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I POETI DEL MEDIO EVO

POESIA DI RE

A partire dalla fine del 1192, il re d'Inghilterra, Riccardo detto Cuor di leone penetrò in Austria, venne qui
riconosciuto e arrestato, per conto del duca Leopoldo, col quale aveva avuto contrasti in Palestina. La
prigionia di Riccardo ebbe fine col pagamento di un ingente riscatto e tutta una serie di accordi collaterali, un
esempio è il fatto che il re d'Inghilterra abbia dovuto riconoscersi come vassallo dell'imperatore. Durante la
prigionia, Riccardo compose una famosa canzone, una rotrouenge, cioè un componimento in cui ogni strofa
è caratterizzata da un verso finale di ritornello sempre uguale. Qui il verso è sostituito da un'unica parola
finale, pris, cioè prigioniero. La melodia è una cantilena malinconica, come si addice al lamento di un uomo
che soffre. Al termine di ogni strofa, egli ricordò al pubblico la sua peculiare condizione di prigioniero,
quella condizione che tanto era innaturale per lui e tanto scandalosa avrebbe dovuto essere agli occhi di tutto
il mondo cristiano. Era stato catturato mentre tornava in patria e il suo imprigionamento non poteva non
rivestire, agli occhi di buona parte della cristianità, un aspetto odioso. Il duca Leopoldo verrà scomunicato
dal Papa proprio per questo episodio. Il motivo che domina il componimento è quello del gravoso riscatto
che deve essere radunato dagli amici e dai sudditi del Re e senza il quale egli non potrà recuperare la libertà.
Riccardo da un lato insiste sulla solitudine della condizione di chi è caduto come lui in disgrazia. Dall'altro
insiste molto sulla vergogna che ricadrebbe sulla testa dei suoi vassalli se essi lo lasciassero in carcere e
giungesse il secondo inverno senza che fosse sottratto alla prigionia: i vassalli hanno il compito di riunire il
tesoro necessario del riscatto. Se ancora a lungo resterà prigioniero, saranno essi, dopo la sua morte, ad
esserne rimproverati, e questo è per lui un ulteriore motivo di sofferenza. Si può notare subito che i signori di
cui si parla appartengono in maggioranza al suolo della Francia. Riccardo è il re d'Inghilterra, ma la maggior
parte della sua vita la trascorre sul suolo francese e in Francia morirà e verrà sepolto. Il francese è anche la
lingua che padroneggia meglio di qualsiasi altra; era in Francia che aveva appreso l'arte della composizione.
Nel componimento Riccardo si riferisce anche ad altri fatti che lo tormentano in massimo grado: mentre lui è
lì prigioniero, c'è chi di questa situazione ha largamente approfittato. Il re di Francia Filippo Augusto ha
colto l'occasione dell'assenza del sovrano inglese per attaccare i suoi possessi continentali. C'è poi il fratello
Giovanni, che sarà Re dopo di lui che invece di contrastare il re di Francia, si è alleato con lui. Riccardo si
rivolge quindi ai cavalieri e vassalli di terra di Francia, nei cui confronti egli è sempre stato generoso. Il suo
pensiero finale è per due sorellastre: dalla prima, la contessa Maria di Champagne, egli si attende aiuto. Dalla
seconda, Alice di Chartres, non si aspetta proprio nulla e approfitta della chiusa della canzone per assestarle
un colpo, ricordandola in termini negativi ai suoi vassalli e ai suoi uomini. Mettere insieme la somma
richiesta per il riscatto richiedette un enorme sforzo ai sudditi e ai vassalli di Riccardo, ma alla fine l'impresa
fu realizzata. Nel Natale del 1193, sua madre si recò nella città di Colonia portando con sé il tesoro liberando
così il figlio Riccardo. Si potrebbe dire che minnesang e scuola siciliana si sviluppano in parte in ambienti
affini, nell'ambito della stessa corte. Il ruolo di Federico, nella nascita di questa poesia, va ritenuto grande
per gli effetti sul piano organizzativo. Come autore ci appare alquanto deludente. Nella canzone Poi ch’a voi
piace amore, è Amore che lo spinge a trovare, cioè a comporre poesia e lui farà del proprio meglio per
assolvere a questo compito. È una dichiarazione topica lo scrivere dietro ispirazione e dettatura di Amore. Il
divorzio vero e proprio fra musica e poesia consistette nell’iniziare ad usare una poesia cantilenata invece di
quella cantata. È possibile che per l'esecuzione ci si appoggiasse ad un repertorio limitato e fisso di melodie
già pronte. Ciò comporta comunque una notevole differenza rispetto alla Provenza, dove il trovatore vero e
proprio compone anche la musica. Oltre Federico II anche i suoi figli, Manfredi ed Enzo compongono e lo
fanno meglio del padre. Tra i testi tradizionalmente attribuiti a Enzo incontriamo anche un sonetto che si
apre col motivo consueto della ruota della fortuna, che evidentemente colpiva i sovrani. Quando un sovrano
partecipa al gioco, non accetta di essere considerato di meno per il fatto di stare troppo in alto, ma vuole
essere apprezzato come un amante di pari nobiltà e un trovatore di analoga credibilità. Un esempio è una
tenzone in provenzale tra il re Alfonso d'Aragona e il celebre Guiraut de Bornelh, che non era di origine
sociale elevata e deve tutto il suo successo unicamente alla sua arte. Nella tenzone, il trovatore Guiraut
insinua che l'amore di uomini potenti come il re vale in qualche modo meno di quello dei semplici nobili. Il
Re si difende con accanimento e non accetta in alcun modo di essere considerato inferiore a un vero
innamorato. Guiraut sostiene che i potenti, proprio per essere tanto in alto, chiedono soprattutto il sesso e
sono poco interessati al servizio d'amore.

