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1) L’accentramento nazionale in Spagna e i re cattolici

Tale accentramento fu sancito e si basò soprattutto sull’unione delle corone di Castiglia e Aragona.
L’evento che permise tale unione fu il matrimonio fra Isabella e Ferdinando del 1469; il processo di
unificazione delle due corone fu lento a causa di diversi fattori, quali:

- La presenza dell’ancora Re di Aragona Giovanni II, padre di Ferdinando;


- Le ostilità delle aristocrazie e della nobiltà
- La presenza di una doppia amministrazione: l’apparato amministrativo si differenziava nei 2
regni:

• L’Aragona possedeva, sin dal 1218, un’istituzione parlamentare a tre bracci:


1- Corona
2- Cortes (aristocrazie)
3- Istituzioni municipali

Il potere politico era abbastanza bilanciato fra le tre forze, fino alla metà del XV secolo, con l’alleanza
(a discapito dell’aristocrazia) tra Corona e città dominate dai letrados.

• La Castiglia aveva come organo governativo il Consejo Real; l’amministrazione cittadina era
affidata a funzionari borghesi (corregidores); l’aristocrazia spagnola si autofinanziava
attraverso gli scontri militari con i musulmani e con la conquista di Granada.

I sovrani cattolici governarono i due regni senza fonderli ma spianando la strada all’unificazione che
si sarebbe compiuta alla loro morte (con CarloV). Il loro progetto unificatore riguardava anche i regni
di Navarra e soprattutto di Granada, tanto che diedero alla loro causa un’aurea da crociata contro
gli infedeli (1492 conquista di Granada), dopo decennale guerra contro gli arabi: la Spagna si libera
degli arabi con un processo chiamato RECONQUISTA, sfruttando anche le debolezze del fronte
musulmano minato da faide intestine; oltre alla ‘’cacciata’’ dei MORI, assistiamo anche a quella degli
ebrei (JUDìOS) sul fronte interno. Sul fronte esterno, consentirono la scoperta del Nuovo Mondo
sempre nel 1492 ed il controllo del Mediterraneo che sfociò nell’unione del Regno di Napoli con
quello di Aragona nel 1505. Gli obiettivi dei re cattolici furono essenzialmente due:
1) porre fine al periodo di anarchia che aveva caratterizzato il Regno di Enrico IV.

2)Restaurare il potere reale, il potere di Dio, facendo sì che la monarchia conquistasse forza e
prestigio. La Spagna si dotò di moderne istituzioni e strutture, capaci di affermare il potere reale su
quello della nobiltà e clero.

Questioni religiose? Nella penisola iberica vi era la presenza ramificata di comunità etnico-religiose
ebraiche e musulmane:

 Ebrei: unità auto amministrate presenti prevalentemente a nord: svolgevano attività di tipo
mercantile (prestito e usura), medico e artigianale.
 Musulmani: erano tollerati per mezzo di un’imposizione fiscale maggiore rispetto ai cristiani
ed erano etichettati attraverso segni di riconoscimento (mezza luna sulla spalla sinistra…);
praticavano attività principalmente agricole.

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Entrambe le comunità rimanevano comunque discriminate, sia dal punto di vista etnico-religioso
(antigiudaismo), sia a livello giuridico: si assistette a una serie di conversioni di convenienza, in cui
ebrei e musulmani fingevano in pubblico di praticare il cristianesimo e nell’ambito familiare
continuavano a professare la propria religione (Criptogiudaismo), da ricollegare al Nicodemismo.

2) L’Inquisizione Spagnola

La presenza costante di discriminazioni religiose all’interno della penisola Iberica comportò una
profonda reazione di assemblaggio sociale consistente in:
1- Senso di appartenenza ad una stessa regione o gruppo etnico;
2- Riesumazione di miti nuovi e antichi come la Reconquista;
3- Un nuovo sentimento di identificazione nazionale;

Sotto le pressioni dei sovrani cattolici di Spagna Ferdinando e Isabella, Papa Sisto IV approvò con
una bolla del 1478 la costituzione dell’Inquisizione Spagnola. L’inquisizione iniziò ad operare
effettivamente nel 1480 come opera di conversione forzata, in quanto prima di questa data erano
utilizzati i normali metodi cattolici (evangelizzazione delle zone musulmane, catechismo...); Nel
1482, attraverso il Breve Pontificio, il Papa attribuì il potere di designazione degli inquisitori locali
direttamente al Re, onde evitare conflitti.

Cos’era? Era un organo politico delegato dal sovrano, che prevedeva la presenza di un inquisitore
con ruolo politico e mandato apostolico che, a sua volta, disponeva di un magistrato regio.

Qual era il suo raggio d’azione? Non toccava soltanto la penisola iberica, ma anche i possedimenti
spagnoli; considerata un baluardo dell’ortodossia, non era presente soltanto a Milano e a Napoli.

Qual era il suo fine? Il fine del tribunale inquisitorio era quello di sostenere il programma nazionale
attraverso l’unità della fede, tenendo sotto stretto controllo i cristiani sospettati di essere tornati
alle vecchie credenze e rivolgendosi anche ai nuovi convertiti ebrei (conversos) e musulmani
(moriscos), per contrastare il fenomeno del cripto giudaismo (1). L’opera inquisitoria prevedeva
roghi di eretici, confische e condanne per chi offriva loro protezione.
Alla fine del ‘400 si sviluppa in Spagna e Portogallo il concetto della “Limpieza de sangre” (purezza
del sangue) che operò una distinzione sostanziale tra “vecchi cristiani” e “nuovi cristiani”, coloro
che discendevano da famiglie di altra religione convertite forzatamente; si cominciò a dubitare di
questi ultimi a tal punto che, nel 500 e nel 600, soltanto le persone di sicura discendenza cristiana
potevano essere affidatarie di cariche amministrative e religiose, tesi sostenuta dal cardinale
spagnolo Juan Siliceo.
3) Scoperta dell’America

Cristoforo Colombo militava nella marina portoghese ed aveva il progetto di aprire ad occidente la
Via delle Indie, che espose:

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- Al Re Portoghese Giovanni II, il quale respinse la richiesta;
- Alle Repubbliche Marinare di Genova e Venezia e all’Inghilterra, ricevendo anche qui un
rigetto;

Nel 1492 sottopose la richiesta ai sovrani cristiani di Spagna che la accolsero e, con le Capitolazioni
di Santa Fè, Colombo veniva nominato Grande Ammiraglio dell’Oceano e viceré delle terre che
avrebbe scoperto, inoltre venivano stabiliti i guadagni economici che egli avrebbe tratto dalle
spedizioni.

Salpato da Palos il 3 agosto del 1492 con 3 caravelle (La Nina, La Pinta e La Santa Maria), sbarcò
nella notte tra l’11 e il 12 ottobre su un’isola che chiamò San Salvador, che si pensava fosse una
delle tante isole dell’arcipelago antistante la regione del Cipango.

Dopo essere passato, nel viaggio di ritorno verso l’Europa, per Cuba (28 ottobre), poi per Haiti (dove
fu costretto a fermarsi per circa un mese a causa del naufragio della Santa Maria, arrivò nelle Azzorre
il 25 febbraio del 93, di proprietà portoghese: qui Giovanni II lo costrinse a fermarsi, accusando
Colombo di aver violato il trattato di Alcáçovas (1479) stipulato fra Spagna e Portogallo, che stabiliva
le colonie e i commerci portoghesi dal capo di Bojador alla Guinea inclusa su una linea longitudinale.
La controversia tra Spagna e Portogallo fu poi risolta dall’intervento di Papa Alessandro IV Borgia,
che con le due bolle Inter Caetera (1493), fissava i limiti e gli obblighi della potestà politica sui
territori nel Nuovo Mondo; essendo essi pagani, secondo la tradizione medievale erano da
considerare terre da sottoporre all’evangelizzazione cristiana, quindi sotto il controllo della Santa
Sede; da qui consegue che vennero assegnate ai sovrani cattolici di Spagna tutte e isole e le terre
trovate e da trovare, scoperte e da scoprire nella parte verso occidente e mezzogiorno. Venne fissata
la Raya, che divideva la sovranità coloniale spagnola da quella portoghese; ai portoghesi veniva
riconosciuta la sovranità sul Brasile.

Colombo salpò per una seconda volta nel settembre del 1493, scoprendo i Caraibi e le Isole Vergini;
qui scoprì le prime miniere d’oro ad Haiti. Nel 1496 fece ritorno in Spagna e nel 1498 partì per il
terzo viaggio, scoprendo il Continente Americano Meridionale; nel 1502, nel quarto ed ultimo
viaggio, si spinse più a nord fino a Nicaragua e Panama.
Amerigo Vespucci, ammiraglio fiorentino al servizio della corona Spagnola, arrivò a scoprire il Rio
delle Amazzoni e la Patagonia, toccando le Falkland nel suo ritorno in Spagna; fu lui a dare il nome
di America al nuovo continente, confutando le tesi di Colombo di aver colonizzato la parte più
occidentale dell’Asia.

4) Encomienda e Las Casas

Alla conquista di nuove terre, era sopraggiunta la conquista vera a propria, attraverso mezzi militari:
nei primi territori scoperti (Cuba, Hispaniola, Portorico…), la presenza europea superò quella
indigena. I conquistatori divennero poi i primi governatori delle nuove terre e la ricerca dell’oro e di
nuovi miti costituivano le motivazioni principali di conquista degli europei. Sia Cortés che Pizarro
approfittarono delle capitolazioni ottenute per esercitare un potere indiscusso sulle spedizioni
militari nelle Americhe: i soldati nelle file dei due Conquistadores provocar ono moltissimi
spargimenti di sangue, violazioni di patti e accordi, la riduzione in schiavitù degli indigeni, ecc.;

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Carlo V dovette riorganizzare la struttura amministrativa e di potere nelle colonie: istituì due vice-
regni, in Messico e in Perù, con potere affidato ai viceré e l'opera dei Conquistadores era
sottoposta a controllo da parte di particolari ispettori.

Inoltre, vennero messi a punto alcuni insediamenti, specializzati nello sfruttamento delle miniere
aurifere, e potenziata l'opera di diffusione religiosa nelle colonie: nacque l'encomienda, un nuovo
istituto giuridico spagnolo che offriva dei benefici economici e territoriali (appezzamenti di terreno,
insediamenti territoriali ecc.) ai prelati ecclesiastici i quali, in cambio della manodopera offerta dagli
indigeni, offrivano istruzione religiosa e sociale.

Nacquero degli scontri verbali sulla natura dell'encomienda: secondo i nemici di questo istituto
bisogna garantire l'uguaglianza fra colonizzatori e colonizzati, seguendo i precetti evangelici.
Favorevole a questa visione era anche il Papa Paolo III (1534-1549). Fra gli oppositori più accaniti vi
era il monaco domenicano Bartolomè de las Casas: nato a Siviglia nel 1484, partecipò ad alcune
spedizioni di conquista delle Antille organizzate dai colonizzatori spagnoli. Diventò a sua volta colono
(ENCOMENDERO) nell’isola di Hispaniola. Tuttavia, intorno al 1510, profondamente turbato dalle
durissime condizioni di vita cui erano sottoposte le popolazioni indigene, ebbe una crisi religiosa e
decise di diventare frate domenicano. Da quel momento in poi, si dedicò a difendere gli Indios, in
particolare componendo varie opere che dovevano far conoscere ai sovrani e al pubblico europeo i
territori del Nuovo Mondo e la condizione indigena. La sua opera più importante è la BREVISSIMA
RELAZIONE DELLA DISTRUZIONE DELLE INDIE, scritta nel 1542 in lingua spagnola e pubblicata nel
1552; essa fu tradotta in tutte le lingue europee.

Dedicata all’Imperatore (nonché re di Spagna) Carlo V, essa si proponeva un fine ben preciso: che
Carlo V emanasse delle leggi che proibissero ai coloni spagnoli di ridurre gli Indios in schiavitù. Nel
testo, egli sostenne che la popolazione indigena, per le sue caratteristiche di semplicità e genuinità,
andava considerata superiore dal punto di vista morale rispetto agli europei; stanti tali
caratteristiche, gli Indios erano i soggetti ideali per l’evangelizzazione, che andava condotta con
mitezza e dialogo e non con la costrizione delle conversioni forzate.

Per questi suoi contenuti, la RELAZIONE di LAS CASAS fu uno dei testi composti durante l’età
moderna che maggiormente contribuì alla costruzione dello stereotipo del “buon selvaggio”, cui
contrapporre l’europeo corrotto dalla civiltà.

Propose un progetto di riforma (1542) che prevedeva la non ereditarietà del latifondo dato in
proprietà ai conquistatori (“encomienda”) e l’istituzione di comunità gesuitiche. Tale progetto fu
approvato da Carlo V (1542), che su quella base redasse le Nuove leggi delle Indie—> stabilivano
innanzitutto la non concessione di nuove encomiendas e ciò rappresentò la limitazione di un
fenomeno andato fuori controllo. Inoltre, ordinavano l’ereditarietà della funzione di encomenderos
(ciò comportava l’esclusiva trasmissibilità della carica ai figli, senza che essa potesse essere ceduta
a persone esterne al gruppo familiare) e il divieto di assegnazione dell’encomienda ai funzionari
della corona (ciò tutelava la libertà della corona nello scegliere gli elementi costitutivi della
burocrazia che doveva reggere il fardello dell’impero).

La libertà dei diversi esponenti dell’aristocrazia feudale nel nuovo mondo era possibile perché un
controllo capillare difficilmente poteva esercitarsi così lontano. Con denunce come questa Las Casàs
mostrò al mondo l’incapacità della monarchia spagnola di tenere a freno i suoi nobili e la sua

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chiesa. Altri fatti che rafforzano questo quadro sono le modalità con le quali avvenne la conquista
dei territori americani. Il caso di Cortés dimostra che i conquistadores reputavano la nomina reale
solo come una “giustificazione”.

In altri termini la consideravano solo come il via libera della corona a fare delle terre scoperte
quello che volevano. Dunque, non la intesero come un incarico nel senso moderno, dove i limiti e
le competenze sono ben definiti ed inquadrati in una struttura burocratica. Siamo difronte al classico
conflitto tra aristocrazia feudale e potere monarchico centrale, nel quale contesto si deve inserire
l’attività di Las Casàs e delle sue denunce.

Le denunce di Las Casàs dimostrarono al mondo una situazione di ampia libertà nobiliare nelle
Americhe spagnole; l’autonomia dei conquistadores non poteva che essere una minaccia per la
monarchia spagnola; e quest’ultima vedeva macchiata indelebilmente la propria immagine nel
mondo dal disastro umano rappresentato dalla morte di milioni di Indios. Combattuto ferocemente
dai coloni e accusato di tradimento, fu costretto a tornare in Spagna (1547) dove si ritirò in convento.

5) Situazione della Lega Italica dopo la pace di Lodi e Congiura dei Pazzi
Fino alla Pace di Lodi (aprile 1454) e alla successiva costituzione della Lega italica (marzo 1455), la
penisola fu sconvolta da lotte per l'egemonia nel territorio; tuttavia, fino alla fine del XV si ebbe un
periodo di relativa stabilità in cui la politica degli stati fu guidata dal principio dell'equilibrio del
potere statale. Al frazionamento delle entità statali e locali italiane, andava aggiunto il pericolo
rappresentato dall'espansione turca: dopo la conquista di Costantinopoli (29 maggio 1453) ad opera
del Sultano Maometto II (1451-81) i musulmani nel 1463 annessero anche la Bosnia, e l'allora Papa
Pio II (1458-64) cercò di unire i disgregati apparati statali italiani per fronteggiare la minaccia turca,
ma soltanto i Veneziani risposero all'appello del Pontefice, più per interessi propri (gli Ottomani
minacciavano i presidi veneziani nell'adriatico e nella Pianura padana) che per un reale sforzo di
combattere l'Islam. La politica dell'equilibrio che caratterizzò la situazione italiana alla metà del XV
secolo si basò sull'abbandono della guerra di egemonia da parte degli stati e s ul consolidamento
interno delle istituzioni e della legislazione: il potere era sempre detenuto da potenti famiglie
oligarchiche di stampo mercantile e urbano, che a volte scesero a patti con le entità feudali
rimanenti sul territorio. Il fatto di dover costantemente confrontarsi con le entità regionali e locali,
quali i baroni feudali, le municipalità e i corpi sociali intermedi, giocò a favore dell’equilibrio, in
quanto la vera e propria espansione militare era limitata ai territori circostanti alle varie comunità
statali.
Già 4 anni dopo la Pace di Lodi, tuttavia, il sistema dell'equilibrio degli stati italiani venne messo in
crisi, prima dalla guerra di successione napoletana (1458-62,) e poi dalla guerra di successione
fiorentina, scoppiata in seguito alla morte di Cosimo de Medici (1464) e aizzata dai repubblicani. Il
governo del suo successore, Piero de Medici (1464-69), non fu brillante e alla sua morte il potere fu
diviso fra i 2 suoi figli, Giuliano e poi Lorenzo il Magnifico (1469-92): si produsse una congiura anti-
medicea (la c.d. Congiura dei Pazzi 1478, ordinata dalla famiglia di banchieri “de Pazzi”) sostenuta
dal Papa Sisto IV (1471- 84); in seguito alla reazione veemente dei filo-medicei fiorentini, il Papato,
alleatosi con Venezia, Milano, Siena e Regno di Napoli, scatenò una guerra anti-medicea che si
concluse con una vittoria diplomatica di Lorenzo il Magnifico, il quale riuscì a rompere l'alleanza fra
il Regno napoletano e la Santa sede e a concludere la pace nel 1480. Da quel momento in poi,
Lorenzo, si pose come garante della politica dell'equilibrio. Quest'equilibrio, tuttavia, fu ben presto
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messo in discussione da una nuova attività militare della Repubblica di San Marco, che cercò di
sottomettere il ducato di Ferrara, grazie anche all'aiuto del Papa Sisto IV (la c.d. Guerra del sale,
1482-84); tuttavia la reazione delle altre potenze italiane, favorevoli alla politica dell'equilibrio, pose
fine all'iniziativa militare e alla stipulazione della pace di Bagnolo (1484). Infine, la politica del'
equilibrio degli stati italiani venne definitivamente messa al bando con la congiura dei Baroni
scoppiata nel 1485 nel napoletano, al tentativo del re di Napoli di rafforzare la monarchia (aiutato
anche dal Papa Innocenzo VIII, 1484-92), e con la morte del suo vero ispiratore, Lorenzo il
Magnifico (1492).

6) Discesa di Carlo VIII in Italia


Alla fine del '400, il ducato di Milano si rese protagonista di una critica situazione interna che ebbe
poi ripercussioni in tutta la penisola. Un gruppo di nobili congiurati antimonarchici nel 1476 posero
fine alla vita di Gian Galeazzo Sforza, a cui immediatamente successe suo figlio Gian Galeazzo II
(1476-94). Lo zio di quest'ultimo, Ludovico Sforza detto il Moro, approfittando del fatto che il nipote
fosse troppo giovane per poter governare, lo reclude a Pavia e si impadronisce del governo (1479).

Galeazzo II era sposo della nipote Isabella del re di Aragona, per cui la potenza aragonese espresse
il suo sostegno a favore di Galeazzo → ciò ruppe il rapporto fra il ducato di Milano e il regno di
Napoli, il quale costituiva uno dei pilastri della politica dell'equilibrio italiana. Ludovico strinse
accordi diplomatici ambigui:
1- dapprima con il re francese Carlo VIII di Valois, che già da tempo stava preparando una
incursione in Italia per vendicare la cacciata degli Angiò dal regno di Napoli;
2- poi si accordò con l'imperatore Massimiliano I Asburgo (1493-1519) in funzione
antifrancese.
Tuttavia, Ludovico, godendo dell'appoggio sia della Repubblica di Venezia che della Santa Sede
(pontefice Alessandro VI Borgia), ritenne ormai inutile l'alleanza francese, ma i preparativi per la
discesa in Italia delle truppe Transalpine erano ormai pronti. Gli accordi diplomatici si ribaltarono:
Venezia e Roma si unirono alla causa napoletana e Ludovico il Moro cedette alle richieste avanzate
da un emissario di Carlo VIII.
La scelta inaspettata della Santa Sede di allearsi con il regno aragonese di Napoli fu condizionata
dai timori condivisi con la repubblica Fiorentina (con la quale il Papa Alessandro VI Borgia si unì in
alleanza), la quale nutriva profondi timori per quanto riguarda un possibile schiacciamento tra il
Ducato di Milano e un regno di Napoli sotto il controllo francese. L'imminente discesa di Carlo VIII
aprì quella fase della storia italiana in cui la penisola divenne terra di conquista per le monarchie
nazionali europee, che disponevano di un più solido apparato statale rispetto alla frammentarietà
politica riscontrata in Italia. L'uso della diplomazia non giovò, anzi fece credere ai regni italiani che
la preparazione militare potesse essere messa in secondo piano e che si potessero controllare le
potenze europee. Così Carlo VIII decise di sfruttare queste debolezze, giustificando i suoi desideri di
conquista in quanto dall'Italia sarebbe poi ripartito per riportare alla cristianità Gerusalemme, e nel
settembre del 1494, sostenuto da una potente artiglieria, superò le Alpi.

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Dopo aver attraversato senza troppi problemi il Ducato di Savoia e sconfitta la flotta aragonese a
Rapallo (8 settembre 1494), nella regione toscana Carlo di Valois incontrò il primo ostacolo: Piero
de Medici, nuovo signore della città, cercò di trattare col nemico per dissuaderlo dai suoi intenti,
ma non ottenendo alcun appoggio da città importanti quali Arezzo e Pisa, favorevoli alla cacciata
dei Medici, non poté opporsi al rifiuto di Carlo VIII e dovette inoltre cedere alcune fortezze al nemico
(tra cui l’importante porto di Livorno).

Nel frattempo, al momento della discesa del re francese, il frate dominicano Girolamo Savonarola,
che condannava la corruzione del papato e l’operato dei Medici, espresse la necessità per Firenze
di Rovesciare l’oligarchia medicea e di instaurare una Repubblica a larga partecipazione popolare.

Fra il 31 e il 1° gennaio 1495 Carlo entrò a Roma e da lì si diresse velocemente nel regno di Napoli,
forte del via libera del Papa dopo la ritirata delle truppe dell’esercito pontificio-aragonese dalla
Romagna; Alfonso II abdicò in favore di Ferdinando II, il quale dovette ritirarsi in Sicilia. Tuttavia, la
discesa di Carlo si arrestò proprio a Napoli, dove ricevette notizie di un importante coalizione
internazionale antifrancese (composta da Impero, Venezia, Spagna e le truppe di Ludovico il Moro,
il quale dopo la morte di Gian Galeazzo non aveva più motivo di guerreggiare con l’Aragona) che era
nata con lo scopo di sconfiggere le armate francesi in terra italiana: nello scontro di Fornovo sul Taro
(luglio 1495) senza né vincitori né vinti, il re francese perse gran parte delle sue truppe e infine
ripiegò in patria. Ferdinando II rientrava a Napoli con l’aiuto degli Spagnoli.

7) Girolamo Savonarola

La discesa di Carlo VIII in Italia, anche se fallita provocò sgomento e preoccupazione in tutto il
territorio della Penisola. Iniziarono a diffondersi predizioni di carattere astrologico e profetico che
vedevano nella discesa del Re francese un evento millenario, che poneva fine ad una fase religiosa
dominata dai peccati e dava inizio a una nuova età dell'oro. In Italia si diffusero predizioni riguardo
l'imminente rinascita spirituale del paese, guidata dal liberatore Carlo VIII, che fino ad allora aveva
conosciuto soltanto la corruzione e l'avidità della Santa sede, il cui potere temporale si sarebbe
dissolto con l’avanzata del re francese.

A Firenze queste predizioni si condensarono tutte nella persona di Girolamo Savonarola (1452-98),
un domenicano priore del convento di S. Marco (dal 1490, quando fu chiamato dal Magnifico). Egli
aveva dedicato tutta la sua vita alla predicazione e molte volte si era scagliato contro la curia
romana, ritenuta da lui peccaminosa e disonesta. Al momento della discesa in Italia di Carlo VIII,
iniziò a aizzare i cittadini fiorentini per rovesciare il corrotto governo mediceo, predicando per la
nascita di una nuova repubblica fiorentina a larga partecipazione popolare: il 30 novembre 1494
vennero aboliti alcuni organi di governo dei medici (Il consiglio dei 70, il consiglio dei 100, i 12
procuratori, ecc.) e venne creato un Consiglio maggiore, che aveva funzioni legislative ed era
composto da un Consiglio degli 80 e della Signoria, entrambi dotati di poteri esecutivi e giudiziari;
del primo consiglio potevano far parte soltanto i cittadini con almeno 30 anni che fossero considerati
beneficiati, ovvero in regola con il pagamento delle tasse, del secondo quelli con almeno 29 anni e
che avessero avuti discendenti in politica.

La riforma di Savonarola ebbe la meglio su un altro movimento, quello degli Ottimati che,
accettando comunque la cacciata dei Medici, avrebbe preferito la creazione di un governo
oligarchico. Le lotte intestine a Firenze fra i Piagnoni (seguaci di Savonarola), gli Arrabbiati (Ottimati)

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e i filo-medicei si sommarono insieme al clima di profonda austerità propugnato dal frate
domenicano; inoltre, l’introduzione dell’imposta fondiaria e di quella progressiva sul reddito, unita
a un’ondata di peste del 1497, fecero sprofondare la città nel pieno disordine.

I contrasti con la Santa Sede erano talmente intensi che Savonarola venne scomunicato e costretto
al silenzio dal governo fiorentino, il quale, dopo le elezioni dell’aprile ’97, era composto dai nemici
politici del frate domenicano.

La parabola del frate domenicano era destinata a chiudersi: Savonarola fu processato


dall'inquisizione secondo le accuse di eresia e di mancato rispetto verso il pontefice (Alessandro
VI); dopo 3 processi, avvenuti tra il 21 e il 24 aprile, e attraverso i metodi della tortura, Savonarola
fu costretto a confessare i suoi capi d'accusa e infine venne giustiziato il 23 maggio del 1498.

8) Machiavelli e Guicciardini
A Firenze, città lungamente travagliata dai conflitti politici interni e da un'endemica instabilità di
governo, si contraddistinse anche per essere la sede della riflessione politica sulla crisi italiana del
500 e sul regime repubblicano in generale, in difficoltà nei confronti del numero crescente di
monarchie assolute formatesi in Europa.

2 autori in particolare si soffermarono a studiare il rapporto fra Repubblica e Monarchia,


collegandolo alla crisi dello stato italiano nel 500: Niccolò Machiavelli (1469-1527) e Francesco
Guicciardini (1483-1540). Nella concezione politica di Machiavelli la nascita della politica non poteva
fondarsi su una legittimazione divina, come era nella monarchia, ma la religione non era altro che
uno strumento di consenso politico. Soltanto la forza bruta e la guerra potevano reggere i cardini
dello stato. Inoltre, la dialettica di un principe governatore si basava non sulle regole della morale
cristiana, bensì sul continuo confronto tra Virtù (qualità e attributi del principe) e Fortuna (l'instabile
scorrere degli eventi non controllabili dal principe). Nella sua opera “Discorsi sulla prima deca di
Tito Livio” (1517), rifacendosi alla turbolenta realtà storico-sociale italiana dominata dalle crisi e dal
disordine, Machiavelli riconosce la superiorità degli egoistici interessi e desideri degli uomini sulla
disincantata morale cristiana e afferma la supremazia della Repubblica sulle altre forme di governo,
sull'esempio della Roma repubblicana, governo stabile e duraturo in cui tutti gli interessi delle classi
sociali popolari venivano protetti e stimolati. Machiavelli condannò l'instabilità dei governi
fiorentini, che si resero storicamente incapaci di rappresentare gli interessi sociali sopraffatti dal
perseguimento dei desideri specifici dell'autoritarismo Mediceo o delle diverse fazioni politiche
interne. Nella stessa opera, infine, sottolinea il fatto che anche le repubbliche, come successe alla
res-pubblica romana, erano ciclicamente destinate a decadere (e con questo discorso confrontò il
ruolo della repubblica fiorentina rapportandolo alle continue crisi di instabilità della penisola
italiana) in monarchie, che si sviluppano nei territori caratterizzati da ampie disuguaglianze e una
potente aristocrazia. In un'altra opera, la più famosa del suo repertorio, Il Principe (1513),
Machiavelli enuncia i metodi attraverso cui i sovrani avrebbero potuto conquistare e mantenere il
governo di uno stato, sia nuovo che ereditario, e celebrava la discesa di un Principe in grado di poter
stabilizzare la difficile situazione italiana agli inizi del '500. Questo principe avrebbe dovuto usare
ogni mezzo, legale o illegale, per raggiungere e ottenere questo obiettivo, poiché per risolvere
l'eccezionale situazione italiana c'era bisogno di una virtù extraordinaria che non guardasse alla
morale cristiana.

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Meno fortuna ebbero le discussioni all'interno dell'Arte della Guerra (1520) sul problema dei
mercenari e delle truppe regolari dello stato: Machiavelli criticava i primi, considerandoli fedeli
solo al denaro e vigliacchi in battaglia, ed esaltava le seconde, nonostante le truppe regolari
fiorentine non diedero buona prova in molti scontri e vennero presto abbandonate.

Uno degli elementi machiavelliani che si diffuse nella repubblica fiorentina fu lo spirito anti-
tirannico formatosi con l'alimentarsi, da parte dello storico fiorentino, del mito di Bruto e Cesare e
del ricordo di Savonarola, che aveva ammesso il ricorso al tirannicidio e la condanna della
monarchia. Questi stessi elementi vennero poi ridiscussi nel cenacolo degli Orti oricellari (famiglia
dei Rucellai), a cui lo stesso Machiavelli decise di partecipare.

Anche Guicciardini ripercorreva i temi affrontati da Machiavelli e mostrò grande nostalgia per la
fine della politica italiana dell'equilibrio, in cui a prevalere erano le arti della diplomazia e della
moderazione. Anche Guicciardini, come Machiavelli, dà spiegazione dei continui rivolgimenti politici
e sociali come la dimostrazione storica dell'impossibilità di reprimere le passioni e le ambizioni
dell'essere umano; anche nei regimi repubblicani, dove di norma era più facile rappresentare la
totalità degli interessi politici e sociali, era presente la libido dominandi delle monarchie. I nuovi
stati moderati sarebbero sorti sull' equilibrio istituzionale fra i diversi organi di governo e come
primo obiettivo avrebbero dovuto neutralizzare ogni conflitto interno. La nascita di questi stati
doveva implicare la presenza di un Senato in grado di fare da equilibrio fra il re (Il gonfaloniere) e un
parlamento (Il Consiglio maggiore).
9) Politica matrimoniale degli Asburgo prima e dopo Carlo V

Un appartenente alla casa degli Asburgo, maschio o femminina che fosse, non poteva sposare chi
voleva. C'erano delle regole di ferro che tutti dovevano rispettare. Innanzitutto, una futura moglie
o un futuro marito doveva avere, dai genitori ai bis-bisnonni (che sono complessivamente 30
persone), solo antenati appartenenti all'alta aristocrazia europea. Questo riduceva già molto la
scelta dei possibili candidati da sposare. Il futuro partner doveva naturalmente essere cattolico il
che restringeva ulteriormente le possibilità escludendo, almeno dopo la riforma protestante, tutte
le case regnanti protestanti, che erano molte, soprattutto nell'Europa centro-settentrionale. Nessun
matrimonio poteva essere celebrato senza il beneplacito dell'imperatore e chi si ostinava a non
rispettare la sua volontà rischiava di essere espulso dalla famiglia, con conseguenze che potevano
anche essere drammatiche a livello personale.

MASSIMILIANO I ,in seguito alla fallimentare riorganizzazione delle DIETA (assemblea delle autorità
territoriali) e dell’istituzione del TRIBUNALE CAMERALE IMPERIALE (1495) in grado di risolvere le
diatribe tra gli Stati e della corruzione generale dell’Impero, capisce che la guerra non è più la via
preferibile, per cui la politica estera imperiale si concentra soprattutto su alleanze matrimoniali
attraverso le quali espande il territorio di partenza (Mattia Corvino, TU FELIX AUSTRIA NUBE, le
guerre le fanno gli altri tu, Austria, sposati)—>

1) annessione dei P. Bassi (matrimonio fra Massimiliano e MARIA DI BORGOGNA, figlia di


Carlo il Temerario, 1480- indirizzo di interesse al ducato di Borgogna.
2) interesse per il Ducato di Milano (matrimonio tra Massimiliano, rimasto vedovo, con
BIANCA MARIA SFORZA, nipote di Ludovico il Moro, 1493)

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3) 3)contenimento dell’espansione francese in Italia e verso la Spagna (matrimonio tra
FILIPPO IL BELLO, figlio di Massimiliano e Maria di Borgogna, e GIOVANNA LA PAZZA, figlia
dei sovrani spagnoli,1496); (matrimonio fra MARGHERITA D’AUSTRIA, figlia di Maria di
Borgogna, e GIOVANNI, erede dei sovrani spagnoli, 1497).
4) contenimento dell’azione francese in Piemonte e Savoia (matrimonio fra MARGHERITA
D’AUSTRIA, rimasta vedova, e FILIPPO II IL BELLO, duca di Savoia,1501).

Anche quando diventa imperatore CARLO V, si dimostra abile con le politiche matrimoniali:

1) stabilizzazione del fronte nordico (matrimonio tra ISABELLA, sorella di Carlo, e CRISTIANO
II DI DANIMARCA, 1514)
2) consolidamento del fronte portoghese (matrimonio tra ELEONORA, sorella di Carlo ed
EMANUELE I DI PORTOGALLO, 1519); (matrimonio tra CATERINA sorella, e GIOVANNI III,
erede di Portogallo,1519); matrimonio fra CARLO e ISABELLA DI PORTOGALLO, figlia di
EMANUELE I, 1526)
3) indirizzamento della politica estera all’acquisizione del regno di Ungheria (matrimonio fra
MARIA, sorella, e LUIGI II JAGELLONE DI UNGHERIA, 1520); (matrimonio tra ANNA, sorella
di Luigi II e FERDINANDO D’ASBURGO, fratello minore di Carlo ,1520)

10) Repubbliche di Firenze e differenze

PRIMA REPUBBLICA FIORENTINA: è il periodo comunale di questa città; inizia nel 1115 quando, a
voto dei maggiori esponenti della nobiltà della città, Firenze si nominò indipendente e con ciò
"comune". Questo periodo durò per tutto l'arco del Duecento e del Trecento, secoli in cui la
repubblica raggiunse uno tra gli splendori che la contraddistingueranno dagli altri stati d'Italia. Tutto
questo fino alla prima metà del Quattrocento e, più precisamente, nel 1434, quando, Cosimo de'
Medici detto "il vecchio" si proclamerà l'autorità a capo del governo fiorentino e trasformando di
fatto la repubblica in una signoria anche se continuerà a chiamarsi con il nome d’origine.
Rimanevano in piedi tutti gli organi comunali, ma chi deteneva il potere era la famiglia dei Medici.

