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12/2/2018 Mozart - Idomeneo

Idomeneo, re di Creta
Opera seria in tre atti, K 366

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Libretto: Gianbattista Varesco

Personaggi:

Idomeneo, re di Creta (tenore)


Idamante, suo figlio (sopranista/tenore)
Ilia, principessa troiana, figlia di Priamo (soprano)
Elettra, principessa; figlia d'Agamennone, re d'Argo (soprano)
Arbace, confidente del re (tenore)
Gran Sacerdote di Nettuno (tenore/baritono)
La Voce (basso)
Comparse e cori Sacerdoti, troiani prigionieri, uomini e donne cretesi, marinai argivi

Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Salisburgo - Monaco, Ottobre 1780 - Gennaio 1781
Prima rappresentazione: Monaco, Teatro di Corte, 29 gennaio 1781
Edizione: Simrock, Bonn 1805

Sinossi
Atto primo. Dopo la caduta di Troia, Idomeneo, re di Creta, torna in patria dal figlio Idamante, ma la sua flotta è colta
dalla tempesta ("Pietà! Numi pietà"). La figlia di Agamennone, Elettra, dopo l’uccisione della madre Clitennestra, si è
rifugiata a Creta dove si è innamorata di Idamante, che ama invece Ilia, figlia di Priamo re di Troia, inviata da Idomeneo a
Creta come prigioniera. La incontriamo lacerata tra l’inclinazione amorosa per un nemico e il suo onore di principessa
troiana: ella respinge Idamante, facendo violenza a se stessa. Idamante, che ha saputo del prossimo arrivo del padre,
libera tutti i prigionieri troiani e dichiara a Ilia il suo amore. I troiani liberati esprimono la loro gioia: ma questo gesto di
magnanimità indispone Elettra, che accusa Idamante di proteggere il nemico e di oltraggiare tutta la Grecia. Nel
frattempo giunge il confidente Arbace a portare la falsa notizia secondo cui Idomeneo sarebbe annegato dopo un
naufragio. Idamante allora si ritira in preda a profondo dolore, mentre Elettra dà libero corso alla sua disperata gelosia,
pensando che Idamante, ormai re, sposerà certamente Ilia ("Tutte nel cor vi sento"). Cambia la scena: dalla spiaggia si
vede la flotta di Idomeneo sul mare in burrasca e si odono le grida dell’equipaggio in preda al terrore. Per placare la
collera di Nettuno, Idomeneo ha fatto voto di sacrificare al dio del mare il primo essere umano che incontrerà sulla
terraferma, se mai riuscirà a sbarcarvi. Giunto in salvo, egli pensa con angoscia e dolore alla terribilità del suo voto
("Vedrommi intorno"), e inorridisce ulteriormente quando scopre che il giovane appena incontrato è suo figlio Idamante:
preso dal terrore, fugge e gli vieta di seguirlo. Idamante esprime profondo stupore per il comportamento del padre.
L’intermezzo introduce una marcia e un coro di guerrieri che si uniscono alle donne cretesi, inneggiante a Nettuno che li
ha ricondotti salvi in patria ("Nettuno s’onori").

Atto secondo. Per sfuggire al suo terribile dovere, Idomeneo decide di inviare Idamante con Elettra ad Argo, dove
quest’ultima deve salire al trono. Arbace, incaricato di annunciare al principe la decisione paterna, fa professione di
ubbidienza. Ilia si congratula con Idomeneo per il suo ritorno, vanta la bontà di Idamante, che le ha ridato la libertà, e
manifesta al re la sua devozione ("Se il padre perdei"). Questi sospetta l’amore dei due e si sente ancora più oppresso
("Fuor del mar, ho un mar in seno"). Anche Elettra ringrazia il re per la sua decisione: rimasta sola, canta la sua gioia nel
vedere prossimo a realizzarsi il suo desiderio più ardente ("Idol mio, se ritroso"). La partenza dei guerrieri e dei marinai
viene annunciata da una marcia e da un coro ("Placido è il mar, andiamo"): un terzetto dà quindi modo a Elettra,
Idomeneo e al sempre afflitto Idamante di esprimere i propri sentimenti ("Pria di partir, o Dio"). Ma ecco scatenarsi una
nuova, terribile tempesta: un mostro marino sorge dalle acque ("Qual nuovo terrore"). Il re comprende il suo peccato e
vuole sacrificarsi al posto del figlio, mentre il coro dei cretesi si disperde terrorizzato.

Atto terzo. Ilia affida ai venti il suo messaggio d’amore per Idamante ("Zeffiretti lusinghieri"); questi le dichiara di
essere deciso a cercare la morte combattendo il mostro marino, dacché suo padre lo odia e lei lo disdegna. Ma Ilia,
commossa, gli confida il suo amore e ambedue si uniscono in un duetto ("S’io non moro a questi accenti"). Giungono
Idomeneo ed Elettra e, di nuovo, il re ordina al figlio di lasciare Creta per sottrarsi alla morte: è il momento del favoloso
quartetto ("Andrò, ramingo e solo"). Arbace allora annuncia che il gran Sacerdote si avvicina seguito dal popolo:
quest’ultimo domanda al re di liberare i cretesi dal mostro, lo sollecita a compiere il voto e domanda il nome della vittima.

