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volume XLi
(Xi della iV serie)
fascicolo i
Conca d’oro è il nome della fertile piana, compresa tra mare e monti, che
circonda la città di Palermo per una estensione di circa 100 km2. La sua fama
è ben documentata in letteratura già a partire dallo storico greco Callia di
Siracusa (IV-III sec. a.C.), in un passo trasmesso da Ateneo (II sec. d.C.): « il
territorio di Panormos in Sicilia si denomina ‘tutto giardino’ per essere inte-
ramente pieno di alberi coltivati, come dice Callia nell’viii [libro] delle Sto
rie di Agatocle ».1 Una immagine letteraria classica quella della Panormitis cho
ra (Polibio, Historiae, i 40), fecunda già secondo Silio Italico (Punica, xiv 261-
63), che giungerà fino al Medioevo “arabo-normanno” e alle descrizioni di
Ibn Ḥawqal (362/972-973)2 e di Amato di Montecassino (1080).3
Grazie alle condizioni climatiche e alla abbondanza di acque, fauna e
vegetazione nella piana e nei monti che la circondano, nelle fonti letterarie
e iconografiche ritorna spesso la metafora di Palermo come “paradiso ter-
restre”, da Amato di Montecassino fino a Fernand Braudel, passando per il
* Desidero ringraziare Piero Colletta, Fulvio Delle Donne, Adalgisa De Simone, Laura
Minervini, Alex Metcalfe e Pasquale Musso per aver discusso il tema con chi scrive. Questo
lavoro è dedicato a mio zio Giovanni, che della Conca ha visto l’ultimo oro.
1. K.W.L. Müller, Fragmenta historicorum Graecorum, 5 voll., Paris, Didot, 1843, vol. ii p. 382;
G. Purpura, Palermo e il mare. Testimonianze epigrafiche e rinvenimenti sottomarini, in Storia di Paler
mo i, a cura di R. La Duca, Palermo, L’Epos, 1999, pp. 232-53, alle pp. 234-36; A. Holm, Storia
della Sicilia nell’antichità, 3 voll., Torino, Clausen, 1896, vol. i pp. 189-91; per il rapporto diacroni-
co tra la città e il suo porto si veda anche M.C. Ruggeri Tricoli-M.D. Vacirca, Palermo e il
suo porto (750 a.C.-1986), Palermo, Edizioni Giada, 1986.
2. Ad esempio: « L’irrigazione de’ giardini si fa piú comunemente per mezzo di canali; ché
molti giadini v’ha, oltre i campi non irrigui; sí come in Siria e in altri paesi »; Ibn Ḥawqal, Kitāb
al-masālik wa ’l-mamālik, in M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, ossia raccolta di testi arabici che toccano
la geografia, la storia, le biografie e la bibliografia della Sicilia, a cura di U. Rizzitano, 2 voll., Palermo,
Accademia nazionale di scienze, lettere e arti di Palermo, 1988, vol. i p. 17 n. 73; 3 voll., trad. it.,
ivi, id., 1997-1998, vol. i p. 23; Ibn Ḥawqal, Ṣūrat al-arḍ, ed. J.H. Kramers, 2 voll., Leiden, Brill,
19382, vol. i p. 123; Id., Configuration de la terre, 2 voll., Paris, G.P. Maisonneuve & Larose, 1964,
vol. i p. 122.
3. « En lo sequent jor partirent lo palaiz et les chozes qu’il troverent fors de la cité. Donnent
à li Prince li jardin delectoz, pleins de frutte et de eaue, et par soi li chevalier avoient li choses
royals et paradis terrestre » (Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni volgarizzata in antico
francese, a cura di V. De Bartholomaeis, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1935,
p. 278).
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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
4. « Chiamossi indi Panormus perché nell’espressivo di questa voce si raggiungono gli eccel-
si pregi del suo bel contado, che è tutto piano, tronfio di pioppate strade, di bei verzieri e di
assai brillanti cristalline fonti. Ciò fu motivo che dagli autori le si è dato comunemente il bel
nome di Paradiso della Sicilia. E per la medesima ragione, come pel vanto del suo teatrale giro
de’ monti, che rendono il piano e la città in forma di conca, sortisce ella il nome antonomasti-
co di Conca d’oro » (F.M.E. Gaetani, Il Palermo d’oggigiorno, in Opere storiche inedite della città di
Palermo ed altre città siciliane, pubblicate su’ manoscritti della Biblioteca Comunale, precedute da prefazio
ni e corredate di note, a cura di G. Di Marzo, 7 voll., Palermo, L. Pedone Lauriel, 1873, vol. iii p.
6); « la paradisiaca Conca d’Oro che circonda Palermo » (F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio
e la storia, gli uomini e la tradizione, trad. it., Milano, Bompiani, 1987, p. 20). Per un accostamento
tra la Sicilia e le Isole Fortunate, sede del Paradiso già secondo Isidoro di Siviglia (Etymologiae,
xiv 6 8), cfr. B. Clausi, L’immagine dell’isola. La descrizione della Sicilia in alcune compilazioni geogra
fiche del Medio Evo, in « Annuario del Liceo-Ginnasio Statale “Mario Rapisardi” di Paternò »,
n.s. 1991, pp. 41-64, alle pp. 54-55.
5. Ibn Ḥamdīs, Dīwān, in Amari, Biblioteca, cit., vol. ii p. 619, trad. it., vol. iii p. 675; sul tema
della nostalgia della Sicilia rimando ad A. Borruso, La nostalgia della Sicilia nel ‘Dīwān’ di Ibn
Ḥamdīs, in « Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani », xii 1973, pp. 38-54;
W. Granara, Ibn Ḥamdīs and the poetry of nostalgia, in The Literature of al-Andalus. The Cambridge
History of Arabic Literature, ed. by R.M. Menocal, M. Scheindlin and M. Sells, Cambridge,
Cambridge Univ. Press, 2000, pp. 388-403.
6. « Post obitum, formose, tuum, que sceptra gubernet » (cfr. ‘Liber ad honorem Augusti’ di
Pietro da Eboli secondo il cod. 120 della Civica di Berna, a cura di G.B. Siragusa, Roma, Istituto
storico italiano per il Medio Evo, 1906, p. 7 n. 1, v. 35); cfr. G.M. Cantarella, Principi e corti.
L’Europa del XII secolo, Torino, Einaudi, 1997, p. 33.
7. « E quel che vedi nell’arco declivo / Guiglielmo fu, cui quella terra plora / Che piange
Carlo e Federigo vivo » (Par., xx 61-63); cfr. ‘Comedia’ di Dante degli Allagherii col commento di Ja
copo della Lana bolognese, a cura di L. Scarabelli, 3 voll., Bologna, Tipografia Regia, 1866, vol.
iii p. 310 (vd. ora l’ed. Iacomo della Lana, Commento alla ‘Commedia’, a cura di M. Volpi, con
la collab. di A. Terzi, Roma, Salerno Editrice, 2009, 4 voll.).
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8. G. Di Stefano, Monumenti della Sicilia normanna, Palermo, Flaccovio, 1979, pp. 94-95, a p.
104; B. Lorenzi, Parchi e verzieri nella Sicilia islamica e normanna, in Il giardino islamico, a cura di L.
Zangheri, B. Lorenzi e N.M. Rahmati, Firenze, Olschki, 2006, pp. 209-89, alle pp. 262-68 e 275.
9. Per il felicissimum Regnum (a. 1175) si veda R. Pirro, Sicilia sacra disquisitionibus et notitiis illu
strata, ed. A. Mongitore et V.M. Amico, 3 voll., Palermo, apud haeredes Petri Coppulae, 1733,
vol. i p. 453 (ivi anche: « a moenibus felicis Urbis nostrae Panormi »). Per la « felix urbs Panor-
mi » la prima attestazione sembrerebbe risalire a un privilegio regio emanato da Ruggero II a
favore di Uberto vescovo di Mazara nel 1144: « datum in Urbe felici nostra Panormi » (Pirro,
op. cit., vol. ii p. 844); si veda anche « Tabulariam felicissimae Urbis Panhormi » in un privilegio
di Ruggero II a Ugo arcivescovo di Palermo del marzo 1144 (M. De Vio, Felicis et fidelissimae
Urbis Panormitanae selecta aliquot ad civitatis decus, et commodum spectantia privilegia per instrumenta
varia Siciliae a regibus sive proregibus collata, Palermo, In Palatio Senatorio per Dominicum Cor-
tese, 1706, pp. 3-4); cfr. F. Baronio Manfredi, De maiestate Panormitana libri iv, Palermo, apud
Alphonsum de Isola, 1630, pp. 27-30; soprattutto A. Inveges, Annali della felice città di Palermo,
prima sedia, corona del re e capo del regno di Sicilia, 3 voll., Palermo, Typ. di Pietro dell’Isola impres-
sor camerale, 1651, vol. iii p. 140; F.M.E. Gaetani, L’aquila o i simboli di Palermo e della Sicilia, a
cura di M.C. Ruggieri Tricoli e D. Vacirca, Palermo, Edizioni Giada, 1988, pp. 84-85. Per il
passaggio da civitas a urbs nell’uso e nella titolatura cfr. S. Fodale, La “restaurazione” della romani
tà di Palermo, in Studi sulle società e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi, a cura di L. Gatto,
2 voll., Firenze, All’Insegna del Giglio, 2002, vol. i pp. 195-200, alle pp. 197-98; per la continuità
trecentesca del titolo si veda ad esempio « preter tamen felicem urbem Panormi » (Anonimo
del Trecento, Cronaca della Sicilia, a cura di P. Colletta, Leonforte, Euno, 2013, p. 21).
10. Liber ad honorem Augusti, cit., p. 9, v. 56; l’opera narra gli eventi tra il 1191 e il 1194, e nel
giudizio della critica è stata composta a ridosso del 1197, cfr. F. Delle Donne, Pietro da Eboli, in
Dizionario Biografico degli Italiani [d’ora in poi DBI], 2015 [online: ‹www.treccani.it/enciclope-
dia/pietro-da-eboli_(Dizionario-Biografico)/›].
11. « Tertia eius superstitio fuit quia, cum vidit terram ultramarinam, que fuit terra promis-
sionis, quam Deus totiens commendaverat, appellando eam terram lacte et melle manantem et
egregiam terrarum omnium, displicuit sibi et dixit quod Deus Iudeorum non viderat terram
suam, scilicet Terram Laboris, Calabriam et Siciliam et Apuliam, quia non totiens commen-
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dasset terram quam promisit et dedit Iudeis » (Salimbene de Adam, Cronica, nuova ed. critica
a cura di G. Scalia, Bari, Laterza, 1966, p. 510).
12. A. Kiesewetter, Itinerario di Federico II, in Federiciana, 2005 [online: ‹www.treccani.it/
enciclopedia/itinerario-di-federico-ii_(Federiciana)/›].