SECONDA REPUBBLICA FIORENTINA: La seconda repubblica fiorentina venne fondata sempre


nell'omonima città, ma con un modo non legale e non convenzionale. Si trattò di una insurrezione
popolare. Ciò accadde quando al passaggio in sei mesi del re di Francia, Carlo VIII di Valois, Piero de'
Medici detto "il fatuo" venne cacciato dal monarca e dal popolo, umiliato e guidato da un frate
domenicano: Girolamo Savonarola. I ribelli insorsero e causarono la caduta del governo mediceo.
Seguì un periodo di grave crisi politica, durante la quale i fiorentini trovarono in Savonarola una
guida morale e politica, grazie alla quale restaurarono la repubblica (1494) —>Firenze come un ente
"a servizio della volontà di Dio”. Girolamo Savonarola era un frate domenicano inviato a Firenze
come predicatore; egli denunciava soprattutto i costumi della Chiesa dell'epoca e fu subito al centro
dell'attenzione dei fiorentini. Dalla sua parte stavano soprattutto i poveri e gli scontenti della
Signoria, ai quali i Medici avevano espropriato i beni. In Carlo VIII il frate vide quindi il salvatore
dell'Italia, colui che doveva liberarla (ristabilita la repubblica, egli si curò infatti di allearsi subito con
la Francia). Fece una importante riforma sociopolitica: distrusse le magistrature precedenti (il
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Consiglio del Comune e il Consiglio del Popolo) e le riunì in un unico Consiglio Maggiore. I due
consigli si controllavano vicendevolmente ma, pensando che danneggiassero la città che aveva
bisogno di un unico governo centrale, si ispirò alla Repubblica veneziana. Fra seguaci del Savonarola
e sostenitori dei Medici ricominciarono le lotte che avevano caratterizzato il XIV secolo; Firenze fu
nuovamente in balia di tensioni insostenibili, accresciute anche dalla scomunica di Savonarola, che
nel 1498 papa Alessandro VI condannò a morte sul rogo. Dopo ciò la repubblica fu organizzata con
sede a Palazzo Vecchio come agli inizi ma durò poco. Infatti, i Medici vi tornarono con l'assedio della
città e il massacro che vi seguì nel 1512. Guidati dai Cardinali Giovanni de' Medici e suo fratello
Giulio furono le forze della lega santa stabilità da papa Giulio II de medici ad attaccare. Con ciò iniziò
il primo periodo del ducato fiorentino.

11) Ultima Repubblica di Firenze


TERZA REPUBBLICA FIORENTINA(PIAGNONE): La terza ed ultima repubblica ebbe inizio il 16 maggio
1527, a Firenze, quando i possedimenti erano governati da Ippolito de' Medici e da papa Clemente
VII, quindi sotto diretto controllo dello Stato Pontificio.
Ciò ebbe fine quando la signoria (fazione democratica e repubblicana) scacciò nuovamente i Medici
e instaurò un ente governativo "di stampo piagnone" e cioè ispirato a quello di Girolamo
Savonarola. Tutto questo fino al 1530 quando papa de' Medici Clemente VII chiese all'imperatore
spagnolo Carlo V, riappacificato dopo il disastroso sacco di Roma consumatosi tre anni prima
incoronandolo a Bologna in segno di ricongiungimento tra papato e impero, di scendere in Italia e
ristabilire la pace.

Ciò avvenne e Firenze dovette pagare a caro prezzo la propria volontà d'indipendenza e, nonostante
un'eroica difesa, l'assedio riuscì a causa del tradimento del mercenario perugino Malatesta Baglioni
e le forze nemiche penetrarono nelle mura cittadine dando inizio ai saccheggi e alle violenze. La città
fiorentina ritornò sotto il dominio Mediceo e Alessandro de' Medici ne divenne poi, nel 1532, il
secondo duca.
Come nel 1512, la caduta dei Medici a Firenze era avvenuta nel 1527 soprattutto per motivazioni
esterne che resero insofferente il popolo contro il cardinale Silvio Passerini, al governo in nome di
Ippolito nipote di Lorenzo il Magnifico e del nipote di Clemente VII, Alessandro de' Medici. Dopo
alcune insurrezioni verificatesi nel 1526, il colpo di grazia fu la notizia giunta l'11 maggio del terribile
sacco avvenuto a Roma, quando gli oppositori, forti dell'appoggio del banchiere Filippo Strozzi,
genero di Piero de' Medici ma in contrasto con la famiglia medicea, riuscirono a cacciare i Medici,
privi ormai del sostegno pontificio e a ripristinare la costituzione del 1494, con un nuovo Consiglio
Maggiore, una nuova Signoria e un gonfaloniere in carica per un anno, ora Niccolò Capponi.

Contro i rischi impliciti della naturale radicalizzazione dello scontro tra correnti repubblicane
democratiche e ipotesi moderate degli ottimati aveva da tempo ammonito Francesco Guicciardini,
che vi colse una semplificazione dei complessi problemi fiorentini. Secondo Guicciardini non sarebbe
bastato riaggiustare la costituzione in vigore trent'anni prima e soprattutto si stava guardando con
miopia politica al nuovo quadro storico e internazionale cui era necessario far fronte. Fu proprio in
questo clima che il cauto moderatismo di Capponi, proteso a cercare un accordo con Clemente VII
per impedire che l'intesa pontificio-imperiale isolasse la neonata Repubblica, venne meno di fronte
alla fedeltà alla Francia espressa dalla volontà del Consiglio maggiore. La situazione politica e

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personale del Capponi precipitò quando venne scoperto un carteggio segreto col pontefice, che
portò al deferimento e alla condanna dei cinque anni di confino per il gonfaloniere.

L'episodio tolse definitivamente a Clemente VII la speranza di una restaurazione pacifica dei Medici
e fu tra le ragioni che lo spinsero alla pace di Barcellona. Mentre questa intesa era suggellata, il
governo fiorentino, guidato dal nuovo gonfaloniere Francesco Carducci, espressione dei ceti
popolari, si preparava all'imminente attacco preparando la difesa cittadina. In ogni caso il clima di
crescente radicalizzazione politica rese inutili le già tardive iniziative diplomatiche del Carducci
verso Carlo V e Clemente VII, avviate quando ormai le truppe imperiali avanzavano verso Firenze
sottoponendola ad un lungo assedio dal 1529.

I convulsi eventi portarono addirittura il comandante delle forze mercenarie fiorentine, Malatesta
Baglioni, a stipulare la resa all'insaputa del governo. Il 12 agosto 1530 a Santa Margherita a
Montici, il nuovo comandante dell'esercito imperiale Ferrante Gonzaga, imponeva ai fiorentini le
clausole della capitolazione, che prevedeva anche una deliberazione di Carlo V circa la futura
sistemazione costituzionale della città. La successiva posizione attendista assunta dall'imperatore
obbligò Clemente VII ad una serie di manovre per restaurare il dominio familiare, riuscendo infine
nel febbraio 1531 a cooptare Alessandro de' Medici al governo. Un governo che inevitabilmente si
evolse verso il principato: nell'aprile 1532 una nuova costituzione sopprimeva le istituzioni
repubblicane, nominava Alessandro de' Medici duca di Firenze, pur affiancandogli il “Magistrato
Supremo”, un organo consultivo destinato comunque ad un ruolo collaterale e subordinato. Si
realizzava quindi una svolta assolutistica irreversibile, resa in parte necessaria dalla debolezza dello
stato ereditato, territorialmente disgregato e gravato da problemi economici e finanziari. Per capire
quanto poco solido fosse il potere di Alessandro basti pensare che inizialmente i fuoriusciti poterono
pensare, senza però successi pratici, di privarlo della protezione asburgica alimentando i dubbi che
Carlo V già nutriva circa l'affidabilità del suo governo. Inattesa e repentina, la scomparsa di
Alessandro de' Medici avvenne prima di quanto si potesse pensare per mano del cugino Lorenzino
de' Medici, che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1537 pugnalava il duca. Per quanto acuita, la crisi a
Firenze si risolse in tre giorni: il 9 gennaio, infatti, il 18enne Cosimo I de' Medici veniva eletto “capo
e primario della città di Firenze” dal Senato dominato dagli ottimati, convinti così di riprendere
agevolmente la gestione dello stato fiorentino. Benché proseguiti negli anni seguenti, i vani tentativi
antimedicei dei fuoriusciti repubblicani rappresentarono il sintomo più tangibile del tramonto della
forza propulsiva del repubblicanesimo, che avrebbe nei due secoli seguenti trovato altre strade per
riproporsi all'attenzione dei popoli, soprattutto grazie alla grande lezione machiavelliana. L'Italia, al
chiudersi del terzo decennio del '500 cessava di essere l'epicentro della politica europea,
rapidamente spostatosi verso la Germania e i Paesi Bassi da un lato, e verso il fronte anti-ottomano
balcanico e mediterraneo dall'altro. E proprio al problema religioso tedesco e ai turchi il
protagonista della scena politica, l'imperatore asburgico, doveva ormai volgere le sue principali
preoccupazioni.

12) Carlo Quinto


Carlo V = figlio di FILIPPO I D’ASBURGO E GIOVANNA LA PAZZA. L’eredità di cui beneficia è merito
delle doti diplomatiche e delle politiche matrimoniali del nonno MASSIMILIANO I:

1) il suo matrimonio con Maria di Borgogna, figlia di Carlo il Temerario gli fa mettere le mani sulle
FIANDRE (Borgogna-Olanda-Belgio)
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2) Alla morte di Maria, Massimiliano sposa Bianca Maria SFORZA di Milano, che gli permetterà di
intervenire da protagonista nelle Guerre d’Italia

3) Il matrimonio del figlio Filippo con Giovanna la Pazza di Spagna porterà in dote a Carlo la SPAGNA
e i domini oltreoceano (nel 1516, morte di Ferdinando d’Aragona). Alla morte di Massimiliano I
(1519), Carlo V potrà così riunire alla Spagna e ai domini americani, L’impero asburgico (il cui titolo
di imperatore ottenne per elezione dai principi tedeschi) e le FIANDRE, oltre alla possibilità di
partecipare alle successioni nel Regno di Milano.

POLITICA INTERNA: 2 OBIETTIVI:

1) Creare una monarchia universale cristiana

2) rafforzare il proprio potere, cercando di indebolire le autonomie locali, soprattutto nelle zone
di derivazione asburgica.

PROBLEMI
1) rifiuto spagnolo di un re e di istituzioni fiamminghi (Carlo era nato a Gand)

2) Forte autonomia e combattività dei principi tedeschi 3) avvento della Riforma Luterana (no a
Monarchia universale).
IL CASO SPAGNOLO: Carlo decide di governare la Spagna servendosi di funzionari e burocrati
fiamminghi e porta al malcontento dei NOBILI SPAGNOLI- BORGHESICONTADINI (MOVIMENTO DEI
COMUNEROS) fino allo sfociare di una RIVOLTA che chiedeva LIMITI AL SOVRANO e
RIVENDICAZIONI DELLE CORTES LOCALI. Questa rivolta viene soffocata nel sangue e sancisce la
vittoria di Carlo V (1552). IL CASO TEDESCO: Vi era il problema dei PRINCIPI TEDESCHI che sfruttano
la Riforma Luterana per chiedere una maggiore autonomia. Si creano dunque due opposti
schieramenti, in cui alcuni principi(cattolici) sono fedeli a Carlo e altri (protestanti) si oppongono a
lui chiedendo libertà religiosa e autonomia (LEGA DI SMACALDA). Si arriva ad una GUERRA CIVILE
conclusasi con la PACE DI AUGUSTA (1555) con la quale viene riconosciuta la libertà di culto a tutti i
principati e vi è il tramonto del progetto di unità religiosa. Parallelamente inizia la predicazione di
THOMAS MUNTZER che richiedeva un nuovo ordine sociale oltre che religioso; crea adepti tra
contadini e popolo che vedono in lui la possibilità di elevarsi socialmente.

Inizia una RIVOLTA CONTADINA: Lutero però la sconfessa pubblicamente, i Principi tedeschi la
soffocano e l’Autorità politica non va così in discussione.

- POLITICA ESTERA si articola su due punti:


1) le guerre italiane contro la Francia

2)il conflitto con l’impero ottomano.


LE GUERRE D’ITALIA—> Rivalità con la Francia per il DUCATO DI MILANO (base per controllo dei
porti sul mediterraneo, Genova in primis); → PRIMA GUERRA ITALIANA: nel 1521 Carlo occupa
Milano e mette al potere Francesco II SFORZA- Arrivano le truppe francesi, poi sconfitte Pavia
(1525); Francesco I di Francia viene catturato e con il TRATTATO DI MADRID è costretto a cedere

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tutta la Borgogna a Milano. Nasce la LEGA DI COGNAC: Papa CLEMENTE VII- Francia-UK e stati
italiani vs Carlo, il quale indispettito, ordina il SACCO DI ROMA (1527) per punire il papa. Nel 1529
viene firmato il TRATTATO DI BARCELLONA: vengono restituiti i domini del papa andati perduti dopo
il sacco e viene riconosciuto di nuovo il Ducato di Milano a Carlo e gli Sforza. Genova impaurita
dall’azione di Carlo, cambia schieramento e va da lui; con la PACE DI CAMBRAI viene riconosciuto
definitivamente il dominio di Carlo su Italia rinunciando alla Borgogna. I

CONFLITTI CON I TURCHI —> Con il sultanato di SOLIMANO I IL MAGNIFICO, L’impero ottomano
giunge fino al cuore dell’Europa. Conquiste: MESOPOTAMIA-SERBIA-UNGHERIA-ASSEDIO DI VIENNA
(1529). Vienna però resiste all’assalto e interviene Carlo; nel 1541 avviene la spartizione
dell’Ungheria-> A Carlo la terra di confine, agli ottomani il sud e CAUSA MANCATA SCONFITTA
DEFINITIVA TURCA perché vi è mancanza di coesione tra lo schieramento cristiano e Francesco I
spesso appoggia i Turchi per indebolire Carlo V. Dunque, all’indomani della scottante pace di
Augusta e del definitivo naufragio del sogno di monarchia universale cattolica, Carlo decide di
abdicare ritirandosi a vita monastica (1556).

Divide il territorio in 2:

1) Al figlio FILIPPO II: Spagna- Milano-Napoli- Fiandre- Franca contea- colonie americane e persiste
il problema della guerra vs la Francia
2) al fratello FERDINANDO: Boemia (era già re di Boemia) - Ungheria- titolo imperiale; persiste il
problema della minaccia turca ai confini e della riottosità dei principi tedeschi

13) Filippo Secondo


Figlio di Carlo V e Isabella d’Aviz, diventa il nuovo re di Spagna; il suo regno è durato oltre 40 anni
(1556-98) - Carattere cupo, malinconico e incline all’isolamento —> a differenza del padre, dopo
l’ascesa al trono non si mosse dalla Castiglia e decide di trasferire la sede della corte a Madrid. A
pochi km dalla città fa costruire l’Escorial (metà convento metà fortezza).

- Soprannominato re prudente, ma la prudenza spesso si trasformava in lentezza eccesiva, cura


maniacale del particolare. La sua dedizione al lavoro alla lunga finì per nuocere all’efficienza del
governo
Per quanto riguarda burocrazia e apparato statale fu lo Stato più autoritario d’Europa, Filippo II
godeva di poteri assoluti sui beni e sulle persone, ma era anche di fatto una specie di capo della
Chiesa. Da cattolico riconosceva l’autorità del papa, ma gli era riconosciuto anche il diritto di
presentazione che gli consentiva di nominare alla testa della diocesi vescovi di suo gradimento,
soprattutto di origine castigliana.

- Nel suo regno vigeva l’Inquisizione spagnola che dipendeva direttamente dalla corona anziché dal
Papa e ciò gli attribuì la fama di accanito persecutore.

- Attività di Corte: affiancata da una serie di Consigli. Accanto al Consejo de Estado (politica
generale ed estera), all’Hacienda Real (economia e finanze) c’erano quelli della Guerra,

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dell’Inquisizione e quelli che gestivano singoli territori dell’Impero, i Consigli di Castiglia, di
Aragona, d’Italia e delle Indie.

- A questi consigli corrispondeva una piramide di funzionari ed impiegati reclutati tramite la


vendita delle cariche. Una volta nominati, questi cercavano di recuperare la somma elargita con i
proventi cui la carica dava diritto.
-Stessa burocrazia era stata trapiantata nelle colonie americane con la differenza che gli indigeni
erano completamente asserviti e indifesi.

-Dopo il 1650, cominciano ad affluire in Spagna ingenti quantità di oro e di argento dal Messico e
dal Perù —> avrebbero potuto garantire un benessere duraturo promuovendo lo sviluppo
economico. Settore manifatturiero e commerciale era a livelli piuttosto bassi e nulla fu fat to per
incentivarne la capacità; l’agricoltura non provvedeva nemmeno al fabbisogno delle popolazioni
iberiche. Si praticava soltanto uno stile di vita sfarzoso, e di spreco inseguendo ancora ideali
puramente cavallereschi.-Oro e argento provocarono l’aumento dei prezzi con grave danno per la
popolazione, perché all’incremento della domanda non corrispondeva un aumento della offerta—>
la domanda si riversò sui mercati esteri, arricchendo produttori francesi, italiani, inglesi, olandesi
Ben tre volte sotto Filippo II fu dichiarata la bancarotta che comportava la mancata restituzione dei
capitali avuti in prestito. Real = moneta coniata con l’effige di Filippo -Inoltre, le colonie non
potevano commerciare con stranieri né commerciare tra loro perché i traffici dovevano passare per
il porto di Siviglia dove erano sottoposti a controlli e soprattutto al monopolio regio—>la situazione
del sistema produttivo costringeva le colonie a procurarsi comunque le merci di cui avevano bisogno
altrove.
La pirateria e la lotta contro i Turchi - Nel 1560 i turchi avevano sconfitto a Ceuta la flotta spagnola
e nel 1565 avevano messo a dura prova la resistenza di Malta con un assedio durato vari mesi.

- Esistenza della pirateria barbaresca, ma anche di quella cristiana e addirittura la corsa, cioè quella
autorizzata.

Il successore di Solimano il Magnifico, Selim II occupa Cipro (dominio veneziano) situato in una zona
strategica (1570). Papa Pio V porta alla costituzione della Lega Santa contro i turchi, formata dal
pontefice, dalla Spagna e da Venezia. A capo della spedizione vi è Giovanni d’Austria, fratello di
Filippo II. -7 Ottobre 1751: Battaglia di Lepanto. Si risolve con una grande disfatta dei turchi. Ondata
di entusiasmo nei paesi vincitori. Conseguenze: i turchi si ripresero prestissimo e stipularono una
pace separata con Venezia, che si rassegnò alla perdita di Cipro.

- Moriscos: musulmani battezzati, discendenti delle popolazioni arabe che avevano un tempo invaso
la Spagna. Impegnati tradizionalmente nel commercio e nell’artigianato, sono accusati di essere
rimasti segretamente attaccati alla loro vecchia fede. Nel 1609 vengono definitivamente espulsi
dalla Spagna, provocando seri danni all’economia.

14) L’Invencible Armada

Alla morte di Edoardo VI, sale al trono Maria Tudor, detta Maria la Cattolica, nata dal matrimonio
tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona. Carlo V approfitta della situazione e organizza il matrimonio
tra Maria e suo figlio Filippo II. -Allo stesso tempo Enrico II di Francia, fece sposare suo figlio
Francesco II con Maria Stuart, principessa ereditaria di Scozia. -Maria Tudor procede
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immediatamente a una sistematica restaurazione del cattolicismo, avvalendosi dei tribunali e del
rogo. La regina morì poco tempo dopo e fu ricordata come Maria la Sangunaria - Elisabetta I è la
nuova sovrana, figlia di Enrico 8 e Anna Bolena. I cattolici però avrebbero potuto contestare la
validità di questa successione, poiché era figlia di genitori scomunicati e nata da un matrimonio che
il papa aveva dichiarato sacrilego. Tutti attendono la reazione di Filippo II, che se ne guarda bene di
intervenire perché Maria Stuart moglie di Francesco II era la più diretta erede al trono inglese dopo
Elisabetta. Se quest’ultima fosse stata spodestata, Maria Stuart avrebbe unito nella sua persona le
due corone e suo marito avrebbe governato Francia e Inghilterra. Filippo II perciò chiede la mano
ad Elisabetta che lo rifiuta, come tutti gli altri pretendenti di tutta Europa. - Maria Stuart sale al
trono di Scozia nel 1561. Francesco II però muore precocemente a soli 17 anni. Il calvinismo aveva
raggiunto posizioni maggioritarie e non accettava alcun dialogo con il potere politico. La regina cercò
di recuperare il cattolicesimo e allacciò stretti rapporti con Filippo II e con il Papa. Sempre di più,
Maria appariva come la rivale di Elisabetta.-Una torbida vicenda di corte, culminata nell’assassinio
del secondo marito di Maria Stuart, fece precipitare la situazione perché si avanzava l’ipotesi che la
regina fosse complice. Si ebbe la conferma dei sospetti quando Maria sposò l’assassino del marito,
di cui era innamorata - In questa vicenda naufraga il trono di Scozia. Abbandonata dal popolo nel
1567 fu costretta ad abdicare in favore del figlio Giacomo . Mentre l’Inghilterra si rafforzava
economicamente, s’infittivano le manovre cattoliche per abbattere Elisabetta in favore di Maria
Stuart, che benché fosse prigioniera, era diventata il vessillo della Chiesa Cattolica e mai rinu nciò
all’idea d’insidiarsi sul trono inglese. -Alla scoperta dell’ennesima cospirazione Maria fu processata
e condannata a morte. Elisabetta esitò a lungo prima di fare eseguire la sentenza perché
l’esecuzione di una regina era un fatto senza precdenti, ma alla fine si piegò alla volontà dei più .-A
questo punto la guerra tra Spagna e Inghilterra divenne inevitabile: Filippo II decide di s ferrare un
attacco diretto all’Inghilterra. Se Filippo avesse vinto, il predominio spagnolo in Europa occidentale
non avrebbe più avuto rivali e la religione cattolica avrebbe trionfato -Flotta di dimensioni enormi:
130 navi, 30 mila uomini e altri 30mila soldati di stanza nei Paesi Bassi agli ordini di Alessandro
Farnese avrebbero dovuto attraversare la Manica non appena l’Invincibile Armata, se ne fosse
impadronita. -Nel 1588 la flotta spagnola entra nella Manica sventolando stendardi con le immagini
della Madonna e del crocifisso di fronte alle navi inglesi invece chiamate Toro, Tigre = due mondi
opposti. Tattica spagnola era tradizionale, mentre quella inglese innovativa. Grossa disfatta
15) Filippo 2 e i Paesi Bassi

Filippo II eredita i paesi Bassi nel 1556 dopo l’abdicazione di CARLO V, i quali diventano possedimenti
della corona spagnola dopo anni sotto il controllo del Sacro Romano Impero. Questo periodo
prepara i Paesi Bassi ad uno scontro vs il Regno di Spagna per i cambiamenti politici, economici e
religiosi che interessano l’Europa tra il 500-600. IMPORTANZA economica: i commerci fiorenti hanno
arricchito gli abitanti dei P. Bassi, un paese incentrato sul capitalismo e azionismo, più progredito
della Spagna (basata su agricoltura e commerci annessi). Grazie alla posizione geografica e allo
sviluppo mercantile delle città, regolano l’andamento dei viaggi atlantici, che riforniscono le casse
del re di oro e argento americano. Inoltre, sono un punto di passaggio obbligato per i convogli, che
approvvigionano la popolazione e gli eserciti spagnoli con cereali prodotti nelle regioni baltiche.
POLITICA—> I P. Bassi sono una federazione di 17 province, diverse tra loro per lingua e religione:
le regioni settentrionali sono abitate da protestanti fiamminghi, quelle meridionali da cattolici
valloni.
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RIVOLTA—> Inizia quando nei P. Bassi, che avevano goduto di ampie autonomie con Carlo V, Filippo
introduce lo stesso sistema di governo autoritario che vige in Spagna con:

- l’istituzione del tribunale dell’inquisizione

- soppressione di ogni libertà di autogoverno

- imposta del 10% sulle entrate

- imposizione del cattolicesimo anche alla borghesia mercantile e nobiltà che aveva già aderito al
calvinismo.

Nel 1566 (in occasione d’una carestia) i ribelli, col titolo di pezzenti, rivoltano a Nord, dove è più
radicato il credo calvinista e presto anche nel sud cattolico, portando alla cr eazione dell’UNIONE DI
GAND (1576), che comprendeva tutta la popolazione dei Paesi Bassi, indipendentemente
dall’appartenenza religiosa e sotto la guida di GUGLIELMO D’ORANGE, il maggior rappresentante
della nobiltà locale. Dopo la controffensiva spagnola (prima con l’intollerante DUCA D’ALBA, che
soffocò la ribellione nel sangue, e poi con il ragionevole ALESSANDRO FARNESE portando le province
del sud sotto il controllo spagnolo). L’accordo non dura a lungo: nel 1579 le province cattoliche del
sud si staccano e giurano fedeltà al re di Spagna. Quelle de nord, invece, danno vita alla repubblica
delle 7 Province Unite (1581) e affermano la propria indipendenza dalla Spagna. Scoppia così una
lunga guerra, che dopo alterne vicende, si conclude con la vittoria di quella nuova repubblica,
ribattezzata Olanda

16) La guerra in Italia e la Lega di Cognac: dal sacco di Roma alla pace
Le questioni sulle quali vigevano dei contrasti fra le 2 potenze erano diverse: - Il ruolo della
Borgogna, in mano francese ma rivendicata per motivi dinastici da Carlo V;

- Il dominio sul Ducato di Milano, in mano alla Francia, che diveniva di vitale importanza per
l'Impero poiché costituiva il nodo di aggancio fra la Germania e la Spagna;

- Il possesso di Genova, grande scalo commerciale, utile per entrambi le compagini statali, in
particolare per Carlo, in quanto avrebbe potuto unire l’Aragona e l’Italia via mare;
- La rivendicazione francese sui territori imperiali delle Fiandre e della Contea di Artois;

l blocco di alleanze era così suddiviso:


A) dalla parte francese si schieravano la Repubblica di Venezia e i Cantoni svizzeri (Trattato di
Friburgo, 1516);

B) l'Impero poteva contare sull'aiuto dell'Inghilterra dei Tudor e sul Papa Leone X. Enrico VIII
Tudor (1509-1547) riteneva opportuna l'alleanza (1521) con l'impero per via dei
possedimenti dei Paesi Bassi, proficui dal punto di vista commerciale, e anche per continuare
la normale politica anti-francese inaugurata con la guerra dei 100 anni; Leone X invece aveva
scelto di unirsi con l'Impero per via delle confliggenti mire espansionistiche tra la Francia e
lo stato Pontificio (entrambe volevano estendere i propri possedimenti nell'area ferrarese e
lombarda).

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La guerra fu inaugurata da incursioni francesi, prima in Lussemburgo e poi in Navarra (1521),
entrambe stoppate dalle truppe tedesche. La guerra volse sin da subito a favore dell'Impero:
nell'estate del 1521 le truppe ispanicopontificie occupano Milano, e nel dicembre dello stesso anno
Leone X muore e al suo posto viene eletto pontefice l'ex reggente di Spagna e consigliere di Carlo V
Adriano di Utrecht, col nome di Adriano VI (1522-23). Nel 1522 la Francia provava una
controffensiva nel nord Italia, ma con la sconfitta della Bicocca (aprile 1522) dovette cedere anche
Genova agli imperiali. La defezione di uno dei maggiori generali francesi, Carlo di Borbone (per aver
organizzato un complotto nei confronti di Francesco I ed esser passato al nemico), e il voltafaccia
di Venezia, alleatasi con l'Impero (1523), rilevarono una condizione di debolezza per la monarchia
francese e permisero a Carlo V di creare una grande coalizione antifrancese di cui facevano parte:
Impero, Inghilterra, Stato della Chiesa, Repubblica di Venezia, Repubblica di Firenze, Repubblica di
Genova, Repubbliche di Lucca e Siena (agosto 1523).

Questa vasta coalizione non poteva tuttavia ritenersi sicura, in quanto Venezia, pur facendone
parte, non aveva sconfessato i passati accordi con la Francia, e il contributo degli inglesi non fu così
determinante come pensava Carlo V. A ciò si aggiunge la morte di Adriano VI e l'elezione del Papa
Clemente VII (1523-34), che indirizzò la sua politica verso l'intesa con Francesco I; quest'ultimo,
intanto, nel corso del 1524, aveva riacciuffato Milano e stava assediando la fortezza di Pavia.

Il corso della guerra sembrava stesse cambiando: il 5 gennaio 1525 veniva sancito un nuovo accordo
tra Francia, Venezia, che voleva impedire un dominio imperiale nel nord Italia, e Santa sede, la quale
non vedeva di buon occhio il programma religioso di stampo erasmiano portato avanti da Carlo V.
Per la Francia, tuttavia, gli eventi precipitarono: smobilitato l'assedio e sconfitte le truppe che
assediavano Pavia (febbraio ’25), i soldati imperiali catturarono Francesco I, che condotto a Madrid
dovette firmare un trattato impietoso (gennaio ’26): restituzione della Borgogna all'Impero e fine
delle pretese francesi sull'Italia, sulle Fiandre e sulla contea di Artois. Gli stati coinvolti nel conflitto
iniziarono a temere di un egemonia incontrastata dell'Impero in Europa, e reagirono di
conseguenza: Inghilterra, Venezia e Santa Sede firmarono delle paci separate con la Francia e si
unirono in funzione anti-imperiale; nacque così la Lega di Cognac (maggio 1526) di cui faceva parte
anche Milano; ma le divergenze strategiche che dividevano i componenti della Lega vennero a galla
(Venezia era interessata alla difesa della zona lombarda, il Papa alla conquista di Genova) e l'alleanza
non seppe organizzare un'unità politica di attacco nei confronti di Carlo V (impegnato a combattere
contro i turchi a Mohacs, agosto ’26). Intanto il Papa, rimasto senza soccorsi a Roma, vide la città
saccheggiata da 5000 seguaci della famiglia Colonna, alleata dell'Impero: Clemente VII chiese e
ottenne una pace separata con l'imperatore.

Dal sacco di Roma alla pace


La notizia della pace separata (marzo 1527) e il ritardo nei pagamenti portarono circa 20.000 soldati
tedeschi, i c.d. Lanzichenecchi, a continuare la discesa in Italia; dopo aver sbaragliato presso
Mantova le forze della Lega di Cognac, giunti alle porte di Roma, il 6 maggio 1527 iniziarono un
terribile saccheggio della Capitale, durato quasi 9 mesi: vennero profanate le chiese, distrutte le
opere d'arte, uccisi i prelati → la maggior parte dei guerrieri era di fede luterana. Clemente VII si
ritirò nella sua fortezza di Castel Sant'Angelo. Sempre nel mese di maggio, venne formalizzata
l'alleanza franco-inglese in funzione antimperiale, la quale però non riuscì a frenare il collasso dello
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Stato della Chiesa: le altre potenze italiane approfittarono di questo momento di estrema debolezza
del Papato per occuparne i territori, mentre a Firenze i Medici, privi di protezione, cadevano per far
posto ai repubblicani. Clemente VII si consegnò agli invasori nel mes e di giugno e fu costretto a
sottoscrivere un trattato di resa che gli imponeva la neutralità nel conflitto. L'offensiva francese
ripartì sotto il comando del generale Lautrec (maggio ’28), che cercava di rimpossessarsi del Regno
di Napoli, ma nell'assedio della capitale morì di peste; Genova (nel 1527 era tornata città francese)
e la sua flotta (comandata dall’ammiraglio Andrea Doria) passavano dalla Francia all'Impero; il Papa
tentava un riavvicinamento molto difficoltoso con l'Impero, a causa delle divergenze di carattere
religioso e culturale aperte dal saccheggio di Roma, ma che si concretizzò con il Trattato di
Barcellona del 1529:

- accettazione da parte del Papato dell'annessione diretta del Ducato di Milano da parte
dell'Impero;

- restituzione delle città di Firenze alla famiglia de Medici;

- recupero delle terre occupate dai nemici dello stato della Chiesa.
Con la Pace di Cambrai dell'agosto 1529 (Pace delle 2 dame, poiché negoziata dalla zia di Carlo,
Margherita d'Austria, e dalla madre del sovrano francese, Luisa di Savoia) veniva sancito un accordo
fra i 2 grandi contendenti, Carlo V e Francesco I: rinuncia francese alle pretese di dominio in Italia,
conservazione francese della Borgogna e restituzione dei figli di Francesco I. Carlo V ottenne la
supremazia imperiale in Italia, con l’annessione del ducato di Milano, sancita dalla Pace di Bologna
del gennaio 1530, e dalla cerimonia di incoronazione (febbraio 1530) attraverso cui Clemente VII
nominava Carlo V Imperatore e Re d'Italia.

