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QUESTA RIVISTA È STATA PUBBLICATA GRAZIE AL CONTRIBUTO DELLA

FONDAZIONE
CASSA DI RISPARMIO DI CALABRIA E DI LUCANIA

2
STUDI
CALABRESI
PERIODICO DEL
CIRCOLO DI STUDI STORICI
LE CALABRIE

STORIA — ARTE — ARCHEOLOGIA

ANNO X - 11

2019
© Edizioni Corab - Gioiosa Jonica

3
STUDI CALABRESI

Comitato Scientifico:
FRANCESCO ABBATE - GIUSEPPE CARIDI - MARCO MILANESE

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GIULIA FRESCA

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Autorizzazione del Tribunale di Locri n. 100/2000, del 18.07.2000

Graphic editing: Francesco Galante

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S ommario

EDITORIALE
GIULIA FRESCA
LA STORIA È UN PUZZLE E NOI VI DIAMO LE TESSERE ....................... pag. 7

Filippo Racco
Brevi note su un denaro tornese
di Filippo d’angiò principe di Taranto ....................................... pag. 11

Salvatore Longo Minnolo


Documenti per servire alla storia del Prioratus
nuncupatus vulgariter Sanctu Petru de Ninfi ........................ pag. 19

ALESSIO BRUNO BEDINI


BREVI NOTE SUI RUFFO CONTI DI CONDOJANNI,
PLACANICA, BRANCALEONE E PALIZZI ................................................. pag. 69

Domenico Capponi
Stilo e il suo contado.
Il problema dell’identità cittadina .......................................... pag. 93

5
Letterio Festa
LA STORIA LOCALE E LO STORICO LOCALE .......................................... pag. 109

spigolature storico - archeologiche - artistiche


Marilisa Morrone
Un medaglione litico dal Palazzo Carafa di Roccella ........ pag. 121

RECENSIONI
Alessandro Di Muro
La Montagna e il sacro .................................................................... pag. 127

Marilisa Morrone
Vent’anni di attività del Circolo di Studi Storici
“Le Calabrie” .............................................................................................. pag. 135

Enzo D’Agostino
Gli studi di Domenico Romeo,
appassionato cultore della storia calabrese ........................ pag. 147

Vita del Circolo ................................................................................. pag. 155

6
Filippo Racco

Brevi note su un denaro tornese


di Filippo d’angiò principe di Taranto

D
opo la quarta Crociata (1202-1204) e la creazione
dell’impero latino, nella c.d. “Grecia franca” fu co-
niata una moneta imitativa del denier tournois fran-
cese, più noto, in lingua italiana, come denaro tornese.
La storia e la classificazione di questo conio, emesso per cir-
ca un cinquantennio, è ancora in parte incerta, poiché la scarsi-
tà di documenti coevi affidabili e la confusa situazione politica
dell’epoca non soccorrono lo storico, così come lo studioso di
numismatica, a ricostruirne con assoluta esattezza la sequenza
tipologica, salvo che per qualche emissione (come per quella del-
la moneta qui annotata), essendo parimenti incerti i riferimenti
cronologici riguardanti le varie zecche1.
Filippo d’Angiò2, principe di Taranto, nel corso del proprio

1
Il primo studioso che trattò, in modo organico, la monetazione emessa dagli
stati crociati fu G. Schlumberger nella fondamentale opera Numismatique
de l’Orient Latin, Paris, 1878.
2
Filippo I d’Angiò, nato in Napoli il 10 novembre 1278, fu il quartogenito di re
Carlo II e di Maria d’Ungheria, figlia di re Stefano V. Il 4 febbraio 1294, il padre

11
Filippo Racco

Filippo d’Angiò, a cavallo a sinistra, alla battaglia di Montecatini del 29 agosto


1315 (da Giovanni Villani, Nuova Cronica, Biblioteca Apostolica Vaticana,
ms. Chigiano L.VIII. 296, f. 194r, 1276-1348).

