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PUBBLICAZIONI

D ELLA
C LA SSE D l L E T T E R E E FIL O SO F IA

Scu o la N o r m a le S u p e r io r e
P isa

XXIII

BIBLIOTECA Dl LBTTEHE, FILOSOFIA


E DS SCNZE BELLA FORMAZIONE

inv...., j l % t
F R A N C E SC O F R O N T E R O T T A

ME0EHI2
LA TEORIA PLATONICA DELLE IDEE
E LA PARTECIPAZIQNE
DELLE COSE EMPIRICHE
D ai dialoghi giovanili al Parmenide

SC U O L A N O R M A L E S U P E R IO R E
PISA 2 001
PROPRIET L E T T E RARIA RISERVATA

ISBN 88-7642-099-1
K al t v Z iq v o v a e<f)ri y e X a a v T a <f>vai

avrov, co S a if c p a T e ? , S e w p .e 0 a T T ap^evt S o u
ri o u x ps oaov e p -y o v T rp o cr'rT T eiS ';
... yw j i v orn, co ap jjL eviS T ], S o jK p cz T a

cruvSofjLai, iva m a v r kovglo Si xpvov.

Platone, Parmenide 136d3-e4


IN TR O D U Z IO N E

Questa ricerca affronta un tema clssico e tradizionalmente assai


dibattuto negli studi platonici. La dottrina delle idee Ka infatti rap-
presentato un oggetto privilegiato di analisi per numerse generazio-
ni di autorevoli interpreti, da un punto di vista storico, filologico,
filosofico e scientifico. Tuttavia, una pur rapida consultazione delia
vastissima bibliografa platnica deirultimo cinquantennio mostra
suficientemente come 1interesse critico ed esegetico intorno a que-
lo che a me pare il ncleo teorico delia riflessione di Platone si sia
rivolto, nella maggior parte dei casi, allindagine di problemi specifici
o di singoli aspetti deiropera dei filosofo ateniese, perdendo tavolta
di vista Forizzonte concettuale e lo sfondo filosofico entro il quale
bisogna colocare il suo pensiero. Rispetto a questa generale tendenza
vi sono naturalmente alcune significative eccezioni, ma rimane do
minante 1impressione che, da alcuni decenni, la teoria platnica del-
le idee veda progressivamente sfocarsi il suo statuto di autonomo
investigandum, quasi scomparendo come oggetto filosofico e storico
determinato, non senza un certo sollievo da parte di chi, come libera-
to da un fastidioso e arcaico residuo metafsico, pu finalmente dedi-
carsi con pi fondata legittimit, dopo aver rimosso la questione5
platnica fondamentale, ad ogni sorta di questioni platoniche di
natura frmale, metodologica, letteraria e cosi via.
Per quanto mi riguarda, ritengo invece utile e necessrio proporre
un nuovo studio dinsieme su questa teoria filosfica, muovendo, per
cosi dire, dai suoi margini - con la descrizione degli elementi e dei
passaggi costitutivi delia formulazione delfipotesi delle idee nei dia-
loghi platonici giovanili e maturi e procedendo in seguito allesame
delle sue difficolt e delia sua crisi' nel Parmenide, non senza traccia-
re inoltre un bilancio delle piu recen ti ed nfluenti ricerche in ngua
VIH FRANCESCO FRONTEROTTA

inglese, francese e tedesca (otrech, naturalmente, in Ungua italia


na), per stabilire i termini di un dibattito critico troppo spesso sotto-
valutato o in una certa misura perfino ignorato specialmente in Ita
lia. Tale mi sembra, in ultima analisi, il principale contributo che
questo lavoro puo aspirare a fornire, con tutti i suoi limiti, agli studi
platonicL Ma la novit e roriginalit del tentativo proposto qui con-
sistono in primo luogo, credo, in un particolare approccio alie que-
stioni trattate, che cerca di porre il problema decisivo dellorigine e
del significato dellontologia platnica in una prospettiva rigorosa
mente epistemolgica, affrontando il tema dlia possibilit della co-
noscenza nella relazione fra un soggetto individale e la realt delle
O cose che sono, dunque nel quadro di una concezione sdentifica dei-
i articolazione e delle modalit dei processo conoscitivo. Analogamen
te, anche il problema della crisi della teoria delle idee nel Parmenide
viene sollevato qui con forza e incisivit maggiori di quanto non si
faccia abitualmente e ponendo soprattutto al centro deHindagine la
delicata questione della la partecipazione delle cose empiri-
che aJle idee, che ha costituito certamente l fondamentale dilemma
filosofico dibattutto aUinterno delFAccademia, Platone ancora atti-
vo, e poi, successivamente, fra i suoi discepoli e Aristotele.
II presente volume deriva dalla rielaborazione di una tesi di Perfe-
zionamento1 in filosofia discussa presso la Scuola Normale Superiore
di Pisa sotto la direzione dei professori Walter Leszl, Luc Brisson e
Gabriele Giannantoni. Non sarebbe facile esprimere qui la mia am-
mirazione e il mio debito di affettuosa riconoscenza nei confronti di
questi studiosi, straordinariamente aperti e disponibili a una richiesta
di poftSeia. che, da parte mia, rimane ormai costante da molti anni. E
ugualmente difficile sarebbe citare tutti coloro i quali, a diverso tito-
lo, hanno reso possibile la concreta realizzazione di questo lavoro:
vorrei tuttavia ringraziare i professori Cludio Cesa, Francesco Del
Punta e Mario Reale, che hanno seguito con amicizia i miei studi
presso la Scuola Normale Superiore e la Facolt di lettere e filosofia
deirUniversit di Pisa; i dottori Paola Rodano, Jean-Franois Pradeau
e Paolo D Iorio, le cui osservazioni mi hanno indotto a ripensare non
pochi aspetti cruciali della ricerca; e Annacarla Senesi, che ne ha sop-
portato con pazienza le diverse stesure.
Questo libro dedicato ai miei Genitori.
INTRODUZJONE IK

1. Una cronologia dei dialoghiplatonici

L'oggetto delia presente ricerca iorigine, la struttura e lartico-


lazione della teoria platnica delle idee impone in primo luogo
alcune brevi precisazioni di ordine cronologico e testuale.
Per la determinazione delia cronologia dei dialoghi platonici, ol-
tre alie informazioni delle fonti antiche, ci si serve normalmente di
tre diversi sistemi di valutazione: 1analisi dei contenuto dei dialoghi
e dellevoluzione del pensiero di Platone ehe essi testimonierebbero
(critrio quantomai dubbio e soggettivo); il riferimento a personag-
gi e awenimenti storici noti (quasi mai decisivi di per s)1 o i rirnan-
di interni fra i dialoghi (le cui indicazioni restano per spesso, a mio
parere, suscettibili di differenti interpretazioni)2; e infine 1analisi

1 Le allusioni (esplicite o implicite) a personaggi o awenimenti srorici noti non


offrono che unindicazione parziale, un termine post quem spesso troppo generico: i
caso, per non citare ehe un unico esempio, dei riferimento alia vittoria di Agatone
nellagone trgico dei 416 a.C. nel Simposio (173a), un awenimento talmente anteriore
a questo dialogo da risultare dei tutto inutile per Ia sua coilocazione cronologica. Ma
neanche il riferimento a episodi e personaggi contemporanei sembra di per s
risolutivo: per esempio, Tacceno al giovane Isocrate nel finale del Fedro (278e-279b)
si rivelato insufficiente per stabilire la cronologia dei dialogo, dal momento ehe
presuppone una non facile opera di contestualizzazione e di interpretazione; ancora, il
fatto ehe Platone parli nel Teeteto (l42a-b) delia battaglia dei 369 a.C. fra Ateniesi e
Tebani presso Tisano di Corinto implica soltanto ehe il dialogo fu scritto successiva-
mente a quella battaglia, ma non dice, a rigor di termini, quanto tempo dopo.
2 Assai difficile mi pare la valutazione dei rimandi interni fra i dialoghi, ehe
dovrebbero consentire di stabilire almeno una loro cronologia relativa. Cito alcuni
esempi (ehe misonostati cortesemente indicati daLivio Rossetti): W Aenonertnsce
per due volte (71c; 95 c) a Gorgia c al suo incontro con Socrate e pu forse essere
considerato per questo motivo come successivo al Gorgia; il Fedone (72e-73b) pare
presupporre 1introduzione delia dottrina delia reminiscenza e la sua dimostrazione
condotta nel M enone (80e-86b), ehe sar allora ad esso precedente di qualche anno;
la Repubblica (X 609c) fa un breve cenno ad alcuni temi caratteristici dei Fedone e
sembra dunque presupporne la conoscenza; il Teeteto (183d-l 84a) e il Sofista (217 c)
si riferiscono certamente allincontro fra Socrate, Parmenide e Zenone narrato nel
Parmenide; ancora il Sofista (217a) annuncia la discussione tenuta nel Politico e,
pertantoj lo precede; a sua volta, il Politico (257a) pare rinviare al Teeteto (l44a-d) e al
Sofista (21 6a) e sar quindi ad essi posteriore; il Filebo (38b-40d) riprnde brevemente
e ehiarisce alcuni problemi lungamente discussi nel Teeteto (189b-200d) e cita (14c-
15c) questioni gi affrontate nel Parmenide ( 130 e- 1 3 1 e), risultando cosi, verosimil-
mente, ad essi posteriore; il Timeo (17c-l 9b) riassume gli elementi principali deltin-
dagine svolta nella Repubblica e, quindi, sar certamente successivo ad essa; infine, fra
il Timeo (27a-b) e il Crizia (106a-108e), vi senza dubbio un riferimento inerociato.
FRANCESCO FRONTEROTTA
X

stilomen'ica, che consiste neirindividuazione di alcuni stilemi (par-


ticolarit stilistichc) e nella rilevazione della loro frequenza e quan-
tit. Essendo certamente le Leggi lultima opera di Piatone (come
attesta per esempio Diogene Laerzio III 37), scelro questo dialogo
come campione statistico stilo mtrico, possibile classificare gli al-
tri scritti sulla base di una maggiore o minore vicinanza stilistica ad
esso (ci che consente di stabilire almeno una cronologa relativa)3.
Lapplicazione combinata di questi tre diversi sistemi di valutazione
permette di raccogliere i dialoghi consideran senzaltro autentici in
gruppi corrispondenti ai diversi periodi della vita di Piatone in cut
furono presumibilmente composti, secondo uno schema che si
andato via via affermando neile ricerche condotte fra il X IX e il X X
secolo e che inoltre confermato, nelle sue grandi linee, dalle pi
recenti indagini stilometriche condotte con Tadeguato supporto

Tuttavia, questi rimandi interni fra i dialoghi - quesee amo-citazioni' di Piatone -


son o Calora suscetribili di diverse nterpretazioni: per esempio, il facto che, nel Teeteto
(183d-184a), Socrate ricordi il proprio incontro conParmenide narrato nel Parmenide,
affermando alio stesso tempo che converra rinviare a unaltra occasione la discussione
delle dottrine del grande Eleate, pu significare che il Teeteto precede il Parmenide (e
ad esso assegna il compito dellindagine del pensiero di Parmenide), ma anche che lo
segue (e infatt ne rievoca le circostanze, Iambiente e la situazone); ancora, il breve
riferimento contenuto in un dialogo a tem o argomentazioni svolti pi nel deftaglio
in un altro dialogo (per esempio in Phd. 72e-73b rispetto a Men. 80e-8b; in R. X 60 9c
rispetto al Fedone; in Pblb, 14c- 15c rispetto a Prm. 130e-131 e) non mi pare costituisca
di per s una prova decisiva sul piano cronolgico: Piatone potrebbe aver voluto citare
appcna certe question! tilosofiche in un dialogo per svilupparle successivamente in
forma pi ampia o, viceversa, riassumerle soltanto, avendone gi discusso afondo in
precedenza. Non mi soffermer oltre su tale aspetto, ma credo insomma si debba
necessariamente riconoscere che nessuno di questi sistemi di valutazione si rivela in s
auto-sufficiente, perch esige piuttosto un confronto e un integrazione continua con
gli altri. E il risultato la cronologia dei dialoghi platonici restera inevitabilmente,
in una certa misura, soggettivo e discutible.
3 Per un resoco ato storico delle origini e dei primi svilappi del mtodo stilistico
e stilometrico neli'esame dei testi letterari greci in generale e dei dialoghi platonici in
parti colare, specie a partir dagli ultimi decenni del X IX secolo con gli studi di L.
Campbell, P. Blass, W. Dittenberger, C. R i t t e r , W. Lutoslawski e H. von Arnim, si veda
L. B r a n d WOOD, The chronology o f Plato's dialogues, Cambridge, Cambridge Univ. Press
1990. II mtodo stilometrico, che ha suscitato alle sue origini grandi speranze, viene
oggi messo seriamente in discussione: cfr. solo TH.M. R o b i n s o n , Plato on the computer,
in AncPhil, XII, 1992, 375-382; e Id., The relative dating o f the T imaeus an d
Phaedrus, in Undemanding the Phaedrus. Proceedings of the Ilnd Symposium
Piatonicum, ed. by L. R o s s e t t i , Saakt Augustin, Academia Verlag 1992, 23 - 30 .
NTRODUZJONE XI

informtico4. Si tenga presente tuttavia che, poich non esiste anco


ra oggi un definitivo consenso fra gli studiosi, se non in termini del
tutto gene rali, ogni scelta cronologica implica almeno in parte lin-
tervento di un criterio fortemente soggettivo.
Platone nacque ad Atene nel 428/427; ben presto divenne disce-
polo e seguace di Socrate. Fra il 399 (anno dlia morte di Socrate)
e il 385 circa, compose un certo numero di dialoghi che considero
giovanilf o 'intermedi fra la giovinezza e la maturit:

Apologia di Socrate
Critone
Ippia minore
lone
Menesseno
Liside
Carmide
Lachete
Ippia magg. (la cui autenticit ormai quasi unnimemente riconosciuta)
Eutifrone
Protagora
Gorgia
Eutidemo
Menone
Cratilo

Nel 388/87, Platone compl il primo dei suoi viaggi in Sicilia, al


ritorno dal quale fondo ad Atene lAccademia, alla cui guida rimase

4 Una rapidapresentazioneeunasntesi ragionatadele ricerche condotre fraXIX


e X X secolo sujia cronologia dei dialoghi platonici sono state proposte da Ch.H.
K ahn , Plato an d the S oaatic dialogue, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1996, 42-
48, da cui dipende, con aicune correzioni, la cronologia indicara qui. Le piu recenti
indagini stilometriche sono certamente quelle di G.R. LEDGER, Re-counting Plato. A
computer analysis o f Platos style, Oxford, Clarendon Press 1989; e di L. BRANDWOOD,
The chronology o f Platos dialogues cit. Nuovi e diversi (rna assai discutibili) criteri per
la classificazione e la cronologia dei dialoghi sono stati invece suggeriti da H. T HESLEFF,
Studies in Platonic chronology, Commentationes Humanarum Litterarum LXX,
Helsinki, Societas Scientiarum Fennica 1982.
XI! FRANCESCO F RO NT EROTTA

fino alia morte. Al periodo che va dal 385 al 370 circa appartengo-
no verosimilmente quattro dialoghi ehe considero della maturita :

Fedone
Simposio
Repub bliea
Fedro

Nel 367/66, Platone compi. un secondo viaggio in Sicilia. Fra il


370 e ii 350 circa, compose infine alcuni dialoghi ehe considero
tardi o della vecchiaia:

Parmenide
Teeteto
Sofista
Politico
Filebo
Timeo
Crizia

Nel fratrempo, nel 361/60, Platone compi Tultimo viaggio in


Sicilia. Mori mentre era intento a scivere le Leggi nel 347/465. La
partizione interna dei singoli gruppi non pretende in alcun modo
di rappresentare un vero e proprio ordine di pubblicazione* dei
dialoghi,. ma rimane poco pi che arbitraria, cio ehe non costitui-
sce tuttavia una difficolta insormontabile per questa ricerca, ehe
non aspira in alcun modo a una ricostruzione genetico-evolutiva
della riflessione di Platone.

1 Per la biografia di Platone, su cui esiste unampia ietteratura critica, rinvio solo
a A.E. T a y l o r , Plato. The man an d his work, London, Methuen & Co. 1926 [trad. it.
Platone, Tuomo e lopera, Firenze, La Nuova Italia 1968]; J. STENZI.L, Platon der
Erzieher, [1928], Hamburg, Meiner 19 6 12 [trad. it. Platone educator?, Bari, Laterza
1966 ~j; L. R o b i n , Platon, Pans, Alcan 1935 [trad. it. Platone, Milano, Cisalpino
1988]; W.K. C.A. G uTH R IE, A history ofG reek Philosophy, IV-V, Plato: The man an d his
dialogues, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1975-1978; A. SwiFT-RlGlNOS, Plato-
nica. The Anecdotes concerning the Life an d Writings o f Plato, Leiden, Brill 1976.
INTRODUZIONE XIII

II testo dei dialoghi platonici citato secondo ledizione stabilita


d a j. Burnet, Platonis Opera, t. I-V, recognovit brevique adnotatione
critica instruxit Ioann. Burnet, Oxford, Oxford Univ. Press 1900-
1907; tuttavia, per il testo del Parmenide, ho prefer to attenermi al-
fedizione curata da C. Moreschini, Platonis Parmenides & Phaedrus,
recognovit brevique adnotatione critica instruxit C. Moreschini,
Roma, Ateneo 1966. II testo dei frammenti dei Presocratici citato
secondo la classica edizione di H. Diels - W. Kranz, Die Fragmente
der Vorsokratiker, Berlin, Weidmann 1951-52 6 (ristampa della 5aedi
zione, Berln 1934-37). II testo delle opere di Aristotele, infine,
citato secondo ledizione stabilita da I. Rekker, Aristotelis Opera, ex
recensione I. Bekkeri, I-V, Berlin, Academia Regia Borussica 1831-
70. Perche' Tindagine sulla teora delle idee fosse per quanto possibile
completa dal punto di vista testuale, si rivelato indispensabile (spe
cie rispetto allanalisi dei dialoghi giovanili e intermedi) il ricorso al
Thesaurus linguae graecae con lopportuno supporto informtico.
Conviene pure segnalare qui che per i nomi degli autori greci e
latini citad, cos come per i titoli delle loro opere, sono state utiliz-
zate le abbreviazioni tratte da H.G. Liddel & R. Scott, A Greek -
English Lexicon, new ed. by H. Jones, Oxford, Clarendon Press 1925-
40. Secondo lo stesso principio, per i nomi delle riviste citate sono
state utilizzate le abbreviazioni tratte &WAnne Philologique.

2 . Idea, forma, genere, essenza

Unulteriore, necessaria premessa, formulata qui a titoo prowi-


sorio e, per cos dire, meramente operativo, riguarda il significato
e Timpiego dei termini con cui Platone designa e definisce le idee :
i 8a, ciSos, yvos' e, pi raramente, ooa.
ISa (dalla radice ~i&, dalla quale derivano sostantivi e forme
verbali relativi alia Vista e allatto del Vedere) indica originaria
mente Paspetto, la forma3 o la 'figura di qualcosa. Nel iinguaggio
filosofico di Platone, questo termine designa le idee in senso pro-
prio - end supremi immutabili, auto-idendci e ben distinti dal
mondo empirico e sensibile nei dialoghi giovanili, maturi e tardi,
senza variazioni notevoli.
FRANCESCO PRONTF.ROTTA
XIV

ElSos* (ancora dalla radice /T) significa anchesso propriamente


specie1, forma o aspetto. E impiegato da Piatone in riferimento
alle idee per lo piu nci dialoghi maturi e tardi, ma non assente nei
dialoghi giovanili e intermedi (cfr. per esempio Cm. 386e8; 389b3;
3 9 0 b l; Men. 72c7; d8).
Tcvos- (daila radice yev, dalla quale derivano sostantivi e forme
verbali relativi alia nascita, aborigine o alia generazione) indica
in primo luogo la razza, la stirpe o la tribu e successivamente,
per estensione, il genere e la forma essenziale di qualcosa. Com
pare nei suo significato tecnico, rispetto alle idee, nei dialoghi tar
di, specie nei Parmemde e nei Sofista (dove ricorrono tuttavia anche
i termini la e ciSos-, di cui yvo risulta sinonimo).
Om a (formato su ouaa, participio presente femminile di clvai,
essere), infme, rinvia all essere, all essenza o alia sostanza di qual
cosa. Designa le idee, intese come vera essenza e sostanza reale e
prima delle cose empiriche in divenire, in tutti i dialoghi e senza
variazioni notevoli.
E stata dunque rilevata, statisticamente, una progressiva evolu-
zione nella designazione delle idee da parte di Piatone: da I8a a
eiSo (prevalenti, rispettivamente, nei dialoghi giovanili, interme
di e maturi) e, in ultimo, a yei'os (prevalente nei dialoghi tardi).
Tuttavia, se il termine yyo effetrivamente piuttosto raro nei
dialoghi giovanili, intermedi e maturi, i termini elSo e ISa sono
invece pressoch onnipresenti: sarebbe dunque illegittimo attribu-
ire a questa distinzione un valore assoluto, perch, fra Taltro, Piato
ne non sembra aver utilizzato i diversi termini con un diverso signi
ficato. Ma soprattutto, occorre evitare Terrore di credere che tale
distinzione comporti una gerarchia fra le idee, per esempio nella
forma genere - specie - individuo (per cui yi/r] sarebbero esclu-
sivamente le idee piu ampie e universal!; clStt), le idee intermedie;
lai, le idee individual! e parricolari), una gerarchia che, se pure
sussiste (e non affatto scontato n evidente)6, non si basa certa
mente su elementi di carattere linguistico e terminologico. Comun-
que stiano le cose, la presente ricerca non si prefigge lo scopo di

6 Affronter la questione della presunta gerarchia fra ie idee platoniche special-


mente nei 4 del cap. IV!
INTRODUZIONE XV

compiere un indagine sto rico'lingistica sullorigine e sul sign i fi ca


to di questi termini nella iingua e nella letteratura greca precedente
a Platone7 o nei dialoghi platonici8: parlando di idee5, forme, ge-
neri o essenze, mi riferir sempre, salvo esplicita indicazione con
traria, alie idee in senso proprio (naturalmente, cosa significhi par
lare di idee in senso proprio questione che andr progressivamente
chiarita nel corso dellindagine). Bastera sottolineare per il momento,
e del tutto provisoriamente, che Timpiego dei termini iSa, eiSos1,
yvos' e ooa che conservano in greco e neg scritti di Platone
molteplici significad non pu costituire un criterio decisivo per
accogliere o escludere a priori un riferimento alia teoria delle idee.
E noto invece che, per esempo, William D. Ross ha sostenuto
che il termine ooa nei dialoghi giovanili non avrebbe (mai) nes-
sun legame con la teoria delle idee, ma sarebbe utilizzato soltanto
per designare laspetto esteriore, la natura concreta e caratteristica
di qualcosa9. Cercher di dimostrare che questa ipotesi , almeno
in parte, evidentemente falsa e che solo lanalisi testuale delle oc-
correnze del termine om a nei dialoghi giovanili fornisce gli stru-
menti adeguati per esprimere una valutazione dinsieme10. In bre
ve, fiaor di dubbio che in Platone (e nella lingua greca) i termini
ISa, el 809, yvos e oaa possiedano vari significati, ma tale con
sta tazone, se mette in guardia dallingenua ammissione che ogni
loro occorrenza implichi un riferimento alia teoria delle idee, non
rappresenta d5altro canto una condizione suficiente per negare e
respingere questa possibiht.

7 C f r . per esempio in proposito F. C h i e r e g h i n , Storicita. e originarieth nell'idea


platnica., Padova, Cedam 1963-
8Le migliori e pi complete indagini sullimpiego di questi termini nei dialoghi
platonici rimangono quelle di A.E. Taylor, Varia socrtica, Oxford, Parker & Co.
1911, 178-267; e di C. R i t t e r , El 80s-, I8 a und verwandte Wrter in den Schriften
Platons m it genauem Nachweis der Stellen, in C. RlTTER, Neue Untersuchungen ber
Platon [1910], New York, Arno Press 197 62, 228-326; ma si veda anche W D . Ross,
Platos theory o f ideas, Oxford, Clarendon Press 1951 [trad. it. Platone e la teoria delle
idee, a cura di E. B e r t i , Bologna, II Mulino 1989, 35-47].
9 Cfr. W.D. Ross, op.cit., 42-43; ma, come vedremo ne! 2 del cap. VI, la tesi di
Ross oggi condivisa, almeno nelle sue linee generaii, dalia grande maggioranza degli
interpred.
10 Cfr. i 1-4 del cap. I.
FRANCESCO FRONTEROTTA
XVI

3. La teora delie idee e l ontologia di PUttone

Questa ricerca si divide lgicamente in due parti. Intendo disco


tere innanzitutto, nelia Parte prima, lintroduzione e la formulazio-
ne della teora delle idee nei dialoghi platonici giovanili, intermedi e
maturi, per individame (origine e le ragioni. Successivamente,
ripercorrer le obiezioni e le critiche cui lipotesi dei generi sotto-
posta nel Parmenide, per cap i re se implichino una reale difficolt e
u n effettiva crisi nel pensiero di Platone o se rappresentino soltanto

una sorta di artificio retorico e narrativo, una reductio ad absurdum


rivolta dal filosofo contro eventuali oppositori dela teora delle idee.
Non stupira allora che la Parteprima affronti la questione della strut-
tura e delFarticolazione della teora delle idee e il problema
dellontologia platnica da un punto di vista pi ampio e generale; e
che la Parte seconda sia invece interamente consacrata alf interpreta-
zione del Parmenide, attraverso un analisi dettagliata che, senza per-
dere di vista la prospettiva dinsieme, assume a tratti il profilo di una
minuziosa indagine testuale. Linteresse sto rico-filo sofico di questa
ricerca consiste soprattutto, allora, nel tentativo costante di rico-
struire il procedimento adottato da Platone nella postulazione della
teora delle idee come pur nella sua verifica, nel tentativo, insom-
ma, di comprendere la teora delle idee rimanendo aWinterno del
ragionamento di Platone, dei suoi presupposti e delle sue finalit.
Ontologia e, in senso stretto, la scienza delfessere. D atra parte,
ogni dottrina filosfica o scientifica che implica un immagine del
reale, della sua struttura e del suo essere (e, eventualmente, deigradi
del suo essere) pu essere legittmmente definta ontologica. Ora,
in quanto prevede Tesistenza di certi en ti diversi dalle cose empiri-
che e dai fenomeni sensibili come normalmente si manifestano nel-
lesperienza comune, determinando cos una gerarchia di livelli di-
stnti della realta, la teora delle idee si configura propriamente come
un ontologia: ma in quale forma? Secondo Platone, es elusivamente
alie idee appartengono Fessere, lessenza e Tesistenza, mentre la sfe-
ra sensibile rimane vincolata alia semplice apparenza e al perenne
mutamento, che non possono costituire lo stabile contenuto del
pensiero e del discorso n, conseguentemente, Toggetto della vera
conoscenza e della scienza. Le cose empiriche sono dunque soltan-
INTRODUZIONE xvu

to sensibili e oggetto delia mutevole opinione; ie dee sono invece


intellegibili e perci oggetto di pensiero e scienza. Platone fu
senzaltro influ.enza.to, nella sua condanna dei mondo sensibile,
daUinequivocabile giudizio di Eraclito, che sancisce Yeterno dive-
ire di tutte le cose, ma alio stesso tempo, con fipotesi delle idee,
egli cerc precisamente di impedire fesito eracliteo delia radicale
indeterminazione dei tutto, un esito fatale che ridurrebbe allimpo-
tenza il pensiero, il discorso e la filosofia stessa. Le idee infatti, asso-
lutamente differenti e separate dal mondo sensibile in divenire, sfug-
gono al giudizio di Eraclito o, meglio, si pongono al di l dei suoi
effetti devastanti: immobili, immutabili e sempre auto-identiche,
esse rappresentano perci a giusto titolo il contenuto privilegiato
del pensiero e del discorso.
Se in questo contesto si collocano dawero le ragioni e il signifi-
cato delfipotesi dei generi, occorre respingere ogni interpretazione
che ne individux lorigine nella pura intuizione mistico-religiosa o
nella riflessione immediatamente metafsica o, infine, nellanalisi
logico-linguistica. Senza negare a priori gli eventuali sviluppi mi-
stico-religiosi della teoria delle idee n i suoi riflessi logico-lingui-
stici n, ancora, la sua dimensione genuinamente metafsica, cer-
cher tuttavia, nella Parteprima, di ricondurre il fondamentale pro
blema delfontologia platnica alia sua radice epistemolgica, dun-
que alia questione essenziale delia natura e delle modalit dei pro
cesso conoscitivo. Una posizione, di per s non originale in assolu-
to, che presenta ai miei occhi un vantaggio importante rispetto aile
altre. Innanzitutto, possibile spiegare cosi nei modo pi naturale
e storicamente credibile lorientamento dlia riflessione onto lgica
di Platone, non nei termini delfatto puramente dogmtico della
postulazione dellessere, ma come implicazione necessaria ed evi
dente dellinterrogativo di fondo che accompagna ogni dottrina
dlia conoscenza e il dispiegamento concreto dellatto conosciti
vo: cosa si puo conoscre e come lo si conosce? In virt di una con-
cezione fortemente realista e oggettivista dei processo conoscitivo,
P latone ritien e che la conoscenza consista propriam ente
n e i r cadeguam ento del pensiero alloggetto con o sciu to,
neir uniformit o nella corrispondenza stabilita fra il pensiero e
ci che pensato: non sono infatti, secondo Platone, gli oggetti
FRANCESCO FRONTEROTTA
XVIII

pensati a dipendere dal pensiero del soggetto pensante, ma il pen


siero a doversi adeguare e uniformare alla realt oggettiva del pro-
prio conten uto. In altre parole, il pensiero non in grado di costruire
esso stesso funiversalit e loggettivit della conoscenza e del di
scorso, ma di esprimerla sol tanto, come uno strumento neutro,
un Veicolo delF univers alita e deoggettivit che appartengono
eventualmente alloggetto conosciuto. Conseguentemente, solo delle
idee, realt eterne, immutabili e univers ali, si potr realizzare una
conoscenza universale, immutabile ed eternamente vera.
Accoita tale premessa, emerge subito il problema deila defnizio-
ne dello statuto delfoggetto conosciuto, che, in quanto autno
mo e indipendente dal pensiero, esiste senza dubbio autonoma
mente e indip en demente dallinterven to del soggetto conoscente.
Ma la definizione dello statuto dei conoscibili e la descrizione delle
relazioni fra il pensiero conoscente e gli oggetti conosciuti configu-
rano gi a questo liveilo la formulazione di unontologia: bisogner
infatti valutare il grado di realt proprio degli oggetti conoscibili e
la loro collocazione nella struttura del reale per distinguere il grado
di conoscibilit che a ciascuno conviene. D al tro canto, perch tutto
ci sia possibile, perch il soggetto conoscente resca dawero a co-
noscere gli enti collocati al vertice della gerarchia ontologica ed
epistemolgica del reale le idee sembra necessrio supporre che
le idee si rendano a loro volta conoscibili al soggetto conoscente.
Un passaggio niente affatto scontato, se le idee sono radicalmente
diverse e separate dal mondo sensibile a cui il soggetto conoscente
appartiene invece originariamente e costitutivamente. Ecco la ra-
gione della difficile ipotesi della partecipazione delle cose empiri-
che ai generi ideali: soltanto a patto che i due livelli separad del
reale siano posti almeno in parte in comunicazione, diviene legit-
timo credere che gli uomini immersi nel mondo sensibile rie-
scano a conoscere le supreme realt rigorosamente estranee al
mondo sensibile. E inoltre, pii in generale, tutto ci che si trova
sul piano dellapparenza e delfeterna trasformazione della sfera sen
sibile deve intrattenere in qualche modo con le idee una tempor
nea relazione, attraverso la quale gli enti empirici ricevono lessen-
za, le caratteristiche, la definizione e il nome che sono loro normal
mente riconosciuti: nessuna form a, nessuna struttura, nessun or-
INTRODUZIONE XIX

dine, neanche apparente e temporneo, sarebbe altrimenti possi-


bile attribuire al puro e semplice divenire del mondo sensibile, se
non in virt della partecipazione alie idee.
Tuttavia, proprio 1ipotesi della partecipazione solleva infinite con-
traddizioni, come Platone stesso constata nel Parmenide, cui inte-
ramente dedicata lanalisi svolta nella Parte seconda. I problema
principale delFinterpretazione del Parmenide precisamente quel-
lo di determinare con esattezza il significa to, Testensione e la validi-
t delle critiche li rivolte alia teoria delle idee. La questione poi
ulteriormente complicata dal fatto che il Parmenide ricorre, nella
sua costante remise en cause della concezione platnica delle idee,
ad alcuni argomenti di straordinaria sottigezza lgica, in partico-
lare con largomento detto del terzo uomo, che sembra insidiare la
stessa natura delle idee con un irresolubile paradosso: se le idee
sono soggette alla partecipazione da parte delle cose empiriche, non
potranno rimanere allo stesso tempo assolutamente diverse e sepa
rate dal mondo sensibile e finiranno per lasciarsi coinvolgere nelle
aporie del divenire spazio-temporale, perdendo cosl il loro statuto
privilegiato di enti supremi, perfetti e compiuti in s stessi. Si tratta
del dilemma della partecipazione, che costituisce a mio parere il
ncleo teorico del formidabile esame delia teoria delle idee condot-
to ne! Parmenide e che rappresenta del resto il senso profondo, la
difficolt e il limite ineludibile dlia riflessione di Platone e del
platonismo come tale. Una difficolt e un limite che restao in
ultima analisi insuperabili, se non abbandonando gli schemi del
Xyo per gettarsi nellesposizione immaginaria del pOOos1, libera
dai vincoli di coerenza propri del discorso razionale.
Seguiamo ora piti nel dettaglio lo svolgimento e la partizione
deirindagine. Nel cap. I sar presentato un inventario completo
dei riferimenti alle idee contenuti nei dialoghi giovanili e interme-
di, non pero senza tracciare un breve resoconto del contesto argo
men ta tivo dei dialoghi in questione. Anche se esposto ad alcuni
rischi, mi sembrato che il sistema prescelto fosse lunico dawero
efficace per trattare un problema assai degno di interesse11. Discu

11 Come cercher di mostrare nei 1-4 del cap. e nei 1-3 del cap. II, mi pare
che il significaco filosofico dellipotesi deigeneri nei dialoghi giovanili e intermedi sia
FRANCESCO FRONTEROTTA
XX

tero fra laltro, in questo mbito, la vexata quaestio della presunta


evoluzione delia teora delle idee, che continua a suscitare un am
pio dibattito fra gl studiosi12. Bench la tes generalmente preva-
lente sia quella evoluzionista, che colloca lipotesi delle idee escu-
sivamente nella fase matura della riflessione di Platone13, cerchero
di esaminare questa posizione nei suoi termini generali e nei suoi
dettagli testuali: quindi, non stabilendo d emble un confronto fra
la concezione delle idee propria dei dialoghi giovanili e quella che
emerge successivamente nei dialoghi maturi, ma invece sottopo-
nendo a indagine la natura e il significato dellipotesi dei generi nei
suo insieme, prima nelle opere giovanili, in seguito nelle opere
mature. Anche se per certi aspetti minimalista, questo procedimento
giunge a conclusioni sorprendenti rispetto alia communis opinio.

ancora in larga parre sottovalutato. La scelta metodolgica di ricostruke brevemente


il contesto argomentativo dei dialoghi in cui compaiono pi o meno espliciri
riferimenti alia teora delle idee non esente dal rschio di cadere nella banait di un
insieme di aridi riassunti brevi dei dialoghi stessi. Tuttavia, mi sembrato che si
trattasse dellunico mtodo capace di conciliare Jesigenza deila completezza con quella
della chiarezza, non solo isolando le specifiche occorrenze testuali, ma anche richia-
mando il senso generale della discussione, ci che permette di cogliere il significado
della postulazione delle idee rispetto ai problem! filosofci trattati. Non sarebbe stato
invece possibile ottenere lo stesso risultato estrapolando i passi n questione dal loro
contesto argomentativo n tantomeno attraverso un semplice elenco delle occorrenze.
12 Cfr. soprattutto i 2-4 del cap. I e il 2 del cap. VI. II problema principale
da affrontare in questo contesto sari quello di capire se sia possibile ammettere, in
quaiche forma, Tesistenza della teora delle idee (o di una teora delie idee) nei dialoghi
platonici giovanili, contro Finterpretazione di chi nega tout court una simile eventua
lity, per esempio considerando tali dialoghi come una testimonianza fedele dellatti-
vit e del pensiero di Socrate, in nessun modo riconducibile a Platone ( la posizione
difesa in ultimo da G. Vlastos nei suoi studi su Socrate; si veda in proposito il 2 del
cap. VI).
13 Anche fra gli interpreti evoluzionisti - e sar un altro problema da affrontare
neliambito della questione della presunta evoluzione della teora delle idee e della
concezione platnica dei generi ideali-non es iste tuttavia un accordo sui tempi e sulie
modalit d taie evoluzione: alcuni credono infatti, e si tratta della maggioranza degli
studiosi (cfr. ancora il 2 del cap. V I), che le idee si riducano nei primi scritti asemplici
catgorie semantiche del linguaggio o a una certa forma distintiva propria delle cose
empiriche, per acquistare un ben preciso statuto ontologico soltanto nei dialoghi
maturi e tardi; altri invece, specie fra gli studiosi di formazione logico-analitica,
collocano la 'svol ta essenziale della riflessione di Platone nei dialoghi tardi, nei quali,
in seguito a una radicale revisione critica dela dottrina metafsica caratteristica delle
opere della maturit, il filosofo avrebbe concepito le idee come termini universali, tipi
linguist!ci dotad di un esistenza puramente lgica.
ENTRODUZtONE XXF

Nei capp. II-III, intendo sollevare Finterrogativo fondamentale:


perch le idee? Mostrer come la risposta a questo interrogativo
discenda da una peculiare dottrina della conoscenza e del processo
conoscitivo e si ponga perci nelFambito della relazione fra episte
mologa e ontologia. La teoria delle idee diviene cosi una teoria
degli oggetti conoscibili e del loro statuto ontologico, concepita per
soddisfare precise esigenze di ordine epistemolgico: perch do-
vrebbe sorgere negli uomini il desiderio della conoscenza e della
verit? Perch possibie conoscere la verit? Come si conosce la
verit? Solo Fipotesi delPesistenza delle idee fornisce, secondo Pla-
tone, gli strumenri adeguati per rispondere a simili domande. Nei
capp. IV-V, sar presa in considerazione Farticolazione propriamente
ontologica delia teoria delle idee, per stabilire, una volta ammessa
Fesistenza delle idee, quale sia la loro condizione, quali i loro rap-
porti reciproci e con le cose empiriche in divenire che compongo-
no il mondo sensibile. Mi occuper inoltre del problema della dif
ficile collocazione delFidea del bene rispetto alie altre idee, un pro
blema storicamente assai dibattutto e di ardua soluzione, perch
soltanto nei libri V I-V II della Repubblica Platone sembra elevare
Fidea del bene al rango di un principio primo meta-ontologico, la-
sciandola invece normalmente, negli altri dialoghi, in una posizio-
ne non dissimile da quella di tutte le altre idee. Infne, nel cap. VI,
affronter qualche aspetto del dibattito critico contemporneo re
lativo alia teoria delle idee, proponendo in ultimo alcune riflessioni
sulle modalita attraverso cui Platone giunse a formulare Fipotesi
dei generi e a definire la natura e lo statuto delle supreme realt.
Nei capp. VII-VIII, introducendo le critiche rivolte nel Parmenide
alia teora delle idee, sar immediatamente sollevato il 'dilemma
della partecipazione delle cose empiriche alie idee, che rappresenta,
come ho detto, Firresolubile nodo aportico del pensiero di Plato
ne: se le idee sono realmente eterne, immutabili e separate dalla
sfera sensibile, come potranno trovarsi in comunicazione5 con le
cose empiriche? O, in altre parole: non forse contraddittorio con-
cepire le idee come il modello del mondo sensibile, per un verso
universale e separato, per Faltro soggetto alia partecipazione da parte
delle cose empiriche? A un simile interrogativo risponde Fanalisi
svolta nei capp. IX-XI, consacrata allargomento detto del terzo
FRANCESCO FRONTEROTTA
XXII

uomo e ale sue premesse logiche e ontologiche. II recente interesse


per il terzo uomo ha suscitato fra gli studiosi un immenso dibatti-
to, di cui bisogner almeno in parte rendere conto, senza perdere
pero di vista il contesto teorico nel quale largomento inserito, il
suo ruolo e le sue finalit nelleconoma della discussione condotta
nel Parmenide. Vedremo che le obiezioni opposte nel Parmenide
alia dottrina dei generi si concentrano, lucidamente e inflessibil-
mente, su questo punto: cosa un idea platnica? Un ente separato
da tutto ci che gli altro, pura sostanza individale e prima che
dimora neUiperuranio\ o un ente soggetto alia partecipazione da
parte delle cose empiriche, gia originariamente posto in relazione
con il mondo sensibile? Ecco il dilemma della partecipazione nella
sua forma piu acuta. Nel cap, X II, verra suggerita un interpretazio-
ne orignale della seconda parte del Parmenide, che, oltre a recupe
rare un visibile e coerente legame argomentativo con la prima parte
del dialogo, mette in luce come Platone abbia continalo a indaga
re, nei termin rigorosi di un serrato confronto logico-dialettico,
sul dilemma5 della partecipazione delle cose empiriche alie idee,
senza pervenire tuttavia alleffettivo scioglimento della contraddi-
zione. La ricerca si chiude proprio sulle conclusioni paradossali del
Parmenide e sulla crisi della teora delle idee che esse manifestano.
Alie tre Appendici riservato il compito di accennare a quei pro-
blemi storico-critici che era impossible lasciare completamente da
parte: (I) la descrizione dellindagine condotta da Platone nel Sofista
sulla questione della comunicazione fra le idee; (II) un rpido cen-
no agli sviluppi ulteriori del dilemma della partecipazione delle
cose empiriche alie idee nei dialoghi posteriori al Parmenide; (III)
un sinttico resoconto delle principali critiche e obiezioni rivolte
da Aristotele alia teoria platnica delle idee, per mostrare come esse
prendano di mira, in ultima analisi, proprio le radicali difficolt
della p.0e is*.
Occorrerebbe forse chiedersi infine quale interesse possa avere
occuparsi ancora della teoria delle idee e, fra f altro, delfesistenza di
un mondo delle idee o della sua struttura e quale contributo orig
nale possa ormai essere fornito al dbattito critico. Vi sono, a mi
parere, due semplici risposte, entrambe plausibili e sensate.
Innanzitutto, ci che viene comunemente definito platonismo
INTR 0 DUZIONE XXLII

un corpus di dottrine di enorme ampiezza, ricco di nozioni trdite


la cui legittimt e autenticit, per quanto immediatamente e ba
nalmente evidenti, mancano spesso dei necessrio fondamento fi-
lologico. Non sar perci inutile ricostruirne la genesi propriamen
te testuale e Foriginario significato filosofico. Inoltre, opportuno
che alFanalisi testuale si accompagni una prospettiva critica capace
non tanto di 'giudicare Platone e la sua visione dei mondo - ci
che sarebbe dawero privo di senso ~ ma di cogliere Fottica e Festen-
sione delia sua riflessione: se non ha senso valutare la rilevanza filo
sfica o la verosimiglianza scientifica della teoria delle idee in asso-
uto, mi sembra invece degno di grande interesse misurarne Feffica-
cia e la coerenza lgica rispetto alie finalit e agli obiettivi che Pla
tone stesso le attribul. E non certo per esprimersi sulle ragioni psi-
cologiche profonde delFipotesi platnica dei generi, ma per capire
se, nella forma che Platone le diede, tale ipotesi rappresenti dawero
una soluzione soddisfacente delle difficolt e dei problemi in vista
dei quali fu postuiata.
PA R TE PRIM A

EPISTEMOLOGIA E ONTOLOGIA:

LA FORMULAZIONE DELLA TEORIA DELLE IDEE


I.

IL RIFERIMENTO ALLE IDEE


NEI DIALOGHI PLATONICI GIOVANILI,
INTERMEDI E MATURI

1. Un problema metodologico preliminare

La teoria delle idee non discussa o spiegata da Platone in nessu-


no dei suoi scritti n, a quanto pare, egli ha mai giudicato possibile
offrir ne un esposizione organica e sistematica1. Questa constatazio-
ne impone aUinterprete un opra di pazience ricerca delle tracce e
degli indizi dissmint! nei dialoghi, cio che solleva un serio pro
blema metodologico: occorre infatti capire se la distinzione tradi-
zionalmente ammessa fra diverse fasi dlia riflessione di Platone
corrspondenti a diversi periodi dlia sua vita si riproduca anche
dal punto divistateorico e filosofico, se, in altre parole, esista ununi-
ca e identica formulazione dlia teoria delle idee o se invece questa
teoria sia soggetta a unevoluzione e a sostanziali mutamenti.
Intendo percio limitarmi, nei primo capitolo, a una presentazio-
ne dei riferimenti presenti nei dialoghi giovanili, intermedi e matu-
ri alfesistenza di alcune realt universali, radicalmente diffrend
dalla molteplict delle cose empiriche che compongono il mondo

1 N ellai. V 7/(34la7-342al), Platone afferma di nonaver mai esposto informa


sistematica il contenuto dlia sua riflessione (okouv e\ibv ye ne pi aTiiov eanv
auyypa(i|aa oS (JLT)TT0T6 yi/riTai), perch si tratta di dottrine (fj.a0rma.Ta) che
impossibile insegnare (e apprendere) come le altre e che solo pochissimi riescono a
scoprire in s stessi dopo una lunga convivenza con il loro oggetto (tc ttoAXts'
awonoia- yL"yvo|ii'r|S' Tiepl t T r p y f i a a T O a l roi) ov(f]v). Per linterpretazione
di questo passo e per il dibattito sullautentictdliai/). VII, cfr. M, ISNARDI PARENTE,
La VII epistola e Platone esoterico, in RSP, XXVI, 1969, 416-431; e Id ,, Filosofia e
politica nette Lettere di Platone, Napoli, Guida 1970, 22 sgg.; 97 sgg.
FRANCESCO FRONTEROTTA
4

come si manifesta nellesperienza comune: si tratti di essenze


(oucrai.), idee (Lai), 'forme (er)) o generi (yvrj)2, saroppor-
tuno individuare le occorrenze significative di questi termini, deli
neando c o s il contesto filosofico e testuale entro il quale possibile
collocare la teora delle idee fin nei suoi elementi costitutivi. Ci
non implica affatto bene premetterlo con chiarezza che tale
indagine abbia un intento genetico-evolutivo, quello cio di rico-
struire le linee di sviluppo o il progresso della riflessone di Plato-
ne e della sua ipotesi relativa allesistenza delie idee: in assenza di
indicazioni certe per stabilire la cronologa dei dialoghi, se non nel-
la forma d i una generica appartenenza alla giovinezza, alia maturita
o alia vecchiaia del loro autore3, ogni considerazione genetica sa-
rebbe evidentemente del tutto opinabile e persino, credo, di scarso
interesse.
Formulata questa premessa, passiamo dunque a considerare,
innanzitutto, alcuni aspetti strutturali e metodologici dei primi scritti
di Platone.

2 Come ho gia detto (cfr. il 2 e\YIntroduzione), mi servr indi ffe ren te men te,
nel corso di q ti esta ricerca, dei termini idea, forma, genere1 e, in acuni casi,
essenza, per designare le reaita eterne, immutabili e auto-identiche che Platone
definisce I8ai, elSr, yur] e, talara, ocai. W .D . Ross, op.cit., 37-43, ha
sostenuto che, poich questi termini presentano, nella letteratura greca e negli stessi
dialoghi platonici, dversisigniPicati, solo nei dialoghi maturiessi sarebbero impiegati
da Platone in riferimento alia teoria delle idee, mentre nei dialoghi giovanili
conserverebbero un significato generico. Ho avuto modo di accennare aquesta tesi nei
2 e\\'httroduzi&ne: mi limito a osservare ancora che, se i termini i.S a , el Soy e
yuos-' sono caratterizzati da una certa ampiezza semantica, ci rimane vero in tutti
i dialoghiplatonicie non solo in quelli giovanili cos come in tutti i dialoghiplatonici
- e non solo in quelli maturi - attestato un largo uso tcnico e specifico di questi
termini, senza dubbio ne contesto filosfico della teoria delle idee. La tesi di Ross mi
pare per lo pi motivata dallintenzione di fondo, del resto chiaramente espressa
dallautoie, di escludere lesistenza della teoria delle idee nella prima fase della
riflessone di Platone. Cerchero di dmostrare nel prossimo capitolo che tale posizione
infondata e smentita dai tesri.
3Per la cronologa dei dialoghi assunra in questa ricerca, cfr. il 1 del!Introduzione.
11 KIFHRJMENTO AILE DEH NEI DIALOGHI PLATONICI 5

2 . dialoghi'd efinitonla ricerca della definizione e la determinazio-


ne del definiendum

Fra i dialoghi giovanili e intermedi di Platone sussistono, gi a


prima vista, alcuni elementi comuni e ricorrenti che ne determina
rlo inequivocabilmente la struttura frmale. Questi dialoghi ruotano
infatti invariabilmente intorno al confronto fra un Socrate che pro-
fessa apertamente la propria ignoranza e uno o pi interlocutori
che, invece, si dichiarano, o sono da altri dichiarati, sapienti ed
esperti delfoggetto del contendere. Tale confronto si svoge nor
malmente attraverso una serrata interrogazione da parte di Socrate,
che desidera apprendere dai suoi interlocutori la materia di loro
competenza o, almeno, alcune sue caratteristiche fondamentali: in
realt, pero, a disperto delle aspettative inizial, la discussione non
fa che svelare la profonda ignoranza degli interlocutori di Socrate,
conducendo perci a una conclusione irrimediabilmente aportica,
il cui nico esito positivo consiste neliindicazione della necessit
di un ulteriore e pi seria ricerca4.
Nel contesto di questa precisa analogia frmale e strutturale,
abbiamo poi un gruppo pi ristretto di dialoghi che si distinguono
a loro volta dagli altri, perch articolano il confronto fra Socrate e i
suoi interlocutori, nella sua totalita o solo in parte, in base a certe
modalit fisse e, per cosi dire, canoniche. In particolare, la discus-
sione muove dalla richiesta socratica di una defmizione deUogget-
to sottoposto ad analisi, attraverso un interrogativo abitualmente

4 Escludendo YApologa d i Socrate e il Critonc, che ripropongono alcune fasi del


processo e dela prigionia di Socrate e si collocano perci in un diverso contesto
argomentativo, questo e senza dubbio il caso delYlppia minore, con il confronto fra
Socrate e Ippia sullinterpretazione di Omero e sulla contrapposizione suggerita dal
sofista fra lastuzia menzognera di Ulisse e lo schietto valore di Achille; dello lorie, con
la discussione fra Socrate e il rapsodo Ione suHattivifa e la competenza del rapsodo,
che Socrate riduce a un divino celebratore di Omero, privo di competenze specifiche;
del Liside, con il dibattito fra Socrate, Menesseno e il giovane Liside intorno alia natura
della <f)iXia e al comportamento degli amanti; delf Eutidemo, con la disputa fra Socrate,
Eutidemo e Dionisodoro che propongono, di volta in volta abilmente confutad da
Socrate, alcune paradossali tesi sofistiche. II Menesseno si pone invece al di fuori di
questo schema frmale, perch non espone una discussione fra due interlocutori in
senso proprioe non ha una conclusione negativa e aportica, ma contiene Tiliustrazione
da parte di Socrate a Menesseno della struttura e delle modalit delle orazioni funebri.
FRANCESCO FRONTERO I TA
6

formulato cosi: cosa (t ari) X ?5 La ricerca della definizione


awiata dalla domanda socratica, con le diverse proposte degli in-
terlocutori del dibattito e le successive confutazioni ad esse opposte
da Socrate, si conclude di norma negativamente poich, in genera
le, il definiens non corrisponde al definiendum davvero universale
che invece Socrate esige, ossia, in altre parole, in quanto le defini-
zioni di volta in volta suggerite non designano un oggetto che sod-
disfi effettivamente i molteplici requisiti della domanda socratica,
primo fra tutti quello delluniversalit: per esprimersi semplicemente,
gli interlocutori di Socrate non riescono a dire cosa X in genera
le, ma si limitano a proporre un esempio del tutto particolare e
concreto di C X\ Simili modalita argomentative si ritrovano special-
mente, fra i dialoghi giovanili e intermedi, nel Car nude, nel Lachete,
nelXlppia maggiore e nellEutifrone, ma anche nei pi tardi Protagom,
Menone e Cratilo, che presentano al proprio interno lunghe sezioni
dedicate alia ricerca della definizione di quaicosa o che, comunque,
hanno un carattere almeno indirettamente d efinitorio6. Intendo

5 Conviene segnaJare fui d ora chclariduzione formale del mtodo di interrogazione


socrtico nella formula cosa (t cm) X?, di cui mi servo qui e di seguito, pu essere
soggetta ad alcune ambiguit. Infatti, nei dialogiii definitori, loggetto della ricerca
coincide quasi sempre con una qualit morale (come il coraggio, la temperanza, la
santita o la giustizia) o con la virt in generale o, ancora, con una qualit estetica (come
il bello e il brutto), ponendo quindi unevidente limitazione al significato universale
della X nella formula cosa X?1. Nonostante questa constatazione di fatto, mi pare
tuttavia legittimo sostenere che mtodo di interrogazione socrtico potrebbe venire
applicato a qualunque tipo di oggetto, come awiene, per esempio, in Men. 72a8-b2,
in cui Socrate chiarisce la sua rchiesta di definizione della virtii introducendo 1 caso
dellape, spiegando come egii desideri conoscere quale sia lessenza dellape (fieXm^
... oCTas" tl tto tcjTti') in generale, indipendentemente dalle diverse specie di api
che sarebbe possibile individuare e classificare. E analoghi sono gil esempi forniti da
Socrate nei Lachete ( ] 92al-b4), con a definizione della velocita (rxo? t
TTOTecTTy), e ancora nel Menone (74b4-77a2), con la definizione della figura geomtrica
(t otlv a^f^a.) e del colore (ne p! xptV aTO? tl ctt y). Diverra via via pi chiaro,
attraverso Fanalisi dei dialoghi definitori, che la ricerca socratica si rivolge aessenza
universale di un oggetto e delle sue qualita e non certo alia concreta determinazione
delle sue esemplificazioni specifiche e parcicolari: non dunque cosa e bello?, ma cosa
il bello? (cfr. Hp.M a. 287d4-6); non cosa e questa ape?\ ma cosa e lape?\
6I I G orgia rappresenta in effetti, rispetto alio schema tracciato, un caso a s, poich
ha una struttura che permette di collocarlo a meta strada fra i dialoghi aporetici e i
dialoghi propramente definitori. La discussione muove infatti da una generica
rchiesta di definizione da parte di Socrate al sofista: cosa la retorica? Socrate vuole
sapere precisamente quale (t? cm) la natura di questa arte e non quali sono le sue
IL RIFERIMF.NTO ALLE IDEE NEI DIALOGHI PLATONICI 7

dunque prendere in considerazione qui tali dialoghi definiton e


mi concentrerd esclusivamente, nellimpossibilita di analizzarne i
diversi aspetti, sul problema specifico della ricerca della definizio-
ne, della natura del metodo definitorio e dello statuto deiroggetto
della defmizione, prima rispetto ai singoli dialoghi considerati7, in
seguito, piu in generaie, rispetto alle sue molteplici implicazioni
nel quadro della formulazione della teoria delle idee8.

2 .1 II Carmide: cosa e la temperanza7.


Cominciamo dal Carmide, nel quale Socrate intraprende con il
bellissimo Carmide e con Crizia un indagine sulla natura della tem
peranza (owc^pocrijvr}) e sulla sua utilita pubblica e privata. II pre-
supposto dellanalisi e esplicito: dal momento che e senza dubbio
un giovane temperante e la temperanza risiede quindi in lui, Carmide
deve necessariamente averne unopinione chegli permettera di dire
che cosa essa sia e di che specie (otl eorii' ica'i ottolov t l, 159a3-4).
Quattro definizioni della temperanza vengono proposte nel dialo-
go, le prime due da Carmide, le altre due da Crizia.

(I)
La temperanza e una certa calma e moderazione (fiauxLorns- Tig-) ncllagire.
Socrate osserva tuctavia che in moke circostanze e rispetto a diversi comportamen-
ti, per esempio nel corso di unesecuzione musicale o nella lotta, la temperanza si
riduce piuttosto alia rapidka e alia prontezza, assai piii efFicaci e appropriate della
lentezza e della calma, e invita dunque il suo interlocutorc a indagare meglio in
se stesso, visto che proprio in iui la temperanza e presente ( 1 59 b l - l 60 e l).
(n)
La temperanza coincide forse con il pudore (atSciJs-) che si prova nel compiere
azioni vergognose. Ma non sempre il pudore e cosa buona, si oppone Socrate, e,
di conseguenza, o la temperanza e a volte buona e a volte cattiva, oppure non
consiste nel pudore ( I 6 0 e 2 -l6 lb 2 ).

qualita (irota t i s , cfr. 448e6-7; 4 6 2 c l0 ; 463b7-c5). Ma poi, a partire da tale


presupposto, lanalisi svolta nel dialogo, attraverso la disputa di Socrate con Gorgia e
con i suoi seguaci Polo e Callicle, abbandona il problema della definizione della
retorica per affrontare invece quello deila natura dei suoi oggetti, in un lungo e a tratti
violento confronto dalle molteplici implicazioni etiche e politiche sul bene e sul male,
sul giusto e suiringiusto, sulla felicita e sullinfelicita.
7 Cfr. i 2 . 1 - 2.6 di questo cap. I.
8 Cfr. i 3-4 di questo cap. I.
FRANCESCO FRONTEROTTA
8

(III)
L a te m p e ra n z a consiste nel produrre delle cose buone (rr|v tqji.' yaOuii' tipa^iv).
Eppure, r i b a t t e Socrate, spesso non si consapevoli di agirc bene e utilmente,
come nel caso del medico, che non sempre certo dellesito della sua cura:
pertanto o si accetter di concludere che, paradossalmente, la temperanza implica
talvolta una certa inconsapevolezza di s oppure bisogner respingere la definizio-
ne suggerta come errata (I 6 3 d l- I 6 4 c 6 ).
(IV)
La temperanza conoscenza di s stessi e, in quanto tale, rappresenta il fondamen-
to di tutte le scienze: Crizia ripiega cosi sul precetto deifico. La confutazione di
Socrate si svolge in tre punti: (a) se questa defmizione vera, occorre riconoscere
che chi temperante, conoscendo s stesso, sar anche consapevole di ci che sa
e di ci che non sa e ia temperanza si ridurr eos) a una sorta di conoscenza di
conoscenza; (b) ma come possibile essere consapevoli di ci che non si sa? Come
si pu sapere di non sapere? Se ludito ascoita i suoni e la vista vede i color - e n
ludito n la vista percepiscono dei non-suoni o dei non-color - analogamente
ogni scienzasi rivolge al proprio oggetto specifico, a unessenza determnata sulla
quale esercita la propria azione (ttjv oi>aav Tipo? qv fj Swa^ig airroi f|v),e
presuppone un sapere intorno a questo oggetto, ma non s rivolge certo a un non-
oggetto presupponendo un non-sapere intorno ad esso; infine, (c) pur accettan-
do la tesi di Crizia e ammettendo dunque che esista una simile scienza, rimarreb-
bero comunque da dimostrare la sua utilica e il fatto che essa consiste effettivamen-
te nella temperanza (I6 6 e 5 -1 6 9 b 5 ). 9

} Lintroduzione da parte di Crizia del celebre precetto deifico della conoscenza


di s, con la conseguente indagine di Socrate sulla sua verdicit come defmizione della
temperanza, solleva diversi probemi che impossibiie affrontare qui nel loro insieme.
Mi limito perci a sintetizzare i risultati della confutazione intrapresa da Socrate (per
jqualisiveda anche Cu.H. K a h n , 183-209): Ianalisj del concetto paradossale
di conoscenza di conoscenza svela innanzitutto che ogni genere di conoscenza deve
avere un oggetto specifico in relazione al quale viene definito - giacche non pu mai
essere considerato semplicemente in relazione a s stesso; che, ancora, la conoscenza
pii utile quella che verte sul bene e sul male; e che, infine, solo se una simile forma
di conoscenza appartenesse allintera citt, rutti i cittadini potrebbero realizzare
plenamente Ja loro felicita pubblica e privata. La questione ha susctate tuttavia un
ampio dibattito fra gli studiosi, tanto rispetto alie conclusioni raggiunte, quanto
rispetto alia natura del precetto deifico e alia sua critica nel dialogo: cfr. R. McKlM,
Socratic self-knowledge an d knowledge o f knowledge in P latos Charmides, in TAPhA,
CXV, 1985, 59-77; S. B e r n a d e t t e , On interpreting Platos Charmides, in Graduate
Faculty Philosophy Journal - New School for Soc. Research, New York, XI, 1986/
2 , 9- 36 ; K. G l o y , Platons Theorie der monpri aurfjs' im Charmides a Is Vorlaufer
der modemen Selbstbewuftseinstheorien, in KantStud, LXXVII, 1986 , 137-164;
T.F. MoRFUS, Knowledge o f knowledge an d luck o f knowledge in the Charmides, in
ISPh, XXI, 1989/1,46-61; e, in ultimo, M .-F. H a z e b r o u c q , L a fo lie humaine etses
remedes. Platon, Charniidc ou de la moderation, traduction nouvelle et commentaire
de M.-F. H a z e b r o u c q , Paris, Vrin 1997.
L R.IFERI MENTO ALLE IDEE NEI DIALOGHI PLATON1CI 9

II dialogo si chiude con la constatazione delFaporia: Socrate av-


verte per divinazione che la temperanza buona e utile, ma sem-
bra impossibile trvame la prova (175a9-176d5).
Conviene sbito mettere in luce, come tratto comune dei dialo-
ghi definitori, lesplicita e diretta richiesta socrtica che da Tawio
alia ricerca della defmizione: cosa (ti crri) la temperanza? Anlo
gamente, e si tratta di un altro elemento ricorrente, lindagine muove
dal presupposto che gli interlocutor! che Socrate ha di volta n vol-
ta di fronte, conoscano in qualche modo, per esperienza personale
o per averio appreso da altri, loggetto di cui si discute. Le defini-
zioni proposte dipendono dunque da una precedente conoscenza
della materia o, almeno, da un opinione ad essa relativa. Ed pro-
prio il caso di Carmide che, essendo un giovane temperante e aven-
do quindi in s la temperanza, dovrebbe poter dire che cosa sia.
Ma quali sono la natura della defmizione formulata e lo statuto del
suo oggetto? Emerge con una certa chiarezza dalle defmizioni (I),
(II) e (III) che il definiendum considerato alia stregua di uno stato
psico-fisico, di una particolare condizione delfanima e del corpo:
la temperanza viene descritta come una certa calma (I), come
pudore (II) o come una capacita di produrre cose buone (III),
ma nulla di pi detto in proposito nel Carmide. D altro canto,
lanalisi condotta da Socrate intende verificare precisamente che le
parole utilizzate nella defmizione, il definiens, esprimano il loro
conten uto, per cos dire, universalmente, ossia in una forma valida
per tutti i possibili esempi concreti di temperanza, per tutti i casi e
per tutte le circostanze specifiche in cui compare, a qualunque tito-
lo, la temperanza. Su tale esigenza di universalit concentrata lat-
tenzione di Socrate ed daUesito negativo della verifica, come ab-
biamo visto, che deriva la sua triplice confutazione: si danno infatti
situazioni pardeolari in cui la temperanza non puo consistere nella
calma, nel pudore o nella capacita di produrre cose buone e
ci appare sufficiente per respingere le tre definizioni.
Diversamente, nella defmizione (IV), la confutazione non di
pende dalla mancanza di universalit del definiendum, un aspetto,
questo, che non toccato affatto, ma dalla grave contraddizione
che esso suscita: se la temperanza coincide con un genere di cono-
scenza, si rivela necessario stabilire quali siano i suoi oggetti ed esa-
FRANCESCO FRONTEROTTA
10

minarne la consistenza, ci che finisce per sollevare, nel Carmide, le


pi. serie difficolt. In altre parole, la definizione richiesta da Socrate
deve owiamente possedere, oltre al requisito delfuniversalita, unin-
trinseca coerenza lgica, rispetto a s stessa e rispetto alie conse-
guenze che se ne possono dedurre.

2.2 II Lachete; cosa e il coraggio?


Passiamo adesso al Lachete, che introduce il problema delledu-
cazione dei giovani, specialmente rispetto alladdes tramen to mili
tare e al combattimento in guerra. Richiesto da Nicia e Lachete di
intervenire nella discussione per esprimere il suo parere di esperto
nella curadelle anime (rcx^i-KOS trepl 0epaneav), Socrate
fa osservare come, per condurre Tindagine in modo corretto, con
venga innanzitutto definire quella particolare virt che rende mi-
gliori i giovani in battaglia, poich non si tratta della virt in gene-
rale, ma solo di una sua parte, il coraggio (vSpea): occorre scopri-
re allora cosa sia ( t cmv) il coraggio (184c5-190e3). Tre sono le
definizioni successivamente avanzate da Lachete le prime due e
da Nicia - Fultima.

(I)
II coraggio consiste nel restare al proprio posto e non fuggire atterriti di fronte al
nemico. M a spesso, replica Socrate, si rivela assai pi coraggioso chi combatte
muovendosi e indietreggiando strategicamente davanti al nemico e, daltra parte,
ci che sottoposto ad analisi non il coraggio come virt escusiva del guerriero,
ma il coraggio che chiunque pu manifestare in ogni circostanza della vita:
I oggetto della definizione, infatti, rimane sempre lo stesso indipendentemente
dalle circostanze in cui si viene a trovare (y iraca tortol? ra>Tv cmv) e senza
alcuna eccezione (190e4-192b 8).
(II)
II coraggio una certa forza de lf anima (icapTepta t l ? rrj9 Tuttavia,
bisogna almeno aggiungere a questa forza del 1'anima la facolta di giudicare (jie ra
(^povTjaecs-), altrimenti il coraggio rischierebbe di essere ridotto alia stolta
temerariet. E non appare comunque pi coraggioso in battaglia chi si trova in
inferior! t numrica piuttosto che i soldati accorti e giudiziosi che, in previsione
dello scontro, si sono preparad adeguatamente e radunati in ampia schiera? In tal
caso, e necessario concluderne che non sempre allintelligenza e alia capacita di
giudizio corrisponde altrettanto coraggio ( 19 2 b 9 - 19 3 e5 ).
II. RJFERIMENTO AIXE IDEE NEI DIALOCHJ PLATONICI 11

(III)
11 coraggio una scienza, e precisamente la scienza delle cose temibili e delle cose
non temibili (rqv t G>v Seivtov ai BappaXwv emaTT|p.r|y). Se pero ilgiudizio sulle
cose temibili o non temibili si basa in realt sullaspettazione e la previsione di un
male o di un bene futuri, questa scienza riguarder soltanto il futuro e non anche
il presente e il passato: conseguentemente o il coraggio limitato agli awenimenti
futuri - e, paradossalmente, non si potrebbe mai essere coraggiosi nel presente -
oppure coincide con la scienza del bene e del male ingenerale (e non solo delle cose
temibili e non temibili), ci che sembra dawero impossibile giacch il coraggio
era stato iniziamente definito come una singla parte della virt ([lpioy ev Tujy
rfjspcTfjs-)enoncomelavirtnelsuoinsieme(a|i.Tiaaa perri, 1 9 4 c7 -1 9 9 e l0 ).

La ricerca si interrompe senza un risultato positivo (199el 1-12).


Ancora una voita, e possibile rilevare come alia domanda socratica
cosa (t tmv) il coraggio? si possa rispondere soltanto in virt
di una precedente conoscenza della materia: non a caso, sono pro-
prio due abili militari, Nicia e Lachete, a discutere del coraggio, di
cui dovrebbero in qualche modo avere unesperienza diretta. Da
tale esperienza non discende tuttavia una definizione soddisfacen-
te: osserviamo allora le ragioni dello scacco. Innanzitutto, per quel
che riguarda lo statuto del definiendum, delloggetto indicato come
contenuto dell5esame, risulta evidente dalle definizioni (I) e (II)
che esso concepito, non diversamente da quanto aweniva nel
Carmide, alia maniera di uno stato psico-fisico o, per esprimersi
come sopra, di una condizione deUanima e del corpo: il coraggio
consiste nel restare al proprio posto di combattimento (I) o in
una forza deanima unita alia facolt di giudizio (II). Rispetto al
Carmide, daltra parte, viene precisato soltanto che loggetto in
questione deve rimanere sempre idntico, indipendentemente dal
le circostanze in cui si viene a trovare (v tt&o'l totjtols 1 raTy
oTiv, 191 d i 0- 1 1 ), senza pero che nessuna ulteriore determinazio-
ne ne illustri effettivamente la natura essenziale, al punto che, anzi,
si rivela forse discutibile parlare di una sua natura essenziale, se
non da un punto di vista genericamente semntico. Cosi pur, con
siderando ora la confutazione opposta a queste definizioni, lanalisi
di Socrate si limita a constatare Tassenza del requisito fondamenta-
le della definizione richiesta, quello dellestensione universale del
definiens o, ed lo stesso, delluniversalit logxco-semantica del
definiendum-. restare al proprio posto di combattimento, nfatti,
12 FRANCESCO F RO NT F,ROTTA

rappresenta esl us ivamente un p a r t i c o l a r i s s m o esempio di coraggio


e, inoltre, in unaccezione molto ristretta; analogamente, solo in
certi casi il coraggio pu essere dawero interpretato come una for-
za dellanima unita alla f a c o l t di giudizio, dal momento che sem-
bra possibile citare un infmit di circostanze e di situazioni specifi-
che n e l l a m b i t o delle quali una simile definizione manifesta un as-
soluta inadeguatezza.
La definizione (III), come la (IV) del Carmide, chiama in causa,
anche se in altro contesto, una forma di scienza e un particolare
genere di conoscenza e, nuovamente, la confutazione di So crate
non prende ie mosse dalla verifica immediata dlia sua universalit,
ma dallesame del suo contenuto e dlia sua coerenza logica, con la
paradossale conclusione che taie contenuto appare o talmente ri-
stretto da non comprendere tutti i possibili casi ed esempi di corag
gio; oppure talmente esteso da superare i confini posti alla dfini-
zione del coraggio per abbracciare Tintera virt, contraddicendo
cosi il presupposto dellindagine, che si voleva limitata a una sola
parte dlia virt, quella, appunto, che coincide con il coraggio. Il
Lachete si chiude10 quindi con questo accenno al problema del-
lunit e dlia pluralit dlia virt e delle sue parti, un tema non
inusuale nei dialoghi definitori, ma affrontato specialmente nel
Protagorc1.

1UPer unanalisi dettagliata della struttura del Lachete e una discussione, ben pi
approfondita di quella appena abbozzata qui, deila natura del metodo defntorio e dei
suoi obiettivi, cfr, C h . H . K a h n , Plato's methodology in the Laches, in RIPh, XL,
1986, 7-21; e soprattutto L.-A. D o r i o n , Platon, Laches dr Euthyphron, traduction
indite, introduction et notes par L.-A. D o r j o n , Paris, GF-Flammarion 1997,15-79.
11 Sulla questione dellunit e della pluralit della virt tornero, seppur brevemente,
con gli opportuni riferimenti bibliografici nel 2.5, n. 17. Per il momento, rinvio
ancora a L.-A. D o r i o n , Platon, Laches dr Euthyphron cit., 171-178, che ha fomito
un esauriente spiegazione del problema come viene soilevato nel Lachete, illustrando
i termini del dibattito critico soprattutto attraverso lanalisi degli interventi di G.
SANTAS, Socrates at work on virtue an d knowledge in P latos Laches, in RMeta, X XII,
1969, 443-460 (riedito in Thephilosophy o f Socrates: a collection o f criticalesays, ed. by
G. V l a s t o s , New York, Doubleday & Anchor 1971, 17 7 -208); G. V l a s t o s , The
argument in Laches 19 7 e ff., in G. V l a s t o s , Platonic studies, Princeton, Princeton
Univ. Press 1973 (seconda ed.: 1981), 266-269; T. PENNER, What Laches andN icias
miss ~ a n d whether Socrates thinks courage merely a p art o f virtue, in AncPhil, X II,
1992, 1-27.
U. Rl FERM EN TO ALLE IDEE NEI DIALOGHI PIATONC1 13

2.3 L\ppia maggiore: cosa il bello?


Occorre considerare a questo punto 1Ippia maggiore, che insie-
me con XEutifrone rappresenta, come cercher di mostrare, un pas-
saggio decisivo nelelaborazione della teora delle idee, i cui ele-
ment fondamentali compaiono qui in modo consapevole ed espli-
cito. In 286c3-e4, dopo alcune battute preliminari, Socrate intro
duce Toggetto della discussione: egli desidera interrogare il sofista
Ippia, per conto di un anonimo interlocutore, per sapere da lu
cosa sia il bello (t ecm t KaXv), o piuttosto, per esattezza, il
bello 'in s5 (ot t KaXv). Per precisare la sua richiesta, Socrate
fornisce alcuni esempi: se corretto dire che i giusti sono tali per la
giustizia (SiKaiocrwri), i sapienti per la sapenza (ao(f>a) e i buoni
per il bene (t<S yaOto), e se, ancora, la giustizia, la sapienza e il
bene sono qualcosa che esiste realmente (co n t i toOto), anloga
mente, rispetto al bello, non sara possibile rispondere che esso coin
cide con belle occupazioni o con fastosi ornamenti, giacch la que-
stione non cosa bello? (t ctti KaXv), ma cosa //bello?
(tl ccttl t KaXv). Numerse sono le definizioni suggerite da
Ippia, via via riprese e corrette da Socrate.

(I)
II bello una bella fanciulla: questa lopinione che chiunque accoglierebbe come
vera. E tuttavia, se le cose belle sono tali per lesistenza del bello in s (el t cmv
ar t KaXv), bisognera riconoscere che una bella fanciulla, al pari di una bella
cavalla o di una bella pentola, pu essere bella solo in forma parziale e imperfetta,
dal momento che la pi bella delle fanciulle, che pur bella rispetto alia pi bella
delle cavalle, sara pero senza dubbio brutta rispetto alia pi bella delle dee: ora, il
bello in s (abro t KaXv) non pu apparire tanto bello quanto brutto (oSv
^iWov KaXv f alox p v ), ma esclusivamente bello. Ci che occorre defmire
si precisa ancora quella forma che, aggiunta alie cose (TTaSv TTpOCTyvT|Tai
k vo t e lS o j), le rende belle (287b 4-289d 5).

{II)
II bello e Toro, che, aggiunto a qualunque cosa, la fa splendere magnficamente.
D altra parte, come Socrate osserva, non sempre Toro conferisce bellezza a un
oggetto, e Fidia, per esempio, non fabbric in oro, ma in avorio, gli occhi della
sua splendida statua di Atena. La definizione di Ippia viene allora corretta cos:
bello e ci che a ciascuna cosa conviene (o v TTpiTQ iccm). Eppure, ci che
conviene a oggetti volgari 1ornamento grossolano e semplice, che non pu certo
essere considralo bello (289d 6-291c9).
14 FRANCESCO FRONTEROTTA

(III)
Quel bello che mai appare brutto a nessuno in nessun modo (t kclXv ...
|j.ri5TTOTe alaxpi^ frr|8apo [iriSei/i ^avelTai) consiste, per un uomo, nelfcssere
ricco, in salute, onorato dai greci e, gunto alia vecchiaia dopo aver seppellito i
prop ri genitori, essere sepolto dai prop ri figli decorosamente. Neanche questa
volta, per, la definizione coglie nel segno: infatti, non per tutri, secondo la
testimonianza dei poeti e delia tradizione, stato bello seppellire i propri genitori
ed essere sepolti dai propri discendenti e, conseguentemente, non pu trattarsi di
quei bello in s che, aggiunto a ogni cosa, 1a rende bella, che sia unapietra, unpezzo
di legno, un uomo, un dio, una qualunque azione o disciplina (2 9 1 d l-2 9 3 d 4 ).
(IV)
A causa delia grave impasse deilindagine, viene richiamata una delle precedenti
defmizioni per analizzarla nuovamente: ci che appropriate (t TrpTTov') rende
belle le cose. Del resto, non assurdo ammettere che 1aspetto di un uomo appaia
assai pi bello, quando egli indossi, per esempio, gli abiti adatti. Ma, in tal caso,
si fmirebbe per affermare che il bello in s fa appanre, e non essere, belle le cose e
non questo lo scopo delia ricerca: si deve scoprire, al contrario, ci che fa essere
belle le cose belle, indipendentemente dalle apparenze (t 8 ttolov eivai tcaX
... k v re (fmvriTai e v re TrapaTov Xyeii/ t l crri, 293d 5-295a2).
(V)
II bello si riduce a ci che utile e giovevole (t XP1! 0,1^0^) > meglio, a ci che
produce utilit e giovamento. M a in questa prospettiva il bello flnir per costituire
la causa di ci che utile e giovevole, dunque la causa del bene (toj ya 0ou ...
aiTiv ccm v t KaXv); conseguentemente, poich una causa si rivela sempre
diversa dai suoi effetti, il bello dovr essere considerato diverso da bene e il bene
dal bello, il che sembra inaccettabile (2 9 5 b 7 -2 9 7 d l).
(VI)
II bello consiste forse nei piaceri che si traggono dalludito e dala vista. Tuttavia,
i piaceri provenienti dalludito e dalla vista non sono belli in quanto provengono
dalludito e dalla vista, perch, se cosi fosse, il piacere procurato dalfudito (che
di natura diversa da quello procurato dalla vista) riguarderebbe esclusivamente
ludito e non la vista, e, analogamente, il piacere procurato dalla vista (che , a sua
volta, di natura diversa da quello procurato dall'udito) riguarderebbe esclusiva-
mente la vista e non 1udito: quindi necessrio supporre che belli siano i piaceri
delludito e della vista nel loro insieme, ma non Tuno e Taltro presi singoiarmen-
te 12. M a il bello un qualcosa di idntico (tl t a b r) che rende belli i piaceri

12 A questo proposito, Ippia incerto sulla possibilita che esistano caratteristiche


che, attribuite a un insieme di elementi, non appartengono poi a ciascuno di essi
singolarmente; Socrate gli fa per osservare come ci si verifichi nei caso deliunit e
delia molteplicit o del pari e del dispari: in un insieme di due elementi, ciascuno dei
due , di per s, uno e dispari, mentre 1insieme rimane, nel suo complesso, un insieme
pari di due elementi. II problema deila relazione fra ununica carartertstica o propriet
I I R IF E R IM E N T O A U .E ID E E N E I-D IA L O G ! l PLA TO N jC J 15

delludito e della vista, sia singolarmente sia in coppia, ana caratteristica comune
presente in entrambi (t kolvv toto, o xa! ^ oT p ais- aTais1 eirecm Kaiuf)
ai ex a r p a iSa) e non vi nessuna ragione di credere che, se Socrate e ppia
son, ognuno, belli, non sia bella anche la coppia che essi costituiscono, o che,
viceversa, se la coppia di cui fanno parte e bella, non siaio poi belli Socrate e Ippia
ognuno di per s (2 9 7 e 3 -3 0 3 d l0 ).

