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VALERIO NERI – I MARGINALI NELL’OCCIDENTE TARDOANTICO.

POVERI, “INFAMES” E CRIMINALI NELLA


NASCENTE SOCIETA’ CRISTIANA

INTRODUZIONE

1. Il concetto di marginalità nella sociologia e nella storiografia contemporanee:


 Tale concetto, pur non essendo stato “categorizzato” dai pensatori antichi, può tuttavia essere
applicato al mondo antico per indicare fenomeni e figure sociali connessi a disagio e diffidenza nei
confronti del marginale, ripulsa morale, limitazione dei diritti, sanzione penale, repressione
poliziesca
 Neri si pone il problema e cerca di capire qual è l’atteggiamento della classe dominante rispetto ai
marginali
 I marginali, per fare una metafora, rappresentano dei puntini appartenenti alla circonferenza del
cerchio, vuol dire che fa parte e si trova all’interno della società e occupa la circonferenza più
esterna, ai margini
 Tale concetto, dunque, per essere analizzato nel mondo antico, deve basarsi su strumenti d’analisi
mutuati dalla sociologia contemporanea

La “marginalità”: una definizione

 La “marginalità” è un’area costituita da individui e gruppi che, pur facendo formalmente parte di
una determinata società (sono puntini appartenenti alla circonferenza di un cerchio), non sono di
fatto integrati (o lo sono solo parzialmente) nel sistema sociale, ossia in quel sistema organizzato di
relazioni interpersonali, istituzioni politiche e giuridiche, valori morali in cui si riconoscono invece
quegli individui e quei gruppi dotati di una precisa collocazione e caratterizzati da un forte senso di
appartenenza
 In passato si tendeva a distinguere fra “marginalità” ed “emarginazione”, cioè fra una condizione di
isolamento come la posizione di mendicante, vagabondo, prostitute, e un comportamento
intenzionale di esclusione che rivela una volontà; oggi i due termini sono in genere considerati
equivalenti e vengono adoperati per indicare vari livelli di “periferizzazione” sociale

La “marginalità”: gli apporti del pensiero sociologico

 Neri non trova sociologi nel mondo romano e adopera vari testi di sociologi moderni e
contemporanei per capire i loro apporti alla possibilità di studiare il mondo antico
 Esiste uno stretto rapporto fra povertà ed emarginazione sociale: la povertà è una situazione
multidimensionale che associa al problema del reddito economico anche altre forme di disagio, sia
etnico e culturale sia fisico; esiste il binomio povertà-malattia, nel senso che la povertà può
produrre malattia ma la malattia (oggi la malattia mentale o l’AIDS come nel mondo antico la
lebbra) può a sua volta generare esclusione. Chi non si alimenta bene è più soggetto a contrarre
una malattia. Gli stati di denutrizione o malnutrizione spalancano le porte ad una patologia. Anche
il rovescio, se si contrae una malattia e si ha il denaro si può guarire, viceversa no.
 La povertà si traduce in un atteggiamento ambivalente: o in un atteggiamento rinunciatario e
fatalistico (chi si lascia andare ad esempio) o in un atteggiamento di rifiuto e ribellione attraverso le
scorciatoie dell’illegalità (chi si da al furto ad esempio)
 I lavoratori precari, quelli sottopagati o i disoccupati manifestano una tendenza alla devianza,
termine che indica ogni forma di comportamento soggetto ad un’ampia disapprovazione sociale;
rientrano in questa definizione anche le professioni semiclandestine o illegali socialmente
stigmatizzate (ad esempio prostitute ed attori della Roma antica)

La “marginalità”: gli apporti del pensiero storiografico medievistico e modernistico (non antichistico)

 La marginalità è stata messa in stretta relazione con la povertà


 La marginalità è stata studiata dal punto di vista della malattia mentale e della reclusione
 La marginalità è stata considerata in uno studio sulla criminalità nell’Europa medievale e moderna,
che ha individuato 4 livelli di esclusione, sul piano del lavoro, delle relazioni sociali, delle norme e
anche degli spazi di residenza

La “marginalità”: gli apporti del pensiero storiografico (antichistico)

 Generici riferimenti a ceti inferiori e a poveri si trovano in Alfoldy, Garnsey-Saller, Veyne, ma non si
tratta di studi dedicati ai “marginali”
 Maggiore attenzione è riservata ad alcuni gruppi (filosofi, astrologi, briganti, cristiani) da Mac
Mullen, sebbene essi siano concepiti come esclusivamente conflittuali rispetto all’ordine costituito
 Quasi esclusivamente alla povertà nella parte orientale dell’Impero è dedicato il volume
fondamentale di Patlagean
 Più utili i risultati di un Convegno tenutosi a Graz (località dell’Austria) nel 1987, specificamente
dedicato alla marginalità nel mondo antico: marginali sono i portatori di handicap (ciechi, storpi,
folli), individui senza reddito (mendicanti, vedove, orfani), persone che svolgono attività
condannate (prostitute, attori, gladiatori, maghi), gli stranieri, i gruppi non sedentari (pastori,
schiavi, fuggiaschi, esiliati), le minoranze religiose (cristiani prima di Costantino, eretici)

Conclusioni teoriche e premesse metodologiche formulate da Valerio Neri

Gli apporti forniti dal pensiero sociologico moderno e da quello storiografico consentono di enucleare (=
individuare) i seguenti gruppi di “marginali”:

1. Gli esclusi tramite bando dello Stato o scomunica della Chiesa


2. I vagabondi
3. Gli eretici
4. I criminali
5. Coloro che esercitano professioni infamanti, cioè condannate dalla legge e dalla società
6. I malati
7. I mendicanti

Queste sono le categorie suggerite dagli studi sociologici. Ma Neri stringe ancora la cernita, perché di
alcune categorie non è ancora convinto e quindi parla di:

2. Il campo e le problematiche della ricerca

Argomenti non affrontati dalla ricerca di Neri:

1. Lavoratori dipendenti o autonomi, perché è scarsa la documentazione disponibile


2. Mendicanti non invalidi – cioè accattoni isolati e senza assistenza ma privi di handicap fisico o
psichico – perché si tratta di scelte individuali e non imposte dalla società
3. Gruppi etnici (nomadi del Nordafrica, barbari del Nordeuropa), perché hanno comunque una loro
coesione sociale interna e una loro compattezza rispetto all’esterno, non hanno intenzione di
integrarsi
4. Minoranze religiose (Giudei, eretici), perché si tratta di persone che hanno abbracciato
volontariamente una fede diversa dal cristianesimo ortodosso
5. Malati mentali, perché <<separati>> dalla società e <<rinchiusi>> in ospedali solo a partire dal XVII
e XVIII secolo, mentre nel mondo romano l’assistenza dei folli era in genere a carico dei familiari
all’interno delle pareti domestiche

Neri: “Ho riflettuto a lungo circa l’inserimento, nel quadro della marginalità oggetto di questa
ricerca, dei malati mentali. La grande svolta nell’atteggiamento della società rispetto al malato
mentale si compie, secondo la ben nota tesi di Foucalt, nei secoli XVII e XVIII, nei quali il folle viene
definitivamente separato dalla società e rinchiuso negli ospedali, in quanto la follia viene
considerata una dimensione irrimediabilmente patologica priva di ogni possibilità dialettica con la
normalità della ragione.

Non v’è dubbio che nel mondo romano la famiglia costituiva un ambito di segregazione, ma anche
di protezione, del malato di mente nei confronti del complesso della società: il folle non perdeva i
suoi diritti familiari e patrimoniali, anche se non poteva renderli operanti per il periodo o i periodi
del suo furor = follia, ma chi ne assumeva la cura era obbligato ad assisterlo.

È facile pensare che questa scelta fosse più frequente nei ceti economicamente svantaggiati, dal
momento che non solo che il carico economico era per essi più gravoso, ma non avevano la
possibilità di sottrarsi alla fatica della convivenza, pur senza giungere all’abbandono, segregando il
malato in una dimora separata e affidandolo alle cure di personale dipendente. Per queste
considerazioni ho ritenuto dunque di non dedicare una trattazione specifica ai folli, accostandoli
alle altre figure di emarginati oggetto di questa ricerca.

Da ultimo bisogna ricordare che il carcere era luogo di detenzione anche per i malati mentali
considerandoli socialmente pericolosi, soprattutto se avevano già commesso crimini, che non
fossero accettati dalle famiglie, con conseguenze immaginabili. Già Antonino Pio, in un rescritto (=
legge, risposta ad una domanda) citato da Ulpiano, aveva stabilito che i folli, si non possint per
necessarios contineri (= qualora non possano essere tenuti sottocontrollo dai parenti), dovevano
essere detenuti in carcere.”

Argomenti affrontati dalla ricerca di Neri:

1. Poveri, soprattutto quelli senza rete di solidarietà parentale


2. Vagabondi vari (compresi i forestieri e i pellegrini)
3. Coloro che esercitavano mestieri infamanti (prostitute e sfruttatori, attori e gladiatori) o
illeciti/proibiti (indovini, maghi, astrologi)
4. Criminali non violenti (ladri) e violenti (rapinatori, briganti)
5. Detenuti

Ambito cronologico e spazio geografico della ricerca di Neri:

 La ricerca copre i secoli dal III al VI/VII e riguarda la parte occidentale dell’Impero

Principali tipologie di fonti adoperate nella ricerca di Neri:


 Testi giuridici (come il CTh e il CI che tramandano le costituzioni imperiali tardoantiche, cioè
provvedimento legislativo emanato dall’imperatore che ha valore su tutto l’impero)
 Omelie (cioè le prediche pronunciate dai vescovi alla presenza della comunità dei fedeli)
 Narrazioni agiografiche (ossia scritti sulle vite dei santi e sui loro miracoli, come l’opera intitolata
De virtutibus sancti Martini di Gregorio di Tours, che è autore di VI secolo ma fa riferimentoa San
Martino vissuto nel IV secolo), fonti da prendere con le pinze che è importante perché danno
informazioni e dati statistici su ciechi, ecc.

PARTE PRIMA

Aspetti socio-economici e giuridici della marginalità: i poveri e gli infames

 Aspetti socio-economici riguardano i poveri


 I mendicanti
 L’elemosina
 I forestieri
 Aspetti giuridici riguardano gli infames e coloro che svolgono attività illecite
 a. Le professioni “infamanti”
b. Le professioni proibite/illecite

Capitolo 1. I mendicanti

A. Il lessico della mendicità


A1. il lessico latino pagano
 Un’indagine terminologica sulle fonti consente di enucleare tre principali campi semantici,
corrispondenti ad altrettante fasce e gradazioni della “povertà”:
 Paupertas: i pauperes sono “poveri” operosi e laboriosi, i quali, pur trovandosi nel disagio
economico e non disponendo di risorse sufficienti, svolgono lavori precari, stagionali o di tipo
servile
 Egestas: gli egentes sono “bisognosi”, “indigenti”, socialmente e politicamente ritenuti
pericolosi, privi di handicap ma anche di risorse elementari come vitto e alloggio
 Mendicitas: i mendici sono “mendicanti”, “accattoni”, “miserabili”, “barboni”, senza fissa
dimora, affamati, assetati, seminudi o coperti di stracci, sporchi, malati, handicappati, talora
prossimi alla morte

A2. il lessico latino cristiano


 Le fonti documentano, a differenza del lessico pagano, un uso peculiare del termine pauper per
indicare il “mendicante”, spesso in affiancamento a mendicus, senza sostanziali differenze di
significato tra il primo e il secondo termine: i pauperes genericamente intesi sono dunque
mendicanti e bisognosi destinatari del messaggio salvifico di Dio e ricettori di elemosine, ma sono
anche altre categorie di assistiti della comunità ecclesiale (vedove, orfani, malati, vecchi, stranieri,
pellegrini, schiavi)
 La coesistenza dei due termini nel lessico latino cristiano non significa necessariamente
ambivalenza di significato: mendicus continua ad indicare solo per alcuni una condizione sociale ed
esistenziale prossima alla morte (alterità sul piano sociale), mentre pauper si riferisce ad una sfera
in cui tutti i cristiani sono chiamati a collocarsi (fraternità sul piano spirituale)
 Questa polarità fra i due termini (estraneità vs compartecipazione) rispecchia in effetti la reale
ambiguità degli atteggiamenti: diversa è, infatti, la posizione di chi compie l’elemosina rispetto a
quella di chi la riceve, esiste, cioè, una fondamentale asimmetria fra benefattore e benificato
 Altra fondamentale distinzione va fatta fra evergetismo pagano e carità cristiana: il primo termine
indica un complesso di atti munifici (elargizione di somme di denaro, allestimento di banchetti,
costruzione e/o restauro di edifici di svago e/o di pubblica utilità) compiuti nella propria città da un
benefattore a beneficio della collettività ivi residente e in funzione dell’affermazione e del
consolidamento del prestigio sociale e del ruolo politico proprio e dei familiari; il secondo si
riferisce, invece, alle varie forme di elemosina offerte soltanto ai poveri e ai bisognosi e senza
secondi fini di avanzamento sociale o di affermazione politica ma in vista di una ricompensa nella
vita ultraterrena
 Chi chiede l’elemosina (mendicare):
 insiste (postulare)
 vaga (ambulare)
 geme (suspirare)
 si lamenta (clamare)
 ma anche:
 è assetato (esurens)
 è affamato (famelicus)
 è nudo (nudus) o coperto di stracci (pannosus)
 è malato (debilis)
 è piagato (ulcerosus)

