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rivista semestrale

fondata da d’arco silvio avalle, francesco branciforti,


gianfranco folena, francesco sabatini, cesare segre,
alberto varvaro

diretta da stefano asperti, carlo beretta, eugenio burgio,


lino leonardi, salvatore luongo, laura minervini

volume XLi
(Xi della iV serie)

fascicolo i

salerno editrice • roma


mmXVIi
Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 5617 del 12.12.2007

Il volume viene stampato con un contributo


del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

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guito a norma di legge.
LA CONCA D’ORO DI PALERMO.
STORIA DI UN TOP ON I MO

1. Le immagini alle origini

Conca d’oro è il nome della fertile piana, compresa tra mare e monti, che
circonda la città di Palermo per una estensione di circa 100 km2. La sua fama
è ben documentata in letteratura già a partire dallo storico greco Callia di
Siracusa (IV-III sec. a.C.), in un passo trasmesso da Ateneo (II sec. d.C.): « il
territorio di Panormos in Sicilia si denomina ‘tutto giardino’ per essere inte-
ramente pieno di alberi coltivati, come dice Callia nell’viii [libro] delle Sto­
rie di Agatocle ».1 Una immagine letteraria classica quella della Panormitis cho­
ra (Polibio, Historiae, i 40), fecunda già secondo Silio Italico (Punica, xiv 261-
63), che giungerà fino al Medioevo “arabo-normanno” e alle descrizioni di
Ibn Ḥawqal (362/972-973)2 e di Amato di Montecassino (1080).3
Grazie alle condizioni climatiche e alla abbondanza di acque, fauna e
vegetazione nella piana e nei monti che la circondano, nelle fonti letterarie
e iconografiche ritorna spesso la metafora di Palermo come “paradiso ter-
restre”, da Amato di Montecassino fino a Fernand Braudel, passando per il

* Desidero ringraziare Piero Colletta, Fulvio Delle Donne, Adalgisa De Simone, Laura
Minervini, Alex Metcalfe e Pasquale Musso per aver discusso il tema con chi scrive. Questo
lavoro è dedicato a mio zio Giovanni, che della Conca ha visto l’ultimo oro.
1. K.W.L. Müller, Fragmenta historicorum Graecorum, 5 voll., Paris, Didot, 1843, vol. ii p. 382;
G. Purpura, Palermo e il mare. Testimonianze epigrafiche e rinvenimenti sottomarini, in Storia di Paler­
mo i, a cura di R. La Duca, Palermo, L’Epos, 1999, pp. 232-53, alle pp. 234-36; A. Holm, Storia
della Sicilia nell’antichità, 3 voll., Torino, Clausen, 1896, vol. i pp. 189-91; per il rapporto diacroni-
co tra la città e il suo porto si veda anche M.C. Ruggeri Tricoli-M.D. Vacirca, Palermo e il
suo porto (750 a.C.-1986), Palermo, Edizioni Giada, 1986.
2. Ad esempio: « L’irrigazione de’ giardini si fa piú comunemente per mezzo di canali; ché
molti giadini v’ha, oltre i campi non irrigui; sí come in Siria e in altri paesi »; Ibn Ḥawqal, Kitāb
al-masālik wa ’l-mamālik, in M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, ossia raccolta di testi arabici che toccano
la geografia, la storia, le biografie e la bibliografia della Sicilia, a cura di U. Rizzitano, 2 voll., Palermo,
Accademia nazionale di scienze, lettere e arti di Palermo, 1988, vol. i p. 17 n. 73; 3 voll., trad. it.,
ivi, id., 1997-1998, vol. i p. 23; Ibn Ḥawqal, Ṣūrat al-arḍ, ed. J.H. Kramers, 2 voll., Leiden, Brill,
19382, vol. i p. 123; Id., Configuration de la terre, 2 voll., Paris, G.P. Maison­neu­ve & Larose, 1964,
vol. i p. 122.
3. « En lo sequent jor partirent lo palaiz et les chozes qu’il troverent fors de la cité. Donnent
à li Prince li jardin delectoz, pleins de frutte et de eaue, et par soi li chevalier avoient li choses
royals et paradis terrestre » (Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni volgarizzata in antico
francese, a cura di V. De Bartholomaeis, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1935,
p. 278).

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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

marchese di Villabianca.4 Piú in generale quella della Sicilia come “paradi-


so” è una immagine che si converte anche in nostalgia letteraria per la patria
perduta, nei versi del poeta arabo-siculo Ibn Ḥamdīs (m. 527/1132-1133) esu-
le nelle corti di al-Andalus: « Ma se fui bandito da un paradiso (janna) come
posso io darne informazioni? ».5 E ancora su piú ampia scala, occorre notare
che l’immagine della Sicilia come “paradiso terrestre” non è esclusivamen-
te legata al paesaggio, ma anche alla concordia tra le parti, alla pace tra so-
vrano e sudditi instaurata, o propagandata, al tempo di Guglielmo II, non a
caso detto “il Buono” o meglio “il Bello” (< lat. formosus);6 cosí ad esem-
pio si esprime Jacopo della Lana nel commentare i vv. 61-63 del canto xx
del Paradiso dantesco: « Questo re Guglielmo fue uno uomo giusto e ragio-
nevile, e amava li suoi sudditi di dilettazione regale, la quale fae differenzia
dalla iniqua volontà tirannica, e teneali in tanto trastullo, pace e diletto, che
si potèa estimare uno paradiso terrestre ».7 Questa immagine di pace sociale

4. « Chiamossi indi Panormus perché nell’espressivo di questa voce si raggiungono gli eccel-
si pregi del suo bel contado, che è tutto piano, tronfio di pioppate strade, di bei verzieri e di
assai brillanti cristalline fonti. Ciò fu motivo che dagli autori le si è dato comunemente il bel
nome di Paradiso della Sicilia. E per la medesima ragione, come pel vanto del suo teatrale giro
de’ monti, che rendono il piano e la città in forma di conca, sortisce ella il nome antonomasti-
co di Conca d’oro » (F.M.E. Gaetani, Il Palermo d’oggigiorno, in Opere storiche inedite della città di
Palermo ed altre città siciliane, pubblicate su’ manoscritti della Biblioteca Comunale, precedute da prefazio­
ni e corredate di note, a cura di G. Di Marzo, 7 voll., Palermo, L. Pedone Lauriel, 1873, vol. iii p.
6); « la paradisiaca Conca d’Oro che circonda Palermo » (F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio
e la storia, gli uomini e la tradizione, trad. it., Milano, Bompiani, 1987, p. 20). Per un accostamento
tra la Sicilia e le Isole Fortunate, sede del Paradiso già secondo Isidoro di Siviglia (Etymologiae,
xiv 6 8), cfr. B. Clausi, L’immagine dell’isola. La descrizione della Sicilia in alcune compilazioni geogra­
fiche del Medio Evo, in « Annuario del Liceo-Ginnasio Statale “Mario Rapisardi” di Paternò »,
n.s. 1991, pp. 41-64, alle pp. 54-55.
5. Ibn Ḥamdīs, Dīwān, in Amari, Biblioteca, cit., vol. ii p. 619, trad. it., vol. iii p. 675; sul tema
della nostalgia della Sicilia rimando ad A. Borruso, La nostalgia della Sicilia nel ‘Dīwān’ di Ibn
Ḥamdīs, in « Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani », xii 1973, pp. 38-54;
W. Granara, Ibn Ḥamdīs and the poetry of nostalgia, in The Literature of al-Andalus. The Cambridge
History of Arabic Literature, ed. by R.M. Menocal, M. Scheindlin and M. Sells, Cambridge,
Cambridge Univ. Press, 2000, pp. 388-403.
6. « Post obitum, formose, tuum, que sceptra gubernet » (cfr. ‘Liber ad honorem Augusti’ di
Pietro da Eboli secondo il cod. 120 della Civica di Berna, a cura di G.B. Siragusa, Roma, Istituto
storico italiano per il Medio Evo, 1906, p. 7 n. 1, v. 35); cfr. G.M. Cantarella, Principi e corti.
L’Europa del XII secolo, Torino, Einaudi, 1997, p. 33.
7. « E quel che vedi nell’arco declivo / Guiglielmo fu, cui quella terra plora / Che piange
Carlo e Federigo vivo » (Par., xx 61-63); cfr. ‘Comedia’ di Dante degli Allagherii col commento di Ja­
copo della Lana bolognese, a cura di L. Scarabelli, 3 voll., Bologna, Tipografia Regia, 1866, vol.
iii p. 310 (vd. ora l’ed. Iacomo della Lana, Commento alla ‘Commedia’, a cura di M. Volpi, con
la collab. di A. Terzi, Roma, Salerno Editrice, 2009, 4 voll.).

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giuseppe mandalà

trova un riflesso nei programmi iconografici normanni che raffigurano sce-


ne di venazione, vegetazione e animali esotici, ad esempio, nei mosaici che
adornano la cosiddetta Stanza di Ruggero al Palazzo Reale di Palermo, o la
sala della fontana alla Zisa.8 In definitiva siamo di fronte a una immagine di
“felicità” che accompagna sia il nome del regno di Sicilia (« in nostro felicis-
simo regno », a. 1175) sia, ancor prima, quello della stessa città di Palermo,
definita urbs felix già nel 1144,9 una immagine consacrata da Pietro da Eboli
nel verso « Hactenus urbs felix, populo dotata trilingui ».10
La Sicilia, e il regno in tutta la sua estensione, è un paese « dove scorre
latte e miele » (Esodo, 3 8), che supera la Terra promessa da Dio agli Israeli­
ti, secondo un paragone certamente blasfemo, o meglio una superstitio, attri-
buito da Salimbene de Adam all’imperatore Federico II, che visita real-
mente la Palestina in occasione della crociata del 1228-122911 e che non ulti-

8. G. Di Stefano, Monumenti della Sicilia normanna, Palermo, Flaccovio, 1979, pp. 94-95, a p.
104; B. Lorenzi, Parchi e verzieri nella Sicilia islamica e normanna, in Il giardino islamico, a cura di L.
Zangheri, B. Lorenzi e N.M. Rahmati, Firenze, Olschki, 2006, pp. 209-89, alle pp. 262-68 e 275.
9. Per il felicissimum Regnum (a. 1175) si veda R. Pirro, Sicilia sacra disquisitionibus et notitiis illu­
strata, ed. A. Mongitore et V.M. Amico, 3 voll., Palermo, apud haeredes Petri Coppulae, 1733,
vol. i p. 453 (ivi anche: « a moenibus felicis Urbis nostrae Panormi »). Per la « felix urbs Panor-
mi » la prima attestazione sembrerebbe risalire a un privilegio regio emanato da Ruggero II a
favore di Uberto vescovo di Mazara nel 1144: « datum in Urbe felici nostra Panormi » (Pirro,
op. cit., vol. ii p. 844); si veda anche « Tabulariam felicissimae Urbis Panhormi » in un privilegio
di Ruggero II a Ugo arcivescovo di Palermo del marzo 1144 (M. De Vio, Felicis et fidelissimae
Urbis Panormitanae selecta aliquot ad civitatis decus, et commodum spectantia privilegia per instrumenta
varia Siciliae a regibus sive proregibus collata, Palermo, In Palatio Senatorio per Dominicum Cor-
tese, 1706, pp. 3-4); cfr. F. Baronio Manfredi, De maiestate Panormitana libri iv, Palermo, apud
Alphonsum de Isola, 1630, pp. 27-30; soprattutto A. Inveges, Annali della felice città di Palermo,
prima sedia, corona del re e capo del regno di Sicilia, 3 voll., Palermo, Typ. di Pietro dell’Isola impres-
sor camerale, 1651, vol. iii p. 140; F.M.E. Gaetani, L’aquila o i simboli di Palermo e della Sicilia, a
cura di M.C. Ruggieri Tricoli e D. Vacirca, Palermo, Edizioni Giada, 1988, pp. 84-85. Per il
passaggio da civitas a urbs nell’uso e nella titolatura cfr. S. Fodale, La “restaurazione” della romani­
tà di Palermo, in Studi sulle società e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi, a cura di L. Gatto,
2 voll., Firenze, All’Insegna del Giglio, 2002, vol. i pp. 195-200, alle pp. 197-98; per la continuità
trecentesca del titolo si veda ad esempio « preter tamen felicem urbem Panormi » (Anonimo
del Trecento, Cronaca della Sicilia, a cura di P. Colletta, Leonforte, Euno, 2013, p. 21).
10. Liber ad honorem Augusti, cit., p. 9, v. 56; l’opera narra gli eventi tra il 1191 e il 1194, e nel
giudizio della critica è stata composta a ridosso del 1197, cfr. F. Delle Donne, Pietro da Eboli, in
Dizionario Biografico degli Italiani [d’ora in poi DBI], 2015 [online: ‹www.treccani.it/enciclope-
dia/pietro-da-eboli_(Dizionario-Biografico)/›].
11. « Tertia eius superstitio fuit quia, cum vidit terram ultramarinam, que fuit terra promis-
sionis, quam Deus totiens commendaverat, appellando eam terram lacte et melle manantem et
egregiam terrarum omnium, displicuit sibi et dixit quod Deus Iudeorum non viderat terram
suam, scilicet Terram Laboris, Calabriam et Siciliam et Apuliam, quia non totiens commen-

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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

mo conosceva bene la città di Palermo in particolare, dove trascorre circa


undici anni e tre mesi durante gran parte della minorità (nel periodo inter-
corso tra il 17 maggio 1198 e l’inizio del marzo 1212).12 Se si tiene conto che
Federico II è rappresentato come l’Anticristo da certa propaganda filopon-
tificia a lui avversa,13 saremmo qui di fronte a una delle possibili fonti del­
l’immagine del Mezzogiorno come « paradiso abitato da diavoli », o meglio
governato dal principe di essi, secondo una ben nota definizione che ebbe
lungo corso fra Sei e Settecento, uno stereotipo trasmesso e rivisitato, forse
non a torto, fino ai nostri giorni.14