17) La dinastia Tudor

Lo Stato inglese era passato dall'essere una compagine protagonista nello scacchiere europeo,
nel XV secolo, al diventare uno stato di second'ordine agli inizi del '500, e poi a rivestire
nuovamente lo status di grande potenza nella seconda metà del XVI secolo. Ciò fu possibile
grazie all'opera centralizzatrice e di consolidamento monarchico avviata dalla dinastia Tudor:
essi, dopo aver sconfitto il feudalesimo, avevano riunificato i possedimenti, favoriti anche dalla
mancanza di particolari comunità autonomie (tranne che a Londra) e dall'acuta mobilità sociale.
L'aristocrazia inglese (composta dai lords inglesi e dal ceto nobiliare) non aveva ostacolato
questo processo di accentramento: infatti gli strati sociali più alti vennero colpiti da un'inflazione
molto forte per tutto il '500 e per sostentarsi dovettero vendere le proprietà allo stato,
dipendendo sempre più dal sovrano, il quale molte volte li attirava a corte affidandogli incarichi
prestigiosi; per cui i nobili mantennero un alto status sociale per tutto il XVI secolo. Sostegno
importante venne dalla gentry, composta da proprietari fondiari che vivevano del reddito di
estese proprietà agrarie e formavano un èlite in grado di amministrare e controllare la politica
locale per lungo tempo. Altro aiuto all'accentramento nazionale era fornito dai grandi mercanti,
i quali associavano la stabilità interna dello Stato con un miglioramento dell'economia nazionale
e con la protezione delle attività mercantili. La monarchia inglese era priva di un esercito

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permanente e di un'estesa burocrazia, e trovò molta collaborazione nella piccola nobiltà di
campagna per quanto riguarda l’amministrazione delle periferie, in quanto ai piccoli proprietari
terrieri vennero affidati compiti burocratici che favorivano la loro ascesa sociale ed economica.
Inoltre, venne riformato l'ordinamento amministrativo, con l'introduzione delle contee,
dapprima affidati a sceriffi e poi a giudici di pace scelti dal re in base al censo che esercitavano
anche funzioni giudiziarie. L'amministrazione centrale dello stato rimase invece appannaggio
dei lords e il settore burocratico più consistente era lo Scacchiere, che aveva la funzione di
esazione e verifica delle entrate statali esercitata da un Lord tesoriere e da un corpo di
esattori; accanto ad esso vi era poi la Cancelleria, con compiti prettamente amministrativi e
giudiziari (redazione degli atti regi, registrazione delle concessioni della corona, ecc..) e gestita
da un Lord cancelliere. L'amministrazione giudiziaria era invece esercitata dalla Common Law,
ossia dal diritto consuetudinario fondato sulle raccolte giurisprudenziali delle sentenze dei
giudici, e i 4 tribunali che giudicavano attraverso la Common Law erano:

- Tribunale reale, per la giustizia criminale;


- Tribunale delle cause comuni, per le cause tra i privati cittadini;
- Corte dello Scacchiere, per le cause relative alle finanze regie;
- Camera Stellata (Star Chamber), ossia la sezione del Consiglio privato (Privy Council, il quale
svolgeva incarichi politici per conto del sovrano e lo aiutava nell'attività di governo) del re
che giudicava i reati contro le prerogative regie.
Tuttavia, accadeva facilmente che venissero accantonate le specifiche competenze giudiziarie e ogni
tribunale si occupava di qualsiasi causa loro sottoposta. Così organizzato, il potere della corona
inglese trovava un suo contrappeso nel Parlamento: era diviso in 2 camere, la Camera (alta) dei
Lords, di cui facevano parte i membri delle famiglie aristocratiche e gli esponenti del clero, e la
Camera (bassa) dei Comuni, composta invece dai deputati eletti nelle contee e nelle città; pur
appoggiando la monarchia, l'istituzione parlamentare non si sottraeva mai allo scontro se dovevano
essere salvaguardati i suoi interessi personali, nondimeno nel corso del '500 si percorse la strada del
compromesso e della collaborazione con la corona, in quanto non si volevano guastare gli equilibri
sociali e politici dello stato. La convocazione del Parlamento non era obbligatoria per il Sovrano,
senonché nei casi della fissazione di nuove imposte, e per altri provvedimenti finanziari connessi
alle scelte politiche prese dal re (per cui il sovrano era vincolato alla decisione del parlamento, in
quanto i provvedimenti regi approvati assumevano forza di legge). Progressivamente, quindi, i
Tudor cercarono di influenzare il potere parlamentare, controllando la nomina del Presidente della
Camera dei Comuni (Speaker) e la nomina dei Lords attraverso la creazione di un sistema clientelare
di favori e licenze fra Corona e aristocrazia, il c.d. Feudalesimo bastardo. Le entrate statali
dipendevano soprattutto dagli affitti e dal reddito delle terre della corona (demanio regio), ma
queste erano minate dall'ascesa generale dei prezzi e dalla difficoltà di gestire un patrimonio tanto
vasto, in presenza di una elevata corruzione e di concessioni sempre più ampie a favore dei nobili.
Altri introiti provenivano dai dazi doganali e dalla c.d. Fiscalità feudale, in quanto vennero convertiti
gli obblighi giuridici-naturali dei signori nobili in obblighi fiscali. Dal punto di vista economico, Enrico
VIII (1509-47) aveva tratto larghi vantaggi dallo scisma anglicano (vedi cap5, par5) in qua nto si era
attuata la vendita delle proprietà monastiche, e a ciò si aggiunse la riscossione delle decime
ecclesiastiche. La riforma dell'apparato finanziario-amministrativo fu portata avanti da un
consigliere fidato del re, Thomas Cromwell. Costui fu anche l'esecutore dell'assoggettamento
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forzato del Galles (1536) alle istituzioni e al diritto inglese → abbattimento dei privilegi locali, riforma
amministrativa, introduzione delle contee, elezioni di deputati gallesi in Parlamento. Stessa linea
guida si seguì nell' Irlanda cattolica, ma con scarsi risultati, del cui controllo gli inglesi disponevano
soltanto nella parte orientale, mentre la parte occidentale era governata da famiglie normanne e da
un governatore nominato dal re d'Inghilterra. Rapporti assai difficoltosi intrattenevano gli inglesi
anche con il confinante Regno di Scozia. Qui la Dinastia Stuart non era riuscita a imporsi sulle grandi
famiglie feudali, i clan, le quali condizionarono l'attività governativa di re Giacomo V Stuart (1513-
42) per tutto il suo regno; grande solidità e forza invece imprimeva l'istituto della Chiesa Scozzese,
fortemente cattolica e che iniziò a indebolirsi con la diffusione delle idee protestanti e con lo scisma
anglicano. Il ridimensionamento della Chiesa provocò disordini e instabilità nel regno; alla morte di
Giacomo V, gli successe la reggente Maria di Lorena, cattolica, imparentata con la famiglia Guisa in
Francia che governò il paese insieme alla figlia minorenne del re Maria Stuart (1542-1568); Maria di
Lorena attuò una forte repressione nei confronti del Protestantesimo e dei suoi seguaci, i quali si
affidarono all'opera riformatrice del teologo scozzese John Knox (1513-72). quest'ultimo venne
catturato dalla reggente nel 1547, mentre grazie all'aiuto francese poté fermare l'invasione inglese
(arrivata alle porte della capitale Edimburgo, per difendere gli interessi protestanti). Intanto alla
morte di Re Enrico VIII (gennaio 1547) salì al trono il figlio primogenito Edoardo VI Tudor (1547-53)
a soli 10 anni; il regno venne quindi affidato a un Consiglio di reggenza affidato allo zio di Edoardo
VI, il duca di Somerset. Egli si dimostrò fin da subito in conflitto con la stabilità dottrinale (ma no n
politica) su cui si era innestata la politica religiosa del predecessore e il conseguente scisma
anglicano, il quale appunto era riuscito a conservare la sostanza dottrinale del cattolicesimo
nonostante lo strappo ecclesiastico con Roma; Edward Seymour, duca di Somerset, si distinse quindi
per il suo riformismo protestante: impose la lettura obbligatoria delle Sacre Scritture in inglese, la
legalizzazione del matrimonio degli ecclesiastici e l'abolizione dello Statuto dei 6 articoli (1537)
emanato da Enrico VIII e che abbracciava l'ortodossia cattolica, per cui grazie a queste riforme
giunsero in Inghilterra un gran numero di protestanti emigranti, fra cui John Knox, Bernardino
Ochino, Martin Bucero, ecc. Insieme con l'instabilità religiosa, la fragilità economica del paese,
soggetto alla rivoluzione dei prezzi e alla crescita della disoccupazione (causata dall'apposizione
delle enclosures, ossia le concessioni fatte ai grandi proprietari terrieri di poter recintare il proprio
terreno e l'allevamento → non vi era più richiesta di braccianti agricoli), provocarono lo scoppio di
2 rivolte a pochi mesi di distanza, in Norfolk e in Cornovaglia (1549). I provvedimenti presi dal
Seymour (leggi per il controllo delle enclosures) gli provocarono l'antipatia dei parlamentari e la
sconfitta politica nello scontro con il duca di Warvick, John Dudley (morto nel 1555), il quale si era
messo in mostra per aver represso la ribellione nel Norfolk; inaugurò un governo ancor più filo-
protestante del precedente: venne sostituito l'uso dell'altare con le più profane tavole per la
comunione, mentre l'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, addivenne all'ideologia
calvinista; venne pubblicato un Prayer book protestante congiuntamente all'Act of Uniformity
(1552), la legge di uniformità del culto; infine l'anno dopo vennero pubblicato i 42 articoli, una serie
di principi teologici contrari all'ortodossia cattolica. Con la morte del giovane re Edoardo VI, sotto il
cui regno era avvenuta questa trasformazione dell'originario anglicanesimo in una riforma
dottrinale di stampo protestante, si formò l'opposizione cattolica attorno all'erede al trono Maria I
Tudor (1516-58, regina d’Inghilterra dal 1553-58; N.B. Da non confondere con Maria Stuart), la quale
si fece proclamare regina nel 1553 a Londra. Ella si convinse, sbagliando, che l'entusiastica
acclamazione a cui fu sottoposta nel giorno dell'incoronamento fosse profetica di una tranquilla

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restaurazione cattolica: dapprima fece arrestare e/o sostituire circa 300 vescovi filo-protestanti e
impose al Parlamento l'abrogazione delle leggi delle leggi religiose emanate sotto Edoardo VI; in
seguito nacquero i primi problemi con la richiesta avanzata ai proprietari terrieri della gentry di
restituire i beni ecclesiastici confiscati ai cattolici, richiesta che venne criticata dalla Camera dei
Comuni. Si pose poi il problema di trovare un marito da cui avere un legittimo erede: la scelta ricadde
sul cattolico Filippo II di Spagna, figlio di Carlo V, e ciò avrebbe consentito l'unione dei 2 regni,
cingendo in una morsa mortale la Francia cattolica; tuttavia, la proposta incontrò molte proteste sul
versante interno, soprattutto da parte (ovviamente) dei tanti emigranti protestanti e dalla
maggioranza degli aristocratici contrari a un re straniero. Nondimeno il matrimonio venne
annunciato comunque nel gennaio 1554 (ma mai realmente celebrato), e ciò provoco lo scoppio di
una serie di ribellioni, la più grave quella che minacciò le stesse mura di Londra, nel febbraio 1554,
capeggiata da Thomas Wyatt: essa venne crudelmente repressa (venne chiamata Maria d'Inghilterra
la Sanguinaria → Bloody Mary) e la restaurazione si fece ancora più profonda: vennero mandati al
rogo molti esponenti protestanti e nel novembre 1554 venne finalmente sancita la riunificazione
della Chiesa Inglese con quella romana, con la clausola dell'intangibilità delle proprietà
ecclesiastiche già acquisite dai privati. La regina morì nel novembre 1558, 4 anni dopo aver
“concluso” l'opera restauratrice e salì al trono la sorella Elisabetta I Tudor (1558-1603) che inaugurò
il felice periodo “elisabettiano”.

18) Martin Lutero

Martin Lutero nacque in Turingia nel 1483 da una famiglia di discreta condizione sociale. Non ebbe
un’infanzia facile, caratterizzata da un forte rigore morale, il quale poi avrebbe condizionato il suo
atteggiamento psicologico e, conseguentemente, l'elaborazione dottrinale della Riforma. Dopo aver
iniziato gli studi nella cittadina di Mansfeld, proseguì a Magdeburgo e poi ad Erfurt dove nel 1505 si
iscrisse a Giurisprudenza. Tuttavia, i suoi studi giuridici furono ben presto frenati da un evento che
cambiò radicalmente la vita del giovane Martin: egli si salvò a una tempesta di fulmini scatenatasi
in piena estate, al contrario di un suo amico che era con lui (rimase fulminato). Così nel luglio dello
stesso anno entrò nel convento agostiniano di Erfurt e fu avviato allo studio della teologia,
completato poi nel 1508 a Wittenberg, dove divenne docente. Le università tedesche ricoprirono
un ruolo importante dal punto di vista religioso in quanto favorirono la formazione di nuove correnti
dottrinali, che poi influenzarono lo sviluppo del pensiero luterano. Fino alla metà del XIV secolo era
la Scholastica aristotelica il movimento culturale-religioso diffuso nelle università europee, con la
variante interna del realismo (il concetto filosofico di universale era una realtà autonoma concreta,
e non aveva un origine linguistica o teoretica, gli oggetti del pensiero quindi hanno un'esistenza
indipendente e concreta rispetto allo stesso; conoscenza universalmente oggettiva) ; nel periodo
successivo, fa la sua comparsa il nominalismo (il concetto filosofico di universale non è autonomo
ma dipende dal pensiero del soggetto, che dà al concetto un nome; per cui la conoscenza è
universalmente soggettiva, e porta ad aumentare i contrasti interpretativi tra un soggetto e un altro,
in quanto il significato di quel concetto è soggettivo; per cui i nominalisti credevano fosse necessario
l'abolizione degli universali filosofici, affinché possano essere attenuati codesti contrasti) con il loro
portavoce Guglielmo d'Occam (disputa sugli universali). Fra gli altri teorici nominalisti spiccava
Gabriel Biel, al quale si deve l'apertura di alcune Università tedesche a questa via moderna, fra cui
Erfurt. Grazie a Biel si diffuse una tendenza semi-pelagiana che avrebbe portato Lutero a una
posizione diametralmente opposta alla tradizione agostiniana:

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1) Tradizione agostiniana: la salvezza dal peccato dell'umanità dipende dal volere di Dio: la grazia
viene concessa da Dio ai predestinati, uomini che non hanno possibilità di salvarsi da soli;

2) Tradizione pelagiana: l'umanità dispone di risorse autonome, le quali gli consentirebbero di


salvarsi e Dio deve soltanto “premiare” i meriti individuali.

19) Gli inizi della Riforma

Nel 1513 viene eletto pontefice Leone X (1513-21): sin dall'inizio del suo pontificato intensificò la
proliferazione della pratica indulgenziale nei vari paesi europei, soprattutto poiché vi era bisogno di
nuovi fondi per ristrutturare la basilica di San Pietro. Tuttavia, a volte sorgevano delle difficoltà nella
contrattazione economica fra la Santa Sede e le autorità politiche dei paesi cattolici, in quanto
quest’ultimi non sempre erano disposti ad accettare le ingerenze papali nella politica interna. Uno
dei primi problemi sorse a Jute Borg, nel Brandeburgo, dove un sotto-commissario pontificio
preposto alla predica dell'indulgenza, Giovanni Tetzel, svolse il suo ufficio in una regione in cui non
era consentita l'esazione indulgenziale (era consentita nelle provincie ecclesiastiche di Magonza e
Magdeburgo, e nel Marchesato del Brandeburgo).

Lutero si scagliò contro questa pratica (che si esplicava nell'acquisto dell'indulgenza all’interno delle
regioni in cui era permessa l'esazione indulgenziale; ciò avveniva attraverso un'offerta pecuniaria e
la ricezione di una lettera d'indulgenza, che avrebbe esteso la pratica indulgenziale anche al di fuori
dei territori dove essa era permessa) che vedeva molti cittadini di Wittenberg (Sassonia), spostarsi
dalla Sassonia (dove non era consentita l'indulgenza) a Juteborg, per poi tornare muniti di lettera
d'indulgenza che eliminava ogni loro peccato. A differenza di quanto sostiene la tradizione, Lutero
non affisse mai le 95 tesi contro la pratica indulgenziale alla porta della cattedrale di Wittenberg, il
31 ottobre del 1517; in quel giorno egli scrisse e inviò una lettera (con allegate le 95 tesi luterane)
all'arcivescovo di Magonza, Alberto di Hohenzollern, per notificargli la funzione del Tetzel; e nei
giorni seguenti stessa sorte toccò all'arcivescovo del Brandeburgo, interpellato riguardo la
possibilità di pubblicare le 95 tesi luterane.

Entrambi diedero parere negativo alla loro pubblicazione; tuttavia, le 95 tesi vennero diffuse nei
giorni seguenti, nelle università tedesche, a insaputa di Lutero stesso. In queste tesi erano presenti
attacchi alla pratica indulgenziale e all'autorità ecclesiastica in generale, fra di essi i più importanti:

1) veniva contrapposta la carità sociale all'esazione indulgenziale;


2) l'autorità papale era considerata alla stessa stregua di un vescovo o di un sacerdote;

3) erano i vescovi a essere ritenuti responsabili della diffusione delle indulgenze;


4) le risposte che avrebbe dovuto dare la chiesa a queste tesi dovevano basarsi su opinioni ragionate
e non su risposte date in base al principio d'autorità medievale.

La formazione dottrinale di Lutero inizia il suo sviluppo attraverso il commento all'Epistola di S.


Paolo ai Romani per poi proseguire attraverso prediche, commenti al neo-testamento e preghiere
di grande diffusione sociale. La sistematizzazione dei suoi scritti avvenne grazie all'opera di Filippo
Melantone (1497-1560), che operò anche una eliminazione di posizioni dottrinali più estreme, quali
il Manicheismo, il quale sosteneva la presenza di un entità bipolare all'interno di Dio stesso, una
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derivante dal bene, l'altra derivante dal peccato, dal male; l'assunzione del peccato in Cristo
porterebbero Lutero a non riconoscere l'unità delle due nature in Cristo ma a parlarne come un
compositus; per cui Lutero venne accusato anche di Anti-trinitarismo.

Tuttavia, l'impianto teorico-dottrinale luterano si attestava su capisaldi paolini e agostiniani:

1) il genere umano viene visto come un “contenitore della dannazione”, in quanto è corrotto dal
peccato originale: per cui gli uomini non possono redimersi da soli e non possono cooperare insieme
per la salvezza; 2) la morta di Cristo salva l'umanità: gli uomini trovano la giustificazione alla
liberazione dal peccato non nelle loro opere, ma nella sola fede (giustificazione ex sola fide);

3) la grazia di Dio viene concessa solo ai “predestinati”, non a tutti gli uomini;

4) il libero arbitrio è corrotto dal peccato originale (mentre per i cattolici esso concorreva alla
salvezza del genere umano);
5) la Chiesa è la comunità dei fedeli, non vi sono più gerarchie e istituzioni ecclesiastiche e con ciò
viene meno l'autorità papale;

6) negazione dell'interpretazione autentica della Sacra Scrittura a favore di un interpretazione


individuale e libera (libero esame) da parte del singolo fedele;

7) riduzione dei sacramenti da 7 a 2 → battesimo e comunione consustanziale (contrapposta alla


transunstanzanzione): la presenza di Cristo nelle specie eucaristiche non comporterebbe la loro
trasformazione reale ma le lascerebbe nella forma originaria di pane e vino.

La sistematizzazione di questo impianto teorico portò la Santa Sede ad autorizzare le prime indagini
formali, condotte dal vescovo Ghinucci e dal teologo personale del Papa Prieras.

La possibilità di iniziare un vero e regolare processo venne posticipata da alcuni tentativi di


mediazione:
1) il primo ad opera del principe elettore di Sassonia Federico il saggio, amico sia di Lutero che degli
ambienti cattolici

2) il secondo ad opera del cameriere pontificio Carlo Von Millitz, entrambi falliti.
Intanto, Lutero stava aumentando i suoi proseliti e nuove accuse di Hussitismo (in quanto i cattolici
credevano che la sua fosse una delle tante correnti interne alla dottrina eretica di Hus) gli vennero
rivolte.
Il processo si svolse tra la fine del 1519 e il gennaio 1520 e portò alla pubblicazione, da parte del
Papa Leone X della bolla Ex urge domine, in cui veniva condannate quasi la metà delle tesi di Lutero,
ma venivano dati 60 giorni di tempo al teologo per ritrattare. La bolla e il suo testo divennero
materia dell'opinione pubblica in Germania, soprattutto nelle Università, dove maggiormente si
poteva constatare il favore di cui godeva Lutero. Approfittando di questo momento, Lutero
produsse e pubblicò 3 opere, fra l'agosto e il novembre 1520:
1) Alla nobiltà cristiana di Nazione tedesca (riassunto delle principali posizioni dottrinali della
Riforma);
2) La cattività babilonese della Chiesa (esposizione di una nuova dottrina dei sacramenti);
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3) La libertà del Cristiano (esposizione della giustificazione ex sola fide).
Il 3 gennaio 1521 Lutero veniva scomunicato grazie alla nuova bolla papale (Decet Romanum
Pontificem) e venivano interdette (sospensione delle liturgie e dei sacramenti) le città che
accoglievano Lutero. Tuttavia l'opera propagandistica di von Hutten continuava e ormai quasi
l'intera Germania stava abbracciando gli ideali della riforma
20) La stabilizzazione politica del Luteranesimo

La dieta imperiale di Worms, convocata nel gennaio 1521 non aveva all'ordine del giorno il caso
Lutero, ma la situazione socio-religioso della Germania (e non solo) portò l'imperatore Carlo V a
occuparsi personalmente della questione. La diplomazia pontificia alla dieta voleva far eseguire la
scomunica del teologo tedesco, tuttavia la grande euforia sociale per Lutero non consentiva più di
sanzionarlo tranquillamente e senza importanti conseguenze; perciò, per non destabilizzare
ulteriormente la struttura sociale tedesca, si volle attuare una politica di tolleranza, come quella
propugnata da Erasmo da Rotterdam (1466-1536), umanista, della cui corrente si fece portavoce. Il
suo appello alla riforma della Chiesa non aveva i toni aspri di contrapposizioni come ad esempio in
Savonarola. Attraverso la clericalizzazione del laicato e la diffusione della Sacra scrittura, la rifor ma
avrebbe avuto carattere pacifico; inoltre, Erasmo esaltava la spiritualità individuale e gli
insegnamenti morali rispetto alla formalizzazione delle istituzioni e delle gerarchie ecclesiastiche.
Nella sua opera, Elogio alla pazzia, egli la definisce (la pazzia) come la vita individuale che si sottrae
al formalismo dogmatico della Scholastica e le sue bigotte manifestazioni. La vera differenza tra
Lutero ed Erasmo è che il secondo, a differenza del primo, non era stato condannato dalla Chiesa
per le sue idee religiose...perché? → l'ideale umanista di Erasmo coincideva con l'idea
sovranazionale di Impero costituita da Carlo V. Inoltre, nonostante alcune critiche dell'impianto
dottrinale della Chiesa Romana (formalismo religioso, istituzioni gerarchiche e autorità polarizzata
nella figura del Papa e dei Vescovi), Erasmo presumeva la sua diffusione in tutto il globo, insieme
alla connessa lingua latina. L'umanista olandese, quindi, non voleva provocare fratture religiose e
scismatiche (al contrario di Lutero) e il suo programma dottrinale era ampiamente accettato sia
dalla cancelleria pontificia che da quella imperiale di Carlo V. Arrivato a Worms, constatando il
favore di cui godeva tra la gente durante il viaggio, a Lutero fu chiesto se volesse ritrattare le sue
dottrine e i suoi principi religiosi, ma rifiutò. Nel giro di pochi giorni abbandono la cittadina di Worms
e nel maggio del 1521 venne elaborato il testo di condanna del teologo, il c.d. Editto di Worms, a cui
seguì il rogo delle opere luterane. Lutero riuscì a sfuggire all'arresto grazie all'intervento del principe
elettore Federico di Sassonia, che lo condusse al Wartburg, in Turingia, dove rimase fino al marzo
del 1522. Al riparo dalle persecuzioni della Santa Sede, Lutero poté tradurre per la prima volta
l'intera Bibbia in una lingua volgare, il tedesco, e affidò a dei suoi collaboratori il compito di
continuare la diffusione della Riforma al suo posto. Fra questi collaboratori tra i più fidati vi erano
Filippo Melantone e Carlostadio, il quale a Wittemberg celebrò la messa di Natale del 1521
distribuendo la comunione sub utraque specie. Proprio a Wittemberg Lutero tornò nel marzo del
1522 e il suo atteggiamento era cambiato; i mesi passati a Wartburg furono fonte di crisi spirituale,
la quale gli fece fare marcia indietro su alcune novità dottrinali introdotte. Fu definito nuovo papista
da Carlostadio.

21) La guerra dei contadini e dei cavalieri

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la diffusione del luteranesimo era anche sottoposta a profonde strumentalizzazioni che fuorviavano
dal contesto religioso e che favorirono la detonazione di alcune rivolte locali:

1) la guerra dei cavalieri: i cavalieri costituivano ormai un ceto sociale in declino, ancorato agli
antichi privilegi caratteristici del feudalesimo, i cui poteri venivano ormai limitati dalla progressiva
statalizzazione del contesto sociale. Ultimo tentativo di ribalta per questo ceto fu stretta tra i
cavalieri della Renania e della Francia nel 1522. comandante della rivolta era stato designato Franz
von Sickingen, che diede inizio all'attacco (il quale avrebbe dovuto provocare l'insurrezione dal
basso nei confronti del clero locale) dell'arcivescovato di Treviri; ma nel girio di pochi mesi l'attacco
venne stroncato e Sickingen morì nel 1523 nel suo castello. Alla fine dell'estate del 1523 il problema
sociale della rivolta dei cavalieri era ormai inesistente.

2) La guerra dei contadini: i contadini erano da sempre vessati e indeboliti dalla miseria e dalla
precarietà economica, per cui bisogna analizzare il perché questa rivolta scoppiò proprio negli anni
1524-25 → come successo per i cavalieri, il declino del sistema giuridico-economico feudale aveva
indebolito fortemente le antiche libertà di cui i contadini godevano (libertà di caccia, di pesca, uso
dei boschi ecc; libertà garantite dalla presenza del diritto comune, soppiantato nell'Impero tedesco
dall'introduzione del diritto romano che le aboliva) a favore dell'accentramento burocratico-statale.
Essa, quindi, fu soprattutto una rivolta sociopolitica, poiché la lotta religiosa di Lutero e dei suoi
compagni contro le istituzioni ecclesiastiche si era trasformata in una lotta politica contro le
istituzioni imperiali. Capo morale della rivolta fu Thomas Muntzer: egli esercitava l'azione pastorale
nella città mineraria di Zwickau dove venne in contatto con la setta profetico-millenaristica del
luteranesimo, che profetizzava la venuta del regno dei giusti, ovvero coloro che sarebbero stati
Illuminati dallo Spirito santo e che erano rappresentati dai ceti sociali più tartassati. Questi contenuti
Thomas li espresse nel suo Manifesto di Praga. I primi violenti moti contadini scoppiarono a
Sthulingen, nel sud della Germania odierna, per poi propagarsi in Renania, Franconia e Turingia: in
particolare in Franconia il movimento contadino assunse carattere militare, in quanto vennero
arruolati cavalieri e soldati feudali; mentre in Svevia era più moderato e diplomatico (vennero stilati
I dodici articoli in cui chiedevano in sostanza la rivendicazione di alcune scelte sociali -religiose, il
ripristino dei propri diritti aboliti, la diminuzione dei carichi fiscali ecc.). Mentre Muntzer continuava
la sua predicazione che avrebbe favorito la nascita di nuovi focolai di rivolta, Lutero si rivolgeva (con
la sua Esortazione alla pace) ai principi e ai signori locali tedeschi imponendogli di comprendere le
ragioni dei rivoltosi, in quanto erano loro stessi la causa del male. Munzter prese il controllo della
città di Muhlausen (1525), centro di propulsione della rivolta in Turingia dove anche l’ormai il
malcontento e le rivendicazioni dilagavano. Le autorità politiche si risvegliarono dal loro torpore →
nel maggio 1525, il langravio Filippo d'Assia, insieme a Federico di Sassonia, assediarono e
conquistarono Muhlausen, facendo strage di 5000 cittadini (tra cui lo stesso Munzter); entro la fine
dell'estate la rivolta venne soffocata in tutte le regioni tedesche in cui si era diffusa. Da Roma, il
Papa Clemente VII si congratulava per la repressione della rivolta, da lui considerata luterana...

22) L’anabattismo
Zurigo invece fu teatro dell'azione riformatrice di Ulrico Zwingli (1484-1531), di tradizione borghese
e umanistica, la quale lo discostò in parte dai principi dottrinali ricavati da Lutero.

Battesimo: il battesimo, accettato da entrambe le correnti, per Lutero trasmette la fede nell'infante,
che ne è cosciente; per Zwingli non è altro che un giuramento di appartenenza ad una comunità.
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Proprio sul tema del battesimo, si innesta la nascita di una corrente dottrinale alternativa, sulla
stessa linea radicale (se non di più) dello Zwinglianesimo, da cui si distacca: l'Anabattismo (tra i
componenti di questo gruppo si distinsero Grebel, Manz e Stumpf).

I punti fondamentali di questa linea dottrinale:

1) assenza di Cristo nell'Eucarestia;


2) Bibbia come unica fonte di rivelazione

3) celebrazione austera della messa, senza paramenti e non in templi o in chiese;

4) negazione del Battesimo (da cui deriva proprio il termine Anabattismo), in quanto non era
previsto nella Bibbia neotestamentaria;
5) Comunione dei beni (comunismo di consumo) fra tutti gli associati della comunità;
6) rifiuto della guerra e sacralizzazione della non-violenza (pacifismo);

7) negazione di qualunque autorità religiosa e politica, in quanto la Chiesa era un’entità separata
dal mondo.

Venne quindi proposta una pubblica disputa fra gli Zwingliani e gli Anabattisti, la quale venne in
pochi giorni liquidata proprio da Zwingli e dalle autorità politiche zurighesi, considerandola
socialmente pericolosa. Questa decisione portò alla prima riunione ufficiale della comunità
anabattista nella casa di Manz; paradossalmente, le espulsioni dei primi predicatori anabattisti
favorirono la sua diffusione, soprattutto nella Germania meridionale (dove Hans Deck aveva già
formato un'altra comunità anabattista), in Turingia, Moravia, Tirolo. La questione anabattista,
quindi, non riguardava più i cantoni svizzeri. Espulsioni ed esecuzioni vennero decretate in Italia
settentrionale, in Germania, e a Zurigo vennero arrestati Grebel e Manz, che poi riuscirono a fuggire
di prigione e che continuarono la loro attività di proselitismo.
23) Il Calvinismo

Il radicalismo politico-religioso non era stato frenato dalla repressione anticontadina del 1525 e
dalla soppressione di ogni movimento anabattista e/o spiritualista; in tutta la Germania, la Svizzera,
fino ai Paesi Bassi, stavano divampando frizioni e contrasti sempre più radicalizzati fra le diverse
sottocorrenti e/o sètte che si erano formate da 4 grandi filoni teologici.
Secondo l’Ideologia calvinista Dal punto di vista teologico-dottrinale per Calvino rimanevano
ferme le fondamenta comuni che, dalla concezione antropologica pessimistica portavano alla
necessità d'una salvezza esterna al genere umano, alla negazione di opere meritorie e del libero
arbitrio, e dunque alla giustificazione per sola fede e alla predestinazione, Calvino aggiungeva
qualche specificazione:

1) nella giustificazione vedeva una speciale vocazione che rendeva attivo il giustificato;
2) nella predestinazione forza l'impianto agostiniano-luterano, in quanto il Dio che manifestava
attivamente e terribilmente la sua sovranità sul creato non si limitava a giustificare, tramite Cristo,
i predestinati alla salvezza, ma condannava tutti gli altri a cui non aveva concesso la grazia alla
dannazione eterna;

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3) per quanto riguarda l'Eucarestia, Calvino si pone in una posizione a metà tra Lutero e Zwingli:
egli, infatti, credeva in una comunione reale col corpo e con il sangue di Cristo senza la sua presenza
materiale nelle specie eucaristiche (→ cattolicesimo & luteranesimo) ma anche senza adesione alla
funzione puramente memoriale della cena; la cena assumeva valore simbolico nel senso del
nutrimento di fede delle anime dei credenti.

Dal punto di vista politico, Calvino si dimostrò più vicino a Zwingli che a Lutero:

1) in comune vi era la concezione dell'autorità che ottiene il proprio potere legittimante dalla Sacra
scrittura e che richiede obbedienza;

2) al contrario di Lutero, e sempre in comune con Zwingli, Calvino ammette la liceità della resistenza
contro il tiranno, e consente lo stesso tirannicidio (solo però nel momento in cui l'autorità ostacoli
la diffusione dei precetti di Dio e si ponga in contrasto con Dio stesso);
3) la resistenza è opponibile soltanto da magistrati subordinati ossia delle autorità istituzionali più
deboli e, solo in caso di mancata adesione a questo compito, potranno agire gli stessi fedeli.

24) Diritto di resistenza secondo Calvino

Secondo Calvino a noi individui spetta solo obbedire a qualsiasi autorità ci governi, ma in primis
obbedire alla volontà di Dio (DEMOCRAZIA DI DIO) —> perché pone il diritto di resistenza proprio
laddove è una minoranza a combattere contro la maggioranza. Qualunque sia l’autorità che ha il
potere, gli uomini devono avere completa obbedienza verso il potere costitutivo sia per paura delle
punizioni, ma anche in coscienza. Di fronte al governatore iniquo bisogna obbedire anche in
coscienza perché se il governante governa bene, in funzione del pubblico interesse, altro non è che
un vero specchio di Dio. Bisogna obbedire anche coloro che commettono soprusi perché si tratta di
una punizione da parte di Dio. Calvino ammette solo due possibili ribellioni: 1) vs il tiranno non si
può ribellare il popolo, ma se il tiranno agisce vs Dio e vs la vera religione, allora a destituire il tiranno
possono essere i magistrati inferiori (hanno sempre autorità derivante da Dio e di fronte alla tirannia
possono dire ai principi di destituire l’imperatore che agisce vs Dio e religione) 2) apparizione di un
eroe manifesto, voluto da Dio, che può liberare il popolo da un tiranno, come esempio Mosè. Di
fronte alla situazione di guerra civile che caratterizzava all'epoca la Francia, dal 1559 Giovanni
Calvino, ispirandosi all'esempio degli efori di Sparta, abbozzò una teoria non sistematica del diritto
di resistenza, secondo cui spettava agli Stati generali il compito di opporsi in maniera
tendenzialmente non violenta agli editti contrari alla fede riformata. Il sovrano assoluto non è però
un tiranno. L'autorità del sovrano è infatti vincolata dalla legge divina (rivelata da Dio) e da quella
naturale (l'or-dine inscritto nella creazione: in particolare, proprietà privata e famiglia). Il sovrano
può invece disattendere o modificare le leggi civili o ordinarie, rispetto alle quali è libero e sciolto
(absolutus) da qualsiasi impegno. Dinanzi alle persecuzioni politiche di cui sono fatti oggetto, i
calvinisti francesi giustificano varie forme di resistenza al potere sovrano e, nel caso dei
monarcomachi (dal greco mônarchos, "monarca", e mdchesthai, "combattere"), lo stesso
tirannicidio. Nella concezione calvinista, il detentore originario del potere (derivato da Dio) è il
popolo (non come insieme di individui ma come insieme di comunità), che, per necessità, lo
conferisce temporaneamente e limitatamente al monarca, conservando però sempre il diritto di
riprenderlo dopo un determinato periodo o qualora il monarca, contravvenendo alle clausole
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pattizie stabilite, si configuri come un tiranno. Si apre un processo di costituzionalizzazione dello
stato, in cui la sovranità del popolo emerge vs le pretese tiranniche della regalità.