13. A. Piazza, Anticristo/Messia, in Federiciana, 2005 [online: ‹www.treccani.it/enciclopedia/
anticristo-messia_(Federiciana)/›]; per l’ostilità di Salimbene rimando in sintesi a L. Gatto,
Sicilia e Mezzogiorno italiano nella ‘Cronaca’ di Salimbene, in « Clio », xxi 1985, pp. 215-33.
14. B. Croce, Un paradiso abitato da diavoli, a cura di G. Galasso, Milano, Adelphi, 2006; piú
in generale sulla fortuna e la persistenza del tema rimando a N. Moe, Un paradiso abitato da
diavoli. Identità nazionale e immagini del Mezzogiorno, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2004.
15. Eustathii commentarii in Homeri ‘Odysseam’. Ad fides exempli Romani, ed. J.G. Stallbaum,
2 voll., Leipzig, sumptibus Joann. Aug. Gottl. Weigel, 1826, vol. ii p. 46; sull’espugnazione di
Tessalonica cfr. Eustazio di Tessalonica, L’espugnazione di Tessalonica, a cura di S. Kyriakidis
e V. Rotolo, Palermo, Istituto siciliano di studi bizantini e neoellenici, 1961.
16. Panormos è un toponimo diffuso, documentato in una ventina di altri siti, una omonimia
che sul piano letterario ha dato luogo a varie false identificazioni; per uno spoglio dei toponi-
mi rimando a W. Pape, Wörterbuch der griechischen Eigennamen, Braunschweig, F. Vieweg und
sohn, 19113, pp. 1126-27, s.v., cui s’aggiunga B. Lavagnini, Sulla località “Panormos” menzionata nel
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gnificato della parola greca hormos che indica una ‘collana’, un ‘monile’;17
quest’ultimo significato troverebbe riscontro nel nome fenicio della città:
ṣ.y.ṣ, che vuol dire appunto ‘collana’, ‘monile’, ‘ghirlanda’, un dato che sug-
gerisce implicitamente il bilinguismo e/o diglossia greco-fenicio degli an-
tichi abitanti della città, che ne potevano apprezzare a pieno l’ambivalenza
semantica.18 E sia ‘collana’ sia ‘ghirlanda’ sono termini che rimandano al
paesaggio, e piú precisamente alla corona di monti che circoscrive la piana
al centro della quale sorge la città.
L’opinione comune vuole che l’oro della conca sia un riferimento alla ve
getazione, e piú specificatamente all’aurea abbondanza di agrumi, che ivi
crescevano in estensione a partire dalla fine del XVIII sec.19 Complice di
questa esegesi è la errata quanto diffusa identificazione della Sicilia con il
paese dove fioriscono i limoni e brillano tra le foglie cupe le arance d’oro,
secondo i celebri versi del Wilhelm Meister di J.W. Goethe (1795).20 La vulga-
‘Digenis Akritas’ (1, 101). Con una postilla sul nome della città di Palermo, in « Atti della Accademia di
scienze, lettere e arti di Palermo », iii 1942, pp. 389-94, rist. in Id., Atakta. Scritti minori di filologia
classica bizantina e neogreca, Palermo, Palumbo, 1978, pp. 464-69, a p. 468 n. 2 (si noti che il topo-
nimo Panormos menzionato dal Digenis Akritas, vv. 101-4, è in realtà da localizzare nella Peniso-
la Arabica, sul Mar Rosso: una ambientazione coerente con il testo; sul toponimo cfr. Diodo
ro Siculo, Bibliotheca historica, iii 38); sedici località chiamate Panormos/Panormus sono elenca-
te in W. Ruge, Panormos, Panormus, in Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft:
neue Bearbeitung, 66 voll., hrsg. von A.F. von Pauly et al., Stuttgart, J.B. Metzler, 1949, vol.
xviii/3 coll. 654-78, s.v.
17. Hormos1 « chaîne, corde », spesso « collier » (Omero, Iliade, xviii 401), anche « nom d’une
danse en forme de ronde »; hormos 2 « muillage » distinto da limen « port », in senso figurato an-
che « un refuge, un havre de paix » (P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque.
Histoire des mots, 5 voll., Paris, Klincksieck, 1974, vol. iii p. 822).
18. G. Garbini, Da Nora a Palermo (passando per Cartagine), in Alle soglie della classicità: il Medi
terraneo tra tradizione e innovazione. Studi in onore di Sabatino Moscati, 3 voll., a cura di E. Acquaro,
Pisa-Roma, Ist. Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1997, vol. i pp. 201-7.
19. Aranci amari, limoni e limette sono presenti in Sicilia già nell’XI sec.; gli aranci dolci
sono documentati nei giardini di Palermo dal 1487; la coltivazione di agrumi in estensione, per
fini commerciali, si afferma solo a partire dalla fine del Settecento, e dopo il 1810 si diffonde
anche la coltura dei mandarini; per una accurata analisi della storia della diffusione delle spe-
cie arboree nel contesto della Conca d’oro rimando a G. Barbera-T. La Mantia-J. Rühl, La
Conca d’Oro: trasformazione di un paesaggio agrario e riflessi sulla sostenibilità, in Il paesaggio agricolo
nella Conca d’oro di Palermo, a cura di M. Leone, F. Lo Piccolo e F. Schilleci, Firenze, Alinea,
2009, pp. 69-95; G. Barbera, Conca d’oro, Palermo, Sellerio, 2012; piú in generale si veda F.
Calabrese, La favolosa storia degli agrumi, Palermo, L’Epos, 2004.
20. « Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn, / Im dunkeln Laub die Goldorangen
glühn, / Ein sanfter Wind vom blauen Himmel weht, / Die Myrte still und hoch der Lor
beer steht? » (J.W. Goethe, Wilhelm Meisters Lehrjahre, iii 1); per una corretta attribuzione dell’im-
magine letteraria con gli agrumi che dal lago di Garda raggiungevano la Germania rimando a
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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
Barbera, Conca d’oro, cit., p. 108; per la pervasività della identificazione nell’iconografia locale
cfr. A. Buttitta, Dove fiorisce il limone, Palermo, Sellerio, 1983.
21. Già Revelli sottolineava come « si attribuisce, senza ombra di fondamento, ai domina-
tori musulmani l’origine della denominazione Conca d’oro » (P. Revelli, La “Conca d’oro”. Con
tributo al ‘Glossario dei nomi territoriali italiani’, in « Bollettino della Società geografica italiana », x
1909, pp. 1132-44, alle pp. 1134 e 1137); parzialmente ripreso in Id., Cenni morfologici, in Palermo e
la Conca d’oro. In occasione del vii Congresso geografico italiano, [Palermo, 30 aprile-6 maggio 1910],
Palermo, Virzí, 1911, pp. 54-80, alle pp. 59-60. Sul modello irriguo arabo-islamico rimando a
M. Pizzuto Antinoro, Gli Arabi di Sicilia e il modello irriguo della Conca d’Oro, Palermo, Regio-
ne Siciliana, 2002.
22. E. Navarro della Miraglia, La Conca d’Oro, in Id., Storielle siciliane, Palermo, Sellerio,
1992, pp. 39-45, a p. 39; sull’autore cfr. F. Lucioli, Navarro della Miraglia, Emanuele (Emmanuele),
in DBI, 2013 [online: ‹www.treccani.it/enciclopedia/navarro-della-miraglia-emanuele_(Di-
zionario-Biografico)/›].
23. Lettera a un tesoriere di Palermo sulla conquista sveva di Sicilia, a cura di S. Tramontana, Pa-
lermo, Sellerio, 1988, pp. 138-39.
24. Ivi.
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Nelle descrizioni della piana che circonda Palermo ritorna spesso anche
il riferimento alla corona di monti che la circoscrivono, rappresentata come
un “anfiteatro”, un elemento geografico che tanto ha colpito l’immagina-
zione degli antichi e dei moderni;28 e cosí, ad esempio, si esprime Vincenzo
Di Giovanni (1615 ca.):
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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
La nostra piana di Palermo, in una valle la piú bella, gioconda ed amena, che si
potesse considerare, è di circuito e tondo di quasi quaranta miglia, fatta a guisa di un
anfiteatro, perché attorno la città distante da quella a parte di quattro miglia, a par-
te tre, a parte cinque, a parte sei, si vede circondata da un ordine di altissimi monti
di poco disuguale altezza, quasi un circuito di naturali muraglie, per le quali non si
possa entrare, eccetto che per dodeci porte […] essendo i monti in altra parte di
scoscesi per tutto a guisa dell’Alpi; ed è aperta poi solamente da parte di mare dal
monte Peregrino al monte Bonzerbino [Mongerbino], quasi due lunghissimi brac-
ci, che formano il detto anfiteatro, di spiaggia di dieci miglia.29
Cosí ancora, a distanza di secoli, replica Guy de Maupassant nel suo Carnet
de voyage in Sicilia (1885):
La vue, de ce sommet [scil. dal Castellaccio di Monreale], est une des plus saisissan-
tes qu’on puisse trouver. Tout autour du mont hérissé le creusent de profondes
vallées qu’enferment d’autres monts, élargissant, vers l’intérieur de la Sicile, un
horizon infini de pics et de cimes. En face de nous, la mer; à nos pieds, Palerme. La
ville est entourée par ce bois d’orangers qu’on nomme la Conque d’or, et ce bois de
verdure noire s’étend, comme une tache sombre, au pied des montagnes grises, des
montagnes rousses, qui semblent brûlées, rongées et dorées par le soleil, tant elles
sont nues et colorées.30
ra che dovunque si voltano gli occhi, se ne piglia grandissimo contento, perché tutto quel
paese è largo, bello, ameno, vario, aprico, e tutto fertile; e sopra tutto è abbondante d’aranci,
di cedri, pomi granati, e di tutte l’altre sorti di frutti » (Le due deche dell’ ‘Historia di Sicilia’ del
R.P.M. Tomaso Fazello, siciliano, dell’Ordine de’ predicatori, divise in venti libri, tradotte dal latino in
lingua toscana dal P.M. Remigio Fiorentino del medesimo ordine, Venezia, appresso Domenico, &
Gio. Battista Guerra fratelli, 1574, p. 234); per l’originale latino cfr. F. Thomae Fazelli Siculi
O.P. De rebus Siculis decades duae, Palermo, apud Ioannem Matthaeum Maidam et Franciscum
Carraram, 1558, p. 164.
29. V. Di Giovanni, Palermo Restaurato, a cura di M. Giorgianni e A. Santamaura, con una
nota di S. Pedone, Palermo, Sellerio, 1989, p. 103.
30. G. de Maupassant, Viaggio in Sicilia (La Sicile), a cura di P. Thomas, Palermo, Edizioni e
ristampe siciliane, 1977, p. 70, trad. p. 71.