2. Panormos e il suo territorio: alla ricerca di una etimologia

Certamente già in antico un filo rosso correva tra il paesaggio e il nome


della città. Il nome greco e poi latino di Palermo è Panormos/Panormus. Eu-
stazio, arcivescovo di Tessalonica (m. 1198) e testimone oculare della bru­
tale espugnazione della sua città da parte dei Normanni di Sicilia (1185), ri-
corda nei suoi scholia omerici che « Panormoi sono i porti (limenes) con anco-
raggio profondo (anchibatheis) nei quali, per questa ragione, ogni genere di
nave riesce a ormeggiare con qualsiasi vento. È chiaro come sia possibile
che non [soltanto] esistano alcuni porti [chiamati] Panormos, [ma] che questi
presentino differenti tipi di approdo e di ormeggio […] ».15 L’etimo di Paler-
mo non sarebbe tuttavia da collegare direttamente alla amenità del suo ap­
prodo (< gr. pan- hormos ‘tutto ormeggio’),16 ma piuttosto ad un altro si­

dasset terram quam promisit et dedit Iudeis » (Salimbene de Adam, Cronica, nuova ed. critica
a cura di G. Scalia, Bari, Laterza, 1966, p. 510).
12. A. Kiesewetter, Itinerario di Federico II, in Federiciana, 2005 [online: ‹www.treccani.it/
enciclopedia/itinerario-di-federico-ii_(Federiciana)/›].
13. A. Piazza, Anticristo/Messia, in Federiciana, 2005 [online: ‹www.treccani.it/enciclopedia/
anticristo-messia_(Federiciana)/›]; per l’ostilità di Salimbene rimando in sintesi a L. Gatto,
Sicilia e Mezzogiorno italiano nella ‘Cronaca’ di Salimbene, in « Clio », xxi 1985, pp. 215-33.
14. B. Croce, Un paradiso abitato da diavoli, a cura di G. Galasso, Milano, Adelphi, 2006; piú
in generale sulla fortuna e la persistenza del tema rimando a N. Moe, Un paradiso abitato da
diavoli. Identità nazionale e immagini del Mezzogiorno, Napoli, L’ancora del Mediterraneo, 2004.
15. Eustathii commentarii in Homeri ‘Odysseam’. Ad fides exempli Romani, ed. J.G. Stallbaum,
2 voll., Leipzig, sumptibus Joann. Aug. Gottl. Weigel, 1826, vol. ii p. 46; sull’espugnazione di
Tessalonica cfr. Eustazio di Tessalonica, L’espugnazione di Tessalonica, a cura di S. Kyriakidis
e V. Rotolo, Palermo, Istituto siciliano di studi bizantini e neoellenici, 1961.
16. Panormos è un toponimo diffuso, documentato in una ventina di altri siti, una omonimia
che sul piano letterario ha dato luogo a varie false identificazioni; per uno spoglio dei toponi-
mi rimando a W. Pape, Wörterbuch der griechischen Eigennamen, Braunschweig, F. Vieweg und
sohn, 19113, pp. 1126-27, s.v., cui s’aggiunga B. Lavagnini, Sulla località “Panormos” menzionata nel

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giuseppe mandalà

gnificato della parola greca hormos che indica una ‘collana’, un ‘monile’;17
quest’ultimo significato troverebbe riscontro nel nome fenicio della città:
ṣ.y.ṣ, che vuol dire appunto ‘collana’, ‘monile’, ‘ghirlanda’, un dato che sug-
gerisce implicitamente il bilinguismo e/o diglossia greco-fenicio degli an-
tichi abitanti della città, che ne potevano apprezzare a pieno l’ambivalenza
semantica.18 E sia ‘collana’ sia ‘ghirlanda’ sono termini che rimandano al
paesaggio, e piú precisamente alla corona di monti che circoscrive la piana
al centro della quale sorge la città.
L’opinione comune vuole che l’oro della conca sia un riferimento alla ve­
getazione, e piú specificatamente all’aurea abbondanza di agrumi, che ivi
crescevano in estensione a partire dalla fine del XVIII sec.19 Complice di
questa esegesi è la errata quanto diffusa identificazione della Sicilia con il
paese dove fioriscono i limoni e brillano tra le foglie cupe le arance d’oro,
secondo i celebri versi del Wilhelm Meister di J.W. Goethe (1795).20 La vulga-

‘Digenis Akritas’ (1, 101). Con una postilla sul nome della città di Palermo, in « Atti della Accademia di
scienze, lettere e arti di Palermo », iii 1942, pp. 389-94, rist. in Id., Atakta. Scritti minori di filologia
classica bizantina e neogreca, Palermo, Palumbo, 1978, pp. 464-69, a p. 468 n. 2 (si noti che il topo-
nimo Panormos menzionato dal Digenis Akritas, vv. 101-4, è in realtà da localizzare nella Peniso-
la Arabica, sul Mar Rosso: una ambientazione coerente con il testo; sul toponimo cfr. Diodo­
ro Siculo, Bibliotheca historica, iii 38); sedici località chiamate Panormos/Panormus sono elenca-
te in W. Ruge, Panormos, Panormus, in Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft:
neue Bearbeitung, 66 voll., hrsg. von A.F. von Pauly et al., Stuttgart, J.B. Metzler, 1949, vol.
xviii/3 coll. 654-78, s.v.
17. Hormos1 « chaîne, corde », spesso « collier » (Omero, Iliade, xviii 401), anche « nom d’une
danse en forme de ronde »; hormos 2 « muillage » distinto da limen « port », in senso figurato an-
che « un refuge, un havre de paix » (P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque.
Histoire des mots, 5 voll., Paris, Klincksieck, 1974, vol. iii p. 822).
18. G. Garbini, Da Nora a Palermo (passando per Cartagine), in Alle soglie della classicità: il Medi­
terraneo tra tradizione e innovazione. Studi in onore di Sabatino Moscati, 3 voll., a cura di E. Acquaro,
Pisa-Roma, Ist. Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1997, vol. i pp. 201-7.
19. Aranci amari, limoni e limette sono presenti in Sicilia già nell’XI sec.; gli aranci dolci
sono documentati nei giardini di Palermo dal 1487; la coltivazione di agrumi in estensione, per
fini commerciali, si afferma solo a partire dalla fine del Settecento, e dopo il 1810 si diffonde
anche la coltura dei mandarini; per una accurata analisi della storia della diffusione delle spe-
cie arboree nel contesto della Conca d’oro rimando a G. Barbera-T. La Mantia-J. Rühl, La
Conca d’Oro: trasformazione di un paesaggio agrario e riflessi sulla sostenibilità, in Il paesaggio agricolo
nella Conca d’oro di Palermo, a cura di M. Leone, F. Lo Piccolo e F. Schilleci, Firenze, Alinea,
2009, pp. 69-95; G. Barbera, Conca d’oro, Palermo, Sellerio, 2012; piú in generale si veda F.
Calabrese, La favolosa storia degli agrumi, Palermo, L’Epos, 2004.
20. « Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn, / Im dunkeln Laub die Goldorangen
glühn, / Ein sanfter Wind vom blauen Himmel weht, / Die Myrte still und hoch der Lor­
beer steht? » (J.W. Goethe, Wilhelm Meisters Lehrjahre, iii 1); per una corretta attribuzione dell’im-
magine letteraria con gli agrumi che dal lago di Garda raggiungevano la Germania rimando a

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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

ta aggiunge anche che tale denominazione risale al periodo islamico e al


mito della rivoluzione agricola araba; 21 una esegesi “orientalista” che trova
una certa corrispondenza in un bozzetto di Emanuele Navarro della Mira-
glia (1838-1919): « Un semicerchio di montagne, una valle che ha circa tren-
ta leghe di periferia e che si stende fino al mare dove Palermo si specchia e
si bagna: ecco la Conca d’Oro. Il nome, di origine antica, è forse dovuto
alla bellezza del paesaggio e alla fertilità del suolo. Le montagne poco ele-
vate, ricordano l’Africa, sono biancastre, sassose, ripide. Un’erba scarsa e
magra cresce appena sulle cime nude […] ».22
I prodotti della verde e fertile piana che circondava Palermo sono già
celebrati nel XII secolo, in particolare dallo pseudo Ugo Falcando il qua-
le, dopo aver posto in maniera retorica una sequela di interrogativi: « Quis
vero preclare huius urbis miranda edificia; quis fontium passim ebullien-
tium suavissimam ubertatem; quis semper virentium arborum amenita-
tem aut aqueductus civium habundanter usibus servientes satis mirari suf-
ficiat? quis insolite planitiei gloriam que inter urbis menia montesque qua-
tuor fere milibus patet laude congrua prosequatur? »,23 aggiunge a com-
mento dell’ultimo quesito: « O beatam cunctisques seculis predicandam pla­
nitiem, que intra gremium suum arborum fructuumque genus omne con­
clusit, que quicquid usquam est deliciarum sola pretendit, que voluptarie
visionis illecebres cunctas sic allicit ut cui semel eam videre contigerit, vix
unquam ab ea quibuslibet possit blandimentis avelli! ».24 Il paesaggio della
piana è caratterizzato da vigneti e orti protetti da turres, con la duplice fun-
zione di difesa e di piacere; in particolare gli orti sono forniti d’acqua da

Barbera, Conca d’oro, cit., p. 108; per la pervasività della identificazione nell’iconografia locale
cfr. A. Buttitta, Dove fiorisce il limone, Palermo, Sellerio, 1983.
21. Già Revelli sottolineava come « si attribuisce, senza ombra di fondamento, ai domina-
tori musulmani l’origine della denominazione Conca d’oro » (P. Revelli, La “Conca d’oro”. Con­
tributo al ‘Glossario dei nomi territoriali italiani’, in « Bollettino della Società geografica italiana », x
1909, pp. 1132-44, alle pp. 1134 e 1137); parzialmente ripreso in Id., Cenni morfologici, in Palermo e
la Conca d’oro. In occasione del vii Congresso geografico italiano, [Palermo, 30 aprile-6 maggio 1910],
Palermo, Virzí, 1911, pp. 54-80, alle pp. 59-60. Sul modello irriguo arabo-islamico rimando a
M. Pizzuto Antinoro, Gli Arabi di Sicilia e il modello irriguo della Conca d’Oro, Palermo, Regio-
ne Siciliana, 2002.
22. E. Navarro della Miraglia, La Conca d’Oro, in Id., Storielle siciliane, Palermo, Sellerio,
1992, pp. 39-45, a p. 39; sull’autore cfr. F. Lucioli, Navarro della Miraglia, Emanuele (Emmanuele),
in DBI, 2013 [online: ‹www.treccani.it/enciclopedia/navarro-della-miraglia-emanuele_(Di-
zionario-Biografico)/›].
23. Lettera a un tesoriere di Palermo sulla conquista sveva di Sicilia, a cura di S. Tramontana, Pa-
lermo, Sellerio, 1988, pp. 138-39.
24. Ivi.

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giuseppe mandalà

norie e da un capillare sistema irriguo, e ivi si coltivano cetrioli, cocomeri,


meloni e zucche. Degli alberi si descrivono minuziosamente i loro frutti
“esotici”: melagrane agre e dolci, cedri, lumie e arance. Ma il territorio
produce anche le piú comuni noci, mandorle, diversi tipi di fichi, olive e
olio, oltre i legumi e i datteri e, infine, la canna da zucchero, dalla quale si
estraeva sia la melassa sia lo zucchero, a seconda della cottura.25 E a buon
titolo conclude lo pseudo Falcando che la sua descrizione possa servire « ut
ex paucis multa, ex parvis maiora solliciti prudentia lectoris intelligat; si-
mulque ut, quaemadmodum dictum est, liquidum fiat quantis lamentatio-
nibus quantaque sit opus copia lacrimarum ut digne civitatis huius calami-
tas defleatur ».26 Come notato da Francesco Zecchino:
nell’Epistola ad Petrum dello pseudo-Falcando, il verde, la flora, la struttura botanica,
sono il paesaggio, in particolare la città di Palermo; la staticità e l’ordine, e il movi-
mento della vegetazione all’interno di questi, simboleggiano la cifra politico-ideo-
logica del quieto, tranquillo e ricco mondo normanno; la varietas dell’abbondante
vegetazione, della frutta, degli ortaggi che abbelliscono e arricchiscono gli orti e i
giardini, è anche estetica: i colori trapuntano e caratterizzano il paesaggio, vario-
pinto e bello, oltre che lussureggiante. Il tutto sarà spazzato via dall’imminente ar-
rivo delle soldataglie tedesche di Enrico e Costanza. In Falcando, cioè, il paesaggio
vegetale partecipa alla strutturazione ideologica del testo e alla contrapposizione
politica tra la feconda Sicilia dei Normanni e il terribile furor Theutonicus.27

Nelle descrizioni della piana che circonda Palermo ritorna spesso anche
il riferimento alla corona di monti che la circoscrivono, rappresentata come
un “anfiteatro”, un elemento geografico che tanto ha colpito l’immagina-
zione degli antichi e dei moderni;28 e cosí, ad esempio, si esprime Vincenzo
Di Giovanni (1615 ca.):

25. Ivi, pp. 140-43.


26. Ivi, p. 142.
27. F. Zecchino, Il giardino del poeta. Immagini botaniche nell’iconografia e nel testo di Pietro da
Eboli, in Territori, strutture, relazioni tra antichità e medioevo. Atti del Convegno internazionale di
Napoli, 9-11 giugno 2005, a cura di G. Coppola, E. D’Angelo e R. Paone, Napoli, Artemisia
Comunicazione, 2006, pp. 183-94, a p. 193; si veda anche F. Zecchino, Palermo città-giardino
nella descrizione di Ugo Falcando, in Studi in onore di Salvatore Tramontana, a cura di E. Cuozzo,
Pratola di Serra, Sellino, 2003, pp. 457-70.
28. L’immagine dell’anfiteatro risale già a Fazello: « Una parte di questa città è bagnata dal
mar Tirreno, e l’altre tre sono aperte a la pianura, et è cinto intorno intorno di monti aspri,
alti, et erti, dove non è albero di sorte alcuna, le cui campagne son piane, et grandi, e tengono
di giro circa xx. miglia, le quali fanno (come dire) un grande Anfiteatro imaginato dalla natu-
ra, e fa un bel vedere a coloro, che da’ colli vicini le rimirano, però che quei campi non paiono
di terra, ma par che siano d’una forma bellissima dipinta con vaghezza maravigliosa, di manie-

138
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

La nostra piana di Palermo, in una valle la piú bella, gioconda ed amena, che si
potesse considerare, è di circuito e tondo di quasi quaranta miglia, fatta a guisa di un
anfiteatro, perché attorno la città distante da quella a parte di quattro miglia, a par-
te tre, a parte cinque, a parte sei, si vede circondata da un ordine di altissimi monti
di poco disuguale altezza, quasi un circuito di naturali muraglie, per le quali non si
possa entrare, eccetto che per dodeci porte […] essendo i monti in altra parte di­
scoscesi per tutto a guisa dell’Alpi; ed è aperta poi solamente da parte di mare dal
monte Peregrino al monte Bonzerbino [Mongerbino], quasi due lunghissimi brac-
ci, che formano il detto anfiteatro, di spiaggia di dieci miglia.29

Cosí ancora, a distanza di secoli, replica Guy de Maupassant nel suo Carnet
de voyage in Sicilia (1885):
La vue, de ce sommet [scil. dal Castellaccio di Monreale], est une des plus saisissan-
tes qu’on puisse trouver. Tout autour du mont hérissé le creusent de profondes
vallées qu’enferment d’autres monts, élargissant, vers l’intérieur de la Sicile, un
horizon infini de pics et de cimes. En face de nous, la mer; à nos pieds, Palerme. La
ville est entourée par ce bois d’orangers qu’on nomme la Conque d’or, et ce bois de
verdure noire s’étend, comme une tache sombre, au pied des montagnes grises, des
montagnes rousses, qui semblent brûlées, rongées et dorées par le soleil, tant elles
sont nues et colorées.30

Quella della Conca d’oro è quindi un’immagine letteraria che affonda le


sue radici nella feracità della pianura compresa tra mare e monti; e questa
immagine, che ha attraversato i secoli, avrà fine solo con l’incontrollata
espansione edilizia, nota come “Sacco di Palermo”, consumatasi a partire da­
gli anni Cinquanta del secolo scorso.