25) Lo Scisma Anglicano

Si parla di Scisma Anglicano e non di riforma in quanto alla base del contrasto fra Chiesa Inglese e
Chiesa Romana non vi era un fondamento dottrinale e/o teologico, bensì soltanto un rifiuto di
riconoscere come legittima l'autorità giuridica, politica e disciplinare della Chiesa Romana. I primi
scontri sopravvennero, come dicevamo, per la questione del divorzio fra Enrico VIII e sua cognata
Caterina d'Aragona, che era rimasta vedova del fratello del re, Arturo. Enrico si innamorò di Anna
Bolena e, preoccupato di non avere avuto un erede maschio da Caterina, iniziò a pensare a
possibilità legali di far dichiarare nullo il matrimonio dalla Chiesa Cattolica; si cercò di interpretare a
suo favore un passo del Levitico, nell’Antico Testamento (XX, 21: Chi prende la moglie di suo fratello
fa cosa illecita, disonorando il proprio fratello; saranno senza figlioli). La Chiesa di Roma si mosse
con cautela per risolvere la questione, cercando di trovare delle misure moderate in grado di non
spazientire il re che sarebbe potuto giungere a drastiche rotture con la Chiesa (già lacerata dal Sacco
di Roma e dalle lotte confessionali); così fu inviato il cardinal-legato Lorenzo Campeggio (già
presente alla dieta di Augusta del 1530; par.3) per costituire il tribunale apposito a prendere la
decisione sulla nullità del matrimonio. Tale tribunale fu convocato per il maggio 1529. Intanto era
stato convocato il parlamento (che si sarebbe riunito fino al 1536), composto per la grande maggior
parte (per quanto riguarda la Camera dei Comuni) da quella Borghesia cittadina che aspirava ad
acquisire le proprietà ecclesiastiche; vittima principale di questa volontà fu, ovviamente, il
cancelliere Wolsey che venne accusato di tradimento, spogliato di tutti i suoi beni, e condannato a
morte. Al suo posto, Enrico nominò erasmiano Thomas More, il quale non si era mai dichiarato
favorevole ad annullare il suo matrimonio. Continuava così l'opera di smantellamento delle
proprietà e dei privilegi fiscali della Chiesa Cattolica: Thomas Cranmer, filoluterano e filomonarchico,
venne nominato arcivescovo di Canterbury. Nel 1532 Enrico VIII emanò l’Atto di sottomissione con
cui la Chiesa Inglese fu privata della potestà legislativa in campo religioso spirituale; fu ridotto il
pagamento delle esazioni fiscali di annate a favore di Roma; e nel gennaio 1533 Enrico VIII sposava
segretamente Anna Bolena, mentre un accomodante tribunale ecclesiastico presieduto dal Cranmer
dichiarava nullo il matrimonio. Il Papa rispose disconoscendo e annullando il matrimonio con la
Bolena e scomunicando il Re. Ciò impresse una svolta drastica ai rapporti fra Re e Papato: Enrico
vietò il pagamento dell'Obolo di San Pietro, regolò la successione dinastica con l'Atto di successione
(rendeva illegittima la figlia avuta da Caterina, Maria, e rendeva legittima la figlia di Anna Bol ena,
Elisabetta, futura regina) e infine, il 3 novembre 1534 promulgò l'Atto di Supremazia, con cui Enrico
VIII diventava il capo supremo della Chiesa d'Inghilterra → nasceva così la Chiesa Anglicana. Per
poter organizzare e incamerare correttamente tutti i beni ecclesiastici sequestrati alla Chiesa
Romana (azione legittimata dall'emanazione dell'Atto di dissoluzione) si venne a costituire un
apposito tribunale. Questa decisione non fu priva di conseguenze: scoppiarono rivolte (1536) tra i
ceti locali per la chiusura dei luoghi di culto cattolici, ma essere vennero domate all'inizio del 1537.
Intanto Anna Bolena veniva fatta giustiziare dal re, accusata di non aver dato il tanto agognato erede
maschio ad Enrico. Alla fine del 1538 inoltre, con l'emanazione di un 2° Atto di dissoluzione si poneva
fine alla millenaria presenza del monachesimo cattolico e alla vita degli ordini religiosi in Inghilterra.

26) Colloqui di Ratisbona

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Falliti tutti gli obiettivi della Politica pontificia, Paolo III guardò con sempre maggior fastidio ai
tentativi di Carlo V di giungere a un'intesa con la Lega di Smalcalda, sempre più necessaria a causa
delle continue pressioni da parte di Francesco I e anche del re d'Inghilterra Enrico VIII alla Lega per
costituire un fronte comune antiasburgico. Nell'aprile del 1539 si giunse però a un accordo fra Carlo
V e la Lega con cui si stabilì di convocare una conferenza religiosa volta ad appianare i contrasti
confessionali fra cattolici e protestanti, con l'esplicita esclusione degli esponenti pontifici, che però
vennero ammessi grazie all'opera diplomatica del Papa. Gli incontri religiosi iniziarono a Spira nel
1540 e furono presenziati dapprima da Ferdinando; in seguito i colloqui continuarono a Ratisbona,
dove intervenne anche Carlo V. I maggiori problemi nacquero all'interno della legazione pontificia,
divisa fra gli intransigenti e i moderati: nei primi capeggiava il di-lì-a-poco inquisitore Gian Pietro
Carafa, nei secondi capeggiava invece il legato pontificio e cardinale Gasparo Contarini; rag giunto
un accordo fra i moderati e gli esponenti luterani (tra cui Melantone) sulla dottrina della
giustificazione ex sola fide, questo accordo venne sconfessato dall'ala intransigente, che accusò il
Contarini di aver ceduto alle richieste dei luterani. In seguito, altri ostacoli si frapposero alla
pacificazione religiosa generale (in particolare l'impossibilità di arrivare ad un accordo sul tema
dell'Eucarestia), e Paolo III dovette quindi rassegnarsi all'idea di indire quanto prima il concilio
universale richiesto dall'Imperatore. In un incontro a Lucca, le 2 personalità si incontrarono e
decisero la continuazione dell'opera di mediazione pontificia con la Francia iniziata con la Tregua di
Nizza, considerata utile da Carlo in quanto avrebbe potuto concentrarsi nello scontro
antimusulmano nei Balcani e a Sud della Spagna

27) Contarini, Pole

Il fallimento dei colloqui religiosi di Ratisbona del 1541 aveva provocato il declino della figura del
Contarini, accusato al ritorno in Italia addirittura di essere passato “dall'altro lato della barricata”,
divenendo luterano lui stesso. Le preoccupazioni degli intransigenti ortodossi quindi si rivolgevano,
da un lato, alla propaganda riformistica moderata operata dagli eredi di Valdès a Napoli, ossia
Reginald Pole, Marcantonio Flaminio, Pietro Carnesecchi e Giovanni Morone; dall'altro lato, queste
preoccupazioni si concentravano sulla pericolosa diffusione sociale del protestantesimo in ampi
strati della popolazione, soprattutto nelle regioni di confine della Penisola, che si attuava attraverso
la distribuzione di pamphlets e giornali propagandistici che incentivavano la discussione su questi
temi religiosi. 2 fra i più celebri predicatori popolari del '500 furono Pietro Vermigli (1499 - 1562) e
Bernardino Ochino (1487-1563, vicario generale dei cappuccini, chiamato così perché nato a Siena,
nella contea dell’Oca; aderente alle dottrine valdesiane, era stato a Napoli – dove aveva conosciuto
Juan Valdes – e, in seguito alle sue predicazioni, venne richiamato a Roma dall’Inquisizione per
chiarire le sue posizioni religiose; sulla strada fra Napoli e Roma, incontra il Vermigli e con lui scappa
a Ginevra, dove entrambi vengono accolti da Giovanni Calvino; da lì entrambi continuano la loro
predicazione). Entrambi abbracciarono il Valdesianesimo, diffondendolo in tutta Italia. Nonostante
la moderazione della dottrina, essa non faceva cenno all'apparato devozionale e ai culti (culto di
Maria, dei Santi ecc.) che costituivano una parte essenziale dell'insegnamento e delle pratiche della
Chiesa Romana, per cui arrivarono le prime condanne (anche da parte dei Teatini del Carafa).

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28) Inquisizione Romana
Così nel 1542 le ultime resistenze moderate vennero superate e Paolo III si decise a istituire il
Tribunale romano del Sant'ufficio, ripristinando e riorganizzando l'Inquisizione medievale (da non
confondere con l'Inquisizione Spagnola) che venne affidata a 6 cardinali c.d. inquisitori, fra cui vi
erano il Carafa, Juan Alvarez de Toledo il maestro del Sacro Palazzo Tommaso Badia. Vennero poi
costruiti tribunali periferici e creata una fitta rete di informatori che avevano il compito di
comunicare ai cardinali le persone “sospette”. Concretamente, l'Inquisizione romana agì
efficacemente nella sola Italia, in quanto negli altri stati dovette fare i conti con le resistenze
giurisdizionali delle burocrazie episcopali e con la presenza di simili i stituzioni (→ Spagna e
Inquisizione spagnola). I procedimenti di accusa del sospettato potevano avere inizio d'ufficio,
oppure tramite denuncia non anonima. I tribunali periferici dovevano annotare l'avvio dell'iter
processuale e rinviarlo in Giudizio a Roma, se ritenuto necessario. La prima volta che l'imputato
veniva condannato la pena era perlopiù ammonitoria o patrimoniale; la seconda volta, trattandosi
di relapso, ricaduta in errore dopo l'ammonizione, le pene erano più gravi e potevano arrivare alla
condanna a morte del sospettato eretico. Infine, alla condanna dell'imputato seguiva l'esproprio dei
suoi beni.

29) Valdes e l’alumbradismo

Riferimento della riforma “moderata” nel Regno di Napoli, era l'esule spagnolo Juan de Valdés, il
quale, come Ignazio di Loyola, era stato accusato in patria di essere un fautore della dottrina
Alumbradista. Rifugiatosi nella capitale del regno fino alla morte, avvenuta nel 1541, condivideva la
dottrina luterana della giustificazione ex sola fide e l'idea pessimistica del peccato mortale, connessa
alla svalutazione delle opere umane; tuttavia, non screditava la lettura delle Sacre scritture, e
l'esperienza individuale di fede, e sottolineava come vigesse una sorta di gradualismo esoterico in
base al quale si distinguevano diversi livelli di appartenenza alla Chiesa, strutturata
gerarchicamente. Valdès, quindi, non si discostava in maniera radicale dai postulati cattolici, e
rimase all'interno del solco dei riformisti cattolici, non eretici, la cui eredità spirituale venne poi
raccolta dal cardinale inglese Reginald Pole, il quale perpetuò l'opera di approfondimento teologico
e di cauta propaganda diretta a incanalare un dissenso religioso italiano assai radicale e a ricomporre
la scissione religiosa europea recependo i punti dottrinali essenziali della Riforma senza provocare
però irrimediabili rotture dottrinali.

30) La pratica del NICODEMISMO


Un'altra via d'uscita dalla religione era costituita dalla pratica del Nicodemismo, che si espletava
nella simulazione e dissimulazione religiosa tesa a nascondere la propria vera confessione di fede
attraverso l'adesione puramente formale ed esteriore al cattolicesimo. Il termine derivava da
Nicodemo, uno dei capi dei Giudei, che secondo quanto narrato dal Vangelo di Giovanni, andava
nascostamente da Gesù di notte, per istruirsi sul regno di Dio e sui precetti cristiani. Sull’argomento
e sulla liceità o meno della dissimulazione si discusse a partire dall' intervento dell'apostolo Paolo
che giudicò scandaloso il comportamento di Pietro che aveva simulato la fede ebraica per
giustificare poi il passaggio al Cristianesimo (Lettera ai Galati); ne discusse anche l'umanista francese
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Lafevre d'Etaples, il quale sentenziò che lo stesso Paolo si era macchiato di pratiche nicodemitiche;
per Lutero inoltre, si potevano praticare cerimonie cattoliche purché esse non venissero considerate
utili per raggiungere la salvezza eterna e avessero carattere puramente indifferente la vera fede (le
c.d. adiàphora, cose indifferenti per il saggio fedele).

Calvino invece occupò una posizione intransigente per quanto riguarda il Nicodemismo: secondo il
ginevrino, le pratiche nicodemitiche avrebbero ostacolato la conciliazione interconfessionale, in
quanto gli accordi fra le varie confessioni sarebbero stati falsi e ingannatori; per cui riduceva al
mimino lo spazio degli adiàphora e individuava 3 generi di simulatori:

1) nicodemiti veri e propri, o c.d. Cripto-riformati, i quali erano i più pavidi e volevano sfuggire
alle persecuzioni dell’Inquisizione Romana;

2) libertini, essi al contrario dei primi attuavano una simulazione religiosa non tanto per
sfuggire alle persecuzioni (come i primi), ma perché convinti della propria superiorità spirituale
interiore;

3) epicurei, i più pericolosi in quanto non rinnegavano una confessione per praticarne un'altra
di nascosto, bensì nell'intimità erano profondamente atei, prescindendo totalmente dalla religione.

Questa severa disamina calvinista sull'argomento ovviamente mise in difficoltà tutti i filo-protestanti
italiani che non optarono per la fuga, speranzosi ancora di poter realizzare la conciliazione
interconfessionale tanto auspicata dallo stesso imperatore Carlo V. Tuttavia, sorse una nuova
spiegazione e sistematizzazione dottrinale che, in un certo senso, scongiurava il pericolo
nicodemitico:

31) ALUMBRADISMO
Caratteristica principale di questa dottrina era l'idea che solo una particolare illuminazione divina
(alumbramiento) potesse garantire una giusta lettura ed interpretazione delle Sacre Scritture e
(garantire) la convinzione che il totale abbandono in Dio permetteva una libertà interiore tale da
svincolarsi dall'osservanza di obblighi cerimoniali e rituali. La centralità dell'esperienza interiore di
fede come unico criterio di verità della rivelazione, favoriva lo sviluppo di un soggettivismo religioso
tale da depotenziare profondamente il ruolo delle autorità e delle istituzioni ecclesiastiche (come il
Papa) nell'interpretazione Sacre scritture; Tuttavia, sorse una nuova spiegazione e
sistematizzazione dottrinale che, in un certo senso, scongiurava il pericolo nicodemitico: l'idea,
tipicamente Alumbradista, che vi siano 2 livelli di verità accessibili dai fedeli:

il 1° livello, quello costituito dalle più alte verità esoteriche e di difficile interpretazione, accessibile
soltanto dagli eletti della fede, gli illuminati o perfetti;
il 2° livello, invece costituito da una verità accessibile dalla maggior parte dei fedeli.

Cadeva così la stessa accusa di Nicodemismo, poiché non si poteva parlare di simulazione, in quanto
le esoteriche consapevolezze raggiunte dai perfetti non potevano essere neppure comunicate alla
massa dei fedeli che non le avrebbero comprese in quanto non illuminati dalla pura verità. Da ciò se
ne deduceva che coloro che erano considerati eletti potessero continuamente interpretare i testi
delle Sacre Scritture, in base ai progressi dell'illuminazione divina (essa costituiva una posizione
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valdesiana in netto contrasto con l'affermazione luterana dell'unicità dei testi sacri come fonte di
verità e con l'accusa stessa di nicodemismo, avanzata da Calvino). La strategia nicodemitica era
intensamente messa in atto in Italia, per sfuggire dagli attacchi degli inquisitori romani, rispetto agli
emigrati d'oltralpe che si distinsero invece per aver continuato a cercare quel compromesso
religioso scontrandosi con l'intransigenza delle chiese calviniste.

32) Il Concilio di Trento

Controriforma La vasta azione svolta dalla Chiesa cattolica nel 16° sec. e in parte del 17° per
restaurare una più intensa, viva, sincera e disciplinata vita religiosa, realizzando quella «riforma nel
capo e nelle membra», già discussa nei concili del 15° sec. e resa ancor più urgente dal dilagare della
Riforma protestante nel 16° sec.

La conclusione fallimentare dei colloqui religiosi di Ratisbona determinò la fase operativa della
Convocazione del Concilio. Un concilio che secondo le volontà dei cattolici in seno al Vaticano
avrebbe dovuto concludersi con la sanzione definitiva del Protestantesimo. Paolo III lo indisse a
Trento (assecondando in questo caso il volere di Carlo V) il 22 maggio 1542 con la bolla Initio nostri
huius pontificatus; in ottobre nominava legati conciliari 3 cardinali: Paolo Parisio, Reginald Pole
(nonostante le voce e i sospetti che lo reputavano colpevole di eterodossia valdesiana) e Giovanni
Morone. Da questo gruppo partì un robusto programma editoriale, che comprendeva spiegazioni,
commenti e note riguardo i punti fondamentali di contrasto fra cattolici e protestanti. Tuttavia il
clima religioso si notevolmente deteriorato con la riorganizzazione dell'Inquisizione romana e la
morte dei 2 più grandi esponenti dei “moderati” cattolici, Contarini e Giberti, morti nel 1542-43. La
prima riunione ufficiale del Concilio si ebbe nel Maggio 1543, alla quale però presenziarono solo una
decina di vescovi. Esso fu poi sospeso diverse volte, in occasione della guerra tra Francia e Impero
(risoltasi poi con la pace di Crepy del settembre 1544), e fu poi inaugurato solennemente nel
dicembre 1545. Dopo aver definito le prime questioni organizzative, e sul diritto di voto, alla IV
sessione del Concilio (febbraio-marzo '46) si iniziarono i dibattiti teologici veri e propri: i cattolici
respinsero e condannarono la tesi luterana che fonte di verità rivelata fosse solo la Sacra scrittura e
non la tradizione; nella V sessione fu condannata l'idea del peccato originale come corruzione
radicale della natura umana e nella VI sessione si arrivò a discutere della giustificazione ex sola fide:
esso rappresentava il punto di maggio frattura tra le 2 confessioni. L'adesione a questo principio
infatti rendeva le opere meritorie umane inutili e si rivelava quindi necessario l'intervento salvifico
di Dio, che con la Predestinazione decideva chi salvare e chi no (Reginald Pole, a cui era stato
sottoposto l'obbligo di firmare il decreto anti-predestinazionistico, si rifiutò adducendo motivi di
salute). Infine, nella VII sessione si ribadì la dottrina generale dei sacramenti, ritenuti inviolabili e
irriducibili, in quanto istituiti da Gesù Cristo stesso. Il concilio divenne così un luogo di incontri per
un numero considerevoli di ciarlatani, visionari mistici ecc., ognuno con la propria idea da proporre,
unendo tutti questi individui all'interno di un idealismo radicale che gradualmente pervase tutto il
Concilio. A questo fenomeno se ne aggiunse un altro che concerneva le fughe religionis causa degli
addetti ai lavori o di personaggi condannati (Ochino e Vermigli si erano rifugiati a Ginevra nel '42) o
di coloro che erano sospettati di eresia da parte dell'Inquisizione romana. L'alternativa alla fuga era
la testimonianza pubblica della nuova fede, che avveniva continuando a sostenere e a commentare
gli scritti di Lutero, Melantone, Erasmo, Ochino, il che la maggior parte delle volte portava alla
condanna a morte.

33
Riforme
Nonostante i conflitti con l'Inquisizione, come abbiamo visto, i lavori del concilio ripartirono nel
maggio 1551, con Giulio III. Nella XIII sessione (settembre 1551) gli esponenti delle 2 fedi si
scontrarono sul tema dell'Eucarestia, e venne riaffermata la dottrina tradizionale della
transustanziazione (presenza reale e corporea di Cristo nelle specie eucaristiche e loro relativa
trasformazione) e dell'approvazione del culto. Dall'inizio di novembre parteciparono per la prima ed
unica volta anche alcuni rappresentanti delle confessioni protestanti, che cercarono di imporre la
ridiscussione dei decreti fin allora approvati e ribadirono la superiorità delle scelte del Concilio
sull'autorità papale; nondimeno questi pareri resero immediatamente ostili i pa dri conciliari e
vanificarono la presentazione delle loro confessioni di fede. Nell'aprile 1552 la ripresa dello scontro
franco-asburgico comportò il ritorno dei vescovi protestanti in patria e la sospensione del concilio.
La guerra si perpetuò fino al 1555, quando morì Giulio III e venne eletto Paolo IV Carafa (1555-59),
il quale non riponendo fiducia nell'assemblea conciliare, si dedicò alla riorganizzazione degli apparati
repressivi, come l'Inquisizione: il Santo Ufficio venne potenziato, sia per i componenti sia per le
competenze → sotto la giurisdizione inquisitoriale caddero allora anche i casi di corruzione e di abusi
ecclesiastici come il cumulo di benefici (eresia simoniaca) e si attuò un controllo severo che si estese,
dall'ambito religioso e dottrinale, anche all'ambito politico e amministrativo. Vennero presi
importanti provvedimenti anche contro i marrani (gli ebrei convertiti) e soprattutto gli ebrei stessi,
per i quali fu rovesciato il tradizionale atteggiamento di tolleranza adottato dal papato nei secoli
precedenti, in quanto da questi la Santa Sede riceveva cospicui contributi di denaro: venne istituito
il ghetto ebraico a Roma (luglio 1555), imponendo al contempo una serie di obblighi: divieto di
possedere beni immobili, proibizione delle attività commerciali, riduzione del tasso di interessi,
ecc.). Dal punto di vista burocratico, sullo stampo di un profondo rinnovamento istituzionale, il Papa
prese diverse decisioni:

◆ revisione delle procedure per l'assegnazione delle diocesi;


◆ riforma disciplinare dei conventi e dei monasteri;

◆ riforma della Dataria, l'organo finanziaro della Curia, affidata ad esperti inquisitori;

◆ convocazione di una Congregazione che si sarebbe occupata della riforma ecclesiastica. Un unico
tentativo (fra l’altro fittizio) di far ripartire i lavori conciliari fu tentato da Paolo IV in funzione
antiasburgica (affermazione quantomai paradossale, in quanto si potrà ricordare che più e più volte
fu Carlo V a richiedere la convocazione del Concilio, all'inizio della questi one religiosa): lanciando
l'iniziativa di una prossima convocazione assembleare, fittizia, il Papa avrebbe tranquillizzato il re
spagnolo Filippo II dando nel contempo respiro al re francese Enrico II, alleato proprio con la Santa
Sede. La convocazione però non fu mai resa effettiva; piuttosto effettiva fu invece l'azione
inquisitoriale eseguita ai danni della corrente filo-asburgica del collegio cardinalizio costituita dal
cardinale Pole e dal Cardinal Morone, che fu arrestato nel maggio 1557, nel pieno dello scontro con
la Spagna, seguita poi dall'accusa lanciata dal Papa nei confronti del cardinale inglese, che intanto
era tornato in terra inglese per proseguire nella restaurazione cattolica della Regina Maria Tudor.
Nel 1558 tuttavia morivano sia la regina che il cardinale. Al Pari del Pole e del Morone, molti dei
processati erano perseguitati nella duplice veste di dissidenti religiosi e, allo stesso tempo,
esponenti politici filo-asburgici. L'esito infausto della guerra anti-spagnola contro Filippo II consentì
nel 1557 a Paolo IV di riprendere intensamente l'opera riformatrice interrotta in occasione del
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conflitto. Particolare rilievo assunse il provvedimento atto a regolamentare l'accesso al Papato: con
la bolla del 15 febbraio 1559 si dichiarava nulla l'elezione pontificia di chiunque avesse
precedentemente deviato seppur minimamente dall'ortodossia cattolica. Ancor più rilevante fu
l'emanazione del primo Indice dei libri proibiti, nel 1558, creato da una commissione apposita del
Sant'Ufficio. Esso tuttavia aveva alcuni precedenti storici non istituzionalizzati, fra i quali i più
importanti furono l'Indice emanato dall' Università parigina della Sorbona nel 1544 (che interdiceva
la circolazione, possesso e lettura di circa 500 opere) e la lista di libri ritenuti pericolosi creata nel
1549 a Venezia dal nunzio pontificio Giovanni dalla Casa; il fatto che poi la diffusione di Indici si
estese anche ad altri paesi europei (Spagna, Portogallo in primis) spinse la Chiesa romana a
dotarsene ufficialmente di uno proprio (nel 1571 verrà poi istituita una apposita Congregazione
dell'Indice). l'Indice era caratterizzato da un rigore estremamente severo, e distingueva fra 3
categorie di libri:

◆ libri di autori che combattevano consapevolmente e di discostavano continuamente


dall'ortodossia cattolica → proibizione in blocco di tutte le opere;

◆ libri di autori, che talvolta cadevano in eresia, talvolta in altri tipi di errori, come la predicazi one
astrologica o magica → proibizione parziale delle opere;

◆ libri di cui non si sapeva l'origine, il luogo o la data, anche se non concernenti argomenti religiosi
(ne facevano parte alcuni capolavori della cultura umanistica rinascimentale, come il Decamerone
di Boccaccio, alcune opere di Machiavelli e di Savonarola) → proibizione delle opere singole
possedute.

Paolo IV morì il 18 agosto 1559, ponendo fine a 4 interminabili anni di cupo rigore inquisitoriale e
all'appena accennata opera di riordinamento amministrativo delle terre ecclesiastiche, intrapresa
dal Sacro Consiglio, un organo collegiale da egli istituito composto da fedeli inquisitori e teatini.

33) Le guerre di religione in Francia

|1° guerra civile (autunno 1562- primavera 1563)| Lo scoppio dello scontro religioso fra cattolici e
ugonotti innescò reazioni a catena in politica estera, da una parte e dall'altra: 1) a favore degli
ugonotti si schierarono l'Inghilterra, gli stati tedeschi protestanti e gli insorti olandesi e la vicinanza
di queste 3 regioni favorì il concentramento di armi e rifornimenti vari; 2) a favore dei cattolici si
mossero la Spagna di Filippo II Asburgo e ovviamente lo Stato Pontificio di Pio IV, il quale contribuì
soprattutto con aiuti finanziari, a patto che si abrogasse ogni misura legislativa (come l'editto di
Saint-Germane) a favore degli ugonotti e che si mantenesse vivo il concordato del 1516, con tutti i
diritti e le prerogative in Francia; infine, tutti gli ugonotti che ricoprivano incarichi politici nella corte
francese dovevano essere espulsi (tuttavia la reggente si rifiutò di licenziare il cancelliere de
l'Hospital). Due furono gli avvenimenti principali che caratterizzarono questa prima guerra: l'assedio
cattolico di Rouen, durante il quale morì Antonio di Borbone e la battaglia di Dreux del dicembre
1562, vinta dai cattolici del Guisa e in cui venne fatto prigioniero il principe di Condè: le truppe
protestanti, ora comandate dal duca di Coligny, si ritirarono verso nord, mentre il Guisa cadeva
morto in un'imboscata ugonotta (febbraio 1563). Nel marzo venne promulgata la pace da Carlo IX
(Editto di Amboise); tra le clausole: ➢ amnistia generale per gli ugonotti (→ liberazione dei
prigionieri, fra cui il principe di Condè); ➢ cessione alla corona francese (cattolici) delle città
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occupate; ➢ libertà di culto in ogni città di baliato, ossia in ogni città con una corte di giustizia,
esclusa Parigi. Dopo questa pace, gli aiuti finanziari della Chiesa vennero sospesi, e si arr ivò allo
scontro giurisdizionale quando il Papa depose Odet di Chatillon dalla carica di inquisitore,
nominandone altri di sua fiducia; un altro cardinale francese, Carlo di Guisa, intervenne a favore del
clero gallicano facendo sì che la bolla di condanna papale non venne pubblicata. Caterina de' Medici
cercò di sostenere la politica di equilibrio avviata prima dello scoppio delle guerre civili, nonostante
i suoi alleati (Francia e Papa) erano intenzionati a abbattere definitivamente la piaga protestante
nel centro Europa; insieme alla corte del re Carlo IX, divenuto maggiorenne nell'agosto 1563, iniziò
un lungo pellegrinaggio (<>) in tutte le zone più “agitate” del Paese, sperando di ottenere i maggiori
consensi in virtù del tradizionale attaccamento popolare al re (il “re taumaturgo”..): attraversarono
molte regioni e città → a Lione, città ugonotta dal 1560, il re proibì il culto riformato nei luoghi ove
passasse la corte; a Bordeaux, al suo passaggio si formò una sorta di sindacato di difesa cattolica; in
Aquitania, il re si incontrò con il duca d'Alba, inviato da Filippo II a sconfiggere gli insorti olandesi,
ma l'incontro non portò a nessuna buona notizia, in quanto le richieste del duca (espellere dalla
corte i ministri ugonotti e applicare i decreti di Trento) non vennero accettate. L'incontro produsse
sospetto tra le fila protestanti, le quali organizzarono un colpo di mano, simile a quello del 1560, ai
danni della corte francese, e fallì allo stesso modo del precedente, mentre la reggente e Carlo IX
tornarono finalmente nella cattolicissima Parigi. Era il 29 settembre 1567: nel giorno di San Michele,
gli ugonotti fecero strage della dirigenza cittadina cattolica a Nìmes, mentre il Condè ordinò la
sollevazione generale delle città protestanti → fu l'incipit della 2° guerra civile.
|2° guerra civile (settembre 1567-marzo 1568)| Parigi fu assediata e in questi scontri cadde il
conestabile di Montmorency, cattolico; arrivarono rinforzi per entrambe le fazioni: 1) per parte
cattolica, arrivarono supporti dalla Svizzera e soprattutto dall'Italia, truppe comandate dal duca di
Nevers; 2) per parte ugonotta, sopraggiunsero le truppe tedesche di Giovanni Casimiro, figlio del
principe calvinista del Palatinato. Gli scontri questa volta furono meno impegnativi e l'equilibrio fece
da padrone (Carlo di Guisa divenne comandante delle truppe cattoliche) → si giunse velocemente
alla pace di Longjumeau del 23 marzo 1568, che ribadiva le clausole dell'editto di Amboise e, in più,
vedeva l'oscuramento del fautore della politica dell'equilibrio francese, Michel de l'Hospital,
costretto a dimettersi dalla corte. Gli ugonotti mantenevano inoltre le piazzeforti occupate, mentre,
con il fallimento della politica dell'equilibrio, in tutta la Francia (in Linguadoca, Champagne,
Provenza, ecc...) si svilupparono delle “leghe” cattoliche, vere e proprie associazione di difesa del
culto “legittimo” e della monarchia francese. Brutte notizie giunsero dai Paesi Bassi, dove il duca
d'Alba stava avendo convincenti vittorie contro i protestanti olandesi (vedi cap8, par3). Sulla scia di
queste vittorie, la reggente francese (abbandonata la politica d'equilibrio coincidente al declino di
de l'Hospital) emanò l'editto del settembre 1568, con cui si proibiva nuovamente la celebrazione dei
culti protestanti. Le truppe ugonotte comandate da Condè e Coligny si accasermarono nella fortezza
della Rochelle, centro-ovest della Francia, supportate dai rinforzi della regina di Navarra Giovanna
III (Jeanne d'Albrech), insieme al figlio Enrico di Borbone e dagli aiuti inglesi: ricominciarono gli
scontri...si era alla 3° guerra civile.
|3° guerra civile (marzo 1569-agosto 1570)| Fu più violenta e feroce, rispetto alle prime; i 2 maggiori
scontri si risolsero a favore delle truppe cattoliche, prima a Jarnac (marzo 1569) poi a Moncountor
(ottobre 1569), dove si mise in mostra il fratello del Re, Enrico di Valois, duca d'Angiò. Questa guerra
civile si caratterizzò per i primi, cruentissimi combattimenti popolari fra le 2 fazioni, che spesso

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sfociavano in rappresaglie e incursioni contro la popolazione locale. La corte francese, spaventata
dalle truppe del Coligny giunte alle porte di Parigi, concesse la pace di Saint-Germane dell' 8 agosto
1570, la quale decretava l'assegnazione di 4 roccaforti agli ugonotti: Cognac, Montauban, la Charitè
e la Rochelle, decretandone la (parziale) vittoria. Ovviamente la reazione a queste larghe concessioni
fu durissima per Spagna e Santa Sede, e la forza dimostrata dai soldati ugonotti influenzò
pesantemente addirittura la politica perseguita fin allora dalla corte francese; stava per configurarsi
la formazione di una Francia Protestante: il progetto matrimoniale della reggente Caterina de'
Medici era il seguente: • Enrico d'Angiò-Valois, suo figlio, fratello di Carlo IX, avrebbe dovuto sposare
Elisabetta d'Inghilterra; • Margherita di Valois, figlia nata dal matrimonio tra Caterina de' Medici e
il defunto Enrico II, avrebbe sposato Enrico di Borbone, figlio ugonotto della regina di Navarra
Giovanna. Il Papato cercò in tutti i modi di scongiurare questo vero e proprio “tradimento” politico,
sia inviando diplomatici e cardinali per far desistere la reggente dai suoi propositi folli, sia mandando
in predicazione un gran numero di frati cappuccini e gesuiti, i quali con la loro opera ricompattarono,
solo provvisoriamente, il fronte cattolico...Quest'ultimo infatti dovette assistere al “voltafaccia” del
re: Carlo IX finì sotto la piena influenza dell'Ammiraglio ugonotto Coligny (che fece parte
dell'aristocrazia calvinista ai tempi della convocazione degli Stati Generali nel 1560; vedi par2), e
nell'aprile del 1572, con la pattuizione del matrimonio fra Margherita ed Enrico di Borbone e la
stipula di un'alleanza con Elisabetta Tudor, la Francia sembrava divenire una nuova potenza
protestante, in barba a tutti i sanguinosi eventi precedenti. La stessa Caterina rimase interdetta da
questa radicale svolta politica: temeva che l'Inghilterra non avrebbe mai veramente aiutato i
francesi, spaventati dall'idea che soldati transalpini potessero affacciarsi sullo stretto della Manica,
minacciando lo stato inglese; mentre i protestanti tedeschi, gelosi delle vittorie dei “calvinisti” non
avrebbero portato molto sostegno → la Francia nelle mani del Coligny si sarebbe trovata in un vicolo
cieco. Intanto le nozze “ugonotte” tra Margherita ed Enrico furono rinviate più volte (morì la regina
di Navarra e venne eletto un nuovo Papa, Gregorio XIII (1572-85)) e infine celebrate il 13 agosto del
1572, a Parigi, la roccaforte cattolica per eccellenza... Alla cerimonia si riversarono circa 4000
ugonotti francesi e Caterina non aspettò altro per sferrare un attacco devastante che avrebbe fatto
cadere tutti i progetti di una prossima Francia protestante: dapprima il 22 agosto, decise l'attentato
al Coligny, che tuttavia ne uscì soltanto ferito; inappagata, il giorno seguente, facendo credere a
Carlo IX che gli ugonotti stessero tramando contro di lui, diede inizio alla strage della notte di San
Bartolomeo, (che avrebbe risparmiato soltanto lo sposo Enrico di Borbone e il principe di Condè):
assassinato il Coligny, in quella notte morirono tra i 2000 e i 3000 protestanti in tutta la Francia
(Lione, Orleans, Tolosa, ecc...) per mano dei sicari cattolici. Alle notizie giunte da quella notte, le
cancellerie di Spagna e Santa Sede esultarono, convinti che la Francia tornasse nel novero delle
potenze cattoliche; ma il sovrano francese non aveva alcuna voglia di guastare gli insperati rapporti
di fedeltà stabiliti con l'Inghilterra e l'Impero degli stati protestanti tedeschi: il cardinal legato Orsini,
spedito dal Papa a Parigi per restaurare i vincoli di amicizia tra le 2 potenze, venne bruscamente
congedato e rispedito al mittente. Nonostante il suo grande valore simbolico, la strage della notte
di San Bartolomeo non aveva deviato il corso della politica estera francese.