B. La sociologia dei mendicanti


B1. identità sociale (chi sono?)
Occorre distinguere tra:
 Poveri invalidi:
 Portatori di handicap fisico (ciechi, storpi, paralitici, muti, malati)
 Bambini abbandonati
 Agricoltori e/o pastori incapaci di lavorare
 Esseri deformi
 Lebbrosi
 Vecchi
 Donne menomate, piagate e sporche
 Poveri validi:
 Coloni
 Giovani vagabondi
 Coloro che mendicavano in caso di sopravvenuta disabilità di un membro della famiglia

Fonti relative:
 Girolamo (347-420 d.C.) riferisce che Pammachio, dopo aver sposato nel 385 Paolina, morta di
parto nel 387, si fece monaco e fondò con Fabiola un nosocomio presso la foce del Tevere in sua
memoria per distribuire straordinarie elemosine
 Gregorio di Tours (538-594 d.C.) racconta di una madre del territorio di Bourges che aveva
partorito un bimbo deforme, rifiuta di ucciderlo e di esporlo, resiste alla derisione dei vicini e lo
nutre per anni come se fosse un bambino sano, quando diventa grande lo affida ad una
compagnia di mendicanti, accettando con rassegnazione la dura logica del bisogno
 Il Codex Theodosianus riporta una costituzione emanata nel 382 da Graziano e Valentiniano II,
indirizzata al prefetto urbano Severo, nella quale sollecitavano denunce contro i mendicanti validi
che, previo un accertamento delle loro effettive condizioni di salute, dovevano essere attribuiti
come schiavi o come coloni
 I Padri della Chiesa manifestano in genere ostilità nei confronti dei mendicanti validi, anche se
costoro non vanno esclusi dall’elemosina (una compagnia di vecchi mendicanti vagabondi, ricevuti
da Gregorio Magno, fu interrogata dallo stesso sulle elemosine ricevute che apprese la mancata
elemosina da parte del vescovo di Ravenna Mariniano)
 Agostino (354-430 d.C.) descrive la solidarietà fra i mendicanti, raramente presentati come
individui isolati, ma, più spesso, descritti come gruppo (“chi può camminare presta i suoi piedi allo
zoppo, colui che vede presta i suoi occhi al cieco e chi è giovane e sano presta le sue forze al
vecchio o al malato e lo trasporta”)

B2. luoghi della mendicità (dove sono?)


 Le piazze, gli incroci e le porte delle città
 Gli ingressi delle case dei ricchi benefattori, soprattutto quando sono annunciate elemosine;
difficilmente i mendicanti vengono ammessi all’interno delle abitazioni, ma si limitano a gridare (a
differenza dei pellegrini che bussano)
 Le chiese urbane
 I martyria, cioè i santuari suburbani e rurali, cioè santuari che ospitavano i sepolcri o le reliquie
dei santi e dove affluivano i mendicanti in cerca di elemosine e talora di guarigione
 I monasteri suburbani e rurali, maschili e femminili: qui sono addetti all’elemosina il frate
portinaio o il cellararius, cioè l’incaricato della dispensa
 Le residenze dei vescovi, in genere ubicate presso la cattedrale
 Gli xenodochia, nati nella parte orientale dell’Impero, in prevalenza istituiti dai vescovi, talora
appendici di monasteri, in qualche caso fondati da laici
Essi sorgevano spesso all’interno della città, ma talora, specie quelli legati a monasteri, nel
suburbio o in area rurale. È importante definire la questione delle categorie di persone che vi
venivano accolte e della loro capienza. Mentre in Oriente oltre agli xenodocheia esisteva una larga
gamma di istituti con funzioni specifiche, destinati a dare ospitalità a malati, lebbrosi, poveri,
vecchi, partorienti, vedove ed orfani, gli xenodochia occidentali sembrano invece essere destinati
a funzioni più generiche
 Se è vero che carestie, guerre ed epidemie furono causa di un incremento considerevole
dell’accattonaggio, è altrettanto vero che lo stesso moltiplicarsi dei centri erogatori di elemosine
favorì una tendenza dei bisognosi al vagabondaggio
 La stessa Chiesa cercò di frenare tale tendenza come mostrano le norme fissate nel Concilio di
Tours del 567 (stabilisce che ciascuna chiesa nutra i suoi poveri proprio per evitare il
vagabondaggio) e in quello di Lione del 583 (stabilisce che i lebbrosi debbano ricevere sufficiente
cibo e vestiario dal proprio vescovo)

B3. rapporto con la società (come vengono visti?)


 Dal punto di vista del ritratto esteriore non esistono differenze sostanziali fra l’immaginario
pagano e quello cristiano del mendicante
 Dal punto di vista della rappresentazione ideologica esiste invece una fondamentale differenza:
all’immagine del mendicante si sovrappone quella di Cristo che mette alla prova sotto <<mentite
spoglie>> la carità dei fedeli
 Cesario d’Arles (470-543 d.C.) afferma che Cristo è corporaliter nel mendicante che si presenta
alla porta e al quale si offre una moneta o un tozzo di pane
 Nei Padri della Chiesa tuttavia il mendicante che clamat (grida) e ripete in continuazione da mihi
(dammi) manifesta importunitas (invadenza), contrapposta alla verecundia (riserbo) del povero
che soffre in silenzio e attende quieto l’aiuto dei benefattori
 Gregorio Magno (papa dal 590 al 604 d.C.) stigmatizza il comportamento dei peregrini (pellegrini)
che, nascoste le proprie vesti, si erano spacciati per mendicanti indossando abiti laceri
 In altri casi i falsi mendicanti dichiaravano di essere nobili decaduti o lamentavano l’oppressione
dei debiti
 Talora ladri sotto le spoglie di mendicanti si introducevano nelle chiese per rubarne gli arredi sacri
 Un gruppo di mendicanti si era persino macchiato di violenza sessuale ai danni di una donna
 L’atteggiamento petulante di taluni mendicanti poteva provocare insulti e persino sputi da parte
di chi faceva l’elemosina

B4. rapporto con lo Stato (come vengono visti?)


 Lo Stato romano si è raramente occupato del fenomeno dell’accattonaggio, sia dal punto di vista
della garanzia dell’ordine pubblico, sia dal punto di vista assistenziale
 Lattanzio (250-317 d.C.) nel De mortibus persecutorum richiama un provvedimento preso
dall’imperatore Galerio (305-311 d.C.) contro i mendicanti: costoro furono espulsi dalla città di
Nicomedia e la nave su cui erano stati imbarcati fu intenzionalmente affondata. È probabile,
tuttavia, che Galerio intendesse punire in modo esemplare con l’espulsione il reato di simulatio
mendicitatis commesso da questi malcapitati per evitare l’imposta personale e che il successivo
affondamento fosse stato causato da un naufragio e non da un atto intenzionale
 La già ricordata costituzione del 382 di Graziano e Valentiniano II reprimeva l’accattonaggio a
Roma da parte di persone in grado di lavorare, anche se le forze di polizia sarebbero intervenute
solo dietro denuncia da parte dei privati
 La Novella 80 dell’imperatore Giustiniano riguarda Costantinopoli e puniva i mendicanti validi in
maniera sistematica, cioè anche senza denuncia privata. I mendicanti validi non originari di
Costantinopoli venivano puniti tramite l’espulsione se di libera condizione, o tramite la
restituzione ai proprietari se di condizione servile. I mendicanti validi originari della città venivano
invece puniti con l’impiego nelle opere pubbliche o nei pistrina (mulini) della capitale d’Oriente

Capitolo 2. L’elemosina

Tenendo conto della sostanziale irrilevanza sul piano etico-sociale dell’elemosina in ambito pagano che
spiega l’esiguità delle riflessioni su questa tematica nella letteratura classica, si può osservare che solo
in qualche caso affiora, come espressione di un’etica sociale conservatrice, un atteggiamento ostile
all’elemosina.

Plauto condanna l’elemosina come un gesto sostanzialmente inutile per chi lo riceve e dannoso per chi
lo compie: <<Non fa un buon servizio ad un mendicante chi gli dà da mangiare e da bere perché perde
quello che gli dà e non riesce a prolungargli che di poco una vita miserabile>>.
Seneca afferma infatti che era proprio l’infimo valore dell’elemosina elargita ai mendicanti che la
poneva al di qua di ciò che può essere definito beneficium: <<chi potrebbe definire un pezzo di pane o
una moneta di vile bronzo o il dare la possibilità di accendere il fuoco?>>.

A. Contenuto etico e teologico dell’elemosina


Principi e criteri cristiani
 Sono quattro i criteri su cui si fonda l’elemosina, due di carattere economico e due di carattere etico-
religioso:
 Capacità/incapacità di lavorare (occorre, cioè, distinguere tra mendicanti validi e invalidi)
 Autenticità dei bisogni (occorre fare attenzione alle frodi e alle astuzie di alcuni mendicanti)
 Moralità (occorre donare al peccatore in quanto essere umano e non per le sue prestazioni, come
nel caso degli attori o delle prostitute)
 Fede cristiana (occorre donare a tutti, ma i cristiani vanno preferiti)

 Oltre a questi criteri di base, vanno tenuti presenti altri criteri esplicitamente indicati dai Padri della
Chiesa:
 Tutti devono donare, ma i ricchi sono tenuti a farlo in maggiore misura
 Ogni gesto, anche minimo, è bene accetto (abiti usati, tozzo di pane, avanzi di cibo)

B. Organizzazione della Chiesa


Attività caritatevole della Chiesa
 Occorre stabilire una fondamentale distinzione tra:
 Poveri che ricevono una pensione annua dalla Chiesa
 Mendicanti che ricevono elemosine occasionali dalla Chiesa
 Occorre inoltre tenere presente che il vescovo, eleemosynarius per eccellenza, eroga donazioni
sotto tre forme: beni in natura (cibo, vesti), denaro, gli uni e l’altro
 L’inserimento di un bisognoso nella lista degli assistiti (matricula pauperum) avveniva a discrezione
del vescovo

La decisione circa l’ammissione alla beneficenza ecclesiastica spettava al vescovo e la composizione


delle liste degli assistiti era legata dunque alla sua discrezionalità.

In una delle epistole di Agostino si parla di un Antoninus giunto in tenera età ad Ippona con la madre ed
il patrigno, una famigliola così povera da non avere abbastanza per vivere. Madre e patrigno di
Antoninus convivono, come viene ad apprendere Agostino, in situazione irregolare, dal momento che il
padre del bambino è ancora vivo. Agostino li convince alla continenza, ma fa in modo che la chiesa di
Ippona si faccia carico della loro indigenza: il patrigno e Antoninus vengono accolti nel monastero e la
donna iscritta in matricula pauperum quos sustentat ecclesia. La donna non è vedova, né anziana e né
lei, né il suo convivente sembrano malati o menomati: la scelta di Agostino sembra dunque motivata in
parte dalla considerazione dell’acuta situazione di bisogno economico della famiglia, ma legata anche in
maniera recidiva al fatto che i due conviventi si fossero lasciati convincere ad una vita religiosa e
moralmente irreprensibile. Pur nella loro estrema povertà, non appare nella lettera che essi
praticassero la mendicità.