3. Conca aurea: le prime attestazioni


La prima attestazione del toponimo Conca d’oro risale al 1470 ca., ed è

ra che dovunque si voltano gli occhi, se ne piglia grandissimo contento, perché tutto quel
paese è largo, bello, ameno, vario, aprico, e tutto fertile; e sopra tutto è abbondante d’aranci,
di cedri, pomi granati, e di tutte l’altre sorti di frutti » (Le due deche dell’ ‘Historia di Sicilia’ del
R.P.M. Tomaso Fazello, siciliano, dell’Ordine de’ predicatori, divise in venti libri, tradotte dal latino in
lingua toscana dal P.M. Remigio Fiorentino del medesimo ordine, Venezia, appresso Domenico, &
Gio. Battista Guerra fratelli, 1574, p. 234); per l’originale latino cfr. F. Thomae Fazelli Siculi
O.P. De rebus Siculis decades duae, Palermo, apud Ioannem Matthaeum Maidam et Franciscum
Carraram, 1558, p. 164.
29. V. Di Giovanni, Palermo Restaurato, a cura di M. Giorgianni e A. Santamaura, con una
nota di S. Pedone, Palermo, Sellerio, 1989, p. 103.
30. G. de Maupassant, Viaggio in Sicilia (La Sicile), a cura di P. Thomas, Palermo, Edizioni e
ristampe siciliane, 1977, p. 70, trad. p. 71.

139
giuseppe mandalà

documentata nella forma latina Co(n)ca aurea presente nell’iscrizione che


corre sul bordo della conca/conchiglia su cui poggia la statua del Genio di
Palermo del Palazzo Pretorio della città: « Panormus co(n)ca aurea suos
devorat alienos nutrit ». Il genius loci della città di Palermo è una figura alle-
gorica nelle sembianze di un uomo maturo con barba e corona, che reca tra
le braccia un serpente che gli morde il petto; la statua di Palazzo Pretorio
faceva parte di un monumento – forse una fontana – che ornava il piano
del Palazzo del Pretore sin dal 1483 ca.; le sculture superstiti sono opera di
Domenico Gagini (fl. 1459-1492) e di Gabriele di Battista (fl. 1472-1497),31 su
committenza del pretore della città Pietro Speciale (in carica nel 1440-1441,
1461-1462, 1468-1470) e probabile ispirazione dell’umanista Pietro Ranzano
(1428-1492).32
L’iscrizione di Palazzo Pretorio ha avuto una certa fortuna e faceva il
paio con l’epigrafe (« licteri ») presente sulla statua del Genio di Palermo
che ornava la fontana di piazza del Garraffo (1480-1483 ca.); per inciso anche
qui ritorna il motivo iconografico della “conca”, o meglio della “conchi-
glia”, che orna la cuspide della nicchia dove è posta la statua.33 L’iscrizione
del Genio del Garraffo è rimossa nel XVII sec., e forse corrispondeva a
quella citata da Fazello (1558) come: « Panormus vas auri, suos devorat, alie-
nos nutrit », tradotta in italiano come « Palermo vaso d’oro, divora i suoi, e

31. La statua del Genio di Palazzo Pretorio è fra le piú antiche preservatesi; originariamen-
te collocata nel piano del Palazzo Pretorio di Palermo fino al 1596, quando il pretore Francesco
del Bosco conte di Vicari, con il benestare del viceré Giovanni Ventimiglia marchese di Gera-
ci, fece riunire elementi di diversa fattura e provenienza, tra i quali la statua del genio e altre
sculture di Domenico Gagini (fl. 1459-1492) e Gabriele di Battista (fl. 1472-1497), fece assem-
blare un “monumento” e lo pose nella collocazione attuale, in seguito smantellata (1716) e poi
ripristinata (1823), al di sotto dello scalone monumentale del Palazzo Pretorio (M. Accascina,
Inediti di scultura del Rinascimento in Sicilia, in « Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in
Florenz », xl 1970, pp. 251-92, alle pp. 288-93; A. Chiazza, Il Genio di Palermo. Contesti urbani e
immagini scultoree, Palermo, Pitti, 2010, pp. 41-55). Per una differente attribuzione di alcuni ele-
menti scultorei della fontana al milanese Annibale Fontana, attivo a Palermo intorno al 1570-
1571, cfr. S. Pedone, La Fontana Pretoria a Palermo, Palermo, Edizioni Giada, 1986, pp. 77-92. Piú
in generale sul Palazzo Pretorio rimando a P. Gulotta, Il palazzo delle Aquile. Origini e vicende
del Palazzo comunale di Palermo, intr. di R. Giuffrida, Palermo, Linee d’arte Giada, 1980.
32. Sui due personaggi e i loro rapporti vd. M. Privitera, Lotta politica e storiografia nella Si­
cilia di Giovanni II: Pietro Ranzano e l’Opuscolo sulle origini di Palermo (1470-71), in « Clio », iii 1996,
pp. 437-77; B. Figliuolo, L’umanista e teologo palermitano Pietro Ranzano (1426/27-1492/93), in Id.,
La cultura a Napoli nel secondo Quattrocento, Udine, Forum, 1997, pp. 89-276.
33. Chiazza, op. cit., p. 30. È probabile che la nicchia risalga all’ampliamento della fonte del
1663, quando sembra che il Genio sia stata affiancato dalle statue di due sante patrone, anch’es-
se inserite in delle nicchie con cuspide a forma di conchiglia (ivi, pp. 15-16).

140
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

nutrisce gli alieni » da Remigio Fiorentino (1574),34 una definizione quella


di vas auri che riecheggia la Vulgata dell’Ecclesiastico (50 10): « quasi vas auri
solidum ornatum omni lapide pretioso ». Inoltre che la Sicilia sia una terra
che divora i suoi abitanti è una metafora già presente testualmente nelle
epistolae di Pietro di Blois, arcidiacono di Bath che soggiorna nell’isola, in
qualità di alto funzionario della corte normanna (egli fu sigillarius, oltre che
doctor del futuro re Guglielmo II), tra 1166 e 1169.35 Quello di Pietro di Blois
è un soggiorno assai infelice e contrastato, condizionato dal fallimento po-
litico dell’arcivescovo di Palermo e cancelliere del regno Stefano di Perche;
e anche dopo la partenza Pietro non esita a stigmatizzare l’isola come regio
infernalis e porta inferi,36 infierendo sui suoi abitanti, la cui condotta etica e
morale è fortemente condizionata da un determinismo geografico fondato
sulla nozione di “clima” di ascendenza tolemaica, ma che ha nell’Etna e nei
fenomeni tellurici la sua giustificazione prima, secondo i parametri della
sismologia di ascendenza aristotelica, volta a indagare da Enrico Aristippo
(m. 1162), arcidiacono di Catania, esponente della intellettualità presente
alla corte normanna di Palermo e non ultimo traduttore dal greco al latino
del iv libro della Meteorologia di Aristotele.37
In letteratura il toponimo aurea concha riferito alla piana che circonda la
città di Palermo trova un primo riscontro nel De laudibus Messanae di Ange-
lo Callimaco Siculo, alias il mazarese Angelo Monteverde:

34. Fazello, De rebus Siculis decades duae, cit., p. 190; Id., Le due deche dell’ ‘Historia di Sicilia’, cit.,
p. 268; Di Giovanni, op. cit., p. 148; P. Gulotta, È di origine lombarda lo scultore del Vecchio di
piazzetta Garraffo, in « Per salvare Palermo », v 2003, pp. 28-29, a p. 29; Chiazza, op. cit., p. 16.
35. « Terra siquidem vestra devorat habitatores suos nec parcit aetati, nec sexui defert, nec
personam considerat, nec favorem conditionis, nec gratiam dignitatis acceptat » (Petri Ble­
sensis Epistolae, in Patrologiae cursus completus. Series Latina, ed. J.P. Migne, 221 voll., Paris, Gar-
nier, 1844-1855, vol. ccvii 1855, coll. 1-560, al n° xlvi, col. 133); « devorat habitatores suos, timens­
que a malitia inhabitatium in ea » (n° xc, col. 282); « regio infernalis, quae devorat habitatores
suos » (n° xciii, col. 292); L. Gatto, Pietro di Blois, arcidiacono di Bath in Sicilia: ovvero storia di un
contrastato e contristato soggiorno, in « Siculorum Gymnasium », xxxi 1978, pp. 46-85, alle pp. 67,
70-72; sull’epistolario si veda E. D’Angelo, Le sillogi epistolari tra “autori” e “compilatori”. Il caso di
Pietro di Blois, in Dall’ “ars dictaminis” al preumanesimo? Per un profilo letterario del secolo XIII, a cura
di F. Delle Donne e F. Santi, Firenze, Sismel, 2013, pp. 25-41. Per una analisi del tema cultu-
rale dell’antropofagia sul lungo periodo mi permetto di rimandare a G. Mandalà, Antropofagia
nella Sicilia medievale: un tema letterario tra cronaca e rappresentazione, in « Bullettino dell’Istituto sto­
rico italiano per il Medio Evo », cxix 2017, pp. 1-107.
36. Petri Blesensis Epistolae, cit., n° xciii, col. 292; n° xlvi, col. 134.
37. Ivi, n° xlvi, coll. 134-36; Gatto, op. cit., p. 62 n. 45, pp. 70-72. Su Enrico Aristippo, cfr. in
sintesi E. Franceschini, Aristippo, Enrico, in DBI, vol. iv 1962 [online: ‹www.treccani.it/enci-
clopedia/enrico-aristippo_(Dizionario-Biografico)/›].

141
giuseppe mandalà

Magna Syracusiae laus urbis: magna Panhormi, / Gloria quae meruit felix et fausta
vocari / Quin etiam a doctis inscribitur aurea concha / Pulchrior est placidum qua
Cypria vecta per aequor / Principio incumbit nitidi clementia caeli / Magnaque
fertilitas terrae sunt commoda ad omne / Praesidium vitae, sic apta ut numine
nomen / Indiderint Graii fausto ingenioque sagaci / Quod statio sit tota frequens:
hic cernitur oris / Nil vacuum sed cuncta bonis cumulata et amoena / Arridet tel-
lus, vario vestita colore, / Vernat apricus ager, vicinis montibus exit / Unda peren-
nis aquae, leni quae murmure campos / Irrigat et gratos tribuit mortalibus hortos,
/ In quibus omne genus pomorum nascitur, immo / Iucundos reor esse deis qui
nectare vesci / Ambrosiaque solent: nanque (ut taceantur et illa / Quae mihi dicta
prius) magnis servantur in urnis […].38

Il poemetto è composto grazie al patronage di Pietro Isvalies, arcivescovo


di Reggio Calabria e in seguito di Messina, nel periodo compreso tra 1492
e 1510; quest’ultimo è l’anno della nomina a cardinale e della missione le­
gatizia di Isvalies in Ungheria. È probabile che Angelo Callimaco abbia at­
tinto la definizione di aurea concha dalle precedenti frequentazioni di Pie­
tro Ranzano; difatti il teologo domenicano è il principale interlocutore del
Libellus de oratione dominica, opera degli esordi di Angelo Callimaco che lo
aveva conosciuto a Buda, dove Ranzano era stato ambasciatore per conto
di Ferdinando I re di Napoli (1488-1490 ca.).39 Inoltre Angelo Callimaco ri­
corda nel Libellus « di essersi recato, appena rientrato in Italia dopo la mor-
te del Corvino, a far visita al Ransano a Lucera, di cui quegli era vescovo;
ricevuto con molta benevolenza, tanto poté sperimentarne, oltre che la ge­
nerosità, la grande dottrina teologica da sentirsi indotto a riportare nel suo
dialogo il contenuto di una loro conversazione, avvenuta una sera presso il
vescovado ».40
La versione del toponimo, Conca d’oro, sembra attestata solo nella se-
conda metà del XVI sec.;41 sicuramente nel 1596 la pianura intorno Paler-

38. A. De Stefano, Il ‘De laudibus Messanae’ di Angelo Callimaco Siculo, in « Bollettino del
Centro di studi filologici e linguistici siciliani », iii 1955, pp. 84-129, a p. 100, vv. 399-414.
39. Sulla presenza di Ranzano alla corte di Mattia Corvino in Ungheria si veda in partico-
lare G. Petrella, Per la fortuna di Pietro Ranzano, storico d’Ungheria: excerpta dagli ‘Annales omnium
temporum’ nella ‘Descrittione d’Italia’ di Leandro Alberti, in « Italia medioevale e umanistica », xliv
2003, pp. 161-87.
40. Il Libellus de oratione dominica si conserva manoscritto a Cambridge (Massachusetts),
Harvard University Library, Lat. 3: cfr. G. Schizzerotto, Callimaco, Angelo, in DBI, 1973 [onli­
ne: ‹www.treccani.it/enciclopedia/angelo-callimaco_(Dizionario-Biografico)/›].
41. « Et de vini il largo della Conca d’oro ne produce 60 m. botti ogni anno » (F. Badoero,
Relazione delle persone, governo e stati di Carlo V e Filippo II, presentata al Senato Veneto nel 1556,
citato in Revelli, La “Conca d’oro”, cit., p. 1139; Id., Cenni morfologici, cit., pp. 66-69, in partic. p. 68.

142
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

mo era volgarmente chiamata ‘piana’, o con altro nome ‘Concha d’oro’,42


una definizione ripresa negli Annali della felice città di Palermo (1649-1651) di
Agostino Inveges: « il divolgato, e famoso ghieroglifico della Piana di Paler-
mo è di Conca d’oro ».43
Ancora Inveges afferma che « il profondo seno di questa gran conca è
l’ampia prateria: le sollevate labra sono le altissime montagne, che in giro la
circondano ».44 Secondo Paolo Revelli Conca d’oro « è una denominazione
di origine prettamente letteraria »45 che « già viva nella seconda metà del
secolo XVI, fu usata a indicare la sola città di Palermo fino al principio del
secolo XVII, e venne adoperata in tale suo senso originario anche fino alla
fine del secolo XVII, particolarmente nelle opere poetiche, cioè anche do-
po che essa si era estesa, nell’uso generale, alla campagna circostante, il che
deve essere avvenuto fra il 1615 e il 1649 ».46

4. Le interpretazioni del tema

L’oro della conca è stato messo in relazione con lo stemma civico dalla
tradizione erudita palermitana, un accostamento che si è prestato a molte-
plici interpretazioni a seconda delle epoche e delle circostanze politiche,
spesso assai differenti.47
Già a partire dalla prima metà del XIV sec. lo stemma della città di Paler-

42. La prima attestazione sembrerebbe essere: « et la sua Piana, che cosí la chiamano vol-
garmente, et per altro nome, Concha d’oro » (G.L. Lello, Descrittione del Real Tempio et Mona­
sterio di Santa Maria Nuova di Monreale, Roma, appresso Francesco Zannetti, 1588, p. 1).
43. Inveges, op. cit., vol. i p. 18; come nota Revelli (La “Conca d’oro”, cit., p. 1138; Id., Cenni
morfologici, cit., pp. 66-67), la definizione Conca d’oro è assente nelle opere di Mariano Valguar-
nera (1614) e Vincenzo Di Giovanni (1615 ca.).
44. Inveges, op. cit., vol. i p. 18; Revelli, La “Conca d’oro”, cit., p. 1138.
45. Ivi, p. 1133; Revelli aggiunge: « la denominazione in discorso non poteva avere origine
popolare, non essendo tale denominazione veramente viva tra i predetti contadini, che prefe-
riscono tuttora chiamare “piana di Palermo” l’area coltivata ad agrumeti che essi sanno venir
chiamata “Conca d’oro” dai palermitani e dai forestieri » (ivi, p. 1134).
46. Ivi, pp. 1142-43. Conclude Revelli: « che se un tempo il nome di Conca d’oro poté indica-
re o la sola città o la sola campagna, esso ha ora assunto un senso piú lato, che, mentre riassume
in sé due valori che non furono sempre nettamente distinti, risponde pienamente alla nostra
concezione moderna » (ivi, p. 1144).
47. « L’oro, per altro, di quest’aquila nostra, dice Antonio Veneziano, secretario che fu del
Senato palermitano, nel qui sottoposto suo famoso tetrastico, che giustamente pensarono i
Romani di gettarlo nell’urbana palermitana insegna, per non potersi pensare cosa di piú ador-
no e cosa per altro di piú allusivo e confacente agl’aurei preggi della Città nostra e all’auree
doti del suo contado, il quale perciò ha titolo di Conca d’Oro » (Gaetani, L’aquila, cit., p. 77).

