di nome Clementina, partita insieme con i genitori al-
meno una venti danni avanti. Era partita timida e smarrita
come tutte le ragazzine del tempo: glia di poverissimi brac-
cianti, coperta di cenci. Ritorn come limmagine vivente
dellemancipazione, ossia dellavvenuta trasformazione del
mondo delle donne assolutamente fuori da ogni realt no-
nese. Fu lei a portare in giro per le immemorabili strade del
comuneancora mezzo campagna e mezzo paeseuna
donna coi calzoni, con i capelli tagliati corti, il pacchetto di
sigarette nel giubbone di pelle e il bocchino in bocca come un
uomo, anzi con gesti pi caricati e sfacciati. Io ero piccolo,
ma non posso dimenticare che cosa avvenne. Le donne di
casa mia ne parlarono per giorni e giorni di tra linvidia e
lammirazione. Mio padre era letteralmente scandalizzato, ma
turbato. Ogni qualvolta Clementina usciva non solo si portava
dietro una folla di ragazzi, ma anche di adulti, fascisti in di-
88
La delusione

visa compresi che restavano attaccati ai muri, sentendosi su-


perati da quella presenza pimpante di femmina americana.
Sui terrazzi e sugli usci dei bassi le donne, a quei tempi
nettamente separate dal mondo e dalla vita degli uomini, si
segnavano con un segno di croce, come a scacciare il diavolo,
la tentazione o una strega.
Proprio cos! A No correvano ancora gli anni delle
processioni, della festa del Patrono, dei biglietti clandestini
tra danzati, delle relazioni innocenti damore lunghe anni e
anni e Clementina se ne andava tranquillamente a sedere da-
vanti al caff centrale, fumando e parlando con i parenti,
esposti l in piazza con lei, ma morti di vergogna. A poca di-
stanza laspettava uno dei suoi tanti cavalli e calessini da
corsa, con i quali andava a Cava dei Tirreni, a Salerno, nelle
campagne no a Pompei, sempre vestita da cavallerizza,
ovunque suscitando meraviglia e putiferio.
Non si riusc mai a sapere la ragione della lunga perma-
nenza di Clementina a No. Vi stette quattro anni. Al terzo,
compr in periferiadove una volta era la ne del paese
un grosso pezzo di terra con pochi dollari e al centro vi fece
erigere un villino, ben difeso da cancelli arabescati e vi port
camerieri e cameriere. Sulla sua vita in quella villa si dissero
molte cose misteriose. Un prete in vena di diventare cardinale
una volta os entrare per portarvi la luce del Signore, ma fu
messo alla porta. Poi, un bel giorno di Clementina non si
seppe pi nulla. La villa rimase chiusa. Ma chi oggi ha molti
anni dicilmente potr dimenticare la stupenda creatura pio-
89
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

vuta a No da un mondo sconosciuto e di cui nessuno allora


possedeva la chiave.
Laltro americano di ritorno, rimasto celebre col nome
di Zio Mele, quando tocc lavito suolo era gi una persona
anziana e fu il primo a darci unidea del businessman. Aveva
quasi tutti i denti doro, portava un cappello da pioniere, an-
dava in giro con una automobile affatata la cui imperiale toc-
cava il primo piano. Ma non fu tanto questo a meravigliare.
Lui comprava carri interi di paste alimentari e di barattoli di
conserve e confetture. Riceveva commercianti, industriali,
giovani, vecchi e diceva: Zio Mele pensa a tutto! Zio Mele
vi salver. Diceva: Qua ci vorrebbe un asilo e lasciava i
soldi per lasilo. Il concetto di antica ricchezza ricevette un
formidabile colpo. Zio Mele era la dimostrazione patente che
in altri luoghi della terra la nascita, il censo, non contavano
un co secco. Importante era luomo e la sua forza di volont.
Zio Mele, restato a No, sarebbe nito come era nato: un po-
vero cestaio. Emigrato in America era caduto in un paese
dove la sua genialit negli affari aveva potuto mettersi in
luce.
Il terzo fece unapparizione fugace di appena tre mesi,
ma lasci un ricordo negli animi che non si ancora dile-
guato. Il terzo era proprio americano, nato laggi, glio dita-
liani, anzi, se ben ricordo, era un nipote lontano di Zio Mele,
da tempo ripartito. Rappresentava la generazione che poi ve-
demmo in tutta la sua potenza nellottobre del 1943: alto, im-
menso, con una voce che si sentiva ovunque, sempre, sempre
90
La delusione

maledettamente a ridere e per ridere non vedeva con chi stava


parlando e per ridere non ascoltava. Non gliene importava un
co secco di tutto e tutti. Gli piaceva mostrare i dollari a man-
ciate, mescolati al fazzoletto, buttati come foglie secche tra il
petto e una delle sue camicie grido. Le donne non gli pia-
cevano. Non le notava. Gli piaceva stare con gli uomini e tirar
di boxe. Ma non cera un solo giovanotto che osasse cimen-
tarsi con lui. E allora dava pugni contro i pali della luce elet-
trica. Se andava dal bar al Municipio si serviva dellautomo-
bile. Aveva uno spider portato dallAmerica. In piazza, di do-
menica pomeriggio, mentre gli adulti facevano la siesta, dava
spettacolo ai suoi coetanei. Provava la sua macchina, che
molleggiava come il respirare di un pachiderma. La lanciava
a grande velocit sopra un carretto con le stanghe allaria ed
effettivamente ne usciva indenne, lui e la macchina.
Una volta, tanto per fare una cosa diversa, si arrampic no al
tetto di una casa, poi, raggiunto il secondo piano, si butt gi
dentro la macchina, al posto preciso di guida e part lasciando
i nonesi in una nube di fumo e di sgomento. Se stavi dor-
mendo si sentiva subito che Bill era arrivato in piazza. Era
lAmerica Nuova, lAmerica sperimentalista e malinconica
piena di mitiche follie come gli eroi di Hemingway.
Il nostro povero paese non poteva contenere un Bill. Si
capiva che sarebbe rimasto tra noi per poco. Si capivacol
suo vecchio e oppresso sangue meridionaleche gli pia-
ceva sbalordire. Ma si capiva anche che si era stancato di sba-
lordire, avendo negli occhi ben altri sbalordimenti da ricor-
91
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

dare, lui nuovayorchese. No piena di strade vecchie, di


gente glia della sciagura, di cattivi odori, di penosi tramonti
come la miseria n per opprimerlo.
Poi accadde quel che tutti sanno. Di americani ne ven-
nero a centinaia di migliaia durante la guerra. Il mondo si
spacc come un frutto marcio e non ci fu contrada di Europa
in cui non regnasse la morte.
Ora lemigrante seduto accanto a me sulla panchina,
con il suo vestito americano, sembrava un uomo allantica,
con abiti vecchi, un poco ridicoli. Che valeva per i nonesi
quel suo bracciale doro? E chi non ce lha a No un brac-
ciale doro? Ingombranti e brutte le sue scarpe, fastidiosa la
sua cravatta rutilante di seta articiale. Domandava quanto
costava questo e quanto quello e trovava che tutto era caro.
Una disfatta per un americano! Parlava di pensione e poteva
contare su una settantina di migliaia di lire al mese. Uno
spazzino in Italia oggi va a casa appena a cinquantanni e con
almeno trecentomila lire, casa propria, macchina e televi-
sione. Altro che America!

92
Za Bum

Za Bum

Mentre il barbiere con pettine e forbici niva di ta-


gliargli i capelli, Amelio, da gran signore, leggeva il giornale
che il garzone gli aveva messo sotto gli occhi. I capelli
Amelio se li faceva tagliare una volta al mese, quando la sua
testa a nocciola sotto il casco uente dei crini niva per rasso-
migliare a una castagna nel riccio. Povero Amelio! A Torino,
a Chartres o a Pirituba, delizioso paesino indios, a mezza
strada tra San Paulo e Campinas del Brasile, tutte capitali fa-
mose per saggezza amministrativa, sarebbe stato di colpo
promosso a un alto posto dirigenziale, tanto era bravo ad am-
ministrare le ottantamila lire che ogni mese riusciva a racimo-
lare con la professione di ragioniere, osservando un orario di
lavoro dallinizio certo e dal termine incertissimo.

93
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

I capelli una volta al mese, la barba due volte la setti-


mana e col rasoio a mano libera. Le lamette dovevano consi-
derarsi una spesa voluttuaria e nella medesima voce, depen-
nata, erano niti giornali, sigarette, espressi, bab, pizza e -
loscio, di cui era capace di mangiarne quattro luno dietro
laltro per tamponamento. II compitissimo Amelio, bennato,
tanto timido quanto educato, fornito di una voce di tra acidula
ed eunucoide, in anni in cui sono tramontati digiuni e peni-
tenze, si avviava a diventare un santo pi che un cittadino
della nostra radiosa repubblica.
Un cittadino dovrebbe possedere almeno tre abiti non
fosse altro che per una questione di igiene. Uno da indossare
durante il lavoro, un secondo dopo il lavoro, un terzo nei di-
stesi giorni di festa. Amelio ne possedeva uno soltanto; ed era
abilissimo nel preservarlo alla decenza e al decoro. Un citta-
dino dovrebbe avere una casa indipendente e Amelio e la sua
famiglia (la moglie e un glio) vivevano nella camera desti-
nata alla cameriera nellappartamentino della sorella della
moglie; e la sorella della moglie, lo aveva dichiarato, non
aveva ricevuto mai il bench minimo fastidio, tra i molti a cui
pu dare luogo la coabitazione. Fitto, in lire diecimila, sin-
tende, delle ottantamila che Amelio, come si detto, riusciva
a racimolare come ragioniere capo da un grossista di tes-
suti con magazzino nella storica Piazza Mercato di Napoli
(peraltro jettatoria dal giorno in cui si pens di mozzare il
capo a Corradino di Svevia, alle donne argomento di pianto

94
Za Bum

ed ai poeti) e come amministratore di tre condomini nelle


adiacenze.
Un cittadino inoltre dovrebbe possedere un frigorifero,
una lavatrice, una cucina americana, un televisore, un giradi-
schi per tener su lo spirito in tutte le ore del giorno o una
parte almeno degli elettrodomestici su elencati. Amelio e sua
moglie vivevano invece ancora nellera del Sapone Molle in
barile, nero e maleodorante anche se indicatissimo, come tutti
i prodotti antichi, a far bianco il bucato. Spesso Amelio giu-
rava a se stesso di farla nita col mondo del passato e di tra-
sformarsi in un protagonista del nuovo. Ma, ahim, nono-
stante la buona volont e lentusiasmo gli accadeva ogni mat-
tina di alzarsi con la mente piena di palpitanti e irrealizzabili
fantasie come si addice a unanima depressa soggetta a fugaci
esaltazioni e di dover scansare come diavolerie, quanto di
bello comodo e pratico si offriva al suo sguardo e quanto in-
somma avrebbe potuto alleviare la sua misera condizione.
Amelio si levava per tempo, rispettando la sveglia di
tutti gli uomini del mondo occidentale, ma, tanto per comin-
ciare, doveva evitare il bus come sua nonna, paurosissima di
prenderlo al tempo in cui queste macchine cominciarono a
sostituire la carrozza a cavalli. Per risparmiare Amelio pre-
feriva farsi una passeggiata gi e su per decine di rampe,
scalinate e accorciatoie di cui Napoli abbonda, dal Corso Vit-
torio Emanuele II, lantico Corso Maria Teresa, lungo cinque
chilometri no a Piazza Mercato, un bel tratto di strada; un
percorso ideale per gli allenamenti di un podista; e doveva
95
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

esser grato alla moglie che, sempre operando stregonerie


sulle lire ottantamila, riusciva a somministrargli la mattina
una grossa zuppa di latte. Qui cade a proposito dire che se
Amelio a Chartres o a Pirituba diventava dirigente, a sua mo-
glie, a questo cumulo di virt domestiche, avrebbero offerto
la sedia di governatore della Banca dItalia. Era lei che, prati-
camente, riusciva a trasformare le poche migliaia di lire in
centinaia di migliaia di centesimi, la moneta ideale per com-
piere spese in cui nulla doveva andar perduto.
Abituata a queste regole di ferro, la moglie riteneva
Amelio uno spendaccione, un dilapidatore del patrimonio do-
mestico. Con le sue voglie, le sue brame, non si sarebbero
mai potuti realizzare i futuri programmi. Desiderava canot-
tiere, mutande, calzini, scarpe, camicie alla moda, cravatte
sfavillanti, scarpe di marca, carne di primo taglio, una pa-
stiera tutta per lui; terrorizzando la moglie che, duciosa in
un futuro migliore, quasi ne temeva larrivo tanto erano le di-
sordinate voglie del marito. Quando al mattino Amelio si pro-
poneva di recarsi in ucio col bus unonda di calda gioia gli
si diffondeva nel corpo, ma doveva contenersi. La moglie sa-
rebbe stata subito pronta a rinfacciargli: Il bus, il bus, vo-
gliamo prendere un altro vizio. Ma il povero Amelio non
aveva scelta. Spesso si sentiva stanco e febbricitante e gli un-
dici chilometri di distanza da casa allucio gli si paravano
dinanzi come un itinerario interminabile: quasi invece di
camminare in avanti procedesse a ritroso.

96
Za Bum

Zabum, il supremo signore della sua vita, disordinatis-


simo in tutto e sofferente di bassa pressione sanguigna, dopo
aver bighellonato per lintera giornata dal negozio al bar di-
rimpetto il suo gigantesco deposito di tessuti di ogni marca e
dal bar al vicino mercato semiorientale di frutta e verdura,
con altri suoi degni compari (lespressione di Amelio),
sul far della sera, quando Amelio era ormai stanco morto, gli
spuntava la voglia di lavorare, di riguardar carte e fatture e di
dettare lettere semi ricattatorie ai suoi rappresentanti e forni-
tori.
In queste occasioni Amelio era il suo braccio destro e a
nome di questa fortuna e di questonore non doveva (e nes-
suno avrebbe osato) andare per il sottile. Zabum montava in
bestia al solo accorgersi che Amelio sbirciasse linarrestabile
sfera dellorologio.
Osate guardar lorologio in mia compagnia? Caro ra-
gioniere, sapete cosa farebbe la gente per restare a tu per tu
con me?.
Amelio si difendeva con dei miserabili:
Don Prcolo (Zabum era nativo di Pozzuoli e portava
il nome del Santo Patrono), don Prcolo, vi pare che io perdo
tempo a guardare lorologio? Se si tratta di me, possiamo
aspettare la mezzanotte.
E nel fatto, per via di quella maledetta pressione che,
con lavanzar delle tenebre diventava alta e uente nelle vene
di Zabum, spesso e volentieri il deposito veniva chiuso tardis-
simo. Dopo di che ad Amelio toccava di rincasare pi che mai
97
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

a piedi da Piazza Mercato a Corso Maria Teresa, questa volta


senza ombra di Vittorio Emanuele II perch, di notte, Napoli,
particolarmente nelle zone vecchie, ritrova tutta la pesante
eredit del suo luttuoso e promiscuo barocco borbonico.
A casa, per via della coabitazione e di una sua naturale
discrezione, Amelio si toglieva le scarpe e procedeva a ten-
toni come in una catacomba e apriva porte dai cardini striduli
con nevrotica lentezza; e spesso si buttava vestito a dormire
nella culla del glioletto, trasferitosi nelle braccia della
madre; e Zabum-Zabum gli rintronava nel capo con tutta la
sua possanza di uomo e padrone contro cui Amelio non riu-
sciva a ribellarsi non fosse altro che per la sua esiguit -
sica.
Il mattino seguente, ecco Amelio di nuovo in marcia.
Oltre ai libri mastri, alla corrispondenza in italiano, in fran-
cese, in inglese e in dialetto, al dare e allavere, alle scadenze
di tratte e cambiali e di cento altre bollette, potevano scate-
narsi glimprevisti. Zabum si vantava di essere un uomo al-
lantica, un uomo donore, un commerciante allinglese e nu-
triva un sovrano disprezzo per i ritrovati moderni. Ai suoi im-
piegati, Amelio, uno scrivano e un vecchio magazziniere,
Zabum amava ripetere che egli li considerava amici, parenti,
fratelli, persone di ducia, depositari della sua vita e dei suoi
amori clandestini, consumati tra le numerose navate, cappelle
e nicchie che si erano venute a creare con gli anni nellim-
menso deposito, pieno di scale e corridoi.

98
Za Bum

A nome di questa affettuosit Zabum si permetteva di


adare ad Amelio il compito di accompagnargli i gli a
scuola: E spiegateci un po di matematica strada facendo, vi
raccomando o gli ordinava di fare la spesa perch la sua si-
gnora moglie quel mattino doveva recarsi a un ricevimento.
Per affetto e ducia diceva. Che, poi, il fondo dellanima, il
fondo del bicchiere, Zabum ce laveva buono. Ho un marito
dal cuore candito, veniva spesso a gridare la moglie tra le
navate del deposito, andando in su e in gi per i corridoi om-
brosi, risonante di gioielli e braccialetti come una maga di un
NO giapponese. Verissimo.
Quando Zabum con alcuni dei suoi degni compari si ri-
tirava nel box, lo studiolo di vetro dalla cui vecchia scrivania
comandava le operazioni strategiche di alcune centinaia di
milioni, a pollastreggiare o a salsicceggiare, a mangiare in-
somma a quattro palmenti, divorati cosce petti e ali di polli o
di altri animali da cortile e da albero non mancava di gridare a
quelli di l: Approttate, pigliatevi questa sperlunga di
roba. Lo scrivano e il magazziniere non si stancavano di rin-
graziare e di divorare i resti. Amelio li considerava poveri
servi e si univa a loro solo per non ricambiare con una scor-
tesia il bel gesto del padrone, che, a suo giudizio, era odia-
bile, proprio per queste sue sbruffonerie di persona sazia.
E per tutte queste villanie, per i soprusi e le soper-
chierie, facilmente ricavabili da questa breve istoria, quando
Amelio, sotto il pettine e le forbici del barbiere, lesse in gras-
setto tra gli annunci economici lofferta dimpiego di una
99
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

grande ditta concessionaria di automobili a un autentico ra-


gioniere diplomato, conoscenza inglese, referenziato, ecc.,
sent uno squillo di gioia nel cuore e nel capo. Era la volta
buona, la grande occasione. Lo preannunciava il d di festa e
la data, un tredici di maggio
Il cognato gli prest un abito scuro, una camicia, una
cravatta, un paio di scarpe e cos rinnovato, cartella dei titoli e
delle referenze sottobraccio, si present al padrone della ditta,
sita in una delle principali strade di Napoli. Il padrone, appel-
lato dottore dai subalterni, studi il povero Amelio, diede una
sguardata ai titoli e alle referenze e disse che molto probabil-
mente lo avrebbe assunto. Felicissimo Amelio, sul punto
dandarsene, ritorn sui suoi passi timidamente e chiese:
Scusi, dottore, potrei conoscere lorario di lavoro?.
Il dottore rispose:
Giovanotto, mi avevate fatto una buona impressione,
ma debbo ricredermi. Noi siamo una societ a disposizione
dei clienti e lorario quello che . Voi giovani doggi...