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Quando Idomeneo pronuncia quello del figlio, il popolo esprime il suo sgomento ("O voto tremendo"). Il sacrificio inizia
con una marcia, seguita da una preghiera del re; ma ecco una fanfara che echeggia di lontano: Arbace annuncia che
Idamante, vincitore, ha ucciso il mostro. Il principe, incoronato di fiori, viene quindi condotto al sacrificio: ora sa tutto e si
dichiara pronto a morire. Ma, nel momento in cui Idomeneo sta per colpirlo, Ilia cade tra le sue braccia e si offre come
vittima al posto di colui che ama. Dopo una lunga discussione, piena dei più nobili sentimenti, si sente improvvisamente
la voce dell’oracolo di Nettuno: Idomeneo deve rinunciare al trono in favore di Idamante che regnerà, dopo essersi
sposato con Ilia. Elettra scoppia in furibonde imprecazioni e fugge ("D’Oreste e d’Aiace/ Ho in seno i tormenti").
Idomeneo ringrazia gli dèi ed esprime la sua gioia ("Torna la pace al core"); Idamante è incoronato tra cori e danze
("Scenda amor, scenda Imeneo").

Struttura musicale

Ouverture - Allegro (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto I:
Scena I
Quando avran fine omai - Recitativo (Ilia) - Andantino. Allegro. Andante agitato. Adagio - archi
1. Padre, germani, addio! - Aria (Ilia) - Andante con moto (sol minore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Ecco, Idamante, ahimè! - Recitativo (Ilia)

Scena II:
Radunate i Troiani - Recitativo (Idamante, Ilia)
2. Non ho colpa, e mi condanni - Aria (Idamante) - Adagio maestoso (si bemolle maggiore). Allegro con spirito.
Larghetto. Allegro - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Ecco il misero resto de'Troiani - Recitativo (Ilia, Idamante)

Scena III:
Scingete le catene - Recitativo (Idamante)
3. Godiam la pace, trionfi Amore - Coro (Troiani e Cretesi) - Allegro con brio (sol maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni,
archi

Scena IV:
Prence, signor - Recitativo (Elettra, Idamante)

Scena V:
Ma quel pianto ch'annunzia? - Recitativo (Idamante, Arbace)
Or sì dal cielo - Recitativo (Idamante, Ilia) - Allegro assai - archi

Scena VI:
Estinto è Idomeneo? - Recitativo (Elettra) - Allegro assai. Larghetto. Allegro assai - archi
4. Tutte nel cor vi sento - Aria (Elettra) - Allegro assai (re minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, archi

Scena VII:
5. Pietà! Numi pietà! - Coro (Popolo e marinai cretesi) - Allegro assai (do minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni,
archi

Scena VIII:
Eccovi salvi alfin - Recitativo (Idomeneo) - archi
O voi, di Marte, e di Nettuno all'ire - Recitativo (Idomeneo) - archi
6. Vedrommi intorno l'ombra dolente - Aria (Idomeneo) - Andantino sostenuto (do maggiore). Allegro di molto - 2
flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Cieli! che veggo! - Recitativo (Idomeneo)

Scena IX:
Spiagge romite, e voi scoscese rupi - Recitativo (Idamante, Idomeneo)
Spietatissimi Dei! - Recitativo (Idamante, Idomeneo) - Presto (re maggiore). Allegro. Andante - 2 flauti, 2 oboi, 2
fagotti, 2 corni, archi

Scena X:
Ah qual gelido orror - Recitativo (Idamante) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, archi
7. Il padre adorato - Aria (Idamante) - Allegro (fa maggiore) - flauto, oboe, fagotto, 2 corni, archi

Scena XI:
8. Marcia - Marcia (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
9. Nettuno s'onori! quel nome risuoni - Coro. Ciaccona (Popolo cretese) - Allegro (re maggiore). Allegretto (sol
maggiore). Allegro (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto II:
Scena I:

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Siam soli, odimi Arbace - Recitativo (Idomeneo, Arbace)


10. Se il tuo duol, se il mio desio - Aria (Arbace) - Allegro (do maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

In occasione di una rappresentazione privata nel palazzo del principe Auersperg effettuata il 10 Marzo 1816, Mozart
avendo a disposizione un cast di dilettanti, ha sostituito questa scena con i seguenti testi catalogati con il numero K490:

Tutto m'e noto - Recitativo (Idomeneo, Arbace)


Non più, Tutto ascoltai - Recitativo (Ilia, Idamante) - Allegro (do maggiore). Andante. Allegro assai. Andante - archi
Non temer, amato bene - Rondò (Idamante) - Andante (si bemolle maggiore). Allegro moderato - violino solo, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena II:
Se mai pomposo apparse - Recitativo (Ilia, Idomeneo)
11. Se il padre perdei, la patria, il riposo - Aria (Ilia) - Andante ma sostenuto (mi bemolle maggiore) - flauto, oboe,
fagotto, corno, archi

Scena III:
Qual mi conturba i sensi equivoca favella? - Recitativo (Idomeneo) - In tempo dell'Aria - archi
12. Fuor del mar ho un mar in seno - Aria (Idomeneo) - Allegro maestoso (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2
corni, 2 trombe, timpani, archi
Frettolosa e giuliva Elettra vien - Recitativo (Idomeneo)

Scena IV:
Sire, da Arbace intesi - Recitativo (Elettra, Idomeneo)

Scena V:
Parto, e l'unico oggetto, ch'amo ed adoro - Recitativo (Elettra) - … (do maggiore) - archi
13. Idol mio, se ritroso - Aria (Elettra) - Andante (sol maggiore) - archi
14. Odo da lunge armonioso suono - Marcia e recitativo (Elettra) - Marcia (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2
fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena VI:
Sidonie sponde, o voi per me di pianto - Reciativo (Elettra)
15. Placido è il mar, andiamo - Coro (Elettra, soldati, marinai e popolo cretese) - Andantino (mi maggiore) - 2 flauti, 2
clarinetti, 2 corni, archi