lo nominò, ancora quindicenne, principe di Taranto e, il 12 luglio successivo,


lo elevò a vicario generale del regno di Sicilia. Con il conferimento di que-
gli importanti titoli, il sovrano architettò un fine piano dinastico per creare,
in Grecia, un grande impero per il figlio: tanto che in L’Aquila, nell’estate di
quell’anno, Filippo d’Angiò sposò Ithamar Angelina Ducas Comneno, figlia
di Niceforo I, despota di Epiro, avendo pertanto fondato, con quelle nozze, la
pretesa dinastica per quel principato. In quella occasione, Carlo II cedette al
figlio il regno di Albania, il principato di Acaia, tutti i propri diritti sull’im-
pero latino di Costantinopoli, nonché la signoria della Valacchia. Niceforo
I, dal canto suo, come dote della figlia concesse al genero alcune fortezze in
terra greca, tra le quali quella di Lepanto, con il solenne impegno che, alla
propria morte, gli sarebbe successa Ithmar, invece che l’altro figlio Tommaso.
Alla morte di Niceforo, avvenuta nel 1297, Filippo d’Angiò, assunto il titolo
di despota di Romania, rivendicò così l’Epiro, l’Etolia, l’Acarnania e la Valac-
chia: ma la moglie di Niceforo, Anna Cantacuzena, riuscì a ottenere la pro-
clamazione del figlio Tommaso quale despota di Epiro, di cui pure assunse la
reggenza. Poco dopo, in Sicilia, la dinastia Angiò dovette fronteggiare la nota
insurrezione dei “Vespri siciliani”: sicché, in qualità di vicario generale dell’i-

12
Brevi note su un denaro tornese di Filippo d’Angiò, principe di Taranto.

dominio, in territorio greco, stabilì dimora nella fortezza di


Lepanto, ove la locale zecca3, tra il 1296/1298 e il 13064, iniziò a
emettere tornesi ad imitazione, ma di peso più leggero, del tipo
del Principato di Acaia, anch’esso soggetto al di lui dominio.
Esistono due serie di denari tornesi dell’officina monetaria
lepantina, che gli studiosi in materia ritengono battuti tra il 1301
e l’ottobre del 1304 e, da allora, fino al 1306 (o per poco tempo
dopo).
Tali monete, per alcune varianti, si differenziano per la legen-
da al dritto, che indica un mutamento dei titoli di Filippo di Ta-
ranto, quale, nella prima emissione, principe e despota di Taranto
e, nella seconda, anche principe di Acaia e despota di Romania5:
La zecca di Lepanto cessò l’attività poco dopo il 1306, pro-

sola, Filippo vi sbarcò alla testa dell’esercito, essendo però sconfitto, nel 1299,
da Federico III di Aragona nella battaglia di Falconara e imprigionato per cir-
ca tre anni, in Cefalù, sino alla pace di Caltabellotta. Nel 1309, Filippo d’Angiò
ripudiò la moglie con l’accusa di adulterio e fu quindi libero di partecipare a
un complesso ordito matrimoniale, che lo portò a nuove nozze il 29 luglio 1313,
in Fontainebleau, con Caterina II di Valois-Curtenay, imperatrice latina. Nel
1315, egli fu inviato dal fratello Roberto d’Angiò, con un esercito, a sostenere i
Fiorentini minacciati dai Pisani guidati da Uguccione della Faggiola: ma, il 29
agosto di quell’anno, l’esercito tosco-napoletano fu gravemente sconfitto nella
battaglia di Montecatini, nella quale perì anche il fratello ultrogenito Pietro
d’Angiò, detto Tempesta. Rientrato in patria, il principe di Taranto non smise
di mirare al recupero dell’impero latino, avendo a tal fine stretto alleanza, nel
1318, con il nipote Carlo Roberto d’Angiò, re di Ungheria, ma senza successo.
Nel 1330, essendo premorto l’ultimo dei figli nati dal primo matrimonio, nelle
mani di Filippo d’Angiò tornò il titolo di despota di Romania, che a seguito
del suo decesso, avvenuto in Napoli il 23 dicembre 1332, con tutti gli altri suoi
titoli e diritti passò a Roberto di Taranto, figlio maggiore di secondo letto.
3
Non è certa l’ubicazione della zecca angioina nel castello lepantino, essendo-
ne stata ipotizzata la sede piuttosto in prossimità del mare (cfr. L. Travaini,
Le zecche italiane fino all’Unità, Roma 2011, 1353).
4
J. Baker, P. Calabria, 2004, Filignano (IS): le monete tardomedievali, “Ri-
vista Italiana di Numismatica e Scienze Affini”, CV, 2004, 256 - 300. 270 n. 23.
5
A. Malloy, I. Preston, A. Seltman. Coins of the Crusader States, 2nd Edi-
tion, New York, 2004, 397.

13
Filippo Racco

babilmente in coincidenza della massiccia coniazione di tornesi,


a nome di Filippo di Taranto, nelle officine monetarie greche di
Chiarenza6 e di Tebe, da tutte le quali gli pervennero sostanziosi
introiti per diritti di signoraggio attestati nei registri angioini7.
L’esemplare di denaro tornese, qui annotato8, è stato rinve-
nuto anni or sono in Roccella Jonica, antico centro urbano sulla
costa jonica calabrese, già denominato Roccella di San Vittore e
poi La Roccella9, il suggestivo aspetto della cui città rupestre, raf-
figurato in questa stampa settecentesca, suscitò nel passato l’in-
teresse di eruditi e di viaggiatori anche stranieri.