IN ALTEN MÆREN: STORIE ANTICHE E IO DEL POETA

Il poeta dell'epica è l'ultimo testimone consapevole di avere una responsabilità particolare; egli non è
l'inventore della materia narrativa che canta, di quello che noi potremmo chiamare il contenuto. Questa
materia gli viene di solito dalla tradizione. Si può trattare di fatti storici come nel Cid, di fatti storici misti a
leggende come nella Chanson de Roland o di fatti di epoche diverse misti a miti e nuclei narrativi antichi
come nel Nibelungen. In ogni caso, si presenta come messaggero di una storia che non ha inventato lui e
rispetto alla quale tende ad assumere un atteggiamento modesto, ammirato, come di chi sia il primo a
contemplare dall'esterno una costruzione stupefacente. L'atteggiamento è del tutto diverso da quello
orgoglioso che il trovatore lirico assume nei confronti della sua creazione. Quanto all'invenzione formale,
anche in questo campo vi sono fondamentali differenze fra il trovatore lirico e il poeta dell'epica. Il trovatore
va fiero delle sue capacità tecnico formale di compositore, egli è colui che fa maneggiare le parole e le rime
che sa disporre incatenare, che conosce le arti della retorica; sa maneggiare il suono e la musica che molto
spesso compone di persona. il poeta dell'epica non è mai l'autore dalla materia ma solo l'ultimo che la
racconta e può soltanto in parte rivendicare la medesima perizia professionale. Per esempio, l'autore del
Nibelungenlied inizia il suo racconto evocando come sue fonti le alte mære, le antiche leggende alle quali
dice di avere attinto le sue narrazioni. L'autore vuole immergere il lettore, in un clima che evoca l'importanza
di quanto sta per narrare. Le vicende che egli si appresta a narrare non sono comuni, come comuni non sono i
personaggi a cui accadono, sono imprese immense, sia liete sia funeste. Se il poeta dicesse io e mettesse sé
stesso in primo piano le vicende sovrumane che si accinge a narrare presentandosi come il loro ultimo
ùrelatore sarebbero irrimediabilmente sminuite. Questo modo di introdurre la materia narrativa si ritrova in
un'altra opera molto famosa Annolied; quest’opera storico epica si narrano le vicende di Annone II
arcivescovo di Colonia. Anche qui l'autore preferisce nascondersi e far parlare direttamente la materia
narrativa. Gli elementi introduttivi sono ridotti al minimo come accade spesso nel l'epica volgare. L’inizio
della Chanson de Roland è ancora più brusca. L’azione ha subito inizio e la grandezza degli eventi accennata
attraverso riferimento alla forza sovrumana del destino che tutto sovrasta. La storia è mossa da forze più
grandi di quelle dell'uomo e non sembra esservi spazio per la fantasia e l'invenzione. Purtroppo, la pagina
iniziale del cantar de mio Cid è andata perduta Ma è possibile ricostruirla attraverso alcune prose correlate e
tutto fa pensare che il racconto degli eventi cominci subito con la narrazione delle circostanze che preludono
all'esilio del cui l'eroe condannato dal Re. Nel romanzo Cortese di materia bretone come quello di Chrètien
de Troyes, l'autore si affaccia prepotentemente in scena proprio nel prologo, lui mescola riferimenti a sé
stesso e le sue capacità e attitudini con accenni anticipazioni tematico circa la materia che tratterà nell'opera.
I prologhi di Chrétien De Troyes sono probabilmente gli esempi migliori che si possano scegliere per
comprendere l'attitudine che ha il poeta cortese di fronte alla sua materia narrativa, e il ruolo che desidera
vedersi riconosciuto dal pubblico. Un autore straniero che ha ripreso la materia di Chrétien è stato Wolfram
von Eschenbach, che però prende ripetutamente le distanze da Chrétien. La convenzione che voleva che una
storia medievale non fosse inventata dal nulla, ma derivasse da un racconto, da una fonte autorevole.
Wolfram è un autore atipico, perché rifiuta di seguire meccanicamente i cliché dell'ispirazione cortese. È
stato scottato da una donna che lo ha tradito, e per questo si rifiuta di lodare meccanicamente tutte le donne
come fanno gli autori cortesi, o di lodarne una al di sopra dell’altra. Loderà solamente quella donna che lo
meriti.

I CROCIATI: PARTIRE E SEPARARSI

Il fenomeno storico delle crociate in Oriente accompagna tutta la parabola della lirica romanza medievale
dalle origini fino alla decadenza. È quindi comprensibile che anche il genere particolare delle canzoni di
crociata segua lo stesso percorso e si sviluppi come una corrente parallela e a volte intrecciata a quella del
grande canto cortese e della lirica consacrata alla fin’amor. Uno dei testi più rappresentativi di questo genere
letterario è un testo medievale di Rutebeuf un poeta satirico. Mentre il Re Luigi di Francia alla crociata, un
suo suddito se ne va cavalcando tutto solo per la campagna; finisce col perdere la strada, finché giunge a una
casa solitaria dove dentro trova dei cavalieri. Due di loro, si distraggono parlando dell'attualità. Uno dei due
si è fatto crociato, l'altro invece non ne vuole sapere. Ne nasce un’accanita disputa, alla quale assiste il nuovo
arrivato, che si pone in ascolto. Il testo emana una suggestione particolare, il dibattito che vi è riprodotto è
tutt'altro che inedito. Si trova svolto nelle pratiche degli ecclesiastici che incitavano alla crociata. I motivi
addotti per scegliere di partire nelle crociate sono intrisi di idealismo. Il Cavaliere crociato fa appello alla
possibilità che si offre a chi decide di partire, di conquistare grandi onori in Terra Santa. Partecipando a
questa impresa è anche facile conquistarsi il Paradiso. Dato che prima o poi bisogna morire, è meglio farlo
da eroi, per una giusta causa piuttosto che da vigliacchi nel proprio letto. L'oppositore si difende come può,
egli è affezionato alla sua terra e alla sua famiglia, e non vuole mettere tutto in gioco per inseguire un sogno
di gloria. È possibile conquistarsi il paradiso anche restando nel proprio paese, senza mettersi a servizio del
re. Sono gli uomini di chiesa che dovrebbero dare il buon esempio. Il Cavaliere che rifiuta la croce vuol
vivere in pace coi suoi vicini e condurre un'esistenza piacevole, senza minacciare nessuno. Questo tipo di
dibattito esprime un problema reale di quel periodo. La forma di scrittura è sempre il dibattito poiché la
forma della contraddizione sembra particolarmente adatta al tema e rispecchia discussioni che si sentivano
fare comunemente. Da una parte chi rimane a casa sembra pauroso è accusato di amare troppo la comodità
ed è indegno di glorie e ricompensa e se chi rimane lo fa per restare più vicino all'amore, è giusto che oltre a
perdere la gloria e la alla salvezza eterna perda anche l'amore delle donne che va solo ai valorosi e a chi
integralmente sa mettersi in gioco. Ma è inutile preoccuparsi tanto per mettersi al riparo dal pericolo, non
bisogna temere la morte. La pubblicistica dei poeti è a favore della crociata. I componimenti che
rispecchiano posizioni contrarie sono rarità assolute. I motivi del disagio appaiono solo in forma burlesca,
secondo un registro in chiave comica, perché la lirica dei trovatori esaltava sempre il coraggio e non la
codardia. Tutti questi argomenti appaiono condensati in una famosa canzone Ahi amors con dure departie. È
stata composta in occasione della terza crociata e offre un suggestivo concentrato di tutti i temi che si
ritrovano nella canzone di crociata, legandoli però al motivo del dolore per la separazione dalla donna amata.
Incontriamo l'affermazione molto comune che se il corpo del Cavaliere si allontana per andare in Terra Santa
il cuore dell'amante rimane invece tutto in potere della donna. Un altro tema riguarda una preoccupazione
comune e diffusissima sempre presente nella mente di chi lasciava per lungo tempo la madrepatria ovvero sia
la castità delle donne rimaste in patria: se esse tradissero, lo farebbero coi peggiori dato che tutti gli uomini
buoni sono partiti. Partire per liberare i luoghi dove Cristo è stato sacrificato è un dovere verso nostro signore
e la maledizione si abbatterà su tutti quelli che non lo fanno, a meno che non siano troppo poveri o troppo
vecchi e malati. Ci sono anche le Chansons de departie, quei componimenti in cu campeggia il grande tema
dell’addio, della separazione a cui la guerra costringe uomo e donna che si amano. Il tema dell'addio e della
lontananza degli amanti costituiscono elementi fondamentali del sistema cortese, ma in questi testi
particolarmente suggestivo è l'intervento della voce femminile della donna che lamenta in prima persona la
partenza dell'amante. In una canzone la donna si domanda come potrà riuscire a conciliare il dolore della
separazione con l'esigenza di continuare a vivere di non ammalarsi e morire per la disperazione; è come
tentata di maledire la crociata perché essa le rovina la vita privandola dell'amore e del sostegno del suo
amato. Lo stesso tema dà luogo in area italiana al famoso lamento per la partenza del crociato del poeta
meridionale Rinaldo D'Aquino. Il suo lamento già mai non mi conforto è stato molto amato dalla critica
romantica. Il componimento ha un registro fresco ed elegante. È ambientato in una città marina del Sud
Italia; alcune navi stanno per partire per la Terra santa portando con sé l'amante della donna che straziata dal
dolore si lamenta in prima persona. La donna raccomanda a Dio con toni struggenti l’amato che va da
affrontare mille pericoli e quasi maledice la Croce dei Cristiani che di solito è segno di salvezza per tutti e
invece causa di sventura solo per lei. Il registro cortese si mescola a quello religioso e contribuisce a dare al
componimento un carattere particolare ed espressivo.
IL DONO DEL GIULLARE