Scena VII:
Vattene prence - recitativo (Idomeneo, Idamante)
16. Pria di partir, oh Dio! - Terzetto (Elettra, Idamante, Idomeneo) - Andante (fa maggiore). Allegro con brio - 2 oboi, 2
corni, archi
17. Qual nuovo terrore! - Coro (Coro) - Piu Allegro (fa minore - do minore) - ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni,
archi
Eccoti in me, barbaro Nume! - Recitativo (Idomeneo) - Allegro (re maggiore). Adagio, Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2
fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
18. Corriamo, fuggiamo, quel mostro spietato - Coro (Coro) - Allegro assai (ré minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4
corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto III:
Scena I:
Solitudini amiche - Recitativo (Ilia) - archi
19. Zeffiretti lusinghieri - Aria (Ilia) - Grazioso (mi maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Ei stesso vien... - Recitativo (Ilia) archi

Scena II:
Principessa, a tuoi sguardi se offrir - Recitativo (Idamante, Ilia)
Odo? o sol quel - Recitativo (Idamante, Ilia) - Andante. Molto Andante. Larghetto - archi

20. a. S'io non moro a questi accenti - Duetto (Ilia, Idamante) - Un poco piu Andante (la
maggiore). Allegretto - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
b. Spiegarti non poss'io - Duetto (Ilia, Idamante) - Larghetto (la maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti,
archi [versione alternativa - utilizza il Duetto K 489 (Vedi nota posta all'inizio del secondo atto)]

Scena III:
Cieli! che vedo? - Recitativo (Idomeneo, Ilia, Idamante, Elettra) - archi
21. Andrò ramingo e solo - Quartetto (Ilia, Elettra, Idamante, Idomeneo) - Allegro (mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IV:
Sire, alla reggia tua immensa turba - Recitativo (Arbace, Ilia, Idomeneo, Elettra)

Scena V:
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Sventurata Sidon! - Recitativo (Arbace) - Adagio. Allegro - archi


22. Se colà ne' fati è scritto - Aria (Arbace) - Andante (la maggiore) - archi

Scena VI:
23. Volgi intorno la sguardo, o Sire! - Recitativo (Gran Sacerdote, Idomeneo) - Maestoso (do maggiore). Largo.
Allegro. Andante. Adagio. Andante - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
24. O voto tremendo! - Coro (Gran Sacerdote e popolo) - Adagio (do minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi

Scena VII:
25. Marcia - Marcia (fa maggiore) - 2 oboi, archi
26. Accogli, o re del mar, i nostri voti - Aria (Idomeneo, Sacerdoti) - Adagio ma non troppo (fa maggiore) - 2 flauti, 2
oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Stupenda vittoria - Coro (Popolo) - Allegro vivace (re maggiore) - 2 trombe, timpani
Qual risuona qui intorno - Recitativo (Idomeneo)

Scena VIII:
Sire, il prence, Idamante, l'eroe - Recitativo (Arbace, Idomeneo)

Scena IX:
Padre, mio caro Padre! - Recitativo (Idamante, Idomeneo) - Largo. Allegro assai. Andantino. Allegro risoluto.
Andante. Largo - archi
27. No, la morte io non pavento - Aria (Idamante) - Allegro (re maggiore). Larghetto. Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
Ma che più tardi? - Recitativo (Idamante, Idomeneo) - Allegro. Largo. Presto - archi

Scena X:
Ferma, o Sire, che fai? - Recitativo (Ilia, Idomeneo, Idamante, Gran Sacerdote, Elettra) - Molto Andante. Andante
maestoso. Allegro. Andante. Allegretto. Allegro assai - 2 flauti, 2 oboi, archi
28. Ha vinto amore - Voce - Adagio (do minore) - 3 tromboni, 2 corni
O ciel pietoso! - Recitativo (Idomeneo, Idamante, Ilia, Arbace) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti
Oh smania! oh furie! - Recitativo (Elettra) - Allegro. Allegro assai. Allegro. Andante - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe,
timpani, archi
29. D'Oreste, d'Ajace ho in seno i tormenti - Aria (Elettra) - Allegro assai (fa minore - do minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2
fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena XI:

Popoli! o voi l'ultima legge - Recitativo (Idomeneo) - Adagio (mi bemolle maggiore) - 2 clarinetti, 2 corni, archi

30. Torna la pace al core - Aria (Idomeneo) - Adagio (si bemolle maggiore). Allegretto. Adagio - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni, archi
31. Scenda Amor, scenda Imeneo - Coro (Coro) - Allegro vivace (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi

Arie di rilievo
n. 1: «Padre, germani, addio» (Ilia)
n. 4: «Tutte nel cor vi sento» (Elettra)
n. 5: «Pietà! Numi, pietà! » (coro)
n. 7: «II padre adorato ritrovo» (Idamante)
n. 11: «Se il padre perdei» (Dia)
n. 12: «Fuor del mar ho un mar in seno» (Idomeneo)
n. 15: «Placido è il mar, andiamo» (coro)
n. 17: «Qual nuovo terrore!» (coro)
n. 18: «Corriamo, fuggiamo» (coro)
n. 19: «Zeffiretti lusinghieri» (Ilia)
n. 21: «Andrò ramingo e solo» (quartetto)
n. 24: «O voto tremendo» (coro)
n. 31: «Scenda amor, scenda Imeneo» (coro)