II dialogo si chiude sullultimo scacco sbito dai due interlocu-


tori (303dl l-304e9).
Anche nX Ippia maggiore, ed un elemento che abbiamo ormai
individuato come caratteristico dei dialoghi definitori, Socrate si
rivolge al sofista Ippia per sapere cosa (t cctti) il bello: chi me-
glio di un sofista, infatti, che si dichiara competente nelie pi vari
discipline, potra rispondere a questa domanda? Rivolgiamoci sbi
to alie indicazioni fornite nel dialogo sulloggetto della ricerca
socratica e sul suo statuto, perch proprio da tale punto di vista
emergono importanti novit e un significativo mutamento di pro-
spettiva. M i pare del tutto evidente, e Socrate lo ripete a pi riprese
(287d 2-el; 289d2-5; 292c8-d4; 294b6-c2; 300a9-b2), come ven
ga prepotentemente alia luce, per la prima volta rispetto al Carmide
e al Lachete, il necessario riferimento oggettivo della definizione,
che non pu accontentarsi di esprimere, in forma pi o meno uni-
versale, un efficace descrizione del definiendum basata esclusivamente
su una generica esperienza del soggetto proponente e suiraccordo
fra gli interlocutori sul piano semntico ed epistemolgico, ma deve
invece rinviare precisamente alia natura essenziale delloggetto in
questione, a quella forma o idea che, aggiunta a ogni cosa, la rende
bella (cttclSciv <TTavrl> TTpoa-yvriTai ckclvo t elSos ... Kav
TroLe'i): questa forma o idea (elSo?) non che il bello in s
(abro t KaXv) e costituisce la causa della bellezza di tutte le altre
cose belle. E infatti, bench al principio Ippia affermi di non com
prendere esattamente il significato della richiesta socratica, quasi
tutte le definizioni che eg suggerisce non si limitano a designare

e i molteplici oggetti di cui essa si predica riproposto, naturalmente con altra


consapevolezza e in unaltra prospettiva, nel Pamienide (131 a4-e6) e nel Filebo (15b 1 -
8), nellmbito di una serrata indagine suliambiguita del rapporto partecpativo fra
le cose empiriche e le idee (cfr. ii cap. VIII).
16 FRANCESCO FRONTERO'ITA

un mero concetto o una condizione dellanima e del corpo, come


aweniva nel Carmidee nel hchete, giacch indicano piuttosto, anche
se con una certa rozza semplicit, delle cose in senso proprio, degli
oggetti determinad sul piano ontoogico; e non a caso, simmetrica-
mente, la conlutazione di Socrate si dirige a sua volta su questo
punto, abbandonando perci la verifica formale delfuniversalit
puramente logico-semantica del definiendum o quantomeno am-
pliandone sensibilmente gli orizzonti. Una bella fanciulla; Toro o
unaltra materia pi conveniente; ci che produce utilit e giova-
ment; il piacere della vista e delludito: come vedremo, lanalisi di
Socrate svela gli errori di Ippia ricorrendo allesame dello statuto
ontoogico degli oggetti indicad dal sofista e mostrando per questa
via che essi non coincidono (n possono coincdere) con il bello in
s. Dawero rivelatrice, in una simile ottica, mi sembra lunica ecce-
zione a tale indirizzo oggettivo del mtodo defini torio: la defini-
zione (III), che si ispira a una sfera di valori tradiziona comune-
mente accettad e riconosciuti dai greci, potrebbe forse realizzare un
accordo universale intorno a una comune concezione della bellez-
za, ma la critica di Socrate si concentra soprattutto sulla totale as-
senza di riferimenti ontologici. II bello in s non infatti una cre-
denza o un opinione ereditata dalla tradizione, non rientra nelfam-
bito degli usi e costumi sociali e familiari, dellonore e della fama
pubblica o privata; il bello n s un quid determinato, quel quid
che, unito a qualunque cosa, suscita e causa1 in essa Ia bellezza.
Lo slittamento delfindagine definitoria neliIppia maggiore, da-
lanalisi delle condizioni logico-semantiche e genericamente
epistemologiche del definiens alio studio propriamente ontoogico
dello statuto del definiendum, si manifesta con chiarezza nella con-
futazione delle altre definizioni proposte. La defmizione (I), che fa
coincidere il bello con una bella fanciulla, respinta in quanto de
signa un oggetto che pu essere sia bello sia brutto (oppure bello
per qualcuno e brutto per qualcun altro; o bello sotto un certo pro-
filo e brutto sotto un altro), il cui statuto, dunque, non dawero
universale rispetto alia sua natura essenziale come dovrebbe essere
invece il caso per il bello in s. La defmizione (II), che attribuisce la
causa della bellezza alloro e al suo valore ornamentale, manca il suo
obietdvo poich indica evidentemente un oggetto che non appare
1L RIFF.R! M E N T O A l.L t ID E E N EI D lA L O G H I P lA T O N iC I 17

tale da causare, sempre e ad ogni condizione, la bellezza nelle cose


in cui presente, un oggetto, quindi, il cui statuto non dawero
universale rispetto alia sua capacita causativa - come occorrerebbe
awenisse al bello in s. La definizione (IV), che riduce il bello a ci
che appropriate o conveniente (t TipTrov), fallisce perch
allude a un oggetto che non fa essere, ma solo apparire belle le cose
in cui presente, un oggetto, insomma, il cui statuto, pur universa
le (in quanto esso fa sempre apparire belle le cose in cui presente),
si rivela tuttavia adatto a produrre un effetto solo parziale e appa-
rente - diversamente da quanto dovrebbe verificarsi con il bello in
s. La definizione (V), che considera il bello come ci che utile e
giovevole (t xp^jcripov), si riferisce a un oggetto il cui statuto fini-
sce per contraddire una delle premesse fondamentali delfindagine,
giacch implica la radicale differenza del bello dal buono contra
riamente a quanto era stato inizialmente ammesso. Inflne, la defi
nizione (VI), che intende il bello come linsieme dei piaceri deri-
vanti dalla vista e dalludito, si arena nella pi acuta aporia dal mo
mento che, come ho messo sopra in evidenza, i suoi oggetti sem-
brano in possesso di uno statuto del tutto contraddittorio: come
possibile, infatti, che il bello si riduca a un insieme di pi elementi
che non sono pero a loro volta, ciascuno di per s, belli?
Conviene insomma concludere questo esame sommario della
questone della definizione del bello nelXlppia maggiore, osservan-
do come, rispetto al Carmide e al Lachete, l criterio di vert del
mtodo definitorio non consista pi in una forma di universalita
estensionale5(quindi nella ricerca di un definiens universale in quan
to valido estensionalmente per tutte le esemplificazioni possibili del
definiendum), ma in una forma di universalita causale-ontologica
(quindi nella ricerca di un definiens che designi un definiendum
concepito come una realt universale che produce gli stessi effetti in
tutti i casi possibili)13: alia domanda socratica del cosa (t cm)
X? si potra ormai rispondere esclusivamente indicando un oggetto
nico e universale qualificato da Platone come idea o forma in
s - sempre immutabile e idntico a s stesso, mai mutevole e di
verso da s, e capace inoltre di essere presente in una pluralit di

13 Su questa dstinzione cfr. Ch.H. K ahn , o p . c i t 172-178.


FRANCESCO F-RONTEROTTA
18

cose particolari, conferencio loro, propro in virt di questa pre-


senza, la caratteristica di cui Fessenza14.

2.4 L E utifrone: cosa e ilsanto?


Eutifrone si apre con lin con tro fra Socrate, che si sta recando
in tribunale per rispondere delle accuse di empiet e corruzione dei
giovani rivoltegli da Meleto, e Findovino Eutifrone, che, a sua vol
ca, vuole intentare una causa contro il proprio padre, responsabile
della morte di uno dei servi della casa: egli ritiene infatti che sia
giusto e santo accusare un omicida, anche se si tratta del proprio
padre. Con la consueta irona, Socrate chiede al suo interlocutore
di insegnarli cosa si ano ( t ... elvai) il santo e il non santo, rispetto
alFomicidio e in qualunque situazione: il santo in s sar infatti in
ogni caso idntico a s stesso (tovtv oriv kv uor) TTpd^ei t
octlov ar arrcS), come pure il non santo, contrario del santo, ma
idntico, anchesso, a s stesso e, in quanto tale, in possesso di una
certa nica forma della non santita (t vcrLOV a i) tou |icv aou
TrayTs- vavrov, abro 8e a>T) o(j.olov Kai <txov f-dav Tiya
ISav iccrr tt\v vocaTr|Ta, 5c4-d7). Tre definizioni del santo
sono formulate nel corso del dialogo.

(I)
Santo precisamente co che Eutifrone sta facendo: trascinare in giudizio chi
colpevole di omicidio, fosse pure il proprio padre, come dimostrano gli esempi di
Zeus, che incateno Crono suo padre per impedirgh di divorare i figli, e di Crono
stesso, che mutilo il padre Urano per ragioni anaioghe. Socrate diffida pero delle
leggende che si raccontano intorno agli dei e, soprattutto, non e un esempio di
santita che desidera conoscere, ma lidea in s in virtu della quale tutte le azioni
sante sono sante o quelle non sante sono non sante (carr t elSo j 4> TivT T
oata oCTi cttlv ... (lia iSa T re vaLa vaia etvai). D i questa idea in
s (ainTiv ... Tqy L8av) Socrate vuolsentire parlare, in modo che, tenendola come
modello, egli possa giudicare sante le azioni che le assomigliano e non sante quelle

14 Cfr. in proposito te brevi, ma efficaci parole di F. T rab atton i, Platone, Roma,


Carocci 1998, 119-123. Si vedano pure, rispetto aliinsieme dei dialogo, I, LiJDLUM,
The dramatic an d philosophical aspects o f Plato s Hippias maj or, T el Aviv, Thesis - Tel
Aviv Univ. 1986; e le diverse sezioni dedicate alYIppia maggiore del volume di H.
IELOH, Socratic education in Plato 'searly dialogues, Notre Dame, Univ. ofNotre Dame
Press 1986.
IL R JF B R !M E N T O ALLE ID E E NEI DSALOGHl PLA T O N IC ! 19

che non le assomigliano (xpwiiei'os' airr) TrapaSdy[j.an, (lev ay toioto; f|


v dr f] ai Kai aXXos- t i TrpTTT] cjxj aiov eivai, o 6 v [i.f] toloutov, jit)
<J>w, 5 d 8- 6 e6 ).
(Ha)
II santo ci che caro agli dei (t Qco^lXe:?). Tuttavia, gli dei si trovano spesso
in lire fra loro, c nellOlimpo, se si deve credere al racconto dei poeti, sorgono non
pochi dissidi a causa dei diversi desideri e dei diversi gusti di ciascuno degli dei:
secondo questo ragionamento, quindi, ci che santo sarebbe a un tempo non
santo (o Ti/y^vei tojtv v v re Kal vaiov), perche gradito solo ad alcuni
degli dei e sgradito agli altri (6e l 0 - 8a l 2 ).

(IIb)
II santo ci che tutti gli dei approvano e non santo ci che tutti gli dei
disapprovano: cosj vienecorretta la precedente definizione. D altro canto, sembra
evidente che gli dei approvano ci che santo in quanto santo., mentre ci che
santo non santo in quanto approvato dagli dei: 1approvazione degli dei non
costituisce Tessenza dei santo (tt|v (lev ocrav atrrou), ma una sua affezione
(ttqOos- S Tt Tie pi a T o ), una caratteristica puramente accidentaie (9d 1-1 I b l) .
(III)
II santo il giusto, o, meglio, una parte dei giusto ((iptov tou Sikoou t ftcriov).
M a quaie parte? Queila che consiste nel servizio reso agli dei con i sacrifici e con
le preghiere, che, pur non essendo certamente utili agli dei - perche gli dei non
hanno bisogno di nulla sono comunque loro graditi. Cosi si torna per alia
definizione prima respinta: santo ci che gradito agli dei (1 Ie 4 -1 5 c l0 ).

Socrate vorrebbe proseguire la ricerca, ma Eutifrone, estenuato,


si sottrae ( 1 5 cl 1-I6a4).
La richiesta definitoria di Socrate a Eutifrone che awia Tindagine
dei dialogo motivata dalla dichiarazione iniziale delfindovino che
afferma con forza la propria competenza in materia: egli sa cosa
(tl cm) il santo e non avr difficolt a insegnarlo a Socrate (4e4-
5 a2 ). Come nelYIppia maggiore, anche n\YEutifrone appare subito
chiara nella domanda socratica lesigenza di un riferimento alio sta-
tuto delloggetto della definizione che non pu limitarsi allespres-
sione verbale di ci che la tradizione o il sapere comune pongono
come norma o come concetto della santit, ma deve designare la
dimensione intrinsecamente oggettiva della santit vale a dire les-
senza stessa del santo (ttiv oucriav auTou). Lobiettivo delfanalisi,
secondo 1intenzione ripetutamente espressa da Socrate (5dl-5; 6d l 0-
e6 ; l l a 6-b l), lidea (ia) o la forma in s (arr t eios1) che
rimane sempre idntica in qualunque caso possibile, rispetto a qua-
FRANCESCO FKONTF.ROTTA
20

lunque azione e indipendentemente dalle diverse circostanze parti-


colari (ravTv koTiv kv rrcn^ irp^a t aiov arr gitco), ci
in virt di cui le cose sant sono sante (5 ttcu/to. r aia oca
cmv), Tnica idea del santo (fiid LSa arroO) in ragione delia
quale si rende possibile attribuire correttamente la santit alie cose
sante. Elemento nuovo o ulteriore precisazione rispetto all'Ippia
maggiore, Tidea del santo costituisce il modello (irapSeiy[ia) uni-
versale cui assomigliano di ncessita tutti gli enti o le situazioni par-
ticolari di cui si pu predicare la santit: ecco perch, per essere
dawero tale, questo modello non pu che rivelarsi santo sempre e
universalmente, e non certo santo e non santo alio stesso tempo o
santo da un determinato punto di vista e non santo da un altro.
Lesigenza di un indicazone forte della natura oggettiva e dello sta-
tuto propriamente ontologico del definiendum si deduce pure, del
resto, dalla constatazione che la confutazione cui Socrate sottopone
il suo interlocutore tende sostanzialmente a mettere in luce come le
defmizioni proposte non riescano adattingereeffettivamentealles-
senza della cosa (rqv otxrav airroti), cogliendo piuttosto, nella
migliore delle ipotesi, una sua affezione (irGos1 S t l Trepl arro).
Insomma, in generale, Eutifrone non supera Tmbito delTuniversa-
lita puramente estensionale e ad essa si attiene rigorosamente (cer
cando dunque una definizione del santo valida estensionamente per
tutti i casi possibili), mentre Socrate desidererebbe conoscere la de-
terminazione ontologica del santo in s (aspirando quindi alia defi
nizione che esprime Tnica forma o essenza del santo)15.
Non a caso, la definizione (II), che, una volta corretta nella for
ma (Ilb) la parzialita della forma (Ha), potrebbe forse raggiungere
un universalit di tipo estensionale, fallisce invece precisamente
perch non arriva a individuare quelTente che rappresenta Tessenza
della santit: Socrate non interessato ad apprendere le azioni o le
cose che ottengono Tapprovazione degli dei - giacch non si tratta
ai suoi occhi che di una caratteristica secondaria della santit, un
Valore aggiunto del tutto accidntale ma, propriamente, Tidea
del santo. La definizione (I), che identifica il santo con il compor
tamento tenuto da Eutifrone citando in giudizio il colpevole di un
omicidio, risulta assolutamente fuori misura: in primo luogo infat-

55 Cfr. ancora Ch.H. Kahn, o p . c i t 172-178.


!L. RIFERIMENTO ALLE IDEE NEI DIALOGHI PLATONICI 21

ti, essa designa non un ente universale, ma, appunto, un comporta-


mento, del quale fornisce inoltre soltanto un esempio irrimedlabil-
mente specifico e particolare. Di conseguenza, Socrate e costretto a
ricordare ancora una volta al suo awersario che loggetto che egli
vuole gli sia mostrato e invece la forma o lessenza del santo, la
santita in se. La definizione (III), infine, chesembra collocarsi dap-
prima in una prospettiva assai promettente in virtu di un suggeri-
mento di Socrate (lle l-1 2 a 2 ), tenta di porre il santo in relazione al
giusto, come parte di esso; tuttavia, non appena Socrate restituisce
liniziativa a Eutifrone chiedendogli quale sia la parte del giusto che
corrisponde al santo, lindovino abbandona subito il piano di rife-
rimento faticosamente conquistato da Socrate, tornando nellam-
bito puramente semantico delle sue defmizioni precedenti e affer-
mando che il santo e quella parte del giusto che si riferisce alia
cura degli dei (12e5-8) e consiste nella pradca dei sacrifici. Cosl
facendo, Eutifrone ripiega di fatto sulfindicazione di un insieme di
usi e tradizioni, perdendo percio ogni riferimento oggettivo, e la
definizione (III) cade sotto le stesse obiezioni rivolte contro la (lib),
poiche stabilisce un accordo semantico ed epistemologico, che, per
quanto generale, non presuppone pero leffettiva individuazione
delfessenza del santo16.
E lecito concluderne che nellEutifrone si assiste al tentativo, da
parte di Platone, di consolidate le conquiste dell'Ippia maggiore. Il
metodo definitorio e pienamente dispiegato alia ricerca di un pia
no di riferimento oggettivo e universale per la formulazione della
definizione (o, piu ancora, per la fondazione dellintera sfera del
linguaggio e della conoscenza), che traduce a sua volta lesigenza di
un criterio oggettivo e inconfutabile del comportamento, dellazio-
ne e del giudizio morale - un piano di riferimento che attinga da se
stesso la propria auto-evidenza e la propria universalita, contrappo-

16 Per unanalisi dettagliata e ben documentata deWEutifrone rinvio sopractutto


al recente L.-A. DORION, Platon, Laches & Euthyphron cit., 179-235; ma cfr. anche G.
R e a l e , L Eutifrone, il concetto di santo e la prim a teoriaplatonica delle idee, in RFN,
LI, 1959, 311-333; c . W e l c h , The Euthyphro an d theforms, in GM, XXII, 1967,
228-244; L. R o s s e t t i , P l a t o n e , Eutifrone, a cura di L. R o s s e t t i , Rotna, Armando
1995; io studio di riferimento ormai classico sulYEutifrone rimane tuttavia quello di
R.E. ALLEN, P latos Euthyphro an d the earlier theory o f forms, London, Routledge &
Kegan Paul 1970.
22 FRANCESCO FRONTEROTTA

nendosi cos victoriosamente alia banalit dellopinione comune e


a un sapere tradizionale ormai esaurito e privo di efficacia.

2.5 II Protagora e il Me none.- cosa e Lz virt?


II Protagora e il Menone devono essere quasi certamente collocati
fra le ultime opere delia giovinezza di Plato ne, perch presentan o
una struttura assai pi articolata e complessa dei dialoghi appena
considerad, anche se entram bi contengono, n elfam bito di
un indagine pi generale dalle molteplici implicazioni filosofiche,
il tentativo di giungere alia definizione della virt e delle sue
caratteristiche, secondo uno schema argomentativo che rispecchia
in gran parte il mtodo socrtico di interrogazione diretta (cosa
[t aTij X?) gi noto dal Carmide, dal Lachete, dalYIppia maggiore
e dairEutifrone. Cercher dunque, per il momento, di mettere in
luce questo aspetto.
II Protagora prende spunto da una visita ad Atene del grande
sofista: tale la sua fama che tutti desiderano incontrarlo e anche
Socrate, in vert ben pi dubbioso dei suoi concittadini sulla sa-
pienza delfillustre ospite, costretto da un amico ad andar ad
ascoltarlo e a discutere con lui (3I0a8-3l4c2). Delfampio con
fronto fra Socrate e Protagora, che dedicato al problema deUinse-
gnabilit della virt, possono essere estratte qui due sezioni consa-
crate esplicitamente alia definizione della natura della virt.
(I)
L a virt e u n u n ica co sa a cu i si ap plcan o diversi n om i gustizia, santit,
tem p eran za, sapienza e cos va - o invece u na totalit co m p o sta di part
differenti? P o ich P ro ta g o r a o p ta per la secon da alternativa, S ocrate n e d edu ce che
gJi uom in i p artecip an o , ch i di una, chi di u n altra di queste part fra loro
differenti ((j.eTa\a[i.3vov-oi ol tivQpwrroi. tovtuw twv Tfj? p eT % poptajv ol |iv
\Xo, ol Se dXXo). T u tta v ia , se la gustizia qualcosa e n on nulla (SiKmocnji/ri
TTpayj. r cm v f) ouSev iTpay)Lia) ese p recisam en te ci che deve p er definizione
essere giusto (eoTLi' ... to lo u to v f] SucaiocFwri olov Slkcilov e tv a i), e
an alo g am en te p er la san tit, se esiste (aLTrjTa ... A v a i) ed a n c h essa
n ecessariam ente santa, bisognerebbe co n clu d ern e, seguendo J p rin cip io della
diversit delle v irt p ro clam ato da P ro tag o ra, ch e la giusdzia, in q u an to n o n
co in cid e co n la san tit, n o n co sa san ta m a em p ia (oijS Sitcaioaijuri olov 'glov
XX oloy ^.f) o aio v ), e ch e, viceversa, la san tit, in q u an to n o n co in cid e co n la
gustizia, n on co sa g iu sta m a ingiusta (f) 8 atnis- olov jar] Skqlov, AV
aS ix o v ). S ocrate ritien e al co n tra rio che la giustizia sia santa e la san tit giusta (rrjv
SLicaLoovT)v ooLov etvai (cal rrv oo-LTriTa S lk g u o v ), m a p er n o n irritare ii suo
IL RJFERLV1ENTO ALLE DEE NEI DIALOGHI Pl.ATONICI 23

interlocutore abbandona la questione. II paradosso si ripropone pero identica-


menre rispetto alia tempcranza e alia sapienza (329c2-333b7).
(II)
Lo stesso interrogativo, rimasto senza risposta, viene piu avanti riproposto da
Socrate: la sapienza, la giustizia, il coraggio, la temperanza e la santita sono cinque
diversi nomi per ununica cosa o cinque parti differenti dejia virtu, in possesso,
ciascuna, di un'essetiza specifica irriducibile alle altre (uTTOtceirai n ? tStos ovoia
tcai TTpa.7 |ia ... ouk ov otov to CTepov auTfiv to repov)? Questa volta Protagora
risponde che, benche si tratri di parti diverse della virtu, esse manifestano tuttavia
una certa reciproca somiglianza, a eccezione del coraggio che si distingue senza
dubbio dalle altre, dal momento che esistono uomini empi, intemperanti, ignoranti
e ingiusti, eppure molto coraggiosi. Socrate obietta pero che, se nessuno desidera
il male e il dolore e tutti prediligono naturalmente il bene e i piaceri, solo per
ignoranza qualcuno si volgerebbe al male, perche chi fosse capace di riconoscere le
cosebuone dalle cattive non esiterebbe certo nellascelta. II coraggioso non e dunque
tale in quanto affronta imprese dolorose e malvagie in questo caso si parlerebbe,
al limite, di temerarieta, non di coraggio - ma in quanto riesce a distinguere le azioni
indegne e spregevoli da quelie valorose e bnone, come la guerra o la morte in difesa
della patria; alio stesso modo, dal canto suo, il vile non e vile in quanto compie
volontariamente il male, ma solo per ignoranza di do che e buono e onorevole. Il
coraggio si rivela essere una forma di scienza, precisamente la scienza delle cose
temibili e delle cose non temibili, cosl come la vilta, daltra parte, e 1ignoranza
riguardo alle stesse cose. Non esistono quindi, nonostante la precedente afferma-
zione di Protagora, uomini ignoranti eppure coraggiosi e anche il coraggio mostra
una certa somiglianza rispetto alle altre parti della virtu (349a8-360e5).

Al di la delle conclusioni raggiunte dalla discussione sul terna


delFunita della virtu, e della pluralita delle sue parti, il problema
fondamentale rimane tuttavia insoluto e non si e definito cosa e
(on eariv) la virtu (36lc5).
Benche la discussione del Protagora non prenda le mosse dal-
lusuale richiesta socratica di una definizione, con le diverse propo-
ste formulate in proposito e le loro rispettive confutazioni - dal
momento che una definizione vera e propria della virtu non viene
neanche suggerita da Protagora ed e Socrate stesso a sollevare la
duplice alternativa dellunita o della pluralita della virtu 17 - il dia-
logo fornisce a mio awiso, nelle due sezioni considerate, alcune

17 La discussione del problema deH'unita o della pluralita della virtu o, in altri


termini, delle relaziom fra le diverse virtu particolari e rispetto alia virtu in generale,
caratteristica dei dialoghi platonict giovaniii e intermedi e, parricolarmente, dei
dialoghi definito ri, hasuscitato un ampio dibattito fra glistudiosi. Mi limito asegnajare
FRANCESCO F RONTF.ROTTA
24

importan ti indicazioni sulio statuto delloggetto sottoposto ad ana-


lisi, a virt appunto, e mi imiter a segnalare questnico aspetto.
La virt, o piuttosto ognuna delle sue parti, un qualcosa* (npy[ia)
reale e oggettivamente determinato, unessenza (ocra) esistente
posta accanto ad altre essenze esistenti, ciascuna essendo specifica
CSlo?), individale e diversa dalle altre (ouk ov olov t erepov
arjy t eTepoy). Di simili essenze gli enti empirici partecipano
(|ieTaAa|i|3voim ... totcov ... ol pev aXXo, oi S aXXo), acqui-
stando cos le caratteristiche corrispondenti, come pure, daltro can
to, esse possono partecipare le une delle altre, entrando in possesso
delle reciproche determinazioni. Lesempio delle relazioni fra le par ti
della virt assai chiaro: So crate afferma infatti che, a suo parere, la
giustizia certamente santa e la santita giusta (tt|V SiKaiocnVry
oorov etyai Kal tt)^ CTLTqTa S-Kaioy) e questo, evidentemente,
soltanto perch la giustizia partecipa della santita e la santita della
giustizia. Infine ulteriore precisazione rispetto alio statuto logico
e ontologico di tali realt - esse possiedono necessariamente come
proprio attributo fondamentale la caratteristica di cui sono Fessen-
za: la giustizia dunque giusta (eorty ... tolotov f\ SiKmoowrj
olov Slkguov elvai) e la santita santa (amfj ye r\ oaioTqs1 aiov)
e nessunaltra cosa potrebbe essere detta giusta o santa, se non lo
fossero la giustizia o la santita in s (crxoXfj |ieyTay t l aXXo oaioy
eT), el p.r| aTf| ye q airqs' oaioy ecrTcu)18.

qui le due principal] tesi emerse nel confronto degli ultimi decenni: a tesi (A) delf unita
della virt, che intende ie diverse virtu particolari come altrettante parti inseparabili di
un nico insieme, in modo che, pur fra loro distinte, esse si rivelano tuttavia
inscindibilmente connesse e une alie altre (cfr. soprattutto i saggi successive di G.
V las TOS: The unity o f the virtues in the Protagoras, in RMeta, XXV, 1972, 4 15-458;
riedito inG . VLASTOS, Platonic studies cit., 221-269]; I d ., The argument in Laches 197e
ff. cit.; I d ., The Protagoras an d the Laches, in G. V la STOS, Socratic studies, ed. byM .F.
B u r n y e a t , Cambridge, Cambridge Univ. Press 1 9 9 4 , 109 - 126 ); ektesi ( B ) dellidentita
delia virt, che concepisce le virt particolari come espressioni diverse della virt in
quanto tale, cos} riducendole asemplici nomi di ununicae idntica reat priva di parti
(cfr. T . P e n n e r , The unity o f virtue, in PhR, LXXXII, 1 9 7 3 , 3 5 -68; C.C.W . T a y l o r ,
Plato's Protagoras, Oxford, Clarendon Press 1976, 103 sgg.; T. I r w i n , Plato's moral
theory, Oxford, Clarendon Press 1977, 86-90; M. ScHOPiELD , Aristn o f Chios an d the
Unity o f virtue, in AncPhi, IV, 1984, 83-95; e ancora T . PENNER, What Laches an d
Nicias miss an d whether Socrates thinks courage merely a p a r t o f virtue cit.).
18 Laffermazione per cui ognuna delle essenze considerate qui possiede ia
caratteristica di cui e, appunto, lessenza, e puo essere quindi predicata di s stessa,
solleva la delicata questione dellauto-predicazione, come metter in luce nel cap. X.
IL RIFERJ MENTO ALLE IDEE NEI D1ALOGH1 PLATONICI 25

Passiamo adesso al Menone, che, come il Protagom, offre, nel


quadro pi generale di un indagine sulla natura della virt e sulle
sue caratteristiche, alcuni spunti di grande interesse per la questio-
ne in esame qui. II dialogo si apre bruscamente suirinterrogativo
che Menone rivolge a Socrate: la virt insegnabile (SiSolictv f)
dpeTTj)? Socrate si mostra del tutto ignorante in materia, giacch,
fra Taltro, afferma di non sapere neanche cosa sia la virt (otl tto t
cnr peTq). Tocca dunque a Menone illustrare la natura della
virt ed egli elenca un gran numero di virt specifiche, proprie,
ciascuna, di ogni uomo, donna o fanciullo, in ogni circostanza.
Non si tratta pero di una definizione della virt: come per le api, se
si vuole identifcame Tessenza (laeXTTqs- irepl oxjLas'), non serve
elencarne le differenti specie e le diverse caratteristiche; anloga
mente, rispetto alia virt, occorre indicarne Tnica idntica forma
(ev ye t i etSos* rau rv ) e non le sue molteplici manifestazioni
(7 0 a l-7 2 d l). Due definizioni sono quindi proposte da Menone.

(I)
La virt e la capacita di governare gli uomini. M a sarebbe dawero assurdo
ammettere che la virt degli schiavi o dei ragazzi consista nella capacita di
governare i padroni o gli anziani. Si potrebbe forse insistere, sostenendo che la
virt coincide con questa capacita di comandare solo quando si pratichi secondo
giustizia e tuttavia, cos dicendo, si cadrebbe nuovamente nel paradosso della
moltiplicazione delle virt, perch la giustizia non che una singla parte della
virt. Ora, non alia molteplicita (els froXX) che si intendeva arrivare, ma a ci
che rimane idntico al di la di tutti gli elemenci componenti a molteplicita (t m
T Taatv t o t o l s 1 T a v T v ), vale a dire aila virt nella sua totalita ( k a T oXou ...

perfis'), come, per esempio, nel caso dele figure o dei color, che, assai difFerenti
gli uni dagli altri, sono comunque qualcosa di nico ed idntico in quanto figura
o in quanto colore (7 3 c 6 -7 4 a l0 ).
(II)
La virt il desiderio delle cose belle unto alia capacita di procurrsele. D atra
parte, obietta immediatamente Socrate, se e cose belle sono anche buone e se
impossibile che qualcuno desideri subir un male, nessuno si distingueradagli altri
per vrt, visto che in tutti gli uomin presente un uguale desiderio di cose belle
e buone; in tal caso, la virti consister esclusivamente nella capacita di procurarsi
dei beni. M a forse virtuoso procacciarsi ricchezze o qualsiasi altra cosa in modo
empio e ingiusto? Pare di no esar perci necessario precisare che la ricerca dei beni
dovraessere accompagnatada un atteggiamento giusto e santo. Edecco che, ancora
una volta, invece di definire la virt nella sua totalita (oXov eltrv tt]v perr|v),
se ne son o trvate, paradossalmente, ie single parti (77b2-79c3).
26 FRANCESCO FRONTEROTTA

Nel seguito del dialogo, 1esame della virt abbandonato e, alia


conclusione della loro discussione, Socrate e Menone si saranno
rivelati incapaci di scoprire cosa essa sia in s e per s (aT Ka0
ar ... t TToreoTiv apcTT), 100b6).
Dal punto di vista di questa indagine, il Menone rappresenta per
molti aspetti un punto di arrivo su cui occorrera tornare pi am-
piamente in seguito19. Basti per ora ricordare che si tratta con ogni
verosimiglianza delfultimo dialogo caratterizzato da quei tratti ti-
pici gia rlevati negli altri dialoghi definitori: interrogato da Menone
sulfinsegnabilit della virt, Socrate capovolge sbito il problema,
chiedendo a sua volta a Menone, che un grande ammiratore e
ascoltatore di Gorgia (7 2 c5 -d 2 ) e dovrebbe essere perci esperto
della questione, cosa sia (t cgtiv) la virt. Conviene osservare
intanto come appaia ormai definitivamente stabilito il riferimento
oggettivo della ricerca definitoria, che mira allessenza della cosa
cercata e pone come esigenza fondamentale la determinazione del
suo statuto ontologico (72 c 5 -d2 ; 75 a4-5): il definiendum Tnica
idntica forma collocata al di la delle sue concrete esemplificazio-
ni particolari (ev y t i elSo? raTy ... m rraaiv to u to lj),
ununit (ev) essenziale al di la della moltepcit (tc rroXX). Qual
che siano le implicazioni filosofiche di simili assunti, compare per
la prima volta esplicitamente nel Menone il principio della netta
distinzione fra la forma essenziale di qualcosa e ci di cui la forma
essenziale, dunque fra ldea universale e le cose particolari che ne
partecipano, la cui relazione descritta nei termini deUimducibile
opposizione di unit e moltepcit20.
Proprio il radicale fraintendimento, da parte di Menone, di que-
sta ineludibile dimensione ontologica, che si colloca ancora una
volta nel contesto del dilemma dellunit e della pluralit delle vir
t21, la causa del fallimento delle due definizioni proposte. Infat-
ti, in quanto riducono la virt alia capacita di comandare secondo
giustizia (I) o di procurarsi cose buone in modo giusto e santo (II),

19 Cfr. soprattutto il 2 del cap. III.


20Rispetco a diversi significad e alie diverse valenze della coppia. di opposti unita/
moltepcit nel contesto teorico della descrizione platnica delle idee, cfr. soltanto il
1 del cap. IV e i 2-3 del cap. XII.
21 Cfr. supra, n. 17.
IL RIKERJ M EN TO ALLE IDEE NEI DIALOGHI ILATONICI 27

esse non designano lessenza o Fidea in s della virtu, ma soltanto


alcuni esempi particolari di comportamento virtuoso, rimanendo
prive cos di qualunque forma di universalit oggettiva; inoltre, come
la confutazione condotta da Socrate mette ben presto in luce, tali
defmizioni giungono al limite allindicazione delle molteplici parti
della virtu (come la giustizia e la santit) e, senza definire la natura
essenziale di nessuna, pretendono di definire-Finsieme, la virtu in-
tera, ricorrendo ora alluna ora alFaltra delle sue parti non ancora
definite. Ma la conoscenza delFintera virtu in s precede senza dub-
bio la determinazione delle relazioni fra le sue parti, mentre il pro-
cedimento inverso si rivela certamente errato sul piano metodolo-
gico (79b4-c9)22.

2.6 //Cratilo.' i nomi, la definizione e la conoscenza


Il Cratilo si distingue dai dialoghi giovanili, ancor piu del Protagora
e del Menone, per la complessita e la variet degli argomenti eke
discute e per il legame solo indiretto e implicito con il caratteristico
schema di ricerca socrtico della definizione delle cose, anche se,
come vedremo, questo dialogo conclude in qualche modo il per-
corso concettuale (e non cronologico) intrapreso nei dialoghi defi-
nitori23. Loggetto dellanalisi introdotto dal confronto fra le tesi

22 Cfr. il 2 del cap. II. L esame della natura della virtu e delle sue caratteristiche
strettamente connesso, nei Menone (81a5-86c2), allintroduzione della dottrina
della reminiscenza dellanima. Affrontero la quesdone nei dettagli nei 2 del cap. Ill,
mentre, in linea con il tema discusso in queste pagine, mi sono limitato a considerare
qui il problema della definizione dea virt, rispetto alia struttura del mtodo
definitorio e alia determinazione dello statuto ontologico delloggetto da definir.
23 Pur sempre nei contesto di uno schema argomentativo in cui a Socrate spetta
onere di condurre l dibattko, interrogando i propri interlocutori e confutandone o
precisandone le risposte, 1ndagine svolta nei Cratilo non tuttavia propriamente
dedicata alia ricerca della definizione di qualcosa, ma allanalisi (solo indirettamente
definkoria) di due tesi contrapposte ntorno alia natura dei nomi - se appaitengano
alie cose che nominano per convenzione o per essenza unanalisi che si immaginagia
piuttosto avanzara, quando Socrate interviene nella discussione (3 8 3 a l-3 8 5 b l).
Inoltre, la riflessione condotta nei Cratilo conclude e, per cosi dire, completa la serie
dei dialoghi definitori non tanto dal punto di vista cronologico, ci che pare
impossibile determinare, quanto piuttosto dal punto di vista del percorso concettuale
che vi compiuto - nella misura in cui si rivolge, pi che alia formulazione di una
definizione specifica, alio statuto della definizione in generale attraverso iesame dei
suoi elementi componenri, i nomi, e delle immediate implicazioni logico-linguistiche
che un simile problema comporta. In questo senso, come cercher di mostrare,
28 FRANCESCO FRONTEROTTA

di Ermogene, che sostiene che la corrispondenza fra i nomi e le


cose si basa esclusivamente sulla convenzione e laccordo (ctuv9tkt|
Kai p.oXoyia) fra gli uomini, e delleracliteo Cratiio, che afferma
invece la naturale (^oei) e necessaria appartenenza dei nomi alie
cose nominare (383al-385b l). Gli elementi che emergono nel corso
deiresame di questo tema non riguardano il contenuto di una spe-
cifica definizione o della conoscenza che di tale definizione pone le
condizioni - come aweniva nei dialoghi propriamente definitori
considerad fin qui ma piuttosto la natura dei nomi e del discorso
in generale, rispetto al rapporto fra la conoscenza, il linguaggio e il
loro contenuto. E in questa ottica, dunque, che bisogna adesso con
siderare il Cratiio.
Socrate, coinvolto nella discussione, affronta subito lopinione
di Ermogene. Se esistono il discorso vero e il discorso falso, Tuno
che dice le cose che sono come sono (t ovto. Xyrj w ccmv),
laltro che dice le cose che sono come non sono ( j ovia Xyrj
cb ok eariv), anche le parti del dis corso saranno affette da verita
o falsit e dunque gli stessi nomi, le piii piccoe fra le parti che
compongono il discorso, potranno essere veri o falsi. In tal caso,
secondo la tesi di Ermogene, la verita o la falsit dei nomi derive-
rebbe dallaccordo e dallopinione soggettiva dei parlant! e non
certo dallessenza stessa delle cose, che, a sua volta, priva di qualun-
que propria consistenza e stabilit (TLva 3c3aiTr|Ta rf\ ouatas1),
sarebbe soggetta alla valutazione e al giudizio soggettivo degli uo
mini (lLOt aTcv f) om a elvaL mcrra))24. Ma questa posizione
inaccettabile, perch impone un relativismo assoluto che impedi-

legittimo supporre che Platone intendesse spiegare in che modo e su quale base possa
essere correttamente formulata una definizione specifica, tenendo presente laparticolare
relazione fra la sfera de! linguaggio nel suo insieme e la realt dele cose che sono
oggetto di pensiero e discorso. Cfr. soprattutto, in proposito, la conclusione di questo
2.6 e i 2-3 del cap. II.
24 U n a simle posizione ricollegata da Socrate alla dottrina soggettivista di
Protagora, per la quale luomo misura di tutte le cose (ttlv'Uv xP'HP-Tiov' M^Tpoi'
elrai v'SpwTrov). Per la dottrina di Protagora e la sua presentazione nel Cratilo e negli
altri dialoghi platonici, cfr. M. UNTERSTEINER, I sofisti, Milano, Mondadori 19963
(prima edizione: 1948), 1-137; A. SOULEZ, Le dire comme acte du Sophiste. Ou:
invention et rpudiation p a r Platon de la pragmatique sophistique, in Position de la
Sophistique, Colloque de Cerisy, d. par B . C a s s i n , Paris, Vrin 1986, 53-73; M.
N R C Y , Cratylepar lui-mme, in RPhA, V, 1987, 151-165; A. B H LER , Protagoras:
W ahrnehmungundW ahrheit, in AZP, XIV, 1989/3, 15-34.
!L FU FER IM EN T O ALLE ID E E N EI D iA L O G H I P L A T O N IC l 29

see qualunque distinzione oggettiva, perfino quella universalmente


riconosciuta fra bene e male, saggezza e stoltezza. E invece evidente
che le cose hanno una propria stabile essenza in virt della qule
esistono in s e per s (a v r a utju ovatav exo v r Tiva eaiov
... Ka0 arr irps' Tr|v airwv ocrav). C om e le cose, cosi pure le
azioni (irp^eis') hanno una propria essenza che occorre conoscere
se si vuole distinguere un azione giusta e corretta da un azione in-
giusta e scorretta: conseguentemente, latto del nominare non di-
scende dallopinione com une o dallaccordo generale, ma dalles
senza stessa di ci che nom inato. Cosa , infatti, il nome? N on
forse uno strum ento per indicare e identificare Fessenza (ovo|ia pa
SiSaaKaXiKi' t crrtv pyavov Kal SiaKpiriKv rfjs* ou ca?)
delle cose? Precisamente com e la spola del tessuto lo strumento
adatto a tessere e 1esperto tessitore colui il qule conosce il pro
prio strum ento e il suo uso, anche per i nomi sara esistito un origi
nario legislatore (vo[xo0TT|s) che ha attribuito per primo i nomi
alie cose. II falegname, quando costruisce una spola, non prende a
modeilo le spole vecchie e orm ai danneggiate, ma quellidea della
spola (KeXvo t cios;) che pu essere veramente definita spola in
s (aiT o e u n v KepKs): indipendentemente dal materiale di cui
sono com poste e dal tipo di tessuti che meglio tessono, tutte le
spole devono avere lidea della spola (rrderas S t rf\ KepKSo
X^LV etos1), quella natura particolare che il falegname pone in
esse costruendole (Tanr|V uoSiSvai rriv cjjaiv e i t epyov
exaorov). Alia stessa maniera, il legislatore prende a modeilo il nome
in s (aT xelvo ecm v ovop.a) e attribuisce a ciascuna cosa il
nom e che le com pete secondo la propria essenza, il nome, quindi,
che pi si adatta allessenza della cosa (t toO ovo^aTos elSo ...
r TTpoafjKov raoTtp). Sara poi il tessitore a giudicare il lavoro dei
costruttore di spole, in quanto, usando la spola, potr valutare se
1idea delia spola presente nel materiale del suo strum ento (t
... elSo? KcpKSos- v ttolwov Xg K eirm ); e sar il dialettico,
che sa interrogare e rispondere servendosi dei nom i25, a giudicare il

25 G . G i a n n a n t o n , La dialettica nel Cratilo pkitonico, in AASM, CII, 19 9 1 ,


12 1- 13 4 , ha osservato come si possa coglere qu un importante muta mento nella
concezione platnica del SiaXyecrciL e dei SiaXeKTLK: mentre nei primi dialoghi il
dialettico colui che semplicemente interroga i propri interlocutor! e conduce con
30 FRANCESCO FRONTEROTTA

legislatore e la sua opera. Ha dunque ragione Cratilo: i nomi ap-


partengono alie cose per natura (<pvaei r vjiaTa etvai Tais*
Trpyp.am), e corretti e giusti son solo quei nomi che esprimono
nelie proprie lertere e sillabe Fidea delle cose (t cio ... e? re r
yp\x\iaTa Kal Ta? auXXa|3ds') cui si riferiscono (385b2-390e4).
Ermogene chiede allora a Socrate di dimostrargli la verit di que-
sta conclusione indagando sul significato dei nomi, se dawero con-
tengano in s e svelino Fessenza delle cose (ti ox/ia tou Trpdyp.aros'
... kv Tw ovfiaTi). Socrate intraprende cosi, prendendo spunto
dai poemi omerici, una lunga analisi dei nomi degli eroi, degli dei,
degli astri e dei fenomeni naturali, delle virt morali e dei diversi
concetti26. Una volta esaminat i nomi e il loro significato, bisogna
pero risalire ancora piu indietro, fino alie sillabe e alie lettere che
compongono: anche le sillabe e le lettere, in qualche modo, imita-
no Fessenza delle cose ( c l t i p.ijj.etcr0ai SyaiTo ... Tiqv oimav,
y p d ^ a a re Kal cruXXaPais, ap ok v St|XoX exaorov
ecmv;) e indicano ci che essa (422c7-424al). Dopo questo nuo-
vo sviluppo delFanalisi, interviene finalmente Cratilo: egli concor
da con Socrate che i nomi appartengono alie cose per natura e ne
manifestano Fessenza; non ritiene pero che possano esistere nomi
falsi o sbagliati, perch, secondo il celebre paradosso sofistico, dire
il falso coincide con il non dire nulla (tot oTtv t ^euSfj

loro una discussione basata su domande e risposte brevi, il Cratilo attribuisce invece
al dialettico la conoscenza specifica delle regle e delle modalit del dialogare
8ia\eKTLKx3s', che innalzato cos al rango di un sapere tcnico, di una disciplina
autonoma dotata di norme.
26 Di questa sezione del dialogo (rispetto alia quale si veda lo studio approfondito
di C. D a u m i e r , Platon, Cratyle, traduction indite, introduction et notes par C.
D a u m i e r , Paris, GF-Flammarion 1998, 26-51) mi pare importante ricordare
letimologia suggerita per il nome della dea Estia (401bl-el):'ECTTa deriverebbe
infatti dalle forme doriche di oim a, rispettivamente acria e ala. Nel primo caso, il
nome della dea significherebbe Fessenza immobile delle cose, ci che innanzitutto ,
proprio come si dice che 4 ci che partecipa dellessenza (to t)? otiatas- [lerxov
ecmv cfxxjiev1); nel secondo, indicherebbe invece il principio delie cose (oa) in ci
che spinge al movimento (t0ow), forse in accordo con la dottrina eraclitea del
perenne divenire. In ogni modo, proprio dalla dea Esfia, ricorda Socrate, si usa dare
inizio i sacrifici perch con essa si identifica fessenza che, comunque la si voglia
defmire, prima rispetto alie cose di cui essenza. Come si vede, le due interpretazioni
proposte da Socrate prefigurano il conflitto su cui si chiude il dialogo (438a2-440e7)
fra la dottrina dell'eterno divenire di tutte le cose e la tesi dellesistenza di certi enti
immobiii che costituiscono Foggetto proprio dea vera conoscenza.
IL RIEERIM ENTO ALLE IDEE NEI DIALOGH) PLATON ICI 31

Xyeiv, to [if| Ta vt Xyeiy)27 ed dunque impossibile pro


nunciare un nome falso: in tal caso si tratterebbe esclusivamente di
un suono inarticolato (428el-429e9). Tuttavia, obietta Socrate, se
il nome Timmagine (eiKv) di una cosa, sar possibile che si riveli
imperfetto o inadeguato, proprio come un dipinto pu riuscire piu
o meno bene. Peraltro, in quanto immagini delle cose, i nomi, pur
non coincidendo con le cose stesse, sono Tnico strumento per
apprendere la natura delle cose: ma come riusci allora Tantico legi-
slatore ad attribuire i nomi? Egli certo non si servi di altri nomi n
di una potenza divina: evidentemente, si rivolse direttamente alla
conoscenza delle cose che sono {jia 0cv aveu yo|i(rnjJv r vra),
considerndole nei loro rapport! reciproci e, ciascuna, in s e per s
(8l Xkr)Xcv ye ...Kal aura S i a in w ). Del resto, se vero, come
Tanalisi ha mostrato, che i nomi sono solo immagini delle cose,
sar piu sicuro e meno ingannevole volgersi alie cose stesse che alie
loro immagini (ok ovo^iTiov XX ttoXj p.aXXov abr
aiTcov Kal [i.a0r|Toy Kal j|Tr|Toy rj k tjv yop.Twy).
Bisogna perci respingere quelle dottrine che affermano il peren
ne divenire del tutto: il bello in s, il buono e tutti gli enti simili a
questi, che non si riducono a un bel volto n ad alcuna delle cose in
divenire, impossibile che siano in s, se continuamente scorrono
e mutano la propria condizione. Ci che eternamente si muove e si
allontana dalla propria forma ( t o D t ye dv |era3\Xoi fj k i v o t o ,
... icrriievoy rf\g aTo las1) neanche potressere conoscuto:
mentre il soggetto conoscente si awicina, esso diverr subito altro e
di altra specie e non potra essere conosciuto per come (&|ia yp
v 6 t t l v t o t o j yvb)OC>\ivov dXXo K al aXXoov yyyoiro, ore

o k ay yyojCT0eq e n t t o l v y t l ariv f| m o s 1 exoy)> perch


nessuna conoscenza conosce, se il suo oggetto non sta mai fermo

27 II paradosso, di chiara derivazione eleatica, sar risolto da Platone nel Sofista


(236d 9-237al; 263 a2 - c l 2 ): se dire il falso significa dire ci che non e se ci che
non , il non essere, in quanto non , impensabile, inconoscibile e indicibile, come
si potra pronunciare falso? Occorrera distinguere, neambito di ci che non , un
non essere assoiuto, di cui impossibile parlare o pensare alcunch, da una forma
relativa di non essere coincidente con la diversit dalessere e perci pensabile,
conoscibile e dicibile. Cfr. in proposito lAppendice I, 7; e F . F r o n t e r o t t a , L'tre
et la participation de l autre. Une nouvelle ontologie dans le Sophiste, in EPh, 1995/
3, 311-353, soprattutto 312-313 e 341-348,
32 FRANCESCO FRONTEROTTA

(yvacri? S SfjTTOu ouSejia yiyvccrKei o yiyvwafca priSaiaLos


exov). D altra parte, se tutto muta e si trasforma, anche Fidea stessa
deJla conoscenza, mutando e trasformandosi, non sar pi cono
scenza (ei Se ical arr t elSo? (ifTauuTCL Tqs- yv)occs\ a(ia
t clv iieTamirroL eig aXXo etSos* yvwaej? Kai ok av cirj
yvcooLs1). Solo ammettendo che la conoscenza e i suoi oggetti, il
bello, il buono e tutti gli altri, permangono identici a s stessi (ei 8
c a n [Lev del t yiyvkrKov, ecm S t yiyv>aK}ievov, ecm S
t KaXov, eotl 8e t dyaGv), solo a tali condizioni dunque, la
conoscenza esiste ed realizzabile. Questo il presupposto ineludibile
per ogni discussione relativa alia natura dei no mi, che rimane altri-
menti inevitabilmente incerta e oscura (438a2-440e7).
Riprender Fanalisi del Cratilo nel prossimo capitolo28, prestan
do particolare attenzione alia questione del rapporto fra la sfera
epistemolgica e logico-linguistica della conoscenza e del discorso e
la sfera ontologica delle realt che la conoscenza e il discorso assu-
mono come proprio contenuto. D altro canto, nelFottica del pro
blema considerato fin qui, quello dello statuto degli oggetti della
definizione e dunque della conoscenza e del linguaggio da cui la
definizione discende - bastera per ora sottolineare le caratterstiche
che a tale statuto sono attribuite. Le cose, le azioni e le loro qualit
come si manifestano nelfesperienza comune, mutevoli, in movi-
mento e sempre diverse, hanno una stabile essenza (tlv f3e(3cuTT|Ta
Trjs* ouoas*) in quanto si riferiscono, ciascuna, a unidea in s (curr
t clSo?), che rappresenta il modello universale cui esse assomiglia-
no come copie e fornisce il criterio per giudicare della correttezza
dei nomi e della loro attribuzione. Infatti, alie idee che i nomi
appartengono originariamente e secondo verit, desenvendle e raf-
figurandole come immagini: conseguentemente, solo dalla loro co
noscenza diretta deriva la legittimit dei nome e della definizione.
In effetti, pur senza esprimersi sulle modalit di questa conoscenza,
il Cratilo ne stabilisce tuttavia chiaramente le condizioni: occorre
che le idee siano enti in s, dunque immobili, immutabili e sempre
identici a s stessi, poich ci che muta e si trasforma continuamen
te non solo non in s, ma neanche costituisce un qualcosa (t)
determinato che possa essere conosciuto per come dawero.

2S Cjfr. soprattutto i 2-3 e 5 del cap. II.


IL R IFER liV IEN T O A LLE ID E E N EI D IA L O G H I l L A TO N IC I ; / /3 3
: J1 <

in questo senso, rispetto alla stretta connessione fra il ling^ag^


gio e la conoscenza e il loro contenuto oggettivo, che, a mio parre,
il Cratilo conclude e porta a compimento il percorso concettuale
intrapreso nei dialoghi definitori, fissando definitivamente le ca-
ratteristiche e lo statuto di ogni possibile definiendum e stabilendo
cosi, allo stesso tempo, i requisiti universali di ogni defniens real
mente e pienamente appagante.

3. La risposta al t cm X?: la struttura del mtodo dejnitorio e


Voggetto dlia ricerca socratica

La ricerca dlia definizione nei dialoghi definitori si conclude


dunque negativamente perch, di fatto, nessuna definizione degli
oggetti di volta in volta indagati resiste alla confutazione di Socrate.
Abbiamo visto tuttavia che proprio lanalisi delle diverse obiezioni
opposte da Socrate ai suoi interlocutori, con le precisazioni che egli
fornisce rispetto alla natura dlia sua richiesta, permette di coglierc,
indirettamente, alcuni degli elementi che sono considerad necessari
per la formulazione di una definizione corretta. Conviene allora
procedere adesso a un pi attento esame del mtodo definitorio in
generale, indipen den temen te dalla specifica forma che assume in
ognuno dei dialoghi considerati.
Tale mtodo, che riceve il nome di Xeyxo, consiste in una pra-
tica discorsiva nellambito dlia quale un interrogante confuta la
risposta fornita da un interrogato rispetto allargomento discusso,
per metterne in luce le false opinioni e liberarlo dallerrore: la con
futazione avviene di norm a m ostrando com e la risposta
deir'mterrogato sia in contrasto con altre sue profonde convinzio-
ni oppure rivelando le contraddizioni che le sue conseguenze inevi-
tabilmente suscitano. LXeyxos* presuppone inoltre alcuni assunti
ulteriori. Si tratta innanzitutto di una modalit dialettica che si
articola nei confronto fra due interlocutori: Socrate non si rivolge
agli uomini in generale o a un gruppo di ascoltatori pi o meno
numerosi, poich Tindagine elenctica esige necessariamente lesclu-
sivo rapporto duale fra interrogante e interrogato. Inoltre, il cri
terio di verit dlia ricerca dipende essenzialmente dallaccordo
34 FRANCESCO FRONTEROTTA

(poXoya) fra gli interlocutori: ciascuno dei due deve interrogare o


rispondere, con smcerita c spontaneita (irctppTjQ'iQ.), sulla base di
quelle verit, pur se convenzionali, pero ammesse inizialmente da
entrambi29.
Ma quale Tobiettivo filosofico che il mtodo di interrogazione
socrtico del cosa ( t cm) X? persegue effettivamente? Una tesi
piuttosto diffusa invita a distinguere un modello di ricerca finaliz-
zato esclusivamente al raggiungimento della ptoXoya fra i conten-
denti, che sarebbe caracterstico dello stle di indagine genuinamente
socrtico pressoch onnipresente nei dialoghi platonici giovanili,
da un modello di ricerca orientato invece alPindividuazione delles-
senza universale e immucabile delle cose, sviluppato e plenamente
dispiegato nei dialoghi platonici della maturit nel quadro delfar-
ticolazione della teoria delle idee: il primo, del tutto indipendente
dalla postulazione delle idee, porrebbe senzaltro nelfaccordo
semntico fra gli interlocutori il criterio necessario e sufficente della
veric della definizione; il secondo, incrinsecamente connesso alia
formulazione dellipotesi delle idee, collocherebbe nella perfetta
corrispondenza alla realt oggettiva e universale degli enti supremi
la venta indubitabile della definizione. Questa tesi, rispecco ai da-
loghi definitori, stata effcacemente riassunta come segue: Il pro-

2<>11 mtodo socrtico della ricerca della definizione di un certo oggetto ( t cttl
X?), su cui tornero anche nel 2 del cap. II, stato esaminato assai a fondo dagli
interpreti nella sua structura logico-argomentativa. La mia analisi dipende
principalmente da acuni studi di G. VlASTOS: What d id Socrates understand by his
What is F? question?, in G. V l a s t o s , Platonic studies cit., 410-417; Id., The Socratic
elenchus, in OSAPh, I, 1983, 27-58 (riedito in G. V l a s t o s , Socratic Studies cit., 1 -
33); Id., Elenchus an d mathematics, in AjPh, CIX, 1988 , 362-396 (riedko in G.
VLASTOS, Socrates ironist a n d m oral philosopher, Cambridge, Cambridge Univ. Press
1991, 107-131). Ma si vedano pure A. N e h a m a s , Confusing universals andparticulars
in P latos early dialogues, in RMeta, X X IX , 1975-1976, 287 - 306 ; I.M. C r o m b i e ,
S ocratic d efin itio n , in Paideia, V , 1 9 7 6 , 8 0 -1 0 2 ; R . W . P u S T E R , Z ur
Argomentationsstruktur Platonischer Dialogue: die Was ist X?" Frage in Laches,
Charmides, Der grssere H ippias und Euthyphron, Mnchen-Freiburg, Alber 1983;
Ch. H . K a h n , op.cit., 148-182; F. W o l f f , Etre disciple de Socrate, in Lezioni socratiche,
acura dl G. GlANNANTONI eM . N a RCY, Napoh, Bibliopos 1997,29-79 (specialmente
47-53); J.-F. B a LAUD, La fin alit de /elenchos d'aprs les premiers dialogues de Platon,
in Lezioni socratiche cit., 235 - 258 . Per i rapporti fra il mtodo socrtico come
presentato nei dialoghi giovamli e le origini delia dialettica platnica, cfr. R. R o b n -
s o n , Plato s earlier dialectic, Oxford, Clarendon Press 19532, 49-60; e G . GlANNANTONI,

II problem a della genesi della dialettica platnica, in Cultura, I V , 1966 , 12-41.


1L RJFER]MENTO ALLE IDEE NEI DIALOGHI PLATONIC 35

blema della conoscenza e della verit diviene, con Socrate, il pro


blema di (ri)stabilire larmonia dei soggetti e deile opinioni me
diante laccordo (|ioXoya)30. D altro canto pero, a una simile in-
terpretazione possibile obiettare d emble che, di fatto, la ricerca
deila |ioXoya fra i parlanti costituisce un fondamentale criterio
tanto del SiaXyecrOai socrtico nei dialoghi definitori, quanto del-
iargomentare SiaXeKTiKws- platonico nei dialoghi maturi, e non
sembra rappresentare perci un carattere esclusivo del mtodo
socrtico abbandonato da Platone con lintroduzione della teoria
delle idee31. Al di la di questa osservazione preliminare, occorre
tuttavia affrontare la questione pi nei dettaglio, dal momento che,
anche limitandosi a considerare i dialoghi definitori, credo si deb-
bao distinguere almeno tre differenti livelli a cui puo verificarsi
una 6(j.oXoyia fra gli interlocutori della discussione, ciascuno con le
sue peculiar! implicazioni teoriche e filosofiche32.
Innanzitutto, al livello pi basso, la ^oXoya prende la forma di
un accordo puramente lingstico o logico-semantico intorno al
significato delle parole utilizzate per indicare loggetto deila defini-
zione cercata, un accordo che si rivela evidentemente prioritario
rispetto allawio della discussione, in quanto presuppone una de-
lucidazione dello strumento lingstico opportuna e necessaria per
poter dialogare costruttivamente o anche soltanto significativamente.

30 Cfr. F. T r a b a t t o n i , Platone cit., 38 . Questa tesi, la cui origine risale agli scritti
socratici di Guido Calogero (adesso raccolti nei volume di Scritti minori di filosofa
antica, Napoli, Bibljopolis 1984; si vedano soprattutto: Socrate, [1955], 106-126;
Socratismo e scetticismo neipensiero antico, [1980], 127-135; II Protagora e Ictica
socratica come eSaipova, [1937], 262-283; Una nuova concezione della lgica
prearistotelica, [1927], 349-362), stata ripresa da Gabriele Giannantoni (si veda
soltanto, per esempio, Socrate e il Platone esoterico, in A A .W ., La tradizione socratica.
Seminario di studi, Napoli, Bibliopolis 1995, 20-27: Per Socrate il consenso e
l1accordo tra i parlanti che stabilisce la verita, non viceversa) e sembra condivisa
almeno parzialmente, oltre che da Trabattoni, anche da F. W o L F F , Etre disciple de
Socrate cit., 48-49.
31 Unaccurata verifica delle occorrenze dei termini poXoyeii' e 6(10 X071 a nei
dialoghi platonici giovanili e maturi, con lopportuna analisi del loro significato
nei!mbito di un confronto fra le regle del dialogare socrtico e le modalit
deliargomentare diaiettico genuinamente platonico, e stata compiuta da F. ADORNO,
Appunti su OMOAOrEIN e OMOAOH A nei vocabolario di Platone, in DArch, II,
1968, 152-172 (riedito in F. A d o r n o , Pensare storicamente, Firenze, Olschki 1996,
49-65).
32 Si veda in proposito Ch.H. K a h n , op.cit., 93; 155-182.
36 FRANCESCO FRO NTEROTTA

Un esempio di quesro genere di fioXoya si trova nei Gorgia (448e6-


7 ; 4 6 2 c l0 ; 463b7-c5), quando Socrate chiede ai sofista cosa sia
secondo lu la retorica, per ottenere un chiarimento che consenta
di intraprendere fanalisi: pi che una precisa definizione della re
torica, Socrate desidera sapere cosa Gorgia intenda e a cosa si
riferisca in generale con il termine retorica, per delimitare loriz-
zonte semntico entro il quale procedere nellindagine, che, infatti,
consacrata alia natura dei discorsi dei retori, al loro contenuto e al
loro valore educativo33.
Ma, ad un secondo livello, la |ioXoyla dipende dalla conoscenza
delToggetto da definire, che permette (o dovrebbe permettere) di
formulare una definizione adeguata. Si tratta dunque di un accor-
do intorno alia definizione che soddisfa i requisiti elencati da Socrate:
chi cono see veramente un oggetto CX in grado di proporne una
definizione coerente che comprenda luniversalit dei casi x in cui
compare foggetto X . Viene ammesso cos un principio di c q -

estensionctlitk del definiens e del definiendum: in virt della cono


scenza della natura e delle caratteristiche del definiendum, possi-
bile proporre un definiens che copra universalmente ed estensio-
nalmente tutte le particolari esemplificazioni del definiendum.
Questo genere di jioXoyta, obiettivo della ricerca della definizione
della temperanza e del coraggio nei Carmide e nel Lachete, non
effettivamente raggiunto in quei dialoghi nella misura in cui lesi-
genza epistemolgica rimane insoddisfatta: il fatto che la definizio
ne proposta risulti insufficiente e non corrisponda interamente
alie molteplici manifestazioni delfoggetto X* sottoposto ad inda-
gine rivela che essa non deriva da una conoscenza realmente uni
versale di X* e ci implica che il soggetto definiente conosce forse
parzialmente alcune specifiche manifestazioni o applicazioni di X\
ma non compiutamente la sua natura essenziale34.
Su questo piano sorge la questione della cosiddetta priority ofi
definition inizialmente sollevata nel mondo anglo-sassone, ma
presto divenuta argomento d un pi ampio dibattito fra gli studio-

33 E possibile citare anche i casi di Smp. 194e7-195al e Phdr. 237b7-d3, in cui


Socrare chiede di stabilire un accordo preli minare intorno alia natura dellamore,
prima di intraprendere lanalisi delle sue caratteristiche e propriet.
34 Cfr. in proposito lanalisi svolta nei 2 . 1 - 2.2 di questo cap. I.
II. RI F E R IM E N T O A LLE ID E E N E I D iA l.O G H I PLA TO NI Cl 37

si secondo la quale Socrate suscicerebbe una seria contraddizione


lgica, sostenendo che la definizione di un certo oggetto o qualit
X 5 precede necessariamente la possibilita di predicare X di qua-
lunque cosa. La contraddittoriet delfassunto socrtico sarebbe fa
cilmente svelata dalla constatazione che senza dubbio possibe
citare infmiti esempi nei quali un soggetto parlante conosce senza
dubbio in qualche modo molte cose ed capace di predicarle cor-
rettamente, pur non riuscendo a formulare una definizione in-
confutabile dei termini attraverso i quali egli esprime tale cono-
scenza; e questo perch la definizione, che lo strumento frmale
chiamato a illustrare i termini linguistic! utilizzati per comunicare
una certa conoscenza, segue, e non precede, il concreto impiego
dei termini linguistic! nellesperienza comune. Tuttavia, stato da
pi parti efficacemente spiegato che i dialoghi definitori non offro-
no nessuna base testuale sicura per attribuire a Socrate il principio
della priority o f definition e, con esso, una simile inconsistenza lgi
ca35; invece, come ho cercato di mostrare nel corso deUanalisi del
mtodo definitorio, mi sembra che emerga piuttosto un principio
di priorit epistemolgica della conoscenza rispetto alia definizione:
infatti, prima di definire un oggetto X , elencandone le caratteri-
stiche e utilizzandolo correttamente in enunciad del tipo X y ,
occorre necessariamente sapere cosa sia X e avere conoscenza della
sua natura essenzale36.
Ci conduce evidentemente, ben al di la dellassunto della co-
estensionalith di definiens e definiendum, a un terzo, pi impegnati-
vo livello di p.oXoya, che dipende per necessit dallo statuto
ontologico del definiendum. In effetti, non appare in questo caso
sufficiente conoscere f universale estensione semantica di X per
suggerirne una definizione corretta, ma occorre cogliere diretta-

35 La questione della priority o f definition stata inizialmente sollevata da P.


G Plato s Euthyphro: an analysis an d commentary, in Monist, L, 1966, 369-
each ,

382, suscitando numerse reazioni: ricordo quelle pi recenti di J. B e VHRLUIS, Does


Socrates commit the Socratic fallacy?, in APKQ, XXIV, 1987, 211-223; G . V l a s t o s ,
Is the 'SocrdticfallacySocratic?, in AncPhil, X , 1990, 1-16 (riedito in G . V l a s t o s ,
Socratic studies cit., 67-86); H. B e NSON, The priority o f definition an d the Socratic
elenchus, in OSAPh, VIII, 1990, 19-65; W .J. PRIOR, Plato an d the Socratic fallacy',
in Phronesis, XLIII, 1998 , 97-113.
36 Cfr. ancora Ch.H. K a h n , op.cit,, 157-164; 180-182; e 2.1-2.5-
38 FRANCESCO FRON TEROTTA

mente e compiutamente lessenza stessa di X , la sua forma o idea


universale e immutabile, sempre idntica nelle molteplici circostan-
ze, azioni o cose in cui si manifesta e in cui presente. E infatti,
specie nel Xlppia maggiore e nzYCEutifrone, gli interlocutor i di Socrate
si awicinano forse, nei loro successivi tentativi, alia definizione ca-
pace di realizzare un accordo generale intorno alfoggetto X , mo
strando cosi la loro provata competenza, ma Socrate amplia a un
tratto lorizzonte delfindagine, affermando fesigenza della deter-
minazione dello statuto ontologico del definiendum, il solo presup-
posto da cui pu dipendere a sua volta una definizione epistemol
gicamente appagante37. A questo livello, la p-oXoya intorno alia
verita non si basa sul semplice accordo raggiunto fra gli interlocu
tor! della discussione sulfimpiego del termine X n sulla loro ef-
fettiva competenza relativamente a X , ma sulla conoscenza reale
dellessenza o dellidea di CX\ una conoscenza i cui requsiti non si
limitano alluniversalit semantica ed estensionale del termine X ,
giacch impongono una precisa determinazione del suo statuto
ontologico: per pervenire alia definizione di X\ occorre senza dub-
bio avere conoscenza di X , non pero una forma di conoscenza
generica e ispirata alfesperienza o al senso comune, ma quella co
noscenza universale e necessariamente vera che assume soltanto come
proprio contenuto certi oggetti dal pecuare statuto ontologico,
certe idee o forme universali immutabli e sempre identiche. dun-
que dallo statuto ontologico degli oggetti da conoscere e da defin-
re che dipende in ultima istanza la possibilita della conoscenza e
della definizione; e proprio dallincapadt degli interlocutori di
Socrate di cogliere questa fondamentale dimensione ontologica
deriva il fallimento delFesame condotto nei dialoghi definitori. Con
una importante limitazione: la stretta connessione fra epistemolo
ga e ontologia, del tutto assente nel Carmide e nel hchete, mi pare
invece stabilita, almeno nei suoi elementi sostanziali, nYIppia
maggiore e nY Eutifrone, per essere poi sviluppata progressivamen
te nel Protagora, nel Menone e nel Cratilo38.

37 Si vedano m proposito i 2.3 (soprartutto la definizione [III]) e 2.4


(soprattutto la definizione [Ilb]) di questo cap. I.
38 Cfr. i 2.3-2.4 e, rispetto al Protagora, al Menone e al Cratilo, i 2.5-2 .6 di
questo cap. I.
1L RIFERt M EN T O ALLE IDEE N EI DIA LOG HI Pl.A TON ICJ 39

Uanaiisi del concetto di |ioXoyia, che fornisce a suoi diversi


livelli i diversi criteri della verit della ricerca nei diaioghi definito-
ri, permette di giungere infine ad alcune conclusioni. La questione
sollevata, appunto quelia della definizione, rinvia al problema della
progressiva determinazione dello statu to ontologico degli oggetti
da definire. Soprattutto a partire dalljT ppia maggiore e dallEutifrone,
gli oggetti dellinterrogazione socratica del cosa ( t ecm) X?5
sono infatti caratterizzati da uno statuto ontologico che ne impone
necessariamente lesistenza. Bisogner naturalmente verificare in
seguito cosa implichi un simile assunto, specialmente rispetto alia
forma di esistenza che deve essere riconosciuta a tali oggetti, se essi
si pongano separatamente dalle infinite cose, circostanze e situazio-
ni in cui si manifestano oppure no, se esistano insomma nella men
te del soggetto pensante come concetti oppure nella realt come
enti in senso proprio39.

4. Le idee nei diaioghi \definitori

Con la parziale eccezione del Cratilo, dunque, la struttura dei


diaioghi definitori si lascia ridurre a un identico schema argomen-
tativo40: awiata con un pretesto la discussione, Socrate costringe,
incalzante, i suoi interlocutori a formulare una defmizione dellog-
getto prescelto per lindagine. Dapprima egli confessa apertamente
la propria ignoranza di fronte alia presunta sapienza e perizia dei
suoi awersari, ma allimprowiso i ruoli si capovolgono: le diverse
definizioni proposte sx rivelano presto inconsistent! o non perti-
nenti, perche discendono dalla banalit e dalla genericit dellopi-
mone comune e sono perci incapaci di attingere alfuniversalit
oggettiva che Socrate esige dallatto definitorio. Ed ecco la conclu-
sione aporetica del confronto dialettico: una volta smascherata lal-
trui ignoranza e precisati i termini della questione, Socrate non sem-
bra comunque in grado di suggerire una soluzione del dilemma.

39 Per questo ulteriore sviluppo dellindagine, si vedasoprattutto il 2 del cap. II.


40 Infatti, in parte, an che il Protagora e il Menone (cfr. il 2.5 di questo cap. I)
conservano una traccia evidente del metodo di interrogazione e del classico schema
definitorio socrtico.
40 FKANCESCO FR ONTERO TTA

In p a rtic o la re , la ric e rca co n d o tta n elY Ip p ia m aggiore e


ndYEutifrone attribuisce alcune decisive determinazioni aU'obietti-
vo dellindagine socratica: il tL sottoposro ad analisi e di cui si
cerca la definizione una certa idea (ISa) o forma in s (arr t
elSo), che non appare ora in un modo ora in un altro, ma rimane
sempre uguale a s stessa (v ttcxctl totois' Tarrv), agli occhi di
chiunque, ovunque e in ogni caso, indipendentemente dalle mol-
teplici e differenti circostanze particolari in cui si manifesta41. Que-
sta form a o idea costituisce lunica e invariabile essenza (ouata) dl
i cose empiriche, il modello universale (nap8eiyp.a) al quale esse
devono assomigliare com e immagini o copie imperfette (cikovcs1):
p er esem p io, solo cio che assom glia allidea ( t o l o t o v
TrapaSciy(iaTL) dei santo o dei bello pu essere giudicato santo o
bello. Sim m etricam ente, lidea del santo o del bello cio che, ag-
giunto (TrpoayvrjTai) aile cose o presente (irpeoTiv) in esse, le
rende sant o belle: insomma, le idee sono cio in virt di cui (ai) le
cose possiedono le loro caratteristiche e qualit; e, daltro canto, le
cose che possiedono certe caratteristiche e qualit hanno (xowiy)
o partecipano (peTaXap-Pvouai) necessariamente delle idee ad esse
corrispondenti42. Le idee rappresentano di conseguenza loggetto
privilegiato del corretto nominare e del vero conoscere: in quanto
modello immutabile ed eternamente auto-identico rispetto aile copie
particolari e imperfette, aile idee soltanto si addicono il nome e il
pensiero43.
Linterrogativo dei dialoghi definitori - cosa (t cm) X? -
sottolineando lesigenza problematica dlia defmizione, rnvia cosi,
in ultima istanza, alfesistenza delle idee e alla necessit d una co-
noscenza prelimnare di queste realt e dei loro rapporti con linfi
ni ta molteplicit delle cose empiriche particolari. Se inizialmente
alfoggetto dlia defmizione, cui pure devono appartenere luniver
salit e lindipendenza dalle molteplici circostanze particolari in cui
si manifesta, non tuttavia attribuito uno statuto autonomo sul

41 Cfr. Hp.M a. 286c3-e4; 287b4-el; Euthphr. 5c8-d6; 8al0-12; Men. 71 d4-


7 2 d l; 73c6-77b l; e 2.3-2.5 di questo cap. I.
42 Cfr. Hp.M a. 289d2-8; 292c9-d4; 300a9-b2; Euthphr. 5d l-5; 6d9-e6; Prt.
329e2-6; Cra. 386a2-4; d8-e4; 389a5-cl; 3 90b 1-4; e i 2.3-2.6 di questo cap. I.
i3 Cfr. Euthphr. 6e3-6; Cra. 439c7-440e7; e i 2.4 e 2.6 di questo cap. I.
H, RIFERIMENTO ALLE IDEE NEI DIALOGHI rLATONICI 41

piano ontologico, in seguito, invece, il t indagato subsce una


radicaie e sostanziale oggettivazione e diviene perianto, a pieno
titolo, un idea in s. Mi pare di avere mostrato suficientemente
come questa decisiva svolta nella riflessione di Platone vada collo-
cata soprattutto ntlYIppia maggiore, ne\YEutifrone e via via, pro-
gressivamente, nel Protagora, nel Menone e nel Cratilo: infatti, lo
abbiamo visto, nel Carmide e nel Lachete la ricerca della defmizione
universale e il riconoscimento delluniversalita del definiendum non
si traducono immediatamente nella postulazione delTesistenza del-
le idee44, ci che di regola awiene, al contrario, a partir dalYIppia
maggiore e dalYEutijrone, nei quali compaiono per la prima volta
(sia dal punto di vista linguistico sia dal punto di vista teorico) le
ir . determinate oggettivamente come sostanze delle cose in sen-
so proprio45. E dunque entro questi limiti e a queste condizioni che
mi sembra legittimo e possibile parlare di una versione giovanile
della teoria delle idee46.
M a una simile interpretazione richiede naturalmente di essere
giustificata con una pi chiara presa di posizione, da un lato, sulle
caratteristiche e sui requisiti dello statuto ontologico delle idee nei
dialoghi definitori e, dallaltro, sulleventuale evoluzione dellassunto

44 In altre parole, nel Caitnide e nei Lachete (cfr. i 2.1-2.2 di quesro cap. I), la
caratteristica esigenza della defin2one universale della tempcranza e del coraggio,
necessaria per riconoscere a loro presenza in qualunque uomo, azione o circos tanza
particolare, non viene posta in relazione con lesistenza delle idee della temperanza e
del coraggio. E certamente evidente che Ioggetto della definizione deve essere
universale e auto-identico, ma non emerge nessun chiaro riferimento al suo statuto
ontologico e allasua realta oggettiva e ndipendente dagli uomini, dalle azioni e dalle
circostanze particolari in cui si manifesta.
4y Cfr. ancora i 2.3-2.6. Torner sulla quesdone nel 2 del cap. II.
46II significato filosofico della teora delle idee nei dialoghi giovanili stato messo
in iuce soprattutto da R. E. ALLEN, Plato s Euthyphro an d the earlier theory o f form s cit.,
attraverso unindagine lucida e sistemtica che costituisce del resto un punto di
riferimento costante per questa ricerca. Si vedano pero anche G. REALE, ZEutifrone,
U concetto di santo e la prim a teoria platnica delle idee cit.; J.M . RlST, Plato's earlier
theory o f forms?, in Phoenix, XXIX, 1975, 336-57; H. GUNDERT, Die ersten Spuren
derldeenlehre, in H. GUNDERT, Platonstudien, hrsg. von K. DRING und F. PREISSHOFEN,
Amsterdam, Grner 1 9 7 7,178-185; e R .D . M o h r , Forms in Plato's Euthydemus, in
Hermes, CXII, 1984, 296-300. Rmane comunque ancora oggi prevalente la tesi
degli interpreti che negano tout court lesistenza della teora delle idee, o di una sua
versione giovanile, nei primi dialoghi platonici: un caso esemplare in tal senso e,
recentemente, quello di L.-A. DORION, Platon, Laches &Euthyphron cit., 208-213.
42 FRANCESCO FRONTEROTTA

platonico dellesistenza delle idee in generale47. Prima di considera


re questi aspetti, perci, conviene presentare fin dora uno schema-
tico quadro dinsieme della versione classica della teoria delle idee
nei dialoghi maturi, per stabilire un termine di paragone rispetto al
quale collocare, nche solo indirettamente e negativamente, la dot-
trina che emerge nei dialoghi definitori, valutandone Testensione e
i limiti filosofici.

5. Le idee nei dialoghi della maturita: un quadro generale introduttivo

Passo dunque a tracciare adesso uno schema dei principal! as-


sunti cui possibile ridurre la teoria delle idee nella sua versione
classica, con la terminologia che le propria nei dialoghi della
maturita. Ciascuno dei punti toccati, che rimarra per il momento
sul piano puramente dogmtico di un rigoroso apparato concet-
tuale e assiomatico, sar opportunamente constestualizzato e ap-
profonditamente discusso nei prossimi capitoli, con i necessari ri-
ferimenti critici e testual. Mi pare tuttavia indispensabile, anche
dal punto di vista metodologico, non ritardare ulteriormente Fin-
troduzione della teoria delle idee, secondo Fimmagine che emerge
da quei dialoghi dellet matura di Platone caratterizzati con ogni
evidenza da un interesse metafisico assai spiccato e pervasivo, vale a
dire il Simposio, il Fedone, la Repubblica e il Fedro.
Tali dialoghi presuppongono una complessa articolazione della
teoria delle idee, che non si limita alia sinttica affermazione del-
Fesistenza di certe realt radicalmente diverse dalla molteplicit delle
cose empiriche e ad esse corrispondenti, ma ricorre alie idee in rela-
zione a un ampia serie di questioni generali, estetiche, etiche e scien-
tifiche: Famore e il bello (nei Simposio e nei Fedro), la giustizia,
Feducazione e lo stato (nella Repubblica) e Fanima con la sua natura
immortale (nei Fedone e nei Fedro). La discussione su questi temi
esige normalmente una definizione preliminare dello statuto
ontologico dei loro oggetti e dei modi di conoscenza che a ciascuno
convengono, ponendo conseguentemente un problema immediato
di ordine epistemolgico e logico-linguistico. Infatti, i principi fon-
47 Si vedano rispettivamente il 2 del cap. II e il 2 del cap. VI.
IL RJFtR M EN T O ALLE IDEE NEI DIALOGHI PLATONIC! 43

damentali della teoria delle idee possono essere formulati come se


gue.