100
Il Guaranise

Il Guaranise

La casa scelta da mia moglie a Ischia per la villeggia-


tura di quellanno godeva di una doppia posizione. Dal ter-
razzo si guardava un colle selvaggio con improvvisi squarci
di rocce e altrettanto improvvise, oride e verdi vigne e ai
suoi due calanti anchi, non molto lontano, lo specchio
dacqua di San Montano dun azzurro cupo e quello di Lacco
Ameno, pi domestico e sempre con qualche vaporetto napo-
letano in arrivo o in partenza.
Era una povera casa di campagna nel resto, col pavi-
mento di terra battuta. Due camere come due scatole con due
buchi in alto per laria e la luce. Vi dormimmo poche volte
perch preferimmo trasportare le brande in terrazzo e porre
tra noi e il cielo il vivido arabesco di un pergolato carico di
grappoli acerbi. Unico inconveniente, la mancanza di una ri-
101
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

messa per ripararvi la moto durante la notte e proteggerla dai


raggi del sole di giorno. Per la nostra strada passavano ba-
gnanti e ragazzini e questi ultimi, vedendo la motocicletta,
provavano a maneggiarla o a cavalcarla. Di notte, chi avesse
voluto, avrebbe potuto smontarla a pezzo a pezzo o rubarla. E
questo pensiero non mi dava pace. Il contadino che ci aveva
dato in tto la casa, andandosene a dormire in collina sotto un
pagliaio con la moglie e sette gli, mi aveva assicurato per
che nellisola non era ancora nata la malapianta dei ladri.
Avremmo potuto seminare banconote sullo stradone, nessuno
ne avrebbe toccata una. A questa affermazione potevo anche
credere, ma un fatto mi decise a cercare a tutti i costi un ri-
paro notturno alla moto. Dopo qualche giorno il manubrio si
era fatto opaco, annunzio della ruggine dovuta alla corrosione
dello iodio contenuto nel mare.
Lacco Ameno era distante pi di due chilometri e a quei
tempi, del resto non tanto remoti, intorno al 1950, lIsola dal
Raggio Verde non era stata ancora invasa dal turismo di
massa e le strade si trovavano allo stato di natura in preda alla
polvere. Lacco era da scartare. Lideale sarebbe stato di otte-
nere il permesso di mettere la moto in un casotto sottostante
la nostra casa, una specie di porcile abbandonato e rinchiuso
con una catena. Lo studiai a lungo, ne spiai linterno. Sarebbe
andato benissimo e annunziai la scoperta a mia moglie.
Lo vedimi risposebasta un po di pazienza.
Ma quando la sera il nostro contadino venne come al so-
lito a prendere i riuti per il suo maiale e gli chiesi di darmi il
102
Il Guaranise

permesso di sfruttare il casotto mi rispose che me lo avrebbe


attato volentieri se fosse stato suo e non di un certo Guara-
nise, un suo nemico.
Dove abita?
Quass, sulla strada di Foro.
Se era un suo nemico non lo doveva essere anche mio.
Glielo dissi e lui trov losservazione pi che giusta. La mat-
tina seguente presi la via di Foro e mi addentrai nella cosid-
detta terra del Conte. La strada era una mulattiera e il motore
della moto, costretto alle marce basse, si spegneva. Il mare
spuntava da ogni parte in quel bosco di vigne. Era una cam-
pagna fonda e cieca. Alcune viti stracariche di grappoli sora-
vano il terreno. Alla ne uscii a una largura di fronte a una ca-
tapecchia. Un bambino, completamente nudo, nel vedermi
fugg col suo incomodo pancione. Chiamai:
Guaranise, Guaranise.
Sbuc sullaia una donna col bambino di prima, ora se-
minascosto nella sua veste senza cintola.
Sta qui il Guaranise?
Che volete, dite a me, sono la moglie.Non si po-
trebbe parlare con lui?Sarebbe meglio se diceste a me.
Era bassa e piena con un collo tozzo, una faccia qua-
drata, due piedi scalzi come due pale di zappa. Disse svo-
gliata e canterellante:
Siete villeggiante?... Ora lo vedrete comparire mio
marito: Arcangelo! Arcangeloogrid con la mano alla

103
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

bocca e gli occhi chiusi come chiamando una divinit del


cielo.
Le dissi che avevo una moto e che quel loro porcile ab-
bandonato avrebbe fatto al caso mio. Non se ne ricordava. Poi
emise un ah e prese a sciacquare un bicchiere in un secchio
dacqua sporca, mentre sbucavano, mantenendosi sul chi
vive, altri due bambini, terrorizzati dalla mia presenza.
Quanti gli avete?
Quattro e aspetto il quinto.
Da quanti anni siete sposata?
Quattro.
Fate svelta voi,dissi scherzosamente.
mio maritorispose con disgustoSolo questo
buono a fare e a bere vino coi compagni.
E quanti anni avete?
Sono giovane, ventiduerispose, aggiustandosi i
miseri capelli a toppo.
Gliene avrei dato una quarantina. I suoi piedi, cammi-
nando, pestavano come due presse di ferro arbusti, foglie,
pietruzze, che si conccavano livellati nel terreno. Aveva una
pelle nera e macchie di sudicio ancora pi nere. Abbaglianti e
ferini i denti.
Arcangelochiam con rabbia questa volta, rivol-
gendosi al bosco di vigne.
Finalmente sentimmo luomo sfrascare.
Felice giornodisse nel vedermi.

104
Il Guaranise

Il signoredisse la moglievuole mettere la mo-


tocicletta nel casotto del legname.
Il casotto?rispose sbalordito luomoQuale ca-
sotto?
Il casotto a San Montano.
Il casotto?domand ancora il Guaranise. E
avendo trovato, con una risata, aggiunse:E che ve ne fate
di quel buco?
Il signore villeggiante, non hai capito?disse la
moglie allusiva.
Ma tutto sporco, bisognerebbe ripulirlo, proprio
oggi che debbo andare
Non ci vai a bere, vai a pulire il casotto. I villeggianti
non possono aspettare. E rivolgendosi a me:
Per la sua malavoglia siamo gli unici a non sfruttare
la propriet.
Il Guaranise era evidentemente infastidito. Si asciugava
il sudore del collo e della faccia coperta di barba verde tta e
irta.
Vi accompagno io con la moto. Faremo presto
dissi invitante.
No, questo no, vi seguo a piedi.
Ma no, vi prego, montate puree con piacere mi si
mise dietro, sul sellino guardando la moglie come
unestranea. Prima di partire insistii per conoscere la spesa
cui sarei andato incontro, ma la donna non volle pronunziarsi,
dicendo di nuovo:
105
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Siete un villeggiante, non sta bene.


Il Guaranise alle mie spalle cominci a chiedermi la
marca della moto, la sua velocit, felice e contento di poterne
avere una anche lui un giorno. Ma quando fummo davanti al
casotto si rimise di malumore, dicendo:
Non lo apro che saranno dieci anni. Come vi ve-
nuto in mente?Come mi aveva detto il contadino dentro
cerano tronchi dalbero marcio, terra ammucchiata, riuti di
ogni genere, stoviglie storpiate e un fuggi fuggi di animaletti
ragni, scarafaggi, millepiedi.
Vi piace veramente?chiese il Guaranise.
Mica mi deve piacere.
Allora posso cominciare!
Ma s.
Ammucchi nel fondo della tana la terra per poter far
girare la porta. Dovette spostare uno per uno i tronchi e
poich io gli offrivo continuamente da fumare si fece loquace
e si mise a sparlare del Conte suo padrone.
un peccatore, lha detto il parroco.. Una vergogna!
Un conte! Un proprietario! Non fosse che ogni tanto ci fa
bere a scialo.. a questora, ehm! dico io, non vi sembra?
La vita dura della campagna non gli doveva piacere. Si
ricordava invece con piacere degli anni in cui era stato mari-
naio, spingendosi, no in Asia e nelle Americhe del Sud.
Altro che Napoli!disse per farmi meravigliare.
Parlava con gioia, col gusto dello sfogo ed era lui ora a non
voler smettere di lavorare e di parlare e di far tutto per bene.
106
Il Guaranise

Alla ne, trasportammo la moto dentro e, accettate mille lire,


ci lasciammo soddisfatti luno dellaltro; sempre parlando dei
suoi viaggi di mare, del Conte e dei vini pregiati dellIsola
dIschia. Non mi sembr vero la sera, dopo la passeggiata con
mia moglie lungo il mare, di poter mettere la moto al sicuro.
Ma sul punto di addormentarmi in pace sotto il pergolato, fui
risvegliato da ripetuti colpi alla porta:
Chi ?
O Guaranise.
Che volete? Discesi ad aprire e lui disse:
Scusate, stavate dormendo? Io non ci sono potuto
riuscire per colpa di mia moglie. Mia moglie vuole seimila
lire al mese per il tto del garage.
Ora lo chiamate garage?Io non lo chiamo niente.
Dovete dirlo a lei.
Seimila lire? pazzesco.
O Guaranise era morticato.
Avete imparato a HongKong a derubare i villeg-
gianti?
Mia moglie non mai stata a nessuna parteri-
spose poggiando e stirando le mille lire che gli avevo dato sul
gradino della scala.Mia moglie non conosce il mondo..
perci mi fa fare tante brutte gure. Sentite a me, riprendetevi
queste mille lire e mettete lo stesso la motocicletta dove si
trova purch non lo dite a nessuno. Lei non scende mai a San
Montano. Volevo fargli accettare le mille lire, ma non volle.
Allora gradite una sigaretta?
107
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Ce nho, e dinglesi originali. Ne ho avuto oggi un


pacchetto da un mio compagno navigante.
Allora gradite un bicchiere di vino?
Questo s, un bicchiere non si riuta mai e c
sempre gusto a provare quello degli altri.
Lo feci salire su da me e su una tavola tonda di legno ri-
schiarata da una lampadina misera e polverosa nascosta nel
pergolato versai il vino acquistato la mattina a San Francesco,
un bianco asciuttissimo. Lui lo lipp con la lingua quasi vo-
lesse sprizzare delle scintille.
Alla salute!disse.
Alla salute!risposi.

108
La zitella

La zitella
(anni Cinquanta)

Amelia camminava a passo svelto per giungere in


tempo alla chiesetta di San Nicola, una cappella padronale
con la campana pi allegra che ci sia da queste parti e che gi
era suonata tre volte.
Amelia aveva fede in San Nicola, un santo bassotto con
una lunga e allegra barba no al petto. Sullaltare pi che as-
siso era seduto e si capiva che avrebbe preferito trovarsi in
una poltrona in sacrestia, a leggere ilari libri di vite di santi
colleghi, fumando una buona pipa di terracotta. Quella chie-
setta era troppo perbene per lui e sembrava guardarsi intorno
con meraviglia. Ad Amelia, sintende, il vecchio santo pia-
ceva per questo atteggiamento ed era convinta che tra lei e
Lui vi fosse unintesa.
109
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

A maggio nella cappella si diceva una sola messa, ma


per quindici giorni di seguito: messe in suffragio degli ante-
nati dei proprietari, i baroni Erbini che invitavano i migliori
signori di No a parteciparvi.
Entrata in chiesa Amelia corse direttamente allaltare, si
chin, lanci un bacio a San Nicola e, camminando allin-
dietro, ritorn verso le ultime sedie. Amelia non era uninvi-
tata perci doveva sedere in fondo alla chiesa in disparte.
Dopo aver detto con accoramento la prima preghiera lanci
uno sguardo innanzi a s, sulle spalle dei devoti e riconobbe
subito la glia dellindustriale Stufa. Ah, era dunque deni-
tivamente tornata da Bologna.
Amelia non era mai uscita da No, Era stata s a Sa-
lerno, ad Avellino, a Benevento, ma a Napoli vi era stata un
paio di volte e per un caso, di notte, per accompagnare dur-
genza la cognata per un parto dicile. Di Roma, neanche a
parlare. Altri tempi. Viaggiavano in pochi. Immaginarsi che
cosa doveva essere Bologna. Avrebbe voluto che nessuna ra-
gazza di No vi andasse per non incrinare le illusioni che si
gurava su quella citt. E invece Ecco una grande famiglia
bolognese ospitare nella sua villa chi? Margherita Stufa.
Allora anche Bologna doveva essere una specie di No, in-
giustizia dovunque e basta. Tent di pregare e di dimenti-
care. Il giorno prima aveva visto Margherita in bicicletta.
Vuol fare la sportiva con un quintale addosso. Ridi-
cola, in bicicletta, non prova vergogna. Ricord le risate fat-
tesi con Gina, una sua amica buona e virtuosa sia pure un po
110
La zitella

maligna e invidiosa nellavvistare lenorme sedere di Mar-


gherita fuoriuscire dal sellino. E i ragazzi e se lo merita si
erano messi a gridarle dietro allegramente. Giulio Antimori, il
glio del pi ricco industriale di No, un immaginario cor-
teggiatore di Amelia, a proposito della quintalesca ragazza
laveva fatta tanto ridere.
Qualcuno aveva soato in giro che Antimori in persona
aveva avanzato domanda di matrimonio. Ma Amelia non po-
teva e non riusciva a crederci. Giulio Antimori, scherziamo?
Era un giovane capace di alte idealit.
Suon intanto la prima scampanellata annunciante
luscita del sacerdote. Amelia chin il capo e prese a dire una
nuova preghiera di preparazione al sacricio, ma i suoi mille
pensieri la spuntarono sul raccoglimento per cui si ritrov a
guardare la gente. Si ud un passo pesante. Cap subito. Nella
sua macerata anima di provinciale aveva appreso la scienza di
prevedere e di combinare quasi per maga le cose che le
avrebbero recato dolore. Era difatti Antimori. Non seppe resi-
stere alla curiosit e, volgendo il capo allindietro, sincontr
col suo gagliardo sorriso.
Il giovane con un tono di voce discreto, necessario in
chiesa, le domand:
Sai se c Margherita?
Amelia gliela dovette indicare, rispondendo con lo sguardo
imparziale di chi intento a una profonda contemplazione.
Ma un irresistibile e caldo otto di sangue le si diffuse dalla
testa ai piedi e fu costretta a sedersi. Al balcone della sua
111
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

casa, al passeggio serale sul corso, alle feste, ovunque fosse


costretta a sorridere a una fortuna immeritata o a sentire le
lodi di una bellezza pi che comune, dallanimo, di Amelia
partivano sempre questi gridi di sangue.
Amelia, destinata a far la casalinga, passava giorni in-
teri a cucire e a cucinare con lo specchio nella coda delloc-
chio: decisa a giudicarsi con obiettivit, anzi a essere pi
dalla parte della Bruttezza che della Bellezza. Cera poco da
dire sul suo volto. Aveva capelli castani, morbidi, una seta; gli
occhi scuri, lenti a guardare. Il nero delle pupille netto sul
bianco della cornea. Le lentiggini? La ingraziosivano. Il
seno? Scarso ma ben fatto. La vita? (si girava davanti allo
specchio, tenendo ferma la parte inferiore del corpo) elastica,
girevole. Soltanto le gambe le trovava un poco polpacciute.
Ma le caviglie erano un amore, sottili come spaghetti. Che
aveva dunque di brutto? Sapeva cucinare, ricamare, parlare il
francese, montare in bicicletta, informatissima sul cinema, i
cantautori e gli scrittori e i commediogra che andavano per
la maggiore. Aveva anche cinque milioni di dote e biancheria
a venticinque capi. Il padre aveva sposato la madre senza una
camicia; lo zio, sua zia, poverissima, e il fratello, oh, il fra-
tello, disgraziato
Il fratello aveva sposato una ragazza di Salerno povera
in canna. Questa cognatapigra svogliata dalle mani di
avorio, fumatrice incorreggibile, il volto dipinto e grosso
le era antipatica; proprio perch rassomigliava alla glia del
colonnello, comandante il quartiere militare di No, una poco
112
La zitella

di buono; ma che si poteva permettere il lusso di riutare un


matrimonio ogni sabato-sera-danzante, dicendo che non era
ancora nato luomo fatto per lei. E intanto andava al verziere
col capitano della squadra di calciouna faccia camusa da
muratorein automobilee solacon quellavventu-
riero di Mario Fiore. Di quanto facesse con gli uciali della
scuola militare, meglio tacere Lavevano vista a cavallo in-
sieme con un uciale con la scusa dimparare a cavalcare.
Quando Amelia rivedeva la glia del colonnello si ri-
cordava della cognata e viceversa. Fin dal primo momento
ella aveva avvertito una profonda avversione per la salerni-
tana, che aveva osato presentarsi a casa in un modo tanto
sconveniente da far dubitare delle sue facolt mentali. Si pre-
sent, dinverno, in calzoni attillatissimi, che si vedeva tutto,
con leterna sigaretta in bocca, annoiata e presuntuosa come
un uomo. E il fratello, come un cameriere, pronto a offrirle la
nuova sigaretta, il cerino, prevenendo ogni suo desiderio. Il
fratello aveva raccomandato ad Amelia di parlare un italiano
purissimo quando avrebbe condotto la danzata a casa. Per
poco non confess, ma lo fece capire, di provar vergogna di
essere un Beci. Questi era luomo che si chiamava suo fra-
tello. Si era scelto un tipo di donna il pi odiato (o forse il pi
invidiato) da Amelia.
Amelia non avrebbe saputo fare tutte quelle moine; non
avrebbe mai saputo trasformare il suo accento meridionale in
quello di unattrice che ha o dovrebbe avere una vita e
unanima complicata. Eppure sua cognata era soltanto la -
113
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

glia di un ferroviere di terzo ordine; cresciuta e allevata in po-


vert. Ma come aveva fatto a trasformarsi in quel modo?
Amelia e suo padre, che non volevano assolutamente quel
matrimonio, per il bene del fratello sintende, si erano recati
diverse volte a Salerno per conoscere particolari intorno alla
vita della prossima sposa. E le previsioni erano risultate
esatte. Una poco di buono, una mezza avventuriera
La ragazza, presunta dattilografa di un avvocaticchio,
n dalladolescenza si vestiva, a dir poco, bizzarramente. E
chi le dava il denaro, il padre ferroviere? Cera da ridere. La
gente non poteva affermare o testimoniare nulla. La gente
pensa, dice, suppone, sospetta, ma, poi, si sa, nessuno pu
mettere la mano sul fuoco. Era stata vista per nello spazio di
due anni almeno al braccio di dieci uomini e almeno in trenta
automobili diverse.
Riferirono queste informazioni al fratello, che se ne usc
dicendo che queste erano le cattive maligne voci dellinvidia.
La sua danzata era un modello di virt. Ne aveva le prove,
disse. Il padre, come ultimo tentativo, impose ad Amelia, ma
non ce nera bisogno, di scrivere sotto dettatura una lettera
anonima al fratello in cui venne intrecciato in una sola trama
vero e falso, particolari sentiti e immaginati; con raccoman-
dazioni che mettevano in guardia sulla incapacit della dan-
zata di essere una donna fedele e virtuosa, senza dire del-
lignominiosa colpa di essere povera e viziata.
Scrissero e spedirono la lettera e se la videro ritornare
dalle mani del portiere e con le loro mani, Amelia e il padre la
114
La zitella

consegnarono a colui che era fratello e glio insieme. Il gio-


vane lesse con indifferenza. Poi, canticchiando, la ridusse in
pezzetti. Che cosa aveva dunque quella donna?
Quale fascino possedeva da ridurre a un automa un fra-
tello energico e sano come il suo? E, appena Amelia vide la
cognata, sebbene si fosse conciata da uomo e si atteggiasse a
donna superiore, fu certa che il fratello lavrebbe sposata
contro qualsiasi opposizione. La cognata la guardava, la trat-
tava quasi non fosse una donna, una ragazza con anima cuore
e sensi, ma un essere di unaltra specie, una madre vecchiotta
del fratello; sebbene il fratello fosse pi anziano di Amelia di
cinque anni. La considerava un essere ancora prigioniera
dinnumerevoli pregiudizi; senza dei quali soltanto una per-
sona pu vivere da protagonista il nostro tempo.
E dopo dopo che ebbe sposato il fratello, dopo averlo
fatto passare in poche giornate con chi sa quali incantesimi di
alcova (limmaginazione della quasi peccaminosa castit di
Amelia non aveva limiti e fondo su questo problema) dallor-
dine al disordine, dalla vita domestica vissuta nel simbolo
della pignatta fumante e nella pace dei lenti e gravi e tradizio-
nali rintocchi del vecchio orologio di casa a una vita di pal-
piti, di moltiplicazioni di debitiche chiamavano rate
venne fuori tutto il carattere della salernitana: quel caratterino
che Ameliache non era capace di sbagliarsi su questo ar-
gomentoaveva intuito e visto subito in tutto il suo svi-
luppo futuro.