Commento 1 (nota 1)
Idomeneo fu composto tra l’autunno del 1780 e i primi giorni del 1781 su libretto di Gianbattista Varesco, cappellano
di corte dell’arcivescovo di Salisburgo. Del libretto esistono due versioni: la prima presenta il testo integrale; la seconda
non riporta, invece, i numerosi passi tagliati o non musicati da Mozart, altri espunti dopo esser stati composti e altri
ancora esclusi all’ultimo momento per esigenze di durata. A partitura ultimata, il compositore effettuò ulteriori tagli per
snellire la lunghezza dello spettacolo. Questa complessa vicenda testuale nasconde un travaglio creativo, documentato
dalla quarantina di fondamentali lettere che Mozart e suo padre si scambiarono tra l’8 dicembre 1780 e il 22 gennaio

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1781. In esse il compositore discute con Varesco, per interposta persona, le soluzioni da adottare in molte parti del
dramma. Non conosciamo l’esito della prima rappresentazione, ma dai pareri dei membri della corte di Monaco riportati
nell’epistolario, si deduce che l’impressione destata dal lavoro del compositore venticinquenne fu enorme: «Vi assicuro
che mi aspettavo molto da voi» confessò a Mozart il conte Seinsheim in una lettera del 1º dicembre 1780, «ma
veramente non mi aspettavo questo!».

Idomeneo venne ripreso a Vienna nel 1786, in un’esecuzione concertistica nel palazzo del principe Karl Auersperg: in
questa occasione Mozart trascrisse la parte di Idamante per voce di tenore. L’opera ebbe una notevole fortuna a cavallo
tra i due secoli, poi uscì dal repertorio per essere ripresa nel Novecento in versioni variamente rielaborate. Solo a partire
dal secondo dopoguerra, con la riscoperta dell’opera seria settecentesca, Idomeneo è stato rappresentato con frequenza
sempre maggiore nei principali teatri del mondo, in edizioni fedeli agli originali di Monaco e di Vienna.

Per il libretto di Idomeneo, Varesco si basò sulla tragédie lyrique Idomenée di Antoine Danchet, musicata da André
Campra (Parigi 1712), riscrivendola in forma di opera metastasiana con elementi a essa estranei: danze, scene
coreografiche, cori decorativi e drammatici. Il finale tragico fu eliminato a favore di quello lieto, mentre il blocco delle
scene del terzo atto (6-10), introdotto ex novo , è chiaramente ispirato ad Alceste di Gluck. Il testo offriva dunque a
Mozart una notevole varietà di prospettive stilistiche, che lo indussero a esaltarle nel reciproco contrasto,
aggiungendovene un’altra, del tutto personale e audacemente innovatrice: quella del realismo psicologico, estranea alle
abitudini dell’opera seria metastasiana e destinato a diventare il cardine del futuro teatro di Mozart. Allo stile dell’opera
seria appartengono invece le parti di Idomeneo, Arbace e, parzialmente, quella di Idamante. Tre cantanti di vecchia
scuola, rispettivamente i tenori Anton Raaff e Domenico de’ Panzacchi e il castrato Vincenzo dal Prato, oltre,
naturalmente, alla natura delle situazioni, suggerirono a Mozart una soluzione in tal senso. Nella ‘aria d’ombra’ di
Idomeneo "Vedrommi intorno / L’ombra dolente" la musica rappresenta il lamento doloroso degli spiriti dell’oltretomba;
nell’aria "Fuor del mar ho un mar in seno" il re paragona il tumulto del proprio animo a quello di una tempesta marina e la
scrittura di Mozart riesce a fissare mirabilmente, nelle catene di vocalizzi, l’immagine della burrasca come metafora del
dramma scatenatosi nell’animo del protagonista. La regalità solenne di Idomeneo, non priva di un intimo senso di
malinconia, contrasta con la reattività nervosa di Idamante. Nelle due arie del primo atto questi esprime il suo dolore per
essere stato respinto dall’amata e dal padre; Mozart conferisce al personaggio una sorta di impaziente, nervosa
agitazione, insieme a una dolce, talora efebica malinconia: il tutto espresso con un’eleganza di tratto che caratterizza
fedelmente la nobiltà del principe.

Ilia, impersonata da una cantante di gusto aggiornato come Dorothea Wendling, è il personaggio più riuscito
dell’opera, nonché il primo completamente risolto dal compositore in chiave di realismo psicologico. Le sue arie, in specie
la mirabile "Se il padre perdei", si caratterizzano per un lirismo nostalgico che non esclude, tuttavia, forti componenti del
carattere: in particolare un’energia morale temprata dalle dure prove subite e in grado di sorreggerla sino al sacrificio
della vita. Qui Mozart intreccia alla voce quattro strumenti concertanti (flauto, oboe, fagotto e corno) che dialogano con il
canto. Le affannate frammentazioni del ritmo, l’accorta alternanza di canto sillabico e melismatico, di declamazione e di
melodia, il trattamento dell’armonia, con le sue dissonanze piazzate dove meglio non si potrebbe in rapporto alle
esigenze espressive del testo, il cangiare dei timbri, tutto concorre ad attingere un’ambiguità di segno persino romantica,
ricca di implicazioni espressive e di valenze psicologiche.

Le tendenze introspettive riservate al personaggio di Ilia contrastano con la passionalità di Elettra, la cui interprete,
Elisabeth Wendling era, come la cognata Dorothea, un’ottima cantante. L’espressione dell’istintualità incontrollata, che
pervade la prima e l’ultima aria di Elettra, si realizza in una vocalità ‘martellata’, rigorosamente sillabica, mentre
l’orchestra si frantuma in una inesausta varietà dinamica e timbrica. C’è tuttavia in queste arie di Elettra qualcosa di
eccessivo e di violento che brucia, per così dire, la melodia e documenta il travaglio creativo di Mozart, ancora incapace
di dominare in pieno, come sarà in Don Giovanni, l’espressione delle passioni più violente.

