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L'espressione "vita nova" allude al racconto della gioventù di Dante attraverso il suo amore per Beatrice, altresì potrebbe

voler dire anche "vita rinnovata" e tale interpretazione non


esclude la prima. Si pensa che l’opera sia stata composta dopo la morte di Beatrice, da lui collocata nel 1290 e scelse 31 liriche tra quelle scritte nel periodo stilnovista e dedicate in
gran parte a Beatrice, tra cui 25 sonetti, 5 canzoni di cui due incomplete e 1 ballata. E’ presente un commento che da una parte presenta il significato intimo dei testi visti nello
svolgimento narrativo, dall’altra offre una spiegazione dei versi stessi con il fine di illustrarne lo svolgimento concettuale. La narrazione è autobiografica, ma diversamente da quella
attuale in cui si parla di tutta la vita in prosa, in quella scritta da Dante si parla solamente dell’amore per Beatrice, perciò la materia risulta selezionata. Dietro le vicende reali
raccontate, si cela un significato simbolico con valore universale. Firenze non è mai nominata poiché non c’è una fisionomia concreta dei luoghi e delle persone. Anche nel numero 9
risiede una simbologia giacché è il quadrato del 3, numero della trinità : difatti 9 sono sia gli anni che hanno al loro primo incontro, sia quelli che passano prima che i due si rivedano,
alle ore del medesimo numero. L’opera ha pertanto un significato religioso evidente: descrive un itinerario dall’amore come passione terrena ad uno mistico che eleva l’uomo a Dio.
Per di più, le vesti di Beatrice vengono descritte in primo luogo di rosso, simbolo di carità, facente parte delle tre virtù teologali e dopo di bianco a simboleggiare la sua purezza
angelica. Nonostante la vita della fanciulla si interrompe, l’amore per lei non finisce : proprio per questo, l’ anima di Dante alla fine dell’opera si innalza fino a contemplare Beatrice in
cielo. Evidente è anche la presenza del Dolcestilnovo, la si nota nell’impegno filosofico e concettuale dell’amore che dimora solo nei cuori nobili, nei suoi effetti, e nella concezione
della donna angelo e del suo saluto che porta salvezza. Il significato teologico è esplicito: Beatrice è l’emblema di Dio stesso, in quanto nonostante simboleggi il divino, resta
comunque un punto di incontro tra Dio e l’uomo. Il convivio è un prosimetro di argomento filosofico-dottrinale, scritta intorno al 1303-1307: il progetto originale dell'opera prevedeva
quindici trattati in prosa volgare, uno introduttivo e altri quattordici di commento. Dante non portò a termine l'opera e la lasciò incompiuta dopo il 4 Trattato, probabilmente per
dedicarsi alla composizione della Commedia. Il titolo significa letteralmente «banchetto» e allude alla volontà dell'autore di imbandire ai lettori la sapienza attraverso delle vivande
rappresentate dalle canzoni, mentre il pane è costituito dal commento in prosa. L'ambizione di Dante era quella di creare una vasta opera enciclopedica, in cui affrontare tutti gli
argomenti dello scibile e dimostrare così il proprio sapere per riscattare la sua condizione di esule. L'opera nasce dagli studi filosofici cui Dante si era dedicato negli anni successivi alla
morte di Beatrice, come egli stesso precisa nel Trattato introduttivo, in cui, tra l'altro, reinterpreta in chiave allegorica la donna gentile di cui aveva parlato nella Vita nuova,
dichiarando che essa altro non era che allegoria della filosofia. Dante afferma nel I Trattato di essere ai piedi della mensa dei veri sapienti, dalla quale raccoglie le briciole, per cui è sua
intenzione condividere la ricchezza del sapere con gli altri lettori comunicando le sue scoperte: da qui la scelta del volgare come lingua dell'opera, dal momento che il pubblico cui si
rivolge è italiano, colto ma non specialistico, formato da alta borghesia e piccola nobiltà, quindi non necessariamente in grado di intendere il latino. Il primo trattato è è il proemio
dell'intera opera: Dante dichiara il suo scopo e illustra la struttura generale del Convivio, giustificandone il titolo e spiegando la metafora del cibo e del banchetto su cui si regge.
