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IS.

r Capitolo 4

Le forze spaziali

Finora abbiamo parlato delle forme, ma non abbiamo mai parlato


V

della superficie che le contiene. E arrivato il momento di capire


quest’altra componente molto importante del processo visivo. Di
cosa si tratta fisicamente?
“La superfìcie è fisica, reale, misurabile con il metro di cento centi­
metri ".È quindi un qualcosa di tangibile; essa può assumere infinite
forme diverse ma, generalmente, si distinguono due grandi categorie
di formati legati alla tipologia delle composizioni che li utilizzano:
il landscape (paesaggio) e il portrait (ritratto). Il primo comprende
tutta la gamma dei rettangoli con il lato maggiore orizzontale, la
seconda quella con il lato maggiore verticale.
E chiaro che la scelta del formato avrà un’influenza sul soggetto
che sarà rappresentato al suo interno. Nella Figura 4.1 ammiria­
mo un ritratto di Schiele e un “esterno” di Ensor; è evidente che
questi formati, che potremmo definire superportait e superlandscape,
siano strumentali all’espressione della composizione. Si possono
però utilizzare dei formati neutri, essenzialmente quadrati o cerchi,
che non presentano alcun orientamento prevalente e quindi non
hanno influenza sul contenuto, come in alcune opere di Albers
o Di Salvatore (Figura 4.2); per la stessa ragione, gli esercizi di
percezione visiva presentati in seguito utilizzeranno un formato
rigorosamente quadrato.
La superfìcie però si può intendere anche come campo. Per com­
prendere meglio questo concetto guardiamo cosa succede quando
mettiamo un magnete dietro un foglio bianco: non si vedrà altro
che una superficie bianca. Ma se facciamo cadere sul foglio della
limatura di ferro, un’esperienza che abbiamo fatto tutti a scuola,
si evidenzierà la forma del magnete e si vedranno anche le forze
che esso esercita nelle sue immediate vicinanze; sarà visibile cioè il
campo magnetico. Allo stesso modo, se posizioniamo delle forme
su una superfìcie queste genereranno e saranno soggette a delle
linee di forza non visibili, esattamente come quelle del campo
magnetico.
“Il campo è definito dalle forze che gli sono proprie: le forze del
campo”.
Esse sono definite forze spaziali perché è lo spazio che esse
generano.“Lo spazio è definito dall’attività psicopercettiva dell’os­
servatore; non è fisico, non è reale, non è misurabile con il metro
di cento centimetri, è prodotto psicopercettivamente dalle forze
spaziali e dalle costanti vettoriali della percezione”1.
Quando guardiamo una composizione, sia che questa rappresenti un
oggetto in modo realistico o simbolico, o che sia una configurazione
completamente astratta, il nostro cervello la interpreta come una
rappresentazione dello spazio. Questa può essere tridimensiona­
le, come avviene nella stragrande maggioranza dei casi, quando
abbiamo sufficienti indici per potere leggere una seppur minima
profondità, o bidimensionale, se leggiamo solo due dimensioni.
Il concetto di spazio è un argomento sul quale filosofi e psicologi
dibattono da secoli. Oggi c’è un’inflazione del termine spazio; si
parla di spazio fisico, di spazio matematico, di spazio astronomico,
di spazio prossemico, eccetera. Quello che a noi interessa è lo
spazio psicopercettivo, di cui Kandinsky aveva parlato per primo;
uno spazio virtuale, percepito dal solo “senso della vista”, che
viene definito non solo dalle forme e dai colori ma dall’attività
psichica dell’osservatore, il quale utilizza quei processi autoctoni
che abbiamo definito costanti vettoriali della percezione, come per
esempio le leggi di unificazione figurale, la cinestesi e, appunto, le
forze spaziali.

Parleremo più avanti delle forze insite in ogni forma; prima però
dobbiamo rilevare che il campo stesso possiede delle sue forze
intrinseche.
Esse possono essere di due tipi: bidimensionali o tridimensionali.
Quando posizioniamo le forme vicino al bordo di una composi­
zione, le prime (Figura 4.3) tendono a spingerle sempre più verso
l’esterno, verso i margini della superficie. Le altre hanno effetti
diversi a seconda della zona del campo (Figura 4.4). A parità di
condizioni le figure poste in basso a destra subiscono una forza
avanzante, cioè sembreranno venire più incontro all’osservatore
rispetto a quelle poste nelle altre parti del campo; quelle in alto a
sinistra invece sono soggette a una forza retrocedente, appariranno
cioè allontanarsi dall’osservatore; possiamo definire queste aree del
campo zona di massimo avanzamento e zona di massimo
arretramento. Le altre parti del campo, in basso a sinistra e in alto
a destra sono zone neutre; non hanno effetti sulle figure.
Questa teoria è stata esposta nel 1944 da uno studioso del MIT
(Massachusetts Institute of Technology), Gyorgy Kepes2, ma ha
origini più lontane. Già Wassily Kandinsky vent’anni prima aveva
rilevato le asimmetrie presenti nel campo individuando quella che
aveva definito diagonale armonica, che andava dal basso a sinistra
all’alto a destra, e la diagonale disarmonica, quella opposta; quest’ul-
tima univa due parti del campo dove si manifestava una tensione
tridimensionale. Egli ribadiva poeticamente questo concetto di
asimmetria del campo scrivendo: “Il movimento verso ‘sinistra’è
un movimento verso la lontananza, il movimento verso ‘destra’ è
un movimento verso casa”3.
Possiamo osservare che la maggioranza delle opere d’arte svilup-
pano la loro tridimensionalità lungo la diagonale disarmonica, come
avviene in alcune famosissime opere (Figura 4.5), il che suggerisce
che questo schema di composizione sia innato nell’uomo e da
considerarsi quindi una costante vettoriale della percezione.
Studi compiuti sul cervello umano in anni più recenti hanno con­
fermato che, per quanto le divergenze anatomiche tra i due emisferi
cerebrali siano relativamente piccole, quelle funzionali sono molto
marcate, cosa che può condizionare la percezione del materiale
ottico. L’emisfero destro è chiamato emisfero visivo e, lo dice il
termine stesso, possiede proprietà visuospaziali; a esso competono
per esempio il riconoscimento delle forme e dei colori, l’orienta-
mento,la Gestalt. Quello sinistro è chiamato emisfero linguistico
e a esso competono, tra l’altro, il controllo del linguaggio e l’analisi
della scrittura. Gli scienziati hanno ultimamente scoperto che, men­
tre negli individui maschi questa “specializzazione” degli emisferi
cerebrali è molto evidente, nelle femmine lo è molto meno: per le
stesse
%
operazioni esse utilizzano aree del cervello più ampie.
E chiaro comunque che quello che avevano teorizzato intuitiva­
mente Kandinsky e Kepes ha trovato precisi riscontri scientifici.