I due pezzi d’assieme, il terzetto del secondo atto e il quartetto del terzo, rappresentano situazioni statiche. Ma
quest’ultimo è un capolavoro di finezza psicologica nella resa dei quattro personaggi con i loro sentimenti contrastanti: lo
smarrimento inquieto di Idamante che si appresta a partire, la dedizione eroica di Ilia disposta a seguirlo anche nella
morte, la rabbia blasfema di Idomeneo che impreca contro gli dèi e la gelosia di Elettra, che le corrode l’animo. Il senso
fatalistico del limite, che blocca la volontà dell’uomo dinnanzi al destino, è resa da Mozart con un vero colpo di genio,
paragonabile a quelli che fanno dei cori drammatici esempi supremi di musica teatrale. Ricordiamo l’intensità del coro dei
naufraghi nel primo atto, diviso in una sezione vicina e in una lontana, mentre l’orchestra riempie gli spazi vastissimi della
natura in tempesta con l’imitazione del vento e delle onde; il blocco finale dell’atto secondo, con i due cori divisi dal
recitativo di Idomeneo; la potenza evocativa con cui, dopo il recitativo del gran Sacerdote, la folla accoglie nel terzo atto
la notizia che Idomeneo dovrà uccidere Idamante: tutti momenti musicali e drammatici che si pongono tra le più alte
realizzazioni teatrali di Mozart. Accanto a questi pezzi, i cori decorativi nel primo atto ("Godiam la pace", "Nettuno
s’onori") e nel terzo ("Scenda amor") rappresentano momenti di distensione, che il compositore risolve con squisita
eleganza di gusto francese.

Idomeneo anticipa molti aspetti dei capolavori futuri, ma rimane un’opera seria italiana fondata sull’alternanza di aria e
recitativo, con l’esclusione di veri concertati d’azione. Mozart comprese gli ostacoli che le convenzioni del genere
mestastasiano opponevano a quell’esigenza di naturalezza, di realismo psicologico e di continuità temporale nella
rappresentazione del dramma che egli sentiva prepotentemente sorgere nella sua coscienza di uomo di teatro. Cercò
allora di stabilire una continuità tra un pezzo e l’altro, facendo ampio ricorso al recitativo accompagnato; ma quando,
poco prima dell’esecuzione, si accorse della inaccettabile lentezza del terzo atto, non esitò a tagliare tre arie di Idamante,
Elettra e Idomeneo per non interrompere l’azione nell’ultima parte della tragedia. Tutta l’opera mostra quindi, insieme al
supremo valore dell’invenzione musicale e a una scrittura orchestrale che non ha paragoni per sontuosità di effetti nella
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restante produzione mozartiana, anche un drammatico contrasto tra il testo, che additava al musicista un certo genere di
drammaturgia musicale, e la sensibilità di Mozart, che tenta in ogni modo di piegare gli schemi rigidi dell’opera seria alla
sua nuova idea di teatro musicale. Nella sua polivalenza espressiva e stilistica - tragédie lyrique, dramma gluckiano ed
elementi di realismo psicologico innestati sul tronco dell’opera seria metastasiana - Idomeneo rimane dunque un’opera
sperimentale, priva di unità stilistica ma cementata dalla maestria compositiva di Mozart che ci meraviglia per la
ricchezza, la profondità, l’audacia delle soluzioni stilistiche, tecniche ed espressive. Tutto è ad altissimo livello, ma
l’invenzione del compositore letteralmente fiammeggia dove il testo, specie nei cori drammatici e nelle arie di Ilia, gli
offriva la possibilità di rispecchiare gli intrecci della psicologia umana. La via che guarda al futuro è quindi saldamente
tracciata e dopo Idomeneo, senza più indugiare, Mozart potrà imboccarla, aprendo all’opera in musica la
rappresentazione della vita nella sua immediatezza, dando al teatro musicale una complessità estetica degna del grande
teatro di prosa: un’impresa che il Settecento razionalista riteneva francamente impossibile.

Commento 2 (nota 2)
Per comprendere Idomeneo, opera ineguale ma contenente alcune delle pagine musicalmente più ricche di tutto
Mozart, bisogna anzitutto riferirsi all'epoca in cui esso venne composto. Mozart da tempo sognava di comporre musica
per una grande opera seria e sentiva come un ostacolo insormontabile al suo pieno sviluppo la permanenza nella natia
Salisburgo, città dalle prospettive anguste nella quale i compiti e i ruoli che gli venivano via via assegnati gli andavano
ormai stretti. Si sentiva predestinato al cimento teatrale, pronto al confronto con la tradizione italiana, francese e
soprattutto gluckiana che tanto ammirava; ma per comporre un'opera come lui l'intendeva occorreva che si presentasse
un'occasione al di fuori di Salisburgo. E l'occasione, prestigiosissima, si realizzò nell'estate del 1780 quando gli giunse
attraverso il conte Seeau, intendente teatrale del Principe Elettore Karl Theodor, la commissione di un lavoro per il
Carnevale di Monaco dell'anno successivo. Monaco dunque, una capitale della musica che poteva vantare una storia
illustre, che nel Nuovo Teatro di Corte disponeva di un luogo celebrato da molti successi nel campo dell'opera italiana,
che gli avrebbe messo a disposizione un'orchestra favolosa - la famosa "compagine di Mannheim" diretta da Christian
Cannabich, trasferita a Monaco in blocco - e una compagnia di canto non meno all'altezza. C'erano quindi tutte le
premesse perché il sogno di Mozart finalmente si avverasse e prosperasse nelle migliori condizioni.