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31. La statua del Genio di Palazzo Pretorio è fra le piú antiche preservatesi; originariamen-
te collocata nel piano del Palazzo Pretorio di Palermo fino al 1596, quando il pretore Francesco
del Bosco conte di Vicari, con il benestare del viceré Giovanni Ventimiglia marchese di Gera-
ci, fece riunire elementi di diversa fattura e provenienza, tra i quali la statua del genio e altre
sculture di Domenico Gagini (fl. 1459-1492) e Gabriele di Battista (fl. 1472-1497), fece assem-
blare un “monumento” e lo pose nella collocazione attuale, in seguito smantellata (1716) e poi
ripristinata (1823), al di sotto dello scalone monumentale del Palazzo Pretorio (M. Accascina,
Inediti di scultura del Rinascimento in Sicilia, in « Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in
Florenz », xl 1970, pp. 251-92, alle pp. 288-93; A. Chiazza, Il Genio di Palermo. Contesti urbani e
immagini scultoree, Palermo, Pitti, 2010, pp. 41-55). Per una differente attribuzione di alcuni ele-
menti scultorei della fontana al milanese Annibale Fontana, attivo a Palermo intorno al 1570-
1571, cfr. S. Pedone, La Fontana Pretoria a Palermo, Palermo, Edizioni Giada, 1986, pp. 77-92. Piú
in generale sul Palazzo Pretorio rimando a P. Gulotta, Il palazzo delle Aquile. Origini e vicende
del Palazzo comunale di Palermo, intr. di R. Giuffrida, Palermo, Linee d’arte Giada, 1980.
32. Sui due personaggi e i loro rapporti vd. M. Privitera, Lotta politica e storiografia nella Si
cilia di Giovanni II: Pietro Ranzano e l’Opuscolo sulle origini di Palermo (1470-71), in « Clio », iii 1996,
pp. 437-77; B. Figliuolo, L’umanista e teologo palermitano Pietro Ranzano (1426/27-1492/93), in Id.,
La cultura a Napoli nel secondo Quattrocento, Udine, Forum, 1997, pp. 89-276.
33. Chiazza, op. cit., p. 30. È probabile che la nicchia risalga all’ampliamento della fonte del
1663, quando sembra che il Genio sia stata affiancato dalle statue di due sante patrone, anch’es-
se inserite in delle nicchie con cuspide a forma di conchiglia (ivi, pp. 15-16).
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34. Fazello, De rebus Siculis decades duae, cit., p. 190; Id., Le due deche dell’ ‘Historia di Sicilia’, cit.,
p. 268; Di Giovanni, op. cit., p. 148; P. Gulotta, È di origine lombarda lo scultore del Vecchio di
piazzetta Garraffo, in « Per salvare Palermo », v 2003, pp. 28-29, a p. 29; Chiazza, op. cit., p. 16.
35. « Terra siquidem vestra devorat habitatores suos nec parcit aetati, nec sexui defert, nec
personam considerat, nec favorem conditionis, nec gratiam dignitatis acceptat » (Petri Ble
sensis Epistolae, in Patrologiae cursus completus. Series Latina, ed. J.P. Migne, 221 voll., Paris, Gar-
nier, 1844-1855, vol. ccvii 1855, coll. 1-560, al n° xlvi, col. 133); « devorat habitatores suos, timens
que a malitia inhabitatium in ea » (n° xc, col. 282); « regio infernalis, quae devorat habitatores
suos » (n° xciii, col. 292); L. Gatto, Pietro di Blois, arcidiacono di Bath in Sicilia: ovvero storia di un
contrastato e contristato soggiorno, in « Siculorum Gymnasium », xxxi 1978, pp. 46-85, alle pp. 67,
70-72; sull’epistolario si veda E. D’Angelo, Le sillogi epistolari tra “autori” e “compilatori”. Il caso di
Pietro di Blois, in Dall’ “ars dictaminis” al preumanesimo? Per un profilo letterario del secolo XIII, a cura
di F. Delle Donne e F. Santi, Firenze, Sismel, 2013, pp. 25-41. Per una analisi del tema cultu-
rale dell’antropofagia sul lungo periodo mi permetto di rimandare a G. Mandalà, Antropofagia
nella Sicilia medievale: un tema letterario tra cronaca e rappresentazione, in « Bullettino dell’Istituto sto
rico italiano per il Medio Evo », cxix 2017, pp. 1-107.
36. Petri Blesensis Epistolae, cit., n° xciii, col. 292; n° xlvi, col. 134.
37. Ivi, n° xlvi, coll. 134-36; Gatto, op. cit., p. 62 n. 45, pp. 70-72. Su Enrico Aristippo, cfr. in
sintesi E. Franceschini, Aristippo, Enrico, in DBI, vol. iv 1962 [online: ‹www.treccani.it/enci-
clopedia/enrico-aristippo_(Dizionario-Biografico)/›].
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Magna Syracusiae laus urbis: magna Panhormi, / Gloria quae meruit felix et fausta
vocari / Quin etiam a doctis inscribitur aurea concha / Pulchrior est placidum qua
Cypria vecta per aequor / Principio incumbit nitidi clementia caeli / Magnaque
fertilitas terrae sunt commoda ad omne / Praesidium vitae, sic apta ut numine
nomen / Indiderint Graii fausto ingenioque sagaci / Quod statio sit tota frequens:
hic cernitur oris / Nil vacuum sed cuncta bonis cumulata et amoena / Arridet tel-
lus, vario vestita colore, / Vernat apricus ager, vicinis montibus exit / Unda peren-
nis aquae, leni quae murmure campos / Irrigat et gratos tribuit mortalibus hortos,
/ In quibus omne genus pomorum nascitur, immo / Iucundos reor esse deis qui
nectare vesci / Ambrosiaque solent: nanque (ut taceantur et illa / Quae mihi dicta
prius) magnis servantur in urnis […].38
38. A. De Stefano, Il ‘De laudibus Messanae’ di Angelo Callimaco Siculo, in « Bollettino del
Centro di studi filologici e linguistici siciliani », iii 1955, pp. 84-129, a p. 100, vv. 399-414.
39. Sulla presenza di Ranzano alla corte di Mattia Corvino in Ungheria si veda in partico-
lare G. Petrella, Per la fortuna di Pietro Ranzano, storico d’Ungheria: excerpta dagli ‘Annales omnium
temporum’ nella ‘Descrittione d’Italia’ di Leandro Alberti, in « Italia medioevale e umanistica », xliv
2003, pp. 161-87.
40. Il Libellus de oratione dominica si conserva manoscritto a Cambridge (Massachusetts),
Harvard University Library, Lat. 3: cfr. G. Schizzerotto, Callimaco, Angelo, in DBI, 1973 [onli
ne: ‹www.treccani.it/enciclopedia/angelo-callimaco_(Dizionario-Biografico)/›].
41. « Et de vini il largo della Conca d’oro ne produce 60 m. botti ogni anno » (F. Badoero,
Relazione delle persone, governo e stati di Carlo V e Filippo II, presentata al Senato Veneto nel 1556,
citato in Revelli, La “Conca d’oro”, cit., p. 1139; Id., Cenni morfologici, cit., pp. 66-69, in partic. p. 68.
142
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
L’oro della conca è stato messo in relazione con lo stemma civico dalla
tradizione erudita palermitana, un accostamento che si è prestato a molte-
plici interpretazioni a seconda delle epoche e delle circostanze politiche,
spesso assai differenti.47
Già a partire dalla prima metà del XIV sec. lo stemma della città di Paler-
42. La prima attestazione sembrerebbe essere: « et la sua Piana, che cosí la chiamano vol-
garmente, et per altro nome, Concha d’oro » (G.L. Lello, Descrittione del Real Tempio et Mona
sterio di Santa Maria Nuova di Monreale, Roma, appresso Francesco Zannetti, 1588, p. 1).
43. Inveges, op. cit., vol. i p. 18; come nota Revelli (La “Conca d’oro”, cit., p. 1138; Id., Cenni
morfologici, cit., pp. 66-67), la definizione Conca d’oro è assente nelle opere di Mariano Valguar-
nera (1614) e Vincenzo Di Giovanni (1615 ca.).
44. Inveges, op. cit., vol. i p. 18; Revelli, La “Conca d’oro”, cit., p. 1138.
45. Ivi, p. 1133; Revelli aggiunge: « la denominazione in discorso non poteva avere origine
popolare, non essendo tale denominazione veramente viva tra i predetti contadini, che prefe-
riscono tuttora chiamare “piana di Palermo” l’area coltivata ad agrumeti che essi sanno venir
chiamata “Conca d’oro” dai palermitani e dai forestieri » (ivi, p. 1134).
46. Ivi, pp. 1142-43. Conclude Revelli: « che se un tempo il nome di Conca d’oro poté indica-
re o la sola città o la sola campagna, esso ha ora assunto un senso piú lato, che, mentre riassume
in sé due valori che non furono sempre nettamente distinti, risponde pienamente alla nostra
concezione moderna » (ivi, p. 1144).
47. « L’oro, per altro, di quest’aquila nostra, dice Antonio Veneziano, secretario che fu del
Senato palermitano, nel qui sottoposto suo famoso tetrastico, che giustamente pensarono i
Romani di gettarlo nell’urbana palermitana insegna, per non potersi pensare cosa di piú ador-
no e cosa per altro di piú allusivo e confacente agl’aurei preggi della Città nostra e all’auree
doti del suo contado, il quale perciò ha titolo di Conca d’Oro » (Gaetani, L’aquila, cit., p. 77).
143
giuseppe mandalà
48. Le attestazioni pervenute datano alla prima metà del Trecento: Porta Mazara, Porta S.
Giorgio, torre campanaria della Cattedrale (in particolare su Porta Mazara erano presenti tre
stemmi: il superiore era il señal de Aragón, mentre i sottostanti erano l’aquila palermitana a si-
nistra e uno stemma attribuito a Federico Incisa a destra); tuttavia esse non consentono di ap
purare quale fosse il cromatismo originario (cfr. R. La Duca, Storia dell’aquila palermitana, a cu-
ra di F. Armetta e I. Bianco, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 2016, pp. 19-22).
49. Gaetani, L’aquila, cit., pp. 75-88; La Duca, op. cit., pp. 15-18. I colori oro e rosso della
città di Palermo sono stati ripresi nel moderno stemma della regione Sicilia, la cui creazione
risale al 1990 (G. Tricoli, Mito e storia: stemma e gonfalone della Regione Siciliana, Palermo, Istitu-
to siciliano di studi politici e economici, 1994, pp. 8 e 24-25).
50. A. Montaner Frutos, El señal del rey de Aragón: historia y significado, Zaragoza, Institu-
ción « Fernando el Católico »-Csic, 1995, p. 5; G. Fatás, Prontuario del Reino y la Corona de Ara
gón, Zaragoza, Cortes de Aragón, 2014, pp. 36, 89, 95-96.