Louis Jean Desprez, Bourg


de La Rocella dans la Cala-
bre ulterieure. (incisione
su rame da J.C.R. de Saint-
Non, Voyauge Pittoresque
ou Description des Royau-
mes de Naples et de Sicilie,
Paris, ).

6
Travaini, Le zecche italiane …, 1353.
7
Malloy, Preston, Seltman. Coins …, 397.
8
Collezione privata. La moneta qui trattata e le altre ivi pure illustrate, poiché
emesse in molteplici esemplari seriali, non sono da comprendersi tra i beni
culturali tutelabili di cui all’art. 10, comma 4, lett. b), D. lgs. 22 gennaio 2004,
n. 42 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell’art. 10 della legge
6 luglio 2002, n. 137”), in quanto esse non sono cose di interesse numismatico
che, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al
contesto di riferimento, rivestono carattere di rarità o di pregio.
9
Sull’argomento, cfr. F. Racco, S. Scali, Guida a Roccella Jonica. Appunti
per un itinerario turistico, Cosenza, 1986; V. Naymo, Uno stato feudale nel-
la Calabria del Cinquecento. La Platea di Giovanni Battista Carafa Marchese
di Castelvetere e Conte di Grotteria (1534), Gioiosa Jonica, 2004, LXX-LXXIV:
G. Cingari, Roccella Jonica. Profilo storico nell’età moderna, Reggio Calabria,
2005; M. Morrone Naymo, Roccella di San Vittore: la Città il Palazzo la Chie-
sa. Archeologia topografica e urbanistica storica di un centro medievale sulla
costa jonica calabrese, Gioiosa Jonica, 2005.

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Brevi note su un denaro tornese di Filippo d’Angiò, principe di Taranto.

La moneta in esame presenta le seguenti caratteristiche tipolo-


giche:
D) PhS P. TAR DESP10, all’interno di rispettivi cerchi cordonati,
grande croce patente al centro, legenda con piccola croce patente al
capo accostata da due gigli;
R) [NE]PANTI CIVI[S], castello tornese con tre punti all’interno11.
Trattasi di “biglione”12 della prima emissione (1301 - ottobre 1304)
della zecca di Lepanto, con modulo di mm. 18,54 e peso di gr. 0,6.

A prescindere dall’intenzionalità, o meno, dell’introduzione


di denari tornesi nel regno napoletano per volere della dinastia
angioina, è da ritenere peraltro che varie categorie di persone
provenienti dalla “Grecia franca”, come mercanti, soldati e pelle-
grini, portarono tali monete anche in Calabria.
A tale riguardo, inoltre, non sono da trascurarsi i legami am-
ministrativi tra Napoli e i domini dell’impero latino, in quanto
molto personale amministrativo, attivo nei possedimenti angioi-
ni in “Grecia franca”, era scelto tra persone, di fiducia dei sovrani,
10
“PhILIPPVS PRINCEPS TARENTI DESPATVS”.
11
I tre punti, nel rovescio della moneta, potrebbero simbolicamente riferirsi
ad altrettanti domini (principati di Taranto e di Acaia nonché signoria della
Romania) di cui fu titolare Filippo d’Angiò.
12
Lega di argento, detta anche “mistura”, con elevato contenuto di metallo vile,
come rame, stagno e zinco.

15
Filippo Racco

provenienti dai territori del regno napoletano: dal momento che


il salario era pagato a costoro con denari tornesi, è quindi da
ipotizzare il rientro di rimesse, dai territori ellenici, sotto forma
di tale moneta.
In quel tempo, altresì, il denaro tornese era accettato come
mezzo di pagamento dalle principali città mercantili, tra le quali
Venezia13, essendo esso utilizzato abitualmente negli scambi in
tutto l’ambito adriatico e, anche, in quello meridionale della pe-
nisola italiana14.
Di talché, è ragionevolmente da ritenere che la moneta, di
cui trattasi, per tali vie giunse e circolò allora anche in Roccella
di San Vittore, in quell’epoca unico centro abitato e fortificato,
munito di importante “fondaco” commerciale15, sulla costa joni-
ca tra Reggio e Crotone.
Tra il tardo Duecento e la fine del secolo seguente, il dena-
ro tornese continuò a circolare in un’area monetaria corrispon-
dente all’impero angioino, composto dal regno di Sicilia (tranne
l’isola dopo i “Vespri”), dalla “Grecia franca” e, in via margina-
le, dall’impero bizantino: l’estensione di quell’ambito geografico
andò tuttavia riducendosi, durante il XIV secolo, a seguito del
declino delle signorie greche e, anche, per l’introduzione sia di
altra moneta spicciola locale nel regno di Sicilia, sia di quella ve-
neziana, di pari valore, in area egea.
Fu in seguito Alfonso I d’Aragona, che dal 1443, in Napoli, ad
iniziare l’emissione di un nuovo tornese16, avendolo così intro-