 Le categorie degli assistiti erano varie: vedove, vergini, anziani, orfani


 Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.) riferisce che gli assistiti dalla Chiesa romana sotto Cornelio (papa
dal 251 al 253 d.C) erano 1500
 Giovanni Crisostomo (344-407 d.C) afferma che la chiesa di Antiochia di Siria manteneva oltre 3mila
vedove e vergini
 Gregorio Magno riferisce che tra gli assistiti della Chiesa romana si trovano menomati, ma anche
individui impoveriti come la sua stessa zia materna e due vedove. A questa lista di poveri
regolarmente assistiti dalla Chiesa romana possono essere iscritti anche mendicanti, a patto che
rinuncino all’accattonaggio e facciano a loro volta elemosine.
Da una lettera di Gregorio Magno indirizzata nel 601 al vescovo di Napoli Pascasio si apprende che
erano ben distinti i poveri che riscuotevano pensioni dalla Chiesa dai mendicanti che chiedevano
abitualmente l’elemosina. È probabile che una quota del 20% del reddito destinato ai poveri fosse
erogata in elemosine ai mendicanti, mentre ai pauperes venisse erogata una pensione annua di un
solido. Poiché quest’ultima doveva rivelarsi insufficiente (erano necessari per i bisogni essenziali da
due a tre solidi annui), intervenivano i privati ad integrare.

Attività caritatevole della Chiesa in Gallia


 Gregorio di Tours documenta nella Gallia del VI secolo un istituto non presente altrove, quello di
una particolare matricula pauperum, cioè una lista particolare non di poveri mantenuti dalla
comunità ecclesiale, ma di un gruppo privilegiato di mendicanti legati ad una singola chiesa o
monastero, posti sotto la particolare protezione di un santo, considerati un gruppo coeso, quasi
una corporazione, diretti destinatari persino di lasciti ereditari da parte dei fedeli, riscossori delle
elemosine per via diretta o anche attraverso un fiduciario, il custos

B. Organizzazione della Chiesa


Entrate della Chiesa
 L’istituto della diaconia:
 è innanzitutto il mezzo attraverso cui la Chiesa eroga le elemosine per mezzo della
collaborazione dell’arcidiacono e dei diaconi
 designa anche l’attività benefica svolta dal vescovo
 può talora significare anche la cura dei poveri e dei malati direttamente ad opera del papa
 Al fine di limitare abusi e scandali nella gestione di un patrimonio ecclesiastico che, attraverso
donazioni e lasciti testamentari, si andava accrescendo sempre più, a partire dalla seconda metà
del V secolo, viene fissata una divisione in:
 quattro voci o impegni di spesa, che consistevano nelle uscite: per il vescovo, per il clero, per il
culto, per i poveri
 due capitoli di entrate della Chiesa, che riguardavano:
o le oblationes fidelium (offerte dei fedeli), in natura o in denaro (anche donazioni inter vivos o
lasciti mortis causa) divise in:
 oblationes regolari:
1. offerte eucaristiche, cioè quelle consacrate sull’altare durante la messa e poi parzialmente
erogate ai poveri
2. decime, cioè prelievo di 1/10, attestate soprattutto nelle chiese galliche di VI secolo ed
effettuate sia sui prodotti agricoli (a cadenza annuale) sia sulle attività militari, commerciali
o artigianali (a cadenza non annuale)
3. collette
 oblationes eccezionali:
1. a fronte di queste oblazioni con cadenza regolare esistevano quelle di natura eccezionale
2. la Chiesa poteva ricevere oblazioni eccezionali ma straordinarie, come un banchetto per
3mila monache romane donato dalla sorella dell’imperatore Maurizio o 30 libbre d’oro da
distribuire anche ai bisognosi, donate a papa Gregorio Magno dallo stesso imperatore
Maurizio (582-602 d.C.)
3. anche personaggi altolocati (Melania e Piniano nel V secolo) donano piuttosto che denaro
proprietà a vantaggio di chiese, monasteri e poveri
4. vengono donate somme straordinarie come cauzione per il riscatto di prigionieri
5. vengono donate somme straordinarie per l’edificazione di chiese o per donare arredi sacri
 donazioni e lasciti:
1. anche se Costantino aveva riconosciuto capacità patrimoniali alla Chiesa e aveva lasciato ai
privati piena libertà di testare in favore delle chiese, Agostino insiste sul fatto che tali
donazioni e lasciti non debbano risolversi in una spoliazione della famiglia e dei legittimi
eredi.
Nel serm.355 Agostino cita una serie di casi di successione in cui egli ha rinunciato, non senza
critiche e resistenze all’interno della chiesa stessa, ad eredità in favore della chiesa. Un altro
personaggio di cui non viene fatto il nome aveva fatto dono alla chiesa, riservandosene l’usufrutto
di tutte le sue proprietà non avendo figli né sperando di averne. Quando però gli nacquero due figli,
Agostino rinunciò spontaneamente alla donazione.
o i reditus (proventi), derivanti dalle proprietà immobiliari e da beni mobili, di cui la chiesa
poteva:
 talora disporre solo in parte, per erogazioni di quote annuali ai poveri e per la costruzione di
xenodochia
 ma più spesso, qualora essa fosse stata istituita erede, poteva disporne totalmente, o quasi,
per le elemosine

C. Organizzazione dei privati


Erogazione diretta ed erogazione mediata dalla Chiesa
 L’erogazione dell’elemosina poteva essere:
 Diretta, cioè ad opera di laici privati e dunque, sul piano formale ma non ideologico, più simile
all’evergetismo classico
 Mediata dalle istituzioni ecclesiastiche, cioè gestita dai chierici
 Oppure anche privata e mediata al tempo stesso, come nel caso di Pammachio, il quale
organizzò nella Basilica di San Pietro una grande distribuzione di pane, vestiti e denaro, o come
nel caso di alcune donne di estrazione senatoria, che non elargiscono l’elemosina mediante
intermediari (ad esempio schiavi) ma, come Paola, escono dalle loro case, vanno in giro per la
città a cercare i mendicanti, o, come Fabiola nel nosocomio da lei fondato, entrano in contatto
fisico con i malati lavandone le piaghe

D. Forme e tempi dell’elemosina


 L’elemosina può assumere forme differenti
 Denaro (anche se nei Padri affiora la preoccupazione su come esso verrà speso)
 Cibo
 Vestiario
 Ospitalità (offerta dal clero, dai monaci e dai privati)
 Assistenza ai malati
 L’elemosina viene erogata in tempi differenti:
 Sia in risposta ai bisogni contingenti
 Sia in occasione di scadenze precise connesse a ricorrenze religiose (Natale, Pasqua, feste dei
Santi e dei Martiri, Quaresimo, Pentecoste)

Digiuno ed elemosina sono strettamente collegati e complementari: il digiuno senza elemosina non ha
valore, ripetono più volte soprattutto le omelie quaresimali, mentre viceversa nel caso che non si possa
digiunare, l’elemosina insieme alla preghiera ha la capacità di purgare i peccati.

Capitolo 3. I forestieri (vi è l’elemento dello spostamento e del movimento in uno spazio geografico, essere
instabili, contrario di sedentarietà)

a. Vagabondi
 Vengono definiti vagi o erratici, ad indicare una fondamentale condizione di instabilitas che non
è solo fisica, ma si qualifica anche come tratto psicologico e morale (instabilitas mentis)
 Lo Stato interviene per reprimere il vagabondaggio (vuole ordine) con l’obbligo di matrimonio,
come ci attesta una Novella (tipologia di legge) di Valentiniano III (451 d.C.) a proposito di un
individuo che, per sposare una colona (= contadini che coltivano le terre di altri), deve dichiarare
ai magistrati la propria residenza in cui vive la donna
 Lo Stato interviene per reprimere il vagabondaggio con il reclutamento di vagi (nelle campagne)
e vacantes (nelle città) i quali, pur non essendo iscritti nelle liste censitarie e non pagando le
tasse, vengono tuttavia sottoposti alla coscrizione coatta (cioè all’obbligo di leva militare,
all’arruolamento forzato), come documentano una serie di costituzioni imperiali databili fra il
370 e il 412 d.C.
 2 fattori “esogeni” del vagabondaggio, cioè cause che derivano dall’ “esterno” più che
dall’“interno”, che determinano fughe, anche in massa, di individui:
 invasioni barbariche: le invasione soprattutto di Longobardi e Goti producono come effetto
aggiuntivo scorrerie di briganti che approfittano dello scompiglio e dell’abbassamento
generale del livello di sicurezza soprattutto nelle aree rurali e lungo le strade (metafora con il
virus labiale dell’erpes)
 guerre: il continuo passaggio di eserciti (che calpestano o rubano le risorse) distrugge le
coltivazioni e causa carestie (che determinano spostamenti dalle campagne verso le città alla
ricerca di risorse alimentari) e pestilenze (che determinano invece spostamenti dalle città
verso le campagne per sfuggire al contagio)

b. Stagionali (o saltuari o salariati itineranti)  mobilità professionale


 Si tratta ad esempio di agricoltori come quello descritto nel III secolo d.C. dall’epigrafe di
Mactaris (in Tunisia), il quale, prima di diventare decurione (cioè membro del consiglio civico),
aveva fatto parte delle turmae messorum, cioè di quei gruppi di stagionali addetti alla mietitura,
per 12 anni come semplice mietitore e per i successivi 11 come capo della squadra.
 L’epigrafe è un testo poetico, Mactaris quindi commissiona al poeta di scrivere una poesia per
lui e lo porta al lapicida. Il mietitore di Mactaris: “…sono nato da una famiglia povera e da un
genitore modesto, il quale non aveva mai posseduto un censo né una casa. Dal momento in cui
sono stato generato ho vissuto in campagna coltivando il mio campo; né per la campagna né per
me è mai esistito riposo. E quando l’annata aveva prodotto messi mature, allora io ero il primo a
tagliare le spighe. Quando la squadra dei falciatori aveva attraversato i campi diretta sia verso i
Numidi di Cirta sia ai campi di Giove, io, primo mietitore, precedevo tutti nei campi, lasciandomi
alle spalle fitti covoni. Ho falciato per dodici raccolti sotto un sole cocente, in seguito grazie alla
mia fatica fui nominato anche caposquadra. Guidammo per undici anni le schiere dei mietitori e
la nostra mano falciò i campi della Numidia (odierna Algeria). Questa fatica e una vita contenta
di poco mi bastarono e mi resero padrone di una casa e di un podere e la stessa casa non manca
di alcuna comodità. E la nostra vita godette dei vantaggi delle cariche pubbliche, e proprio io fui
iscritto fra i senatori locali. Fui chiamato dall’ordine dei decurioni a prendere posto nella curia e
proprio io da misero contadino divenni censore. E generai e vidi i figli e i diletti nipoti. Per i meriti
della mia vita abbiamo trascorso splendidi anni, che la lingua spietata non infanga con nessuna
calunnia. Apprendete mortali a condurre una vita senza macchia! Così meritò di morire colui che
visse senza inganno“
 Ma si tratta anche di artigiani ambulanti
 Secondo Valerio Neri i circumcelliones non vanno inclusi fra i lavoratori stagionali, ma
costituiscono una categoria a sé stante.
“Non mi sembra invece che debbano essere considerati dei salariati itineranti, braccianti agricoli,
i circumcelliones, secondo l’ipotesi formulata da Tengstrom, che li mette in rapporto con la
raccolta delle olive nella Numidia meridionale, al punto che perfino i bastoni di cui giravano
armati non sarebbero stati in realtà che pertiche impiegate in questa raccolta. Calderone e
Frend hanno ragione a sostenere che le fonti africane, che pure mettono abbondantemente in
evidenza il loro vagabondare in turmae nelle campagne, non suggeriscono in nessun modo che
questo vagabondare dovesse essere messo in relazione con una loro attività lavorativa.
Carattere del tutto diverso ha il vagabondaggio in terra africana dei circumcelliones, della cui
identità sociale abbiamo già discusso, accettando le tesi di Calderone e Frend, che li
caratterizzano come gruppi ascetici all’interno della chiesa donatista, piuttosto che, secondo la
tesi di Saumagne e di Tengstrom, come lavoratori stagionali operanti nei campi e negli oliveti
della Numidia “

