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Giuseppe Ungaretti

Giuseppe Ungaretti
Alessandria d’Egitto 1888 - Milano 1970

La poetica dell’analogia
Le varianti
Ungaretti ‘egiziano’: 1888-1912
• Nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888 da
Antonio e Maria Lunardini
• Frequenta fino al 1906 l’Ecole Suisse Jacot
• Legge il “Mercure de France”
• Frequenta il circolo anarchico della ‘Baracca
Rossa’ fondato da Enrico Pea, insieme
all’amico Mohammed Sceab
In memoria [Il Porto Sepolto] - Locvizza il 30 settembre 1916
Si chiamava del suo abbandono
Moammed Sceab  
L’ho accompagnato
Discendente
insieme alla padrona dell’albergo
di emiri di nomadi
5 suicida dove abitavamo
perché non aveva più 25 a Parigi
Patria dal numero 5 della rue des Carmes
  appassito vicolo in discesa
Amò la Francia
 
e mutò nome PS16 e mutò nome in
  Marcel Riposa
10 Fu Marcel nel camposanto d’Ivry
ma non era Francese 30 sobborgo che pare
e non sapeva più sempre PS16 continuamente
vivere
nella tenda dei suoi in una giornata
15 dove si ascolta la cantilena di una
del Corano decomposta fiera
gustando un caffè  
35 E forse io solo
E non sapeva
sciogliere so ancora
20 il canto che visse PS16 Saprò / fino al
mio turno / di morire
G. Ungaretti, Lezioni su Leopardi, 1945-
46
“In quanto a Baudelaire e a Mallarmé, essi davano occasione a
un litigio senza fine tra me e il mio più caro compagno
d’allora, quel Moammed Sceab a cui ho dedicato il mio Porto
Sepolto. Uscivamo di scuola accesi nella lite e, spinti dal
diverbio, invece di tornare a casa si andava verso il lungomare
ch’era a due passi. Saltavamo sul parapetto del molo, e
andando in su e giù sbracciandoci e gridando, chissà come a
uno di noi non sia accaduto mai di cascare nell’acqua, che a
diversi metri giù si spezzava contro gli scogli. Sceab era un
positivo e sottile argomentatore, come sanno esserlo gli
Arabi, e difatti, purtroppo, doveva finire suicida per motivi
filosofici. Non ero un logico, non lo sono mai stato, ma un
poeta, un invasato, e non trovavo se non repliche immaginose
e passionali. Sceab, per darmi il colpo di grazia, non diceva di
non capire Mallarmé; per dirlo avrebbe dovuto essere meno
pazzo d’orgoglio; ma diceva: è un poeta bello all’orecchio”.
G. Ungaretti, Nota introduttiva, 1969
Baudelaire era l’argomento di discussioni interminabili con uno dei
miei compagni, che un giorno trovarono morto, perché in nessun
paese si poteva accasare, in una stanza dello stesso albergo che
abitavamo, in rue des Carmes a Parigi: Moammed Sceab. A lui è
dedicata la poesia che apre Il Porto Sepolto. Era un ragazzo dalle
idee chiare e prediligeva Baudelaire. Non dico che Baudelaire sia
uno scrittore chiaro; è uno scrittore che ama aggirarsi nelle sue
caverne, ed è difficile esser chiari e introspettivi nello stesso tempo,
ama è di sicuro più chiaro di Mallarmé, è insomma uno scrittore che
può affrontarsi subito senza tirocinio. L’altro suo autore era
Nietzsche, che lo aveva addirittura soggiogato. I suoi autori erano
Baudelaire e Nietzsche; io rimanevo fedele a Mallarmé e a
Leopardi, a Mallarmé che sentivo anche se non tutto capivo, a
Leopardi che capivo un po’ di più benché anche lui abbia, nel punto
sublime, la necessaria sostanza ermetica.
Ungaretti commenta Ungaretti,
1963
“In memoria, rievocazione del suicidio del mio
compagno Moammed Sceab, è il simbolo di
una crisi delle società e degli individui che
ancora perdura, derivata dall’incontro e
scontro di civiltà diverse e dall’urto e
conseguenti sconvolgimenti tra le tradizioni
politiche e il fatale evolversi storico
dell’umanità”.
G. Ungaretti, Ragioni d’una poesia,
1969
“Soltanto la poesia, l’ho imparato
terribilmente, lo so, la poesia sola può
recuperare l’uomo, persino quando ogni
occhio s’accorge, per l’accumularsi delle
disgrazie, che la natura domina la ragione e
che l’uomo è molto meno regolato dalla
propria opera che non sia alla mercé
dell’Elemento”.
Ungaretti a Parigi: 1912-1921
• Conosce gli scrittori raccolti intorno ai “Cahiers de la
Quinzaine” di Charles Péguy
• Frequenta artisti come Picasso, Braque, Modigliani, o
altri italiani residenti a Parigi (De Chirico, Savinio,
Palazzeschi)
• Si lega di profonda amicizia a Papini e Soffici,
fondatori della rivista “Lacerba”
• Conosce Guillaume Apollinaire
• Frequenta le lezioni di Henri Bergson al Collège de
France (→ L’estetica di Bergson e Lo stile di
Bergson, “Lo Spettatore italiano”, 1924)
Veglia [Il Porto Sepolto]
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un’intera nottata delle sue mani
buttato vicino penetrata 10
nel mio silenzio
a un compagno
ho scritto
massacrato lettere piene d’amore
con la bocca 5  
digrignata Non sono mai stato
volta al plenilunio tanto 15
attaccato alla vita
con la congestione
Otto Dix, Der Krieg, 1924
Veglia [Il Porto Sepolto]
Un’intera notTATA delle sue mani
butTATO vicino penetraTA 10
nel mio silenzio
a un compagno
ho scritTO
massacraTO lettere piene d’amore
con la bocca 5  
digrignaTA Non sono mai sTATO
volTA al plenilunio TAnTO 15
aTTAccaTO alla viTA
con la congestione
Veglia: sul finale