Il libretto, su un soggetto suggerito dal Principe stesso e già trattato in precedenza dal francese Antoine Danchet a
Parigi nel 1712 per la musica di André Campra, fu affidato all'abate Gianbattista Varesco, cappellano di corte
dell'arcivescovo di Salisburgo e poeta accademico poco esperto di teatro nonché incline a una certa magniloquenza. Vi si
narravano vicende successive alla guerra di Troia. Idomeneo, re di Creta, durante il viaggio di ritorno è assalito in mare
da una violenta tempesta. Il pericolo è mortale e Idomeneo, per aver salva la vita, offre in sacrificio a Nettuno, dio del
mare, la prima persona che incontrerà giungendo sull'isola. Sbarcato a Creta, Idomeneo incontra per primo il proprio figlio
Idamante. Lacerato dal conflitto fra la promessa al dio e il sacrificio del proprio figlio, il re sceglie di non adempiere al
voto. Nettuno, offeso dal tradimento, invia sull'isola un terrificante mostro marino, portatore di morte e distruzione.
Quando Idomeneo confessa l'atroce segreto, Idamante, che nel frattempo ha sconfitto il mostro, si offre spontaneamente
quale vittima; a sua volta Ilia, figlia di Priamo, prigioniera di guerra e innamorata di Idamante, si offre in olocausto a
Nettuno. La prova d'amore commuove il dio che impone a Idomeneo di abdicare in favore del figlio, che regnerà su Creta
accanto alla sposa Ilia.

Il librettista di Mozart, oltre a tradurre il testo in italiano, sfrondò il numero dei personaggi, portò a tre i cinque atti della
tragedia e soprattutto modificò il finale, che nell'originale si concludeva con la morte di Idamante. Il nucleo della vicenda
rimase sì lo strazio di Idomeneo, costretto a tener fede al suo voto insano, ma alla storia mitologica si affiancarono
umanissime e toccanti storie di affetti incrociati: l'amore della prigioniera Ilia per Idamante, figlio di Idomeneo, e la rivalità
con la vendicativa Elettra, anch'ella innamorata di Idamante. Nonostante il modello della tragédie lyrique francese e la
presenza di danze, marce guerriere e grandi cori, Varesco si attenne ai principi dell'opera italiana metastasiana, fondata
sull'alternanza di recitativi e arie, ridusse considerevolmente lo sfondo mitologico-allegorico del dramma, impoverendone
i risvolti fiabeschi, e dettò una conclusione di carattere celebrativo imperniata sul lieto fine: in altri termini, si mosse
seguendo una strada convenzionale, ricorrendo ampiamente all'emporio melodrammatico tradizionale. Non era
esattamente quello che Mozart, genio paziente e assai più avanti di lui nella concezione dell'opera, desiderava; ma il
compositore sapeva che la musica avrebbe potuto correggere gli squilibri drammatici e le rigidezze del testo in favore di
una maggiore omogeneità.

Insomma, toccava a lui intervenire per correggere le imperfezioni e riscrivere la storia.

La gestazione dell'Idomeneo si rivelò comunque alquanto complessa e sofferta. Alla riottosità del librettista
nell'apportare al testo le continue modifiche desiderate da Mozart si aggiunsero le difficoltà create dai cantanti, tiranni
tanto illustri quanto capricciosi nell'opera settecentesca. Se la primadonna Dorothea Wendling e la cognata Elisabeth
Wendling, ottime voci e care amiche dei tempi di Mannheim, si dimostrarono subito pronte a recepire rispettivamente le
delicatezze introspettive riservate al personaggio di Ilia e l'intensa passionalità di Elettra, Vincenzo dal Prato (Idamante)
possedeva una voce di castrato ormai logora, usurata da mille battaglie e di scuola ormai sorpassata (forse anche in
seguito a questa esperienza Mozart pensò di affidare nella ripresa dell'opera a Vienna del 1786 la parte a un tenore),
mentre l'anziano Anton Raaff (il tenore tedesco protagonista quale Idomeneo, sessantasei anni compiuti) era un divo in
declino, legato a una routine di vecchio stampo, suscettibile e vanitoso al punto da pretendere dal compositore un
trattamento di riguardo per le sue arie e i suoi interventi nei concertati. Mozart incontrò insospettate difficoltà soprattutto
nella stesura del terzo atto ("La mia testa e le mie mani sono così piene del terzo atto che non mi meraviglierei se mi
trasformassi io stesso in un terzo atto!", 3 gennaio 1781) e ancor più nel famosissimo quartetto "Andrò ramingo e solo",
uno dei più bei quadri d'insieme mai composti per il palcoscenico. "Col quartetto ho avuto delle seccature - scriveva al

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padre Leopold il 27 dicembre 1780 -. E' piaciuto a tutti quelli che l'hanno sentito al pianoforte; soltanto Raaff è del parere
che non sarà d'alcun effetto. Ha detto: ‘Non c'è da spianar la voce, lo sento troppo stretto’ . Come se in un quartetto le
parole non dovessero essere molto più pronunciate che cantate. Tal genere di cose lui non le comprende affatto. Allora
gli ho risposto: ‘Carissimo! Se fossi convinto che in questo quartetto vi è una sola nota da cambiare, lo farei subito. Solo
che di nessun altro momento dell'opera sono soddisfatto come di questo brano; e quando l'avrete sentito cantare una
sola volta in concerto parlerete diversamente. Mi sono dato tutta la pena possibile per servirvi a dovere con le vostre due
arie: lo stesso farò per la terza, e spero di riuscirci. Ma quando si parla di terzetti e quartetti, il compositore deve avere la
mano libera".