La distinzione fra Trovatore e Giullare è oggetto di molti studi specifici. La differenza che passa fra il
trovatore e il Giullare è quella fra il compositore e l'esecutore, colui che ha composto i testi e spesso anche la
melodia che li accompagna e colui che invece si limita ad eseguirli in pubblico. C'è un testo provenzale
molto famoso in cui tutta questa problematica è svolta nel modo più complesso. In esso il trovatore si rivolge
al grande re di Castiglia Alfonso decimo protettore di trovatori e gli chiede addirittura un intervento
normativo. Inoltre venne istituita la declaratio con la quale si distinguono quattro categorie di giullare: la
prima comprende quella degli intrattenitori ovverosia giullari saltimbanchi prestigiatori esibitori di scimmie
e marionette, ossia i cosiddetti buffoni. La seconda categoria comprende gli esecutori capaci di cantare e
suonare con posizioni altrui esibendosi presso le corte e contribuendo in modo decoroso alla vita che vi si
svolge questi è solo questi dovrebbero essere chiamati giullari. La terza categoria da lui identificata è quella
dei trovatori cioè i compositori e creatori propriamente detti. L’ultima categoria infine riguarda i migliori fra
i trovatori cioè coloro che non solo compongono ma lo fanno con superiore abilità riuscendo a trasmettere
attraverso i loro versi un insegnamento morale. I cosiddetti dottori in poesia Doctor de trobar. Il vero
Trovatore deve avere una forte vocazione morale e capacità di maneggiare rime e di comporre melodie
adeguate. La religione occupa uno spazio molto importante nella poesia è Dio stesso ad aver concesso al
Trovatore il suo talento e per essere dottori in poesia occorre la capacità di esercitare una funzione di guida.
La letteratura Europea nella quale la tensione fra il trovatore il giullare ha lasciato tracce più evidenti è
probabilmente quella galego-portoghese. In un testo di registro scherzoso un piccolo Cavaliere portoghese
tenzona con il suo giullare lourenco. Il trovatore si mostra orgoglioso della sua capacità tecnica è sempre
pronto ad accusare il collega di non essere all'altezza del suo ruolo da dichiarare che il suo concorrente è un
autore volgare. Lo stesso Dante Alighieri accuserà il poeta Guittone D'Arezzo di plebescere cioè di comporre
poesia rozza e sommaria. La vera arte per Dante deve invece essere adatta alle corti a un pubblico
aristocratico non alla piazza e al mercato per questo la lingua deve essere secondo lui aulica e curiale cioè
adatta ad un ambiente socialmente elevato. Il più antico testo giullaresco della letteratura italiana che sia
stato conservato il cosiddetto Ritmo Laurenziano, ci mostra un Giullare nell'atto di domandare un cavallo in
dono, poiché le dono della cavalcatura era un dono di pregio e anche uno dei più tradizionali per un giullare.
Il Giullare francese Colin Muset scrive un intero testo sul tema del dono del giullare. La lirica è suddivisa in
due parti, nella prima l'autore lamenta di non aver percepito alcun regalo dal Signore presso cui si è esibito e
per questo lo richiede. Nella seconda spiega che se tornasse a casa con la borsa vuota riceverebbe una cattiva
accoglienza dai familiari. In questo componimento troviamo alcuni caratteri principali della poesia comica la
moglie egoista e tiranna che è un po' il controcanto della donna cortese e i parenti interessati solo ai beni
materiali e l'idea che nessuno gradisca la compagnia del povero giullare che appare un personaggio un po'
solitario è sempre sofferente. Come il Giullare anche il Trovatore ha bisogno di ricavare dalla sua arte il
sostentamento quotidiano, ma al contrario del giullare tende a cercare forme di mantenimento meno
occasionali presso corti signorili. La necessità di appellarsi alla generosità degli altri è comunque un
problema sia per i giullari sia per i trovatori.