• “È il punto dal quale scatta quell’esultanza d’un attimo, quell’allegria che, quale
fonte, non avrà mai se non il sentimento della presenza della morte da scongiurare.
Non si tratta di filosofia, si tratta d’esperienza concreta” (G. Ungaretti).

• “È la consacrazione della funzione del poeta come il testimone degli eventi e come
colui che ha in sé tutte le croci dei morti, per consacrarli all’eternità del canto. È
un bell’esempio di restaurazione dell’idea tradizionale del poeta come colui che
interroga tombe, rovine, morti, per riferirli ai tempi futuri, per sempre. Accanto al
compagno massacrato il poeta scrive lettere piene d’amore: la scrittura poetica
segna un’altra volta, in un’altra occasione, dopo quella di Moammed Sceab, la
salvezza dall’orrore della morte” (G. Bàrberi Squarotti).
Silenzio [Il Porto Sepolto]
Mariano il 27 giugno 1916

Conosco una città Dal bastimento


Che ogni giorno s’empie di sole verniciato di bianco
E tutto è rapito in quel momento ho visto
la mia città sparire 10
Me ne sono andato una sera lasciando
un poco
Nel cuore durava il limio 5 un abbraccio di lumi nell’aria
delle cicale torbida
sospesi
Si lenzio
Conosco una città
Che ogni giorno s’empie di sole
E tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera PS 1916 = AN 1923 > PS 1923

Nel cuore durava il limio 5 e dal bastimento


delle cicale [verniciato di bianco urtante come un cigolio
lontanando lucente di solitudine]
Dal bastimento con in cuore un estremo limio di cicala
Verniciato di bianco strappata all’albero della sua scalmana
Ho visto [col fresco miraggio di quel suo diadema
La mia città sparire 10 di rubini al sole]
Lasciando avevo visto
Un poco
Un abbraccio di lumi nell’aria torbida
sospesi
Risvegli [Il Porto Sepolto] (Mariano il 29 giugno 1916)