51. Montaner Frutos, op. cit., pp. 37, 42-44, 48-49; a partire dal 1480 il futuro Martino I
144
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
na, ovvero sia una ripresa dell’aquila degli Hohenstaufen, e quindi delle
prerogative regie e imperiali della città,52 declinata coi colori rosso e oro
della casa di Aragona. È assai probabile che questa elaborazione iconogra-
fica si proietti sullo sfondo politico e ideologico che lega a filo doppio i ceti
dirigenti della città di Palermo alla corona d’Aragona durante il regno di
Federico III e che, a seguito della sua morte, rafforzano il legame tra città e
corona in occasione della difficile successione del figlio Pietro II.53
Ad ogni modo, l’elaborazione politica dello stemma civico e del suo con
tenuto simbolico avviene senza dubbio nella Palermo della seconda me-
tà del XV sec., una città dominata da un patriziato dalle origini mercantili
subentrato alle piú antiche famiglie feudali oramai in declino; tale ceto diri
gente, che fa capo a Pietro Speciale, esprime delle chiare aspettative di pri-
mato, volte a restituire alla città l’immagine di antica capitale, contro le pre
tese di Messina. Speciale e i suoi partigiani si fanno artefici di un fecon-
do recupero artistico ed urbanistico della città, che si esplicita anche nella
cura della raccolta dei Privilegia cittadini al fine di assicurare la fondazione
teorica della primazia palermitana. In conformità alla temperie intellettua-
le umanistica dell’epoca tale operazione culturale viene fondata su una ri-
costruzione storica a carattere municipale, affidata a Pietro Ranzano nel
1470-1471; questi compone il suo opuscolo sulle origini di Palermo, De auc
tore et primordijs ac progressu Felicis Urbis Panhormi (autovolgarizzato come De
lo autore et de li primi principij de la felice cità de Palermo),54 un trattatello che
utilizza uno scudo diviso a metà con le armi di Aragona da un lato e di Sicilia dall’altro (ivi,
p. 87).
52. Su Palermo in età sveva cfr. S. Fodale, Palermo “sedes Regni” e città di Federico II, in Federico
II e la Sicilia, a cura di P. Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo, Sellerio, 1998, pp. 145-55.
53. Sul legame tra città e monarchia nella prima metà del Trecento rimando alle accurate
analisi condotte da P. Colletta, Memoria di famiglia e storia del regno in un codice di casa Speciale
conservato a Besançon, in « Reti Medievali », xiv 2013, pp. 243-74, alle pp. 243-48 (online: ‹http://
rivista.retimedievali.it›); Id., Storia, cultura e propaganda nel Regno di Sicilia nella prima metà del XIV
secolo: la ‘Cronica Sicilie’, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 2011, pp. 28-41, 61-65 e
passim.
54. P. Ranzano, Opusculum de Auctore, Primordiis et Progressu felicis Urbis Panormi, nunc primum
in lucem prodit, ed. A. Mongitore, Palermo, ex typographia Stephani Amato, 1737, rist. a cura
di A. Mongitore, in Opuscoli di autori siciliani, vol. ix, Palermo, presso D. Gaetano Maria Ben-
tinvenga, 1767, pp. 3-56; volgarizzamento: Delle origini e vicende di Palermo a cura di Pietro Ranza
no e dell’entrata di Re Alfonso di Napoli. Scritture siciliane del sec. XV pubblicate e illustrate su’ codici
della Comunale di Palermo, a cura di G. Di Marzo, Palermo, Stamperia di Giovanni Lorsnaider,
1864; sul rapporto tra i due testi cfr. F. Fichera, Pietro Ranzano, umanista siciliano volgarizzatore
di se stesso, in « Bollettino del Centro di Studi filologici e linguistici siciliani », xx 2004, pp. 251-
67.
145
giuseppe mandalà
serve a sostenere le ragioni della città di fronte alla Corona d’Aragona uni-
tasi alla Castiglia grazie alle nozze tra Ferdinando e Isabella (19 ottobre
1469). L’opuscolo ben esemplifica i mezzi della lotta politica al tempo di
Giovanni II, e il discorso di Ranzano, articolato per tesi e antitesi, tra erudi-
zione e sottigliezza politica, utilizza i temi dell’amenità del luogo e delle
origini della città per propalare un mito di pacifismo e libertà di governo
che avrebbero legato Roma a Palermo sin dalle guerre puniche (dalla bat-
taglia del 251 a.C., che vide affrontarsi presso le mura di Palermo Asdrubale
e Lucio Cecilio Metello, e per cui si veda Orosio, Historiae, iv 9 14-15), un
rapporto che vorrebbe essere riproposto in chiave contemporanea nel le
game tra la città e la Corona d’Aragona, almeno nelle intenzioni dei ceti di
rigenti palermitani che facevano capo all’azione politica di Speciale e Ran
zano.55
Intorno al 1470, nella temperie appena delineata, Pietro Ranzano stabili-
sce una esplicita relazione tra lo stemma civico e la romanità:
Insigne praeterea regium illud, hoc est Aquila, a Troiano Aenea in Italiam ante
Romam conditam advectum, quod et idem erat insigne Regum, et Imperatorum,
et Praetoris Panhormitanae quoque civitatis insigne esse Romani Patres voluere.
Verum ut inter matris, filiaeque insignia aliquid videretur esse discriminis, placuit,
ut haec Panhormitanorum Aquila nequaquam, ut Romanorum illa, nigri esset co-
loris, qualis videlicet a natura Aquila producitur, sed ut nulla nobilissimi alitis spe-
cie mutata, aureo colore fulget.56
55. Sul tema rimando, soprattutto, a Privitera, op. cit.; piú in generale si veda D. Ligresti,
Comunicazione e autorappresentazione: la storia dei municipi in Sicilia, in Storia della lingua e storia.
Atti del ii Convegno ASLI, Catania, 26-28 ottobre 1999, a cura di G. Alfieri, Firenze, Cesati,
2003, pp. 213-32.
56. Ranzano, Opusculum De auctore, cit., p. 46; volgarizzamento: Id., Delle origini, cit., p. 76;
per la fortuna del tema cfr. Gaetani, L’aquila, cit., pp. 78-81. Contro la ricostruzione “storica” di
Ranzano si leva già Fazello: « Ranzanus autem, nulla authoritate suffultus, urbis titulum, Prae
toris nomen, et insigne, quod est aquila aureo colore fulgens, post Metelli contra Asdrubalem
victoriam, huic urbi a Senatu, populoque Romano, simul, et patritiam coloniam obvenisse
scribit. Inde Ioannis Nasi Corilionensis Siculi apud Panormitanos vulgatum illud distichon:
“Tacta fides sociam statuit sibi Roma Panormum. / Hinc Aquila, et Praetor, et decus urbis adest”.
Sed harum rerum fides penes eos sit, qui ausi sunt haec prodere » (Fazello, De rebus Siculis, ed.
cit., i 8, p. 170); su Giovanni Naso (m. 1478 ca.), chiamato nel 1471 a insegnare humanae litterae dal
Senato palermitano cfr. R. Starrabba, Scritti di Giovanni Naso da Corleone detto il Siciliano segreta
rio cancelliere del comune di Palermo, Palermo, Scuola Tip. Boccone del Povero, 1905, in tema cfr.
B. Lavagnini, Rosso e giallo i colori di Palermo saracena?, in « Bollettino del Centro di studi filolo-
gici e linguistici siciliani », vii 1962, pp. 222-25, rist. in Id., Scritti di storia sulla Grecia antica, bizan
tina e moderna, Caltanissetta, Lussografica, 1997, pp. 209-12, alle pp. 209-10 n. 2.
146
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
L’aquila con le ali basse color oro su fondo rosso ritorna nel manoscritto Qq
H 125 della Biblioteca Comunale di Palermo, un codice aulico splendida-
mente miniato contenente i Privilegia urbis Panormi, fatto eseguire dal preto-
re Pietro Speciale nel 1469-1470; nel codice due stemmi civici affiancano il
señal dei re di Sicilia, costituito dagli emblemi di casa Aragona e Hohenstau-
fen inquartati, a riprova della “etimologia” dell’accostamento araldico.57 E
ancora nell’ambiente culturale dominato dalla volontà politica del pretore
Pietro Speciale e dalla sapienza dell’umanista Pietro Ranzano il tema del
l’aquila, simbolo di Palermo e della sua fidelitas espressa in epigrafe, viene
presentato nei sei clipei in bassorilievo che ornano il capitello della colonna
che sorregge la conca su cui poggia la statua del Genio di Palermo a Palaz
zo Pretorio, con riferimento testuale a Plinio il Vecchio (Naturalis Historia,
x 5).58
L’aquila, l’oro e il rosso declinati in chiave romana sono quindi i simboli
del lessico politico proposto da Ranzano per nobilitare Palermo. Certa-
mente nel mondo romano l’oro e il rosso (porpora) rimandano alla sfera
della regalità e sono prerogativa dell’ordine senatorio ed equestre, e nell’im-
pero romano e poi bizantino connotano la sovranità imperiale.59 Al di là
delle mitopoietiche ricostruzioni di Ranzano, nel caso di Palermo i colori
potrebbero costituire un riferimento cromatico e simbolico concreto alla
dignità della città che in epoca repubblicana era stata « civitas sine foedere
immunis ac libera » (Cicerone, ii Verrina, iii 6 13),60 e poi colonia romana
sotto Augusto, un centro urbano che aveva avuto un’ampia concentrazione
di senatori fino al III sec. d.C.61 Occorre notare anche come l’oro e il rosso
147
giuseppe mandalà
Magno, in « Kokalos », xlvi 2004, pp. 193-248, alle pp. 223-24, 229, 241-42; V. Prigent, Palermo in
the Eastern Roman Empire, in A Companion to Medieval Palermo. The History of a Mediterranean
City from 600 to 1500, ed. by A. Nef, Leiden-Boston, Brill, 2015, pp. 11-38, a p. 14.
62. Lavagnini, Rosso e giallo, cit.; si veda anche: « Proque repellendis saxorum vel iaculorum
/ Ictibus obtectis rubicundis undique filtris »; una notazione cromatica, quella dei feltri rossi,
che distingue la flotta dei Musulmani di Sicilia impegnata a combattere quella del Guiscardo
nell’agosto del 1072 (cfr. Guillaume de Pouille, Le geste de Robert Guiscard, éd. par M. Ma
thieu, Palermo, Istituto siciliano di studi bizantini e neoellenici, 1961, pp. 176-77, iii 231-32).
63. Ibn Ḥamdīs, Il Canzoniere, a cura di C. Schiaparelli, Roma, Casa Editrice Italiana, 1897,
n° 157, v. 25, pp. 240-42, a p. 241; la traduzione è di Umberto Rizzitano, citata in Lavagnini,
Rosso e giallo, cit., p. 212 n. 7.
64. « Haec [scil. Sicilia] ab Italia exiguo freto discreta, Africum mare prospectans, terris fru-
gifera, auro abundans, cavernis tamen et fistulis penetrabilis, ventisque et sulphure plena;
unde et ibi Aethnae montis extant incendia. In cuius fretu Scylla est et Charybdis, quibus na-
vigia aut absorbuntur, aut conliduntur » (Isidore de Seville, Etymologiae, éd. par O. Spevak,
Paris, Les Belles Lettres, 2011, pp. 126-27, xiv 6 32).