13
V. Lazari, Le monete dei possedimenti veneziani di Oltremare e di Terrafer-
ma, Venezia, 1851, 67.
14
Baker, Calabria, Filignano …, 280 n. 83.
15
Morrone Naymo, Roccella di San Vittore …, 52 - 53.
16
In realtà, la riforma monetaria fu avviata da Sulmona fin dal 1439, sebbe-
ne sia incerta la coniazione del tornese, in quella città, a nome di Alfonso
I; mentre l’emissione del tornese, in Napoli, è legata all’ingresso del sovrano
aragonese, nel febbraio 1443, nella capitale del regno (cfr. S. Perfetto, I de-
nari tornesi in l’Abruzzo citeriore e la riforma monetaria aragonese del reame di
Napoli avviata a Sulmona, L’Aquila, 2010).

16
Brevi note su un denaro tornese di Filippo d’Angiò, principe di Taranto.

dotto ufficialmente nel sistema monetario del regno di Napoli.


Il successore Ferdinando I d’Aragona, nel febbraio del 1460,
continuò la coniazione della stessa moneta17: ma, poiché biso-
gnoso di fondi per affrontare la guerra civile contro i baroni ri-
belli, fece svilire il contenuto di metallo pregiato, il che comportò
la fine del tipo “biglione”: per tale coniazione il sovrano, oltre alla
capitale, concesse diritto di zecca a diverse città del regno di Na-
poli, quali Barletta, Gaeta, Lecce, Capua e Isernia18 e, in Calabria,
Cosenza.
A quei tornesi, che furono progressivamente ritirati dalla
circolazione tra il 1464 e il 1465, sebbene “a quali condizioni e
quanto onerose per i possessori non ci è dato a sapere”19, seguì
l’emissione, nel 1472, di una nuova moneta, il “cavallo”, in rame
puro, il quale però subì speculazioni poiché non era possibile co-
niarlo con diversa lega metallica.
Sicché, al fine di ripristinare l’equo valore di quella moneta,
durante il regno di Filippo II di Spagna (1554 -1598), sospesa la co-
niazione, si diede corso all’emissione di un nuovo tornese, come
il seguente esemplare battuto, nel 1579, dalla zecca napoletana20:

17
A. Sambon, I Tornesi falsi di Ferdinando I d’Aragona coniati a Napoli, a Barlet-
ta, a Gaeta, a Cosenza, a Lecce, a Capua e ad Isernia, in M. Cagiati, supplemen-
to all’opera “Le monete del Reame delle due Sicilie”, III, 5-6-7, Napoli 1913, 16.
18
Sambon, ibidem, 16.
19
Sambon, ibidem, 21.
20
D)·PHILIPP[VS DG REX] ARA [VTR SIC], testa radiata a destra; GR V[P],
Germano Ravaschieri (mastro di zecca), Vincenzo Porzio (mastro di prova);
R) PVBLIC[E] COMMODITATI; 15-79, in mezzo cornucopia con frutta e spi-
ghe a sinistra; zecca di Napoli; rame, mm. 27,48, gr. 7,3 (collezione privata).

17
Il tornese, scomparso poi come conio reale e rimasto co-
munque moneta “di conto”, tornò di nuovo a circolare nel regno
di Napoli e ad essere emesso anche durante il regno delle Due
Sicilie, come la moneta di 10 unità nominali, che segue, coniata
nel 1798:21

Dopo l’unificazione italiana il tornese non fu però reintro-


dotto nel sistema monetario del nuovo stato sabaudo, essendo
esso divenuto, da allora, conio di esclusivo interesse storico e nu-
mismatico.

21
D) FERDINAN·IV·SICILIAR·REX, testa a destra, P· sotto; R) TORNE-
SI/R.10.C., corona reale sopra, 1798 in esergo; zecca di Napoli; contorno con
tracce in rilievo; rame, mm. 34,68, gr. 25,8 (collezione privata).

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