143
giuseppe mandalà

mo è costituito da un’aquila, probabilmente color oro su fondo rosso.48


Quanto alla sua origine molto è stato scritto dagli antichi e dai moderni;49
qui desidero ricordare che la Sicilia entra a far parte della Corona d’Aragona
a partire dal 1282, restandovi tra alterne vicende fino al 1516. E il rosso e
l’oro sono proprio i colori del señal real, lo stemma reale della casa d’Arago-
na, caratterizzato da « cuatro palos de gules en campo de oro ». In origine il
señal era appannaggio esclusivo della casa di Aragona e il suo utilizzo risale
al regno di Alfonso II (r. 1162-1196); successivamente il señal passa a indicare
la dignità del re di Aragona, indipendentemente dal lignaggio familiare del
re; la sua origine è tuttavia incerta, e i colori rosso e oro potrebbero deriva-
re dal papato, dal momento che il re di Aragona era vassallo del papa sin
dall’epoca di Sancho Ramírez (r. 1064-1094).50 A partire dall’incoronazione
a re di Sicilia (1282), Pietro III d’Aragona e sua moglie Costanza Hohenstau-
fen coniano moneta utilizzando al recto i bastoni rossi su fondo oro della
Casa d’Aragona, e al verso l’aquila degli Hohenstaufen. Il figlio secondoge-
nito e successore sul trono di Sicilia, Giacomo II, utilizza gli emblemi pa-
terni e materni e li inquarta in uno scudo che reca incrociati i bastoni, alter-
nati rosso su fondo oro della casa di Aragona, e l’aquila nera su fondo argen-
teo degli Hohenstaufen, secondo il consueto uso araldico che rappresenta
l’unione matrimoniale di due casate (primo e quarto cantone allo scudo del
marito, secondo e terzo cantone a quello della moglie). A partire da Fede-
rico III, riconosciuto re di Sicilia dalla pace di Caltabellotta (1302), tale scu-
do inquartato recante gli emblemi di casa di Aragona e casa Hohenstaufen,
e successivamente anche diviso in due da Martino I, diventa l’emblema
ufficiale dei re aragonesi di Sicilia.51 Non è quindi inverosimile ritenere che
lo stemma civico faccia riferimento proprio al señal siciliano dei re d’Arago-

48. Le attestazioni pervenute datano alla prima metà del Trecento: Porta Mazara, Porta S.
Giorgio, torre campanaria della Cattedrale (in particolare su Porta Mazara erano presenti tre
stemmi: il superiore era il señal de Aragón, mentre i sottostanti erano l’aquila palermitana a si-
nistra e uno stemma attribuito a Federico Incisa a destra); tuttavia esse non consentono di ap­
purare quale fosse il cromatismo originario (cfr. R. La Duca, Storia dell’aquila palermitana, a cu­-
ra di F. Armetta e I. Bianco, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 2016, pp. 19-22).
49. Gaetani, L’aquila, cit., pp. 75-88; La Duca, op. cit., pp. 15-18. I colori oro e rosso della
città di Palermo sono stati ripresi nel moderno stemma della regione Sicilia, la cui creazione
risale al 1990 (G. Tricoli, Mito e storia: stemma e gonfalone della Regione Siciliana, Palermo, Istitu-
to siciliano di studi politici e economici, 1994, pp. 8 e 24-25).
50. A. Montaner Frutos, El señal del rey de Aragón: historia y significado, Zaragoza, Institu-
ción « Fernando el Católico »-Csic, 1995, p. 5; G. Fatás, Prontuario del Reino y la Corona de Ara­
gón, Zaragoza, Cortes de Aragón, 2014, pp. 36, 89, 95-96.
51. Montaner Frutos, op. cit., pp. 37, 42-44, 48-49; a partire dal 1480 il futuro Martino I

144
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

na, ovvero sia una ripresa dell’aquila degli Hohenstaufen, e quindi delle
prerogative regie e imperiali della città,52 declinata coi colori rosso e oro
della casa di Aragona. È assai probabile che questa elaborazione iconogra-
fica si proietti sullo sfondo politico e ideologico che lega a filo doppio i ceti
dirigenti della città di Palermo alla corona d’Aragona durante il regno di
Federico III e che, a seguito della sua morte, rafforzano il legame tra città e
corona in occasione della difficile successione del figlio Pietro II.53
Ad ogni modo, l’elaborazione politica dello stemma civico e del suo con­
tenuto simbolico avviene senza dubbio nella Palermo della seconda me-
tà del XV sec., una città dominata da un patriziato dalle origini mercantili
subentrato alle piú antiche famiglie feudali oramai in declino; tale ceto diri­
gente, che fa capo a Pietro Speciale, esprime delle chiare aspettative di pri-
mato, volte a restituire alla città l’immagine di antica capitale, contro le pre­
tese di Messina. Speciale e i suoi partigiani si fanno artefici di un fecon-
do recupero artistico ed urbanistico della città, che si esplicita anche nella
cura della raccolta dei Privilegia cittadini al fine di assicurare la fondazione
teorica della primazia palermitana. In conformità alla temperie intellettua-
le umanistica dell’epoca tale operazione culturale viene fondata su una ri-
costruzione storica a carattere municipale, affidata a Pietro Ranzano nel
1470-1471; questi compone il suo opuscolo sulle origini di Palermo, De auc­
tore et primordijs ac progressu Felicis Urbis Panhormi (autovolgarizzato come De
lo autore et de li primi principij de la felice cità de Palermo),54 un trattatello che

utilizza uno scudo diviso a metà con le armi di Aragona da un lato e di Sicilia dall’altro (ivi,
p. 87).
52. Su Palermo in età sveva cfr. S. Fodale, Palermo “sedes Regni” e città di Federico II, in Federico
II e la Sicilia, a cura di P. Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo, Sellerio, 1998, pp. 145-55.
53. Sul legame tra città e monarchia nella prima metà del Trecento rimando alle accurate
analisi condotte da P. Colletta, Memoria di famiglia e storia del regno in un codice di casa Speciale
conservato a Besançon, in « Reti Medievali », xiv 2013, pp. 243-74, alle pp. 243-48 (online: ‹http://
rivista.retimedievali.it›); Id., Storia, cultura e propaganda nel Regno di Sicilia nella prima metà del XIV
secolo: la ‘Cronica Sicilie’, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 2011, pp. 28-41, 61-65 e
passim.
54. P. Ranzano, Opusculum de Auctore, Primordiis et Progressu felicis Urbis Panormi, nunc primum
in lucem prodit, ed. A. Mongitore, Palermo, ex typographia Stephani Amato, 1737, rist. a cura
di A. Mongitore, in Opuscoli di autori siciliani, vol. ix, Palermo, presso D. Gaetano Maria Ben-
tinvenga, 1767, pp. 3-56; volgarizzamento: Delle origini e vicende di Palermo a cura di Pietro Ranza­
no e dell’entrata di Re Alfonso di Napoli. Scritture siciliane del sec. XV pubblicate e illustrate su’ codici
della Comunale di Palermo, a cura di G. Di Marzo, Palermo, Stamperia di Giovanni Lorsnaider,
1864; sul rapporto tra i due testi cfr. F. Fichera, Pietro Ranzano, umanista siciliano volgarizzatore
di se stesso, in « Bollettino del Centro di Studi filologici e linguistici siciliani », xx 2004, pp. 251-
67.

145
giuseppe mandalà

serve a sostenere le ragioni della città di fronte alla Corona d’Aragona uni-
tasi alla Castiglia grazie alle nozze tra Ferdinando e Isabella (19 ottobre
1469). L’opuscolo ben esemplifica i mezzi della lotta politica al tempo di
Giovanni II, e il discorso di Ranzano, articolato per tesi e antitesi, tra erudi-
zione e sottigliezza politica, utilizza i temi dell’amenità del luogo e delle
origini della città per propalare un mito di pacifismo e libertà di governo
che avrebbero legato Roma a Palermo sin dalle guerre puniche (dalla bat-
taglia del 251 a.C., che vide affrontarsi presso le mura di Palermo Asdrubale
e Lucio Cecilio Metello, e per cui si veda Orosio, Historiae, iv 9 14-15), un
rapporto che vorrebbe essere riproposto in chiave contemporanea nel le­
game tra la città e la Corona d’Aragona, almeno nelle intenzioni dei ceti di­
rigenti palermitani che facevano capo all’azione politica di Speciale e Ran­
zano.55
Intorno al 1470, nella temperie appena delineata, Pietro Ranzano stabili-
sce una esplicita relazione tra lo stemma civico e la romanità:
Insigne praeterea regium illud, hoc est Aquila, a Troiano Aenea in Italiam ante
Romam conditam advectum, quod et idem erat insigne Regum, et Imperatorum,
et Praetoris Panhormitanae quoque civitatis insigne esse Romani Patres voluere.
Verum ut inter matris, filiaeque insignia aliquid videretur esse discriminis, placuit,
ut haec Panhormitanorum Aquila nequaquam, ut Romanorum illa, nigri esset co-
loris, qualis videlicet a natura Aquila producitur, sed ut nulla nobilissimi alitis spe-
cie mutata, aureo colore fulget.56

55. Sul tema rimando, soprattutto, a Privitera, op. cit.; piú in generale si veda D. Ligresti,
Comunicazione e autorappresentazione: la storia dei municipi in Sicilia, in Storia della lingua e storia.
Atti del ii Convegno ASLI, Catania, 26-28 ottobre 1999, a cura di G. Alfieri, Firenze, Cesati,
2003, pp. 213-32.
56. Ranzano, Opusculum De auctore, cit., p. 46; volgarizzamento: Id., Delle origini, cit., p. 76;
per la fortuna del tema cfr. Gaetani, L’aquila, cit., pp. 78-81. Contro la ricostruzione “storica” di
Ranzano si leva già Fazello: « Ranzanus autem, nulla authoritate suffultus, urbis titulum, Prae­
toris nomen, et insigne, quod est aquila aureo colore fulgens, post Metelli contra Asdrubalem
victoriam, huic urbi a Senatu, populoque Romano, simul, et patritiam coloniam obvenisse
scribit. Inde Ioannis Nasi Corilionensis Siculi apud Panormitanos vulgatum illud distichon:
“Tacta fides sociam statuit sibi Roma Panormum. / Hinc Aquila, et Praetor, et decus urbis adest”.
Sed harum rerum fides penes eos sit, qui ausi sunt haec prodere » (Fazello, De rebus Siculis, ed.
cit., i 8, p. 170); su Giovanni Naso (m. 1478 ca.), chiamato nel 1471 a insegnare humanae litterae dal
Senato palermitano cfr. R. Starrabba, Scritti di Giovanni Naso da Corleone detto il Siciliano segreta­
rio cancelliere del comune di Palermo, Palermo, Scuola Tip. Boccone del Povero, 1905, in tema cfr.
B. Lavagnini, Rosso e giallo i colori di Palermo saracena?, in « Bollettino del Centro di studi filolo-
gici e linguistici siciliani », vii 1962, pp. 222-25, rist. in Id., Scritti di storia sulla Grecia antica, bizan­
tina e moderna, Caltanissetta, Lussografica, 1997, pp. 209-12, alle pp. 209-10 n. 2.

146
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

L’aquila con le ali basse color oro su fondo rosso ritorna nel manoscritto Qq
H 125 della Biblioteca Comunale di Palermo, un codice aulico splendida-
mente miniato contenente i Privilegia urbis Panormi, fatto eseguire dal preto-
re Pietro Speciale nel 1469-1470; nel codice due stemmi civici affiancano il
señal dei re di Sicilia, costituito dagli emblemi di casa Aragona e Hohenstau-
fen inquartati, a riprova della “etimologia” dell’accostamento araldico.57 E
ancora nell’ambiente culturale dominato dalla volontà politica del pretore
Pietro Speciale e dalla sapienza dell’umanista Pietro Ranzano il tema del­
l’aquila, simbolo di Palermo e della sua fidelitas espressa in epigrafe, viene
presentato nei sei clipei in bassorilievo che ornano il capitello della colonna
che sorregge la conca su cui poggia la statua del Genio di Palermo a Palaz­
zo Pretorio, con riferimento testuale a Plinio il Vecchio (Naturalis Historia,
x 5).58
L’aquila, l’oro e il rosso declinati in chiave romana sono quindi i simboli
del lessico politico proposto da Ranzano per nobilitare Palermo. Certa-
mente nel mondo romano l’oro e il rosso (porpora) rimandano alla sfera
della regalità e sono prerogativa dell’ordine senatorio ed equestre, e nell’im-
pero romano e poi bizantino connotano la sovranità imperiale.59 Al di là
delle mitopoietiche ricostruzioni di Ranzano, nel caso di Palermo i colori
potrebbero costituire un riferimento cromatico e simbolico concreto alla
dignità della città che in epoca repubblicana era stata « civitas sine foedere
immunis ac libera » (Cicerone, ii Verrina, iii 6 13),60 e poi colonia romana
sotto Augusto, un centro urbano che aveva avuto un’ampia concentrazione
di senatori fino al III sec. d.C.61 Occorre notare anche come l’oro e il rosso

57. Palermo, Biblioteca Comunale, Qq H 125, f. 2v; il manoscritto è riprodotto in edizione


facsimile: Privilegia urbis Panormi collecta iussu praetoris Petri Specialis. Edizione fototipica del cod. Qq
H 125 della BCP, a cura dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo, Palermo, Regione
Siciliana, 1992; sul manoscritto si veda L. Boglino, I manoscritti della Biblioteca Comunale di Pa­
lermo indicati secondo le varie materie, 4 voll., Palermo, Virzí, 1892, vol. iii p. 270; D. Ciccarelli,
Aspetti e momenti della scrittura latina in Sicilia, in Colectánea paleográfica de la Corona de Aragón: siglos
IX-XVIII, a cura de J. Mateu Ibars i M.D. Mateu Ibars, 2 voll., Barcelona, Edicions Univer-
sitat Barcelona, 1980, vol. i pp. 160-74, a p. 167.
58. Accascina, op. cit., p. 288.
59. Per le società antiche il giallo oro è simbolo della sacralità, della filiazione divina e di
incorruttibilità, mentre il rosso è il colore della vita e della forza, della regalità, della potenza e
del lusso (cfr. L. Luzzato-R. Pompas, Il significato dei colori nelle civiltà antiche, Milano, Bompiani,
2005, pp. 177-262).
60. A. Pinzone, « Civitates sine foedere immunes ac liberae »: a proposito di Cic. ii ‘Verr.’, iii, 6, 13, in
« Mediterraneo antico », ii 1999, pp. 463-95; su Palermo in età romana cfr. A. Giardina, Il qua­
dro storico: Panormo da Augusto a Gregorio Magno, in « Kokalos », xxxiii 1987, pp. 225-49.
61. R. Rizzo, Palermo tardoantica: vita urbana e tipologie edilizie attraverso le lettere di papa Gregorio