Abbiamo precedentemente detto che qualunque forma possiede


forze spaziali proprie, interne o esterne. Vediamo quelle interne:
prendiamo due forme geometricamente uguali (Figura 4.7), una
di colore scuro e l’altra di colore chiaro; la prima possiede una
forza centripeta, l’altra una forza centrifuga. Ciò vuol dire che,
pur avendo fisicamente le stesse misure, una ci appare più piccola,
l’altra più grande.
Quelle esterne invece potranno manifestarsi per inerzia visiva
(Figura 4.8): per esempio per un segmento di retta, lungo la sua
direzione, e per un arco di cerchio, lungo il medesimo arco. Un
cerchio avrà delle forze che ruotano continuamente attorno ad
esso, conferendogli la caratteristica di forma sempre dinamica. Un
rettangolo allungato potrà manifestare le sue forze nella direzione
del suo lato maggiore, mentre un quadrato le esprimerà unifor­
memente lungo i suoi lati o, eventualmente, nella direzione delle
sue diagonali. Le forze di un triangolo si manifesteranno lungo i
suoi lati o nella direzione dei suoi vertici acuti, quelle di un rombo
lungo la sua diagonale maggiore. Sono processi molto intuitivi che
mostrano un’analogia con la teoria delle punte in elettrostatica, con
il potere che queste hanno di emettere o ricevere elettroni. Anziché
cariche positive o negative qui si generano percorsi visivi.
In una famosa opera suprematista di El Lisickij (Figura 4.9a) si
percepiscono molto bene le forze che si manifestano in corrispon­
denza del vertice del triangolo rosso, nonché la forza centrifuga
che agisce nel grande cerchio bianco; nel manifesto di Rodcenko
(Figura 4.9b) è evidente l’energia che si sviluppa dalla bocca della
donna. E interessante osservare come nell’ambito della grafica del
periodo della rivoluzione russa (1917) siano state create compo­
sizioni estremamente sintetiche, che facevano spesso uso di forme
tanto elementari quanto espressive. Il fatto è che le avanguardie
sovietiche avevano intuito l’esistenza sia delle costanti vettoriali
della percezione, anche se esse non erano ancora state definite tali,
sia delle forze spaziali. Le utilizzavano per trasmettere messaggi con
forti contenuti politici a masse culturalmente impreparate che po­
tevano però essere raggiunte attraverso un linguaggio semplice.
Prendiamo due rettangoli e orientiamoli come nella Figura 4.1 Oa;
queste forme esprimeranno la loro forza soprattutto in senso ver­
ticale: una composizione di scarsissimo valore spaziale.

Ruotiamo ora uno dei due rettangoli in opposizione all’altro e


rappresentiamo le linee delle forze esterne a queste forme (Figura
4.1 Ob); si generano altre configurazioni, si evidenziano delle ten­
sioni, le forze spaziali si manifestano.

Le linee che abbiamo rappresentato non sono fisiche, vengono


generate psicopercettivamente e acquistano forza attraverso la
contrapposizione
\
delle forme.
E la dimostrazione di un principio che dobbiamo imparare a memo-
ria: “una forza si manifesta per la resistenza della forza opposta”.

Prendiamo ora due quadrati disposti come nella Figura 4.Ila: si


voglia o non si voglia, tutti noi porremo in relazione le due fornii
osserveremo prima una forma e poi l’altra. Si forma un percorso
visivo tra le due figured quadrati sono come due caiamite che si at'
traggono, avvicinandosi. Questo percorso visivo, che noi definiamo
mediante il movimento dei nostri occhi, è anch’esso una costante
vettoriale della percezione, e genera un elemento che si chiama
linea latente; essa non è reale ma è creata psicopercettivamente,
e ha lo stesso valore delle linee disegnate. Se aggiungiamo un’altra
forma (Figura 4.1 lb) il percorso visivo unisce percettivamente le
figure; si genera un triangolo che costituisce la geometria dello
spazio.
Prendiamo ora tre forme: un triangolo, un segmento di retta e
un cerchio, come nella Figura 4.12. Vediamo quali forze spaziali
entrano in gioco. Tra il triangolo e le altre forme esiste un grande
contrasto dimensionale che necessariamente, per quanto si è detto
quando abbiamo analizzato la cinestesi, viene interpretato come
"oggetti vicini e oggetti lontani”; si legge quindi una tridimensio­
nalità. Il triangolo è posizionato nella zona di massimo avanzamento,
le altre forme in quella di massimo arretramento, quindi, citando
ancora una volta Kandinsky, la composizione è strutturata lungo
la "diagonale disarmonica”; queste forze spaziali accentuano la
profondità. Si generano precisi percorsi visivi che costituiscono la
geometria dello spazio: nasce l’espressione spaziale.
"La geometria dello spazio non è formale; è fatta di spirito di
geometria e di spirito di finezza”4.
Capitolo 5