POETI E ORDINI

Nel Medioevo il termine ordine era già diffuso. Gli scrittori del tempo si riferivano al termine ordine
intendendo un gruppo di persone di una classe sociale, oppure un raggruppamento di individui uniti da uno
scopo e da una funzione da svolgere. L'ideale del Medioevo è che tutto l'universo si presenti ordinato. Questa
è una delle idee-forza che ispira dall'intera Divina Commedia di Dante. Prima del suo uso di tipo sociale, il
termine "ordine" è impiegato nel campo della retorica. Ogni buon ragionamento e ogni discorso deve essere
ordinato. Il punto importante è proprio che va seguito un ordine per ogni cosa. Se tutto nell'universo deve
essere ordinato, ordinate fra esse devono essere le persone, i membri della società; gli uomini, dunque non
sono tutti uguali ma hanno un grado di nobiltà diverso. Fra gli individui esiste una sorta di naturale gerarchia.
Gli uomini sono disposti lungo la scala sociale, secondo la loro nascita e il loro merito. Il contributo che la
poesia della fine del medioevo offre all'idea di ordine è costituito dai cosiddetti componimenti gerarchici. In
Italia, il più celebre di questi componimenti è la "canzone del pregio" di Dino Compagni la cui struttura è
chiara. Tema fondamentale di quest'opera è che qualunque sia la posizione che una persona occupa nel
mondo, ciascuno deve guadagnarsi il suo pregio e svolgere bene il compito che gli è stato assegnato. Per
Dino Compagni però il pregio non si può ottenere per eredità o per antico lignaggio ma soltanto se si è
uomini cortesi e valorosi. Nel suo testo il poeta dà dei suggerimenti sui comportamenti più adatti per
conseguire onore e fama, seguendo appunto un ordine in qualche modo gerarchico. Il cavaliere è invitato a
riflettere su quelle che sono le caratteristiche fondanti del suo ordine soprattutto sulla funzione di difensore
dei più deboli, che è riconosciuta come grande virtù del cavaliere. Il carattere morale dell'impegno del
Cavaliere emerge già dalla letteratura cavalleresca francese antica mentre in quella più tarda assumerà
sempre più una coloritura religiosa fino a fare del Cavaliere un vero e proprio Miles Christi. I cavalieri erano
autorizzati dal Papa a portare le armi e nel caso anche a servirsene. Era solo attraverso la protezione ai più
deboli e l'aspirazione a raddrizzare i torti del mondo, infatti, che un’epoca impregnata di ideologia Cristiana
poteva consentire l'uso della violenza non solo di quella pubblica ma anche di quella privata. Nel Medioevo
la dimensione secolare e quella religiosa erano molto vicine e spesso erano mescolate. In particolare il caso
di Guittone D'Arezzo mostra come dimensione religiosa e dimensione mondano militare siano strettamente
legate nel Medioevo; il celebre poeta infatti entra a far parte dei frati Gaudenti. Il loro compito era quello di
lavorare per la pace inserendosi nella lotta fra fazioni. Erano i difensori della chiesa contro gli eretici.
Accanto all'immagine del cavaliere che porta il vessillo della Fede, c'è quella del religioso che combatte
come un eroe solitario la sua battaglia contro i vizi e le tentazioni e discende direttamente dalla tradizionale
figura del Miles Christi. Jacopone da Todi usa molto spesso la parola ordine nelle sue laude, dove l'autore
lamenta le tante mancanze dell'ordine religioso come il fatto che una volta compiuta la grande scelta di
entrare nell'ordine sia possibile a qualcuno uscirne fuori venendo meno a quello che avrebbe dovuto essere
un obbligo per la vita. Far parte di un ordine alla fine del Medioevo poteva anche caricarsi una valenza
negativa. C'è tutta una letteratura che prende di mira gli ordini religiosi quelli tradizionali e poi anche i
mendicanti; è la cosiddetta satira anticlericale. In particolare in Provenza si sviluppa una satira indirizzata
contro l’ordine dominicano, responsabile dell'Inquisizione nel sud della Francia. In alcuni ambienti infatti
l'ostilità verso gli ordini religiosi era generato dal fatto che essi erano sentiti come dei pericoli e potevano
essere considerati come possibili persecutori da quando erano passati a gestire l'inquisizione. In questi testi
sostiene che tutti i religiosi hanno abbandonato le ragioni della loro prima ispirazione privilegiando la
comodità, l'interesse, il benessere. L'accusa dominante è quella di essere venuti meno alla specifica
vocazione e di aver smarrito lo spirito delle origini.

IL POETA COL SAIO

Il canto dei salmi aveva da sempre una posizione centrale nella pratica liturgica di tutti gli ordini religiosi.
Quasi un secolo dopo Francesco d'Assisi prende ad esempio alcuni salmi per il suo fortunatissimo Cantico di
Frate Sole laudes creaturarum accompagnandone l'esecuzione con una musica che purtroppo non è giunta
fino a noi. La diffusione della nuova poesia in volgare pone i religiosi di fronte alla necessità di scelte
assolutamente inedite. La quasi totalità della pratica liturgica e devozionale era affidata al latino, ma il latino
non era soltanto estraneo alla gente comune ma cominciava ad essere lontano anche dalle sue elites. Il
ricorso alle nuove lingue è dunque insieme una necessità e un'opportunità poiché consente di raggiungere un
pubblico più ampio. è evidente che la poesia religiosa con le nuove lingue volgari deve da un lato continuare
le forme di quella Latina ma da un altro lato fa riferimento alla più recente poesia profana, soprattutto perché
doveva conquistare un pubblico moderno con un linguaggio che conosce e apprezza. Tuttavia
l'atteggiamento della chiesa ufficiale verso la poesia Cortese nei vari paesi in cui si diffonde è generalmente
negativo, le canzoni d'amore sono considerate dai Vescovi un pericolo una tentazione per questo predicatori
e moralisti invitano il pubblico a tenersene lontano. Ci fu anche il caso di un monaco che abbandonò la vita
conventuale per dedicarsi alla giulleria. I suoi componimenti hanno una vivace vena comico satirica che
rimanda a una dimensione goliardica. In uno dei suoi componimenti più famosi il monaco si immagina in
una conversazione diretta con Dio o con i santi seguendo la diffusa moda dei componimenti in cui si svolge
un dibattito fra due persone. In una lirica di questo autore Dio viene informato che il monaco da 1 o 2 anni
vive chiuso nel suo convento e si è alienato. Anziché felicitarsi con lui per la severa scelta di vita che ha
fatto, Dio gli fa presente che egli ama il riso e il canto e che approva la sua attività di Trovatore. Ha fatto
quindi male il monaco a rinunciare a un promettente viaggio in Spagna per darsi solo alle letture liturgiche.
Un altro argomento interessante circa il rapporto fra i monaci e la nuova poesia è offerto da Gautier de
Coinci nei due prologhi della sua opera principale Les miracles de nostre Dame. La sua opera tratta di
materia sacra; egli difende i poeti che scrivono di santi e critica i signori che preferiscono ascoltare canzoni
d'amore e novelle sconce. Chiede ispirazione alla Vergine e usa il volgare; a chi lo critica per la sua attività
poetica egli risponde che è un dovere per religiosi lodare la Vergine Maria e che dunque non può essere un
male. Tuttavia più tardi la figura del frate poeta conquista una sua dimensione caratteristica anche se
ovviamente la scrittura resta per i frati che la praticano un'attività complementare e non è mai considerata
qualcosa che possa avere un valore per sé stessa o che possa da sola riempire e qualificare l'esistenza di un
religioso. Tuttavia molti ordini mendicanti soprattutto i Francescani accostano la figura del frate a quella del
giullare. Del resto le analogie fra il frate il Giullare erano impressionanti Infatti come il Giullare il Frate
avrebbe dovuto vivere di elemosina e fare una vita errabonda. Il loro destino era dunque quello di essere dei
marginali ed inoltre i frati potevano essere considerati pazzi, come nel caso dei giullari. La poesia fu
inventata per lodare Dio e confortare quelli che sono tormentati nel servirlo. La poesia deve avere
un'efficacia didattica e deve costituire un'opportunità in più data gli uomini di religione per diffondere il loro
messaggio e loro insegnamenti. La poesia diventa così un formidabile strumento di aiuto nell'educazione
nell'apprendimento anche perché si appoggiava alla dimensione musicale. La musica e la rima aiutavano la
memoria a trattenere divisioni e distinzioni e ad imprimere nella mente schemi e dimostrazioni.