65. Baronio Manfredi, op. cit., p. 22, e anche pp. 24, 65; si veda anche G.A. Massa, La Si
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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
cilia in prospettiva, 2 voll., Palermo, Nella stamparia di Francesco Cichè, 1709, vol. ii p. 265. Degli
Annales è edita la sezione chiamata Descriptio totius Italiae (cfr. P. Ranzano, Descriptio totius Ita
liae (Annales, xiv-xv), a cura di A. Di Lorenzo, B. Figliuolo e P. Pontari, Firenze, Sismel,
2008).
66. Baronio Manfredi, op. cit., p. 20.
67. « Iam vero de huiusce urbis opulentia quid dicam? Si n. vel ex Civium multitudine, vel
ex Equitum frequentia, vel ex Principum caetu arguendae sunt copiae, quaenam profecto
Urbs in Sicilia reperitur, quae tam magna, tamque incredibili et Civium, et Equitum, et Prin-
cipum varietate glorietur? Recte, quidem a maioribus nostris inscribitur, Aurea concha, et me-
rito hac tam nobili nomenclatura ab universo terrarum orbe celebratur […] recte, inquam,
vocitatur Concha aurea; ipsa n. thesaurus naturae est, cum ab eadem tamquam tutelari circum-
positis proceris montibus, editisque collibus summa cum custodia asseruetur, atque custodia-
tur » (Baronio Manfredi, op. cit., pp. 15-16); per la ripresa del tema cfr. Gaetani, L’aquila, cit.,
p. 64 n. 63.
68. « Iure ergo Concha aurea. Quicquid n. auri, quicquid argenti sinu continet suo, totum id
in omnes libenter effundit, ut qui ad Panormi fines appellunt, ad veras thesauri venas, hoc est
ad Conchae Aureae sinum appulisse non ignorent. Experientia n. compertum est hactenus,
qui ex patriae ora solvit suae, ac Panormum accessit, ex paupere locuples, ex locuplete ditior
evasit. Atque hoc quid profecto est aliud, quam os ad conchae aureae fontes admovere, ex
quibus aurum sitiendo aurum bibatur. Quare mirum videri non debet, si ubique terrarum
Conchae aureae fama excitatae gentes, atque nationes huc confluant, hic sedem locent, cum
iis nullus hoc vel aptior, vel opportunior tum ad felicitatem comparandam, cum ad divitias
consequendas videatur locus, ubi auri, argentique vis, ac opum affluentia non desideratur,
possintque haud difficulter rerum omnium affluentibus copiis locupletari. Glorietur itaque
Tago flumine aquas aureas evoluente Lusitania, glorietur etiam et rectius Concha aurea Ore-
tho suo, cum ex auro Orethus nomen trahat, et in aureae conchae sinu placidissime conquie-
scat. Neque id mirum plane ex auro aurum » (Baronio Manfredi, op. cit., p. 30); cfr. anche
Massa, op. cit., vol. ii pp. 266-67. Per una panoramica generale sulle etimologie erudite si veda
ivi, pp. 263-73.
69. Baronio Manfredi, op. cit., p. 32; Inveges, op. cit., vol. i p. 18; Gaetani, L’aquila, cit.,
pp. 77-78, Revelli, La “Conca d’oro”, cit., p. 1138; Id., Cenni morfologici, cit., p. 68. Sul poeta mon-
realese Antonio Veneziano si vedano i contributi in Antonio Veneziano, a cura di S. Di Marco,
Palermo, Provincia regionale di Palermo, 2000; Antonio Veneziano, Libro delle rime siciliane,
149
giuseppe mandalà
a cura di G.M. Rinaldi, revisione di F. Carapezza et al., Palermo, Centro di studi filologici e
linguistici siciliani, 2012.
70. Di Giovanni, op. cit., p. 92. Per il passo di Valerio Massimo (i 5 9) nel volgarizzamento
siciliano (databile tra 1321 e 1337) del messinese Accursio da Cremona cfr. Valerium Maximu
translatu in vulgar messinisi per Accursu di Cremona, a cura di F.A. Ugolini, 3 voll., Palermo, Cen-
tro di studi filologici e linguistici siciliani, 1967, vol. i pp. 35-36: « [Hannibal] vitti unu serpenti
multu grandi qui destruya tuttu quantu li vinia davanti e da poy di la serpi vidia grandi venti-
plogi oy syguluni qui vinianu a lu celi con grandi truni. A la perfini Hannibal, sturdutu et
spavintatu in lu sonnu, adimandau qui miravillyusa cosa era quista et que significava. “O im-
peraduri – dissi lu juvini qui lu guidava – yzà vidi la distruciuni di Ytalia, et imperò taci e lassa
fari l’altri cosi a la fortuna” ».
71. Per la renovatio istituzionale in chiave romana del Trecento palermitano (passaggio da
baiulo a pretore e da civitas a urbs) rimando a Fodale, La “restaurazione” della romanità di Palermo,
cit.; piú in generale si veda H. Bresc, Spazio e potere nella Palermo medievale, in Palermo medievale.
Atti dell’viii Colloquio medievale di Palermo, 26-27 aprile 1989, a cura di C. Roccaro, Paler-
mo, Officina di studi medievali, 1996, pp. 7-18.
72. « Aurata Conca, onde spariscon molli / Vani desir […] »: versi di Leonardo Orlandino
Del Greco (a. 1573), citati nella raccolta di metà Seicento di G.M. Fortunio, Aurea Concha
150
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
praetiosissimis ornata […] (ms. Palermo, Biblioteca Comunale, Qq F 40, p. 111), citata in Revelli,
La “Conca d’oro”, cit., p. 1141.
73. Thesaurus linguae Latinae, editus auctoritate et consilio Academiarum quinque Germa-
nicarum, Berolinensis, Gottingensis, Lipsiensis, Monacensis, Vindobonensis, 5 voll., Lipsiae,
In aedibus B.G. Teubneri, 1906-1909, vol. iv p. 22. Gr. konche, « coquillage », « le mot est encore
employé figurément pour divers objets, p. ex. mesure de capacité, cavité de l’oreille, rotule,
boîte contenat un sceau, niche d’une statue, etc. » (Chantraine, op. cit., vol. ii pp. 550-51). In
greco di Sicilia, al plurale konkai, « concavità del terreno » (S. Cusa, I diplomi greci e arabi di Sicilia,
2 voll., Palermo, Stab. tip. Lao, 1868, vol. i/1 p. 307, a. 1142); cfr. G. Caracausi, Dizionario ono
mastico della Sicilia. Repertorio storico etimologico di nomi di famiglia e di luogo, 2 voll., Palermo, Cen-
tro di studi filologici e linguistici siciliani, 1994, vol. i p. 431.
74. J.F. Niermeyer, Mediae latinitatis lexicon minus, Leiden, Brill, 1976, p. 235; per i vari signi-
ficati medievali del termine si veda anche: « Labrum, vas concavum, ac superius patulum in-
star conchae », « Navigii species in conchae formam efficta », « Mensurae frumentariae spe-
cies », « Pars aedis sacrae, in qua scilicet sacra mysteria peraguntur, et ubi stat altare », « Sepul-
chrum in formam conchae constructum », anche in senso geografico (es. « Concha de Esnen-
da », per cui cfr. C. Du Fresne Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, 10 voll., Niort,
Favre, 1883-1887, vol. ii col. 477 (online: ‹http://ducange.enc.sorbonne.fr›).
75. It. « vaso di terracotta », « località chiusa tra monti »; sic.: « conca, pozza, buca nel terre-
no » (Caracausi, Dizionario, cit., vol. i p. 431); attestazioni di conca in siciliano antico sono facil-
mente rinvenibili nel Corpus Artesia. Archivio testuale del siciliano antico (online: ‹http://artesia.ovi.
cnr.it›); per il siciliano moderno si veda G. Piccitto-G. Tropea, Vocabolario siciliano, 5 voll.,
Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1977, vol. i p. 759, s.v. conca. Si veda
anche il plurale conchi (« a vallone qui dicitur Conchi », a. 1242), reso in arabo come khandaq
al-aḥwāḍ (Cusa, op. cit., vol. ii pp. 603, 605).
151
giuseppe mandalà
76. E. Wind, La concha de Afrodita, in Id., Los misterios paganos del Renacimiento, Madrid, Alian-
za Editorial, 1998, pp. 259-61; sulla pittura di Botticelli si rimanda a Id., El nacimiento de Venus,
ivi, pp. 129-39.
77. Massa, op. cit., vol. ii pp. 269-70.
78. N. Niño de Guevara, La Concha de Oro Palermo […], Palermo, Pedro Coppula y Carlos
Adamo, 1692, cfr. J. Simón Díaz, Mil biografías de los siglos de oro (Indice bibliografico), Madrid,
Csic, 1985, p. 78; sul culto di s. Rosalia cfr. V. Petrarca, Genesi di una tradizione urbana. Il culto di
S. Rosalia a Palermo in età spagnola, Palermo, Fondazione Ignazio Buttitta, 2008, p. 148; sui circui
ti culturali e artistici che legano la città alla Spagna cfr. V. Abbate, Porto di mare 1570-1670: pitto
ri e pittura a Palermo tra memoria e recupero, Palermo, Electa Napoli, 1999.
79. G. Caracausi, Arabismi medievali di Sicilia, Palermo, Centro di studi filologici e lingui-
152
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
al-‘Arab (‘La lingua degli Arabi’, opera completata nel 689/1290), afferma che
la parola dāra, plurale dūr e dārāt, indica « ogni terra che si estende tra i mon-
ti » (kull arḍ wāsi‘a bayna ’l-jibāl); o ancora meglio secondo il celebre filologo
e grammatico Abū Sa‘īd ‘Abd al-Malik b. Qurayb al-Aṣma‘ī (m. 213/828 ca.)
« [dāra] è uno spazio vuoto che si estende circondato dalle montagne » (hiya
’l-jawba ’l-wāsi‘a taḥuffu-hā ’l-jibāl ). Ibn Manẓūr, citando Abū Ḥanīfa al-
Dīnawarī (m. tra 281/894 e 290/903), autore del ‘Libro delle piante’ (Kitāb
al-nabāt),80 aggiunge che « [dāra] è annoverata tra le pianure che producono
vegetazione » (wa-hiya tu‘addu min buṭūn al-arḍ al-munbita). Infine, secondo
una osservazione del maestro di Ibn Manẓūr, il grammatico Bahā’ al-Dīn
Muḥammad b. Ibrāhīm Ibn al-Naḥḥās (m. 698/1298), « dāra è sinonimo di
buhra (‘piana’), tuttavia la buhra non può che essere pianeggiante (sahla), men
tre la dāra può essere irregolare ( ghalīẓa) e pianeggiante (sahla) ».81
Il lemma di Ibn Manẓūr è ripreso à la lettre dal lessico inglese di E.W.