Lo spazio concavo
e lo spazio convesso
Abbiamo parlato di spazio psicopercettivo e abbiamo detto che
esso può essere bidimensionale (Figura 5.la) o tridimensionale
(Figura 5.1b),a seconda che possa generare o meno una sensazione
di profondità.
Lo spazio però possiede altre qualità: può essere statico o di­
namico. Quando esso ha tutte le figure orientate in senso ver­
ticale oppure orizzontale rispetto ai margini del campo (quindi è
composto da forme lette come ferme), parliamo di spazio statico;
quando queste forme sono percepite come in movimento parliamo
di spazio dinamico. Un classico esempio di spazio statico si può
trovare nei quadri di Piet Mondrian (Figura 5.2); rappresentazioni
invece tipicamente dinamiche sono quelle dei futuristi, che hanno
fatto del movimento il loro principio ispiratore. Nella copertina di
Filippo Tommaso Marinetti, la composizione dinamica dei caratteri
accentua l’onomatopeia delle parole (Figura 5.3).
Lo spa

Lo spazio psicopercettivo può infine possedere altre due qualità,


essere cioè concavo o convesso. Questi saranno i temi sviluppati nei
primi esercizi di percezione visiva: definizione di spazio concavo
e di spazio convesso (statico o dinamico).

Cos’è una superficie concava è facilmente comprensibile: è una


superficie che ha un’area centrale lontano dall’osservatore e aree
periferiche più vicine (Figura 5.4a). Al contrario una superficie
convessa ha un’area centrale più vicino all’osservatore e quelle
periferiche più lontane (Figura 5.4b).
Alcuni quadri del pittoreVictorVasarely sono delle perfette rappre­
sentazioni di spazio convesso (Figura 5.5), ma sono composizioni
molto diverse dagli esercizi di percezione visiva che analizzeremo:
egli ha utilizzato molti indici tridimensionali, per cui la lettura
dello spazio è molto evidente; negli esercizi di percezione visiva,
invece, l’osservatore è costretto a un maggiore lavoro psicopercettivo
poiché sono state utilizzate solo forze spaziali e costanti vettoriali
della percezione per generare la medesima sensazione.

Abbiamo detto che, quando vediamo un oggetto da vicino, la sua


immagine retinica diventa più grande; quindi la sensibilità cineste­
sia della grandezza dell’immagine retinica ci ha convinto che una
forma che possiede una proiezione grande è vicina a noi e una più
piccola è lontana. Utilizzando questo principio si è cercato di dare
l’impressione di concavità o convessità.
Kandinsky nella sua opera “Nove punti in ascesa” (Figura 5.6) ha
impiegato appunto nove cerchi di grandezza diversa per definire
in modo molto efficace uno spazio tridimensionale dinamico (il
cerchio è una figura sempre dinamica) senza però volere dare
allo spazio le qualità che invece sono state ricercate nei successivi
esercizi.
La grandezza relativa è uno dei primi strumenti per rappresentare lo
spazio tridimensionale, come abbiamo già visto nell’esempio della
Figura 2.4;neirinstallazione luminosa rappresentata nella Figura 5.7
percepiamo una forte tridimensionalità sia grazie a questo principio,
sia in virtù degli altri indici che analizzeremo nel Capitolo 12.

In questa prima ricerca è stata innanzitutto scelta la forma da uti­


lizzare tra quelle “più buone” cioè tra quadrato, cerchio, triangolo
equilatero, rettangolo,
\ segmento di retta e arco di cerchio, tutte
campite in nero. E stato formato un “gradiente dimensionale” di
6/8 figure, proporzionato alla dimensione della superficie su cui
si è operato, che, come abbiamo detto, è di forma rigorosamente
quadrata. Si è prestata molta attenzione a non “affollare” troppo il
campo poiché altrimenti ogni forma avrebbe perso espressione.
Si è poi passati a identificare il punto dove porre la forma che
doveva apparire più vicina, nel caso dello spazio convesso, o pi11
lontana, nel caso dello spazio concavo.
Ogni superficie ha il suo centro geometrico, dato dalfincontro
delle diagonali, che non è tuttavia il centro visivo; rispetto a chi
osserva, questo è collocato un po’ più in alto e un po’ più a destra
Lo spazio concavo e lo spazio convesso 55

del centro geometrico. Il centro di curvatura è stato collocato in


prossimità del
centro visivo.
Partendo quindi dalla forma posta nel centro di curvatura, sono
state disposte le altre figure attorno a questa in modo da definire
distanze intermedie tra la forma più vicina e quella più lontana.
Nel fare ciò si è prestata molta attenzione alla distanza tra le forme
stesse e quella posta nel centro di curvatura, nonché alle loro forze
interne, al fine di riuscire a rappresentare al meglio concavità o
convessità. Per sfruttare tutte le forze spaziali disponibili, nello spazio
concavo la forma più grande, cioè quella che leggeremo come più
vicina, è stata posizionata nella zona di massimo avanzamento in
basso a destra.Viceversa, nello spazio convesso è stata utilizzata la
zona di massimo arretramento, in alto a sinistra, disponendovi la
forma più piccola.