L'autore afferma che il pubblico cui si è composto da tutti quei lettori desiderosi di conoscere e dotati di animo nobile, uomini e donne che per vari motivi non hanno ancora potuto
accostarsi agli studi filosofici. Il secondo è dedicato a commentare la canzone Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete: egli svolge l'interpretazione della canzone, tessendo un
appassionato elogio della filosofia e dello studio della materia dottrinale. Si parla della struttura dell’universo, dei cieli, dell’immortalità dell’anima e delle gerarchie angeliche. Il terzo
è il commento alla canzone Amor che ne la mente mi ragiona, anche qui Dante compie numerose divagazioni di carattere scientifico, filosofico, teologico: è una sorta di inno alla
sapienza. Infine nel quarto, Dante affronta una elaborazione di carattere teorico: il tema centrale è la definizione della nobiltà, che è quella d'animo e non di sangue ed è quindi una
sorta di dono divino, di cui il destinatario deve rendersi degno con una condotta virtuosa. Dante esalta il concetto di monarchia universale rappresentata storicamente dall'Impero
romano e poi dal Sacro Romano Impero. Il De Vulgari Eloquentia è un trattato in prosa latina di argomento linguistico-retorico, dedicato alla definizione della lingua volgare da usare
nelle opere letterarie. Il trattato è incompiuto, non conosciamo il progetto originale dell'opera, ma essa doveva prevedere almeno quattro libri. Il titolo significa letteralmente
«Sull'eloquenza volgare» e la scelta del latino si spiega con il proposito da parte dell'autore di rivolgersi a un pubblico di specialisti, non necessariamente italiano, diverso quindi da
quello cui si rivolgeva nello stesso periodo col Convivio. Dante parte dalla definizione del volgare come lingua viva, appresa dal parlante già nei primi anni di vita e perciò superiore al
latino, considerato da Dante lingua artificiale creata dai dotti. Dante si mostra consapevole che il volgare è soggetto a continui mutamenti, sia nello spazio sia nel tempo, ma fissa un
punto di inizio per queste trasformazioni: fino alla costruzione della Torre di Babele, infatti, tutti gli uomini del mondo parlarono un unico linguaggio, lo stesso parlato da Adamo nel
Paradiso Terrestre, mentre dopo la confusione provocata da Dio i linguaggi iniziarono a frammentarsi. Dante intuisce che i volgari parlati in Europa si dividono in tre grandi gruppi,
corrispondenti al greco, alle lingue germano-slave e a quelle dell'Europa occidentale; queste ultime si dividono ancora in lingua d'oil, lingua d'oc e lingua del sì, ovvero l'insieme dei
volgari d'Italia. A questo punto Dante passa in rassegna i volgari italiani, che divide in due gruppi di sette lingue ciasciuno : il suo scopo è trovare il volgare illustre, quello cioè che
abbia le caratteristiche adatte per essere usato nelle opere letterarie. Nessun volgare, si rivela però degno di essere considerato tale. Il volgare ideale dev'essere illustre, perché
capace di dare lustro a chi lo usa; cardinale, perché dev'essere il cardine attorno al quale ruotano le altre parlate; aulico, perché degno di essere usato in una reggia, per quanto
inesistente in Italia; curiale, perché degno di essere usato dai membri di una corte ideale. La forma metrica più degna per questo volgare è quella più nobile e risalente a una lunga
tradizione, ovvero la canzone: questa va costruita in base a regole rigorose, facendo ricorso allo stile tragico. Il De Monarchia è un trattato in prosa latina di argomento storico-
politico, in tre libri, scritto da Dante probabilmente nel 1310-1313 in concomitanza con la discesa in Italia dell'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo. E’ l'unica opera in prosa e di
argomento teorico ad essere stata completata da Dante e in essa l'autore raccoglie il suo pensiero politico. La scrive in latino, come il De vulgari eloquentia, perché intende rivolgersi a
un pubblico di dotti non necessariamente italiano e in quanto il tema affrontato è la necessità di una monarchia universale, che unifichi sotto il suo dominio tutta l'Europa. Nel 1 libro
Dante sostiene la necessità, storica e filosofica, della monarchia universale, ovvero di un dominio politico che unifichi sotto di sé tutto il mondo cristiano: questa istituzione ha come
fine principale quello di assicurare il rispetto delle leggi e, quindi, assicurare la giustizia nel mondo. Dante individua come ostacolo a tale raggiungimento la cupidigia dei beni terreni,
quindi attribuisce al monarca universale il compito di frenare l'avarizia degli uomini attraverso la legge. Il monarca, inoltre, governando su tutto il mondo accentrerebbe nelle sue
mani tutti i beni materiali, liberando i popoli a lui soggetti dal rischio di peccato. La necessità della monarchia universale si spiega anche col bisogno di un'unica guida che che orienti
gli uomini alla conoscenza e alla condotta moralmente corretta. Il 2 libro ha un argomento prettamente storico, in quanto Dante si sofferma sul carattere provvidenziale dell'Impero
romano, voluto da Dio per assicurare una condizione di pace e stabilità al mondo e unificare i popoli in un'unica legge, così da preparare l'umanità alla nascita di Gesù. Tale tesi è