{I)
Per ogni insieme di cose empiriche designate dallo stesso nome e in possesso di
identiche qualita esiste unidea, alia quale sono attribuite determinate caratteri-
stiche. Ogni ideae inse e perse (atrro Ka0 airro), una eunica (ev), eternae auto-
identica (del ov ... tctutov), costante einvariabile (del Kara Tairrd Kal (Lctoujtgjs'),
invisibile, pura, incomposta e omogenea (oux parov ... tcaQapov ... dawBerov
... (j.oyoetSes'), priva di qualunque Veste materiale e corporea, e posta percio al
di la delle cose empiriche (trapa r a v r a n av ra ), assolutamentediversa (jraiT&Tiaoiv
... ^Tepov) e separata da queste48.

(II)
In q uan to co stitu isco n o , in virtu della p ro p ria natura, la realta realm ente essente
(o w la ovrtos- o u a a ), le idee rappresentano l og g etto della vera scienza (TnoTT|}lT))
e si ren d on o con oscib ili esclusivam ente attraverso il pensiero ((jlovw yw ... ^.erd
XoyLcr^ou a6rfj Ka0 aiufiv trj S iav o ia): estranee alia p ercezione e ai sensi, sono
percio dette intellegibili (vor|Td) e non sensibili (alCT0r|Td). Alle cose em piriche
invece, co llo cate a m e ta strad a fra essere e n on essere ([aerau ... toO dXiKpiwos'
ovtos- Kal toO |JLT|SaiJLf] ovros1)j m utevoli, corruttib ili e vincolate al perenne divenire
(dXXor d XXcos' Kal pxiSeTroTe KaTa r a i n a ), si addice l'op in ion e (8oa), incerta e
interm edia ([aeraii) fra la con oscenza vera e l ignoranza49. L a m utevole opinione,
pur basata sulla debole apparenza della percezione sensibile, sospinge tuttavia
Ianim a al rico rd o delle realta ideali che essa ha co n tem p lato p rim a di incarnarsi nel
co rp o m ortale: la possibilita della con oscenza delle idee dipende dunque da una
d ottrin a d ellarem in iscenza (dvd|iVT|ais) dellanim a, che im plica necessariam ente la
sua im m o rtalita e la sua pre-esistenza rispetto ai co rp o . U n a volta acquisita, con la
rem iniscenza, u n im m agin e approssim ativa e im precisa delle idee, agli uom ini
spetta di perfezionarne il co n ce tto p er giungere fin alm ente alia visione intellettuale
(yoriaLs1) delle idee in se50. E aq u esto p u n to che interviene la piu alta fra le scienze,

48 Cfr. Phd. 65d4-8; 74a9-e5; 76d7-77a5; 78c6-79al0; Smp. 210e4-211b5;


21 Id8-e4; R. V 476a4-d4; 4 7 9 e l-9 ; VI 507b2-8; X 596a5-597e5; Phdr. 247c3-e4;
250c2-6. Per una discussione dettagliatadello statuto ontologico delie idee e delle loro
caratteristiche, cfr. soprattutto i 1-2 del cap. IV. Lascio qui da parte le difficolt
sollevate dallintroduzione dellidea del bene nella Repubblica e dai suoi rapporti con
k altre idee: sulla questione si veda il 4 del cap. IV. Rispetto aJlassunto della
separazione delle idee dalle cose empiriche, cfr. il 1 del cap. IV; il 1 del cap. V; il
cap. XI.
49 Cfr. Phd. 65d9-66a8; 78e5-79a4; Smp. 202a2-9; R. V 476d 5-479d l0; VI
5 0 4 cll-5 1 1 e 5 ; V II 533e7-534a8; Phdr. 2 47c6-e2 ; e il 5 del cap. II; il 3 del cap.
Ill; i 1 e 3 del cap. V.
50 Cfr. Phd. 72e3-77a5; Smp. 209e5-212a7; R. V II 5 l4 a l-5 1 7 c6 ; 523al0-
524d5; Phdr. 249b6-251b7; e i 2-3 del cap. III.
44 FRANCESCO FRONTEROTTA

la diaettica (rj SiaXeKTitcri peSoSo?), capace di rendere conto deliessenza di


ciascuna cosa ( t v Xyov K a o T o u XapdvovTa rf\ o a i a ) e di trat tare le idee in
s e per s (dSeaiv arrois' 8 i airrwv et? ar), senza commistioni materiali51.

(III)
Al cune delle idee partecipano (fieTxoucri; (leraXapdvouCTi) luna dellaltra52 e
tutte indistintamente sono soggette alla partecipazione da parte delle cose
empiriche: infatti, in virt della presenza (Tapouala) o della comunicazione
(icoivwia) delle idee, le cose traggono la propria essenza (rf) ouatas1
T u y x d ' - ' E L Kaarov ov), il proprio nome ( [scil.: t v eiwy] rf)v movuiiav
t o t c jjv

axetv) e perfino le relazioni che esse intrattengono reciprocamente, secondo


unimitazione (plfiriCTis-) imperfetta delle relazioni fra le idee53. Le idee sono cosi,
perdeflnizione, causa (alTia)54 e modello (rapaSe typa) dellecopie (6poiJ[iaTa)
empiriche e della loro natura, sempre e sotto ogni aspetto.

Lascio da parte per il momento la discussione specifica e linter-


pretazione di queste indicazioni generali raccolte in forma schema-
tica, che, come ho gi detto, saranno sottoposte pi avanti a un ana-
lisi dettagliata e puntuale: mi sembrato per necessrio fornire
innanzitutto unimmagine dinsieme della teoria delle idee nella
sua versione classica e con il suo Vocabolario tcnico, per poter
valutare con cognizione di causa, nel prossimo capitolo, le princi
pal! divergenze rispetto alla concezione delle idee che abbiamo vi
sto emergere nei diaioghi definitori.

51 Cfr. R. V II 531 d7-534d2; 537b8-c8;i%/r. 2 6 5 c8 -2 6 6 cl.Torneroampiamente


sul problema della conoscena e dello statuto ontologico dei suoi oggert, sul ruolo
della dialetti ca e del pensiero intuitivo, nel 5 del cap. II e, ancora, nel 3 del cap. III.
52 Affronter la questione della partecipazione fra le idee, come formulara nei
diaioghi della maturit, nel 3 del cap. IV.
53 Cfr. Phd. 6 5 d l2 -e l; 76d7-e4; 78d l0-e4; 100bl-101c7; 102al0-105a5; Smp.
21 lb 2-5; R. V 4762.4-7; c9-d3; VI 5 0 7 b 2 -8 ;X 5 9 6 a 5 -5 9 7 e 5 ;/ ^ . 250a6-251a7- Al
problema capitale della partecipazione dele cose empiriche ale idee e delle sue
implicazioni ontologiche e logiche sono dedicad il 2 del cap. V; i capp. V III e X; i
5-6 del cap. XI; i 2-3 del cap. XII; e la Conclusione di questa ricerca.
** Sul ruofo di cause atrribuito alie idee e sulla relazione casale fra le idee e le
cose empiriche, cfr. il cap. VIII (in particolare i 4-5).
II.

LA TEORIA DELLE IDEE FRA EPISTEMOLOGIA


E ONTOLOGIA

1. Lesistenza deIle idee nei dialoghi \definitori e della maturith

Dalla ricognizione svolta nel primo capitolo emergono a prima


vista, fra i dialoghi definitori e i dialoghi della maturit, alcune
profonde divergenze in relazione alPipotesi delFesistenza delle idee
come pure nella rassegna e nella descrizione delle loro qualit.
Innanzitutto, nei dialoghi definitori ogni idea pare di norma
concepita per rispondere alFindagine sulla definizione delle cose,
giacch di qualunque definizione essa costituisce il contenuto og-
gettivo, e come nica replica soddisfacente al caratteristico interro
gativo socrtico del cosa (t cm) X?: infatti, se deve veramente
attingere alluniversalita, nessuna definizione si attaglia alie cose
empiriche mutevo e particolari, ma impone il ricorso ad alcune
forme sempre identiche, che permangono eternamente in ogni di
versa condizone e circostanza. In questo senso, le idee manifestano
la propria natura di enti super-individualF e percio universali, estra-
nei al divenire perenne e allincessante trasformazione del mondo
sensibile, eppure in qualche modo present nelle cose empiriche
come loro essenza (oxja). Ecco perch, inversamente, ciascuna cosa
rinva di necessita a un essenza determinara che trascende la sua
natura materiale e corruttibile. Le idee si rivelebbero insomma come
realta singolarF e isolate Fua dalFaltra, intrnsecamente connes-
se alie cose in cui sono presenti: non avrebbe dunque alcun signifi-
cato parlare delle idee in s e per s e postlame Fesistenza o le
reciproche relazioni, separatamente dalle cose empiriche di cui co-
46 FRANCESCO FRONTEROTTA

stituiscono Tessenza1. Diversamente, nei dialoghi maturi, le idee


vengono esplicitamente descritte come un insieme plurale di enti
che es is to no realmente e al massimo grado (ovula ovtco? ouoa) e
compongono una sfera autonoma e radicalmente separata, nel suo
complesso, dalla sfera empirica degli enti materiali, Del resto, Pla
ton e lo ripete piu volte, i generi ideali sono, ciascuno, in se e per se
(outo Ka0 auro), puri e intoccati dalla generazione e dalla corru-
zione proprie delle cose sensibili che ne partecipano e da queste del
tutto indip en den ti. Inoltre, alle idee e attribuita la facolta di parte-
cipare (perex^iv) Tuna dellaltra e di stabilire cosi unampia serie di
rapporti reciproci. Per un verso insomma, nei dialoghi defmitori,
ogni idea sembra configurarsi come un unita monadica5, senza dub-
bio universale e pienamente essente, ma tuttavia vincolata per leter-
nita alia realta delle cose sensibili di cui costituisce Tessenza o la
sostanza; per laltro, nei dialoghi della maturita, una mutua comu-
nicazione e posta originariamente fra i generi, che, rigorosamente
separati dal divenire del mondo dellesperienza, prescindono dalla
relazione con le cose empiriche ed esistono di per se. In sintesi, la
teoria delle idee rimarrebbe inizialmente del tutto estranea allas-
sunto del xwpLajios' dei generi2 ne presupporrebbe la loro reciproca
partecipazione, due aspetti fondamentali e cosi caratteristici della
riflessione matura di Platone.

1 Questo e il senso dellargomentazione di W .D . Ross, op.cit, 35-46. Come ho


gia spiegato nei 3-4 del cap. I, tendo a collocare wzWIppia maggiore e nellEutijrone
le prime tracce certe e significative della formulazione della teoria delle idee:
conseguentemente, parlando della teoria delle idee nei dialoghi definitori, mi riferisco
innanzitutto all'Ippia maggiore e AYEutifrone.
2 Rispetto alia separazione (xwpLajiO?) delle idee, occorre introdurre fin dora
una necessaria precisazione linguistica. Si constata infatd che, nei dialoghi platonici
(specie a partire dal Parmenide), e piuttosto frequente 1uso dell'awei'bio x^pis'1: le
idee sussistono separatamence dalle cose empiriche. II sostantivo xwpLCT^is- (sepa
razione), invece, compare due sole volte nel Fedone (67d4; d9), ma esclusivamente
nel contesto parti colare della definizione dei rapporti fra 1anima e il corpo umano che,
al sopraggiungere della fine, si separano luno dallaltra (cfr. il 2 di questo cap. II, n.
5 e 9). In effetti, fu probabilmence Aristotele il primo a impiegare il sostantivo
X^pLff^os-, Faggettivo xwpicrTos' (separator) e il verbo ^pi^eii/ (separare) in
riferimento alle idee platoniche ed forse ragionevole credere.che proprio il filosofo
di Stagira abbia coniato simili espressioni. Cfr. solo E N A , 1096b31-34; Metaph. K,
I0 6 0 a l 1-13; e gli studi di D. M o r r i s o n , Choristos in Aristotle, in HSPh, LXXXIX,
1985, 89 sgg.; e di G. V l a s t o s , Separation in Plato, in OSAPh, V , 1987,187-196.
LA, TEORIA DELLE IDEE FRA EPISTEMOLOGIA E ONTOLOGIA 47

In secondo luogo, almeno fino al Menone e al Protagora, il ricor-


so aile idee si rende necessario, senza alcuna eccezione, esclusiva-
mente rispetto allindagine socratica sulla natura delle cose, per sod-
disfare quindi lesigenza logico-linguistica della definizione e della
struttura semantica del discorso, del nome e del significato di ci
che si in-ten de definite. Successivamente invece, soprattutto a par
tir dal Cratilo, le idee, pressoch onnipresenti, sono chiamate in
causa per accertare lo statuto epistemolgico delia vera conoscenza
e della scienza e risolvere i problemi sollevati dallanalisi filosofica e
dialettica nellambito pin generale della morale individale, del-
r etica, della politica e delTestetica, in un contesto assai vasto che
non prevede evidentemente limiti e confini: certo, l problema lin
gstico e semntico dellatto definitorio rimane, se non altro in
senso lato, ma soltanto come corollario della questione decisiva della
possibility della conoscenza e dellarticolazione del pensiero3. Sem-
bra prevalere conseguentemente, nella riflessione di Platone, una
sostanziale oscillazione nella deimitazione della sfera di estensio-
ne e di applicazione terica e argomentativa dellipotesi delle idee.
Occorre pertanto affrontare queste ambiguita nelle loro diverse
implicazioni e con gli opportuni riferimenti critici e testuali.

2. Ancora sulla risposta al t l eon X?: la definizione reale delle


essenze

Per quanto riguarda la prima delle divergenze segnalate fra le


version! giovanile e matura della dottrina delle idee, conviene
verificare innanzitutto se, nei primi dialoghi, le idee siano dawero

Queste opportune considerazioni linguistiche non modiftcano tuttavia, a mio parere,


il significato filosofico dellass unto platonico della separazione delle idee, per il quale
si vedano soprattutto il 1 del cap. IV; il 1 del cap. V; il 1 del cap. VII; il cap. XI.
3 Questa distinzione fra dialoghi definitori e i dialoghi maturi, dal punto di vista
deir'estensione e dellapplicazione1 deila teoria dele idee, e formulata con una certa
chiarezza, per esempio, da G. VLASTOS, Socrates, in PBA LXXIV, 1988, 89-111
(riedito con alcune variazioni e molti ampliamenti in G. VLASTOS, Socrates ironist and
momlphilosopher cit., 45-80; e infine, in traduzione francese, nel volume di Philosophic
grecque, sous la direction de M. C a N TO -S p e r b ER, en collaboration avec J. BARNES, L.
B r is s o n , J. B r u n s c h w g , G. V l a s t o s , Paris, PUF 1997, 123-142).
48 FRANCESCO FRONTEROTTA

presentate com e realt prive di esistenza autonom a e indipendente,


com e essenze presen ti nelle cose empiriche e da queste inscindibiii.
In effetti, numerse indicazioni m inducono a respingere una
simile prospettiva. Pur qualificate come essenze (ooai) delle cose
materiali4, le idee sono definite, con altrettanta chiarezza, enti cin
s (aiT to el So?) nel YIppia maggiore (2 8 6 d 8 ; 2 8 8 a 9 ; 3 0 0 a 9 ), in
cui introdotto i bello in s, nt\YEutijrone (5 d 2 -3 ; 6 d l 0 - l 1), dove
Socrate indaga sul santo in s e sul non santo in s, e nel Menone
(1 0 0 b 6 ), che solleva il paradosso dellunit della vrt in s tispetto
alia pluralit delle virt specifiche. M a cosa significa parlare di una
realt in s? I dialoghi defmitori si esprimono senza equivoci: in
s sono gli enti che, sebbene compaiano infinite volte e sotto di
verse forme nella sfera sensibile e si man fes tino nella molteplicit
delle cose empiriche, delle azioni e delle circostanze particolari,
conservano tuttavia intatte la propria natura e le proptie caratteri-
sti che. E il caso dellidea del bello, nel Ylppia maggiore (2 8 7 b 4 -e l),
che si rivela com pletam ente autonom a dalle azioni o dalle cose par
ticolari belle, pur essendo co in virt di cui (w) le azioni o le cose
particolari belle divengono tali: lidea del bello non si riduce infatti
a una cosa bella specifica eparticolare (t ... KaXv), perch rimane il
bello in s (to u to t kclXv), un qualcosa realmente esistente (t
KaXcp ... ovTi y tlv l tot)). Analogamente, nelXEutifrone (5c8-
d 6; 6 c 8 'd l l ; 8a 1 0 -1 2 ), si osserva come il santo in s sia ci che
permane identicam ente in tutte le azioni sante (tclutv a riv ev
Trai] TTpd^ei t oaiov aT airrto), quellidea che non appare a
un tem po santa e non santa (aT t elSo? ... <o> Tvyxvei ov
criv r e Km vaiov), ma invariabilmente univoca e omogenea
(ra iJT v ).

Inoltre, un passo del Fedone (64c4-8) fornisce unulterore preci-


sazine. Nel corso della dimostrazione dellimmortalit dellanima,
Socrate definisce la morte come separazione (rraXayr]v) dellanima
dal corpo: il momento in cui il corpo, separato dalfanima, si
pone in s (x^pl? pev air t\ tj;ux% TraXXayv aT KaOarr
t crw [ia), come Panima che a sua volta, separata dal corpo, si
pone anchessa in s (x^pls S nriv ^uxtiv oit to o-GiiaTOS'
TraXXayetoay a)Tqv Ka0atmrv). Dallargomento di Socrate si

4 Cfr. per esempio Enthphr. lla 7 -8 ; Men. 7 2 b l; Cra. 385e4-386a4; 386d8-e4.


LA T E O R IA DLL LE ID E E FRA E PIS T E M O L O G IA E O N T O L O G IA 49

deve dedurre che un qualunque ente in s' esiste sempre separata-


mente da tutto ci che gli altro (come nel caso dellanima e del
corpo) e non vi ragione di ritenere, mi pare, che Pequivalenza
-stabilita nel Fedone fra lessere in se e lesistenza separata di un
ente qualsiasi non valga anche nei dialoghi definitori5. E del resto il
Menone (75a4-5) considera la virt in s, lidea della virt, come
lunit idntica collocata al di la delia molteplicit delle azioni vir
tuose particolari (t v ... m Traaiv totols* tcujtv).
Emerge tuttavia una difficolt: se nei primi dialoghi le idee ven-
gono considerate come enti distinti dalla real ta sensibile, non for-
se paradossale che esse costituiscano contemporaneamente fessenza
del mondo empirico e che, ancora, la relazione fra le idee e le cose
sia concepita nella forma di una presenza (mipecFTiv; veoriv) delle
idee nelle cose particolari o come congiunzione (irpoayci/riTai) fra
queste diverse realt?6 La questione particolarmente complessa e
sar adeguatamente approfondita in seguito7: occorre comunque
constatare fin dora che Platone non sembra awertire la gravita
dellaporia, giacch continua a descrivere le modalit del rapporto
partecipativo nei dialoghi maturi ricorrendo allambigua spiegazio-
ne della presenza delle essenze ideali nelle cose partecipanti8. Gi

5 Sebbene il Fedone faccia certamente parte dei dialoghi platonici dela maturit,
mi pare tuttavia ragionevole considerare questa indicazione valida anche rispetto alie
opere giovanili, giacch non riguarda espressamente la teoria delle idee e lo statuto
ontologico dei generi: in tal caso infatti, sarebbe possibile supporre che j equivalenza
fra la definizione di unideains e per s1(arr] Ka9arr|L') e la suaesistenza separata
(Xtp?) rientri nel contesto deevoluzione delia teoria delle idee e della sua progressiva
precisazione nella riflessione matura di Platone. II passo citato del Fedone, invece, non
si riferisce in alcun modo alio statuto delle idee, ma al contrario, attraverso lesempio
dellanima e del corpo, stabilisce unequivaenza linguistica valida tanto per gli enti
'formali (come lanima), quanto per gli enti materials (come il corpo), unequivalen-
za linguistica, dunque, che assume un significato generale: da questo punto di vista,
essa non sembra soggetta ad alcuna evolucione. Per estensione poi, laffermazione
deliesistenza autonoma e in se' e per s delle idee e, simmetricamente, delle cose
empiriche, impone la necessaria conseguenza che le idee, da un lato, e le cose
empiriche, dallaltro, esistano separatamente le une dalle altre, anche se, naturalmen
te, lesistenzaseparata e in s e per s1implica, perle idee, la reait pienadel vero essere
e, per le cose empiriche, la semplice apparenza del divenire (cfr. soprattutto il 1 del
cap. IV e i 1 e 3 del cap. V).
6 Cfr. per esempio Hp.M a. 292c9-d3; 300a9-b2; Euthphr. 5d l-5.
7 Si vedano in particolare il 2 dei cap. V; i capp. V III e XI; i 2-3 del cap. XII.
s Cfr. P h d 6 5 d l2 -e l; 100d4-6; 101c2-4; R. V 476a4-7; Pbdr. 247c6-dl, Si
consideri inoltre che la metafora della somiglianza delle copie imperfette rispetto ai
50 FRANCESCO FRONTEROTTA

nelle opere definitorie, dunque, alle idee sembra attribuita unesi-


stenza distinta da quella dalle cose empiriche, benche tale distinzio-
ne, con lassunto della separazione (xtopicrp.os) che ne costituisce ii
fondamentale presupposto teorico, non sia mai espressa o discussa
apertamente. D aitro canto, gli stessi dialoghi della maturita, che
pure decretano senza alcun dubbio la separatezza della sfera delle
idee, non sono del tutto espliciti in proposito e si limitano ad affer-
mare che le idee si trovano al di la (em) delle cose empiriche, in
piena analogia con il passo del Menone (75a4-5) citato poco sopra9.
Giungiamo cosi nuovamente alle conclusioni tratte nel capitolo
precedente10: occorre pero accertare adesso la consistenza ontologica
di questo al di la\ esprimendosi in modo chiaro sul genere di esi-
stenza che appartiene alle idee, perche alcuni interpreti hanno so-
stenuto che, anche volendo attribuire loro fin dai primi dialoghi lo
statuto di realta in se, immutabili e distinte dalle cose sensibili, non
si puo che fare riferimento allesistenza logica o intellettuale pro
pria dei concetti, delle nozioni inteliettuali o dei termini universal!,
precisamente quelli che soddisfano i requisiti di assoluta universali
ty e oggettivita (logico-intellettuali) che consentono di rispondere

modelli originali, utilizzata assai di frequente da Platone per spiegare il rapporto


partecipativo fra le cose empiriche eie idee nei dialoghi deila maturita (cfr. Phd. 76d7-
c 4 ;R .V 476c9~d3; X 597d l-598d6; Phdr. 2S0a6-25 la7), compare anche nelle opere
giovanili (cfr. Hp.M a. 289d2-8; Euthphr. 6d9-e6): Toscillazione fra diverse concezioni
del rapporto partecipativo rimane, a mio parere, unaporia costante e irrisolta nella
riflessione di Platone, tanto nei dialoghi giovanili quanto in quelli della maturita e
perfino, come vedremo, in quelli della vecchiaia. Sui problemi posd dallipotesi della
partecipazione fra le cose e le idee e sullinterpretazione del meccanismo della
partecipazione, cfr. soprattutto i capp. VII e XI-XII.
yFra i dialoghi maturi, solo nel Fedone (64c4-8; 6 7 a l; d4; d9) ricorrono nel loro
significaro tecnico-filosofico i termini xwpis- e 'xwptCT^s-', ma, come ho gia ricordato,
esclusivamente nel contesto particolare della defmizione dei rapporti fra Tanima e il
corpo umano che, al sopraggiungere deila mot re, si separano luno dallaltra.
possibile che la separazione fra anima e corpo alluda alia separazione fra le realta pure
e ie realta impure in generale, dunque anche alia separazione fra idee e cose: nulla pero
autoriz2a a ritenere che Platone descrivesse cosl lo statuto ontologico delle idee e delle
cose gia prima del Parmenide, che si esprime invece, in proposito, in modo chiaro ed
esplicito (cfr. per esempio 130b2-3; c l; dl). Sulla questione, cfr. specialmente il 1
del cap. V II e il cap. XI. La preposizione errt seguita dal dativo e, in alcuni casi, la
preposizione uapd' seguita dall'accusativo sono di regola utilizzate nei dialoghi della
maturita per indicare la separazione delle idee dalle cose: per esempio, nel Fedone
(74al 1) e nel.Simposio (210a8-b3).
10 Cfr. la conclusione del 3 del cap. I.
LA TEORIA DELLE IDEE FRA EPISTEMOLOGIA E ONTOLOGIA 51

alia caratteristica interrogazione del Vi cm X?ni. Bisogna perci


tornare ancora una volta allanalisi del modello socrtico della ri-
cerca delle defmizioni, per valutare se, da questo punto di vista, la
sua applicazione si estenda fin sul piano ontologico della concreta
esistenza degi enti e delle sostanze. Riprendiamo allora sintetica
mente i risultati dellindagine svolta in precedenza12. Abbiamo vi
sto Socrate, nell'Ippia maggiore (287d2-el), chiedere a Ippia cosa
sia il bello (ti ori t KaXv) e, nelXEutifrone (5c8-dl), doman-
dare allomonimo indovino cosa siano il santo e il suo contrario,
Fempio (ttolv t i t oolov ... eivou kcu t vaiov). Qual
lobiettivo immediato di questa inchiesta e quale risposta Socrate
desidera effettivamente ricevere? Sembra piuttosto chiaro che egli
esige innanzitutto una defmizione che gii riveli la natura del bello e
del santo attraverso la combinazione ordinata e significativa dei
nomi e delle parole che descrivono correttamente gli oggetti del-
Tindagine13. Ma dalfambito linguistico e semntico del discorso
defmitorio Tesame si sposta sbito, implicitamente, sul piano epi
stemolgico, poich ogni defmizione rinvia necessariamente alia
conoscenza preliminare di ci che si intende defmire: infatti, Ippia
in grado di dire cosa sia il bello soltanto perch ne ha una salda
conoscenza (otaQa yp Sfyrrou aa^to, 286e3), come pure Eutifrone,
che consce sicuramente (oa^)? elSvai, 5c8-9) la natura del

11 Mi riferisco soprattutto a J.M .E. MoRAVCSIK, Plato an d platonism, Cambridge


(MS) - Oxford, Blackwell 1992, 60-61, che ridimensiona ruolo delle idee nei
dialoghi giovanili nei termini logico-intellettuali delle nozioni astratte o dei concetti,
un ruolo, a suo parere, che perfino un nominalista potrebbe ragionevolmente
approvare. S tratta del cosiddetto reducibility argument, che, appunto, riduce il
postulato dellesistenza delle idee nei primi dialoghi a un assunto linguistico o
semntico: parlando delfessenzadi X , si intenderebbe in efferti porre il problema del
significato verbale di X e lo stesso interrogativo cosa X? dovrebbe essere perci
espresso nella forma cosa significa X?. Questa , del resto, linterpretazione tradizio-
nalmente sostenuta dagli studiosi di formazione logico-analitica (cfr. il 3 di queseo
cap. II, n. 25).
12 Cfr. ancora il 3 del cap. I.
13 Infatti, a.AYIppia maggiore (286d2-el; cfr. il 2.3 del cap. I), Socrate chiede
precisamente che Ippia gli dica (eltreiv) cosa i bello con le parole pi esatte e precise
(TL pdXLCTTa KpLpw eLireTi'), in modo che egli sappia poi resistere a ogni
confurazione. E nell 'Eutifrone (5c8-dl; cfr. il 2.4 del cap. I), Eutifrone invitato a
dire (Xye) cosa siano il santo e il non santo. Quella nvolta da Socrate ai suoi
interlocutori dunque, almeno inizialmente, una semplice richiesta di defmizione
attraverso le parole e il linguaggio.
52 FRANCESCO FRONTEROTTA

santo e del non santo. Non a caso, i dialoghi definitori si concludo-


no tutti, aporticamente e senza successo, con il riconoscimento da
parte dei protagonisti della propria ignoranza rispetto agli argo-
menti su cui Socrate i interroga: dalla loro mancanza di conoscen-
za deriva Fincapacit di fornire una definizione universalmente va
lida delFoggetto in discussione14.
In tal senso, mi par so legittimo affermare che nella sfera
epistemolgica che vengono stabilite le condizioni di ogni defini-
zione e dei criteri logico-linguistici che la governano: solo dalla vera
conoscenza discende la definizione universale; e vera , a sua volta,
la conoscenza che non muta a seconda delle circostanze, ma rimane
sempre idntica a s stessa e in piena corrispondenza con il suo
contenuto. Per questo motivo, Foggetto del t c m ...? non pu
coincidere con le cose empiriche o le azion partcolari e consiste
invece in certi enti supremi e invariabili: la natura e ia struttura del
mtodo definitorio impongono Fesistenza delle idee come univer
sale definiendum eternamente auto-identico. Sostenere la possibili-
t della definizione universale (e della vera conoscenza) significa
cosi rinviare necessariamente alFesistenza delle idee, e, viceversa,
postulare Fesistenza delle idee significa ammettere la possiblit della
definizione universale (e della vera conoscenza)15.
Ma procediamo al di l delFindagine svolta nel capitolo prece
dente: come si risponde concretamente alPincalzante interrogazio-
ne socratica dei dialoghi definitori? Sul piano ontologico, l t
cm ...? presuppone una risposta, per cosi dire, ostensiva e non di-
mostrativa, con la semplice indicazione del t \ della realt deter
minara ed essenziale in questione: a chi chiedesse cosa uomo si
dovrebbe, per assurdo, poter mostrare ostensibilmente Fidea o la
forma di uomo. Una simile risposta, di per s assai problemtica,
sarebbe inoltre del tutto inutile, se Finterlocutore non avesse gi
una conoscenza preliminare del t sottoposto ad analisi (in questo
caso, delFidea di uomo) e non sapesse perci riconoscerlo e identi
ficarlo immediatamente e autnomamente. Sul piano logico-

H Cfr. i 2-3 del cap. I.


15Cfr. ancora il 3 del cap. I. Sul rapporto fra il linguaggio, la conoscenza e i loro
oggetti - e sul significato epistemolgico delia teoria delle idee tornero nei 3-
5 di questo cap. II.
LA TEORIA DELLE IDEE FRA EPISTEMOLOGIA E ONTOLOGIA 53

discorsivo, il ti e o n ...? presuppone invece una risposta articolata


attraverso la combinazione significativa delle parole, affermando,
per esempio, che uomo un anmale bpede dotato di ragione.
Non si tratta evidentemente di una definizione nomnale, che,
prescindendo dallo statuto ontologico del proprio oggetto, si limi
ta a una scelta coerente di parole e riduce i criteri della propria
verit o falsit nei termini dellastratta correttezza logico-linguist-
ca: in tal caso, muovendo dalla definizione di animale bpede dota
to di ragione, dovremmo accontentarci di rilevarne la non-con-
traddittoriet semantica, ma nulla potrebbe essere detto suesi-
stenza reale ed effettiva deLTuomo, perch lattribuzione delfesi-
stenza reale alloggetto defnito rimane, nella definizione nomna
le, una considerazione aggiuntiva, arbitraria e in ultima istanza
indecidibile16.
Linterrogativo del Vi cari...? esige, al contrario, una definizio
ne reale17, che sveli cio la natura delloggetto che intende definire
e discenda dalla conoscenza diretta (e oggettiva) di esso: non sono
infatti, secondo Platone, gli oggetti del pensiero e del linguaggio
le idee - a dipendere dal pensiero e dal linguaggio del soggetto
pensante e parlante; piuttosto, il pensiero e il linguaggio devono
adeguarsi e uniformarsi alia realt oggettiva e universale del pro
prio contenuto. Ecco il significato deHindagine sul santo, sul bello
o su qualunque altro ente in s, ed ecco perch il pensiero e il
linguaggio non sono in grado di costruire essi stessi luniversalit e
loggettivit della conoscenza e del discorso, ma di esprimerle sol-
tanto, come uno strumento neutro, un Veicolo delfuniversalit e

1<sLa verit dela definizione nomnale dipende perci esclusivamente dallesat-


tezza delle parole impiegate e dalia correttezza della loro combinazione nella
proposizione, ma non dalla sua corrispondenza alia realt esistente che viene lasciata
al di fuori dellorizzonte semntico de discorso. Si consideri il seguente esempio: dire
che triangolouna figura geometrical cui latiformanotre angoli, vero; al contrario,
affermare che triangoo una figura geomtrica cui lati formano quattro angoli,
falso: la verit o la falsit di tali defmizioni discende esclusivamente dalla coerenza o
dalla contraddittoriet della combinazione delle parole che le compongono. E pero
evidente che, in questo contesto, rimane impossibile sapere cosa sia un triangoo in
s e se un simile ente esisca realmente o no.
17 Riprendo la distinzione fra nominal definition e real definition da R.E.
LLEN, Plato s Euthyphro a n d the earlier theory o f forms cit., 79 sgg., da cui dipende in
gran parte 1analisi svolta in queste pagine.
54 FRANCESCO FRONTEROTTA

deiroggettivit che appartengono originariamente e intrnsecamente


alia realt ontologica delle idee18. Le idee devono perci esistere
indipendentemente dalfatto logico e intellettuale della definizione
e della conoscenza da parte di un soggetto19. Ma andiamo oltre: se
alia domanda cosa ( t a n ) X? risponde lessenza stessa di X ,
ci che X in s (o lidea di X ), saremo innanzitutto in possesso
di un semplice nome, precisamente quello che designa lessenza di
X . Per formulare una definizione complessa, occorre ammettere
che X 5 in s, lidea di CX\ intrattiene con le altre idee unampa
serie di relazioni: solo ricostruendo tali relazioni diviene possibile
scoprire con quali idee ldea X comunichi e con quali non comu-
nichi e, conseguentemente, a quali idee sia simile e da quali diver
sa, da quali idee sia compresa e quali comprenda sotto di s. Questa
mappa ontologica porta alia luce la totalit degli attributi predicabil
delfidea X nellarticolazione discorsiva della definizione. Ripren-
do Tesempio precedente: luomo, ci che Tuomo in s al di la
della variet mutevole degli uomini empirici, in primo luogo de-
signato dal suo nome, che appunto uomo in s (o idea di uomo).
La definizione che lo descrive essenzialmente invece supponia-
mo - quella di anmale bpede dotato di ragione, perch fidea di
uomo partecipa delfidea piu generale di anmale come sua singla
parte, diferenziandosi pero dal genere degli animali quadrupedi e
privi di ragione e assomigliando esclusivamente al genere dei bipedi
razionali20. Lassunto della partecipazione fra le idee e la determina-

18 Per rendere pi chiara la differenza fra definizione 'nomnale e definizione


reale, si prenda il caso del centa uro, creatura mmaginaria per meta umana eper meta
animale. senza dubbio possibile fornire una definizione nomnale1 del centauro,
perch la definizione nomnale non tene conto deila natura oggettiva e delleffettiva
esistenza del suo contenuto, ma sultn ro della coerenza lgica della propria formula-
zione: dire che il centauro una creatura per meta uomo e per meta animaie non
suscita pertanto nessuna contraddizione dal punto di vista logico e semntico. invece
impossibile proporre una definizione reale del centauro, perch la definizione reale
ha una precisa implicazione sul piano ontologico e discende direttamente dalla
conoscenza oggettiva del proprio contenuto: sara quind evidentemente assurdo
affermare che il centauro una creatura per meca uomo e per meta animale, se esso
puramente immaginario e non esiste affatto.
19Rimando ai 3-5 di questo cap. II per una discussione pi precisa e dettagiata
del rapporto fra la conoscenza e i suoi oggetti e, quindi, della relazione fra epistemo
loga e oncologa rispetto alforigine dela teora platnica delle idee.
2(1Una possibile obiezione contro questa interpretazione del modello di ricerca del
r l r j T i ' costituita dalla constatazione che soltanto nei dialoghi tardi, e in partieoare
LA TEO RIA D ELLE ID EE FRA EPISTEM O LO GIA E O NTO LOGIA 55

zione dei loro rapporti permettono insomma di cogliere le relazio-


ni che le idee stabiliscono, dal punto di vista logico, sul piano pre
dicativo e di articolare cosi la vera defmizione di ciascuna di esse. In
sintesi, la possibilit della defmizione di CX dipende da un lato,
prioritariamente, ( 1 ) dalla conoscenza diretta e oggettiva dellidea
di X ; dallaltro, in secondo luogo, (2 ) dalla ricostruzione delle sue
relazioni con le altre idee: i dialoghi definitori mostrano di fallir
tanto sulluno quanto sullaltro livello, anzi, nella maggior parte
dei casi, la ricerca si arena sul piano epistemolgico ( 1 ) e il proble
ma (2 ) della relazione fra le idee non neanche sollevato21.
D altraparte, da alcuni dei dialoghi definitori s trae unulteriore
e diretta conferma delfammissione della partecipazione fra le idee.
IIMenone (72c6-dl) e il Protagora (329c2-331al; 349a8-d5) solle-
vano il problema della pluralit delle virt specifiche (la giustizia in
s, la santit in s, la temperanza in s e cosi via) che, fra loro diver
se, possiedono tuttavia, in quanto virtu, Tunica e idntica idea del
la virtu (ev y t l el 80s* Tarrv aTraacu exoucriv). E ancora nel

a partir dal Sofista (219a4-236d4), Plato.ne pone in evidenza in modo esplicito il


rapporto fra lesigenza logico-predicativa della defmizione e la ricostruzione diaiettica
delle relazioni ontologiche fra le idee. Ci vero, ma mi pare si tratti di un argomento
ex post, incapace di infirmare lipotesi suggerita che rappresenta del resto Tnica
effkace soluzione delle aporie sollevate dallindagine socratica sulle definizioni.
Inoltre, come sbito vedremo, vi sono alcune indicazioni testuali che inducono a
ritenere che gi alcuni dei dialoghi definitori ammettano il principio della partecipa
zione fra le idee.
21 Cfr. i 2.2-2.5 dei cap. I. Per una diversa analisi del significato e degli obiettivi
dellindagine socratica nei dialoghi giovanili, c.fr. R . R o b i n s o n , Plato s earlier dialectic
cit., 53-60, che propone uninterpretazione rigorosamente iogico-linguistica del
mtodo definitorio e delle sue implicazioni, dunque indipendentemente dalla
postulazione deilesistenza delle idee e dalla dottrina dei generi nel suo complesso. Una
tesi difficilmente difendibile mi pare quella di T. PENNER, The unity o f the virtue cit.,
che ha sostenuto che, con la sua interrogazione, per esempio, sulla virtu, Socrate non
desidera scoprire il significato o lessenza reale della virtu, ma esclusivamente lo stato
psicologico individale che determina in un soggetto gli atteggiamenti e i comporta-
menti virtuosi. A una simile interpretazione puessere tuttavia opposta unobiezione
insormontabile: se la defmizione che Socrate cerca quella di uno stato psicologico,
perch loggetto de! 1anati.si dovrebbe essere considralo come un qualcosa che esiste
in s? Una disposizione mentale non esiste evidentemente in s, ma solo in relazione
al soggetto in cui presente. Si tratter invece di definire, neliottica di Platone, lente
in s che produce lo stato psicologico o la disposizione mentale individale che, a loro
volta, inducono ad agir virtuosamente: in una parola, lidea della virt. Contro la
posizione di Penner si e espresso assai efficacemente G. VlASTO S, What did Socrates
understand by his What is F?" question? cit., 413 sgg.
56 FRAN CESCO FRO N TERO TTA

Protagora (331a6-b8) riportata lopinione di Socrate secondo la


quale la giustizia in s santa'e la santita in s giusta, un assunto
che presuppone che la giustizia in s e la santita in s partecipino
Tuna dellaltra22. II Cratilo (438e5-10), in fine, ricorda che le realt
ideali intrattengono certamente una serie di mutui rapporti, anche
se forse al di la delle nostre capacita scoprire quali siano e di che
natura23.
Concludendo per il momento su questo punto, bisogna ricono-
scere che le idee, gia nei dialoghi definitori, sono caratterizzate da
unesistenza reale, esterna alia mente umana e distinta24 dalle cose
empiriche di cui pure costituiscono lessenza e che, inoltre, fra loro
stabilita un ampia e reciproca comunicazione, condizione
ineludibile per la combinazione delle parole nelle definizioni che
le idee descrivono e manifestano verbalmente.

3. La conoscenza delle idee e la possibility del linguaggio, de11'etica e


della poltica

Affrontiamo ora il problema dellW ensione della teoria delle


idee, apparentemente limitata allesigenza logico-semantica della
definizione delle cose nei dialoghi definitori, e assai ampia, nvece,
nelle opere platoniche della maturita.
Bisogna constatare intanto che lanalisi condotta nei paragrafo
precedente induce a giudicare Tindagine sulla definizione in stretta
connessione con la questione epistemolgica della conoscenza: la
definizione reale che risponde allinterrogativo socrtico del Vi
cm X? dipende infatti dalla conoscenza preliminare dellidea X

22 Su questo passo del Protagora, specie rispetto al problema dellauto-predicazio-


ne delle idee, cfr. il cap. X.
23 Sul dibattito critico relativo alleffettiva presenza della teoria delle idee nei
Cratilo cfr. il 5 di questo cap. II, n. 39.
24 Sono perci in disaccordo, su tale questione speciflca, con le conclusioni di R.E.
A l l e n , Platos Eurhyphro an d the earlier theory o f form s cit., 129-154, che sostiene
invece che la dottrina contenuta nei primi dialoghi esclude ogni forma di distinzione
e di separazione fra le idee e le cose empiriche. Tornero comunquesul problema della
definizione dello statuto ontologico delle idee nei dialoghi giovanili c sulla presunta
evoluzione della teoria platnica nei 2 del cap. VI.
LA TEORIA DK.1.LE IDEE FRA EPISTEMOLOGIA E ONTOLOGIA 57

posta come oggetto dlia ricerca e delle sue relazioni con e altre
dce. Piu in generale e al di l dlia dimostrazione svolta sopra, si
puo affermare che lambito logico-linguistico in quanto tale rinvia
inequivocabilmente, secondo Platone, alla sfera epistemolgica,
perch il semplice fatto di pronunciare un nome o una definizione
dotad di significato si rende possibile es elusivamente in virt dlia
conoscenza dellente cui il nome e la definizione si riferiscono, una
conoscenza che precede, sempre e necessariamente, latto del no
minare e la designazione attraverso lo strumento lingstico. Que-
sto rigido vincolo di dipendenza stabilito con forza nel Cratilo
(438e2-439b9). Al termine del lungo esame sulla natura dei nomi
e sulla loro esattezza rispetto agli oggetti cui sono attrbuiti, Socrate
giunge alla conclusione che preferibile conoscere le cose che sono
direttamente e senza la mediazione del linguaggio (SuvaTv piaetv
aveu vojj.Tv Ta ovTa): si tratta infatti del mtodo pi 'naturale
e appropriato (cIko? t c ral iraiTaToy), poich si rivolge agli
v'Ta in s e per s e nei loro rapporti reciproci (Si dXXriXwv ye ...
Kal airr S i7 aTv) e non tramite il linguaggio, che rimane qual-
cosa di diverso da essi (t ydp trou 'repov Kevw ral dXXoov).
Non dunque attraverso il linguaggio n tantomeno nel linguaggio
che si scopre la verit degli enti, ma nella conoscenza immediata di
essi: le parole e i nomi sono soltanto immagini somiglianti alie cose
(eiKva tv rrpayfidTcov) cui si riferiscono e, pur essendo per
certi versi in grado di istruire sulla natura dei propri oggetti (SuvaTv
... S i ovoiirv r TrpypaTa jj.av0dvciv), rappresentano co-
munque una modalit conoscitiva inferiore rispetto allapprendi-
mento migliore e pi chiaro (kXXlcov Kal oct^e arepa r\ pdGqo-is*),
per lowia ragione che la conoscenza degli enti in s e della loro
verit ha unevidenza maggiore delle immagini espresse nei nomi e
nelle parole (ok ovo[iTuv dXXd ttoX pXXov aTd aiTJV
Kal [ia0r|Toy ral r|Tr|Tov f| k tv ovo|dTcov). In ogni caso e
a ogni livello, lanaisi lingistica deve essere perci ricondotta sul
piano epistemolgico, giacch incapace di costituirsi come un
mbito indipendente e auto-referenziale: lo statuto di immagini, di
copie inferiori ai modelli originali, attrxbuito da Platone ai nomi e
alie parole, confina la definizione e il mtodo definitorio in una
condizione di radicale subalternit rispetto alla conoscenza, che
58 FRANCESCO FRO N TERO TTA

invece il procedimento pi efficace per risalire allautentica com-


prensione delle realta ideali23. Conseguentemente, sebbene non
espressamente posta a tema in forma problemtica e apodittica nei
dialoghi definitori, Tintrinseca connessione della questione della
conoscenza con Fipotesi dellesistenza delle idee si rivela come un
dato di fatto manifesto e inconfutabile.
M a Finterrogazione socratica del t oti X?, bench espressa-
mente consacrata allacquisizione della definizione delle cose, non
appare strutturalmente limitata a questa esigenza logico-linguisti-

25 Per quanto riguarda lo statuto attribuito ai nomi e alie parole, immagini o


copie dele cose cui si riferiscono, la tesi di Platone dimmediata comprensione per
i nomi che designano oggetti specifici (le sostanze) o le caratteristiche e le quait di
oggetti specifici, ma rimane invece ambigua per i termini di relazione, che non hanno
alcun corrispettivo oggettivo. Per esempio, il nome sedia si applica senza dubbio
alloggetto sedia, come pure i termini verde e bianco possono essere applicati a
certe caratteristiche degli oggetti albero o uorao: in tal caso, evidente che, per
conoscere una sedia, un albero, un uomo e le loro cararteristkiie, sara opportune
rivolgersi alia sedia, allalbero o auomo in s piuttosto che ai nomi sedia, abero,
uomo, verde e bianco. Pi complessa la questione rispetto ai termini relatrvi: a
cosa bisognera rivolgersi per conoscere direttamente le relazoni di identita o di
diversita fra due cose? E di che cosa i termini idntico e diverso sono immagini o
copie? Certamente, secondo Platone, questi termini sono immagini o copie delle
idee (precisamente delle idee deidentico e del diverso) e non di cose empiriche
particolari, ma si tratta di una concezione obiettivamente asimmetrica e poco naturale:
infatti, alcuni nomi (quelli propr degli oggetti specifici e delle loro caratteristiche)
sarebbero immagini o copie siadi cose empiriche particolari siadelle idee corrispon-
denti; invece, altri nomi (quelli dei termini relativi) sarebbero immagini o copie
delle idee soJtanto. Su tale problema, che resta evidentemente ai margini di questa
ricerca, si vedano J. D e RBOLAV, Platons Sprachphilosophie im Kratylos und in den
spteren Schriften, Darmstadt, Wiss. Buchgesellschaft 1972; Ch.H . K a HN, Language
an d ontology in the Cratylus, in Exegesis an d argument. Studies in Greek philosophy
presented to G. Vlastos, ed. by E.N. L e e , A.P.D. M o u r e l a t o s & R . M . R o r t y ,
Phronesis. Suppl. I, Assen, Van Gorcum 1973, 152-176; K. G a is e r , N am e und Sache
in Platons Kratylos, Abhandlungen der Heidelberger Akademie der Wissenschaften,
Heidelberg, Winter 1974; A. G r a e s e r , On language, thought an d reality in ancient
Greek philosophy, in Dialctica, XXXI, 1977, 359-388; J.B . G o l d , The ambiguity o f
n am e in P latos Cratylus, in PhStud, XXXIV , 1978, 223-251; H. L o z a n o -
M ir a l l e s , Sign an d language in Plato, in VS Versus, L-LI, 1988, 71-82. Comunque
stiano le cose, lo stretto rapporto di dipendenza deUambito logico-linguistico dalla
sfera epistemolgica, pres up posto nei diaioghi giovanili e sancito esplici tarn ente nel
Cratilo (in proposito si veda anche F. RONADIO, II Cratilo, il linguaggio e la sintassi
delleidos, in Elenchos, V III, 1987, 329-362), non b altrove rimesso in causa da
Platone. Ricordo anzi che, sempre nel Cratilo (440c3-7), Socrate sottolinea la
dissenatezza di chi si consacra interamente ai nomi e al linguaggio e, confidando
ingenuamente nella loro verit, trascura e quasi disprezza le cose che sono (tcov vtdi'),
LA TEO RIA D ELLE ID EE ERA EPISTEM O LO GIA E ONTO LOGIA 59

ca, poich tocca senza dubbio il contesto pi ampio della sfera etica
e poli tica, delleste tica e della scienza in generale. Al di i di ogni
altro argomento, possibile citare alcuni esempi concreti per di
mostrare che la ricerca della definizione non mai, nei dialoghi
definitori, fine a s stessa, ma attiene precisamente alia determina-
zione di una scelta ulteriore relativa al problema in discussione, che
si tratti di un problema etico-politico, estetico o scientifico. Nel
Carmide (158b5-159al0), lindagine sulla temperanza motivata
dalla volont di capire se il giovane Carmide possieda, oltre a una
straordinaria bellezza, anche la temperanza: solo accordandosi su
una definizione universale di questa virt si potra succesivamente
stabilire se Carmide ne sia in qualche modo partecipe. Nel Lachete
(190b3-e3), Socrate cerca con i suoi interlocutori una definizione

come pure, nel Sofista (236d-242b; 259e-264b), le quesrioni dela definizione e della
valutazione della ve rita e della falsit dei discorsi sono rigorosamente subordinate
aJlindagine ontologica e alia conos cenza delle relazioni fra le idee. Tale argomento
costituisce una difficolta insuperabile per le interpretazioni logico-analitiche della
riflessione di Platone che muovono in generale dalla seguente diagnosi filosfica
(formulata esplicitamente soprattutto da E. T UG END HAT, Vorlesungen zur Einfuhrung
in die sprachanalytische Pkilosophie, Frankfurt a,M., Suhrkamp Verlag 1976 [trad. it.
Introduzione alia filosofa analtica, Genova, Marietti 1989]): la dottrina delle idee si
ridurrebbe in effetti a una rigorosa teoria dele definizioni, dei predicati e dei concetti
universali, viziata pero irrimediabilmente da un naturale orientamento della mente
umana che, celando la dimensione lingistica dela riflessione e privilegiando invece
l1effetti va e concreta realta esistente degli oggetti di pensiero, induce a considerare il
conten uto della riflessione, anche se appartenente alia dimensione non oggettiva dea
comprensione semantica e dellespressione logico-linguistica, come un ente dotato di
esistenza propria e autonoma. Con i suoi molteplici sviluppi, questa interpretazione
della filosofa di Patone, applicata in parti colare alia ettura dei diaoghi tardi, ha avuto
un ruolo assai rilevante negli studi platonici degli ultimi decenni ed tuttora molto
diffusa nel mondo anglo-sassone. Cito soltanto, in proposito, i casi pi noti e influenti:
rispetto ai primi diaoghi, cfr. A. NEHAMAS, Confusing universal an d particulars in
Plato s early dialogue cit.; I.M. CROMBIE, Socratic definition, in Paideia, V, 1976, 80-
102; rispetto ai dialoghi tardi invece, nei quali lo stesso Platone avrebbe autnoma
mente compiuto una radicale auto-critica, passando da una concezione ontologica
a una concezione logico-linguistica della teoria delle idee, cfr. G. R y l e , Plato's
Parmenides, in Mind, XLVIII, 1939,129-151 (riedito in Studies in Plato s metaphysics,
ed. byR.E. A l l e n , London, Routiedgeand KeganPaul 1965, 97-147); J.L. A c k r i l l ,
2MTTA0KH EIAQN, in Bullettin of the Institute of Classical Studies, II, 1955, 31-
35 (riedito in Studies in Platos metaphysics cit., 199-206; e in Plato I: Metaphysics an d
epistemology, ed. by G. VLASTOS, N e w York, Doubieday & Anchor 1970, 201-209);
G.E.L. O w e n , Platoon not-being, in Plato I: Metaphysics an d epistemology cit., 223-267
(riedito in G.E.L. O W EN , Logic, science an d dialectic. Collected papers in Greek
philosophy, ed. by M . NUSSBAUM, London, Duckworth 1986, 27-44).
60 FRANCESCO FRO N TERO TTA

della virt, e in particolare del coraggio, per scoprire su tale base


come si debbano educare i giovani a vivere virtuosamente e a com-
battere coraggiosamente in guerra. NelYIppia maggiore (286c3-
287b3), la formulazione della definizione del bello mette in condi-
zione di riconoscere la bellezza di tutte le cose esistenti, al fine di
lodare es elusivamente e come si conviene le cose veramente belle,
senza esporsi al rischio di subir una confutazione. N zVl Eutifrone
(5a3'd6; 6d9-e6), la definizione del santo e dellempio serve a Socrate
per acquisire la capacita di distiguere il santo dalfempio in ogni
circostanza e dimostrare cosi, al processo che lo vede imputato, che
egli non si reso colpevole di alcuna forma di empiet. Nel Menone
(71a3-d8; 89e6-90b4), la ricerca deila defmizione della virtu in-
tende portare alia luce le caratteristiche essenziali della virt, se sia
insegnabile e se possano quindi esistere degli autentici maestr di
virt, in grado di stimolare gli uomini a una condotta di vita vir
tuosa26. Del resto, capovolgendo i termini della questione, anche le
discussioni esposte nei dialoghi della maturita, pur di grande va-
riet tematica e argomentativa, derivano talora dallesigenza nizia-
le di una defmizione: per esempio, la ricerca morale e poltica sul-
lindividuo e sullo stato giusti nella Repubblica trae origine da una
specifica richiesta di defmizione della giustzia (II 368b7-369b4).
Queste rapide osservazioni, indubbiamente supericiali e pers-
no di una certa banale owieta, svelano tuttavia il mtodo abituale
adottato da Platone, le modalita formali con le quali egli predispo
ne lawio dellanalisi filosfica nei dialoghi: sollevato un problema
o un interrogativo che verte su qualunque oggetto, occorre
innanzitutto riuscire a definire lo statuto e la natura delf oggetto
prescelto. Ma per formulare una definizione coerente e universal
mente valida di qualcosa, necessario possederne preliminarmente
una conoscenza salda e vera. Solo in ultimo diviene possibile dedi-
carsi alfeventuale soluzione del problema iniziale ed precisamen
te in funzione di questo procedimento che viene introdotta la teo
ra delle idee. Mi sembra insomma che la questione deila definizio
ne, nei suoi molteplici aspetti, lasci emergere con chiarezza il senso
epistemolgico delfassunto delfesistenza delle idee e le sue impli-
cazioni sul piano etico, poltico ed estetco.

26 Sugli argomenti discussi nei dialoghi definitori, cfr. i 2.1-2.5 del cap. I.
LA TEO RIA B E LLE IDEE FRA EPISTEM O LO GIA E O N TO LO GIA 61

Potrebbe essere naturalmente avanzara una legittima obiezione:


se dawero la teoria delle idee efficacemente dispiegata gi nei
primi dialoghi, per quaie ragione essi si chiudono di norma
- aporticamente e senza successo? Qualunque sia la risposta da dare
a questa domanda27, credo non si debba confondere l'aspetto fr
male (aportico) dei dialoghi definitori con la constatazione che
essi gi dispongono, grazie alia teoria delle idee, dello strumento
filosofico pi adatto alio scioglimento di ogni contraddizione: il
fatto che un problema venga semplicemente formulato e lasciato
irrisolto non di per s una prova sufficiente per ritenere che Plato-
ne lo considerasse irresolubile o fosse egli stesso incapace di pro-
porre una soluzione adeguata.
Bisogna perci concludere, riassumendo i risuitati di questo con
fronto introduttivo fra i dialoghi definitori e i dialoghi delia matu-
rit, che le divergenze a prima vista pi acute (e con maggior forza
segnalate dagli interpreti) non si inseriscono in realt, a uri analisi
testuale pi accorta, nel quadro di una sostanziale evoluzione delia
teoria delle idee. A partir daWIppia maggiore e dalYEutifrone, Pia-
tone rimane fermo nella convinzione, in nessuna circostanza e da
nessun dialogo successivo rimessa in causa, che le idee sono enti
esistenti che partecipano in qualche modo Tuno delfaltro e rappre-
sentano Tessenza delle cose empiriche2S: la loro esistenza reale
posta direttamente in relazione con la possibilit della vera cono-
scenza di cui costituiscono per necessit loggetto privilegiato29.
Inoltre, come abbiamo visto in questo paragrafo, proprio dalla co-
noscenza delle idee dipendono, da un lato, farticolazione del lin-

27 possibile che, nelle opere della giovinezza, Patone abbia sovrapposto la


propra riflessione originale, con lelaborazione della teoria delle idee, alia testimo-
nianza storica e biogrfica dellesperienza filosfica di Socrate, che si fa invece
progressivamente pi sfumata nei dialoghi della maturit. O, ancora, pu darsi che
Platone fosse iniziamente interessato soprattutto allimpostazione dei problemi e alia
formulazione di un mtodo definkorio sciendfico e universale - nel quadro della
teoria delle ideepi che airesposizione di unadottrinaspecifica e definitiva. Nessuna
di queste ipotesi tuttavia dawero dimostrabile. Sul significato della forma aportica
dei dialoghi giovanili, si veda lo studio assai ricco di spunti, anche se non sempre
condivisibile, di M. E rl ER, DerSinn derAporien in den Dialogen Platons, Berlin - New
York, De Gruyter 1987 [trad. it. Ilsenso delle aporie nei dialoghi di Platone, Milano,
Vita e Pensiero 1991].
28 Cfr. i 2-4 del cap. I.
29 Cfr. il 2 di questo cap. II.
62 FRANCESCO FRO N TERO TTA

guaggio e della defmizione, e, dallaltro, lindagine etica e politica.


Fin dal suo primo apparire nei dialoghi definitori, la teora dele
idee pare nsomma costruita intorno al nesso filosofico fondamen-
tale fra epistemologa e ontologia, con lesigenza della determina-
zione dello statuto ontologco degli oggetti della vera conoscenza e
della defmizione che da essa discende.
Abbandoniamo dunque, almeno per il momento, il problema
della presunta evoluzione della teoria delle idee30 e cerchiamo di
identificare finalmente le ragioni teoriche e argomentative delFipo-
tesi platnica de i generi.

4. La teoria delle idee fra epistemologa e ontologia: alcune premesse

Nellambito della filosofa di Platone e pi in generale del pensie-


ro antico, Fepistemologa assume un ruolo ben diverso da quello
che le compete nella riflessione moderna e contempornea, per la
quale essa rappresenta la disciplina particolare che presiede alia for-
mulazione di una teoria della conoscenza o della scienza e dei mo-
delli scientifici. In questa indagine, invece, il termine epistemolo
ga sar impiegato esclusivamente, secondo il significato del sostan-
tivo maTTj^iri e del verbo m<iTa|jLaL, in riferimento alia sfera delle
attivit del pensiero nella reiazione con i propri oggett e ai criteri
(appunto epistemologa') che governano tale reiazione e mirano a
stabilire una piena corrispondenza fra il pensiero e ci che pensa-
to. Concretamente, affermando che il rapporto fra epistemologa e
ontologia costituisce il nesso fondamentale alia base della teoria del
le idee, intendo sostenere che le ragioni dellipotesi ontologica dei
generi sono in effetti di natura epistemolgica e discendono da una
peculiare concezione del problema della conoscenza.
In linea di principio, contro un smile assunto si potrebbe obet-
tare che la ricerca filosofea di Platone fu sroncamente ispirata, con
ogni verosimiglianza, da motivazioni di ordne pratico, etiche e
politiche, che lo portarono a riflettere sulla questione delf universa-
lita normativa della morale nellagire umano e sulla necessita di un

311Sulla quesdone tornero, per una discussione dinsieme delle tesi evoluzioniste
e per una presa di posizione conclusiva, nel 2 del cap. VI.
L * TEO RIA D ELLE IDEE FRA EPISTEM O LO GIA E O N TO LO GIA 63

modello oggettivo ed eternamente valido per la fondazione e la


costituzione dello stato giusto, e che proprio da simili esigenze egli
fu indotto a postulare fesistenza di certi enti immutabili, estranei
- ai divenire temporale, alla prowisoriet e alla partico larit del mondo
empirico31. In modo ancor pi radicale ed esplicito, alcuni inter-
preti tendono a ridurre la filosofa di Platone alfesclusiva ricerca
del bene o alia pratica di un modo di vita finalizzato alia realizza-
zione della virti. La riflessione del filosofo ateniese non prendereb-
be dunque la forma di una ben precisa dottrina (delf anima, deile
idee, de principi primi della realt e cos via) posta in assoluto
come vera e definitiva, pur senza risolversi cosi in uno scetticismo
radicale che si attiene alie conclusioni aporetiche dellinterrogare
socrtico. Linsegnamento di Platone consisterebbe invece nellinfi-
nita dialettica che si applica nello sforzo incessante della persuasio-
ne dellanima del proprio interlocutore, attraverso una verifica con
tinua capace di resistere ad ogni reiterata confutazione (da parte
deirXeyx0? socrtico o sofistico), non pero fornendo una verit
ultimativa e prestabilita, ma inducendo ciascuno a cercare la verit
in s stesso. Si tratterebbe insomma di una ricerca messa in atto nel
rapporto direno fra maestro e discepolo, che esige tuttavia, in ulti
ma analisi, una scoperta interiore autonoma da parte del discepo
lo32. In tale ottica, il vero problema non il sapere questa o quella

31 Come noto, gi A r i s t ., Metaph. A, 98 7 b l -7, colloco le origini e le ragioni della


teora deile idee e della riflessione di Platone in generale nelTambito della ricerca
socratica deliuniversality dei valori e del giudizio morale. Si vedano in proposito H.F.
C h e k n i s s , The philosophical economy o f the theory o f ideas, in AJPh, LVII, 1936, 445-
456 (riedito in Studies in P latos metaphysics cit., 1-12; e in Plato I; Metaphysics and
epistemology cit., 16-27), specialmente 17-19; L. B r i s s o n , Le mme et l'autre dans la
structure ontologique du Time de Platon. Un commentaire systmatique du Time de
Platon, Sankt Augustin, Academia Verlag 19942, 111-113-
32 Un esempio assai rappresentativo di questo orientamento filosofico nella
lettura dei dialoghi platonici fornito da F. TrakaTTONI, Platone cit., cbe riduce la
teoria ontoogica deile idee a un sistema deontologico di principi che non presuppone
lesistenza di un mondo separato dalla realt sensibile, ma la postulazione di una sfera
dei valori dominad dal bene sommo, secondo un Xyo che non cessa mai di essere
taie ... e deve configurarsi come una procedura dialettico-retorica in grado di far
nascere la persuasione (cfr. 123-125; 138-145). Si tratta evidentemente di uninter-
pretazione assiologica ed etico-morale della riflessione di Platone, intesa a un tempo
come incessante ricerca del bene e come sforzo di persuasione dellanima, da parte del
filosofo, per suscitare nei propri interlocutor! il desiderio della verit morale (cfr.
soprattutto 159-177; 199-201; 213-230). La posizione diTrabattoni pi ampia-
64 FRANCESCO FRO N TERO TTA

cosa, ma lessere in questo o quel modo, giacch lindagine filoso-


fica non sarebbe consacrata alfacquisizione di un sapere specifico,
ma a una discussione di s stessi e della propria inadeguatezza mo
rale innalzata al rango di un vero e proprio modo di vita. Ecco
perch, al limite, pi che della filosofa di Piatone, occorrebbe in
questo caso parlare di una platnica maniera di vivere (f3os
TrXaTwvLKs'), che coincide con fesperienza dialogica del Xyo? di-
retto alia ricerca della verita e del bene e che si configura quindi
come un esercizio spirituale necessario a rinnovare continuamen
te la propria adesione al modello di vita filosfica del maestro, di
cui la teora ontologica delle idee non rappresenta che un singolo e
peculiare aspetto, uno strumento preparatorio che ne fornisce la
giustificazione terica33.
Ora, se non possibile considerare qui nel dettaglio un cosi am
pio orizzonte interpretativo e i suoi molteplici sviluppi, che
rispecchiano del resto un attitudine realmente Viva e feconda della
riflessione di Piatone, bisogna pero riconoscere almeno che liden-
tificazione della filosofa dei dialoghi tout court con la ricerca del
fondamento morale, concepito come principio assiologico di un
modo di vita buono e virtuoso, da luogo a una lettura che mi
sembra dawero riduttiva ed eccessivamente semplificata di un corpus
filosofico assai ricco e caratterizzato da interessi e percorsi teorici
vari e diversi. E daltro canto, la stessa indicazione della ricerca del
bene non presuppone forse di per s il principio della verita del
bene e la possibilit della sua determinazione, sollevando perci
immediatamente un problema di natura lgica ed epistemolgica?
Se cos non fosse, in effetti, il significato filosofico del platonismo
rimarrebbe confmato nella pura interrogazione senza risposta, im

mense argomentata nel suo precedente volume (dedicato fra lalrro al problema delle
cosiddette dottrine non scritte di Piatone) Scrivere nellanimtt. Verith, dialettica e
persuasione in Piatone, Firenze, La Nuova Italia 1994, 100-199; 245-261; 310-344.
Sulla questione si vedano anche le lucide osservazioni di G. GlANNANTONI, Oralith e
scrittura in Piatone, in Elenchos, XVII, 1996, 109-119.
33 S tratta della ben nota tesi di P. Hadot, per la quale si vedano soltanto il recente
volume Q uest-ce que a philosophic antique?, Paris, Gallimard 1995 [trad. it. a cura di
E. GlOVANNELLI, Torino, Einaudi 1998, 25-75] e, di pi ampio respiro, la raccolta
inritolata Exercices spirituals etphilosophie antique, Paris, tudes Augustiniennes 1987
[trad. it. a cura di A.M. M a r i e t t i , Torino, Einaudi 1988, 43-68; 87-117; 155-167].
LA TEO RIA D ELLE IDEE ERA EPISTEM O LOGIA E O N TO LO GIA 65

prigionato in un mtodo del dubbio radicale privo di qualunque


esito o approdo concreto.
Mi sembra insomma necessario distinguere le cause storiche e,
-per cosi dire, psicologiche, per cui Platone si pose il problema
delfuniversalita dei valori, dei concetti e del giudizio, dalle ragioni
specifiche che lo persuasero a ritenere che tale problema potesse
essere affrontato e risolto convenientemente soltanto dalla teora
ontologica delle idee e non invece, per esempio, sul piano delluni-
versalit lgica delle nozioni e degli enunciati linguistici. Si tratta
cio di capire perch, secondo Platone, se si vuole scoprire come
agir giustamente, bisogna inevitabilmente ricorrere allidea della
giustizia e non semplicemente alPinsieme di norme che, in accordo
con la tradizione e con lesperienza coraune, regolano le azoni e i
comportamenti giusti. Cercher di dimostrare come, poich la de-
terminazione dei criteri dellagire giusto impone che si abbia
innanzitutto conoscenza di co che giusto, tale conoscenza si rive-
li vera e universalmente valida soltanto se assume come proprio
contenuto un ente realmente esistente, vale a dire il giusto in s e
per s. Nel contesto teorico della formulazione della dottrina delle
idee34, sarebbe dunque il passaggio epistemolgico, che non pu
compiersi sul piano logico del linguaggio e dei concetti, a esigere la
postulazione dei generi come oggetto della vera conoscenza35.
E in questo senso che pongo allorigine dellipotesi delle idee e
come sua ragone il nesso fra epistemologa e ontologia e, pi pre
cisamente, il rapporto fra l pensiero conoscente e gli oggetti pensa-

34 Per la determinazione di questo fondamentale contesto teorico, dunque


rispetto allorigine e ai primi elementi della dottrina delle idee nei dialoghi platonici,
cfr. ancora i 2-4 del cap. I.
35 Mi riferisco naturalmente qui a un concetto di conoscenza ancora imprecisato,
che sar meglio definite nel prossmo 5 di questo cap. II. Basti dire per il momento
che, indipendemente dalle sue modalka specifiche, si tratta della conoscenza che
assume le idee come proprio contenuto e che e vera proprio in quanto si rivolge a tale
contenuto. Solo dalla conoscenza delle idee, delle loro caratteristiche e delle loro
relazioni con le cose empiriche discende infatti la possibilita di stabilire un criterio
universale per Tazione e per I giudizio. Riprendendo Tesempio citato, se si vuole agir
giustamente in tribunale, bisogna sapere cosa sa l giusto in senso assoluto e come
esso si ponga in relazione con la condo tta da tee re in tribunale: ma per essere vera e
universale, la conoscenza del giusto deve necessariamente avere come oggetto,
secondo Platone, Tente metafisico definito giusto in s e .
66 FRANCESCO FRO N TERO TTA

ti: credo si possa spiegare cosi come la riflessione di Platone, quali


che siano le sue motivazioni di fondo, prenda la forma di una dot-
trina degli enti realmente esistenti e pienamente conoscibili, ossia
di un ontologia.

5. II senso epistemolgico delia teora delie idee

II nesso fra epistemologa e ontologia, che, nella forma della cor-


rispondenza fra la conoscenza e la definizione e lo statuto dei loro
oggetti, abbiamo visto emergere fin dai dialoghi defmitori alia ra-
dice della postulazione delle idee36, appare pero pienamente svilup-
pato e collocato alforigine della dottrina platnica e come sua ra-
gione, nellambito della relazione fra pensiero ed essere, soltanto
nel Cratilo, ed ribadito in seguito fin nei dettagli, pur se in un
diverso e assai piu ampio contesto argomentativo e teorico, nella
Repubblica.
Nella sezione conclusiva del Cratilo (4 3 9 b l0 -4 4 0 c l), lindagine
sulla natura dei nomi e sulla loro appartenenza, naturale o conven-
zionale, alie cose nominate si arena su una grave contraddizione:
pare infatti che i nomi siano stati per la prima volta attribuiti alie
cose dal mitico legislatore secondo la convinzione che l tutto scor-
re come un vrtice in perenne divenire, visto che proprio al fiusso
(pof|) e al movimento (4>op) allude a ben vedere 1etimologia delle
parole considerate37. Tuttavia, Teraclitismo latente in una simile

3Cfr. i 3-4 del cap. I.


ol Cfr. Cra. 41 Ia 5 -4 l2 c5 , in cui Socrate sottopone ad analisi letimologia e il
significato dei termini ^pv^CTis-, y emtm^pri, chepidi tutti gli altridovrebbero
indicare lassouta saldezza e immobility della conoscenza e della scienza e sembrano
invece presupporre, contraddittoriamente, il continuo movimento dei propri oggetti.
Sulla ricerca etimolgica condotta n e l Cratilo, si vedano T h . B e s t o r , Plato 'ssemantics
an d Plato s Cratyius, in Phronesis, XXV, 1980, 306-330; A. SOULEZ, L a philosophie
et la science des noms; pou r une relecture du Cratyle, in EPh, 1981, 53-76; E. H e i t s c h ,
Platons Sprachphilosophie im Kratylos. Verlegungen zu 3 83a4-b2 und3 8 7 d l 0-390a9,
in Hermes, X C III, 1985, 44-62; CH. H. KAHN, Les mots et lesform es dans le Cratyle
de Platon, in Philosophie du langage et grammaire dans l a ntiquit, Cahiers de Philosophie
Ancienne V, Cahiers du Groupe de Recherches sur la Philosophie du Langage VI-VII,
Bruxelles-Grenoble, Ousia-Univ. des Sciences Sociales 1986, 91-103; M .D. PALMER,
Names, reference a n d correcteness in Plato's Cratylus, Bern, Lang 1989-
LA TEO RIA DELLE IDEE FRA EPISTEM O LOGIA F. O N TO LO GIA 67

concezione del linguaggio38 si rivela inaccettabile: se esistono .1 bel


lo e il bene in s e cosi pure gli altri generi di cui Socrate parla
spesso (auT KaXv Kal yaGv Kal ev eKaorov tojv vtwv
o ra), evidente che il loro statuto di enti sn s non si addice a un
volto o ad altra cosa materiale che sempre fluisce (upoTiry t ...
f t l tcv ToioTwy ... TauTa rrdvTa pelv), ma esclusivamente a ci
che rimane eternam ente idntico a s stesso (ar ... t KaXv
tolou tov e ecm v olv cjtiv). Per esempio, ii bello in s, se
m uta continuam ente dalla propria condizione, non legittimo dire
che sia cin s (<o>x> olv Te TTpoaeiTretv aT op0t)s\ el el
tTTe^pxfTai) n che sia realmente (<ox olv t c TrpoaeiTreXv>
o tl CKeiv o riv ) o che possieda certe caratteristiche (erreiTa ti
to io tov), perch, m urando sempre e muovendosi, nel m om ento
stesso in cui se ne parla (f)|Jicov XeyvTtov), subito diverr altro e
daltro as petto (dXXo aiJT etjBs yLyveaaL Kal Tre^ivai Kal
Ptjkctl otus- exctv ). ln effetti, ci che mai rimane idntico a s
stesso non solo non in s, ma neanche un qualcosa determina-
to (tl): se invece permane idnticamente nel proprio stato, senza
allontanarsi dalla forma ideale che lo caratterizza (el 8e del mreos'
ex^L Kal t auT cm ... [ir|8ev icrrp.evov Tf\g aiTo 18a?),
allora bisogna am m ettere che non muti n si muova in alcun modo
(<ok> av TOUT ye |-ieTad\Xoi f\ kivolto).
Lalternativa presentata da Socrate chiara: da un lato, la teoria
delle idee, che prevede lesistenza di certi generi immutabili e auto-
identici diversi dalla realt sensibile e posti a 1 di l di questa; dalial
tro, la dottrina eractea del perenne divenire, che riconosce il flus-
so inarrestabile di tutte le cose e, cosi facendo, nega la possibilit
che esistano enti perm anenti in s stessi e perci realmente essenti
e in possesso di caratteristiche determnate e stabili. Gi a questo
livello, lanalisi ha rivelato i paradossi impliciti nella posizione
eractea, ma non stato ancora introdotto largom ento decisivo in

3S Sul ruolo di C ratilo com e portavoce delle doctrine eraclitee, cfr. S.N .
MoURAVIEV, La prem iere thorie des noms de Cratyle, in Studi di filsofiapreplatonica,
a cura d iM . C a p a s s o , F. D e M a RTINO, P. R o s a t i , N apoli, Bibliopolis 1985, 159-172;
M . N arc Y, Cratyle p a r lui-mme cit. Lascio com pletam ente da parte qui il problema
della veridicita storica della presentazione platnica di E raclito e del suo pensiero
rispetto ai fram m enti pervenutici e aile relative testimonianze.
68 FRANCESCO FRO N TERO TTA

favore delTipotesi delle idee: se tutto scorre eternamente e muta,


nulla sar uguale a s stesso n sar affatto n, infine, potr essere
conosciuto da nessuno (ouS dv yvcocr0er| ye u t t oSev?). Infat-
ti, mentre il soggetto conoscente si avvicina (TTivTOS' to
yywaojivov), foggetto conosciuto modificher la prpria condi-
zione e, reso cosi diverso da que che era prima (XXo Kai AAoTov
ytyyoLTo), risulter impossibile conoscerlo per come nella sua
natura (ojk dv yvtoa0er| en, ttoTv y r o n v f) ttws' exov).
Si trova espresso qui apertamente e nela forma pi rigorosa il prin
cipio fondamentale che regola Fepistemologia di Platone: nessuna
conoscenza conosce il proprio oggetto, se questo non un qualcosa
di essente e determinato e non rimane idntico e immobile in nes
suna maniera (yvaiais- 8 Serrou oSepia yiyvu>aKet yiyvcoKei
priSap.ojs' exov). Del resto, conseguenza estrema e fatale di un si-
mile ragionamento, mutando tutte le cose (ei |j.eTamTTTL xrvTa
XpqM-ccTa Kai pr|8v \ivei), la conoscenza stessa muterebbe in
altro e non sarebbe pi conoscenza (dv p-eram-nro el XXo
elSo? yvcrecS Kai ok dv eirj yvkns'): in tal caso, nelfambito
delFeterno e universale divenire dei tutto, non avrebbe alcun senso
distinguere un soggetto conoscente, un oggetto conosciuto e un
atto conoscitivo. Al contrario, la conoscenza sar possibile soltanto
a patto che essa non cessi di essere tale (el jj.v yp aT toto, f]
yvSai?, toO yvkns' eivai |xf) iieTaTr/nrei) e rimangano sempre
essenti, immobili e auto-identici i suoi oggetti: il bello, il buono e
ciascuna delle idee (e 8 eoTt e i . . . r yiyvtoaK^evov, eaTL 8
t KaXv, cm S t ya0v, eo ri 8 ev tcaorov tv vtcov).
Largomentazione anti-eraclitea dei passo dei Cratilo, che ha un
fondamento evidente sul piano epistemologico, mostra come la teo
ria delle idee sia concepita innanzitutto nei termini di una dottrina
degli enti realmente conoscibili, sulla base delFassunto seguente: la
vera conoscenza, per sua natura immutabile e immobile, esige come
proprio contenuto degli oggetti a loro volta immutabili e immobi
li, le idee; simmetricamente, essa vera e sempre infallibile proprio
in quanto assume come suo contenuto tali essenze ideali che mai
mutano n si trasformano. Uaspetto pi immediato ed evidente
delfatto conoscitivo cosi definito risiede senza dubbio nella descri-
zione dello statuto ontologico dei suoi oggetti: in primo luogo, e
LA TEO RIA D ELLE ID EE FRA EPISTEMOLOGIA ONTO LOGIA 69

con forza, lopposizione fra la perenne mutevolezza e mobilita delle


cose empiriche inconoscibili e leterna auto-identita e immobilita
delle idee conoscibili; ma anche, subito oltre, Popposizione piu ge-
nerale fra il divenire della sfera sensibile, che caratterizza le cose
divenienti come enti indeterminati, solo parzialmente essenti e per-
cio inconoscibili, e, per contrasto, Fessere pieno della realta ideale,
che caratterizza le idee come enti assolutamente determinati, reai-
mente essenti e quindi dawero conoscibili39.