115
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Quale colpa aveva commesso lamato, candido fratello


per meritarsi un simile premio? Scomparsa ogni equivoca
dolcezza, la cognata si rivel, per calcolo e fermezza, per pa-
dronanza e inclemenza, piuttosto uomo che donna. Aveva
tutte le inclinazioni della.. quella di sancarsi a letto no a
tarda ora, di fumare una sigaretta dopo laltra, quella di stare
sempre in calzoni corti, cortissimi e camicette ampiamente
svasate e trasparenti: tanto che i muratori di un costruendo
palazzo dirimpetto ululavano ogni volta che la vedevano, gri-
davano irripetibili motti, e lei, invece di scomparire e chiu-
dere le imposte, rispondeva con certe smore, buon Dio, e
certe parolacce, evidente denuncia di una condotta di vita di-
stratta non morta.
E il fratello? Amato e venerato da lei Amelia, servito
come un prete allaltare (gli portava il caff ogni mattina, gli
preparava la biancheria per il bagno; gli cambiava la maglia
se stava sudato; e quasi aveva studiato con lui al tempo degli
esami di ragioneria) ora si alzava per primo e andava lui in
cucina a preparare il caff per la salernitana, felice di farlo; e
nei primi mesi di matrimonio, i mesi delle tenerezze, i mesi
delle reciproche cortesie, i mesi in cui una sposa vuole dimo-
strare al suo uomo di aver fatto un buono affare, in tutti i
sensi, a scegliere proprio lei come compagna vita naturai du-
rante, il fratello, di ritorno dal lavoro, si doveva trasformare
in cameriere e servo, secondo un fermo ragionamento della
salernitana, che era tempo che glitaliani, imitatori degli ame-
ricani in tutto, lo diventassero anche nei riguardi delle fac-
116
La zitella

cende di casa. E il fratello? Il fratello rinforzava il comanda-


mento della sua signora con cospicui apporti di prove lette in
questo e in quel libro sulla vita degli americani di altri po-
poli biondi E con quanta mai cura, il disgraziato, con un
sorriso babbeo sulle labbra, sciacquava i piatti, sparecchiava,
sistemava i bicchieri e posate, orgogliosissimo, trionfante,
come unaltra persona, paurosamente sdoppiata: quel fratello
che da giovanotto a lei Amelia la comandava per tutto, per le
cose semplici e le dicili, gridante e minaccioso.
Ma lei stessa, la tutta consapevole Amelia, si sentiva
travolta dalla cognata. Si fece convincere a cucirle il corre-
dino per il nascituro, a fare quanto desiderava. Nel chiedere la
cognata, burbera e altezzosa no a un minuto prima, diven-
tava gentile e affabile, tutta bacetti e carezze che lei, oh lei,
avrebbe commesso chi sa che cosa per accontentarla: per sod-
disfare le voglie di colei che, nei tempi in cui correvano pochi
denari per la casa e cadeva nella paura di una vita meschina,
usciva solo con lei, candida e spaventata come una colomba
che senta la tempesta e nei tempi in cui il denaro ritornava a
correre per la casa aveva fastidio della sua presenza e se acca-
deva di vivere sul serio, di andare alle prime del cinema, di ri-
cevere persone di conto, lei cominciava a dire di trovarla
sciupata e le consigliava di restare a casa a riposare a tener
buono linquieto neonato. Se poi non poteva evitare di dover-
sela trascinare dietro Amelia si avvedeva che la cognata la
criticava con le amiche; la metteva in ridicolo; la spingeva a
dire sciocchezze o cose che da lei e dalle sue pari erano rite-
117
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

nute tali; no ad affermare (laveva sentito con i suoi orecchi)


che era una povera parente larga, unorfana raccolta in casa
dalla defunta madre del marito, appassionata di bambini e a
cui non era stata mai rivelata la vera anonima origine. E il fra-
tello? Perduto ogni onore e come uscito dalla consanguineit,
non sapeva farla rispettare e anzi voleva dimostrarle che sua
moglie non era cattiva, ma buona, un pezzo di pane, a saperla
prendere.
Basta. Ne commise tante la cognata che Amelia decise
di allentare i rapporti. N si lasci incantare da certe sue pro-
mettenti lettere dinvito e non volle seguirla nella villeggia-
tura a Ischia, sapendo bene che sullisola lavrebbe lasciata
sulla riva del mare insieme col nipotino. Tuttavia lesempio
della cognata, donna trionfante, aveva scalto la sua fonda-
mentale onest. E cos cominci a farsi cucire un calzone
nero aderente; a provare a vestirsi come la cognata, come la
glia del colonnello, come tutte quelle perdute vittoriose
che lei spiava, odiava e invidiava e invano tentava di imitare;
e conciata in quella maniera tent di giocare la sua ultima
carta nella societ di Nopettegolissima da sembrar sca-
vata in una gigantesca nube di zanzareche cornici invece
a deriderla, a insultarla apertamente, a inviarle innominabili
lettereuna delle attivit maschili e femminili del paesotto
nch una mattina trov scritto con una materia piuttosto
viscida sotto il portone di casa: USCITA PAZZA LA
VECCHIA, al che la mente di Amelia si confuse e pens per
la prima volta a odiose soluzioni Poi si calm, and ritro-
118
La zitella

vando se stessa sotto locchio aitto, consapevole e man-


sueto del vecchio padre.
Noi siamo nate vecchie le diceva Gina e anche se
fossimo nate nel 2000 sarebbe stato lo stesso. che siamo
state fatte cos. Guardami, osservami, non vedi come sono?
Sono il tuo specchio. Osservati. Amelia labbracci, gri-
dando frasi sconnesse per non sentire quelle atroci parole, di-
cendo che non era vero, che tutte e due mancavano di co-
raggio, ecco tutto, che bisognava darselo. Ma anche il co-
raggio aveva provato tante volte a darselo, Amelia, rischiando
la sfacciataggine perch tutte le volte che tentava di forzare il
suo carattere si trovava subito e inconsapevolmente a esage-
rare.
Di notte, poi, in quelle notti senza ne, insonni, rive-
deva ci che aveva fatto e si giudicava con acutezza, sotti-
gliezza, con accanimento, con occhi spietati. Rossa di ver-
gogna, piangeva i suoi pianti silenziosi. Avrebbe voluto giu-
sticare e gridare che lei sapeva di essere stata ridicola, ma
che erano stati gli altri, tutti gli altri a ridurla a tal punto e che
voleva sapere da qualcuno come doveva fare per essere presa
sul serio, per la donna che si sentiva di essere, nientaffatto
onesta o disonesta, ma come tutte le altre, giacch il solo pen-
siero di rimanere sterile o di restare, morto il padre, ritenendo
gi come perduto il fratello, sola per tutta la vita, la faceva
impazzire.
Amelia amava la vita, la casa. Si sentiva capace di com-
prendere un uomo, di soddisfarlo no al peccato, di saper cor-
119
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

rere con lui tutti i rischi e non si sentiva di accettare la parte


di zitella. Al mattino si alzava col capo dolente sul corpo bar-
collante e doveva fasciarsi la testa con bende inzuppate e con
gli occhi stanchi guardava dal balcone le bigotte, fasciate di
nero, avviarsi alla chiesa, rincuorandosi solo quando comin-
ciava a sentire gli scampanelli delle ragazze della fabbrica di
cotone che scendevano a squadre dalla Cava, da Pucciano, in
compagnia dei danzati.
Forse non lo erano, ma le sembravano ragazze felici di
appartenere al popolo minuto in cui si sposano brutte e belle,
grasse e magre, diritte e storte, perch tra quei ragazzi e ra-
gazze tutto si divide in parti uguali, dolori e miserie, gioie e
nozze; e il sentimento, sia pure rivestito di una rozza carne di
fatica, ha nezze ed estensioni sconosciute alle persone per-
bene; a cui senza colpa ella doveva appartenere.
Ma anche questa era soltanto una fantasia. Era anzi una
fenomenale bugia, perch quando aveva avuto una seria occa-
sione di entrare a far parte di quei ragazzi (una lunga tortuosa
storia a cui lei volle dare un nale negativo) si era riutata e
si era mantenuta altezzosa alla stessa maniera della cognata
verso il fratello; cos che quel povero capotecnico volle andar
via ed emigrare da No, non sopportando, non gi loffesa,
ma la delusione di non poter soddisfare la sua onesta brama
damore solo perch era natomale.
Al capotecnico non erano piaciute le sue compagne cos
come ad Amelia non piaceva un uomo che tutte le sue amiche
avrebbero considerato un uomo-ripiego; e sarebbe diven-
120
La zitella

tato subito luomo-intero e per bene se non fosse appartenuto


alla classe operaia.
Allora che cosa era pi forte in lei, il desiderio damore
o di un certo amore dato da un certo uomo? Non era capace di
buttarsi a capotto in questo profondo e inesplorato mare. Si
fermava alla riva.
Dlin-dlin. Suon la seconda scampanellata della messa.
Sullaltare apparve lassistente con in mano il libro che and
a posare sullaltare. Duecento e pi braccia si fecero il segno
della croce. Il prete apr il messale e lesse a volo alcune righe.
Si volt al pubblico con gli occhi chiusi.
Amelia si dedic nella contemplazione di San Nicola,
che solo poteva comprenderla, apprezzarla e ammirarla. Si
udirono alcuni passi pesanti e tutti si voltarono a guardare il
nuovo venuto, impalato sulluscio, un contadino con una scu-
riada in mano e un cappellone nero poggiato sul petto, che
guardava laltar maggiore con occhi spalancati, quasi ne ve-
desse per la prima volta uno. Delusa la gente riprese a borbot-
tare; allorch lorgano inton con due tre canne sottili alcune
note dellAve Maria di Schubert.
Fu una diana lacerante nel petto di Amelia. Era stata
tanto presa dalla preghiera, cos credeva, e dai pensieri da non
notare che la cappella ora aveva laltare coperto di ori e, per
terra, tra i due gruppi di sedie, dalluscio alla balaustra, cor-
reva una preziosa guida e labside era rivestita di stoffa az-
zurro-paradiso con fregi in oro splendido.

121
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Cosa, stava accadendo? Cosa centravano in quella


messa semplice le note dellAve Maria? Cosa si preparava
sullorgano dove si udiva parlare e dal cui balcone si affaccia-
vano varie teste rapate di giovani preti? Cominci a notare
che il prete celebrante volava pi che leggere, che lassistente
saliva e scendeva i gradini dellaltare con una fretta insolita
quasi che le misteriose e strombettanti automobili in arrivo
fuori la chiesa volessero sfondare luscio e penetrare nel
tempio. Amelia e gli altri si distrassero. Ella sent venir meno
il pavimento che la sosteneva. Qui si tratta di uno sposa-
lizio pens. Chiuse il libro e decise di rassicurarsi per non
soffrire dincertezza.
Il prete era giunto al Dio sia benedetto, benedetto il
Suo Santo nome e la porta della chiesa si spalanc.
Non si era sbagliata. Fu per felice di pensare trattarsi
della glia del barone Erbini, la baronessina Erbini, nal-
mente sposa si disse. E con chi? O non cera da temere
con lei, la Erbini era ricchissima. Trascorreva a No solo i
mesi estivi e in casa aveva ospiti di gran riguardo.
Non provava rabbia o gelosia, Amelia, per la Erbini.
Nessun giovane avrebbe potuto sposarla. S, si doveva trat-
tare proprio di lei, dato il numero delle automobili e deglin-
vitati in gran parte forestieri. Il sacerdote con una pianeta ri-
camatissima da alta cerimonia diceva:
Prego, indietro, fate passare.
Giunse Giannetto Erbini, il baronetto in compagnia della so-
rella. Giannetto indossava il tight, la sorella era in un com-
122
La zitella

pleto viola con un velo grande quanto una mano che le svo-
lazzava sui capelli. Giannetto era stupendo, alto. Si inchin a
salutare anche Amelia, che ne trem. Rispondeva: Grazie,
grazie a chi gli dava gli auguri. Povera Amelia, prov in-
vidia; non perch avesse mai osato alzare i suoi occhi su un
uomo come Giannetto Erbini, ma per la invidia in s, come
diceva la perda Gina. Dovera andato a scegliersi la sposa il
baronetto? Certamente tra le ragazze nobili di Napoli. Se per
la signorina Erbini non cera un uomo degno di lei a No per
il signor Erbini non poteva proprio esserci una sola ragazza
quanto si voglia ricca che potesse stargli al anco. Erbini era
un uomo di unaltra razza, nissimo, delicato, un sangue
bleu. La gente ora era uscita dalla chiesetta e sul sagrato si
apr un varco in cui entr la macchina della sposa. Dallauto
usc il colonnello, grasso, tozzo, con la testa a forma duovo e
i ba irti e serrati come spazzolini da denti, con la sciabola di
una met pi corta di lui. E poi, un angelo (cos apparve ad
Amelia prima di riconoscerla): la glia del colonnello, una
delle degne amiche di Margherita Stufa. Quella ribalda,
quella.. Ah, troppo. Anche un Erbini si pu lasciare accalap-
piare. Le vecchie belavano:Com bella. Abbondanza.
Abbondanza.
Amelia si spinse fuori e prese a camminare stordita, in-
credula e svanita, con le lagrime agli occhi e ignorando di es-
sere bella in quella mattina di primavera meridionale.

123
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Tentazione
(anni sessanta)

Quellestate partii da Milano senza salutare nessuno e


mi rifugiai in un paesino della Costiera Amaltana. Il trasferi-
mento non fu per cos semplice come potrebbe sembrare
ora. Partito in ritardo e nel pieno fragore delle vacanze e del
caldo, fui sul punto di far macchina indietro. Alberghi, pen-
sioni e ogni altro tipo di camere delle cittadine, dei paesi e
villaggi della penisola sorrentina avevano asso il com-
pleto. Ritornare al ponte di lancio per tutte queste zone, a
Napoli, e puntare alla ricerca di un posto allombra a Capri,
Procida o Ischia, oltre alla percentuale dincertezza che la
nuova operazione avrebbe comportato, mi esasperava. In
questa trappola non sapevo qual partito scegliere.

124
Tentazione

Ma forse il motivo che mi spinse a cercare ancora e a


percorrere quasi no in fondo la penisola fu il profumo degli
agrumi e la dose di fresca ombra protettiva a uscire dalla
quale un caldo piovoso rendeva insopportabile sul corpo
anche la pi velata camiciola di lo. Attraversavo abitati in
cui le case dei contadini e dei pescatori, i campanili e le torri
di ville superstiti ci stavano dentro come creazioni stesse
della natura, a differenza delle nuove costruzioni che in alcun
modo riuscivano a inserirsi nel tono generale.
A Sorrento non volli neanche provare. Il caff centrale
aveva spinto i suoi tavolini no al centro della piazza, scon-
trandosi con i tavolini di almeno altri tre caff. Al completo i
posti a sedere, al completo le balaustre del ponte prospiciente
la baia e, nei corridoi lasciati al pubblico vagante e al traco,
giovani leoni e giovanottesse si pigiavano con le note mo-
venze liformi. E io avrei dovuto naufragare tra loro? Ero
certo inoltre che, in qualche cantone di terra o di mare, il mi-
lanese, conoscente o amico, sarebbe saltato fuori e in quel
caso, atteggiato il volto a cortesia, disposta la voce a pronun-
ciare le formule dobbligo deglincontri occasionali, il mio
bisogno di solitudine e il desiderio di realizzare un pieno ri-
poso, sarebbero diventati come un fazzoletto caduto sotto
glimpervi piedi di una folla.
Il garzone di un distributore di benzina a cui domandai
come dovevo fare per trovare un luogo o soltanto un letto in
cui passare la notte mi disse:Vi conviene tornare indietro.
Siamo al luglio e se non fosse cos dovremmo chiudere.
125
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Qualcosa potreste trovare dalla parte di Meta. Fate cos, a


cinque chilometri, tornando indietro, prendete a destra e an-
date sempre avanti come porta la strada.
Seguii il consiglio. Tornai indietro, voltai a destra e
presi ad andare come voleva la strada, che voleva bene, come
lo sviluppo di un sogno decisamente favorevole e in cui si
pu diventare quello che si vuole: stella, isola, vespro in
amme o spuma o roccia a perpendicolo su un mare dal
suono di conchiglia e odoroso di alghe.
Su dalle nostre parti, in paesi forse pi intimi, non se ne
pu avere unidea. Qui luomo solo davanti al creato e si ha
limpressione di diventare una forma immemore della natura.
Per dare un ordine alla moltitudine delle mie impressioni ogni
due o tre chilometri mi fermavo. Si vedevano sempre le
stesse cose, per esempio le due isolette poco pi grandi di due
scogli appena aoranti sulla supercie del mare, detti, come
seppi in seguito Li due galli. Apparivano di forma sempre
diversa giacch la strada ad allontanarsi e a mutare le pro-
spettive. Ritenendomi un uomo coperto dincrostazioni e
senza speranza, labituale indifferenza si andava sciogliendo
e, come un bruco, sporgevo il capino oltre i muretti di prote-
zione della strada per fare un primo sommario catalogo delle
cose interessanti.
A quel livello di semplicit e di tenerezza daria una
volta tanto si poteva dormire anche allaperto. Bastava fer-
mare la macchina, accostarla alla parete di roccia e salire per
una delle tante esigue scalinate scavate nella pietra a qualche
126
Tentazione

largura. Avevo superato di proposito Positano per le stesse ra-


gioni offensive di promiscuit di Sorrento, quando, due o tre
chilometri pi avanti, la mia attenzione fu attratta da una ru-
dimentale freccia che indicava un precipizio in fondo al quale
avrei dovuto trovare una cucina piscatoria.
inutile che ne indichi il nome; farei un torto al viag-
giatore e lo priverei del gusto della sorpresa. Baster racco-
mandarlo come il pi bel posto del mondo, a livello del-
lacqua di mare, a bagno di luna; ancora saldamente in pos-
sesso di alcune famiglie di pescatori di saraghi. Si vedono
rozze barche, vele crespe come panni di colore, uomini dai
piedi a piante larghe indifferenti alle pietre che ricoprono let-
teralmente la spiaggia e si spingono n dentro il mare. Di l
da tutto questo si trova la Pagliarella, una cucina e alcuni
tavoli grezzi. Ci che non si pu cuocere sui fornelli, il trat-
tore (ma questo un termine improprio per denire un uomo
che lindigete nume del luogo) lo prepara sugli scogli ar-
denti. Cos cuoce i saraghi e i mazzancoglie e con la stessa
perizia sa rendere facili le cose complesse, come trovare un
letto o addirittura, alla ne di luglio, una stanzetta raccolta
con vista sul mare a un povero pellegrino di passaggio.
Viaggio da questa nottegli dissi.Vengo da
Milano e sono disposto a dormire anche in una stalla.
Luomo sorrise e disse:
Una bella camera le andrebbe bene? Venga, gliela
faccio vedere.
Vorrei tirare la capote sulla macchina.
127
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Se per la protezione della macchina, faccia pure.


Se per i ladrisorrisequesta gente tocca tutto: il vo-
lante, il cambio, la tromba, lo specchietto, ma non ruba. Ga-
rantisco.
Va benedissi.
Rifacemmo la stradina, ricavata al margine della roccia
come lorlo di un piatto, passammo sotto un ponticello natu-
rale e come fabbricato a mano nei suoi arabeschi calcarei e ci
avviammo verso la casetta a tre piani, come tre gradi di una
scala a dadi, dipinta di rosso. Salimmo per una scalinata
esterna no al terzo stadio della casa-albergo, luomo davanti
e io dietro a lui. Spalancata la nestra nel riquadro apparve la
cima di un albero di un veliero.
Ma molto bello quidissi . Mi piace
per davvero. Grazie, mi ha fatto un gran favore.
La ringrazio iorispose luomo.Io mi chiamo
Luca. Qui fuori trova i servizi, la doccia. Se poi ha bisogno di
qualche altra cosa basta che lei si avvicini alla nestra e dica:
Mari, e viene subito. una donna anziana, un poco sorda,
perci, se vuole che venga subito deve dire il suo nome come
a parlare. Se invece grida, lei lo scambia facilmente per un
tuono.
Divertente ;dissi - e di nuovo grazie. Fino a
che ora si fa poi da mangiare?
Fino allalba.
Rimasto solo mi distesi supino sul letto e abituatomi a un
buio con dei residui di luce potetti osservare in ogni partico-
128
Tentazione

lare i lamenti dellalbero maestro del veliero ancora nella


baia. La sua leggerezza era estrema e il piacere di quellim-
magine mi fece sorridere quasi precipitassi in una zona lieta
del mio spirito. Mi sentivo bene. La doccia fece il resto e in
un calzone di lino chiaro e in una maglietta scura mi avviai
dondolante verso la Pagliarella.
Prima di ogni altra cosa o meglio prima delle cose
nuove, delle caratteristiche ceste di pesci, vidi, unica e sola, la
pi vecchia: la sommit calva di una testa duomo, a me nota.
E prima che quel capo ritornasse in bilico, curvai il mio e mi
affrettai a sedere. Nel momento stesso in cui intendevo ribel-
larmi al caso (ritornare in camera, rifare le valigie e trasfe-
rirmi altrove, fosse anche a Milano) capii che una persona
seria, di fronte a certi accidenti, deve rassegnarsi. Quel capo
apparteneva a una persona che sebbene non fosse mia amica,
ogni qual volta mincontrava provava piacere a salutarmi, a
comportarsi in modo cortese: di quelle persone con le quali
esiste una segreta affettuosit in molti casi pi sicura di quella
su cui son incamminati due amici o che si ritengono tali.
Mi conveniva quindi comportarmi da uomo bene edu-
cato e accettarne le conseguenze. Alzai quindi il capo e
guardai nella sua direzione. Egli non mi vide. Tra me e lui vi
erano un cinque o sei tavoli al completo, in gran parte di stra-
nieri, in minima di italiani, genere yachtsmen.
Forti voci maschili e quelle delle donne di timbro pro-
fondo e agiato.