Lane (1801-1876), il quale nella gerarchia dei significati sottolinea come al
l’origine della parola dāra presso gli Arabi vi sia « a round space of sand »,
chiosato come « a round tract of sand with a vacancy in the middle », o an-
che « any clear and open space among sands »; piú in generale la parola dāra
indica « any place that is surrounded and confined by a thing », « a wide and
plain space of land so encompassed ».82
Non ultimo, al significato di dāra si ricollega una serie di nomi di luogo
derivati dalla medesima radice d.w.r che significa ‘girare’: dawra, dawwāra,
dayyira, dūra, tadyira.83 Alternativamente si potrebbe quindi ipotizzare una
stici siciliani, 1983, p. 75 nr. 81, p. 177; D.A. Agius, Siculo Arabic, London, Kegan Paul Interna-
tional, 1996, p. 337.
80. B. Lewin, al-Dīnawarī, Abū Ḥanīfa Aḥmad b. Dāwūd, in The Encyclopaedia of Islam. New
Edition, ed. by B. Lewis, Ch. Pellat, J. Schacht, 11 voll., Leiden, Brill, 1991, vol. ii p. 300.
Edizioni: The Book of plants of Abū Ḥanīfa ad-Dīnawarī part of the alphabetical section (’-z). Edited
from the unique ms. in the Library of the University of Istanbul, ed. by B. Lewin, Uppsala-Wiesbaden,
Lundequistska Bokhandel- Harrasowitz, 1953; Le dictionnaire botanique d’Abū Ḥanīfa al-Dīnawarī
(Kitāb al-nabāt, de s-y) reconstituté d’après les citations des ouvrages postérieurs, éd. par M. Hamidul
lah, Caire, Institute français d’archéologie orientale du Caire, 1973; The book of plants. Part of the
monograph section by Abū Ḥanīfa al-Dīnawarī, ed. by B. Lewin, Wiesbaden, Franz Steiner Verlag,
1974.
81. Ibn Manz≥ūr, Lisān al-‘Arab, ed. ‘A.A.‘A. al-Kabīr et al., 6 voll., Il Cairo, Dār al-Ma‘ārif,
1981, vol. ii p. 1451.
82. E.W. Lane, An Arabic-English Lexicon, 2 voll., London, William & Norgate, 1863-1893
[reprint: Cambridge, The Islamic Texts Society, 1984], vol. i p. 931.
83. Lane, op. cit., pp. 930-32; N. Groom, A Dictionary of Arabic Topography and Placenames. A
Transliterated Arabic-English Dictionary with an Arabic Glossary of Topographical Words and Placena
mes, Beirut-London, Librairie du Liban-Longman, 1983, p. 71.
153
giuseppe mandalà
origine da dawr o dal femminile dawra. Il passaggio /aw/ > /o/ è ben docu-
mentato nei prestiti siciliani dall’arabo al latino-romanzo,84 e inoltre occor-
re notare che in siciliano antico vige una certa oscillazione tra auru e oru/
oro.85 Dal punto di vista del significato la parola araba dawr/dawra indica un
‘cerchio’ e anche un ‘giro’, o un ‘circuito’,86 ossia ancora una volta un riferi-
mento alla corona/collana/giro di monti che circonda la piana dove sorge
la città, e che viene descritta da tempi immemorabili. E per un uso loca-
le della forma si confronti il toponimo Daura, documentato già nell’anno
1270,87 l’attuale Addaura, che potrebbe derivare da ar. (al-)dawra ‘il giro’, con
riferimento al paesaggio del luogo, una piana compresa tra il ‘giro’ di Mon-
te Pellegrino e il mare;88 un termine, dawr(a), che come già accennato sareb-
be quindi un sinonimo di dāra.
84. Ipotizzando un passaggio da arabo classico dawr(a) > ar.-sic. *dor(a) > sic. *dora/-u.
Sono documentati i seguenti passaggi: ar. cl. /aw/ > ar.-sic. /au/, /o/, /eu/, gr. /eu/, es. dawra
> malt. dawra; sawṭ > sic. zocta; nawba > gr. neuba; lawz > lat. lausetum, malt. lewz. Nella chiu-
sura del dittongo potrebbe avere influito la eventuale presenza dell’articolo: (al-)dawr(a); es.
al-lawz > alosa (Palermo 1424), cfr. Caracausi, Arabismi, cit., p. 77; Agius, op. cit., pp. 347-48.
85. G.M. Rinaldi, Testi d’archivio del Trecento, 2 voll., Palermo, Centro di studi filologici e
linguistici siciliani, 2005, vol. i p. 248 n° 119 (« di auru », a. 1381), p. 153 n° 64 (« d’auru », a. 1341),
p. 20 n° 7 e p. 256 n° 121 (« di oru », a. 1341, a. 1384), p. 170 n° 80 (« d’oro », a. 1383), e in generale
vol. ii p. 360.
86. A. de Biberstein Kazimirski, Dictionnaire arabe-français, 2 voll., Paris, Maisonneuve,
1860, vol. i p. 749, s.v. dawr: « adverbialem. “autour” (syn. ḥawla) »; si veda anche dā’ira, « cercle,
circonférence »; dawra « n. d’unité du précéde, “un tour” »; dawra, « circonvolution », « spire »,
« caracole », « tour », « tournée », « virevolte », « détour », anche « procession » e « roue » (R. Dozy,
Supplement aux dictionnaires arabes, 2 voll., Leiden, Brill, 19272, vol. i p. 473). In maltese « passeg-
giata », « a turning, a stroll » (G. Barbera, Dizionario maltese-arabo-italiano. Con una grammatica
comparata arabo-maltese, 4 voll., Beyrouth, Imprimerie catholique, 1939-1940, vol. i p. 296); J.
Aquilina, Maltese-English Dictionary, 2 voll., Malta, Midsea books, 1987-1990, vol. i p. 212. Dawr,
« surrounding wall; parapet, rampart », dawra « river band » (Groom, op. cit., pp. 73-74).
87. « Casale Galli, situm in territorio Panormitano, excepto quodam ipsius casalis tenimen-
to quod dicitur Daura » (Palermo, Archivio Storico Diocesano, Tabulario, Fondo primo, nr. 55
ll. 6-7; cfr. A. Mongitore, Bulla, privilegia et instrumentorum Panormitanae Metropolitanae Ecclesiae
Regni Siciliae Primariae, collecta notisque illustrata, Palermo, Angelo Felicella, 1734, p. 121); V. Mor
tillaro, Catalogo ragionato dei diplomi esistenti nel Tabulario della Cattedrale di Palermo, Palermo,
Dalla Stamperia Oretea, 1842, p. 69 n° 55 (Palermo, 20 agosto 1270); per i luoghi in questione
si rimanda alle indagini topografiche di F. Mercadante, Da “Balarm” a “Giazīrah”. Il porto di
Gallo ritrovato, Palermo, Edizioni del Mirto, 2001, p. 106.
88. Il toponimo Daura, attuale Addaura, deriverebbe da ar. (al-)dawra « il giro » (cfr. Cara
causi, Arabismi, cit., pp. 201-2, s.v. Daguara; Id., Dizionario, cit., vol. i p. 14). Con passaggio da ar.
dawra > sic. daura > Addaura; secondo Caracausi dawra sarebbe un riferimento topografico
alla strada che « aggira » Monte Pellegrino (cfr. Caracausi, Arabismi, cit., pp. 201-2, s.v. Daguara;
Id., Dizionario, cit., vol. i p. 14). L’ar. dawr è stato ricollegato, in maniera non del tutto convin-
154
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
Aggiungo a margine che il termine dawr vale anche « ronde, visite qui se
fait la nuit autour d’une place, etc., pour observer si tout est en bon état », o
meglio « chemin de ronde, dans les anciennes fortifications (bayna ’l-sūr wa
’l-dawr) ».89 Ci si chiede pertanto se la via Alloro, in sic. Addauru, nell’attuale
quartiere della Kalsa di Palermo, non sia una paretimologia che rimandi al
circuito delle mura della cittadella di fondazione fatimita (326/937-938).
Nell’arcipelago maltese risultano documentati i toponimi Dawwar (ta’),
un campo presso Ħlantun,90 e Dawwara (ta’), una località presso Qalgħet il-
Għabid e anche un terreno presso Rabat nell’isola di Gozo.91 La loro etimo-
logia è fatta risalire a « a round feature or structure in the locality »,92 tuttavia
i documenti cinquecenteschi che attestano i toponimi li glossano con il la-
tino clausura, con il significato di « recinto [per animali] ».93 A Malta è docu
mentato anche il toponimo Dwiewer, una proprietà della cattedrale tra Ħem
sija e Saqqajja, inteso già da Abela nel 1647 come « Dueüer, terre che piglia-
no la denominazione dalla forma circolare che tengono ».94 Piú generica-
mente i toponimi dawwār e dawwāra sono attestati nella toponomastica dei
paesi arabi, il primo con il significato di « cattle pen (Egypt) », « encampment,
settlement, village of tents », il secondo come « whirpool ».95
Ne deriverebbe che Conca d’oro potrebbe essere una forma toponoma-
stica ibrida costituita da latino concha e dall’arabo dāra (o da dawr / dawra),
dove il primo termine spiega il secondo, che lo precede in termini cronolo-
cente, ad alcuni toponimi siciliani: Campu d’oru (loc. di Buscemi) e Capra d’oru (loc. di Ragusa),
la cui etimologia risalirebbe a qabr dawr « sepolcro rotondo » [sic!] (ivi, pp. 226, 291).
89. Dozy, op. cit., vol. i pp. 472-73.
90. G. Wettinger, Place-names of the Maltese Islands ca. 1300-1800, Malta, Publishers Enter-
prises Group (PEG), 2000, p. 106: « Dauhar, clausura in contrata casalis antun » (a. 1503).
91. Wettinger, op. cit., p. 106: « Dela dahuara, animagium » (a. 1527), « la dauara, anima-
gium in finibus rabati dicte terre Gaudisii » (a. 1527), « tal fas, clausura que respicit ta Dauara in
contrata calhat Jnsulae Gaudisii » (a. 1585).
92. Ivi; si veda anche dawwār o duwwār, plurale dawāwīr, « common guest-house in a village,
for the accomodation of strangers » (E. Badawi-M. Hinds, A Dictionary of Egyptian Arabic. Ara
bic-English, Beirut, Librairie du Liban-Longman, 1986, p. 311).
93. « Septum in quo animalia custodiuntur, vel quo vineae, prata, vel arva muniuntur »,
anche « ager clausus sepibus, clausum », « septum, ambitus », e significativamente al plurale
« Clausurae, claustra montium, angusti aditus, aliis Clusae, Graecis recentioribus kleisourai »
(Du Cange, op. cit., vol. ii col. 364b).
94. G.F. Abela, Della descrittione di Malta isola nel mare siciliano, con le sue antichità, ed altre notitie.
Libri quattro, Malta, Paolo Bonacota, 1647, p. 120.