c. Pastori  mobilità professionale


 Occorre distinguere fra:
 I pastori stanziali all’interno di una proprietà agricola (dei quali non si occupa Neri)
 I pastori transumanti (transumanza = spostarsi con il pascolo, verso le valli o il mare durante
la stagione fredda e verso la cima durante la stagione calda), nell’ambito dei quali vanno
ulteriormente distinti coloro che praticano la transumanza verticale (a breve raggio) e quelli
che praticano la transumanza orizzontale (ad ampio raggio)
 In Italia la transumanza è documentata soprattutto in Etruria, Lazio e nel Tavoliere
 I pastori transumanti in estate vivevano nei rifugi e in comunità totalmente maschili di uomini
armati; in inverno, invece risiedevano in villaggi con le famiglie e commerciano i prodotti caseari
in occasione di fiere rurali
 I pastori transumanti si spostavano a piedi o a cavallo e sempre in compagnia di cani feroci
(visivamente un uomo che viaggia a cavallo può essere scambiato per un pastore o per un
brigante o per un ladro di bestiame, l’uso del cavallo determina ambiguità e pericolo)
“Episodio accaduto al giovane Marco Aurelio, contenuta in una lettera a Frontone”
 Una costituzione di Diocleziano del 292 e una di Onorio del 409 stigmatizzano come criminali i
pastori considerandoli potenziali briganti
 La stessa costituzione di Onorio vieta ai ceti cittadini e ai possessores (grandi proprietari terrieri)
di consegnare ai pastori i propri figli perché vengano allevati. Probabilmente non si tratta di un
abbandono ma di un affidamento a balia degli infanti, cioè a donne che risiedevano nei villaggi
dei pastori stabilmente senza seguire i propri uomini nei pascoli d’alta quota
 Anche se i riferimenti ai pastori nelle fonti cristiane possono dare luogo a fraintendimenti, dato il
valore metaforico del termine <<pastore>> (esempio figura religiosa), tuttavia Gregorio di Tours
offre documenti interessanti sul mondo pastorale
 La Chiesa di Roma possedeva greggi e aveva pastori alle proprie dipendenze come testimonia
Gregorio Magno (papa vescovo di Roma)
“Le testimonianze invece di rapporti concreti della chiesa con il mondo pastorale sono scarse. In
un caso almeno Gregorio di Tours sembra implicarlo con evidenza. Il passo ci informa che nel
culto pagano al mons Helarius (in Gallia), nel territorio del Gevaudan, venivano gettate nel lago
lana e formaggi, oltre ad altri prodotti agricolo: è probabile dunque che questi gesti culturali
accomunassero pastori e agricoltori.
Gregorio di Tours racconta che Patroclo, fondatore di un monastero a Colombier, era uno dei
due figli di un ingenuus (= di libera condizione) mandato dal padre fin dall’età di dieci anni a far
pascolare le pecore nella regione di Berry, a differenza dell’altro fratello che era stato invece
inviato a scuola. Più tardi anch’egli frequentò la scuola, abbandonando la sua attività di pastore.
È probabile che il padre di Patroclo fosse un piccolo proprietario in possesso anche di un gregge,
che presumibilmente, quando entrambi i figli frequentano la scuola, affida a salariati o servi”

d. Schiavi  fuggiaschi (coloro che si ribellano e tentano di fuggire, in quel momento diventano
marginali)
 Nonostante la progressiva e crescente diffusione del cristianesimo, la schiavitù è ancora molto
presente nella Tarda antichità
 Perché uno schiavo fuggiva?
 Non necessariamente per diventare libero, ma anche solamente per cambiare padrone
 Oppure per cercare accoglienza fra i barbari
 Oppure ancora per entrare a far parte di una banda di briganti
 Oppure si allontanava solo temporaneamente (erro)
 Lo schiavo fuggiva di notte e per cancellare le tracce doveva rimuovere il collare, far sparire il
marchio (tramite una pianta il ranunculum), cambiare nome e allontanarsi molto per ridurre i
rischi di essere ritrovato
 Gli imperatori Adriano, Costantino, Arcadio e Onorio manifestano una preoccupazione per il
fenomeno dei fuggiaschi che, spacciandosi per liberi, si offrono di lavorare come impiegati
salariati, tanto che questi imperatori finiscono per ritenere responsabile chi accoglie uno
sconosciuto che dichiari di essere libero
 I controlli identificativi sono in effetti a carico sia degli stationarii (truppe di sorveglianza in aree
rurali, cioè distaccamenti di soldati dell’esercito regolare posti lungo le principali vie di
comunicazione) sia dei domini (i padroni) sia ancora ad opera delle forze di polizia imperiali e
cittadine e infine anche dei fugitivarii (cacciatori di taglie professionisti di schiavi fuggiaschi)
 La normativa visigotica e burgunda (queste normative sono sempre più crudeli di quelle degli
imperatori romani) considera reato di complicità l’elemosina offerta a schiavi fuggiaschi dei quali
si conosce la condizione, mentre non considera reato l’ospitalità accordata per una sola notte.
Inoltre, il servo complice di un servo fuggiasco viene punito con cento frustate (cioè condanna a
morte) e vengono puniti anche sia colui che traghetta un fuggitivo sia colui che provvede al
taglio dei capelli
e. Coloni  fuggiaschi
 I coloni (= coloro che coltivano le terre degli altri) sono spinti alla fuga perché iscritti
coattivamente nelle liste censitarie e condannati all’origo, cioè alla seridenza nel luogo di lavoro
 Una costituzione di Valentiniano I delinea la sorte dei coloni che fuggono da un dominus e si
mettono alle dipendenze di un altro: i profugi possono lavorare sul terreno del nuovo dominus
ma senza ricevere compensi, oppure spacciarsi per liberi contadini e lavorare come salariati
regolarmente retribuiti
 Il fenomeno dei coloni anticipa la condizione dell’età medievale della servitù della gleba
 Una costituzione di Onorio stabilisce che, dopo 30 anni ininterrotti di lavoro senza fuga,
decadono i diritti del dominus sul colono (per le donne il limite è di 20 anni)
 Una Novella di Valentiniano III interviene in senso restrittivo e stabilisce che si diviene
legalmente coloni solo se si rimane sotto uno stesso padrone per 30 anni consecutivi; altrimenti,
nel caso in cui il colono fosse fuggito più volte, sarebbe divenuto sottoposto al proprietario alle
dipendenze del quale si trovava allo scadere del trentesimo anno

f. Monaci gyrovagi  vagabondaggio religioso


Occorre distinguere fra diverse tipologie di vagabondi per motivi religiosi:
 Asceti cristiani, cioè anacoreti (eremiti) che sceglievano la solitudine (diffusi soprattutto in Siria,
Egitto e Mesopotamia, ma scarsamente attestati in Occidente)
 Monaci gyrovagi diffusi in Occidente, i quali non si fermano in uno stesso luogo per più di 3/4
giorni e vengono condannati dalla Regola benedettina (VI secolo d.C.) che li considera superbi e
incapaci di condividere la propria esistenza con gli altri
 Monaci che si allontanano solo temporaneamente dal cenobio (sinonimo di monastero, vita in
comune, opposto di eremita) a causa dell’acedia, cioè dell’inerzia spirituale.
Etimologia del termine latino acedia: deriva dal vocabolo greco akedìa, composto a sua volta da
a con valore privativo, “senza”, e kedos, “cura”, dunque “negligenza” (con una componente di
colpa e di scelta)
La parola poi dal latino (nelle due varianti acedia e acidia) è passata in italiano nella forma
“accidia”.
Dante nella Divina Commedia pone gli accidiosi, insieme agli iracondi, nel V cerchio dell’Inferno,
a dimostrazione del fatto che nella cultura cristiana medievale l’accidia era considerato un
peccato grave (poiché scelta, dovuta ad un lasciarsi andare)
 Monaci sedicenti (falsi monaci che si definiscono tali)
 Monaci dediti al pellegrinaggio

g. Circumcelliones  vagabondaggio religioso


 Il termine circumcelliones viene da circum (intorno) e cellae (povere abitazioni rurali, isolate e
non necessariamente raggruppate in villaggi)
 I circumcelliones non sono lavoratori stagionali perché si tratta di gruppi ascetici con forte
componente laica ma interni alla chiesa donatista. Il donatismo prende il nome da Donato il
Grande, prete a capo di un movimento scismatico sorto in Africa contro la stessa Chiesa
considerata lassista, soprattutto dopo che alcuni vescovi durante la persecuzione di Diocleziano
del 303 d.C. furono accusati di aver consegnato libri sacri (traditores, colui che affida e consegna)
per darli al rogo. I circumcelliones sarebbero dunque il braccio armato della Chiesa donatista
contro la Chiesa cattolica (anche nella lettura di Agostino). Sono degli eretici.
 Riferisce Agostino che i membri dei ceti elevati in Africa premevano affinchè venisse esercitato
un maggiore controllo da parte dello Stato sui gesti violenti dei circumcelliones (giravano e
picchiavano la gente con bastoni) e del clero connivente (= simpatizzante), anche se tale
connivenza era spesso difficilmente dimostrabile
 I circumcelliones:
 trovavano seguaci fra schiavi, contadini indebitati e coloni
 vagabondavano raccolti in greges, cioè in gruppi numerosi
 predicavano presso le nundinae (mercati periodici)
 cercavano ospitalità nelle cellae rusticanae (case in campagna)
 non lavoravano
 non possedevano beni mobili e immobili
 osservavano, almeno formalmente, la castità
 includevano anche greges feminarum, almeno formalmente votate alla castità
 erano spesso urbiachi (per questo altamente pericolosi)

h. Pellegrini  vagabondaggio religioso (non è una prerogativa cristiana)


Direzione dei pellegrinaggi:
 nel mondo classico  ai santuari delle divinità pagane
 nel mondo ebraico  al Tempio di Gerusalemme
 nel mondo cristiano  ad loca sancta  in Oriente e in Occidente
 in particolare in Occidente: Tours

Basilica di San Pietro


Roma
Ad catacumbas
Nola

 Il pellegrinaggio comporta:
 per tutti alienazione psicologica e straniamento
 ma per i poveri poteva determinare anche la perdita di ogni rete di solidarietà (i ricchi hanno
più vantaggi)
 Come documenta Gregorio nel De virtibus sancti Martini, a Tours (vi erano le ceneri di San
Martino, con poteri miracolosi) in Gallia (anche se documento agiografico ha informazioni
interessanti):
 lo spostamento avveniva a piedi, su carri o in braccio a qualcun’altro
 la permanenza durava pochi giorni, qualche mese o persino alcuni anni
 si viaggiava da soli o in compagnia di qualche familiare
 tra i pellegrini si trovavano anche schiavi

“La storia raccontata da Gregorio di Tours narra di un abitante di Angers divenuto improvvisamente sordo e
muto che, messosi in viaggio verso Roma per ottenere la guarigione, incontra nei pressi di Nizza l’eremita
Hospitius che lo guarisce. Le parole del diacono lasciano trasparire un chiaro messaggio: il dono della
guarigione che Dio concede ai suoi eletti è uguale in ogni luogo ed anche la Gallia è ricca di uomini santi;
non è necessario perciò affrontare un lungo e periglioso viaggio verso Roma.
Accanto alla narrazione del miracolo, Gregorio fornisce frequentemente parecchi altri dati
sociologicamente rilevanti: il nome del personaggio miracolato, la professione, la provenienza, le cause
della malattia, le modalità del viaggio e del soggiorno a Tours. Viene dunque, per così dire, schedato un
campione relativamente ampio di pellegrinaggi, 267 casi. Dall’analisi dei casi (160 su 267) in cui Gregorio
precisa l’origine geografica del miracolato emerge che i 3/4 provengono dall’esterno contro 1/4 di abitanti
di Tours e del suo territorio. Di questi forestieri solo il 12% proviene dall’esterno della Gallia, soprattutto
dalla Spagna e dall’Italia.
Dall’esame dei casi emergono indicazioni sulla matrice sociale dei miracolati: solo un 30% dei casi riguarda
persone appartenenti a ceti privilegiati della società, mentre il 70% dei casi riguarda persone che possono
essere classificate come pauperes, fino ai mendicanti. La ragione essenziale del pellegrinaggio dei poveri è
la speranza di guarigione, per lo più da malattie gravemente invalidanti come cecità, paralisi, malattie
muscolari ed artrosiche che escludono i malati dall’attività produttiva.”

 In Gallia esistevano anche altri santuari, meta di pellegrinaggi:


 San Giuliano a Brioude
 Basilica di S. Ilario a Poitiers
 Basilica di Nicezio a Lione
Esistevano anche centri di pellegrinaggio in Spagna e in Africa settentrionale

Capitolo 4a. Le professioni “infamanti”

In che cosa consiste l’infamia?


Essa ha un valore giuridico, era un vero e proprio “marchio” etico-sociale tramite il quale il pretore
limitava i diritti di alcuni cittadini e ne sanciva l’inferiorità giuridica con impedimenti e restrizioni di
varia natura, riguardanti sia la sfera pubblica (ineleggibilità, perdita del diritto di voto) sia la sfera
privata (diritto matrimoniale, inattendibilità della sua parola).
Si trattava, dunque, di una doppia condanna, che toccava non soltanto aspetti della sfera “civile” o
“penale”, ma riguardava anche il piano “morale”.