35 E opportune ricordare che il passo condusivo del Cratilo condnua a essere


oggetto di un ampio dibattito cridco: mold interpreti, esplicitamente (cfr. per
esempio A.E. T a y l o r , Plato. The man an d his work dt., 122-143; W .D . Ross, op.cit.,
42-45) o implicitamente (cfr. per esempio H .R C h e r n is s , The philosophical economy
o f the theory ofideas cit.; j.M .E . M o r a v c s ik , Plato an d platonism cit., 59 sgg.), hanno
infatti negate che questo dialogo contenga un riferimento alia teoria delle idee: con
il rermine idea Platone intenderebbe alludere semplicemente alia natura essenziale o
alia conformazione stabile delle cose in opposizione al perenne divenire della materia,
o, daltro canto, ai predicati universal! attribuibili a un soggetto e dotati esclusivamen-
te di unesistenza logica e concettuale. Ho gia spiegato (nei 3-4 del cap. I e nei
1-3 di questo cap. II) le ragioni che mi inducono a respingere una simile posizione
rispetto ai dialoghi definitori (e vi tornero nei 2 del cap. VI). Tuttavia, per quel che
riguarda il Cratilo in particolare (cfr. il 2.6 del cap. I), mi pare difficile sostenere che
esso non presnpponga la dottrina delle idee come suo sfondo argomentativo e teorico:
nonacaso, in 3 8 9 b l-3 9 0 b 4 viene affrontato il problema della relazione fra gli oggetd
ardficiali (con lesempio del trapano e della spola per tessere) e le idee di tali oggetd
(con Tesempio delle idee del trapano e della spola "in se) che iartigiano deve tenere
a mente per conferirne la forma al prodotto del proprio lavoro. Ma soprattutto, in
4 3 9 b l0 -4 4 0 cl, Socrate contrappone le realta immobili in se e per se, come il bello
in se, il bene in se e cosi via, al divenire e alia trasformazione attribuiti da Eraclito alia
sfera empirica e sensibile, in un contesto, dunque, assolutamente coerente con gli
assunti fondamentali della teoria delle idee come e discussa nei dialoghi maturi. Del
resto, quale che sia 1inrerpretazione corretta della sezione conclusiva del dialogo, mi
sono servito qui delFargomentazione del Cratilo da un punto di vista essenzialmente
epistemoiogico, ossia per definire il principio della stretta corrispondenza fra la
conoscibilith di un ente e la sua esistenza reale, con la necessaria conseguenza che solo
gli enti pienamente conoscibili si rivelano realmente esistend, mentre degli enti
mutevoli e sempre diversi da se e impossibile chevisia conoscenza. Questa conclusione
rimane vahda anche se applicata, genericamente, alia condizione delle cose che sono
(t& ovra); e comunque mia impressione che Platone si riferisca precisamente alia
realta delle idee, come lo stesso Aristotele sembra confermare quando ricorda (in
Metaph. A, 987a32-blO) che la riflessione di Platone mosse proprio dalla constata-
zione eraclitea del divenire del mondo sensibile di cui non si da scienza ... ne
definizione (dTrdvroJi' iS\v aLofh^rcoi' ael peovruiv Kal emCTTT|p.r|S Tiepi aiiTiiii' oi)K
oijcrr]S ...aSwaTov yip elvai tou koli'ov opoi> run1 aia&riruJL/ ni'os1), dalla quale egli
fu indotto a postulare 1esistenza di cerd end non sensibili ... cui diede il nomc di
idee (erepcuu <6yTaw> ...o v rwi/ aLoQTiTcor' ... rot iev Toiaiira t&v outlov I8eas
70 FRANCESCO FRO N TERO TTA

Passiamo adesso alia Repubblica. Alia conclusione del quinto li


bro (V 4 7 6 d 5 -4 7 7 b ll; 477e8-480al3), Socrate conduce unarti-
colata dimostrazione per distinguere la vera conoscenza dei filosofi
dal semplice opinare degli uomini comuni che vivono come in so-
gno. Seguiamone lo svolgimento. Chi conosce, conosce necessaria-
mente qualcosa che ( yiyvokrKtv yiyyoKeL t ... oy), perch
impossibile conoscere ci che non (ttojs* yp ay ijlt| qv y ti
yyojaOeiT);). Per estensione, viene formulato questo saldo (iKavwsO
principio: ci che assolutamente assolutamente conoscibile (t
py TrayTeXcos> oy TTavTeXcos' yytocrry); ci che non assoluta
mente, daltra parte, assolutamente inconoscibile (|iri oy 8 |jxj8a|af|
rrdyTri dyytoarov). Se esiste poi un ente che e non alio stesso
tempo, intermedio fra il puro essere e lassoluto non essere (el S
8f| t l omos1 x l elya r e Kai [iq etyai ... [ieTau ... toO
eiXiicpiyJs ovrog Kai to av px|Sa[if| oyTos1), ad esso si addice
una forma di conoscenza intermedia fra la vera conoscenza - la
scienza - e Tignoranza (JieTa^ t l ... yyoas1 Te Kai rno^'r^ris-):
Topinione (8a). Infatti, ciascuna forma di conoscenza, in quanto
le corrisponde una diversa facot conoscitiva, ha di conseguenza
un diverso oggetto (<> erpt erepv t l Suyajiyq eKaTpa aTty
[sciL: mcnTj|JT|S Kai S^as'] rr^uKcy): la scienza, posta al vertice
della gerarchia, conosce perci lessere come (mcmr|fxr| \v y
ttou m tc ovtl, t oy yywyaL s* exeL); Tignoranza, Fassenza
di ogni conoscenza, ignora ci che non (pf| ovtl ... dyvoLav
yyKqs* Tr8op.ev), senza alcuna ulteriore precisazione, visto che
il non essere non un qualcosa, ma nulla, ed quindi privo di
qualunque determinazione (|ir| ov ye ox ey t l XXd jaqSy).
Lopinione, infine, non pu rivolgersi alio stesso oggetto della scien
za, a ci che , perch altrimenti coinciderebbe con la scienza e un
nico e idntico oggetto si rivelerebbe paradossalmente conoscibile
e opinabile insieme (yvcocrrv re Kai 8oaorv t arr... SyaTov),
n pu rivolgersi alio stesso oggetto dellignoranza, a ci che non ,
poich impossibile opinare il nulla (Sodeiv S pqSy ...

Trpoaryypeuae). Sul raolo e 1influenza di Eraclito e deile dottrine eraclitee nella


riflessione di Plarone, si veda il mi articolo PEONTEZ KAI 2TA2 IQTAI. Hraclite
et Parmnide chez Platn, di prossima pubblicazione nei Cahiers Philosophiques de
Strasbourg.
LA TEO RIA D ELLE ID EE FRA. EPISTEM O LOGIA F. O NTO LO1A 71

dSvaTov): diversa dalla scienza e dallignoranza e a met strada fra


queste (ovre ayvoia oure yvaicris* 8a ... cv t s S p^olv
(ceiTai), lopinione opina dunque un oggetto diverso dallessere e
dal non essere, a sua volta intermedio fra ci che realmente e ci
che assolutamente non (ovk ... ou ovSe pf] ov 8oei ... 8a ...
<XX> to peTa^ toi clXiKpiv&s* ovto? t c Kal to TTaimiiS1 pf]
VTOS1).
Bisogna ora specificare la natura degli oggetti deile tre differenti
specie di conoscenza. Ci che realmente e a pieno titolo rimane
sempre invariabilmente costante e immobile nella propria condi-
zione: si tratta degli enti in s e per s, delle idee, come il bello, il
giusto e cosi via (arr eicaaTa ... Kal el Kara rauT a cbaaTJs*
vTa ... aT pcv KaXv Kal ISav ti va arroO KXXous* ... Kal
SKaiov Kal TaXXa oi/roo). Ci che non affatto si riduce invece al
puro nulla (prjSv), la semplice privazione dessere, di cui impos-
sbile dire alcunch. In ultim o, foscuro oggetto dellopinione, col-
locato fra lessere e il non essere, s identifica con linfinita molte-
plicit delle cose em piriche che appaiono contem porneam ente
giuste e ingiuste, pie ed empie, grandi e piccole, leggere e pesanti,
belle e brutte, dal m om ento che gli enti sensibili si muovono senza
sosta modificando continuam ente il loro stato: in questo senso,
essx m ancano dei requisiti dellessere supremo e pur tuttavia, non
coincidendo con il vuoto nulla, rappresentano com unque un qual-
cosa almeno parzialmente esistente. Ecco perch chi non am m ette
la realta delle idee, m a soltanto lapparenza delle cose sensibili, pos-
siede unopinione mutevole del proprio mutevole oggetto, senza
poterlo conoscere daw ero (tous* cipa TroXX KaX 0aopvoug>,
a lito to KaXv pf] ptQVTas* ...K al r a v r a otco, So<;i.v ^-qo-opcy
aTtavTa, yiyvtoaKetv 8e <Sv 8ooim v oSv), laddove chi si
volge alie idee in s raggiunge la vera e immutabile conoscenza del
proprio oggetto vero e immutabile (touj aTa c r a o r a Qewpevous
Kal el KaTa Tarr aaTi)? vTa ... yiyvwtfKeiv XX o;
8oeLv).
Il passo della Repubblica ribadisce in primo luogo la convinzione
di Platone per cui la conoscenza, in quanto si costituisce in una
relazione di dipendenza dal proprio contenuto, di tale contenuto
im pone Fesistenza reale. Inoltre, il principio espresso nel Cratilo,
72 FRANCESCO FRONTERO']"!'A

secondo il quale la vera conoscenza, che deve essere immobile e


immutabile, conosce di necessit un oggetto in s immobile e im-
mutabile, riceve una significativa estensione: a diversi generi di co-
noscenza corrispondono diverse specie di oggetti conosciuti giac-
ch diversi generi di conoscenza non possono conoscere lo stesso
oggetto e questa stretta corrispondenza induce a distinguere gli
enti, la loro natura e il loro statuto ontologico, sulla base del grado
di conoscibilith che li contraddistinge. Queste conclusioni so no
riproposte implcitamente, sempre nella Repubblica, alia fine del
sesto libro (VI 509d l-511e5): la sfera sensibile, che comprende le
immagini delle cose empiriche e tutti gli enti naturaU e artificiali,
ricade infatti interamente nellambito dellopinabile (t parv
yeyo? ... So^aarv), mentre alia sfera delle idee si addicono il pen-
siero e la scienza (t vot\tov yvos1 ... yvxrTv). Platone espone
qui la cosiddetta teoria della linea che riguarda pero piuttosto le
modalit specifiche delle vari forme di conoscenza e la definizione
particolare dei loro oggetti, senza soffermarsi nuovamente sulle ra-
gioni di una simile distinzione40.
Occorre citare infine una testimonianza inequivocabile del
Parmenide (132b3-cl 1). Per superare le difficolt e le contraddizio-
ni sollevate da Parmenide rispetto alia partecipazione delle cose
empiriche ai generi ideali, Socrate suggerisce a un tratto che le idee
esistano forse come pensieri nellanima (vrjj.a ... kv ^xa-isO, do
tad di unita, immateria e immobili, e caratterizzati perci dalfesi-
stenza lgica dei concetti universali o delle categorie generali del
pensiero. Quali che siano le motivazioni di questa ipotesi41, Parme-

40 Tralascio perci qui la discussione delia teoria dela linea, che riprender nel
3 del cap. III. La rigorosa e necessaria corrispondenza stabilita da Platone fra il
pensiero vero, la scienza, e i suo conten uto realmente essente, e dunque pi in generae
fra epistemologa e ontoogia, necheggia probabilmente laffermazione parmenidea
dellidentita di pensiero ed essere nei frr. 3; 6.1; 8.34-36 DK. Anlogamente, dela
profonda influenza di Parmenide risencono verosmilmente la distinzione platnica
fra verita (Xf|0eia) e opinione (Sa) e la concezione dello statuto ontologico degli
oggetti delia vera conoscenza, le idee, eterne e auto-identiche come eterno e auto-
identico apparelessere nella descrizione di Parmenide (cfr. in particolare ilfr. 8.1-49).
Rinvio in proposito al mi Essere, tempo epensiero: Parmenide e [origine deWontologia,
in <ASNP, XXIV, 1994/4, 835-871, soprattutto 866-871.
41 Pe linterpretazione di questa ipotesi nellambito della discussione fra Parmenide
e Socrate nel Parmenide, cfr. il 1 del cap. IX.
LA TEO RIA D ELLE IDEE FRA EPISTEM O LOGIA E O NTO LOGIA 73

nide ne rivela rapidamente 1inconsistenza ricorrendo ai gi noto


argomento dei Cratilo e delia Repubblica\ se ogni pensiero sempre
pensiero di qualcosa (vT)|ia. ... tivsO e se, ancora, pensiero di
qualcosa che { t i v s ... v to ), allora, anche ammettendo che le
idee si riducano a sempiici pensieri nella mente umana, bisogner
postulare di nuovo Tesistenza di un oggetto esterno1 come cont-
uto del pensiero. II tentativo di ricondurre la realt ontologica
delle idee alia sfera del pensiero fallisce inevitabilmente quando si
riconosca che, al contrario, la sfera del pensiero a rinviare di ne
cessita alFesistenza effetva dei propri oggetti.
Una simile dottrina epistemolgica presuppone una concezione
fortemente realista e oggettivista della conoscenza e del processo
conoscitivo, inteso come una sorta di adeguamento del soggetto
conoscente che pu, per cos dire, uniformarsi alFoggetto cono-
sciuto. Lattivita del pensiero sembra insomma consistere in una
riproduzione o in un rispecchiamento delloggetto pensato, dal
momento che, in generale, la relazione fra pensiero ed essere pare
costituirsi esclusivamente nella dimensione oggettiva delFessere cui
il pensiero deve essere rigorosamente ridotto. Bench nessun passo
dei dialoghi platonid si esprima con la desiderata chiarezza a soste-
gno di una lettura del genere, specie rispetto alia definizione del
ruolo e dello statuto del soggetto conoscente come polo autno
mo e distinto dalf oggetto conosciuto nelF mbito del processo co-
noscitvo, alcune considerazioni mi inducono tuttavia a ritenere
che proprio entro questo orizzonte epistemolgico si ponga la con
cezione della conoscenza implicita nel discorso platonico42.

42 Lunca formulazione chiara ed esplicita di questa concezione realista e


oggettivista della conoscenza, che sembra per molti aspetti caratteristica deHepistemo-
logia antica in generale, si trova in KusT.,A4etph. Z, 1039b27-1040a7; A, 1074b30-
1075al0. Aristotele constata innanzitutto Passoluta inconoscibilit delle sostanze
sensibili e particolari, che, mutando sempre e corrompendosi, alio stesso tempo sono
e non sono e non pare dunque possibile coglierne lessenza, anche perch, quando non
sono pi presenti alia sensazione, la memoria ne conserva soltanto unimmagine
incerta e apparente. Degli enti che si mantengono identici a s stessi, invece, si d vera
conoscenza, in quanto, esenti da genemione e corruzione, da trasformazione e
movimento, essi risultano sempre attuali e dad al soggetto conoscente. Se non
sussiste una contemporanek lgica e ontologica fra soggetto conoscente e oggetto
conosciuto nellatto conoscitivo, viene meno I'elemento costitutivo e fondante della
conoscenza: infatti, la scienza la cosa stessa (f| iiarripr] t T T p y ( i a ) . II pensiero
non determina insomma il proprio oggetto, ma, rispetto ad esso, si costituisce come
74 FRANCESCO FRO N TERO TTA

Innanzitutto, il modello teorico dlia conoscenza intellegibile e


vera sembra costruito sulla base di una stretta analogia rispetto alla
conoscenza sensibile e al processo percettivo43. C om e noto, la per-
cezione non rappresenta, secondo Platone, che una fedele riprodu-
zione degii oggetti percepiti attraverso gli organi di senso che subi-
scono fisicamente il contatto con le cose esterne, producendo in s
delle modificazioni pi o meno grandi: queste modificaziom giun-
gono infine ailanim a che riceve cosi un immagine, pur incerta e
mutevole, dlia realt empirica44. Ora, se la conoscenza intellegibile
caratterizzata da un analogo procedim ento, sebbene su un piano
puramente intellettuale e con oggetti di diversa natura rispetto al
contenuto dlia sensazione, anche il pensiero e il ragionamento
avranno effettivamente il com pito di riprodurre e rispecchiare nel-
Fanim a unimmagine degli oggetti intellegibili conosciuti e la co
noscenza sar tanto pi vera, quanto meglio il pensiero riuscir ad
uniformarsi e ad adeguarsi al suo contenuto. In questo contesto
teorico si inserisce probabilmente luso frequente, per designare latto
dlia conoscenza intellegibile, dei verbi aTiToi ed ^rTco45, che fan-
no pensare a un con tatto di qualche genere, neilanima o attraver
so lanima, fra il soggetto conoscente e Foggetto conosciuto nella

un calco, come una copia di fronte al suo modello. Se cosi non fosse, il pensiero
sarebbe diverso da cio di cui pensiero e si perderebbe la possibilit di stabire un
criterio oggettivo per il processo conoscitivo.
43 In R. V 477cl-4 7 8 b 2 , Socrate distingue le diverse facolt (Svvfieis:) conosci-
tive, che coincidono in generale con la vera conoscenza (maTfi|j.rj) e con iopimone
(8oa), sul modello dlia vista e delludito, secondo illoro grado di verit e, soprattutto,
secondo lo statuto ontologico dei loro oggetti, mentre un pieno parallelismo pare
caratterizzare la loro fondamentale modaiit realista. Analogamente, in Ti. 47a 1-
49 a l; 5 lb2-52d l,T im eo ribadisceapiripreseilperfettoedarmonioso equilibrio dei
tutto, tanto dal punto di vista ontologico, quanto dal punto di vista epistemblogico,
stabilendo tre piani di riferimento: lessere e divenire, le idee e le cose, linteliezione
e la sensazione. La diiferenza sostanziale fra i termini di ciascuna coppia di opposti
sembra determinata esclusivamente dal loro diverso livello di reak, ma una piena
simmetria formale si pone invece dal punto di vista dellarticolazione e dlia struttura
di ognuno dei due livelli: ie cose empiriche in divenire non sono infatti che una
riproduzione dlia sfera delle idee essenti; allo stesso modo la percezione sensibile e
lattivit dei sensi, nellambito empirico, non rappresenteranno che unesatta imita-
zione dlia conoscenza intellegibile e dellattivit dei pensiero neUambito ideale.
44 Cfr. soprattutto Ti. 61c3-68d2.
45 Cfr. per esempio Smp. 212a4; Pbd. 65 b 9; 79 c8; d6.
IA TEO RIA DELLE IDEE FRA EPISTEM O LO GIA K ONTO I.O GIA 75

sua realt e verit, non diversamente dal caso dei processo percettivo.
Ma allora, riducendosi a un contatto del soggetto conoscente con
Poggetto conosciuto, anche la conoscenza intellegibile dlpender
interamente dalla passione o dalP affezione (mxGrjfia) che il sog
getto conoscente subisce da parte dalPoggetto conosciuto.
Si consideri poi la generale distinzione proposta da Socrate in
Phd. 79a6-e7 fra due specie di enti (8o ei8r| tv vtjv), Puna
invisibile, identica e immutabile (t jj.v diS? el jcar rarr
eX0V)) Patra visibile, sempre diversa e mutevole (t 8 pcrrv
pr|SiTOTe Kcrr Tcnrrd): alla prima specie, che corrisponde alia
realt delle idee, assai simile Panima (p.oiTepov apa ^ux^i
cmv t<3 di8ei); alla seconda, che corrisponde alla sfera delle cose
empiriche e sensibili, appartiene certamente il corpo (tco parco ...
t ofia). Quando Panima si serve dei corpo e degli organi di
senso, essa condotta verso una conoscenza debole e incerta come
i suoi oggetti sensibili in divenire; quando invece procede da sola e
in s stessa (arnqv Ka0an~r|v), si rivolge verso ci che puro,
eterno, immortale e immutabile (el t raOapv tc koll del v
ai 0dva.TOv Kal waaTtS' X0V)> come nela sua natura, e
rimane sempre immutabile rispetto ai suoi oggetti, perch tali sono
gli oggetti che essa tocca: e questa affezione ci che definiamo
intelligenza ( t o t o Trd0r||ia c|)pvr|cris). Lomogeneit e Pafftnit
ag oggetti intellegibili, aile idee dunque, alla cui perfezione Pani
ma tende ad assomigliare alontanandosi dal corpo, sono giustifica-
te dalPesigenza che essa riesca a porsi in relazione con tali oggetti:
in questo infatti consiste la conoscenza, nelPaffezione che si produ
ce nelPanima quando rimane in contatto con i suoi oggetti, ad essi
adeguandosi e riproducendone in s Pimmagine.
Riconosciuto cosi il carattere fondamentale, intrinsecamente re
alista e oggettivista, delia concezione platnica delia conoscenza,
torniamo adesso schematicamente a risutati delPanalisi svolta in
questo paragrafo. Conviene distinguere il ragionamento di fondo
che presiede alia formulazione delia teoria delle idee e che ho cerca-
to di ricostruire fm qui dal procedimento argomentativo attraverso
il quale essa introdotta nei dialoghi platonici. II ragionamento di
fondo che conduce alla formulazione della teoria delle idee mi sem-
bra basato su due principi.
76 FRAN C ESC O FRO N TERO TTA

(D
II pensiero esige come proprio contenuto un ente esistente: conoscerc un ente
significa infatti adeguare o uniformare l pensiero a quellente. Conseguente-
mente, affinch vi sia conoscenza, deve esistere un ente conoscibile cui essa possa
rivolgersi. Lepistemologia, dottrina delle attivit de! pensiero, rimanda pertanto
allontologia, dottrina degli enti esistenti che costituiscono loggetto del pensiero.
(II)
La differenza fra i generi di conoscenza dipende dagli oggetti che ciascun genere
di conoscenza assume come proprio contenuto. Dunque, la conoscenza vera e
immutabile deve rivolgersi a un oggetto veramente essente e immutabile; ligno-
ranza deve rivolgersi aun oggetto assolutamente non essente; infine, la conoscenza
incerta e mutevole deve rivolgersi a un oggetto a sua volta incerto e mutevole.
Una volta stabilita la gerarchia dei diversi generi di conoscenza (e di non
conoscenza) sul piano epistemolgico, occorre che essa si traduca in una gerarchia
dei diversi oggetti conoscibili (e non conoscibili) e dela loro natura sul piano
ontologico.

D a queste premesse ineludibili discende il procedimento argo-


mentativo in virt del quale la teora delle idee introdotta nei
dialoghi, un procedim ento articolato, mi pare, in tre m om enti di-
stinti.

(A)
La constatazione eraclitea del perenne divenire del mondo emprico condanna
le cose sensibili a un destino di non-conoscibilith. M a la m inork epistemolgica
deila sfera emprica, se la conoscenza e il pensiero sono dawero intrnsecamente
vincolati alio statuto ontologico deipropri oggetti (in virti del princpio I), deriva
immediatamente da una minorit ontologica: ci che non e veramente, in
quanto muta sempre, neanche veramente conoscibile.
(B)
Contro la constatazione eraclitea del perenne divenire del mondo emprico,
Platone afferma con forzala propria esigenza epistemolgica: se la vera conoscenza
deve esistere, esstono certamente degli enti che sono in possesso di tutti i requisiti
delia pena conoscibilit, vale a dire Timinobilit, Tinimutabilit e lauto-identit.
L esigenza epistemolgica si estende quindi immediatamente al piano ontologico
(in virt del principio I): ci che deve essere veramente conoscibile, in quanto
rimane eternamente idntico a s stesso, immobiie e immutabile, bisogna che sia
realmente e plenamente.
(C)
Posto cos 1 fondamento ontologico della conoscenza, occorre ancora seguirne il
dispiegamento: se a diversi gradi di conoscenza si addicono oggetti diversi rispetto
al proprio statuto ontologico (in virt del principio II), allora alia scienza
LA T E O R IA D E L L S ID EE FRA E P IS T E M O L O G IA E O N T O L O G IA 77

corrisponde il vero essere, le idee; allignoranza, semplice privazione di conoscen


za, corrisponde Passoluto non essere, il puro nulla; allopinione mutevole, facolca
intermedia fra conoscenza e ignoranza, corrisponde la realta intermedia fra essere
e non essere, il mondo delle cose sensibili in divenire46,

In ogni caso, evidente come, rispetto alie sue ragioni e al signi-


ficato delle sue implicazioni, lawio di questo procedimento si rea-
lizzi invariabilmente sul piano epistemologico e solo in seguito si
estenda per necessita al piano ontologico. Dunque, in tale prospet-
tiva, (1) essere (el v a t) significa essenzialmente essere conoscibile
( y v c c f t v ) ; (2) non essere (|iT | elvai) significa essenzialmente non
essere conoscibile (ay v w c t t o v ) ; (3) essere e non essere (elvai re Kal pf|
eivai), cio divenire (yiyveoOai), significa essenzialmente essere e
non essere conoscibile insieme, cio essere opinabile (8oaoTv)47. E
nel dettaglio: le idee rappresentano loggetto della vera conoscenza
in quanto esistono al massimo grado e, simmetricamente, esistono
al massimo grado p erch d tv o no essere massimamente conoscibili;
viceversa, il nulla Foggetto (o piuttosto il non-oggetto) delFigno-
ranza in quanto non esiste affatto e, simmetricamente, non esiste
affatto p erch si rivela del tutto inconoscibile; infine, le cose empi-
riche costituiscono Foggetto della mutevole opinione in quanto esi
stono solo parzialmente e, simmetricamente, esistono solo parzial-

Ac'Si potrebbe in effetd sostenere che, nellidentificazione dello statuto ontologico


delle cose empiriche con dvenire perenne e inarrestabile, Platone rimanga per cerd
aspetti fedele allinsegnamento di Eraclito, che non riconosceva alcuna essenza stabile
al flusso eterno delle cose. Del resto, anche ARIST., Metaph. A, 987a32-bl0, osserva
che la riflessione di Platone prese storicamente le mosse dalla constatazione eraclitea
delluniversale divenire dei sensibili e, conseguentemente, dallammissione dellasso-
luta inconoscibilita della realta empirica.
47 Si scioglie cost quelo che G. V l a s t o s , A metaphysical paradox, in PAPhA,
XXXIX, 1966, 5-19 (riedito in G. VLASTOS, Platonic studies cit., 43-57), ha definito
como i! paradosso metafisico per eccelienza della filosofa occidentale: le idee invisibili
coll< u ;re al di ia del mondo emprico sono considerate da Piarone piu essenti (\i.aXkav
bvT< Idle cose sensibili immediatamente evidenti nellesperienza comune. Infatti, se
iessei. di un ente in relazione con il suo grado di conoscibilit, allora essere pii o
meno' i-.istere piu o meno realmente di un altro ente significher innanzitutto essere
piu o meno conoscibile di un altro ente, secondo le condizioni generali che regolano
estabiliscono i diversi gradi di conoscibilit di tutte le cose esenza che ci soilevi alcuna
contraddizione. Si noti fra [altro che, in questo contesto, i termini essereed esistere (che,
non a caso, la lingua greca non distingue) assumono un idntico significato: ci che
veramente conoscibile, e veramente ed esiste al piu alto grado di realta.
78 FRANCESCO FRO N TERO TTA

mente perch sono soltanto opinabili. Ma cosa vuol dire esistere al


massimo grado, esistereparzialmente o non esistere affatto? Lo abbia-
mo visto: gli enti che esistono al massimo grado , le idee, sono pro-
prio quelli che possiedono le qualit che rendono un oggetto mas-
simamente conoscibile, corne fauto-identit, Fimmutabilit, lim-
mobiiit e cosi via; gli enti che esistono parzialm ente , le cose empi-
riche, sono quelli caratterizzati dagli attributi che rendono un og
getto soltanto opinabile, corne la mutevolezza, il divenire e il movi-
mento; cio che non esiste affatto invece, il puro nulla, lassoluta-
mente indeterminato e pertanto totalmente inconoscibile.
Ne driva unincolmabiie scissone nella continuit del reale, ra-
dicalmente diviso in due livelli di conoscibilit e di esistenza^. La
profonda discontinuit ontologica fra le idee e le cose empiriche
stata designata da Gregory Vlastos con la felice espressione di degrees
o f realityi9, unespressione senza dubbio assai efficace, ma che an-
drebbe adesso ampiiata in senso epistemologa/: infatti, nella pro-

48 In quanto totalmente indeterminato, inconoscibile e non essente, l nulla


assoluto si colloca per necessita al di fuon di ogni possibile immagine del reale. Dopo
aver stabilito le condzioni epistemologiche1 dellesistenza deg enti e constatato che
il nulla non soddisfa tali condizioni, Platone costretto a sancirne la radicale
estr omission e dallanalisi e dal discorso: la prospettiva tripartita sul piano conoscitivo
(la scienza; lignoranza; lopinione) diviene cos bipartita sul piano ontologico
(lessere delle idee; il divenire delle cose empiriche).
49 Si veda G. VLASTOS, Degrees o f reality in Plato, in New essays on Plato an d
Aristotle, ed. by R. B a MBROUGH, London-New York, Routledge & Kegan Paui-The
Humanities Press 1965, 1-19 (riedito in G. V l a s t o s , Platonic studies cit., 58-75).
Linterpretazione di Vlastos non e dissimile da quella presentata qui rispetto alio
stretto rapporto stabilito da Platone fra il pensiero e Iessere e fra i diversi generi di
conoscenza e gli oggetti esistenti che ciascun genere di conoscenza assume come
proprio contenuto (10-17). Tuttavia, pur mettendo cosl in luce il significato episte
molgico della teoria delle idee, Vlastos ne riduce considerevolmente Iimportanza: a
suo parere infatti, il ruolo normativo dei generi ideali come value-predicates non pub
essere in alcun modo ricondotto allambito conoscitivo (come ho invece cercato di fare
nei 3-4 di questo cap. II). Inoltre, diversamente da Vlastos, credo sia necessario
trarre tutte le conseguenze dellassunto della rigorosa corrispondenzafra levarie forme
di conoscenza e i loro oggetti: se ci che e realmente e realmente conoscibile, allora,
perch la vera conoscenza sia possibile, devono esistere necessariamente le idee come
suoi oggetti. Si perci indotti aritenere non solo che the Forms are cognitivelymore
real o f their sensible instances, ma, soprattutto, che lorigine e le ragioni stesse della
teoria delle idee si collocano senza dubbio sul piano epistemologico.
LA T E O R IA D E L L E IDK E FRA E P IS T E M O L O G IA E O N T O L O G IA 79

spettiva assunta qui, la ragione dei degrees o f reality consiste precisa


mente nellesigenza di distinguere i corrispondenti degrees o f
knowability che, in virtu delle implicazioni ontologiche della dottri-
na platnica della conoscenza, possono essere legittimamente stabi-
liti solo a patto di definire la natura e lo statuto dei loro oggetti. Del
resto, se i degrees o f reality rappresentano cosi la condizione necessa-
ria dei degrees o f knowability, i degrees o f knowability rappresentano
invece, dal canto loro, la ragione sufficiente dei degrees o f reality e
pertanto, in tale ottica, ne impongono logicamente lesistenza50.
Senza nulla togliere alia profondit (e alfacuta difficolt) metaf
sica della riflessione di Platone, ci spiega nel modo piu verosimile
la genesi e la formulazione dellipotesi delle idee.

50 In effetti, i degrees o f knowability impongono necesariamente lesistenza dei


degrees o f reality solo che si considerino il senso e le finalita teoriche dellipotesi dei
generi e non semplicemente la sua formulazione come e proposta nei dialoghi. Sebbene
infatti Platone proceda normaJmenteprim a alia postulazione delle idee, specificando
in seguito che si tratta di realta intellegibili e pienamente conoscibili, tuttavia, se questo
e vero sul piano argomentativo, e piuttosto chiaro che dal punto di vista filosofico,
invece, e dallesigenza epistemologica della vera conoscenza (e dalla constatazione che
essa e possibile) che segue neccssiriamenre la postulazione delle idee come oggetto della
vera conoscenza: ecco in che senso i degrees o f reality rappresentano la condizione
necessaria dei degrees o f knowability mentre, al contrario, i degrees o f knowability
costituiscono la ragione sufficiente dei degrees o f reality. Naturalmente, da una dottrina
della conoscenza che prevede diversi gradi di conoscibilita degli oggetti conosciuti non
deriva di per se una concezione ontologica dei corrispondenti livelli del reale, perche
nulla impone in generale che latto conoscitivo implichi Tesistenza reaie delloggetto
conosciuto. Precisamente questa e pero la posizione di Platone: se la conoscenza non
e altro che F'adeguamcnto del pensiero al proprio contenuto, allora (I) loggetto
conosciuto esiste realmente e (II) vera e la conoscenza che si rivolge a oggetti Veri, cioe
reaimente e pienamente esistenti. La concezione ontologica della conoscenza difesa
da Platone implica insomma che la distinzione epistemologica fra diversi degrees o f
knowability si traduca immediatamente, sul piano ontologico, in degrees o f reality.
III.

LA CONOSCENZA E LE IDEE

Lindagine condotta fin qui, con la ricostruzione delle ragioni e


delle modalit epistemologiche dellipotesi delle idee nella forma
dlia rigorosa corrispondenza del pensiero conoscente agli oggetti
conosciuti, non esaurisce naturalmente la sfera delle molteplici re-
lazioni fra la concezione platnica della conoscenza e la teoria delle
idee. Senza intraprendere un esame completo e dettagliato dlia
dottrina dlia conoscenza esposta nei dialoghi1, mi sembra per
necessrio affrontare la questione formulando alcuni interrogativi.
(1) Cosa incoraggia gli uomini ad awiarsi sul cammino dlia
vera conoscenza o, in altre parole, perch si dovrebbe essere indotti
a trascendere fevidenza immediata della percezione comune per
rivolgersi aile supreme realt?
(2) Quali condizioni rendono possibile la vera conoscenza?
(3) Come si realizza effettivamente la vera conoscenza e quai la
sua natura?

1. L immagine dlia caverna e Voblio delle idee

Il primo di questi interrogativi solleva un problema fondamen


tale per ogni filosofia, quello delia dsposizone umana alf ascolto
e alla ricezione di un insegnamento o del sapere in generale. Non
si tratta ancora - chiaro - di definite la possbilit concreta della

1 Per una presentazione generaie del la dottrina platnica dlia conoscenza nelle
sue diverse forme, si vedano soltanto L. R o b n , Les rapports de l tre et de la connaissance
d aprs Platon, [1932-1933], Paris, PUF 1957; F.M . C o r n f o r d , Platos theory o f
knowledge. The Theaetetus and the Sophist of Plato translated with a running
82 FRANCESCO KRONTEROTTA

vera conoscenza, le sue condizioni o i procedimenti specifici che ia


caratterizzano, ma di capire innanzitutto cosa pu e deve orientare
gli uomini al conoscere e ispirare in loro il desiderio della scienza2.
Platone si rivela ben consapevole della difficolt, che lucidamente
posta a tema alFinizio del settimo libro della Repubblica con lin-
troduzione delia celebre immagine della caverna3 (VII 5 l4 a l-
516e2), descritta, non a caso, come un immagine allegorica Troueas'
Te irpi a! TraLSeuaias1, dunque rispetto alia disposizione uma-
na nei confronti delleducazone e dellistruzione tout court e non
nel contesto pi limitato delle tecniche particolari del process o co-
noscitivo.
Socrate invita il suo interlocutore a paragonare (neKaGov) tutti
gli uomini ai prigionieri di una caverna sotterranea (ev KaTayeiw
oiKTiCTei aTTT|XaLO)CL) strettamente incatenati fin da fanciulli, senv
pre immobili nella stessa posizione senza poter girare il collo n la
testa, con un alta fiamma che arde aile loro spalle proiettando sulla
prete della caverna il riflesso degli oggetti illumint!, come in un
oscuro teatro di burattini e marionette. Simili prigionieri conside-
rerebbero senza dubbio le immagini e i simulacri che riescono ap-

commentary, London, Routledge &: Kegan Paul 1935; N. GULLEY, P latos theory o f
knowledge, London-New York, Methuen-Harper & Row 1962; W .G . RuNCIMAN,
Plato's later epistemology, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1962; Y. L a f r a n c e , La
thorie platonicienne de la doxa, Paris-Montral, Les Belles Lettres-Bellarmin 1981.
2 A mia conoscenza, questo aspetto non stato sollevato espliciramente e con la
dovuta attenzione da nessun interprete (si veda solo, in parte, G. C SERTANO, L a causa
della conoscenza: discorso logico ed esigenza etica nel Fedone pLtonico, in Momenti di
Storia della lgica e di Storia della filo so fa , a cura di C . G uERJU, Roma, Aracne 1996,
11-38), bench rappresenti di tutta evidenza un problema di primaria importanza per
Platone. E ben noto del resto che lo stesso Aristotele ha affrontato la questione nel
celebre incipit delia M etafsica (A, 980al) risolvendola d e mble con Taffermazioneche
tutu gli uomini aspirano per natura alla conoscenza (TrctvTe dvOpLuiroi ro) eLSrai
pyoi^ral ^iiaei): il desiderio de]la scienza e 1orientamento spontaneo verso la
conoscenza costituirebbero perci, secondo Aristotele, un carattere distintivo, essen-
ziale e originario della natura umana.
3 SulFimmagine della caverna e pi in generale sulla natura e la funzione del
racconto mtico e allegorico, che, come vedremo nel corso di questo capitolo, spesso
chiamato in causa da Platone persostenere e integrare largomentazione filosfica, cfr,
soltanto, per il momento, J. M o r e a u , Platon et l a llgorie de la caverne, in REPh, VI,
1979, 43-50; L. B r is s o N, Platon. Les mots et les mythes, Paris, Maspro 1982; K.F.
M o o r s , Platonic myth. An introductory study, Washington, Univ. Press o f America
1982. Si veda inoltre il 3 di questo cap. Ill, n. 45.
LA C O K O SC E N Z A K LE IDEE 83

pena a scorgere com e cose reali ( j a ovTa) e Teco dei suoni inarticolati
che odono com e una voce autentica, confondendo cosi la verit
con le ombre apparenti (oi to lo D to i av aXXo ti vojj.otev t

Xr|0es f T d ? tg jv aK eu aaT cov oxids*)- Se tuttavia capitasse a uno


di loro di essere liberato e costretto ad alzarsi im prow isam ente e a
muovere la testa per guardare verso la luce (el ... ToidSe <JuJi(3ai'OL
ai/rols t tc r i s Xu0ciT| Kal v a y K d ^ o i T o ^ aL^ vT is' avaTactai
re r a l Trepiyeiv t v axeva r a l (3a6etv icai Tipo? t <>s
ava^Xneiv), questi proverebbe dolo re e, accecato dalla luminosit
della fiamma, giudicherebbe le ombre cui prima si rivolgeva pi
vere degli oggetti che adesso gli sono m ostrati (f|yelcr0ai Ta t tc

pt[ieva dXT}0orepa f) Ta vOv SeiKVpeva). Anlogamente, se lo


si obbligasse a fissare la fonte della luce (el Tipos1 arr t ^tos1
v a y ra o i aJTv pXTTeiv), egli fuggirebbe atrerrito e sofferente
per trovare conforto nella precedente, rassicurante oscurita. A nco
ra, se qualcuno lo trascinasse a forza fuori dalla caverna per laspra
salita e non lo lasciasse andar prima di averio condotro fino alia
luce del sol (el S ...vreOev cX k o l t i ? arrv (3a 8 i Tpaxeas
tt \$ vapdaets1 Kal avdvTous', Kal |ir) dvelr] Tiplv ^eXKaeiev
els* t to qXtou ^os), non cercherebbe forse di ribellarsi e resi-
stere, incapace com di distinguere alcunch? Infatti, avrebbe
senzaltro bisogno di abituarsi progressivamente alio splendore del
sol, dedicandosi in primo luogo alie immagini degli esseri umani e
degli oggetti naturali riflesse nellacqua (ctv p a o ra ra0opa) ... v
to ls1 uSaaL Ta Te tw v dvOptomov Kal Ta t< 3v aXXwv eT8oj\a),per
contem plare in seguito gli astri e la luna durante la notte (tcl v tw
oupav) Kal a rr v tv opavv vktojp v paov 0eaaiTO,
TTpoapXTTWv t tjv daTpwv Te Kal (TeXTii/ris c^s*) : solo in
ultimo potrebbe finalmente osservare il sol in s e per s nella
regione che gli propria (TeXeirraiov Sq ol(iai t v -qXiov ... aTv
ka0 a v t v v rf\ a v r o u x ^ p a SvaiT av raTiSelv Kal Q eoaaQ ai
ois cm v ). Giunto fin qui, il prigioniero liberato sarebbe in gra
do d ragionare orm ai sulla natura del sol (av f^Sr; auXXoyotTO
Tiepl aiTou) e sulla sua funzione di regolatore delle stagioni e di
produrtore della luce: felice della nuova condizione, compiange-
rebbe il destino degli antichi compagni rimasti neUoscurit e, di-
sprezzando premi e gli onori tenuti laggi in gran pregio, preferi-
84 FRANCESCO FRO N TERO TTA

rebbe sopportare i pi terribili patimenti piuttosto che tornare fra i


simulacri e i fantasmi delia caverna.
Lesposizione di Socrate si divide sul piano narrativo in tre parti
diverse che configurano a mio awiso altrerrante tappe logicamen
te distinte del percorso conoscitivo: dapprima (514a 1-515c3) gli
uomini sono descritti corne prigionieri di un carcere inviolabile dal
quale, apparentemente, nessuno puo n vuole fuggire. Una passivi-
t assoluta caratterizza il loro atteggiamento, incoscienti corne sono
dellintr inseca minorit del proprio stato. necessrio il successi-
vo intervento di qualcuno ( t l , 515e6) che liberi i prigionieri
dalle catene, li costringa a intraprendere lascesa verso festerno e li
obblighi a rimanere esposti alla luce del sole dalla quale essi tendo-
no a proteggersi riparando nel sottosuolo (515c4-5l6a4). Solo alla
fine (516a5-e2), una volta superata finiziale e spontanea resisten-
za, gii uomini riescono a procedere attivamente dallosservazione
delle immagini degli enti naturali alla contemplazione notturna delle
stelle e del cielo e in seguito del sole in s nel suo splendore. Occor-
re concentrare lattenzione sulle prime due fasi dellesposizione che
affrontano precisamente laspetto cruciale per questa indagine: come
awiene la transizione dalla prigionia alla Hberazione, dalfapparen-
za delle ombre alla verit delle cose che sono? Non certo in virt di
unazione autonoma dei prigionieri, che, le gambe e il collo incate-
nati e immobili (v Sea^io koll t aKXri kl t o u ? aux^vas1 ...
kkXo ra s Kcc^aX? im t o ecr|io aSuvTO? Trepidyav),
rimangono fin da fanciulli con lo sguardo fisso davanti a s (K
Traicy ... [ivclv re auTou? e re r irpoaGev [lvov pv). Si
rileva infatti che Platone descrive la liberazione dalla caverna utiliz-
zando esclusivamente forme verbali passive o comunque dal signi-
ficato passivo.

S e u n o d e i p r ig io n ie r i fo sse lib e r a to ( r r r e tl X u 0eT | , 5 1 5 c 6 ) e q u i n d i

c o s t r e t t o a d a l z a r s i , a m u o v e r e il c o l l o , a c a m m i n a r e e v o l g e r s i a l l a lu c e ( c a l
v a y K C o L T O ... v L O T a a O a i re k o ll T r e p i y e L V t v axva K a l (3 a 8 iC e iv

i c a i TTps- T v a ( 3 X T r e i v , 5 1 5 c 6 - 8 ) ; s e , a n c o r a , lo si o b b l i g a s s e a fis s a r e
d ir e t t a m e n t e la fia m m a ( e l TTp avr r d v a y K a C o t a r r v (BX TT eiy,

5 1 5 e 1 - 2 ) e p o i q u a l c u n o l o t r a s c i n a s s e v i a ... e n o n l o l a s c i a s s e p r i m a d i a v e r lo

t r a t t o a ll a l u c e d e l s o le ( e l V T e G ev XKOL tl c l t v . . . kgl'l p.f] v e ir i

T rp lv ^ e X K a e ie v s* t to u f]X L o u (p, 5 1 5 c 6 - 8 ) ....


LA C O N O SC EN ZA E LE IDEE 85

Nessuno dei prigionieri abbandona dunque la caverna per pro-


pria scelta e, se il racconto allego rico allude simblicamente al per-
corso che conduce alia conoscenza e allacquisizione della scienza4,
tale lopinione di Platone anche rispetto alia capacita degli uomi-
ni di compiere quella conversione delfanima (TTepiaycoyri Tfjs
^uX'ns) che induce alia contemplazione delle cose che sono: nessun
uomo potrh n vorrh accedere alia verit senza lintervento prowi-
denziale di una causa esterna, di qualcuno (tis , 515e6) che sap-
pia istruire con fermezza e vincere la naturale pigrizia della natura
umana, refrattaria a ogni mutamento. Ma come interpretare 1enig
mtico riferimento al misterioso liberatore, guida verso la verit e
la scienza? O, pi in generale, a quale causa, nella riflessione di
Platone, attribuita la facolt di produrre un simile effetto? ra-
gionevole supporre che egli giudicasse concretamente questo com
pito come lobiettivo principale dellattivit del filosofo, che, inter
rogando suoi interlocutori, tenta di stimolarne incessantemente
lo spirito critico: del resto, i dialoghi platonici nel loro insieme
forniscono una formidabile testimonianza del costante impegno di
Socrate, sempre teso nello sforzo di accendere nei concittadini il
desiderio del sapere e della verit. D altro canto, bisogna tenere
presente che la missione del filosofo, bench necessaria e di fonda-
mentale importanza, rimane inevitabilmente affidata al volontari-
smo soggettivo e, per cos dire, accidntale del singolo individuo,
dotato di capacita limitate e perci esposto in ultima analisi al ri-
schio di una grave sconfitta: e infatti, il processo e la condanna a
morte di Socrate, pur costituendo forse la sua consacrazione filo
sfica, ne sanciscono tuttavia Tinequivocabile fallimento storico5.

4 ln R. V II 517a8-b6, Socrate stesso conforma lassoluta verosimiglianza e a


validit deirimmagine della caverna come rappresentazione della condizione umana:
Questa immagine, caro Glaucone, va applicata alie cose dette in precedenza,
paragonando il luogo che ci appare attraverso la visca al carcere e la luce del fuoco che
brilla laggi ai potere del sol; e non andrai lontano dalla mia opinione giudicando la
risalita in su e la contemplazione delle cose che si trovano al di fuori <della caverna>
simiii allascesa deUanima alia sfera intellegbile. Si veda anche R. VII 532b7-dl.
5 Sul riconoscimento, da parte di Platone, del fallimento storico della missione
di Socrate, cfr. L. B r i s s o n , Platn, Apologie de Socrate & Criton, traduction indite,
introduction et notes par L. BaiSSON, Pars, GF-Flammarion 1997, 65-74.
86 FRANCESCO FR O N TERO TTA

Una diversa possibilit rappresentata dallipotesi che la ricerca


del sapere e della scienza dipenda, secondo Platone, da motivazio-
ni di carattere morale, etico e politico, che incoraggiano gli uomi-
ni alie imprese pi alte e nobili e, fra queste, alia conquista e al
possesso della verit. Tra 1al tro, proprio nella Repubblica, Socrate
definisce I5idea del bene come causa di conoscenza e di verit,
principio della verit per le cose conosciute e della facolt di co-
noscerle per il soggetto conoscente (am av 5 marf||j.r|9 oxrav'
Kai .X.T|0eLas ...t t t \v aXr|0eav Trapxov to is 1 yLyt'Q)a'KO|ivois
Kal tco yiyvciioKoim Tfjv 8wap.Lv ttoSlSv tt)v yaOo iSav
... eiv a i), poich soltanto in virt del bene, signore di verit e
pensiero (arr| Kupa XrjOei av Kal vovv Trapaaxoj.f|yTj), che
le cose conosciute si rivelano suscettibili di essere conosciute
(toTs* yLyvcoo-Kop.evoLS' to v v v ... t yiyvwcrKeoflai ... 1>tt toi
ay a0o T rap eiv ai)6, A nche in questo caso sorgono pero
insormontabili difficolt. Innanzitutto, una banale eppure non
trascurabile - obiezione sollevata dalfow ia constatazione che
non tutti gli uomini awertono Fesigenza e il richiamo dei valori
della giustizia, della bont, della nobilt danimo e cosi via: gli
stolti e i malvagi, che agiscono al di fuori di qualunque regola o
normativa e non riconoscono Funiversalit del giudizio morale,
risulterebbero quindi estranei a ogni forma di conoscenza. E ci
introduce un evidente paradosso: se dawero gli stolti e i malvagi
non compiono n desiderano il male volontariamente, ma solo
per ignoranza del bene, come Socrate solito ripetere di frequen-
te7, allora il bene e il male so no anch'essi oggetto di scienza e,
conseguentemente, dalla vera conoscenza che discende la defini-
zione del bene e della sfera morale mentre sicuramente non e vero
il contrario. Inoltre, per quanto riguarda Fidea del bene nella Re
pu bblica, essa descritta come supremo coronamento delFistru-
zione filosfica, a conclusione del percorso che dalFosservazione
della realt emprica conduce alia contemplazione intellettuale delle
idee: si tratta precisamente del fine ultimo in vista del quale il

6 Cfr, R. VI 508b l2-c3; 508el-509a5; 509b6-10; V II 517b8-c4.


7Cfr. per esempio Men. 77b6-78b2; Prt. 345d6-e4; 358b3-359al; Grg. 467c5-
468e5; 509e2'7; R. IV 4 3 8 a l-6 .
LA C O N O SC EN ZA E LE IDEE 87

processo conoscitivo stato avviato, ma non certo della sua con-


dizione n della sua causa efficiente8.
Come si vede, le ipotesi formulate sulF origine e sulle ragioni
dellumano desiderio della scienza si rivelano insufficienti e con-
tradditrorie in quanto, da un lato, collocano la questione sul piano
soggettivo e particolare della missione individuale del filosofo e,
dallaltro, confondono impropriamente Forigine e la causa della
conoscenza con le sue fmalit ultime. Occorre invece capire per
quale ragione tutti gli uomini, almeno potenzialmente, debbano
essere naturalmente portati secondo Platone alia conoscenza e alia
ricerca della verit. Unindicazione che mi pare decisiva si trae dal
Fedro (249e4-251a7). Dopo aver descrtto il sito iperuranio in cui
dimorano le idee e U viaggio ultraterreno delle anime che hanno
goduto di una parziale visione delle somme realt, Socrate si sofferma
sulla condizione della vita mortale: anche se ogni anima umana,
per sua natura, ha contemplato le cose che sono (r vTa), non
facile che, una volta penetrata e imprigionata nel corpo materiale,
essa ricordi compiutamente le idee partendo dalFosservazione del
mondo empirico. Anzi, ben poche fra le anime arrivano a distin-
guere le immagini della giustizia, della temperanza e degli altri beni
preziosi di cui non traspare neanche un barlume nelle copie sensi-
bili (SiKaLoayrjS \v ow icai (rax^pocFi^ Kat aa aXXa Tifita
tf/iiXai? ouk eve cm fiyyo ouSv v t rrjSe |i.oi{[iaoxv):
soltanto la bellezza, che gi nefiperuranio brillava in tutto il suo
splendore, ha il privilegio di essere accessibile al piu acuto dei sensi,
alia vista, anche nelle sue imitazioni materiali (TTCpi 8 kglXXou, ...
[let ckclvojv t c e\ap.Trev v, Seup t \0vTes' KaTei\f|4>a|JLev
arr i rr\s evapyearcrnris" ala0f|aea) ... ^cws* ...KXXo [jlvov
ravTT\v eoxe (idlpav, a r iccjjavoTaTov eivai al paa|aiGjraTov).
Ecco perche quando un uomo scorge la bellezza di un volto o di un
corpo, come catturato dalla frenesia del delirio divino, prova Firre-

s Cfr. R. V II 532al-b3; 534b3-d2. Lidea del bene sardunque ai-rta in quanto


causa finale della conoscenza, cio come obiettivo in vista del quale si compie il
processo conoscitivo, ma non certo in quanto sua causa efficiente, ossia come ragione
e condizione iniziale a p artire dalla quale l processo conoscitivo awiato. Rinvio al
4 del cap. IV per unanalisi dettagliata della collocazione dellidea del bene
nellambito della teoria platnica delle idee.
88 FRANCESCO FRO N TERO TTA

sistibile desiderio di recuperare ii ricordo della perfetta beilezza del-


lidea del bello. Ma ancora una volta, bench in linea di principio
possibile per tutti gli uomini, assai rari sono coloro i quali si rivela-
no sensibili alia visione della beilezza e riescono a intraprendere il
cammino verso la verit. E noto che, in altra forma, questo tema
adombrato gi, nel Simposio (209a8-212a7), nel discorso della
sacerdotessa Diotima, che illustra dettagliatamente la profonda in
fluenza esercitata dallidea del bello sullanima umana, soffermandosi
pero soprattutto, non sulle manifestazioni della beilezza nel mon
do empirico, ma, inversamente, sulla natura e sulle modalit del
percorso lungo il quale gli uomini si awiano alia conoscenza del
bello9. Anche nel Simposio, tuttavia, la ricerca della suprema beilez
za appare come un compito difficile e arduo ed perci paragonato
a uniniziazionemistrica che esige un eccezionale sforzo (tv vovv
TTpocrxeLv oiv Te j-XiaTa) delliniziato e unaltrettanto ecce
zionale cura (npo0u|j.a) da parte del sapiente che introduce ai mi
sten del bello (209a5-210a3; 210el-2). La maggior parte degli
uomini rimane dunque esclusa da una simile iniziazione mistrica
e in generale, tornando alfidea suggerita dalfimmagine della ca
verna, pochi, e assai refrattari, sono gli individui che si lasciano
indurre ad abbandonare loscura prigione per uscire alia luce nel
mondo esterno, mentre i loro antchi compagni preferiranno atte-
nersi alie ingannevoli eppure TacilF e rassicuranti - apparenze
della dimora sotterranea: bisogner allora dedurne che, fuor di
metafora, dawero pochi siano gli uomini capaci di sollevarsi dal-
linnata tendenza umana alia pigrizia intellettuale e alfabitudine
ingenua dellevidenza sensibile per cogliere la parzale e imperfetta
presenza delle idee nelle immagini sensibili e volgersi cos, n se-
guito, alia ricerca della piena e perfetta verit del mondo intellegibile.
Ora, Targomento della beilezza strettamente connesso, nel Fedro
(249b6-c4), alia dottrina della reminiscenza e alia definizione delle
modalit del processo conoscitivo10, ma conviene per il momento
limitarsi a sottolineare il fatto che Platone, pur con le limitazioni

9 I percorso che conduce dalla visione sensibile della beilezza materiale dei volti
e dei corpi fino alia suprema e compiuta beilezza dellidea del bello descritto nel
dettagiio, come noto, in Smp. 209e5-212a7.
10 Cfr. l 2 di questo cap. III.
LA C O N O SC EN ZA E LE IDEE 89

che ho appena messo in luce, identifica cos la causa necessaria del


la potenziale predisposizione umana alia ricerca della verit: sono
infatti gli stessi oggetti universali e immutabili delia conoscenza, le
idee, a esercitare un richiamo irresistibile nel mondo sensibile e a
stimolare gli uomini che non siano del tutto corrotti dai vizi11 a
trascendere la molteplicit incerta delle sensazioni per giungere al-
Tunit ideale attraverso il ragionamenro e il pensiero (ck ttoWjv
Ivt aia0CTCO)y eis ev XoyLcr^to cruvaipo'iaevov). Rimane tutta-
via da affrontare un problema: il passo citato dl Fedro (e, anloga
mente, lesposizione di Diotima nel Simposio) attribuisce tale ruolo
fondamentale es elusivamente allidea del bello, Tunica, a quanro
sembra, che possa manifestarsi alia percezione e ai sensi. E pero
opportuno non dimenticare che la discussione de Fedro (come pure
quella del Simposio) in gran parte dedicata allindagine della natu
ra di Eros e dellamore ed forse per questo motivo che Platone
tende a dare una netta preminenza allidea del bello rispetto alie
altre idee, visto che proprio dalla bellezza dipende la divina attra-
zione che unisce indissolubilmente gli innamorati ai loro amati.
Del resto, che alie idee in generale (e non solo alfidea del bello)
appartenga il potere di suscitare lintelligenza e destare negli uo-
mini il desiderio della scienza e Tattivit del pensiero, pare confer-
mato dalla testimonianza del Fedone e della Repubblica. Nel Fedone
(74a9-75c6), Socrate afferma che losservazione delle cose empiri-
che uguali, pure manchevoli, imperfette e variabili, richiama per
necessita l concetto di quelluguale in s (arr t icrov) che resta
immutabile e auto-identico. Infatti, t in virt dellidea delluguale
che diviene possibie riconoscere luguaglianza fra le cose empiri-
che uguali ed ecco perch, inversamente, chi osserva le cose empiri-
che uguali muove spontaneamente da questa immagine apparente

11 Largomento del Fedro prevede infatti, come ho gi osservato, questa limitazio-


ne alluniversale desiderio di conoscenza proprio degli uomini: Socrate afferma che
1anma corrotta dai vizi del carp o non riuscirh a sollevarsi rpidamente dalla bellezza
sensibile delle cose empiriche allidea del bello (o>k olios' i'GuSe tceiae </)pTai
irps* a u t o t tcaXAos1), ci che invece possibile per coloro quali abbiano conservato
unanima pura e nobile. Pochi soltanto, dunque, sono capad di giungere dawero alia
contemplazione del bello in s, una conquista difficile e dservata a coloro i quali
dedicano inflessibilmente a questo scopo la loro infera esistenza.
90 FRANCESCO FRO N TERO TTA

di uguaglianza ai pensiero delluguale in s12. E nella Repubblica


(VII 523a10-524d5) viene ribadito che esistono alcune caratteri-
stiche della realta sensibile che appaiono inafferrabili alia percezio-
ne immediata e suscitano pertanto lintervento delfintelligenza e
della rilessione (tg l TrapaK\rTiK rr\g 8 lvoias-): la grandezza e la
piccolezza, la morbidezza e la durezza, la leggerezza e la pesantezza
e le altre qualit di questo genere lasciano lanima indecisa e incerta
nel giudizio, perch si pongono sempre, ciascuna, rispetto al pro-
prio contrario e nessun ente empirico si rivea mai assohitamente
pesante o leggero, ma ora pesante, ora leggero, o pesante per qual-
cuno e leggero per qualcun altro, Quando lanima umana si imbatte
nelle opposte sensazioni e non si adagia nella relativit contraddit-
toria delle apparenze, come la sua innata pigrizia le consiglierebbe,
indotta naturalmente a risalire con il pensiero alie idee in s per
dissolvere ogni apoda13.
Un volto parzialmente bello, un oggetto relativamente pesante,
un gusto misto di dolce e amaro e tutta la molteplicita confusa
delle cose empiriche rinviano, per contrasto, alia perfetta bellezza
del bello in s, allassoluta pesantezza del pesante in s, alia pura
dolcezza del dolce in s e, in generale, alia compiuta e piena realta
delle idee. E viceversa, solo ammettendo che le idee esistono e si
manifestano in qualche modo nel mondo sensbie, esercitando una

52 Anche nel Fedone (72e3'73a3), lascesa dalla percezione sensibile delle cose
empiriche alia contemplazione delle idee e posta in relazione con la domina della
reminiscenza: la conoscenza delle idee non altro che un ricordare ci che anma ha
appreso prima di incarnarsi nel corpo mortaie. Si veda in proposito l 2 di questo
cap. III.
13 Ancora una volta, a questo proposito, occorre sottoiineare Festrema difficolta
di unaricerca, quella che trascende la percezione sensibile per volgersi agli oggetti della
riflessione e del pensiero, che non di per s immediata ed evidente. In altri termini,
potenzidlmente, la manifestazione delie idee nella realta empirica appare sufficiente
per svelare agl uomini finadeguatezza e la contraddittoriet della conoscenza sensibile
e accendere cos nellanima umana il desiderio di una forma di conoscenza pi alta e
indubitabile; ma daltro canto, concretamente, si tratta di un percorso arduo, che esige
non comuni qaalita personali, una dedizione assoluta e una formazione (fTaiSda)
lunga e faticosa a contatto con un abile maestro, con un liberatore che diriga con
fermezza la progressiva ascesa dalla caverna alia luce del mondo esterno. Che tutti gli
uomini siano originariamente e naturalmente predisposd alia ricerca della scienza e
della verita non implica insomma, secondo Platone, che essi pongano effettivamente
in atto tale ricerca.
I.A C O N O SC E N ZA E LE IDEE 91

potente attrazione sulla riflessione e sul ragionamento, si riesce a


individuare secondo Platone la causa universale dellumana pro-
pensione alia conoscenza e alia verit.

2. La reminiscenza delle idee come fondamento delpensiero

Se Tesistenza delle idee e la loro presenza parziale e imperfetta


nel mondo empirico spiegano la necessit della scienza e del possesso
della verit per gli uomini, occorre compiere il passo immediatamente
successivo per capire come e a quali condizioni essi possano affrancarsi
dalla minorita essenziale della propria natura, vincolata al perenne
divenire del mondo empirico, per attingere alie supreme realt
immobili, eterne e poste al di l della sfera sensibile.
Lulteriore difficolt introdotta nel Menone sotto la forma di un
celebre paradosso sofistico. Nel momento in cui Socrate suggerisce
al suo interlocutore di sottoporre ad analisi la virt, di cui entrambi
ignorano le caratteristiche, Menone gli oppone questo argoment:
come si pu indagare su ci che assolutamente si ignora (Viva rprrov
jn'nnaas' toto o p.f] oicOa r uapTrav oti ecrrtv)? Quale
delle cose ignrate sar scelta come oggetto della ricerca (ttoiov yp
Jiv ok otcrOa TTpo0[ievos- Crpriaeis*)? Infatti, assurdo cercare ci
che si conosce, perch gi io si conosce, e impossibie scoprire ci
che non si conosce, perch neppure si sa cosa cercare (ot)K ... ecmv
Crp-eiv dvOpojTTtp ... o otSe ... otSev yp, al otjSv Set tco ye
ToioTjTto C^Tiaeo)? ... oirre ^ir| otSev - oSe yp otSev 5tl
CT|Tr)aei)14. Tale argomento cela in effetti, al di l dellapparenza
paradossale e sofistica della sua formulazione, un problema filoso-
fico assai acuto nella concezione platnica della conoscenza: una
volta assunta fassoluta diversit ontologica fra le cose e le idee, se il
soggetto conoscente originariamente e indissolubilmente vinco-
lato al divenire del mondo empirico, come potr rivolgersi alie idee
immutabili? In altre parole: come possibile trascendere la molte-

14 Cfr. Men. 80d5-e5. Largomento (la cui origne resta incerta, cfr. R.S. B l u c k ,
P k t o s Meno, edition with introduction and commentary, Cambridge, Cambridge
Univ. Press 1961, 271-272) discusso nellEutidemo (275d2-277c7) e, brevemente,
nel Teeteto (l65b2-4), che ne sanciscono chiaramente la natura sofistica ed eristica.
92 FRANCESCO FKO N TERO TTA

plicita confusa degli enti sensibili nelFunita intellegibile delle idee?15


Che la questione vada posta in questi termini sembra confermato
dalFanalisi testuale. Nel Menone (74d3-75a8), lo scacco delFinda-
gine e determinate precisamente dalFincapacita di identificare do
che rimane identico al di la di tntte le cose empiriche (to ciri
TTamv toutois1 tclvtov), si tratti delle virtu, delle figure o dei colo-
ri. E nel Fedone (74a9-75c6), So crate rileva che, sebbene il pensiero
delluguale in se si formi nella mente in seguito alFosservazione
delle cose empiriche uguali, tuttavia, mentre le cose empiriche uguali
possiedono Fuguaglianza in modo imperfetto e manchevole, Fidea
delluguale resta sempre e invariabilmente uguale. E percio assurdo
credere che il pensiero delFuguale in se scaturisca direttamente dal-
Fosservazione delle cose empiriche uguali, visto che la conoscenza
di un idea non puo derivare dalla percezione di cio che da quel-
Fidea e diverso (eTepov) e ad essa inferiore ((jxxuXorepov). Nuova-
mente, il Simposio (210a4-21 ld l) ricorda che, se e forse agevole
riconoscere Funita e Fomogeneita della bellezza presente in tutte le
cose empiriche e le attivita umane, occorre invece il piu grande
sforzo intellettuale (tov vouv TTpocrexciv w? olov r e [idXLora) per
giungere alia contemplazione del bello in se e per se (to kglXov ...
auTO Ka0 airro pe0 atrrou), quel bello che in nulla e paragonabile
alle cose empiriche belle e non compare in cielo o in terra ne in
altra forma sensibile (otjS av 4>avTacr0r|aeTaL ... olov ttpoctcottov
t l ou8c x^P^S ou8c aXXo oiiSev cov cr(3[ia [ictcx^1 uSe ttou
ov ev cTeptp tlv i ... ev yrj f[ ev oupavw). Infine, nel Fedro
(249b 5-cl), Fesigenza della vera conoscenza e della ricerca della
verita e sintetizzata in una sentenza lapidaria: bisogna che Fuomo
comprenda cio che si chiama idea, passando dalla molteplicita delle
sensazioni allunita intellegibile ( c k ttoXXcov lovt7 ala0r|crea)v cl?
ev Xoyiap.ii auvaLpoup-evov).
La difficolta si presenta cosi in tutta la sua estensione: Fassoluta
perfezione delle idee, contrapposta alia dimensione solo apparente

15 Sul significato fiiosofico del paradosso sofistico dell'impossibilita della cono


scenza, rinvio ancora a R.S. BlUCK, Platos Meno cit., 8-17. Come subito vedremo, e
proprio al fine di determinare la possibilita della conoscenza delle idee, nonostante la
loro assoluta separazione dal mondo empirico degli uomiai, chePlatone ecostretto ad
abbandonare largomentazione rationale del discorso fiiosofico per ricorrere allespo-
sizione solo verosimile del mito (cfr. anche il 3 di questo cap. Ill, n. 45).
LA C O N O SC E N ZA E LE IDEE 93

delle cose empiriche, rivela la necessit della conoscenza intellegibile


rispetto alia mutevolezza contraddittoria deUopinione sensibile.
D altro canto pero, ammessa la radicale diversita fra le idee e le
cose, diviene legittimo chiedersi com e possano gil uomini, che ap-
partengono anchessi alia sfera em prica imperfecta e relativa, rivol-
gersi alia suprema realt delle idee e attingere ad essa. La rsposta a
questo interrogativo fornita dalla dottrina della reminiscenza che
riduce lapprendimento ai ricordo di ci che si gi conosciuto in
un tem po precedente (f| fiOTioiS' ok XXo t i r vat|ivr|ai?
Tiryxvei o w a ... Kcivwv a kv upoTpw tlv l XP1^ ) pe(ia0rKvai)
o, meglio, di ci che Familia im m ortale ha conosciuto prima di
incarnarsi nel corpo, quando si trovava al cospetto degli dei in con-
templazione delle pure essenze ideali (a t t o t etSev t)[jidjv f|
cru|iT7opeu0eicra 0e<3 ... Kal vaKi^aaa ei$ t v ovra)?). A ogni
reincarnazione, lanim a dim entica quanto ha appreso, per ricor-
darsene successivamente nel corso della vita m or tale grazie alie im -
magini parziali delle idee che si manifestano appena nelle cose sen-
sibili. La conoscenza dunque, in ultima analisi, il procedimento
attraverso il quale gli uom ini giungono a perfezionare e completare
tale ricordo. Riassunta in questa forma schematica, la dottrina del
la reminiscenza introdotta nel Menone e discussa pi ampiamente
nel Fedone e nel Fedro, mentre incerto se sia pure adom brata nel
Simposio16.
Nel Menone, la aviii/riais non pare esplicitamente collegata alia
teoria delle idee, ma, pi genericamente, alia scoperta della verit
degli enti (q dXr|0eLa t Qv v t l o v ) , dasempre presente nelFanima
(rv del xp^ov ... ev Trj ^ux) cbe bisogna soltanto ridestare
alia memoria (xpri ...t\relv icai ya.|iL|ivr|(TKeo'0OLL)1'7. Perverifica-

16 Non cercher naturalmente in questo paragrafo di propone una ricostruzione


dettagliata e completa della dottrina della reminiscenza come presentara nei dialoghi
e nellmbito dellepistemologa di Platone (sullaquestione rinvio agli studi citati nelle
note seguenti), ma mi Hmiter a mostrare semplicemente il rulo fondamentale
dellargomento della iAiii/riais- rispetto alia possibilit della conoscenza delle idee.
17 Cfr. Men. 8 Ia5-86c2. Nel Menone, la dottrina della reminiscenza viene
introdotta (81a5-d4) come un antico insegnamento di sacerdoti e poeti divini.
Occorre tuttavia distinguere fra Tesposizione iniziale della dottrina della reminiscen
za, basata sullassunto dellimmortalita dellanima e sul ricordo delle vite precedenti,
e ia successiva esemplificazione di Socrate (82b9-86c2) che, facendo emergere ricordi
di uno schiavo sullenozioni e i teoremi geometrici, dim ostra la pre-esistenza dellanima
94 FRANCESCO FRO N TERO TTA

re la sua ipotesi, Socrate interroga un giovane schiavo privo di istru-


zione sul calcolo della superficie di due quadrati, inducendolo a
riconoscere alcune proprieta delle figure geometriche. Lo scopo
precisamente quello di mostrare che egli non insegna alcunch alio
schiavo, ma semplicemente, ponendo le giuste domande, gli fa tor
nare alia mente ci che g sapeva (vfjcrav S ye aTj airrai al
8ai)18. Ecco per quale via cercare ci che non si conosce (Cr|TT|Tov
Ttepl o) \xr\ tls " olSev): Socrate e Menone potranno riprendere
finalmente Fanalisi della virtu, sforzandosi di acordare cosa sia.

rispetro al corpo e la sua precedente conoscenza della verita degli enti (\f|0ei.a tjf
ovtdv). Mentre nel primo caso si tratterebbe di una dottrina di ascendenza orfico-
pitagorica, solo nel secondo avremmo una prima versione dellargomento autentica-
mente platonico in favore della reminiscenza. Sulla questione della vpvT|aLS nel
Menone, si vedano L. ROBIN, Sur la doctrine de la Rminiscence, in REG, X X X II,
1919, 451-461; R.E. A l l e n , Anamnesis in Platos Meno an d Phaedo, in RMeta,
X III, 1959-1960, 165-174; R.S. B l u c k , P latos Meno, in Phronesis, VI, 1961, 94-
101; G. V l a s t o s , Anamnesis in i^ M e n o , in Dialogue, IV, 1965-1966, 143-167;
C. E g g e r s LaN, Anamnesis en el Menn y en cl Fed on, in Actas del primer Simposio
nacional de estudios clsicos, Mendoza, Univ. nac. de Cujo 1 9 7 2 ,137-147; T . E b e r t ,
P latos theory o f recollection reconsidered. An interpretation ofb/ieno 80a-86c, in Man
and Wodd, V I, 1973, 163-181. M ala migliore e pi completa trattazione mi sembra
quella di Y. LAFRANCE, L a tborieplatonicienne de la doxa cit., 84-101. Assai ricca e
sdmolante anche la raccolta recentemente curata da M. C a n t o - S p e r b e r (d.), Les
paradoxes de la connaissance. Essai sur le Mnon de Platon, Paris, Odile Jacob 1991.
1!i Lanalisi della dimostrazione condotta da Socrate con lo schiavo, che rimane
necessariamente ai margini di questa ricerca, ha suscitato un ampio dibattito fra gli
studiosi: R.S. B l u c k , P latos Meno cit., 14-15> ha innanzitutto osservato che,
nonostante le ripetute affermazioni di Socrate, impossibile sostenere che dawero egli
non dia alcun suggerimento alio schiavo e si limiti a interrogare, perch il semplice
fatto di tracciare una determinara figura geomtrica o di porre le domande in un certo
ordine cosrituisce di per s un non trascurabile aiuto allindagine. Inolrre, si e discusso
a lungo sulla natura dell a reminiscenza e sul ruolo deiresperienza sensibile nelmbito
della ydpuT]CTLS, secondo alcuni basara su un processo conoscitivo puramente
emprico e induttivo (cfr. soprattutto W .D . Ross, op.cit., 18 sgg., e J.T . B e d u - A d d o ,
Sense-exp crien ce an d recollection in P latos Meno, in AJPh, CIV, 1983, 228-248),
secondo altri su un procedimento essenzialmente concettuale e analtico (cfr. per
esempio N. GULLEY, P latos theory o f recollection, in CQ, XLVIII, 1954, 194-213).
Su entrambe le questioni si vedano ancora Y. LAFRANCE, L a thorieplatonicienne de la
doxa cit., 92-98, ele pagine, di esemplare chiarezza ed efHcacia, di M. CANTO-SPERBER,
Platon, Mnon, traduction indite, introduction et notes par M. Canto-Sperber,
Paris, GF-FIammarion 19932, 74-94, che suggerisce un'interpretazione assai convin
cente della dottrina della reminiscenza, nel quadro del genere di conoscenza e delle
modalit di apprendimento che essa presuppone.
LA C O N O SC EN ZA E LE ID EE 95

Passiamo ora al Fedone, che contiene un esposizione dettagliata


delia dottrina delia reminiscenza nel quadro della teoria delle ideeiy.
Largomento dlia dvd^i/riaL? introdotto d emble come prova dei-
limmortalit delf anima (72e3-73a3): se lapprendere non ehe
ri cord are (f] p.d0r|(Jis ok aXXo t l f] dvdjiyricns') cio ehe si
conosciuto in un tempo precedente, bisogna ammettere allora ehe
lanima esistesse prima di incarnarsi nel corpo mortale (f}y... tj
rrply kv rtSe t dy0pwTTLyw dSei yeycr0ai). Richiesto di un
chiarimento, Socrate propone un esempio (73c4-74a8): il semplice
fatto ehe la percezione visiva o auditiva di qualcosa richiami alla
mente il pensiero di un secondo oggetto attraverso la memoria rap-
presenta un caso di reminiscenza ed indifferente che loggetto
ricordato sia simile o dissimile dal primo, poich la reminiscenza
pu awenire sia per via di somiganza sia di dissomiglianza (jiy
def) ojiotwy ... 8 Kal TT dyop.oLtov). Una dimostrazione pi
rigorosa e convincente discende tuttavia dalfarticolazione delia teoria
delle idee (74a9-75d5): se esiste un ente cui si d il nome di uguale
in s, diverso dalle pietre e dai pezzi di legno uguali e posto al di l
di questi (aT t icroy ... Ttap ratiTa i\vTa erepv ri), sempre
immobile e identico a s stesso, da dove e in che modo ne abbiamo
acquisito la conoscenza (tt0V XaoyTe? arro TT)y morf||j.r|v)?
Non certo dalle cose empiriche uguali, incerte, mutevoli e imper-
fette (vSeoTepa ... 4>auXT6pa): infatti, la percezione delle cose
empiriche uguali richiama soltanto alla mente il pensiero delluguale
in s, ma, confusa com, non pu dawero generario. E dunque
necessrio che lanima conoscesse lidea delf uguale prima del tempo
in cui, vedendo le cose uguali, noi pensammo che esse tendono ad
assomigliare ailuguale in s, pur restandogli inferiori (vay\cdiov
. . . TipoeLSvaL t laoy TTp xeivov to xpvou otc t irpTOv
ISyTes- Ta taa kvevov\oa\iev o tl opyerai p.v TrdvTa Tavra
etyai otoy t lctov, e x ei S eySecorptS-): non si spiegherebbe
altrimenti come la mente riesca a ricondurre gli uguali sensibili

19 Cfr. Pbd. 72e3-77bl. Sulla dottrina deila reminiscenza come presentata nel
Fedone, cfr. R . E . A l l e n , Anamnesis in P latos Meno a n d Phaedo cit.; C. E g g e r s L a n ,
AnAmnesis en el M en on y en el Fedon cit.; J.L . A c k r L L , Anamnesis in the Phaedo:
remarks on 73c-75c, in Exegesis a n d argument cit., 1 7 7 - 1 9 5 ; M .L . MORGAN, Sense-
perception an d recollection in the Phaedo, in Phronesis, XXIX, 1984, 237-251.
96 FRANCESCO FRO N TERO TTA

alFuguale in s ( ja eK tv aicr0r]cretov iaa icelae ayoaeiv), se


non avendone conoscenza gi prima di nascere. Tutti gli enti in s
ci sono perci noti da sempre e, sebbene ne perdiamo il ricordo
con la nascita, i sensi e la percezione permettono di recuperarne il
concetto nel corso della vita (75d7-76a4)20. Lesistenza delle idee
costituisce quindi, secondo Socrate, la condizione necessaria e suf-
Ficiente per Fammissione della reminiscenza e, con essa, della pos
sibilita di superare Fapparenza contraddittoria delle sensazioni per
attingere alla verit del pensiero21.
Ma la presentazione piu completa e particolareggiata, seppure
nella forma soltanto Verosimile del racconto mitico, delineata
senza dubbio nel Fedro. In questo dialogo, Socrate descri ve per
immagini (w S oiKev) la vicenda delFanima che, prima della
vita terrena, si trovava al cospetto degli dei e al loro seguito con
templava le supreme realt delle idee nel sito iperuranio (tov S
iTrepoupviov tttov) collocato al di fuori della volta celeste. Nutri-
ta e rigenerata dalla vista degli enti intellegibili che sono fonte della

20 In effetti, in76a4-77bl, Socrate prospecta due alternative: o la conoscenza delie


idee precede la nascita e l'anima immortale lha acquistata prima di incarnarsi nel
corpo mortale, oppure tale conoscenza aw ie ne, per cosi dire, istantaneamente al
momento della nascita. La seconda alternativa per esclusa dalla constatazione che
gli uomini non sono in grado di rendere conto (Sowat Xyov) autonomamente di
questa conoscenza, ma hanno bisogno innanzitutto di ricordarsene, il che implica che
si tratta di una conoscenza acquisita e poi dimenticata. E se si ammette che venga
dimenticata alia nascita, dovr necessariamente essere stata appresaprim a della nascita.
21 Cfr. 76d7-e7: Non stanno forse cosi le cose, Simmia? Se dawero esistono
questi enti di cui parliamo sempre, il bello in s, il buono in s e tutte le idee e se a
ciascuna di esse riconduciamo le nostre sensazioni, riconoscendo che le idee erano gi
prima presenti in noi e a quelle ci riferivamo, non necessrio che per la stessa ragione
per cui le idee esistono esis ta anche la nostra anima prima dela nostra nascita? E se le
idee non esistono, non sar vano il ragionamento? Non cosi, non dipende dalla stessa
ncessita che esistano e idee ed esistano contemporaneamente le nostre anime prima
che siamo nati, sicch se non esistono le idee non esistono neanche le nostre anime?.
Si consideri daltra parte che la domina della reminiscenza implica alcuni assunti
irrinunciabili, espli ci tam ente o implicitamente ammess da Plato ne: oltre allesistenza
delle idee eterne e immutabili come oggetto deila conoscenza dellanima nel corso
delle sue vite precedent!, occorre infatti che lanima stessa sia immortale, incorruttibile
ed eterna (dunque che esista gi prima della nascita del corpo mortale e gli soprawiva
dopo la morte) e che, inoltre, rmanga sempre auto-identica come ie idee e ne conservi
memoria, perch, se cosi non fosse, mutando sempre, essa dovrebbe ogni volta
apprendere ex-novo le supreme realt e non potrebbe avertie reminiscenza durante la
vita mortale.
I.A CONOSCENZA K LE IDEE 97

vera seienza (t tt\s XrjGos* morf]pr|S' 'yvo), Tanirna ebbe in


sorte un destino mortale incarnandosi in un corpo materiaie e di-
menticando la verit22. Luomo deve pertanto consacrarsi con ogni
energia alia ricerca delle idee, passando dalle molteplici sensazioni
allunita colta con il ragionamento (ek ttoXXv v t al(79raeo)v
el? ev Xoyiapto CTUimpop.evoy): la conoscenza dei generi consiste
infatti nela reminiscenza di ci che lanima gia conobbe nel suo
viaggio ultraterreno con la schiera degli dei (toOto 8 oriv
vdpyricTis' Kevwy . tto t l8ev f]p6>y f] ipvxJ} crvnTopevQeioa
Qeca). Ecco perch il filosofo, incurante delle faccende umane
(iord|ievos' S tjv dvGporrriycoy cnrou5aa|adT(jv) e deopinio-
ne dei pi, rimane sempre concentrato nel tentativo di perfeziona-
re tale ricordo e di servirsene nel modo corretto (tolovtol ...
>TTO|ivf||j.aaiy opOws" come si trattasse di uniniziazione
mistrica (249b6-d3). Quando scorge unimitazione materiale del
le supreme realt, 1anima incorrotta dai vizi come catturata da un
mistico delirio e prende a ricordare lantica visione, ma solo vaga
mente e confusamente giacch la radicale insufficienza della perce-
zione sensibile (t pq Irayos Siaia0dyecr6ai) le impedisce di
formulare un chiaro pensiero. Del resto, lunica delle idee che tra-
spare in tutto il suo splendore nel mondo empirico ia belezza in
s che si rivela accessibe al pi acuto dei nostri sensi, la vista (Sid
Tfj yapycCTTTT]S' alafiacca Tjy fijieTcpcay ... ^ew?): perci,
chi si imbatte in un volto o in un corpo belli indotto a ricordare la
divina bellezza delfidea del bello e a volgersi ad essa con ogni sfor-
zo (249d4-251a7).
E proprio nel contesto di questo faticoso processo di definizione
della memoria si inserisce probabilmente 1a descrizione contenuta
nel Simposio (209e5-212a7) della difficile ascesa dalla percezione
della bellezza sensibile delle cose empiriche bele allintuizione im
mediata del bello in s, cui conviene accennare a questo punto. Il
passo del Simposio, bene chiariro subito, non stabilisce nessun
esplicito collegamento con la dottnna della reminiscenza n fa rife-
rimento in alcun modo al mito della pre-conoscenza delle idee che
1anima avrebbe acquisito prima di incarnarsi nel corpo mortale.