queste configurazioni diventano molto importanti,


Esercizi di percezione visiva oltre alla grandezza, anche le forze interne delle
Nella Figura 5.8 vediamo una definizione di spazio singole forme, il cui orientamento è fondamentale
concavo statico ottenuta utilizzando il quadrato, mentre per definire l’espressione spaziale delle composizioni;
nella successiva (Figura 5.9) è rappresentato uno spazio queste fanno sì che le forme conducano l’osservatore
convesso dinamico, in quanto il cerchio è una forma verso il centro di concavità o tendano a farlo ruotare
sempre in movimento. In entrambe le composizioni attorno a esso.
si riescono a leggere molto bene la tridimensionalità
e la curvatura. Una buona definizione di spazio convesso statico è
nella Figura 5.14, dove viene utilizzato il rettangolo;
Nelle Figure 5.10, 5.11, 5.12 e 5.13 sono rappresen­ nella Figura 5.15 osserviamo uno spazio convesso
tate quattro definizioni di spazio concavo dinamico dinamico che utilizza un numero molto ridotto di
utilizzando diverse figure: il rettangolo, il segmento triangoli equilateri, quasi al limite della leggibilità.
di retta, il triangolo equilatero e l’arco di cerchio. In
Capitolo 6

L'espressione spaziale

In termini gestaltici lo spazio è un sistema di tensioni che ne


determina la geometria; l’espressione spaziale è legata alla sen­
sazione di spazio che la composizione riesce a trasmettere. Questa
è tanto “buona” quanto sono utilizzate al meglio le forze spaziali
e le costanti vettoriali della percezione.
Le forze spaziali possono manifestarsi essenzialmente attraverso sei
differenti modi (Figura 6.1):
1. la forma: abbiamo visto che ogni figura possiede delle proprie
inerzie visive, o cinetiche, che altro non sono che i prolunga-
menti delle sue geometrie interne, e attraverso le quali può
relazionarsi con le altre forme del campo;
2. la dimensione: la ricerca sullo spazio concavo e convesso ha
dimostrato che la grandezza relativa delle forme è una forza
spaziale attraverso la quale è possibile generare la sensazione di
tridimensionalità;
3. l’orientamento: l’inclinazione di una forma rispetto ai margini
del campo o rispetto ad altre forme può produrre stimoli dif­
ferenti fornendo all’osservatore anche indicazioni sul moto;
4. il peso ottico: ogni forma, a seconda della zona del campo
dove è inserita e/o in relazione al suo colore o texture, dà
all’osservatore l’impressione di possedere un peso più o meno
evidente;
5. la latenza: ogni linea o elemento non disegnato, latente, che si
genera psicopercettivamente per inerzia visiva o per chiusura,
forma quella che possiamo definire la struttura assente e che
rappresenta una forza spaziale;
6. 1 intervallo: lo spazio che separa una forma dall’altra può
assumere il significato di forza spaziale se ordinato in maniera
tale da rappresentare particolari situazioni come ritmo regolare,
accelerazione, velocità (vedi Capitolo 14).
Quando posizioniamo una forma in un campo è come se lanciassi­
mo un sasso in uno specchio d’acqua; è evidente il punto d’impatto,
ma è evidente anche l’effetto che esso ha provocato sotto forma
di cerchi concentrici che si dipartono da quel punto; la forma ha
quindi un’influenza molto maggiore della sua dimensione fisica.
Anche utilizzando una sola forma possiamo verificare come l’espres­
sione spaziale vari radicalmente a seconda della zona del campo
dove questa viene posizionata, in quanto essa è soggetta alle forze
che agiscono nel campo stesso (Figura 6.2).

a b

Se osserviamo la configurazione a) vediamo che non esistono


tensioni: la forma è posizionata esattamente nel centro geometrico
del campo; questo introduce il concetto di valore formale e di
valore spaziale. Possiamo dire che mentre le configurazioni b),
c) e d) posseggono un valore spaziale, in quanto si manifestano
delle tensioni che riescono a trasmettere una sensazione di spazio,
la configurazione a) è assolutamente equilibrata.
Prendiamo cinque forme buone e con esse costruiamo due con­
figurazioni differenti, come nella Figura 6.3.
Nella configurazione a) prevale nettamente il valore formale, in
quanto si tende a raggruppare le figure in modo da formare un
unico insieme simmetrico, al quale possiamo anche assegnare il
valore simbolico di un omino con una sorta di cappello. Nella con­
figurazione b),pur utilizzando le medesime forme, il valore spaziale
è evidente; nascono percorsi visivi molto articolati, la geometria
dello spazio è ben leggibile, si percepiscono il movimento delle
figure e le forze che esse esercitano una contro l’altra.
Molto spesso valore formale e valore simbolico coincidono e
prevalgono sullo spazio; il marchio della scuola del Bauhaus o, più
recentemente, quello di un’importante società di prodotti elettrici,
ne sono un esempio (Figura 6.4). Per quanto siano costituiti da
forme geometriche elementari, queste portano al riconoscimento
di volti umani; esse vengono quindi raggruppate per significato e
non si percepisce alcuna espressione spaziale.
E anche vero, però, che nella progettazione di un marchio, o di
qualsiasi artefatto dove sia presente la componente simbolica, l’uso
corretto delle costanti vettoriali della percezione e delle forze spa­
ziali consente una migliore e univoca lettura del “prodotto”, con
un impatto più forte sui fruitori. Per esempio, un simbolo che tiene
ale, conto dei valori spaziali è sicuramente quello che troviamo sulle
strade per segnalare una galleria (Figura 6.5): la lettura è si cura­
la mente tridimensionale grazie alle tensioni presenti. Generalmente
vale il principio che il valore simbolico è più forte dell’espressione
ca spaziale.
Tutti gli esercizi che analizzeremo in questo libro sono delle
ricerche sullo spazio psicopercettivo e pertanto prescindono da
qualsiasi valore formale o simbolico che la composizione può
assumere: “dovremo fuggire il valore formale come il diavolo fa
con l’Acqua Santa”1. 1
Moderni metodi di indagine della fisiologia umana, come la NMR
(Nuclear Magnetic Resonance, risonanza magnetica nucleare) o
la PET (Positron Emission Tomography, tomografia a emissione
di positroni), hanno permesso di tracciare una mappatura più
precisa del nostro cervello rilevando il maggiore flusso sanguigno
in determinate aree cerebrali che reagiscono a seguito di specifici
stimoli. Il neurobiologo Semir Zeki, utilizzando queste tecniche
diagnostiche, ha osservato che la lettura di composizioni astratte
attiva parti del cervello più limitate e differenti da quelle che ven­
gono messe in moto dalla lettura di composizioni figurative o dove
si può riconoscere un valore simbolico.