Limitazioni determinate dall’infamia:


 Sfera pubblica:
 viene negato lo ius accusationis (diritto di accusa)
 viene negata la possibilità di fare richiesta di azione legale
 Sfera privata:
 divieti matrimoniali sulla base dell’antica lex Iulia (18 a.C.):
o ai senatori era vietato sposare attori o figli di attori
o a tutti i cittadini liberi (ingenui) era vietato sposare prostitute, mezzane (intermediarie),
adultere e anche cameriere (perché servivano ai tavoli nelle locande versando da bere,
quindi lasciando andare i freni inibitori intendendo un seguito nelle camere al piano di sopra)
o la macchia di turpitudo (vergogna) non si estingueva nemmeno con l’abbandono della
professione, permane per sempre

a. Prostitute (e prostituti) e lenoni (e lene) (sfruttatori e sfruttatrici)


 Prostituzione femminile e maschile
 Sfruttamento della prostituzione

Le forme della prostituzione:


 organizzata, praticata presso lupanari (lupa = prostituta) e gestita da lenoni (che incassavano
tutti i guadagni e fornivano alla prostituta solo l’indispensabile): era la forma più diffusa e
prevedeva un contratto d’affitto con il padre o con il proprietario; unica via d’uscita era un
intervento esterno (da parte di privati o della Chiesa meno oppure dello Stato più)
 domestica, praticata di nascosto con il consenso o dietro costrizione dei familiari
 scoperta, ma libera dal controllo dei lenoni (le prostitute d’alto bordo, belle e ricche sono
un’eccezione, perché in genere queste donne vivono nella miseria, sono semplici stabulariae)
“è chiaro che la situazione economica di queste prostitute che esercitavano autonomamente la
professione sarà stata differenziata in rapporto anche alla bellezza ed alle capacità di seduzione.
Ambrogio disegna la figura di una prostituta riccamente vestita, amictu dives, che adesca gli
uomini nella sua casa.
La situazione più comune continuava ad essere quella caratterizzata da bassi compensi e quindi
dalla povertà. Cesario di Arles afferma addirittura che il compenso di una prostituta equivale a
stento a mezzo pane”.
 semiprofessionale, praticata nelle locande (cioè le cameriere)

I luoghi della prostituzione:


E’ un fenomeno proprio dei quartieri malfamati e periferici delle aree suburbane:
 Roma:
 Gregorio Magno vi fa riferimento
 Imperatore Teodosio I nel 390 reprime la prostituzione maschile
 sono attestati 45/46 lupanari nel IV secolo
 Costantinopoli:
 Imperatore Teodosio I concede alloggio a prostitute indigenti (che non hanno ottime
condizioni economiche)
 Imperatore Giustiniano (VI secolo) espelle i lenoni (Novella 14)
 Cartagine (Nordafrica):
 Agostino vi fa riferimento
 Salviano di Marsiglia (400-451 d.C.) parla anche di travestitismo
 i Vandali nel V secolo reprimono il fenomeno
 Milano:
 Ambrogio vi fa riferimento
 Gallia:
 nel V secolo Salviano e nel VI secolo d.C. Cesario d’Arles (470-543 d.C.) e il vescovo Gregorio di
Tours vi fanno riferimento
“Una sopravvivenza del fenomeno, ad infimo livello sociale ed economico, è però
incidentalmente attestata dallo stesso Gregorio di Tours: commentando la sorte dell’abate
Dagalaifus, ucciso dal marito della donna con la quale aveva una relazione adulterina.
Vengono però esclusi i rapporti con donne, il congiungimento con le quali non può essere
considerato un crimen. La vilitas della condizione sociale di queste donne è forse soprattutto
quella delle tabernariae la cui situazione in rapporto al reato di adulterio è definita da
Costantino in una costituzione alla quale si richiama l’Edictum Theoderici”.
 Siracusa:
 Onorio (papa dal 625 al 638 d.C.) vi fa riferimento nell’epistola al vescovo siracusano Pietro
“Un testo interessante sulla diffusione della prostituzione nei territori bizantini in Occidente è
l’ep.14 di papa Onorio al vescovo siracusano Pietro, scritta nel 630. Il papa lamenta che il
vescovo abbia accompagnato e dunque verosimilmente sostenuto la richiesta di 300 prostitute
cittadine che si erano recate dal prefetto, mentre si trovava nei bagni pubblici, per chiedere
che fosse sostituito il curator che era stato nominato a loro riguardo. Onorio è scandalizzato di
un atteggiamento censurabile non solo in un sacerdote, ma anche in un laico, e rivela di aver
dato istruzioni al diacono Ciriaco per un intervento di carattere radicale sulla situazione. Il
testo solleva numerose questioni, alle quali non è facile dare risposte sicure. Esisteva a
Siracusa dunque una figura di cui non abbiamo tracce in precedenza, un curator nominato dal
prefetto con lo specifico compito di occuparsi delle prostitute della città. Esercitava sulle
prostitute una funzione di tutela, che avrebbe potuto essere stata promossa ed incoraggiata
dal vescovo, o nel presupposto che esistessero a Siracusa postriboli pubblici e la cui presenza
sarebbe evidentemente in contrasto con la legislazione e l’atteggiamento giustinianeo.
La posizione del vescovo di Siracusa che accetta il fenomeno della prostituzione senza
combatterlo e si preoccupa di migliorare la situazione delle prostitute viene vista dal papa
come una posizione anomala, alla quale porre fine”

Quale atteggiamento assumono Stato e Chiesa di fronte al fenomeno della prostituzione?

L’atteggiamento dello Stato muta nei secoli, come si vede dai provvedimenti imperiali:
 nel IV secolo il fenomeno non viene combattuto con misure repressive sistematiche
“Nel campo invece dello sfruttamento della prostituzione femminile, gli imperatori del IV secolo
si limitano a legiferare su aspetti marginali del fenomeno, senza intaccare la sostanziale liceità
del lenocinio. Su questa indifferenza dello stato ha un peso decisivo la condizione sociale e
giuridica delle donne interessate, che prevale sulle preoccupazioni di natura etica e religiosa. Si
tratta infatti di schiave, liberte o donne di infima condizione sociale, di donne cioè la cui
sessualità non veniva tutelata dalla configurazione dei delitti di adulterium e di stuprum. Nei
confronti delle schiave che abbiano abbracciato la vita religiosa e che siano state vendute ai
lenoni, una costituzione di Costanzo II si limita a stabilire che ecclesiastici o comunque cristiani
sono i soli ai quali sia riservata la possibilità di riscattarle”.
 nel V secolo viene combattuto il reato di sfruttamento
 nel VI secolo viene rivolta maggiore attenzione al recupero delle prostitute mentre la
legislazione barbarica condanna queste ultime a pene durissime

Provvedimenti imperiali nel IV secolo:


 Costantino  condanna la prostituzione maschile nei luoghi pubblici ma non nei lupanari
 esclude dal reato di adulterio le donne che servono da bere ai tavoli nelle osterie
(popinae)
“La situazione speciale delle donne che appunto servano il vino è giustificata dal carattere
spiccatamente servile della loro attività, oltre che dalla sua contiguità con la sfera erotica
(intemperantiae = incapacità di controllarsi). A questo genere di ministrae (ministrae = coloro che
servono il vino nei bicchieri) non era concessa alcuna forma di protezione contro la pressione o
addirittura la coazione alla prostituzione, che poteva essere esercitata su di loro dai proprietari del
locale così come dagli avventori”.
 Costanzo II (figlio Costantino)  non condanna la coazione alla prostituzione persino nel caso in cui
le vittime siano fanciulle che hanno fatto voto di verginità; solo gli ecclesiastici possono riscattarle
 Teodosio  (nel 390) chiuse i virorum lupanaria (lupanarie maschili)
 condannò al rogo gli omosessuali
concesse alloggi a Costantinopoli alle prostitute povere (continuano a fare lo stesso
lavoro, ma in ambienti privati)

Provvedimenti imperiali nel V secolo:


 Teodosio II  (nel 428) condanna ogni forma di sfruttamento della prostituzione: le donne
potevano chiedere l’aiuto del vescovo o del governatore e il lenone rischiava di perdere i diritti sulle
donne o addirittura di subire una condanna al lavoro in miniera
 espelle nel 439 i lenoni da Costantinopoli
“Una politica di intervento, sia da parte della chiesa, sia da parte dei poteri pubblici, si definisce a
partire dal V secolo in ambito orientale. Il principio della verifica del consenso delle donne avviate
alla prostituzione, della presenza cioè di una coazione, come base dell’intervento repressivo dello
stato viene affermato in una costituzione del 428 di Teodosio II in rapporto allo sfruttamento della
prostituzione delle proprie figlie e schiave da parte di padri e domini.
Il principio affermato da Teodosio non riguardava specificamente la prostituzione organizzata nei
postriboli, ma geneticamente ogni forma di sfruttamento della prostituzione, a partire da quella
domestica. Le donne costrette a prostituirsi dal padre o dal padrone potevano chiedere il
suffragium del vescovo, dei governatori o dei defensores plebis, che dovevano impegnare il lenone
a recedere dal suo proposito. La costituzione teodosiana non metteva però in discussione la liceità
del lenocinio, professionale o non, come avverrà da parte dello stesso Teodosio qualche anno
dopo.
Un attacco diretto ai lenoni di professione viene lanciato invece dallo stesso Teodosio nella Novella
18, su proposta del prefetto del pretorio Florentius: viene vietato il lenocinio sul territorio della
città di Costantinopoli e i lenoni vengono espulsi dalla città dopo essere stati fustigati se non
abbiano abbandonato la professione. Preliminarmente però, lo stato rinuncia all’imposta: il
pagamento di una regolare imposta costituiva lo scudo che permetteva ai lenoni di parare gli
attacchi contro di loro, come riconosce la stessa Novella. Essi potevano cioè sostenere che la liceità
della loro attività era implicitamente riconosciuta dallo stato nell’obbligo di versare l’imposta.
Il provvedimento riguarda comunque solo Costantinopoli e l’imperatore non ne prende le mosse
per estenderlo a tutta la pars orientale, come faranno Leone e più tardi Giustiniano. È totalmente
assente dall’orizzonte del provvedimento una qualsiasi preoccupazione per la sorte delle donne
liberate dallo sfruttamento dei lenoni, delle schiave messe in libertà e delle donne libere sciolte dal
vincolo del contratto, lasciate sole in una città in cui erano presumibilmente straniere e senza
parenti, lasciando la soluzione di questi disagi all’opera dei privati e soprattutto della chiesa“.
 Leone (457-474 d.C.)  condanna i lenoni humiliores all’esilio o ad metalla (lavoro nelle miniere),
quelli honestiores alla confisca dei beni
 tutela le schiave che esercitavano la prostituzione, ma non le donne libere

Provvedimenti imperiali nel VI secolo:


 Giustiniano  (nel 535) vieta il lenocinio in tutto l’Impero e quindi non nella sola città di
Costantinopoli
 insieme alla moglie Teodora (ballerina) offre possibilità di recupero alle prostitute
mediante l’ospitalità in conventi a loro specificamente destinati
mentre la lex Visigothorum non parla di lenoni e per di più punisce le prostitute
con l’espulsione e 300 frustate
“Questo intervento va poi integrato con quello di Giustiniano e Teodora citato da Procopio, che
offre alle prostitute liberate esistenza autonoma ospitandole in un convento appositamente creato,
chiamato metanoia, la prima istituzione che si conosca, il cui scopo fosse esplicitamente il recupero
delle prostitute. L’accoglienza delle ex prostitute nel convento doveva essere formalmente basato
sulla loro libera scelta, come suggerisce il testo stesso di Procopio, ma non è improbabile che per
garantire il successo dell’iniziativa una qualche forma di pressione sia stata esercitata”.