129
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Avrei potuto farmi schermo dei presenti ma alla ne, e


non sapr mai dire perch, fui io a muovermi per andargli in-
contro. Nella sua maglietta marinara il mio conoscente aveva
qualcosa che in borghese nel salone della Borsa di Milano
non gli avevo mai notato, una sorta di sorridente fermezza.
Che piaceredisse, alzandosiper davvero.
Come capitato qui?
E leirisposic arrivato da molto?
Mi vuol fare un augurio. Macch, da qualche setti-
mana. Resta parecchio?
Una quindicina di giorni, pu immaginare.
Si trover bene. un posto tranquillo. Lho scoperto
per caso lanno scorso e ci son voluto tornare. E lei quando
arrivato?
Ora, per caso.
Allora, si segga, continuer a mangiare in sua com-
pagnia. Non le dispiace?
Che dice? Il piacere mioe colp con una for-
chetta un bicchiere.
Un ragazzo in calzoncini e a torso nudo, su una piastra
infocata teneva a bada con una mazza infrascata i saraghi.
Ogni tanto li carezzava con le foglie zuppe di aceto e con la
parte opposta li rivoltava. Il profumo saliva no a noi su
quella specie di palatta incastrata nella sabbia. Il resto del
mare era buio e, quando dopo poco si sent lo sciacquo di un
remo e apparve una barca con sulla chiglia un lume a pe-
trolio, provai un profondo senso di distensione.
130
Tentazione

Il conoscente milanese millustrava il cerimoniale,


larte di Luca di rispettare la natura, di rendere a coloro che
diventavano suoi clienti lillusione di una vita semplice e
senza forzature primitive. Suoni e canti di ogni specie erano
proibiti. Cenato, io e il signor Bruno ci alzammo e ci av-
viammo parlottando verso la scala dellalbergo per ritirarci a
dormire. Nella nestra non trovai lalbero maestro; ma con la
memoria della sua immaginazione aspettai che la stanchezza
montasse e in essa mi fu facile annegare.
In quel lembo (o limbo) di coscienza mi avvidi che lin-
contro con il conoscente milanese non mi dava fastidio e che,
dovendo incontrare qualcuno, a Sorrento, a Positano o in un
qualsiasi altro luogo, quel tipo con la sua discrezione costi-
tuiva il migliore deglincontri possibili. Mi aveva fatto inten-
dere che lavvenire di quei giorni di vacanza si sarebbe svolto
in piena indipendenza. E quando il mattino seguente, per
prima cosa, mi affacciai alla nestra per dare uno sguardo ge-
nerale a quanto avevo intravvisto la sera, del signor Bruno
neanche lombra. Pi tardi, disceso alla marina, per avviarmi
allautomobile a compiere un giro dispezione nella zona,
Luca, incontrandomi, mi disse:
Buon giorno, come si trovato?
Benissimo.
Se le occorre una barca, ne abbiamo alcune a mo-
tore. Per sdraio, ombrelli, sci, chieda a uno dei due camerieri
alla Pagliarella.
Il signor Bruno si visto?chiesi.
131
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Ma lui esce presto la mattina. Spesso va solo alla


pesca subacquea e qualche volta caccia bene.
un uomo di mare?
Quando ne ha il tempo s. Alla prossima partenza del
peschereccio gli ho promesso di farlo accogliere a bordo.
Questa volta non si fatto in tempo.
Cera dunque il pericolo che fossi io a dar fastidio al
mio concittadino e quando, di ritorno dal breve giro dal vil-
laggio soprastante, avvistai a bordo di una piccola barca a
motore il signor Bruno, fui io a chiamarlo. Lui rispose con un
cenno della mano e mi invit a buttarmi ih acqua e a raggiun-
gerlo. Mi slai la maglietta e dopo poche bracciate fui a
bordo. Bruno mi mostr il frutto piuttosto scarso di molte ore
di lavoro subacqueo.
Sa perch, vengo quiprese a dire. un piccolo
mare inviolato dai fondi chiarissimi. C poco pesce, ma a
volte si hanno grosse sorprese.
Ha mai preso una cernia?domandai.
Aspetti, glielo dico subitoe fece un cenno a qual-
cuno sulla spiaggia.Gi sono le undici?aggiunse guar-
dando il grosso orologio da polso con il quadrante nero e le
cifre bianche.
Il qualcuno, come avevo fatto io, si butt a nuoto e ci
raggiunse. Ma andiamo secondo lordine dei fattivisti. Dap-
prima vidi uscire dalla supercie del mare due lunghe mani
livide e che afferrarono la sponda della barca, poi, spunt
fuori un capo oblungo ricoperto di un casco di gomma e di
132
Tentazione

esso due cose mi colpirono: le labbra simili a quelle di un


pesce carnoso e gli occhi, due pezzi di cristallo bluastro. Con
una spinta dal basso in alto e con laiuto del signor Bruno la
donna fu issata a bordo.
Eccodisse Brunole presento unamica. E ri-
volto a lei:
Come stai?
Meglio, quasi in forma.
Lavevo detto di riposare. Hai perduta la serata di
ieri, ma ora guadagni i giorni e le notti che verranno.
La donna mi guard a caso e accenn a un sorriso. Poi
si distese con il proposito di prendere il sole. Il signor Bruno
riprese a parlare di pesca e delle qualit ittiche di quel posto e
io non sapevo che dire ora che cera quella presenza a bordo.
Cercavo di non guardarla, ma subito mi avvidi di dover com-
piere uno sforzo per restare indifferente. Le sue cosce, rivolte
al cielo, erano gigantesche. Gli orli della bocca si stagliavano
sul resto del corpo perfettamente supino. La sua capacit di
star ferma, di non sentire le parole del suo uomo, di non inter-
venire neanche quando andammo dallaltra parte della baia
dove si aprono grosse e minacciose grotte di pietra su brevi
marine abbaglianti, fecero presa su di me.
Eccodisse Brunoquesto uno dei punti pi
limpidi e tranquilli per fare un bagno.
La donna si tuff e scomparve sottacqua ed io, per non es-
sere da meno e per la piacevolezza invitante dellacqua, feci
altrettanto. Nuotai bene, con vigore, sopra e sotto la super-
133
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

cie, ma quando mi voltai a guardare indietro, il mare ap-


parve vuoto, senza la barca di Bruno. Lei aveva raggiunto la
marinella. Mi avvist e mi fece cenno di raggiungerla. Gua-
dagnata la riva, dissi:
E il signor Bruno, che ha fatto, scomparso?
Fa sempre cos. Avr visto qualcosa dinteressante e
si dato a rincorrerla. unabitudine. Mi abbandona e
qualche volta mi dimentica; del resto, ad ora di colazione, per
quella stradina si raggiunge facilmente la Pagliarella.
Non sapevo che dire, che fare. Cominci lei, chiedendomi:
di Milano?
S, e lei?
Dovrei diventarlo, tra pocoe si mise a ridere.
Con il signor Bruno?
Bah, cos sembra. Ha visto che posto? E quelle
grotte? Avrei tanta voglia di visitarle. In paese credono siano
servite da dimora ad alcuni demonii del Medioevo.
probabile. Lei per la distruzione dei miti?
Un poco. Mi piace vedere le cose in faccia.
Allora andiamo, mi faccio coraggio e laccompagno.
E ridemmo. Ma sul punto dincamminarci sentimmo il
motorino della barca di Bruno ronzare al di l della minuscola
baia e quasi non si fosse deciso di andare alle grotte, si volt
di scatto e disse:
Non sente? il motorino della barca di Bruno.
Nello stesso momento in cui il piccolo fuoribordo compariva,
Manuela grid con quanto at aveva in gola:
134
Tentazione

Brunooo . Mentre la barca avanzava verso di


noi, ci portammo sulla riva e in segno di saluto Bruno ci mo-
str un pesce inocinato.
un omaggio al nostro amico. Se volete raggiungere
l Pagliarella per terra vi seguo subito. Il tempo di siste-
mare la barca.
Veniamo con tedisse Manuela buttandosi in
acqua.
A bordo cosa potevo fare? Lodai larte subacquea di
Bruno. La spigolaio me ne intendo pocoera uno stu-
pendo esemplare; e sebbene fosse quella la prima volta che
avrei avuto il piacere di mangiare un pesce pescato quasi
sotto i miei occhi, non riuscivo a fermare lirrompere di un
equivoco. Io e Manuela avevamo deciso di andare a visitare
le grotte, anzi, ad esplorarle, il che era molto diverso e, al-
limprovviso, come ragazzi, o peggio, colti sul fatto, ci ave-
vamo rinunciato.
Approttando della loro disattenzioneerano ormai
intenti a rimettere in ordine alcuni attrezzicercai di stu-
diarla. Aveva i caratteri della ragazza sana e sportiva e non
riuscivo a scorgere in alcuna delle sue linee, al limite della
pienezza, unombra o unambiguit.
Volete che vi dia una manodissi.
Siamo gi in troppirispose Bruno.
La fa lavorare come un marinaio la sua Manuela
aggiunsi.

135
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Eh, si deve abituare. La nostra Manuela mezza pu-


gliese e mezza calabrese e lei mi capisce.
Manuela gli lanci unocchiataccia amabilissima; ma ci non
tolse alcun valore al particolare geograco; che mi sembr
importante. Lequivoco dellesplorazione mancata sinseriva
nel gioco di una casistica psicologica a me sconosciuta.
Calabria e Puglia portano tristezzadisse Bruno scherzoso.
Lha mai vista lei una donna che non vuole andare a un
night, che vuole restare ferma sempre allo stesso posto? E
sappia, qui dietro, se ci affacciamo, si trova Positano. La sera
ci si sta bene e tranquilli.
Quanto a tranquillitdisse Manuelaquesta si
potrebbe chiamare La baia della Tranquillit.
Lei, che dice, ci starebbe a uscire stasera?mi do-
mand Bruno.
Un cavallone, uno solo, alto un paio di metri, ottuso e
violento come la rimonta di uno squalo, port la barca in alto
per la qual cosa io nii addosso a Manuela, che, avvertendo la
spinta, difese il capo voltandolo verso il mio, voglio dire
contro il mio sguardo e la ammata dei suoi occhi bluastri,
intensi di colore ma come liquidi, minvest con una forza
brusca e pari a quella del cavallone. Poteva trattarsi di unil-
lusione: ma io credetti di ricevere un messaggio, chiaro e pre-
ciso. E la sua risata a stornello fu un modo di assordare la ri-
velazione. Bruno mi aiut ad alzare dicendo:
un mare pacico ma al disotto percorso da molte
correnti che vengono da Capri.
136
Tentazione

Poi, di nuovo ai nostri posti, Bruno al timone, Manuela


a poppa, sdraiata come prima con le cosce al sole, io al
centro, in pochi minuti e in silenzioio ngendo di guar-
dare il crinale aguzzo e frastagliato della Costiera di Amal
raggiungemmo la Marina di Luca. Ragazzi e ragazzini
vennero ad aiutare Bruno e mentre costui si attardava a dare
un sicuro ancoraggio alla sua barca, noi, io e Manuela, con le
robe in una mano, ci avviammo alla Pagliarella. Luca, in
attesa di Bruno e di Manuela, recatisi a far la doccia e a cam-
biarsi di costume, mi diede un giornale. Inne gli amici ven-
nero, Bruno ordin il pranzo, facendovi includere la cottura
della spigola e, nel prendere il giornale che io gli passai,
disse:
Vi stavate recando a visitare le grotti del Diavolo?
Norispose Manuela, senza residui.
Durante la siesta, pur non volendo, non potetti fare a
meno di pensare a quel particolare. Non averla intanto presso
di me mi dava un senso dincompletezza. Ero certo che non
avrebbe disprezzato la mia compagnia una volta che, prima di
conoscerla, gi aveva chiaramente dimostrato di voler avere
un segreto con me dicendo quel no che era come elevare un
muro contro unaltra storia e un altro passato.
Mi riusciva dicile dormire e ritenni fosse dovuto alle scotta-
ture del primo bagno di mare e di sole. Calabria e Puglia
portano tristezza.. una tristezza era allapparenza della
quale avrei voluto sapere di pi e di cui molto probabilmente
non avrei saputo mai nulla salvo che
137
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Signor Emiliosentii chiamare dalla Marinasi-


gnor Giudi?E, a due voci, la sua e quella di Bruno:
Giudiii.
Mi affacciai. Eran loro, in abiti freschi (Manuela sem-
brava due cose al anco di Bruno: o una nipote o una n
troppo giovane donna per un signore, per niente attempato,
anzi pi robusto e atletico di me, ma sul punto di una maturit
scontata). Felicissimo dissi:
Dove andate?
Venga, Manuela ha fatto il miracolo. Andiamo a Po-
sitano. Cinvita entrambi a cena. Lucal presente
non se ne avr a male per una volta.
La voce e il tono delle parole di Bruno erano di chi vuol
veramente bene a una donna.Ottima ideadissi
scendo subito.
Mi vestii in un tempo di primato, inschiandomi di buttare al-
laria il minuto programma del riposo estivo e della solitu-
dine. Nel dormiveglia pomeridiano bene che lo dica a
me stesso -il sospetto di scendere alla marina e di non tro-
varliE DI NON TROVARLAmi avrebbe dannato.
Questa fu una nozione precisa, una verit, e avrei fatto
bene a tenerla presente per lavvenire. Feci un breve catalogo
dei miei pensieri: A) Manuela minteressava; B) non avevo
alcuna intenzione diciamo pure di folgorarla; C) per quella
sera mi bastava restare in tangente, per quella sera e per
sempre, almeno come proposito. E mi sembr abbastanza
confortante prender parte a una gita in compagnia di una
138
Tentazione

donna legata a un uomo per molti motivi rispettabile e in uno


stato danimo perfettamente dominabile. Per cui quando fui
gi alla scala fui in grado di domandare con la pi bella faccia
tosta del mondo:
Che cosa lha spinta a uscire dalla Baia della Tran-
quillit?
Non rispose. Le bastava farsi sentire, certo, per via della pic-
colezza del sedile della mia macchina, al mio anco.
Un miracolo, glielho dettodisse Bruno.
Siamo qui da una settimana e doveva arrivare lei per farla
smuovere. Io ne sentivo un gran bisogno. Non conosco il suo
pensiero in proposito. Il riposo per me riposo; barca, mare e
pesca; ma ogni tanto una sera, una piccola sera, per cambiare
si pu allungare il passo no alla marina accanto.
Daccordissimodissi; e fui sincero.
Ora andrei in Cinadisse Manuela. Mi sento cos
bene tra voi due.
La via della Costieraun viottolo lungo una sessan-
tina di chilometri a percorrerlo per interosembrava fosse
stato inventato da un ragazzino. Gli uomini del luogo ave-
vano la discrezione dei coloni; erbe e ori la violenza aspra e
polverosa di una vegetazione equatoriale.
Rousseau avrebbe potuto dipingere dal vero se fosse
venuto a stare da queste partidisse Bruno.
Io frattanto neniavo un motivetto inventato, monocorde.
bravissimodisse Brunoperch non lo fa in-
cidere?
139
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Continui, la pregodisse Manuela.


Odorava dacqua di mare e sale. Lavevo al mio anco, e lei
non faceva nulla per non restarci, e a me non bastava; ma
nello stesso tempo giurai a me stesso che in nessun caso avrei
dato un passo falso, soprattutto per Bruno, il quale ora andava
spiegandoci lorigine e le cause di quelle scalinatelle poco pi
larghe di un piede scavate nella roccia. Un tempo i contadini
del luogo mentre io cominciavo la manovra per discendere
nellimbuto a cerchi del mondo presepiale-marinaro di Posi-
tano.
Come le cose veramente belle, la gemma, le cui tinte si
riverberavano a raggiera sulle pareti del monte, giaceva in
fondo, piccola e meravigliosa: un municipio minuscolo, un
gruppetto di case, alcuni portali settecenteschi, una chiesa
dallampio sagrato in faccia al mare e una spiaggia con
unesigua la di tende a foggia di accampamento turco.
La bruttezza di una donna in questo luogo peggiora. La
bellezza ha in premio unaureola. Lasciata la macchina al po-
steggio di Positano-alta, Manuela potette incedere tra noi due
come una creatura liforme e scampanellante. Durante la di-
scesa diede una mano a Bruno e io mi sentii un estraneo.
Esclusi i vecchi, e non tutti, ciascun uomo aveva una donna al
anco e io cominciavo a pentirmi di aver lasciato cadere la
proposta di Lisaveta, una ragazza discreta, disponibile, che
aveva insistito, forse a corto di altri inviti, per accompa-
gnarmi in ci che aveva denito la discesa agli inferi.

140
Tentazione

Le avevo risposto al telefono che preferivo andar via


solo quellanno, per un perfetto e integrale riposo e perch
avevo cominciato a prendere in uggia le ragazze-bene del suo
genere: compagne ideali per trascorrere una notte a ponte tra
un venerd sera e lalba di un luned, l, in un soce alber-
ghetto nei paraggi di Quel ramo del lago di Como...
Fu per linforme pentimento di un attimo. A tavola fui
nalmente in grado di guardare bene il viso di Manuela. In
prevalenza tumido, poggiava su una persona costruita con vi-
gore. Dava limpressione di essere capace di rapporti pro-
fondi, senza equivoci e in armonia con le cose.
Mentre si mangiava e Bruno trovava il modo di scoc-
care alcune crudeli frecciate alle persone varie e strane che ci
circondavano, mi ricordai di una lontana e decisiva sera mila-
nese. Ero andato a cena con un mio amico, un uomo riuscito e
a capo di un solido commercio; celibe e in una condizione da
non dover desiderare pi nulla, salvo le forme multiple e as-
surde della ricchezza: due macchine allattivo, un motoscafo,
una casa in citt, in grado di ospitare una famiglia di sei indi-
vidui, la villa in Riviera.. Cenato e bevuto e con la voglia di
bere ancora, ma in un altro luogo, mi aveva pregato di far due
passi. Alle una di notte la proposta non poteva essere riutata.
A quellora Milano ritrova per poco ci che sar suo nel pe-
riodo delle ferie: una cordialit meneghina e una vecchia pace
cortese.
Capiscidicevauna, una sola che mi dicesse:
Ti prego, fammi vedere le stelle.. ti prego, non facciamo le
141
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

solite cose... Mai capitato. Mai pi ricevuta una lettera dei


tempi delle tecniche; e io stesso quando ho tentato di comin-
ciarne una, la a pregiata tua del.. mi scappava da tutte le
parti. Di chi la colpa, nostra o loro? E ora provo piacere a ri-
cominciare la vita dove forse lavevamo lasciata una volta.
Bisogna tessere a mano le nostre storie, non pi a mac-
china.
Sulla ne del pranzo Bruno si allontan, dicendo di
dover dire alcune cose al sindaco del luogo, un nobile molto
divertente, non senza raccomandarmi di far ballare Manuela.
E lei vuole?dissi.
Non aspetto altro.
Cominciai a ballare in una condizione dinferiorit. Era
un ballo con beneplacito di Bruno e la mia segreta teoria se-
condo cui lei, allimprovviso, aveva deciso di andare a Posi-
tano, forse per starmi pi vicina, essendo fallita lesplora-
zione della grotta, andava a gambe allaria. Per questo motivo
mi comportavo da ballerino cortese e distaccato, quando Ma-
nuela disse:Dove ha imparato a ballare in questo modo?
La ritenevo pi bravo di Bruno.
E perch?
Perch glielo dovrei dire? Mi stringa, cos e fu lei a
stringermingiamo qualcosa di vero.
Non mi piace ngere .
Ohohohfece leiparla come un ragazzino. Vor-
rebbe far sul serio? E ne sarebbe capace

142
Tentazione

Sentarisposiperch dobbiamo parlare di


queste cose?
Amo questi balli-fermi, molto abbracciati, molto ta-
ciuti.
Sulla pista potevano entrare una ventina di coppie e ce
nerano una cinquantina. Allora, seguendo altri ballerini, ci
spingemmo verso un lato che immetteva alla spiaggia, in
piena ombra, e, pur sapendo che ella si stringeva a me per ri-
spettare le gure del ballo, certo che in noi si andava appro-
fondendo un dialogo nsi di accarezzarla e il suo volto
cerc ancor meglio il cavo della mia mano sbaciucchiandolo,
una, due, tre, immaginariamente mille volte, con frenesia.
Ma lei ama Bruno?dissi padrone di me stesso.
Che cosa dice?
Lo ama o no?