Ogni mio momento cogli occhi attenti


io l’ho vissuto e mi rammento
un’altra volta di qualche amico
in un’epoca fonda morto
fuori di me
Ma Dio cos’è?
Sono lontano colla mia memoria
dietro a quelle vite perse E la creatura
atterrita
Mi desto in un bagno sbarra gli occhi
di care cose consuete e accoglie
sorpreso gocciole di stelle
e raddolcito e la pianura muta

Rincorro le nuvole E si sente


che si sciolgono dolcemente riavere
Fratelli [Il Porto Sepolto]
Mariano il 15 luglio 1916
Di che reggimento siete PS 1916 Di che reggimento siete
fratelli? Titolo: Soldato fratelli?

Parola tremante Fratello


nella notte tremante parola
nella notte
Foglia appena nata 5 come una fogliolina
appena nata
Nell’aria spasimante Saluto
involontaria rivolta accorato
dell’uomo presente alla sua nell’aria spasimante
fragilità implorazione
sussurrata
Fratelli 10 di soccorso
all’uomo presente alla sua
fragilità
Sono una creatura [Il Porto Sepolto]
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata 5
così refrattaria
così totalmente
disanimata
 
Come questa pietra
è il mio pianto 10
che non si vede
 
La morte
si sconta
vivendo
Sono una creatura
• Pietra: Lettera di Ungaretti a G. Papini, 28 aprile
1916, “Ti ho scritto ieri, amaro, non per nessuno, per
me che non mi posso sciogliere in qualche modo; mi
contraggo in un pianto ch’è una pietra, e dei giorni
lunghi così è terribile”.
• Disanimata: Dante, Purg. XV 133-135, “ Non
dimandai ‘Che hai?’ per quel che face / chi guarda
pur con l’occhio che non vede, / quando disanimato il
corpo giace”.
• Sconta: Lettera di Ungaretti a G. Papini, luglio 1916,
“Pensavo: c’è qualche cosa di gratuito al mondo,
Papini, la vita; c’è una pena che si sconta, vivendo, la
morte”.
Gli espedienti dell’Allegria
• Radicale assenza di punteggiatura
• Rarissime occorrenze di metri tradizionali e di rime, compensate
da una finissima intelaiatura fonica
• Disgregazione della sintassi, determinata dall’adozione del
‘versicolo’ (con intonazione sillabante e performativa)
• Dilatazione della forza evocativa del singolo vocabolo
(espressionismo)
• Grammatica elementare: frequente adozione di I persona, presente
indicativo, deittici questo e quello
• Impiego sistematico della comparazione (come): a congiungere
situazioni che si spiegano dimostrandone la specularità (Si sta
come / d’autunno / sugli alberi / le foglie; Avrò / stanotte / un
rimorso come un / latrato / perso nel / deserto)
L’incessante processo variantistico
• Tra il 1916 e il 1942

• Varianti macrostrutturali: tra ‘canzoniere’ e


‘raccolta’

• Varianti microstrutturali: ristrutturazione di


lessico, sintassi e metrica alla ricerca di
essenzialità e concentrazione
I temi dell’Allegria
• La dialettica silenzio-parola “La complessità dell’esperienza
vissuta si contrae nella sua essenza” (Mengaldo)

• La cruda denuncia dell’atrocità della guerra + la riscoperta del


desiderio di vita, “dell’appetito di vivere che è moltiplicato dalla
quotidiana frequentazione della morte. Non si tratta di filosofia,
si tratta di esperienza concreta” (Ungaretti)
“L’orrore viene redento, la storia sublimata” (Luperini)
“Nel suo urto col senso onnipresente della catastrofe va forse
cercato il segreto della poesia di Ungaretti, del suo chiaroscuro,
dell’energia risorgente ogni volta: la sua allegria” (Sereni)
Due testimonianze d’autore
• Lettera a G. De Robertis, 4 settembre 1942
“Quelle poesie, nate dal cuore, mi si scolpivano nella mente, parola
per parola, come epigrafi, e come in un granito durissimo”.