Posizione della Chiesa nei confronti della prostituzione e delle prostitute:


 Prevale in genere un atteggiamento di freddo distacco, perché alla donna viene attribuita la
responsabilità morale senza, però, tenere conto di significative attenuanti come il disagio
economico o la povertà
 Talora la prostituzione viene persino tollerata, perchp considerata “meno” grave di reati come
l’incesto o l’adulterio (anche se già San Paolo aveva espressamente vietato tutti i rapporti
extraconiugali)
 Benchè non si possa parlare di un vero e proprio tentativo di “conversione” delle prostitute, esiste
tuttavia la possibilità di battesimo, sempre a patto che esse abbandonino la professione (in ambito
giuridico, invece, l’infamia resta)
 “Un atteggiamento di relativa tolleranza emerge soprattutto in un passo di un’opera giovanile di
Agostino, il de ordine, scritto nel 386. Prostitute e carnefici vengono affacciati da Agostino come
esempio della funzione positiva che può avere ciò che è in sé male in un sistema ordinato bene. La
prostituzione, pur censurabile sul piano morale, assolve al compito di incanalare la libido,
evitandone un incontrollato proliferare ed escludendola dall’ambito familiare (<<togli le prostitute
dalla società: gli impulsi sessuali porranno tutto in disordine; mettile al posto delle madri di
famiglia: tutto sarà preda della corruzione e della ignominia>>). Talora i Padri sono disposti ad
ammettere che la frequentazione delle prostitute è un peccato meno grave rispetto all’adulterio o
all’incesto, guardandosi però dall’esprimere una sia pur celata tolleranza.
Il luogo biblico centrare nella discussione dei Padri sulla prostituzione è la I lettera ai Corinzi: non
solo sono vietati i rapporti con prostitute, ma tutti i rapporti extramatrimoniali, e la motivazione
essenziale della proibizione non è, come nella mentalità romana, di ordine giuridico-sociale, ma è di
ordine religioso e sta nella profanazione del proprio corpo e nell’offesa a Dio al quale il corpo
appartiene”.
 Sant’Agostino, contrario alle pratiche anticoncezionali, sostiene che la prostituta, incline ad
accettare una gravidanza indesiderata e dunque disposta a non praticare l’aborto, offre
testimonianza di un intento di conversione
 Eppure sui figli delle prostitute continua a pesare come un macigno la condanna sociale
 Eppure i Padri della Chiesa non incoraggiano i matrimoni con le prostitute

b. Attori  professionisti dello spettacolo (lavorano sulla scena)


 Recitazione
 Nella prima età imperiale esistevano due forme teatrali diffuse:
1. il mimo, farsa basata su parodie mitologiche e intrecci erotici (non oscena) che prevedeva
l’esibizione di più attori insieme a danzatrici (si prendevano in giro gli dei)
2. il pantomimo, rappresentazione colta e raffinata su temi mitologici che prevedeva l’esibizione
di un solo attore
 Nella tarda antichità queste differenze tra i due generi si attenuano e tendono a mescolarsi tra
loro
 Gli spettacoli attraevano un largo pubblico, pagano ma anche cristiano, a Torino, Roma, Milano e
Cartagine nel corso del V secolo
 Salviano di Marsiglia riferisce che le invasioni barbariche nel V secolo avrebbero interrotto gli
spettacoli in Gallia e in Spagna, anche se nel secolo successivo le rappresentazioni teatrali
sarebbero riprese
 Gli attori, oltre ad essere colpiti dal marchio dell’infamia, potevano persino essere battuti con le
verghe, data la potenziale pericolosità del teatro sul piano politico
 Gli attori erano visti con diffidenza anche perché costoro mandavano in scena una finzione che
poteva però facilmente trasferirsi sul piano delle relazioni sociali reali (falsità, moralmente
sbagliato dal punto di vista cristiano, potevano fingere anche nella vita reale)
 Domiziano aveva proibito alle attrici di ricevere legati ed eredità
 Costantino giunse a negare la legittimità del matrimonio con attrici o figlie di attrici e anche la
legittimità dei figli nati da queste unioni
 Le figlie di attrici erano addirittura vincolate dalla normativa tardoantica alla professione
materna
 La tendenza costante della legislazione imperiale, almeno fino a Costantino, è quella di impedire
agli attori e soprattutto alle attrici l’accesso alle sfere dell’alta società attraverso unioni
matrimoniali
 Soltanto Giustino (zio di Giustiniano, inizio VI secolo) consentirà alle ex attrici di contrarre un
matrimonio legittimo
 Manca tuttavia ogni riferimento all’unione tra attore e una donna altolocata
 I rapporti sessuali con le attrici, alla stessa stregua di quelli con le prostitute, non sono
considerati stupro e dunque le donne che svolgono questa professione non sono tutelate
 Un ulteriore elemento di diffidenza deriva dal fatto che attorno agli attori si muove una folla di
parassiti che li riverisce e li copre di adulazioni
 Raramente gli attori saranno stati <<poveri>>, anche se non può escludersi una situazione
piuttosto variegata
“Allo stile di vita delle elites si ispirava l’apparenza scenica. Almeno sulla scena, le vesti degli
attori richiamavano il lusso dell’abbigliamento aristocratico, sollevando le reazioni di chi non
vedeva di buon occhio questa assimilazione esteriore. Proprio questa esibizione, anche solo
scenica, di ricchezza, produce invece nei ceti inferiori un misto di ammirazione ma anche di
risentito distacco, così ben descritto da Crisostomo: i poveri che vedono a teatro attrici così
riccamente abbigliate hanno ben presente che si tratta nella vita di personaggi di umile
estrazione sociale, figlie di cuochi, di calzolai o addirittura di schiavi, che però possono esibire un
lusso che essi, guadagnandosi onestamente da vivere, non possono nemmeno sognare; sono
dunque irritati nei loro confronti ma, assediati da quell’immagine seducente, anche incapaci
ormai di convivere con la mediocrità della loro famiglia. Avevano rapporti continui con il mondo
delle elites al quale non appartenevano e dal quale erano tenuti fuori da barriere giuridiche e
sociali pressocchè insuperabili, ma che non erano avvertiti come socialmente omogenei neppure
dai ceti inferiori”.
 I Padri della Chiesa non solo approvano il marchio giuridico dell’infamia, ma ne accentuano
anche la condanna morale
 Le attrici vengono addirittura assimilate alle prostitute e considerate meretrices scaenicae, per
distinguerle da quelle publicae, come se l’atteggiamento licenzioso sul piano della finzione
avesse un seguito anche nella vita privata
 Tuttavia le iscrizioni definiscono talora le attrici optimae coniuges (mogli perfette)
 Sia gli attori sia i danzatori venivano ingaggiati anche privatamente per esibizioni domestiche
nelle abitazioni di personaggi abbienti

c. Gladiatori  professionisti dello spettacolo (lavorano sulla scena)


 Recitazione
 Costantino in un editto affisso a Berito (odierna Beirut) il primo ottobre 325 sembra aver abolito
i giochi gladiatori, ma è più probabile che il provvedimento consistesse soltanto in una
sospensione dei munera («spettacoli di gladiatori») imperiali, dal momento che questo genere di
esibizioni effettivamente continuò nel corso del IV secolo.
 L'abolizione avvenne probabilmente nel 404 ad opera di Onorio, ma fu ribadita nel 434/435 da
Valentiniano III
 Chi erano i gladiatori?
 Sicuramente prigionieri barbari come i Sassoni e i Sarmati
 I condannati che venivano preparati con un addestramento specifico
 I volontari che dietro pagamento svolgevano una libera professione
 I gladiatori erano esposti all'infamia, erano esclusi dai rapporti matrimoniali con l'élite ed
erano persino esonerati dal pagamento delle tasse perché il loro denaro «grondava sangue».
 I gladiatori erano oggetto di desiderio da parte del pubblico femminile e di ammirazione da
parte di quello maschile ma rimanevano sempre «fisicamente separati» dal resto della
società, poiché abitavano nelle caserme con le loro donne e i loro bambini

Capitolo 4b. Le professioni proibite: indovini, maghi, astrologi

 La divinazione viene praticata dagli indovini (vaticinatores) ed è l’arte di prevedere il futuro


attraverso i segni divini.
 L'aruspicina è una particolare forma di divinazione nella quale la predizione del futuro avviene per
mezzo dell'esame delle viscere degli animali sacrificati.
 La magia, che è la pratica capace di agire sulla natura o sull'uomo per modificarli, si distingue in:
 salutare o metereologica o rurale, praticata dai magi e finalizzata alla cura di disturbi fisici e/o
psichici.
 nera, praticata dai malefici o venefici
 L'astrologia viene praticata dai mathematici, cioè dagli «astrologi» che formulano gli oroscopi
 Tiberio nel 17 d.C. aveva condannato indovini, maghi e astrologi all'esilio, se cittadini romani, e a
morte, se stranieri.
 In età giulio-claudia e flavia (I secolo d.C.) furono espulsi da Roma e dall'Italia i mathematici, cioè gli
 astrologi.
 Antonino Pio e Marco Aurelio (II secolo d.C.) colpiscono con provvedimenti repressivi gli indovini
(vaticinatores) perché considerati personaggi fraudolenti.
 I Severi (fine Il-inizi III secolo d.C.) riprenderanno la condanna di Tiberio.
 Alla fine del III secolo la magia verrà punita con la condanna ad metallum, con la crocifissione o con
la condanna allo sbranamento.
 Costantino dapprima consente lo svolgimento dei riti del collegio degli aruspici, ma poi, dopo la
vittoria su Licinio nel 324 d.C., proibisce le pratiche divinatorie legate all'extispicium, cioè all'esame
delle viscere (exta), soprattutto del fegato.
 Costante nel 341 si richiama alla costituzione del padre concernente la proibizione dei sacrifici.
 Costanzo II, anche lui in linea con la condotta paterna, proibisce a sua volta la consultazione degli
aruspici, degli astrologi e di ogni genere di indovini, minacciando la pena di morte per costoro e
anche per i loro clienti.
 Teodosio condanna definitivamente le pratiche divinatorie legate al sacrificio e all'extispicium.
 La lex Visigothorum riprende la costituzione di Costanzo II e condanna magi e malefici.
 Dalla Mathesis di Firmico Materno (IV secolo) è possibile tuttavia comprendere come i severi
provvedimenti imperiali probabilmente non trovassero un'applicazione estensiva e continuata,
poiché la vera repressione avveniva contro le pratiche magiche ritenute sospette e pericolose (cioè
quelle legate alla magia «nera»), mentre indovini, astrologi e operatori di magia salutare erano
talora persino tenuti in buona considerazione o comunque abbastanza tollerati
 In due casi Ammiano Marcellino (330-400 d.C.) riferisce di persecuzioni contro pratiche magiche
laddove queste potessero mettere in pericolo l'ambiente della corte imperiale e si configurassero
come reato di lesa maestà.
 Sempre Ammiano riferisce che la magia «nera» fu oggetto di persecuzione persino sotto
l'imperatore «apostata» Giuliano (361-363 d.C.).
 Ammiano Marcellino, inoltre, documenta sotto Valentiniano I (364-375 d.C.) alcuni processi che
coinvolsero esponenti dell'aristocrazia romana e che videro la condanna di maghi e indovini, anche
se le pratiche divinatorie particolarmente stigmatizzate erano quelle ritenute più misteriose e più
sospette, potenzialmente malefiche perché legate alla magia «nera». Ciò dipese probabilmente dal
fatto che gli aruspici in pubblico si attenevano alle procedure depositate nei loro libri sacri, mentre
in privato erano aperti a pericolose contaminazioni con la magia.
 Il fratello Valente (364-378 d.C.), invece, in Oriente ebbe come principale bersaglio l'astrologia.
 L’avversione di Valente nei confronti dell'astrologia costituisce un'avvisaglia dell'atteggiamento
assunto di li a poco da Agostino, il quale dapprima nelle Confessiones, in relazione al 384 d.C.,
definirà vani gli oroscopi e l'astrologia; in séguito, agli inizi del V secolo, manifesterà il desiderio che
i libri di astrologia vengano mandati al rogo.
 Valentiniano III nel 425 riprenderà l'antico provvedimento tiberiano ed espellerà i mathematici da
Roma e dalle altre città.
 L'ostilità dei Padri della Chiesa non riguarda soltanto gli astrologi, ma anche maghi e indovini,
soprattutto a partire dal VI secolo d.C.:
 Cesario d'Arles condanna l'uso di amuleti e i consulti richiesti a maghi e indovini.
 Gregorio Magno ritiene che gli indovini vadano fustigati se schiavi, rinchiusi in carcere se liberi.
 Chi praticava la magia e la divinazione?
 I professionisti con specifiche e approfondite conoscenze di queste arti
 Gli schiavi
 I mendicanti
 I Giudei
 Gli aurighi
 Le donne
“Infine, un ruolo di un certo rilievo tra i professionisti della magia era attribuito nelle fonti
occidentali tardoantiche alle donne, pur certamente senza raggiungere l'ampiezza e la coerenza
tematica della figura della maga nella letteratura e soprattutto nella poesia precedente. Ma
Agostino riferisce la diceria, che egli ha udito quando si trovava in Italia, che vi erano, in qualche
parte del paese, ostesse capaci, novelle Circi, di trasformare gli uomini in animali attraverso
sostanze mescolate al formaggio e Gregorio di Tours narra che la regina Fredegundis, convinta
che suo figlio Teoderico fosse morto per un maleficio organizzato dal praefectus Mummolus,
fece sottoporre a tortura delle donne di Parigi, sospette evidentemente di magia”.

