INTRODUZIONE
La “marginalità” è un’area costituita da individui e gruppi che, pur facendo formalmente parte di
una determinata società (sono puntini appartenenti alla circonferenza di un cerchio), non sono di
fatto integrati (o lo sono solo parzialmente) nel sistema sociale, ossia in quel sistema organizzato di
relazioni interpersonali, istituzioni politiche e giuridiche, valori morali in cui si riconoscono invece
quegli individui e quei gruppi dotati di una precisa collocazione e caratterizzati da un forte senso di
appartenenza
In passato si tendeva a distinguere fra “marginalità” ed “emarginazione”, cioè fra una condizione di
isolamento come la posizione di mendicante, vagabondo, prostitute, e un comportamento
intenzionale di esclusione che rivela una volontà; oggi i due termini sono in genere considerati
equivalenti e vengono adoperati per indicare vari livelli di “periferizzazione” sociale
Neri non trova sociologi nel mondo romano e adopera vari testi di sociologi moderni e
contemporanei per capire i loro apporti alla possibilità di studiare il mondo antico
Esiste uno stretto rapporto fra povertà ed emarginazione sociale: la povertà è una situazione
multidimensionale che associa al problema del reddito economico anche altre forme di disagio, sia
etnico e culturale sia fisico; esiste il binomio povertà-malattia, nel senso che la povertà può
produrre malattia ma la malattia (oggi la malattia mentale o l’AIDS come nel mondo antico la
lebbra) può a sua volta generare esclusione. Chi non si alimenta bene è più soggetto a contrarre
una malattia. Gli stati di denutrizione o malnutrizione spalancano le porte ad una patologia. Anche
il rovescio, se si contrae una malattia e si ha il denaro si può guarire, viceversa no.
La povertà si traduce in un atteggiamento ambivalente: o in un atteggiamento rinunciatario e
fatalistico (chi si lascia andare ad esempio) o in un atteggiamento di rifiuto e ribellione attraverso le
scorciatoie dell’illegalità (chi si da al furto ad esempio)
I lavoratori precari, quelli sottopagati o i disoccupati manifestano una tendenza alla devianza,
termine che indica ogni forma di comportamento soggetto ad un’ampia disapprovazione sociale;
rientrano in questa definizione anche le professioni semiclandestine o illegali socialmente
stigmatizzate (ad esempio prostitute ed attori della Roma antica)
La “marginalità”: gli apporti del pensiero storiografico medievistico e modernistico (non antichistico)
Generici riferimenti a ceti inferiori e a poveri si trovano in Alfoldy, Garnsey-Saller, Veyne, ma non si
tratta di studi dedicati ai “marginali”
Maggiore attenzione è riservata ad alcuni gruppi (filosofi, astrologi, briganti, cristiani) da Mac
Mullen, sebbene essi siano concepiti come esclusivamente conflittuali rispetto all’ordine costituito
Quasi esclusivamente alla povertà nella parte orientale dell’Impero è dedicato il volume
fondamentale di Patlagean
Più utili i risultati di un Convegno tenutosi a Graz (località dell’Austria) nel 1987, specificamente
dedicato alla marginalità nel mondo antico: marginali sono i portatori di handicap (ciechi, storpi,
folli), individui senza reddito (mendicanti, vedove, orfani), persone che svolgono attività
condannate (prostitute, attori, gladiatori, maghi), gli stranieri, i gruppi non sedentari (pastori,
schiavi, fuggiaschi, esiliati), le minoranze religiose (cristiani prima di Costantino, eretici)
Gli apporti forniti dal pensiero sociologico moderno e da quello storiografico consentono di enucleare (=
individuare) i seguenti gruppi di “marginali”:
Queste sono le categorie suggerite dagli studi sociologici. Ma Neri stringe ancora la cernita, perché di
alcune categorie non è ancora convinto e quindi parla di:
Neri: “Ho riflettuto a lungo circa l’inserimento, nel quadro della marginalità oggetto di questa
ricerca, dei malati mentali. La grande svolta nell’atteggiamento della società rispetto al malato
mentale si compie, secondo la ben nota tesi di Foucalt, nei secoli XVII e XVIII, nei quali il folle viene
definitivamente separato dalla società e rinchiuso negli ospedali, in quanto la follia viene
considerata una dimensione irrimediabilmente patologica priva di ogni possibilità dialettica con la
normalità della ragione.