Per ora abbiamo parlato sempre di forme completamente rappre­


sentate nel campo; queste figure sono dette forme chiuse. Ma
esistono altre forme che nascono nella parte visibile del campo e
si concludono all’esterno di esso; queste figure sono dette forme
aperte. Osserviamo la Figura 6.6: vediamo un rettangolo com­
pleto, che costituisce appunto una forma chiusa, e un’altra forma,
interpretabile anch’essa come un altro rettangolo ma che oltre­
passa i margini del campo; quest’ultima è definita forma aperta.
Esistono poi altre forme non disegnate, che nascono dalle inerzie
visive delle figure rappresentate e che si configurano come forme Fi9

aperte latenti. Al centro leggiamo infine una piccola forma sempre


latente ma chiusa.

L’uso delle forme aperte è molto importante ai fini di ottenere


un’espressione spaziale ottimale; quando percepiamo una forma
aperta e, attraverso il completamento amodale (Capitolo 3) la ri­
costruiamo mentalmente, le dimensioni psicopercettive del campo
risultano ingrandite. Pur disponendo di superfici limitate siamo in
grado di rappresentare spazi più grandi, dando all’osservatore delle
semplici indicazioni di quale materiale ottico dovrebbe trovarsi
all’esterno del campo stesso. Osservando il disegno architettonico
degli anni ’40 rappresentato nella Figura 6.7 si evince chiaramente
che la tridimensionalità risulta molto più forte nell’originale a
sinistra che non neH’immagine a destra, dove sono state eliminate
le forme aperte in primo e secondo piano.
11 cinema oggi utilizza spesso inquadrature con il punto di ripresa
in movimento, e questo crea nell’osservatore l’esperienza necessaria
per potere proseguire e ricostruire mentalmente le scene, anche
quando queste sono passate oltre i margini dello schermo (Figura
6.8), offrendo allo spettatore una sensazione spaziale decisamente
ampliata.
Un’altra interessante applicazione delle figure aperte si vede nei
banner pubblicitari su Internet dove, disponendo di spazi molto
limitati, si ha la necessità di ingrandire psicopercettivamente la
presenza del messaggio pubblicitario (Figura 6.9).
Il margine può essere inteso come soglia tra il visibile e il non
visibile e usato come elemento compositivo esattamente come le
forme che vengono disposte nel campo. Kandinsky aveva anche
effettuato studi sui margini e aveva osservato che questi offrono una
differente resistenza a essere “trapassati” da una forma; il margine
inferiore offre una resistenza maggiore che non quello superiore.
Che il margine sia una soglia psicopercettivamente superabile è
dimostrato dall’analisi di alcuni disegni di bambini; si nota spesso
che essi tendono a colorare il margine supcriore e inferiore del
campo per il timore che le forme “possano scappare” (Figura 6.10),
percependo quindi intuitivamente questa “permeabilità”.

Un ultimo “oggetto” che si può utilizzare come elemento com­


positivo è il vuoto; non bisogna temerlo, ma avere la sensibilità
dell’assenza. Se usato correttamente il vuoto può avere un notevole
valore espressivo, può rappresentare una grande profondità o pre­
ludere a una forma vicina non visibile; nella Figura 6.11 il disegno
occupa meno della metà del campo, ma l’espressione spaziale che
ha questa composizione è molto forte proprio grazie alla superficie
lasciata libera.
Due aforismi possono sottolineare ulteriormente l’importanza del
vuoto. Uno è del filosofo taoista Lao-Tse: “Un vaso è utile solo
grazie al suo vuoto”. L’altro è del grande architetto tedesco Mies
Van Der Rohe:“Less is more”; spesso con pochi elementi si può
esprimere una grande spazialità, dove invece un’eccessiva comples­
sità genera solo confusione. Noi potremmo tradurre questa frase
con: ’’Dire molto con poco”.

Negli esercizi che seguono viene data una definizione di spazio


tridimensionale, approfondendo il concetto di espressione spaziale
e utilizzando materiali ottici configurati secondo i principi che
abbiamo finora analizzato.Verranno impiegate quindi, più “forme
buone”, proporzionate in maniera tale da far percepire la profondità
attraverso la cinestesi della grandezza dell’immagine retinica, le forze
spaziali e soprattutto le linee latenti. Ogni forma non è posta nel
campo a caso, ma si relaziona con altre figure; il riconoscimento
dei percorsi visivi porta l’osservatore a partecipare attivamente alla
creazione dello spazio pisicopercettivo.
Esercizi di percezione visiva
Nella ricerca illustrata nella Figura 6.12 percepiamo una forte tridi­
mensionalità, data soprattutto dal grande contrasto dimensionale tra
le figure e dall’uso di una figura aperta in primo piano; un’analisi
più approfondita ci permette di leggere precisi percorsi visivi c di
apprezzare che nessuna delle forme è posizionata arbitrariamente,
ma esse sono in relazione tra loro con un disegno geometrico ben
preciso (geometria dello spazio).
Nella Figura 6.13 viene utilizzata una minore varietà di forme,
ma le linee latenti sono ancora più visibili e tali da permettere di
leggere dei piani che si intersecano. Entrambe le composizioni sono
strutturate utilizzando la forza spaziale che si manifesta nella zona
di massimo avanzamento e sviluppano la loro tridimensionalità
lungo la “diagonale disarmonica”.