I CANTORI DELL’ALTRA SIGNORA

Sempre più spesso può apparire l'immagine o il ricordo di una figura femminile che non è di questa terra: Si
tratta della Vergine Maria. Tutta la poesia mariana deriva da due grandi filoni, la prima componente ha una
fonte di matrice cortese e discende direttamente o indirettamente dalle dalla poesia trobadorica; il secondo
filone è proprio la poesia paraliturgica che è in continuità con il gran numero di preghiere e di canti, di inni e
di sequenze in latino. Molti componimenti avevano la struttura di una litania poiché le litanie erano più facili
da ricordare. Potremmo dire che molti poeti descrivono Maria come la più perfetta e spirituale delle dame
cortesi. Maria è mediatrice fra l'uomo e Dio. Da lei che si può sperare un aiuto per la salvezza. Una delle
cantigas mariane raccolte da Alfonso X di Castiglia sviluppa questi acrostici informa ancora più distesa. Il
culto della Madonna non era mai ovviamente venuto meno soprattutto con l’esplosione del culto mariano. La
formidabile diffusione del culto mariano riceve un nuovo influsso anche dalla pittura in particolare dalle
icone provenienti dall'oriente e dagli sviluppi iconografici, opera dei pittori italiani. La pittura influenza i
nuovi testi che vengono prodotti e i pittori ritraggono in forme via via più delicata e tenere il particolare
rapporto che intercorre fra la madre e il suo eccezionale bambino. L'interesse per il rapporto fra madre e
figlio si amplia a quello più vasto per il presepio; un esempio è Lodiamo Cristo onnipotente: il suo autore
sottolinea dapprima l’eccezionalità del fatto che il creatore si incarna in un corpo di donna, insistendo sul
tema del parto della Madonna. L'attenzione si rivolge però in modo particolare agli elementi realistici del
giaciglio, della capanna che immette il re del creato alla pari col più umile degli umani. Attraverso il
realismo della scena passa il messaggio di umiltà che costituisce il perno dell’insegnamento dei nuovi ordini
mendicanti. L'umiltà della scena è confermata dai protagonisti quali pastori, contadini ecc… Il primo testo
italiano in cui il realismo della rappresentazione della Natività si era rivelato in forme clamorose è per la
verità una Lauda di Iacopone, O Vergen plu ca femena. Il poeta interpreta i suoi motivi in senso
vigorosamente espressivo. La prima parte della poesia sviluppa in forme tradizionali il tema
dell'immacolatezza della vergine. É però la parte centrale del componimento a essere la più originale per il
modo in cui è svolto. L'autore si sofferma sull’evento inaudito di una donna che concepisce un figlio senza
essere stata fisicamente toccata. Solo Maria, senza peccati, ha potuto generare un figlio che per di più ha in
sé la doppia natura di uomo e di Dio. Jacopone si concentra a questo punto sul tema del presepe e in modo
particolare su quella della tenerezza della madre verso il figlio, che ha il suo momento culminante nella
nutrizione di lui al seno.

LA STORIA PER ECCELLENZA

C'è una storia che si accampa al centro della vita di ogni uomo del medioevo e la domina: si tratta
ovviamente della storia di Cristo. È dunque molto interessante vedere come il poeta medievale si accosti a
questa narrazione. La storia di Cristo penetra all'interno di opere di altro genere. Nella poesia epica, come del
resto anche nel romanzo cortese, la storia di Gesù è spesso introdotta per fini identitari. È quella che dà un
senso all'agire dei personaggi positivi, Carlo Magno e i suoi successori, i paladini e i cavalieri.

L’ERETICO E IL SUO PENTIMENTO

Il mondo dell’eresia medievale ha lasciato poche tracce nella poesia che è giunta fino a noi. Il primo dato che
colpisce è quello della cautela. Si potrebbe pensare che questo fenomeno sia determinato soprattutto dalla
paura del castigo e dalla persecuzione. La paura della repressione non ha impedito che nel mondo medievale
si sia sviluppato un imponente filone di poesia anticlericale. Poeti e novellieri ora sfottono preti e frati
servendosi del registro comico. Un esempio è Peire Cardenal; i domenicani sono da Peire accusati di essersi
allontanati dalle loro origini mendicanti, di aver ceduto alla tentazione del lusso e delle comodità. Sono però
anche attaccati per aver creato l'inquisizione e per la pretesa di irrompere nelle coscienze degli altri. Una
poesia inviata a Guittone d’Arezzo è una poesia molto complessa. Il poeta pone l’attenzione sul catarismo,
l'esistenza cioè di due principi ben distinti, il bene e il male. L’autore si rivolge a Guittone, qualificandolo
come fonte di sapienza e gli chiede di spiegargli se il male è derivato dal bene, cioè da Dio; successivamente
questa soluzione viene ritenuta impossibile dall'autore, infatti il male non può derivare da Dio. Se non è da
Dio che può provenire il male, è invece necessario che esistano due principi ben distinti, male e bene. Testi
del genere sarebbero andati incontro a una radicale distruzione. L'eccezione più famosa è quella di
Margherita Porete, il cui libro riuscì clandestinamente a salvarsi dalla distruzione. Lei dice che chi scrive è
stato toccato in qualche misura dalle eresie, e lei stessa è eretica ma dichiara il suo pentimento ed è per
questo che il libro è sopravvissuto. La prima parte è una lunga ed emozionata invocazione a Gesù Cristo
affinché renda l'autore sempre più forte nel resistere alla tentazione di allontanarsi dalla vera dottrina, dalla
quale evidentemente chi scrive è stato toccato. Il peccatore dichiara la sua debolezza e invoca l'aiuto di Dio
contro il peccato. Nella seconda parte il peccatore entra nel merito delle dottrine che hanno tentato lui e molti
altri. Subito dopo arriva la condanna del punto centrale del catarismo, quella di tutti coloro che pretendono
che sia il diavolo ad aver creato il mondo sensibile, di coloro che ardiscono di togliere a Dio ciò che egli
stesso ha generato e che gli spetta di diritto. Il penitente si stupisce per la pazienza di Dio che potrebbe far
sprofondare il mondo intero e lo ringrazia di averlo allontanato dal cattivo seme dell’eresia. É però forse la
chiusa la parte più interessante di questo testo. Il penitente dichiara di essere fermo nelle sue convinzioni di
fede e assicura che fermo lo hanno trovato una serie di eminenti ecclesiastici della cui vicinanza si vanta. Un
altro testo significativo è quello di Ruggieri, il quale usa un tono scherzoso e stile giullaresco che sembrano
al servizio del racconto di una storia realmente accaduta al malcapitato Ruggieri, una storia di persecuzione:
Ruggieri è stato accusato da testimoni alle autorità ecclesiastiche di avere pericolosi contatti con gli eretici.
L'accusa è stata creduta e le testimonianze a carico sono state verbalizzate. Si è mosso il procedimento
inquisitorio: Ruggieri è stato convocato, e non posso attrarsi. Ruggeri offre un quadro a dir poco feroce degli
inquisitori radunati a interrogarlo. Su di essi cala la sua maledizione. Non ne ha evidentemente più paura, o
almeno non ha motivo di temere, al momento in cui scrive, che questo possa nuocergli. Si diverte a
paragonare gli inquisitori ai più malvagi personaggi biblici, appioppando, loro nomignoli di diavoli o di
maligni protagonisti. Ruggieri è stato visto, un paio di giorni prima, mangiare insieme ai pattarini, termine
col quale ci si riferiva agli eretici, in particolare ai catari. Il giullare si difende nell'unico modo possibile,
negando qualunque cattiva intenzione. L'accusa, secondo lui, è tutta un equivoco, e si appella al buon cuore
dei giudici, tanto più che Cristo ha sostenuto attraverso la parabola della pecorella smarrita, che quando un
peccatore si converte, bisogna perdonarlo. L'imprudenza della citazione evangelica, in bocca al giullare,
presunto simpatizzante degli eretici, non è per nulla apprezzata dal vescovo, che si infuria e accusa Ruggieri
di volersi atteggiare a predicatore. Tutti sanno invece che lui ha parlato male del clero e della chiesa.