34) La Guerra dei Tre Enrichi


|8° guerra civile (1585- maggio 1598), la Guerra dei tre Enrichi| Gli schieramenti erano così
strutturati: ➢ Protestanti: comprendevano tedeschi, svizzeri, olandesi, fiamminghi, scozzesi e
l'Inghilterra dei Tudor; ➢ Cattolici: comandati da Enrico di Guisa, al loro fianco avevano i soldati

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spagnoli di Filippo II (trattato di alleanza di Joinville del 31 dicembre 1584), Santa Sede (del nuovo
Papa Sisto V, che dichiarò ”decaduto” il pretendente calvinista al trono, Enrico di Borbone-Navarra)
e, ovviamente, la <>. Obiettivo dei cattolici era quello di instaurare al potere il cardinal Borbone, per
poter avviare la repressione antiprotestante in tutto il regno e eliminare i pretendenti “eretici”... Col
manifesto di Peronne (31 marzo 1585), la Lega Santa lanciava l'appello nazionale contro il re eretico
Enrico III: era un vero e proprio proclama di guerra, a cui seguiva la crescita del potere dei Guisa e
l'isolamento di Enrico III a Parigi; nel luglio 1585, si arrivò alla pace, la quale costava cara agli
ugonotti: ➔ abolizione di ogni norma che garantisse la libertà di culto ai protestanti; ➔ restituzione
delle roccaforti occupate ai cattolici; ➔ decadenza di Enrico di Borbone-Navarra da ogni diritto di
successione al trono. Da entrambe le parti, cattolici e protestanti (i primi volevano il cardinal
Borbone al trono, i secondi Enrico di Borbone-Navarra) svilupparono la teoria monarcomaca, ossia
la teoria che legittimava l'assassinio politico del sovrano..il tirannicidio quindi. Il tema era quanto
mai antico (basti pensare a Bruto e Cassio uccisori di Giulio Cesare) e venne sviluppato soprattutto
tra gli ugonotti, tributari dell'ideologia calvinista riguardo la liceità della resistenza contro il tiranno:
De volontaria servitute (1576) e Vindiciae contra tyrannos (1579) erano opere che rendevano lecito
rompere il patto di fedeltà con il sovrano, se esso si dimostrava lesivo degli interessi del popolo o
addirittura traditore di essi, e il popolo aveva il diritto di insorgere e, nei casi più gravi, assassinare
il sovrano. Per i cattolici, vale lo stesso discorso: il sovrano, oltre ad aver infranto il patto con il
popolo, ha tradito anche le leggi divine. La situazione a Parigi si infiamma: il re non si sente più al
sicuro e assolda altri mercenari che vanno a rimpinguare le truppe a difesa della città impedendo
l'ingresso a Enrico di Guisa, la <> risponde con le barricate e attacca i mercenari svizzeri; il re fugge
e Enrico di Guisa entra trionfalmente a Parigi il 12 maggio 1588. L'ancora legittimo sovrano Enrico
III, è costretto ad adeguarsi alle condizioni imposte dai cattolici trionfanti: ◆ rifiuto di un successore
eretico; ◆ esecuzione dei decreti tridentini; ◆ lotta generale all'eresia protestante; ◆ Convocazione
degli Stati Generali. Questi ultimi vennero convocati per l'ottobre 1588: il re viene chiamato a
giurare fedeltà al cattolicesimo davanti alla nazione riunita. Enrico III sembra cedere alle richieste,
ma il 23 dicembre trae in inganno e uccide Enrico di Guisa, ordinando l'arresto di tutti gli alleati della
famiglia rivale (come lo stesso cardinale Carlo di Borbone). Parigi alla notizia insorge, e con lei le
maggiori città dello Stato: è la rivolta generale contro il Sovrano; i 2 Enrichi, di co mune accordo,
decidono di stroncare la rivolta parigina, ma il 1° agosto 1589 il Tirannicidio tanto invocato e
teorizzato trova finalmente concretezza: assassinato Enrico III da un frate domenicano, Jacques
Clement, ed estinta così la dinastia dei Valois, la Francia si ritrova senza Re.

35) Enrico IV e il Farnese


La successione dinastica ai Valois si presentò più complicata del previsto, in quanto da una parte
Enrico di Borbone-Navarra, ugonotto, non avrebbe potuto cingersi la corona sul capo se il Papa Sisto
V non avesse ritirato la bolla che lo interdiceva dalla successione. Peraltro, i cattolici avevano già
acclamato come legittimo sovrano il cardinale Carlo di Borbone, ma egli morì prigioniero nel maggio
1590. Gli eventi, tuttavia, mutarono a favore del pretendente ugonotto: dapprima Enrico circondò
la capitale imbottita di cattolici, ne tagliò i rifornimenti e a Tours venne riconosciuto per la prima
volta come il nuovo sovrano francese dall'ambasceria veneziana e divenne quindi Enrico IV di
Francia. Filippo II si affrettò a spedire truppe in aiuto ai cattolici circondati nella capitale e alla <>
ora capeggiata dal fratello del defunto Enrico di Guisa, Carlo di Guisa, duca di Mayenne. Le truppe
dei 2 schieramenti si scontrarono a Ivry (marzo 1590), dove ebbe la meglio Enrico IV; il destino di

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Parigi (dove si era creato un governo provvisorio composto da 16 dirigenti leghisti (ligueur), 4 per
ogni quartiere della città) sembrava segnato. Ma il popolo parigino si compattò ancora di più:
iniziato l'assedio nell'aprile del 1590, ne muoiono a migliaia, stremati dalla fame e dalle malattie; i
dirigenti leghisti della città giungono all'elaborazione del diritto di deposizione e all'esaltazione del
diritto di elezione rispetto alla trasmissione ereditaria della sovranità → nazionalismo e radicalismo
democratico si fondono e danno vita a un “crogiolo” rivoluzionario: i 16, nel novembre '91, danno
vita al comitato rivoluzionario e preparano l'insurrezione generali contro gli invasori. Le terre
francesi ovunque si tingono di rosso per il sangue dei caduti: da nord, dalle regioni
olandesi,richiamato da Filippo II, scende Alessandro Farnese a dar man forte ai catt olici assediati,
riuscendo a smobilitare l'assedio di Enrico IV; si assistono a scontri di ogni tipo e tra ogni corrente
(leghisti, cattolici moderati, ugonotti, truppe straniere ecc...): è una guerra civile e totale. L'unica
soluzione possibile di ricostituire la pace nello Stato francese straziato da ormai 30 anni di guerre è
quella di stringersi intorno all'unico sovrano legittimo riconosciuto: Enrico IV re di Francia, che
sconfigge il Farnese, e riacquista la fiducia della borghesia e della nobiltà, entrambe stremate da
anni e anni di guerre infruttuose per la loro economia, la loro sicurezza...Così anche Carlo di Guisa,
sconfitto e isolato, scende a trattative con il re, chiedendogli la conversione al cattolicesimo. Enrico
IV rifiuta e convoca gli Stati Generali a Parigi (gennaio 1593): in questo contesto inizia a girare voce
dell'abiura protestante e della conversione cattolica del Re e la diceria diviene concreta quando ad
annunciarlo è l'arcivescovo di Bourges, nel luglio 1593 e nel febbraio 1594 si procede alla solenne
consacrazione del re: Enrico IV diviene ufficialmente il nuovo sovrano francese. Per bloccare ogni
velleità anti-cattolica, il re concede agli ugonotti che siano ripristinate le clausole della pace di
Bergerac (novembre 1577 → fine della 6° guerra civile). Entrò trionfalmente a Parigi il 22 marzo
1594. La situazione che andò ereditando era tanto disastrosa quanto difficile da recuperare; difficile
anche perché Spagna e Santa Sede non erano rimaste a guardare mentre Enrico IV riacquistava
influenza e autorità: in sequenza, Urbano VI (il cui pontificato durò 12 giorni, settembre 1590),
Gregorio XIV (1590-91), Innocenzo XI (il cui pontificato durò solo 2 mesi, ottobre-dicembre 1591)
confermarono infatti la scomunica di Enrico IV, aizzati dal “partito spagnolo” presente alla corte
pontificia; solo con il nuovo Papa Clemente VIII (1592-1605), si mise in pratica una nuova politica
d'equilibrio, la quale fu sul punto di incrinarsi nel momento in cui un gruppo di Gesuiti attentò alla
figura del re (probabilmente sotto invito del “partito spagnolo”; essi poi vennero espulsi dal regno).
Infine le trattative si conclusero nell'agosto 1595: ⚫ venne dichiarata nulla l'assoluzione episcopale
avuta dal re a Saint-Denis, nel luglio '93, dall'arcivescovo di Bourges (vedi sopra); al posto di essa
prevaleva l'assoluzione papale; ⚫ Enrico IV si impegnò ad applicare i decreti tridentini, ad educare
al cattolicesimo il figlio, a mantenere in vita il concordato del 1516 e a nominare i vescovi escludendo
gli ugonotti. Intanto anche gli ultimi focolai di guerra si spengono: i partigiani dei Guisa e una
minoranza di ligueur vengono fatti prigionieri in Borgogna e con essi anche Carlo di Guisa, il quale
poi torna libero nel momento in cui la <> viene ufficialmente sciolta (gennaio 1596). Nel nord, le
truppe spagnole conquistano Cambrai e Calais e il sovrano abbisogna anche dell'aiuto ugonotto per
abbattere le ultime resistenze spagnole; nondimeno, i protestanti non si accontentano più delle
clausole della pace di Bergerac, ma chiedono di più: Enrico IV non può far altro che accontentarli
(per scongiurare il sorgere di altre eventuali guerre di religione), sconfessando in parte gli accordi
presi col Papa nell'agosto '95 → emanato il 15 aprile '98, l'Editto di Nantes: 1) ristabiliva il culto
cattolico dove era stato dismesso, con la restituzione dei beni ecclesiastici espropriati ai protestanti;
2) veniva consentito il culto calvinista, tranne che a Parigi e nei luoghi dove alloggiava la corte; 3)

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veniva concesso ai protestanti di accedere alle cariche pubbliche, alle Università e di gestire luoghi
di istruzione; 4) infine, essi avrebbero occupato circa 80 roccaforti per 8 anni, addossando le spese
di mantenimento sull'erario pubblico Il clero gallicano e il Parlamento parigino protestarono per le
disposizione dell'editto, e il Re concesse loro la non applicazione dei decreti tridentini; infine,
sistemò le questioni rimaste in sospeso con la Spagna, stipulando la Pace di Vervins (2 maggio 1598)
con cui si riconfermavano le clausole di Cateau-Cambresis del 1559 (vedi cap6, par6), con l'aggiunta
della sola conquista francese di Calais; le guerre civili francesi si erano finalmente concluse.

36) Mercantilismo

La Francia del '600, come molte altre potenze del Vecchio Continente, affidava la propria politica
economica alla teoria del Mercantilismo: fulcro principale di questa teoria era che gli Stati avrebbero
dovuto aumentare le proprie riserve monetarie per poter primeggiare sulle altre potenze
economiche, in quanto a maggior ricchezza corrispondeva una maggior potenza politico-militare;
perciò gli obiettivi economici e finanziari a cui ogni Stato doveva tendere erano il raggiungimento di
un regime protezionista autarchico, basato sulla produzione locali dei beni, e l'esportazione
predominante sull'importazione. Inoltre, grande importanza rivestiva il monopolio dei traffici
coloniali (irrinunciabili fonti per l'acquisizione di materie prime, le quali la Francia era ancora
costretta a comprare da Stati stranieri) e l'intervento penetrante dello Stato nell'economia. Questo
Nazionalismo economico divenne la parola d'ordine nelle menti dei maggiori statisti europei: vi era
una proporzione diretta tra volume delle esportazioni e riserva monetaria, e quanto più elevata era
questa proporzione, tanto maggiore era la potenza militare di uno stato. La nazione che avrebbe
primeggiato sarebbe stata quella maggiormente dotata di ricchezza reale interna. Tuttavia, il
risanamento economico e finanziario che sullo sfondo di queste dottrine economiche si avviò in
Francia era solo un elemento della ricostruzione del Paese.

37) La Guerra dei Trent’anni


- La Francia esce indebolita dalle guerre di religione ma con Enrico IV, l’ugonotto convertito al
cattolicesimo che concesse l’editto di Nantes nel 1598, riesce rapidamente a risalire la china
e a porsi di nuovo come potenza europea di primo piano
- La Monarchia spagnola di Filippo II è ancora la potenza egemone in Europa da un punto di
vista militare, ma i primi segni di indebolimento cominciano a farsi sentire: la crisi finanziaria,
l’interminabile guerra delle Fiandre, il fallimento della politica estera verso Francia e
Inghilterra. Con Filippo III si apre il periodo della cosiddetta Pax Hispanica
- Le Province Unite diventano nella prima metà del Seicento la maggiore potenza marittima e
commerciale del continente nonostante la sfiancante guerra di indipendenza dalla Spagna.
- I regni di Svezia e Danimarca si scontrarono tra tardo Cinquecento e inizi Seicento per
l’egemonia su Mar Baltico. Fu per questa stessa motivazione che intervennero nella Guerra
dei Trent’anni

Ma qual era la situazione nel centro focale del conflitto, l’Impero tedesco? Sin dal XV secolo gli
Asburgo d’Austria avevano inaugurato una politica di guerre di conquista ma anche, se non
soprattutto, di alleanze matrimoniali che li portarono a dominare sull’insieme dei territori
dell’Impero. Nel XVI secolo l’abile politica matrimoniale continuò senza sosta, tanto da diffondersi
un’immagine dell’Europa rappresentata come una fanciulla dalle fattezze appartenenti alla sposa di
Carlo V, Isabella del Portogallo, la cui testa era posizionata nella penisola iberica, il cuore in

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Germania e il braccio nella penisola italiana. L’Impero tedesco era ciò che rimaneva del Sacro
Romano Impero, erede a sua volta dell’Impero Romano. Nei fatti il potere dell’imperatore nei
confronti dei sovrani di altri stati era però pressoché nullo: contava solo nei territori dove egli era
sovrano, ossia nei possedimenti ereditari degli Asburgo (Austria, Ungheria, Boemia, le Fiandre fino
all’abdicazione di Carlo V). Tra le istituzioni politiche dell’Impero la più importante era senza
dubbio la Dieta (Reichstag), assemblea dei rappresentanti dei vari ordini o ceti (Stände), di cui
facevano parte i principi territoriali, i principi elettori laici ed ecclesiastici e le “città libere”. La Dieta
si occupava essenzialmente di politica internazionale, di tasse e di spese militari; le votazioni
avvenivano per ordine e non per testa. I conflitti religiosi del Cinquecento avevano avuto in realtà
una posta in gioco di natura politica di importanza enorme. La Pace di Augusta segnò infatti la
sconfitta dell’Impero e la vittoria inequivocabile dei principi protestanti, i quali poterono trarre
enormi benefici dalla divisione religiosa dell’Impero e dall’incameramento dei beni ecclesiastici. I
principi guadagnavano non solo la possibilità di scegliere il personale ecclesiastico ma anche quella
di radicare nelle coscienze, insieme alla fedeltà ad una Chiesa, l’obbedienza al sovrano. Un potere
enorme nell’Europa del XVI secolo. Come già accennato, il calvinismo aveva conosciuto una rapida
diffusione nei territori tedeschi e boemi e non essendo tale confessione contemplata dalla Pace di
Augusta non si sapeva esattamente come risolvere le innumerevoli controversie che
quotidianamente sorgevano 6. La situazione era potenzialmente esplosiva, tanto che vennero man
mano formandosi due leghe: una “Lega Evangelica”, che riuniva i principi protestanti, formalizzata
nel 1608 e guidata dall’elettore del Palatinato Federico V e, nel 1609, una “Lega Santa”, cattolica,
guidata dal duca di Baviera Massimiliano I. Ferdinando mise in atto in quella stessa Boemia abituata
alla tolleranza rudolfina un sistematico progetto di annientamento delle confessioni non
cattoliche. Si arrivò all’emanazione dell’ordine di distruggere gli edifici di culto delle confessioni non
cattoliche se costruiti su terreni soggetti ad autorità di obbedienza romana. Il 23 maggio del 1618 il
conte di Thurn, a capo di una delegazione di aristocratici riformati boemi, entrò a forza nel castello
di Praga per protestare e ottenere la revoca dell’ordine. Il sovrano non era lì in quel momento, ma
la folla che lo seguiva catturò due consiglieri imperiali con il loro segretario, gettandoli dalla finestra.
La cosiddetta “defenestrazione di Praga” accese la miccia della rivolta boema, e anche quella della
guerra generale.

La fase boemo-palatina (1618-1625)

Gli insorti praghesi nominarono subito un governo provvisorio, cercarono di reclutare un esercito
e chiesero l’aiuto internazionale in vista dell’inevitabile guerra contro le truppe degli Asburgo.
L’aiuto arrivò dall’elettore palatino Federico V, calvinista, a cui nel 1619, a seguito della morte
dell’imperatore Mattia, fu offerta la corona di Boemia al posto del neoeletto Ferdinando II nella
speranza che intorno a lui potesse agglomerarsi una coalizione di principi protestanti pronti a
battersi contro le potenze cattoliche. La richiesta di aiuto non fu però ascoltata da tutti: l’elettore di
Sassonia, ad esempio, luterano e ostile al calvinismo, appoggiò l’imperatore. Quest’ultimo chiese a
quel punto aiuto alla Spagna e alla Lega Santa; nella primavera-estate del 1620 l’esercito imperiale
e quello bavarese penetrarono in Boemia e sbaragliarono le forze dei ribelli nella battaglia della
Montagna Bianca (8 novembre). Il Palatinato venne invaso e smembrato. Ne seguì una dura
repressione, che vide i capi della ribellione giustiziati e i pastori luterani e calvinisti espulsi, mentre
ritornavano trionfanti i gesuiti. Il trattato di Magonza del 1625 sancì definitivamente la sconfitta
della Lega Evangelica. La Boemia veniva inglobata nei possedimenti asburgici, sparendo in tal
modo dalla carta geografica europea. Vi sarebbe tornata da entità indipendente solo nel XX secolo,
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a seguito dei trattati di Versailles, che posero fine alla Prima guerra mondiale nel 1919. Il successo
delle armi cattoliche sembrava a quel punto totale e inarrestabile.

La fase danese (1625-1629)

Nel 1621, terminata la Tregua dei Dodici Anni, si erano riaperte le ostilità tra la monarchia spagnola
e le Province Unite. Le operazioni belliche stagnarono per un po’, ma il cambiamento di attitudine
della politica francese e l’interessamento alla guerra in atto nell’Impero da parte di Cristiano IV di
Danimarca mutarono le sorti del conflitto. La Francia di Luigi XIII si era inizialmente mantenuta
neutrale, ma proprio negli anni 1624-1625 la tradizionale rivalità con gli Asburgo provocò un
movimento di avvicinamento e di sostegno alla causa protestante. Il sovrano danese, che era anche
duca di Holstein (un ducato appartenente al Sacro Romano Impero) e quindi direttamente
interessato alla politica tedesca, aveva come obiettivo prioritario la conquista della zona delle foci
dell’Elba e del Weser. Entrò in territorio tedesco nei primi mesi del 1625 come condottiero dei
protestanti della Bassa Sassonia, ma si trovò di fronte un grande esercito imperiale guidato dai
generali Johann Tserclaes, conte di Tilly, e dal nobile ceco convertito al cattolicesimo Albrecht von
Wallenstein. Sconfitto a Lutter am Barenberge dal Tilly (1626), invasa la Danimarca da questi e dal
Wallenstein, Cristiano IV dovette rifugiarsi nella parte insulare del suo regno, da cui continuò a
combattere. Nella pace di Lubecca del 1629 riottenne il regno ma dovette rinunciare ai suoi piani
tedeschi e abbandonare la guerra. Il Wallenstein, in particolare, era riuscito ad accumulare ricchezze
enormi che gli avevano permesso di mettere in piedi un esercito di 30.000 uomini dedito a rapine
ed estorsioni ai danni della popolazione dei territori occupati. Con le sue truppe invase il
Meclemburgo, la Pomerania e, appunto, la penisola dello Jutland (la parte continentale della
Danimarca). La sua potenza rivaleggiava ormai con quella degli Asburgo.

La fase svedese (1629-1635)

Siamo al culmine dell’offensiva cattolica. A questo punto sembrava che gli Asburgo e i loro alleati
dovessero in breve tempo vincere definitivamente la guerra, tanto che anche nelle Fiandre la presa
della Fortezza di Breda da parte degli spagnoli aveva dato loro un considerevole vantaggio. Ma le
potenze protestanti, e dietro a loro la Francia dei Borbone, non potevamo assistere inerti allo
spettacolo del trionfo degli Asburgo senza tentare nuovamente di rovesciare le sorti del conflitto.
Tra il 1628 e il 1630 il centro nevralgico della guerra si spostò dalla Germania all’Italia
settentrionale. Vincenzo II Gonzaga, duca di Mantova, era morto alla fine del 1627 senza lasciare
eredi. Il successore designato era il francese Carlo, duca di Nevers, ma gli Asburgo rivendicarono
l’appartenenza all’Impero sia del ducato di Mantova, sia del Marchesato del Monferrato. Ne seguì
una guerra che si concluse con l’accordo di Cherasco, sulla base del quale Mantova e il Monferrato
restavano al Gonzaga-Nevers, che si riconosceva suddito dell’Impero, mentre Pinerolo restava alla
Francia.

Nel frattempo, Gustavo II Adolfo di Svezia stava preparando il suo ingresso nelle “guerre civili
tedesche” a suon di manifesti pubblici in cui denunciava l’arroganza asburgica e il pericolo che la
politica dell’Impero costituiva per gli interessi svedesi nel Baltico. La guerra non fu presentata come
una crociata protestante ma come una “giusta guerra” in difesa della sicurezza generale del Regno
e dell’Europa tutta. Grazie ai fondamentali aiuti finanziari francesi e all’appoggio dell’elettore del
Brandeburgo, Gustavo II Adolfo poté finalmente riportare il primo grande successo delle forze
protestanti ai danni di quelle cattoliche nel 1631, nella battaglia di Breitenfeld. La via per la
Germania meridionale era così aperta, non senza che tale evento provocasse lo sconcerto
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dell’imperatore, che non aveva minimamente preso sul serio la serietà della minaccia proveniente
dal regno scandinavo. L’invasione della Boemia e della Baviera da parte delle truppe svedesi e
sassoni convinse il Wallenstein a raccogliere un nuovo esercito di 100.000 uomini con il quale
espulse i sassoni dalla Boemia e affrontò gli svedesi in marcia verso nord. Nella battaglia di Lützen,
nei pressi di Lipsia, nel 1632, gli svedesi ebbero il sopravvento ma Gustavo Adolfo cadde sul campo
di battaglia. Poco dopo lo stesso Wallenstein fu ucciso da sicari inviati dall’imperatore Ferdinando,
che ne temeva ormai lo strapotere e lo sospettava di connivenze col nemico. Nonostante la perdita
del sovrano la Svezia non si diede per vinta, in quanto era vitale mantenere un piede in Pomerania
e in Prussia, essenziali per il controllo del Baltico. L’erede Cristina aveva solo sei anni; fondamentale
fu allora l’abilità politica di Axel Oxenstierna, cancelliere del Regno, che rinnovò l’alleanza con la
Francia e con i riformati tedeschi. Anche senza l’abilità militare del Wallenstein l’esercito asburgico
(spagnolo e imperiale) travolse però quello degli avversari nella Battaglia di Nordlingen, in Baviera,
nel 1634. Fu così che si giunse alla Pace di Praga del 1635 tra l’imperatore e gli elettori della Sassonia
e del Brandeburgo, frutto della politica di mediazione voluta dall’imperatore e dal primo ministro
spagnolo, il Conte Duce di Olivares, che sperava in tal modo di calmare le acque in Germania per
sferrare l’attacco decisivo contro i ribelli fiamminghi. La Svezia rimase dunque sola contro l’Impero,
ma a quel punto fu la Francia a decidere di entrare in guerra a volto scoperto.

La fase francese (1635-1648)

La Francia si trovava in quel momento nelle condizioni economiche, finanziarie e militari di


sostenere un impegno del genere. Obiettivi dell’intervento erano il rafforzamento dei confini
nazionali e la conquista di territori come il Rossiglione, i passi alpini, l’Alsazia, parte delle Fiandre.
Le cose non andarono però subito come sperato da Luigi XIII e dall’onnipotente primo ministro
Richelieu: il primo attacco alla Spagna non fu affatto risolutivo e non provocò la prevista ribellione
nei territori sottoposti al dominio spagnolo, specialmente nelle Fiandre. Anzi, fu l’attacco asburgico
a mettere in crisi l’esercito francese, visto che a nord le truppe imperiali arrivarono a poche decine
di miglia da Parigi. Ma il trionfo asburgico era impedito da vari fattori: da una parte la tenacia della
Svezia di Oxenstierna nell’osteggiare la Germania, dall’altro lo stato di costante e rovinosa guerra
civile all’interno dell’Impero, ormai intollerabile per gran parte della popolazione, che aveva dovuto
subire violenze e ruberie di ogni genere. C’era bisogno di pace e questo spinse il nuovo imperatore
Ferdinando III (1637-1657) a riunire una Dieta a Ratisbona nel settembre del 1640, tra l’altro sotto
la minaccia costante delle truppe svedesi. La decisione più importante che fu presa
riguardava l’Editto di Restituzione (promulgato nel 1629 da Ferdinando II e che stabiliva la
restituzione alla Chiesa di Roma dei beni ecclesiastici secolarizzati dopo il 1552): nonostante le
pressioni del nunzio papale la Dieta decise di far cadere l’editto stabilendo che chi aveva
incamerato beni ecclesiastici fino al 1627 poteva definitivamente tenerseli. Nel 1641 l’elettore del
Brandeburgo raggiunse una pace separata con la Svezia. Intanto l’esercito svedese, ancora alleato
della Francia, continuava la sua vittoriosa avanzata in territorio imperiale. Sul fronte spagnolo nel
1640 la doppia rivolta della Catalogna e del Portogallo (unito alla Corona dal 1580) costrinse Filippo
IV a ritirare le truppe da altri fronti per impiegarle all’interno, mentre Olivares cadeva
definitivamente in disgrazia. Furono dunque eventi interni ai vari paesi - come ribellioni e rivolte, la
morte di Luigi XIII e Richelieu, la guerra civile in Inghilterra - nonché l’impossibilità per nessuna delle
forze in campo di ottenere la vittoria decisiva sullo schieramento avversario, a convincere le parti
che l’unica strada era quella di giungere ad una pace generale.

38) La pace di Westfalia

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Le potenze in campo arrivarono alla pace stanche e sfibrate da una guerra devastante e da una
congiuntura politica molto difficile per tutti. Gli stati tedeschi avevano perso una fetta consistente
della popolazione (si stima tra il 20% e il 30%), mentre i sopravvissuti avevano conosciuto la miseria,
le deportazioni, lo svuotamento di villaggi, le epidemie, le brutalità delle soldatesche. La flotta
spagnola era stata distrutta dagli olandesi nella Battaglia delle Dune (1639), mentre le truppe
francesi erano riuscite a battere l’esercito asburgico a Rocroi (1643). I negoziati erano stati avviati
sin dal 1641; nel 1648 si arrivò ad una serie di trattati firmati nelle città di Münster e
Osnabrück (rispettivamente tra Olanda e Spagna, Francia e Impero, Svezia e Impero) noti
collettivamente come Pace di Westfalia.

Venne innanzitutto riconosciuta definitivamente l’indipendenza dei Paesi Bassi dalla Spagna, ora
liberi anche di proseguire nelle loro penetrazioni commerciali in Asia e in Brasile. La Francia si
vedeva riconosciuto il possesso dei vescovadi di Metz, Toul e Verdun, di gran parte dell’Alsazia, di
altre piazzeforti sul Reno e in Piemonte. La Svezia, che negli anni 1643-1645 aveva combattuto
contro la Danimarca, si vedeva riconosciuto il controllo della Pomerania occidentale e della provincia
di Haland, raggiungendo in tal modo un indiscusso predominio sul Baltico. All’elettore del
Brandeburgo, Federico Guglielmo, vennero dati la Pomerania orientale, i vescovadi di Magdeburgo,
Minden e Halberstadt, ponendo così le basi per la successiva ascesa del regno di Prussia. Rimase in
piedi il conflitto tra Francia e Spagna, definito solo con la Pace dei Pirenei del 1659. Dal punto di
vista religioso il calvinismo fu finalmente riconosciuto come confessione, accanto a cattolicesimo
e luteranesimo, mentre fu spostato al 1624 l’annus normalis, l’anno a partire dal quale i beni
ecclesiastici secolarizzati avrebbero dovuto essere restituiti alla Chiesa di Roma. Il delegato papale
si rifiutò di sedersi al tavolo dei negoziati accanto ai rappresentanti delle potenze protestanti e il
papa Innocenzo X non riconobbe mai le deliberazioni prese a Westfalia.

Ma quale fu il destino dell’Impero? Il suo potere politico concreto era ormai ridotto a nulla, visto
che non aveva alcuna possibilità di intervenire negli affari degli stati tedeschi, nemmeno nelle
questioni di politica estera. Da questo momento in poi gli Asburgo d’Austria avrebbero cominciato
a interessarsi più dei propri possedimenti ereditari (Austria, Ungheria e Boemia) che degli stati
tedeschi. Gli imperatori riuscirono tuttavia a mantenere alto il loro prestigio, soprattutto
sganciandosi definitivamente dalla politica confessionale portata avanti dal ramo spagnolo della
casata, anche a causa della minaccia costituita dalla aggressiva politica estera di Luigi XIV di
Francia, il Re Sole, e dai continui attacchi dell’Impero Ottomano, che in Germania fecero sentire
distintamente il bisogno di un legame comune e di una comune guida.

La Francia ne usciva sanzionata come prima potenza continentale a discapito di una non doma
Spagna, che volle nonostante tutto proseguire la guerra ma che alla fine dovette finalmente cedere
il Rossiglione e l’Artois.

La Pace di Westfalia riveste un’importanza storica straordinaria. Rappresentò la conclusione


definitiva del periodo delle guerre di religione e l’inizio di un processo di secolarizzazione delle
relazioni internazionali, che si sarebbero da ora in poi basate sugli interessi degli Stati e non su
interessi confessionali. La metà del Seicento segna la nascita del sistema degli Stati europei, il cui
principio cardine è costituito dall’equilibrio: bisognava evitare che qualche pot enza acquisisse una
forza tale da coltivare progetti di egemonia continentale. Fu per tale ragione che l’aggressiva politica
di Luigi XIV destò più di una preoccupazione nei sovrani europei della seconda metà del Seicento.

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39) Richelieu

Nato a Parigi nel 1585, Richelieu scelse da giovane la carriera ecclesiastica allo scopo di salvare il
patrimonio della famiglia. Consacrato vescovo di Luçon nel 1607, resse per sei anni la carica
ecclesiastica prima di trasferirsi a Parigi. Nella capitale le sue doti gli guad agnarono presto i favori
della reggente Maria de’ Medici, che appoggiò presso il papa la sua nomina a cardinale ottenuta nel
1622. Sotto il regno di Luigi XIII Richelieu conseguì rilevanti posizioni di potere che mantenne fino
alla morte, nel 1642, divenendo l’arbitro della politica francese. Dovette affrontare soprattutto i
problemi del conflitto che divampava nell’Europa centrale (guerra dei Trent’anni, 1618-48), da cui
si profilava una supremazia europea della dinastia degli Asburgo, titolari delle corone di Spagna e
d’Austria e imperatori del Sacro Romano Impero. Per scongiurare tale esito Richelieu strinse
alleanza con le potenze protestanti (protestantesimo), scelta questa che sconcertò il papa e le
potenze cattoliche. Bilanciò in politica interna tale orientamento restringendo le libertà di culto di
cui beneficiava la minoranza riformata (gli ugonotti, di religione calvinista) che viveva nel territorio
francese. Fece assediare La Rochelle, piazzaforte ugonotta sull’Atlantico, e la città capitolò
nell’ottobre del 1628. Furono represse con violenza anche le rivolte contadine e popolari che
agitarono la Francia a partire dal 1622-23.

La politica estera

La coerenza della sua politica antiasburgica gli scatenò contro tutte le forze del partito cattolico
francese, capeggiato dalla regina Anna d’Austria, moglie di Luigi XIII, e dal fratello del re, Gastone
d’Orléans, attorno ai quali si riunirono diversi esponenti dell’alta aristocrazia, sostenuti dalla
Spagna. Una serie di congiure mirate a eliminarlo politicamente e fisicamente fu sventata da
Richelieu, che non arretrò di fronte al rango dei congiurati chiedendo e ottenendo la condanna a
morte di diversi di loro. Da allora gli ostacoli alla sua politica furono definitivamente superati e la
guerra contro gli Spagnoli, ancora la maggiore potenza militare del continente, poté essere
perseguita senza remore. Intervenne due volte in Italia nella guerra di successione del Monferrato
per imporre in funzione antispagnola il candidato francese, il duca Carlo I di Gonzaga-Nevers: il
Trattato di Cherasco del 1631 ratificò tale risultato e inoltre attribuì alla Francia l’importante
piazzaforte militare di Pinerolo, a sud di Torino. Dopo una rapida riorganizzazione dell’esercito e la
firma di un’alleanza con le Province Unite e i principati dell’Italia settentrionale, per consiglio di
Richelieu il re Luigi XIII dichiarò guerra alla Spagna (1635). Le prime sconfitte francesi (occupazione
spagnola della Piccardia e della Valtellina) furono annullate dalla presa di Brisach, punt o strategico
del corridoio fra la Svizzera e i Paesi Bassi, e soprattutto dalla crisi interna della monarchia iberica,
indebolita dalle ribellioni separatiste della Catalogna e del Portogallo, che ebbero l’appoggio di
Parigi. La disfatta spagnola a Rocroi (1643), avvenuta un anno dopo la morte di Richelieu, segnò
l’inizio del predominio francese in Europa.