147
giuseppe mandalà

siano forse – e in tal caso di probabile ascendenza romano-bizantina – dei


riferimenti cromatici della città di Palermo già nel Medioevo islamico,62 nei
versi di Ibn Ḥamdīs che cosí descrive la flotta siciliana: « [queste galere]
sembrano coi rossi e gialli feltri [delle murate] fanciulle negre condotte a
nozze ».63 Tuttavia non bisogna dimenticare che la Sicilia è per Isidoro di
Siviglia « terris frugifera, auro abundans […] frugum fertilis »,64 una idea di
aurea prosperità che potrebbe essere alla base della definizione di Conca au­
rea proposta dalle massime cariche cittadine nella renovatio della seconda
me­tà del XV secolo.
Inoltre Pietro Ranzano non sembra aver utilizzato il termine Concha
aurea nelle sue opere; nel libro i degli Annales omnium temporum (Palermo,
Biblioteca Comunale 3Qq C 54) sembra fondare la sua descrizione della
piana di Palermo su quella dello pseudo Ugo Falcando; gli Annales di Ran-
zano, a oggi ancora in larga parte inediti, avranno una certa fortuna e servi-
ranno a loro volta agli eruditi dei secoli XVII e XVIII per sostenere che il
nome appropriato per Palermo è Siciliae Paradisus:
Ager, inquit [Ranzanus], Panormitanus maxime apricus, ac bonis fructibus, fertilis-
simis vineis, atque olivetis longe pulcherrimus. Omnibus praeterea arboribus visu
speciosis multis in locis consitus, lucidissimisque dulcium, atque salubrium aqua-
rum fontibus uberrimus. Et ut paucis magna, et mira, vere tamen complectar.
Agrorum omnium, qui toto pene orbe sunt, quantum ipse et viderim, et iudicatum
a plerisque viris prudentibus audiverim, amoenissimus, atque fertilissimus. Haec
Ranzanus. Hinc videant velim omnes, qui haec legunt, an recte in Panormum no-
men illud cadat? Siciliae Paradisus […].65

Magno, in « Kokalos », xlvi 2004, pp. 193-248, alle pp. 223-24, 229, 241-42; V. Prigent, Palermo in
the Eastern Roman Empire, in A Companion to Medieval Palermo. The History of a Mediterranean
City from 600 to 1500, ed. by A. Nef, Leiden-Boston, Brill, 2015, pp. 11-38, a p. 14.
62. Lavagnini, Rosso e giallo, cit.; si veda anche: « Proque repellendis saxorum vel iaculorum
/ Ictibus obtectis rubicundis undique filtris »; una notazione cromatica, quella dei feltri rossi,
che distingue la flotta dei Musulmani di Sicilia impegnata a combattere quella del Guiscardo
nell’agosto del 1072 (cfr. Guillaume de Pouille, Le geste de Robert Guiscard, éd. par M. Ma­
thieu, Palermo, Istituto siciliano di studi bizantini e neoellenici, 1961, pp. 176-77, iii 231-32).
63. Ibn Ḥamdīs, Il Canzoniere, a cura di C. Schiaparelli, Roma, Casa Editrice Italiana, 1897,
n° 157, v. 25, pp. 240-42, a p. 241; la traduzione è di Umberto Rizzitano, citata in Lavagnini,
Rosso e giallo, cit., p. 212 n. 7.
64. « Haec [scil. Sicilia] ab Italia exiguo freto discreta, Africum mare prospectans, terris fru-
gifera, auro abundans, cavernis tamen et fistulis penetrabilis, ventisque et sulphure plena;
unde et ibi Aethnae montis extant incendia. In cuius fretu Scylla est et Charybdis, quibus na-
vigia aut absorbuntur, aut conliduntur » (Isidore de Seville, Etymologiae, éd. par O. Spevak,
Paris, Les Belles Lettres, 2011, pp. 126-27, xiv 6 32).
65. Baronio Manfredi, op. cit., p. 22, e anche pp. 24, 65; si veda anche G.A. Massa, La Si­

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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

Nella tradizione erudita locale Palermo avrebbe un triplice nome: « Pa-


normus, Urbs felix, Concha aurea »;66 riguardo a quest’ultimo si afferma­
no due interpretazioni principali: la prima legata all’idea del thesaurus natu­
rae, ovvero alla amenità del territorio;67 la seconda è ex auro aurum, ossia dal­-
le presunte sabbie aurifere dell’Oreto, un fiume la cui etimologia sarebbe
legata all’oro, e da cui deriverebbe il nome Concha aurea.68 L’idea che l’oro
della conca sia un riferimento cromatico alla città, e che quindi entri in re-
lazione con il suo stemma civico, risale a versi latini di Antonio Veneziano
(1543-1593): « Aurea cur coelum spectas? color aureus Urbi est? / Aptior hoc
dictum est aurea concha solum. / Et modo ter felix Urbs haec erit aurea,
quare / Non mirum ex auro si mihi penna nitet ».69

cilia in prospettiva, 2 voll., Palermo, Nella stamparia di Francesco Cichè, 1709, vol. ii p. 265. Degli
Annales è edita la sezione chiamata Descriptio totius Italiae (cfr. P. Ranzano, Descriptio totius Ita­
liae (Annales, xiv-xv), a cura di A. Di Lorenzo, B. Figliuolo e P. Pontari, Firenze, Sismel,
2008).
66. Baronio Manfredi, op. cit., p. 20.
67. « Iam vero de huiusce urbis opulentia quid dicam? Si n. vel ex Civium multitudine, vel
ex Equitum frequentia, vel ex Principum caetu arguendae sunt copiae, quaenam profecto
Urbs in Sicilia reperitur, quae tam magna, tamque incredibili et Civium, et Equitum, et Prin-
cipum varietate glorietur? Recte, quidem a maioribus nostris inscribitur, Aurea concha, et me-
rito hac tam nobili nomenclatura ab universo terrarum orbe celebratur […] recte, inquam,
vocitatur Concha aurea; ipsa n. thesaurus naturae est, cum ab eadem tamquam tutelari circum-
positis proceris montibus, editisque collibus summa cum custodia asseruetur, atque custodia-
tur » (Baronio Manfredi, op. cit., pp. 15-16); per la ripresa del tema cfr. Gaetani, L’aquila, cit.,
p. 64 n. 63.
68. « Iure ergo Concha aurea. Quicquid n. auri, quicquid argenti sinu continet suo, totum id
in omnes libenter effundit, ut qui ad Panormi fines appellunt, ad veras thesauri venas, hoc est
ad Conchae Aureae sinum appulisse non ignorent. Experientia n. compertum est hactenus,
qui ex patriae ora solvit suae, ac Panormum accessit, ex paupere locuples, ex locuplete ditior
evasit. Atque hoc quid profecto est aliud, quam os ad conchae aureae fontes admovere, ex
quibus aurum sitiendo aurum bibatur. Quare mirum videri non debet, si ubique terrarum
Conchae aureae fama excitatae gentes, atque nationes huc confluant, hic sedem locent, cum
iis nullus hoc vel aptior, vel opportunior tum ad felicitatem comparandam, cum ad divitias
consequendas videatur locus, ubi auri, argentique vis, ac opum affluentia non desideratur,
possintque haud difficulter rerum omnium affluentibus copiis locupletari. Glorietur itaque
Tago flumine aquas aureas evoluente Lusitania, glorietur etiam et rectius Concha aurea Ore-
tho suo, cum ex auro Orethus nomen trahat, et in aureae conchae sinu placidissime conquie-
scat. Neque id mirum plane ex auro aurum » (Baronio Manfredi, op. cit., p. 30); cfr. anche
Massa, op. cit., vol. ii pp. 266-67. Per una panoramica generale sulle etimologie erudite si veda
ivi, pp. 263-73.
69. Baronio Manfredi, op. cit., p. 32; Inveges, op. cit., vol. i p. 18; Gaetani, L’aquila, cit.,
pp. 77-78, Revelli, La “Conca d’oro”, cit., p. 1138; Id., Cenni morfologici, cit., p. 68. Sul poeta mon-
realese Antonio Veneziano si vedano i contributi in Antonio Veneziano, a cura di S. Di Marco,
Palermo, Provincia regionale di Palermo, 2000; Antonio Veneziano, Libro delle rime siciliane,

149
giuseppe mandalà

L’associazione tra Palermo, Conca d’oro e romanità trova il suo compi-


mento nell’opera di Vincenzo Di Giovanni, dove il Genio della città – con
probabile riferimento a quello di Palazzo Pretorio – è descritto come « una
statua di marmo del proprio Palermo, con corona ducale in testa, assiso
sopra un verdeggiante sasso, dentro un’amplissima conca d’oro, alludendo
alla piana, ove egli sta assiso, piena tutta con ogni sorte di frutti, con un
serpe […]. Il serpe era lo stesso Scipione; ché il serpe facevano gli Scipio­-
ni per insegna. Ed in forma di serpe il vide Annibale, come scrive Valerio
Massimo nel tit. de’ Sogni […] ». Quindi la serpe del Genio, secondo Di Gio­
vanni, sarebbe una rappresentazione di Scipione Africano, il quale, a segui-
to della vittoria di Zama, avrebbe fatto dono della statua ai Palermitani, per
ringraziarli dell’aiuto accordatogli (Livio, Annales, xxix 1).70
Sia quindi detto per inciso, quella di Palermo è una “romanità” che, al di
là dei buchi neri della documentazione,71 deve avere avuto una certa conti-
nuità ideologica, rispolverata a seconda delle circostanze politiche, ma che
tuttavia non sembra avere alcun collegamento diretto con l’originario colo-
re della piana.

5. Una ipotesi sulla etimologia

Dopo aver chiarito che la definizione di Conca aurea – successivamente


anche Aurea concha, Aurata conca72 e poi Conca d’oro – risale almeno al 1470
ca. – e non alla seconda metà del XVI sec., come riteneva Revelli – e che

a cura di G.M. Rinaldi, revisione di F. Carapezza et al., Palermo, Centro di studi filologici e
linguistici siciliani, 2012.
70. Di Giovanni, op. cit., p. 92. Per il passo di Valerio Massimo (i 5 9) nel volgarizzamento
siciliano (databile tra 1321 e 1337) del messinese Accursio da Cremona cfr. Valerium Maximu
translatu in vulgar messinisi per Accursu di Cremona, a cura di F.A. Ugolini, 3 voll., Palermo, Cen-
tro di studi filologici e linguistici siciliani, 1967, vol. i pp. 35-36: « [Hannibal] vitti unu serpenti
multu grandi qui destruya tuttu quantu li vinia davanti e da poy di la serpi vidia grandi venti-
plogi oy syguluni qui vinianu a lu celi con grandi truni. A la perfini Hannibal, sturdutu et
spavintatu in lu sonnu, adimandau qui miravillyusa cosa era quista et que significava. “O im-
peraduri – dissi lu juvini qui lu guidava – yzà vidi la distruciuni di Ytalia, et imperò taci e lassa
fari l’altri cosi a la fortuna” ».
71. Per la renovatio istituzionale in chiave romana del Trecento palermitano (passaggio da
baiulo a pretore e da civitas a urbs) rimando a Fodale, La “restaurazione” della romanità di Palermo,
cit.; piú in generale si veda H. Bresc, Spazio e potere nella Palermo medievale, in Palermo medievale.
Atti dell’viii Colloquio medievale di Palermo, 26-27 aprile 1989, a cura di C. Roccaro, Paler-
mo, Officina di studi medievali, 1996, pp. 7-18.
72. « Aurata Conca, onde spariscon molli / Vani desir […] »: versi di Leonardo Orlandino
Del Greco (a. 1573), citati nella raccolta di metà Seicento di G.M. Fortunio, Aurea Concha

150
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

essa nasce in un contesto aulico come quello dell’iscrizione di Palazzo Pre-


torio affermandosi in letteratura già sul finire del XV sec., facciamo un
passo avanti, andando indietro nel tempo.
Sul piano etimologico la parola “conca” rimanda al latino “conchiglia”
(concha < gr. konche), e indica per estensione anche un ‘recipiente’, un
‘bacino’; 73 la parola e il suo significato trovano dei paralleli nelle forme la-
tine medievali concha, conca, conqua,74 e nel siciliano antico e moderno conca.75
Dal punto di vista geografico e descrittivo la ‘conca’ in questione farebbe
riferimento alla pianura circondata dalla corona di monti, come appunto
avviene in un bacino circoscritto dall’orlo.
L’idea che la ‘conca’ sia anche una concha, ossia una ‘conchiglia’, è una
questione che affonda nella etimologia e nella trasmissione della forma del­
la parola, e che trova una sua rappresentazione iconografica nella conca/con­
chiglia delle statue del Genio di Palermo presso il Palazzo Pretorio e suc-
cessivamente nel nicchio (‘nicchia’) della fontana del Garraffo. In partico-
lare, nel poemetto di Angelo Callimaco Siculo la città di Palermo, o meglio
la sua conca/conchiglia, sarebbe piú bella della conchiglia sulla quale Vene-

praetiosissimis ornata […] (ms. Palermo, Biblioteca Comunale, Qq F 40, p. 111), citata in Revelli,
La “Conca d’oro”, cit., p. 1141.
73. Thesaurus linguae Latinae, editus auctoritate et consilio Academiarum quinque Germa-
nicarum, Berolinensis, Gottingensis, Lipsiensis, Monacensis, Vindobonensis, 5 voll., Lipsiae,
In aedibus B.G. Teubneri, 1906-1909, vol. iv p. 22. Gr. konche, « coquillage », « le mot est encore
employé figurément pour divers objets, p. ex. mesure de capacité, cavité de l’oreille, rotule,
boîte contenat un sceau, niche d’une statue, etc. » (Chantraine, op. cit., vol. ii pp. 550-51). In
greco di Sicilia, al plurale konkai, « concavità del terreno » (S. Cusa, I diplomi greci e arabi di Sicilia,
2 voll., Palermo, Stab. tip. Lao, 1868, vol. i/1 p. 307, a. 1142); cfr. G. Caracausi, Dizionario ono­
mastico della Sicilia. Repertorio storico etimologico di nomi di famiglia e di luogo, 2 voll., Palermo, Cen-
tro di studi filologici e linguistici siciliani, 1994, vol. i p. 431.
74. J.F. Niermeyer, Mediae latinitatis lexicon minus, Leiden, Brill, 1976, p. 235; per i vari signi-
ficati medievali del termine si veda anche: « Labrum, vas concavum, ac superius patulum in-
star conchae », « Navigii species in conchae formam efficta », « Mensurae frumentariae spe-
cies », « Pars aedis sacrae, in qua scilicet sacra mysteria peraguntur, et ubi stat altare », « Sepul-
chrum in formam conchae constructum », anche in senso geografico (es. « Concha de Esnen-
da », per cui cfr. C. Du Fresne Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, 10 voll., Niort,
Favre, 1883-1887, vol. ii col. 477 (online: ‹http://ducange.enc.sorbonne.fr›).
75. It. « vaso di terracotta », « località chiusa tra monti »; sic.: « conca, pozza, buca nel terre-
no » (Caracausi, Dizionario, cit., vol. i p. 431); attestazioni di conca in siciliano antico sono facil-
mente rinvenibili nel Corpus Artesia. Archivio testuale del siciliano antico (online: ‹http://artesia.ovi.
cnr.it›); per il siciliano moderno si veda G. Piccitto-G. Tropea, Vocabolario siciliano, 5 voll.,
Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1977, vol. i p. 759, s.v. conca. Si veda
anche il plurale conchi (« a vallone qui dicitur Conchi », a. 1242), reso in arabo come khandaq
al-aḥwāḍ (Cusa, op. cit., vol. ii pp. 603, 605).