Molto simile alle precedenti la composizione in Figura 6.14, dove


è stata usata una gamma maggiore di figure e di un vuoto lasciato
a evidenziare la maggiore profondità.
Nella Figura 6.15, oltre a linee latenti molto forti, rileviamo so­
prattutto il movimento comune delle forme.

La ricerca nella Figura 6.16 sicuramente “dice molto con poco”;


vengono utilizzati solo segmenti di retta composti in modo tale che,
attraverso un corretto uso della legge gestaltica del destino comune,
e del vuoto, si crei uno spazio tridimensionale composto da piani
che si intersecano e che posseggono quasi una valenza materica.
La composizione successiva (Figura 6.17) utilizza forme molto
piccole ben relazionate fra loro; possiede un’ottima espressione
spaziale, che richiama vagamente uno spazio concavo.

Nella Figura 6.18 il movimento comune che si legge tra le forme


aperte e il quadrato al centro della composizione fa sì che le prime
acquistino una dimensione psicopercettiva enorme pur essendo
poco presenti all’interno del campo.
La ricerca successiva (Figura 6.19) è simile alla precedente per
l’impiego della forma aperta, che viene interpretata come un
triangolo equilatero, e presenta percorsi visivi molto articolati con
un buon uso del vuoto.
Capitolo 7

L'uguaglianza

La legge gestaltica dell’uguaglianza è un fattore organizzativo molto


forte, che analizzeremo attraverso un esercizio che riprende il tema
dello spazio concavo e convesso.
Osserviamo la composizione nella Figura 7.1; la prima cosa che
percepiamo è che abbiamo a che fare con uno spazio tridimen­
sionale, dinamico, convesso. Noteremo poi che nel campo sono
presenti tre gruppi di forme uguali tra loro per colore e forma: tre
cerchi, tre quadrati e tre triangoli. Si voglia o non si voglia, noi non
leggiamo questo materiale ottico per vicinanza, ma per uguaglianza;
formiamo cioè delle unità con elementi tra loro simili. Costruiamo
tre figure chiamate triangoli spaziali, che costituiscono la geo­
metria dello spazio; la loro conformazione accentua il dinamismo
della composizione in quanto, come le forme rappresentate, sono
anch’essi “in movimento”.
Alla loro lettura perveniamo poiché raggruppiamo il materiale ot­
tico secondo la legge gestaltica dell’uguaglianza; è un processo che
però non avviene immediatamente. Per fare questo siamo costretti
a un lavoro creativo, in quanto i triangoli spaziali si sovrappongono
l’uno all’altro; partecipiamo quindi alla costruzione dello spazio
psicopercettivo.
Sedò non fosse la composizione perderebbe molto del suo interesse,
poiché all’osservatore sarebbe richiesto uno scarso coinvolgimento,
come succede nella Figura 7.2a,dove l’organizzazione del materiale
ottico risulta più agevole in quanto i triangoli spaziali risultano
evidenti e non intersecati.
Le forme utilizzate sono le forme platoniche di superficie, che si
ditferenziano molto bene l’una dall’altra; secondo i Greci queste
forme sono perfette, immutabili, non sono modificabili, sono eter­
ne; non a caso la Gestalt le definisce “buone”. Nella Figura 7.2b,
dove abbiamo eliminato il colore, vediamo che questa diversità ci
permette, seppure con un po’ di difficoltà, di creare i tre triangoli
spaziali; se però attribuiamo alle figure uguali colori diversi (Figura
7.2c) noteremo che la forma non è più un fattore unificatore suffi­
ciente ed è molto più immediato che le figure vengano raggruppate
per uguaglianza di colore che non di forma. Il colore è molto più
forte della forma; la scelta di colori ben leggibili e contrastanti è
quindi determinante.
L’esercizio sull’uguaglianza ruota quindi attorno a questi semplici
concetti: dare una definizione di spazio concavo o di spazio con­
vesso impiegando tre gruppi di tre “forme buone” diverse tra loro
per forma e per colore, e disponendole in modo che i triangoli
spaziali si intersechino, costringendo così l’osservatore a un lavoro
creativo.

L uguaglianza di forme e colori si ritrova spesso in molti artefatti


creati da designer o artisti.
Nel logotipo di una mostra (Figura 7.3) disegnato da G. Illiprandi
nusciamo agevolmente a leggere “Design Future” poiché rag­
gruppiamo i caratteri che hanno un corpo uguale dando loro un
significato verbale. Alcune opere di Nino Di Salvatore hanno come
chiave di lettura anche questa legge gestaltica, come nell’opera
raPpresentata nella Figura 7.4, dove l’osservatore può raggruppare

