L’ORLANDO FURIOSO
F. Chabod (Il Rinascimento nelle recenti interpretazioni, in
Scritti sul Rinascimento, Einaudi,Torino, 1967, p. 11) :
2
Il genere epico
Riferimenti al mondo classico, in primis Omero
e Virgilio, ma anche Ovidio e Lucano, ecc...
Chanson de geste (ciclo arturiano e bretone).
Romanzo medievale cortese e romanzo
popolare.
Tra oralità e scrittura: dai cantastorie alla
stampa.
Quale pubblico? E quale circolazione dei testi?
L’officina ferrarese e la famiglia estense: il
poeta, la corte, la società.
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Ferrara nel 1598
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5
Il castello estense
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Il Castello Estense
L’architettura
divenne uno
dei mezzi
principali per
mostrare la
propria
grandezza e
magnificenza
e, insieme,
creare un
ritorno di
immagine
positive per I
Signori della
città. Architecture became the most important
sign of nobility in Italian society.
(Patronage, art and society in Renaissance Italy, p. 166)
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Era conosciuto anche Palazzo Schifanoia
con il nome di DELIZIA,
ma lo stesso termine
Schifanoia rimanda allo
«schivar la noia» degli
impegni e i doveri di
corte.
La costruzione risale al
14° sec. ma venne
sottoposta nel tempo ad
una serie di numerosi
rimaneggiamenti, anche
strutturali, il più
importante dei quali fu
commissionato da
Borso d’Este nel 1467.
In quell’epoca infatti
Borso era Duca di Oltre alla costruzione principale e
Ferrara e gli Este la all’esterno, Borso decise di far decorare le
famiglia più importante pareti interne del palazzo con un ciclo
della città. tematico di affreschi.
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Francesco Del Cossa, Trionfo di venere, 1468-1470 ca, dalla
rappresentazione del mese di Aprile, Salone dei Mesi, Palazzo
Schifanoia, Ferrara.
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Rinaldo (Orl. Fur., I, 10-12)
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Il codice cavalleresco (Orl. Fur., I, 22)
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Tiziano, Ritratto di Ariosto (1510)
«Alo illustrissimo
signor Ercule, duca
de Ferrara», è
dedicato l’Orlando
inamorato del
magnifico conte
Mateo Maria
Boiardo, conte de
Scandiano.
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Isabella e Beatrice d’Este
(1474-1539) (1475-1497)
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Orlando Furioso, I, 2-3
«in the full consciousness of his own genius, Ariosto does not scruple […] to
celebrate the fame of the house of Este (…)» (Burckhardt).
2
Dirò d'Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d'uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m'ha fatto,
che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.
3
Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l'umil servo vostro.
Quel ch'io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d'opera d'inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.
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«Egli infatti sapeva, come i suoi contemporanei
Machiavelli e Guicciardini, che la conoscenza
del mondo si può attuare ovunque la sorte ci
collochi, tra i potenti come tra gli umili, nelle
città come nelle campagne, nella corte come
nei mercati, nei traffici o negli ozi della pace
come negli orrori o nelle violenze della guerra».
(L.Caretti, Ariosto e Tasso, 1977, pp. 18-19.)
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Orlando Furioso (1532) - Frontespizio
Stemma del
Cardinale
Ippolito d’Este
Pergamena da
un’edizione a stampa
di Francesco Rosso da
Valenza appartenuta al
card. Ippolito II d’Este,
Ottobre1532
(Bibl. Apost. Vaticana,
Barb. Lat. 3942)*.
Un poema
inimmaginabile fuori
dalla corte ferrarese
(G. Tellini)
Ritratto di
Ludovico Ariosto
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L’impresa
e il motto
ariostesco
Dalla prima
edizione
dell’Orlando
Furioso (1516),
uscita a Ferrara
presso Giovanni
Mazocco da
Bondeno.
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L’ENTRATA DELLA MOSTRA A FERRARA
(1516-2016)
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L’INTRECCIO DEL FURIOSO L’O.F. complica sempre,
sfidando il lettore a uno
sforzo mostruoso di
Un movimento continuo, un continuo intrecciarsi e divergere di memoria per seguire i
vari fili della trama,
linee, personaggi, oggetti, tutti ugualmente ERRANTI. frustrandolo sul più bello
quando interrompe il
racconto a fine canto,
spiazzandolo di brutto
quando lo mette di
fronte a donne con la
spada e cavalieri in
lacrime e costringendolo
a faticose riflessioni
quando denuncia
l’incredibilità della sua
stessa storia. Daniel
Javitch ha inventato la
fortunata formula
di cantus interruptus per
spiegare la frustrazione
del lettore […].