***
Il mattino seguente trovai ai piedi della scalinata un
fruttivendolo dai calzoni rimboccati, a piedi nudi e con la bi-
lancia a tracolla. Contrattava con Luca, salutandomi,
disse:
Il signor Bruno andato a pescare a Torre Nor-
manna.
E dov?
piuttosto lontano, ma c un fondo buono. Perch
non andato anche lei?
Ci prover uno di questi giorni.
143
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Ci provi, facilissimo. Poi le cucino io quello che


porta.
E quando pensa che torna il signor Bruno?
Abitualmente verso sera.
Avrei voluto chiedere notizie anche di Manuela, ma la-
sciai correre. Mi diressi alla stradina per salire al villaggio e
acquistare giornali e sigarette e mi trattenni qua e l a parlare
con varie persone. Pian piano, ripercorsi il villaggio e fui di
nuovo in cima alla stradina donde si aveva una visione com-
pleta della Marina. Sulla spiaggia non cera nessuno, neanche
un inglese. Dovevano essere andati tutti al mare di buonora.
Le cicale avevano gi cominciato lopera loro e gli olivi delle
rocce visti da quel punto formavano una massa compatta di
argento scuro luccicante.
Si stava veramente bene, n troppo in pace. Aprii uno
dei due giornali comprati e invano cercai di leggervi i titoli.
Aprii laltro e il senso di nausea fu pi forte. Che fare? Ri-
presi a discendere, quando ebbi la certezza che Manuela non
si trovava n sulla spiaggia, n sugli scogli, n in albergo
perch in quel momento Maria apparve con la scopa in mano
sul terrazzino. Per poco, svegliandomi al mattino, avevo rite-
nuto possibile che venisse sotto casa a chiamarmi e, non tro-
vandola, ero stato certo di avvistarla in qualche angolo della
Marina e, pi tardi, di vedermela comparire sulla strada del
villaggio.
Scesi gi dal muretto e, questa volta, scrutai. Il pae-
saggio e il mare allimprovviso mi si rivelarono opachi e no-
144
Tentazione

iosi. Giurai per a me stesso di non chiedere notizie di lei e di


seguire una precisa linea di condotta: continuare a scendere
tranquillamente la stradina; impormi la lettura del giornale;
salutare tutti con un sorriso e inne sistemarmi in un punto
qualsiasi della spiaggia e quando mi sarebbe venuta la voglia
mi sarei buttato in acqua per il miglior bagno della mia vita.
Unaltra apprezzabile idea poteva esser quella, ora che
ci pensavo, di prender lauto e andare a fare un giro nei din-
torni. Assenti lei e Bruno, assente io. Avrei contraccambiato
con la stessa moneta il loro modo di fare. Via, erano stati
poco gentili. Daccordo, eravamo indipendenti, conoscevamo
appena i nostri nomi, ma si era a pranzo e a cena insieme e
questo gi qualcosa perch si lasci detto a chi resta dove si
andati e quando si fa ritorno. Una ragazza seria non si spinge
a dare bacettini appuntiti nel cavo della mano di uno scono-
sciuto.
Del resto, se fosse stata una ragazza diversa dalle altre,
dopo aver mentito a un uomo rispettabile come Bruno, dopo
aver ballato in pieno irt, dopo, cosa pi grave, aver
omesso di rispondere a una domanda perentoria come: Via,
tagli corto, lama o non lama questuomo, dopo tutto
questo, con dei precisi anche se invisibili legami, una donna
che sa quel che fa, va a ritrovare luomo intravisto nelle
ombre di una balera, sia pure per giusticarsi o per dire: Mi
scusi, sa, ieri sera ho perduto i lumi, ma io, eccetera...
Bah dissi a me stesso se ne inschia lei, immagina
io. Cos decisi di far di nuovo il comodo mio, nonostante la
145
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

giornata fosca e il caldo umido. Cerano tante cose da appren-


dere e apprendere il vero riposo. Potevo parlare con uno
dei vecchi pescatori, seduti sulle pietre a rammendar le reti,
farmi dire della loro vita, della loro arte, delle loro speranze.
Manuela? Ma era la solita ragazza-bene con questa differenza
dalle Lisavete del Nord: che le Lisavete del Sud fanno le
storie, uffa, le solite cose.
Una donna su una porta pettinava, per cos dire, una
bambina e un altro bambino seminudo piangeva con taglienti
gridi senza che nessuno, assolutamente nessuno si curasse di
placarlo, almeno per rispetto ai villeggianti, che pure portano
una bella massa di quattrini. A parte la simpatia che destava
un uomo come Luca, ora, a mente fredda, dovevo ammettere
che anche lui mancava di spirito di organizzazione. Avrebbe
potuto costruire un alberghetto meno rustico, trasformare la
Pagliarella in uno chalet, arricchire la lista, smettendola
con quei sraghi che impuzzolentivano mezza spiaggia. Un
signore non sempre disposto ad ammirare certi spettacoli
come quello offerto da quel disgraziato accucciato dietro la
barca a fare quel che faceva. Dopo non venissero a parlare di
miseria, di depressione e altre belle storie. In mano ai liguri la
Marina di Luca avrebbe fruttato oro.
Per tutte queste osservazioni decisi di prendere la mac-
china e di portare a termine il proposito di visitare ci che re-
stava della Repubblica di Amal. Sarebbe pur stato qualcosa
al suo ritorno rispondere con un fatto compiuto: la mia as-
senza. Lavrei sgonata. E ci deciso, risalii per un tratto la
146
Tentazione

strada, mi portai vicino alla macchina, aprii lo sportello, en-


trai e accesi il motore. Cominciavo a far la manovra quando
credetti di veder le sue gambenon potevo vedere il resto
su uno dei due scogli, quello prospiciente la Pagliarella.
Il motore mi si spense e le mani cominciarono a tremarmi.
Una luce si accese dentro di me e si riverber sulle cose cir-
costanti, sul mare ora azzurrissimo in un creato fermo ad
unimmemore esplosione.
Diodissisono gi a questo punto?
Uscii dalla macchina e mi avviai a percorrere gli altri
pochi metri della stradina, ngendo di dirigermi alla Paglia-
rella. Balbettai alcune frasi a uno dei due camerieri e mi af-
facciai a guardare i garzoni di Luca intenti a risciacquare le
stoviglie con lacqua di mare. Alla ne guardai dalla sua parte
e, non riuscendo a contenermi, ma comportandomi come
avrebbe fatto qualsiasi altra persona, chiamai:
Ehi, Manuela . Fui certo si alzasse e di-
cesse: Oh, signor Giudi, venga, mi faccia compagnia.
Macch! Mi liquid con unalzata di mano, restando immo-
bile nel resto, come chi in nessun caso vuole interrompere la
cura di sole.
Ora ogni speranza era perduta. Ora potevo fare quel che
volevo: uccidere un leone o piangere, lei non si sarebbe
mossa. Il suo corpo, che durante la discesa di Positano si era
trasformato in un delizioso fantasma e si era spinto a gesti che
qualsiasi altro uomo sarebbe stato indotto a valorizzare nel-
lunico modo possibile, appariva un ingrediente della natura,
147
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

svelato ma impenetrabile; e ne ebbi una denitiva conferma


quando, rompendo ogni indugio, scavalcando minuscoli
scogli insabbiati, evitando acuminati rostri di animali da ac-
quario spintisi sulla riva, decisi di andarla a salutare.
Le dispiace se le faccio compagnia?
Sarei venuta io da lei tra poco. Facciamo il bagno in-
sieme? Bruno andato a Torre Normanna e verr tarduccio.
Pensai di essere stato un intempestivo e, come al solito,
un debole. Bastava avessi avuto pazienza e mi sarei trovato in
una condizione di netta superiorit. Cominciai per a sentirmi
contento, vorrei dire nuovo, adatto a costruire una storia
fatta a mano. Erano almeno e chi lo sa quanti anni? che il mio
cuore non veniva sottoposto a pieni e a vuoti, a empiti e ab-
battimenti, a emozioni che mi diedero un aspro senso di esi-
stere ancora. E per riprendere un discorso perdutosi la sera
avanti, dissi:
Calabria e Puglia portano tristezza.
Le piaciuta questa denizione. E invece io ho un
temperamento allegro.
Si alz puntando le palme delle mani sullo scoglio e sorrise
apertamente e con infantile franchezza.
Dopo le vacanze va via con Bruno?
Nientaffatto.
Ritorna a casa sua?
Mi tocc la punta del naso, dicendo:

148
Tentazione

Lo sa che lei molto carino? Molto begli occhi, molto


bella bocca, molto ben vestito ieri sera, ma un poco troppo
indiscreto.
E allora dove va?
Vado a far la vendemmiadisse cantilenandoa
San Severo, ecco. Ora lha saputo. Sa dove si trova San Se-
vero di Puglia?
E come fa ad avere rapporti con Bruno?
Le debbo annunziare che stata inventata la posta?
Ci scriviamo.
Spesso?
Certo, allora cosa farei la sera in campagna?
E da quanto tempo?
Da due anni e ora verr il terzo se io voglio e se non
voglio non verr.
Mi sentivo smontato.
Allora, ci bagnamo?disse.Attento, non faccia
tu, qui ci si rompe facilmente la testa.
Discese dallo scoglio, si spinse nellacqua e prese ad andare
come un vaporetto. Io le fui dietro. Doppiammo la Paglia-
rella e il limite roccioso della baia e cio ci trovammo di
fronte alla marina delle grotte, dove lei si diresse, compa-
rendo e scomparendo nellacqua. Con uno sforzo la raggiunsi
e, avvicinatomi, lei mi diede una spinta, ridendo spietata-
mente. Giunti alla riva, lei da un canto, io da un altro, aspet-
tammo che la respirazione ritornasse al suo ritmo normale.

149
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Poi, seduta ma voltandosi verso la terra, disse:Le grotte


a un tratto seria.
Andiamo ad esplorarle?
Ritorn a voltarsi verso il mare con un volto calabro-pu-
gliese ora, le labbra livide.
Perch poi ieri ha mentito a Bruno?
Continu a far cadere lacqua dai capelli. Sul mare in lonta-
nanza vibravano echi di imbarcazioni. Pass un motoscafo e
dopo una lunga corda una sciatrice acquatica. Non diversa-
mente dovettero giocare gli di quando da queste parti fu
Magna Grecia. Alla ne si alz, mi prese per mano, cominci
a tirarmi e disse
Andiamo a vedere le cose in faccia.
E Bruno?
Mi diede uno strappo. Io lafferrai e allombra della
grotta, gi sotto la fredda volta tentai di baciarla.
Qui no - disse.
E dove?
Le, fuggendo, mi attese ferma, appoggiata a una
parete. Mi avvicinai, le accarezzai il volto. Mi guardava, gli
occhi pieni di lagrime.
Allora, qua, va bene?Scosse la testa in senso di
diniego.
E dove?
Non sente?
Che cosa?dissi.
Il motorino.
150
Tentazione

Mi voltai verso il mare, il motorino della barca di Bruno


arrancava modestamente, come il seghettare di una cicala.
Lui viene sempre in tempodisse Manuela, lan-
ciandosi di corsa verso la riva e chiamando Bruno.
Bruno rispose con un cenno della mano e quando ebbe
portato il fuoribordo a poca distanza dalla riva, disse:
Sei andata a svegliare il nostro amico milanese?
qui.
A bordo, Bruno disse:
Ecco la cernia, lho pescata per lei. Non delle mi-
gliori, ma resta un bellesemplaree me la mostrava tenen-
dola in sospeso dalle branchie . stata una faticata.
E voi, che avete fatto, siete poi andati alle grotte?
Sdisse Manuela.
E che cosa si vede?
Un sacco di mostri. Meno male che cera il signor
Giudi. Mi scusiaggiunse rivolgendosi a mese la te-
nevo abbracciato tanto forte.
Ah, queste calabro-pugliesidisse canzonando
Bruno,ha visto che roba? Ora, su, al lavoro o tuo padre
viene e dice che ti disabituo.
Bruno punt la prua della sua barca verso la baia di
Luca. Allorizzonte, alto un centimetro, apparve lalbero
maestro del peschereccio. Bruno ce lo segnal, dicendo:
La prossima volta andr con loro. Perpetuano, per
pochi soldi, una storia, di glorie.

151
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Incantata a guardare Manuela si era seduta al mio


anco, la mano nella mia mano, trepida e tenera come una ra-
gazza, con la punta del piede strisciante lungo la mia gamba.
Vogliamo andare unaltra volta a Positano, sta sera?

152
Lamericana

Lamericana
(anni Settanta)

Ero solo in casa e, per alleviare la pena dello scirocco,


mi ero seduto in terrazzo. Accanto alla sdraio avevo deposto
una bottiglia di vino bianco secco e freddo e di tanto in tanto
la portavo alle labbra. Avevo bisogno di far salire la pres-
sione.
Lesperimento stava dando un certo risultato; o forse a
sollecitare il mio spirito era la frangia bianca della lunga
tenda azzurra, la vampata di buganvillee e di edera rosata in-
trecciate alla ringhiera e lincredibile tinta unita e forte del
mare, pieno zeppo di barche, di vele, di vaporetti sfumac-
chianti che andavano e venivano come tram da Ischia e Capri.
Non avevo desiderio di nulla e mi esercitavo a tenere
sgombra la mente. Avevo s, spalancato sulle ginocchia, un
libro a grossi caratteri (la storia avventurosa di uno dei primi
153
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

viaggiatori, sulla scia delle esplorazioni colombiane) ma solo


di tanto in tanto vi buttavo unocchiata per leggervi un
gruppo di frasi, un poco come facevo con la bottiglia di vino,
portandola alla bocca.
Lo scirocco una lieve e insistente febbre della natura.
Appesantisce il corpo, distende sullintelletto un velo
didiozia. Sotto il mare se ne avvantaggia: si sgrana e mostra
colori che in altre condizioni dicilmente rivela. Abbando-
nato al piacere della pigrizia, lo squillare della soneria del te-
lefono fu per me come una lacerazione sica. Era un pome-
riggio e non riuscivo a spiegarmi chi potesse, chi osasse tele-
fonare. Le persone con le quali aveva un rapporto di affari, a
quellora inane, riposavano. I miei parenti si trovavano su
spiagge e marine della Costiera. Lasciai strillare lapparec-
chio e fui contento di riportare una vittoria sulla curiosit
quando mi avvidi che il corpo riusciva a restare immobile
senza un trasalimento.
Ma dur poco. Il telefono riprese a squillare imperso-
nale e violento e, come per metterlo a tacere, scalzo, attra-
versai la fresca quiete del salone e andai a rispondere.Chi
? : dissi con tono infastidito. Rispose una voce semin-
comprensibile.Chi ?gridai. Allaltro capo del lo, la
voce fu come sopraffatta dalla mia alterazione. Solo quando
mi espressi urbanamente riuscii a capire che la persona che
mi cercava era una straniera di passaggio per Napoli.Ah
dissie che cosa vuole?Dal suo rovinoso italiano
compresi che la donna stava traducendo un mio saggio scien-
154
Lamericana

tico sul comportamento dei coleotteri e le sarebbe piaciuto


sottopormi alcuni quesiti.
Quando parte?le chiesi, per prender tempo.
Domattina.
E come si fadissi. Non avevo alcun desiderio di
vestirmi e uscire a quellora, n intendevo incontrare uname-
ricana. Fosse stata una persona giovane lincontro avrebbe
potuto rivestire un qualche interesse..; ma dal tono gutturale e
lento della voce io me lero ragurata anziana e con le dure
fattezze e la pignoleria di unaltra americana, conosciuta anni
prima; e causa di una grossa delusione giovanile. Invitato a
Roma da una signora americana, che aveva mostrato di inte-
ressarsi al mio lavoro, mi feci parecchie illusioni Un amico si
era dimostrato certo delle singolari serate che avrei potuto
trascorrere con la bella americana, la quale, nellinvitarmi
con telegrammi ed espressi, quasi incontrarmi fosse una que-
stione essenziale per la sua vita, aveva secondo il mio amico
sottolineato il desiderio di conoscere con il saggista luomo.
Doveva trovarsi sola e, ricordandosi forse di qualche mia foto
apparsa su alcune riviste americane, anelava mescolare lutile
al dilettevole, far seguire ai discorsi seri i futili, alle conven-
zioni il vero scopo del richiamo. Le americane sono donne
come tutte le altre: non tutte per portano occhiali, hanno una
peluria passabile per barba e sono vecchie rinsecchite come la
mia traduttrice. Parlava sempre di se stessa e dellAmerica,
del pessimo stato delle scienze in Italia e il lavoro perseguito

155
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

con costanza e pignoleria doveva essere lunico scopo della


sua vita.
Leredit di quel ricordo fu cos forte che, per un istante,
allaltro capo del lo, temetti ci fosse la medesima vecchia,
dimentica di avermi gi conosciuto. Mi sbagliavo. Si trattava
di una nuova. Non sapevo intanto come fare ad appurare se
fosse giovane o vecchia, alta o bassa, bella o brutta, e comin-
ciai a far domande del genere di: Perch si trova a Napoli? e
quand arrivata e con chi?... Mi sembr di capire comella
avesse usufruito di un occasionale passaggio in auto, spinta
dalla curiosit di visitare la citt di cui aveva sentito tanto
parlare e in Italia e in USA. Ora si vedeva avvilita a girar sola
e, ricordatasi della mia presenza in luogo, mi aveva telefo-
nato, certo, anche per i quesiti sui coleotteri. Se intanto vo-
levo farle un poco da guida ella avrebbe nutrito nei miei ri-
guardi viva riconoscenza.
Il particolare del passaggio in auto, per un attimo, mi
fece pensare trattarsi di una giovane donna, ma ricordai su-
bito che la prima americana, sebbene vecchia, aveva agilit
e vitalit da vendere. Pi interessante giudicai laltro partico-
lare: il desiderio di vedere la mia citt e lesservi giunta occa-
sionalmente, in autostop. Ci era molto americano, molto af-
dato allestro e allistinto di cambiar stato e luogo, manife-
stazioni tipiche della psicologia di quel popolo un tempo no-
made. Ma oltre a queste impressioni vi fu qualcosa di oscuro
e di piacevole che mi spinse, controvoglia, a dire:

156
Lamericana

Bene, mi dia una mezzora di tempo e la raggiungo


. Lei dovette sorridere e illuminarsi perch il suo: S,
grazie minvest come una luce.
Dove si trova, ora?.. E come ci arrivata?..chiesi
ancora.Tenti di portarsi sullentrata principale di Palazzo
Reale, luogo riconoscibilissimo e a tutti noto io la raggiun-
ger prima che posso. In questa intesa appoggiai il micro-
fono e ritornai lentamente al terrazzo.
O qualche cosa si era cambiato nel paesaggio o io mi
ero cambiato e lo scorgevo da unaltra prospettiva. Lo sci-
rocco doveva essersene andato perch ora il mare mi apparve
rugato, curvo come una sfera e le vele come tanti pezzetti di
carta bianca triangolare. Era un mare da gioco, inventato da
un bambino e poich io ho un segreto dialogo con lui per il
dorso rotol un brivido: richiamo ben noto e che mi annunzia
un novello interesse alla vita. Bevvi un altro sorso di vino,
presi il secchio ed entrai in casa, immediatamente preso dal
dubbio del come avrei dovuto vestirmi: se di lino o di lana, se
di bianco o di scuro, da persona rispettabile e studiosa o
blas. Mi andavo intanto ricordando che la sera avevo gi
preso un mezzo appuntamento con un amico medico, deside-
roso di presentarmi a una sua bellissima cugina e questo par-
ticolare e questo possibile angolo di salvezza mi spinsero a
una decisione positiva. Avrei parlato prima con lamericana e
senza rincasare sarei andato dallamico. Mi conveniva ve-
stirmi di scuro. Sul punto duscire telefonai allamico per

157
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

dirgli che senzaltro avrei trascorso la serata con lui e sua cu-
gina, e anzi avevo speranza di raggiungerlo con anticipo.
Allo specchio trovai che labito di lanetta bleu mi stava
a pennello; mi rendeva pi magro e giovanile di quanto in re-
alt fossi e la gradevole considerazione che ebbi di me stesso
mi diede un empito, un piacere di muovermi, di dire, di fare,
di voler bene alle cose e a qualcuno e quando fui sulla scaletta
duscita e mi vidi di fronte il Vesuvio, i mosaici sparsi degli
abitati costieri della Penisola Sorrentina mi trovai a cammi-
nare col passo di un fauno danzante. Inoltre, dalle Bocche di
Capri apparve la sagoma bianca di un transatlantico: simbolo
di buone notizie, di particolare disposizione della sorte. Tutti
questi segni esteriori e interiori mi disposero a sentirmi bril-
lante, a supervalutare i dati anche meschini della realt e, cor-
rendo in auto per Napoli come per le vie di una citt equato-
riale, sempre con nellocchio la visione dellavanzante piro-
scafo, raggiunsi lentrata di Palazzo Reale; per intanto, vuota.
Non ebbi il tempo dincassare del tutto il moto di stizza
incipiente perch il portinaio in livrea ebbe subito cura di
dirmi:Professore, in questo momento venuta una signo-
rina a cercarvi. Si inlata nel palazzo andata da quella
parte.
Com?chiesi. E lui, furbo, avvit lindice della
mano sinistra sulla guancia. Con sprint lanciai lauto nel
primo cortile. Non cera. Raggiunsi il secondo e niente: Che
pazzi questi yankees, pensai, ma, sboccando nel terzo, i miei
occhi si riempirono di una gura meravigliosa. La donna mi
158
Lamericana

dava le spalle e guardava in alto le nestre settecentesche e il


giardino pensile. Pian piano mi avvicinai con la macchina,
fermai, discesi e le andai incontro, dicendo:
Scusi, lei la signora Natalie Norwar?
Yes.
Io sono il signore a cui ha telefonato.
Lei proprio?chiese sorpresa.
S, io.
Scoppi a ridere allamericana, dicendo:
Cosi giovane, cos giovane. Io credevo lei fosse un
vecchio signore.
E ridemmo insieme. Lei riprese a guardare il giardino e
io domandai:
Le piace questo palazzo?
come quello delle fate.
I re del buon tempo antico non erano sciocchi. Al po-
polo i vicoli e a loro scalee, saloni, giardini.
E ridemmo di nuovo.
in giro da molte ore?... stanca. Salga, prosegui-
remo in macchina.
Molto bella sua automobiledisse.Sono con-
tenta di trovarmi qui.
Nella macchina?chiesi.
Tuttodisse.
Partimmo e uscimmo dal portale, lieto di ricevere lin-
chino del portiere nobile e alto, una volta primo staere del
Principe Ereditario.
159
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Sa chi mi ha parlato di lei?