151
giuseppe mandalà

re è trasportata attraverso il placido mare (« aurea concha / Pulchrior est


placidum qua Cypria vecta per aequor »); e per inciso quella di Venere su
una conchiglia è una immagine che rimanda immediatamente a Tibullo
(iii 3 34: « et faveas concha, Cypria, vecta tua ») e a Poliziano (Giostra, i 99 8:
« sovra un nicchio »), e sul piano iconografico alla celebre pittura di Sandro
Botticelli realizzata per la villa medicea di Castello tra 1482 e 1485, attual-
mente conservata alla Galleria degli Uffizi di Firenze.76 L’idea di concha/
conchiglia ritorna anche piú esplicitamente nella retorica del Barocco spa-
gnolo, ad esempio nel 1655, allorquando il padre Giuseppe Mazara della
Com­pagnia di Gesú definisce Palermo « Conca di Tiro », un epiteto presen-
te sull’arco trionfale che serviva a celebrare l’ingresso in città del vicerè de
Osuna; il gesuita, consapevole del significato di ‘conchiglia’ della parola la­
tina concha, e delle origini fenicie della città, attribuiva il motivo del nome
concha ai coloni di Tiro, maestri nell’industria del murice e nell’estrazione
della porpora.77 E nello stesso secolo ritroviamo ancora « la Concha de Oro
Palermo […] cuya perla mas preciosa es la nobilissima S. Rosalía », una in-
terpretazione, che associa la conchiglia e la sua perla, ossia la santa, al mare
e al ruolo politico della città durante il XVII secolo.78
Quanto all’ “oro” della conca qui si vuole avanzare l’ipotesi che forse non
di vero “oro” si tratti. Potremmo essere di fronte a una paraetimologia nata
in ambiente locale tra XII e XIV sec., declinata in chiave aulica dall’Uma-
nesimo palermitano della seconda metà del XV sec. All’origine del toponi-
mo potrebbe esserci il siciliano antico *conca-dara o *conca-daur(a), reinter-
pretato paraetimologicamente, forse a livello popolare, come *conca d’auru/
*conca d’oru, donde il lat. conc[h]a aurea e l’it. conca d’oro.
In particolare dietro la parola ‘d’oro’, che funge da attributo di ‘con­-
ca’, potrebbe celarsi la parola araba dāra, con passaggio /ā/ > /o/, già docu-
mentato tra gli arabismi siciliani nel caso di kharāb > charobi, « rovina ».79
Muḥammad b. Mukarram Ibn Manẓūr (m. 711/1311-1312), autore del Lisān

76. E. Wind, La concha de Afrodita, in Id., Los misterios paganos del Renacimiento, Madrid, Alian-
za Editorial, 1998, pp. 259-61; sulla pittura di Botticelli si rimanda a Id., El nacimiento de Venus,
ivi, pp. 129-39.
77. Massa, op. cit., vol. ii pp. 269-70.
78. N. Niño de Guevara, La Concha de Oro Palermo […], Palermo, Pedro Coppula y Carlos
Adamo, 1692, cfr. J. Simón Díaz, Mil biografías de los siglos de oro (Indice bibliografico), Madrid,
Csic, 1985, p. 78; sul culto di s. Rosalia cfr. V. Petrarca, Genesi di una tradizione urbana. Il culto di
S. Rosalia a Palermo in età spagnola, Palermo, Fondazione Ignazio Buttitta, 2008, p. 148; sui circui­
ti culturali e artistici che legano la città alla Spagna cfr. V. Abbate, Porto di mare 1570-1670: pitto­
ri e pittura a Palermo tra memoria e recupero, Palermo, Electa Napoli, 1999.
79. G. Caracausi, Arabismi medievali di Sicilia, Palermo, Centro di studi filologici e lingui-

152
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

al-‘Arab (‘La lingua degli Arabi’, opera completata nel 689/1290), afferma che
la parola dāra, plurale dūr e dārāt, indica « ogni terra che si estende tra i mon-
ti » (kull arḍ wāsi‘a bayna ’l-jibāl); o ancora meglio secondo il celebre filologo
e grammatico Abū Sa‘īd ‘Abd al-Malik b. Qurayb al-Aṣma‘ī (m. 213/828 ca.)
« [dāra] è uno spazio vuoto che si estende circondato dalle montagne » (hiya
’l-jawba ’l-wāsi‘a taḥuffu-hā ’l-jibāl ). Ibn Manẓūr, citando Abū Ḥanīfa al-
Dīnawarī (m. tra 281/894 e 290/903), autore del ‘Libro delle piante’ (Kitāb
al-nabāt),80 aggiunge che « [dāra] è annoverata tra le pianure che producono
vegetazione » (wa-hiya tu‘addu min buṭūn al-arḍ al-munbita). Infine, secondo
una osservazione del maestro di Ibn Manẓūr, il grammatico Bahā’ al-Dīn
Muḥammad b. Ibrāhīm Ibn al-Naḥḥās (m. 698/1298), « dāra è sinonimo di
buhra (‘piana’), tuttavia la buhra non può che essere pianeggiante (sahla), men­
tre la dāra può essere irregolare ( ghalīẓa) e pianeggiante (sahla) ».81
Il lemma di Ibn Manẓūr è ripreso à la lettre dal lessico inglese di E.W.
Lane (1801-1876), il quale nella gerarchia dei significati sottolinea come al­
l’origine della parola dāra presso gli Arabi vi sia « a round space of sand »,
chiosato come « a round tract of sand with a vacancy in the middle », o an-
che « any clear and open space among sands »; piú in generale la parola dāra
indica « any place that is surrounded and confined by a thing », « a wide and
plain space of land so encompassed ».82
Non ultimo, al significato di dāra si ricollega una serie di nomi di luogo
derivati dalla medesima radice d.w.r che significa ‘girare’: dawra, dawwāra,
dayyira, dūra, tadyira.83 Alternativamente si potrebbe quindi ipotizzare una

stici siciliani, 1983, p. 75 nr. 81, p. 177; D.A. Agius, Siculo Arabic, London, Kegan Paul Interna-
tional, 1996, p. 337.
80. B. Lewin, al-Dīnawarī, Abū Ḥanīfa Aḥmad b. Dāwūd, in The Encyclopaedia of Islam. New
Edition, ed. by B. Lewis, Ch. Pellat, J. Schacht, 11 voll., Leiden, Brill, 1991, vol. ii p. 300.
Edizioni: The Book of plants of Abū Ḥanīfa ad-Dīnawarī part of the alphabetical section (’-z). Edited
from the unique ms. in the Library of the University of Istanbul, ed. by B. Lewin, Uppsala-Wiesbaden,
Lundequistska Bokhandel- Harrasowitz, 1953; Le dictionnaire botanique d’Abū Ḥanīfa al-Dīnawarī
(Kitāb al-nabāt, de s-y) reconstituté d’après les citations des ouvrages postérieurs, éd. par M. Hamidul­
lah, Caire, Institute français d’archéologie orientale du Caire, 1973; The book of plants. Part of the
monograph section by Abū Ḥanīfa al-Dīnawarī, ed. by B. Lewin, Wiesbaden, Franz Steiner Verlag,
1974.
81. Ibn Manz≥ūr, Lisān al-‘Arab, ed. ‘A.A.‘A. al-Kabīr et al., 6 voll., Il Cairo, Dār al-Ma‘ārif,
1981, vol. ii p. 1451.
82. E.W. Lane, An Arabic-English Lexicon, 2 voll., London, William & Norgate, 1863-1893
[reprint: Cambridge, The Islamic Texts Society, 1984], vol. i p. 931.
83. Lane, op. cit., pp. 930-32; N. Groom, A Dictionary of Arabic Topography and Placenames. A
Transliterated Arabic-English Dictionary with an Arabic Glossary of Topographical Words and Placena­
mes, Beirut-London, Librairie du Liban-Longman, 1983, p. 71.

153
giuseppe mandalà

origine da dawr o dal femminile dawra. Il passaggio /aw/ > /o/ è ben docu-
mentato nei prestiti siciliani dall’arabo al latino-romanzo,84 e inoltre occor-
re notare che in siciliano antico vige una certa oscillazione tra auru e oru/
oro.85 Dal punto di vista del significato la parola araba dawr/dawra indica un
‘cerchio’ e anche un ‘giro’, o un ‘circuito’,86 ossia ancora una volta un riferi-
mento alla corona/collana/giro di monti che circonda la piana dove sorge
la città, e che viene descritta da tempi immemorabili. E per un uso loca­-
le della forma si confronti il toponimo Daura, documentato già nell’anno
1270,87 l’attuale Addaura, che potrebbe derivare da ar. (al-)dawra ‘il giro’, con
riferimento al paesaggio del luogo, una piana compresa tra il ‘giro’ di Mon-
te Pellegrino e il mare;88 un termine, dawr(a), che come già accennato sareb-
be quindi un sinonimo di dāra.

84. Ipotizzando un passaggio da arabo classico dawr(a) > ar.-sic. *dor(a) > sic. *dora/-u.
Sono documentati i seguenti passaggi: ar. cl. /aw/ > ar.-sic. /au/, /o/, /eu/, gr. /eu/, es. dawra
> malt. dawra; sawṭ > sic. zocta; nawba > gr. neuba; lawz > lat. lausetum, malt. lewz. Nella chiu-
sura del dittongo potrebbe avere influito la eventuale presenza dell’articolo: (al-)dawr(a); es.
al-lawz > alosa (Palermo 1424), cfr. Caracausi, Arabismi, cit., p. 77; Agius, op. cit., pp. 347-48.
85. G.M. Rinaldi, Testi d’archivio del Trecento, 2 voll., Palermo, Centro di studi filologici e
linguistici siciliani, 2005, vol. i p. 248 n° 119 (« di auru », a. 1381), p. 153 n° 64 (« d’auru », a. 1341),
p. 20 n° 7 e p. 256 n° 121 (« di oru », a. 1341, a. 1384), p. 170 n° 80 (« d’oro », a. 1383), e in generale
vol. ii p. 360.
86. A. de Biberstein Kazimirski, Dictionnaire arabe-français, 2 voll., Paris, Maisonneuve,
1860, vol. i p. 749, s.v. dawr: « adverbialem. “autour” (syn. ḥawla) »; si veda anche dā’ira, « cercle,
circonférence »; dawra « n. d’unité du précéde, “un tour” »; dawra, « circonvolution », « spire »,
« caracole », « tour », « tournée », « virevolte », « détour », anche « procession » e « roue » (R. Dozy,
Supplement aux dictionnaires arabes, 2 voll., Leiden, Brill, 19272, vol. i p. 473). In maltese « passeg-
giata », « a turning, a stroll » (G. Barbera, Dizionario maltese-arabo-italiano. Con una grammatica
comparata arabo-maltese, 4 voll., Beyrouth, Imprimerie catholique, 1939-1940, vol. i p. 296); J.
Aquilina, Maltese-English Dictionary, 2 voll., Malta, Midsea books, 1987-1990, vol. i p. 212. Dawr,
« surrounding wall; parapet, rampart », dawra « river band » (Groom, op. cit., pp. 73-74).
87. « Casale Galli, situm in territorio Panormitano, excepto quodam ipsius casalis tenimen-
to quod dicitur Daura » (Palermo, Archivio Storico Diocesano, Tabulario, Fondo primo, nr. 55
ll. 6-7; cfr. A. Mongitore, Bulla, privilegia et instrumentorum Panormitanae Metropolitanae Ecclesiae
Regni Siciliae Primariae, collecta notisque illustrata, Palermo, Angelo Felicella, 1734, p. 121); V. Mor­
tillaro, Catalogo ragionato dei diplomi esistenti nel Tabulario della Cattedrale di Palermo, Palermo,
Dalla Stamperia Oretea, 1842, p. 69 n° 55 (Palermo, 20 agosto 1270); per i luoghi in questione
si rimanda alle indagini topografiche di F. Mercadante, Da “Balarm” a “Giazīrah”. Il porto di
Gallo ritrovato, Palermo, Edizioni del Mirto, 2001, p. 106.
88. Il toponimo Daura, attuale Addaura, deriverebbe da ar. (al-)dawra « il giro » (cfr. Cara­
causi, Arabismi, cit., pp. 201-2, s.v. Daguara; Id., Dizionario, cit., vol. i p. 14). Con passaggio da ar.
dawra > sic. daura > Addaura; secondo Caracausi dawra sarebbe un riferimento topografico
alla strada che « aggira » Monte Pellegrino (cfr. Caracausi, Arabismi, cit., pp. 201-2, s.v. Daguara;
Id., Dizionario, cit., vol. i p. 14). L’ar. dawr è stato ricollegato, in maniera non del tutto convin-

154
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

Aggiungo a margine che il termine dawr vale anche « ronde, visite qui se
fait la nuit autour d’une place, etc., pour observer si tout est en bon état », o
meglio « chemin de ronde, dans les anciennes fortifications (bayna ’l-sūr wa
’l-dawr) ».89 Ci si chiede pertanto se la via Alloro, in sic. Addauru, nell’attuale
quartiere della Kalsa di Palermo, non sia una paretimologia che rimandi al
circuito delle mura della cittadella di fondazione fatimita (326/937-938).
Nell’arcipelago maltese risultano documentati i toponimi Dawwar (ta’),
un campo presso Ħlantun,90 e Dawwara (ta’), una località presso Qalgħet il-
Għabid e anche un terreno presso Rabat nell’isola di Gozo.91 La loro etimo-
logia è fatta risalire a « a round feature or structure in the locality »,92 tuttavia
i documenti cinquecenteschi che attestano i toponimi li glossano con il la-
tino clausura, con il significato di « recinto [per animali] ».93 A Malta è do­cu­
mentato anche il toponimo Dwiewer, una proprietà della cattedrale tra Ħem­
sija e Saqqajja, inteso già da Abela nel 1647 come « Dueüer, terre che piglia-
no la denominazione dalla forma circolare che tengono ».94 Piú generica-
mente i toponimi dawwār e dawwāra sono attestati nella toponomastica dei
paesi arabi, il primo con il significato di « cattle pen (Egypt) », « encamp­ment,
settlement, village of tents », il secondo come « whirpool ».95
Ne deriverebbe che Conca d’oro potrebbe essere una forma toponoma-
stica ibrida costituita da latino concha e dall’arabo dāra (o da dawr / dawra),
dove il primo termine spiega il secondo, che lo pre­cede in termini cronolo-

cente, ad alcuni toponimi siciliani: Campu d’oru (loc. di Buscemi) e Capra d’oru (loc. di Ragusa),
la cui etimologia risalirebbe a qabr dawr « sepolcro rotondo » [sic!] (ivi, pp. 226, 291).
89. Dozy, op. cit., vol. i pp. 472-73.
90. G. Wettinger, Place-names of the Maltese Islands ca. 1300-1800, Malta, Publishers Enter-
prises Group (PEG), 2000, p. 106: « Dauhar, clausura in contrata casalis antun » (a. 1503).
91. Wettinger, op. cit., p. 106: « Dela dahuara, animagium » (a. 1527), « la dauara, anima-
gium in finibus rabati dicte terre Gaudisii » (a. 1527), « tal fas, clausura que respicit ta Dauara in
contrata calhat Jnsulae Gaudisii » (a. 1585).
92. Ivi; si veda anche dawwār o duwwār, plurale dawāwīr, « common guest-house in a village,
for the accomodation of strangers » (E. Badawi-M. Hinds, A Dictionary of Egyptian Arabic. Ara­
bic-English, Beirut, Librairie du Liban-Longman, 1986, p. 311).
93. « Septum in quo animalia custodiuntur, vel quo vineae, prata, vel arva muniuntur »,
anche « ager clausus sepibus, clausum », « septum, ambitus », e significativamente al plurale
« Clausurae, claustra montium, angusti aditus, aliis Clusae, Graecis recentioribus kleisourai »
(Du Cange, op. cit., vol. ii col. 364b).
94. G.F. Abela, Della descrittione di Malta isola nel mare siciliano, con le sue antichità, ed altre notitie.
Libri quattro, Malta, Paolo Bonacota, 1647, p. 120.
95. Wettinger, op. cit., p. 120: « Dueheur, bonum stabilium venditum cathedrali ecclesie »
(a. 1496); secondo Wettinger potrebbe trattarsi di « circles, perhaps refering to prehistoric re-
mains » (ivi).