Mozart aveva iniziato a comporre l'Idomeneo in ottobre a Salisburgo e lo condusse a termine a Monaco, dove era
giunto il 5 novembre (1780) per poterlo completare a contatto dei cantanti e dell'orchestra. Questa circostanza fece sì che
egli intrattenesse un fitto epistolario con il padre, incaricato, data la sua diplomazia, di tenere i rapporti con il librettista di
stanza a Salisburgo. Da questo carteggio è possibile seguire passo dopo passo la nascita dell'opera: è un viaggio
affascinante e completo nella vulcanica officina del compositore, che ci ragguaglia su minimi fatti quotidiani, sui progressi
della gestazione teatrale, sui comportamenti dei cantanti, fino a pregnanti riflessioni di estetica teatrale; il tutto tenuto
sempre sul filo dell'ironia scherzosa e di una pensosa, concentrata serietà. Mozart riservò estrema attenzione all'impianto
drammaturgico generale più che agli episodi isolati, ribadendo più volte la necessità di operare tagli nella partitura a
vantaggio di un'economia superiore, anche in presenza di pezzi singolarmente belli. Un significativo esempio è nella
lettera del 18 gennaio 1791: "La prova del terzo atto si è svolta in modo splendido. Dicono che sia decisamente superiore
ai primi due atti. Ma il libretto è troppo lungo, e di conseguenza anche la musica, come non ho mai smesso di ripetere;
cosicché occorre tagliare l'aria di Idamante "No, la morte io non pavento": in ogni caso qui è fuori di posto. Chi ha
ascoltato l'opera è dispiaciuto di questa soppressione e dell'eliminazione dell'ultima aria di Raaff. Ma occorre fare di
necessità virtù". Folgorante il paragone, che dimostra quanto Mozart guardasse agli esempi sommi del teatro di prosa per
trarre insegnamento dalla forza delle parole: "Se, in Amleto, il discorso dello spettro non fosse così lungo, l'effetto non
potrebbe che essere migliore".

Dopo numerosi rinvii e ritardi, il dramma per musica Idomeneo andò in scena il 29 gennaio 1781 al Residenztheater di
Monaco ottenendo un buon successo. Oltre che all'Elettore, presente la sera del debutto, quest'opera così "nuova e
insolita" piacque enormemente agli intenditori e ai musicisti, ma non conquistò emotivamente il grande pubblico dei
profani, abituato a ben altre esibizioni (lo spettacolo, le cui scene erano opera del celebre architetto teatrale Lorenzo
Quaglio, fu invece unanimemente apprezzato). Benché si dichiarasse non del tutto soddisfatto del risultato raggiunto a
causa della ambiguità di fondo (avrebbe preferito che l'opera fosse impostata alla maniera francese, nello spirito dei
modelli di Gluck), Mozart aveva osato molto e ne era pienamente consapevole. Seppure costrette nelle regole dell'opera
seria tradizionale, le novità drammaturgiche e musicali erano tante e sotto molti aspetti rivoluzionarie. Anzitutto Mozart
dette un rilievo straordinario agli strumenti a fiato, facendo dell'orchestra nel suo complesso l'elemento più importante
della trama compositiva, sia negli accompagnamenti delle parti cantate sia in quelle non cantate: ne è esempio la
grandiosa e patetica Ouverture in re maggiore, che si dissolve senza soluzione di continuità nella prima scena dell'opera.
In secondo luogo trasformò i recitativi accompagnati in un vero, ininterrotto dialogo tra voci e strumenti, conferendo
all'azione una tensione montante nel segno della continuità e sfociante in poderosi insiemi sovente sorretti dal coro, cui
venne attribuita una forza speciale, penetrante. Soprattutto però riuscì a corredare un testo sfilacciato di una musica
densa, luminosa, ricca, esuberante nell'invenzione e nell'espressione, la cui ambizione estetica andava ben al di là del
consueto commento musicale a un soggetto celebrativo. Nonostante la sua non perfetta riuscita come progetto globale di
teatro, non almeno al livello delle successive opere su libretti di Da Ponte, Idomeneo presenta puntate ardite, cime
sfolgoranti di compiuta e assoluta bellezza, apici quali non sarebbero mai stati più toccati neppure dal più grande
drammaturgo musicale che la storia abbia avuto prima di Wagner.

Ciò si può spiegare proprio con il posto occupato da Idomeneo nella sua carriera. Non per nulla Mozart non smise mai
di amare quest'opera, che lo toccava anche sul piano personale. Aveva venticinque anni quando la compose ed essa
significò per lui la prima, vera scoperta del grande teatro, del teatro inteso non soltanto come confronto con una fulgida,
doviziosa tradizione ma anche come luogo di identificazione, di vita e di verità. Ed era stata la convinzione di potersi
esprimere nel modo più compiuto proprio in questo ambito a spingerlo ineluttabilmente, quasi ossessivamente verso il
teatro. Naturalmente non era la prima volta che scriveva un'opera seria: aveva già dato prova di sé nell'opera seria
attraverso Lucio Silla e Il re pastore. Era però la prima volta che si trovava di fronte alla commissione di un grande teatro,
a una grande orchestra e a cantanti di grido, di cui avrebbe presto imparato a riconoscere croci e delizie. Ed era la prima
volta che si sentiva maturo per uscire dal suo guscio e pensare, creare finalmente in grande. Inevitabile che questa prova
del fuoco avvenisse sotto il segno del rapporto problematico di acerbità-maturità, fase che poi Mozart avrebbe superato
nella felicità della forma perfetta; essa era però anche nutrita da tutto l'entusiasmo, la vitalità, la determinazione, la
spregiudicatezza, l'euforia tipiche della prima volta, quella nella quale, pur fra molti dubbi e autocritiche, si viene
spalancando un mondo di sogno, a lungo desiderato e vagheggiato, per diventare realtà.