(S. Jossa, Con Ariosto, senza
Calvino, in
http://www.doppiozero.c
om/materiali/con-ariosto-
senza-calvino
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I tre filoni principali del “poema del
movimento” (Calvino) complessità dei
significati (Segre) ma “sapiente armonizzazione dei
temi” (Caretti):
1. La guerra fra i paladini di Carlo Magno e i Saraceni
(diversi luoghi e momenti) v. la materia trattata da
Boiardo e i cicli bretone e carolingio;
2. L’amore di Orlando per Angelica e la conseguente,
“nuova”, FOLLIA di Orlando (canti XXIII-XXIV)
3. L’amore fra Ruggiero e Bradamante, progenitori della
dinastia estense (il motivo encomiastico)
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Il famoso incipit
Nell’Obizzeide (datazione incerta, 1500-1505)
Canterò l’arme, canterò gli affanni
D’amor, ch’un cavallier sostenne gravi,
Peregrinando in terra e ‘n mar molti anni
Voi l’usato favor, occhi soavi,
date all’impresa, voi che del mio ingegno,
occhi miei belli, avete ambe le chiavi.
Diverso nelle edizioni 1516-1521 del Furioso
Di donne e cavallier li (‘21 gli) antiqui amori [Boiardo, II, XXII, 2],
Le cortesie, l’audaci imprese io canto…
La citazione di Dante, Purg., XIV, 109-111
Le donne e i cavalier, li affanni e li agi
Che ne ‘nvogliava amore e cortesia
Là dove i cuor son fatti sì malvagi.
Il riferimento a Virgilio, Eneide
Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris
Italiam, fato profugus, Laviniaque venit / […] .
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La «gionta» tra Ariosto e Boiardo
«Continuatore- Boiardo, Orlando Innamorato, II,
dissacratore» XXII, 2-3.
(A. Casadei)
2 Fama, sequace degl’imperatori,
Ninfa ch’e gesti en dolci versi canti,
Ariosto, Orlando Furioso, I, 1. Che dopo morte ancor gli omini onori
E fai color eterni che tu vanti,
Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, Ove sei gionta? a dir gli antichi amori
le cortesie, l'audaci imprese io canto, E a narar bataglie de’ giganti,
che furo al tempo che passaro i Mori Mercé del mondo ch’al tuo tempo è tale
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, Che più di fama o di vertù non cale.
seguendo l'ire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si diè vanto 3 Lascia a Parnaso quela verde pianta,
di vendicar la morte di Troiano Ché de salirvi ormai perso è ‘l camino,
sopra re Carlo imperator romano. E meco al basso questa istoria canta
Del re Agramante, il forte saracino,
Qual per suo orgoglio e suo valor si vanta
Pigliar re Carlo e ogni paladino.
D’arme ha già il mar e la terra coperta:
Trentadoi re son dentro da Biserta.
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L’INCIPIT DELL’ 1 Signori e cavalier che ve adunati
Per oldir cose diletose e nove,
Stati atenti e quïeti e ascoltati
La bela istoria che il mio canto move:
E odereti i gesti smisurati,
L’alta fatica e le mirabil prove
Che fece il franco Orlando per amore
Nel tempo de il re Carlo imperatore.
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La Gerusalemme Liberata di Tasso (I ed. autor. 1581)
1 Canto l'arme pietose e 'l capitano 3 Sai che là corre il mondo ove piú versi
che 'l gran sepolcro liberò di Cristo. di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
Molto egli oprò co 'l senno e con la mano, e che 'l vero, condito in molli versi,
molto soffrí nel glorioso acquisto; i piú schivi allettando ha persuaso.
e in van l'Inferno vi s'oppose, e in vano Cosí a l'egro fanciul porgiamo aspersi
s'armò d'Asia e di Libia il popol misto. di soavi licor gli orli del vaso:
Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi succhi amari ingannato intanto ei beve,
segni ridusse i suoi compagni erranti. e da l'inganno suo vita riceve.
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1516: un Orlando «inferiore»? «Negli anni successivi
Ariosto non inventa quasi più nulla nell’ordine della
favola» (Caretti); a cambiare, però, sono le
condizioni storico-culturali dell’Italia e la vita di A.