22 Cfr. Phdr. 246el-249b6.


98 FRANCESCO FRONTEROTTA

Tuttavia, esso fornisce forse un esempio e unillustrazione concreta


delle diverse tappe del percorso die deve essere intrapreso dagli
uomini in virtu della dvap.vricris', con Torientamento epistemologi-
co verso le idee che la reminiscenza determina. La sacerdotessa
Diotima espone infatti la progressiva presa di coscienza di chi, con-
templando dapprima la bellezza di un corpo, riconosca lomoge-
neita e luguaglianza della bellezza di tutti i corpi (ev re ical TaiiTov
f|yeto0ai to ciri Traaiv rots1 oajpacri KaXXos) e comprenda in
seguito la superiorita e il piii alto pregio della bellezza spirituale,
che e ovunque affine a se stessa (to KaXov ... Trav airro aii
Gvyyeves) nelle anime, nelle attivita umane, nelle leggi e nelle
scienze rispetto alia bellezza sensibile, che e cosa di poco valore
(to Tiepi to o&[ia kclXov o^iiKpov tl) . Al termine di questo
estenuante percorso, dal grande mare della bellezza si manifestera
allimprowiso (eai<J)T/T|S'), come in una suprema e meravigliosa ri-
velazione, lidea del bello in se e per se, piena e perfetta, pura, eter-
na e auto-identica. Si tratta precisamente, conclude Diotima, di un
retto avanzare dalle cose belle di questo mondo verso lestrema
bellezza, come salendo per gradini fino alia sommita, dove si cono-
see finalmente il bello in se (to opQw? ... levcu... drro TWvSe
KaXcov eKcivou eveko. tou KaXou... ojcrnTp Trava.f3aCTp.ots' xP^fievov
... Kal yva> aiiTO TeXeuTtov o ecm KaXov); o, in altre parole, del
tentativo di perfezionare e completare il ricordo delle idee che Tani-
ma possiede e che ha evidentemente acquistato prima di incarnarsi
nel corpo mortale do che, secondo la definizione del Fedro, coin
cide propriamente con la conoscenza23.
Mi pare opportuno trarre a questo punto alcune conclusioni.
Lipotesi della reminiscenza risponde efficacemente alia difficolta

23 Rispetto alia iegittimita dellinterpretazione della descrizione delFascesa dall


bellezza sens bile allidea del bello di Smp. 209e5-212a7 nel quadro della dottrina della
reminiscenza, che pure non e in quel dialogo esplicitamente menzionata, cfr. P.M.
C o r n f o r d , The doctrine o f Eros in Plato's Symposium, [1937], in P.M. CORNFORD,
The unwritten philosophy a n d other essays, ed. by W .K.C.A. GUTHRIE, Cambridge,
Cambridge Univ. Press 1967, 68-80; e in Plato II: Ethics, politics andphilosophy o f art
an d religion, ed. by G . VLASTOS, New York, Doubleday &L Anchor 1971, 119-131;
J.M .E. M o r a VCSJK, Reason an d eros in the 'a scent -passage o f the Symposium, in Essays
in ancient Greek philosophy, ed. by J.P. ANTON with G .L . KuSTA.S, Albany, SUNY
1971, 285-302; G . S a n t a s , P latos theory o f eros in the Symposium, in Nous, XIII,
1979, 65-75.
LA CONOSCENZA E LE IDEE 99

inizialmente sollevata: a quali condizioni possibile la scienza e


come conoscere le idee, se, poste al di la del mondo sensibile per la
loro essenziale diversita dalle cose empiriche, non si sa neanche
dove cercarle? In effetti, lassoluta differenza fra le idee e le cose
sembrerebbe presupporre di per s un incolmabile separazione fra i
due mondi e, conseguentemente, la loro totale e reciproca incono-
scibilit2^. Se pero la conoscenza delle idee si riduce esclusvamente
alia definizione progressiva del ricordo delle idee che lanima con
serva impresso in s stessa, allora il soggetto conoscente, sebbene
originariamente vincolato al divenire della sfera emprica, non
tuttavia costitutivamente estraneo alloggetto della sua ricerca, per
ch, anzi, ne possede da sempre le coordnate25. Come gli esempi
tratti dal Menone e soprattutto dal Simposio dimostra.no, daltra parte,
solo una straordinaria dedizione personale e Tntervento di un abile
guida permettono di condurre a buon esito la ricerca della verita
delle idee, a causa delleccezionale difficolt del cammino e della
sua radicale alterita rispetto allevidenza immediata deliesperienza
comune; si spiegano cosi, alio stesso tempo, la rarit dei veri filoso-
fi, il disprezzo e lo scherno di cui cadono vittime fra i pi e le
accuse di originalita, di anticonformismo o persino di pazzia loro
abitualmente rivoite26, bench, al contraro, proprio a tutti gli uo-
mini sarebbe in linea di principio potenzialmente accessibile, attra-
verso la reminiscenza, la conoscenza delle cose che so no27.
Pertanto, occorre ammettere ancora una volta che solo dalla po-
stulazione dellesistenza delle idee eterne e immutabili - e dalla loro

24II paradosso della reciproca inconoscibilita fra il mondo intellegibile e la sfera


sensibile, conseguenza immediata dellassunto della separazione fra le idee e le cose,
definito lucidamente da Platone, nel Parmenide (133a7-135b4), come la difficolta
pi grande della teoria delle idee. Si veda in proposito il 4 del cap. XI.
25 P e r u n a r i c o s t r u z i o n e e u n a n a lisi p i d e t t a g l i a t e e c o m p l e t e d e lla d o t t r i n a d e lla
C.E. H uB E R , Anamnesis bei
r e m in is c e n z a n e i d ia lo g h i p la to n i c i in g e n e r a le , r in v io a
Plato, M n c h e n , H b e r 1964; J.M .E. MoRAVCSIK, Learning as recollection, in Plato I:
Metaphysics an d epistemology c i t ., 53-69; K . N . M . D o r t e r , Equality, recollection and
purification, in P h r o n e s is , XVII, 1972, 198-218; R.D. M o h r , The divided line and
the doctrine o f recollection, in A p e ir o n , X VIII, 1984, 34-41; D. SCOTT, Platonic
anamnesis revisited, in CQ, XXXVII, 1987, 346-366; e a n c o r a , in u l t i m o , a J.M .E.
M o r a v c s i k , Plato a n d platonism c i t ., 28-34; 48-50.
Cfr. solo Phdr. 249c4-d3, ma gli esempi a questo proposito sono, nei dialoghi
platonici, innumerevoli.
2 Bisogna insomma constatare nuovamente che Paccesso alia verita e alia
conoscenza, purse potenzialmente disponibile per tutti gli uomini, subisce invece una
100 FRANCESCO FRONTEROTTA

precedente e mitolgica28 rivelazione alFanima umana deriva la


possibilit di innalzare il pensiero e il ragionamento oltre i limiti
imposti dalla percezione immediata e confusa, per conoscere la ve
nta e acquisire la scienza. Come Socrate ribadisce solennemente
nel Fedone (76d7-e4):

Ap ovv omos1 xeL riM-LV, < 2i|i|jla; el fiv ecmv a 0pu\opev del,
KaXv r t l r a l ya0y K al naca. f Toiarr} oata, K a i m TarT|V
T a k rdv ai<jQr(j6Li' nura v a ^ p o u e y , Trpxouaav T rp re p o v
avevpoKovTzs f )f i e T p a v ouaav, K al T a T a K eLi/q 'n eL K C o p .ev,
tcrrrep K a l r a u T a
v a y K a X o v , o 3t q ) 9 e a riv ,outoj? K al ttjv T\\iejpav
tvai (cal irplv y e y o v y a i el 8 p.) ecm T a ra, aXX)?
ay Xyos- oitos* e primevos- eir|;
Non stanno forse cosi le cose, Simmia? Se dawero esistono questi enti di cu
parliamo sempre, il bello in s, il buono in s e tutte le idee e se a cascuna di esse
riconduciamo le nostre sensazioni, riconoscendo che le idee erano gi prima
present in noi e a quelle ci riferivamo, non necessario che per la stessa ragione
per cui le idee esistono esista anche lanima prima della nostra nascita? E se le idee
non esistono, non sar vano il ragionamento?

3. IIpensiero, la dialettica e le idee

Per completare lanalisi delle relazioni fra la teora ontologica delle


idee e la sfera epistemolgica della conoscenza, rmane da affronta-

concrera e decisiva limitazione: come la parziale manifestazione deile idee nel mondo
sensibile non si rivelata effettivamente sufficiente a vincere la naturale pigrizia
delianimo amano e a suscitare in tutti gli uomini il desiderio della scienza (cfr. il 1
di questo cap. III), cosi pur la. dottrina della reminiscenza non garantisce di per s che
tutti gli uomini giungano dawero a ricordare la verit delle idee. Le difficolta
dellimpresa, acuite dalfulteriore esigenza di un maestro che stimoli ed eserciti le
qualitpersonalidellallievo, scoraggiano senza dubbio la maggior parte degli uomini
e riducono il numero dei detentori del vero sapere a uninfima minoranza, qualifican
do perci inevitabilmente tale sapere come un possesso dipochi, simile alia rivelazione
iniziatica dei misteri religiosi. Un quadro di quesro radicale pessimismo epistemol
gico, basato essenzialmente sullanalisi del Fedone, h tratteggiato da L.C.H. Cl-iEN,
Acqidring knowledge o fth e Ideas in the Phaedo, in RhM, CXXXIII, 1990, 52-70.
2S La verit della dottrina della reminiscenza non infacti dimostrata attraverso
Tagomentazione razionale, ma dipende necessariamente, come abbiamo visto,
LA CONOSCENZA E LE IDEE 101

re ora ii problema della definizione della vera conoscenza e della


determinazione delle sue modalita.
Nel passo conclusivo del Cratilo (439e7-440cl), gia a lungo di-
scusso sopra29, Socrate sottolinea Tassoluta inconoscibilita di do
che e in movimento (o fir|8eTroTe waauTcos' exei ouS av yvuxrOeiri
ye iiTr7 ouSevo?) e iimpossibilita, per il soggerro conoscente, di
conoscere alcunche, se nulla rimane mai immobile (yvaxTL? Se Sryrrou
ouSefjia yiyv o xiK e i o yiyvcoaKei |ii"|Sa[ioos' e xo y): solo ammetten-
do lesistenza deile idee eterne e immutabili e ponendole come og-
getto dellatto conoscitivo (el ...d e l ...e c m 8e to yiyvcoaKojieyoy,
e o n 8e to KaXov, et m Se to ayaQoy, ecm, Se ey eKaoroy Twy
ovtuv), diviene legittimo affermare che la conoscenza permane sem-
pre identica a se stessa ed e dawero conoscenza (pievoi Te ay del
q yywats' a l eir\ yvaiaisO.
Nel Fedone (65bl-66a8), per dimostrare la profonda ragionevo-
lezza del desiderio della morte che ispira ii vero filosofo, Socrate
muove dalla constatazione dellinsufficienza radicale della perce-
zione: i sensi non possono procurare agli uomini la vera conoscen
za, incerti e oscuri come sono (|if) dicp^eT? elaiv p.r|8e aa^et?);
soltanto nel ragionamento (ev tc o Xoyie<70ai), quando si libera
daUimpaccio del corpo e dalla confusione sensibile, Ianima attinge
in effetti alia verita ( T q ? aXr^eia? c r n T e T a i ) . Non a caso, se esisto-
no il giusto in se, il bello e il buono, nessuna di queste idee si mani-
festa pienamente alia vista o ad altro organo di senso ne di alcuna
di esse si scopre lintima verita ( t o dXqOeaTaToy) attraverso il cor
po (Sid t o t ) o t o j i a T o s 1) : si tratta infatti di realta conoscibili esclusi-
vamente con il pensiero (8Lavor|0ijvai), perche solo servendosi del
pensiero puro in se e per se (ainrj tcaO aimriv elXLKpLveL rr\ Stayo'ta
Xpcojieyo?) e possibile volgersi a ogni ente puro in se e per se
(au T O K a 0 airro elXiKpLyes1 e K a a T o v ... Gepeueiy T w y o v to o v ) e

cogliere Fessere (T e u ^ o f ie y o s t o O o y T o s 1) . Poco oltre (in 78c6-


79a5), lllustrando gli argomenti in favore delFipotesi delFimmor-
talita delFanima, Socrate introduce una netta distinzione fra due

dallintroduzione del mito escatologico della reincarnazione e della pre-conoscenza


delle idee che ianima ha acquisito nel corso delle sue vite precedent!.
29 Cfr. il 5 del cap. II.
102 FRANCESCO FRONTEROTTA

piani del reale (8o el8r\ tq jv o v tc o v ): da un lato, le idee, sempfci


e in com poste, costanti e eternamente immobili (aowOeTa ... del
Kara T a trrd Kai waauTcos* ex^i), dallaltro, le cose empiriche,
com poste e sempre in movimento (crwOera ... aXXoT aXXca K ai

[iT|8TroTe KaT Tarr). Tale distinzione si riproduce con altret-


tanta chiarezza dal punto di vista conoscitivo: le cose empiriche
sono soltanto percepibili e sensibili (to to o v [iv Kav aij/aio Kav
lSols1 Kav Tais* aXXaig- alcr0r|(7ecnv a u j 0 oio); le idee sono invece
daw ero conoscibili, ma in nessun altro modo se non attraverso il
pensiero e la riflessione (o u k eo riv o to tto t7 dv dXXw mXd|3oio
rj r tt^S' iavoias- XoyLapi).
Consideriamo infine, ancora una volta30, la descrizione del sito
iperuranio nel Fedro (2 4 7 c4 -e 2 ): le idee, incolori, intangibih e prive
di form a corporea, sono qui definite com e oggetto dei pensiero
soltanto (|iv(j 0eaTT) vol) e fonte delia vera scienza (ttepl f|V t
Tris* XtiOoOs1 emcnT] [iris' yvos1), non queila relativa al divenire,
che m uta insieme con gl enti che noi chiamiamo esseri (ofx rj
yveots' mpCTeoriv, ojS f] orLv vov rp a v repo) ovoa t5v
fillets v w vtlv KaXouiaev), ma la scienza che riguarda il vero
essere (tt)v v tw o tlv v ovto- marrm.r|V oucrav). La
differenza fra i due tipi di scienza sbito resa esplcita (2 4 9 b 7 -
c l ) : gli enti sensibili (che, erroneamente, noi chiamiamo esseri)
costituiscono Toggetto delle sensazioni molteplici e contradditto-
rie; le idee (il vero essere) sono conoscibili tram ite il ragionamen-
to. Di conseguenza, per contemplare la verit, bisogna che luom o
com prenda ci che si chiama idea, passando dalla molteplicit sen-
sibile alfunit intellegibile (Set yp dvpinrov cruvivaL K ar
elSo Xeyp.evov, ck ttoXXv l v t alair|crea)y eis* v XoyLCT|ico
cruvaipoiievov).
Queste rapide indicazioni testuali sembrano perci suggerire che
Ia vera conoscenza consista precisamente nellintuizione intellettua-
le delle idee che il pensiero realizza indipendentemente dallinter-

30II lungo passo dei Fedro dedica to alia descrizione delle idee e delia loro dimora
iperurania, con lintroduzione della dottrina della reminiscenza come fondamento
e condizione delia conoscenza (247c3-25 lb7), stato gi discusso da diversi punti di
vista nei 1-2 di questo cap. III.
LA CONOSCENZA E LE IDEE 103

vento della percezone e dei sensi31. La questione tuttavia posta a


tema in nei dettagli nel contesto delia cosiddetta teoria delia linea

31 E impossibile analizzare qui la discussione condotta nel Teeteto, che, pur


interamente dedicata allinterrogativo iniziale di Socrare (I4 5 d 7 -l4 6 c5 ): cosa
conoscenza ( t l ... SoiceT elvai mcnT|[JT|)?, non chiama tuttavia in causa in alcun modo
la teoria delle idee. Tre possibilit sono suggerite nel dialogo: (1 ) la co noscenza si riduce
alla sensazione (151d7-153d7); (2) la conoscenza consiste nellopinione vera (187b4-
c6); (3) la conoscenza coincide con lopinione vera accompagnata da ragione (201c8-
202e8). Ma nessuna risposta pare soddisfacente: (1) se la conoscenza si riduce alla
sensazione, in quanto la sensazione percepisce le cose empiriche in perenne divenire,
allora la conoscenza stessa sar continuamence mutevole e non sar pi neanche
conoscenza ( 15 3 d8 -1 87b3) ; (2) se la conoscenza co nsis te nelF opinione vera, corne sar
possibile opinare il falso? Infatti, unopinione opina qualcosa o il nulla: se opina
qualcosa, corne stabilit se opina giustamente o erroneamente? La verit e la falsit
dellopinione discendono necessariamente dalla conoscenza dell'oggetto opinato e, se
questo vero, si prcipita cosl in un irresolubile circolo vizioso (187c7-200d4); (3) se
la conoscenza coincide con Fopinione vera accompagnata da ragione (X'yos-), cosa
la ragione? Se dawero il q u id che, aggiunto alFopinione vera, la rende conoscenza,
ne deriver che proprio in tale qu id consiste fa specificit della conoscenza: la
conoscenza sar pertanto, paradossalmente, opinione vera accompagnata da cono
scenza (203al-210b2). Il diaiogo si chiude percio aporeticamente. Muovendo dalla
constatazione che nel Teeteto non compare nessun riferimento alla teoria delle idee
(comehamesso definitivamente in luce Y. L a f r a n c e , L a thorieplatonicienne de la doxa
cit., 199-210), legittim o supporre che P k tone intend a mostrare predsamenre come,
prescindendo dalla postulazione dellesistenza delle idee, si riveli impossibile formulare
una definizione dlia conoscenza, perch ii concetto stesso di conoscenza intimamen-
te connesso alla natura dei suoi oggetti e vera esclusivamente la conoscenza
(mtjnpT)) che assume come proprio contenuto le idee immutabili (come ho cercato
di porte in evidenza nel 5 del cap. II e in questo 3 del cap. III). Questa ipotesi
stataineffettiavanzatadaF.M. CORNFORD, Platos theory o f knowledge c it., 162; da H.F
CHERNISS, The philosophical economy o f the theory o f ideas cit., 20-22 (The attempt of
the Theaetetus to define knowledge fails, and this failure demonstrates that the Xoyos,
the essential characteristic of knowledge, cannot be explained by any theory which
takes phenomena to be the objects o f intellection); e da R. H acK FO R T H , Platonic forms
in the Theaetetus, in CQ, LI, 1957, 53-58. Aitri interpreti hanno invece sostenuto
che Fassenza deile idee nel Teeteto presuppone una radicale auto-critica da parte di
Platone, con il tentativo esplicito di costruire una teoria logico-proposizionale della
conoscenza e della verit: questa naturalmente la posizione degli studiosi logico-
analitici, come per esempio R. ROBINSON, Forms an d error in P latos Theaetetus, in
PhR, LIX, 1950, 3-30; e G. R y l e , Letters an d syllables in Plato, PhR, LXIX, I960,
431-451. Infme, va collocata a parte Fipotesi formulata da Y. L a f r a n c e , L a thone
platonicienne de la doxa cit., 303-304: En ralit, la thorie des Ides est absente du
Thtte: Platon ne veut qp la confirmer ni la critiquer, il veut mthodologiquemejit
lignorer aprs la critique du Parmnide pour tre capable de juger des consquences
pistmologiques de cette mise entre parenthses. Le Thtte nest quune minutieuse
analyse du phnomne de la connaissance dans sa manifestation au niveau de la
104 FRANCESCO FRONT K.ROTTA

esposta nela Repubblica (VI 509(11-51 le5)32. Si immagini una li-


nea divisa in due segmenti disuguali che simboleggiano, luno, il
mon do visibile e sensibile delle cose empiriche ( t o bparov yvos),

sensation et de la perception, du jugement vrai et du jugement faux, de la proposition


et de l'apprhension directe des objets, du jugement vrai et de la science. I andis que
lpistmologie de la Rpublique est troitement lie l'ontologie... lpistmologie du
Thtte est davantage lie la psychologie de la connaissance. ... En effet, nous ne
voyons pas en quoi la thorie des Ides pourrait aider rsoudre les problmes laisss
sans solutions dans le Thtte. Su questa conclusione mi sembra si impongano
tuttavta alcune considerazioni: in primo luogo, se fuor di dubbio che la teoria delle
idee sottoposta nel Pdrmenide ad alcune gravi critiche (cfr. soprattutto i capp. VIII,
IX e X I), bisognaper ricordare che, al termine de! suo esame (135b5-c4), Parmenide
stesso afferma che, se non si ammettesse lesistenza delle idee e non si ponesse un genere
separato per tutte le cose, negando cosi che vi sia per ciascuno degli enti empirici
unidea che rimane sempre identica, non esisterebbe alcunch di permanente cui
volgere il pensiero e lapotenza dlia dialettica ne risulterebbe annientata. Trovo perci
difficile credere che, qualunque sia la collocazione cronologica del Teeteto rispetto ai
Parmenide, Platone possa ignorare o non 'tenere conto dlia teoria delle idee: sono
piuttosto portato a pensare che il silenzio del Teeteto debba essere inteso proprio come
una dimostrazione indiretta deinsuccesso cui si va incontro rinunciando allipotesi
dei generi ideali. Inol tre, per quanto riguarda la domandaposta da Lafrance suif milita
dlia teoria delle idee rispetto alla definizione dlia conoscenza richiesta nel Teeteto, mi
sembra vidente che, ammettendo lesistenza delle idee, diviene possibile riconoscere
che la vera conoscenza (mcnrmri) coincide con il pensiero intuitivo (Wits') o
discorsivo (SLavoia) che si rivolge aile idee in s e per s, e non certo con la sensazione
o lopinione che si rivolgono esclusivamente alla realt apparente del mondo sensibile.
Questa in effetti la concezione dlia conoscenza che si deduce dalla Repubblica e dagli
al tri dialoghi maturi e che risolverebbe del resto la stessa aporia del Teeteto. Sullintera
questione del problema dlia conoscenza nel Teeteto, si vedano inoltre R.S. Bluck,
Knowledge by acquaintance in Plato s Theaetetus, in Mind, LXXII, 1963, 259-263;
W .B. BONDESON, Perception, true opinion an d knowledge in Platos Theaetetus, in
oPhrorsesis-/, XIV, 1969, 111-122; G. F i n e , Knowledge an d logos in the Theaetetus, in
vPhR, LXXXVIII, 1979, 366-397; Id., False belief in the Theaetetus, in Phronesis,
XXIV, 1979,70-80; Y. L a f r a n c e , La thorieplatonicienne de la doxa cit., 197-304; Id.,
Une nouvelle interprtation du Thtte, in Y. LAFRANCE, M thode et exgse en histoire
de la philosophie, Paris-Montral, L e s Belles Lettres-Bellarmin 1983, 97-114; e,
recentemente, M. N a r c y , Platon, Thtte, traduction indite, introduction et notes
par M. N a r c y , Paris, GF-Flammarion 1994, 7-121.
32 Per tutte le question! generali sollevate dal dibattito critico intorno al testo dlia
linea, alla sua dimensione, alla posizione e alla disposizione dei suoi segmenti
componenti, sono essenziali i preziosi studi di Y. LAFRANCE, L a thorie platonicienne
de la doxa cit., 153-67; Id., Pour interprter Platon. L a ligne en Rpublique VT, 509d-
511e. Bilan analytique des tudes (1804-1984), Montral-Paris, Bellarmin-Les Belles
Lettres 1986, 63-172; Id., Pour interprter PLiton II. La ligne en Rpublique VI, 509d-
511e. L e texte et son histoire, Montral, Bellarmin 1994. Ancora due volumi, sulle
interpretazioni antiche, tardo-antiche, moderne e contemporanee dlia teoria dlia
linea, sono stati previsti e annunciati dallautore.
LA CONOSCENZA E LE IDEE 105

1altro, la sfera intellegibile delle idee (t voqTv yeyo?)- Dividen


do ancora i due segmenti iniziali, si ottengono quattro segmenti: il
prim o segmento del genere visibile (5 0 9 d l0 -5 1 0 a 3 ) contiene le
immagini, le ombre e riflessi (eiKves' ... Ta? cncias ... Ta ...
c|)ayTCT[iaTa) degli oggetti sensibili; il secondo segmento del genere
visibile (5 1 0 a 5 -1 0 ) comprende tutti gli oggetti naturali e artificiali
(tol t nepl fuias1 Kal irv t ^ utctjtov Kal t aKeixxarv
o\ov yeyo?) di cui prima si consideravano le ombre. Naturalmente,
com e lopinione rispetto alia vera conoscenza, cos pur le immagi
ni e le ombre si trovano a un grado di chiarezza e di verit inferiore
a quello degli oggetti di cui sono immagini e ombre.
Per quanto riguarda invece i due segmenti che com pongono il
genere intellegibile, Platone stabilisce una distinzione basata non
pi sugli oggetti che essi contengono, m a esclusivamente sulla for
m a di conoscenza che a ognuno si addice. Al prim o segmento del
genere intellegibile ( 5 1 0 c l - 5 H a 8 ) conviene il mtodo proprio della
geom etra che procede ipoteticam ente (e iiroSoewv), non pero
risalendo verso il principio anipotetico (ir pXTlv vuTrQeTov)
per dimostrare la verit delle ipotesi formlate, ma assumendo tali
ipotesi com e vere e discendendo analticamente fino alia conclu-
sione (m TeXeimr|v) del ragionam ento. Gli studosi di geometra
giudicano infatti evidenti i concetti com e il pari e il dispari, le figu
re, gli angol e cosi va e non ritengono di doverne rendere conto
(oSva Xyov oTe arrols' orre aXXois1 eTi io 0 cri Ttepl aTv
SiSovat, TravTi <avep(3 v ), limitandosi a dedurre da questi pre-
suppost i teoremi geom etra, il calcolo delle superfici e cos va33.

33 Cfr. R. V II 533b6-c5. La geometra assume cio, secondo Platone, alcune


ipotesi (oggi diremmo concetti primitivi) relative, per esempio, agli angoli, ai punti,
alie linee, ai par e al dispari e cosi via, considerndole comc assolutamente evidenti
e scontate e non bisognose di ulteriore dimostrazione. Muovendo da questi presup-
posti, il gemetra1deduce con i dovuti calco i teoremi necessari alio svolgimento del
suo ragionamento. Si tratta perci di un mtodo esclusivamente discerniente, che
non si cura di verificare le ipotesi iniziali e non ascende allanipotetico, ossia al
fondamento primo di ogni ipotesi che, di ogni ipotesi, pu confermare o smencire la
verit. Se il mtodo presen tato nella Repubblica e associato alia geometria coincida con
quello esposto nel Menone (86el-87b4) e nel Fedone (100a3-b9) e, eventualmente,
con il procedimento suggerito da Zenone nel Parmenide (127d6-128al; 128c6-d5;
135d7-136c5), questione che ricade ai di fuori dei Hmiti di questa ricerca: rinvio
pertanto a R. ROBINSON, Pbztos earlier dialectic cit., 61-92 e 146-179; R S . B l u c k ,
106 FRANCESCO FRONTEROTTA

Inotre, essi sono obbligati a servirsi di immagini visibili (toTs'


pcjop-voLS1 eSeoi), perch, pur riferendosi senza dubbio ai modelli
ideali e astratti delle figure geometriche (o rrepl totov [scib. tjv
pMjivw] Stavoo[ievoi, dXX7 CKCLvoav irpi os1 Tauro. eoiKe),
devono tuttavia tracciarne e disegnarne (irXTTOuo'v tc Kai
ypfyovoiv) materialmente una rappresentazione per svolgere e spie-
gare e loro dimostrazioni. Una simile specie di conoscenza, bench
appartenente al genere intellegibile (vor|Tv ... t el8os-) e consa-
crata allindagine delle realt in s (aTa eiceiva I8ev), in quanto
si serve di immagini sensibili ed incapace di trascendere le proprie
ipotesi per raggiungere il principio incondizionato di ogni ipotesi
(o 8vva\vr}v rtiv wo0creti)v vcorpo) eKfiavew ... ok xr
apxqv louaav), prende il nome di pensiero discorsivo (Sivoia).
Al contrario, al secondo segmento del genere intellegibile (51 lb 3-
c2) si addice il mtodo diaettico (rrj to 8ia\yea0ai 8uv[j.ei)
che tratta le ipotesi, non come prxncipi primi (ras rrroOcreLS'
ttolo|j .cvos* ouk px?) - alia maniera della geometra - ma come
Tio0CTCLS> in senso proprio, ossia come punti di appoggio
(eTTLpaaeis) o di lando (op\is)34, per muovere fino al principio
anipotetico del tutto (|ixpt to 0 vutto0 tou em Tqv to TravTO?
apxfiv Itov) e, dopo averne avuto conoscenza (ct^fievos1 arfis*),
discendere da quello secondo le conseguenze che ne derivano
(X0[ievos t QV iceu/ris" excM-^vtov) fino alia conclusione (m
TcXeuTT|v) del ragionamento, senza utilizzare nessuno strumento
sensibile (aloOqra TTavTmraaiv oScvl TrpooXP M'evoS') >ma sol-

PLttos Phaedo, a translation with introduction, notes and appendices, London,


Routledge & Kegan Paul 1955, 160-173 e 198-202; I.'TrroOaei.s' in the Phaedo and
Platonic dialectic, in Phronesis, II, 1957,21-31; Id., P latos Meno ck., 75-108 e 441-
461; G. CAMBLANO, II mtodo ipotetico e le origini della sistemazione euclidea della
geometra, in RF, LVII, 1967, 131-149.
34I verbo >7TOTL0e|_iai significa infatti, propriamente, porre come base, stabilire
come fondamento; conseguentemente, il sostantivo woOeCTis' significa innanzitutto
'base7 o fondamento1 e, per estensione, ipotesi (intesa precisamente come base o
fondamento di un ragionamento). La dialettica risale dunque al di la delle ipotesi
della geometra perch, come si dice in R. V II 533c7-d l; 5 34b 3-4, cap ace di rendere
conto dellessenza di ciascuna cosa ( t v Xyov X a jifi u o v T a
k c ic t t o u oaLas-) e di
distruggere cos ogni ipotesi (r j i'TToBaets' i'aipojaa), dimostrandone la verita
o la falsita e ponendola perci, non pi come unipotesi, ma come un assunto non
ipotetico, vero o falso.
LA CONOSCENZA E LE IDEE 107

tanto le idee in s, per s e rispetto a s stesse (W eiSeoiv airroTs-


81 airrv eis- aimx). La dialettica rinvia perianto al pensiero in
tuitivo7 (vriais'), la forma di conoscenza pi alta e pi pura, perch
si dirige direttamente (e non tramite ipotesi) alie idee in s e non ha
bisogno di ricorrere ad al tro, nel corso del suo svolgimento, se non
alie idee stesse33. La sezione della linea si chiude con una breve
ricapitolazione dei quattro modi di conoscenza fin li definiti (511 d6-
e4). Rispettivamente, in ordine discendente: il pensiero intuitivo
(vTjO'LS') e il pensiero discorsivo (tvoia), corrispondenti al gene
re intellegibile; la credenza (mors-) e la semplice immaginazione
(eracra), corrispondenti al genere visibile36.
A questo proposito si im pongono alcune osservazioni.
Innanzitutto, occorre constatare che i due segmenti superiori della
linea ricadono entrambi nella sfera della vera conoscenza ( t
yvwoTv) laddove gli ultimi due costituiscono soltanto il dominio
dellopinabile ( t 6oaorv). D altro canto pero, mentre per di
stinguere 1immaginazione dalla credenza viene stabilita una speci-
fica diversit fra gli oggetti che esse assumono come proprio conte-
uto ponendo le immagini e le ombre delle cose empiriche come
oggetto deirimmaginazione e le cose empiriche stesse come ogget-
to della credenza - invece, per mettere in luce la differenza fra pen
siero discorsivo e pensiero intuitivo, Platone ricorre esclusivamente

35 La dialettica definita da Platone come la scienza suprema e la pi alta delle


discipline fiiosofiche (al punto di coincidere con la filosofa stessa) in R. VII 531d7-
532B3; 533c7-d4; Phdr. 266b3~cl; Sph. 253c6-c6. Tuttavia, a partir dal Pedro
(265c8-26b2), e soprattutto nel Sofista e nel Poltico, sembrano intervenire alcuni
sostanziali mutamenti: pur trattandosi sempre di un mtodo che opera fra le idee e con
le idee, la diaettica viene inoltre definita come procedimento adatto a ricostruire ie
relazioni fra le idee (per esempio in Sph. 2 5 3 c6-e6); e bench composta ancora da una
fase ascendente e da una fase discendente, queste due fasi sono spiegate in modo
assai tcnico e dettagliato (per esempio in Phdr. 265c8-266b2).
35 Ho tradotto elKaaia con immaginazione, giacchsi tratta dellapercezione che
si rivolge soitanto alie immagini e ale ombre degli oggetti empirici e non ha dunque
la forza e la concretezza dela sensazione immediata di qualcosa; ttI o t is -, invece, con
credenza, poich coincide con la percezione deile cose empiriche che crede1e si lascia
persudete (treiG) dallevidenza del proprio contenuto; Sivoia con pensiero
discorsivo, riferendomi cosi al pensiero che procede in forma dimostrativa, con un
ragionamento che discende analticamente da certe ipotesi alie loro conclusioni; vov
o rrjCTi, infine, con pensiero intuitivo, perch consiste nella visione intellettuale
directa e, appunto, intuitiva del proprio oggetto.
108 FRANCESCO FRONTEROTTA

allanalisi dei due procedimend in questione, il mtodo dei geo-


metri e la dialettica, senza chiamare in causa in nessun modo lo
statuto ontologico dei loro oggetti. E non a caso: il pensiero
discorsivo e il pensiero intuitivo attingono infatti, ambedue, alia
verit delle idee intellegibili e il loro diverso valore dipende solo
dalle diverse modalit di realizzazione della conoscenza. Lopinione
opina perci due classi di enti opinabili le cose empiriche e le
loro im magn i riflesse rivolgendosi alie une attraverso la creden
za, alie altre attraverso rimmaginazione: la credenza e limmagina'
zione non sono pertanto interscambiabili, ma rsultano stretta-
mente vincolate, ciascuna, alia natura del proprio contenuto37. La
vera conoscenza (morf|pr|) conosce invece gli enti intellegibili - le
idee secondo due diversi metodi, luno discorsivo e dimostrativo
(ivoia), e dunque indiretto e meno chiaro, laltro intuitivo e im
mediato (voricas1), e quindi diretto e pi chiaro (oa^orepov). Nes
sun a distinzione introdotta tuttavia rispetto al contenuto di tali
metodi: ne consegue necessariamente che tutte le idee possono co-
stituire indifferentemente Toggetto di entrambi38.

37 Quando coglie unombra o unimmagine, la percezione prende a forma


deliimmaginazione (tk a a a ), che, pur non coincidendo con la pura fantasa o con
linvenzione onrica, produce tuttavia una sensazione dotata di minore efficacia e
stabilita, rivolta com ad oggetti ancor pi incerti e apparen ti delle cose empiriche.
Se invece assume come contenuto le cose empiriche in s stesse, a percezione
manifesta tutta la propria forza e diviene una vera credenza (mcms1) caratterizzata
dalla fiducia e dalla persuasione (ireiit) assolute che il soggetto percipiente ripone
nellevidenza immediata del dato1sensibe. Immaginazione e credenza non dipendo-
no perci da due distinte facolt conoscitive, poich ricadono entrambe nelfambiro
della percezione sensibile: si tratta pero di due modalit diverse della percezione
sensibile, in possesso di diverso valore e dirette a oggetti sensibili fra loro diversi. Per
una disamna approfondita d questa distinzione, si veda W. L e s z l , Filosofa e
costituzione della realth in Platone, Firenze, Dispense a.a. 1997-1998-Univ. Firenze
1998, 215-224.
38 Se nelasfera deiropinable a due modalit percetdve distinte (rimmaginazione
e la credenza) corrispondono due dis tinte classi di enti (le immagini e le ombre delle
cose empiriche e le cose empiriche stesse), invece, sul piano intellegibile, Tnica facolt
conoscitiva del pensiero conosce ununica classe di enti, le idee, pero in due forme
differenti attraverso il pensiero discorsivo5 e il pensiero intuitivo, entrambi veri e
produttori di sdenza e pur tuttavia dotati di un diverso valore rispetto alia loro
chiarezza ed evidenza. Alia perfetta simmetria epistemolgica fra i gradi inferiori e i
gradi superiori della linea (con due facolt conoscitive distinte capaci, ciascuna, di
porre in atto due diversi procedimend) non corrisponde perci unanaloga simmetria
LA CONOSCENZA E LE IDEE 109

Provi amo a tracciare un quadro del processo conoscitivo in base


agli elemenri raccolti nel corso dellanalisi, prendendo, per esem-
pio, il caso della bellezza. Con rimmaginazone, il soggetto cono
scente immagina una cosa empirica bella, cio coglie con i sensi
Ximmagine o Yombra di una cosa empirica bella; con la credenza,
egli percepisce in effetti una cosa emprica bella in s stessa, mute-
vole e instabile. Entrambi questi modi di conoscenza sono di natu
ra sensibile e si rivolgono a oggetti sensibili, producendo una cono
scenza confusa, relativa e contraddittoria: lopinione (8a)39. Con
il pensiero discorsivo, il soggetto conoscente pensa iunit e Tuni-
formit della bellezza presente in tutte le cose empiriche belle e
formula Vipotesi (assunta dogmticamente come vera e auto-evi
dente) che questa bellezza in s nica e uniforme sia la causa della
bellezza di tutte le cose empiriche belle40. Egli gi conosce a questo
livello Tidea del bello, ma, appunto, nella forma di un ipotesi e
come in sogno (cfr. R. V II 533b 8-cl), facendo ancora riferimen-

ontologica (a due classi distinte di enti nella sfera dellopinabile si oppone infatti
ununica classe di enti nella sfera intellegibile), senza che ci rappresenti tuttavia,
almeno a mi parere, una difficolta reale del ragionamento di Platone o delfinterpre-
tazione proposta qui. Su questo aspetto, in relazione alia natura del pensiero
discorsivo, del pensiero intuitivo e dei loro oggetti, si veda anche il 4 del cap. IV.
39 Non sfugge a questa definizione dello statuto della Sa Fopinione vera (p0r)
Sa), che, pur coincidendo con la scienza rispetto alia sua verita, rimane tuttavia
essenzialmente incerta e mutevole. Come Platone precisa nel M enone (97d6-98a8),
lopinione vera, in quanto costitutivamente opinione, puo certo imbattersi per
caso nella verita, ma manca della concatenazione casale necessaria e universale del
ragionamento: essa assomiglia da questo punto di vista alie statue di Ddalo,
talmente realistiche da sembrare vive e sempre pronte a fuggire via. Conseguentemen-
te, se vengono costrette nella catena casale della scienza, le opinioni ver sono scienza
e non pi opinione; in caso contrario, restao inevitabilmente viziate dalla loro
radicale e insuperable prowisoriet (ttoXv Se XP^1'01' ojk 0\ouaL [sc.: ai Sai
al Ardis-] Trapacvtw , XXot Spa/rreTeiJoiJaii' k rfjs T0 t'QpTrou, erre
o\) TToXXaO a tai eloiv, av ti? auras' Sr|crrj ai ra s XoyLapaj... neiSy 8e 8e0aiu,
TtpcijToi' pev- 'marfifj.aL yiyi-'oi'Tai, e-netra lvipor Kal 8i T a ita Sf| Tipirepou
TTLCTrqpri pQfjs- Sj-qs arLv Kal Si^epei Sea[i(5 marripri opSfjs1 S^-qs-). Una
conoscenza stabilmente e definitivamente vera dunque scienza e non opinione (n
opinione vera); una conoscenza mutevole e, per cosi dire, in movimento soltanto
opinione, indipendentemente dai fatto che sia (temporneamente) vera o falsa. Lo
stesso concetto rbadito e pi ampiamente argomentato in Tht. 187b4-200d4 (cfr.
supra, n. 31).
40 Questo , come noto, lesempio del mtodo ipotetico fornito da Socrate in
Phd. I00b l-c7.
110 FRANCESCO FR O N TERO TTA

to alia belezza presente nelle cose empiriche belle. Soltanto in virtu


de pensiero intuitivo infine, il soggetto conoscente intuisce im
mediatamente il bello in s: dai momento che vede direttamente
lidea del bello, egli non ha pi bisogno di formulare aicuna ipote-
si, perch sa che fidea del bello la causa auto-sufficiente (e dun-
que anipotetica) della bellezza di tutte le cose empiriche belle. In-
fatti, dopo aver raggiunto con il pensiero fidea del bello, egli in
grado di discendere fino alia conclusione (m TeeuTT|v), vale a
dire riconoscendo le relazioni che fidea del bello intrattiene con le
altre idee e le manifestazioni della sua presenza nel mondo
emprico41. Entrambi questi modi di conoscenza sono di natura
intellegibile e si rivolgono esclusivamente a oggetti intellegibili,
producendo una conoscenza salda e vera: la scienza (mcmr||j.Tn)42.

41 S i pone a questo proposito una seria difficolt che m i lim ito a segnalare sol tanto:
se il pensiero discorsivo procede alia ricerca delle idee ipoteti cam ente e per immagini
laddove il pensiero intuitivo intuisce im m ediatam ente la realt delle idee in s, com e
sarpossibilepassare dalragionam ento allacontem plazione delle idee? C o m e trascen-
dere le ipotesi del m todo dei geom etri per volgersi direttam ente al principio
anipotetico con la dialettica? Infatti, m entre lascesa dallimm aginazione alia ere den za
dipende dai diversi oggetti che gliorgani di senso percepiscono, e quella dalla credenza
al pensiero discorsivo si spiega attraverso lintervento della riflessione e del r agio na-
m ent liberari dai vincoli della percezione, non affatto chiaro invece com e 1 soggetto
conoscente riesca, nellam bito del pensiero, a superare i lim iti del m todo ipotetico per
vedere direttam ente le idee. Platone pare aw errire la gravita deaporia in Snip.
2 0 9 e 5 - 2 12 a 7 , dove osserva com e chi sia iniziato ai m isten della bellezza avanzi dalla
percezione sensibile della belezza dei corpi material! alia com prensione intellettuale
della bellezza delle anim e per giungere, secondo una progressiva astrazione concerna
le, a considerare la bellezza delle attivita umane e delle scienze. A questo livello, pur
avendo gi in m ente lunita e lom ogeneita della bellezza in s, 1iniziato ancora non
vede directamente 1idea del bello. Solo istantaneamente o alTimprowiso (acf>i/r[S,
2 1 0e4) la suprem a bellezza del bello in s gli si rivela intuitivam ente e im m ediatam en
te, non pi nella form a di un corpo, di un concetto o di una scienza, m a in s, per s
e con s. E insom m a necessario, al culm ine del processo conoscitivo, un salto
im p row iso e imprevedbile - di cui dunque impossibile rendere conto (Xyov
8 lS<W l) razionalm ente - che colm i la discontinuity d elreale e perm etta agli uom ini
di superare gap ontologico della separazione fra la sfera em pirica e le idee. Sulle
ragioni dellipotesi delfistante e sulla sua nacura essenzialmence aporecica, si vedano
L. B risson , L ;instant, le temps e t ltem itdans le Parm nide (I55e-157b) de Platon, in
Dialogue, IX , 1 9 7 0 - 1 9 7 1 , 3 8 9 - 3 9 6 , e F . FRONTEROTTA, Essere e tempo nelverso5 del
fram m ento 8 d el Poema di Parmenide, nN ovecento, V -V I, 1 9 9 2 , 5 2 -5 9 - C fr. inoltre
il 2 .2 del cap. V I e il 3 della Conclusione di questa ricerca.
A1Aderisco pertanto alia tradizionale interprecazione quadripartita della teoria
della linea, che riconosce nei quattro segmenti otcenuti dalla divisione della linea
altrettanti gradi di conoscenza dalla eLicaa.a alia vrjOL?. Q uesta interpretazione
LA C 0 N 0 5 C F .N Z A E LE IDEE 111

Risulta daltro canto evidente come i gradi inferiori di questo pro-


cesso, Fimmaginazione e la credenza, e Finiera sfera deiFopinione
cui essi danno luogo, appartengano immediatamente e natural
mente a tutti gli uomini senza nessuna possibile eccezione; mentre

stabilisce inoitre un preciso parallelismo fia la linea e limmagine della caverna, che
rapp resen terebbe unaversione allegorica e simblica dellintero processo conoscitivo:
alia condizione dei prigionieri incatenati con lo sguardo immobile sulle ombre
proiettate sulla prete della caverna corrisponderebbe la semplice immaginazione;
alia percezione degli oggetti che quelle ombre proiettano corrisponderebbe la creden-
za; la visione indiretta e per immagini degli enti naturali e artificiali alluderebbe al
pensiero discorsivo; infine, la capacita di osservare immediatamente gli astri, la luna
e il sole in s stessi rinvierebbe airesercizio del pensiero intuitivo e della dialettica. La
caverna nel suo insieme costituirebbe percio lambito empirico e sensibile dellopinio-
ne; la risalita allesterno e la contemplazione degli enti naturali e artificiali dovrebbero
invece simboleggiare la cunversione del soggetto conoscente al pensiero e alla realt
intellegibile delle idee. Bisogna del resto tenere presenti le parole con cui Socrate
conclude Tesposizione dellimmagine della caverna in R. VII 517a8-b6: Questa
immagine, caro Glaucone, va applicata alie cose dette in precedenza, paragonando il
luogo che ci appare attraverso la vista al carcere e la luce del fuoco che brilla laggi al
potere del sole; e non andrai lontano dalla mia opinione giudicando la risalita in su e
la contemplazione delle cose che si trovano al di fuori <della caverna> simili allascesa
dellanima alla sfera intellegibile (cfr. anche VII 532b7-d l). Resta certo unadifficol-
t: se f immagine della caverna ripercorre precisamente i diversi gradi della linea, si
dovr ammettere che Platone giudichi la maggior parte degli uomini incapace di
attingere, non solo alla vera conoscenza e aile idee, ma persino alla credenza e alie cose
empiriche, proprio come i prigionieri della caverna, che, rimanendo sempre legati
dalle catene, osservano esclusivamente ombre e simulacri; opp.ure, occorrer supporre
che, pur nel contesto di una stretta analogia con la linea, limmagine della caverna
ne radicalizzi in parte le conseguenze. Fra gli studiosi che hanno sostenuto questa
lettura, ricordo L. R o B IN , Les rapports de l tre et de la connaissance d aprs Platon cit.,
9-29, F.M. CORNFORD, Mathematics an d dialectic in the Republic VI-VII, [1932], in
Studies in P latos metaphysics cit.., 61-95; W .D . R o s s , op.cit.,7 5-114; V. G o l d s c h m i d t ,
La ligne de Lt Rpublique et la classification des sciences, in RlPh, IX, 1955,237-255;
D.W . H a m l y n , Eikasia in P latos Republic, in PhilosQ, V III, 1958, 14-23; J.
M a l c o l m , The line an d the cave, inPhronesis, V II, 1962,38-45; R . C . C r o s s &A .D .
W o o Z L E Y , P la to s Republic. A philosophical commentary, London-New York,
MacMillan-St. Martin Press 1964, 207-228; Y. L a f r a n c e , La thorie platonicienne de
la doxa cit., 167-176; J. M a l c o l m , The cave revisited, in CQ, XXXI, 1981, 60-68;
Y. LAFRANCE, L a nalogie de la ligne, in Y. LAFRANCE, M thode et exgse en histoire de la
philosophie, cit., 77-97. Contro linterpretazione quadripartita dlia teora della
linea, sono state proposte tuttavia uninterpretazione bipartita e una tripartita. La
prima di esse (per la quale si vedano soprattutto H. JACKSON, On P latos Republic VI,
509dsqq., in JPhilol, X , 1882, 132-150; A.S. F e r g u s o n , P latos simile o f light. Part
I: The similes o fth e Sun a n d the Line\ Part II: The allegory o f the Cave, in CQ, XV-
XVI, 1921-1922,131-152, 15-28; Id., Platos simile oflight again, in CQ, XXV III,
1934, 190-210; J.E . R a v e n , P latos thought in the making: a study o f the development
o f his metaphysics, Cambridge, Cambridge Univ. Press 1965, 131-185) suggerisce che
112 FRANCESCO FR ONTERO TTA

i gradi superiori, il pensiero discorsivo e il pensiero intuitivo, e Tin


tera sfera della conoscenza razionale e intellegibile di cui fanno par-
te, sono invece riservati ai pochi individu! disposti alio sforzo e alia
pratica costante delFesercizio intellettuale nececessario per la con-
quista della verit.
Emerge adesso piuttosto chiaramente in quale prospettiva ho
attribuito un significato epistemologico alia teoria ontologica del-
le idee43, inizialmente rispetto alla sua origine e alle ragioni della
sua postuiazione in generale, in seguito dal punto di vista particola-
re dei diversi problemi discussi in questo capitolo:
(1) Perch si dovrebbe aspirare alia vera conoscenza?
(2) Come possibile la vera conoscenza?
(3) A quali condizioni la conoscenza vera e come si realizza?
La molteplicit confusa e relativa delle sensazioni, in contrasto
con Fassoluta perfezione delle idee che traspare appena nel mondo
empirico, accende negli uomini il desiderio della conoscenza scien-
tifica e della ricerca della verit. Tale ricerca resa possibile da quel
debole ricordo che Fanima umana conserva della sfera delle idee
che essa ha contemplato nella sua purezza prima di incarnarsi nel
corpo mortale. Muovendo dalla reminiscenza dei generi, Fesercizio
del pensiero discorsivo5 consente agli uomini di awicinarsi, attra-

i gradi di conoscenza che derivano dalla divisione della linea in quartro segment! siano
solranto due (e non, appunto, quattro), vale a dire la Sidi'oia e la uTjUij, dunque le
matematiche con il metodo ipotetico e la filosofia con il metodo dialertico: i gradi
inferiori della linea costituirebbero esclusivamente un simbolo dei gradi superior!,
senza avere di per s un valore conoscitivo autonomo. Infine, linterpretazione
tripartita (per la quale cfr. H. SlDGWICK, On a passage in Plato, Republic, VI, in
JPhiloI, II, 1869, 96-103; N.R. M u r p h y , The interpretation o f P latos Republic,
Oxford, Clarendon Press 1951, 151-206) attribuisce soltanto aliayoqais', alia Sidi'oia
e alla Soa lo staturo di forme d conoscenza autonome, giudicando invece leltcaota
e la Titans- come unillustrazione esemplificativa dei gradi superiori. Per una presen-
tazione complta dellampia bibliografia sulla questione e un eccellente bilancio
critico degli studi, rinvio ancora a Y. LAFRANCE, Pour interprter Platon cit., 63-172.
Una discussione e un'analisi pi dettagliate della teoria della linea, che ho introdotto
qui soltanto rispetto alle indicazioni che da essa si traggono in relazione al problema
della conoscenza delle idee, si trova in R.C. C r o s s & A.D. W o o Z L E Y , Plato s Republic
cit., 207-228. Lascio per il momenta ancora da parte il problema della definizione del
principio anipotetico e della collocazione dellidea del bene, che discutero nei 4 del
cap, IV.
43 Cfr. specialmente i 3-5 del cap. II.
LA C O N O SC EN ZA E LE IDEE 113

verso una progressiva astrazione concettuale, alie supreme realt,


che, a un tratto, si rivelano nella loro pienezza, immediatamente e
intuitivamente: questa infatti la conoscenza pi alta e pi certa,
universale, immutabile e dawero auto-evidente44. Ho cercato in-
somma di dimostrare in primo luogo che la teoria dele idee, in
quanto assume il pro filo di una dottrina degli end conoscibili e
realmente esistenti, perci si configura come un ontologia; e, in
secondo iuogo, che il suo obiettivo precisamente quello di risol-
vere le difficolt sollevate nellambito della concezione platnica
della conoscenza: si desidera conoscere, si puo conoscere e si conosce
esclusivamente in virt dellesistenza delle idee e della loro parziale
e imperfetta presenza nel mondo empirico degli uomini45. Occor-

44 Sullaporia dellimprevedibile e inspiegabile passaggio dalla conoscenza


discorsiva allintuizione immediata delle idee, cfr. supra, n. 41.
45 Ho mostrato nel corso di questo capitolo come il Simposio, nella forma solenne
del discorso iniziatico della sacerdotessa Diotima (209e5-212a7), riassuma in
un efficacissima sintesi le diverse tappe del percorso verso la conoscenza e la verit:
rimmagine parziale della bellezza nelle cose empiriche belle, che suscita il desiderio di
un bello superiore e pi puro, svelando linsufficienza della bellezza sensibile; il
probabile, implicito riferimento alia reminiscenza, che indirizza la ricerca verso una
bellezza non sensibile, perfecta ed eterna; la comprensione razionale e discorsiva
dellesistenza di ununica forma del bello in s al di la della bellezza terrena; infine, la
visione immediata e intuitiva dellidea del bello. In una simile prospettiva, non deve
sorprendere che il percorso lungo il quale gli uomini sono condotti allacquisizione
della verit e la stessa epistemologa di Platone in quanto tale - si riveli intrnseca
mente connesso, secondo la ricostruzione proposta, alia narrazione alegorica e
allesposizione solo Verosmile del mito. Inizialmente (nel 1), abbiamo visto come
limmagine deila caverna sia chiamata a spiegare la liberazione degli uomini dalla
condizione di radicale subalternt che li caratterizza e il loro naturale desiderio della
scienza; in seguito (nel 2), e apparso necessrio lintervento della dottrina della
reminiscenza, con il mito escatoiogico del destino delfanima e della sua vita preceden
te trascorsa in contemplazione delle supreme realt, per giustificare la pre-conoscen-
za delle idee che permette agli uomini di accedere alia verit del pensiero puro,
nonostante essi siano originariamente e costitutivamente vincolati allapparenza e
allincertezza della percezione sensibile; infine (nel 3), persino sul piano del pensiero
e del ragionamento, bench in forma pi sottile, Platone costretto a oltrepassare
largomentazione razionale per distinguere un modo di conoscenza discorsivo e
dimostrativo, che si serve di immagini delle idee e procede ipoteticamente, daim-
prowisa e inspiegabile intuizione immediata degl end in s (cfr. in proposito supra,
n. 41). In effetti, il ricorso al mito diviene necessrio ogni volta che lanalisi filosfica
si trova a fronceggiare unaporia insolubile sul piano razionale, come nel caso della
conoscenza delle idee, supreme realt poste al di la del mondo sensibile a causa della
loro assoluta diversit da esso e tuttavia, contradditcomente, con 1 mondo sensibile
114 FRANCESCO FRO N T ERO TTA

re infine ricordare ancora una volta, come ho avuto modo di spie-


gare a pi riprese nel corso di queseo capitolo, che il processo cono-
scitivo, in tutti i suoi aspetti e in ognuna delle sue diverse tappe, si
rivela irto di asprezze e di difficolt e determina dunque di per s
una rigorosa e drastica selezione degli aspiranti al sapere; e del re
sto, se risulta al limite praticabile al suo livello pi basso, diviene
quasi assolutamente inaccessibile al suo livello pi alto e ultimativo.
In altre parole, la vera conoscenza tanto pi difficile e rara, quan
to pi ci si awicina alia visione diretta delle idee; essa richiede ec-
cellenti requisiti personali e una ferma volont, esercitati in una
lunga TraiSea che solo un espertissimo maestro appare capace di
dirigere46.
Definito questo aspetto ed esaurita lanalisi della struttura
epistemolgica della teoria delle idee47, passiamo ora a considerar-
ne le implicazioni sul piano ontologico.

in qualche modo in relazione. Evidentemente, solo la metafora Verosimile del mito,


che trascende il discorso filosofico e ne scioglie narrativamente3e irrazionalmente le
contraddizioni, puo clmale la profonda discontinuit onto lgica ed epistemolgica
che la teora delle idee introduce con la separazione fra le idee e le cose e garantir cosi
agli uomini la possibilit di accedere ai generi ideali separati per stabilire il criterio
di verita della conoscenza e del discorso. Su questa parricolare funzione del mito nei
dialoghi platonici, cfr. soprattutto i 2-4 della Conclusione di questa ricerca e
1!Appendice II, 2.
46 Sui requisiti personali necessari alia ricerca della verita e sulla lunga formazione1
ad essa propedutica, cfr. A. C a s T E L -B o u c h o u c h i , Commentpeut-on tre philosophe?
La notion platonicienne ^iraLSeia et son volution de la Rpublique aux Lois, in D une
Citpossible. Sur les Lois de Platon, sous la direction de).-F. B a l a u d , Paris, Le Temps
philosophique 1996, 57-81.
47 Conviene forse ribadire ancora una volta che lanalsi svolta in questo capitolo
non intesa in aJcun modo come una presentazione o una discussione complete della
dottrina platnica della conoscenza e della scienza: mi sono infatri limitaro ad
afFrontare la quesrione dal punto di vista deindagine sulla formulazione della teora
dele idee ed esclusivamente nella prospettiva critica adottata fin qui. Conseguente-
mente, ho cercato di mettere in luce lesigenza oggettiva della teora delle idee nel
contesto delf epistemologa di Platone e delle sue implicazioni ontologiche, Jasciando
invece completamente da parte l problema della definizione dello statuto dellanima
mmortale e di tutte le caratreristiche necessarie alia determinazione del soggetto
conoscente nel processo conoscitivo.
LA STRUTTURA DEL MONDO DELLE IDEE

1. Il mondo delle idee

La distinzione stabilita fra i diversi gradi di conoscibilit (degrees


o f knowability) degli oggetti conoscibili, corrispondenti a diversi
livelli del reale (degrees of reality)1, impone una serie di conseguenze
sul piano ontologico. Conviene prendere le mosse dalla definizione
della natura e dello statuto degli enti che sono collocati al verdee di
questa gerarchia, le idee.
Abbiamo gi visto che, in quanto costituiscono il contenuto della
vera conoscenza, le idee sono innanzitutto realmente e massimamente
esistenti: ogni idea detta percio ouoa ovtojs- oucra, giacch,
immobile e immutabiie, esente dal divenire, dal movimento e dalla
trasformazione (el xar rarr Kal uxjarrws), eterna e auto-
identica (el ov ... raTv)2. Inoltre, dai momento che rappresenta
Toggetto del pensiero soltanto ([lvw 0eaTr| v), e non dei sensi,
bisogna che sia invisibe, priva di qualunque forma o figura materiale
e corporea (oix oparv ... fjLq avriXetoy oapKv): pura e non
frammista alie cose (KaGapv ... a|iiKToy), la realt delle idee rimane
perianto intellegibile (yor|Tv)3. Essenza prima di tutte le cose, ogni
idea una e nica (v), semplice e atmica e quindi incomposta e

1 Per Tuso di queste espressioni si veda la conclusione dei 5 del cap. II,
soprattutto n. 49-50.
2 Cfr. Phd. 74a9-e5; 76d7-77a5; 78c6-79al0; Smp. 210e4-21 lb5; 21 Id8-e4; R.
V 476a4-d 4; 4 7 9 e l-9 ; VI 507b2-8; X 596a5-597e5; Phdr. 247c3-e4; 250c2-6; e il
5 del cap. II.
3 Cfr. Phd. 65d9-66a8; 78e5-79a4; Smp. 202a2-9; R. V 476d 5-479d l0; VI
504cl 1-51 le5; Phdr. 247c6-e2; e il 3 del cap. III.
116 FRANCESCO FR O N TERO TTA

univoca (crvQeTov ... |iovoeis'): infatti, se esistessero due o pii


idee dentiche, nessuna potrebbe configurara dawero come Yessenza
prima rispetto alie altre e si cadrebbe in ultima analisi nel paradosso
di un regresso infinito4. Se invece unidea si lasciasse dividere in una
pluralit di elementi, si tratterebbe necessariamente di elementi fra
loro identici o diversi: se identici, nessuno di essi si distinguerebbe
dagli altri e, nelfmsieme, costituirebbero ununita indifferenziata;
se diversi, bisognerebbe allora riconoscere che le idee, pure essenze,
comprendono contraddittoriamente in s stesse una molteplicita di
parti componenti, di essenze ulteriori e pii sem plia, e sarebbero
in tal caso affette da unambiguit sostanziae5.
In possesso di simili qualit, i generi ideali si rivelano radical
mente differenti dalle cose empiriche ('navruaoiv ... e re pov). Se
questo vero, essi si pongo no al di la della sfera sensibile e da
questa rigorosamente separati: la separatezza li protegge dal contat-
to con le cose empiriche mutevoli e corruttibili e ne garantisce cos
Tassoluta superiorit ontologica. Ecco in che senso le idee esistono
in s e per se (avr ica avr): autonome e auto-refenziali, non
dipendono da altro n sono in virtu di altro, ma hanno in s la
propria ragion dessere (avr (f> avrov)6.
Lomogeneit ontologica delle idee e la loro separatezza dalle cose
empiriche impongono la costituzione di un mondo ideale, paral-
lelo e separato da quello dellesperienza comune. Platone stesso at
testa la legittimit di questa espressione particolarmente impegna-
tiva, come si deduce dalla testimonianza dei dialoghi. Nel Fedone
(79a6-10), Socrate introduce una generale e netta distinzione fra
due generi delle cose che sono (8o er) tv ovtcou), il visibile e
linvisibile (r lev opaTv, t i8): al primo appartengono
gli enti empirici in divenire (t ... [iriSTrore Kara Taur); al se-

4 Cfr. R. X 597cl-d 3. Sul paradosso del regresso infinito delle idee, connesso da
Platone allargomento detto del terzo uomo, si veda il cap. IX.
5 A questo proposito rinvio al 1 del cap. V III.
6Rispetto alia questione della separazione delle idee dalle cose empiriche, oitre ale
indicazioni contenute nel 2 del cap. II, occorre ricordare laffermazione del Fedone
(67b 1), secondo la quale non lecito a ci che impuro avere contatti con ci che
puro (|if] Ka0apw yp Ka0apo) ^ureCTOaL pf) o 0ep_LTi' fj): fia ie cose empiriche
(ci che impuro1) ele idee (ci che puro) nonpu dunqueche esserviuna radicale
e netta separazione. Solo il Parmenide (cfr. il 1 del cap. V II e il cap. XI) esprimera
tuttavia questa esigenza con lopportuna chiarezza.
LA STRUTTURA DEL M O N D O DELLE IDEE 117

condo, le idee eternamente auto-identiche (r ... dei Kara Tatrr


xov). Anlogamente, nella Repubblica (VI 509d l-5) viene ribadi-
ta Finsuperabile differenza fra il genere o il luogo visibile, sensibi-
le e oggetto di opinione (to opaTv yvos* re Kal t o t t o ? ...
aio07|Tv ... 8oacrrv), e il genere o il luogo5intellegibile, oggetto
di pensiero e scienza ( t vorjTv yvo$- <Kal t t t o s ,> ... yvcoorov).
La determinazione dei due livelii del reale, che inizialmente indica
soltanto la gerarchia fra le diverse forme di conoscenza e i loro og-
getti, assume in seguito un carattere ontologico assai marcato e ar
riva in effetti a delimitare i confmi di due regioni dellessere, che
sono, per cosi dire, geogrficamente separate: le idee realmente
essenti e le cose empiriche mutevoli e apparenti. Infine, il mito sul
destino delFanima esposto nel Fedro (247b7-248c2) accentua e raf-
forza questa immagine. Nel suo viaggio ultraterreno al seguito de-
gli dei, lanima ha infatti percorso la volta celeste ( t t o oupavoD
ywTto) e contemplato ci che si trova al di fuori del cielo (r
t o D opavo), quel sito sop rceles te ( t v 8 rrrepoupviov t t t o v )

che nessuno dei poeti potr mai celebrare degnamente. Si tratta


dlia pianura dlia verit ( t \r|0eias' ... TreSiov), dimora delle
supreme realt, pure, intellegibili ed esenti dal divenire, genuino
nutrimento dei pensiero e fonte dlia vera scienza. Dopo aver visi-
tato il luogo esterno al cielo ( t v t t t o v ) , stremata dallo

sforzo compiuto, lanima torna a casa (oKaSe f|\0ev) e attende la


propria sorte, Fincarnazione in un corpo mortale e la vita terrena.
M i pare sussistano insomma tutte le condizioni per ritenere che
le idee compongano un mondo uniforme e compatto, una sfera di
esistenza auto-sufficiente e separata posta al culmine dellordine e
della disposizione del reale. II mondo ideale definito nella sua
pienezza ontologica dalleterna permanenza nelidentit con s e
dalFassenza di generazione e corruzione ed collocato cos, per
necessit, al di fuori della dimensione spazio-temporale del peren
ne divenire delle cose empiriche. Questo precisamente il signifi
ca to che Platone attribuisce alYessere delle idee, al fatto che le idee,
ciascuna e nel loro insieme, sono veramente7.

7 precisamente in questo contesto ed entro questi Umi che misembra possibile


parlare di un mondo delle idee e di una sfera dellessere, pur con la consapevolezza
che, nei dialogh i platonici, non si trova mai utilizzato, in riferimento alla realt delle
118 FRANCESCO FRO N T ERO TTA

2. Uestensione del mondo delle idee

Interrogarsi sulla struttura del mondo delle idee significa


nnanztutto porre il problema deirestensione e della popolazione
della sfera dei generi. La questione fu discussa gi da Aristotele e
(presumibilmente) dai primi discepoli di Platone e rimane ancora
oggi controversa.
Occorre premettere che Platone non sembra prestare grande at-
tenzione a questo particolare aspetto della teora delle idee che vie
ne esplicitamente toccato, e apparentemente con una certa noncu
ranza, solo n un breve passo del Parmenide (130a7-e4)8, nel quae,
prima di dedicarsi a una serrata indagine sulla dottrina socratica
dei generi, Parmenide solleva tale difficolta preliminare: di quali
cose empiriche o, meglio, di quali specie di cose empiriche vi sono
idee? Questo interrogativo, che Parmenide formula con Tntento
di ottenere dal suo interlocutore una semplice precisazione, non
rivela di per s alcun tratto aportico ed improbabile che Platone
lo awertisse come una grave e seria minaccia alia coerenza della
teora delle idee. Alia richiesta di Parmenide, Socrate risponde dap~
prima con sicurezza: egli ammette senzaltro lesstenza delle idee
(1) dei termin che esprmono le relazioni fra diversi enti, come
somiglianza e dissomiglianza, uguaglianza e disuguaglianza, e cos
pur delle idee (2) delle caratteristiche o delle propriet attribuite

idee, il termine Kcifj.os' un termine che, invece, diviene di uso corrente nellambito
teorico del cosiddetto platonismo medio (dove pero il mondo delle idee viene
rappresentato come un vero e proprio mondo autonomo, vivo e operativo, parallelo
a quello sensibile, e di questo modello e produttore). Non e lecito distinguere qui
diversi sensi attribuibili al verbo essere: se e evidente che essere assume talora un
significato logico-semantico (per esempio, copulativo o predicativo: X y = X
possiede la qualit y = il predcalo y si predica del soggetto X) o un signficato di
identita (X Y = X e idntico a Y ), daltro canto, nel contesto della definizione dello
statuto ontologico delle idee, il verbo essere conserva esclusivamente Iowio signifi-
cato esistenziale: le idee sono = ie idee esistono al massimo grado (co che equivale ad
affermare, come ho mostrato nel 5 del cap. II, che le idee possiedono tutti i requisiti
della piena conoscibilita e sono perci realmente conoscibili). Lanalisi dei sensi di
essere, che non gioca in tal caso alcun ruolo, diventera invece essenziale nei diaioghi
posteriori, almeno a partir dal Parmenide (cfr. soprattutto il 3 del cap. XII).
8 Tornero brevemente sulla questione nel corso dellindagine sulle critiche di
Parmenide alia teora delle idee nel Pa>~menide nel cap. V II, al quale rimando anche
per unintroduzione generale a questo dialogo.
LA STRUTTURA DEL M O N D O DELLE IDEE 119

agli enti, come unit e molteplicit, quiete e moto (130b 1-6), e dei
valori o delle qualit morali ed estetiche, come il bene, ii bello e il
giusto (130b7-9). Socrate afferma di trovarsi invece in imbarazzo
(u nopa) per quanto riguarda lesistenza delle idee (3) degli en ti
naturali, come Tuomo, Facqua o il fuoco (130cl-4), mentre re-
spinge 1eventualit che esistano anche le idee (4) di en ti naturali di
natura spregevole e ignobile, come il capello o il fango (130c5-d8).
Tuttavia, il Parmenide sembra altrove suggerire una concezione
onniestensiva della teoria delle idee: in 129cl, Socrate spiega che
la sua ipotesi relativa allesistenza di certi generi diversi dalle cose
empiriche si applica, oltre che ailunit e alia molteplicit, ugual-
mente a tutte le altre cose (mi Tiepl i w ctXXcov ir v T Jv xja T co s');
e ancora, in 133c4-6, Parmenide sottolinea che chi ritiene che vi
sia per ciascuna cosa unidea in s e per s (airr|v Tiva Ka0anT)v
c k ( c t t o u o)aiav elvai), dovr in primo luogo riconoscere che nes-

suna delle idee si trova fra noi, nella realt empirica. Infine, biso-
gna tenere presente che, di fronte alfesplicito rifiuto delle idee di
enti naturali spregevoli, come il capello o il fango, Parmenide invi
ta il suo giovane interlocutore a ignorare le opinioni degli uomini e
a non temere di cadere nel ridicolo ammettendo Tesistenza delle
idee di oggetti di poco valore: quando si pratica seriamente la filo
sofa, come Socrate far sempre pi con lavanzare dellet, non
bisogna disprezzare alcunch (130el-4). E possibile che questa al-
lusione pro feca di Parmenide rappresenti in effetti un riferimen-
to autobiogrfico e che Platone intenda dire che, dopo qualche in-
certezza giovanile, ha egli stesso ammesso lesistenza delle idee di
tutte le cose che si trovano nella realt empirica. Vediamo ora se le
indicazioni tratte dagli altri dialoghi confermano la prospettiva de-
lneata nel Parmenide.
(1) Delle idee dei termini relativi si discute senza esitazione nel
Fedone (74a9-75d5), in cui luguale e il disuguale, il simie e il dis-
simile, il maggiore e il minore sono colocati sullo stesso piano del
bello, del bene o del giusto, sul piano, cio, delle realt in s ( t
arr o ecm ); nella Repubblica (V 479b3-4), in cui lKessere doppio
e luessere meta sono consideran rispetto alie relazoni che essi per-
mettono di stabilire fra le cose empiriche che ne partecipano; e
naturalmente nel Sofista (254e2-256e3) e nel Timeo (per esempio
120 FRANCESCO FR O N TERO TTA

in 35al-8), nei quali una gran parte della discussione e consacrara


alia definizione e allarticolazione ontologica e cosmologica delliden-
tita e della diversita.
(2) Le idee delie caratteristiche o delle proprieta attribuite agli
enti e dei valori o delle qualita morali ed estetiche sono ampiamen-
te attestate nei dialoghi. Basti ricordare i casi delXIppia maggiore
(289d2-5) e dellEutijrone (6d9-el), in cui sono introdotte lidea
del bello e Fidea del santo; del Menone (72c5-dl), con Fidea della
virtu; dtd Fedone (65d4-8; 70d7-71a8; 76d7-8; 100c3-e4), chesan-
cisce Fesistenza delle idee del giusto, del bello e dei buono, del grande
e del piccolo, del pari e del dispari, della forza e della debolezza,
della velocita e della lentezza, del caldo e del freddo; del Simposio
(210e2-212a7), con la celebre descrizione dellidea del bello; della
Repubblica (V 478e7-479b l0; V I 504e7-505a4), in cui sono citate
ancora le idee del bene, del giusto, del bello e del santo, e poi del
grande e del piccolo, del pesante e del leggero; e del Fedro (247d5-
25 la7)> con le idee della giustizia, della temperanza, della scienza e,
naturalmente, della bellezza. II Sofista ammette inoltre, come e noto,
i generi della quiete e del moto (254d4-5).
Le idee comprese nelle categorie (1) e (2) non corrispondono
naturalmente ad alcun ente nella realta sensibile perche non costi-
tuiscono Fessenza di una determinata cosa empirica, bensi io stato
o la condizione delle cose empiriche, le loro caratteristiche e le rela-
zioni che esse intrattengono reciprocamente. In tale ambito, Plato-
ne accoglie anche Fesistenza di idee negative, come la dissomiglianza
(in opposizione alia somiglianza), la molteplicita (in opposizione
alFunita), il cattivo (in opposizione al buono), il brutto (in opposi
zione al bello), Fempio (in opposizione al santo), Fingiusto (in
opposizione al giusto)9. Si badi peraltro che, parlando di idee 'ne
gative, non mi riferisco certo a idee che si riducono alia semplice
assenza ontologica, al puro non essere: e del tutto evidente che la
postulazione di idee di questo genere sarebbe una brutale contrad-
dizione in termini. Si tratta invece di idee che esprimono la propria
diversita rispetto ad altre idee: il non giusto non consiste nelFas-

9Cfr. per esempio Euthphr. 5d2; Phd. 105c4; R. V 475e9'476a7; 478e7-479bl0;


Prm. 128e5-129cl; Tht. 176e3-177a2; 186a8.
LA STRfJTTURA DEL M O N D O DELLE IDEE 121

senza dei giusto (e dunque nel nulla assoluto), perch implica a sua
volta la presenza di almeno un altra qualit almeno unaltra, ma
non solo: non giusto infatti lingiusto, il contrario del giusto, ma
anche un eventuale valore intermedio fra il giusto e lingiusto, che,
pur essendo, in quanto non giusto, diverso dal giusto, non coinci
de per con lingiusto10.
(3) Idee di enti naturali, nonostante la perplessit espressa da
Socrate nel Parmenide, sono ci tte nel Menone (72a8-b2), dove si
parla delidea dellape (|ieXTTT| ... ooia); nella Repiibblica (VII
532a3-5), in riferimento alie idee degli esseri viventi, degli astri e
del sole; e soprattutto nel Timeo (51b), con le idee dellacqua, del-
Taria, della terra e del fuoco11. Bisogna inoltre considerare le idee
degli oggetti artificiali, come le opere darte o i prodotti delle attivi-
t umane: nel Cratilo (389b 1-d3) troviamo lidea della spola del
telaio, del trapano e, con un riferimento generico, degli altri stru-
menti del lavoro manuale; mentre la Repubblica (X 596b3-10) in
troduce le idee del tavolo, del letto e di tutti i prodotti artigianali
simili a questi. Accanto alie idee degli enti naturali e artificiali con
viene porre anche le idee dei numeri e degli oggetti delle matemati-
che (le forme e gli angoli delle figure geometriche, i punti e le linee

10 E perci assai opportuna losservazione di W .D. Ross, op.cit., 220-221: In


secondo luogo, esistono termini di forma negativa ma di fatto aventi un significato sia
positivo sia negativo. Piatone fa talvolta riferimento ad Idee corrispondenti a questi
termini, ad esempio alIdea di empiet e allIdea di ingiustizia, e non abbiamo prove
che eg abbia ad un certo punto cessato di credere nellesistenza di tali Idee. N vi
ragione che lo facesse; tali parole, infatti, indicano chiaramente non solo lassenza di
una qualit poich non tutto ci che non giusto ingiusto - ma anche a presenza
di unaltra qualit positiva. Ladistinzone, neUambito dellarelazionedi diversit, fra
una forma relativa e una forma assoluta (che implicam^ la prima, la semplice
opposizione dei diversi, e, la seconda, la contrariet dei diversi), riconosciuta
lucidamente da Piatone nel Sofista (257b3-c4): Quando diciamo ci che non , non
parliamo a quanto pare del contrario di ci che , ma solo del diverso da ci che .
... Come pure, parlando del non grande, ti pare che con le nostre parole indichiamo
il piccolo piuttosto che luguae?. Sul problema del non essere, dela negazione e dela
diversit nel Sofista, si vedano YAppendice I, 7-9; D. Q Brien, Le non-tre. Deux
tudes sur le Sophiste d Platon, Sankt Augustin, Academia Verlag 1995, 13-15 e 57-
64; e F. F r o n TEROTTA, L tre et la participation de l autre. Une nouvelle ontologie dans
le Sophiste cit., 341-345.
11 Non chiaro invece, a mio parere, se in Phd. 103cl 0-e5 Piatone si riferisca aile
idee della neve e del fuoco o ale cose empiriche, corae la neve e il fuoco, che
partecipano delle idee del cado e del freddo.
12 2 FRANCESCO FR O N TERO TTA

e c o s via) che compaiono nel Fedone (103e5-105b4) e nella Repub-


blica (VI 5 1 0 c l-5 1 lb 2). Le idee appartenenti a questa categoria (3)
non ammettono contrari perch sono idee di end individuals di
sostanze, e le sostanze, come per esempio il caso del dito, delluo-
mo, dellacqua, del tavolo o del numero tre, non hanno alcun con
trario: le espressioni non dito o non tre designano indubbiamen-
te unenorme quantit di enti (tutti queili che non sono identici al
dito o al numero tre) e si riferiscono perci indirettamente alie idee
di tutti questi enti, ma non corrispondono evidentemente a un ni
ca e specifica idea. Platone lo stabilisce con estrema precisione: in
questo contesto, non esstono dunque idee negative12.
Rimane il problema del netto rifiuto opposto da Socrate nel
Parmenide allesistenza delle idee (4) degli enti empirici spregevoli
o di poco valore, come il capello e il fango. Ora, non mi pare si
trovino nei dialoghi esempi che possano smentire esplicitamente
una simile presa di posizione. Tuttavia, bisogna tenere presente che,
nel Sofista (226e8-227c6) e nel Poltico (266d4-9), lo Straniero di
Elea che guida la discussione afferma con decisione che la dialetti-
ca, la scienza suprema propria dei filo soft, non disdegna di occu-
parsi anche degli oggetti pi ignobili e trascurabili, poich chi ri-
cerca la verit non teme il ridicolo n si cura del decoro o dellele-
gante vanit. E del resto, due passi della Repubblica inducono ad
accogliere una concezione onnies tensiva della teoria delle idee. Nel
quinto libro (V 507b2-9), introducendo Tesposizione della natura
dellidea del bene, Socrate formula questa premessa:

oXX KaX ... Kal rroXX ya0 Kai 'Kaara otcst e t v a i 4>a[Lv r e Kal
8iop.o[iev Tt Xyw. ... K a i a rr 8q KaXv Kal aT y a B v , Kal otco Ttepl
TTyTwv a TTe ? rroXX rL0e[i.ey, rnXiv a) k q t IS a v p ia i/ m o r o u
p.is' o u o ti? TLO^Tes', o ecrrLv ^ K a a ro v rrpoCTayopeiJop.ey.
Noi affermiamo e stabiliamo con il nostro discorso che esstono molte cose belle
e molte cose buone e analogamente tutte le altre. ... E diciamo che il bello in s

12 Cfr. R. VII 523c4-525a8, in cui Socrate osserva che, mentre per le caratteristi-
che o ie propriet deile cose, comegraadezza e piccolezza, pesantezza e leggerezza e cos
via, necessrio valutare quale degli opposti prevalgasullaltro in ciascuna cosa e tale
valutazione rimane comunque relativa e variabile - nessun dubbio sorge invece sulla
definizione di un ente: il dito l dito, e non esiste un suo contrario con il quale esso
possaessere confuso. Analogamente, n d Fedone (104a3-c6), si dice che il numero due
e il numero tre, bench Tuno pari e lal tro dispari, non sono per questo fra loro contrari,
perch i numeri non ammettono alcun contrario.
LA STRUTTURA DEL M O N D O DELLF, IDEE 123

e il bene in s e eosi rispetto a tutee le cose che prima ponevamo come molte -
e ci che ciascuna di esse , se le consideriamo ora secando l'unica ideaproprid di
ogni singla cosa.