h materiale ottico di uguale colore e formare delle configurazioni


c°mplanari.
I tipici test per acromatopsie (difficoltà a leggere i colori) ideati
da S. Ishihara (Figura 7.5) utilizzano l’uguaglianza di colore per
raggruppare i piccoli cerchi che formano dei numeri.
Abbiamo detto che il colore è un fattore organizzativo molto forte;
questo principio viene sfruttato nel progetto illustrato nella Figura
7.6, dove la diversità o l’uguaglianza di colore accorpa o diversifica le
funzioni di questo pannello di un comando per un’apparecchiatura
dentistica, consentendo un uso più intuitivo del prodotto nell’ottica
di una maggiore sicurezza.
Esercizi di percezione visiva
I Greci avevano inventato il canone di rapporti perfetti, “aurei”,
regolati da precisi calcoli matematici, ripreso poi da Leonardo da
Vinci nei suoi studi sulla figura umana, e dal Palladio nelle sue
architetture. Anche noi moderni abbiamo le nostre proporzioni:
abbiamo il senso del peso delle forme. A noi è consentito essere
sproporzionati, ma dobbiamo esserlo in maniera coraggiosa, come
lo sono stati i suprematisti russi Malevic o Chashnik (Figura 7.7).
“11‘coraggio creativo’è una virtù autentica, l’incertezza è una virtù
negativa”1.

Anche se parleremo più avanti della proporzione (Capitolo 14),


dobbiamo però iniziare a comprendere che essa aveva un significato
differente per gli antichi rispetto a quello che ha per noi moderni.
La ricerca rappresentata nella Figura 7.8 è coraggiosa; è una de­
finizione di spazio convesso dinamico, dove viene impiegata una
forma enorme che costituisce il centro di rotazione.
La Figura 7.9 è una definizione di spazio concavo dinamico dove
viene utilizzato anche del materiale ottico differente dalle tre forme
platoniche, che però si legge e si differenzia bene; è stata usata una
forma aperta che contribuisce ad accentuare la tridimensionalità.

Nella Figura 7.10 vengono utilizzate le tre forme platoniche per


definire uno spazio concavo dinamico; la costruzione dei triangoli
spaziali è agevolata anche dal fatto che, oltre alla legge dell’ugua­
glianza, come fattore di unificazione figurale interviene anche la
legge del movimento comune per raggruppare quadrati e triangoli.
L’espressione spaziale è buona anche se la configurazione risulta
relativamente rigida. La successiva composizione (Figura 7.11) è un
po’sconcertante perché sono state utilizzate forme molto piccole,
ma dimostra comunque una grande sensibilità: la definizione di
spazio è molto forte e la concavità ben evidenziata. Le geometrie
sono articolate, si costruiscono due triangoli spaziali e poi si nota
che i tre cerchi sono disposti su una retta, cosa che viene percepita
come un triangolo spaziale messo di profilo.
Capitolo 8

La chiusura

Osserviamo il materiale ottico rappresentato nella Figura 8.1;


tutti leggiamo un triangolo equilatero che nasconde tre cerchi e
un altro triangolo equilatero nascosto dal primo; il primo viene
completato modalmente, il secondo amodalmente (Capitolo 3),ma
tutti e due pur non essendo disegnati vengono letti perfettamente,
anzi, quello davanti ci sembra persino più chiaro dello sfondo. In
questa esperienza di percezione visiva, conosciuta con il nome di
“triangolo di Kanizsa”, abbiamo operato un processo chiamato
chiusura, organizzando il materiale ottico attraverso le leggi della
Gestalt, raggruppando cioè gli elementi che hanno un “destino
comune” e che identificano una “forma chiusa”.
. . • nuali manca una “fetta”, o dei sempljCl
Nessuno lesse « “"^’“Uce avviene nell. Figura 8.2. *», k
leggi di unificazione g
segmenti non tntervengono in quel senso.

^1° stesso modo eli 1


Sono raggruppati a Ved,ani° neJla Figura 8.3ven­
uti n qUadrato formato da seem nea unica interrotta in tre punti

interval^ ChlUSUraPsicologkade^^'An,Che qL" °Perim°


È imn Parti della corrine ■ • intervalli, intendendo p?r
nnportante oss„„are c“mP»t'.'o„e rr, „ e
enonieno della chiusura avviene,
quando le condizioni lo permettono, utilizzando la via più bre­
ve ed economica. Nella Figura 8.4 “pregnanza”, “vicinanza” e
“curva buona” ci portano, nell’esempio a), a chiudere un cerchio;
nell’esempio b), per quanto si utilizzi parte dello stesso materiale
ottico,tendiamo invece a chiudere un quadrato. Come abbiamo già
visto nel Capitolo 3, anche qui adottiamo gli schemi più semplici
preferendoli a configurazioni di complessità maggiore.

Il fenomeno della chiusura ha anche una componente fisiologi­


ca: nel trattare le forze spaziali abbiamo già parlato del processo
percettivo della continuità della latenza. Noi non osserviamo mai
un materiale ottico fissamente; l’occhio è sempre in movimento
anche se noi non ce ne accorgiamo. Gli occhi seguono il percorso
di una linea, o di una curva, nella direzione in cui si manifestano le
forze spaziali, e la continuano con un’immagine che non riguarda
più la percezione di materiale ottico reale, ma diventa percezione
cinestesica di un’immagine latente sulla retina. Ne consegue che
una figura avrà una dimensione psicopercettiva maggiore delle sue
dimensioni fisiche (Figura 8.5).
Quando queste inerzie visive avranno un destino comune, si at­
trarranno generando linee latenti molto forti che ci porteranno a
“chiudere” delle forme utilizzando il materiale ottico visibile (Fi- ■
gura 8.6). L’intervallo tra una figura e l’altra, anche se fisicamente
non esiste, ha lo stesso valore delle linee reali, anzi, nell’ambito di
questa ricerca, è forse più importante poiché impegna l’osservatore
in un lavoro creativo.
Le continue, ma impercettibili, oscillazioni dei bulbi oculari sono
alla base di alcune illusioni ottiche molto evidenti che, per quanto
non riguardino il fenomeno della chiusura psicopercettiva, è giusto
citare in quest’ambito a dimostrazione della loro esistenza; la prima
è l’illusione detta “scintillating grid’’ (Figura 8.7), una rielaborazione
della più famosa illusione di Hermann, dove i “circoletti” bianchi
tra i quadrati sembrano sparire per lasciare posto a “circoletti’’neri.
La seconda è ancora più eclatante: riusciamo a vedere delle figure
in movimento quando queste sono evidentemente ferme (Figura
8.8). È un fenomeno molto complesso, tuttora oggetto di studio,
che riguarda soprattutto la visione periferica (Capitolo 10) e il
contrasto dei margini.