Non v’è dubbio che nel mondo romano la famiglia costituiva un ambito di segregazione, ma anche
di protezione, del malato di mente nei confronti del complesso della società: il folle non perdeva i
suoi diritti familiari e patrimoniali, anche se non poteva renderli operanti per il periodo o i periodi
del suo furor = follia, ma chi ne assumeva la cura era obbligato ad assisterlo.
È facile pensare che questa scelta fosse più frequente nei ceti economicamente svantaggiati, dal
momento che non solo che il carico economico era per essi più gravoso, ma non avevano la
possibilità di sottrarsi alla fatica della convivenza, pur senza giungere all’abbandono, segregando il
malato in una dimora separata e affidandolo alle cure di personale dipendente. Per queste
considerazioni ho ritenuto dunque di non dedicare una trattazione specifica ai folli, accostandoli
alle altre figure di emarginati oggetto di questa ricerca.
Da ultimo bisogna ricordare che il carcere era luogo di detenzione anche per i malati mentali
considerandoli socialmente pericolosi, soprattutto se avevano già commesso crimini, che non
fossero accettati dalle famiglie, con conseguenze immaginabili. Già Antonino Pio, in un rescritto (=
legge, risposta ad una domanda) citato da Ulpiano, aveva stabilito che i folli, si non possint per
necessarios contineri (= qualora non possano essere tenuti sottocontrollo dai parenti), dovevano
essere detenuti in carcere.”
La ricerca copre i secoli dal III al VI/VII e riguarda la parte occidentale dell’Impero
PARTE PRIMA
Capitolo 1. I mendicanti
Fonti relative:
Girolamo (347-420 d.C.) riferisce che Pammachio, dopo aver sposato nel 385 Paolina, morta di
parto nel 387, si fece monaco e fondò con Fabiola un nosocomio presso la foce del Tevere in sua
memoria per distribuire straordinarie elemosine
Gregorio di Tours (538-594 d.C.) racconta di una madre del territorio di Bourges che aveva
partorito un bimbo deforme, rifiuta di ucciderlo e di esporlo, resiste alla derisione dei vicini e lo
nutre per anni come se fosse un bambino sano, quando diventa grande lo affida ad una
compagnia di mendicanti, accettando con rassegnazione la dura logica del bisogno
Il Codex Theodosianus riporta una costituzione emanata nel 382 da Graziano e Valentiniano II,
indirizzata al prefetto urbano Severo, nella quale sollecitavano denunce contro i mendicanti validi
che, previo un accertamento delle loro effettive condizioni di salute, dovevano essere attribuiti
come schiavi o come coloni
I Padri della Chiesa manifestano in genere ostilità nei confronti dei mendicanti validi, anche se
costoro non vanno esclusi dall’elemosina (una compagnia di vecchi mendicanti vagabondi, ricevuti
da Gregorio Magno, fu interrogata dallo stesso sulle elemosine ricevute che apprese la mancata
elemosina da parte del vescovo di Ravenna Mariniano)
Agostino (354-430 d.C.) descrive la solidarietà fra i mendicanti, raramente presentati come
individui isolati, ma, più spesso, descritti come gruppo (“chi può camminare presta i suoi piedi allo
zoppo, colui che vede presta i suoi occhi al cieco e chi è giovane e sano presta le sue forze al
vecchio o al malato e lo trasporta”)
Capitolo 2. L’elemosina
Tenendo conto della sostanziale irrilevanza sul piano etico-sociale dell’elemosina in ambito pagano che
spiega l’esiguità delle riflessioni su questa tematica nella letteratura classica, si può osservare che solo
in qualche caso affiora, come espressione di un’etica sociale conservatrice, un atteggiamento ostile
all’elemosina.
Plauto condanna l’elemosina come un gesto sostanzialmente inutile per chi lo riceve e dannoso per chi
lo compie: <<Non fa un buon servizio ad un mendicante chi gli dà da mangiare e da bere perché perde
quello che gli dà e non riesce a prolungargli che di poco una vita miserabile>>.