1521: un poema quasi immutato (poche aggiunte e
inizio revisione linguistica).
1532: aggiunta di nuovi episodi e assidua revisione
linguistica e stilistica
(1525 Bembo, Prose della volgar lingua
Lettera di Ariosto a Bembo del 23/2/1531*)
Da Ariosto a Manzoni, riscritture e revisioni
linguistiche: percorsi individuali e radici storico-
culturali dell’identità italiana.
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A Pietro Bembo.
Virginio mio figliuolo viene a Padova per studiare. Io gli
ho commesso, che la prima cosa che faccia, venga a far
riverenza a V. S., e si faccia da lei conoscere per suo servitore. Io
priego V. S., che dove gli sarà bisogno il suo favore, sia contenta
di prestarglielo; e sempre che lo vedrà, lo ammonisca ed esorti
a non gittare il tempo.2 Alla quale mi offero e raccomando
sempre.
Io son per finir di rivedere il mio Furioso: poi verrò a
Padova per conferire con V. S., e imparare da lei quello che per
me non sono atto a conoscere. Che Dio conservi sempre.
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41
O. F, XI, 26-27
L’invettiva contro le armi da fuoco, «crudele arte»
[26] Come trovasti, o scelerata e brutta
Invenzion, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta,
Per te il mestier de l’arme è senza onore;
Per te è il valore e la virtù ridutta,
Che spesso par del buono il rio migliore:
Non più la gagliardia, non più l’ardire
Per te può in campo al paragon venire.
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[54] Orlando, come gli appertenga nulla
L’alto rumor, le strida e la ruina,
Olimpia, Viene a colei che su la pietra brulla
Avea da divorar l’orca marina.
eroina tragica Guarda, e gli par conoscer la fanciulla;
E più gli pare, e più che s’avicina:
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Il centro del poema.
La follia di Orlando
(Orl. Fur., XXIII, 133).
74 […]
Molta fama è là su, che, come tarlo,
il tempo al lungo andar qua giù divora:
là su infiniti prieghi e voti stanno,
che da noi peccatori a Dio si fanno.
Gustave Doré –
75 Le lacrime e i sospiri degli amanti, Ariosto, Orlande furieux (1879)
l’inutil tempo che si perde a giuoco,
e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, L. B. Alberti, Il sogno, in
vani disegni che non han mai loco, Intercenali, IV, 1.
i vani desideri sono tanti, C. Bologna, Ariosto, Elsheimer,
che la più parte ingombran di quel loco: Galilei e la Luna, «Lettere Italiane»,
ciò che in somma qua giù perdesti mai, a. LXVII, n. 2 (2015), pp. 57-95.
là su salendo ritrovar potrai.
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50
L’ultimo canto (Orl. Fur. XLVI, 1-3; 17).
[1] Or, se mi mostra la mia carta il vero, [3] Oh di che belle e sagge donne veggio,
Non è lontano a discoprirsi il porto; Oh di che cavallieri il lito adorno!
Sì che nel lito i voti scioglier spero Oh di ch’amici, a chi in eterno deggio
A chi nel mar per tanta via m’ha scorto; Per la letizia c’han del mio ritorno!
Ove, o di non tornar col legno intero, Mamma e Ginevra e l’altre da Correggio
O d’errar sempre, ebbi già il viso smorto. Veggo del molo in su l’estremo corno:
Ma mi par di veder, ma veggo certo, Veronica da Gambera è con loro,
Veggo la terra, e veggo il lito aperto. Sì grata a Febo e al santo aonio coro.
[…]
[2] Sento venir per allegrezza un tuono
Che fremer l’aria e rimbombar fa l’onde:
Odo di squille, odo di trombe un suono [17]
Che l’alto popular grido confonde. Veggo sublimi e soprumani ingegni
Or comincio a discernere chi sono Di sangue e d’amor giunti, il Pico e il Pio.
Questi che empion del porto ambe le Colui che con lor viene, e da’ più degni
sponde. Ha tanto onor, mai più non conobbi io;
Par che tutti s’allegrino ch’io sia Ma, se me ne fur dati veri segni,
Venuto a fin di così lunga via. È l’uom che di veder tanto desio,
Iacobo Sanazar, ch’alle Camene
Lasciar fa i monti ed abitar l’arene.
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Cortocircuiti novecenteschi
di un poema che non inizia e non finisce