95. Wettinger, op. cit., p. 120: « Dueheur, bonum stabilium venditum cathedrali ecclesie »
(a. 1496); secondo Wettinger potrebbe trattarsi di « circles, perhaps refering to prehistoric re-
mains » (ivi).
155
giuseppe mandalà
96. G. De Gregorio, Ibridismo e tautologia ibrida nel siciliano, in « Zeitschrift für Romanische
Philologie », xlix 1929, pp. 524-26; B. Migliorini, Sui toponimi del tipo Mongibello, in Atti del iii
Congresso internazionale dei linguisti, Roma, 19-26 settembre 1933-xi, Firenze, Le Monnier, 1935, pp.
214-19 (rist. in Id., Saggi linguistici, ivi, id., 1957, pp. 31-36); E. De Felice, Processi di formazioni
tautologiche nella toponomastica romanza, in « Archivio per l’Alto Adige », l 1956, pp. 163-98.
97. Caracausi, Arabismi, cit., pp. 66-67, 315-17; Id., Dizionario, cit., vol. i p. 293, s.v. Capu-
raisi, vol. ii p. 1322, s.v. Raisi.
98. De Felice, op. cit., p. 177 n. 46; si veda anche Caracausi, Dizionario, cit., vol. i p. 865.
99. Steri in siciliano anche ‘casa’, ‘caseggiato’, ‘sommità della casa’, ‘podere’ (Piccitto-Tro
pea, op. cit., vol. v p. 315).
100. G. Brincat, Malta: una storia linguistica, Recco, Le Mani, 2004, p. 47.
101. Si veda in particolare al-Idrīsī, geografo arabo attivo alla corte normanna di Palermo
intorno alla metà del XII sec.: al-Idrīsī, Nuzhat al-mushtāq fī ’khtirāq al-āfāq. Opus geographicum
sive Liber ad eorum delectationem qui terras peragrare studeant, ed. E. Cerulli et al., 9 voll., Napoli-
Roma-Leiden, Ist. Univ. Or.-Ist. It. Medio ed Estremo Or.-Brill, 1970, vol. iv p. 396, vol. v pp.
156
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
gr. med. boulkanos,102 e anche burkān ḥamma, ‘vulcano caldo’, cioè ‘atti-
vo’;103 finora è rimasto indecifrato il nome aṭma o aṭma Ṣiqilliyya,104 che tut-
tavia deriva dal gr. atmis o atmos, ‘vapore’, quindi il toponimo arabo sarebbe
da rendere alla lettera come ‘vapore di Sicilia’.105 La forma tautologica latina
Mons Gibellus è documentata a partire dal 1136,106 mentre quella romanza
Mongibello si diffonde a partire dalla seconda metà del XIII sec. (1284 ca.),107
un periodo storico, quest’ultimo, in cui l’arabo ha già perso terreno di fron-
te alla romanizzazione linguistica e alla latinizzazione religiosa e culturale
della popolazione dell’isola.108
596, 617, 620; per un accurato spoglio dei nomi arabi rimando a A. De Simone, L’Etna nei geo
grafi e viaggiatori arabi del medioevo, in Studi arabo-islamici, a cura di A. De Simone et al., Mazara
del Vallo, Liceo ginnasio « Gian Giacomo Adria », 1982, pp. 13-33, alle pp. 18-19.
102. E. Trapp, Lexicons zur byzantinischen Gräzität, Faszikel 2, Wien, Verlag der Österreichi-
schen Akademie der Wissenschaften, 1996, s.v.
103. Burkān è in Ibn al-Shabbāṭ (m. 681/1282-’83): cfr. A.M. al-‘Abbādī, Waṣf al-Andalus li-
Muḥammad b. ‘Alī b. al-Shabbāṭ al-miṣrī ’l-tawzurī, in « Revista del Instituto Egipcio de Estudios
Islámicos en Madrid », xiv 1967, pp. 99-163, a p. 160; per burkān ḥamma cfr. al-Ḥimyarī, al-Rawḍ
al-mi‘ṭār fī khabar al-aqṭār, ed. I. ‘Abbās, Beirut, Maktabat Lubnān, 1975, p. 465.
104. « Aṭma vuol dir fonte di fuoco che spiccia dalla terra » (al-Mas‘ūdī, Murūj al-dhahab
wa-ma‘ādin al-jawāhir, in Amari, Biblioteca, cit., vol. i pp. 4-6); cfr. anche « sono fonti di fuoco che
sgorgano dalla terra e sono visibili a distanza nella notte, come l’aṭma di Sicilia » (al-Ḥimyarī,
op. cit., p. 79); per la variante aṭīma (e aṭīha) cfr. anche al-Mas‘ūdī, Kitāb al-tanbīh wa ’l-ishrāf,
ed. M.J. De Goeje, Leiden, Brill, 1967, pp. 59-60; Amari, Biblioteca, cit., vol. i pp. 7-8 n. 14.
105. Diversamente, con qualche esitazione, R. Dozy (op. cit., vol. i p. 28) si ricollega al gre
co a(u)tme (Esiodo, Theogonia, 862), « fumée, vapeur? ». Su atmis ‘vapore (umido e freddo/cal-
do)’ cfr. Aristotele, Meteorologia, a cura di L. Pepe, Milano, Bompiani, 2003, i 3 340b, e passim;
per l’oscillazione psychron/thermon (‘freddo/caldo’) cfr. ivi, p. 222 n. 20. Su atmos ‘vapore (caldo)’
cfr. Pseudo Aristotele, Problemata physika, 862a, per entrambi si veda Chantraine, op. cit.,
vol. i p. 134. L’associazione tra aria/venti e fenomeni vulcanici dell’Etna è già chiara in Lucre-
zio (De rerum natura, vi 639-702) e Isidoro di Siviglia (Etymologiae, xiv 6 32) e risale alle idee di
Aristotele (Meteorologia, ii 8); per un’ampia disamina delle testimonianze antiche cfr. Holm,
op. cit., vol. i pp. 55-69, in partic. le pp. 63-64, e G. Tropea, L’Etna e le sue eruzioni nelle principali
fonti greche e romane, in « Rivista di storia antica e scienze affini », i 1895, pp. 6-24, alle pp. 9-12. Si
corregga quindi l’etimologia di aṭma « volcan » come derivata da uṭum « tour, château », o aṭīma
« chemin de feu », « foyer », proposta da A. Vanoli, Le philosophe et le volcan. La mémoire des sa
vants de l’Antiquité dans la Sicile musulmane, in « Cahiers de civilisation médiévale », lv 2012, pp.
245-62, alle pp. 251-52.
106. « Cum via, qua descendit, a Monte Gibello in Paternionem » (Pirro, op. cit., vol. ii p.
1156); cfr. anche Caracausi, Dizionario, cit., vol. ii p. 865.
107. Sulle attestazioni romanze di Mongibello cfr. W. Schweickard, Deonomasticon Italicum.
Dizionario storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona, 4 voll., Tübingen, Niemeyer,
2009, vol. iii pp. 319-22.
108. A. Varvaro, Lingua e storia in Sicilia, i. Dalle guerre puniche alla conquista normanna, Paler-
mo, Sellerio, 1981, pp. 174-82.
157
giuseppe mandalà
109. « Dall’esame di sessanta casi che rappresentano tutti i diversi tipi di formazione, sem-
bra legittimo potere escludere l’ipotesi di traduzioni coscienti in fasi sincroniche di bilingui-
smo » (De Felice, op. cit., p. 197).
110. Per i processi di traduzione dall’arabo al latino dei documenti amministrativi cfr. A.
Metcalfe, « De Saracenico in Latinum Transferri ». Causes and Effects of Translation in the Fiscal Ad
ministration of Norman Sicily, in « al-Masāq: Islam and the Medieval Mediterranean », xiii 2001,
pp. 43-86; Id., Muslims and Christians in Norman Sicily. Arabic Speakers and the End of Islam, Lon-
don-New York, Routledge-Curzon, 2003. Per i cristiani arabizzati di Sicilia e la diglossia ara-
bo/greco cfr. G. Mandalà, La sottoscrizione araba di ‘Abd al-Masīḥ (Palermo, 15 ottobre 1201), in
« Quaderni di studi arabi », iii 2008, pp. 153-64; G. Mandalà-M. Moscone, Tra latini, greci e
‘arabici’: ricerche su scrittura e cultura a Palermo fra XII e XIII secolo, in « Segno e testo. International
Journal on Manuscripts and Text Transmission », vii 2009, pp. 143-238, alle pp. 182, 195, 211;
G. Mandalà, Tra minoranze e periferie. Prolegomeni a un’indagine sui cristiani arabizzati di Sicilia, in
“Guerra santa” e conquiste islamiche nel Mediterraneo (VII-XI secolo), a cura di M. Di Branco e K.
Wolf, Roma, Viella, 2014, pp. 95-124, alle pp. 102-7.
111. G. Barbera, Parchi, frutteti, giardini e orti nella Conca d’oro di Palermo araba e normanna, in
« Italus Hortus », xiv 2007, fasc. 4 pp. 14-27; W. Tronzo, The Royal Gardens of Medieval Palermo:
Landscape Experienced, Landscape as Metaphor, in Le vie del Medioevo. Atti del Convegno interna-
zionale di Parma, 28 settembre-1° ottobre 1998, a cura di C.A. Quintavalle, Milano, Electa,
158
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
i palagi del re accerchiano la gola della città come i monili il collo di donzelle dal
petto ricolmo; sí che il principe [senza uscir mai] da siti ameni e luoghi di diletto,
passa dall’uno all’altro dei giardini e degli anfiteatri. Quante [delizie] egli v’ha – che
[Dio] gli tolga di goderne! – quante palazzine e [capricciose] costruzioni, e logge, e
vedette! E quanti monisteri de’ dintorni appartengono a lui, che n’ha adornati gli
edifizi e largiti vasti feudi a’ loro frati; per quante chiese egli ha fatto gittare in oro
e in argento delle croci!112
Agli occhi del pio pellegrino musulmano non v’è soluzione di continui-
tà, alle spalle della città si estendeva un enorme parco regio, scandito da
residenze e monasteri sfarzosi, dotati di grandi feudi, un chiaro riferimento
a Monreale. In realtà sappiamo che la formazione del parco regio si è arti-
colata in almeno tre tempi; un parco piú antico si estendeva a sud-est della
città, e copriva lo spazio tra il mare e la montagna che dava accesso a Paler-
mo; punto focale della sua organizzazione interna era il palazzo di Mare-
dolce detto anche della Favara, di sicura fondazione islamica.113 Sulle mon-
tagne prospicienti Ruggero II fa edificare un nuovo palazzo presso l’attua
le Altofonte, località tradizionalmente chiamata ‘Parco’ sin dal 1278.114 Nel
2000, pp. 362-73; H. Bresc, Les jardins royaux de Palerme, in « Mélanges de l’École Française de
Rome. Moyen-Âge », cvi 1994, pp. 239-58; Id., Les jardins de Palerme (1290-1460), in « Mélanges
de l’École Française de Rome. Moyen-Âge - Temps modernes », lxxxiv 1972, fasc. 1 pp. 55-127;
Leone-Lo Piccolo-Schilleci, op. cit.; Barbera, Conca d’oro, cit.