GLI EBREI E LA POESIA NELLE NUOVE LINGUE

Gli ebrei hanno dato vita in questi secoli a tutta una particolare letteratura. Nella grande poesia ebraica
medievale gli autori parlano spesso senza reticenza alcuna delle loro situazioni, dei problemi così specifici
del loro popolo, dei disagi e delle persecuzioni temute e subite, delle speranze di sollevamento e di
redenzione. Nella poesia scritta dagli ebrei per gli ebrei i temi del disagio e della persecuzione appaiono,
quando è il caso, con grande esplicitezza. Se però prendiamo in considerazione le limitate tracce di poesia di
autori ebrei nelle nuove lingue volgari, ci troviamo quasi sempre di fronte a un panorama tutto diverso. Le
limitate prove che ci sono rimaste di una poesia in lingua occidentale opera di ebrei mostrano spesso segni di
imbarazzo e segnalano una situazione esistenziale problematica. Non è un caso che talora non si sappia quasi
nulla di preciso circa gli autori, e che il loro essere ebraico possa essere anche contestato. Un esempio di
poeta simile è Süßkind, in una delle sue opere si riferisce alla propria condizione di artista vagante, e si
lamenta che i signori non vogliono più dargli nulla. È tanto sconfortato che afferma di abbandonare la
propria attività e di lasciarsi vivere come un poveraccio, più specificatamente come un vecchio ebreo con la
barba lunga. Sono questi versi che potrebbero aver spinto gli illustratori del codice a identificare il poeta con
un ebreo e a dargli questo nome che è attestato come il nome ebraico nel Medioevo. I testi mostrano tutti una
presa di distanza o una dimensione autoironica o comunque elementi che indicano una difficoltà di
autoidentificazione o di riflessione della propria immagine. É tipico di vari poeti ebrei che scrivono nelle
forme della tradizione occidentale, il cancellare o mimetizzare le tracce della propria cultura, il
distanziarsene o il presentarle solo nella misura in cui ritengono che ciò non urti la sensibilità del pubblico
cristiano cui hanno deciso di rivolgersi. Un esempio di questa prassi ci è offerto dall’israelita Immanuel
Romano. Le poche poesie italiane rimaste appartengono tutte per temi e stile, all'area della poesia comico
giocosa, mentre quelle ebraiche presentano temi vari, da quello religioso alla riflessione moraleggiante, ai
motivi comici, amorosi e goliardici. Nei sonetti Immanuel esibisce una sorta di tolleranza nei confronti delle
varie fedi religiose. I sonetti sono palesemente un gioco letterario goliardico, in cui si loda la vita godereccia
e si inneggia gravi vizi con apparente sfrontatezza. Anche fra i sonetti in ebraico, Immanuel ne presenta uno
in cui loda l'inferno, pieno di belle donne, anziché il paradiso. Non si può escludere che lo scherzo, in
apparenza cinico, avesse un fondo moraleggiante, mettesse cioè in caricatura atteggiamenti spregiudicati che
l'autore vedeva spesso intorno a sé. In ogni caso pare significativo che queste poesie in volgare italiano siano
palesemente scritte più per il pubblico cristiano che per quello ebreo. Ancora una volta troviamo un poeta
ebreo che, esprimendosi in volgare, prende le distanze dalla sua tradizione, pur senza identificarsi con quella
cristiana. Nella metà del XIV secolo, un rabbino spagnolo, Sem Tob di Carrillon, scrive in castigliano i suoi
proverbios morales. Si tratta di un’operetta di riflessione e ammaestramento morale rivolta al re Pedro I,
scritta per sfogo dell’autore e giovamento suo e degli altri lettori. Sebbene abbia incontrato poi successo
anche presso il pubblico ebreo, tutto lascia credere che sia stata pensata prima di tutto per un pubblico
cristiano.

FESTE CORTESI

Un componimento molto curioso della prima metà del XIV secolo, dell’ebreo Immanuel descrive in modo
vivacissimo la corte di Cangrande della Scala, signore di Verona e di buona parte del Veneto. Il
componimento offre il quadro di una corte di un gran signore del Medioevo, ritratto in tutto il suo fulgore,
negli atteggiamenti, nelle figure e nei personaggi che più dovevano colpire chi vi presenziasse o ne venisse a
contatto giungendo di lontano: insegne e bandiere, cavalieri in armatura, abbondanza di cibo e di doni,
tornei, giullari, donzelle cortesi, animali rari, ricchi e poveri mescolati insieme in un pittoresco quadro di
magnificenza ed esaltazione di ricchezza e di potenza, il tutto descritto con accurato realismo. Pochi altri
componimenti descrivono tanto vivacemente quello che doveva essere uno dei più grandi spettacoli della vita
del tempo: la corte che mette in scena sé stessa. Il testo ha consistenti onomatopee, utilizzate per conferire
realismo. L’evento potrebbe essere collegato alla serie di festeggiamenti sfarzosi e prolungati che ebbero
luogo a corte a partire dal 1328 per celebrare la vittoria di Cangrande su Padova e il matrimonio del nipote.
Tutte queste descrizioni non sono presenti nella poesia epica, come nel caso del Cid o della Chanson de
Roland. Al contrario nel romanzo cortese si possono trovare esempi di feste a corte che sono però più
collegate a degli aspetti significativi della vita dell’eroe.

STILI DI VITA

Bertrand scrisse una poesia sulla guerra, inizialmente parlando della primavera, della natura e del paesaggio,
poi descrivendo i combattimenti, i morti e i feriti. Questa poesia può essere considerata un’esaltazione della
quintessenza dei valori della cavalleria più rudi e virili, uniti a quelli più gentili e cortigiani. La fama di poeta
delle armi si è così legata a lui che Dante, proprio per questo lo ha ricordato nel De Vulgari Eloquentia, e
proprio per questo ne ha fatto un suggestivo personaggio della commedia, ponendolo nel XXVIII canto
dell’Inferno fra i seminatori di discordia. L’elogio del coraggio fisico non è cosa diversa o separabile
dall’elogio dell’amor cortese. Si tratta di esaltare i valori propri del singolo individuo, i doni
specificatamente suoi, atti a collocarlo al di sopra di tutto. Si capisce a questo punto, perché cavalleria e
cortesia siano così strettamente legate al cristianesimo. In essa ogni uomo alla fine è punito per le sue
intrinseche virtù, e poco giovamento gli offrono il rango posseduto, i beni materiali. In una canzone di Colin
Muset alla disagiata vita del Cavaliere in guerra è contrapposta quella di chi invece si gode un’esistenza
tranquilla. Il giullare mostra di preferire il sapore del vino e la vista della carne che arrostisce al fuoco. Il
testo si limita a dichiarare che quel che va bene per alcuni signori non va altrettanto bene per tutti. Anche in
Italia abbiamo alcuni testi famosi, di inizio Trecento, in cui la contrapposizione fra stili di vita costituisce il
principale filo conduttore.