Di questi caratteri la partitura di Idomeneo è letteralmente intrisa e come tale va ascoltata in prospettiva.

Alla notevole varietà di elementi stilistici offerti dal testo e messi dalla musica in fertile contrasto, senza che ciò
producesse buchi o fratture, si venne aggiungendo un altro tratto del tutto nuovo e personale, destinato a divenire il
cardine del futuro teatro di Mozart: il realismo psicologico che investe non soltanto i singoli personaggi ma anche l'ordito
generale della composizione. Si è già detto che il musicista superò gli ostacoli frapposti dalle convenzioni del genere
metastasiano esigendo con naturalezza continuità e compattezza nella rappresentazione del dramma: continuità e
compattezza non soltanto tra un pezzo e l'altro, e massimamente negli insiemi culminanti del terzetto del secondo atto e
del già ricordato quartetto del terzo, nonché nei cori ora drammatici ora sospensivi, ma anche all'interno di una singola
scena, facendo ampio ricorso al recitativo accompagnato e allo stile concertante per non interrompere l'azione. Di ciò
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beneficiarono in larga misura anche le arie, concepite in modo da stabilire uno stretto rapporto tra personaggio e
situazione: di fatto, quello viene definito da questa. Ne è un esempio l'aria centrale di Idomeneo "Fuor del mar ho un mar
in seno"; nella quale il re vincolato a un terribile giuramento paragona il tumulto del proprio animo a quello di una violenta
tempesta marina: dove la scrittura riesce a fissare mirabilmente, nelle catene di vocalizzi, l'immagine della burrasca come
metafora del lacerante conflitto scatenatosi nell'animo del protagonista.

Altro elemento distintivo della partitura è la differenziazione dei personaggi, cui corrisponde una differenziazione di stili
vocali e di atteggiamenti musicali. La regalità solenne, sofferta e malinconica di Idomeneo contrasta con la dolorosa
solitudine di Idamante, la vittima sacrificale pronta ad affrontare nobilmente il proprio destino e animata da una
impaziente, trepida e tuttavia dolce generosità. Austero e severo è il canto tenorile del confidente del re Arbace,
modellato sullo stile dell'opera seria. Ma è soprattutto nei personaggi femminili che Mozart eccelle in finezza psicologica e
plasticità di rappresentazione. La tenera Ilia, che per prima si presenta in scena con una commovente aria in sol minore,
è forse il personaggio più riuscito dell'opera, certamente quello più amato e rifinito. Le sue arie, specialmente la mirabile
"Se il padre perdei" nel secondo atto e l'affettuosa "Zeffiretti lusinghieri" all'inizio del terzo, si caratterizzano per un
candore nostalgico che non esclude, tuttavia, forti sentimenti ricchi di implicazioni espressive e di valenze psicologiche:
un'energia morale temprata dalle dure prove sopportate si intreccia nella declamazione e nella melodia, nel cangiare dei
timbri, ai fremiti innocenti e passionali della fanciulla innamorata e pronta al sacrificio della vita. All'estremo opposto la
rabbia tagliente di Elettra, la rivale smaniosa, enunciata da una vocalità "martellata", frantumata e incandescente,
scandita dall'orchestra con nervosa varietà dinamica e timbrica: antecedenti neppur troppo lontani, le sue arie, dei
tremendi, ultimativi furori della Regina della Notte nel Flauto magico.

Idomeneo anticipa molti aspetti dei capolavori futuri ma rimane un unicum che non avrebbe avuto, nella sua
ineguaglianza, eguali: non si può rivivere due volte la stessa esperienza, rifare la stessa scoperta. Traboccante di
originalità e invenzione, sperimentale, audace, fremente di contrasti e di opposti affetti, questa partitura è scolpita come
un bassorilievo palpitante di chiaroscuri, emblema insieme della classicità e di un'ambiguità di segno addirittura
preromantico. Tutto è in essa di altissimo livello, persino nei fitti, eleganti numeri di danza, nati controvoglia per
assecondare il gusto della corte e rivelatisi figli adulti e maturi, svezzati dalle danze francesi di Gluck. Ma è là dove il
testo offriva la possibilità di accendere i fuochi della psicologia umana rispecchiando gli stati d'animo che l'invenzione del
compositore letteralmente esplode, sontuosamente e magistralmente: tanto nelle arie quanto nei cori portentosi, mai
scissi dal caldo dell'azione. A Mozart, dopo Idomeneo, non restava che organizzare e completare il suo genio, compiendo
quel che restava da compiere: fondare l'opera nazionale tedesca e realizzare una nuova idea di teatro musicale basata
sulla fusione dei generi, in grado di rappresentare fino in fondo la vita nella sua immediatezza, molteplicità e polivalenza.

Sergio Sablich

(1) "Dizionario dell'Opera 2008", a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi Dalai editore, Firenze
(2) Testo tratto dal programma di sala della rappresentazione tenuta al Teatro Sociale di Rovigo il 22 Ottobre 2004

Ultimo aggiornamento 6 agosto 2012

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