155
giuseppe mandalà

gici. Questo tipo di formazione ibrida e tautologica è ben documentata


proprio in Sicilia;96 il toponimo Puntaraisi è, forse, una forma tautologica che
deriva da lat. puncta, ‘punta, promontorio’, e ar. rā’s, ‘capo, cima, promon-
torio’, toponimo geomorfico che subisce l’influsso del piú diffuso ar. rā’is o
ra’īs (> lat. raysius).97 Un altro toponimo tautologico siciliano spesso chia-
mato in causa è Linguaglossa < lat. lingua + gr. glossa, ma l’ipotesi si scon­
tra con l’evidenza della documentazione che risale già al 1145, dove compa-
re Linguagrossa o Lingua Grossa; secondo Emidio De Felice, che ha studiato
attentamente la questione, Linguaglossa sarebbe quindi una rietimologizza-
zione ottocentesca nata in ambiente dotto, e ricostruita nella forma di mag-
gior prestigio.98 Una formazione tautologica ben presente nella toponoma-
stica palermitana contemporanea è Palazzo Steri, il trecentesco edificio fatto
costruire dai Chiaromonte, in siciliano antico Osteri (dal francese antico
hostier), latinizzato in Hosterium, e oggi rideterminato come Palazzo.99 E an-
cora, a Malta, sono documentate formazioni tautologiche con un diverso
ordine tra determinato e determinante, indice dei differenti strati e rappor-
ti linguistici presenti nell’isola nel corso dei secoli: Marsaskala (< ar. marsà +
lat. scala o gr. skala), e l-abatija tad-dejr (< lat. abadia + ar. dayr).100
Ma l’esempio siciliano piú noto è sicuramente Mongibello, il nome latino
e romanzo dell’Etna, che deriva da lat. mons o romanzo monte + ar. jabal.
Nelle fonti arabe medievali il vulcano è chiamato comunemente jabal al-
nār ‘la montagna del fuoco’, o anche jabal al-nār al-jāriya ‘la montagna del
fuoco che scorre’, o in modo ancora piú essenziale nār ‘fuoco’; mentre il ter­
mine “montagna” ritorna in primo piano nei nomi: jabal al-burkān ‘la mon-
tagna del vulcano’, jabal Ṣiqilliyya ‘la montagna di Sicilia’ o jabal al-dhahab ‘la
montagna d’oro’.101 Sono diffusi anche i prestiti: burkān < lat. vulcanus, o

96. G. De Gregorio, Ibridismo e tautologia ibrida nel siciliano, in « Zeitschrift für Romanische
Philologie », xlix 1929, pp. 524-26; B. Migliorini, Sui toponimi del tipo Mongibello, in Atti del iii
Congresso internazionale dei linguisti, Roma, 19-26 settembre 1933-xi, Firenze, Le Monnier, 1935, pp.
214-19 (rist. in Id., Saggi linguistici, ivi, id., 1957, pp. 31-36); E. De Felice, Processi di formazioni
tautologiche nella toponomastica romanza, in « Archivio per l’Alto Adige », l 1956, pp. 163-98.
97. Caracausi, Arabismi, cit., pp. 66-67, 315-17; Id., Dizionario, cit., vol. i p. 293, s.v. Capu-
raisi, vol. ii p. 1322, s.v. Raisi.
98. De Felice, op. cit., p. 177 n. 46; si veda anche Caracausi, Dizionario, cit., vol. i p. 865.
99. Steri in siciliano anche ‘casa’, ‘caseggiato’, ‘sommità della casa’, ‘podere’ (Piccitto-Tro­
pea, op. cit., vol. v p. 315).
100. G. Brincat, Malta: una storia linguistica, Recco, Le Mani, 2004, p. 47.
101. Si veda in particolare al-Idrīsī, geografo arabo attivo alla corte normanna di Palermo
intorno alla metà del XII sec.: al-Idrīsī, Nuzhat al-mushtāq fī ’khtirāq al-āfāq. Opus geographicum
sive Liber ad eorum delectationem qui terras peragrare studeant, ed. E. Cerulli et al., 9 voll., Napoli-
Roma-Leiden, Ist. Univ. Or.-Ist. It. Medio ed Estremo Or.-Brill, 1970, vol. iv p. 396, vol. v pp.

156
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

gr. med. boulkanos,102 e anche burkān ḥamma, ‘vulcano caldo’, cioè ‘atti-
vo’;103 finora è rimasto indecifrato il nome aṭma o aṭma Ṣiqilliyya,104 che tut-
tavia deriva dal gr. atmis o atmos, ‘vapore’, quindi il toponimo arabo sarebbe
da rendere alla lettera come ‘vapore di Sicilia’.105 La forma tautologica latina
Mons Gibellus è documentata a partire dal 1136,106 mentre quella romanza
Mongibello si diffonde a partire dalla seconda metà del XIII sec. (1284 ca.),107
un periodo storico, quest’ultimo, in cui l’arabo ha già perso terreno di fron-
te alla romanizzazione linguistica e alla latinizzazione religiosa e culturale
della popolazione dell’isola.108

596, 617, 620; per un accurato spoglio dei nomi arabi rimando a A. De Simone, L’Etna nei geo­
grafi e viaggiatori arabi del medioevo, in Studi arabo-islamici, a cura di A. De Simone et al., Mazara
del Vallo, Liceo ginnasio « Gian Giacomo Adria », 1982, pp. 13-33, alle pp. 18-19.
102. E. Trapp, Lexicons zur byzantinischen Gräzität, Faszikel 2, Wien, Verlag der Österreichi-
schen Akademie der Wissenschaften, 1996, s.v.
103. Burkān è in Ibn al-Shabbāṭ (m. 681/1282-’83): cfr. A.M. al-‘Abbādī, Waṣf al-Andalus li-
Muḥammad b. ‘Alī b. al-Shabbāṭ al-miṣrī ’l-tawzurī, in « Revista del Instituto Egipcio de Estudios
Islámicos en Madrid », xiv 1967, pp. 99-163, a p. 160; per burkān ḥamma cfr. al-Ḥimyarī, al-Rawḍ
al-mi‘ṭār fī khabar al-aqṭār, ed. I. ‘Abbās, Beirut, Maktabat Lubnān, 1975, p. 465.
104. « Aṭma vuol dir fonte di fuoco che spiccia dalla terra » (al-Mas‘ūdī, Murūj al-dhahab
wa-ma‘ādin al-jawāhir, in Amari, Biblioteca, cit., vol. i pp. 4-6); cfr. anche « sono fonti di fuoco che
sgorgano dalla terra e sono visibili a distanza nella notte, come l’aṭma di Sicilia » (al-Ḥimyarī,
op. cit., p. 79); per la variante aṭīma (e aṭīha) cfr. anche al-Mas‘ūdī, Kitāb al-tanbīh wa ’l-ishrāf,
ed. M.J. De Goeje, Leiden, Brill, 1967, pp. 59-60; Amari, Biblioteca, cit., vol. i pp. 7-8 n. 14.
105. Diversamente, con qualche esitazione, R. Dozy (op. cit., vol. i p. 28) si ricollega al gre­
co a(u)tme (Esiodo, Theogonia, 862), « fumée, vapeur? ». Su atmis ‘vapore (umido e freddo/cal-
do)’ cfr. Aristotele, Meteorologia, a cura di L. Pepe, Milano, Bompiani, 2003, i 3 340b, e passim;
per l’oscillazione psychron/thermon (‘freddo/caldo’) cfr. ivi, p. 222 n. 20. Su atmos ‘vapore (caldo)’
cfr. Pseudo Aristotele, Problemata physika, 862a, per entrambi si veda Chantraine, op. cit.,
vol. i p. 134. L’associazione tra aria/venti e fenomeni vulcanici dell’Etna è già chiara in Lucre-
zio (De rerum natura, vi 639-702) e Isidoro di Siviglia (Etymologiae, xiv 6 32) e risale alle idee di
Aristotele (Meteorologia, ii 8); per un’ampia disamina delle testimonianze antiche cfr. Holm,
op. cit., vol. i pp. 55-69, in partic. le pp. 63-64, e G. Tropea, L’Etna e le sue eruzioni nelle principali
fonti greche e romane, in « Rivista di storia antica e scienze affini », i 1895, pp. 6-24, alle pp. 9-12. Si
corregga quindi l’etimologia di aṭma « volcan » come derivata da uṭum « tour, château », o aṭīma
« chemin de feu », « foyer », proposta da A. Vanoli, Le philosophe et le volcan. La mémoire des sa­
vants de l’Antiquité dans la Sicile musulmane, in « Cahiers de civilisation médiévale », lv 2012, pp.
245-62, alle pp. 251-52.
106. « Cum via, qua descendit, a Monte Gibello in Paternionem » (Pirro, op. cit., vol. ii p.
1156); cfr. anche Caracausi, Dizionario, cit., vol. ii p. 865.
107. Sulle attestazioni romanze di Mongibello cfr. W. Schweickard, Deonomasticon Italicum.
Dizionario storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona, 4 voll., Tübingen, Niemeyer,
2009, vol. iii pp. 319-22.
108. A. Varvaro, Lingua e storia in Sicilia, i. Dalle guerre puniche alla conquista normanna, Paler-
mo, Sellerio, 1981, pp. 174-82.

157
giuseppe mandalà

Non è quindi da escludere che la formazione del toponimo Conca d’oro


possa risalire proprio al medesimo periodo, ossia tra XII e XIV sec. Il topo-
nimo potrebbe nascere in ambito romanzo, a livello popolare, come *conca-
dāra > *Conca dora > *Conca d’oru (o alternativamente come *conca-dawr(a) >
*Conca dor(a) > *Conca d’oru/*Conca d’auru), e in seguito essere canonizzato a
livello culto con la creazione della paraetimologia latina Conca aurea (docu-
mentata a partire dagli anni Settanta del XV sec.), in variante Aurea concha,
da cui l’italiano Aurata conca e Conca d’oro. Il processo di formazione di que-
sto toponimo consisterebbe nella giustapposizione tra due parole delle
quali la seconda si trasmette ma non è piú capita e viene quindi riassorbita
sul piano semantico e lessicale.109 Meno probabile è che il processo di for-
mazione comporti una traduzione cosciente in un’area di contatto lingui-
stico e in una fase sincronica di bilinguismo e/o diglossia cessante.110

6. Le ragioni del paesaggio

Quanto alla cronologia della supposta origine del toponimo in questio-


ne, ancora una volta il territorio, il paesaggio e la loro storia sembrano for-
nire qualche indizio. In età normanna, e forse anche già durante il periodo
islamico, la città di Palermo era circondata da un sistema di parchi e giardi-
ni periurbani, appartenenti al demanio regio e organizzati intorno a delle
residenze o palazzi adibite a soggiorno del re e della sua corte.111 Riguardo

109. « Dall’esame di sessanta casi che rappresentano tutti i diversi tipi di formazione, sem-
bra legittimo potere escludere l’ipotesi di traduzioni coscienti in fasi sincroniche di bilingui-
smo » (De Felice, op. cit., p. 197).
110. Per i processi di traduzione dall’arabo al latino dei documenti amministrativi cfr. A.
Metcalfe, « De Saracenico in Latinum Transferri ». Causes and Effects of Translation in the Fiscal Ad­
ministration of Norman Sicily, in « al-Masāq: Islam and the Medieval Mediterranean », xiii 2001,
pp. 43-86; Id., Muslims and Christians in Norman Sicily. Arabic Speakers and the End of Islam, Lon-
don-New York, Routledge-Curzon, 2003. Per i cristiani arabizzati di Sicilia e la diglossia ara-
bo/greco cfr. G. Mandalà, La sottoscrizione araba di ‘Abd al-Masīḥ (Palermo, 15 ottobre 1201), in
« Quaderni di studi arabi », iii 2008, pp. 153-64; G. Mandalà-M. Moscone, Tra latini, greci e
‘arabici’: ricerche su scrittura e cultura a Palermo fra XII e XIII secolo, in « Segno e testo. International
Journal on Manuscripts and Text Transmission », vii 2009, pp. 143-238, alle pp. 182, 195, 211;
G. Mandalà, Tra minoranze e periferie. Prolegomeni a un’indagine sui cristiani arabizzati di Sicilia, in
“Guerra santa” e conquiste islamiche nel Mediterraneo (VII-XI secolo), a cura di M. Di Branco e K.
Wolf, Roma, Viella, 2014, pp. 95-124, alle pp. 102-7.
111. G. Barbera, Parchi, frutteti, giardini e orti nella Conca d’oro di Palermo araba e normanna, in
« Italus Hortus », xiv 2007, fasc. 4 pp. 14-27; W. Tronzo, The Royal Gardens of Medieval Palermo:
Landscape Experienced, Landscape as Metaphor, in Le vie del Medioevo. Atti del Convegno interna-
zionale di Parma, 28 settembre-1° ottobre 1998, a cura di C.A. Quintavalle, Milano, Electa,

158
la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

la posizione di questi palazzi extra moenia ritorna la metafora della collana


che cinge il collo, nella descrizione di Ibn Jubayr che visita Palermo tra di-
cembre 1184 e gennaio 1185:

i palagi del re accerchiano la gola della città come i monili il collo di donzelle dal
petto ricolmo; sí che il principe [senza uscir mai] da siti ameni e luoghi di diletto,
passa dall’uno all’altro dei giardini e degli anfiteatri. Quante [delizie] egli v’ha – che
[Dio] gli tolga di goderne! – quante palazzine e [capricciose] costruzioni, e logge, e
vedette! E quanti monisteri de’ dintorni appartengono a lui, che n’ha adornati gli
edifizi e largiti vasti feudi a’ loro frati; per quante chiese egli ha fatto gittare in oro
e in argento delle croci!112

Agli occhi del pio pellegrino musulmano non v’è soluzione di continui-
tà, alle spalle della città si estendeva un enorme parco regio, scandito da
residenze e monasteri sfarzosi, dotati di grandi feudi, un chiaro riferimento
a Monreale. In realtà sappiamo che la formazione del parco regio si è arti-
colata in almeno tre tempi; un parco piú antico si estendeva a sud-est della
città, e copriva lo spazio tra il mare e la montagna che dava accesso a Paler-
mo; punto focale della sua organizzazione interna era il palazzo di Mare-
dolce detto anche della Favara, di sicura fondazione islamica.113 Sulle mon-
tagne prospicienti Ruggero II fa edificare un nuovo palazzo presso l’attua­
le Altofonte, località tradizionalmente chiamata ‘Parco’ sin dal 1278.114 Nel