 Da chi era composta la clientela di maghi e indovini?


 I senatori
 Gli schiavi inviati dagli stessi senatori
 Il personale servile presente nelle comunità ecclesiastiche
“Gregorio di Tours racconta infatti che i suoi servi si rivolsero, naturalmente all'insaputa del loro
dominus, ad un guaritore, per ottenere la guarigione di un puer. Un caso analogo è raccontato a
proposito della moglie di un colono di Gregorio, di nome Serenatus, che, colpita da un
improvviso mutismo, fu curata, naturalmente senza successo, nella narrazione di Gregorio
stesso, dagli arioli.”
 I contadini, poiché nelle campagne sono particolarmente radicate le pratiche magiche connesse
a culti di alberi e di fonti con relativi altari e tempietti (che Cesario d'Arles inviterà infatti a
distruggere)
 I criminali, che ricorrono a maghi e indovini per essere rassicurati poiché vivono nel continuo
timore di essere scoperti
 Quali strumenti adopera la Chiesa per reagire efficacemente contro magia e divinazione?
 Il culto dei santi e delle loro reliquie, considerato un mezzo potente contro il maleficio dei demoni
 La preghiera
 Il segno della croce
 Ma … in àmbito cristiano si diffondono forme ambigue pericolosamente affini alle
 pratiche magiche
“Accanto alle reliquie dei santi, tutti i cristiani hanno contro i demoni l'arma della preghiera, ma
anche il segno della croce. Si diffondono però in ambito cristiano forme ambigue di protezione dai
poteri diabolici che hanno in qualche misura caratteristiche magiche, la cui diffusione è promossa
anche da una parte del clero, nonostante le ripetute condanne della chiesa, come i filatteri con
segni cristiani o con frasi tratte dalle Scritture o le cosiddette sortes sanctorum. Alcuni chierici però
non si limitano a diffondere amuleti cristiani o a compiere pratiche divinatorie ispirate al culto dei
santi, ma sembrano coinvolti in pratiche più dichiaratamente magiche come la misteriosa canterma
in cui il vescovo di Siracusa-Maximianus trova coinvolti alcuni dei suoi chierici”.

PARTE SECONDA

I criminali

Capitolo 5. I ladri

A. Figura giuridica e sociale


 Il concetto giuridico di furtum ha subito una complessa evoluzione e si è progressivamente
arricchito di significati:
 Sottrazione materiale di un bene mobile al legittimo possessore
 Comportamento doloso che causa un danno ad un possesso altrui
 Il danno e il dolo
 L'appropriazione indebita di una cosa che si trova già in possesso del reo in deposito (per essere
custodita) o in comodato (per essere adoperata)
 Il fur è un criminale che non fa uso sistematico della violenza, che agisce con l'inganno e di
nascosto, a differenza del raptor («rapitore») e anche del latro («brigante»).
 Il fur può talora essere armato, ma solo a scopo difensivo.
 Il fur, in genere, agisce da solo e non possiede complici, salvo qualche collaboratore occasionale,
reo dunque di favoreggiamento.
 Il fur, in genere, è di estrazione sociale bassa, anzi spesso appartiene alle fasce più povere della
popolazione libera o è di condizione servile
“L'estrazione sociale dei ladri, che provenivano spesso dalle fasce più povere della popolazione
libera e dagli schiavi. L'attività stessa del rubare viene poi considerata come produttiva di
autoemarginazione: il ladro che agisce nel buio e nel silenzio compie una scelta di annullamento
della propria identità sociale inibendosi l'uso dei comuni canali della comunicazione umana”.

B. Ambienti e tecniche del furto

Il furto in ambito urbano


1. luoghi pubblici
 bagni
 Agisce in questi luoghi il fur balnearius, che compie in genere furti di piccola entità (capi
d'abbigliamento, calzature, ma non denaro)
 Agli inizi del III secolo d.C. la pena prevista è la condanna ai lavori forzati in opere pubbliche
 Tra fine III e inizi IV secolo d.C. la pena si inasprisce con la condanna ad metallur
 Dopo il IV secolo, i codici non menzionano più il reato, forse per l'intensificarsi della sorveglianza
con l'istituzione di una figura, il capsarius, una sorta di "guardarobiere"
 cauponae («locande»)
 Le cauponae erano alberghi e luoghi di ristoro, "locande", e si distinguevano in popinae (cioè
"osterie" dove si serviva vino) e tabernae (cioè "trattorie" dove si servivano pasti).
 Gli ospiti, in genere, affidavano in deposito i propri averi al padrone del locale, anche se questo
sistema non offriva garanzie assolute di fronte all'eventualità di un furto.
 I Padri della Chiesa non vedevano di buon occhio le "locande", non tanto per la potenziale
presenza di ladri, quanto piuttosto per le cattive frequentazioni, ossia ubriaconi e donnacce
(tabernariae) che servivano ai tavoli ma erano disposte anche a fornire prestazioni sessuali.
 fori (piazze)
 Nelle piazze cittadine, luoghi molto frequentati, operavano varie tipologie di ladri:
o gli eversores ("teppisti")
o il sector zonarius ("tagliaborse")
o i ladri di opere d'arte (ad es. statue di pregio) che spesso adornavano le pubbliche piazze
 templi e chiese
 I ladri di arredi sacri si chiamavano sacrilègi e il loro reato è detto sacrilegium (da cui l'italiano
"sacrilegio" con slittamento semantico).
 Le condanne previste per il furto nei templi pagani erano severissime: rogo, sbranamento e
impiccagione.
 Le condanne previste per il furto nelle chiese cristiane erano meno dure e talora contemplavano
il perdono
“Nelle fonti occidentali tardo antiche si fa menzione invece quasi esclusivamente di furti ai danni
delle chiese. In un'opera attribuita a Giovanni Crisostomo, si commina al ladro sacrilego lo stesso
periodo di scomunica del ladro comune, tre anni. Basilio di Cesarea, a proposito di ladri sorpresi
a rubare in chiesa mantelli custoditi per le distribuzioni ai poveri, dice che i vestiti vanno
recuperati, ma i ladri solamente ammoniti, poiché è convinto che basti il timore di un giudizio
più duro a renderli migliori. In una lettera di dubbia attribuzione a Gregorio Magno affiora una
maggiore severità, ma solo entro certi limiti: chi ruba per bisogno riceverà qualche frustata, chi
invece non è povero sarà multato nei suoi beni.”

2. ambienti privati
 abitazioni
 I furti nelle case erano effettuati dai directarii («ladri d'appartamento»):
o agivano di notte e di soppiatto
o senza praticare scassi
o soprattutto nelle insulae (edifici lignei a più piani, fatiscenti) e nei quartieri degradati (nelle
ricche domus in muratura dei quartieri "alti" era invece molto difficile praticare furti, poiché
esse erano sorvegliate da un ostiarius o ianitor, portinaio", e da un feroce cane da guardia)
 magazzini e depositi
 I furti nei magazzini e nei depositi (horrea) erano effettuati dagli effractores ("'sfondapareti",
"scassinatori"):
o rubavano derrate alimentari e/o beni preziosi
o spesso erano armati e pericolosi

Il furto in ambito suburbano


1. tombe isolate
2. aree cimiteriali
 Questa tipologia di ladri, i sepulchri violatores, praticavano due attività:
 furto di ornamenti, di lastre di marmo e dei corredi funerari (suppellettili di pregio)  represso
da Costanzo II nel 357 d.C
 spoliazione di cadaveri (reato già represso da Settimio Severo), persino ad opera di membri del
clero  condannati da Valentiniano III
3. campi
 Si tratta in genere di ladri vagabondi.
 La refurtiva solitamente consisteva in poca frutta raccolta dagli alberi, anche se agli occhi di
Agostino questo tipo di furto rimaneva un reato indipendentemente dal modesto valore dei beni
rubati
“Colui che, per esempio, asporta trutta matura dall'albero, indipendemente dalla quantità di frutta
asportata e dalla sua utilizzazione, si rende colpevole di furto. La rigidità di questa mentalità aiuta a
comprendere l'atteggiamento di Agostino di fronte al furto di frutta che, quando era adolescente,
egli e suoi amici avevano compiuto per fare una bravata. L'entità presumibilmente modesta del
furto non ha alcuna incidenza nella valutazione della gravità sul piano morale dell'atto: per la legge
di Dio e quella romana si tratta senza dubbio di un furtum. Semmai il bisogno poteva costituire, agli
occhi di Agostino, una circostanza attenuante. “
 Particolarmente severa era la lex Burgundionum (517 d.C.) in caso di furto di grano.
4. orti
 Si tratta prevalentemente di furti commessi ai danni dei monasteri.
 I ladri agiscono sia di giorno sia di notte, in genere per soddisfare bisogni alimentari immediati
“La narrazione di questo genere di furti che si conclude con la miracolosa punizione del ladro, la
relativa floridezza degli orti dei monaci che li espone all'attenzione dei vagabondi e dei poveri del
vicinato. Il fatto che, sia pure miracolosamente, i fures di uno dei due episodi del genere narrati nei
Dialogi di Gregorio Magno vengano trovati la mattina dai frati a vangare l'orto. Il furto avviene in
pieno giorno o di notte, con effrazione in genere della siepe che circonda l'orto, e serve in genere a
soddisfare immediati bisogni alimentari, come in genere alla fine della narrazione di questi episodi
riconosce la generosità del monaco, che dona con abbondanza ortaggi al ladro pentito. Questa
morale, che mette in evidenza la carità e la buona pedagogia dei santi monaci nei confronti dei
bisognosi che in una maniera o nell'altra gravitano attorno alle loro terre, mette in ombra le ragioni
di carattere socio-economico che spingevano al furto e non piuttosto alla richiesta di aiuto
caritatevole, cioè che gli ortaggi prodotti dai loro orti, che dovevano servire principalmente
all'alimentazione dei monaci, non potevano soddisfare illimitatamente le esigenze alimentari di
questi bisognosi”.
 I monaci sono comunque propensi ad adottare un atteggiamento generoso e incline al perdono.
 La lex Burgundionum (517 d.C.) prevede invece un risarcimento di 3 solidi (monete d'oro) e una
multa di 6 solidi, ma senza pene corporali, anche per i furti nei vigneti. Se, però, il custos vineae
sorprende il ladro di notte e lo uccide non subirà alcuna punizione
5. bestiame
 Si tratta del reato di abigeatus commesso dagli abigèi e consistente nel furto organizzato di
bestiame (in genere molti capi e di grossa taglia) da parte di bande armate.
 Il giurista Ulpiano nel III secolo d.C. definisce, infatti, abigei i ladri di buoi e cavalli, anche se il
termine può talora indicare il furto di un singolo animale: è considerato un reato contro gli
allevatori
 Non sono invece considerati abigei coloro che si impossessano di bestiame disperso; il furto di
bestie da soma come muli o asini non è considerato abigeato ma reato ai danni degli agricoltori
 Con l'espressione atrox abactor si intende il reo di abigeato aggravato, organizzato in bande di
professionisti armati.

Provvedimenti imperiali contro l'abigeato

 Sotto Traiano la pena prevista era 10 anni di esilio.


 Sotto Adriano sempre 10 anni di esilio, ma nei casi più gravi veniva comminata anche la pena di
morte.
 Sotto Valentiniano I l'abigeato, molto diffuso in Spagna e in Italia centromeridionale, è oggetto dei
seguenti provvedimenti tra il 364 e il 365 d.C.:
 viene vietato a tutti l'uso del cavallo eccezion fatta per i senatori, i governatori, i consiglieri
municipali e i veterani.
 alla corporazione dei suarii viene dapprima proibito l’uso del cavallo, poi concesso ma viene
prospettato il rischio del sospetto e infine concesso senza limitazione alcuna.
 Sotto Onorio nel 399 viene ribadita la proibizione dell'usus equorum nell'Italia centrale.

Altre testimonianze non giuridiche sull'abigeato

 Cassiodoro (485-580 d.C.) riferisce che nei regna romano-barbarici gli autori del furto di bestiame
non sarebbero stati i briganti ma gli stessi rustici.
 Nelle fonti agiografiche, dedicate, cioè, alle Vite dei Santi, si accenna a piccoli furti occasionali a
séguito dei quali, però, il ladro si pente e restituisce il bestiame rubato perché la proprietà dei Santi
ricade sotto la protezione di Dio stesso.