Le riforme amministrative

L’enorme sforzo militare a cui Richelieu costrinse il suo paese ebbe ripercussioni sulle condizioni di
vita dei Francesi e sul debito dello Stato, che salì a livelli elevati. D’altra parte Richelieu promosse
misure di ampia portata intese a rafforzare l’autorità del re e l’amministrazione dello Stato, che poté
disporre per la prima volta di un corpo di amministratori pubblici al suo servizio. Richelieu incoraggiò

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inoltre la fondazione di compagnie commerciali, sul modello di quelle olandesi, per lo sfruttamento
delle risorse delle colonie che la Francia possedeva in America.

Secondo il costume del tempo non esitò a utilizzare il grande potere che aveva conseguito per
accumulare una enorme fortuna personale, pubblicamente esibita dalle centinaia di persone al suo
servizio e dal gusto per lo splendore e lo sfarzo.

40) Il re sole

La seconda metà del Seicento vide l’affermarsi di una forma di governo definita assolutismo, un
regime nel quale il potere veniva esercitato da un sovrano che si riteneva sciolto dalle leggi, legibus
solutus, era lui stesso la fonte della legge, rappresentava la legge stessa e la sua validità, ponendo
la macchina statale sotto il suo controllo. (Un sovrano al di sopra delle leggi porterà ben presto, nella
storia, al concetto di duce, di capo carismatico.) Obiettivo dell’assolutismo era uno stato
centralizzato, dotato di un esercito permanente al comando del sovrano e amministrato da
quest’ultimo attraverso una burocrazia in grado di imporre un unico sistema di tasse e di leggi in
tutto il paese. Nel definire l’assolutismo, però, è necessario un’ulteriore precisazione, che concerne
la distinzione tra intenzione e realizzazione. L’assolutismo, di cui i sovrani francesi da Luigi XIV fino
alla rivoluzione del 1789, si proclamarono artefici, fu un’ambizione più che un risultato conseguito.
Il primo elemento che impediva la piena realizzazione dell’assolutismo risiedeva nella preesistenza
di alcune leggi fondamentali e nel fatto che l’ autorità regia era limitata dall’organizzazione della
società. Il progetto assolutistico ambiva ad applicare un’unica legislazione e un coerente sistema
fiscale, ma questo si scontrava con l’estrema frammentazione dei territori nazionali. Per conoscere
i contenuti di un’ordinanza del re la maggioranza dei sudditi doveva rivolgersi a quei pochi che
padroneggiavano la lingua ufficiale e a ciò si affiancava la difficoltà nei trasporti e nelle
comunicazioni. L’assolutismo misurò le proprie possibilità di realizzazione e i propri limiti durante il
regno di Luigi XIV che sedeva sul trono di Francia dall’età di cinque anni. La reggenza, data la giovane
età del sovrano, era stata affidata a sua madre Anna d’Austria, e al favorito di quest’ultima, Giulio
Mazzarino. Nel 1661, dopo un periodo in cui il re non aveva mostrato interesse per gli affari politici,
subito dopo la morte di Mazzarino, il sovrano convocò nel suo studio privato tre uomini che erano
stati al servizio del cardinale scomparso e li informó che da allora in poi avrebbe regnato da solo,
senza nominare nessun Primo Ministro. Sarebbe spettato tutto a lui, per questo motivo gli si
attribuisce il motto ‘lo Stato sono io’. L’intenzione di governare da solo, di instaurare una monarchia
assoluta, doveva misurarsi con gli effettivi mezzi a disposizione che luigi aveva, infatti poteva
contare su non più di un centinaio di funzionari al suo servizio, quindi di una forma burocratica
esigua ma che egli riuscì a riformare in modo efficiente. Il primo passo in questo senso fu quello di
istituire un sistema di consigli ovvero un sistema composto da ministri fidati del re, detti anche
segretari, distinti in base alle competenze: vi era il segretario della g uerra, della marina, degli affari
esteri e della casa del re. Una carica di particolare rilievo era quella del controllore delle finanze, che
dirigeva la politica economica dello Stato.

Per ottenere il controllo dell’amministrazione statale il re prese alcune iniziative volte a limitare i
poteri locali: lui voleva inserire nei posti chiave dell’amministrazione uomini di origine borghese,
fedeli e riconoscenti nei confronti della corona. Rafforzò il ruolo degli intendenti, funzionari pubblici
che ottenevano la carica direttamente dal re il quale poteva revocare il loro mandato e erano
incaricati di far applicare le leggi, amministrare la giustizia, riscuotere le tasse, presiedere i consigli
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comunali. Contemporaneamente dovevano informare il re di ciò che accadeva nelle varie zone del
paese. Luigi XIV prese provvedimenti che limitavano le autonomie locali, decise che i sindaci e gli
amministratori delle maggiori città fossero nominati da lui e sciolse diversi corpi armati che le città
mantenevano a loro spese. Con la sua ascesa al potere, il sovrano si trovò ad affrontare una
situazione di profonda crisi economica: anni di guerra, una cattiva amministrazione, una grave
carestia (che provocò 1 milione e mezzo di morti), avevano assorbito la maggior parte delle risorse
dello Stato. Il risanamento delle finanze fu affidato ad un ministro Jean-Baptiste Colbert, il quale,
con la nomina di controllore delle finanze, segretario di Stato della casa del re e segretario della
marina, divenne l’uomo più potente tra i collaboratori del sovrano. Egli disegnò un sistema di
riforme che miravano a trasformare la Francia, ancora legata ad un’economia agricola, in un paese
competitivo nei settori manufatturiero, Commerciale e coloniale. La sua politica economica era
mercantilistica, mirava ad aumentare la quantità di moneta a disposizione dello Stato, perseguendo
una politica protezionistica nazionale e incoraggiando le esportazioni, e fu definita Colbertismo. Il
principio base: la ricchezza di una nazione era proporzionale alla quantità di metalli preziosi che in
essa si trovava. Questo principio fu alla base di numerosi provvedimenti di tipo protezionistico:
bisognava ridurre le importazioni favorendo l’esportazione dei prodotti nazionali, dalla cui vendita
lo Stato avrebbe incassato monete pregiate. Colbert promosse la riforma della giustizia, in direzione
di un’unificazione legislativa del regno sostenendo la realizzazione di codici, raccolte di leggi, che
mettevano ordine nella materia giuridica. Al diritto consuetudinario venne sostituito un diritto
codificato valido per tutti, venne adottato un corpus unificato di leggi scritte che rappresentò un
provvedimento di fondamentale importanza in vista del progetto di centralizzazione del potere.

Il progetto assolutistico del re comportava una volontà di controllo anche nelle coscienze e la
repressione di ogni atteggiamento e concezione che potesse entrare in contrasto con l’autorità del
sovrano. Luigi si impegnò quindi a unificare religiosamente la Francia seguendo tre orientamenti:
rafforzamento del gallicanesimo, lotta al giansenismo e la repressione degli ugonotti. Con Luigi XIV
la dottrina gallicana trova la massima espressione, lui fece ratificare dal clero la dichiarazione dei
quattro articoli dove era riconosciuta l’indipendenza della Chiesa francese e confermava il diritto
del re di controllare le proprietà ecclesiastiche e di nominare i vescovi.

L’altro punto della politica di unificazione religiosa era lo scontro con i giansenisti, che si ispiravano
alla predicazione del teologo Jansen , e si caratterizzavano per un profondo rigore morale, che li
portava ad esaltare una vita austera e a criticare la corruzione morale e il lusso. Sostenevano che la
salvezza eterna dipendeva dalla predestinazione divina. Per questo motivo furono accusati di
simpatizzare per il protestantesimo e le loro dottrine vennero condannate eretiche. Luigi XIV per
tale motivo fece distruggere l’abazia di Port Royal presso Parigi in cui il movimento si era sviluppato.
Inoltre condusse una dura campagna contro gli ugonotti, i seguaci della religione calvinista,
attuando una vera e propria persecuzione limitandone la libertà di culto, opprimendoli con
imposizioni fiscali spropositate e ostacolandoli nell’esercizio delle loro professioni. Agli ugonotti
furono imposte le cosiddette Dragonnades: le famiglie dovevano mantenere a proprie spese i
dragoni, cavalieri della guardia reale, i quali avrebbero dovuto esercitare un’azione di persuasione
sulla famiglia per convertirla al cattolicesimo. Il sovrano emanò l’editto di Fontainebleau che stabilì
la distruzione dei templi protestanti, l’obbligo di conversione alla religione cattolica, pena la
carcerazione o addirittura la morte. Luigi XIV però adottò una politica dell’immagine finalizzata ad
ispirare sentimenti di devozione riconoscenza e obbedienza. In questo contesto si afferma la
metafora del re sole, come fu chiamato dai sudditi e come amò definirsi egli stesso, per evidenziare
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il ruolo di sovrano che, generosamente, dispensava benessere e gloria al paese: il re era il fulcro
simbolico della nazione francese come il sole lo è per il sistema solare. Lui costruì la reggia a
Versailles, e l’edificazione di tale reggia favorì il conseguimento di precisi obiettivi politici: co nsentì
una gestione centralizzata del potere, in quanto nelle sue stanze furono trasferiti tutti gli uffici di
governo, permise un maggiore controllo degli esponenti dell’alta nobiltà e rappresentò un vero e
proprio incentivo economico. Luigi XIV morì nel 1715, non avendo eredi maschi gli succedette il
pronipote Luigi, duca d’angio, con il nome di Luigi XV.

41) Oliver Cromwell e prima rivoluzione inglese

Poco meno che trentenne, Oliver Cromwell attraversa una profonda crisi religiosa che lo spinge a
diventare un fervente puritano, fermamente convinto del fatto che solo la fede sia in grado di
guidare l’uomo nella vita privata e pubblica. Compiuta una prima breve esperienza come
parlamentare nel 1628, prima che questo venisse sciolto dal re, torna nel ricostituito Parlamento
nel 1640, schierandosi apertamente contro l’assolutismo di Carlo I. Oliver Cromwell dichiara a gran
voce di voler abbattere la diffusa corruzione di corte, creare un sistema fiscale sottoposto al
controllo del Parlamento e di mirare a una più energica difesa degli interessi nazionali in politica
estera. Per le sue decise e fiere posizioni, quando nel 1642 scoppia la guerra civile, lo ritroviamo a
capo dell’esercito di insorti che comanderà con una disciplina ferrea. Da grande stratega militare,
attraverso la riorganizzazione dell’esercito rivoluzionario, chiamato New model army, porterà in soli
quattro anni i cavalieri del re alla totale disfatta. È il 1648. Nonostante la schiacciante vittoria, sono
ancora in pochi a ritenere che si possa fare a meno della monarchia. E lo stesso Cromwell si dichiara
favorevole all’accordo con il re sconfitto, purché si salvaguardino le conquiste della rivoluzione. Ma
non c’è unanimità di vedute sul nuovo assetto politico e religioso. Il parlamento è favorevole a dare
alla Chiesa una svolta presbiteriana a cui però si ribella chi vuole l’indipendenza delle singole
religioni (cattolica esclusa) venutesi a creare durante lo scontro tra corona e parlamento in quel
clima di relativa libertà. Tra questi ci sono i quaccheri (letteralmente “coloro che tremano di fronte
a Dio”, quaker) e i battisti (che conferiscono il battesimo in età adulta). Nel 1651 viene promulgato
l’Atto di Navigazione che riserverà alla madrepatria il commercio con le colonie nordamericane
ammettendo nei porti inglesi solo navi britanniche. Un colpo diretto contro gli olandesi che aprirà
di fatti la strada alle tre guerre navali anglo-olandesi iniziate nel 1652 e terminate nel 1674 e che
finiranno per sancire la superiorità marittima britannica. In questo contesto Oliver Cromwell
dichiara guerra alla Spagna, già duramente provata dal conflitto con i francesi, strappandole la
Giamaica che poi diventerà il fulcro della tratta degli schiavi. Inizia ufficialmente l'imperialismo
britannico. Cromwell diventa Lord Protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda, ma si rifiuta di indossare
la corona. Gli anni di Cromwell segnano la ripresa dell’espansione marittima inglese e inaugurano
l’era dell’imperialismo britannico. La politica interna però mostra alcune crepe. Viene stilata in fretta
e furia una carta costituzionale e Cromwell viene nominato Lord protettore di Inghilterra, Scozia e
Irlanda unendo potere politico e militare. Gli anni successivi lo vedranno impegnato nel tentativo di
consolidare le conquiste della rivoluzione e di dare al paese nuove istituzioni. Una serie di privilegi
concessi alla nobiltà verranno soppressi, fu introdotta una relativa tolleranza religiosa (non però per
i cattolici), ma nei successivi anni non gli riuscirà di dare al paese un’adeguata stabilità istituzionale.
1660: viene restaurata la monarchia degli StuartNel 1657 il Parlamento gli chiederà di restaurare la
monarchia assumendo lui stesso la corona, ma lui rifiuta. Alla sua morte gli succede il figlio Richard,
il quale non si dimostrerà all’altezza dei propri compiti, tanto che nel 1660 verrà restaurata la
monarchia degli Stuart.
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42) La gloriosa rivoluzione

La seconda rivoluzione inglese fu detta anche Gloriosa Rivoluzione perché avvenne in modo
sostanzialmente pacifico, tranne che in Irlanda. Alla nascita dell'erede di Giacomo II i
parlamentari whigs trovarono un accordo e si appellarono allo statolder Guglielmo d'Orange,
marito della protestante Mary Stuart, offrendogli la corona. Guglielmo sbarcò a Torbay e, mentre
Giacomo II abbandonato da gran parte dell'esercito fuggiva in Francia, il 13 febb. 1689 venne
proclamato dal Parlamento sovrano con il nome di Guglielmo III congiuntamente alla moglie Mary.
Il nuovo sovrano sottoscrisse il Bill of Rights (Dichiarazione dei Diritti) nel quale riconosceva il
carattere contrattuale del suo potere e apriva la strada alla supremazia del Parlamento sulla corona.
Esso sintetizza in un documento di grande valore storico e giuridico un'evoluzione costituzionale
complessa, che ha le sue radici nelle Carte e nei parlamenti medievali e che pone le premesse per il
successivo sviluppo del costituzionalismo liberale. In particolare, il testo del Bill of Rights suggella il
ruolo centrale del Parlamento nella configurazione dei poteri e indirizza il sistema costituzionale
verso la tutela delle libertà dei cittadini, di cui la posizione del Parlamento e le prerogative dei suoi
membri sono il primo baluardo. In Irlanda i cattolici formarono un esercito a sostegno di Giacomo II
ma furono sconfitti sul fiume Boyne (1690) e a Aughrim (1691). La successi one a Guglielmo III, che
non aveva eredi, fu regolata dall'Atto di disposizione (1701); al trono venne designata Anna, la
sorella di Mary Stuart, e la casa degli Hannover.

43) Galileo Galilei e Copernico

Nel corso del seicento la visione del mondo a cui la cultura europea era abituata subì una radicale
trasformazione. Gli studiosi di questo periodo elaborarono una nuova concezione della natura,
intesa come un sistema oggettivo, governato da leggi universali, basato su un metodo di carattere
sperimentale. In particolare i protagonisti della cosiddetta rivoluzione scientifica affermarono una
nuova immagine del cosmo e le loro scoperte rappresentarono l’atto di nascita della scienza
moderna, intesa come un sapere universale volto al progressivo dominio della natura da parte
dell’uomo. L’inizio della rivoluzione scientifica è convenzionalmente coincidente con la
pubblicazione del capolavoro di Niccolò Copernico (1543), ‘De revolutionibus orbium coelestium’.
Questa rivoluzione investì tutti gli ambiti delle scienze naturali, ma il fulcro fu quello dell’astronomia.
Questa disciplina venne letteralmente sconvolta da innovative teorie sull’universo, che confutarono
un sistema cosmico considerato indiscutibile da centinaia di anni: il sistema aristotelico tolemaico,
che postulava un universo chiuso e finito, costituito da una serie di sfere cristalline che ruotavano
intorno alla terra, fissa al centro del sistema, si parlava infatti di geocentrismo. Il primo a mettere in
dubbio tale impianto dottrinale fu Niccolò Copernico, che si era formato in due prestigiose università
italiane, Bologna e Padova. Con la pubblicazione della sua opera propose una rappresentazione
eliocentrica del cosmo: al centro del sistema copernicano era collocato il sole, attorno al quale
ruotavano la terra, la luna e altri pianeti.L’opera di Copernico, inizialmente, non suscitò clamore
poiché la complessità di tale libro fece sì che gran parte della comunità scientifica non la
comprendesse, la quasi totalità delle gerarchie si limitò a considerarla una semplice ipotesi
matematica. A indurre tale lettura contribuì la premessa all’opera scritta dall’amico, incaricato da
Copernico di pubblicare il libro a cui aveva dedicato tutta la vita, il teologo Andrea Osiander.
Quest’ultimo accreditó l’eliocentrismo come un modello matematico, ipotetico e ciò tradiva le
intenzioni di Copernico, il quale aveva creduto nella verità cosmologica della sua teoria. Quando la
teoria copernicana inizió a preoccupare le autorità religiose, poiché gli studiosi consideravano essa
49
una reale rappresentazione del cosmo, La Chiesa si allarmo perché contraddiceva diversi passi della
Bibbia. La rivoluzione copernicana aprì così un conflitto tra le affermazioni contenute nelle sacre
scritture e quelle proposte dalla scienza sulla base di prove, calcoli e osservazioni e inoltre sostituire
il sole alla terra, quale centro dell’universo, significava sovvertire la tradizionale visione
antropocentrica e operare un capovolgimento della posizione dell’uomo.

Il ruolo decisivo nel processo di costruzione della scienza moderna fu quello rivestito da Galileo
Galilei, nato a Pisa nel 1564, docente di prestigiose università, che concentrò il suo interesse sui
fenomeni associati alla caduta dei corpi. Fu Galileo stesso a definire ‘sperimentale’ il nuovo metodo
Che la scienza doveva adottare per scoprire le leggi della natura, passando dall’osservazione del
fenomeno, alla formulazione di un’ipotesi verificandone la validità attraverso l’esperimento che
conferiva all’ipotesi una validità universale divenendo legge di carattere generale.nel 1609 Galileo
costruì un modello di cannocchiale per vedere vicini oggetti lontani, e grazie a questo lui scoprì che
la superficie della luna non era regolare, che presentava valli, come quelle della terra, vide macchie
solari e quattro anelli di Giove, che Galileo chiamò satelliti medicei in onore della famiglia dei medici
che governava la Toscana. i risultati delle sue osservazioni furono resi noti nel ‘Sidereus Nuncius’ del
1610, offrendo un supporto decisivo alla teoria copernicana. Galileo sapeva che la nuova astronomia
poneva questioni di importanza decisiva per la cultura teologica ma sperava di riuscire a far si Che
la Chiesa accettasse le idee copernicana sulla base della separazione tra verità di scienza e verità di
fede. La Chiesa non accettò tali argomentazioni e Galileo diventò bersaglio di attacchi da parte dei
filosofi e teologi conservatori. nonostante ciò, egli si mantenne fermo nella difesa dell’autonomia
della ricerca scientifica, ma la sua posizione divenne delicata quando, nel 1616, gli venne proibito
dall’inquisizione di insegnare e sostenere pubblicamente la teoria copernicana, giudicata eretica
dalla Chiesa. lo scopo della Bibbia era insegnare all’uomo come si va al cielo, non come va il cielo e
la sua posizione era una sfida alla dottrina cattolica. Galileo in quegli anni lavoró al ‘dialogo sopra i
due massimi sistemi del mondo’,pubblicato nel 1632, confutazione del sistema aristotelico
tolemaico.il tribunale del Sant’Ufficio ordinò di sospenderne le vendite e convocò il suo autore a
Roma per sottoporlo al processo. Galileo venne condannato, e per aver salva la vita pronunciò la
pubblica abiura delle tesi copernicana e di quanto aveva sostenuto in proposito.

44) La guerra di successione Spagnola

Alcuni problemi di successione

La guerra di Successione spagnola fu il conflitto che coinvolse l’ultimo periodo del regno di Luigi XIV
di Francia. Lo scoppio delle ostilità si ebbe perché il re spagnolo, Carlo II, non aveva figli, ma due
sorelle. Una sorella del sovrano di Madrid sposò il Re Sole e l’altra l’imperatore austriaco, Leopoldo
I.

Le parti si accordarono per suddividere il regno spagnolo in questo modo:

▪ ai Borbone i possedimenti italiani;


▪ agli Asburgo la Spagna, i Paesi Bassi spagnoli (cioè il Belgio) e le Colonie.

Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV fu scelto per ereditare la parte francese. Il secondogenito di
Leopoldo I, Carlo d’Austria, per gli Asburgo.

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Luigi XIV era conosciuto per le sue grandi doti diplomatiche e riuscì a convincere Carlo II di Spagna
per assegnare la corona di Spagna al nipote, con la promessa che non si sarebbe mai spinto a riunire
nella sua persona la corona francese e quella spagnola. Questo perché tra le corti europee aleggiava
la paura che si potesse ricreare una potenza politico-militare simile a quella che possedeva Carlo V
d’Asburgo. Carlo V ebbe su di sé nel XVI secolo la corona di Spagna, con tutte le colonie oltreoceano
e quella imperiale.

Lo scoppio del conflitto


Nel 1700 Carlo II di Spagna morì e Filippo d’Angiò fu incoronato Re di Spagna con il nome di Filippo
V. Leopoldo I si preoccupò dal comportamento del Re Sole, il quale, già dal 1701, si mosse per
avviare l’unire i suoi possedimenti con quelli del nipote. A questo punto gli austriaci spostarono le
truppe in Italia preparandosi allo scontro, appoggiati da Inghilterra e Olanda.

La guerra, già in atto, fu ufficialmente dichiarata nel 1702. Carlo d’Austria rivendicò la corona
spagnola col nome di Carlo III. Egli sostenuto, oltre che da Inghilterra e Olanda, da Danimarca e del
piccolo regno di Prussia. La Prussia era un giovane regno formatosi attorno all’elettorato di
Brandeburgo e guidato dal genio militare di Federico I. Al fianco dei Borbone c’erano il Portogallo e
il ducato di Savoia, che successivamente avrebbero cambiato formazione.

La situazione di ribalta

La marina anglo-olandese, le finanze di Londra e Amsterdam e le abilità tecno-strategiche di Eugenio


di Savoia sembrarono far mancare la vittoria in favore della Grande Alleanza di Carlo III. La Grande
Alleanza decise di attaccare la Francia su più fronti per impedire a Luigi XIV di riunire le forze in un
unico esercito che sarebbe stato inattaccabile. Le truppe anglo-olandesi arrivarono persino a
minacciare Parigi.

Al sorgere del secondo decennio del XVIII secolo due eventi, la formazione di un governo tory in
Inghilterra, ostile alla guerra, e l’inaspettata morte di Giuseppe I, succeduto al padre Leopoldo I sul
sogno di imperatore tedesco, fecero rovesciare la situazione. Ora le corti europee videro più reale il
pericolo di una potenza Asburgica costruita con il loro aiuto, poiché Carlo III pretendente alla corona
spagnola, ereditò quella imperiale e divenne Carlo VI d’Asburgo.

45) La Pace di Rastatt


La Pace di Rastatt. - Fu conclusa il 7 marzo 1714 tra la Francia, l'imperatore e l'impero, e pose fine
alla guerra di successione di Spagna. Carlo VI imperatore non aveva aderito alla pace di Utrecht e
aveva continuato da solo la guerra, confidando nella valentia del principe Eugenio e preferendo, in
ogni caso, concludere un trattato particolare con Luigi XIV senza essere costretto a riconoscere il
nuovo sovrano di Spagna. Ma i successi militari francesi nell'estate e nell'autunno del 1713
indussero anche l'imperatore a iniziare trattative di pace. I negoziati ebbero inizio il 26 novembre
1713, nel castello di Rastatt, tra Eugenio di Savoia e il maresciallo di Villars. I due condottieri
discussero segretamente, ma con lealtà e franchezza, e dopo breve tempo inviarono alle rispettive
corti il testo dei preliminari. Intanto l'imperatore aveva ordinato nuove leve e raccolto cospicui
mezzi finanziarî per continuare la guerra. Ciò indusse la Francia a non insistere su talune richieste,
così che i due negoziatori, riunitisi ancora a Rastatt il 28 febbraio 1714, poterono segnare il 7 marzo
la pace.

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Il trattato riconosce come propria base i precedenti trattati di Vestfalia, di Nimega, e di Ryswyk. In
virtù dei nuovi accordi, vengono restituiti all'imperatore il forte di Kehl, la città di Friburgo in
Brisgovia e i territorî dipendenti. La Francia si obbliga a distruggere le fortificazioni costruite nelle
isole del Reno, ma conserva il pieno possesso della città di Landau e dei villaggi vicini. Gli elettori di
Colonia e di Baviera sono ristabiliti nei loro stati e nelle loro prerogative. Inoltre, la Francia riconosce
all'Impero il possesso dei Paesi Bassi spagnoli e, in Italia, del regno di Napoli, del ducato di Milano,
della Sardegna e dei Presidî.

È da notare che l'imperatore stipulò la pace non solo per sè ma anche per l'Impero, pur senza
esserne autorizzato; e infatti l'art. 33 fa rinvio a un nuovo congresso per la conclusione del trattato
in forma generale e solenne. Il che avvenne a Baden (Argovia) il 7 settembre 1714. Il trattato di
Baden conferma totalmente (art.1) la pace di Rastatt. Ma la sua ratifica nella Dieta di Ratisbona (9
ottobre 1714) incontrò difficoltà da parte dei principi protestanti che invano avevano chiesto
l'abolizione dell'art. 4 del trattato di Ryswyk, lesivo dei loro interessi religiosi.

Con queste paci la successione di Spagna veniva regolata anche con vantaggio dell'Austria che .
acquistava buona parte dei possessi spagnoli in Italia. Si riprendevano pure le relazioni internazionali
interrotte dalla lunga guerra, eccetto che tra l'Austria e la Spagna, non avendo Carlo VI riconosciuto
Filippo V se non nel 1725.

46) Alberoni

In quegli anni, alla corte spagnola, si stavano verificando degli avvicendamenti molto importanti tra
le èlites dirigenti. Ne entrò a far parte l'abate piacentino Giulio Alberoni (1664-1752). Di umilissime
origini, entrò a stretto contatto con la corte spagnola dopo esser stato inserito in quella francese (al
seguito del duca di Vendome) dal vescovo Roncovieri; divenne agente diplomatico in terra spagnola
per conto del duca di Parma Francesco Farnese. Alla morte della moglie di Filippo V, Maria Luisa di
Savoia, l'Alberoni si impegnò nell'organizzare un matrimonio tra la nipote del duca, Elisabetta
Farnese, e il sovrano spagnolo, e sotto la loro guida congiunta l'intera amministrazione spagnola
venne riformata, sul modello di quella di Parma (gli obiettivi dell'Alberoni e della Farnese erano
quelli di ricreare un potente Stato spagnolo, in grado di rimettere in discussione la supremazia
inglese e imperiale imposta con i trattati di Utrecht e Ramstad). Venne potenziato l'esercito e la
flotta, coniate nuove monete, rinforzato il monopolio commerciale con le colonie, riformata la
contabilità: venne abolita l'antica amministrazione plurima dei vari regni precedenti l'unione politica
spagnola e in pochi anni di lavoro e di riforme interne la Spagna poteva ripresentarsi da protagonista
della politica europea. La politica dell'Alberoni si rivolse dunque a cercare un accordo di massima
con la potenza inglese, divenuta la forza prevalente dopo Utrecht. Il nuovo re inglese, Giorgio I di
Hannover (1714-27), imparentato con i principi tedeschi e quindi a stretto contatto con l'Impero di
Carlo VI, utile a bloccare qualsiasi tentativo di rinascita della Francia (ora affidata al reggente Filippo
d'Orleans, in attesa della maggiore età di Luigi XV), non aveva però nessuna voglia di depauperare i
buoni rapporti con l'Impero instaurando nuove relazioni con gli spagnoli. Per di più, gli sviluppi della
politica interna francese non favorirono il compimento delle volontà politiche dell'Alberoni: nello
Stato transalpino l'aristocrazia e il Parlamento di Parigi promisero la corona francese al reggente
Filippo d'Orleans, in cambio del ripristino della pratica della Rimostranza, consistente nell'esercizio
del potere di veto per l'approvazione delle leggi regie. Il cambio di dinastia avrebbe potuto
significare un mutamento anche delle mire espansionistiche francesi: così, nel gennaio del 1717

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nacque la “Triplice Alleanza dell'Aja” comprendente Inghilterra, Francia e Impero, e che lasciava
completamente isolata la Spagna dell'Alberoni. Da questo evento scaturì la decisione dell'Alberoni
di indirizzare i galeoni spagnoli alla volta della Sardegna, invece che indirizzarli contro la flotta turca:
proprio i turchi avrebbero potuto diventare dei fidi alleati in mancanza di altre alternative dopo la
“Triplice Alleanza”. Il progetto della “Liberazione d'Italia” dell'Alberoni prevedeva: ◆ il ritorno degli
ex vice-regni di Napoli e Sicilia in mano alla Spagna; ◆ l'insieme territoriale del Granducato di
Toscana e del ducato di Parma in mano a Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese e di Filippo V;
◆ estinzione della dinastia medicea in Toscana e aggiustamenti territoriali minori per la Repubblica
di Venezia e per lo Stato pontificio; ◆ La creazione di una Lega italica pronta a difendere la sua
libertà dalle pressioni tedesche. L'Alberoni forzò i tempi e riunì un esercito, che nel 1718 sbarcava
in Sicilia. La Triplice Alleanza reagì e divenne Quadruplice con l'entrata dell'Olanda; vennero così
definiti ulteriori accordi fra gli Stati della Quadruplice: ◼ fu fatto divieto a Carlo VI di rivendicare il
trono spagnolo di Filippo V, e lo stesso valeva per la Francia di Filippo d'Orleans e di Luigi XV
Borbone; ◼ la Sicilia sarebbe stata liberate dalle truppe austriache e alla fine della guerra sarebbe
diventata un nuovo possedimento dell'Impero asburgico; ◼ la Sardegna sarebbe passata al ducato
di Savoia; ◼ a Elisabetta Farnese sarebbero andati i possedimenti di Granducato di Toscana e di
Ducato di Parma all'estinzione della dinastia Medicea. Non appena gli imperiali ebbero concluso una
pace con gli ottomani (pace di Passarowitz, giugno 1718), le forze della Quadruplice furono pronte
ad attaccare: una flotta inglese sbaragliò quella spagnola al largo di Capo Passero, mentre un
fortunale distrusse un altra flotta spagnola vicino le coste scozzesi (l'Alberoni aveva progettato un
attacco spagnolo-scozzese nei confronti degli inglesi). L'Alberoni, l'attentatore al principio di
equilibrio, era così uscito sconfitto e con lui caddero tutte le possibili speranze della Spagna di
tornare a essere protagonista nel Mediterraneo e, in generale, in Europa. La Spagna firmò la pace
dell'Aja nel 1720 che stabiliva il passaggio della Sicilia agli imperiali e la Sardegna alla Savoia. Il
Cardinale, scampato alle ire spagnole e pontificie trovò rifugio a Genova. Nel 1721, il nuovo Papa
Innocenzo XIII (1721-24) lo riammise al conclave e lo scagionò da tutti i suoi misfatti. Morì a Piacenza
nel 1752.

47) Illuminismo

Sviluppatosi nel corso del Settecento nei principali paesi europei ‒ e segnatamente in Francia ‒
l'Illuminismo ha rappresentato uno dei movimenti culturali più complessi e importanti dell'età
moderna. L'antica metafora religiosa della luce divina e dell'illuminazione delle menti venne
reinterpretata in chiave laica, dando luogo a un sapere critico che investì tutti i campi del sapere
umano, dalla filosofia alla politica, dalla società alla religione. Secondo il grande filosofo tedesco
Immanuel Kant, l'Illuminismo rappresentò l'entrata dell'uomo nell'età adulta, caratterizzata
dall'esigenza di pensare con la propria testa.

I teorici della politica e i riformatori dell'Illuminismo condivisero la convinzione che anche le società
umane sono governate da leggi analoghe alle leggi di natura, e che la trama apparentemente
discontinua dei fenomeni del "mondo intelligente", come scrisse il pensatore francese Charles-Louis
de Montesquieu (18° secolo), può essere ricostruita alla luce dell'esperienza e della ragione: "Posti
i principi, ho visto i casi particolari piegarvisi spontaneamente, le storie di tutte le nazioni esserne la
conseguenza, e ogni legge particolare collegarsi a un'altra legge più generale". Il suo Spirito delle
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leggi (1748) anticipò l'analisi sociologica delle varie società, tenendo conto delle "molte cose che
governano gli uomini: il clima, le leggi, le massime del governo, i costumi, le usanze, da cui si forma
uno spirito generale che ne è il risultato". Oltre a Montesquieu, che guardava con ammirazione alla
liberale Inghilterra, l'Illuminismo si arricchì di altri due grandi pensatori politici: il filosofo svizzero
Jean-Jacques Rousseau e Kant, che utilizzarono le categorie della scuola del diritto naturale.
Secondo queste ultime, gli uomini erano usciti dallo stato di natura (nel quale vivevano prima di
entrare in società) attraverso un patto o contratto sociale, con il quale avevano ceduto una parte
più o meno grande dei loro diritti naturali in cambio della sicurezza offerta dallo Stato. Rousseau
negò che, stipulando il patto sociale, gli uomini avessero mai ceduto a un sovrano esterno la loro
originaria libertà: a suo avviso, ogni individuo cedeva i propri diritti alla comunità, che era l'unico
sovrano legittimo, si esprimeva attraverso la volontà generale (concepita come antitesi delle volontà
particolari) e comprendeva al suo interno tutti i cittadini, senza eccezione alcuna. Così Rousseau
fondava la moderna teoria della sovranità popolare (democrazia), mentre Kant sarebbe rimasto
nell'alveo del pensiero liberale (liberalismo), diffidente verso tutte le forme di potere illimitato
(incluse quelle popolari) e teso a difendere in primo luogo le libertà individuali.