Seneca afferma infatti che era proprio l’infimo valore dell’elemosina elargita ai mendicanti che la
poneva al di qua di ciò che può essere definito beneficium: <<chi potrebbe definire un pezzo di pane o
una moneta di vile bronzo o il dare la possibilità di accendere il fuoco?>>.
Oltre a questi criteri di base, vanno tenuti presenti altri criteri esplicitamente indicati dai Padri della
Chiesa:
Tutti devono donare, ma i ricchi sono tenuti a farlo in maggiore misura
Ogni gesto, anche minimo, è bene accetto (abiti usati, tozzo di pane, avanzi di cibo)
In una delle epistole di Agostino si parla di un Antoninus giunto in tenera età ad Ippona con la madre ed
il patrigno, una famigliola così povera da non avere abbastanza per vivere. Madre e patrigno di
Antoninus convivono, come viene ad apprendere Agostino, in situazione irregolare, dal momento che il
padre del bambino è ancora vivo. Agostino li convince alla continenza, ma fa in modo che la chiesa di
Ippona si faccia carico della loro indigenza: il patrigno e Antoninus vengono accolti nel monastero e la
donna iscritta in matricula pauperum quos sustentat ecclesia. La donna non è vedova, né anziana e né
lei, né il suo convivente sembrano malati o menomati: la scelta di Agostino sembra dunque motivata in
parte dalla considerazione dell’acuta situazione di bisogno economico della famiglia, ma legata anche in
maniera recidiva al fatto che i due conviventi si fossero lasciati convincere ad una vita religiosa e
moralmente irreprensibile. Pur nella loro estrema povertà, non appare nella lettera che essi
praticassero la mendicità.
Digiuno ed elemosina sono strettamente collegati e complementari: il digiuno senza elemosina non ha
valore, ripetono più volte soprattutto le omelie quaresimali, mentre viceversa nel caso che non si possa
digiunare, l’elemosina insieme alla preghiera ha la capacità di purgare i peccati.
Capitolo 3. I forestieri (vi è l’elemento dello spostamento e del movimento in uno spazio geografico, essere
instabili, contrario di sedentarietà)
a. Vagabondi
Vengono definiti vagi o erratici, ad indicare una fondamentale condizione di instabilitas che non
è solo fisica, ma si qualifica anche come tratto psicologico e morale (instabilitas mentis)
Lo Stato interviene per reprimere il vagabondaggio (vuole ordine) con l’obbligo di matrimonio,
come ci attesta una Novella (tipologia di legge) di Valentiniano III (451 d.C.) a proposito di un
individuo che, per sposare una colona (= contadini che coltivano le terre di altri), deve dichiarare
ai magistrati la propria residenza in cui vive la donna
Lo Stato interviene per reprimere il vagabondaggio con il reclutamento di vagi (nelle campagne)
e vacantes (nelle città) i quali, pur non essendo iscritti nelle liste censitarie e non pagando le
tasse, vengono tuttavia sottoposti alla coscrizione coatta (cioè all’obbligo di leva militare,
all’arruolamento forzato), come documentano una serie di costituzioni imperiali databili fra il
370 e il 412 d.C.
2 fattori “esogeni” del vagabondaggio, cioè cause che derivano dall’ “esterno” più che
dall’“interno”, che determinano fughe, anche in massa, di individui:
invasioni barbariche: le invasione soprattutto di Longobardi e Goti producono come effetto
aggiuntivo scorrerie di briganti che approfittano dello scompiglio e dell’abbassamento
generale del livello di sicurezza soprattutto nelle aree rurali e lungo le strade (metafora con il
virus labiale dell’erpes)
guerre: il continuo passaggio di eserciti (che calpestano o rubano le risorse) distrugge le
coltivazioni e causa carestie (che determinano spostamenti dalle campagne verso le città alla
ricerca di risorse alimentari) e pestilenze (che determinano invece spostamenti dalle città
verso le campagne per sfuggire al contagio)
d. Schiavi fuggiaschi (coloro che si ribellano e tentano di fuggire, in quel momento diventano
marginali)
Nonostante la progressiva e crescente diffusione del cristianesimo, la schiavitù è ancora molto
presente nella Tarda antichità
Perché uno schiavo fuggiva?