Chi?chiesi, veramente sorpreso e insospettito.
Disse un nome, un nome terribile; il nome della donna
pi pettegola di Roma; un tempo mia amica. Si riteneva de-
positaria dei pi vistosi difetti del mio carattere meridionale.
Non mi aveva detto per fosse cos giovane. Questo
non detto. Detto che lei molto allegro, moltoe qui rise
di nuovo allamericana, nascondendo gli occhi nelle pieghe
del volto e delle palpebre... molto gallista!dissi, com-
pletando la sua frase.
La vivacit, seguita allapparizione della stupenda crea-
tura che il caso mi aveva buttato davanti, si trasform in so-
spetto. La ragazza doveva appartenere a quella categoria di
americani vaganti per le capitali dEuropa e bene affermati in
quei circoli di persone che vivono di pettegolezzi. Il nome
della nostra comune amica avrebbe posto qualsiasi uomo in
allarme e, avviandomi a mostrarle sbrigativamente qualche
zona popolare di Napoli, le chiesi:
Allora quali quesiti vuole che le chiarisca?
Mi spostai molto a sinistra verso lo sportello e tra me e
lei si mostr evidente un vuoto che non poteva dar luogo a
equivoci.
E come si fa?
Per tutta risposta mi chiese:
Lei ha moglie?
S.
Peccato.
160
Lamericana

E perch?chiesi.
Sempre peccato avere moglie o marito.
E lei, non ha marito?
Yes. Divorziata.
Perch?
Impossibile spiegare.
E ora libera?
Yes. Uomo italiano innamorato di me, io poco di lui.
Ah bene! -dissi e avrei voluto dire: E che me ne
importa?.
Il timore d non combinare nulla di positivo quella sera
con lei, mi fece desiderare pi che mai la compagnia del-
lamico medico e di sua cugina e per questo motivo, fermata
la macchina a una piazzetta, dissi:
Ecco, quest una piazzetta tipica di Napoli. Qui c
tutto un campionario di cose orride o belle: vicoli, bassi, ra-
gazzini come pollame, i balconcini inorati, i terrazzi. Visto
questo, non c altroe avrei voluto aggiungere e in un
certo senso cera nel tono di quanto avevo detto: Ora pos-
siamo tornare indietro e salutarci. Era per discesa e mi
aveva invitato a fare altrettanto. Mi preg di accompagnarla a
fare quattro passi per un vicolo, che si mostr alla vista poco
pi largo di un paio di metri.
Il vespro aveva reso di un intenso color rossastro i vetri
dei palazzetti, i volti dei bambini; e forse perch si vedeva
lontano un miglio esser lei unamericana, una quindicina di
ragazzi, dogni forma e dimensione, grassezza e magrezza,
161
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

sottigliezza e rotondit, cicalanti e urlanti, con voci di uccelli


e di bu animali parlanti, le si fecero intorno e nellaccer-
chiamento cascai anchio. Natalie era raggiante, sorrideva.
Apr la borsa per offrire qualche moneta. Lassalto dei bam-
bini si fece furioso, insistente, petulante, costellato da a me,
a me seguiti e preceduti dai minuscoli corpi umani. Ella,
sorpresa, stupefatta e un poco atterrita, toccata, urtata, spinta,
si rifugi come presso di me inlando saldamente un suo
braccio nel mio. Ne ricevetti unimpressione unica e qualcosa
avvenne quando ci scontrammo con gli occhi: qualcosa di l
da noi, senza nome o signicato, ma perfettamente registrato.
Ora sapevo cosa dovevo fare. Mi rivolsi ai bambini e
dissi loro in dialetto che. non avevamo pi soldi. A prova di
ci capovolsi la borsa di Natalie. Mostrai le mie tasche vuote
e dopo alcuni istanti fummo lasciati in pace. La sera andava
calando. Al fondo dei vicoli era gi buio. In cima ai tetti pal-
pitava il crepuscolo; e lei, sempre legata al mio braccio -.
il che non evitava che le nostre cosce strisciassero luna
contro laltradiceva parole, ora in buono italiano, ora in
cattivo: tentava di spiegarmi che Napoli aveva il mistero di
certe sue vie nuovaiorchesi, mentre Roma era tutta l, esposta
come una piaga. Qui tra il buio dei fondo-vicoli e la leggera
luce del cielo sembrava di volare in un pallone.
Ora la donna mi piaceva terribilmente. Avrei potuto ab-
bracciarla e baciarle le labbra tumide come al colmo di una
passione; ma il dubbio di scambiare modi condenziali in-
valsi nelluso della gente-bene e spregiudicata per manifesta-
162
Lamericana

zioni daltro signicato mi rese ancora una volta timido. Gi-


rammo a lungo per le strade, rotte da improvvise rampe di
gradoni. Notammo come alcune chiese a Napoli hanno la mo-
desta entrata di una casa e si confondono con i bassi. Hanno
tende bordate di cuoio, sorvegliate da qualche derelitto cla-
mante, che sembra richiami glignari a vedere le arti magiche
e misteriose che si svolgono allinterno del baraccone.
Alla ne ci ritrovammo al punto dove avevamo lasciato
la macchina: la modesta piazza, sovrastata ora da un cielo
gremito di stelle simili a ammiferi. Zaffate daria di mare ri-
chiamavano allimmaginazione spiagge e litorali e sul punto
di dirle: Vogliamo cenare insieme, osservai che, nellauto,
sedette accanto a me con unaria allungata, morbida e arresa.
Nel mettere in moto la guardai come per dire: Ma che
vuoi? e quasi ella avesse capito e persino sentito, disse:
Perch non cenare insieme? Convenni e aggiunsi:
La ringrazio. Andiamo per in un posto tranquillo,
modesto, lontano da Napoli. Potremmo andare a Salerno in
una trattoria-cantina che si tramanda di padre in glio da oltre
centanni.
lontano?A una sessantina di chilometri. Fa-
remo in tempo a tornare verso mezzanotte.
Disse che era impossibile. Ella doveva rientrare per le
dieci, al massimo: Lindomani intendeva ripartire di buo-
nora. Addivenimmo a un accordo tra le dieci e mezzo e le
undici, ma dovetti insistere non poco per questo gioco di
mezze ore. Fermai quindi di nuovo la macchina per telefonare
163
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

allamico medico e chiedergli scusa. Lei rimase in macchina,


ferma e immobile e avrei giurato fosse pensosa e preoccu-
pata. Pur avendo proposto la cena insieme, ora ci ripensava.
Comprai sigarette e un giornale e, ritornato, non la trovai. La
scoprii al telefono del bar dirimpetto al parabrezza, ma al-
limprovviso dovette rinunciare alla telefonata.
Dov andata?le chiesi al ritorno.
Oh, cosdisse; e capii che non desiderava mi
spingessi oltre su questo punto.
A grande velocit, sullautostrada e come di conserva
allimpetuoso ume di astri che ci sovrastava, Natalie si al-
lontan dal mio anco. Si chiuse in uno stato danimo che
non prometteva nulla di buono. Nei vicoli, avrei detto: Bi-
sogna soltanto agire e ora la sentivo lontana e quasi cruc-
ciata. Qui disse:
Prego tornare a tutti i costi in orario.
Se vuolerisposise cos preoccupata di per-
dere il sonno, possiamo rinunciare a Salerno. Ceneremo in-
sieme unaltra volta.
Stette muta, poi disse:
Andiamo Salerno, ma torniamo in orario.
Mi misi nero, di malavoglia. Canticchiavo a bocca
chiusa. Pensavo che gli uomini sono infelici volontari. Sa-
rebbe bastata un po di arrendevolezza e avremmo potuto co-
gliere quel ore nato dal caso e per questo pi bello dogni
altro coltivato. Invece Lei osservava un mutismo che ra-
sentava lineducazione e, affondata nel sedile, col capo so-
164
Lamericana

rava il limite pi basso del nestrino e guardava la strada


buia.
Guardi a destradissi per rompere il ghiaccio
non perda la veduta del Golfo di Salerno di notte.Il mio
atto di buona volont dovette farle piacere e mi spinsi oltre:
Perch sta cos? Si condi: si tratta di qualche uomo? La-
sci passare un mezzo minuto, poi disse:
S, mi ha tolto la pace. Ha abbandonato moglie e gli
per me.
E lei lama?
Non rispose; ma come seguendo il lo segreto di unos-
sessione aggiunse:
Mi segue sempre.
A lei piace vederlo soffrire?
Fu come prima. Poi disse:
Pazzo di gelosia.
Sa che venuta a Napoli?
Salerno era ai nostri piedi, con la sua coda di drago.
Come davanti ai vicoli Natalie fu ripresa dal piacere e disse:
Non voglio pensare pi nulla.
Il locale dove la condussi, da don Peppino al Vico della
Neve, spinse allestremo questo suo proposito. Brindammo al
nostro incontro, proponendoci per quella sera di curare solo la
nostra felicit. Trovava tutto buono: il vino di Gragnano, la
pizza e la mveza, le lumachine del grano allinsalata; e
beveva, beveva, beveva, da non poterle tener dietro. Ogni
tanto io guardavo lorologio, deciso a rispettare i tempi. Lim-
165
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

magine di quelluomo che le stava dietro come lombra si era


interposta pietosamente tra lei e me e, pensando alla sua sfor-
tuna, mi andavo placando.
Del resto, provavo un morboso piacere a rivelarmi per
quel che non sono: un gallista tenace e unilaterale; persuaso
che tra uomo e donna il rapporto sia sempre lo stesso.
Lamica di Roma sarebbe restata a bocca aperta nel sentire
che mi ero comportato come un vecchio gentiluomo meridio-
nale, cortese e gentile, ma distaccato. E una volta tanto, via,
poteva anche esserci gusto a recitare questa parte.
Faremo in tempodissi; ma ebbi limpressione che
lei ora non si preoccupasse pi tanto. Il vino le aveva sciolto
la lingua e raccontava di suo padre, di sua madre e di se
stessa A quindici anni le era scoppiata una foruncolosi e i
suoi genitori (il pap era uno scienziato) si erano accordati
con i genitori del ragazzo di una villa accanto, anchegli vit-
tima di una foruncolosi, perch insieme guarissero dal male.
Eran poi partiti, i genitori, non senza aver lasciato ai gli la
cura del caso.
Rise, allamericana. E io con lei.
A ventanni si era poi maritata per la prima volta con
un professore di biologia dellUniversit di Oxford, ma, dopo
tre settimane, aveva dovuto divorziare per una sottile que-
stione di intempestivit amorosa. Anni dopo, il professore, ri-
sposatosi con una amica di Natalie, le aveva fatto visita e,
consenziente la seconda moglie, aveva voluto dimostrarle che
ora sapeva rispettare i tempi e ritardarli. E rise, di nuovo, al-
166
Lamericana

lamericana. E io con lei. Cominci a dir poi che io avevo


belle mani, begli occhi e che la comune amica di Roma non le
aveva detto fossi cos giovane; e che ella mi aveva telefo-
nato per liberarsi...
Di chi?chiesi. Indic se stessa, portando un dito
al petto.Ed ora si liberata?Rispose con un s fan-
ciullesco, soato, amabilissimo.
Non riuscivo a capire dove in Natalie nisse la ragazza
e dove cominciasse la donna. Cercavo di ssarle gli occhi e
quando ritenevo daver stabilito linequivocabile intesa degli
istinti, lo sguardo, come una granata lanciata da un mortaio,
esplodeva e lintesa si annullava. Nulla del suo comporta-
mento, tenuto conto della sua educazione, lasciava credere a
qualcosa che valicasse i limiti di un incontro piacevole e
tutto, nello stesso comportamento, tenuto conto da un diverso
punto di vista della sua educazione, lasciava aperta la porta
alla speranza. Non sapendo come comportarmi dissi:
Si fatta ora. Questo il momento di partire se vo-
gliamo raggiungere Napoli per tempo.
Era un modo di metterla di fronte ai fatti; ed ella, ritor-
nando allo stato danimo muto e triste tenuto durante il tra-
gitto, mi sollecit a far presto, a pagare e ad andar via. Senza
darci il braccio, arrivammo alla macchina. Lei si rimise al suo
posto, io al mio. Cominciai a percorrere la strada del mare e
alla sua vista ella mi preg di fermare. Col motore acceso, la-
sciai che scendesse a compiere da sola questa nuova ameri-
canata. Raggiunta la ringhiera del lungomare mi fece cenno
167
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

di raggiungerla. Finsi di non capire. Chiam di nuovo e di


nuovo nsi di fraintendere. Dopo aver ammirato il litorale
torn di corsa, dicendo:
Cattivo, perch non venuto vedere?
Perch non minteressa.
Col capo sulla spalliera e il corpo affondato nel sedile, fa-
cendo un muso lungo lungo ripet il suo tremendo e lento
cattivo per cui mi voltai e cominciai a baciarle le labbra di
pesce luna. Lasci fare, immobile e abbandonata, ma quando
mi staccai con lieve stretta minvit a ripetere il gioco e cos
per due, tre, quattro, cinque, sei, mille volte, no a quando ci
ritrovammo io nella sua posizione e lei nella mia.
Con le spalle circondate dal suo braccio, misi in moto,
dicendo:
Siamo in ritardo, orama non avendo risposta,
giunti al bivio di Vietri, dissi:Qui ci sono due strade.
Questa interna e in cinquanta minuti si a Napoli. Quella
la Costiera, la pi bella del mondo. Maiori, Amal, Praiano,
Positano: la chiamiamo la Via delle Indie e si arriva a Napoli
allalba. Quale preferisce?
Indiedisse. La mia macchina prese ad andare
come un cavallo bianco nella notte disseminata di stelle, di
ville sulle rocce, di strade bianche come abe antiche. Ora la
sentivo, la sentivo da morire e lei pure doveva sentirmi come
il cavaliere cui ci si ada nelladdentrarsi tra luoghi dissemi-
nati di mostri. Attraversammo spiagge, insenature, baie, la
Torre Normanna e ci lasciammo alle spalle paranze e misteri
168
Lamericana

e, dopo una lunga corsa tra i tornanti del bosco, giungemmo a


Ravello a una albergo dalle nestre ogivali.
Al mattino mi svegli disperata.
Bisogna tornare subito a Napolidisse
Va bene, un momento
No, presto, presto.
E va bene, il tempo di vestirmi.
Era gi in partenza lei, con la borsetta. Era ritornata
aspra, cocciuta, violenta.
Pi prestodisse
Io la guardai con inimicizia e lei:
Dimenticato mio uomo in albergo.
Quale uomo?
Mio uomo.

169
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti
C r o n a c h e
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti
I barbari

I barbari

I tedeschi che passarono per Nocera Inferiore e per le decine


e decine di paesi e villaggi della Valle del Sarno, non semina-
rono stragi, non fucilarono uomini o donne. Si limitarono, al
momento della fuga, a rapire qualcuno dei rari uomini che,
per forza maggiore, osavano uscire nella strada in cerca di
cibo o di persone care in pericolo. Bisogna dire che fummo
fortunati. I tedeschi stavano combattendo la battaglia di Sa-
lerno e la disfatta era prossima. Il mare, di l da Monte Al-
binoun paravento di metri circatra breve si sarebbe
riempito di migliaia di ogni sorta di mezzi da sbarco. Ma no
all8 settembre rimase vuoto e solo alcune squadre di soldati
alleati riuscirono a spingersi sulla catena dei Lattari: osserva-
torio ideale per tener docchio i tedeschi chiusi nei corridoi

173
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

della valle come in una trappola. Una trappola che a Cava dei
Tirreni aveva una gola da briganti.
Se la via di Cava fosse stato lunico passaggio per inva-
dere la pianura, che si apre a ventaglio no al golfo di Napoli,
sarebbero bastati due cannoni posti sui due picchi della gola
per distruggere un esercito. Fortunatamente, gli Alleati scar-
tarono, dopo un primo disastro nei pressi di Vietri, questa so-
luzione e i tedeschi, battuti sulla costa, ritennero saggio riti-
rarsi oltre Napoli, a Cassino, e abbandonare denitivamente
quelle terre fertilissime, popolate di selve di alberi da frutto e
di molte e numerose famiglie di animali da cortile. Ma anche
in questo campo le razzie furono scarse e modeste.
I tedeschi cignorarono e, per cosi dire, ignorarono la
natura. Dir di pi. Sparsasi la notizia che in un mulino giace-
vano alcuni sacchi di farina, il misterioso comando tedesco
le forze dellordine locale scomparseinvi tre giovani
soldati a regolare la faccenda. Scherzavano e ridevano tra
loro. Una volta sola si limitarono a sparare alcuni colpi
darma da fuoco a mezzaria, fracassando centinaia di vetri
della scuola elementare dirimpetto, come a un tiro a segno.
Un rumore dinferno e molta paura, ma nulla di grave.
Quanto alla farina non ne toccarono un etto. Le truppe di pas-
saggio, avevano burro, marmellata, pagnotte in abbondanza;
e noi spesso si spiava il loro abbondante e tranquillo pasto.
Eppure credo che sarebbe vano rintracciare nella Valle
del Sarno una sola persona che sia riuscita a rivolgere la pa-
rola a un tedesco, salvo in caso in cui a qualcuno veniva
174
I barbari

chiesta lindicazione di una strada o di un paese. Neanche i


ragazzi che, ancora in agosto, osavano spingersi, come cani
didenti, intorno ai mastodontici carri armati Tigre, furono
in grado di suscitare un momento di simpatia o solo alcune
forme di gesticolazione. I tedeschi non si sentivano padroni
delle vie, n signori di noi poveri diavoli. Semplicemente
erano in fuga e, secondo me, chi rimasto vivo di quelle va-
ganti compagnie di ventura forse ignora persino che una volta
nella sua vita and avanti e indietro per le strade e i trattori
della Valle del Sarno.
Le sorti della guerra ci erano ormai note. Stavano nel-
laria. Ma forse proprio per questo motivo avremmo voluto
essere meno indifferenti alla loro scontta e recare, per sol-
lievo, una parola, una frase, un bicchiere dacqua fresca. Al-
lora tutti ignoravano la riserva demoniaca depositata nel
fondo dellanima tedesca, esplosa in ogni altra parte di Eu-
ropa ed applicata come una scienza esatta. Il nostro sguardo
era colpito solo dalle immagini decadute e stinte delluomo in
guerra e in terra straniera, sperduto e smarrito, sporco e ridi-
colmente coperto di frasche mimetizzatrici. Oltre tutto, con
gli Alleati alle porte e alle soglie del cielo :ogni mattino
mandavano un piccolo aereo dalluminio a perlustrare e a dar
la caccia anche ad un solo soldato, sintende, sbagliando il
bersaglio e facendo per scherzo qua e l uno, due, trenta
morti, quanti furono quelli offerti dai nocerini alla strana
causa di una misteriosissima guerrasarebbe stato facile