48) Guerra dei sette anni

Fu un Conflitto di vaste dimensioni che fra il 1756 e il 1763 oppose Gran Bretagna e Prussia a Francia
e Austria e loro alleati (Russia, Svezia, Polonia, Sassonia e più tardi la Spagna). Combattuta in quattro
continenti, affermò la supremazia militare della Prussia in Europa, la preponderanza dell’Inghilterra
sui mari e il suo dominio in America e in India, introdusse decisamente la Russia nella politica degli
Stati occidentali, segnò infine la decadenza dell’Austria davanti all’affermata superiorità della
Prussia e quella della Francia davanti all’Inghilterra, che le succedette nel dominio di vasti territori
extraeuropei. Nel decennio successivo al trattato di Aquisgrana (1748), che al termine della guerra
di secessione austriaca, aveva cementato l’alleanza tra Austria e Gran Bretagna, l’amicizia tra i due
Stati era stata minacciata da insanabili divergenze d’obiettivi, poiché Londra mirava a definire con
la Francia il suo conflitto d’oltremare, mentre Vienna ambiva a liquidare la potenza prussiana con
una coalizione. L’inizio del rovesciamento delle alleanze, preludio della guerra, fu segnato dal
trattato di Westminster, concluso nel gennaio 1756 tra Giorgio II d’Inghilterra e Federico II il Grande
di Prussia. Il 1° maggio successivo Francia e Austria abbandonarono il tradizionale antagonismo e
sottoscrissero a Versailles un accordo difensivo contro la minaccia anglo-prussiana. Nell’inverno
1756-57 l’Austria promise alla Francia la maggior parte dei Paesi Bassi in cambio dei territori di
Parma e di Guastalla, mentre la Francia diveniva il banchiere di Maria Teresa e assicurava di non
trattare separatamente. Intanto, per rafforzare il blocco offensivo contro Federico II, la Francia,
sapendo di doversi anche cimentare a fondo contro l’Inghilterra nelle colonie, si affrettò a
concludere trattative con la Russia (alleanza di San Pietroburgo, 21 novembre 1756; cui seguì, nel
gennaio 1757, l’accessione della Russia all’alleanza austro-francese). A un’alleanza diretta austro-
russa si giunse poi il 2 febbraio 1757. Il graduale passaggio dall’alleanza difensiva a quella offensiva
fra Luigi XV e Maria Teresa fu sancito formalmente dal secondo trattato di Versailles (1° maggio
1757) che impegnava Francia e Austria, insieme alla Russia, nella guerra continentale. Nei progetti
di Parigi un tale schieramento di forze avrebbe dovuto schiacciare in una sola campagna la Prussia,
portando alla conquista dell’Hannover, allo stabilimento di un condominio continentale franco-
austriaco, alla sottomissione dei Paesi Bassi alla Francia, la quale avrebbe allora potuto volgere tutte
le sue risorse contro l’Inghilterra. In realtà, la genialità di Federico II e l’incertezza e la disunione fra
gli alleati mandarono a vuoto questo disegno. Allo scoppio delle ostilità (ottobre 1756), la Francia
era in condizioni di netta inferiorità navale rispetto all’Inghilterra; d’altra parte, l’alleanza con
l’Austria e con la Russia impose di dividere gli sforzi francesi riservando ai teatri coloniali
54
un’insufficiente difesa. La guerra si svolse lungo due linee parallele di conflitti distinti, l’uno tra la
Francia e la Gran Bretagna, sui mari, nelle colonie e nella Germania occidentale (Hannover), l’altro
tra Federico II e la coalizione dei suoi avversari nella Germania orientale, in Slesia, alle frontiere della
Boemia e della Polonia (con le battaglie risolutive di Rossbach, 5 novembre 1757; Leuthen, 25
dicembre 1757; Kunersdorf, 21 agosto 1759). Perciò due trattati distinti, quello di Parigi e quello di
Hubertsburg (1763), posero fine all’uno e all’altro conflitto. La Francia fu la nazione che più risentì
della sconfitta, perché vide consolidarsi a E una nuova grande potenza continentale, la Prussia, e
perse il dominio dei mari e il suo primo impero (Canada e dipendenze, alcune delle Antille, il Senegal
e l’India) a vantaggio dell’Inghilterra (v. fig.). Il conflitto continentale fu dominato da Federico II, che
riuscì a salvare la posizione della Prussia, anche grazie al sostegno russo dopo l’ascesa al trono di
Pietro III nel 1762

49) Indipendenza Americana

Con Guerra d’indipendenza americana, si intende La rivoluzione americana cioè il conflitto che si
scatenò tra le tredici colonie britanniche in nordamerica e la madrepatria, fra il 1776 e il 1783
terminato con la costituzione di una nazione indipendente, gli Stati Uniti d’America.

Le cause della guerra

Alla fine della guerra dei Sette anni (1756-1763), la Gran Bretagna, risultò essere la maggiore
potenza e dominatrice assoluta sui mari, ma, nonostante ciò, la corona inglese si ritrovò a dover
sostenere enormi spese di guerra e la responsabilità di amministrare e difendere i nuovi territori
acquisiti in Nord America.

Allo scopo di far contribuire alle spese dell’impero anche i coloni, il Parlamento inglese, nel marzo
del 1765 impose una tassa di bollo su tutti i documenti legali, i contratti, le licenze, anche giornali,
opuscoli, carte da gioco, stampati in terra americana.

L’imposta provocò una forte opposizione tra i coloni americani. Normalmente, infatti, erano le
assemblee locali ad emanare leggi fiscali e di organizzazione della sicurezza interna; tale legge venne
quindi percepita dai coloni come un tentativo di limitare i loro piani di autogoverno.

Nell’ottobre del 1765, i delegati di nove colonie si riunirono a New York per far conoscere alla
madrepatria le proprie lamentele.

In effetti, nel marzo successivo, il Parlamento abolì la tassa ma ciò non fu determinato dalle obiezioni
dei coloni sull’istituzionalità della tassa, bensì dalle pressioni dei mercanti inglesi, fortemente
danneggiati dalla protesta dei coloni. La cancellazione dell’imposta lasciò irrisolti i problemi
finanziari della corona britannica che ben presto impose nuove tasse sull’importazione di vetro,
piombo, vernici, carta e tè, inviando nel contempo delle truppe allo scopo di imporre ai coloni
l’osservanza della legge. Ancora una volta, la reazione fu pronta e vigorosa. Manifestazioni di
protesta accolsero ovunque l’arrivo degli ufficiali doganali e i commercianti adottarono nuovamente
la politica di non importazione delle merci britanniche. Le tensioni esplosero il 21 giugno 1768,
quando migliaia di manifestanti bostoniani minacciarono i commissari delle dogane obbligandoli alla
fuga; immediatamente Londra inviò quattro reggimenti di truppe per permettere il rientro dei
commissari e dando inizio all’occupazione militare della città.

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Il massacro di Boston

La lunga serie di scontri che ne seguirono culminò nel marzo del 1770 nel cosiddetto massacro di
Boston, quando i soldati britannici, provocati dalla folla, aprirono il fuoco uccidendo cinque coloni;
si scatenò allora una nuova violenta ondata di protesta. Piegata ancora una volta dal boicottaggio
economico, Londra dispose la revoca della tassa.

Il monopolio della vendita di tè

Tre anni dopo il Parlamento dispose il monopolio della vendita di tè in America. Tale provvedimento
risollevò immediatamente il conflitto tra i coloni e la madrepatria tanto che a Boston il carico delle
navi che trasportavano il tè venne addirittura rovesciato in mare. Per tutta risposta, nel 1774 il
Parlamento inglese approvò alcune misure repressive, intese a riaffermare l’autorità regia: il porto
di Boston fu chiuso e venne rafforzato il regime di occupazione militare della città, riducendo anche
le leggi di autogoverno dei coloni. Il 16 dicembre 1773, per protestare contro l’imposizione da parte
della Corona britannica di una tassa sull’importazione del tè, alcuni coloni americani, guidati da
Samuel Adams, salirono a bordo di navi britanniche e gettarono in mare i carichi di tè.

Il conflitto del 1775

I rappresentanti di tutte le colonie si riunirono a Philadelphia nel settembre del 1774 n el primo
Congresso continentale per stabilire una linea d’azione comune e definire i diritti delle terre
d’America e i limiti dell’autorità del Parlamento di Londra. In una Dichiarazione dei diritti i delegati
ribadirono il rifiuto di pagare tasse e decisero la cessazione di ogni commercio con la Gran Bretagna
fino al ritiro delle truppe inglesi. Nel frattempo, nel Massachusetts le milizie cittadine andavano
organizzandosi in un Comitato di salute pubblica clandestino. Nella notte del 18 aprile 1775 il
governatore inglese inviò un reggimento a requisire un deposito d’armi nei pressi di Boston ma i
coloni intercettarono le truppe inglesi che furono costrette a ritirarsi a Boston che fu posta sotto
assedio dai ribelli. Nell’aprile 1775, mentre si dirigeva verso Concord, nel Massachusetts, per
distruggere le riserve di polvere da sparo dei coloni americani, un contingente britannico, sotto la
guida del generale Thomas Gage, si scontrò a Lexington con un gruppo di 70 volontari. Non si sa
quale delle due parti abbia scatenato la battaglia, ma gli otto coloni morti nello scontro furono i
primi caduti della guerra d’indipendenza americana. Questi sviluppi determinarono, da parte dei
coloni la costituzione di un esercito che venne posto sotto il comando di George Washington.
Tuttavia, tra i delegati era ancora prevalente una volontà di riconciliazione con la Gran Bretagna ed
infatti essi riaffermarono la lealtà al Re, chiedendogli però di ritirare le truppe. Intanto gli inglesi
asserragliati a Boston, ricevuti rinforzi via mare, avevano conseguito una netta vittoria sugli
americani che non servì tuttavia a rompere l’assedio della città. Il Re Giorgio II dichiara guerra ai
coloni americani. Le notizie sulla battaglia e sulle richieste del Congresso raggiunsero Londra
contemporaneamente. Senza prendere in nessuna considerazione le richieste dei coloni il Re,
Giorgio II dichiarò guerra ai ribelli. In risposta alle decisioni inglesi il Congresso continentale emanò
la Dichiarazione d’indipendenza (4 luglio 1776), con la quale le colonie si costituivano in stati liberi
e indipendenti, impegnandosi a respingere l’invasione di quella che veniva ormai considerata una
potenza straniera.

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La fine delle ostilità

All’inizio del 1779 anche la Spagna dichiarò guerra alla Gran Bretagna, e l’anno successivo
altrettanto fece l’Olanda. In territorio americano le operazioni proseguirono con alterne vicende
fino all’assedio di Yorktown, dove si erano rifugiare le truppe inglesi. Nell’agosto del 1781 la flotta
francese sbaragliò quella inglese, impedendo così ogni possibilità di collegamento via mare. Dopo
una serie di inutili tentativi di forzare le linee nemiche, il 19 ottobre 1781 il comandante inglese si
vide costretto alla resa. Yorktow segnò la fine delle ostilità, anche se i negoziati di pace si
trascinarono fino al 3 settembre del 1783, quando la Gran Bretagna firmò il trattato di Parigi, con il
quale riconobbe l’indipendenza delle ex colonie; i confini degli Stati Uniti d’America vennero stabiliti
a ovest con il Mississippi, a nord con il Canada, a sud con la Florida.

50) Montesquieu e Rousseau

la cultura dell’Illuminismo era volta a liberarsi dalle tenebre dell’ignoranza, dei pregiudizi,
dell’intolleranza grazie alla ragione, che illuminava indistintamente la mente di ciascun uomo. In
ambito religioso vigeva un sentimento antidogmatico e laico, mentre in ambito politico,

i filosofi sostennero che gli intellettuali avessero il diritto di intervenire nel dibattito su quale fosse
la forma di governo più adatta, a realizzare gli ideali di progresso e di pubblica felicità. Il dibattito
illuminista sul tema politico fu animato dalla pubblicazione nel 1748 dell’opera di Montesquieu ‘lo
spirito delle leggi’. Egli era un esponente della nobiltà di toga, ricoprì la carica di presidente del
parlamento di Bordeux, però poi la vendette e intraprese un lungo viaggio in Europa, da cui redasse
dettagliate e lucide considerazioni sui paesi visitati e rimase colpito dal sistema politico e sociale
inglese. Il suo saggio, infatti, fu il frutto di tale esperienza: in quest’opera l’autore procedeva a un
esame comparativo dei tre principali tipi di governo esistenti, Repubblica, monarchia e dispotismo.
A ciascuno di essi corrispondeva un principio: la virtù intesa come virtù politica, amore per la patria
e per l’uguaglianza era principio base della Repubblica; onore, principio base della monarchia e il
timore dominante nel dispotismo. Lo scopo che Montesquieu si proponeva di raggiungere nel suo
saggio era di mettere il luce le condizioni capaci di garantire la libertà politica, e tali condizioni si
erano create nella monarchia inglese, da lui ammirata per l’equilibrio che c’era tra i poteri. Infatti
per Montesquieu l’antidoto all’assolutismo era la separazione dei tre poteri: esecutivo, legislativo e
giudiziario, e ciascuna delle tre funzioni doveva essere esercitata da organismi diversi, così da
assicurare equilibrio ed escludere il rischio di una concentrazione di poteri. Diversa dalla posizione
di Montesquieu fu quella di Rousseau, un intellettuale di Ginevra, di estrazione borghese che entró
in contatto con il movimento illuminista a Parigi. Egli sosteneva che l’uomo era l’unico responsabile
della propria infelicità: per entrare nella società civile e condividere la propria vita con quella degli
altri, aveva abbandonato l’originario stato di natura,caratterizzato da autosufficienza, uguaglianza,
e innocenza, e aveva introdotto la proprietà privata, causa di conflitti e di disuguaglianza sociale.
Rousseu diceva che gli uomini erano nati tutti liberi ed uguali tra loro, ma con l’insorgere della
proprietà privata iniziarono i contrasti e le diversità, i delitti e le guerre. L’opera più famosa di
Rousseau è ‘il contratto sociale’, Che suggeriva di fondare un nuovo ordine sociale che potesse
superare la dipendenza dell’uomo dall’uomo, accettando un unico vincolo: la legge, e tutto doveva
essere governato dalla volontà generale, che non era una somma delle singole volontà, ma era una
volontà volta al bene comune. Per questo motivo egli ammise soltanto la democrazia diretta.

51) Robespierre

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Il re era riluttante a sottoscrivere i decreti della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino,
esasperando il clima già teso. Il prezzo del pane continuava a salire, il 5 ottobre la situazione era al
culmine e un gruppo di donne di fronte al municipio si riunirono per chiedere il pane, e si misero in
marcia verso Versailles. Durante la marcia al corteo femminile si unirono operai, artigiani, manovali,
gente affamata. Nonostante alcuni ministri gli consigliassero di fuggire, loro non si arresero e il re
cedette alle richieste della piazza: comunicó all’assemblea nazionale la sua accettazione delle
deliberazioni di agosto e acconsentì al trasferimento di lui e la sua famiglia a Parigi. L’assemblea
nazionale costituente era composta da giacobini e cordigliere (più vicini agli interessi dei ceti
popolari) che si sedevano all’estrema sinistra; i moderati, sostenitori della monarchia costituzionale
e del liberismo economico, che sedevano alla sinistra e gli aristocratici reazionari, sostenitori dei
privilegi feudali e delle prerogative del re, che sedevano alla destra. Tra i giacobini, Borghesi di
tendenze più radicali, spiccava Robespierre. I diversi orientamenti di questi partiti trovavano
espressione nell’assemblea nazionale costituente. L’assemblea incoraggiò il libero mercato,
abolendo i dazi, le dogane interne e rese ugualitario il sistema fiscale, introducendo tasse che i
francesi dovevano pagare in rapporto ai loro guadagni. La legge ‘Le Chapelier’, vietava le associazioni
di operai artigiani, considerandoli dannosi per la libera impresa. L’assemblea nazionale era sorta
principalmente per redigere la carta costituzionale: trovando un accordo tra le diverse componenti
(moderate e radicali), venne varato un progetto di monarchia costituzionale che entrò in vigore nel
settembre del 1791, Che assegnava il potere esecutivo al Re, il potere giudiziario ai magistrati e il
potere legislativo all’assemblea legislativa. All’interno della componente moderata della rivoluzione
si creava un insanabile frattura ma anche tra quella giacobina e radicale. Il 30 settembre l’assemblea
costituente si sciolse per dare vita all’assemblea legislativa. Come sempre nella storia ci fu un
dibattito centrale se entrare o no in guerra: la maggior parte dei deputati desiderava porre fine al
processo rivoluzionario, e la guerra appariva un metodo per deviare l’attenzione popolare dalle
difficoltà della nazione, e la maggior parte dei girondini sperava che una guerra avrebbe consolidato
il potere dell’assemblea; il re vedeva nella guerra la possibilità di una restaurazione dell’assolutismo.
Robespierre fu uno dei pochi sostenitori della pace: era convinto che entrando in guerra la nazione
avrebbe vanificato le conquiste ottenute con la rivoluzione. La sua voce rimase isolata perché nel
1792 la Francia dichiarò guerra alla Prussia: La Francia ricevette pesanti sconfitte e il re fu additato
come il principale responsabile delle disfatte e accusato di complotto con il nemico. Il 10 agosto
1792 I sanculotti, giacobini, chiesero la deposizione del sovrano. Ebbe così inizio quella che gli storici
definirono la seconda rivoluzione. Il potere passò, in questo periodo, alla Comune Insurrezionale
presieduta dai giacobini di Robespierre e dai cordigliere di Danton e Marat, che obbligò l’assemblea
legislativa a decretare il proprio scioglimento e indire elezioni a suffragio universale maschile di una
nuova costituente, la convenzione nazionale. Si creò un clima di terrore. Alla fine dell’agosto 1792
si cominciò a votare in tutta la Francia per la convenzione: i giacobini avevano ottenuto
l’approvazione del suffragio universale maschile e potevano votare tutti i francesi maschi che
avessero più di 21 anni e avessero lavoro. Venne proclamata la fine della monarchia e l’istaurazione
della Repubblica. Nella convenzione si potevano individuare tre schieramenti: i girondini, esponenti
del mondo del commercio e dell’industria, propensi al liberismo; giacobini e cordiglieri, anche detti
Montagnardi Perché soliti sedersi nei banchi posti nella zona più alta, dominati dalla figura di
Robespierre; nella pianura c’erano i deputati che non avevano un preciso orientamento politico.
L’istituzione della Repubblica fu accompagnata da notizie favorevoli sul fronte bellico, a Valmy
Venne bloccato l’esercito austro prussiano e i francesi vinsero. Robespierre era persuaso che il
sovrano dovesse essere giustiziato, perché si era dimostrato nemico della nazione e doveva essere
punito, doveva essere trattato come tale. Fu deciso,dopo un lungo dibattito, che Luigi XVI fosse
processato, fu accusato di tradimento della patria, e si votò per una morte senza condizioni, il 21

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gennaio 1793 il re nella piazza, ora chiamata piazza della concordia, Venne condannato alla
ghigliottina.

52) Sieyes

Sieyès ⟨siei̯èes⟩, Emmanuel-Joseph. - Uomo politico (Fréjus 1748 - Crosne 1836). Abate, godette di
enorme popolarità (1788-89) per alcuni opuscoli di carattere politico, con cui condusse la campagna
per preparare la convocazione degli Stati generali (celebre, soprattutto, Qu'est-ce que le Tiers État?,
in cui teorizzò l'eguaglianza formale dei cittadini). All'apertura degli Stati generali (maggio 1789),
rappresentò il Terzo Stato, che qualificò come espressivo dell’intera nazione e non solo di una sua
parte. Nell'Assemblea nazionale costituente contribuì all'istituzione del regime elettorale censitario
(1791), distinguendo tra cittadini attivi e passivi (v. Cittadinanza. Diritto costituzionale). Eletto alla
Convenzione (sett. 1792), votò a favore della morte del re, tenendosi poi lontano dall'attività politica
fino alla caduta di Robespierre. Nel 1795 svolse varie missioni diplomatiche, fece parte della
commissione incaricata della stesura della nuova costituzione e fu eletto nel Consiglio dei
cinquecento; nel maggio 1799 entrò nel Direttorio. Fautore del rafforzamento dell'esecutivo,
accordatosi con N. Bonaparte, partecipò all'attuazione del colpo di stato del 1799 e fu nominato
console provvisorio con P.-R. Ducos e Bonaparte. In seguito la sua carriera divenne solo onorifica;
senatore e presidente del Senato, infine (1808), conte dell'impero. Proscritto come regicida dalla
seconda Restaurazione (1816), rientrò in Francia nel 1830.

53) Il dispotismo illuminato

Nella seconda metà del settecento molte monarchie europee intrapresero un processo di
rafforzamento dell’autorità statale, mettendo in atto strategie riformatrici che la storiografia è solita
definire con l’espressione assolutismo illuminato. Il sostantivo assolutismo indica che le riforme
erano volte a consolidare lo Stato monarchico in tutti i suoi settori e che furono indotte dall’alto,
dai sovrani stessi e dai loro ministri; l’aggettivo illuminato , invece, denota che i vari monarchi
motivarono la loro azione richiamandosi alle teorie elaborate dal alcuni illuministi. La cultura dei
lumi, infatti, fu portatrice di una volontà di riforme, motivate da cause finanziarie e dalla volontà di
razionalizzare e centralizzare apparati amministrativi, fiscali e giudiziari attraverso la creazione di un
efficiente 3 specializzata burocrazia. L’assolutismo riformatore mirò anche a distinguere in modo
chiaro le competenze tra Stato e Chiesa, il cosiddetto giurisdizionalismo e a ridurre i privilegi di cui
il clero godeva. Nel settore della giustizia, l’obiettivo dell’accentramento si tradusse
nell’affermazione del diritto regio, come unica autorità a discapito dei tribunali ecclesiastici. In Italia
ricordiamo tre sovrani illuminati: Maria Teresa d’Austria, che regnò dal 1740 al 1780 e dotó il suo
stato di un efficiente amministrazione centralizzata, che le permise di ridurre i poteri locali e di
incrementare il gettito fiscale, estendendo a tutti i territori imperiali un sistema di rilevazione
catastale: il potere centrale potè sottoporre a tassazione le proprietà terriere di aristocratici ed
ecclesiastici. Inoltre per rafforzare il controllo del potere centrale, nel 1768 sottrasse agli
ecclesiastici il diritto di censura sui libri e lo affidò ad un ufficio statale; ridusse le prerogative del
tribunale dell’inquisizione fino ad abolirlo; infine limitó fortemente anche il diritto d’asilo che il clero
aveva. La sovrana intervenne inoltre per ridurre i privilegi della Chiesa: tassó i beni ecclesistici ed
eliminó una serie di immunità di cui il clero beneficiava; inoltre Riorganizzò il sistema scolastico e
introdusse l’istruzione di base obbligatoria nel 1774. Anche suo figlio intraprese una politica
illuminata, ancora più incisiva: suo figlio era Giuseppe II e diede vita al giuseppinismo . Il sovra no
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intervenne anche in questioni di ordine spirituale, nel 1781 concesse libertà di culto ai sudditi
protestanti e greco ortodossi, grazie ad una ‘Patente di tolleranza’ e promosse importanti riforme
sociali e giudiziarie. Egli, nel 1781, garantì agli ebrei, fino ad allora discriminati, gli stessi diritti civili
degli altri sudditi. Questi furono atti di portata rivoluzionaria, perché la tolleranza religiosa diventava
per la prima volta norma di legge: questi atti, infatti, sancivano l’uguaglianza di tutti i sudditi davanti
allo Stato, indipendentemente dal credo religioso, permettendo anche matrimoni misti tra cattolici
e persone di altre confessioni, concedendo anche il divorzio ai non cattolici. Anche in campo sociale
si rese molto attivo: nel 1781 abolì la servitù della gleba e nel 1787 fu emanato un nuovo codice,
valido per tutto l’impero e ispirato ai valori dell’Illuminismo, che limitava la condanna alla pena di
morte a reati di particolare gravità, aboliva la tortura e stabiliva pene uguali per tutti. Successore di
Giuseppe II fu Pietro Leopoldo d’Asburgo, Che emanó un codice penale nel 1786, il codice
leopoldino. Si trattò di una legge rivoluzionaria, che aboliva la tortura e la pena di morte, sostituita
con il carcere a vita, e metteva completamente in discussione le basi del sistema giuridico
precedente.

54) Nove Termidoro

TERMIDORO, Giornata di. - Fu quella del 9 termidoro (27 luglio 1794), che abbatté la dittatura
terrorista di Robespierre.

Per costituire l'unità di governo, Robespierre voleva sottomettere il Comitato di sicurezza generale
al Comitato di salute pubblica. Contro di lui si formò una coalizione - i cui componenti si chiamarono
poi termidoristi - la quale era composta dai terroristi estremisti, come i membri del Comitato di
sicurezza generale e come Billaud-Varennes e Collot d'Herbois dello stesso Comitato di salute
pubblica; dai terroristi, richiamati dalle loro missioni per opera di Robespierre e desiderosi di
vendicarsi di lui: Carrier, Fouché, Barras, Fréron, Rovère, Tallien; dai moderati, come Lindet e Carnot
e come il grosso della Convenzione, la quale, chiamata arbitra nel conflitto tra i due comitati,
tendeva a riacquistare la pienezza del suo potere. L'8 termidoro (26 luglio), Robespierre denunciò
alla Convenzione i suoi nemici, ma non fece nomi: ciò fece temere che volesse carta bianca contro
tutti e provocò la seduta del 9 termidoro (27 luglio), nella quale egli, suo fratello, Saint-Just, Couthon
e Lebas, furono messi in stato d'accusa. La Comune prese le difese di Robespierre, e il 10 termidoro
le milizie della Convenzione invasero l'Hôtel de Ville. Nel tumulto Robespierre ebbe la mascella
fracassata da un colpo di pistola, non si sa se tirato da lui stesso o da altri. L'11, il 12 e il 18 termidoro
si svolsero le esecuzioni di Robespierre e dei suoi amici: 150 in tutto. I termidoristi eliminarono
l'estrema sinistra terrorista, resistettero ai tentativi realisti, e inaugurarono un governo di centro,
un governo moderato, caratterizzato dalla libertà di commercio nella politica economica, dal
prevalere della borghesia grossa e mediana nel campo sociale, dall'anarchia governativa nel campo
politico, dalle prime paci con le potenze nemiche (paci di Basilea del 1795) nel campo internazionale,
e dalle riaperture dei salotti nella vita di società (Madame Tallien, ecc.). Creata la costituzione del
1795, sventato il più serio dei tentativi di presa del potere da parte dei monarchici nella giornata del
13 vendemmiaio anno IV (5 ottobre 1795), sciolta la Convenzione, l'epoca dei termidoristi termina.

55) Il calmiere dei prezzi

Nel corso del 1793 la situazione finanziaria della Francia era disastrosa. Le dissennate emissioni di
Assegnati, divenuti moneta cartacea corrente, lungi dal risolvere il problema delle disastrate finanze
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dello stato, avevano costituito il motore di un'inflazione galoppante. Le merci erano gli unici
"investimenti" che mantenevano il loro valore reale (oltre naturalmente ai beni immobili).
Cominciarono così a manifestarsi fenomeni di accaparramento. Per contrastare questo fenomeno
la Convenzione approvò il 26 luglio, sotto la spinta di Collot d'Herbois, la legge contro gli
accaparramenti. Vi si stabiliva il divieto di conservare in luogo chiuso derrate ritenute "di prima
necessità" senza sottoporle a vendita giornaliera. L'elenco delle derrate andava dalla farina alla
carne, dal burro alla frutta, dal sego per candele al sapone, dalla legna da ardere al carbone, dal
rame a qualsiasi tipo di tessuto. Le pene per i trasgressori furono stabilite in misure pesantissime
che potevano giungere fino alla ghigliottina. Furono costituite nelle municipalità speciali
commissioni di controllo i cui membri avevano accesso con il supporto della forza pubblica a
qualsiasi luogo o residenza.

La Loi du Maximum général

Il passo successivo, visti comunque gli scarsi risultati ed il perdurare dell'incremento dei prezzi (non
trattati dalla legge sugli accaparramenti), fu la Loi du maximum(legge sul maximum), approvata un
paio di mesi dopo quella contro gli accaparramenti[1]. Vi si prevedeva un calmiere forzoso di prezzi
e salari. Per tutte le merci previste dalla legge contro gli accaparramenti, la legge del maximum
stabiliva che il prezzo massimo cui potevano essere vendute era quello del 1790 maggiorato di un
terzo, mentre per i salari veniva consentita una maggiorazione del 50%.

I prezzi però non potevano essere uguali per tutta la Francia, per cui si provvide all'invio a tutte le
strutture locali (grandi città e capoluoghi di distretto, fabbriche, ecc.) di lunghi elenchi di merci
disposte in tabelle sulle quali ognuno degli enti destinatari avrebbe riportato i prezzi del 1790
rinviando a Parigi i relativi elaborati. Qui l'apposita commissione per la sussistenza e
l'approvvigionamento elaborò la massa di dati ricevuti, applicò l'incremento di un terzo a ciascuna
voce, determinò i prezzi massimi di vendita al consumo maggiorando quelli di origine dei costi di
trasporto per ciascuna località, del 5% come margine per il grossista e del 10% come margine del
dettagliante ed infine diede alle stampe due grossi volumi detti Tableaux général du maximum, che
furono inviati alle autorità locali affinché potessero trarne i valori massimi dei prezzi praticabili al
dettaglio nella zona di loro competenza e renderli pubblici con valore di legge. Tutto ciò richiese un
lungo lavoro ed il Tableaux fu distribuito ben cinque mesi dopo l'approvazione della legge. Dato il
periodo di riferimento (1790) ed il tempo intercorso, i prezzi massimi così determinati erano già stati
ampiamente superati dal mercato. Per di più la legge prevedeva l'obbligo di applicazione dei valori
anche alle merci in giacenza al momento dell'entrata in vigore della legge. Per il grano furono
stabilite norme speciali che prevedevano la raccolta e la macinazione coatta e la requisizione dei
panettieri. La legge prevedeva pene gravissime per i trasgressori: si andava da dieci anni di carcere
per false dichiarazioni alla pena di morte per l'opposizione alle requisizioni.

56) Dagli Stati Generali alla rivoluzione

alla vigilia della rivoluzione, la Francia era un paese rurale, e la proprietà della terra era per oltre un
terzo nelle mani del clero e della nobiltà, esentati quasi completamente dal pagamento delle tasse.
Il peso delle tasse gravava perlopiù sul terzo Stato, l’ampia ed eterogenea categoria di cui facevano
parte sia i contadini, Sia la borghesia terriera che quella cittadina. Gli esponenti del terzo Stato erano
anche esclusi dalle alte cariche militari e politiche. In tale contesto la monarchia appariva in
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difficoltà, il re Luigi XVI era incapace di imporre la propria autorità sulla corte, dove la moglie
esercitava un ruolo più rilevante di quello del re, Maria Antonietta. Le casse dello Stato si trovavano
in una condizione disastrosa, dovuta alle spese militari causate dall’intervento militare nella
rivoluzione americana. Luigi XVI nominò controllore delle finanze Turgot, vicino agli ideali illuministi,
che propose un programma di interventi volti a sviluppare il mercato, rendendo più equo il sistema
fiscale. Presentó una riforma in base alla quale i proprietari terrieri avrebbero dovuto pagare le
tasse, indipendentemente dal ceto di appartenenza, e queste misure suscitarono la protesta degli
ordini privilegiati, in particolare della nobiltà di corte, infatti nel 1776 il ministro venne licenziato.
Succedette a questo de Calonne, Che elaborò un ulteriore piano di intervento economico: propose
di introdurre una tassa sulle proprietà fondiarie, che dovevano essere pagate anche dalla nobiltà e
dal clero. Anche ora l’opposizione dei ceti più elevati si fece avanti, e Colonne dovette dimettersi. In
tale contesto di crisi cominciò ad emergere la proposta di ricorrere agli Stati generali, l’assemblea
rappresentativa dei tre ordini; l’idea fu vista come l’unica possibile per affrontare la grave crisi
finanziaria in cui versava il paese. Di fronte alle pressioni dell’opinione pubblica il re diede il proprio
assenso alla convocazione, nel Maggio del 1789. Inizió un coro di proteste verso l’antico regime,
sostenuto dai ceti popolari affamati, dalla borghesia insofferente ma anche da nobili di idee liberali.
Emergeva così la forte esigenza di una nuova rappresentanza della nazione francese, tale da
ridimensionare il potere dei ceti privilegiati E del sovrano. In previsione delle lezioni agli Stati
generali si impose una questione, relativa alle procedure elettorali. Nella precedente convocazione
ciascuno dei tre ordini aveva avuto lo stesso numero di deputati che avevano espresso in assemblea
un solo voto (voto per ordine). Ora il terzo Stato avanzava l’idea di assegnare al proprio ordine un
maggior numero di deputati, dato che rappresentavano il 98% della popolazione, proponendo il
voto per testa. Le elezioni iniziarono nel febbraio 1789 e poterono votare tutti francesi che avevano
compiuto 25 anni, ma le donne erano escluse. Nel quaderno delle lamentele, in cui il re invitava gli
elettori a stilare e ad esprimere le proprie opinioni, si registrò una diffusa avversione al sistema
finanziario, si rivendicava la libertà individuale, di culto, di parola, di uguaglianza. Il 5 maggio del
1789 gli Stati generali si insediarono a Versailles. La composizione dell’assemblea che risultò dalle
elezioni comprendeva 300 deputati per il clero, un po’ meno per la nobiltà e 600 per il terzo Stato.
Rimase irrisolta la questione della procedura di voto, tanto che il 17 giugno i deputati del terzo Stato
si autoproclamarono assemblea nazionale, dichiararono di essere gli unici rappresentanti della
nazione e si attribuirono il diritto di discutere e di approvare le imposte. È un passo rivoluzionario
verso la limitazione del potere assoluto del sovrano. Tre giorni più tardi, i membri della nuova
assemblea trovarono la sala dove si riunirono sbarrata per ordine del re e indignati si trasferirono
nella sala della pallacorda, giurando di non separarsi mai finché non fosse stata istituita la
costituzione. Nei giorni seguenti, uno dopo l’altro, i rappresentanti dei primi due stati passarono
con il terzo e il 27 giugno Luigi XVI fu costretto a sancire l’unione dei tre ordini in quella che dal 9
luglio si definì assemblea nazionale costituente, con un obiettivo,la costituzione. Il 14 luglio del 1789
un migliaio di parigini prese d’assalto la Bastiglia, la prigione dove nell’antico regime erano rinchiusi
gli oppositori della monarchia. Fu l’evento che i francesi avrebbero assunto come data di inizio della
rivoluzione e proclamata festa nazionale un secolo dopo. L’immediato episodio non allarmò
inizialmente il re, perché le rivolte in quei mesi erano frequenti. L’assalto alla Bastiglia, però,
rappresentò l’affermazione del popolo quale nuovo soggetto sulla scena politica francese. Quando
il re prese coscienza di ciò ritirò le truppe, si recò il 17 luglio al municipio di Parigi dove si era
insediata la prima comune di Parigi e accettò la coccarda bianca, rosso e blu, simbolo della nazione.
Anche nelle campagne diedero vita a delle rivolte di carattere antifeudale e antinobiliare, dettate
dalla fame e dalla paura. Si trattò di una vera e propria ondata di panico definita grande paura: l’eco
delle insurrezioni e la violenza spinsero l’assemblea nazionale a prendere provvedimenti e nella
notte tra il 4 e il 5 agosto del 1789 l’assemblea votò una legge che aboliva i privilegi feudali. Pochi
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giorni più tardi, il 26 agosto del 1789, L’assemblea nazionale costituente redasse un testo con il
quale venivano stabiliti i principi fondamentali: ‘la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino’
e con tale documento veniva stabilita la libertà politica, religiosa, di pensiero, di proprietà e la parità
delle garanzie giuridiche per tutti cittadini. Veniva abolita la monarchia assoluta, la sovranità
risiedeva nella nazione.