LA PENA DELLA TROVATRICE

La donna in ambito cortese scrive poesie. È importante però saper distinguere la poesia scritta veramente da
donne e quelle che in realtà furono composte da uomini in voce femminile. Una delle poesie più famose,
scritte da una donna durante l’epoca medievale, è Sono stata in un gran tormento della Contessa di Dia.
Questo componimento può essere considerato una poesia di rimpianto. La donna ha avuto un cavaliere al suo
servizio, servizio che può essere inteso in senso feudatario, dato che a parlare è una donna nobile, o più
probabilmente in senso cortese. La situazione è tipica del sistema cortese: si parla di un amore impedito e
desiderato, gravato dalle convenzioni sociali. Secondo un’interpretazione la donna mette alla prova il suo
uomo per dimostrare l’autenticità del suo amore, giacendo con lei in nudità senza però consumare l’atto
sessuale. Questa pratica, detta del nudus cum nuda iacere era considerata una prova per giungere alla
beatitudine, vincendo la tentazione della carne. Che invece si tratti di un’occasione perduta è una possibilità
avvalorata dal confronto con un altro testo scritto in lingua d’oil da un’altra nobildonna, la cosiddetta
Duchessa di Lorena. Il motivo del rimpianto della Duchessa è pressoché analogo a quello della Contessa di
Dia: ai tempi in cui frequentava il Cavaliere non ha potuto concedergli pienamente il suo amore, sembra
anche in senso fisico e adesso è troppo tardi perché la morte l’ha portato via, lasciando la Duchessa sola e
disperata, per questo motivo lei afferma di non poter cantare con lo stesso gaudio di un tempo (il canto infatti
in ambito cortese è sinonimo di gioia). Due temi però molto ricorrenti nella lirica femminile trobadorica sono
i temi della donna che malvolentieri ha scelto la vita monacale, spesso per costrizioni familiari. L’elemento
realistico-esistenziale più interessante invece è il sentimento di insoddisfazione per la propria attuale realtà e
il desiderio di una vita nuova. C’è un testo che si discosta dai testi volgari successivi ad esso accostabili, in
cui le donne sono sincere ed innocenti. Qui la donna invece ammette di essere colpevole di sfacciataggine e
lascività. È rimasta attaccata alle cose terrene e questa è per l’autore della poesia una colpa. Non vuole
alzarsi presto per recitare le preghiere ma vorrebbe rimanere a letto a dormire abbracciata ad un bel cavaliere
ed in ciò la monaca trova conferma della sua inadeguatezza alla vita monacale. Un altro sonetto di
quest’epoca descrive una situazione in cui la donna è costretta dal padre a sposarsi; in un sonetto collegato la
donna dice di non volersi sposare per diventare monaca, infatti vede il mondo pieno di cattivi sentimenti e
crede che non troverà una persona positiva a cui legarsi. In questo caso questo sonetto non è comico ma anzi
è scritto su un registro serio. In una tenzone provenzale ci sono in scena 3 dame, due giovani e una più
anziana. Una di quelle giovani chiede consiglio all’anziana per sapere se sposarsi o no perché stare senza
marito non è una prospettiva buona ma non vuole le conseguenze legate al parto. Alla fine il dilemma viene
risolto con l’accettazione della dimensione religiosa. In generale in questo periodo c’è l’esaltazione della vita
mistico-religiosa a discapito della vita cortese.

EXUL EGO CLERICUS

Nella settima novella dell’ottava giornata del Decameron Boccaccio ci offre una delle più efficaci e personali
rivendicazioni che del mondo degli studi e degli studenti alla fine del Medioevo, in particolare di quello
universitario. L’autore vuole sostenere la superiorità del chierico sul cavaliere, dell’uomo di preghiera e di
penna su quello che regge la spada, del dotto povero sul ricco ignorante. Il protagonista della novella,
Rinieri, è uno scolare che dopo aver studiato a Parigi è tornato a Firenze. Lui è innamorato di Elena, una
giovane vedova, ma lei preferisce un altro amante e un giorno lascio Rinieri fuori la porta con la neve che
c’era per una nottata. Lui ebbe poi l’occasione di vendicarsi, infatti la ragazza, rifiutata dall’altro amante, si
vuole riavvicinare a Rinieri; lui convince la vedova a mettersi nuda su una torre, esposta al sole e agli insetti.
Qui è interessante il contrapporsi della mentalità dei protagonisti. Elena è orgogliosa della sua bellezza e
probabilmente della sua nobiltà e mette in poco conto le lodi intellettuali di Rinieri, sfruttandolo per i suoi
studi universitari. L'apparente disprezzo per lo scolare, non è esente da un elemento di invidia. Nel
raccontare il trionfo di Rinieri, Boccaccio insiste ancora in modo particolare sul suo status intellettuale.
Osserva che è una follia, da parte dei semplici, cercare di prendersi gioco degli uomini colti, sottovalutando
le loro possibilità di reazione. La poesia goliardica ha un carattere molto topico. Si può pensare a questi testi
goliardici in cui emerge il tema del viaggio dello studente, che per proseguire i suoi studi si allontana da casa
senza temere di affrontare ambienti e culture diverse. In uno di questi componimenti un giovane maestro
svevo deve partire per Parigi per perfezionare i suoi studi e divenire un piccolo filosofo. Il suo testo presenta
vari motivi di interesse. C'è il tema dominante dell’abbandono della scuola e dei discepoli. Egli invoca sugli
allievi la protezione di Dio e promette che farà il ritorno fra di loro se non morirà in esilio. Il testo esprime
bene il senso del distacco. Chi si sposta per gli studi lontani mette in gioco il suo stesso benessere fisico in
modo simile, anche se non nella stessa misura, di chi parte per la guerra o per la crociata. In comune con
alcune di queste esperienze c'è il motivo del miglioramento spirituale. Quasi sempre collegato al motivo
dell'espatrio è il tema della povertà dello studente, vero e proprio topos dominante della letteratura
goliardica. Nel testo Exul ego clericus il chierico inizia dichiarandosi esule, annunciando anche di essere
costretto a por fine ai suoi studi per mancanza di mezzi. La mancanza di un vestito caldo si fa sentire
particolarmente al primo mattino e alla sera. É il motivo per cui il giovane chierico dichiara di non poter
partecipare le laudi del mattino, preghiere essenziali per il buon religioso e di non poter resistere per tutta la
durata della messa e del vespro. Il testo poi ripiega nuovamente sul topos con la richiesta di aiuto economico
a un signore. L'idea che l'elemosina fatta allo studente possa giovare alla salvezza del donatore, così come
quella al povero, e possa schiudere gli le porte del cielo e naturalmente tipica di un ambiente religioso. La
più esplicita è il libro del buen amor di Juan Ruiz. In questo testo alcuni scolari chiedono elemosina in
cambio delle preghiere che rivolgeranno a Dio in favore della salvazione dei donatori. Il motivo della
lontananza, dello spaesamento dello studente che ha lasciato il paese Natale si trova fuori dal suo ambiente,
appare anche nei ritratti parigini di Rutebeuf. Abbiamo poesie di materia, per così dire pedagogica, che si
occupano direttamente dei contenuti e delle metodologie dell’insegnamento. Fra i testi che potremmo
definire di materia pedagogica si distingue uno tra tutti che riguarda un insieme di ammonizioni e
insegnamenti al figlio, condotto secondo schemi consueti alla precettistica del tempo. Nella lirica cortese,
dove appaiono dibattiti e scambi di opinioni che sono costruiti sul meccanismo dialettico della disputa
accademica. gli argomenti sono i più vari, anche se ci limitiamo a considerare, I testi legati alla tematica
cortese: la natura di amore, le sue caratteristiche, la superiorità dell’amore di una categoria di uomini o di
donne su un'altra.