sostenuta da Dante non solo con prove storiche, ma anche con argomenti teologici e di fede, concludendo che a buon diritto il popolo romano ha esteso il suo dominio sul mondo
intero. Il 3 libro è dedicato alla questione dei rapporti tra Chiesa e Impero, in cui l'autore confuta entrambe le tesi che allora si contrapponevano, ovvero quella imperialistica che
sosteneva la supremazia dell'imperatore sul papa; quella teocratica, che sosteneva l'opposto spiegata con la teoria «del sole e della luna» e infine quella regalista che predica la
preminenza del sovrano nazionale sulle istituzioni sovranazionali. Dante afferma perciò che i due poteri devono essere distinti e autonomi, in quanto destinati a scopi del tutto diversi:
fine dell'imperatore è di condurre gli uomini alla felicità terrena attraverso la giustizia e il rispetto delle leggi, mentre quello del papa è di condurre gli uomini alla felicità eterna
attraverso l'insegnamento dei principi dottrinali. Nulla è quindi l'autorità temporale del papa, poiché non ha valore ed è da condannare la famosa donazione di Costantino che Dante
riteneva autentica, mentre il potere dell'imperatore deriva non dal papa ma direttamente da Dio. I due poteri sono dunque reciprocamente autonomi e indipendenti l'uno dall'altro,
anche se il sovrano deve al papa una sorta di rispettosa deferenza come riguardo alla maggiore importanza della sua carica. Le Rime sono una raccolta creata dai moderni di
componimenti poetici composti da Dante in un ampio arco di tempo, dalla giovinezza sino ai primi anni dell'esilio. Si tratta di 54 componimenti, cui vanno aggiunti 26 testi di dubbia
attribuzione. Vari sono i modelli cui si rifà l'autore, infatti si nota un approccio globale alla realtà con la notevole la varietà dei temi, anche se prevale una ricerca della
sperimentazione, metrica e linguistica, ed è centrale il tema amoroso. Le poesie vengono solitamente suddivise in cinque gruppi: rime stilnovistiche, tenzone con Forese Donati, rime
«petrose», rime dottrinali e allegoriche e rime dell'esilio. Le prime costituiscono il gruppo più numeroso e comprendono anzitutto i testi della prima produzione lirica di Dante,
secondo i modelli della poesia cortese, siciliana e siculo-toscana. Gran parte di queste liriche furono composte a Firenze, mentre una fa esplicito riferimento al viaggio giovanile di
Dante a Bologna. Le secondo rappresentano uno scambio di sonetti polemici con l'amico e rivale poetico Forese Donati, appartenente alla famiglia attorno a cui si stringevano i Guelfi
Neri fiorentini. Lo scambio ingiurioso non deve essere preso troppo sul serio, in quanto risponde sicuramente a una tradizione poetica nella quale entrambi si riconoscevano e va
interpretato come una sorta di gioco letterario.Le rime «petrose» sono quattro componimenti, dedicati a una donna Petra che è l'opposto della donna-angelo dello Stilnovo: è dura,
crudele, respinge l'amore del poeta e suscita in lui desiderio di rivalsa e vendetta; il nome è un senhal di significato fin troppo evidente. Lo stile è volutamente oscuro, con l'uso di
parole ricercate e rare e una ricerca di suoni aspri e sgradevoli, sia pure nell'ambito dello stile elevato della lirica amorosa. È molto discusso se la donna Petra, che come figura
femminile esprime un amore fisico e carnale antitetico a quello di Beatrice, sia da identificare con una donna reale o non sia allegoria della filosofia: la durezza della donna e il suo
ostinato rifiuto verso Dante sarebbero simbolo della difficoltà dell'autore nell'affrontare lo studio delle tematiche filosofiche.Le rime dottrinali e allegoriche sono una serie di canzoni
di argomento filosofico e di struttura allegorica, scritte con ogni probabilità nei primi anni dell'esilio e destinate ad essere inserite nel Convivio per essere commentate, anche se non
sappiamo in quali trattati e per illustrare quali argomenti. Lo stile è elevato ed estremamente curato. Sono dedicate alla leggiadria, virtù abbandonata dagli uomini nei tempi presenti,
alla potenza nobilitante dell'amore, all'amore per la sapienza, alla liberalità. Concludendo, le rime dell'esilio sono componimenti scritti dopo la condanna all’esilio del 1302, dedicati
per lo più a temi politici e civili: Dante lamenta la mancanza di virtù e moralità nel mondo di cui il suo ingiusto esilio è la dimostrazione più chiara. Le Epistole sono tredici lettere
scritte in latino e indirizzate a vari interlocutori, reali e ideali, concepite da Dante come vere opere letterarie destinate alla pubblicazione. In esse Dante affronta vari argomenti, per lo
più politici e relativi alla personale vicenda del suo esilio, mentre alcune sono redatte per conto dei signori da cui era ospitato. Le Egloghe sono componimenti poetici in esametri
latini. Da una parte abbiamo il “Questio de aqua et terra”, in cui l’autore confuta la teoria aristotelica, dall’altra “Il fiore” composto da 232 sonetti e “Il detto d’amore”, un poemetto
didattico in distici di settenari, di cui rimangono solamente 480 versi.

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