Anlogamente, nel dcimo libro (X 596a5-8), Socrate insiste:

B o X a o>v vQvSe paj|ie0a rriCTK0TT0UvTe<:l < rfjs' eltoQua? ^ e0 8o u ; elS os-


y p ttoi t l %v ^ racrT oi' e l 9 a )ie v T 0 e a 0 a i trep e r a o r a r TroXX, o ? T a u r v
ovop.a mcj)po]j.ev.
Vuoi dunque che da qui cominciamo lindagine, con il mtodo abituale? Noi
infatti poniamo di solito una sola e nica idea p er tutte le molte cose a cui
attribuia?no lo stesso nome.

II mtodo abituale della teoria delle idee, il principio teorico


che la ispira, dunque quello di supporre Fesistenza di una singla
idea correspondente alia moteplicit delle cose empiriche che han-
no Fidentico nome. piuttosto chiaro, quindi, che alia molteplici-
t degli uomini empirici corrisponde Tnica idea di uomo, alia mol-
teplicit degli alberi empirici Fuica idea di albero, alia molteplici-
t dei tavoli empirici Fuica idea di tavolo e alia moteplicit dei
capelli empirici, legittimamente, Fuica idea di capello, dal mo
mento che a questo principio non posta alcuna limitazione. Infi-
ne, nel Timeo (51 b6-c5), Timeo ribadisce pi volte e con soiennk
la necessit delle idee, queste realt di cui sempre parliamo, dicen-
do che sono in s e per s, poste, ciascuna, in corrispondenza con
ognuna delle cose empiriche.
La conclusione da trarre mi sembra inequivocabile: per tutti i
generi delle cose present nel mondo empirico e per ciascuna delle
caratterisdche e delle qualit proprie delle cose presenti nel mon
do empirico, esiste un idea nella sfera intellegibile13. Ecco perch,
fra Faltro, non ha senso chiedersi se vi siano idee di oggetti imma-
gnari, come per esempio il centauro o un impossibile cerchio

13 Ho tralasciato in questa rassegna dei dialogh platonici, che non daitra parte
completa ed esaustiva, i riferimenti alia Ep. VII, che pur condene indicazioni
importanti sullestensione del mondo delle idee, perch la sua autenticita ancor oggi
in discussione. Un serio problema interpretativo, che e impossibile affrontare qui,
posto dalla tes dmonianza di Aristotele. In alcunipassi della Metafsica (cfr. soprattutto
A, 990b8-22) e nel D eideis (unopera perduta di cui cisono stati tramandati non pochi
frammenti da Alessandro di Afrodisia nel suo commento alia Metafsica aristotlica,
oggi editi da D. HARLFINGER, in W . L eszl , II De ideis di Aristotele e la teoria platnica
delle idee, Firenze, Olschky 1975, 17-39), Aristotele contesta lefficacia degli argo-
124 FRANCESCO FR O N TERO TTA

quadra to: la popolazione del mondo delle idee equivale, non


quantitativa.men.te, ma qualitativamente, a quella del mondo
emprico14.

menti addotti da Platone e dai platonici per dimostrare lesistenza dlie idce attraverso
una rigorosa reductio a d absurdum basara sulla constatazione che questi argomenti
inducono ad ammettere lesistenza di idee che Platone e i piatonici avrebbero invece
escluso: sono citati in particolare i casi (1) delle idee degli oggetti artificiali, (2) delle
idee negative, (3) delle idee degli oggetti particolari corruttibili e infme (4) delle idee
del termini relativi. Tuttavia, come abbiamo visto (ma cfr. anche, in proposito,
VAppendice III, 2-3), quasi tutte le idee di cui, secondo Aristotele, Platone non
avrebbe ammesso lesistenza, sono invece largamente attestate nei diaioghi platonici,
in modo chiaro e costante. Per spiegare questa contraddizione, sono state avanzare
diverse ipotesi: alcuni han no attribuito ad Aristotele una scarsa comprensione del
pensiero di Platone o, comunque, una certa infedelt, volontaria o involontaria, nel
presentarlo e discuterlo; altri hanno supposto che Aristotele non abbia distinto, nella
sua polmica contro gli ideaiistf, fra Platone e i primi Accademici e che, conseguen-
temente, parte delle sue critiche siano rivolte, non a Platone, ma ad alcuni dej suoi
discepoli; altri ancora, infine, hanno formulato iipotesi che Platone abbia professato
nella vecchiaia una dottrina diversa da quella esposta nei diaioghi e insegnata
oralmente ainterno dellAccademia: obiettivo dellanalisi di Aristotele sarebbero
dunque queste presunte dottrine non scritte. Sulla quesrione si vedano L. R o b i n , L a
thorie platonicienne des ides et des nombres d a prs Aristote, [1908], Hiidesheim, G.
Olms 1963\ 15-25; 127-130; 173-190; 609-612; H . F . C h e r MSS , Aristotles criticism
o f Plato an d the Academy, Baltimore, John Hopkins Press 1944, 223-318; P. W il p e r T,
ZioeiaristotelischeFriihschrifien iiberdieIdeenlehre, Regensburg 1949; S. MANSION, L a
critique de la thorie des Ides dans le ire pl ISeu d Aristote, in RPhL, XLVII, 1949,
169-202; G.E.L. O w e n , A p r o o f in the Peri Iden, inJHS, LXXVII, 1957,103-111
(riedito in Studies in Plato s metaphysics cit., 293-313); E. B e r T !, L a filo s o fa del prim o
Aristotele, Padova, Cedam 1962, 186-249; M . ISNARDI PARENTE, Platone e la prim a
Accademia di fronte a lproblem a delle idee degli \artefacta\ in RSF, XIX, 1964, 123-
158 (riedito con alcune variazioni in M . ISNARDI PARENTE, Techne. Momenti del
pensiero greco da Platone a Epic uro, Firenze, La Nuova Italia 1966, 7-76); I d ., Per
l interpretazione dlia dottrina delle idee nella prim a Accademia Platnica, in AIIS, I,
1967, 9-33; W . L e s z l , //De ideis di Aristotele cit., 119-140; 185-237; 279-304; 331-
348; e in ultimo G. F lN E, On ideas. Aristotle's criticism o f P latos theory o f forms, edition
and translation, Oxford, Clarendon Press 1995. Per uno status quaestionis relativo ale
cosiddettedottrine non scrkte1di Platone, rinvio al mio Une nigmeplatonicienne. La
question des doctrines non-crites, in RPhA, XI, 1993, 115-157.
54 II numero delle idee non pari al numero delle cose empriche, perch, come
abbiamo appena visto, non esiste una singla idea corrispondente a ogni cosa emprica
(per esempo, una singla idea di uomo corrispondente a ogni uomo emprico), ma
una singla idea corrispondente aliintera categora d cose empiriche che hanno lo
stesso nome (per esempio, una singla idea di uomo corrispondente a tutti gli uomini
empirici). La questione estata egregiamente definir da R.E. ALLEN, Plato jEuthyphro
a n d the earlier theory offorms cit., 82: AForm is not a hypostatized meaning, for there
may be expressions which mean but have no application - goat-stag and squared
circle, for example. A Form is not a possibility, or a Whiteheadean eternal object,
since there may be possibilities which nothing satisfies - as witness unicorns. A Form
LA STRUTTURA DEL M O N D O DELLE IDEE 125

3. La partecipazione fra le idee

Se esiste un mondo intellegibife popolato dai generi corrispon-


denti alie cose empiriche present nella sfera sensibile, ai loro attri-
buti e alie loro relazioni, sar opportuno chiedersi quali rapporti
essi intrattengano luno con Faltro.
Innanzitutto, che le idee debbano stabilire una reciproca parteci
pazione, ho cercato di mostrarlo attraverso lanalisi della struttura e
dei presupposti impliciti del mtodo di interrogazione socrtico
nei dialoghi definitori, dalXLppia maggiore e dall'Eutifrone fino al
Protagora, al Menone e soprattutto al Cratilo. Infatti, dal momento
che i nomi e il linguaggio non rappresentano che un immagine delle
cose cui si riferiscono e poich il Xyos1 costituisce esclusivamente
una manifestazione verbale del proprio contenuto oggettivo15, la
definizione di ogni singla realt ideale, ossia la combinazione si
gnificativa di parole che la descrive essenzialmente, dovr necessa-
riamente prevedere una fedele ricostruzione delle sue relazioni con
le altre idee, per scoprire con quali idee comunichi e con quali non
comunichi e, conseguentemente, a quali idee sia simile e da quali
dissimile, da quali idee sia compresa e quali comprenda sotto di s:
soltanto in base allindagine di questa mappa ontologica diverr
possibile e legittima lattribuzione di determinad predicad allog-
getto della definizione sul piano logico-semantico16. E del resto,
passando ai dialoghi della maturit, in un contesto teorico assai pi
articolato e complesso, Platone spiega (cfr. R. V I 51 Ib3-c2) che il
compito affidato alia dialettica consiste, da un lato, nellascesa im-

is rather the nature o f something which is, and existential import is therefore built into
the very notion o f it; the question of whether there are Forms which nothing has rests
on confusion.
1Cfr. il 3 del cap. H e Cra. 438e2-439b9.
1(5Cfr. il 2 del cap. II. Si consideri dakra parte che questa proprio la difficoita
sollevata in Sph. 25 Ia8-c2; 251e7-252d l: nessun discorso, nessuna predicazione,
nessuna. attribuzione di qualsivoglia caratteristica a un soggetto sar possibile, se si
afferma che le realta cui le parole si riferiscono e da cui dipendono non intrattengono
fra loro aicuna relazione (px|8eiA jJX|8ev pTiSep-tai* Swa^LiF lx ^ v KOLuaivas1 el?
Hr8i'). in tal caso infatti, occorrerebbe urilizzare singoli nomi uno per uno, in una
sorta di espressione monosillabica e priva di senso, perch non esisterebbe un criterio
valido per la combinazione delle parole: in ultima analisi, di nessun oggetto potrebbe
essere detto che e, se nullapartecipasse de\Yesseve. Per {a questione della comunicazio-
ne fra i generi ne! Sofista, rinvio 2$ Appendice I, 5-
126 FRANCES C O FR O N TERO TTA

mediata e intuitiva fino al principio anipotetico del tucto, ma, dal-


laltro, nella discesa fmo alla conclusione (m TeXeurqv) del ra-
gionamento, attenendosi aile conseguenze che da quel principio
derivano (xp.evos' tcov eKe'tvi]? exopivtijy), servendosi sempre
delle idee stesse, per s stesse e rispetto a s stesse e terminando il
proprio percorso fra le idee ('rrpoaxpcpcvos'... eSeaiv cijtos' S i
clvtv els dvr kg TeXeura ei eq). Mi pare fuor di dubbio
che Platone intenda sostenere cosi che lesercizio dlia dialettica,
almeno nella sua fase discendente*, impone una verifica rigorosa e
completa delle relazioni fra le idee: la discesa dal principio
anipotetico, secondo le conseguenze che da quello derivano, ver
so le idee e servendosi solo delle idee in s stesse e per s stesse,
implica lesistenza di una srie di rapport! fra il principio anipotetico
e cio che gli sottoposto le idee e fra le idee reciprocamente17.
Ecco perch dialettico sar esclusivamente chi si dimostri capace
di realizzare una visione di insieme (owo^is) delle discipline che
ha appreso e dlia natura dellessere (rq? to oyTo? (|nxjecjs,) ls-
Ma soprattutto, a qusto proposito, alcun dialoghi offrono una
testimonianza, seppur rapida, diretta ed espcita. Nel Cratilo (438e5-
10), Socrate afferma che il modo pi corretto ed efficace per cono-
scere gli enti a cui per primi furo no posti i nomi - le idee - quello
di volgersi a tali enti in s stessi e per s stessi e, se sono simili, nelle
loro rlazioni (el ... auyyevfi amv, Kal arr S l amSv)19. E
ancora, nella Repubblica (V 476a4~7), si osserva che ogni idea

17 Cfr. il 3 del cap. III. Anche nel Fedro (2 6 5 c 8 -2 6 6 c l), la dialettica riconduce,
con uno sguardo dinsieme, la motepicit delle cose sparse quae lau n unicaidea (el?
piav Te LSav auvopvTa yeiv tcl TroXXaxti Steaitapiiva); in seguito, divide il proprio
oggetto secondo le sue forme naturaii (KaT ei5rj ... Siarp.mi')- La divisione
delJidea prescelta, secondo le sue forme naturaii, deve essere complu ta, mi pare, nel
rigoroso rispetto delle relazioni che essa intrattiene con le altre idee, procedendo cio
da questa idea a quelle che di essa partecipano e ksciando da parte, invece, tutte le idee
che con essa non comunicano in alcun modo. Si veda H. T e lo h , The isolation and
connection o f the form s in Platos middle dialogues, in Apeiron, X , 1976, 25-28.
,s Cfr. R. VII 537b 8-c7: ... pu yp awotmKs: SlciXcktlks', S p.f| o. Sul
concerto di cnVotl/is1, si veda futile studio di P. KUCHARSKI, La place de la notion de "vue
d'ensemble*' (awo^is-) dans l pistmologie platonicienne, [1970], in P. KuCHARSKI,
Aspects de la spculation platonicienne , Paris-Louvain, Batrice-Nauwelaerts 1971,
3 5 9 -3 8 6 .
19 Per il dibattito sulla presenza delia teoria delle idee nel Cratilo , cfr. il 5 dei cap.
II, soprattutto n. 39-
LA STR U TT RA DEL M O N D O DELLE IDEE 127

nica, bench sembri moltepice per il fatto che si manifesta ovun-


que in virt della comunicazione con le azioni, con i corpi e con le
altre idee (auT [sai: el 809] [ev ev exaorov evai, rfj Se Ttov
Trpd^ecay Kai ocp-Tcuy Kal XXrjXov Koivwva TTavTaxo
cj)avTa|j.eva TToXX ^aveaQai eracrrov).
Ora, se sussistono delle reazioni di partecipazione fra le idee,
bisogna cercare di definire i criteri che ne governano il dispiega-
ment. E interessante osservare che, almeno fino aile opere della
maturit, Platone non fornisce alcuna indicazione in proposito, con
fuica eccezione di un passo del Fedone (104b6-105a5) in cui
Socrate identifica pochi ma precisi limiti allestensione del rappor-
to partecipativo nella sfera dei generi. In primo uogo, viene stabi-
lito con sicurezza che non comunicano certamente le idee dei ter-
mini contrari, come il grande e il piccolo20, il pari e il dispari, il
caldo e il freddo e cos via (Ta vavria dXXqXa o) 8exn.eva).
Anlogamente, un idea che ha in s uno di due contrari, non pu
partecipare sotto lo stesso rispetto (1) dellaltro contrario (dXXd Kal
oaa oik v t XXfjXoLs* kvavTa exei el TvavTa, otiSe T a u r a
eoiKC Sexo^vois' eKevr|v ttjv LSav f\ v Tfj ev avTs oicrq
evavra fj) n (2) di una seconda idea che, pur non essendole con
traria, ha pero in s il contrario di quello di cui la prima partecipa.
Per esempio, lidea del tre (f) tSv Tpiiv Sa), che non eviden
temente il contrario n del due n del pari, tuttavia, in quanto
sempre necessariamente dispari (dypTios') e ha in s lidea del
dispari (t ... TrepiTTv ... del aim> mc^pei), non partecipa
perci (1) del pari (djioipa 8f| roO apriou Ta Tpa), il contrario
del dispari, n (2) del due, che sempre necessariamente pari
(apTio?) e ha in s Fdea del par. Nuovamente, in termini forma-
li, se X in s21 e Y in s sono due idee fra loro contrari, mentre A

20Cfr. P/W. 102cL6-7: aT t (j.yeBos1 oSttot 0Xeu< a fia jiya Kal <rp.iKpi'
e l vai.
21 Avendo accoko neJ paragrafo precedente una concezione onniestensiva della
teora delle idee, in virt della qnale esistono idee per ogni specie di cose empiriche
present nella sfera sensibie, lespressione X in s (e tutte quelle simili ad essa)
designer, qui e di seguito, una qualunque idea di una qualunque caracterstica Y
prescelta a titoio di esempio. inoltre degno di nota che, ne riferimento alie idee,
Platone si serve indiferentemente di sostantivi come la bellezza (t kcWos1) o
Tuguaglianza (rj LaTT]?) e dei corrispondenti aggettivi sostantivati come, per
128 FRANCESCO FR O N TERO TTA

in se e B in s.sono due idee diverse ma non contrarie e A in se


partecipa di X in s\ laddove B in s partecipa di Y in s, allora:

<
(1)
X in sc non parteciper a nessuna condizione di Y in s
(2 )
A in s non parteciper a nessuna condizione di Y in s (poich gi partecipa di
X in s, contrario di Y in s), come pure B in s non parteciper a nessuna
condizione di X in s (poich gi partecipa di Y in s, contrario di X in s e ) ;

in s e B in s neanche parteciperanno a nessuna condizione fra loro, giac-


ch, pur non essendo contrari, partecipano gi, ciascuno indipendentemente e
separatamente daaltro, di due contrari (rispettivamente, X in s* e Y in s ).

Al di fuori delia sfera delia contrariet cosi defmita, tutte le idee


possono dunque stabilire, almeno potenzialmente, ogni relazione
reciproca. Occorre daltro canto tenere presente che Tesposizione
schemtica di queste regle generali verra precisata, approfondira e
in parte corretta soltanto nel Sofista, attraverso una minuziosa analisi
deUarticolazione dlia comunicazione dei generi ( o L v a iv a tcv
yevv) nel contesto delia rigorosa eiaborazione delle catgorie logiche
e ontologiche di negazione, diversit, opposizione e contrariet22.

4. La struttura del mondo delle idee e la collocazione dellidea del bene

Per completare la descrizione delTimmagine del mondo ideale


presup posta dalla dottrina dei generi, ri mane da affrontare il pro
blema dlia struttura ontologica di questa regione del reale o, pi
esattamente, dlia ricos truzione dlia presunta gerar chia fra le idee.
Infatti, bench Platone non si sia espresso esplicitamente in tal sen-
so, non pochi interpreti hanno suggerito che la classificazione dei
modi di conoscenza esposta nel sesto libro dlia Repub blica> con la

esempio, i l bello < n s> ( < a T >


t KaXi') o Tu guale <in s> ( <
c t > r ^ ):
lc to i

conseguentemente, mi servir a mia volta, in termini formali, delle espressioni X in


s o x-ic, la prima a indicare evidentemente Iuso sostantivato delPaggettivo V , la
seconda il corrispondente sostantivo.
22 Cfr. Sph. 251a5-258c5. Una presentazione sommaria dlia dottrina dlia
parcecipazione fra le idee nel Sofista svolta neli'Appendice I, 5.
LA STR U TTU RA DEL M O N D O DELLE IDEE 129

cosiddetta teoria della lin e a , implichi in effetti una netta e rigida


gerarchia delle idee, in particolare con 1introduzione di certe realt
intermedie semi-ideali fra le idee e le cose empiriche23. Questa
supposizione, la cui iegittimit viene fatta dipendere fra laltro dal-
lautorevolezza deila testimonianza di Aristotele, si presenta sotto
due forme diverse. Secondo alcuni, Platone avrebbe sostenuto lesi-
stenza di una classe di enti non ideali e non sensibili a un tempo e
percio intermedi fra le idee e le cose: si tratterebbe degli oggetti
delle matematiche ( t }i a 0 r | | i a T i K d ) , contenuto della ragione
discorsiva (8ictvoia) e indagati attraverso il metodo ipotetico dei
geometri. Secondo altri invece, una simile distinzione andrebbe
ricollocata allinterno delia stessa sfera delle idee: esisterebbero dun-
que determinate idee, proprio quelle degli oggetti delle matemati-
che sottoposte al metodo ipotetico, inferiori e, per cosi dire, meno
chiare delle idee dei valori e delle qualit morali.
La prima di queste ipotesi si basa, oltre che sul brano della linea,
su alcuni passi dei dialoghi, in cui Platone sembrerebbe stabilire
una differenza fra le idee e lo statuto ontologico dei numeri e delle
figure geometriche24. In R. V II 526al-7, Socrate osserva infatti che,
se qualcuno interrogasse i matematici, chiedendo loro quali siano i
numeri di cui parlano, nei quali presente lunit sempre identica e
priva di parti ( d p i 0 [ i v ... y ols' to ev oloy i^ ie T ? d^iouT cmy,
Leroy T e C K a a T o v Tray ttolvtI a i o8 crjiiKpoy 8ia(j)poy, (jLopiov
Te xoy y auT oSy), essi risponderebbero che si tratta di
numeri concepibili solo con il pensiero, poich impossibile consi-

23 Per lesposizione e lanalisi dlia teoria dlia linea cfr. il 3 del cap. III. Al di
l delle indicazioni generali e schematiche che fornir qui, rinvio ancora a Y.
L a f r a n c e , Pour interprter Platon cit., soprattutto 63-172; 235-241, p e r una biblio-
grafia pressoch complta e un acuto bilancio critico degli studi sul problema delle
realt intermedie fra le idee e le cose empiriche.
241 principali e pi autorevoli sostenitori di taie ipotesi in questo secolo sono stati
L. R o BIN, La thorie platonicienne des ides et des nombres d'aprs Anstote cit.; J.
SouilH, L a notion platonicienne d intermdiaire dans la philosophie des dialogues, Paris,
F. Alcan 1919, 76-92; 100-108; A.E. T a y l o r , Forms an d numbers: a study in Platonic
metaphysics, in Mind, X XXV -XXXV I, 1926-1927, 419-440, 12-33; A. W e d b e r g ,
Plato's philosophy o f mathematics, Stockholm, Almquist & Wiksell 1955, 10-15, 84-
135; S. M a n s io n , L'objet des mathmatiques et l o bjet de la dialectique selon Platon, in
RPhL, LXVII, 1969, 365-388. Sulla questione si veda il lucido esame di W. L e s z l ,
Filosofia e costituzione dlia realt in Platone cit., 204-209-
130 FRANCESCO FR O N T ER O TTA

derarli altrimenti (toijtcov ... y Siavorjqvai jivov y^tpe, aXAco


8' ouSafico LLeTaxapCeo'&K SuvaTv). Nulla impedisce tuttavia
che i numeri concepibili solo con il pensiero, lungi dal rappresen-
tare un insieme di enti intermedi fra le cose empiriche e le idee,
coincidano invece precisamente con ie idee dei numeri: il riferi-
mento a ciascuna unit (to tv ... eraoTOv) non significa che esi-
stano pii unita (ci che assurdo, se Tunit coincide con Tidea
delTuno), ma semplicemente che Tnica idea deuno, Tunit in s,
si manifesta identicamente in tutti i numeri, che sono infatti com-
posti da una pluralit di single unit25. Analogamente, in Phlb.
56d4-e3, Socrate distingue unaritmetica della moltitudine, che
opera con unit disuguali (jiovas' vLaous1) come due eserci-
ti, due buoi, due cose assai piccole o assai grandi - e un aritmtica
filosfica, che ragiona invece delle unit identiche e immutabili
(povSa ... (i.T|8e^av XXrjv aXris1 SLa^powav). Anche in questo
caso, per, non occorre affatto formulare Tipotesi che Taritmetica
filosfica riguardi delle unit intermedie fra le cose empiriche e le
idee. Al contrario, innanzitutto evidente Tallusione alTassoluta
diversit fra le unit empiriche, mutevoli, imperfette e variabili, e
le unit ideali eterne e permanenti, da cui discende inoltre Taffer-
mazione che nessuna unit (ideale) differisce dalTaltra in alcun
modo, ci che non implica che vi siano pii idee delTuno, ma, nuo-
vamente, che la singla idea delluno rimane la stessa in tutti i nu
meri: non a caso, discussa qui la tcnica del calcolo e della misura,
che presuppone la costante auto-identit delTunit in s per le infi
nite volte che compare negli infiniti numeri consideran26. Tornan-

25 Questa lettura s accorda del resto con ci che Socrate aveva ricordato poco
prima (in V 4 7 6a4-7; cfr. il 3 di questo cap. IV): ogni idea nica, bench sembri
moheplice per fatto che si manifesta ovunque in virt della comunicazone con le
azioni, con icorp ieco n le altre idee (arr |iv' ev icaaTov el rai, rQ S ri' irp^ewv
Kal acajj.Ttiji' Kal X\f]Xti)i' Kou'ima Trai/Taxo (j>ayTa^|iei'a ffoXX ^aveaQai
emcrrov).
26 E impossibile dscutere qui nel dettaglio ia testimonianza aristotlica (per la
quale cfr. soprattutto Metaph. A, 987b 14-18; 990a29~32; 991a2-5; b27-30; M,
1079a32-36; N, 1090b32-35; D e ideis, 78, 16-17; 79, 13-15) che stata oggetto di
unattenta anahsi da parte di H.F. CHERNISS, The riddle o f the early Academy,
Baltimore, John Hopkins Press 1945, 75-78. Cherniss ha dimostrato come le parole
dello Stagirita diano adito a diverse interpretazioni: innanzitutto, non affatto
scontato che, trattando della dottrina degli oggetti delle matematiche intermedi fra
le idee e le cose, Aristotele si riferisca dawero a Platone e non, per esempio, a un altro
LA STRUTTURA DEL M O N D O DELLE IDEE 131

do poi allesposizione della linea, Platone attribuisce senzaitro ai


numeri e alle figure, oggetto della geometra e delle matematiche,
una posizione in qualche modo intermedia (jieTa^, R. VI 51 ld4)
fra il sensibile e lintellegibile, ma non certo sul piano ontologico,
bensi soltanto dal punto di vista metodologico o epistemolgico:
ad essi infatti assegnato un genere di conoscenza, per cos dire,
misto, che, pur rivolgendosi alle idee intellegibiH, procede ipoteti-
camente servendosi di immagini sensibili. I ji.a0r||j.aTiKd sono per-
tanto collocati a meta strada fra idee e cose esclusivamente in virt
dellimperfetta conoscenza da parte del soggetto conoscente e non
rispetto alia loro natura e al loro stat to27.
Proprio da questa constatazione muove la seconda ipotesi inter
pretativa relativa alle realt intermedie, che non riguarda lesisten-
za di enti intermedi fra ie idee e le cose empiriche, ma si limita a
dedurre dalla gerarchia metodologica o epistemolgica dei modi di
conoscenza tratteggiata nella linea una simile gerarchia ontologica
fra le idee, con il presupposto che, se metodi conoscitivi di diverso
valore conoscono diversi gruppi di idee, allora possibile individua
re unanaloga differenza di valore fra le idee: le idee degli oggetti
delie matematiche, contenuto deUimpreciso mtodo ipotetico, sa-
rebbero poste perci al di sotto delle altre idee, indagate
compiutamente dalla dialettica28. Conviene rilevare pero che lana-

accademico (forse Senocrate); inokre, non tutte le indicazioni di Aristotele sembrano


artes tare inequivocabilmente lesistenza di questa doctrina, perch assumono calora un
significato piuttosto impreciso e generale.
27 Rinvio nuovamente, per lanalisi della linea, al 3 del cap. III. Si consideri
inoltre che idee dei numeri e degli elementi geometrici sono ampiamente atistate nei
dialoghi e in nessun modo distinte dalle altre idee, come ho messo in evidenza nel
2 di questo cap. IV.
2! Cfr. soprattutto F.M . CoFLNi-GRD, Mathematics and. dialectic in the Rep ubiic V I
VI I cit.; W .D . Ross, op.cit., 94 sgg., 231-274, 279-284; rientrano nelFambito di
questo filone interpretativo, almeno per cert aspetti, anche J. CATAN, Plato on noetic
intermediaries, in Apeiron, III, 1 9 6 9 ,1 4 -1 9 ; e S. S c o l n i c o v , On theepistemological
significance o f Platos theory o f ideal numbers, in MH, XXVIII, 1971, 72-77. In
particolare, Cornfordhasuggerito che Platone pensasse a una netta divisione frale idee
dei valori e delle qualit morali, dominate dallidea del bene posta come principio etico
anipotetico, e le idee degli oggetti delle matematiche, con al vrtice Iidea deliuno,
principio numrico e geomtrico anipotetico. Ross ritiene invece che, pur non
sussistendo prove sufficienti in favo re dell ipotesi di enti intermedi fra le idee e le cose,
occorre pero ammettere che, se la linea indica procedimenti diversi per lo studio delle
realtaideali (il mtodo ipotetico e la dialettica), e se un mtodo discudio appropriato
132 FRANCESCO FR O N TERO TTA

lisi della linea non conforta neanche una lettura di questo tipo:
spiegando la natura della conoscenza intellegibile e dei procedimen-
ti che la caratterizzano (VI 5 10b2), So crate introduce in effetti, dap-
prima, un mtodo ipotetico inferiore e meno chiaro, senza attri-
buirgii inizialmente alcun oggetto specifico. E solo in segui to, e di
fronte alia perplessit del suo interlocutore (VI 5 10b 10), che egli
ilustra la natura di tale mtodo proponendo il caso dei geometri e
delle matematiche (VI 510cl-d 3), citato a titolo di semplice esem-
pio chiarificatore (paov totgjv TTpoeiprjiJ.vwv' ^ia0f|<xr)): nulla in
duce quindi a credere che il mtodo ipotetico, che rappresenta del
resto una modalita della conoscenza intellegibile, appartenga esclu-
sivamente alia geometria e alie matematiche e si rivolga pertanto a
determinate idee soltanto (appunto quelle degli oggetti della geo
metria e delle matematiche) e non ad altre29. Mi pare invece che la
diversit fra il pensiero discorsivo e il mtodo ipotetico da un lato e
il pensiero intuitivo e la dialettica dairaltro rimanga, costitutivamente,
una diversit metodologica priva di qualunque implicazione
ontologica, con Fowia conseguenza che entrambi i metodi possono
essere impiegati, indijferentemente, con tutte le idee30. La stessa idea,

a un insieme di idee e un altro mtodo appropriato a un altro insieme, la ragione di


ci deve consistere nellesistenza di qualche differenza oggettiva tra i due insiemi.
Tuttavia, come mostrer sbito, nessuna di queste letture sembra ave re fondamento
sul piano filosofico e tescuale.
29 A pi riprese (R VI 5 1 1 b l-2 ; d3-4; V II 533b7~8) Socrate associa il mtodo
ipotetico, non alia geometria, ma alia condizione della geometria e delle discipline
dello stesso genere ( t t iv S ;
t y e a > | i .e T p L K J t ' T e
i t t v ical |
t w e&.i'): se ne
t o l o t g jiv

deduce che laccento non va posto su una disciplina specifica la geometria, appunto
- ma sul mtodo parcicolare che pu appartenere a diverse discipline. Tale mtodo
non si rivolgera dunque soltanto agli oggetri dela geometria, ma agli oggetti di tutte
le discipline che procedono ipoteticamente. Del resto, nel Fedone (100b 1-7), il
procedimento ipotetico applicato da Socrate al caso della beliezza e dellidea del bello,
e non agli oggetti della geometria o delle matematiche, in un contesto in cui, pur con
la dovuta cautela, non mi pare sia prevista al cuna limitazione allimpiego di questo
mtodo.
30 E del resto impossibile citare, contro questa conclusions, passo della
Repubblica (V 4 7 7 c1-478b2) in cui Socrate stabilisce il principio secondo il quale
ogni facolt conoscitiva diretta per natura a un oggetto diverso (n aXAui XTj
S w a iiij Tr<>JKv): e facolt conoscitive li chiamate in causa coincidono precisamen
te con la scienza e con Fopinione, dunque, rispettivamente, con Vintera sezione
dell in tellegi b tie che conosce le idee e con Viniera sezione delVopinabile che opina le cose
empiriche. II pensiero discorsivo con il mtodo ipotetico non costituisce perci, di
per s, unafacolt conoscitiva intermedia (e diretta a idee intermedie) fra il pensiero
LA ST R U TT U R A D EL M O N D O D ELLE ID EE 133 /
/
\-
per esempio il beiio in s (o il triangolo in s), pub essere conosciuta \
ipoteticamente, attraverso le immagini sensibili della bellezza (o dei
triangoli disegnati materialmente), e dialetticamente, in virtu del-
lintuizione immediata del bello in s (o del triangolo in s) con la
successiva ricostruzione dei suoi rapporti con. le altre idee. Le idee
degli oggetti delle matematiche non devono dunque essere colloca
te per nessuna ragone al di sotto delle altre31.
La teoria della linea non fornisce insomma alcuna indicazione
in favore dellesistenza di enti intermedi fra la sfera ideale dellesse-
re e lambito sensibile del divenire: le uniche realt da Platone espres-
samente definite intermedie (|j.eTa;i>) si trovano fra lessere pieno
delle idee e lassoluto non essere di ci che non affatto e si riduco-
no alia molteplicit delle cose empiriche, inferiori alie idee vera
mente essenti, ma non coincidenti con la semplice assenza del puro
nulla32. Neppure esistono, daltro canto, idee di maggiore o di mi-

intuitivo (rivolto alie idee pi alte) e lopinione (adatta alie cose sensibili):
indubbiamente, in virtu del fatto che la sezione dellintellegibile e la sezione dellopi-
nabile comprendono al proprio interno procedimenti diversi e di diverso valore, e
owio che il grado inferiore della conoscenza intellegibile, il pensiero discorsivo, e il
grado superiore dellopinione, la credenza, siano fra loro pi vicini degli altri due (e,
in tal senso, in qualche modo intermedi, cfr. R. VI 511 d3-5), ma nulla pi di questo
si autorizzati a supporre.
31 In R. V I 510d 5-511al, Socrate afferma che i geometri fanno uso delle
immagini sensibili delle figure geometriche nella dimostraztone dei teoremi, pur
avendo in mente le forme astratte di quelle figure. Tuttavia, ci implica soltanto che
i geometri con il loro mtodo hanno bisogno dellaiuto delle immagini sensibili, ma
nulla induce a ritenere che siano gli oggetti della geometra di per s a esigere il ricorso
alia rappresentazione materiale: largomentazionesocraticapone infatti laccento sulla
natura del mtodo e non sullo statute ontologico del suo contenuto. Presumibilmen-
te, il dialetrico con il suo mtodo supremo sar capace di trattare gli stessi oggetti a un
altro e pi alto livelio: il gemetra dovra perci, per dimostrare un teorema, tracciare
le figure e disegnarle; il dialetrico riuscir invece a svolgere la dimostrazione rivolgen-
dosi direttamentee intuitivamente alle idee in s delle figure geometriche e dei numeri.
E rimane a questo proposito unevidente ambiguit: sara possibile, per esempio,
sommare lidea del due e lidea del tre o, ancora, dimostrare che lidea della superficie
dellidea del quadra to corrisponde allidea del lato moltiplicata per s stessa? Bench
infatti Platone non abbia a mi parere distinto lo statuto degli oggetti delle matema
tiche da quello delle altre idee, e tuttavia impossibile sfuggire a simiti, bizarri
interrogativi. E non escluso che latestimonianzadi Aristotele (cfr. supra, n. 26) possa
essere intesa, pi che come un fraintendimento o una diversa mterpretazione della
posizione di Platone, come un tentativo di segnalare queste difficolt.
32 Cfr. R. V 4 7 8 el-4 7 9 d l e il 5 del cap. II. Sulla definizione dello statuto
ontologico delle cose empiriche in divenire, si vedano i 1 e 3 del cap. V.
134 FRANCESCO FR O N TERO TTA

nore valore ontologico rispetto ad altre idee: risultano di maggiore o


di minore valore metodologico ed epistemolgico le modalita attra-
verso le quali il soggetto conoscente accede alie idee e ne acquista
la scienza33. Del resto, in questa prospettiva (non ontolgica, ma
metodologica o epistemolgica), senza dubbio possibile individuare
altre forme di gerarchia fra le idee.

( 1)
Sul piano lgico della definizione, le idee possono essere classificate, secondo la
loro ampiezza semantica, in uno schema ver ti cale alia cui sommit si eolio cano
le idee pi generali, che comprendo no sotto di s, in un ordine progressivo e
discendente, le idee meno generali: per esempio, lidea di anmale comprender
sotto di s lidea di anmale quadrupede e lidea di anmale bpede; questultima
comprender a sua volta lidea di anmale bidepe privo di ragione e lidea di
animale bpede dotato di ragione e cos'i via34.
(2)
Rispetto alia presenza delle idee nel mondo emprico, noto che nicamente al
bello in s, e non alie altre idee, Platone attribuisce la facolt di manifestarsi in
tutto il suo splendore nella sfera sensibile e di rendersi immediatamente percepibile
alia vista35.
(3)
Dal punto di vista conoscitivo infine, alcune idee si rivelano suscitatrici dintel-
ligenza (r TTapaK\r)TiK tts 1 SivoiasO, perch, pii delle altre, si appellano
alia riflessione e al pensiero e ne sollecitano lintervento36.

Nessuna di queste forme di gerarchia configura pero una grada-


zione ontologica del mondo delle idee, che sembra perci caratte-
rizzato da una radicale orizzontalita: non esisterebbero dunque

33 Questa tesi stata sostenuta da P. S h o r e y , Ideas an d numbers again, in C P h ,


X X II, 1927, 213-218; R, H a c KFORTH, Plato's divided line an d dialectic, in CQ,
X XX V I, 1942, 1-9; H.F. C h e r n is s , Aristotle's criticism o f Plato an d the Academy cit.,
479-487; 513-524; Id., The riddle ofthe early Academy cit., 75-78; R.C. C r o s s & A . D .
W o o z l e y , PLzto s Republic cit., 231-261; J. A n n a s , On the intermediates, in AGPh,
LVTI, 1975, 146-166; e, in ultimo, da R.D. .M oH R , The number theory in Platos
Republic V II WPhilebus, in Isis, LXXII, 1981, 620-627.
34 Cfr. il 2 del cap. II. Si vedano inoltre F . M . CORNFORD, P latos theory o f
knowledge cit., 2 6 8 - 2 7 3 , e sop rattu tto R .E . A llen , P latos Euthyphro an d the earlier
theory o f form s cit., 9 1 -9 3 . C o n tro 1potesi di una gerarchia logico-sem antica delle
idee si espresso H . F . CHERNISS, Aristotles criticism o f Plato an d the Academy cit., 4 6 -
4 8 ; Id., The riddle o f the early Academy cit., 4 -6 ; 5 4 .
35 Cfr. Phdr. 250b5-el e i 1-2 del cap. III.
36 Cfr. R. VII 5 2 3 a l 0 -5 2 4 d 5 e il 1 del cap. III.
LA STRI j T TU R A DEL M O N D O DELLE DEE 135

idee che sono di pi o pi realmente (pXXov vTa) delie altre37.


Tuttavia, per accogliere definitivamente una simile conclusione,
occorre considerare il problema decisivo della collocazione dellidea
del bene nel sesto e nel settimo libro della Repubblica, giacch pro-
prio il bene sembra h descritto da Platone come in qualche modo
pi essente delle altre idee e causa della stessa essenza di ci che .
Inizialmente (VI 504e4-507a5), Socrate intraprende la tratta-
zione del bene, piuttosto enigmticamente, qualificandola come la
disciplina suprema (p iy io r o v (lQqiia), poich in virt del-
lidea del bene che le cose giuste o di altra natura divengono utili e
giovevoli (q ro ) yaQo IS'a ... 13 Sfj Kal SKaia kgll rSXXa
TTpooxpr|CT|ieva x P ^ M -a Kal ooc^Xip.cx y y v e r a i) : perfino la co-
noscenza non ha alcun valore, se non e accompagnata dalla scienza
del bene (aveu Se ravrris- [sciL: Tf)9 y a 0 ou iSas*] el o tl p-Xiora
TaXXa m ora|j.e 0 a ... o)8ev f|ply o^eXos*), n serve a nulla com
prendere alcunch senza bene (f oleL t l nXov elva i ...TTotvra
TaXXa <poveiv aveu ro yaQo;). Infatti, anche le cose giuste e
belle di cui si ignori come siano in relazione con il bene (yvoo|ieva
ottq iroTe ya0 crnv), avrebbero, per cos dire, un guardiano
assai poco degno (ou ttoXXo tlv o ? atov <j)ijXaKa) e nessuno
potrebbe conoscerle sufficien te mente prima di aver compreso i loro
rapporti con Fidea del bene (ptriSm abr uprepov yvwaeaOai
LKaycos1). Di fronte allinsistenza dei suoi interlocutori, Socrate ac-
cetta di affrontare largomento, ma, vista la difficolt della materia,
solo indrettamente e per immagini, parlando del figlio del bene
ins(Tv tkov re Kal eKyovov aTo tou y a 0 oO). La discus-
sione sul figlio del bene prende le mosse dalla ormai nota distin-
zione che la teoria delle idee stabilisce fra i generi, concepibili esclu-
sivamente con xl pensiero, e le cose empiriche, percepibili con i
sensi (VI 507b 2-508d l0). Ora, nelfmbito della conoscenza sen
sible, perch la vista veda dawero i suoi oggetti, necessaro lin-

37 Le diverse forme di gerarchia metodolgica ed epistemolgica appena elencate


presuppongono senza dubbio determinate differenze oggettive fra le idee, ma non
rispetto alia loro essenza e al loro essere: bisogna infatti distinguere le caratteristiche
specifiche di ogni singla idea, come Lampiezza' semantica o laccessibilita conosci-
tiva, dal fatto che tutte le idee sono idnticamente. precisamente da questo punto di
vista ontologico che non e apparso fin qui possibie identificare una reale gerarchia fra
le idee.
136 FRANCESCO FR O N TERO TTA

tervento del sole che, diffondendo ovunque la sua luce, mette la


vista in condizione di vedere nel modo migliore e rende le cose
visibili suscettibili di essere viste (o^tv Te ttolc! pv tl KaXXicrra
Kal T pj|j.eva paaBai): pur non coincidendo con la vista n
con gli occhi, il sole causa (aiTios1) della facolt di vedere che da
esso deriva (tt|V 3vva[iiv ... K to tou Tajiteuop.i/qy) e la vista ,
a sua volta, Forgano di senso pi affine al sole (fiXiocioTaTov ...
TJV TTcpi r d\.o$r\oei$ pyvwv). In questa ottica, il sole mostra
la sua natura di figlio del bene: in effetti, Fazione del sole nel mon
do sensibile rispetto alia vista corrisponde a quella del bene nella
sfera intellegibile rispetto allintelletto e ai suoi oggetti (oriuep aT
[scil,: to yaQv] kv tco voqTw tttc Trps r e vow Kal T
voojieva, TOJTO Tot)Tov kv Tt paTui irps" re oijiiv Kal T
pCL>p.eva). Come gli occhi, quindi, Fanima appare dotata di intel-
letto e conosce dawero soltanto quando contempla cio che illu-
minato dalla verit e dalFessere (Tav \iev ou KaTaXd|iTreL aXr|0ei{i
te Kal t o ov ... jiepor\rai, vqav t e Kal ... vovv xciv
<atveTai); se invece si rivolge alie tenebre e alFoscurit dei diveni-
re, essa rimane imprigionata fra le opinioni, come ottusa e priva di
intelligenza (el t tw oktco KEKpa\vov, t yiyv\LEvv t e Kal
rroXX|ievov, 8oa t e Kal |j.j3Xut)TTeL ... Kal eoiKev au vovv
o k e x o y T !-)'

La descrizione delFidea dei bene giunge cosi al suo culmine (VI


508el-509c2): il bene conferisce la verit alie cose conosciute e la
facolt di conoscerle al soggetto conoscente (t ttj^ \r|0eiay
irapxoy tois* yiyva)CTK0|iv0LS- Kal to yiyvwcrKovTi tt]v 8va[uv
iroLv rriv to yaBo LSav evai.) e, bench sia causa d
conoscenzae di verit (alTav 8 manrmris- o w a v Kal aArjOelas),
si rivela tuttavia diverso, pi bello e di maggior pregio delia cono-
scenza e delia verit (XXo Kal kW lov ctl totiv [scil.: yvGE
Tf Kal XriOeias-] . . . e t i p.ei,ya)s* tijut^tcov). Inoltre, alia maniera
del sole, che fornisce ai sensibili non solo la luce e la visibilit\ ma
anche il nutrimento, la generazione e la crescita (rqv yevryjw
Kal aufrrjv Kal Tpoc^qv), senza per questo coincidere con la genera
zione (o yvr|CTLv arrv ira), il bene trasmette ag enti intellegibili,
oltre alia verit, Fessere stesso e Fessenza (t elva t e Kal Tqv
oijoav itt Ketyou avrcs* TTpoacXuai), ponendosi da canto suo
al di l delFessenza per dignit e potenza (eTrcKeiva t f\ ovoa
LA STR U TTU RA DEL M O N D O DELLE IDEE 137

Tipecjeia Kal Swa^iei TrepexovTos1)- In tal senso, chi vuole agire


rettamente deve apprendere il bene (VII 517b7-c6) con il pensiero
intuitivo e il metodo dialettico (VII 532a5-b3), distinguendolo da
tutto ci che da esso diverso: per nessunaltra via potranno essere
conosciuti il bene in s e ogni cosa buona (VII 534b8-dl).
Di fronte al profondo disaccordo fra gli studiosi e alle contra-
stand ipotesi cui Finterpretazione del ruolo delFidea del bene ha
dato luogo, con Feffetto paradossale di complicare ulteriormente
una questione ehe non andrebbe forse soprawalutata38, pare neces-
sario cercare di delineare innanzitutto il quadro complessivo nel
quale si inserisce Fesposizione platonica del bene, per stabilire alcu-
ne premesse e alcuni presupposti generali. Conviene in primo luo
go osservare ehe, se la filosofia aristotelica e post-aristotelica tendo-
no manifestamente a considerare le indagini etiche, fisiche e meta-
fisiche come ambiti di riflessione fra loro sostanzialmente indipen-
denti e separati, probabile ehe Platone non ammettesse una simi
le distinzione e ritenesse invece ehe la conoscenza e la scienza han-
no un valore specifico, non tanto di per s e per la propria corret-
tezza e verit, ma piuttosto nella misura in cui sono eticamente

3S La bibliografia relativa alla natura e alia collocazione del bene nella sfera ideale
assai ampia; rinvio pertanto, ancora una volta, a Y. LAFRANCE, Pour interprter Platon
cit., soprattutto 63-172,176-182, e mi limito a tratteggiare uno schema delle principal!
interpretazioni proposte, con poche eccezioni, in questo secolo. (1) Alcuni hanno
supposto ehe lidea del bene debba essere identificata con la suprema divinit o con la
figura del demiurgo introdotta nel Timeo\ cfr. A.A. K r o HN, Studien zur sokratisch-
platonischen Literatur, Bd.I: Der Platonische Staat, [1876], New York, Arno Press 1976,
132-162; J.G .M . L o e n e n , D e Nous in hetsysteem van Platos Philosophie, Amsterdam,
Jasonpers Universiteitspers 1951, 106-119; E. T u r o l l a , Ilproblem a fondam entale del
platonismo e il mito solari nel V I della Politeia, in GM, VIII, 1953, 214-259; A.
K e l e s s i d o u - G a l a n o u , L a conception platonicienne du divin dans les Lois et le Time et
son rapport avec le Bien de la Rpublique, in iETriaTruioviKfi' EttettipIs: rf)? ^iXoao^iKrjs"
2xoXf) roi) navemaTTipiouA0r|yi/, XXI, 1970-1971, 303-316. Contro lidentifi-
cazione del bene con la divinit, si espresso efficacemente H.F. C h e r n is s , Aristotles
criticism o f Plato an d the Academy cit., 603-610. (2) La maggioranzadegli interpreti ha
suggerito ehe lidea del bene coincida con lorigine e la causa ontologica o meta-
ontologica delle altre idee e del tutto: cfr. P. SHQREY, The idea o f good in Platos
Republic: a study in the logic o f speculative ethics, CPh, S u p p l. I, 1895, 188-239; L.
R o b i n , Platon, [1935], nouvelle d. parP.-M. S c h u h l , Paris, PF 1968, 81-87; G.M.
G r u b e , P latos thought, [1935], new edition by D .J. Z e YL, London, The Athlone Press
1980, 23-28, 253-258; N.I. B o u s s o u l a s , La crativit du Bien et la mtaphysique de la
mixis platonicienne, in Sophia, XXVTI, 1959, 209-219; Id., La causalit du Bien et la
mtaphysique du mlange platonicien, in RMM, XLVTI, 1962, 65-109; W. Wl ELAND,
Platon undder Nutzen der Idee. Zur Funktion der Idee des Guten, in AZP, I, 1976, 19-
138 FRANCESCO FR O N T R O TTA

fondate; e che, daltro canto, nessun criterio morale, neanche il


sommo bene, effettivamente e concretamente applicabile, se non
viene precedentemente conosciuto e defmito. Cio impone una du-
plice conseguenza: ogni indagine morale dovr per necessit essere

33; T . Irwin, P latos moral theory. The early an d middle dialogues, cit., 220-226; D.
LUBAN, Theform oftheG oodin the Republic, in JValuelnq, XII, 1978,161-168; N. P.
W h i t e , A companion to Plato s Republic, Indianapolis, Hackett 1979,30-45; J . Annas,
An introduction to Platos Republic, Oxford, Clarendon Press 1981, 242-293; A.
G r a es Ek, Jenseits von Sein. Mutmaungen zu Status und Funktion der Ideen des Guten,
in FZPhTh, X XXV III, 1981,70-77; N.P. W h i t e , The classification o f good in Platos
Republic, in JHPh, XXII, 1984, 393-421. (3) Altri hanno avanzato Tipotesi ehe
lidea del bene rappresenti invece il principio teleologio o assiologico del reale e, come
tale, sia oggetto di conoscenza razionale: cfr. W. LuTOSLAWSKY, The origin an d growth
o f P latos logic, [1897], Dubuque, Brown Reprint Library s.d., 290-310; P.M.
CORNFORD, Mathematics an d dialectic in the Republic V I-VII cit.; H.W .B. JOSEPH,
Knowledge an d the G ood in Platos Republic, Oxford-London, Oxford Univ. Press-G.
Cumberlege 1948; W .D . Ross, op.cit., 69-75; N. M u r p h y , The interpretation o f Plato's
Republic cit., 151 -206; E. De STRYCKER, L i de de Bien dans la Rpublique de Platon,
in AC, XXXIX, 1970, 450-467; Y. L a f r a n c e , Platon et la gomtrie. L a mthode
dialectique en Rpublique 509d-511e, in Dialogue, XIX, 1980, 46-63; L . B r is s o n ,
Le mme et l a utre dans la structure ontologique du X im zde Platon cit., 132-136. Contro
questa ipotesi si vedano J.A. F e s t u g r e , Contemplation et vie contemplative selon
Platon, [1936], Paris, Vrin 1950, 167-209, 402-407; C J . De V o g e l , Encore une fois
le Bien de la Rpublique de Platon, in Zetesis. Album amicorum door vrienden en
collegas aangebodine aan Prof. Dr. E. De Strycker, Antwerpen-Utrecht, De
Nederlandsche Boekhandel 1973, 40-50, ehe hanno sostenuto ehe il bene costituisce
piuttosto loggetto di una conoscenza non razionale o di unesperienzamistica. (4) Altri
ancora, infine, hanno cercato di definire la questione da un punto di vista storico,
rispetto ai rapporti fra lidea del bene e luno, principio primo dlia filosofia neo-
platonica: cfr. P. MERLAN, From Platonism to Neoplatonism, [1953], The Hague,
Nijhoff 19753, 101-102; J. W h i t t a k e r , E ire K e im w>0 Kai oi'ia, in VChr, XXIII,
1969, 91-104 (ma si veda anche in proposito infra, n. 47); oppure rispetto allinfluenza
della concezione platonica del bene nel pensiero moderno: cfr. P. N a t o r p , Platos
Ideenlehre. Eine Einfhrung in den Idealismus, Leipzig, Drr 1903, 188-201; H.M.
BAUMGARTNER, Von der Mglichkeit, das Agathon als Prinzip zu denken: Versuch einer
transzendentalen Interpretation zu Politeia 509b, in Parousia. Studien zur Philosophie
Platons und zur Problem-geschichte der Platonismus. Festgabe fr J. Hirschberger, hrsg.
von K. FLASCH, Frankfurt, Minerva 1965, 89-101; T . E b e r t , Meinung und Wissen in
der Philosophie Platons. Untersuchungen zum Charmides, Menon und Staat, Berlin-
New York, De Gruyter 1974, 132-208; R. F e r b e r , Platos Idee des Guten, Sankt
Augustin, Academia Verlag 1989, 167-211. Si vedano inoltre i preziosi contributi di
G. $lLUTTl,Aldi l della sostanza: ancora su Resp. VI 509b, in Eienchos, 1 ,1980,225-
244; L. COULOUBARITSIS, Le caractre mythique de l a nalogie du Bien dans Rpublique
VI, inDiotima,XlI, 1984,71-80; S. C u n n in g h a m - P a r , On Platosform o f the Good,
in Gnosis, XII, 1984/3, 94-104; R.B. W il l ia m s o n , Eidos an d Agathon in Platos
Republic, in S J R , XXXIX, 1989-1990/1-2,105-137; D. L a c h t e r m a n , W hatisthe
G ood o f P latos Republic, in SJR, XXXIX, 1989-1990/1-2, 139-171; W. L e s z l ,
LA STRUTTURA DEL M O N D O DELLE IDEE 139

condotta su un piano scientifico e secondo un mtodo razionale


universalmente valido e, inversamente, ogni conoscenza risulter
per sua natura orientata eticamente e mai moralmente neutrale39.

Filosofia e costituzione della realt in Platone cit., 179-192. E assai stimulant!, anche se
in un contesto filosofico piu generale, sono le riflessioni di H . - G . G a d a m ER, Die Idee
des Guten zwischen Plato und Aristoteles, Heidelberg, Winter 1978.
39 A riprova della diversit fra le posizioni di Platone e dei pensatori posteriori
suHunk o la pluralit delie discipline filosofiche, bast pensare alia tradizionale
suddivisione fra lgica, fsica ed etica, caratteristica delle dottrine ellenistiche, ma
presente, almeno implicitamente, gi nelle opere aristoteliche (sulla partizione delle
discipline filosofiche nel pensiero post-aristotelic si veda solo P.O. KRISTELLER,
Filosofi greci dellet ellenistica, Pisa, Pubbl. delia Scuola Normale Superiore - Classe
di Lettere e Filosofia 1991, 16 sgg.). Infatti, gi ad Aristo tele sembra sfuggire
lintrinseco nesso fra Fetica e il problema delia conoscenza stabilito da Placone e dal
Socrate platonico che definisce il senso morale della ricerca filosfica o spiega,
viceversa, la necessita di determinare un quadro scientifico ben preciso per la
formulazione del giudizio morale. Per esempio, nel celebre excursus storico-filosofico
contenuto nel libro A della Metafsica, lo Stagirita ricorda (987b 1-4) che Socrate,
abbandonata findagine sulla natura, si rivolse aetica per cercare in essa 1universale
(t Ka0\ou t )t o w t o s -) e per primo riflett sul problema della definizione (rrepl
piap.w'). Aristotele descrive insomma la riflessione socratica nei termini di unanalisi
scientifica della struttura della definizione e della sua universalit - quindi come una
questione lgica e conoscitiva, autonoma e valida di per s - che Socrate applic, certo,
alia sfera morale, ma applicabile, al limite, anche alie scienze naturali. Tuttavia,
secondo la testimonianza dei dialoghi platonici (per i quali si vedano i 2.1-2.6 del
cap. I e il 3 del cap. II), Socrate non distinse davvero lesigenza morale dalla ricerca
dell universale, considerndole invece come un problema filosofico nico e inscindibile:
lobiettivo di Socrate non sarebbe stato cio quello di procedere allindagine etica
attraverso lo strumento logico-iinguistico del mtodo definitorio o, inversamente, di
formulare i criteri universal! della definizione per rispondere allesigenza morale;
piuttosto, egli avrebbe riconosciuto che il problema logico della definizione ha di per
s unimplicazione morale - perch il fatto stesso di defmire il valore o i criteri del
giudizio rappresenta di per s una conquista morale e che, daltro canto, la ricerca
morale non pu che awenire nel contesto di un mtodo logico universale e assoluto.
Se questo vero, opportuno supporre che il Socrate1 platonico e Platone stesso
attribuissero all1esame ontologico sullessere e sul non essere e alia definizione
epistemolgica1 della conoscenza, deiPopinione e dellignoranza un intrnseco ed
essenziale valore morale; ci che plenamente e compiutamente perfetto, bello e
buono; ci che parzialmente o assolutamente non , invece, imperfetto, manche-
vol e cattivo. Analogamente, in una simile prospettiva, latto del perfetto e vero
conoscere assume la forma di una buona azione; fatto dellignorare o dellimperfetto
opinare si configura invece come una mancanza1 e una cattiva azione. II valore e il
significato intrinsecamente morali della ricerca della definizione o della conoscenza
sono del resto frequentemente messi in luce nei dialoghi platonici giovanili (cfr. in
particolare il 3 del cap. II zL a. 190b3-e3; H p M a. 286c3-287b3; Euthphr. 5a3-d6;
6d9-e6;A/72. 71a3-d8; 89e6-90b4) ematuri (cfr. per esempio Phd. 64a4-68b6; R. VII
5 1 8 b 6 -5 2 1 b ll; Phdr. 248e3-249d3). E questa anche, come cercher subito di
140 FRANCESCO FR O N TERO TTA

Condotto ailestremo, questo ragionamento induce a pensare che


le scienze naturali come la biologia, la fisica o lastronomia e le
stesse discipline matematiche esatte come laritmetica, la geo
metria o i calcolo delle armonie musicali - per quanto corrette e
produttrici di verit, non abbiano aicun significato n alcun valo
re se non sono poste in relazione con la sfera morale e non mirano
in ultima analisx a un obiettivo determinato sul piano etico. Per
altro verso, si capisce come la correttezza e la verit della conoscen-
za e della scienza sollevino un problema morale decisivo nel mo
mento in cui la differenza fra verit e falsit assume una netta
connotazione morale: paradossalmente, e al limite con una certa
esagerazione, bisogna riconoscere che, secondo Platone, 1afferma-
zione due pi due fa quattro avr un valore morale positivo, rap-
presentando cosi una buona azione, mentre laffermazione due
pi due fa cinque avr al contrario un valore morale negativo, rap-
presentando perci una cattiva azione40.
Solo a queste condizioni, credo, diviene possibile comprendere
significato delle parole di Socrate, quando sostiene che lidea del
bene rende utili e giovevoli le altre idee (fj [sdi: rou ayaOoO I8a]

mostrare, lottica in cui occorre collocare la discussione sullidea del bene e suite sue
relazioni con le altre idee.
40 Dal punto di vista del pensiero moderno, simili affermazioni non hanno
evidentemente alcun significato perch il valore di una proposizione scientifica o di
una scienza in generale dipende esclusivamente dalla sua verit e correttezza: in questa
ottica, due pi due fa quattro una proposizione vera e corretta, mentre 'due pi due
fa cinque una proposizione falsa ed erronea, e nessunaitra considerazione aggiuntiva,
specie poi di natura morale, si rivela necessaria. Al limite, di alcune scienze possibile
valutare 1utilit pratica e concreta, ma non certo sul piano morale: mora o immorali
possono essere le applicazioni di una scienza, ma non Ia scienza in s e rispetto a s
stessa. Per Platone, invece, i criteri di valutazione di una proposizione scientifica si
pongono al di l delia determinazione delia sua verit o falsit. Non solo occotre
riconoscere T'orientamento' morale della conoscenza e della scienza in generale, ma
questo orentamento morale risulta decisivo e prioritrio: la proposizione due pi
due fa quattro non soltanto vera e buona, ma soprattutto vera in quanto buona\ la
proposizione due pi due fa cinque non soltamos/w e cattiva, ma soprattutto falsa
in quanto cattiva. Sebbene ci possa sembrare paradossale e perfino assurdo per il
lettore moderno, questo il senso dellintera discussione sul bene condotta nel sesto
e nel settimo libro della Repubblica\ il legajme fra la valutazione etica e la verit oggettiva
o, addirittura, la preminenza della valutazione etica sulla verit oggettiva di qualunque
cosa o del giudizio su qualunque cosa costituisce agli occhi di Platone, come cercher
di metre re in luce, un principio necessrio ed evidente.
LA S T R U T T URA DEL M O N D O DF.I.l.E IDEE 14 1

Sq Kai SiKaia ai TaXXa TTpocrxPincr|_ieva x P 'n L!JL<:x K a i w<f>Xi|a


yyveTai, V I 505a3 sgg.) e la conoscenza di esse, perch nessuna
conoscenza serve a nulla se non conosce il bene e i suoi rapporti
con le altre idee (aveu S TaTris' [sal.: Tf|s- ya0ou ISas*] et o tl
pXicrTa TaXXa em aT ai[ie0a ... ou8v f)[iiv oc^eXo?): le idee cono-
sciute al di fuori della loro relazione con lidea del bene (yvoo[ieva
our] TTOT ayaSd e a riv ) avrebbero infatti, per cos dire, un guar-
diano di poco valore (ou ttoXXo t i vos aiov <f>XaKa, VI 506a4-
7). Occorre constatare del resto che Feccellenza del bene in s e la
sua superiorit rispetto alie altre idee sempre indicata da espres-
sioni che non designano in nessun modo una preminenza
ontologica, ma di carattere etico o morale: il bene non coincide
con la verit e con la conoscenza, ma pi bello e d ip i alto pregio
di queste (<Taya0v> XXo Kai kXXlov e n totw v [scil.\ y v o e s
Te al aXTiOeas] ti lieL^vos1 Tip.r]Tov, VI 508e5-509a5), n si
riduce allessere e allessenza, superando lessenza in dignith epoten
za (<Taya0oLi> TTKeiva tt\$ oaas TrpeCTpeq. Kai 8uv|iei
nTepxovTos, VI 509b9-10). Ora, in una simile prospettiva, come
intendere la defmizione del bene, causa di verit e conoscenza
(alTav 8 ouaav Kai Xr|0eias'), che, pur non coinci-
dendo n con la verit n con la conoscenza, attribuisce tuttavia la
vert alfoggetto conosduto e la capacit di conoscerlo al soggetto
conoscente (t tt |V Xr|0eiav Trapxov tol? yiyvoaKO^ivois
Kai t yLyvcrK otm tt)v 8vapiv rro8L8v ttiv toO ya0o
i8av etvai, VI 508el-4)? E in che senso il bene conferisce lessere
e lessenza (t elva re Kai Tf|V ooav jtt Kevou [sal.:
Tdya0oO] aiTots1 TrpoaeTvai) alie altre idee, a sua volta ponendosi
al di la dellessenza per dignit e potenza (VT 509b6-10)?
In virt di ci che e stato detto fin qui, mi pare ragionevole sup-
porre che il bene rappresenti il fondamento morale della verit di
tutte le cose e la causa finale di ogni conoscenza, nel senso che di
ogni conoscenza stabilisce rorientamento, lurilit e la finalit ul
tima. Ecco perch lidea del bene non si riduce semplicemente alia
verit e alia conoscenza, ma si rivela p i bella e di p i alto pregio di
queste, in quanto della verit e della conoscenza sancisce il valore
assoluto. Anlogamente, se conferisce lessenza agli enti intellegibili,
trascendendo tuttavia lessenza p e r dignita e potenza > il bene non
142 FRANCESCO FR O N TERO TTA

sarpiu essente delle altre idee sul piano ontologico, ma>piu degno e
piupotente, fornira loro i1 valore e Tessenza morale41. Gli elementi
considerati mi inducono insomma ad accogliere un interpretazio-
ne a un tempo teleologica e assiologica del ruolo e della coilocazione
del bene nel mondo ideale: Iidea del bene costituisce cosi, da un
lato, il fine ultimo dellagire e del conoscere e, dallaltro, la fonte e
lunit di misura del valore morale di tutte le cose. E non certo in
chiave irrazionalista o mistica: il bene, come Platone subito precisa,
a sua volta oggetto di conoscenza razionale ( < t t )i ; T d y a G o u Lav>

w y iy v o a a K w ^ v T jv j i v lclvoo), VI 508e4)42.
Questa conclusione permette infine di comprendere senza diffi-
colt Ienigmtico riferimento di Socrate, nel corso delia presenta-
zione delia teoria delia linea, airvuTreTos' apxq t o v TravT, il
principio primo e immediatamente auto-evidente che determina la
verit o la falsit di ogni ipotesi, al quale il dalettico giunge intui
tivamente e dal quale discende deduttivamente per rendere conto
dellessenza e delia verit di tutte le cose (VI 51 Ib6-c2)43: Tidea del
bene, in quanto rappresenta lorigine e il fondamento incondizio-
nato e assoluto del valore delle altre idee, si identifica senza dub-
bio con il principio anipotetico dal punto di vista morale; daltro
canto, ciascuna idea, essendo come le altre e altrettanto realmente

41 Espressione moderata di questa tes queila di F.M . CORNFORD, Mathematics


an d dialectic in ^ R e p u b lic V I-V II cit.; Id., Plato an d Parmenides. Parmenides Way
o f Truth and Platos Parmenides translated with an introduction and a running
commentary, London, Rourledge & Kegan Paul 1939, 132: ... whereas you can
always ask the reason for a things existence and the answer will be that it exists for the
sake of his goodness, you cannot ask for a reason for goodness; the good is an end in
itself. Masivedano in proposito an che gli interpret! citatinellasezione (3) della n. 38.
1,2 Un punto debole di questa interpretazione rappresentato dalla traduzione e
dal significato della capitale affermazione di Socrate in VI 509b7-8: t eXvai T e m i
rf]^ otiatav im Kevou [scil.: rayaQoOj av roi Trpooetvcn. E evidente che qui viene
detto esp licitamente che Lessere e lessenza derivano alle idee dal bene in s e,
sebbene sia possibtle sostenere, come ho fatto, che fessenza e f'essere coincidono in
tal caso con il valore e 1essenza morale delle idee, si tratta tuttavia senza dubbio di
una integrazione e di una precisazione di non poco conto. Ml pare del resto che
questo sia 1unico modo per comprendere Largomentazione di Platone: che senso
avrebbe altrimenti affermare che il bene trasmette Tessere e 1essenza ontologica alle
altre idee, senza essere per esso stesso essenza, ma al di l dell'essenza per dignit e
potenza? Come potrebbe un ente che non p iu essente, ma solop iii degno ep iu nobile
degli altri, conferire loro 1essere e 1essenza in senso proprio?
43 Sul riferimento al principio anipotetico nel contesto dellesposizione della
teoria della linea, si Veda soprattutto il 3 del cap. Ill e le n. 33-34.
LA STR UTTURA DF.L M O N D O DELLE IDEE 143

delle altre, , per sua natura, prima, incondizionata e assoluta e


rappresenta perci, in s e per s, ii fondamento anipotetico di
tutto ci che da essa. dipende dal punto di vista ontoiogico44. I
dialettico quindi, se vuole ricostruire le relazioni morali fra le idee
o il loro Valore etico, non potra limitarsi a formulare unipotesi
iniziale e a procedere da quella nel suo ragionamento, ma dovra
accedere intuitivamente ai fondamento morale non ipoterico e pri
mo, al bene in s, per comprendere le modalit secondo le quali
esso conferisce il valore morale alie altre idee e al tutto. Viceversa,
se intende individuare le caratteristiche ontologiche5delle idee, per
esempio la loro unit, la loro identit con s o la loro reciproca
diversit, senza arenarsi nelFincompleta indagine ipotetica, dovr
rivolgersi intuitivamente al fondamento ontologico non ipotetico
e primo che attribuisce alie altre idee lunita, Fidentit con s e la
diversit dalFaltro da s, ossia, rispettivamente, alFidea deFuno,
allidea delFidentico e alFidea del diverso45.
Neanche Farticolata discussione sul bene sembra dunque pro-
durre prove sufficienti dellesistenza di una gerarchia fra le idee ri-
spetto alia loro essenza e al loro essere46. Lo straordinario rilievo

44 A mia conoscenza, gli unid studiosi che hanno esteso a tutte le idee la
definizione e il ruolo di principio anipotetico sono K.M. S a y r e , Platos analytic
method, Chicago-London, Univ. o f Chicago Press 1969, 40-56; R. H a c k f o r t H ,
P latos divided line an d dialectic de.; e H . W . M lLLS, Plato's non-hypothetical starting-
point, in D U J,XXXI, 1970,152-3 59. La tendenza interpretativa prevalente infatti
quella di identificare 1 principio anipotetico esclusivamente con Iidea del bene: cfr.
per esempio R. R o b i n s o n , Platos earlier dialectic cit., 156-160; W . D . Ross, op.cit., 83
sgg.; N. M u r p h y , The interpretation o f Plato s Republic dr., 151-206; R.C. C r o s s &
A.D. W o o z l e y , P latos Republic cit., 231-261.
45Un esempio di questa indagine dialctica 'ontologica contenuto, come noto,
nellaparte centrale del Sofista (cfr. soprattutto 252el-257c4). Per una presentazione
sinttica della questione si veda VAppendice I, 5-6.
46 Nessuna indicazione nei dialoghi incoraggia del resto a ritenere che Platone
abbia stabilito fra i generi ideali una diversit costitutiva ed essenziale: al contrario,
come abbiamo gia visto (cfr. soprattutto il 1 di questo cap. IV), il loro statuto
sempre caratterizzato dallassoluta e indifferenziata omogeneita ontologica e ciascuno
diessi, indistintamente, jiovoeLSes' ov avT kclQ' abr (Phd. 78d5-6). D altro canto,
non meno vero che, nel pensiero di Platone, appare assai netta la tendenza a
sovrapporre e talora persino a far coincidere - la sfera ontologica con quella
epistemolgica, lgica, etica e cosi via (cfr. anche supra, n. 37), ci che conduce a
constatare che, comunque stiano le cose, il particolare accento posto (pur se esclusi
vamente sul piano teleologico e assiologico) sulla collocazione dellidea del bene produce
unevidente asimmetria ontologica, un unicum che non ha del resto alcun riscontro
144 FRANCESCO FRONTERO TTA

dato allidea del bene nei libri centrali della Repubbiica dimostra
soltanto che possibie ciassificare le idee secondo un ordine mora
le verticale dominato dal bene in s: sul piano ontologico, invece,
il mondo delle idee rimane rigorosamente omogeneo, uniforme e
orizzontale47.

negli aitri dialoghi platonici. Su questa difficolt, si veda ancora W . L e s z l , Filosofia e


costitiizione della realt in Platone cit., 179-192.
47 Una posizine da considerare a parte ne! dibattito suile realt intermedie fra
le idee e le cose e sulla collocazione deidea del bene quella della cosiddecta scuola
di Tubinga, per la qule cito soltanto gli esempi pi rappresentativi di H J . KRMER,
Arete bei Platon und Aristoteles. Zum Wesen und zur Geschichte der platonischen
Ontologie, Heidelberg, Winter 1959, 13-39, 249-318; I d ., ber den Zusammenhang
von Prinzipienlehre und D ialektik bei Platon: zur Definition des Dialektikers Politeia
534b-c, in Philologus, CX, 1966, 35-70; K. G a ISER, Platons ungeschriebene Lehre.
Studien zur systematischen und geschichtlichen Begrndung der Wissenschaften in der
platonischen Schule, Sturtgard, Klett 1968, soprattutto 39*172; H .j. KrMEK Eiricafa
Tfj oola.Z/)iztoM,PoUteia509b) in<<AGPh,LI, 1 9 6 9 ,1-30;J.N . FlNDLAY, PUto.
The written a n d unwritten doctrines, London, Routledge & Kegan Paui 1974, 182-
196; K. G a ISER, Plato s enigmatic lecture On the G ood, in Phronesis, XXV, 1980,
5-37; G. R e a l e , Per una nuova interpretazione d i Platone, Milano, Pubbl. dellUniv.
Cattolica del Sacro Cuore 1991,0. Secondo questi interpreti, Platone avrebbe profes-
sato ailinterno dellAccademia alcune dottrine orali di cui i dialoghi scritri non
conservano che tracce sporadiche e solo parzialmente ricostruibili attraverso la
testimonianza di Aristo tele: in particolare, Platone avrebbe sosten uto lesistenza di una
dualit di principi primi meta-ontologici, luno e la diade indefinita, dalla cui
reciproca opposizione derivano lessere e le idee, i numeri ideali e le entit matematiche
e, infine, le cse empiriche e il mondo materiale. Cosl fortemente gerarchizzata la
prospettiva ontologica in tal modo attribuita a Platone, da indurre gli studiosi dela
scuola di Tubinga ad affermare, da un lato, che lidea del bene si riduce a una semplice
maschera delluno, principio originario del tutto posto al di sopra dello stesso essere,
e, dallaltro, che i numeri ideali e le entit matematiche compongono precisamente
quella sfera intermedia necessaria a colmare la discontinuit del reale, atriment
insuperabile per la rigorosa separazione fra le idee e le cose empiriche. II problema
principale di una simile interpretazione, da un punto di vista propriamente filosofico,
rappresentato soprattutto dallimproprio tentativo di ricomporre l bipolarismo
essenziale e inconciliabile delFontologia e dellepistemologa di Platone (illustrato
appunto dalla separazione fra le idee e le cose) in una radicale unir sistemtica e in
unassoluta continuit ontologica, con la riduzione aluno, principio primo genera-
tore del tutto, da cui dipendono lininterrotta processione degli esseri e la progressiva
degradazine verso la materia e il divenire. Nessuna indicazione negli scritti platonici
n nessuna testimonianza di Aristotele permettono per, a mi parere, di giungere a
simili conclusioni, che appartengono forse al platonismo neo-platonico, ma non
certo a Platone. Per una presentazkme dinsieme e un tentativo di verifica storico-
testuale di questa discutibile ipotesi interpretativa, che impossibile ripercorrere qui
interamente, rinvio nuovamente al mi Une nigme platonicienne. L a question des
doctHnes non-crites cit.
V.

LE IDEE E LE COSE EMPIRICHE

1. Il mondo' sensibile e lo statuto delle cose empiriche in divenire

Gli assunti delia teoria delle idee che definiscono la natura e lo


statuto ontologico degli enti ideali incidono anche, negativamente,
sulla costituzione delia regione sensibile: la radicale separazione
( x t o p i a | i ) che preserva limmutabile e compiuta perfezione delle

idee, riunendole in un mondo protetto e dagli insuperabili confi-


ni1, delimita infatti, simmetricamente, un mondo sensibile delle
cose empiriche in divenire. Platone si esprime in proposito con
es trema chiarezza nel Fedone, nella Repub blica e nel Fedro per non
citare che gli esempi pi espliciti parlando del genere visibile
(t elSos1 ... p o r r v ) delle cose perennemente mutevoli (ra ...
|j.r|8TroTe K a r a T a r r ) , del genere o luogo visibile, sensibile e
oggetto di opinione ( t p a r v yvo? T e K a i t t t o . .. aCT0r|Tv
... 8oaorv), o, ancora, del mondo terreno e celeste ( t etaoj t o i
obpavov) delle cose empiriche, in opposizione al sito iperuranio
( t v rrrepoupviov t t t o v ) , dimora delle idee2. Intendo tuttava

affrontare il problema della natura e della struttura del mondo sen


sibile esclusivamente nella prospettiva adottata fin qui e dunque
per va indiretta, limitatamente alie conseguenze filosofiche del-
1potesi dei generi sullo statuto delle cose empiriche rispetto allas-
soluta differenza ontologica fra due livelli del reale e, daltra parte,

1 Sulla legittimit della costituzione di un mondo delle idee, cfr. il 1 del cap.
IV. Per limpiego del termine x^piCT^, con i problemi linguistci che suscita, si veda
il 1 del cap. II, n. 2.
2 Cfr. ancora il 1 del cap. IV e Phd. 79a6-10; R. VI 509d l-5; Phdr. 247b7-
248c2.
146 FRANCESCO FR O N T ER O 'ITA

alla loro necessaria e reciproca relazione: vedremo che le cose empi-


riche si riducono, in questa ottica, al semplice pendant ontologico
dlia sfera ideale3.
Sempre incostanti e in movimento, e perci oggetto dellincerta
e debole opinione, le cose empiriche sono prive di un essenza de-
terminata o di caratteristiche stabili4; in tal senso, rimangono
manchevoli e parziali (veaTcpa), intrinsecamente ambigu e
confuse (Tairra [scil. : Ta aloBqTd] ttol\<Pot tv), relative e strut-
turalmente diverse da s (<r ala0qTa> eKacrra pcj^Tpiov [scil.:
tv vavTiajy] ... icai p.qSTOTe Kcrr Tairra elcriv).
Inoltre, vincolate corne sono a un destino di generazione e corru-
zione (yeyaeojs' Kal <t>0op.) segnato dal divenire incessante, non
possono costituire in alcun modo un piano di realt auto-referenziale
n avere in s, diversamente dalle idee, la propria ragion dessere5.
Infme, ponendosi corne contenuto dlia percezione e dei sensi a
causa dlia propria natura materiale, le cose sono dette sensibilf
(aLo0r|Td) e non intellegibili (voqTa): di esse non si d quindi vera
conoscenza (mcmr|p.r|), ma sensazione (aiaGriaiS') o opinione sen-
sibile (8a)6. La condizione di imperfetta e solo parziale conoscibilit
delle cose empiriche permette di comprendere le ragioni delline-
quivocabile giudizio pronunciato da Platone. Confinati in una ra
dicale minorit ontologica, gli enti empirici si rivelano senza dub-
bio meno essenti e meno reali delie idee ridotti al rango di semplice
parvenza o simulacro (eiScaXov) sul piano del sembrare (4>aIvecr0aL)

3 Lascio invece com pletam ente da parte ii probiem a cosm oiogico dellorigine del
m ondo sensibile, con il ciclo cosm ico dlia generazione e delta corruzione, dlia sua
structura fisica e biologica e delta sua com posizione materiale, che Platone affronta,
corne noto, nel Timeo. Sulla questione (che sar appena introdotta nelAppendice II,
2) rinvio soltanco a L. B r i s s o n , Le mme et l a utre dam la structure ontologique du
T im e de Platon cit., soprattutto 1 7 8 -2 2 0 e 4 0 1 - 4 1 2 .
4 N el Cratilo (4 3 9 d 8 -e 2 ), Socrate rileva corne sia mpossibile affermare che cio che
semp re mutevole e in m oto (del tepxeTa.L) sia daw ero (tl ... co tiv ) e possieda certe
caratteristiche ben definite (oti ... tolotov), se, m utando e muovendosi continuam en-
te, diviene subico altro e d altra specie: come potr infatti essere quaicosa cio che non
mai alto stesso modo? (ttj ovv du ct) r i eKetuo o ^riSiroTe crauTjg- ?XL-
5 Cfr. per esempio Pbd. 7 4 a 9 -e 5 ; 7 8 c 6 -7 9 a 5 ; R. V 4 7 8 e 7 - 4 7 9 d l .
6 Sulla natura dellopinione, form a di conoscenza parziale e im perfetta, e sulla
differenza epistem ologica e ontologica fra Topinione e la scienza e fra i loro oggetti,
cfr. il 3 del cap. III.
LE IDEE E LE CO SE EMPIRIC HE 147

- giacch, collocandosi a met strada fra essere e non essere (peTa;i>


roD elXiKpivs vtos Te Kai to TrvTw fif] ovtos'), sono . non
sono contemporaneamente ( < T a i a 0 r j T > otgjs* erxL ch? eivai
T e Kai prj elvar ... djia ov T e Kai frq ov), mancano dei requisiti

necessari alla vera conoscibilit, mentre possiedono, al contrario, le


caratteristiche proprie delf'opinabile: la mutevolezza, la corruttibilit,
la forma temporanea, materiale e solo apparente degli oggetti di
opinione7.
Ecco perch, in generale, certo possibile sostenere ehe le cose
empiriche divengono sempre (yiyvpeva pv dei), mai ehe sono
dawero (ovTa 8 ouSnoTe). Il divenire (f) yveens'; t yiyvecrai)
la categoria ontologica ehe, opponendosi allessere pieno delle
idee (to TTavTeXs elvai), dsigna e definisce la natura inferiore
delle cose e il grado di esistenza ehe ad esse conviene: divenire signi
fies infatti mutare eternamente e continuamente il proprio stato
nello spazio e nel tempo attraverso la generazione e la corruzione,
la nascita e la morte, in un processo incessante di composizione e
decomposizione ehe coinvolge inesorabilmente tutto cio ehe si tro-
va nel mondo sensibile e che, dei mondo sensibile, rappresenta in
ultima analisi il principio fondamentale e il carattere distintivo8.