FRA LA VITA E LA MORTE

Con “L’autunno del medioevo”, si è diffuso lo studio del tema della morte nella poesia medievale.
L’attenzione si è concentrata su due motivi caratteristici: quello della danza macabra e quello del trionfo
della morte. Non c’è una sola morte, non c’è neppure un solo modo di morire. Anche nella poesia medievale,
la scomparsa dell’eroe nella Chanson de geste, è per lo più diversa da quella del chierico o del poeta. Per
quanto riguarda la cristianità nel salmo 88 l’uomo è in prossimità della fine e ne esprime tutta la sua angoscia
e paura. Morire non sembra qui un avvicinarsi a Dio ma un allontanarsene, essere dimenticato da lui. Dio ha
abbattuto l’uomo con tutta la forza del suo furore, gli ha portato via la salute fisica e ha allontanato gli amici,
spalancandogli davanti la prospettiva delle tenebre. Il momento della morte si presenta inevitabilmente come
quello dell’ansia e della paura, quello in cui il fedele pare vedere solo l’oscurità, non la luce. Egli lo invoca e
lo prega ma il Signore non si manifesta, anzi sembra volgere lo sguardo altrove. Nell’approssimarsi del
momento supremo l’uomo appare essenzialmente solo. In questo periodo venne anche scritto da un poeta
francese un componimento di addio ai propri concittadini; lui aveva la lebbra e doveva entrare in un
lebbrosario. Le circostanze sono drammatiche e il lettore non può non restare profondamente impressionato.
Dio ha fatto quello che ha voluto e all’uomo non rimane dunque che accettare la sorte che gli è stata
assegnata. Non vi è in lui lo spirito di rivolta che troviamo nella poesia biblica. Più che la morte, è dolorosa
la separazione dai vivi. Questo tipo di testi vengono chiamati congés. Per alcuni aspetti questo prepararsi alla
morte può ricordare quello dei poeti italiani del Trecento nei quali però è più forte l’accentuazione religiosa;
un esempio sono i sonetti petrarcheschi del Canzoniere, in cui Petrarca si pente di aver speso tutta la vita a
cantare l’amore per Laura e si rivolge a Dio perché si sente vicino alla fine della sua esistenza. Il grande
monumento medievale che collega i vivi con i morti è la Divina Commedia. Questi tipi di testi possono
essere sia religiosi che comici e sono ricollegati spesso al tema della resurrezione.

IL POETA. I CONCITTADINI, GLI AMICI NELL’ITALIA DI DANTE

L'area europea, nella quale la dimensione della vita cittadina diventa veramente determinante per la poesia, è
l'Italia centro-settentrionale. Infatti è proprio in Italia che assistiamo allo spettacolo di un poeta che prende le
parti di una città contro quelle vicine o di una parte politica contro le altre. Il massimo campione di questa
poesia è Guittone d'Arezzo, il poeta disprezzato da Dante, che tuttavia è per vari aspetti, uno dei suoi maestri.
In una sua famosa canzone Guittone esprime un’invettiva contro la città natale, Arezzo, in preda ormai alla
fazione dei ghibellini. Egli ha deciso di andarsene, di esiliarsi, e dice addio anche alla donna amata che
rimane in città. Qui i riferimenti storici sono presenti, ma dati per scontato. Ci si concentra su quello che ne è
derivato. Nella città prevalgono ora i malvagi, essa è divenuta un ambiente pieno di vizi. In essa il buon
ordine delle cose è sovvertito. L'emergere della problematica del rapporto fra il poeta e i propri concittadini è
quindi legata in Italia, soprattutto alla dimensione della vita politica e delle contese cittadine. Anche quando
un testo sembra investire il tema del rapporto fra il suo autore, le persone che lo circondano in maniera più
immediata, non è facile riuscire a tracciare con esattezza i confini tra letteratura e realtà. A illustrare questa
difficoltà può soccorrerci una canzone di Carnino Ghiberti. Il poeta dichiara di trovarsi in uno stato di
avvilimento, la cui esatta natura per il momento non viene spiegata. Meglio sarebbe morire che vivere così.
Si capisce però che tale condizione non ha nulla a che fare con l'amore, ma è dovuto da un rovescio
economico. Questo tema era diffuso, spesso con una variante più specifica che qui diviene dominante:
l'uomo che perde il benessere economico viene abbandonato da parenti e amici, come se non valesse più
nulla. Così finisce chi non bada a spese e amministra male i suoi beni. L'aiuto, in questo tipo di circostanze, è
negato da coloro che prima non si facevano scrupolo a chiederlo. Il rapporto fra l'uomo e i suoi concittadini
viene in primo piano. Poco dopo vi è l’arrivo di Dante. Il maggior poeta italiano è stato anche il primo
storico e critico della poesia della penisola. Il quadro che egli ci ha offerto, della nostra poesia antica,
soprattutto nel De Vulgari Eloquentia, influenza molto la nostra visione dei fatti. In un canto del purgatorio,
fra i golosi, Dante incontra Bonagiunta da Lucca. Bonagiunta era un poeta che oggi giudichiamo di modeste
capacità, ma anche era stato il maggiore fra i toscani della prima generazione. Bonagiunta e Guittone erano i
poeti considerati maestri della poesia d'arte in volgare. Il Dante stilnovista è convinto che non soltanto lui
stesso stia praticando l'arte della poesia d'amore in volgare, in forme rinnovate e superiori rispetto a quelle
dei loro predecessori. Fra questi poeti vi sono Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia e tutto un gruppo di minori,
più o meno bravi che si fanno imitatori del loro lavoro. Gli amici sono accomunati tutti da un unico stato
d'animo, passano il tempo a ragionar d'amore. Nuovo è quel senso particolare di comunità elitaria, che fa
sentire alcuni poeti superiori grazie alle capacità tecniche sentite come possibili grazie alla sincerità della
predisposizione d'animo e alla forza dell'ispirazione. Come i membri di un club esclusivo dubitano di tanto in
tanto che qualche amico abbia la giusta disposizione. Ad esempio, Guido in un sonetto critica Dante di
frequentare gente non degna di lui, di livello più basso e che ciò si ripercuote sui toni e sulla qualità della sua
poesia. Prima era più legato a lui, mentre ora la poesia di Dante non è più espressa col cuore, come voleva la
poetica stilnovistica. I poeti, dunque, continuano a non risparmiarsi tra di loro. Successivamente, per Petrarca
o Boccaccio, gli amici compongono una costellazione i cui significati vanno al di là della cronaca del singolo
rapporto. Petrarca li vede come un insieme che arricchisce e dà forza al suo progetto culturale. Boccaccio,
sottolinea fin dall'inizio, come ogni anima aspiri naturalmente a salire il cielo, separandosi da questo mondo
errante. La vecchia comunità cortese e stilnovistica dei poeti riconferma la necessità di collocarsi in un
contesto diverso e superiore.

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