57) Il terrore

Il 28 luglio 1794, a Parigi, venne condannato a morte Maximilien de Robespierre, politico tra le
personalità di spicco della Rivoluzione francese. Dopo aver assunto il controllo del club dei giacobini,
Robespierre respinse con strenua intransigenza gli orientamenti rivoluzionari più tiepidi e moderati.
Così facendo, abbracciò e si fece promotore di una posizione radicale. Questa, propugnata
all’insegna della necessità di difendere a ogni costo gli ideali rivoluzionali, prevedeva la sistematica
repressione degli avversari politici. Ebbe così inizio per la Francia il Regime del Terrore, durante il
quale Robespierre, esercitando il proprio potere dittatoriale, si rese responsabile delle sorti violente
e drammatiche a cui era approdata la Rivoluzione. Durante quella fase della Rivoluzione rimasta alla
storia come periodo del Terrore, il Comitato di salute pubblica assunse un ruolo di preminente
importanza. Quest’organo governativo, infatti, capeggiato da Robespierre, non aveva come
obiettivo solo quello di difendere la neonata repubblica dalle ingerenze straniere. Tra le sue
competenze vi era, infatti, anche quella di orientare i cittadini contro i diversi nemici interni della
nazione francese. In tal modo si voleva epurare lo Stato da tutti quei soggetti e quelle categorie di
persone dichiarati sovversivi. Questi, per evitare l’insorgenza di ribellioni intestine, subivano dunque
l’arresto o erano soggetti alla pena capitale. La Repubblica, attraverso l’operato di questo organo
istituito, doveva essere tutelata, protetta e tenuta unita mediante la coesione del popolo francese.
Per far ciò, l’eliminazione di qualunque oppositore, fosse questo un aristocratico, un reazionario o
un oppositore era considerata una prassi necessaria e attuata con cruenta sistematicità. Spesso a
farne le spese furono anche i collaboratori di un sempre più paranoico Robespierre: tra questi basti
ricordare Camille Desmoulins, Georges-Jacques Danton e Jacques-René Hébert. La crescente
opposizione contro Robespierre trovò risoluzione con la sua destituzione, da parte dell’Assemblea,
il 27 luglio 1794. Il giorno seguente avvenne la sua condanna a morte.

58) Direttorio

Molti furono i francesi che accolsero la morte di Robespierre come una liberazione. La fine del
terrore portò allo svuotamento delle carceri e alla diffusione di movimenti controrivoluzionari come
“la gioventù dorata”. Giacobini e sanculotti furono così fatti bersaglio di un odio a lungo represso.
Dal canto suo la Convenzione cercò di non esasperare il livello di conflittualità, limitandosi a pochi
interventi in campo istituzionale ed economico. I poteri del Comitato di Salute pubblica furono
ridotti, il Tribunale rivoluzionario venne soppresso e vennero riammessi alla Convenzione i girondini
superstiti. Nel novembre 1794 fu anche chiuso il club dei giacobini. In economia vi fu l’abolizione del
sistema di vincoli creato nell’anno II e la rimozione del “maximum”. Tuttavia, l’inflazione degli
assegnati continuava, mentre i cattivi raccolti del biennio 1794-95, uniti alla riluttanza dei contadini

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a rifornire i mercati urbani, aggravarono le condizioni delle masse popolari. L’esasperazione spinse
i sanculotti ad invadere (aprile-maggio 1795) la Convenzione. Ne seguì un’epurazione sia dei
deputati montagnardi, sia dei militanti delle sezioni, che decapitò il movimento popolare. Nel ’95
viene anche approvata la nuova Costituzione, che alla dichiarazione dei diritti aggiunge una
Dichiarazione dei doveri, tra i quali la sottomissione alle leggi e il rispetto per la autorità costituite.
Le elezioni per la rappresentanza nazionale erano a doppio turno e per la qualifica di elettore era
previsto un censo molto elevato. Sul piano istituzionale nascono, sostituendo una sola assemblea, il
Consiglio dei Cinquecento, che doveva presentare e discutere le leggi, e il Consiglio degli Anziani,
che doveva approvarle o respingerle. Il potere esecutivo spettava a un Direttorio di cinque membri,
eletti dagli Anziani tra 50 nomi indicati dai Cinquecento. Timorosa dell’orientamento moderato in
crescita nell’opinione pubblica, la Convenzione approvò un decreto in base al quale due terzi dei
componenti delle nuove camere dovevano obbligatoriamente essere eletti tra i membri della
Convenzione. Le sezioni parigine filo monarchiche risposero con un’insurrezione il 5 ottobre, presto
repressa dalla Convenzione grazie anche al contributo del generale Bonaparte. Il Direttorio si trovò
a dover affrontare fin da subito enormi problemi (la crisi finanziaria, la conduzione della guerra, la
divisione religiosa del paese) senza avere la necessaria base di consenso. Nel frattempo, al fianco
della corrente filomonarchica riprendeva piede, sull’onda del malessere sociale, il movimento
giacobino, anche se con meno presa sulle masse, deluse dai fallimenti primaverili. Un evento
circoscritto ma da ricordare è la cosiddetta “congiura degli eguali”, organizzata nell’inverno 1795-
96 da Babeuf con la collaborazione di Filippo Buonarroti, emigrato toscano. Il programma degli
“eguali” prevedeva l’abolizione della proprietà privata e la messa in comune dei beni, ma il
Direttorio scoprì la congiura nel maggio 1796 e condannò a morte i principali capi, tra cui lo stesso
Babeuf. Intanto l’inflazione degli assegnati aumentava vertiginosamente e nel febbraio ’97 si ritornò
alla moneta metallica approfittando delle rimesse di buone monete dai territori conquistati.
All’inflazione seguì una altrettanto forte deflazione che mise in serie difficoltà il governo, ormai
impossibilitato a stampare denaro e in debito sia verso i creditori, sia con i suoi stessi funzionari.

59) Diciotto brumaio

La riforma non servì tuttavia a risolvere i problemi che dilaniavano la Francia. La lotta sanguinosa
tra le varie fazioni imperversava e, a questo stato di perenne tensione, si sommava la profonda crisi
economica del Paese. La produzione e il potere d’acquisto dei già miseri salari, come anche lo stato
di bancarotta nel quale versavano le casse dello stato, peggioravano radicalmente la già delicata
situazione.

Per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da tutte queste problematiche, i membri del
Direttorio e delle assemblee concentrarono le risorse sullo sforzo bellico. Dopo gli anni della
Rivoluzione, nei quali le armate francesi si erano difese vittoriosamente contro ripetuti tentativi di
invasione, l’esercito della neonata Repubblica varcò i propri confini nel tentativo di ottenere una
vittoria decisiva contro le forze che combattevano la Francia e la sua rivolta.

Una parte dell’armata francese doveva aprirsi la strada in territorio tedesco per costringere alla resa
l’Austria, e l’armata al comando del giovane generale Napoleone Bonaparte doveva attaccare l’Italia
come diversivo, con un contingente esiguo e male armato. Quella che sarebbe dovuta essere
soltanto un’operazione di secondo piano si rivelò invece un trionfo, con le armate nemiche che
furono costrette alla resa. Le brillanti vittorie accrebbero logicamente il prestigio del giovane
generale. Quando Bonaparte fu spedito in Egitto (per contrastare gli Inglesi, ma anche per

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allontanarlo dalla vita politica francese), le potenze ostili alla Francia si coalizzarono e
riconquistarono l’Italia, esponendo lo stato transalpino al pericolo di invasione.

Il generale Bonaparte fece allora ritorno. Venne accolto dalle urla festanti dei parigini, godendo
ormai del consenso delle folle e dell’appoggio delle truppe. Il giovane generale poteva inoltre
contare sull’abate Emmanuel Joseph Sieyès, rivoluzionario della prima ora e membro influente del
Direttorio. A 10 anni dall’inizio della Rivoluzione, nel castello di Saint -Cloud, sede del Consiglio dei
500 e del Consiglio degli anziani, regnava grande tensione. Bonaparte, abilmente, riuscì a imputare
la disfatta egiziana proprio all’instabilità politica parigina, conseguenza della sua lontananza dalla
capitale.

Alle ore 12,30 del 9 novembre Napoleone entrò dunque in Parlamento. Venne accolto dalle urla, dai
fischi e dagli insulti dei deputati che lo accusano di essere un despota, un violatore della
costituzione. Si diffuse la notizia che i deputati stessero ordendo una congiura contro Bonaparte, il
quale reagì immediatamente. Lasci così la rocca di Saint-Cloud, ordinò ai suoi veterani di innestare
le baionette sui moschetti per poi rientrare in Parlamento, con le truppe al suo seguito. Napoleone
disperse i deputati grazie all’appoggio del fedelissimo generale Gioacchino Murat e del generale
Leclerc. La Rivoluzione francese era giunta al termine.

Le camere furono sciolte. Furono assegnati i pieni poteri a un Consolato formato da Napoleone,
Ducos e dall’abate Sieyès.

La riforma non servì tuttavia a risolvere i problemi che dilaniavano la Francia. La lotta sanguinosa
tra le varie fazioni imperversava e, a questo stato di perenne tensione, si sommava la profonda crisi
economica del Paese. La produzione e il potere d’acquisto dei già miseri salari, come anche lo stato
di bancarotta nel quale versavano le casse dello stato, peggioravano radicalmente la già delicata
situazione.

Per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da tutte queste problematiche, i membri del
Direttorio e delle assemblee concentrarono le risorse sullo sforzo bellico. Dopo gli anni della
Rivoluzione, nei quali le armate francesi si erano difese vittoriosamente contro ripetuti tentativi di
invasione, l’esercito della neonata Repubblica varcò i propri confini nel tentativo di ottenere una
vittoria decisiva contro le forze che combattevano la Francia e la sua rivolta.

Una parte dell’armata francese doveva aprirsi la strada in territorio tedesco per costringere alla resa
l’Austria, e l’armata al comando del giovane generale Napoleone Bonaparte doveva attaccare l’Italia
come diversivo, con un contingente esiguo e male armato. Quella che sarebbe dovuta essere
soltanto un’operazione di secondo piano si rivelò invece un trionfo, con le armate nemiche che
furono costrette alla resa. Le brillanti vittorie accrebbero logicamente il prestigio del giovane
generale. Quando Bonaparte fu spedito in Egitto (per contrastare gli Inglesi, ma anche per
allontanarlo dalla vita politica francese), le potenze ostili alla Francia si coalizzarono e
riconquistarono l’Italia, esponendo lo stato transalpino al pericolo di invasione.

Il generale Bonaparte fece allora ritorno. Venne accolto dalle urla festanti dei parigini, godendo
ormai del consenso delle folle e dell’appoggio delle truppe. Il giovane generale poteva inoltre
contare sull’abate Emmanuel Joseph Sieyès, rivoluzionario della prima ora e membro influente del
65
Direttorio. A 10 anni dall’inizio della Rivoluzione, nel castello di Saint -Cloud, sede del Consiglio dei
500 e del Consiglio degli anziani, regnava grande tensione. Bonaparte, abilmente, riuscì a imputare
la disfatta egiziana proprio all’instabilità politica parigina, conseguenza della sua lontananza dalla
capitale.

Alle ore 12,30 del 9 novembre Napoleone entrò dunque in Parlamento. Venne accolto dalle urla, dai
fischi e dagli insulti dei deputati che lo accusano di essere un despota, un violatore della
costituzione. Si diffuse la notizia che i deputati stessero ordendo una congiura contro Bonaparte, il
quale reagì immediatamente. Lasci così la rocca di Saint-Cloud, ordinò ai suoi veterani di innestare
le baionette sui moschetti per poi rientrare in Parlamento, con le truppe al suo seguito. Napoleone
disperse i deputati grazie all’appoggio del fedelissimo generale Gioacchino Murat e del generale
Leclerc. La Rivoluzione francese era giunta al termine.

Le camere furono sciolte. Furono assegnati i pieni poteri a un Consolato formato da Napoleone,
Ducos e dall’abate Sieyès.

60) Il triennio giacobino in Italia e repubbliche napoleoniche

La presenza francese in Italia fu suddivisa in due fasi.

Tra il 1797 e il 1799 con le repubbliche giacobine

Tra il 1800 e il 1814 à età dell’Impero


La presenza francese non si configurò come una semplice occupazione ma fu una presenza incisiva
sul piano economico, giuridico e politico. Ebbe dunque conseguenze profonde sulla vita civile del
nostro paese.

Repubbliche giacobine

La Rivoluzione francese era stata salutata anche in Italia come l’inizio di una nuova era. Si era
formato un movimento giacobino italiano la cui base sociale era costituita non solo da esponenti
del ceto medio borghese (avvocati, medici, militari, intellettuali, artigiani) ma anche da aristocratici
innovatori e da rappresentanti dei ceti più bassi. Dal punto di vista ideologico si andava da un polo
moderato con idee liberali a un’ala estrema che proponeva un programma di rivoluzione sociale.
Tutti i patrioti avevano alcuni obiettivi in comune; volevano: rompere definitivamente con l’antico
regime, aprire un’epoca nuova, aderire agli ideali di libertà civile, politica e religiosa proclamati dalla
rivoluzione, riconoscere il diritto di proprietà, ridurre le disuguaglianze sociali, favorire l’istruzione
della popolazione per favorire il rinnovamento della società.

Nel 1796 l’arrivo delle armate napoleoniche ruppe gli antichi equilibri fra gli stati italiani. Si aprì la
strada alla costituzione di nuove repubbliche (Cispadana, Cisalpina, Ligure, Romana e Partenopea).
Inizialmente i patrioti videro Napoleone Bonaparte come un liberatore. Però con il Trattato di
Campoformio, con il quale Napoleone cedette Venezia e il Veneto all’Austria, fu evidente a tutti che
l’azione napoleonica si configurava come una conquista. La delusione di patrioti e di intellettuali fu
bruciante. Ne abbiamo una testimonianza nel romanzo di Foscolo intitolato Ultime lettere di Jacopo
Ortis. Inoltre, non si può negare che il dominio francese impose alle repubbliche italiane requisizioni
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e pesanti tributi in denaro, beni e opere d’arte. Ma per la penisola l’arrivo di Napoleone non fu solo
negativo. La presenza francese portò con sé novità di rilievo. Innanzitutto, fu esportata la forma
repubblicana, una novità nel panorama dell’assolutismo dei regimi della penisola. Portò anche
l’adozione di carte costituzionali modellate sulla forma di quella francese del 1795. Vennero
emanate importanti leggi modernizzatrici come l’istituzione del matrimonio civile, l’abolizione di
vecchi istituti giuridici che non favorivano la compravendita dei beni mobili (fid ecommesso, mano
morta e vendita beni ecclesiastici). Nel corso del 1799 maturò la fine delle repubbliche giacobine
italiane. Le sconfitte militari dell’armata francese nella penisola e le sollevazioni popolari contro i
governi repubblicani favorirono il ripristino del potere asburgico sulla penisola. Vincenzo Cuoco
(patriota partenopeo) spiega il fallimento delle repubbliche giacobine. Cuoco parla di “rivoluzione
passiva”. Lui ritiene che questa rivoluzione, che è stata importata, non abbia trovato le masse della
penisola pronte a una tale novità. Pertanto, le repubbliche giacobine erano state sostenute dagli
intellettuali e dalla borghesia ma non erano state appoggiate dalle masse. Tale rivoluzione era stata
subita dal popolo che era distante socialmente e culturalmente dal ristretto gruppo dei patrioti. In
Francia invece la rivoluzione era partita dal popolo e in diversi momenti la massa era diventata una
forza politica.

61) Restaurazione francese con luigi XVIII: la costituzione ottriata

Metternich aveva offerto la pace a Napoleone e la Francia avrebbe potuto ottenere qualche
vantaggio se Napoleone avesse lasciato il potere. Ma così non fu nonostante le fasce sociali che si
erano arricchite con l’impero erano pronte a tradirlo. Era ormai prevedibile il ritorno della
monarchia borbonica. Si era andata costituendo una rete politica di opposizione in contatto con gli
inglesi. Nel dicembre 1813 la Camera legislativa votava una mozione in cui prese atto della
situazione di una Francia minacciata su tutti i fronti e attribuiva la responsabilità ad una
amministrazione vessatoria. Era l’appello alla pace. Nelle trattative condotte a Chatillon sur Seine
con i rappresentanti della sesta coalizione la Francia napoleonica non ottenne nulla di più delle già
promesse frontiere naturali. Quando fu chiaro che le trattative di Chatillon non avrebbero portato
a nulla Austria, Russia Inghilterra e Olanda firmarono un trattato a Chaumont il 1 marzo 1814, un
trattato di alleanza formale che li impegnava a riprendere la guerra. Le forze alleate erano troppo
numerose per essere fermate. Napoleone s’era ritirato a Fontainebleau per un’ultima resistenza.
Intanto a Parigi le forze d’opposizione avevano creato un governo provvisorio con a capo Talleyrand.
Il Senato il 2 aprile votava la decadenza di Napoleone e il ritorno di Luigi XVIII di Borbone. Napoleone
abdicava il 4 aprile in favore del figlio. Appena pochi giorni dopo dovette sottoscrivere il trattato di
Fontainebleau con il quale rinunciava a ogni diritto di sovranità sulla Francia; gli veniva assegnato il
possesso dell’Isola d’Elba e un pagamento annuo di 2 milioni di franchi. Alla moglie andava il ducato
di Parma, Piacenza e Guastalla. Il 17 aprile partiva da Fontainebleau verso l’Isola d’Elba, si imbarcò
da Fréjus su una nave inglese. Il testo costituzionale del 6 aprile 1814 aveva un carattere di
salvaguardia personale prevedendo all’articolo 6 il mantenimento col Senato, le rendite,
l’inamovibilità e la trasmissibilità ereditaria del titolo di senatore. Luigi XVIII annunciò ch e avrebbe
presentato un proprio testo all’approvazione del Corpo legislativo. Costituita un’altra commissione
si giunse alla “carta octroyée” (cioè concessa dal sovrano): Art 5: la religione cattolica tornava ad
essere religione di Stato, pur concedendo la libertà di culto Art 6: libertà di stampa; Art 8 : garantite
le proprietà inviolabili; Art 9 : salvo esproprio per pubblica utilità; Art 10 : vietata l’azione poliziesca
e penale sulle opinioni emesse fino alla Restaurazione; Art 12: abolita la coscrizione militare; Art 13:
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potere esecutivo solo al Re, legislativo alla Camera dei Pari e dei Deputati e dal Re; Art 16 : potere
di iniziativa legislativa esclusivo del Re; Art 27 : deliberazioni della Camera dei Pari ( membri nominati
dal re ) segrete; Art 32: la Camera dei deputati era elettiva con suffragio censitario; Art 70: la nobiltà
antica riprende i suoi titoli Napoleone quando ebbe notizia del malessere sociale in Francia
abbandonò l’Elba e sbarcò di nuovo a Fréjus. Aveva racimolato 1000 veterani e il numero aumentò
man mano che veniva accolto trionfalmente da contadini, operai e soldati. Il trionfo di Napoleone
fu chiaro quando il maresciallo Ney allora comandante delle truppe della Franca Contea, passò dalla
sua parte ( invece di arrestarlo). Luigi XVIII fuggiva allora in Belgio e Napoleone rientrava a Parigi
iniziando il suo ultimo periodo di politica, chiamato dei Cento giorni.

62) Il Congresso di Vienna

Napoleone aveva un esercito di circa 200.000 uomini. Puntò in Belgio e si trovò dinnanzi due armate,
ad est una prussiana (guidata da Blucher) e a nord una anglo tedesca (guidata da Wellington) non
congiunte però tra loro. Li affrontò separatamente a Ligny sconfisse i prussiani di Blucher. L’ala
sinistra francese affronta l’armata di Wellington che però retrocede verso nord avvicinandosi a
quello prussiano. Il 18 giugno 1815 Napoleone avanza su Bruxelles ordinando l’attacco sull’ala
sinistra a Waterloo. Avviene però il congiungimento delle truppe anglo prussiane che determina la
crisi dell’esercito francese. La sera la partita è definitivamente chiusa e il 21 giugno Napoleone
ritorna a Parigi ---> abdica in favore del figlio. Napoleone si consegnò spontaneamente all’esercito
inglese. Il governo britannico aveva già deciso la sua deportazione nell’isola di Sant’Elena dove morì
il 5 maggio 1821. Su iniziativa delle 4 potenze maggiori della sesta coalizione, Austria, Prussia, Russia
e Inghilterra erano iniziate le trattative di pace a Vienna nel settembre 1814, per dare un nuovo
assetto politico militare all’Europa. Queste trattative furono concluse il 9 giugno 1815. Il
CONGRESSO DI VIENNA è ispirato a dei principi base: -Ordine internazionale antirivoluzionario -
Legittimità dinastica -Principio dell’equilibrio Questi principi furono rispettati solo quando
conveniva agli stati vincitori. A Vienna erano presenti tutti gli stati europei: L’Inghilterra aveva
l’obiettivo di mantenere in equilibrio i piatti della bilancia evitando l’emergre di uno stato egemone.
La Prussia puntava ad un ampliamento territoriale. La confederazione del Reno cessava di esistere
e si creò la Confederazione di 39 stati tedeschi. Olanda e Belgio venivano a costituire il regno dei
Paesi Bassi. Spagna e Portogallo tornavano a Ferdinando VII di Borbone e a Giovanni VI di Braganza.
Gli Stati scandinavi ebbero tutti un giro vorticoso di territori e scompensi. In Italia si era decisa la
fine delle ostilità e il mantenimento del Beauharnais alla guida del regno. Ma proprio questa clausola
creò ostilità: il partito degli “italici” provocò una sommossa a Milano e fu offerta così un’occasione
d’oro all’Austria per occuparla. Murat riprese le armi contro gli austriaci e lanciò un appello agli
italiani per una lotta di indipendenza nazionale, non trovando però riscontro. Fu costretto ad andare
in esilio in Corsica e a lasciare il regno di Napoli a Ferdinando IV di Borbone. Questa fine dei due
regni (d’Italia e di Napoli) determinò l’assetto italiano stabilito al Congresso di Vienna e in particolare
l’occupazione militare austriaca di Lombardia e Veneto portò alla formazione del regno Lombardo
Veneto. Il principio di legittimità dinastica si applicò solo in favore all’Austria quando il ducato di
Parma, Piacenza e Guastalla furono lasciati a Maria Luisa d’Austria; il ducato di Modena con Reggio
e Mirandola fu restituito a Ferdinando IV d’Este. Non utile all’Austria, non si applicò a Lucca. Il Regno
di Sardegna inglobava la Repubblica di Genova. Veniva riconosciuto lo Stato pontificio sotto Pio VII.
In conclusione, l’Italia venne divisa in 3 regni e 4 ducati. L’equilibrio, tanto più invocato, quanto
maggiormente doveva coprire interessi egemonici, ebbe infine anche a Vienna una teorizzazione.
Era stato invocato negli anni dell’egemonia napoleonica e condito di utopismo dallo zar Alessandro
I vagheggiando una sorta di lega europea con diritto di mediazione coattiva. Alla fine dei lavori di
Vienna quest’idea dello zar venne discussa tra il 14 e il 26 settembre 1815 e formalizzata nella SANTA
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ALLEANZA tra Russia, Austria e Prussia. Ai tre originari contraenti si aggiunse l’Inghilterra e i 4 si
riunirono a Troppau dall’ottobre al dicembre 1820 sancendo il cosiddetto diritto di intervento:
diritto di intervenire anche con la forza nella vita interna degli altri Stati ove disordini o rivolte
avessero provocato il rovesciamento dei governi legittimi. L’Inghilterra non era legata a questi paesi
da principi ideologici o religiosi bensì da principi di concertazione ossia di interesse comune
nell’equilibrio. Il grande strumento diplomatico costituito a Vienna si tramutò nella scintilla che
accese l’incendio in quanto l’Europa che avevano di fronte era ormai un Europa dei popoli che aveva
fatto propri dei nuovi principi ossia quelli della LIBERTA’ e della NAZIONALITA’. Napoleone aveva
favorito lo sviluppo del senso di nazionalità diffondendo il modello di una guerra ideologica con la
consapevolezza di sapere per cosa si stesse combattendo e non per chi. La coscienza europea fu
svegliata dalla nazionalizzazione delle masse.

63) Moti del 1830 in Francia e Italia

Fra il 1830-31, l'Europa fu attraversata da una nuova ondata rivoluzionaria, simile per molti aspetti
a quella cominciata dieci anni prima. Simile fu l'ispirazione ideale dei moti e simili furono le forze
che se ne fecero promotrici, anche se diversi furono i paesi interessati. Nel complesso, i moti del
1830-31 furono meno estesi e meno violenti di quelli del '20-21. Ma ebbero conseguenze piú
profonde e durature. Ciò accadde perché il primo e piú importante movimento insurrezionale ebbe
luogo in Francia, e soprattutto perché questo moto si concluse con un sostanziale successo: cioè con
la cacciata della dinastia dei Borboni.

Premesse della Rivoluzione; la Francia di Carlo X

1. Atteggiamento reazionario di Carlo X, succeduto nel 1824 a Luigi XVIII: privilegi del clero e
dell'aristocrazia.
2. Esasperazione delle opposizioni: democratici, intellettuali liberali, grandi borghesi; il popolo
parigino era esacerbato anche da una vasta crisi economica.
3. 1829: governo ultrareazionario Polignac; 26 luglio 1830: quattro Ordinanze
reali (scioglimento della Camera, sospensione della libertà di stampa).

La rivoluzione di luglio (27-29 luglio 1830)

1. Furiosa insurrezione popolare a Parigi; fuga di Carlo X; proclamazione di Luigi Filippo


d'Orleans "re dei Francesi per volontà della nazione";
2. Nuova Costituzione piú liberale votata dal Parlamento (non "ottriata");
3. Proclamazione del principio del non intervento negli affari interni dei singoli Paesi.

Ripercussioni in Europa

1. Rivoluzioni in Belgio e in Polonia


o Agosto 1830: il Belgio, sostenuto da Francia e Inghilterra, si stacca dall'Olanda; ne è
riconosciuto l'indipendenza e la neutralità perpetua;
o Novembre 1830: sfortunata rivoluzione in Polonia: tentata "russificazione" del
Paese.
2. Agitazioni e guerre civili
o In Svizzera e nella Confederazione germanica: introduzione di riforme in alcuni
Cantoni e in alcuni Stati;

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o In Spagna e in Portogallo: nel quadro di contese dinastiche, vittoria sui conservatori
di due giovani regine, sostenute da Francia e Inghilterra;
o In Inghilterra: agitazione riformista e riforma elettorale del 1832.

Conseguenze

1. Rafforzamento in alcuni Stati, dove le rivoluzioni avevano fallito, delle monarchie assolute;
in altri della grande borghesia;
2. Apparizione della classe operaia sulla scena politica di Francia e Inghilterra;
3. Sul piano della politica internazionale, due sistemi contrapposti:
o una Santa Alleanza assolutista (Austria, Russia e Prussia);
o una Quadruplice alleanza liberale tra Francia, Inghilterra, Spagna e Portogallo.

I moti del 1831 in Italia

1. Preparazione del movimento insurrezionale a Modena da parte dei patrioti liberali (Ciro
Menotti ed Enrico Minsley), appoggiati in un primo tempo dal duca di Modena Francesco IV;
tradimento del duca e arresto dei congiurati (3 febbraio 1831);
2. Propagazione del moto in gran parte dello Stato Pontificio, a Parma e a Modena; costituzione
nelle Legazioni del Governo delle Province Unite, e sua sconfitta ad opera delle truppe
austriache, subito intervenute (Rimini, marzo 1831).
3. Novità rispetto al 1820-21
o Base sociale piú ampia; iniziativa dei ceti borghesi e non dei militari;
o Aspirazioni unitarie, almeno nei programmi dei promotori; deposizione dei sovrani.
4. Cause del fallimento
o Il persistere, nonostante l'aspirazione all'unità, di rivalità municipali;
o Divisione tra democratici repubblicani e moderati;
o contegno passivo della Francia ("il sangue dei francesi appartiene solo alla Francia").
5. Conseguenze e bilancio
o Dure reazioni, specie a Modena e nello Stato Pontificio (Papa Gregorio XVI, 1831-
1846);
o Gli austriaci a Modena e i francesi ad Ancona fino al 1838;
o Evidente necessità di non contare sull'aiuto straniero, di superare l'organizzazione
settaria e di mirare invece ad una salda organizzazione unitaria.

64) L’ancien regime

Antico regime: dal punto di vista sociale il termine antico regime denota un periodo appartenente
al passato, che i rivoluzionari intendevano abolire e abbattere, per costruire una nuova società. In
particolare, fa riferimento al periodo storico compreso tra il XVI e il XVIII secolo. Dal punto di vista
politico la sovranità spettava esclusivamente al re mentre a livello sociale c’era una divisione in tre
ordini O Stati: clero, nobiltà e terzo Stato, chiamato così perché subordinato alle due classi
dominanti. Il clero aveva il compito di amministrare il culto religioso e godeva di alcuni privilegi come
l’immunità reali, dal latino res=cosa o beni materiali, e riguardava le proprietà ecclesiastiche che
risultavano immuni da imposte ed erano inalienabili, cioè non soggetti a vendita a meno che non ci
fosse il consenso del Papa. Avevano anche un’immunità personale, ovvero potevano sottrarsi alle

70
leggi dello Stato e avevano un’immunità locale, potevano ospitare e proteggere chiunque si fosse
rifugiato in un luogo sacro; questo era definito anche diritto di asilo. Il secondo Stato era
rappresentato dalla nobiltà, che di fatto godeva del primato sociale pur rappresentando una parte
esigua della popolazione. A tale ordine appartenevano coloro che discendevano da antiche e
prestigiose casate e questa era una nobiltà di sangue, o che vantavano di origini feudali e militari,
ed era la nobiltà di spada. Anche loro godevano di privilegi tra cui l’esenzione parziale o totale dalle
tasse o l’esclusiva per ricoprire cariche di rilievo. La nobiltà europea rimarcava la sua superiorità
ostentando alcuni segni esteriori come l’abbigliamento raffinato, le armi, le carrozze, la servitù. Poi
c’era il terzo Stato che pagava le tasse per tutti ma produceva anche per tutti. Il terzo Stato era
connotato da un’accentuata eterogeneità interna, appartenevano a tale ordine tutti col oro che non
erano nè ecclesiastici né nobili. Faceva parte del terzo Stato la borghesia, che nel corso dell’età
moderna acquisì un peso sociale rilevante, crescendo in ricchezza e in potere. Sebbene il loro ruolo
fosse essenziale alla produzione i contadini godevano di una scarsa considerazione sociale. Si
reputavano destinati a un destino di sofferenza e miseria al quale loro stessi sembravano
rassegnarsi, ritenendosi naturalmente destinati ad obbedire ed eseguire. Sul terzo Stato ricadeva la
maggior parte del prelievo fiscale, dato che clero e nobiltà ne erano esentati. L’articolazione della
società per ceti si rifletteva nella struttura degli organi rappresentativi, assemblee con funzione
consultiva, in cui esponenti dei tre ordini discutevano e valutavano le scelte del sovrano, in
particolare le scelte politiche e fiscali. La tripartizione tra clero, nobiltà e terzo Stat o caratterizzava
gli Stati generali in Francia.
Antico regime: dal punto di vista sociale il termine antico regime denota un periodo appartenente
al passato, che i rivoluzionari intendevano abolire e abbattere, per costruire una nuova società. In
particolare, fa riferimento al periodo storico compreso tra il XVI e il XVIII secolo. Dal punto di vista
politico la sovranità spettava esclusivamente al re mentre a livello sociale c’era una divisione in tre
ordini O Stati: clero, nobiltà e terzo Stato, chiamato così perché subordinato alle due classi
dominanti. Il clero aveva il compito di amministrare il culto religioso e godeva di alcuni privilegi come
l’immunità reali, dal latino res=cosa o beni materiali, e riguardava le proprietà ecclesiastiche che
risultavano immuni da imposte ed erano inalienabili, cioè non soggetti a vendita a meno che non ci
fosse il consenso del Papa. Avevano anche un’immunità personale, ovvero potevano sottrarsi alle
leggi dello Stato e avevano un’immunità locale, potevano ospitare e proteggere chiunque si fosse
rifugiato in un luogo sacro; questo era definito anche diritto di asilo. Il secondo Stato era
rappresentato dalla nobiltà, che di fatto godeva del primato sociale pur rappresentando una parte
esigua della popolazione. A tale ordine appartenevano coloro che discendevano da antiche e
prestigiose casate e questa era una nobiltà di sangue, o che vantavano di origini feudali e militari,
ed era la nobiltà di spada. Anche loro godevano di privilegi tra cui l’esenzione parziale o totale dalle
tasse o l’esclusiva per ricoprire cariche di rilievo. La nobiltà europea rimarcava la sua superiorità
ostentando alcuni segni esteriori come l’abbigliamento raffinato, le armi, le carrozze, la servitù. Poi
c’era il terzo Stato che pagava le tasse per tutti ma produceva anche per tutti. Il terzo Stato era
connotato da un’accentuata eterogeneità interna, appartenevano a tale ordine tutti coloro che non
erano né ecclesiastici né nobili. Faceva parte del terzo Stato la borghesia, che nel corso dell’età
moderna acquisì un peso sociale rilevante, crescendo in ricchezza e in potere. Sebbene il loro ruolo
fosse essenziale alla produzione i contadini godevano di una scarsa considerazione sociale. Si
reputavano destinati a un destino di sofferenza e miseria al quale loro stessi sembravano
rassegnarsi, ritenendosi naturalmente destinati ad obbedire ed eseguire. Sul terzo Stato ricadeva la
maggior parte del prelievo fiscale, dato che clero e nobiltà ne erano esentati. L’articolazione della
società per ceti si rifletteva nella struttura degli organi rappresentativi, assemblee con funzione
consultiva, in cui esponenti dei tre ordini discutevano e valutavano le scelte del sovrano, in

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particolare le scelte politiche e fiscali. La tripartizione tra clero, nobiltà e terzo Stato caratterizzava
gli Stati generali in Francia.

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