Non necessariamente per diventare libero, ma anche solamente per cambiare padrone
Oppure per cercare accoglienza fra i barbari
Oppure ancora per entrare a far parte di una banda di briganti
Oppure si allontanava solo temporaneamente (erro)
Lo schiavo fuggiva di notte e per cancellare le tracce doveva rimuovere il collare, far sparire il
marchio (tramite una pianta il ranunculum), cambiare nome e allontanarsi molto per ridurre i
rischi di essere ritrovato
Gli imperatori Adriano, Costantino, Arcadio e Onorio manifestano una preoccupazione per il
fenomeno dei fuggiaschi che, spacciandosi per liberi, si offrono di lavorare come impiegati
salariati, tanto che questi imperatori finiscono per ritenere responsabile chi accoglie uno
sconosciuto che dichiari di essere libero
I controlli identificativi sono in effetti a carico sia degli stationarii (truppe di sorveglianza in aree
rurali, cioè distaccamenti di soldati dell’esercito regolare posti lungo le principali vie di
comunicazione) sia dei domini (i padroni) sia ancora ad opera delle forze di polizia imperiali e
cittadine e infine anche dei fugitivarii (cacciatori di taglie professionisti di schiavi fuggiaschi)
La normativa visigotica e burgunda (queste normative sono sempre più crudeli di quelle degli
imperatori romani) considera reato di complicità l’elemosina offerta a schiavi fuggiaschi dei quali
si conosce la condizione, mentre non considera reato l’ospitalità accordata per una sola notte.
Inoltre, il servo complice di un servo fuggiasco viene punito con cento frustate (cioè condanna a
morte) e vengono puniti anche sia colui che traghetta un fuggitivo sia colui che provvede al
taglio dei capelli
e. Coloni fuggiaschi
I coloni (= coloro che coltivano le terre degli altri) sono spinti alla fuga perché iscritti
coattivamente nelle liste censitarie e condannati all’origo, cioè alla seridenza nel luogo di lavoro
Una costituzione di Valentiniano I delinea la sorte dei coloni che fuggono da un dominus e si
mettono alle dipendenze di un altro: i profugi possono lavorare sul terreno del nuovo dominus
ma senza ricevere compensi, oppure spacciarsi per liberi contadini e lavorare come salariati
regolarmente retribuiti
Il fenomeno dei coloni anticipa la condizione dell’età medievale della servitù della gleba
Una costituzione di Onorio stabilisce che, dopo 30 anni ininterrotti di lavoro senza fuga,
decadono i diritti del dominus sul colono (per le donne il limite è di 20 anni)
Una Novella di Valentiniano III interviene in senso restrittivo e stabilisce che si diviene
legalmente coloni solo se si rimane sotto uno stesso padrone per 30 anni consecutivi; altrimenti,
nel caso in cui il colono fosse fuggito più volte, sarebbe divenuto sottoposto al proprietario alle
dipendenze del quale si trovava allo scadere del trentesimo anno
Il pellegrinaggio comporta:
per tutti alienazione psicologica e straniamento
ma per i poveri poteva determinare anche la perdita di ogni rete di solidarietà (i ricchi hanno
più vantaggi)
Come documenta Gregorio nel De virtibus sancti Martini, a Tours (vi erano le ceneri di San
Martino, con poteri miracolosi) in Gallia (anche se documento agiografico ha informazioni
interessanti):
lo spostamento avveniva a piedi, su carri o in braccio a qualcun’altro
la permanenza durava pochi giorni, qualche mese o persino alcuni anni
si viaggiava da soli o in compagnia di qualche familiare
tra i pellegrini si trovavano anche schiavi
“La storia raccontata da Gregorio di Tours narra di un abitante di Angers divenuto improvvisamente sordo e
muto che, messosi in viaggio verso Roma per ottenere la guarigione, incontra nei pressi di Nizza l’eremita
Hospitius che lo guarisce. Le parole del diacono lasciano trasparire un chiaro messaggio: il dono della
guarigione che Dio concede ai suoi eletti è uguale in ogni luogo ed anche la Gallia è ricca di uomini santi;
non è necessario perciò affrontare un lungo e periglioso viaggio verso Roma.