C. Identità sociale
 Chi sono?
 giovani scapestrati e non realmente bisognosi
 coloni («contadini»)
 chierici
 monaci
 ma soprattutto
 servi: vengono puniti dai loro padroni, anche se talora sono gli stessi padroni a istigare i propri
schiavi a delinquere, sia da soli sia in combutta con persone di condizione libera
 indigenti: nei loro confronti, poiché sono spinti dal bisogno, Gregorio Magno invita alla
tolleranza e alla mediazione fra indulgenza e repressione

D. Il rapporto con la società


 Come sono?
 sono avidi
 amano il lusso
 agiscono di notte (le tenebre sono anzi spesso sinonimo di peccato)
 vivono costantemente nella paura (prima, durante e dopo il reato)
 dichiarano il falso
 sono spergiuri
 possono fare ricorso alla violenza
 Quali sono le reazioni della società?
 reagisce sia mediante difesa preventiva (il privato che coglieva un ladro in flagranza di reato era
legittimato ad ucciderlo senza incorrere in una condanna per omicidio)
 reagisce sia mediante il ricorso a maghi, indovini e astrologi, le cui arti erano ritenute capaci di
svelare l'identità del ladro

E. Il rapporto con lo Stato


 Quali sono le reazioni dello Stato?
 reagisce sia mediante penalizzazione del furto
o In età tardo-repubblicana (II-I secolo a.C.) la punizione riservata al ladro consiste in
un’ammenda a vantaggio del derubato.
o Sotto Antonino Pio (II secolo d.C.) è previsto o il risarcimento o la restituzione della refurtiva e
vengono definiti furta modica tutti quelli non puniti con la morte e la confisca dei beni.
o In età severiana (fine Il-inizi III d.C.):
 i fures diurni vengono rinviati a giudizio mentre i fures nocturni vengono puniti a discrezione
del governatore provinciale
 si distingue tra un furto semplice, sottoposto a un procedimento civile, e un furto aggravato,
sottoposto ad un procedimento penale
 la pena di morte è in genere limitata agli humiliores, mentre agli honestiores viene riservata
la deportatio in insulam (condanna al confino su un'isola)
 la condanna più frequente è costituita dai lavori forzati nelle miniere o da altri lavori pubblici
a discrezione del giudice
 in genere non era prevista la detenzione in carcere, ma la fustigazione con i bastoni (fustes)
per i liberi, con la sferza (flagellum) per gli schiavi
o Deportatio:
 divieto di allontanarsi dall'isola
 perdita della cittadinanza
 perdita dei beni
 perdita della potestas sui figli
 annullamento del matrimonio
 invalidazione del testamento sigillato dopo la condanna
 la deportatio era in perpetuum («a vita») e, se il deportato tentava la fuga, la condanna si
mutava in poena capitis («pena capitale»)
o Relegatio
 divieto di allontanarsi dall'isola
 mantenimento della cittadinanza
 mantenimento dei beni
 mantenimento della potestas sui figli
 validità del matrimonio
 se la condanna era ad tempus («temporanea») e il relegato tentava la fuga, la condanna si
mutava in perpetuum
 se la condanna era in perpetuum e il relegato tentava la fuga, la condanna si mutava in
deportatio
o Secondo la legislazione burgunda il privato ha piena libertà di effettuare le ricerche del ladro,
anche sulla base di denunce private, ma deve consegnarlo alla pubblica autorità per il giudizio
e la condanna.
o Occorre distinguere fra la legislazione che si applicava ai sudditi romani nei regna romano-
barbarici e quella che si applicava ai sudditi barbari, anche se vi sono numerosi elementi in
comune, come la pena di morte e la fustigazione che colpiva solo gli schiavi nel diritto
burgundo e in quello franco e sia schiavi sia liberi nel diritto visigotico.
o Per il furto di bestiame di grossa taglia la pena di morte era inflitta sia ai sudditi romani sia ai
sudditi burgundi.

 reagisce sia mediante repressione poliziesca


o Un efficace servizio di polizia urbana è attestato a Roma, Costantinopoli e Ravenna.
o In particolare a Roma in età augustea vi erano sette coorti di vigili, composte di 1.000 uomini
ciascuna e comandate dal praefectus vigilium, cui si aggiungevano tre coorti urbane di polizia
diurna comandate dal praefectus Urbi.
o Nel IV secolo le coorti urbane vennero sostituite dai contubernales, mentre meno chiara è la
sorte dei vigiles, forse destinati a formare dei corpora antiincendio.
o In ambito extraurbano il controllo dei furti era affidato agli stationarii dell'esercito e ai
magistrati municipali come gli irenarchi, che nell'area orientale dell'Impero si occupavano di
reprimere anche il brigantaggio. Nell'area occidentale, invece, non sono attestati funzionari
con specifici compiti di polizia, soprattutto sul territorio e lungo le vie di comunicazione.
F. Il rapporto con la Chiesa
 Quali sono le reazioni della Chiesa?
 reagisce sia mediante la condanna del furto come <<peccato>>
o Secondo Agostino il furto andrebbe aggiunto ai tre peccati mortali (omicidio, fornicazione,
idololatria), anche se viene comunque considerato meno grave e talora viene persino
giustificato dalle condizioni di povertà, poiché spesso è la necessitas a generare i fures.
o Nella valutazione del furto come peccato per i Padri della Chiesa non entra in gioco il valore
della cosa rubata.
o Secondo Gregorio Magno il povero che ruba ha diritto a ricevere penitenze meno severe di
quelle toccate al ricco che ruba.
o Il vescovo può anche collaborare con lo Stato, da una parte condannando il reato di complicità
e favoreggiamento, dall'altra convincendo il ladro a restituire la refurtiva.
 reagisce sia mediante la funzione giudiziaria e arbitrale del vescovo
o A partire da Costantino vengono riconosciuti ai vescovi compiti giudiziari alternativi rispetto
alla giustizia
o ordinaria, secolare: si tratta dell'istituto dell'episcopalis audientia.
o Il vescovo interpellato in materia di furto preferiva in genere una composizione extragiudiziale
che prevedeva l'impegno da parte del ladro a restituire la refurtiva.
o Qualora invece il furto fosse stato commesso ai danni della Chiesa, il vescovo si riservava di
decidere in maniera autonoma.
 reagisce sia mediante l'intercessio del vescovo
o L'intercessio consisteva in una forma di pressione esercitata dal vescovo sui giudici secolari in
un tentativo di mediazione fra le parti
“Dal contesto emerge che il vescovo di Ippona si riferisce a ladri giudicati in tribunale che si
sono posti sotto la protezione della chiesa, il cui intervento ha prodotto la rinuncia da parte del
giudice alla condanna del reo, evidentemente confesso, sia sul piano civile, sia su quello
penale, anche per l'atteggiamento della parte lesa, che è stata convinta rinunciare alla vindicta
in cambio dell'impegno da parte del ladro alla restituzione. La mediazione della chiesa esercita
in questo caso da una parte una pressione su ladro per ottenere la restituzione della refurtiva,
o il pagamento del suo valore, ai derubati, dall’altra invita questi ultimi, pur non disconoscendo
il loro diritto di costringere il reo alla restituzione, ad un atteggiamento equilibrato e
caritatevole”.
o Era necessario sempre un confronto aperto fra giudice e vescovo e all'intercessio poteva
seguire da parte del reo anche la richiesta di asilo alla Chiesa.

Capitolo 6. I briganti

 Il banditismo si presenta come un fenomeno duplice:


 parliamo di «pirateria» qualora il teatro delle azioni criminali fosse il mare
 parliamo di «brigantaggio» qualora il teatro delle azioni criminali fosse la montagna
 In latino il brigante è indicato col termine latro, cioè l'individuo che ruba armato, è incline alla
violenza (anzi
 gode dello spargimento di sangue), è pronto ad uccidere anche per un magro bottino, opera in
àmbito extraurbano e in genere è organizzato in bande più o meno numerose (da 4 fino a 12 o
anche qualche decina di elementi, raramente si trovano individui isolati).
 Nell'Occidente tardoantico:
 non si riscontrano personaggi con tratti tipici del banditismo «sociale» (cioè alla «Robin Hood»),
che rubano ai ricchi per donare ai poveri.
 in genere non attaccano i villaggi, ma si appostano lungo le strade solitarie (o meglio nei
deverticula) o anche intestano le aree suburbane e soprattutto i boschi e i monti; frequentano
luoghi malfamati come le osterie.
 vengono contrastati a partire dal IV secolo dai governatori provinciali, ma non ci sono corpi
speciali o specifiche magistrature come in Oriente preposti alla repressione del brigantaggio;
anche i privati provvedevano spesso da soli ad armarsi per difendersi
“Se il brigantaggio comune era costituito da piccole bande che si accontentavano
ordinariamente di bersagli modesti, i briganti non dovevano essere generalmente ben visti
anche dai ceti inferiori della societa. Gregorio di Tours, per esempio, racconta di un brigante
impiccato fra gli insulti e le urla ostili della popolazione, che si oppone compatta al tentativo di
un santo monaco di ottenerne salva la vita. Un caso diverso è quello narrato da Sulpicio Severo
nella Vita di Martino di Tours che ritrova, non lontano dalla città, un sepolcro onorato come la
sepoltura di un martire, che egli invece prodigiosamente scopre essere la sepoltura di un
brigante giustiziato, ponendo fine a quel culto usurpato. Con grande finezza ha analizzato
l'episodio Andrea Giardina, interpretandolo come un esempio significativo della venerazione
popolare di un bandito appartenente presumibilmente al movimento bagaudico”.
 Le principali aree di diffusione del brigantaggio in area occidentale sono:
 L'Italia centro-meridionale
 L'area suburbana di Roma
 La Sicilia
 L'area alpina
 La Gallia
 La Spagna
 La Dalmazia
 La Tracia
 L'Africa
 Chi sono i briganti?
 Disertori (che abbandonano l'esercito per darsi alla macchia, transfugae spesso protetti da
complici: nel 383 vengono puniti i possessores che danno ospitalità ai desertores; una
costituzione di Onorio del 406 assimila desertores e latrones e consente di uccidere
impunemente il disertore che tenta di resistere alla cattura)
 Schiavi fuggiaschi
 Pastori (nella cui attività si intersecano brigantaggio e abigeato)
 Soldati (una costituzione del 353 reprime il brigantaggio dei veterani, cioè dei soldati congedati)
 Poveri (anche se molto raramente)
 Quali sono i tratti caratterizzanti del brigante?
 Violenza sanguinaria (i cadaveri dei viandanti uccisi dai briganti venivano abbandonati lungo le
strade)
 Ricerca di un bottino
 Rapimento e richiesta di riscatto
 Il brigante:
 Non è un violentatore
 È coinvolto nel mercato degli schiavi
 Preferisce la notte (che nei Padri della Chiesa evoca il peccato e il diavolo): una costituzione di
Teodosio del 391 garantisce l'impunità a colui che di notte uccide un brigante
 È coraggioso
 È solidale nei confronti dei compagni (cfr. p. 390 Neri)
 Può contare su una rete di complicità necessaria per sfuggire agli inseguitori e vendere il bottino
 La Chiesa ha un atteggiamento di estrema durezza nei confronti dei briganti:
 Agostino approva la legge che consente di uccidere i briganti impunemente
 Girolamo dice che è auspicabile la loro mutilazione
 I casi di conversione di briganti sono molto rari
“Nell'agiografia occidentale non ci sono ex briganti divenuti poi santi monaci o eremiti, ma
anche i casi di conversione di briganti sono rari. Ricordiamo anzitutto nella Vita Martini di
Sulpicio Severo la conversione di uno dei briganti che lo avevano preso prigioniero sulle Alpi.
Gregorio di Tours racconta di un brigante impiccato e poi raccolto miracolosamente incolume e
portato al convento da un monaco che aveva tentato con tutte le sue forze di opporsi
all'esecuzione”.
 Lo Stato assume un atteggiamento feroce nei confronti dei briganti:
 Vengono crocifissi, bruciati, impiccati o condannati allo sbranamento dopo essere stati torturati
per estorcere loro i nomi dei complici
 A partire da Valentiniano I vengono esclusi dalle amnistie regolarmente concesse a Pasqua
 I Bagaudae (dal celtico bag, «combattimento», quindi «combattenti») non costituiscono un
fenomeno di brigantaggio secondo Valerio Neri, bensi espressione di una guerriglia indipendentista
che si richiamava alle tradizioni militari celtiche e manifestava insofferenza contro lo Stato romano
e contro le genti germaniche: l'identità politico-culturale celtica era la scelta di una terza via non
romana né germanica.

Capitolo 7. I detenuti

A. Il carcere

B. I lavori forzati

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