2000, pp. 362-73; H. Bresc, Les jardins royaux de Palerme, in « Mélanges de l’École Française de
Rome. Moyen-Âge », cvi 1994, pp. 239-58; Id., Les jardins de Palerme (1290-1460), in « Mélanges
de l’École Française de Rome. Moyen-Âge - Temps modernes », lxxxiv 1972, fasc. 1 pp. 55-127;
Leone-Lo Piccolo-Schilleci, op. cit.; Barbera, Conca d’oro, cit.
112. Ibn Jubayr, Riḥlat al-Kinānī, in Amari, Biblioteca, cit., vol. i p. 93, trad. it., vol. i p. 129.
113. A. De Simone, L’enigma del “solacium” della Favara e del “Qaṣr Ǧa‘far”: una rilettura delle
fonti letterarie in lingua araba, in Bausteine zur deutschen und italienischen Geschichte. Festschrift zum 70.
Geburtstag von Horst Enzensberger, hrsg. von M. Stuiber und M. Spadaccini, Bamberg, Univ. of
Bamberg Press, 2014, pp. 74-94; per le recenti indagini sul palazzo in particolare E. Canzonie­
ri-S. Vassallo, Insediamenti extraurbani a Palermo: nuovi dati da Maredolce, in Les dynamiques de
l’islamisation en Méditerranée centrale et en Sicile: nouvelles propositions et découvertes récentes, éd. par F.
Ardizzone et A. Nef, Roma-Bari, École Française de Rome-Edipuglia, 2014, pp. 271-80; G.
Barbera, Maredolce-La Favara: the Place, the Arab and Norman Heritage, the Changing Landscape of
the Conca d’Oro, in Maredolce-La Favara. The xxvi International Carlo Scarpa Prize for Gardens, ed.
by G. Barbera, P. Boschiero and L. Latini, Treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche,
2015, pp. 67-85; E. Sessa, Buildings in the Norman Royal Parks in Palermo, ivi, pp. 118-23; E. Mauro,
Memories of the Norman Park, ivi, pp. 124-27.
114. Romualdo II Guarna, Chronicon, a cura di C. Bonetti, Cava de’ Tirreni, Avagliano,
2001, pp. 156-59; Di Giovanni, op. cit., pp. 111-12; per il monumento cfr. S. Braida, Il palazzo
ruggeriano di Altofonte, in « Palladio », ii 1973, pp. 185-97; M.G. Paolini, Considerazioni su edifici

159
giuseppe mandalà

XII sec. il palazzo è chiamato Minenium (varianti Mimnenium e Mimner­


mum) da Ugo Falcando, un toponimo che è forse da identificare con al-
Manānī dei documenti arabi d’età normanna; l’etimologia del nome tutta-
via non è araba come ritenuto dai piú (< al-Mannānī, aggettivo di relazio-
ne derivato dal nome proprio, di luogo o di persona, Mannān),115 ma po-
trebber risalire piuttosto a maenianum, latino medievale minianum/me­
nianum e anche meianum, che indica uno ‘spazio aggettante [da un edifi-
cio]’, o meglio un ‘ballatoio esterno’, una ‘loggia [esterna]’ o una ‘altana’;116
non ultimo il suffisso -ium del nome Minenium farebbe anche pensare a una
forma aggettivale denominale: ‘[il palazzo] della Loggia’.117 In Sicilia il ter-
mine minianum trova un preciso riscontro nella « sala cum miniano » nelle
case del Cantara, restaurate da Federico II nel 1240, dalle quali era possibile
vedere il mare in direzione di Augusta (« quod respicit mare versus Augu-
stam »).118 Per quanto riguarda il palazzo di Parco/Altofonte il toponimo

civili di età normanna a Palermo, in « Atti della Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo -
Lettere », xxxiii 1973-1974, fasc. 2 pp. 299-316, alle pp. 328-35. Il toponimo ‘Parco’ è documen-
tato il 5 e l’8 febbraio 1278, nelle registrazioni di due documenti (entrambi oggi perduti)
emanati da Carlo d’Angiò (già Archivio di Stato di Napoli, Reg. 1268 A, f. 137rv) e menzionati
da M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, a cura di F. Giunta, 2 voll., Palermo, Flaccovio, 1969,
vol. i p. 112 n. 3.
115. « Ut quia pater eius Favariam, Minenium aliaque delectabilia loca fecerat » (Ugo Fal­
cando, La ‘Historia’ o ‘Liber de Regno Sicilie’ e la ‘Epistola ad Petrum Panormitane Ecclesie thesaura­
rium’, a cura di G.B. Siragusa, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1897, p. 87 n. 1).
Un documento del 1132 menziona una ‘fonte nota come al-Manānī ’ (« ‘ayn al-ma‘rūfa bi
’l-Manānī »); cfr. Cusa, op. cit., vol. i pp. 6-12; per una discussione delle fonti cfr. M. Amari,
Storia dei Musulmani di Sicilia, a cura di C.A. Nallino, 3 voll., Catania, Romeo Prampolini, 1933-
1939, vol. iii pp. 842-44 n. 2, pp. 873-74 n. 2.
116. « Meniano (maenianum). Il significato originario della parola è: sporgenza (oltre la verti-
cale dei muri o di un portico) collocata ad una certa altezza, e fatta in modo che le persone
possano fermarsi su essa a godere la vista della via o della piazza, o gli spettacoli che vi si dànno;
quindi loggia, balcone. Si traeva il nome da Gaio Menio, censore nel 318 a.C., che primo
avrebbe fatto sporgere travi sopra le tabernae veteres del Foro, per creare palchi sospesi o logge,
in occasione di spettacoli » (G. Patroni, Meniano (maenianum), in Enciclopedia italiana, 1934 [on-
line: ‹www.treccani.it/enciclopedia/meniano_(Enciclopedia-Italiana)/›]; cfr. anche E. For­cel­
lini, Lexicon totius latinitatis, 4 voll., Patavii, A. Forni, 1864-1926, vol. iii pp. 145-46; e cfr. menia­
num, « projectio, projectus, [greco] exostes » (Du Cange, op. cit., vol. v col. 340), mignanum (a.
1200), minianum o menianum, ‘ballatoio esterno’, e per uso consolidato anche ‘ampio vaso ret-
tangolare di creta’ (A. Varvaro, Vocabolario storico-etimologico del siciliano, 2 voll., Palermo, Cen-
tro di studi filologici e linguistici siciliani, 2014, vol. ii pp. 605-6).
117. La stessa formazione aggettivale è forse ipotizzabile anche per Favaria, ‘[il palazzo]
della Sorgente’ (< ar. fawwāra, ‘sorgente’); per uno spoglio delle attestazioni del toponimo cfr.
Caracausi, Arabismi, cit., p. 224.
118. « De domibus Cantari prope Augustam, quas facis bene cohoperiri ceramicis et calce,

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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

Minenium/Minianum potrebbe fare allusione sia a un elemento architetto-


nico presente nell’edificio, sia alla stessa iconografia del palazzo che è una
vera e propria loggia panoramica disposta su un ciglio dei monti della Con-
ca d’oro.
Ancora un altro parco, risalente all’età dei due Guglielmi, si estendeva da
ponente verso meridione al di fuori della città murata, e comprendeva i
palazzi della Cuba, ‘soprana’ e ‘sottana’, la Zisa, giungendo fino a Monreale
e includendo, forse, anche il palazzo dell’Uscibene, quest’ultimo di proba-
bile fondazione ruggeriana.119 In particolare quest’ultimo parco sembra sia
stato chiamato ‘il Giardino’ o per estensione ‘il Paradiso della terra’, in arabo
jannat al-dunyā (lett. ‘il giardino del mondo [terreno]’) secondo l’iscrizione
della Zisa,120 o anche in latino viridarium Genoard, secondo una didascalia a
una celebre miniatura del Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli.121 Ed
evidentemente viridarium Genoard è ancora una volta una tautologia forma-
ta dal latino viridarium che ridetermina il significato di Genoard (< ar. jannat
al-ard≥, ‘il giardino/paradiso della terra’).122 Occorre notare a margine che

ne venti rabiem pertimescant, quarum salam cum miniano, quod respicit mare versus Augu-
stam, pro defectu boni fundamenti ruinam minantes, reparari facis » (31 marzo 1240, presso
Salpi): Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di C. Carbonetti Vendittel­
li, 2 voll., Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 2002, vol. ii n° 820, pp. 732-41, a
p. 738; sulle case del Cantara cfr. G. Agnello, L’architettura sveva in Sicilia, Roma, Collezione
Meridionale Editrice, 1935; riprod. anast. Siracusa, Ediprint, 1986, pp. 213-19, in partic. p. 218:
« Che cosa sia il miniano è difficile precisare, mancando ogni base per un’attendibile deriva-
zione etimologica; l’Haseloff, che proporrebbe di leggere meniis o menianis, ritiene che il vo-
cabolo esprima la corona dei merli cingenti la sala. Io credo invece, sull’autorità del Forcelli-
ni, citato dallo stesso Haseloff, e sull’analogia del vocabolo, quale ci è dato oggi dal dialetto
abruzzese, che sia una specie di ballatoio, sulla parte esterna dell’edifizio, in legno o in pietra,
costruito probabilmente per poter meglio dominare la visione magnifica del mare e della
città ».
119. Paolini, op. cit., pp. 334-46; G. Bellafiore, Architettura in Sicilia nelle età islamica e nor­
manna (827-1194), Palermo, Arnaldo Lombardi, 1990, pp. 55-68, 147-56; L’arte siculo-normanna. La
cultura islamica nella Sicilia medievale, a cura di N.G. Leone et al., Palermo, Kalos, 2007, pp. 67-89;
Barbera, Maredolce-La Favara, cit., pp. 70, 75; Sessa, op. cit., p. 120; Mauro, op. cit., p. 124.
120. M. Amari, Le epigrafi arabiche di Sicilia, trascritte, tradotte e illustrate, a cura di F. Gabrieli,
Palermo, Flaccovio, 1971, pp. 77-99. Sul rapporto tra l’iscrizione della Zisa e il Genoardo cfr.
Amari, Storia, cit., vol. iii pp. 566-67.
121. Bern, Burgerbibliothek, 120 II, f. 98r, riprodotto in Petrus de Ebulo, Liber ad honorem
Augusti sive de rebus Siculis, ed. Th. Kölzer et M. Sträli, Stuttgart, Jan Thorbecke Verlag, 1994,
p. 47; Zecchino, Il giardino del poeta, cit., pp. 187-89.
122. Per una discussione dell’etimologia dei vari toponimi siciliani Genoardo, forse anche
jannat al-ward o ‘giardino delle rose’, si veda Caracausi, Dizionario, cit., vol. i pp. 697-98. Per
una panoramica sull’idea di “paradiso” nell’Islam si rimanda a L. Gardet, Djanna, in The En­

161
giuseppe mandalà

in Pietro da Eboli e nelle miniature della sua opera l’elemento botanico ha


un ruolo circoscritto, funzionale alla stilizzazione descrittiva del paesaggio
extraurbano; difatti la finalità non è esaltare il regno normanno e la sua ca-
pitale, ma sancire piuttosto la loro ineluttabile transizione nell’impero degli
Hohenstaufen.123
I palazzi che circondavano la Palermo normanna erano degli edifici au-
lici al centro di una al-munya, parola araba che indica una villa nel senso
classico, dove si dirigeva la gestione delle risorse agro-pastorali della pro-
prietà (al-ḍayā’ ), o nel caso specifico del ‘parco’, e dove periodicamente, a
seconda delle stagioni, risiedeva il dominus per i suoi soggiorni, legati anche
alla rappresentazione del potere: feste e banchetti e quindi l’esercizio della
politica e della diplomazia, l’arte della caccia propedeutica alla disciplina
bellica, il piacere delle acque e, non ultimi, gli ozi scientifici e letterari.124
Tra XIII e XIV sec. questi grandi parchi, con i relativi palazzi appartenenti
alla Corona, vengono acquisiti dai poteri forti del regno; cosí avviene ad
esempio nel caso del vecchio parco normanno a sud-est della città, che Fe­
derico II concede ai cavalieri teutonici i quali, a loro volta, nel corso del se­
colo lo frazionano in lotti affidati in enfiteusi a coloni, lombardi e toscani
soprattutto, ma anche catalani e ebrei arabofoni, legati all’ordine teutonico
da un rapporto di clientela.125 Ed è forse proprio in questo momento storico

cyclopaedia of Islam, cit., vol. ii pp. 447-52; per la genesi del tema letterario e iconografico del
giardino/paradiso tra Oriente e Occidente rimando a F. Cardini-M. Miglio, Nostalgia del
Paradiso: il giardino medievale, Roma-Bari, Laterza, 2002; Paradeisos. Genèse et métamorphose de la
notion de paradis dans l’Antiquité. Actes du Colloque, Avignon, printemps 2009, éd. par E. Mor­
villez, Paris, Éditions de Boccard, 2014; M.-Th. Gousset, Éden. Le jardin médiéval à travers l’en­
luminure, XIIIe-XVIe siècle, Paris, Albin Michel-Bibliothèque nationale de France, 2001.
123. Zecchino, Il giardino del poeta, cit., p. 193.
124. Per un confronto con il contesto iberico rimando a G.D. Anderson, The Islamic Villa
in Early Medieval Iberia: Architecture and Court Culture in Umayyad Córdoba, Farnham, Ashgate
Publishing, 2013. Sui temi culturali legati al re e alla sua corte rimando, in sintesi, a D. Boccas­
sini, Il volo della mente. Falconeria e sofia nel mondo mediterraneo: Islam, Federico II, Dante, Ravenna,
Longo, 2003; M.S. Calò Mariani, Utilità e diletto: l’acqua e le residenze regie dell’Italia meridionale
fra XII e XIII secolo, in « Mélanges de l’École Française de Rome. Moyen Âge », civ 1992, pp.
343-72.
125. C. Trasselli, Sulla popolazione di Palermo nei secoli XIII-XIV, in « Economia e Storia », xi
1964, pp. 329-44; I. Peri, Uomini, città e campagne in Sicilia dall’XI al XIII secolo, Roma-Bari, Later-
za, 1990, pp. 117-61; soprattutto si vedano K. Toomaspoeg, Les cisterciens de la Magione de Palerme:
un essai de reconstruction des origines du monastère de la Sainte-Trinité, in « Archivio storico per la
Sicilia orientale », xcii 1996, pp. 7-21, a p. 20; Id., La Magione dei cavalieri teutonici e gli ebrei siciliani,
in Ebrei e Sicilia. Catalogo della Mostra di Palermo, Convento della Magione, 24 aprile-22
maggio 2002, a cura di N. Bucaria, M. Luzzati e A. Tarantino, Palermo, Flaccovio, 2002, pp.
298-302; Id., Les teutoniques en Sicile (1197-1492), Roma, École Française de Rome, 2003.

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la conca d’oro di palermo. storia di un toponimo

che l’antica dāra, la piana circoscritta dalla corona di monti, si trasforma in


“oro”, o meglio in una Conca d’oro.

Giuseppe Mandalà
CSIC, Madrid
giuseppe.mandala@cchs.csic.es

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