7 Ho cercato di dimostrare e di definire nel dettaglio la stretta corrispondenza fra


lo statuto ontologico di un ente e il suo grado di conoscibilit nel 5 del cap. II.
8 La descrizione pi precisa e dettagliata della natura del divenire degli enti
sensibili, in opposizione al vero essere delle idee intellegibili, presentata nel corso
dellesposizione cosmologica del Timeo (cfr. soprattutto 27d5-29c3; 37e3-38b5;
51e6-52a7): il divenire, che si svolge secondo le categorie temporali dell'era, deUe
e del sar (f)V T K a i e a r a i ... kv x p o v w ) , dunque nel movimento continuo

dal passato al presente e al futuro, contraddistingue essenzialmente il mondo empirico


e tutto ci che ricade nella sfera sensibile, oggetto di percezione e opinione ( t S ...
aLCT&r]Ty, yevw\Tv, Tre<l>opT\\ivov e , yiyv\ivi re lv t l v l t t t u j K a i T i X iv K eO eu
troXXijpevov, 8 ri |ieT alaOqaeajs- TTepLXrfrrrv). Sulla questione, in particolare
rispetto allindagine condotta neJ Timeo (che rimane necessariamente ai margini di
questa ricerca), si veda ancora L. BtUSSON, Le mme et Ia utre dans la structure
ontologique du Time de Platon cit., 178-197; 393-410. Rinvio inoltre a J.A.
B r e n t l i n g e R , Particulars in Plato's middle dialogues, in AGPh, LIV, 1972, 116-152;
A. N e h a m a s , Plato on the imperfection o f sensible world, in APhQ, X II, 1975, 105-
117; F.C. White, P latos theory o f particulars, New York, Arno Press 1981; M.L.
McPherRAN, Plato's particulars, in SJPh, XXVI, 1988, 527-553; M. Frede, Being
a n d becoming in Plato, in OSAPh, Suppl. 1988, 37-52.
148 FRANCESCO FR O N T ER O TTA

2. La partecipazione delle cose empiriche ale idee

Se le idee esistono esclusivamente in virt di s stesse, tanto dal


punto di vista ontologico (avendo in s la propria ragion dessere),
quanto dal punto di vista epistemologa) (poich vengono cono-
sciute direttamente e intuitivamente), le cose empiriche, invece,
divengono soltanto ed pertanto impossibile conoscerle per come
sono dawero, in quanto, mutando sempre, possono essere sempli-
cemente percepite o opnate nel loro perpetuo trasformarsi e dive-
ire altro. A questa immagine ontologica bipolare, che descrive
staticamente lassoluta e originaria differenza dei due livelli sepa-
rati del reale, si sovrappone tuttavia, come abbiamo visto nel corso
dellindagine, Fesigenza, per cos dire, dinamica che fra le idee e le
cose sussista una reciproca relazione. Infatti,

( 1)
occorre che le idee si manifestino in qualche modo nel mondo sensbile per
indurre gli uomini alia vera conoscenza5;
(2)
se gli uomini devono poter conoscere le cose empiriche, necessrio che essi
conoscano, nelle cose, le propriet e le caratteristiche che queste traggono imper
feitamente e parzialmente dalle idee, perch, n s stesse, le cose empiriche sono
vincolate al puro divenire, inconoscibile e soltanto opinable10;
(3)
le cose empiriche acquistano inoltre dalle idee il proprio nome (roTwy [seil.:
tlv eiujy] TTiv' mvup.i.cti' crxeiv): come Platone afferma, ale cose spetta tem
porneam ente il nome che appartiene invece eternamente (el t i > ei xp^ou)
alie idee con cui sono poste in relazione e per Fintera durata di questa relazione1

(4)
infme, se le cose empiriche non possiedono di per s una stabile essenza, bsogna
che la ricevano, imperfettamente e parzialmente, dalle idee12.

9 Cfr. il 1 dei cap. III.


10 Cfr. il 5 dei cap. II e il 3 dei cap. III.
11 Cfr. Phd. 78d l0-e2; 102al0-b2; cl0-d 2; 103b6-cl; e2-5. La questione
deUeponima ripresa da Platone, nel contesto pi ampio delfindagine sulla
partecipazione delle cose empiriche alie idee, in Prm. 130e4-131al (cfr. in proposito
il 1 dei cap. V II e I 3 dei cap. X).
12 Cfr. i 4-5 dei cap. I; il 1 dei cap, IV e il 1 di questo cap. V.
LE IDEE E LE CO SE EM PIRICHE 149

La relazione fra i livelli del reale denom inata in gene raie par
tecipazione ([lOe^is'; peTaX-q^i) o comunicazione (Koivou'ia):
le cose tmpinche partecipano (fieTxouaiy; [iCTaXa|ipvouoxv) dl
i idee o comunicano (koivovocfiv; Koivwviav x oucay) con esse13.
Il meccanismo dlia partecipazione sar da Platone sottoposto a
urianalisi lucida e inflessibile soltanto nel ParmenideH e non a cas o,
nel Fedone ( 100 d 3 - 8), Socrate insiste sulla necessit del rapporto
partecipativo, lasciando invece volutamente da parte il problema
dlia sua articolazione e delle sue modalit:

T o t o S ttX s- Kai orrxvos' Kal a w ? eufjQws' e x M ^ a p p a u r , S r i ok


a\Xo T i rro i , airr KaXov fj ri fcelvou to KaXoO eTe Ttapouaia ei re
Koivcvia t 5ttti Sf] kol owc TTpoayevofjivoir 55 o yp e n to t o S u axu p iC op ai,
XX' tl t KaXw TTctvra T KaX y iy v e T a i KaXd.
A questo mi attengo, semplicemente, grossolanamente e forse ingenuamente:
che nullaltro rende bella una certa cosa se non la presenza o la comunicazione
del bello in s o in qualunque altro modo <il bello in s> sia congiunto ad essa;
infatti, non prendo una posizione definitiva su taie aspetto, ma <affermo> sol-
tanto che in virt del bello che tutte le cose belle divengono belle.

131 termini p.erdXTitfjts' e Koti'coi'ia, con i verbi perxen', pieTa\ap(3t;ai>


e KOLWiii/eiv, sono sostanzialmente equivalent! e interscambiabili: essi designano latto
dlia partecipazione in generale, ma non precisano affatto le modalit specifiche del
rapporto partecipativo, giacch il loro significato puo essere sia metaforico sia
concreto. Del resto, gi Aristotele (in Metaph. A, 98 7 b 7 -l4 ; 991a20-22) si esprime
senza esitazione sul meccanismo dlia partecipazione delle cose empiriche aile idee,
sottolineandone loscurit e qualificandolo come il paradosso fondamentale dlia
dottrina di Platone (cfr. in proposito il 5 del cap. VTII e XAppendice III, 1 e 3).
14 Aile critiche sollevate da Parmenide contro la teoria delle idee nel Parmenide
dedicata Tintera Parte seconda di questa ricerca. Sul dilemma della partecipazione delle
cose empiriche aile idee si vedano tuttavia in particolare i capp. V III, XI e la Conclusione.
15 II testo di questo passo del Fedone in parte corrotto. Ledizione Burnet riporta
in 100d6 la lezione irpocryei'opi/r], participio aoristo fem minile del verbo TTpoayLy vo^ou
declinato al nominativo singolare: in tal caso, bisogna accordare questo participio con
unodeiprecedent!TTapoucrla o KOLVwla etradurre, quasiadsensum: ...nullaltro rende
bella una certa cosa se non la presenza o la comunicazione del bello in s o in qualunque
altro modo si ponga questa relazione. M i sembra pi opportimo (e assai pi semplice)
accettare la correzioneupoayeyopei'ou (proposta da R . H a c k f o r T H , Plato j'Phaedo cit.,
adloc., e accolta fra gli altri da Ch.J. R o w e , Plato, Phaedo, by Ch.J. R o w e , Cambridge,
Cambridge Univ. Press 1993, 82), participio aoristo neutro dello stesso verbo
rrpoaytyvopaL declinato al genitivo singolare, che puo accordarsi con il precedence
iceLvou to KaXo (avremo cosl: ok XXo ri Ttoie aT KaXv rj f) tceluou to KaXo
cire uapowta d re Kon'owla ere ottt|8fi Kal ottos' TTpocryeuopei'ou) con la traduzione
proposta sopra. Non mi pare invece appropriata la congettura TTpocrayopeuop-iT)
proposta da Wyttenbach e accolta da aicuni editori.
150 FRANCESCO FR O N TERO TTA

Lipotesi della partecipazione fra le cose empiriche e le idee si


basa insomnia suilesplicito riconoscimento che le idee sono cio in
virtu di cui (to) le cose empiriche possiedono certe caratteristiche o
la causa (a l T ia ) della loro essenza e delle loro qualita16: tuttavia,
un simile assunto rimane evidentemente assai vago e indefinite fin-
che non sia stato precisato come e in quali forme si esplichi effetti-
vamente la causalita delle idee rispetto alle cose. Per il momento,
mi limitero quindi a constatare soltanto che nelle opere giovanili,
intermedie e della maturita sono ampiamente attestate, Puna ac-
canto allaltra e con pari legittimita, una versione concreta e forte e
una versione debole e sostanzialmente metaforica della
Nella sua versione forte, la partecipazione delle cose empiriche a
unidea implica che lidea sia presente (Trdpeoriv; eveoriv) nelle
cose partecipanti o ad esse aggiunta (rTpocryev'Ojiev'ri) e che le cose,
di conseguenza, abbiano (exo w iv) ricevano (8^xoiyTa0 questa
idea: per esempio, tutte le cose empiriche belle si rivelano belle in
quanto, essendo il bello in se presente in esse o ad esse aggiunto,
hanno o ricevono la bellezza17. Nella sua versione debole, inve-
ce, la partecipazione consiste nella somiglianza ( to lo i) to v ... otov
... etvaL; eiicdCav) delle cose empiriche a un idea. In tal caso, le cose
si riducono a copie o immagini (jiLjifijiaTa; elKoves"; o^oiiVara)
di quellidea, che, delle cose, costituisce a sua volta il modello ori-
ginale (TTapd8eLyp.a): per esempio, tutte le cose empiriche sante pos-
sono essere definite sante poiche assomigliano al santo in se come
copia al suo modello e sono tali e quali ad esso18.

16 Per limpiego di queste espressioni nei dialoghi platonici, cfr. per esempio
Hp.M a. 287c l-d3; 289d2-8; Euthphr. Phd. 100c3-d6; 100d6-8; 102cl-d2.
Sul ruolo delle idee come cause dellessenza e delle caratteristiche delle cose empiriche
e di fondamentale importanza il celeb re saggio di G. V lastos, Reasons an d causes in
the Phaedo, in PhR, LXXVIII, 1969, 291-325 (riedito in Plato I: Metaphysics and
epistemology, cit., 132-166; e in G. VLASTOS, Platonic studies cit., 76-110), che
discutero approfonditamente nel 4 del cap. V III.
17A questa concezione forte1della partecipazione fra le cose empiriche e le idee,
assai vicina al significato letterale e concreto dei verbi p.erexeu', j.eTa\a|i|3di,a i' e
Koi.vweii' (= avere parte in; essere in comunicazione o 'condividere con), si fa
riferimento in Hp.M a. 289d2-8; 292c9-d3; 300a9-b2\Euthphr. 5d l-2; Phd. 100d4-
6; 104b6-cl; 104e7-105a5 ; Smp. 211b2-5. Lesempio citato e tratto da Hp.Ma.
292c9-d3; 300a9-b2.
18 Questa concezione debole della partecipazione come somiglianza delle cose
empiriche alle idee e attestata in Euthphr. 6e3-6; Phd. 76d7-e4; R. X 597al-5; Phdr.
250a6-b5; 250el-251a7. Lesempio citato e tratto da Euthphr. 6e3-6.
LE DEE E LE CO SE EM PIRICHE 151

Al di la di questa distinzione schematica, nessuna indicazione


nei dialoghi induce a propendere per luna o per laltra concezione
della (i0e^LS': rimane dunque da capire in che modo le idee possa-
no essere present nella sfera sensibile o assomigliare agli enti spa-
zio-temporali e se non vi sia una reale e profonda contraddizione
fra le due diverse modalit del rapporto partecipativo. Del resto,
gi a prima vista, il principio stesso e la possibilita della partecipa-
zione sembrano esposti a non poche difficolta: se ogni idea lunit
intellegibile auto-identica ai di la della molteplicita sensibile ( t
. . . tt TTctoiv t o t o l s * T a r r v ) 19, come potra essere contempor
neamente presente in una pluralit di cose partecipanti? Inoltre,
se le cose empiriche in divenire e le idee pienamente essent sono
affette da una radicale e reciproca diversit ontologica, come po-
tranno assomigliare le une ale altre? E infine, come concillare in
generale lipotesi di una relazione fra i due mondi, comunque ven
ga concepita, con lassunto della loro assoluta separazione? A questi
nterrogativi essenziali e ineludibili cercher di rispondere pi avanti
con gli opportuni riferimenti critici e testuali20.

3. II divenire, lapparenza e il nulla assoluto

Bisogna affrontare brevemente un ultimo problema relativo ala


natura e alia condizione del mondo sensibile. Abbiamo visto che,
in quanto costituiscono un piano di realt parallelo e simmetrico
alia sfera dei generi, le cose empiriche rappresentano il pendant
ontologico delle idee: daltra parte, divenendo sempre senza essere,
devono partecipare delle idee per acquisire unessenza determinata,
i nome e e caratteristiche che sono loro normalmente attribuiti

19 Si veda in proposito il 1 del cap. IV. Cfr. inoltre Men. 75a4-5; RV 476a4-
7; X 597cl-d 3; Phdr. 2 49b 6-cl; ma soprattutto, come vedremo nel 1 del cap. VIII
e nel 2 del cap. XII, Prm. 131a7-8; e3-4; 132al-7; Pblb. I4c7-15c3. Come noto,
proprio in questi termini Aristotele introduce (e critica) la posizione di Platone:
ammettere lesistenza delle idee significa porre un3unit separata oltre la molteplicita
(
t er eul tt o X X o l s 1) , cfr. D e ideis, 80, 8-15; Metaph. A, 990b7-8 sgg.; 991a2; Z,
1040b29 sgg. Su questo aspetto della critica aristotlica a Platone, rinvio a W. L e s z l ,
II De ideis di Aristotele cit., 141-171, e YAppendice III, 2.
20 Per lanalisi e la definizione delle modalit del rapporto partecipativo fra le cose
empiriche e le idee, rinvio ancora al cap. VIII.
152 FRANCESCO FR O N TERO TTA

nellesperienza comune. Ma, al di fuori della relazione con le idee,


quale e lo statuto ontologico delle cose empiriche in divenire?
La questione e assai piii complessa di quel che potrebbe apparire
a prima vista, se, fra gli interpreti, e emersa la tendenza, esplicita o
implicita, a ricondurre ii perenne divenire del mondo sensibile nel-
lambito del non essere, identificando di conseguenza le cose empi
riche in se con il nulla assoluto. Alcuni studiosi hanno infatti so-
stenuto la tesi che alle cose appartiene una condizione di pallida e
indiretta somiglianza rispetto ai generi, proprio come un riflesso o
u n ombra a cui non si addice in nessun mo do lo statuto di ente
neanche minimamente esistente21; secondo altri invece, mentre le
idee esistono senzaltro in se e per se (ai;Ta Ka0airra) e separata-
mente (xwpis1) dalle cose empiriche22, delle cose e legittimo affer-
mare esclusivamente che sono cio che sono in virtu delle idee
(etSeaiv) o rispetto alle idee ('rrpos' el8r\), ma non che esistono sepa-
ratamente (xwpi.9) dalle idee23. In entrambi i casi, viene suggerita
una concezione rigorosamente asimmetrica della relazione fra le
idee e le cose empiriche, che induce a considerare Tesistenza e la
natura delle cose tout court sempre e sokanto in funzione delle idee:
indipendentemente dalle idee e dalla partecipazione ad esse, le cose
coinciderebbero percio con il nulla assoluto24.

21 Cfr. specialmente R.E. Ai.LEN , Participation an d predication in Platos middle


dialogues, in PhR, LXIX, 1 960,147-164 (riedito in Studies in Plato s metaphysics cit.,
43-60, in particolare 56-59). Per una verifies della posizione di Allen rispetto alia
relazione fra le idee e le cose, canto dal punto di vista ontologico delia partecipazione,
quanto dal punto di vista logico della predicazione, rinvio al 3 del cap. VTII e al
3 del cap. X.
22 Sullo statuto ontologico delle idee, cfr. soprattutto il 1 del cap. IV.
23 II riferimento e in particolare a G. VLASTOS, Separation in Plato cit., 187-196.
Tornero con maggiore attenzione sulla tesi di Vlastos, qui appena tratteggiata, nel
3 del cap. XI.
24 Questa interpretazione presuppone evidentemente una concezione 'estensiva
del rapporto partecipativo fra le cose empiriche e le idee: attraverso la partecipazione,
infatti, le cose acquisterebbero dalle idee non solo un'essenza determinata, il nome e
le caratteristiche normalmente attribuiti loro, ma Tesistenza tout court, a ogni livello
e in ogni sua forma. Se il mondo sensibile nel suo insieme non e altro che unombra\
un riflesso1 o un^immagme1 della sfera dei generi e se, come unombra, un riflesso o
unimmagine, non esiste in s6 e per se e separatamenre dalle idee, cosa si potra dire
dello statuto ontologico delle cose empiriche in divenire, se non che, considerate di
per se ed esclusivamente rispetto a se stesse, esse si riducono al nulla assoluto, alia
semplice assenza del non essere?
LE IDEE E LE CO SE EM IIRICHE 153

Senza intraprendere per il momento una verifica dettagliata di


questa ipotesi interpretativa, delle sue ragioni e delle sue implica-
zioni25, necessario rilevare fin dora Tambiguit e la duplicit es-
senziale che, nella prospettiva platnica, assumono il concetto di
esistenza e il fatto stesso di esistere (o di essere: elvai): se con
esistere si intende fare riferimento alesistenza piena e compiuta
delle idee eterne, immobili e immutabili, alora, indubbiamente,
sar impossibile ammettere che e cose, empiri che esistano dawero,
se non, parzialmente e imperfettamente, in virtu dela partecipa-
zione alie idee e come loro mmagine sfocata e confusa. Tuttavia,
F'esistere allude pur, secondo Platone, alia condizione di semplice
sussistenza degli enti vincolati alia generazione e ala corruzione,
che, pur costituendo una forma bassa e forse impropria di esisten-
za, non si riduce pero allassoluto non essere. Occorre tenere ben
presente questa distinzione visto che Platone, anche quando sotto-
linea - e perfino enfatizza la minorit ontoogica deile cose em
piriche, affermando che divengono sempre senza essere un V i de-
terminato, che si rivelano manchevoli e imperfette ( v S e a T e p a )
rispetto ale idee26 e che la percezione sensibile ha un valore nean-
che lontanam ente paragonabile a quelo della conoscenza
intellegibie delle idee27, anche in tal caso dunque, egi non giunge
mai a sancire Teffettiva coincidenza delle cose con il non essere e
con i puro nulla. Anzi, in R. V 4 7 8 e l-4 7 9 d l, Tnico passo dei
dialoghi realmente esplicito in proposito, viene stabilito con chia-
rezza che la sfera emprica e sensibile occupa di per s una posizione
intermedia e mista fra essere e non essere (0aiv ... |ieTau oaas'
Te Kai rov jj.fi elvai) che non si lascia in nessun modo confondere
con il non essere di ci che non affatto, n da punto di vista
ontologico n da punto di vista epistemoogico del genere di co
noscenza che le si addice.
In altre parole, prima di partecipare delle idee (o indipendente-
mente dalla partecipazione ale idee), le cose possono essere raffigu-

25 AfFronter dettagliatamente la questione nel contesto pi ampio dellindagine


sulla dottrina platnica della partecipazione e della predicazione e sul suo signicato
filosofico nei capp. VIII, X e XI.
26 Cfr. per esempio Cra. 4 3 9 e l-2 ; Pbd. 74a9-75b2; e il 1 di questo cap. V.
27 Cfr. il 5 del cap. VIII e il 3 del cap. IX.
154 F R A N S C O FR O N TERO TTA

rate esclusivamente corne un sostrato di materia informe e priva di


determinazioni, che per, bench dominato dallinarrestabile dive-
nire e dalla debole apparenza dei simulacri e delle ombre, non si
identifica per questo con la semplice assenza o con il Vuoto
ontologico dlia radicale privazione dessere28. In virt. dlia parte-
cipazione ai generi ideali e in seguito ad essa, invece, pur rimanen-
do enti materiali in divenire, soggetti alla nascita e alla morte, alla
composizione, alla decomposizione e alla continua trasformazione,
le cose empiriche assumono tuttavia, parzialmente e imperfettamente,
tutte le determinazioni che derivano loro dalla relazione con le idee
e ricevono cosi quella forma solo parzialmente e imperfettamente
ordinata che lesperienza comune riconosce nel mondo sensibile29.

4. Conclusione: la formulazione dlia teoria delle idee

E opportuno presentare infine una rapida e sintetica ricapitola-


zione delfindagine svolta in questa Parte prima sullorigine e sul
significato dlia teoria delle idee attraverso le indicazioni fornite

2S Secondo questa interpretazione, attraverso il rapporta partecipativo le cose


traggono dalle idee unessenza determinata e le loro proprit, ma non lesistenza tout
court, de! resto, da un punto di vista logico e flosofico, se le cose empiriche
coincidessero con il nulla, come riuscirebbero a parrecipare delle idee? In che modo
insomma cio che non afatto potrebbe costkuire un qualcosa esistente in relazione
con le supreme realt?
29 Le indicazioni pi significative in proposito si trovano ancora nel Timeo, dove,
per ben cinque volte (27d5-29d3; 48e2-49a6; 50c7-d2; 51e6-52b5; 52d3), Platone
descrive ]a struttura e la forma dlia realt nel suo insieme. Senza addentrarmi in
unanalisi dettagliata di questi difficili passi, mi limita ad osservare soltanto che mai
la sfera empirica viene identificata con la semplice assenza de! non essere e del nulla
n formulata lipotesi che essa sia stata creata ex-nihilo: al contrario, bisogna supporte
Tesistenza di un sostrato materiale informe, caratterizzato essenzialmente dal dive
nire (ro S ... aia9r|Tv, yeFvriTF, Tre<|)opTj[ivov et, yiYi'6[ievov ...Kal TroXXjievov)
e predisposto ad accogliere le determinazioni delle idee, oltre allo spazio (x<ipa) o al
ricettacolo (iiTToSoxfji', 51a4-5) nel quale (v co, 49e7-50al; 50d l; 50d5-6; 52a6;
52b3-4) si verifica effettivamente la partecipazione delle cose aile idee. Sui problemi
posti dalla lettura del Timeo, cfr. L. Brisson, Le mme et l a utre dans la structure
ontologique /"Lime de Platon cit., 84-86; 101-106; 125-136; 261-266; e lAppendice
IIj 2. Tornero comunque sulla definizione dello statuto ontologico delle cose
empiriche nellambito dei rapporta partecipativo fra le cose e le idee nel 5 del cap.
V III e nel 6 del cap. XI.
LE IDEE E LE CO SE EM PIJUCHE 155

dai dialoglii definitori e maturi. Le testimonianze raccolte mostra-


no effcacemente, mi pare, come la teoria delle idee sia introdotta
nei dialoghi platonici, da un lato, per soddisfare lesigenza della
definizione universale dei concetti e dei valori morali e politici, e,
dallaltro, per stabilire i criteri deazione e de giudizio (cap. I). La
questione del mtodo defini torio e dello statuto della definizione
impone tuttavia, per essere convenientemente affrontata e risolta,
un preliminare chiarimento sul piano epistemolgico, perch solo
di ci che si conosce diviene possibe suggerire una definizione:
quindi dalla vera conoscenza che dipendono necessariamente la le-
gittimit dellambito logico-semntico del linguaggio e del discor
so e, conseguentemente, la costituzione della sfera dei valori etco-
politici ( 1-3 del cap. II).
L5epistemologa platnica assume il profilo di urontologia nella
misura in cui, secondo Platone, latto del conoscere consiste pro
priamente in un adeguamento del pensiero alloggetto conosciu-
to: il pensiero e la conoscenza sono veri e reali solo a condizione di
uniformarsi aoggetto pensato, ricalcandolo e con esso coinci-
dendo interamente. Una simile concezione oggettivista e inequivo-
cabilmente realista del processo conoscitivo produce un inevitabile
conseguenza: co che pensato e conosciuto, in quanto il model-
lo orignale (TTa.pd8ety|ia) e oggettivo sul quale si formano il pen
siero e la conoscenza, deve essere dotato di unesistenza reale e indi-
pendente dalFintervento del soggetto pensante e conoscente. Alio
svolgimento del processo conoscitivo sul piano epistemolgico cor-
risponde dunque, in un rigoroso parallelismo, un analoga classifi-
cazione degli oggett esistenti e del loro statuto ontologico, secon
do il principio per cui ( 4-5 del cap. II):

T p.v TravreXs1 v rravreXiIis' yuCTv r p.f| ov S [ix|8a|j.fj TrvTQ


y v jC T T o u - t l | i. T a ^ i) t o o v to s tcai to O p-T) ovTos ... S o ^ a a T v ... ( l e r a ^ t l

y v o t a s a l m a r r m r is 1.
Ci che assolutamente assolutamente conoscibile; ci che assolutamente non
assolutamente inconoscibile; ci che intermedio fra essere e non essere
solo opinabile, a meta strada fra conoscenza e ignoranza (R. V 477a3-b2).

Del resto, elaborata sulla base di questi presupposti, la teoria del


le idee risponde precisamente agli interrogativi sollevati nel conte-
156 FRANCESCO FR O N T ER O TTA

sto del processo conoscitivo rispetto alia determinazione delia sua


causa, delle sue condizioni e delia sua effettiva attuazione (cap. III).
D altro canto, dalla dplice e parallela articolazone delia dottrina
dei generi sul piano epistemologico e sul piano ontologico deriva ia
distinzione geografica fra due mondi massimamente differenti e
separati, dai confini insuperabili e dalle diverse caratteristiche la
realt eterna delle idee e la dimensione spazio-temporale delle cose
empiriche autonomi luno dalTaltro, ma posti fra loro in relazio-
ne in virtu della partecipazione delle cose empiriche alie idee (cap p.
IV-V). Questa ricostruzione si lascia cosi schematizzare nella se-
guente tabella.

Categoria Enti Loro natura Facolt Genere di


ontologica corrispondenti rispetto conoscitiva conoscenza
alla conoscenza

Essere Idee Intellegibile Pensiero Scienza


ivai iSai (r ovra) vorjTv yotiT niorrjiiT}

Divenire Cose empiriche Sensibile Sensazione Opinione


t a l o ^ i T a lat]T i' aa6r|OLs-
'yyvecrca 8a
(r yiyFp-eva)
Non essere Nulia Ignoranza
[if] eW t }JT)SV yvoia

Da sinistra a destra, la tabella indica le modalit di applicazione


e di estensione dlia teoria delle idee: tutti gli enti esistenti possono
essere classifcati secondo il loro statuto ontologico ed epistemolo
gico dal quale dipendono, fra lai tro, i modi di conoscenza e il gra
do di verit di ciascuno. Per esempio, cio che veramente le idee
di natura intellegibile, oggetto di pensiero e contenuto dlia
vera scienza; cio che diviene soltanto le cose empiriche di
natura sensibile, oggetto di percezione e contenuto delFincerta opi-
nione30. Da destra a sinistra invece, la tabella illustra il proced-

30 Non tengo conto qui del particolare statuto epistemologico dellopinione vera
(p0f) Sfa, cfr. il 3 del cap. III, n. 39) e mi riferisco semplicemente alla sfera dlia
conoscenza sensibile nel suo complesso, che, come ia teoria dlia linea stabilisce (cfr.
LE IDEE E LE CO SE EM PIRICHE 157

mento argomentativo e filosofico attraverso il quale Platone giunto


a formulare la teoria delle idee: per stabilire il grado di verit di una
conoscenza o del sapere in generale, occorre verificare le forme in
cui le diverse facolt conoscitive si rivogono ai propri oggetti e
defmire di conseguenza la loro natura e il loro statuto ontologico.
Per esempio, perch vi sia scienza, il pensiero deve assumere come
proprio contenuto degli oggetti intellegibili e veramente essenti -
le idee; perch vi sia opinione, la percezione deve assumere come
proprio contenuto degli oggetti sensibili e solo parzialmente essen
ti le cose empiriche in divenire. Conviene ribadire ancora una
volta che, in una simile prospettiva, rimane evidentemente esclusa
la possibilita che esistano idee intermedie, meno essenti delle altre
idee e pi vicine alie cose empiriche, o cose empiriche intermedie,
piii essenti delle altre cose empiriche e pi vicine alie idee, o, infine,
enti semi-ideali e semi-sensibili, intermedi fra i due livelli del
reale31. Lunica sfera dawero intermedia nella prospettiva di Pla
tone rappresentata, sul piano ontologico, dal divenire, collocato
fra essere e non essere, e dalle cose empiriche, fra le idee e il nulla
assoluto; e, sul piano epistemolgico, dallopinione sensibile, posta
a met strada fra la verit del pensiero e lignoranza.
Seguiremo nella Parte seconda il percorso di lucida e inflessibile
verifica che lo stesso Platone traccia nel Parmenide, mettendo in
scena un rigoroso esame delia teoria delle idee e delle sue difficolt
affidato al personaggo del grande Parmenide, nel ruolo del nobile
e maturo filosofo chiamato a confrontarsi con un Socrate molto
giovane e ancora inesperto. Nel prossimo capitolo, invece, tornero
su alcune questioni dinsieme, ga toccate da diversi punti di vista
nel corso dellindagine ma fin qui lasciate in sospeso, per conclude-
re sullaspetto che mi pare in ultima analisi decisivo: cosa unidea
platnica?

ancora il 3 del cap. III), ricade interamente nell3mbito dellopinabile (So^aaTi').


contrapposto aPambito delinteliegible (vcrr|Tv) e conoscibile (yuoxrmi').
3! Sulla questione delle cosiddette realt intermedie, cfr. soprattutto il 4 del
cap.IV .
VI.

COSA UNIDEA PLATONICA?

1 . U'economidfilosfica delia teora delle idee

In un saggio assai celebre e influente, Harold F. Cherniss ha con-


centrato la sua attenzione sulla pi devastante delle obiezioni mos-
se da Aristotele alia dottrina platnica dei gener, quella secondo
cui le idee si rivelerebbero soltanto un inutile duplicato delle cose
empiriche, con Tnico risultato di aumentare il numero degli enti
esistenti (rtov vrwv ... rrXeuo Troiriaas-), senza spiegarne in alcun
modo la natura n risolverne le contraddizioni1. Tuttavia - osserva
Cherniss ndpendentemente dalla sua validita e dalla sua effica-
cia, 1analis aristotlica fraintende senza dubbio le motivazioni che
indussero Platone ad avanzare Tipotesi dellesistenza delle idee. Di
fronte alTesigenza di rendere conto di unampia serie di fenomeni
empirici particolari e apparentemente privi di alcuna legge o prin
cipio, Platone non si limito a duplicare il mondo sensibile per
trasferire ingenuamente nel mondo delle idee problemi relativi
alia determinazione delTuniversalit del giudizio e della struttura
fisico-cosmologica della sfera emprica. Al contrario, egli pens di
individuare con la postulazione delle idee un piano di realta immu-
tabili e auto-referenziali, capaci di costituire innanztutto il criterio
standard per la valutazione etico-polidca contro il radicale relati
vismo morale professato da Protagora e dai sofisti in generale: Tela-
borazione del mtodo defnitorio nei dialoghi giovanili rappresen-

! H.F. CHERNISS, Thephilosophicaleconomy ofthe theory o f ideas cit. Largomento


di Aristotele contro la teoria delle idee esposto in Metaph. A, 9 9 0 b l-8; M, 1079b34-
36 (si veda in proposito YAppendice III, 2).
160 FRANCESCO F RO N T EROTTA

terebbe precisamente il tentativo di fondare la legittimit dei valori


e del giudizio morale ricorrendo a certi enti primi e autonomi,
non ulteriormente riconducibili ad altro e perci a loro volta
inderivati2.
La costruzione di un simile sistema etico inoltre intrinseca
mente connessa alia formulazione di un adeguata teoria della cono-
scenza, se, come risulta evidente nel Menone, la possibilita stessa
delFidentificazione della virt e delle norme universali delF agir
virtuoso dipende da una preliminare conoscenza della virt in s.
Ora, per essere vera, la conoscenza deve distinguersi essenzialmente
dalFopinione mutevole e instabile e possedere Feternit e iauto-
evidenza assolute di una concatenazione casale stabile e necessa-
ria; daltra parte, la dstinzione fra verit e opinione trova il suo
fondamento esclusivamente nella teoria delle idee, giacch soltanto
le idee, enti eterni, mmobili ed esenti dal divenire spazio-tempora
le, si rivelano dawero conoscibili e perci oggetto di pensiero e
scienza3. Infine, al di la della sfera etica dei valori e del problema
epistemolgico della vera conoscenza, rimane ancora da considera
re Finsieme dei fenomeni fisico-cosmologici che sembrano sfuggire
di per s a qualunque iegge o principio regolatore. Ed ecco che, nel
Timeo, Piatone rappresenta il divenire perenne e la processualit
confusa del mondo sensibile come unimmagine imperfetta del-
leternit delle idee: alie idee appartiene dunque anche il ruolo di
causa prima e non causata dei fenomeni naturali e della struttura
del cosmo4. La dottrina dei generi insomma caratterizzata, secon-
do Cherniss, da una coerente e rigorosa economia filosfica5, che
si manifesta evidentemente nel tentativo di rendere conto di feno-

2 Ivi, 16-18. Sui problema del mtodo definitorio e della denizione dei valori e
delle qualit morali nei dialoghi giovanii si vedano i 2-4 del cap. I e 1-3 del
cap. II.
J Ivi, 18-23; cfr. inoltre Men. 80d5-e5> 4-6 del cap. II e i 2-3 del cap. III.
4 Ivi, 23-26. Cfr, Ti, 50c; 51a7-52a4; i 1-3 del cap. V; e Appendice II, 2.
5 II termine economia inteso qui nel senso di organizzazione dei diversi
elementi componenti di un insierae e si riferisce dunque alia semplicita e alia coerenza
interna dei principi e dei postulad di una teoria filosfica o scientifica, secondo
1assunto per cui quanto maggiore il numero di fenomeni cbe una teoria riesce a
spiegare e minore l numero di principi e di postulad cui ricorre per spiegarli, tanto
pi essa sempce e d economica.
COSA E UN 'SDEA PLATONICA 161

meni fra loro diversi e di diversa natura attraverso Tnica e sempli-


ce ipotesi dellesistenza delle idee.

The physical phenomena ... considered in themselves and not as objects of


sensation or cognition still can be saved only by the hypothesis o f separate,
substantive ideas. Th at the necessary and sufficient hypothesis for this sphere
turns out to be the very one needed for ethics and epistemology makes it possible
to consider the three spheres o f existence, cognition and value as phases o f a single
unified cosmos. T h e apparently disparate phenomena o f these three orders ... had
to be accounted for by a single, simple hypothesis which would not only make
intellegible the appearances taken separately but at the same time establish the
interconnection o f them all.6

Linterpretazione di Cherniss, riassunta qui solo per grandi linee,


mi pare ampiamente condivisibile e ha costituito del resto un pun
to di riferimento costante per questa ricerca. Ritengo pero oppor
tune alcune precisazioni. In primo luogo, diversamente da Cherniss,
ho cercato di dimostrare che la questione epistemolgica della co-
noscenza, il piano etico dei valori e Tambito fisico-cosmologico dei
fenomeni naturali non si configurano nelia riflessione di Platone
come tre ordini di problemi fra loro indipendenti che rinviano,
ciascuno autnomamente, alia postulazione delTesistenza delle idee:
bisogna piuttosto riconoscere che i valori morali o i fenomeni na
tural^ perch sia possibile renderne conto convenientemente e
compiutamente, devono essere sottoposti a un indagine scientifica

6 H.F. CHERNISS, The philosophical economy o f the theory o f ideas cit., 26-27-
L intepretazione di Cherniss, assai influente fra gli studiosi, stata riformulata da
R.W . Jordan (P latos argument fo r forms, in Proceedings o f the Cambridge Philological
Society. Supplementary volume 9, Cambridge, The Cambridge Philological Society
1983) nella forma rigorosa di unanalisi dee prove fornite da Platone a dimostrazione
dellesistenza dee idee. Visarebbero infatti una prova logico-metafisica (ma connessa
anche alia sfera morale) dellesistenza dee idee, basata sulla constatazione che la
compresenza degli opposti nella realt sensibile pub essere spiegata soltanto attraverso
lipotesi delle idee, partecipando dee quali le cose empiriche entrano in possesso delle
propriety (anche opposte) attribute loro; una prova epistemolgica, che dipende dal
riconoscimento che, se la vera conoscenza esiste, devono esistere per necessita i suoi
oggetd, eterni, immutabili e auto-identici, le idee; infine, na prova eziologica, che
discende dalla considerazione che esclusivamente lesistenza delle idee permette di
comprendere come cose empiriche fra loro diverse possano possedere le stesse qualita.
Le osservazioni che propongo qui di seguito relativamente allinterpretazione di
Cherniss valgono anche, mi pare, per la tesi di Jordan.
162 FRANCESCO FR ONTERO TTA

preliminare che consenta di definirne la natura e le caratteristiche.


Conseguentemente, in virt della stretta relazione fra epistemo
loga e ontologia che la teoria delle idee assume il profilo ontologico
di una dottrina degli enti esistenti. Infatti, se per soddisfare Fesi-
genza morale della determinazione dei criteri dellazione e del giu-
dizio basterebbe forse stabilire Fnsieme di norme che regolano il
comportamento degli uomin; e se, analogamente, per la spiegazio-
ne dei fenomeni naturali sarebbe probabilmente sufficiente avan
zare lipotesi di una causa fsica che giustifichi il divenire del mon
do, invece, propro rispetto alia questione epistemolgica della
conoscenza che le idee si pongono necessariamente, non solo come
norme universali o come cause fisiche e principi naturali, ma come
enti realmente esistenti sul piano metafsico.
Intendo dire che, mentre dai punto di vista etico della defnizio-
ne dei valori o dal punto di vista fisico-cosmologco della spiega-
zione dei fenomeni naturali le idee potrebbero essere concepite sem-
plicemente come modelli standard privi di esistenza reale, al con
trario, sul piano epistemolgico, latto conoscitivo impone di per
s, secondo Platone, Iesistenza reale e oggettiva degli enti conosciu-
ti. Per esempio, lindividuazione delle modalit di un comporta
mento giusto o di unazione virtuosa non implica di per s che
esistano effettivamente il giusto in s o la virt n s, ma soltanto
che siano stabilite, al limite nelFambito delFuniversalit lgica
dellenunciazione lingistica, le condizioni alie qual un comporta
mento o unazione possono essere considerati giusti o virtuosi. Cosi
pur la ricerca della defnizione delFessenza delFuomo in s non
implica di per s che esistano effettivamente Fuomo in s o f idea
di uomo, ma soltanto che vengano riconosciute le caratteristiche
essenziali che appartengono a tutti g uomini in quanto tali, indi-
pendentemente dal divenire, dalla generazione e dalla corruzione
che coinvolgono inesorabilmente ogni uomo emprico parricola-
re7. Invece, poich lesigenza morale della classificazione dei valori

7 Cfr. soprattutto i 3-4 del cap. II. S osservi inoltre che, se dal punto di vista
del pensiero moderno occorre tenere distinte Ianalisi etico-politica dei valori e dei
principi morali e la conoscenza scientifica dei fenomeni naturali, che si ispirano
evidentemente a due modelli epstemologici radicalmente difieren ti Tuno spenmen-
tale e quantitativo, laltro logico-discorsivo e qualitativo una simile distinzione non
COSA UN'IDEA PLATNICA 163

e lindagine sulle cause fisico-cosmologiche delia natura richiedono


una conoscenza preliminare dei valori inorali da ciassificare e delle
cause dei fenomeni naturali da indagare, allora, in virtu della con-
cezione fortemente realista e oggettivista dei processo conoscitivo
sostenuta da Platone, si pone immediatamente il problema dello
statuto ontologico dei valori e delle cause fisiche in s, che, in quan
to sono sottoposti al pensiero e allatto conoscitivo, divengono gli
oggetti realmente esistenti sui quali si formano e si modellano il
pensiero e la conoscenza, ossia idee in s e per ss.
E in questa ottica che, senza negare in alcun modo la profonda
tensione etico-politica e 1evidente interesse per le scienze naturali
che ispirano la riflessione di Platone, mi sembrato per legittimo
ricondurre Torigine e il significato dellipotesi ontologica dei generi
esclusivamente alia sfera epistemologica delia conoscenza e dei pen
siero, modificando sensibilmente 1interpretazione di Cherniss e sem-
plificando ulteriormente 1 economia filosofica delia teoria delle idee9.

2. Levoliizione della teoria delle idee

Ho gi iustrato in precedenza le ragioni particolari, critiche e


testuali, che mi inducono a ridimensionare le divergenze a prima
vista pi acute (e con maggior forza segnalate dagli interpreti) fra la
concezone delle idee che emerge progressivamente nei dialoghi
platonici definitori e 1articolata teoria discussa nelle opere delia

hainvece, per Platone, alcunalegitrimit: an che 1indagine fisico-cosmologica, infatti,


concepita come una ricerca (non sperimentale ed emprica, ma intellettuale e
metafsica) delle essenze immutabili che determnano e causano i fenomeni naturali
mutevoli e apparent! come si manfestano nellesperienza comune. In questa prospet-
tiva, alia conoscenza scientifica non spetta secondo Platone uno statuto metodologico
ed epistemologico diverso da quello delia riflessione sui valori e sulle norme morali.
8 Cfr. 1 5 del cap. II.
9 Se Teconomia di una teoria filosofica consiste propriamente nella struttura e
nellorgamzzazione dei suoi diversi principi (cfr. supra, n. 5), alora la tesi sostenuta
qui, che riconducelorigine ele ragioni dellipotesi platnica dei generi esclusivamente
alia sfera epistemologica delia conoscenza e ad essa subordina lesigenza morale della
definizione dei valori e dei criteri dei giudizio, rappresenta, rispetto allinterpretazione
di Cherniss, una significativa sempiificazione delieconomia filosofica delia teoria
delle idee.
164 FRANCESCO FR O N TERO TTA

maturit: passer dunque a considerare brevemente, ma in un qua-


dro pi ampio e sistemtico, e ipotesi relative alla presunta evolu-
zione delia dottrina platnica dei generi, per esprimere una valuta-
zione e un giudizio dinsieme10.
Nella sua forma pi generale e tradizionale, la tesi evolucionista
ammette che, a partir dai dialoghi giovanili e intermedi, le idee
esistano nel mondo sensibile come realt immanenti ed effettiva-
mente presenti nelle cose empiriche di cui rappresentano lessen-
za, mentre, daltro canto, nei dialoghi dlia maturit, con la costi-
tuzione di un vero e proprio mondo ideale separato dal mondo
sensibile, le idee sarebbero invece concepite come enti trascenden-
ti, dotati di unesistenza autonoma e indipendente dalle cose empi-
riche, originariamente sussistenti in s e per s e percio struttural-
mente estranei alia sfera sensibile degli uomini, anche se con essa in
qualche modo in relazione in virti di un rapporto di indiretta so-
miglianza11. Questa tesi si imbatte pero, d emble, in una seria obie-
zione, perch, almeno sul piano lingstico, il vocabolario della
teora delle idee utilizzato da Platone non giustifica una distinzione
cos radicale: infatti, come abbiamo visto, sia in alcuni dei dialoghi
giovanili e intermedi sia nei dialoghi della maturit compaiono fre-
quentemente, e senza sostanziali variazioni semantiche, espressioni
che designano a un tempo limmanenza e la trascendenza delle idee.
Le idee sembrano insomma costantemente descritte, per un verso,
come realt presenti nel mondo emprico e con esso in relazione,
per laltro come modelli universal! del mondo emprico, autonomi
e in s e per s12. Per dissolvere una simile ambiguit, occorre dun
que pronunciarsi esplicitamente sullo statuto ontologico che si in-
tende di volta n volta attribuire alie idee e i sostenitori della tesi
evoluzionista hanno prospettato due alternative.

10 Cfr. i 1-3 del cap. II. Lascio owiamente da parte, per il momento,
1eventuale, ulteriore evoluzione della teora delle idee nella riflessione tarda di Platone
(specie a partir dal Parmenide), per la quale si veda il 1 del cap. VII.
1] La formulazione ctassica della tesi evoluzionista1, cui faccio riferimento qui,
quella suggerita in una lunga serie di articoli da H, JACKSON, Plato s later theory o f ideas,
in JPh, I-VII, 1882-1897; masi vedano anche J . B u r n e t , Greek philosophy, London,
Macmiilan & Co. 1914,1,254; A.E. T a y l o r , Philosopineal studies, London, Macmillan
& Co. 1934,28-90.
12 Cfr. i 1-2 del cap. II e il 2 del cap. V.
CO SA U N 'ID E A PLATONICA 165

La prima di esse prevede che, mentre nei dialoghi maturi le idee


rappresentano i classic! modelli standard separati dalle cose empi-
riche, nelle opere giovanili sarebbe invece impossibile ammettere
gi leffettivo dispiegamento della dottrina dei generi: in tal caso,
gli enti che Platone chiama ISai, e!8r| o owcu non potrebbero
dawero essere considerati come idee in senso proprio, ma sempli-
cemente come lessenza o la conformazione naturale delle cose
empiriche, una certa forma distintiva che esiste sempre insieme
con le cose e mai indipendentemente da esse13. Queste conclusioni si
basano su almeno tre presupposti fondamentali, che forse oppor-
tuno ripercorrere schematicamente14.

(1)
In primo luogo, si e constatato che, nella lingua greca e nei dialoghi platonici, i
termini ISa e elSo j hanno innanzitutto ii significato generico di aspetto esterio-
re, forma distintiva o carattere generale: solo nei dialoghi della maturita Plato
ne l avrebbe quindi impiegati nei loro significato tcnico, in riferimento ale
idee. Ho gi toccato altrove iS problema15 e mi limito a ricordare che, se non vi
alcun dubbio sulla mokeplicita di significan dei termini ISa, elSos1o yi/os- ci
che impedisce di dedurre dalla presenza di questi termini in un testo, sic et
simpliciter, la formulazione della teoria delle idee - nulla permette tuttavia di
stabilire una distinzione cos radicale e di credere che in tutti i dialoghi giovanili
i termini in questione abbiano sempre un significato generico e che, invece, in
tutti i dialoghi della m aturita essi rinviino sempre alia teoria delle idee. Semplice
mente, lanalsi lingistica non produce argomenti sufficienti n per dimostrare
n per respingere lpotesi di una teoria delle idee nei dialoghi giovanili16.

13 Cfr. per esempio W .D . Ross, op.cit,, 35-47; e i 1-2 del cap. II. Gli interpreti
di formazione Mogico-analitica (si veda recentemente J.M .E. MoRAVCSIK, Plato and
platonism cit., 60-61), pur accogliendo sostanzialmente la tesi evoluzionista, consi-
derano tuttavia le idee nei dialoghi giovanili non come la conformazione naturale o
la forma distintiva delle cose empiriche, ma, nominalisticamente, come puri termini
linguistici, necessari alia definizione delle cose empiriche e delle loro qualit e
relazioni, ed esistenti perc esclusivamente nella sfera logico-semanrica della predi-
cazione e del discorso. A questa concezione logico-linguistica delle idee Platone
sarebbe tornato nei dialoghi tardi, dopo una fase propriamente metafsica1coinciden
te con i dialoghi della maturita.
14 Mi riferisco al caso, ben rappresentativo della tesi evoluzionista nella sua
formulazione pi recente, di L .-A . DORJON, Platn, Laches "Euthyphron cit., 209-
211 .
15 Cfr. il 2 deliLntroduzione e i 2-4 del cap. I.
16 E del resto, cosa , secondo gi interpreti evoluzionisti, la forma distintiva
166 FRANCESCO F R O N T F ROTTA

(2 )
In secondo luogo, stato osservato che ia relazione fra la forma distintiva delle
cose, su cui Socrate indaga nei dialoghi definitori attraverso il suo mtodo di
interrogazione dirctta ( t o t i X ?), e le cose stesse sarebbe da Platone abbando-
nata nelfassoluta indeterminazione, laddove la partecipazione delle cose empiri-
che ale idee intellcgibili costituisce, nelle opere successive, uno degli aspetti di-
scussi con maggiore nsistenza, Questa consi der azione, per, almeno parzial-
mente falsa: come ho in precedenza mostrato17, la relazione fra ie cose empiriche
e le idee descritta, tanto nei dialoghi definitori, quanto nei dialoghi maturi, o
nelia forma della presenza (irapoucna) delle idee nelle cose partecipanti oppure
come somiglianza delle copie ( j a o i c f i a T a ) empiriche ai modelli ( T T a p a 8 e y p . a T a )
ideali. Tra laltro, almeno fino al Parmenide'*, Platone non prende una posizione
ben definita sulle modalit del rapporto partecipativo e si costretti ad ammet-
tere che persino i dialoghi maturi lasciano la difficolt completamente irrisolta.
(3)
Infine, si rilevato che nella rassegna delle caratteristiche attribuite alie idee e
alie cose vengono introdotte soltanto nei dialoghi della maturita alcune coppie
di opposti, come essere-divenire, immutabilit-mutamento, eternit-temporalit
e cosi via, i cui termini positivi si riferiscono alie idee mentre quelli negativi
qualificano invariabilmente le cose empiriche: ci implicherebbe uneffettiva
oggettivazione dei generi e lintervento di una concezione propriamente
ontologica delle idee. Tuttavia, iattribuzione alie idee del vero essere, eterno,
aspaziale e atemporale, discende immediatamente dal loro statuto (gi fissato nei
dialoghi definitori) di enti sempre auto-identid, universali e perfettamente com-
piuti in s stessi: un ente universale e sempre auto-Identico, evidentemente, non
muta il proprio stato n subisce alcuna trasformazione nelo spazio e nei tempo
ed dunque eterno e pienamente essente. Analogamente, la degradazione delle
cose empiriche allapparenza mutevole del divenire spazio-temporale non che
una necessaria conseguenza del loro statuto (gi fissato nei dialoghi definitori) di
enti particolari, materiali e mutevoli e perci soggetti alia generazione e alia cor-
ruzione: infatti, un ente mutevole e particolare per necessita soggetto alia gene
razione, alia corruzione e al divenire spazio-temp orale e non quindi stabil men
te e veramente essente19.

delle cose empiriche nei primi dialoghi? Con quale statuto ontoiogico essa presente
nelle cose empiriche di cui rappresenta, appunto, la forma distintiva? E deve essere
vincolata al mutamenro insieme con le cose in cui presente o no? A questi
interrogativi non viene data, mi pare, alcuna risposta precisa ed esauriente dagli
interpreti evoluzionisti'.
17 Cfr. soprattutto il 2 del cap. V.
]S Si veda in proposito il cap. VIII.
19 S noti che queste necessarie conseguenze relative alio statuto ontoiogico delle
idee e delle cose empiriche sono esplicitamente tratte da Platone, non soltanto nei
Fedone, nella Repubbica o nei Fedro, ma gi nei Cratilo (cfr. il 5 del cap. II), che
COSA E U N 'D E A PLATONICA 167

La tesi evoluzionista, in questa versione forte, non sembra ave-


re insomma un chiaro fondamento fllosofico e testuale. Mi pare
inoitre che intervenga a questo proposito un pregiudzio esegetico
connesso alia cosiddetta questione socratica, rispetto alia quale,
senza entrare nel mrito di un esame approfondito, mi limiter ad
esporre qui alcune considerazioni generai, pur con la cautela op-
portuna in un tema di cosi grande complessit e incertezza. Riten-
go sussista in effetti un diffuso pregiudizio esegetico che consiste
nellassunto dogmtico per cui i dialoghi platonici giovanili rap-
presentano (o, megiio, devono necessariamente rappresentar) una
fedele esposizione della riflessione e dellattivit filosfica di Socrate.
La ragione di un simile assunto chiara: se infatti Socrate non si
trovasse in quei dialoghi, come si potrebbero ricostruirne il pensie-
ro e la personalit? Non esclusivamente attraverso le commedie di
Aristofane, che tendono naturalmente a presentare la figura di
Socrate in una chiave cmica e accentuandone gli aspetti parados-
sali e ridicoli; n attraverso gli scritti di Senofonte, da cui emerge in
ultima analisi limmagine di un onesto pensatore dedito per tutta
la vita al bene della citt, unimmagine che risulta pero assai meno
interessante e ricca di quella tratteggiata da Platone. Rimangono
dunque i dialoghi platonici giovanili, nei quali Platone, ancora sot-
to linfluenza delamato maestro da poco giustiziato, ne avrebbe
riprodotto con precisione i tratti caratteristici. Ora, se questo fosse
dawero il caso, converrebbe certamente ridimensionare o elimina
re del tutto ogni riferimento alia teora delle idee da quei dialoghi,
perch, altrimenti, si finirebbe per attribuire a Socrate una dottrina
ontologica e metafsica o almeno i suoi elementi fondamentali, ci
che, da un lato, contraddice le testimonianze antiche20 e, dallaltro,
amplierebbe enormemente gli interessi e gli sviluppi del pensiero
di Socrate, riducendo pero drsticamente (e irrimediabilmente)

distingue esplicitamente le realta n s e per s, veramente essenti e pienamente


conoscibili, dalle cose in divenire, apparenti e inconoscibili. Prtanto, anche ammet-
tendo lipotesi di una rottura radicale nela concezione platnica delle idee, come si
potrebbe collocarla soltanto nei dialoghi maturi, sostenendo che essi introducono per
la prima volta generi intesi come i classici mode metafisici separati dalle cose
empiriche in divenire? M pare insomma che la tesi evoluzionista rimanga inevita-
bilmente viziata da una serie di gravi ambiguit.
20 Cfr. solo A rist., M etaph M, 1078b9-32; 30; E N A, 1096al2-15-
168 FRANCESCO FR O N T E R O 'T A

quelli di Platone. Lnica ragionevole alternativa, in questa pro-


spettiva, appare allora di supporre una netta rottura fra i dialoghi
giovanili e i dialoghi maturi, una svolta filosfica decisiva che segni
il distacco di Platone dal maestro e il principio di uno sviluppo
autonomo delia sua riflessione, asciando cosi ai primi dialoghi il
compito essenzialmente documentrio di testimonianza delle tesi
socratiche e collocando invece l'intuizione fondamentale delia teo
ria delle idee nei dialoghi platonici delia maturit. Un simile qua
dro esegetico presuppone inoltre, evidentemente, un interpretazio-
ne genetica applicata ai dialoghi platonici delle parole di Aristotele
sul rapporto fra So crate e Platone21: Socrate si occup delf etica e
cerc in essa Funiversale ... Platone ne accolse il pensiero, ma riten-
ne che una tale questione vada posta per altre cose e non per queile
sensibili; ... egli diede a simili enti il nome di idee e sostenne che le
cose sensibili sono separate da esse; come se Aristotele intendesse
dire che i dialoghi devono essere classiflcati secondo uno schema, a
un tempo teorico e cronologico, del prima (Socrate) rspetto ai poi
(Platone); come se, insomma, la ricerca socratica delluniversale etico
e Tipotesi platnica delle idee dovessero essere individuate, rispet-
tivamente, nelle opere giovanili e nelle opere mature di Platone22.

21 Cfr. soprattutto Metaph. A, 9 8 7 b l-1 0 ; M, 1078b9-32.


22 Gi G. CALOGERO, Socratismo e scetticismo nelpensiero antico, in Atti del
convegno su Lo scetticismo antico, [Roma 1980], Napoii, Bibliopolis 1981, 37-46 (ora
in Id ., Scritti minori di filosofia antica cit., 127-135) legittimava in una certa misura
questa prospettiva critica affermando, certo con una buona dose di consapevole
provocazione, che occorre riproporre il problema del rapporto Socrate-Platone in
maniera inversa rspetto a quella consueta. Tradizionale dire: Sappiamo quel che
pensava Platone, perch abbiamo i suoi scritti: ma quanto in essi sia anche socrtico,
solo tema di congettura da esercitarsi cominciando da pi giovanili di quegli scritti.
- Ora, a mio parere questo quadro proprio, come ho detto, da capovolgere: perch
il Platone indubbiamente platonico a rigore solo quello dellultimo e massimo dei
suoi dialoghi, le Leggi, Tnico in cui Socrate non sia pi presente, visto che LOspite
ateniese non pao essere questa volta che Platone scesso (128-129). Ma la formulazio-
ne pi chiara e documentata di ci che ho definito come il pregudizio esegetico della
questione socratica si trova in G. VLASTOS, Socrates cit., ripreso e notevolmente
ampliato in G. V l a STOS, Socrates ironist an d m oral philosopher cit,, 45-106. La
posizione di Vas tos (sviluppata in una lunga serie di rticoli riuniti adesso in Socratic
studies cit., e in Studies in Greek philosophy, II: Socrates, Plato an d their tradition, ed.
by D .W . GRAHAM, Princeton, Princeton Univ. Press 1995) stata parzialmente
accoita, almeno nelle sue linee generali, da Gabriele Giannantoni, forse uno dei
massimi studosi contemporanei del pensiero di Socrate e della cradizione socratica
COSA i: U N 'i d e a PLATONICA 169

Tale interpretazione suscita tuttavia, a mi parere, un duplice


paradosso. In primo luogo, infatti, la semplice lettura dei dialoghi
dimostra come la progressiva definizione della teora delle idee si
verifichi, a partir dai dialoghi definitori - dunque dal Lachete e dal
Carmide fino aYYIppia maggiore, alYEutifrone, al Menone e al Cratilo
in una forma regolare, costante e priva di soluzoni di continuit,
senza che, insomma, emergano le tracce di una netta rottura o di
una svolta radicale nella riflessione di Platone23. Ne deriva perci
un secondo, insolubile problema: fin dove sar possibile estendere
1influenza del pensiero di Socrate e come datare5esattamente lini-
zio dellautonoma riflessione di Platone? E ancora: perch Platone
avrebbe aUimprowiso attribuito una dimensione sostanziale alia
ricerca socratica delPuniversale etico, ponendo certe realt deter
mnate sul piano ontologico e introducendo cosi propriamente la
teora delle idee?24 Queste considerazioni mi inducono a credere
che, senza negare Tindubbia ascendenza socratica dei primi dialo
ghi platonici - nellambientazione, nelo stile di indagine e perfino
nella natura delle questioni trattate il giovane Platone cominci
pero gia a proporre, dal canto suo, uno sfondo teorico e un orienta-
mento filosofico originaii e autonomi, precisamente nel contesto
epistemolgico e ontologico della teoria delle idee. II che non con-
traddice affatto la testimonianza di Aristotele25, secondo la quale

(cfr. solo G . G i a n n a n t o n i , II Socrate di Vastos, in Elenchos, XIV, 1 9 9 3 , 5 5 -6 3 ).


Una tesi awersa, dalla quale dipende in parte la mia analisi, quella proposta da Ch. H.
K a h n , op.cit., soprattucto 3 6-1 00, che tende ad attribuire esclusivamente a[VApologia
di Socrate e al Critone, a mi parere in modo non del tutto conseguente, il compito di
una fedele testimonianza storica delle tesi e della personalit di Socrate.
23 Cfr. i 2 - 4 del cap. I e i 1 -3 del cap. II.
24 Come noto, G . V l a s t o s , Scrates ironist and moralphilosopher cit., 1 0 7 -1 3 1 ;
2 7 1 -2 7 5 , spiega questo profondo mutamento nella riflessione di Platone ricorrendo
airinfluenza pitagrica, che si sarebbe sovrapposta nella formazione di Platone al
modello socrtico, e a] sempre maggiore interesse di Platone per gli studi matematici.
Tuttavia, nel!estrema povert di informazioni certe sulla biografa intellettuale del
filosofo, simili motvazioni non sfuggono, a mi awiso, a una certa vaghezzae genericita.
25 Era laltro, verosimile ritenere che la testimonianza aristotlica dipenda
essenzialmente da Platone, ci che non ne riduce minimamente il valore filosofico, ma
deve mettere in guardia dalluso incauto di chi presume di poterne dedurre un rgido
ordine cronologico dei diaoghi. In altre parole, Aristotele distingue certamente la
riflessione di Socrate da quella di Platone, ma tale distinzone, che permette allinter
prete di stabilire un riscontro con i dialoghi, non induce certo ad applicare meccani-
camente unanaloga suddivisione cronoiogica ai dialoghi platonici.
170 FRANCESCO FR O N TERO TTA

Socrate avrebbe indagato la struttura universale del giudizio inra


le, mentre Platone avrebbe a sua volta collocato questa indagine su
un piano metafsico, identificando l3universale socrtico con le idee
intellegibili e per primo formulando una teoria delle idee. Aristotele
- bene ripeterlo nuovamente non dice n lascia intendere in
nessun modo clie tale divaricazione filosfica sia fedelmente
rispecchiata in unanaloga successione cronologica dei dialoghi pla-
tonid; anzi, mi pare verosimile ammettere che la testimonianza
aristotlica si riferisca proprio ai dialoghi giovanili, nei quali com-
paiono i primi elementi delia teoria delle idee, sebbene in un qua
dro ancora fortemente influenzato dal modello socrtico. Unipo-
tesi del genere non compromette la possibilita di cercare di indivi
duare la specificita del pensiero di Socrate negli scritti platonici,
ma, alio stesso tempo, ponendo dei limiti alFonniestensivita e alia
pervasivit di questa ricerca, fornisce unimmagine p coerente della
riflessione di Platone e delle sue diverse fasi, accogliendo il princi
pio per cui lanalisi dei dialoghi platonici pu e deve rimanere del
tutto al riparo da ogni indebita commistione con la questione
socratica26.
Tornando al tema in esame in queste pagine e considerando ades-
so la seconda alternativa prospettata dai sostenitori della tesi evolu-
zionista, giudico pi ragionevole e obiettiva la posizione di chi rico-
nosce la continuit e Tuniformit della teoria platnica delle idee,
specie per quel che riguarda le ragioni e il significato della postula-

26 Questa conclusione rspecchia lanajisi proposta oggi da L.-A. Dorion nella sua
introduzione alledizione dei M em orabili di Senofonte nella Collection Bud (Paris,
Les Belles Lettres 2000, I vol., C-CXV) e in alcune conferenze inedite. Dorion s
spinge in effetd ancora otre, sostenendo che la questione socratica non ha pi
nessuna ragione dessere per almeno tre motivi: (1) ogni interpretazione presuppone
in questo mbito una sceita preliminare dei testimoni cui dar credito e tale scelta
implica a priori ana certa concezione della filosofia di Socrate, ci che genera un
evidente circolo vizioso; (2) gli elementi di accordo nella presentazione della figura di
Socrate fra i due maggiori testimoni, Platone e Senofonte, si rivelano del tutto
superficiali perch collocati in contesti teorici e filosofici del tutto dfferenti e in ultima
istanza non comparabih; (3) Platone e Senofonte, infine, non ebbero certamente lo
scopo documentrio di fornire una testimonianza storica sulla vita di Socrate, ma
vollero piuttosto far rivivere, ciascuno a suo modo, il modello socrtico nellambito
di un filone letterario ben preciso, quelio dei Xyoi crtJKpaTLKO. Forse con qualche
riserva rispetto alia sua radicalita, la posizione di Dorion mi sembra per assai feconda
di risultati e di prospettive originali.
COSA U N ' i DHA PLATONICA 171

zione delle idee come paradigmi universaii e immutabili delle cose


empiriche particolari e mutevoli. Gi nei dialoghi definitori le idee
sarebbero allora concepite come enti in s e per s, eterne e auto-
identiche, capaci di stabilire unampia comunicazione reciproca e
soggette a loro volta alia partecipazione da parte delle cose empiri-
che. Diverso sarebbe invece lo statuto ontologico delle idee rispetto
allassunto deia radcale separazione dalla sfera sensibile: il xoopLcrfis-
dei generi, assente negli scritti giovanili, costituirebbe faspetto pi
caratteristico della teora delle idee nei dialoghi dela maturit, fino a
determinare la netta distinzione fra due mondi assolutamente dif
ferent! e rigorosamente separati. Come ha scritto Reginald E. Alien:

Forms in the early dialogues are separeted from their instances, in that they are
not identical with them and ontologically prior to them. This remains true later
on. But the middle dialogues expand this separation into a new view o f the
universe, involving a doctrine o f Two Worlds, separated by a gulf o f deficiency
and unreality.27

Ora, in questa forma moderata che attribuisce un autentico si-


gnificato filosofico alia teoria delle idee anche nei dialoghi defini-
tori, la tesi evoluzionista mi pare senzaltro accettabile, purch ac-
compagnata da alcune precisazioni. Si pu rilevare infatti che Pla-
tone ricorre alie idee, senza alcuna eccezione, sulla base di ununica
e idntica argomentazione: lesigenza morale, politica o fisico-
cosmologica della definizione dei valori e dei criteri del giudizio e
della scienza (o del discorso sui valori e sui criteri del giudizio e
della scienza) rinvia per necessit alia sfera epistemolgica, poich
la definizione e il discorso in generale discendono dalla conoscenza
preliminare di ci che si vuole definire o discutere. E se la vera
conoscenza consiste nell adeguamento del pensiero al suo oggetto
e nella loro effettiva coincidenza, loggetto pensato e conosciuto
dovr esistere realmente e indipendentemente dailatto del pensie
ro e della conoscenza da parte di un soggetto: ecco perch le cose

27 Cfr. R.E. A l l e n , Plata s Euthyphro an d the earlier theory o f form s cit., 12 9 - 164,
in particolare 154. Pur essendo almeno per certi aspetti un sostenitore della tesi
'evoluzionista, Allen per primo, conviene ri cordado, ha dimostrato il reale e serio
significato filosofico dela teoria delle idee nelle opere platoniche giovanili (sulk
posizione di Allen si veda anche il 2 del cap. II).
172 FRANCESCO FR O N T ER O TTA

empiriche e sensibili, in quanto clivengono incessantemente, pos-


sono essere definite e conosciute solo parzialmente e imperfetta-
mente; mentre le idee intellegibili, in quanto rimangono immobili
e immutabili, possono essere definite e conosciute stabilmente e
compiutamente. Inoltre, in virtu del rapporto partecipativo, le cose
in divenire traggono la propria essenza e le proprie caratteristiche
dalle idee eterne: questa relazione implica la presenza delle idee
nelle cose partecipanti o una sorta di somiglianza del partecipante
al partecipato. Tuttavia, Fassoluta differenza ontologica fra i due
livelli del reale impone che essi esistano, ciascuno, in s e per s,
autnomamente e separatamente dalFaltro, Fuo - il mondo ida
le nelFesistenza piena di ci che veramente, Faltro - il mondo
emprico - nella semplice apparenza del perpetuo divenire28. E plau-
sibile ritenere che, da questo punto di vista, le ragioni e la struttura
della teora delle idee rimangano immutate negli scritti platonici29.
Resta il problema del e delle sue implicazioni
ontologiche: bisogna insomma capire se la radicale diversit fra le
idee e le cose si configuri gi nei primi dialoghi come una reale

28 Per 1anaJisi dettagliata di questa ricostruzione deorigine, dele ragioni e del


significato della teoria platnica delle idee si vedano i 2, 3 e 5 del cap. II; il 3 del
cap. III; i 2 e 4 del cap. V; il 1 di questo cap. VI.
25 Questa conclusione, se accolta, induce a svogere alcune considerazioni sul
piano metodologico che consentono di evitare un fraintendimento frequente nelle
ipotesi evoluzioniste: se il vocabolario della teora delle idee rimane immutato nei
dialoghi giovanilli, intermedi e della maturit; se, ancora, rimangono immutate
1origine, le ragioni e il significato della teora delle idee, su quale base diviene possibile
credere che muti invece e radicalmente lo statuto ontologico delle idee? O si
riconosce che le idee sono sempre enti in s e per s, autonomi, universal! e auto-
identici, oppure si giudica al contrario che esse si riducono sempre a concetti, norme
o valori, senzadubbio universali, ma non sostanziali. Nsembradaltra parte decisiva
la constatazione che nei dialoghi maturi viene introdotta Pimmagine di un mondo
delle idee, perch sarebbe al limite possibile credere che si tratti di un mondo
puramente concettuale, anche se descritto da Platone in una forma mitolgica
concreta e geogrfica. A parita di condizioni dunque nef ipotesi che la teoria delle
idee conservi la stessa struttura e le stesse finalit teoriche e filosofiche lassunto
deesistenza delle idee, il fatto che esse esistono in s e per s come un qualcosa
determinate indipendente dalle cose empiriche che ne partecipano, deve conservare
un idntico significato e un idntico statuto ontologico. E a parita di condizioni,
ancora, nonostante 1ampia maggioranza degli studiosi che credo no a unevolucione
radicale della teoria delle idee, la tesi non-evoluzionista che mi pare rimanga
metodolgicamente preferibile.
COSA E U N 'ID EA PLATONICA 173

separazione fra due generi di enti. Tale in effetti la posizione che


ho difeso qui, basandomi innanzitutto sulla constatazione che, can
to nelle opere giovanili quanto in quelle della maturit, la condizio-
ne delle idee descritta con estrema chiarezza: le idee sono origina
riamente collocate al di la ( t t ) delle cose empiriche particolari.
Ma soprattutto ho cercato di dimostrare che un ente in s e per s
( a T K a 0 a u T ) , come le idee sono definite da Platone, esiste per

sua natura separatamente (xiops*) da tutto ci che gi aitro, nel


senso che dotato di un esistenza propria e autonoma dallaltro da
s30. E pero altrettanto indiscutibile che, nei diaoghi definitori, la
netta distinzione fra le idee e le cose non prende mai la forma mito
lgica della contrapposizione fra due mondi separati, caratteristica
dei diaoghi m aturi e illustrata daesposizione del m ito
delFiperuranio, anche se mi pare si tratti di una conseguenza owia
e necessaria, gi implcita nella stessa formulazione della teora delle
idee: la medesima gerarchia epistemolgica e ontologica degli enti
esistenti viene successivamente approfondita su un piano, per cosi
dire, geogrfico31.
D altra parte, non irragionevole credere che alia teora delle
idee sia assegnato il compito di sciogliere le difficolt e le contrad-
dizion man mano sollevate nella riflessione di Platone. Se questo
vero, comprensibile che nei diaoghi definitori, dove lipotesi del-
F esistenza delle idee sembra introdotta esclusivamente alio scopo
d giungere alia conoscenza e alia definizione delle cose in cui esse
sono present, laccento sia posto sulla relazione fra le idee e le cose
e non sulla loro separazione e che le idee vengano per lo pi descrit-
te come F essenza (oiua) delle cose empiriche che ne partecipano.
Nei diaoghi posteriori invece, dove linteresse di Platone rivolto
piuttosto alia natura dei generi, universali, eterni e immutabili, e
alie loro reciproche relazioni che si riflettono nel linguaggio e nella
struttura lgica dela proposizione e del discorso, non stupir che

30 Cfr. ancora il 2 del cap. II, in particolare le n. 5 e 9.


31 Sulla costituzione dei due mondi separati delle idee e dele cose, cfr. il 1 del
cap. IV e il 1 del cap. V. Non vedo in effetti come la separazione geogrfica dei due
mondi possa rappresentare un mutamento radicaie nella prospettiva platnica: a
differenza fra le idee e le cose ne risulta cerro esaltata e accentuata, ma da un punto di
vista retorico e narrativo pi che sul piano teorico e filosofico.
174 FRANCESCO FRONTERO'TTA

siano sottolineati, pi.il che i rapporti fra i due livelli del reale, Fim-
magine del mondo ideale e lo statuto ontologico delle idee, realt
realmente essenti, nel segno della radicale diversit rispetto alia
sfera sensibile degli uomini32. Ci non implica del res to che la dot-
trina dei generi debba essere concepita come uno strumento filoso-
fico immobile e monolitico proposto identicamente in tutti i dia
loghi, come un meccanismo teorico ripetitivamente applicato da
Platone nelle diverse circostanze: conviene pensare in effetti a una
dottrina unica e uni forme e tuttavia soggetta a progressiva defini-
zione, in modo che, fermi restando alcuni assunti fondamentali,
vengono sviluppate di volta in volta le necessarie conseguenze del-
Pipotesi dellesistenza delle idee. In questa ottica, pi che di evolu-
zione della teoria delle idee, mi limiterei a parlare di un continuo
adeguamento formale, certo non irrilevante, eppure esente da frat-
ture, svolte o mutamenti profondi33.

3. Cosa e un idea platnica?

Abbiamo ricostruito il procedimento argomentativo in base al


quale Piatone giunse a formuiare la teoria delle idee e le ragioni che
lo indussero ad attribuire ai generi determinate caratteristiche e lo
statuto di supreme realt pienamente essenti: ma perch proprio le
idee} Bisogna tentare infine di comprendere cosa sia un idea plat
nica in s.
Reginald E. Allen ha suggerito che, prendendo a modello la veri-
t e Fauto-evidenza indubitabili delle scienze matematiche e della

32 Cfr. in proposito il 1 del cap. IV; i 1-2 del cap. V.


33 Non intendo quindi sostenere che esiste unidenrica teoria delle idee in tutti i
dialoghi plato nici, ma piuttosto che non ne esistono due diverse versioni, una nei
dialoghi giovanili, laltra nei dialoghi maturi: intorno al nesso fondamentale fra
epistemologia e ontologia elaborata, a mio parere, ununica teoria, che nei dialoghi
giovanili giunge progressivamente a una consapevole definizione (dai primi significa-
tivi sviluppi dellIppiamaggiore, dellEutifrone, dProtagora, delM e?wmesoprattutco
del Cratilo, cfr. i 2-4 del cap. I e i 1-3 del cap. II) e nei dialoghi.maturi soggetta
a unulteriore, continua precisazione, specie rispetto alle conseguenze che essa impone
sulla configurazione e la struttura dei livelli del reale (cfr. in particolare il 5 del cap.
II; il 1 del cap. IV; il 1 del cap. V),
COSA U N 'lD E A PLATONICA 17 5

geometra in particolare, Platone gunse a postulare lesistenza delle


idee suliesempio deile figure geometriche, immutabili ed eterne.
N rappresent ai suoi occhi una difficolta il fatto che nulla nel
mondo emprico possa essere paragonato alia perfezione degli og-
getti della geometra e della matematica: al contrario, ci persuase
Platone della necessit di sancire lassoluta diversit e la separazione
delle realt pienamente essenti, eterne e dawero conoscibili, dal
flusso irregolare e apparente del divenire, della nascita e della mor-
te, che coinvolge gli enti materiali. La tesi di Alien egregiamente
riassunta in queste linee:

This new ontology is a solution to sceptical doubts. It was almost certainly


suggested to Platos mind by geometry. Protagoras, probably in his lost work On
M athematics, had argued that geometry is inapplicable to the physical world: there
are analogues in nature, but no physical equivalents, to the geometers breadthless
lines and lengthless points. Protagoras inferred from this, So much the worse for
geometry. Plato drew a different conclusion. Geometry is knowledge, clear and
certain. I f the physical world does not satisfy its requirements, so much the worse
for the physical world.34

Ora, non vi dubbio che Platone considerasse le matematiche


come un caso esemplare di scienza certa, vera ed evidente e giudi-
casse di conseguenza gli oggetti della matematica e le figure geome-
triche come gli enti conoscibili per eccelienza, dotati cioe di tutte le
caratteristiche della piena conoscibilita, perch, immutabili, eterni
ed estranei al dhrenire, alia generazione e alia corruzione, sono inol-
tre rigorosamente separad dalle loro immagini empiriche, la cui
contiguita ne comprometterebbe la purezza e fauto-identita. Tut-
tavia, a ben vedere, linterpretazione di Allen si limita a rinviare la
difficolta iniziale su altro piano, senza fornire una soluzione soddi-
sfacente: infatti, pur ammettendo che la postulazione delle idee sia
ispirata allesempio della geometra e della matematica, cosa sono
gli oggetti della matematica? A che genere di enti si allude parlando
delle figure geometriche?
Procediamo con ordine, muovendo ancora una volta dalla con-
cezione epistemolgica di Platone. Si a px riprese osservato che,

34 Cfr, R.E. ALLEN, P latos Euchyphro an d the earlier theory/ o f forms c i t ., 163-164.
176 FRANCESCO FR ONTERO TTA

se la vera conoscenza possibile solo in quanto il suo contenuto


esiste realmente e plenamente, bisogna che siano dati al pensiero
oggetti realmente essenti e veramente conoscibili, dunque in pos-
sesso di certi necessari requisiti, come Timmobilita, 1eremita, Tau-
to-identit e cosi via. Mi pare naturale pensare che Platone si sia
rivolto innanzitutto al mondo empirico, indubbiamente evidente
nellesperienza comune e immediatamente noto alia percezione,
constatando pero ben presto la sua radicale insufficienza
ontologica35. Egli dovette a questo punto riconoscere che gli enti
sensibili possono acquisire i requisiti della vera conoscibilitct limmo-
bilit, Teternit, Tauto-identita e cosi via soltanto a patto di essere
spogati di tutte le caratteristiche materiali loro proprie, del corpo,
della figura e dei colori, liberandosi di conseguenza dal ciclo della
generazione e della corruzione e dal perenne divenire spazio-tem-
porale. Si tratta insomma di un rigoroso processo di astrazione n-
tellettuale, condotto attraverso la progressiva definizione negativa
dei sensibili e in seguito al quale Platone giunse a individuare un
t , un qualcosa, originariamente appartenente alia sfera empri
ca, ma privato via via di tutte le caratteristiche normalmente attri-
buite agli enti sensibili e divenuto perd, in questo senso, di natura
frmale e ultra-sensbile: in altre parole, unidea. Con un esempo
concreto, per sapere cosa sia dawero un uomo (empirico) e averne
scienza, esso deve essere posto a oggetto della vera conoscenza e
rendersi veramente conoscibile, ossia immobile, eterno e auto-iden-
tico, e dunque, simmetricamente, estraneo al divenire, alia genera
zione e alia corruzione, alia materia e al corpo, alia composizione e
alia decomposizione: ci che rimane delTuomo empirico specifico
e delfinfinita molteplicit degli uomini empirici, quando siano posti
a oggetto della vera conoscenza, , inevitabilmente, Tente indivi
dale, semplice e incomposto che Platone chiama idea di uomo.
Occorre quindi evitare che Tanalisi si limiti alia constatazione
delfatto puramente dogmtico della postulazione delle idee, che
solleva un problema metafisico insolubile, e valuti invece le condi-

35 La constatazione eraclitea del perenne divenire che condanna il mondo


sensibile a un destino di semplice apparenza e di radicale inconoscibilita evidente
mente in stretta relazione con lipotesi platnica delle idee, come ho mostrato nel
5 del cap. II.
COSA E U N 'D E A PLATONICA 177

zioni alie quali un ente qualunque, indipendentemente dalla sua


natura, si rende dawero conoscibile: che tali condizioni siano sod-
disfatte esclusivamente ai prezzo di spogliare defintivamence sen-
sibili di tutte le loro qualit, arrivando cosi a postulare Tesiscenza di
una sfera di realt intellegibili separate dal mondo dellesperienza,
una conseguenza - dal punto di vista di Platone - inevitabile e
probabilmente persino trascurabile. Lesigenza epistemolgica del
la vera scienza, in ragione della concezione realista e oggettivista della
dottrina platnica della conoscenza, si traduce necessariamente nei
termini ontologici dela teoria dee idee. Si comprende cosi agevol-
mente, fra Taltro, perch conviene accogliere una concezione
onniestensiva della reoria delle idee: tutte le cose che compongo-
no il mondo empirico dellespenenza (o, meglio, cucti i generi delle
cose che compongono il mondo empirico dellesperienza), se devo-
no essere veramente conoscxute, bisogna che siano considerate ri-
spetto alie idee cui possono essere ricondotte in virt di un proces-
so di astrazione intellettuae. Gli uomini empirici, i cavalli empirici,
i capelli empirici, e le loro qualit e relazioni, dovranno dunque
essere riportati, ciascuno, allidea che li raccoglie e li determina:
solo rivolgendosi alie idee deluomo, del cavallo, del capelo e delle
loro qualit e relazioni, si scoprir cosa siano dawero Tuomo in s,
il cavallo in s, il capello in s e le loro qualit e relazioni in s. In
corrispondenza di qualunque ente empirico mutevole e corruttibile
(e perci, in quanto tale, inconoscibile), con le sue qualit e relazio
ni, se deve essere posto a oggetto della vera conoscenza, esister
unidea in s e per s, immobile, eterna e auto-identica (e perci
realmente conoscibile)36.