• Ungaretti commenta Ungaretti, 1963


“La guerra improvvisamente mi rivela il linguaggio. Cioè io
dovevo dire in fretta perché il tempo poteva mancare, e nel modo
più tragico… in fretta dire quello che sentivo, e quindi se dovevo
dirlo in fretta lo dovevo dire con poche parole, e se lo dovevo dire
con poche parole lo dovevo dire con parole che avessero avuto
un’intensità straordinaria di significato”.
Mi tengo a quest’albero mutilato
Mi sono accoccolato
abbandonato in questa dolina
vicino ai miei panni
che ha il languore
sudici di guerra
di un circo
e come un beduino
prima o dopo lo spettacolo5
mi sono chinato a ricevere 25
e guardo
il sole
il passaggio quieto
 
delle nuvole sulla luna
Questo è l’Isonzo
 
e qui meglio
Stamani mi sono disteso
mi sono riconosciuto
in un’urna d’acqua 10
una docile fibra 30
e come una reliquia
dell’universo
ho riposato
 
 
Il mio supplizio
L’Isonzo scorrendo
è quando
mi levigava
non mi credo
come un suo sasso 15
in armonia 35

Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato I fiumi [Il Porto Sepolto]
come un’acrobata Cotici il 16 agosto 1916
sull’acqua 20
Ma quelle occulte Questo è il Nilo
mani che mi ha visto
che m’intridono nascere e crescere
mi regalano e ardere d’inconsapevolezza 55
la rara 40 nelle estese pianure
felicità
Questa è la Senna
Ho ripassato e in quel suo torbido
le epoche mi sono rimescolato
della mia vita e mi sono conosciuto 60
   
Questi sono i miei fiumi
Questi sono 45
contati nell’Isonzo
i miei fiumi
 
 
Questa è la mia nostalgia
Questo è il Serchio
che in ognuno
al quale hanno attinto
mi traspare 65
duemil’anni forse ora ch’è notte
di gente mia campagnola 50 che la mia vita mi pare
e mio padre e mia madre una corolla
di tenebre
San Martino del Carso [PS]
Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
 
Di tanti 5
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
 
Ma nel cuore
nessuna croce manca 10
 
È il mio cuore
il paese più straziato
San Martino del Carso [PS]
Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916
Redazione Il Porto Sepolto 1916

Di queste case Innalzata


non c’è rimasto
di sentinella
che qualche
a che? 15
brandello di muro
esposto all’aria 5
Sono morti
Di tanti cuore malato
che mi corrispondevano
non è rimasto Perché io guardi al mio cuore
neppure tanto
come a uno straziato paese
nei cimiteri 10
qualche volta 20
Ma nel cuore
nessuna croce manca
San Martino del Carso
«È di nuovo la celebrazione dell’idea di poesia come,
foscolianamente, colei che interroga le urne e fa loro
raccontare le vicende di coloro che furono vivi e gloriosi e
della città due volte rasa al suolo e due risorta non
diversamente, nella sostanza, da San Martino del Carso,
ridotta dalla storia a muri smozzicati, ma perennemente viva
nella parola del poeta. [...] Al fondo, infatti, di Il porto sepolto
sta l’idea della poesia come celebrazione e memoria di tutti i
morti di cui non rimane neppure più la traccia [...] oggetto
della memoria della poesia sono dunque le rovine del piccolo
paese del Carso e i molti morti ignoti, che pure erano con il
poeta in corrispondenza di sentimenti, di opinioni, di uguale
amore per la scrittura» (G. Barberi Squarotti)
Soldati [Girovago]
Bosco di Courton luglio 1918

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

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