175
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

usare qualche cortesia a persone che non avremmo mai pi ri-


visto.
Ma come si detto, a nessuno riusc dintavolare un di-
scorso, di conoscere un nome o la storia di uno di loro: se
erano padri o nonni, gli o nipoti; se erano convinti di fare
una guerra giusta o se, come noi, sopportavano il malanno
come un cataclisma le cui cause, del principio e della ne, sa-
rebbero rimaste oscure ancora per molto tempo.
Certo nulla di quanto fecero denot una sia pur vaga
forma dentusiasmo. Fecero saltare in aria la cabina elettrica,
mentre mangiavano pane e burro e distrussero alcuni reparti
della latura delle Cotoniere Meridionali, ma evitarono di
toccare tutte quelle cose che non avevano un carattere utile ai
ni di ritardare lavanzata alleata. Avrebbero potuto discen-
dere nei ricoveri, chiedere ostaggi, ma non lo fecero. Qui si
deve dire per che non vi fu lombra di nocerino che in un
modo o nellaltro tentasse di ostacolare le loro azioni e le pre-
vedibili distruzioni tecniche.
Pi di una volta, di notte e di giorno (e si sa che in
quelle giornate il tempo pass ininterrottamente come un solo
giorno e come una sola notte) udimmo il rombo della moto di
un porta-ordini o di un soldato smarrito. Dalle cantine sin-
tuiva che il soldato cercava una via di uscita nel dedalo delle
stradine. Il tedesco sapeva che i palazzi sprangati nasconde-
vano migliaia di nocerini e sarebbe bastato che egli bussasse
per ottenere quanto avrebbe chiesto. Ma egli preferiva per-
dersi o salvarsi da solo. Mai si sarebbe lasciato andare a rivol-
176
I barbari

gere la parola a un italiano. E la morale di questa nostra testi-


monianza qui: in questa loro glaciale indifferenza, nellat-
teggiamento germanico, soffuso di disprezzo.
La prova illuminante ci fu data il sette settembre. Al-
lalba di quel giorno, negli angoli della rotonda piazzetta da
cui aveva inizio il lungo e tortuoso corso Vittorio Emanuele
III, vennero ad appostarsi tre gruppi composti di tre soldati
ciascuno. Ogni gruppo era munito di un cannoncino mobile
anticarro e di alcune cassette di munizioni. Era la guerra tra le
case.
Alla spicciolata, indi a gruppi, a squadre e inne a com-
pagnie i nocerini si mossero dai rifugi e si spinsero in piazza,
a pochi metri dai soldati. Soldati? Erano ragazzi. Sulle facce
avevano i segni inconfondibili della fame e della paura e
questi due aspetti sollecitarono le nostre doti migliori. Le tre
pattuglie, a momenti, ricordavano quelle della premilitare.
Erano ragazzi; e chi mai, sano di mente, avrebbe potuto af-
dar loro nientedimeno che il compito di strozzare lavanzata
di un esercito i cui cannoni e aerei gi rintronavano domina-
tori di qua e di l dal monte e nellazzurro vuoto della valle?
Per questo moto di ducia lidea di fuggire fu scartata
dalla popolazione; e soddisfatta a lungo la curiosit, a poco a
poco, in piazza rimasero solo quei nove giovanissimi soldati,
retroguardie di un esercito semidistrutto. Le ore passavano
lente ai margini di unestate che si andava orlando di dorature
autunnali sotto un cielo che aveva continue vibrazioni di gi-
gantesche litre dinsetti o, verosimilmente, di rombi di aerei
177
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

in perlustrazione. Venne il pomeriggio, il tramonto, la sera, il


buio assoluto esteso no alla vitrea attaccatura delle stelle e
di nuovo lalba, laurora e il mattino e i soldati stavano an-
cora l dove li avevamo lasciati ventiquattrore prima: larti-
ciere curvo sul cannone, un compagno accanto alle cassette di
munizioni e il terzo di ogni gruppo a spiare il fondo della
strada, pronto a dare lallarme e a ordinare il fuoco.
La piazza e le vie tornarono a farsi deserte. Nocera sem-
brava disabitata. Listinto annunciava prossima la ne di quel
disumano comportamento degli uomini di ogni parte: di
quelle morti eventuali e casuali, di quei bombardamenti a ciel
sereno, rapidi e micidiali. Una sproporzione inudita tra la na-
tura e la condizione umana, tra la pace da solleone della
piazza e il mutismo dei soldati; allorquando, nella luce abba-
gliante del meriggio, preceduto da unombra di pochi centi-
metri, si vide avanzare un drappello. Erano quattro donne.
Una portava un cesto pieno di grappoli duva; una se-
conda, alcuni biscotti di grano, una terza, una brocca di vino e
la quarta precedeva il drappello come un parlamentare. Si
trattava di un gruppo ultrameridionale. Quelle donne avreb-
bero voluto dire a quei ragazzi: Noi non vogliamo sapere chi
voi siate, perch sappiamo di certo che siete gli di madre.
Ma quando il drappello fu sul punto di avvicinarsi ai soldati,
qualcosa dindenibile costrinse le donne ad arrestarsi.
I soldati le guardarono a lungo. Videro luva, il pane, il
vino. Studiarono i volti e dovettero riconoscerli per una loro
memoria domestica. Ma per tutta risposta uno di essi, un
178
I barbari

biondino, grid di andar via e tutti insieme i componenti dei


tre gruppi puntarono le pistole, pronti a far fuoco. Le donne
lasciarono i doni per terra, in un punto morto, come si fa con
le belve. E, guadagnando a ritroso e in un confuso terrore la
zona dei rifugi. Passarono altre ore inerti e altre ancora pro-
fonde come baratri in cui rotolavano i tuoni e il fragore della
battaglia in corso, dentro e fuori la valle Furono quelli i
giorni in cui la situazione tedesca cominci a degenerare in
una vera e propria rotta. Dai corridoi di Vietri e di Cava scen-
devano a grande velocit camions, jeeps, motociclette, per-
correvano il corso e imboccavano, quando vi riuscivano, la
via di Sarno o di Pompei. E fu qui che accadde un fatto deter-
minante, di un signicato diverso da quelli bestiali noti in
tutta lItalia della Resistenza, ma non meno agghiacciante.
Sulla tavola di un sidecar si vide un uciale riverso con
lenorme coscia destra squarciata no al femore da mostrare
gli strati di carne e i condotti sanguigni no allosso. Il moto-
ciclista-soldato vi versava di continuo otti di alcool da un bi-
done e allora, per reazione, la coscia pompava altro sangue.
Luciale era in imminente pericolo di vita e alla gente ac-
corsa il motociclista chiese:
Hospital .
Il silenzio era stato rotto e qualcuno si premur di spie-
gare:
Sta qua, a due passi, nel liceo . Ma il motociclista sul
punto di innestare la marcia, si sent afferrare dalluciale

179
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

che, in uno sforzo estremo, gli ordin di chiedere a noi dove


si trovasse s lospedale, ma lospedale alleman.
No italianogridava.No italiano.
Il pi vicino ospedale tedesco si trovava a Sarno, in un
punto del mondo assolutamente sconosciuto a quei due tede-
schi. Allora luciale, piegandosi e impugnando la pistola,
fece segno ad uno di noi di montare sul manubrio della moto
e di accompagnarlo. Noi fuggimmo, ma il motociclista riusc
a raggiungere un nostro paesano e a costringerlo a obbedire.
E cos il gruppo, col nostro concittadino, part; apparen-
temente alla volta della limitrofa Sarno, in realt verso una
citt misteriosa in cui un uomo o si disperde o muore, ma da
cui di certo non torna pi indietro.

180
I Sassi di Matera

I Sassi di Matera

Partii per Matera prevenuto dalla descrizione che ne fa


la sorella di Carlo Levi nel Cristo si fermato a Eboli; in quel
libro che pu considerarsi, per umanit, una summa delle sof-
ferenze dei lucani e, per ricchezza di materia, un baedecker di
facile consultazione.
Le parole della dottoressa Levi erano disperate: Ar-
rivai a Matera verso le undici del mattino. Avevo letto nella
guida che una citt pittoresca, che merita di essere visitata,
che c un museo di arte antica e delle curiose abitazioni tro-
gloditiche. Ma quando uscii dalla stazione, un edicio mo-
derno e piuttosto lussuoso, e mi guardai attorno, cercai in-
vano con gli occhi la citt. E pi in l: Matera non si ve-
deva. E dopo poco lasserzione: Volevo comprarti uno ste-
toscopio che avevo dimenticato di portare da Torino, e che sa-
181
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

pevo ti occorreva per la tua pratica medica. Negozi speciali


non ce nerano, pensai di cercarlo in farmacia. Tra quei pa-
lazzi e quelle casette economiche cerano delle botteghe e
trovai due farmacie, le sole, mi dissero, della citt. Non sol-
tanto non tenevano ne luna n laltra; ma non ne avevano, i
due farmacisti, nemmeno la pi pallida idea.Stetoscopio?
E cos? Era mezzogiorno e mi feci indicare un risto-
rante, il migliore di tutti, mi dissero. Infatti ad un tavolo sta-
vano gi melanconicamente seduti davanti a una tovaglia
sporca il vicequestore con altri funzionari di polizia, con
laria annoiata e gli anelli per le salviette dei clienti abituali.
Tu sai che io sono di poche pretese: ma ho dovuto alzarmi
con la fame. E mi misi nalmente a cercare la citt. Allonta-
natami ancora un poco dalla stazione, arrivai a una strada, che
da un solo lato era ancheggiata di vecchie case, e dallaltro
costeggiava un precipizio. In quel precipizio Matera.
Con queste parole rapide e denitive nella mente, sia
pure pensando che di l i Levi eran passati una quindicina di
anni avanti, appena disceso dal trenino della Calabro-Lucana
che impiega unora a percorrere i trenta chilometri tra Fer-
randina e Materami aspettavo di vedere in tutto e per
tutto, in plastica, la descrizione della Levi. Ero partito nero,
anche avvilito, perch non avendo visto altro nella vita che
miseria e non avendoci ancora fatto il callo, il dolore mi si
rinnova e i pensieri sulla cattiveria umana toccano la furia;
ma debbo confessare che, o per essere disposto al peggio, o
per essere meridionale, e si sa che quaggi se non zuppa
182
I Sassi di Matera

pan bagnato, la prima impressione, uscito dalla stazione, fu


favorevole.
A parte il gusto del palazzo lussuoso di cui parla la
Levi, era un fatto che un palazzo fatto a palazzo ci fosse. E
nulla di desertico, di abbandonato, di paese pestifero. Anzi,
strada facendo, osservavo che per essere un paese dalle poche
e magre vene dacqua, vi era una discreta pulizia, al con-
trario, addirittura miracolosa al paragone con quella dei paesi
napoletani, dove se cchi un chiodo in un sasso, zampilla
acqua sorgiva. Anche dove non cerano costruzioni recenti, le
case a un piano, tipiche della citt di pianura, non erano fab-
briche abbiette. E la citt continuava in unaria bassa e mono-
tona, ma luminosissima, di strada in strada, assembrandosi e
abbellendosi (o abbruttendosi) come ci si avvicinava al
centro, tra la via delle banche, il palazzo delle poste e quello
del governo.
Era uno di quei tipici centri di paesi elevati al rango di
provincia; e quel che aveva di brutto, tra il lusso e il cattivo
gusto, gli derivava dalla vanit provinciale, da un pessimo
concetto e una peggiore applicazione dellarchitettura mo-
derna. Un disastro comune a quasi tutte le citt italiane,
grandi e piccole, del nord e del sud. Importante che vi fosse
un cinema come il Duni, di architettura modernissima, ripor-
tato anche da riviste di alta cultura architettonica e un negozio
arrivo a diredi scarpe, uno di quei negozi razionali, di
pietra e vetro, da ultimo grido.

183
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

Sempre con le parole della Levi in testa, andai a cer-


carmi un albergo, e nella camera trovai lacqua corrente. An-
nusai le lenzuola, sapevano di bucato. Le palpai, erano piace-
volmente ruvide. A cena, piatti, bicchieri, posate, tovaglie,
tutto splendeva di pulito. la verit, e bisogna scriverla. Ce-
nato, feci ancora quattro passi. Erano le nove di sera e cera
vita dovunque.
In piazza cerano gruppi e gruppi di cafoni, in abito
nero, camicia bianca e cappello a cupola nero, e quei gruppi l
dovevano avere il segreto di Matera. Dovevano essere del
Fosso, di cui non avevo visto nemmeno un lembo. Vidi due
vecchi seduti su un muro sbrecciato, che avevano laria des-
sere saliti a prendere una boccata daria. Lo tenni a mente.
Entrai in una tabaccheria, e la trovai povera di stipi e di ban-
coni, ma pulita. Entrai da un droghiere: aveva saponi di tutte
le marche. Anche qua non vi era niente di certe ributtanti bot-
teghe di Napoli e di centinaia di paesi del suo hinterland. E
sul punto di uscire, mi ricordai dello stetoscopio, e domandai:
Ha uno stetoscopio? No rispose il bottegaio, ma se lo
vuole, glielo mander a prendere a Bari e domani sera pu ri-
tirarlo. Cos faccio con gli altri medici Ma ce lhanno i me-
dici di qui? Certamente! rispose con un didente sorriso.
E quindici anni fa lavevano? Lei conosceva codesto stru-
mento? Ma certamente. Perch? No, niente, grazie. E
tornai allalbergo per addormentarmi.

184
I Sassi di Matera

Ci per dire che a Matera alta si pu vivere civilmente,


comodamente, addirittura ignorando che laggi c un Fosso
per le belve domate.

La nestra della mia camera dava sui Sassi. Lalbergo


aveva le fondamenta dentro di essi, per cui, quando mi sve-
gliai, aprire la nestra e ricevere negli occhi lo spettacolo, fu
tuttuno. Restai cos preso che mi rasai, lavai e vestii senza
spostarmi dalla nestra. Sentivo dire dentro di me Cristo
Benedetto! Cristo benedetto!.
Nonostante fosse una mattina chiara e ampia e una
grande quantit e variet di uccelli si spostasse, volasse e cin-
guettasse e mi giungessero gli squilli di una trombetta, lim-
pidi e vivi come i raggi, lo spettacolo di questa valle stretta e
profonda, mi sconvolse limmaginazione. Neanche sotto lin-
usso di un incubo schifoso mi si era presentato un ambiente
simile.
Sotto di me si apriva, ma non molto, un cono capovolto
sulle cui pareti, a strettissimo giro, no al vertice conccato
nel punto pi profondo, correvano migliaia e migliaia di non
so come dire se buchi o occhi di favi di api, in una materia
che dalla nestra pi che dura dava lidea dessere molle. In
certi buchi doveva ancora regnare il sonno o vi era labban-
dono. Da altri, un essere vivente usciva, o usciva e entrava
come un verme da un frutto e, dappertutto, ogni tanto, ne
scappava fuori qualcuno: esseri pi grandi o pi piccoli, con
molti gesti o senza. Da un buco, che stava a picco sotto di me,
185
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

usc un uomo su un mulo, e due bambini gli tennero dietro


sulla viottola.
Lungo le viottole gi cerano dei cristiani seduti. Il sole
si era fatto grande. Il cinguetto si era smorzato e la trombetta
del fornaro se nera andata. Solo quando il Sasso fu inve-
stito da un massimo di luce, si riemp di un formicolante mo-
vimento. Ora per tutte le viottole salivano e scendevano uo-
mini sui muli e sugli asini. Mi bastava. Ma il mio dovere era
di scenderci. Ma ancora oggi non saprei dire se discesi nel
sasso Caveoso o nel Barisano. Dopo dieci passi ero gi
dentro. Di Matera alta si vedeva un castellaccio ruinato e
sotto i piedi la viottola ripida, che mi avrebbe spinto no al
fondo. Procedevo, guardando a caso, senza pi meraviglia,
quandoe desidero che il lettore mi credaun gruppo di
donne mi affront, invitandomi, costringendomi a vedere le
loro case. Da tempo esse sono esercitate a riconoscere i fore-
stieri nei quali hanno ducia pi che nei paesani, nei quali
non ne hanno alcuna. Non conoscono il nome di don Carlo
Levi, ma dopo il suo Cristo, che i cristiani volenterosi si
sono spinti n quaggi. Quasi a forza dovetti entrare in uno
dei peggiori luoghi, come potetti stabilire in seguito. Dal-
lesterno il buco, aveva laspetto di una casa, ci aveva la porta
e un riquadro intonacato. Ma, entrato che fui, mi fu addosso il
tetto: fasci di rocce rotonde e nervose come enormi radici di
un pi enorme albero. Restai zitto e tetro. E le donne intui-
rono e smisero di parlare. Poi dissi: Ma questa proprio
roccia, roccia nuda e cruda! Era una grotta ampia, lunga,
186
I Sassi di Matera

profonda, con in fondo una grotticina, come se su una lumaca


se ne fosse appiccicata unaltra minuscola. In fondo a destra
cera il letto matrimoniale. Sulla parete sinistra cera uno sti-
pone. Pi in qua una cassa di legno grezzo con spalliera. A
met stanza mi arrestai. Laria, sebbene non fetida, era irre-
spirabile, calda, grassa, mi sembrava si stesse trasformando in
grasso sulla mia persona. La donna alz un velo grigiastro e
minvit a cacciarvi il capo dentro in unaltra stanza!
Dietro una grossa spaccatura naturale si celava una vera e
propria grotta grande quanto un letto matrimoniale, che vi era
stato cacciato dentro a pezzo a pezzo. Dalla supercie del
letto al tetto cerano s o no un centinaio di centimetri, ma di
meno.
Qui dormono quattro miei glidisse la donna.
Indi mi condusse al fondo estremo della grotta. Un puzzo di
stalla minvest e mi respinse.
Ci sono gli animalidomandai.
Una voltarispose la donna.Non li abbiamo
pi. Li abbiamo dovuti vendere a uno a uno, in tanti anni. Qui
ci dorme un altro mio glio.
Ma quanti ne avete?
Dodici.
Santo Dio, e dove dormite?
E vi ho fatto vedere.
Tutti quanti in due letti matrimoniali?
Bastanodisse la donna. E a bassa voce:Siete
sposato? Allora potete capire. Io e mio marito dobbiamo
187
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

aspettare che saddormentano tutti e dieci per peccare. Ma


non saddormentano. E come dobbiamo fare? Tratteniamo il
ato, e via.
Bene, benefeci io, congedandomi.Buon appe-
tito, debbo andarmene.
Il signore vuole scherzare. Lappetito c e il man-
giare no.
Mi sembrava esagerato.
Benedetto. Ges, mangerete qualche cosa.
E lei:S, certamente. La mattina pane e cipolla, a mezzo-
giorno pane e aglio. La sera pane e cicoria.
Mai uova, pasta, carne, frutta?
Eh, uova, pasta, carne, frutta, Agli sposalizi
fece leifacciamo il debito e si fa il festino.
Le altre donne erano stanche e ansiose di trascinarmi e
ritornai alla luce. Vidi un enorme cilindro di terracotta giallo-
gnola e dissi:
Che questo coso?
Lo cacaturo.
Lo cacaturo?!feciE il cesso?
N cesso, n acqua. Facciamo l uno per uno e get-
tiamo nel chiusino. Sentite che odore!
Fuori cera il chiusino. Un fosso con un pietrone sopra.
Senza acqua e senza gabinetto e sul pavimento naturale, la
pulizia della grotta, dove vivevano dodici persone, era mira-
colosa. Alla ne, la salutai e fui trascinato altrove, gi, molto

188
I Sassi di Matera

in fondo, da una vecchietta vivacissima, con una calzetta ru-


vida sulluovo di legno per rattopparla.
Ora vi faccio vedere la casa di mia glia. La casa
della comara che avete visto una reggia. Di che si lamenta.
Ha dieci gli che la sfamano. E ringraziasse Dio. Ora vi
faccio vedere la mia, altro che la sua, bellu giuvane.
Giunti che fummo mi fece entrare in una grotta a forma
di parallelepipedo, altissima, che il tetto niva nel buio. Po-
teva essere lunga quattro metri, larga due, alta, dico a caso,
per darne lidea, trenta metri. Cera dentro la glia seduta. Un
verme di bambino le stava ai piedi, un altro in grembo.
Quello ai suoi piedi aveva gesti e movimenti lenti come i
bruchi ancora spogli. Laltro giocava col seno della madre
come con unaltalena. E quella ragazza aveva ventanni. Non
quaranta come avevo giudicato a prima vista. Aveva la faccia
di una castagna secca; le due orecchie: due bucce pendule.
Guardava incantata me e la madre.
Non pu starci pi. Tutto umidit.Il muschio
saliva e scendeva in grosse folte strisce sulle pareti. Ma che
pareti!
Questa la carta del comunecontinu la vecchia.
Diedi unocchiata a quella carta stampata lurida come una
pezza: ed era veramente un certicato che dichiarava inabita-
bile la grotta. Portava la data del 1939.
Il marito bracciantediceva la vecchiama la-
vora solo quattro mesi allannoMi fece vedere la libretta
dei cibi presi a credito. Io volevo togliermi da quel tanfo, e
189
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

prendere una boccata daria, come un nuotatore che deve ri-


tornare da sotto acqua. Altre donne erano apparse sulla bocca
dellentrata. Parlavano, mi afferravano, mi tiravano. Sentivo
dire:
americanoE la vecchia forte di essere in casa
sua alzava il tono. Mostrava le pezze che coprivano i bam-
bini. Tocc i capelli della glia per una carezza e si mise a
gridare:
mia glia, non una pecora, bellu giuvane. Ti prego,
scrivi, tu che sai scrivere, e dici tutta la verit. Non farti in-
gannare. D che mia glia piange sempre e che io me ne
moro. Dillo a tutti.