Accanto alla narrazione del miracolo, Gregorio fornisce frequentemente parecchi altri dati
sociologicamente rilevanti: il nome del personaggio miracolato, la professione, la provenienza, le cause
della malattia, le modalità del viaggio e del soggiorno a Tours. Viene dunque, per così dire, schedato un
campione relativamente ampio di pellegrinaggi, 267 casi. Dall’analisi dei casi (160 su 267) in cui Gregorio
precisa l’origine geografica del miracolato emerge che i 3/4 provengono dall’esterno contro 1/4 di abitanti
di Tours e del suo territorio. Di questi forestieri solo il 12% proviene dall’esterno della Gallia, soprattutto
dalla Spagna e dall’Italia.
Dall’esame dei casi emergono indicazioni sulla matrice sociale dei miracolati: solo un 30% dei casi riguarda
persone appartenenti a ceti privilegiati della società, mentre il 70% dei casi riguarda persone che possono
essere classificate come pauperes, fino ai mendicanti. La ragione essenziale del pellegrinaggio dei poveri è
la speranza di guarigione, per lo più da malattie gravemente invalidanti come cecità, paralisi, malattie
muscolari ed artrosiche che escludono i malati dall’attività produttiva.”
L’atteggiamento dello Stato muta nei secoli, come si vede dai provvedimenti imperiali:
nel IV secolo il fenomeno non viene combattuto con misure repressive sistematiche
“Nel campo invece dello sfruttamento della prostituzione femminile, gli imperatori del IV secolo
si limitano a legiferare su aspetti marginali del fenomeno, senza intaccare la sostanziale liceità
del lenocinio. Su questa indifferenza dello stato ha un peso decisivo la condizione sociale e
giuridica delle donne interessate, che prevale sulle preoccupazioni di natura etica e religiosa. Si
tratta infatti di schiave, liberte o donne di infima condizione sociale, di donne cioè la cui
sessualità non veniva tutelata dalla configurazione dei delitti di adulterium e di stuprum. Nei
confronti delle schiave che abbiano abbracciato la vita religiosa e che siano state vendute ai
lenoni, una costituzione di Costanzo II si limita a stabilire che ecclesiastici o comunque cristiani
sono i soli ai quali sia riservata la possibilità di riscattarle”.
nel V secolo viene combattuto il reato di sfruttamento
nel VI secolo viene rivolta maggiore attenzione al recupero delle prostitute mentre la
legislazione barbarica condanna queste ultime a pene durissime
PARTE SECONDA
I criminali
Capitolo 5. I ladri
2. ambienti privati
abitazioni
I furti nelle case erano effettuati dai directarii («ladri d'appartamento»):
o agivano di notte e di soppiatto
o senza praticare scassi
o soprattutto nelle insulae (edifici lignei a più piani, fatiscenti) e nei quartieri degradati (nelle
ricche domus in muratura dei quartieri "alti" era invece molto difficile praticare furti, poiché
esse erano sorvegliate da un ostiarius o ianitor, portinaio", e da un feroce cane da guardia)
magazzini e depositi
I furti nei magazzini e nei depositi (horrea) erano effettuati dagli effractores ("'sfondapareti",
"scassinatori"):
o rubavano derrate alimentari e/o beni preziosi
o spesso erano armati e pericolosi
Cassiodoro (485-580 d.C.) riferisce che nei regna romano-barbarici gli autori del furto di bestiame
non sarebbero stati i briganti ma gli stessi rustici.
Nelle fonti agiografiche, dedicate, cioè, alle Vite dei Santi, si accenna a piccoli furti occasionali a
séguito dei quali, però, il ladro si pente e restituisce il bestiame rubato perché la proprietà dei Santi
ricade sotto la protezione di Dio stesso.
C. Identità sociale
Chi sono?
giovani scapestrati e non realmente bisognosi
coloni («contadini»)
chierici
monaci
ma soprattutto
servi: vengono puniti dai loro padroni, anche se talora sono gli stessi padroni a istigare i propri
schiavi a delinquere, sia da soli sia in combutta con persone di condizione libera
indigenti: nei loro confronti, poiché sono spinti dal bisogno, Gregorio Magno invita alla
tolleranza e alla mediazione fra indulgenza e repressione
Capitolo 6. I briganti
Capitolo 7. I detenuti
A. Il carcere
B. I lavori forzati