112. Ibn Jubayr, Riḥlat al-Kinānī, in Amari, Biblioteca, cit., vol. i p. 93, trad. it., vol. i p. 129.
113. A. De Simone, L’enigma del “solacium” della Favara e del “Qaṣr Ǧa‘far”: una rilettura delle
fonti letterarie in lingua araba, in Bausteine zur deutschen und italienischen Geschichte. Festschrift zum 70.
Geburtstag von Horst Enzensberger, hrsg. von M. Stuiber und M. Spadaccini, Bamberg, Univ. of
Bamberg Press, 2014, pp. 74-94; per le recenti indagini sul palazzo in particolare E. Canzonie
ri-S. Vassallo, Insediamenti extraurbani a Palermo: nuovi dati da Maredolce, in Les dynamiques de
l’islamisation en Méditerranée centrale et en Sicile: nouvelles propositions et découvertes récentes, éd. par F.
Ardizzone et A. Nef, Roma-Bari, École Française de Rome-Edipuglia, 2014, pp. 271-80; G.
Barbera, Maredolce-La Favara: the Place, the Arab and Norman Heritage, the Changing Landscape of
the Conca d’Oro, in Maredolce-La Favara. The xxvi International Carlo Scarpa Prize for Gardens, ed.
by G. Barbera, P. Boschiero and L. Latini, Treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche,
2015, pp. 67-85; E. Sessa, Buildings in the Norman Royal Parks in Palermo, ivi, pp. 118-23; E. Mauro,
Memories of the Norman Park, ivi, pp. 124-27.
114. Romualdo II Guarna, Chronicon, a cura di C. Bonetti, Cava de’ Tirreni, Avagliano,
2001, pp. 156-59; Di Giovanni, op. cit., pp. 111-12; per il monumento cfr. S. Braida, Il palazzo
ruggeriano di Altofonte, in « Palladio », ii 1973, pp. 185-97; M.G. Paolini, Considerazioni su edifici
159
giuseppe mandalà
civili di età normanna a Palermo, in « Atti della Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo -
Lettere », xxxiii 1973-1974, fasc. 2 pp. 299-316, alle pp. 328-35. Il toponimo ‘Parco’ è documen-
tato il 5 e l’8 febbraio 1278, nelle registrazioni di due documenti (entrambi oggi perduti)
emanati da Carlo d’Angiò (già Archivio di Stato di Napoli, Reg. 1268 A, f. 137rv) e menzionati
da M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, a cura di F. Giunta, 2 voll., Palermo, Flaccovio, 1969,
vol. i p. 112 n. 3.
115. « Ut quia pater eius Favariam, Minenium aliaque delectabilia loca fecerat » (Ugo Fal
cando, La ‘Historia’ o ‘Liber de Regno Sicilie’ e la ‘Epistola ad Petrum Panormitane Ecclesie thesaura
rium’, a cura di G.B. Siragusa, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1897, p. 87 n. 1).
Un documento del 1132 menziona una ‘fonte nota come al-Manānī ’ (« ‘ayn al-ma‘rūfa bi
’l-Manānī »); cfr. Cusa, op. cit., vol. i pp. 6-12; per una discussione delle fonti cfr. M. Amari,
Storia dei Musulmani di Sicilia, a cura di C.A. Nallino, 3 voll., Catania, Romeo Prampolini, 1933-
1939, vol. iii pp. 842-44 n. 2, pp. 873-74 n. 2.
116. « Meniano (maenianum). Il significato originario della parola è: sporgenza (oltre la verti-
cale dei muri o di un portico) collocata ad una certa altezza, e fatta in modo che le persone
possano fermarsi su essa a godere la vista della via o della piazza, o gli spettacoli che vi si dànno;
quindi loggia, balcone. Si traeva il nome da Gaio Menio, censore nel 318 a.C., che primo
avrebbe fatto sporgere travi sopra le tabernae veteres del Foro, per creare palchi sospesi o logge,
in occasione di spettacoli » (G. Patroni, Meniano (maenianum), in Enciclopedia italiana, 1934 [on-
line: ‹www.treccani.it/enciclopedia/meniano_(Enciclopedia-Italiana)/›]; cfr. anche E. Forcel
lini, Lexicon totius latinitatis, 4 voll., Patavii, A. Forni, 1864-1926, vol. iii pp. 145-46; e cfr. menia
num, « projectio, projectus, [greco] exostes » (Du Cange, op. cit., vol. v col. 340), mignanum (a.
1200), minianum o menianum, ‘ballatoio esterno’, e per uso consolidato anche ‘ampio vaso ret-
tangolare di creta’ (A. Varvaro, Vocabolario storico-etimologico del siciliano, 2 voll., Palermo, Cen-
tro di studi filologici e linguistici siciliani, 2014, vol. ii pp. 605-6).
117. La stessa formazione aggettivale è forse ipotizzabile anche per Favaria, ‘[il palazzo]
della Sorgente’ (< ar. fawwāra, ‘sorgente’); per uno spoglio delle attestazioni del toponimo cfr.
Caracausi, Arabismi, cit., p. 224.
118. « De domibus Cantari prope Augustam, quas facis bene cohoperiri ceramicis et calce,
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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
ne venti rabiem pertimescant, quarum salam cum miniano, quod respicit mare versus Augu-
stam, pro defectu boni fundamenti ruinam minantes, reparari facis » (31 marzo 1240, presso
Salpi): Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di C. Carbonetti Vendittel
li, 2 voll., Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 2002, vol. ii n° 820, pp. 732-41, a
p. 738; sulle case del Cantara cfr. G. Agnello, L’architettura sveva in Sicilia, Roma, Collezione
Meridionale Editrice, 1935; riprod. anast. Siracusa, Ediprint, 1986, pp. 213-19, in partic. p. 218:
« Che cosa sia il miniano è difficile precisare, mancando ogni base per un’attendibile deriva-
zione etimologica; l’Haseloff, che proporrebbe di leggere meniis o menianis, ritiene che il vo-
cabolo esprima la corona dei merli cingenti la sala. Io credo invece, sull’autorità del Forcelli-
ni, citato dallo stesso Haseloff, e sull’analogia del vocabolo, quale ci è dato oggi dal dialetto
abruzzese, che sia una specie di ballatoio, sulla parte esterna dell’edifizio, in legno o in pietra,
costruito probabilmente per poter meglio dominare la visione magnifica del mare e della
città ».
119. Paolini, op. cit., pp. 334-46; G. Bellafiore, Architettura in Sicilia nelle età islamica e nor
manna (827-1194), Palermo, Arnaldo Lombardi, 1990, pp. 55-68, 147-56; L’arte siculo-normanna. La
cultura islamica nella Sicilia medievale, a cura di N.G. Leone et al., Palermo, Kalos, 2007, pp. 67-89;
Barbera, Maredolce-La Favara, cit., pp. 70, 75; Sessa, op. cit., p. 120; Mauro, op. cit., p. 124.
120. M. Amari, Le epigrafi arabiche di Sicilia, trascritte, tradotte e illustrate, a cura di F. Gabrieli,
Palermo, Flaccovio, 1971, pp. 77-99. Sul rapporto tra l’iscrizione della Zisa e il Genoardo cfr.
Amari, Storia, cit., vol. iii pp. 566-67.
121. Bern, Burgerbibliothek, 120 II, f. 98r, riprodotto in Petrus de Ebulo, Liber ad honorem
Augusti sive de rebus Siculis, ed. Th. Kölzer et M. Sträli, Stuttgart, Jan Thorbecke Verlag, 1994,
p. 47; Zecchino, Il giardino del poeta, cit., pp. 187-89.
122. Per una discussione dell’etimologia dei vari toponimi siciliani Genoardo, forse anche
jannat al-ward o ‘giardino delle rose’, si veda Caracausi, Dizionario, cit., vol. i pp. 697-98. Per
una panoramica sull’idea di “paradiso” nell’Islam si rimanda a L. Gardet, Djanna, in The En
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giuseppe mandalà
cyclopaedia of Islam, cit., vol. ii pp. 447-52; per la genesi del tema letterario e iconografico del
giardino/paradiso tra Oriente e Occidente rimando a F. Cardini-M. Miglio, Nostalgia del
Paradiso: il giardino medievale, Roma-Bari, Laterza, 2002; Paradeisos. Genèse et métamorphose de la
notion de paradis dans l’Antiquité. Actes du Colloque, Avignon, printemps 2009, éd. par E. Mor
villez, Paris, Éditions de Boccard, 2014; M.-Th. Gousset, Éden. Le jardin médiéval à travers l’en
luminure, XIIIe-XVIe siècle, Paris, Albin Michel-Bibliothèque nationale de France, 2001.
123. Zecchino, Il giardino del poeta, cit., p. 193.
124. Per un confronto con il contesto iberico rimando a G.D. Anderson, The Islamic Villa
in Early Medieval Iberia: Architecture and Court Culture in Umayyad Córdoba, Farnham, Ashgate
Publishing, 2013. Sui temi culturali legati al re e alla sua corte rimando, in sintesi, a D. Boccas
sini, Il volo della mente. Falconeria e sofia nel mondo mediterraneo: Islam, Federico II, Dante, Ravenna,
Longo, 2003; M.S. Calò Mariani, Utilità e diletto: l’acqua e le residenze regie dell’Italia meridionale
fra XII e XIII secolo, in « Mélanges de l’École Française de Rome. Moyen Âge », civ 1992, pp.
343-72.
125. C. Trasselli, Sulla popolazione di Palermo nei secoli XIII-XIV, in « Economia e Storia », xi
1964, pp. 329-44; I. Peri, Uomini, città e campagne in Sicilia dall’XI al XIII secolo, Roma-Bari, Later-
za, 1990, pp. 117-61; soprattutto si vedano K. Toomaspoeg, Les cisterciens de la Magione de Palerme:
un essai de reconstruction des origines du monastère de la Sainte-Trinité, in « Archivio storico per la
Sicilia orientale », xcii 1996, pp. 7-21, a p. 20; Id., La Magione dei cavalieri teutonici e gli ebrei siciliani,
in Ebrei e Sicilia. Catalogo della Mostra di Palermo, Convento della Magione, 24 aprile-22
maggio 2002, a cura di N. Bucaria, M. Luzzati e A. Tarantino, Palermo, Flaccovio, 2002, pp.
298-302; Id., Les teutoniques en Sicile (1197-1492), Roma, École Française de Rome, 2003.
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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo
Giuseppe Mandalà
CSIC, Madrid
giuseppe.mandala@cchs.csic.es
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