190
La preghiera della sera

La preghiera della sera

Tutti i giorni e tutte le sere dovremmo trovare un mi-


nuto di raccoglimento per elevare almeno questa preghiera a
Dio o a Madre Natura:
Signore, ti ringrazio di avermi fatto egoista e indifferente.
Grazie a queste doti che mi hai donato, anche questa sera
posso addormentarmi tranquillamente, inschiandomi del
mondo intero, dei bambini, degli uomini e delle bestie. Se
non fosse cos, ora non solo non potrei, ma non dovrei dor-
mire.
Non avete letto la notizia di quella bimbetta di cinque
anni, sottoposta da oltre un anno a terribili maltrattamenti da
parte della madre e del di lei amante?
Sul corpicino della bimba sono state trovate innumere-
voli escoriazioni. Alcune ciocche di capelli le sono state
191
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

strappate. Pensate al dolore che avr sentito! Provate a strap-


parvi i capelli, provate a farvi delle escoriazioni.
Io ti ringrazio, Signore, di avermi fatto cos come sono.
E come sono?.
Ho letto sul giornale la notizia fra tante altre e non ci ho
fatto pi caso. Sono forse io la bimba? Fosse stato per me,
avrei riportato la notizia a caratteri cubitali sulla prima pagina
dei giornali. Avrei ordinato di fare aggere su tutti i muri del
nostro Paese la fotograa della madre, di questa madre spe-
ciale, indifferente ai gridi della bambina, impassibile ai suoi
probabili sguardi di terrore, ai suoi tremori quando capiva che
cominciava il tormento.
Signore, sei innito nella tua misericordia. Veramente in-
nito.
La bambina doveva certamente gridare. Il giornale
preciso: la bambina lanciava gridi altissimi e orribili e i vi-
cini, con questa musica negli orecchi, potevano continuare a
mangiare, a dormire, a fare tante altre cose umili o divertenti.
Mica si domandavano: Per qual motivo tutti i giorni questa
bimba grida in modo cos orrendo?. Nessuno si posta la
domanda.
E per questa qualit di non farci porre domande scomode
che bisogna ringraziarti tutte le sere col cuore in mano e in gi-
nocchio, Signore.
Anche io, che cosa faccio, ora? Mi limito a scrivere
questi pensieri, a sfogarmi, ma tra poco andr a dormire. Non
c dentro di me una forma di ribellione cos possente da to-
192
La preghiera della sera

gliermi il sonno, da farmi decidere a prendere il primo vei-


colo e recarmi dove si trova la bimba: per curarla, per gua-
rirla, per ridarle ducia, per cominciare a volerle bene e per
farmi voler bene, per tentare di trasformarla in una bimbetta
felice specie in questa bella stagione di primavera. Se volessi
potrei persino adottarla. Lo potrei fare benissimo. Tra poco
andr a letto. Mi addormenter profondamente e domattina
me ne sar dimenticato.
E di questo, di questa capacit che ci hai dato, ti voglio rin-
graziare Signore. Altrimenti.. Meglio non approfondire il di-
scorso. Oltre tutto non sarebbe un discorso, ma un mare senza
fondo e senza conni per quanto lunga, sterminata e orga-
nizzata la malvagit umana.
E le bestie? Gi, le bestie! Sono nati cinque gattini nel
mio parco, veramente, mio e di altri. I bambini si sono diver-
titi a straziarli e facevano chiasso. Il giorno seguente non
cerano pi. Il giardiniere ha detto:
Che sconcio, li ho fatti buttare a mare dal garzone.
E io devo confessare che, sebbene sapessi che il diritto
alla vita era stato calpestato in modo drastico, ne ho avuto un
profondo piacere perch per quei poveri gattini non cera mi-
gliore soluzione. Potessero subire presto la medesima sorte
cavalli, muli e asini che in questo momento salgono e scen-
dono per le vie del nostro paese.
Voi non potete minimamente immaginare, Signore. Alcuni
sono adati alle cure di qualche buon uomo, il qualesu
questo non vi pu essere un dubbioli far lavorare almeno
193
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

diciotto ore al giorno; altri sono adati a persone che, oltre a


considerare lanimale come una macchina che pu restare
continuamente in moto, lo caricano di botte.
Laltro ieri, verso le due del pomeriggio, lora in cui
abitualmente rincaso, sulla ripidissima salita che porta a casa
mia, vidi di sfuggita un asino con i piedi puntati contro la di-
scesa sotto un carretto carico di tronchi di legno no a for-
mare una piccola montagna. Si era spezzato lasse della ruota
e il padrone aveva lasciato il carretto l, inclinato come si tro-
vava, forse per andare a far riparare la ruota. Un garzoncello
mangiava un pezzo di pane con dellerba inlata dentro. Ma
lasino stava l fermo, duro contro la discesa, senza poter
mollare un istante. Si fosse lasciato andare, Signore, lo sa-
pete, sarebbe stato travolto e, nel caso migliore, sarebbe stato
solennemente bastonato. Come ho detto erano le due.
Mezza citt gli pass dinanzi, indifferente, anzi insoffe-
rente per lingorgo che asino e carretto creavano in quel
punto. Penso che andammo tutti a casa, certamente abbrac-
ciammo i familiari, ci lasciammo festeggiare dal cane di
razza, mangiammo, riposammo e alle sedici e trenta do-
vemmo rifare in discesa la strada di casa nostra.
Scusatemi, Signore, io dellasino mi ero completamente di-
menticato.
Avevo fatto ogni cosa che mi riguardava e che mi pia-
ceva e per lunghe ore senza essere mai sorato dallimmagine
dellasino con gli zoccoli puntati contro la discesa. Per tutto
ci, quando me lo ritrovai di fronte, per un istante, mi sentii
194
La preghiera della sera

percorrere da un brivido, dicendo a me stesso: Benedetto


mondo, sono trascorse cinque ore e questa povera bestia sta
ancora in questa posizione? Ma le si sta iniggendo un tor-
mento inaudito.
Vergognoso, timoroso, quasi nascondendomi per non
farmi notare dagli altri signori, che passavano in macchina
(Voi sapete bene, o Signore, quanto sia pericoloso e ri-
schioso di questi tempi mostrare un poco di piet, che dico,
dinteressamento: vincolpano di mille peccati, vi conside-
rano un uomo nito, un uomo del passato) dunque, piano
piano, mi avvicino al carretto e allasino in cerca del ragazzo
che avevo visto mangiare pane ed erba. Il ragazzino non cera
pi. Guardai il carretto: era carico di ceppi distribuiti in di-
versi cestoni. I nimenti avevano scorticato il petto della be-
stia che ora sanguinava. I suoi occhi non si potevano guar-
dare. Che fare? Mi rimisi in macchina, discesi alla marina, mi
avvicinai ad una guardia e gli dissi quanto avevo visto. E lui:
Bene, e con ci, cosa volete che io faccia?.
Come? allora che guardia siete?.
Badate a quanto dite e non dimenticate chi sono!.
Chiesi scusa, pensando alla bestia sanguinante ferma l
da quattro ore e cercai di prenderlo con le buone. Alla ne si
mise in macchina e sal con me. Ci fermammo e giunti sul
luogo egli prese il blocco e segn alcuni appunti.
Bene disse, ora il padrone avr la multa che si me-
rita.

195
Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

E la bestia dissi, non sarebbe bene liberarla da quella


posizione? Ci sta da almeno cinque ore. Guardi, san-
guina. Il vigile mi guard esterrefatto.
Lasino? Ma cosa volete che me ne importi. Se la deve ve-
dere il padrone, voi veramente siete un bel tipo.
Che dovevo fare? Avrei potuto fare molte cose se dentro
di me ci fosse stata una potente spinta di misericordia. Che
avevo fatto per la bimba? Ci avevo dormito su. Che avevo
fatto per i gattini buttati a mare? Avevo sorriso al giardiniere.
Che cosa avrei potuto fare per lasino. Dentro di me ribollivo
di orrore e di ribellione, ma con tutto questo incendio nel
corpo e con la fantasia arrossata dai fulmini dellingiustizia e
della sofferenza universale mi rimisi in macchina e andai per
la mia strada. Pensai ancora allasino e ai cavalli che mille
volte e in mille luoghi avevo visto bastonare a sangue, ai cani
randagi perseguitati nei torrenti da compagnie di ragazzi, che
li lapidavano, esaltati dai loro lamenti, ai vitelli, ai buoi, agli
agnelli, agli altri animali che non volevano entrare nella zona
del mattatoio, lanciando gridi altissimi e mostrando di capire,
di sapere del loro destino e, poi, a poco a poco, mi distrassi
no a dimenticarmene del tutto.
E di questa provvidenziale dimenticanza, che a ondate si ri-
versa sui nostri incipienti sentimenti, ti vorrei ringraziare, o
Signore.

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Luniverso mangereccio del presepe

Luniverso mangereccio del presepe

Parlare del presepe un anacronismo. Esso naufragato


nei gorghi del consumismo da cui dicilmente potr riemer-
gere. Si dovrebbe ritornare a una condizione sociale degra-
data allo stato di fame, senza fuoco e senza lane, al famige-
rato inverno napoletano dei tempi andati, ma ben saldo nella
memoria, interrotto, appunto, dalloasi mangereccia natalizia
e presepiale, che puntualmente si ripresentava allEpifania
sulluscio di casa, freddo, lugubre, con le mani sozze e ma-
late, i piedi coperti di geloni, il berretto e le scarpe sfondati.
A Natale i contrasti sociali a Napoli venivano leniti e
mimetizzati dallo spirito di carit. Il presepe ne era il veicolo
ideale, un pittoresco carriaggio su cui si poteva caricare una
farragine di cose e di pensieri sotto una coperta trapunta di
stelle. In altre parole veniva raccolto il messaggio evangelico
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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

della Sacra Famiglia per cui anche al pi misero dei napole-


tani si lasciava buscare o gli si offriva qualcosa per metterlo
in condizioni di comprare quei cibispaghetti, lupini di
mare, sottoprodotti di vongole e cozze e di mitili nobili, bac-
cal in sostituzione del capitoneper tenerlo contento du-
rante una vigilia in cui era inammissibile che qualcuno non
mangiasse tutto o parte di quei cibi di rito; senza di che era
ammesso il suicidio.
Si trattava di una carit a buon mercato che riscattava il
ricco da quella moltitudine di peccati antisociali, che, passato
il Natale, si sarebbe ripetuta con la perfezione e la comple-
tezza di un teorema.
Il presepe era inoltre sostenuto da una spiccata tendenza
mangereccia, nata dal contrasto con un tipo di vita misero. Il
presepe costruito su queste basi era plebeo e su di esso lin-
uenza del presepe secentescoche aveva superato da
tempo quello classico rinascimentale o daffresco, si ri-
dusse alla sola struttura portante: alla grotta, alle montagne, ai
mari, alla cinematica dei pastori e a un primo impianto di
quella variet ambientale di tra siriana, persiana, arabica, rab-
binica e turchesca, plurilinguistica, babele e ammuna; imita-
zione in ventiquattresimo, ma assai veridica e altrettanto pro-
miscua e gremita, di uno dei tanti quartieri cittadini con voca-
zione e vociferazione, variet e inventiva mercantilistica.
Lincantatore di serpenti, le guarattelle, il dulcamara e il
cantastorie, il monaco scalzo, predicatore di exempla, come
Pulcinella, presente in parecchi presepi, ci stavano di diritto.
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Luniverso mangereccio del presepe

Si trattava di una umanit varia, s, e storicamente pianicata,


ma con un ideale comune: cercare con un lavoro qualsiasi e
con qualsiasi stratagemma di magnare, termine assai pi pre-
gnante di mangiare.
Nel presepe degli abbienti i pastori contadini, portatori
di doni, di frutti della terra e di animali rappresentavano lob-
bligo dei coloni di completare con limporto di beni in natura
quello dovuto in denaro. Si trattava di una maniera scenica e
divertente e al limite del burlesco e del mito del buon sel-
vaggio, venuto dalla Francia e nel Settecento in gran moda, di
ricordare al colono che anche di Natale limpegno delle pre-
stazioni rimaneva inderogabile. Nei presepi popolari i pastori
contadini, provenienti dalla campagna (dei dintorni di Napoli,
sintende), i cosiddetti cafoni, contribuivano invece ad arric-
chire i mercati delluniverso mangereccio.
Del grande presepe portato dai Gesuiti dalla Spagna e
largamente laicizzato, ma non da obnubilare la sacra rappre-
sentazione, il popolino apprese una sola lezione: lo scialo del-
lapoteosi gastronomica, la rivincita sulla fame, la realizza-
zione dellancestrale sogno di Pulcinella. Il presepe classico
rispettava inoltre un programma; a ciascun pastore assegnava
una parte, con nitidi particolari di grande violenza realistica.
Il presepe del popolino, essendo uno stato danimo e quindi
soggetto a continue variazioni, n nellindistinto chiassoso e
plebeo con gure di pochi centimetri come ricavate da un
unico stampo e dirette verso un unico mondo: quello del para-

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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

diso terrestre in cui i poveri compagni di Pulcinella potevano


nalmente mangiare e bere a saziet.
Che cosa centra Pulcinella col presepe? Pulcinella co-
mincia a fare i primi passi per le strade di Napoli nella met
del Seicento; quando la citt, in avanzato scempio edilizio,
tocca uno dei fondi pi oscuri della sua promiscuit antropo-
logica; gli anni di Masaniello e di una fame ruggente, tra pesti
ricorrenti e caterve di mendicanti dentro e fuori le mura.
Lideale di tutti quello di sfamarsi e Pulcinella lo rappre-
senta alla perfezione. Egli una sorta di mistico vittima di
oniriche visioni in cui lestasi si concretizza in un fumante
piatto di maccheroni divorato sotto lo sguardo benevolo e
comprensivo del Signore. Pulcinella di sicuro avrebbe co-
struito un presepe commestibile e alla base del presepe popo-
lare, nel pi intimo segreto, ci sono le spinte e le sollecita-
zioni mangerecce della loica e, a suo modo, stoica maschera
sempre in relazione al suo pensiero dominante: la fame.
La Fame tutto a Napoli. Fa pi paura della morte.
Ges Bambino lo sa bene; perci, tra laltro, ha permesso la
costruzione del presepe mangereccio. Laffamato un fan-
tasma, un feto che aspetta di diventare uomo. Il sazio lo . La
fame malattia. La saziet benessere, lusso, lustro. Il sazio
dorme pacicamente, russa, romba, viaggia in un pallone di
cristallo illuminato dal sole. Laffamato si rivolta su un giaci-
glio. Soffre dinsonnie e visioni. Si alza smarrito. Scambia la
notte per giorno e viceversa. Degrada verso livelli animale-
schi e si accompagna, frugante e annusante, ai cani randagi.
200
Luniverso mangereccio del presepe

Non si potrebbero spiegare altrimenti in un paese cos


povero e cos maldistribuito urbanisticamente e socialmente e
inframmezzato di ambienti, abissi e corridoi oscuri, le spetta-
colari mostre di cibarie che incantavano Don Peppino Ma-
rotta. Gli erbivendoli di tutto il mondo espongono frutti e ver-
dure in cassette linde allinterno dei negozi con qualche pri-
mizia e allesterno con leleganza di canestri di ori. I napo-
letani invadono i marciapiedi, scendono nella strada, spin-
gono la merce tra i piedi della gente e, quando non basta, al-
lora come oggi, danno la voce, descrivendo la bont dei pro-
dotti per far venire lacquolina in bocca al passante: voci
bianche che volano come colombe nelle oscure veglie di chi
rimasto a secco.
I salumieri del nord sembrano farmacisti in camice
bianco; i beccai, dei chirurghi. Quelli del sud si confondono
con i quarti di bue e le teste dei porci. Vivono come vermi do-
rati in un frutto maturo al fondo di caverne di prosciutti e di
salami, torri di formaggio, botti di acciughe, di olive e di giar-
diniera in aceto tutti i giorni dellanno, ma durante il Natale la
loro arte aspira alla esaltazione della bestia trionfante. Con le
merci si compongono gure, ghirlande, collane; si cerca in-
somma di rendere plastico e tangibile luniverso mange-
reccio.
La provocazione gravissima. Verrebbe la voglia di
portare tutto a casa e di dire ai gli di approttarne. E questo
avviene in realt. Poverissima gente rincasa in cima a car-
riaggi pieni di cavolori, lattughe, broccoli di ogni genere,
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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

cicorie e ogni sorta di ortaggi, aranci, chi, uva e, come se


mai Ges fosse nato al colmo dellinverno, ogni sorta di
frutta, specie estiva, caciocavalli di Regno, mozzarelle di Bat-
tipaglia stillanti latte, trecce di Campobasso, bocconcini di
cardinale, dentici, orate, spigole, merluzzi, triglie, anguille e
capitoni (o come li si chiamava nel Settecento: tomacchi),
frutti di marevongole, cocciole e fasulari, cannolicchi,
ostriche e tartu pollame, vitella, vitellone, manzo, piedi
di porco, salsicce forti calabresi, sopressate di Matera, pepe-
roni di ogni colore e dimensione, rosari di agli, aringhe in
botti scoperchiate, eccetera, ecceterona Nei vicoli i car-
riaggi sovraccarichi si scontrano; cadono ceste di arance; ro-
tolano per le ripide straducole; ma nessuno si cura di racco-
glierle. Ed logico. In sogno tutto possibile fuorch il mira-
colo di ritrovarsi, da svegli, con qualcosa in mano o in bocca.
Il presepe va collocato in questa frattura tra sogno e re-
alt. La mia pu sembrare una versione paradossale, ma a
farla atterrare sulla realt basta dare uno sguardo da un pre-
sepe anche minuscolo realizzato allinterno di un basso;
quando ancora la gente si dedicava a questa annuale fatica.
La Grotta di Betlemme situata in un angolino. lunica
cosa povera e isolata del presepe. Il resto, pianure e mon-
tagne, occupato dalla mercanzia su descritta e i luoghi abi-
tati sono pieni di osterie con sul prato famiglie di compari in-
tente a bere e a mangiare. Un profano torcerebbe lo sguardo
disgustato, formandosi una idea inesatta della voracit dei na-
poletani; perch quella lussureggiante esposizione gastrono-
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Luniverso mangereccio del presepe

mica soltanto un desiderio, una rverie e una bizzarra forma


di esternare la propria idea di come dovrebbe essere il
mondo.
Questo discorso, sintende, rivolto ai fasti passati del
presepe superpopolare. Oggi tutte le mie ipotesi non potreb-
bero sussistere. Il presepe ridotto al lumicino. un mate-
riale artistico dantiquariato e di musei e dai bambini consi-
derato un giocattolo e come tale viene allestito, in proporzioni
ridottissime, dai loro familiari.
Il panorama umano di Napoli ha subito profonde modi-
cazioni; ha superato lo stato di fame endemico e il presepe
ne ha fatto le spese. I giovani non vi si riconoscerebbero, tra
laltro, per due motivi di gran fondo: per la perdita della con-
cezione antropomorca della fede e per il trasferimento su
altri pianeti e su ben altri versanti delluniverso mangereccio.
A loro disposizione vi sono altri presepi, giganteschi e ruti-
lanti, integralmente profani e al servizio della ferie no-
made dei nostri anni in cui la famigliasostanza delle so-
stanze del presepeha subto traumi incontrollabili, lanciati
verso traguardi in continua mobilit: i grandi magazzini,
colmi di articoli e di oggetti provenienti dai pi svariati paesi,
multinazionali, come si dice, e a buon mercato.
Il reparto cibi, vitreizzati, in questi templi del consu-
mismo, e soltanto un angolo e il meno in vista, visitato e ago-
gnato; per cui, a volere allestire un presepe alla maniera su-
perpopolare con orridi pastori di plastica di cinque o sei centi-
metri di altezza come rappresentazione del messaggio del-
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Domenico Rea - Tentazione e altri racconti

labbondanza, risulterebbe soltanto una sterile e degradata


commemorazione di un periodo storico che, in ogni caso, per
la propria salute morale, meglio dimenticare.
Il presepe superpopolare era inoltre, per scenograa e
paesaggio, unimitazione abbastanza al naturale della sceno-
graa e del paesaggio urbani napoletani in cui una volta trion-
fava lidea del mercato-bazaar, farraginosa e assordante,
come a tutta larea mediterranea depressa. Oggi risulterebbe
una pittura di genere o al massimo unoperazione naf.
Il profondo rapporto uomo-presepe, uomo-devoto ai
piedi di Dio nella gura di un Ges Bambino perch gli le-
nisse la fame, sia pure con una sceneggiata divertente, e lo in-
serisse in un mondo pi giusto, si spezzato e lanello man-
cante nessuno, penso, ha in animo di raccoglierlo.

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Credits:
Vision Consulting srl
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