La chiusura, come la latenza, è una forza spaziale e può essere in


grado di modificare le forze interne delle forme, come accade nella
Figura 8.9, dove un rombo che, se isolato, manifesta le sue forze
nel senso del suo asse maggiore, associato a dei segmenti che ci !
portano a chiudere psicopercettivamente un cubo, trasformerà il
suo stato da figura bidimensionale a tridimensionale e manifesterà
le sue forze nella direzione dei suoi lati.

Nel prossimo esercizio verrà data una definizione di spazio uti­


lizzando la chiusura psicopercettiva di linee, piani e/o solidi. Si è
proceduto per sottrazione cercando di raggiungere un livello di
leggibilità minimo in modo da richiedere la massima partecipazio­
ne dell’osservatore nel riconoscimento e nella ricostruzione delle
figure. Scrive M. Massironi:“si potrebbe trarre la conclusione che
il nostro sistema percettivo è così ricco e potente da farci provare
piacere quando è messo di fronte a stimolazioni particolarmente
complicate”1; un’osservazione che dovrebbe essere la chiave di
lettura di questa interessantissima ricerca.

L’uso della chiusura come metodo espressivo è molto diffuso sia


nella grafica che in molte opere d’arte astratta; nei marchi illustrati
nella Figura 8.10a,per esempio, riusciamo a riconoscere delle lettere
piane o a forma di solido, o degli oggetti. In tutti i casi interviene
la legge gestaltica dell’esperienza (la conoscenza dell’alfabeto o
dell oggetto stesso) per poter completare le figure.
Una composizione molto interessante, nella quale il grafico ha
lavorato invece eliminando tutti gli elementi che potessero por- 1
tare alla lettura di numeri attraverso la chiusura, si può vedere nel I
calendario perpetuo rappresentato nella Figura 8.10b, dove per
leggere la data bisogna sovrapporre una forma che ne consenta il
riconoscimento. |
I percorsi visivi che si generano in alcune opere astratte sono molto
forti; quella rappresentata nella Figura 8.11 è un quadro di Max
Huber dove l’uguaglianza di colore ha un ruolo fondamentale per
condurre l’osservatore a precise chiusure. La successiva (Figura
8.12) è un’opera di Nino Di Salvatore dove, pur partendo da for­
me molto piccole, si generano linee latenti che attraversano tutto
il quadro; la chiusura psicopercettiva ha per lui rappresentato un
fertile terreno di sperimentazione dai suoi esordi artististici (Figura
8.13) , nell’ambito del MAC2 (Movimento Arte Concreta - vedi
Appendice B), sino alle più recenti composizioni.
Esercizi di percezione visiva
Guardando la Figura 8.14 inizialmente vediamo una serie di
forme spezzate; è solo dopo una più attenta analisi che riu­
sciamo a leggere tutti i quadrati e i cerchi come rappresentati
neH’ininiagine successiva; a ogni riconoscimento proviamo
una sorta di soddisfazione.
La composizione nella Figura 8.15 ci permette di chiudere
delle forme solide “in prospettiva” rispetto all’osservatore; di
fondamentale importanza per l’espressione spaziale l’uso della
figura aperta in basso a destra, che permette alla configura­
zione un salto di qualità da oggetto a spazio tridimensionale.
Molto interessante anche la composizione in Figura 8.16,
dove tutto il materiale ottico usato partecipa a chiusure di
forme e piani.
Tutto giocato sulla chiusura di forme circolari è invece il tema
rappresentato nella Figura 8.17, che ha il pregio di essere una
composizione di grande spazialità. All’opposto come grado
di complessità la ricerca nella Figura 8.18, non per questo
meno espressiva; vi si leggono soltanto due chiusure, ma
entrambe molto forti e capaci di modificare il colore bianco
dello sfondo, che ci sembrerà più chiaro in corrispondenza
del triangolo.
A prima vista il tema proposto nella Figura 8.19 potrebbe
sembrar possedere un eccessivo valore formale per la sua
simmetria sugli assi, ma non è così. Da un più attento esame
si può apprezzare il grande contrasto dimensionale tra le for­
me e,aiutati dall’uguaglianza di colore, si riescono a chiudere
grandi cerchi che possono essere completati sia modalmente
che amodalmente. Nella Figura 8.20 vediamo un uso otti­
male delle forze spaziali (diagonale disarmonica, grandezza
dell’immagine retinica, avanzamento e retrocessione del co­
lore), oltre che della chiusura psicopercettiva, portata a livelli
di minima leggibilità.
La composizione in Figura 8.21 è giocata tutta sulla rotazione
di tre quadrati; si presenta inizialmente come un insieme di
forme irregolari convesse che evidenziano poi tre quadrati
latenti. Nella Figura 8.22 vediamo una libera interpretazione
del tema della chiusura, che pur essendo troppo “prolissa”, cioè
con forme troppo definite e pochi intervalli da completare
psicopercettivamente, risulta molto bella sia dal punto di vista
cromatico, sia per l’espressione spaziale.

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