36 Cfr. il 2 del cap. I V e il 2 del cap. VII. Si scioglie cosi, mi pare, unambiguit
errneam ente actribuita ajla teoria platnica delle idee da non pochi interpreti (cfr. per
esempio il recentissim o volum e di Philosophie grecque cit., 228-229 [M. CanTO-
Sperber]), che consiste nel ritenere che la postulazione delle idee risponda quasi
esclusivamente allesigenza di superare le contraddixioni della realt sensibie neiluni-
teneiru nivocitm etafisich edelleid ee: conseguentem ente, m entrerisultafcilm ente
spiegabile eststenza delle idee delle qualit morali o dei term ini opposti, che, quando
si manifesrano neesperienza com une, si confondono sempre con il proprio con tra
rio, misti e relativi gli uni agh altri, non sarebbero in vece necessarie le idee delle
sostanze, com e il dito, 1 triangolo o luom o, che, anche nella loro form a em prica e
sensibile, non suscitano alcun dubbio o contraddizione nel soggetto conoscente.
L esisrenza delle idee di tutti i generi delle cose empiriche e di tutte le loro qualit e
178 FRANCESCO F R O N T E R O IT A

Tuttavia, nelle condizioni descritte, un simile esito appare forse


comprensibile rispetto alie idee degli enti individuali (delle sostan-
ze in senso aristotlico), ammettendo per esempio, al di la degli
uomini o dei tavoli empirici, Fesistenza delle idee delFuomo o del
tavolo come oggetti puri e intellegibili, archetipi originari e primi
che esprimono Fessenza universale delFuomo o del tavolo, la loro
natura e le loro caratteristiche fondamentali proprio quelle carat-
teristiche che, attribuite a un sostrato materiale, determinandone
la forma, lo rendono uomo o tavolo. E anlogo si rivela, al limite,
il caso delle idee delle qualita morali o estetiche, come il buono, il
giusto, i bello e cosi via, riconoscendo, ancora una volta, lesisten-
za di certi oggetti puri e intellegibili che costituiscono gli archetipi
originari e primi che manifestano Fessenza universale della bonta,
della giustizia o della bellezza, dotati di quelle caratteristiche fon
damentali che, quando appartengono a un ente empirico, permet-
tono di definirlo buono, giusto o bello. Gia a questo livello emerge
peraltro con ogni evidenza la difficolt di capire come sia possibile
concepire la bont, la giustizia o la bellezza, qualit generali degl
enti, come realta individuali in senso proprio ossia nei termini di
un bene in s, di un giusto in s o di un bello in s. Ma la questione
diviene ancor pi complessa con le idee dei termini relativi, che
esprimono e designano, appunto, le relazioni fra gli enti: infatti,
considerando per esempio Fidea del diverso, come pensare una realta
individuale in corrispondenza della diversit, che non un oggetto
empirico n una qualita di un oggetto empirico, ma una relazione
che si stabilisce fra pi oggetti empirici?37 Se in una certa misura

relazioni diviene dimmediatacomprensionesesiaccolgono le ragioni epistemologiche


della teoria delle idee e si riconosce che ogni cosa emprica, per essere veramente
conoscibile in tutti i suoi aspettj, deve essere ricondotta alia propria idea: in tal caso,
bisogner accettare il principio che esiste unidea in corrispondenza d tutti i generi
delle cose present nel mondo sensibile, delle loro quaiit e relazioni, senza alcuna
eccezone n limitazione.
37 Si tratta precisamente della difficolt segnalata da Aristotele in D e ideis 82, 11-
83, 30; Metaph. A, 990b 15-17; M , 1079^-11-13 (perla qualecfr. YAppendiceWl, 2):
mentre ie idee dele sostanze e delle loro qualita posso no essere dawero, come vuole
Platone, degli enti in s e per s (aiTa Kaflar), invece le idee dei termini che
esprimono la relazione fra gli enti si pongono sempre come un qualcosa che non in
s, ma rispetto ad altro (irps- t l ).
COSA E U N 'lD E A PLATONICA 179

possibile raffigurarsi nel pensiero un quid individale ed eterno cui


appartiene il nome di uomo o di tavolo e che rappresenta lessen-
za e la conformazione universale di tutti gli uomini o di tutti i
tavoli empirici; e forse, ancora, un quid individale ed eterno cui
appartiene il nome di bene in s, di giusto in s o di bello in s
e che rappresenta lessenza e la conformazione universale della bon-
t, della giustizia o della bellezza propria degli enti empirici; invece,
dawero paradossale risulta il caso della diversit (e dei termini rela-
tivi in generale): cosa infatti Tidea del diverso? E come raffigurarsi
nel pensiero la diversit in se? Tale insolubile difficolt rivela
senzombra di dubbio un interrogativo mal posto e discende dai-
Finsidiosa semplificazione che induce talvolta a intendere le idee
platoniche come enti, certo universali ed eterni, ma costtuiti se-
condo una stretta analogia con le cose empiriche corrispondenti:
occorre ricordare pero che le idee (delfuomo, del tavolo, del bene,
del giusto, del bello o del diverso) non coincdono in nessun modo
e da nessun punto di vista con le cose empiriche corrispondenti,
giacch derivano piuttosto da un astrazione intellettuale delle cose
empiriche, delle loro qualit e relazion, ponendosi perci come
concetti sostanzializzatij privi di figura, di forma e di struttura con
creta. E dunque lecito chiedersi in cosa consista unidea (delluo-
mo, del tavolo, del bene, del giusto, del bello o del diverso), ma
non corretto tentare di raffigurarla attraverso categorie logiche
(come quelle di figura, forma o struttura) che si addicono esclu-
sivamente agli enti sensibili38.

33 Mi rfersco, in altre parole, allerroneae fuorviante tendenzaa concepire le idee


platoniche come, per cosi dire, super-cose, ossia come enti che, pur se a un diverso
livello e con uno seaturo ontologico e delle caratteristiche radicalmente differenti,
riproducono pero esattamente la struttura individale e sostanziale delle cose empi
riche. Si giunge cosi a raffigurare lidea di uomo o 1dea del bello come una sorta di
super-uomo o di super-bellezza, quindi come sostanze universali che, bench
collocate su un altro piano del reaie, assomigliano pero agli enci sensibili present nella
sfera emprica, dunque agli uomini o alia bellezza di questo mondo. Ma, se viene estesa
alie idee dei termini relativi, una simile prospettiva i age era pi acuri paradossi, da
momento che tali idee non hanoo, n possono avere, nessun termine di paragone fra
gli enti sensibili, fra i quali non esiste certamenre nessuna cosa emprica corrisponden-
te alia diversit come tale. Lorigine di questo fraintendimento deve essere probabil-
mente attribuita ad Aristotele quando afferma (per esempio 111 Metph. A, 990a34-b8;
M, 1078b31-1079a4) che Platone, con lintroduzone delle idee, non ottenne akro
180 FRANCESCO FR ONTERO TTA

Le idee platoniche come sono descritte nei dialoghi emergono


insomma al culmine di un processo razionale, in virt del qule ai
cfHXJLKd K a i a i c r O q T d , spogliati della ioro natura materiale e

corruttibile e sciolti infine dalla vicenda spazio-temporale del dive-


nire, vengono attribuite leterna auto-identit e la perfezione com-
piuta degli v t o . dawero v o q T d : perduto il proprio statuto origina-
rio di oggetti spazio-temporali, questi enti compongono ora un
nuovo e separato livello del reale, senza dubbio intellegibile e pie-
namente essente39.

risultato se non quello di duplicare1il numero delle realt esisrenti e i problemi ad esse
connessi, come se, in effetti, le idee fossero esclusjvamente dei semplici doppi delle
cose sensibili, posdsu un piano universalee separato dal mondo emprico, ma a questo
perfettamente analogo e parallelo. Ora, se vero che le idee sono per Platone realt
individuali, enti in senso proprio, lo sono tuttavia secondo un modo d i essere del tutto
diverso da quelio delle cose empiriche, appunto come astrazione intellettuale delle
cose empiriche. Non pertanto legittimo tentare di attribuire loro una forma, una
figura o una struttura sostanziale analoghe a quelle delle cose empiriche n, conseguen-
temente, ha senso chiedersi come si configuri concretamente l'idea del diverso, perch
un simile interrogativo presuppone la convinzione che lidea del diverso possa essere
rappresen tata secondo una analogia on tica con le cose empiriche che invece non
sussiste: lidea del diverso (come anche, del resto, le idee delluomo, del tavolo, della
bellezza, della giustizia o del bene), in quanto idea, non si configura concretamente in
nessun modo, poich rimane un concetto sostanzializzato, privo di forma o di figura,
ontologicamente diverso dal suo corrispettivo empirico e ad esso irriducibile.
39 Riprender la questione della natura e del ruolo delle idee platoniche nel 5
del cap. XI alia luce delle critiche rivolte da Parmenide alla domina dei generi nella
prima parte del Parmenide.
PA R TE SE C O N D A

IA TEORIA DELLE IDEE E IL DILEMMA

DELLA PARTECIPAZIONE NEL PARMENIDE


VII.

LESAME DELLA TEORIA DELLE IDEE NEL PARMENIDP

1. La presentazione del Parmenide

II Parmenide narra lincontro di Parmenide e Zenone, in visita


ad Atene in occasione delle Grandi Panatenee, con un Socrate an
cora in giovane et. Tale incontro, con i discorsi dei protagonisti,
narrato a distanza di molto tempo a Cefalo di Clazomene e ad
alcuni suoi concittadini da Antifonte, fratellastro di Adimanto e
Glaucone (e quindi di Platone), che in giovent era stato intimo di
un certo Pitodoro, discepolo e seguace di Zenone, e da quest! aveva
udito il resoconto dettagliato dellepisodio2.
II dialogo entra rpidamente nel vivo con lesposizione dello scritto
di Zenone, che, alia presenza di Parmenide, Socrate e pochi altri
ascoltatori, conduce una rigorosa difesa della tesi monista del suo
maestro, che sancisce Tassoluta unita del tutto (e v e l v a i t u v ) e
nega pertanto lesistenza della molteplicit3. Se i molti sono ( e l TioXX

1 Per le questioni relative alia cronologa, alia scruttura e ai personaggi del


Parmenide, rinvio alia mia Guido, alia lettura del Parmenide di Platone, Roma-Bari,
Laterza 1998, 3-24, e a P l a t o n e , Parmenide, traduzione di G. C a m b ia n o , introduzio-
ne e note di R F r o n t e r o t t a , Roma-Bari, Laterza 1998, v-xxvii.
2 Prm. 126al-c3. Di Cefalo, da non confondere con romonimo padre dellora-
tore Lisia nella cui casa al Pireo si svolge la discussione narrata nella Repubblica, non
abbiamo altrimenti notizia. Antifonte era figlio di Perittione, madre di Platone,
Glauconee Adimanto, edelsuosecondo marito Pirilampe. Pitodoro, figlio di Isoloco,
nominato anche in Ale. 1 119al sgg., in cui si dice che avtebbe pagato cento mine
a Zenone per diventarne discepolo. Le Panatenee erano feste annuali celebrate ad
Atene in onore di Atena: ogn cnque anni venivano celebrate con particolare fasto, da
cui il nome di Grandi Panatenee.
3 La dottrina di Parmenide riassunta da Platone nella sinttica formula "il tutto
uno1, oltre che nel Parmenide (128a7-b2; b3-4; d i -5; 137bl-4), anche nel Teeteto
184 FRANCESCO FR O N TERO TTA

cm) argomenta Zenone ne derivano infatti conseguenze as-


surde e risibili: tutte le cose saranno caratterizzate da opposti attri-
buti contemporaneamente, si riveleranno uno e molti (uno rispet-
to aila to tali t che costituiscono, molti rispetto ai singoli elementi
componenti la to tali t), simili e dissimili (simili rispetto a s stesse,
dissimili rispetto aile altre cose) e cosi via. Lammissione dlia mol
teplicit dunque contraddittoria e la tesi parmenidea deUunit
del tutto ne risulta confermata4: questo, come Zenone sottolinea,
, senza nessuna pretesa di originalit, il suo contributo alla difesa
di Parmenide (127d6-128e3)3.

(180e3; 183e3-4) e nel Sofista (242d5-6; 244b6). Non affronto qui i problemi
connessi alTinterpretazione dlia tesi di Parmenide come presentata da Platone e
come emerge dai frammenti del filosofo eleate che ci sono pervenuti. Sul rappoto fra
Platone e la cosiddetta scuola eleatica, e dunque suirattendibilit e la veridicit
storiche dlia presentazione di Parmenide (e di Zenone) nei dialoghi platonci,
rimando al mio articolo L a dottrina eleatica delTunit del tutto: Parmenide, il
Parmenideplatonico eArstotele, di prossima pubblicazione negli AIIS (Napoli); e a
J.A. P a lm e r , Plato's reception o f Parmenides, Clarendon Press, Oxford 1999, ehe,
tuttavia, mira soprattutto a mettere in luce le diverse (e opposte) modalit e Strategie
di appropriazione e di rielaborazione critica del pensiero di Parmenide da parte di
Platone (nelie varie fasi della sua riflessione) e della sofistica.
*' Si tratta della forma cannica di una rigorosa reductio a d absurdum, particolare
modalit elenctica ehe mira alla confutazione di una certa proposizione muovendo
dalla dimostrazione dellassurdit o delTincoerenza delle conseguenze che da essa
derivano. Sulla struttura logica della reductio a d absurdum zenoniana della moltepli
cit degli enti si veda ancora il mio articolo L a dottrina eleatica delTunit del tutto :
Parmenide, z/Parmenideplatonico e Aristotele cit., 1. Un problema delicato sorge
rispetto alla traduzione dellipotesi ehe d lawio alla dimostrazione di Zenone,
giacch essa si trova formulata da Platone in alme.no due forme diverse; (1) el rroXXd
cm r vTa (127el): se gli enti sono molti; (2) d <r> TToXX cm (128d5): se
i molti sono. Nel primo caso, laggettivo rroXX posto come attributo del soggetto
T 6i/Ta; nel secondo, <r> rroXX, aggettivo sostantivato, diviene il soggetto
dellipotesi. Entrambeletraduzionisonodunquelegittimeepossibilie, purnettamen-
te divergenti, non incidono su! significato complessivo dellargomento che chiama in
causa la questione delfammissione o deesclusione della molteplicit tout court, ehe
essa sia intesa come un soggetto autonomo (r rroXX: molti, la pluralit degli enti)
o come attributo di un soggetto ( t ovra ... ttoXX: gli en ti... molteplici). Assai chiare,
dei resto, sono la struttura e la finalit dimostrativa dellargomento zenoniano: se la
molteplicit esiste, come vogliono gli awersari del monismo parmenideo, sorgeranno
infinite contraddizioni e di ogni ente bisogner dire ehe allo stesso tempo uno e
molteplice, simile e dissimile e cosi via, cio ehe pare dawero assurdo e impossible.
5 Sul metodo e sulla dottrina di Zenone, e pi in generale sulla sua immagine come
emerge dai dialoghi platonici e dalle altre fonti antiche, cfr. ancora il mio articolo La
dottrina eleatica delTunit d el tutto : Parmenide, //Parmenideplatonico e Aristotele cit.,
1; e, nuovamente, la Guida alla lettura del Parmenide di Platone cit., 17-24.
l eSAM E DELLA TEO RIA DELLE IDEE NEL PARM ENIDE 185

Ma Socrate avanza subito la sua obiezione: le aporie dlia molte


plicit si sciolgono fcilmente, se si pone Fesistenza di alcune realt
ideali e intellegibili, separate dalle cose empiriche che percepiamo
con i sensi; partecipando delle idee, le cose sensibili acquistano le
caratteristiche e le qualit che normalmente vengono ioro attribui-
te. A tali condizioni, la stessa cosa sensibile (per esempio un corpo
umano) potr essere a un tempo una (rispetto al tutto che essa costi-
tuisce) e molteplice (rispetto aile sue parti che sono piii di una) in
virt della partecipazione aiFidea dellunit e all5idea della moltepli
cit, e ci senza alcuna contraddizione. Diverso, e dawero stupefa-
cente, sarebbe invece il caso se Fanalisi di Zenone fosse diretta non
alie cose sensibili, ma aile realt intellegibili, se, quindi, si potesse
dimostrare che lidea dellunit in s molteplice o Fidea della mol-
teplicit in s una6. Allora effettivamente Fammissione dlia molte-

6 Per tre volte (in 129M -2; b6-c3; 129d6-130a2), Socrate ripete che considere-
rebbe questa eventualit come un prodigio (rpa) degno di ammirazione e di
meravigiia (dioi' 0aun.ctCeiv). Le parole di Socrate meritano una certa attenzione. Il
prodigio1cui egU si riferisce non consiste certamente nel mostrare che lidea delluno
viene a identificarsi con l'idea dlia molteplicit (o viceversa) o lidea dlia somiglianza
con lidea dela dissomiglianza (o viceversa), percha il ragionamento si imbatterebbe
cosi in una pura contraddizione in termini di cui non avrebbe senso meravigiiarsi o
ammirare g effetti. Si tratta invece dlia possibilit di applicare il mtodo di Zenone
aile realt ideali: come Zenone attribuisce opposti attributi alie cose sensibili (al solo
scopo negativo di mettere in luce iassurdit di un simile esito), Socrate (129d6-e3)
sottolinea linteresse di unanaloga indagine estesa aile idee, in primo luogo dividen
do (SLaLpfjrai) le idee in s e perse separndole Tuna dallaltra... e poi mostrando che
tra loro stesse quesee idee hanno la possibilit di mescolarsi (avyKepi'WOaL) e
separarsi (SiaKptyeaBaL). Attraverso questi procedimenti di divisione edi riunione
si rivelerebbe possibile comprendere quali idee stabiliscano delle relazioni con le al tre
idee, assumendone gli attributi, e quali no, e si giungerebbe in effetti a riconoscere che
iidea della somglanza dawero, alio stesso tempo, simile (a s stessa) e dissimile
(dalle altre idee), come anche lidea della dissomiglianza, che , alio stesso tempo,
dissimile (dalle altre idee) e simile (a s stessa); ancora, lidea della molteplicit
potrebbe essere detta una (in quanto singla idea) e molteplice (in quanto idea della
molteplicit), mentre deilidea deluno si comprenderebbe che rimane invece una,
senza mai entrare in possesso dellattributo della molteplicit. II rpido accenno di
Socrate introduce percio il difficile problema della partecipazione reciproca fra le idee,
appena toccaco nel Fedone (cfr. 104b6-105a5 e 1 3 del cap. IV) e svolto ampiamente
nel Sofista, che contiene una lunga sezione (25Ia5-258c5) consacrata alia questione
della comunicazione dei generi ideali, affrontata proprio con il sussidio metodologico
di un procedimento dialettico basato suile riunioni (avvaycoyat) e sulle divisioni
(SLcupcrei) delie idee (si vedano in proposito XAppendice I, 5-7; D. O Brjen, Le
non-tre. D e u x tudes sur le Sophiste d e Platon cit., 43-71; e il mio L tre et la-
participation de l a utre. U ne nouvelle ontologie dans le Sophiste cit., 331-348).
186 FRANCESCO FRONTERO 'T TA

plicit implicherebbe i paradossi sollevati da Zenone e occorrerebbe


necessariamente accogliere la tesi parmenidea delFunit del tutto,
ma finch Findagine rimane limitata alia sfera delle cose sensibili
Fipotesi dei generi riesce a superare ogni difficolt (128e4-130a2).
La teora dele idee viene dunque introdotta nel dialogo per spie-
gare la natura del mondo empirico in divenire e sciogliere le aporie
che caratterizzano i rapporti fra le cose sensibili. In 128e5-129bl,
Socrate pone a Zenone a domanda fondamentale: Non credi che
esista, in s e per s, un genere della somiglianza (oujt ko.0 curr
e iS o ? t l iaoLTriTos1) e cosi pur del suo opposto, della
dissomiganza; e che io, tu e ci che chiamato tutto partecipia-
mo di entrambi; e le cose che partecipano della somiglianza, in
virt di questa partecipazione, divengono simiii, e dissimili quelle
che partecipano della dissomiganza? ... E se tutto partecipa di en-
trambi gli opposti e, partecipandone, le stesse cose sono insieme
simili e dissimili (el 8 a! TrvTcc vavTwv vtlv }j.4>0Tptv
pcTaXaiipyeL, Kal ecm i \ietxcw ji^olv poLa Te Kal
vpoia arr auTIs-), di cosa ci si dovrebbe stupire?. Come
awiene per la somiglianza e per la dissomiganza, alio stesso modo
possibile risolvere ogni paradosso relativo alFunt e alia moltepli-
cita. Infatt, partecipando del genere delFunit (r }ieTxeiv tov
kvs) e del genere della molteplicit (tw TtXriOous* au jaeTexeiv), il
tutto si riveler contemporneamente uno e molteplice, senza che
questa conclusione, fatale alie tesi di Parmenide e di Zenone, solle-
vi alcuna ambiguit (129b4-cl).
Contro il monismo eleatico Socrate postula Fesistenza di una
sfera di enti ideali, paralleli alie cose che compongono mondo
sensibile ma da queste radicalmente separan (x^pL? pev eiSq aTa
aTTa, 130b2). In s e per s (it r a 0 a>T), esenti dalla genera-
zione e dalla corruzione della materia, dal divenire e dalla trasfor-
mazione, i generi ideali costituiscono un piano di realt immutabi-
li, eterne e immateria, attingibili solo con il pensiero (tols1 Xoyi(7|iL
XapPavopvoLS', 130a2), in quanto originariamente distinte dal piano
delFesperienza sensibile degli uomini e dal mondo delle cose empi-
riche (tci 8e Trap 133d2). La superiorit ontologica delle
idee ne sancisce lassoluta separatezza: in questo senso, protette
dalla propria auto-referenzialita e consistenza con s, le idee, sem-
[.' F.SAM f, D F.1,1,A TEO RIA DELLE 10 EH NEI. PARM END E 187

plicemente, sono. Cosi non , daltro canto, per le cose sensibili che,
come emerge dairesposizione di Socrate, prive di ur essenza deter-
minata, rimangono imprigionate nel divenire e nella trasformazio-
ne, generandosi e corrompendosi e sempre mutando neilaltro da
s. Mentre le idee sono caratterizzate dalla piena auto-sufficienza
ontologica (le idee sono cio che sono in virtu di s stesse) e dalla
perfetta identit con s (le idee sono sempre identiche a s stesse),
la sfera delle cose sensibili invece segnata da unoriginaria rninorit
ontologica (le cose sensibili divengono sempre, senza mai esser) e
dalIassoluta differenza da s (le cose sensibili divengono, e, dive-
nendo secondo un ritmo incessante, si rivelano sempre diverse da
s). Ma come allora possibile attribuire alie cose sensibili un nome,
una definizione o determinate qualit, e sottoporle a indagine nel
pensiero e nel discorso? E come pu Tuomo, che si trova in ultima
analisi immerso nel divenire dei mondo empirico, conoscere la su
prema realt delle idee e dedurne un critrio di valutazione e di
riferimento per Tazione e la scienza?
La risposta a queste domande precisa e inequivocabile (130e4-
131a2): se le idee sono ci che sono in virtu di s stesse, le cose
sensibili, di per s coincidenti con il puro movimento de divenire,
aequistano una specifica identit solo in virtu delia relazione con le
idee. Partecipando dei generi ideali (e8r| ... cov TSe t &Ma
\iTa\a[Ji^vovra), le cose ricevono le Ioro denominazioni (ra
ir(i)VU|JLLG.S avrv lcrxeLy) e definizioni; anzi, proprio attraverso
questa partecpazone, possiedono certe qualit e caratteristiche: sono
grandi, giuste o belle, non in s, ma partecipando delLidea dela
grandezza, delia giustizia o delia bellezza ([icyOous* <[ieTaXa(3vra>
S peyXa, icWous1 S xal SiKaiocr'yr|S' LKaid tc Kal KaX).
Del resto, la possibilit stessa delia conoscenza dipende dalla co-
municazione fra la sfera ideale e il mondo empirico: da un lato
infatti, conoscere le idee Tunico oggetto delia vera scienza si
gnifica per gli uomini trascendere la prpria dimensione sensibile
per attingere alLintelegibile; dalfaltro, conoscere le cose sensibili
significa cogliere non certo la loro corruttibilit materiale o il loro
perenne divenire - che costituiscono al massimo Loggetto delia
mutevole opinione - ma le caratteristiche che esse possiedono in
virtu delia partecipazione alie idee. In tal senso, le idee sono a un
188 FRANCESCO KRONTEROTTA

tempo oggetto di scienza e principio di conoscenza delle cose sensi-


bili. E dunque necessrio che i generi siano in quaiche modo pre-
senti ( v v a i , 131a7; b l-2 ) nelle cose perch il rapporto
parte cipativo sia cosi stabilito. Al tri menti, awerte il Parmenide
(135b5'c4), se le idee rimanessero irrimediabilmente separate dalla
realt empirica, come fossero inesistenti, non vi sarebbero enti sem
pre identici e permanenti in s stessi ([iq v lav ... Tqv ainr}v
el elvai), n, conseguentemente, alcun oggetto cui rivolgere il
pensiero (oS ottol rpipei Tqv SidvoLav), ela dialettica (Tqv tou
SLaXyecraL Suvapiv), resa impotente, ne risulterebbe annientata.
La teoria delle idee, nella formulazione del Parmenide ehe ho qui
sintetizzato, poggia quindi su alcuni assunti fondamentali.

(1)
Esistono certi enti eterni, immobili e sempre identici a s stessi, a cui Platone
attribuisce il nome di idee, forme o generi7. Per ogni specie di cose sensibili
(per esempio gli uomini, gli alberi e cosi via), vi ununica idea corrspondente
(lidea di uomo, lidea di albero e cosi via) di cui quelle cose partedpano8.
(2)
Le idee sono separate dal mondo empirico e sensibile: la separatezza ne preserva
lassoluta superiorit ontologica, stabilendo un g a p radicale e insuperabile rispet-
to aile cose. Platone esprime questo concetto con diverse espressioni: l'idea
separata (xcopis-), in s e per s (arf) Ka0 a m ^ ), rispetto a s stessa (aurr)
Tps- ai)rr|v) e pertanto, in questo senso, assoluta9.

7 Idea (I8a), cfr. 132a2; 132c4; 1 3 4 cl; 135a2; cl ecc.; forma (elSoj), cfr. 128e5;
130b7; c l-2 ; d l-4 ; 131a7; 134b3 ecc.; genere (yvo), cfr. 129c2; 34b7; c5; 135a7
ecc. Che questj enti esistano di esistenza propria e autonoma, stabilito chiaramente
in 130b l-5; 133c4-6; 134e8-135a2.
8 La definizione e limit delleffettiva estensione dlia sfera delle idee costituisco-
no la prima delle obiezioni mosse da Parmenide alla dottrina difesa da Socrate. Sulla
questione, cfr. il 2 di questo cap. VII.
9 Le idee sono dette sussistere x^pi- in 130b2-3; c l; d l; sono definite, ciascuna,
airri caB at-nv in 128e5; 129d6-7; 130b8; 133a8; c4-5; c7; 135b 1; sono inoltre
airral rrps1 aT, rispetto a s stesse, in relazione fra loro sol tan to (come pure lo
sono, sullalro versante, le cose), in 133c8-134al. In questo contesto, la preposizione
Trps, rispetto a, normalmente seguita dallaccusativo, indica la separatezza (essere
rispetto a s stesso) e dunque lassenza di partecipazione allaltro da s o lassenza
di separatezza (essere rispetto //altro da s) e dunque la condizione del rapporto
partecipativo con laltro da s. Ricordo nuovamente (cfr. pure, in proposito, il 1 del
cap. II, n. 2) che, per quel che riguarda la separatezza (xipLcrfi) delle idee, mentre
piuttosto frequente (proprio a partire dal Parmenide) luso dellawerbio x^pi-S"
(separatamente), invece, il sostantivo xwpL(T[Jx>j (separazione o separatezza)
l eSAM E D E LIA l'E O R IA DELLE IDEE NEL PARM ENIDE 189

(3)
La realt delle idee conosciuta con il ragionamento e con il pensiero (Xoyicr|ij;
Xytj) e non con i sensi111.

D altra parte, necessrio che, bench originariamente separate,


le idee siano present (vevai) nelle cose empiriche perch si apra il
rapporto partecipativo (^0ets') ^ T a X ^ iS , Koivcovla): le cose par-
tecipano { j i e T x e t .v , |_ieTaXap,<iveiv, K o iv to v e iv ) delle idee, vale a
dire possono esistere veramente, sempre e comunque, solo nella
relctzione con le idee e rispetto alie idee (irps' Ta d8r|)u. E questo
per almeno tre ragioni:

( 1)
Le cose, e tutto ci che existe nel m ondo sensibile degli uomini, traggono il loro
nom e e la loro definizione dalle idee: la legittimit dellintera sfera logico-lingui-
stica dipende dunque dal rapporto con le idee, che costituiscono il contesto di
riferimento semntico di ogni nom e e discorso12.

compare d u e sole volte nel Fedone (6 7 d4; d9). probabile che Aristotele per primo
abbia im p ie g a E o ilsostantivo laggettivo xtopurrs' (separato) eilverbo
xtiiptCeLv (separare) in riferimento aile idee platoniche, forse coniando egli stesso
simili espressioni. (cfr. solo E N A, 1 096b 31-34; Metapb. K, 1 0 6 0 a ll-1 3 ; e D.
MORRISON, Choristos in Aristotle cit., 89 sgg.). Non ritengo tuttavia che taie precisa-
zione lnguistica incidasul significato filosofico dellassunto platonico dlia separazio-
ne delle idee e mi servro pertanto indifferentemente, qui e di seguito, dellawerbio
XJpis11 e del sostantivo xi^picM-oS'3 senza introdurre ulreriori distinzioni.
10 Cfr. 130a2; 135e3, ed precisamente in base a questa distinzione che le idee
si rivelano di natura intellegibile e non sensibile.
11 La presenza (velvat) delle idee nelle cose empiriche attesrata, nel Parmenide,
in 131a7-9; b l; 132d2; per quel che riguarda la partecipazione, di |a0eis' si parla in
3 2 d 3 ; I 4 ld 6 ; 151 e7, di ierd\T]tpi in 131a5 e di KotmUa, termine che significa
'comunicazione piuttosto che partecipazione e che acquista grande rilevanza nella
geografia dlia comunicazione fra i generi nel Sofista (cfr. in proposito YAppendice I,
5), in 152a2 e 166a2; verbi che esprimono iatto del partecipare sono: pieTxeL^
(in 129a7; b4-5; c7; d l; 1 3 2 c l0 ; e l; 134b 12; c9 ecc.), da cui il sostantivo p.0is">
jieTaXa.ti-[3veiv (in 129a3; a4-7; 130e5; 131 al ; a4-5; e4; 133a4-5 ecc.), da cui il
sostantivo peTdXrnJns'; e K oivtvetv (in 158d3), da cui il sostantivo koluwi'lgl Per
lespressione essere rispetto a o in relazione con (up seguito da accusativo) c per
il significato che questa assume nel contesto del rapporto partecipativo, cfr. 133c8-
134al e supra , n. 9-
12 Cfr. 130e 4 -1 3 1 a l. Sulla questione delleponimia, specialmente rispetto ai
problema dlia predicazione e dell'auto-predicazione delle idee, si veda il 3 dei
cap. X.
190 FRANCESCO FR ONTERO TTA

(2)
Le cose sono ci che sono e possiedono le qualit che vengono normalmente
loro attribuite in virt della partecipazione alie idee: essenza stessa delle cose
sensibili discende allora, dal punto di vista ontologico, dalle realt ideali13.
(3)
Le idee, che sono 1nico oggetto di vera scienza, devono rivelarsi in qualche
m odo attingibili e conoscibili per gli uomini, a loro volta immersi nel mondo
emprico; noltre, in quanto essenza degli enti sensibili, stabiliscono i criteri che
consen tono ag i uomini di conoscere le cose al di la del loro perenne diven ire, e
costituiscono, in questo senso, il fondamento della dialettica e di ogni possibile
epistemologa o teoria della conoscenzaH.

Ora, nella prima parte del Parmenide, la teoria delle idee viene
sottoposta a critiche radicali, rispetto alie quali gli interpreti hanno
manifestato, fra molte perplessit, un diverso atteggiamento. Chi
considera queste.critiche non valide, dubita che la teoria delle idee
presentata nel Parmenide sia genuinamente platnica e sospetta che
appartenga invece al filosofo e astronomo Eudosso o comunque
allambiente accademico, visto che concepisce la partecipazione fra
le cose e le idee in una forma materialista che sarebbe estranea a
Platone15; o, viceversa, le critiche di Parmenide esprimerebbero le
perplessit sollevate al.rinterno delPAccademia o da parte dei
Megarici contro la teora platnica, senza peraltro coglierne gli aspetti
fondamentali16. Quanti invece giudicano valide ed efficaci le criti-

13 Cfr. per esempio 130e4-131a3.


Cfr. 134e8-135c4.
15 S u lla dottrina professata da Eudosso, si veda gi la testimonianza di Aristotele
in Metaph. A, 9 9 1 a l0 sgg.; B, 9 9 8a 10 sgg.; e soprattutto nel D e ideis, 97, 2 7 -9 8 , 24.
S u lla presenza di Eudosso o di qualche altro Accademico n e l Parmenide, cfr. F.M .
CORNFORD, Pklto and Parmenides t . , 86-87; M. SCHOFIELD, Eudoxus in f/vParmenides,
in MH, X X X , 1973, 1-19- Tornero sulla questione nel 1 del cap. VIII, n. 6.
K Si veda ancora F.M . CoRNFORD, Plato an d Parmenides cit., 100-102. K.M.
SaYRE, Plato's late ontology: a riddle resolved, Princeton Univ. Press, Princeton 1983,
18-37, sostiene ehe nessuna delle critiche alia teoria delle idee, qualunque sia la sua
origine, in qualche modo conclusiva, perch non solleva questioni decisive rispetto
alia natura delle idee: tutte le obiezioni di Parmenide sarebbero concepite ed espresse
in a trivia] way, al semplice scopo di create nel letrore, con un artificio retorico,
iaspcttativa necessaria allesame della seconda parte del dialogo. Sulle dottrine
megariche, cfr. R. MULLER, Introduction la pense des m gnriq ues, Vriiv O us ia, Paris-
Bruxelles 1988.
LESAMK DELLA TEO RIA DELLE SDEE NEL PARM F.NIDE 191

die del Parmenide credono che esse abbiano indotto Platone a ri-
pensare la propria dottrina, modificndola sostanzialmente. Fra
questi, alcuni ritengono che, mentre nei dialoghi della giovinezza e
della maturit le idee sono concepite come cause efficient^ del mondo
emprico, quindi come realt effettivamente present nelle cose sen-
sibili o comunque contemporneamente immanenti e trascenden-
ti, daltro canto, nei dialoghi pi tardi, in seguito alle difficolta
affrontate senza successo nella prima parte del Parmenide, i generi
sarebbero rappresentati come paradigmi definitivamente separad
dalle copie materiali17. Altri invece ipotizzano una differente evolu-
zione del pensiero di Platone e sostengono che le idee, in un primo
tempo considerate come enti universali realmente esistenti, si ridu-
cono, a partir dal Parmenide, a semplici concetti privi di esistenza
reale, categorie generali del pensiero e del linguaggio18.
Queste interpretazioni poggiano essenzialmente su due ipotesi
alternative: in un caso, si suppone che la teoria delie idee sia sotto-
posta, nelFambito della riflessione di Platone, a una costante evolu-
zione e a sostanziali mutamenti; nellaltro, che la teoria presentata
nei Parmenide non corrisponda, in misura pi o meno grande, a
quella sostenuta da Platone negli altri dialoghi e che, conseguente-
mente, appartenga a un esponente minore delFAccademia. Entram-
be le possibilit sembrano tuttavia, almeno a prima vista, da esclu-
dere: la rapida presentazione della dottrina dele idee che Socrate
tratteggia fin dalle battute introduttive del dialogo coincide infatti,
secondo la mia analisi, con la versione class ica di questa dottrina

17 Cfr. ii 2 del cap. VI e H. J a c k s o n , P latos later theory o f ideas, II: the


Parmenides, in JPhilol, IX, 1881, 287-331; J- BURN ET, Greek philosophy cit., I, 254;
A.E, TAYLOR, Philosophical studies cit., 28-90.
18II padre di questa corrente interpretativa logico-analitica h G. Ryle con il suo
celebre arricolo P latos Parmenides cit. G.E.L. O w e n , The place o f the Timaeus in
P latos dialogues, in CQ, n. s., Ill, 1953, 79-95 (riedito in Studies in P latos
metaphysics cit., 313-338), perfino indotto a retrodatare, contro ogni evidenza
stilistica e testuale, il Timeo, collocandolo vcino alia Repubblica e al Fedone, perch
presenta, a suo awiso, unimmagine classica della teoria delle idee che attribuisce alle
idee esistenza reale e separata dalle cose sensibili. Anche W .D . Ross, op.cit., 119 sgg-.
sembra accogliere questa interpretazione dei dialoghi tardi, considerando le idee non
come una cosa, bens'i un attributo, ... una caratteristica delle cose. Sulintera
questione delle interpretazoni logico-analitiche del Parmenide e pi in generale di
Platone, cfr. la mia Guida alia lettura del Parmenide di Platone cit., pp. 116-122.
192 FRANCESCO FR O N TE R O I'! 'A

come esposta nelle opere delia maturit, precisamente nei termini


che ho cercato di stabiiire nella Parte prima} 3.
D altra parte, per esprimere un giudizio pi articolato sulla que
stione, conviene esaminare attentamente la lunga e incalzante in-
dagine cui Parmenide sottopone la riflessione del suo giovane in
terlocutor, specie rispetto alia difficile relazione fra le idee e le cose
empiriche, la partecipazione, che rappresenta senza dubbio Faspet-
to pi decato e incerto dela posizione difesa da Socrate.

2. Lestensione del mondo delle idee nel Parmenide

Prima di concentrare i propri sforzi sul dilemma della partecipa


zione, per, Parmenide rivolge a Socrate un interrogativo prelimi-
nare (130a7-b3): di quali cose sensibili o, meglio, di quali specie di
cose sensibili vi sono idee? Non si tratta, a mi awiso, di unobiezio-
ne reale contro la teora delle idee o di una sua effettiva difficolt,
ma solo di una precisazione iniziale che il grande Eleate richiede al
suo awersario. D altro canto, questo interrogativo introduce la que
stione dellestensione e della popolazione del mondo delle idee, che
ho gi trattato nei dettagli e che richiamo ora solo brevemente20.
Socrate ammette senza esitazione Fesistenza delle idee dei termi
ni che esprimono le relazioni fra diversi enti, come somiglianza e
dissomiglianza, e cos pure delle idee delle caratteristiche o delle
proprieta attribuite agli enti, come unit e molteplicit, quiete e
moto (130b 1-6) ; analogamente, le idee dei valori o delle qualit
morali ed estetiche, come il bene, il bello e il giusto, non pongono
alcun problema (130b7-9). Socrate afferma di trovarsi invece in
imbarazzo (v oLTropta) per quanto riguarda Fesistenza dele idee
degli enti naturali, come Fuomo, Facqua o il fuoco (130cl-4), men-
tre respinge Feventualit che esistano anche le idee di oggetti di
natura spregevole e ignobile, come l capello o il fango: bench
possibile e perfino suggestiva, questa prospettiva sarebbe causa di

19 Cfr. soprattutto il 5 de] cap. I; il 5 del cap. II; il 3 del cap. III; il 1
cap. IV; i 1-2 del cap. V.
L* ESAME DELLA. TEO RIA [3 ELLE IDEE NEL FARM EN ID E 193

riso e di ogni genere di stoltezze e So erare confes sa di non aver


ancora rsolto definitivamenre i suoi dubbi in proposito (130c5-
d8). Tuttavia, Parmenide invita il suo giovane interiocutore a supe
rare la propria perpiessit e a non tenere conto delle opinioni degli
uomini, perch chi pratica seriamente la filosofa interessato sol-
tanto alia ricerca della verit e, a questo fine, non disprezza alcunch,
neanche ci che ai pi sembra ridicolo e di poco valore (130el-4).
II punto di vista espresso da Parmenide coincide con ie indica-
zioni tratte dagli altri dialoghi, che ricordo rpidamente: nella Re-
pubblica (V 507b2-9; X 596a5-8), Socrate spiega che, nei corso
delle sue indagini, egli solito ipotizzare esistenza di una singla
idea corrispondente a tutte le molte cose che hanno idntico nome
(elSos* yp tto ) t i 'v eicacrrov ... irepl eKaora r t t o Xk, ois*
TaJTv oyo|j.a mc^pojiev), senza eccezion di sorta. E nel Timeo
(51b6-c5), Timeo ribadisce con insistenza la necessit delle idee,
queste realt di cui sempre parliamo, dicendo che sono in s e per
s, poste, ciascuna, in corrispondenza con ognuna delle cose em-
piriche. Come si vede, nessuna limitazione sembra essere posta al-
Testensione della sfera dei generi e ci mi ha indotto a propendere
per una concezione onniestensiva della teoria delle idee, nono-
stante Fincertezza manifestata in proposito nel Parmenide21.

21 Cfr. ancora il 2 del cap. IV e il 3 del cap. VI. Occorrc sottolineare subito
la difficok connessa a una concezione onniestensiva delle idee: dal momento che
esistono idee per tutte le cose sensibili e per tutte le qualit attribuibili alle cose
sensibili, sar necessrio ammettere anche idee 'negative' o apparentemente auto-
con traddittorie. Se Iidea del bello consiste propriamente nelia bellezza, in cosa
consisteranno iidea della molteplicit e 1idea della dissomiglianza? Non forse nel
moltepiice in s e nel dissimile in s (infrangendo cosi 1unit e lauto-identita che
appartengono necessariamente a ogni idea)? Per la questione, che acquista un
particolare rilievo nel dibattito sulla predicazione e sullauto-predicazione delle idee,
cfr. soprattutto il 7 del cap. X.
VIII.

XL DILEMMA DELLA PARTECIPAZIONE

1. Le modalita del rapporto partecipativo fra le cose e le idee

In 130e4-131a3, Parmenide riassume sinteticamente ia teoria


delle idee che Socrate ha difeso fin li: Tu ricieni, come did, che vi
siano certi generi dei quali le cose empiriche partecipano per cui
sono simili partecipando della somiglianza, grandi partedpando
della grandezza, giuste e belle partecipando della giustizia e della
bellezza? Senzaltro. Ma lattenzione di Parmenide si concentra
subito, incalzante, sullaspetto filosoficamente essenziale: come av-
viene la partecipazione? O, meglio, come si configurano le modali
ta generali del rapporto partecipativo? Due sono le ipotesi formu
late nel testo (131a4-e6): o il soggetto della partecipazione - le cose
empiriche partecipa dellintero genere (o\ou t o u etSous') o parte-
cipa soltanto di una sua parte (iiepaus1). Cio che si traduce come
segue: o lidea e interamente presente in ciascuna delle cose che ne
partecipano o si divide in parti, presenti, ognuna, in ciascuna delle
cose partecipanti. Infatti, la partecipazione non e altro che presen-
za del partecipato3 nel partecipante. Entrambe le possibility pro-
spettate da Parmenide sono pero almeno problematiche.
Se un idea si trova nella sua totalita in ciascuno dei partecipanti,
dovra, pur rimanendo una, essere simultaneamente presence in piu
cose fra loro diverse e separate {kv rroXXois1 ouaiv), ma
questo e impossibile. Del resto, anche ammettend.o una simile con-
dxzione, lidea risulterebbe cost progressivamente moltiplicata e,
quindi, in ogni caso separata da se stessa (aiixo airrmi x^P1?
hr\) e privata della propria unita e unicita. In termini formali, se a\
b e c partecipano dellidea X in sc, lidea X in se sara intera-
VIII.

IL DILEMMA DELLA PARTECIPAZIONE

1. Le modalit del rapporta partecipativo fra le cose e le idee

In 130e4-131a3, Parmenide riassume sinteticamente la teoria


delle idee che Socrate ha difeso fin 11: Tu ritieni, come dici, che vi
siano certi generi dei quali le cose empiriche partecipano per cui
sono simili partecipando dlia somiglianza, grandi partecipando
dlia grandezza, giuste e belle partecipando dlia giustizia e dlia
bellezza? - Senzaltro. Ma fattenzione di Parmenide si concentra
subito, incalzante, sullaspetto filosoficamente essenziale: come av-
viene la partecipazione? O, meglio, come si configurano le modali
t generali del rapporto partecipativo? Due sono le ipotesi form
late nel testo (131a4-e6): o il soggetto dlia partecipazione - le cose
empiriche partecpa delfn tero genere (oXou t o v o v ) o parte-
cipa soltanto di una sua parte ([lpous). Ci che si traduce come
segue: o lidea interamente presente in ciascuna delle cose che ne
partecipano o si divide in parti, presenti, ognuna, in ciascuna delie
cose partecipanti. Infatti, la partecipazione non altro che presen-
za del partecipato nel partecipante. Entrambe le possibilita pro-
spettate da Parmenide sono pero almeno probiematiche.
Se unidea si trova nella sua totalit in dascuno dei partecipanti,
dovr, pur rimanendo una, essere simultaneamente presente in piu
cose fra loro diverse e separate (ev ttoXX o s 1 o x t iv ) , ma

questo impossibile. Del resto, anche ammettendo una simile con-


dizione, lidea risulterebbe cosi progressivamente moltiplicata e,
quindi, in ogni caso separata da s stessa ( a v r a v t o v X^P1? tv
eirj) e privata dlia propria unit e unicit. In termini formali, se a5,
b e V partecipano delidea "X in s7, f idea X in s sar intera-
196 FRANCESCO FR O N T ERO TTA

mente presente, alio stesso tempo, in a , b e c\ Ora, dal momento


che ca , b e V sono cose empiriche fra loro diverse e separate, Tidea
CX in s, contemporneamente presente in ciascuna di esse, si rive-
ler a sua volta molteplice, diversa e separata da s stessa: avremo
quindi un idea X in s uriidea CX in sh\e unidea X in sc, il che
evidentemente assurdo1. So crate si sforza di sfuggire al paradosso
proponendo questa metfora: le idee assomigliano forse alia luce
del giorno2, che, una, si manifesta a un tempo in pi luoghi senza
che ci comporti alcuna contraddizione. Ma la replica ancora una
volta stringente. Per rendere pi esplicita Fanalogia con la luce del
giorno, Parmenide introduce una nuova immagine: se un velo ri-
copre molti uomini, si dir che posto, intero, su ognuno di essi o
diviso in parti collocate, ciascuna, su ogni uomo? Socrate cosi
ricondotto al cuore del dilemma c, poich un nico ente (unidea
come un velo o come un fas ci di luce) non puo nerire a pi cose
nella sua totalit, senza perci rivelarsi paradossalmente separato
da s stesso, opta decisamente per la seconda alternativa.
Anche questa scelta, tuttavia, non priva di serie conseguenze.
Se infatti necessrio che unidea, per essere presente nelle cose che
ne partecipano, sia divisa in parti present nelle single cose parte-

1A questa reductio adabsu rd u m di Parmenide Socrate potrebbe replicare solranto


riconoscendo che le cose empiriche partecipano delle idee singolarmente e una per
volta: in ta] caso, ogni idea partecipata sarebbe interamente presente in una sola cosa
emprica partecipante per volta. D aitro canto, ci implicherebbe uninsopportabile
frammentazione della relazione fra le idee e le cose perch, per esempio, 1uomo
Socrate5 potrebbe partecipare dellidea di uomo soltanto in un momento diverso da
quello in cui luomo Platone partecjpa deidea di uomo: esteso ainfinita serie di
uomini empirici, questo ragionamento finirebbe per compromettere il significato
filosfico del rapporco partecipativo, inteso precisamente come la modalit terica in
virt della quale Y infera e molteplice realt empirica particolare viene ricondotta
sN u n it e ali universalit ontologica deila sfera ideale.
2 R.E. A l l e n , P la to s Parmenides, translation and analysis by R.E. LLEN
Blackwell, Oxford 1983, 116-117, osserva che, con lanalogia del giorno (f|^tipa),
Socrate non pu riferirsi al giorno inteso come un periodo determinato di tempo,
perch sarebbe assurdo credere che un periodo determinato di tempo possa essere
presente alio stesso tempo in pi luoghi: come potrebbe infatti un tempo trovarsi in
un luogo e in un tempo'i Con ogni probability, proponendo Iimmagine del giorno,
Socrate intender alludere alia luce del giorno, concepita come realt fisica che occupa
uno spazio. In questa ottica, la success iva metafora del velo suggerita da Parmenide
non fachesviluppare e rendere esplicite le conseguenze implicite nellipotesi socratica,
per mostrarne in seguito Finconsistenza.
H. DILEMMA DELLA PARTECIPAZIONE 197

cipanti (pepior ... cmv atrr Ta eT|, Kai Ta iieTxo^Ta


ainw pipou? ay [leTxoi), ne drivera una generale frammentazione
delle realt ideali, che saranno infinitamente disseminate nel mon
do empirico (r v eiSo? f]j_ity ... p.epCea0ai). In termini formali,
se a\ b e c partecipano dellidea X in s, allora lidea X in s
sar divisa nelle sue parti X in sa, X in sb e X in sc, presenti,
rispettivamente, nelle cose empiriche a, V e c\ Parti fra loro di
verse, perch, se cosi non fosse, costituirebbero ununit
indifferenziata e si cadrebbe nuovamente nella difficolt preceden
te, per cui unidea nella sua totalit inerisce allo stesso tempo a pi
cose partecipanti. Parmenide non manca di sottolineare la gravita
dellaporia: se, per esempio, ogni cosa empirica piccola tale in
quanto possiede una parte dellidea del piccolo, lidea del piccolo
dovr essere detta pi grande delle sue parti, proprio di quelle parti
che, presenti nelle cose, le rendono piccole. Ma pu lidea del pic
colo essere 'grande o pi grande di qualcosa? Sembra di no e Socrate
non riesce a suggerire una soluzione soddisfacente aile obiezioni
sollevate da suo interlocutore e a spiegare la natura e i modi del
rapporto partecipativo.
In effetti, le ipotesi appena formulate mostrano subito la loro
inconsistenza di fronte agli incisivi argomenti di Parmenide poi-
ch contraddicono intrinsecamente alcuni degli assunti fondamen-
tali delia teoria delle idee. In primo luogo, le idee sono umche e
auto-identiche: vi ununica idea di albero e ununica idea di uomo
per tutti gli innumerevoli alberi e uomini che esistono nel mondo
empirico3. Inoltre, le xdee sono realt semplici e incomposte, indi
vidu! ontologici primi, non ulteriormente divisibili in parti pi.
piccole4. Invece, modelli di partecipazione proposti da Socrate
conducono precisamente, come abbiamo visto, al paradosso di
unidea resa molteplice e separata da s stessa5 (nel primo caso) o

3 Cfr. per esempio Prm. 130bl-d5; 130e4-131a8; 1 3 1 b l;e il 1 del cap. IV.
4 Cfr. per esempio Phd. 78cl-d 9; Phdr. 250c2-3; e il 1 del cap, IV.
5 La 'separatezza1 da s dellidea sarebbe in questo cas duplice: separata, da un
lato, in quanto inerente a cose che nel loro complesso sono separate dallinsieme delle
realt ideali; dallaltro, in quanto ununica idea sarebbe contemporaneamente ineren
te, nella sua totalit, a pii cose fra loro distinte, cio a tutte quelle che dellidea
partecipano.
198 FRANCESCO FR ONTEKO TTA

ridotta in frammenti infmiti dissolti nelle cose empiriche (nel se


cn do caso). Per questa ragione alcuni interpreti dubitano che la
dottrina della p arte cipazi one sosten uta da So crate nel Parmemde
possa considerarsi genuinamente platnica: infatti, supporre la pre-
senza delle idee nelle cose partecipanti implicherebbe una conce-
zione in certa misura materialista del rapporto partecipativo con-
cezione del tutto inammissibile per Platone, perch rappresente-
rebbe una minaccia allassoluta purezza e incorruttibilit dei gene-
ri ideali6.
Conseguentemente, dopo aver delineato un sinttico quadro din-
sieme della relazione fra le cose empiriche e le idee e delle sue mo-
dalita attraverso Tanalisi testuale del Parmenide e dei dialoghi pla-
tonici in generale7, bisogna cercare ora di capire come awenga con
cretamente la parteci pazjone e quale sia il suo reale significato fUo-
sofico, innanzitutto passando in rassegna le principali ipotesi
interpretative formulate in proposito, per sottoporle in seguito a
una verifica rigorosa.

6 Ciio soltanto in proposito R.S. B lu ck , Forms as standards, in Phronesis, II,


1957, 115-127; R.E. A i x f n , Participation an d predication in P latos middle dialogues
cit., 56-59; H. T k i.o H , Parmenides an d Plato's Parmenides 13 1a-132c, in JHPli,
XIV, 1 9 7 6 ,1 2 5 -1 3 6 ,1 2 8 ; K.M. S a y r e , P latos late ontology cit., 18-37- interessante
osservare come Bluck (127) e Allen (56-59), con diversi argomenti, insistano sul fatto
che concepire i generi come modeili o paradigmi standard' delle cose empiriche non
implica una mescolanza fra il modello Tidea e cio di cui e modello le cose
empiriche, Tuna essendo coliocata su un piano intellegibile e non materiale, ie altre
vincolate alia sensibilka e alia materia. La dottrina dei diversi piani del re;tie (degrees
o f reality) sarebbe cosi sufficiente a spiegare come, senza alcuna forma di contatto o di
commistione, le idee siano cause esemplari (exemplary causes) delle cose. Ma su tale
aspetto tornero subito nei 2-3 di questo cap. VEIL Una concezione materialista del
rapporto partecipativo fra cose e idee sarebbe stata invece sostenuta da Eudosso (cfr.
F .M .C O R H P O R D , PZaftf and Parmenides ext., 86-87; 100-102) e criticata duramente gia
da A r i s t . , Metaph. A, 9 9 1 a l0 sgg.; B , 9 9 8 a l0 sgg.; e soprattutto D e ideis, 97, 27-98,
24. Le obiezioni di Aristoteie alia possibility di una mescolanza fra idee e cose sono
essenzialmente tre: se mescolate alle cose materiali, le idee (1) dovrebbero essere
materiali e avere un corpo; (2) sarebbero divisibili e corruttibili; (3) non potrebbero
piu costituire i modeili universal} delle cose empiriche (cfr. in proposito W . L f .S Z L , II
De ideis d i Aristoteie cit., 331-340).
7Ho presentato in generale e in forma schematic:! le diverse version i del rapporto
partecipativo frale cose empiriche e le idee introdotte nei dialoghi giovanili, intermedi
e della maturita nel 2 del cap. V. Vi tornero per unanalisi piu dettagliata e per una
valutazione conclusiva nel 5 di questo cap. V III.
II. DILEMMA DELLA PARTECIPAZJONE 199

2. La partecipazione come ;misurazione: la tesi di R.S. Bluck

In un saggio dedicato alfanalisi della caratteristica definizione


platnica delle idee come TTapaSeypaTa delle cose empiriche,
Richard S. Bluck ha formulato i seguenti interrogativi: in che senso
le idee sono i modelli delle cose empiriche? E che genere di relazio-
ne esiste fra il modello ideale e le sue copie empiriche?8
Bluck muove dallipotesi che la relazione fra le cose e le idee
possa essere paragonata a quella fra ununita di misura campione e
Iinfinita di oggetti di cui essa consente la misurazione e che possie-
dono di conseguenza il suo stesso nome. Per esempio, lunit di
misura metro consente la misurazione delle dimensioni lineari di
ogni oggetto e attribuisce perci il proprio nome metro a tutte le
dimensioni lineari che sono con essa commensurabili e che in tal
senso le assomigiano, senza peraltro coincidere con ci di cui e
1unit di misura, ossia con gli oggetti misurati (= con le loro di
mensioni lineari): infatti, ununita di misura campione edespri
me esattamente la misura di cui lunit campione, mentre gli
oggetti misurati possiedono certe misure solo approssimativamen-
te e sempre rispetto allunit campione assunta come criterio di
riferimento assoluto. Con un caso concreto, se un albero alto un
metro assomiglia approssimativamente allunit di misura metro
rispetto alia sua altezza, daltro canto, 1albero alto un metro rimane
comunque un albero, come pure lunit di misura metro rimane
ununita di misura campione, in nessun modo coincidente con gli
oggetti cui si applica.
Proviamo a sviluppare il paragone fra le idee e le unit di misura
campione suggerito da Bluck per scoprire quali indicazioni forni-
sca in relazione al problema specifico deila partecipazione delle cose
empiriche ai generi ideali. Se le idee sono dawero concepite come
le unit di msura campione delle cose empiriche, allora il rappor-
to partecipativo pu essere interpretato come una presenza soltan-
to apparente e, per cosi dire, metafrica delle idee nelle cose parte-
cipanti, senza cio che si verifichino fra loro nessun contatto reale

a II riferimento e a R.S, B l u c k , The Parmenides an d the third man argument, in


CQ, n.s., VI, 1956, 29-37, e soprattutto I d ., Forms as standards cit., 115-117.
200 FRANCESCO FR O N T ER O TTA

n nessuna commistione materiale. In effetti, in quanto si riduce a


ununit di misura campione e ne assume la funzione, ogni idea
non altro che il modello universale in virt del quale diviene pos-
sibile misurare e nominare le qualit che le cose possiedono di per
s. Ci che Platone chiama partecipazione (i0e^is; p.eTXTyjns')
delle cose empiriche alie idee consisterebbe dunque esclusivamente
nel riconoscimento da parte di un soggetto conoscente che le
cose empiriche e le qualit in esse present costituiscono in realt
una copia imperfetta delle idee corrispondenti e che, di conseguen-
za, possibile e legittimo attribuire loro lo stesso nome che appar-
tiene originariamente e per leternit alie idee corrispondenti. Vice
versa, le idee rappresenterebbero la causa dellessenza delle cose
empiriche partecipanti e delle loro qualit solo in questo senso, che
porrebbero il soggetto conoscente in condizione di identificarle e
nominarle in virt della relazione di somiglianza che con le idee
intrattengono. D altro canto, prima di essere ricondotte (dal sog
getto conoscente) alluniversalit e alia perfezione compiuta delle
idee, e cosi identifcate e nominate, le cose empiriche e le loro qua-
lita sarebbero tuttavia gi esistenti e determinate oggettivamente,
anche se, ancora ignote e sconosciute, rimarrebbero come informi
e indeterminate dal punto di vista del soggetto conoscente.
Cerchiamo di chiarire la questione, in verit piuttosto comples-
sa, con un esempio: affermando che Alcibiade bello in quanto
partecipa dellidea del bello, si intenderebbe in effetti sostenere che
Alcibiade possiede una certa caratteristica, di per s inizialmente
ignota al soggetto conoscente, che successivamente, in virt della
conoscenza dellidea del bello, il soggetto conoscente riesce a iden
tificare con la bellezza e pu perci chiamare, legittimamente, bel
lezza. E evidente che, prima dellintervento del soggetto conoscen
te, Alcibiade possedeva gi la bellezza, senza che questa fosse pero
riconosciuta come tale e ricevesse quindi la sua denominazione. In
termini formali, se ca (empirico) x e possiede una certa qualit
x\ la qualit x rimane tuttavia ignota finch, in virt della cono
scenza dellidea X in s, il soggetto conoscente non sia in grado di
individuare dawero la x-it e di riconoscere che la qualit V pos-
seduta da a assomiglia imp erfettam ente e parzialmente allidea X
in s e ha diritto al nome x\ Spetterebbe insomma al soggetto
IL DILEM M A DELLA PARTECIPAZIONE 201

conoscente il compito di stabilire la partecipazione attraverso las-


sociazione intellettuale delle cose empiriche e delie loro qualit alle
idee ad esse corrispondenti: non avrebbe invece alcun senso pensa
re la partecipazione delle cose empiriche alie idee, o la presenza
delle idee nelle cose partecipanti, come una relazione oggettiva, re
ale e concreta, perch le idee, non attribuendo n trasmettendo
alcuna car atteris tica alle cose empiriche partecipanti, permettereb-
bero soltanto di riconoscere e nominare quelle caratteristiche che le
cose empiriche gi possiedono di per s.
O ccorrer valutare in seguito se questa interpretazione,
filosficamente assai sottile e ingegnosa, riesca a illustrare conve
nientemente Iattuazione e Teffettivo svolgimento del rapporto
partecipativo come descritto nei dialoghi9. facile constatare fin
dora, pero, che sviuppandone rigorosamente le conseguenze
probabilmente al di la delle intenzioni espresse dallo stesso B lu ck -
essa tende a ridurre la relazione fra le cose e le idee a una semplice
operazione della mente, o, meglio, allatto della determinazione e
della designazione della realt empirica attraverso lassociazione
mentale fra le idee e il contenuto sensibile della percezione, in una
prospettiva evidentemente anacronistica che rende del tutto super-
flua Iipotesi deHesistenza dei generi e finisce per collocare le idee
platoniche, enti realmente e oggettivamente esistenti, sul piano delle
categorie logiche dellintelletto umano10.

9 Cfr. l 5 di questo cap. V III.


10 Una simile interpretazione del rapporto partecipativo, che priva a di
qualunque statuto ontologico e di ogni oggettiva concretezzae la riduce a una semplice
associazione fra cose e idee operata dallintelletto e nellintelletto, determina natural
mente una serie di conseguenze anche rispetto airassunto della separatezza (xwptqis')
delle idee dalle cose empiriche: se infatti la partecipazione non implica un reale ed
effettivo contacto fra idee e cose, sara forse superfluo formulare il principio della
separatezza ontoiogica fra due livelli del reale nella sua forma pi estensiva e assoluta.
Tornero pertanto sulla posizione di Bluck, specie in relazione aargomento del terzo
uomo, nel 2 del cap. XI. comunque degno di un certo interesse accennare
brevemente alia storia di questa intepretazione. Bluck stesso (Forms as standards cit.,
115) ne fa risalire Torigine a un suggerimento di Wittengstein (ripreso anche da P.
G e a c h , The third man again, in PhR, LXV, 1956, 72-82 [riedito in G. V l a s t o s ,

Platonic studies cit., 265-277]), peraltro non ulteriormente svikippato dal grande
filosofo del linguaggio, ma non difficile individuare unascendenza (indiretta o non
del tutto consapevole) neo-kantiana, specie nella concezione delle idee come fonda-
mento concettuaistico deHattfvit dellintelletto umano, chegiunge ad attribuire alle
202 FRANCESCO FR O N T ER O TTA

3. La partecipazione come somiglianza 'asimmetrica la tesi di


R.E. Alien

Una diversa tesi stata proposta da Reginald E. Alien, che ha


cercato di spiegare la natura e le modalit del rapporto partecipativo
ri correndo soprattutto alia cosiddetta copy-model theory e tentando
su questa base di ricostruire unimmagine coerente e non aportica
della prospettiva ontologica elaborata da Platone11.
Sebbene la teoria delle idee preveda Fesistenza di certi generi
intellegibili radicalmente separati dalle cose empiriche, daltro can
to le cose empiriche partecipano in qualche modo delle idee, traen-
done c o s la propria essenza e le proprie determinazion12. Ma come
conciliare lassunto dellassoluta separatezza delle idee con la neces-
sita che esse siano partecipate dalle cose empiriche? Ci possibile
solo se si concepisce il rapporto partecipativo come una sorta di
pallida e indiretta somiglianza: le cose empiriche assomigliano alie
idee come copie (\ioi[iara) a un modllo (TrapSeiy^a) univer-

idee il ruolo di legge o funzione lgica deintelletto. II problema delPinterpretazione


neo-kantiana (di cui ho cercato di ricostruire i lineamenti storici e filosofici nci miei
articoli L interprtation no-kantienne de la thorie platonicienne des ides et son hritage
philosophique, in RPhL, XCVIII, 2000/2, 318-340; e Platone a Marburgo, in
Cultura, XXXVIII, 2000/3, 505-515) mi pare consista soprattutto ne 11evidente-
anacronismo implcito nella concezione delle idee come catgorie apriori, vere e proprie
funzioni operative delPintelietto, e non invece come realt ontoiogiche trascendenti e
separate - una concezione primitiva, forse, ma tuttavia autenticamente platnica.
11 Cfr. R.E. A l l e n , Participation andpredication in P latos middle dialogues cit.,
56-59; ma delio stesso autore si veda anche Forms an d standards, in PhosQ, IX,
1959, 164-167. Con Pespressione copy-model theory, gli interpreti di lingua inglese
si riferiscono normalmente a quella che ho definito (nel 2 del cap. V) come la
versione Vic:bole e sostanzialmente metafrica della partecipazione delle cose empiri
che alie idee: le cose partecipano delle idee nel senso che assomigliano ad esse come
copie (p.oi<[icrra) imperfette al modello (TTapdSeiYpxt) originale e perfetto e il
rapporto partecipativo non inteso altrimenti che come somiglianza fra i due livelli
del reale. Da una simile concezione della partecipazione, del resto largamente attestata
nei dialoghi platonici (cfr. ancora il 2 del cap. V e la n. 18) muove anche Panalisi di
Bluck presentata nel paragrafo precedente.
12 Suirassunto del x^pLO^s ontologico fra e idee e le cose empiriche si vedano
il 1 del cap. IV e il 1 del cap. V; e il 1 del cap. VII. Per Panalisi dettagliata di questo
assunto e delle sue implicazioni, si veda il cap. XI. Ho presentato invece gli argomenti
platonici relativi all'esigenza del rapporto partecipativo fra le cose e e idee nel 2 del
cap. V.
IL DILEM M A DELLA PARTECIPAZIONF. 203

sale o come immagini confuse alla realt. Bisogna intendere inoitre


questa somiglianza come una relazione non simmetrica13: mentre
le cose assomigliano (imperfettamente) alle idee corrispondenti, le
idee non assomigliano affatto alie cose empiriche. Infatti, se la real
t sensibile esiste esclusivamente nella dimensione delfapparenza e
nella forma di un simulacro, di un riflesso della sfera intellegibile,
alio ra, prive di esistenza auto noma, le cose empiriche neanche co-
stituiranno un termine di paragone con il quale le idee possano
stabilire un confronto. In altre parole, se le idee sono a pieno titolo
laddove le cose empiriche sembrano soltanto e soltanto in funzione
delle idee, sar legittimo sostenere ehe il mondo sensibile assomi-
glia al proprio modello, ma non avr alcun senso affermare ehe, a
sua volta, il mondo ideale assomiglia alla propria copia imperfetta.
Come nel caso di un oggetto qualsiasi e della sua ombra, impos
sible ammettere Tipotesi di una reciproca somiglianza perch, se
loggetto in questione capace di generare unombra a s somi-
gliante, invece lombra, considerata di per s e indipendentemente
da cio di cui lombra, dal momento che non esiste dawero, non
assomiglia certo ad alcunch.
Ne deriva cosi una prospettiva ontologica su due livelli: le idee
separate, realmente esistend, e le cose empiriche, semplici parvenze
delle idee. Il mondo sensibile nel suo complesso non gode di alcuna
autonomia, giacch dipende interamente dalla sfera ideale di cui
non rappresenta ehe unimmagine apparente. Nessun contatto si
verifica perci fra le idee e le cose a causa delfassoluta separazione
ehe esclude qualunque specie di partecipazione o di comunicazione
effettiva e Tunica possibile relazione quella di una debole e indiret-
ta somiglianza. Ora, se non vx partecipazione, le cose e le idee non
potranno condividere alcuna caratteristica n alcuna determinazio-
ne comune: accogliendo Fass unto del xwpicrp.s dei generi nella sua
versione pi forte ed estensiva, Allen indotto insomma a concepi-
re la partecipazione, non come un rapporto oggettivo e concreto fra
le idee e le cose, ma piuttosto come una relazione (di somiglianza)
parziale e asimmetrica fra i mondi separati. E infatti fuor di dubbio
ehe, senza almeno due partecipanti, non si d partecipazione e pre-

13 Cfr. R.E. A l l e n , Participation an d predication in P la t o s middle dialogues cit., 58.


204 FRANCESCO F RO N T E ROTTA

cisamente questo il caso se le idee soltanto esistono veramente,


mentre ale cose appartiene a stento la condizione bassa di un mero
riflesso, di un simulacro o di un ombra14.
A una simile interpretazione possono essere mosse tuttavia, gi a
prima vista, acune obiezioni. In primo luogo, la struttura ontologica
della real t, cosi come rico str ui ta da Allen, non sembra corri-
spondere effettivamente allimmagine platnica. Se giusto insi-
stere sulla separatezza dee idee in ragione della radicale superiorit
che gli enti supremi manifestano rispetto alie cose empiriche, biso-
gna pero ricordare che la partecipazione delle cose empiriche aile
idee stabilita con altrettanta chiarezza e insistenza. Nel Parmenide,
ma non solo15, Platone afferma risolutamente che la partecipazione
consiste nella presenza delle idee nee cose partecipanti, in una
sorta di congiunzione fra la sfera intelegibile e i sensibili: come
poi ci awenga oggetto di serrata discussione fra Parmenide e l
giovane Socrate, e ieventualita che le cose partecipino delle idee
sulla base della somiglianza che si pone fra un modello e le sue
copie solo una delle ipotesi dibattute dai due contendenti16.
In ogni caso, anche ammettendo che la partecipazione si riduca
esclusivamente alia somiglianza delle copie empiriche ai modellf
ideali, ho gi avuto modo di mostrare, contro Alen, che, pure se
nel segno deFassoluta differenza e della radicale minorit ontologica

14 La riduzione del rapporto parteciparivo nella form a debole della somiglianza


delle cose empiriche alie idee avr o w iam en te delle serie rpercussioni dal punto di
vista logico'p redi cativo, rappresentando le idee gli attributi e i predicad delle cose sul
piano discorsivo. T ornero dunque sulla tesi di Alien nei contesto della delicata
questione delia predicazione e delbauto-predicazione delle idee, nel 3 dei cap. X .
15 Cfr. Prm . 131a4-e6 e il 1 di questo cap. VIII; e inoltre il 2 del cap. V.
16 Non a caso, infatti, in Prm. 133c8-d2, Parmenide si esprime cos rispetto alie
cose empiriche e alia loro partecipazione alie idee: ... le cose che si tro vano sul piano
deHesperien2a sensibile, siano esse copie (delle idee) o come si vogliano intendere...
(eTe (i.0Lp.ara e re ttq St| tl arr TSeTOi), manifestando grande mcertezza
sulLesatta definizione del rapporto partecipativo. E in 133a4-5, a conclusione della
seconda versione delargoment del terzo uomo, in modo ancora pii perentorio:
Non dunque sulla base della somiglianza chele altre cose partecipano delle idee, ma
occorre indagare in quale altro modo ne partecipino (osc a p a iioiTTjTL raX X a t&v
el&v p.eTaXa(ipdvei, XX tl ciXXo Set ^HTeXv & (j.eTa\ap_pai'ei). Questa conclusione,
che non bisogna considerare definitiva e senza appello, ridimensiona comunque la
concezione della partecipazione come somiglianza del partecipante al partecipato. Si
veda in proposito il 5 di questo cap. VIII.
IL D ILEM M A DELLA PARTECIPAZIONE 205

rispetto alle idee, le cose e lintera realt sensibile, bench apparen-


ti, mutevoli e corruttibili, esistono tuttavia in qualche modo auto
nomamente dalle idee!7. Di conseguenza, non mi sembra ragione-
vole credere ehe la somiglianza si configuri come una relazione
asimmetrica fra idee e cose: sostenere ehe le cose assomigliano alle
idee, e non le idee alle cose, oltre a essere palesemente smentito
dallanalisi testuale18, pare soprattutto contrario a ogni logica. In-
fatti, se un ente X assomiglia a un ente (Y per qualche aspetto,
Iente CY 5 dovr, necessariamente e invariabilmente, assomigliare
allente CX per gli stessi aspetti. Come Fidentit (se X 5 = Y\ allora
Y = 'X ), la somiglianza una relazione reciproca: se una cosa
empirica a bella in virtu della somiglianza allidea del bello, lidea
del bello non pu non essere a sua volta simile ad a almeno rispet
to alia bellezza, visto che proprio dalla bellezza dellidea del bello
dipende la bellezza, transitria e mutevole, di a. Ugualmente, se
un certo ente empirico b uomo, cio possibile in virtu della
somiglianza alfidea di uomo, dalla quale 1ente b trae determinate
caratteristiche e una precisa definizione, per esempio quella di ani
male bipede dotato di ragione: ora, se b assomiglia allidea di uomo
rispetto alia propria definzione di animale bipede dotato di ragio
ne, mi sembra arduo sostenere ehe lidea di uomo, la cui essenza ,
nel suo significato pi proprio, quella di animale bipede dotato di
ragione, non assomigli a b sotto questo rispetto.
In breve, comunque si consideri la questione, affermare ehe le
cose possiedono le caratteristiche ehe vengono loro normalmente
attribuite in virtu della partecipazione alle idee, anche intendendo
la partecipazione come una relazione di debole somiglianza, impo-
ne ehe le cose condividano con le idee, seppure a un diverso livello,
le caratteristiche che proprio dalle idee ricevono: in tal caso, ci si
trover nuovamente neHimbarazzante situazione di dover spiegare
se e come ci sia possibile. Da questo punto di vista, lipotesi di
Allen non riesce quindi a sciogliere nessuna delle ambiguit teori-
che sollevate al principio e lascia intatta Finiziale difficolt: in ehe
modo infatti le idee e le cose empiriche giungono alia condizione di

17 Cfr. il 3 del cap. V e R. V 4 7 8 e l-4 7 9 d l.


18 Cfr. Prrn. 132d5-e5 e il 3 del cap. IX.
206 FRANCESCO FR O N T ER O TTA

reciproca somiglianza come riescono cio ad assomigliarsi e, ul-


teriore complicazione, senza violare lassoluta e originaria differen-
za ontologica fra i due mondi? E ancora: a chi o a che cosa appartie-
ne il potere di causare e stabiire la reciproca somiglianza?19

4. 'R agion e cause: la tesi di G. Vlastos

Proprio dagli interrogativi appena formulad trae spunto Tinda-


gine di Gregory Vlastos sul ruolo attnbuito da Platone alie idee
come alrtai delle cose empiriche e delle loro caratteristiche20.
In un controverso passo del Fedone (99c6-105c6), Socrate espo
ne la sua seconda navigazione (rov SeTcpov ttXov), intrapresa
dopo lunghe ricerche giovanili consacrate alio studio della natura e
delle cause dei fenomeni naturali e ben presto interrotte per Tin'
consistenza e la contraddittoriet delle dottrine fsico-eos molo giche
del tempo: il nuovo mtodo elaborato da Socrate consiste essenzial-
mente neUidentificazione di un genere di causa (rf)? alTias- t
eSos) delle cose e delle loro caratteristiche diverso e piu saldo di
quello individuato dagli studiosi delle scienze naturali. Ammetten-
do infatti che esistano gli enti cui sempre si fa riferimento - il bello
in s, il buono in s, il grande in s e cosi via occorre avanzare
1ipotes che, se vi qualcosa di bello oltre al bello in s (e t. oriv
Xko aXv 7iXf)v a t t kcxXv), per nessunaltra ragione sia
bello (oi>8 8 l ev aXXo KaXov elvai), se non in quanto partecipa
del bello in s (q 8ltl leTxei Ketvou rov KaXo): tale
genere di causa ( t ) roictSe a l T a ) e il modello di causalit cui
Socrate ricorre.-Vlastos rileva in primo luogo lambiguit semantica
sottesa al termine greco a i T a , di significato assai piti ampio ed
eterogeneo del corrispettivo causa -che ne rappresenta tuttavia la

,tJ Cfr. il 2 del cap. V. Riprendero Tesame della tesi di Alien per esprimere una
valutazione pix precisa e documentata con gli opportuni riferimenti testuali nel 5
di questo cap. V III.
20 Mi riferisco a G. VLASTOS, Reasons a n d causes in the Phaedo cit. Di que
articolo, che affronta unampia serie di problemi connessi alia natura e al ruolo delle
idee platoniche come vengono introdotte e descritte nel Fedone, cercher di mettere
in luce soprattutto le indicazioni relative al significato e alie modalit del rapporto
partecipativo fra le cose empiriche e i generi ideali.
IL DILEM M A DELLA PARTECIPAZIONE 207

traduzione ordinaria nelle lingue moderne. Riprendo da Vlastos


alcuni esempi:

( 1)
Perch i Persiani invadono lAttica? Perch gli Ateniesi hanno aggredito Sardi.
(2 )
Perch questa statua cos pesante? Perch fatta di bronzo.
(3)
Perch si va a passeggio dopo cena? Perch fa bene alia slate.

(4)
Perch un angolo inscritto in un semicerchio recto? Perch la meta di due
angoli retti21.

Ora, facile constatare che nellesempio (1) laggressione ateniese


di Sardi costituisce la (supposta e ipotetica) condizione sufficiente
delFinvasione persiana dellAttica; nelfesempio (2) la conoscenza
della natura del bronzo, del suo peso specifico, permette di affer-
mare in anticipo che un oggetto costruito in bronzo risulter pe
sante o piu pesante dello stesso oggetto costruito in legno o in pl
stica; nelfesempio (3) la salute o, meglio, la conservazione e il mi-
glioramento della salute, forniscono la causa finale, lo scopo in
vista del quale conviene passeggiare dopo i pasti; nelfesempio (4),
infme, il fatto che un angolo retto sia la met di due angoli retti
consente di dimostrare che un qualunque angolo inscritto in un
semicerchio retto: abbiamo qui un caso evidente di ragionamen-
to analitico, nel quale da una determinata premessa discendono
al cune necessarie conseguenze. Pertanto, la premessa rappresenta la
'causa delle sue conseguenze in quanto ne manifesta la ragione o
il principio..
Tornando allargomento socrtico del Fedone, una volta ricono-
sciuta lampia estensione semantica del termine a l T a , che coinci
de tout court con il perch ( t 8 i ri) di qulunque cosa o di
qualunque evento, e non soltanto con la sua causa efficiente in
senso proprio, cosa significa che le idee sono aljiai delle cose em-

21 Cfr, G. VLASTOS, Reasons an d causes in the Phaedo cit., 78-81. Gli argomenti
sono tratti da A ris T ., APo, B, 94a20-95a25; Ph. B, 194b20-195al0. Tralascio
naturalmente lanalisi della distinzione aristotlica fra diversi generi di causa,
introdotta qui semplicemente a atlo di esempio.
208 FRANCESCO FR O N T ER O TTA

piriche e delie loro carat teris ti che? A quae dei molteplici significan
del termine a i T a bisogna dunque riferirsi per comprendere e spie-
gare la causalit delle idee rispetto alie cose empilche che s espli-
ca nel rapporto partecipativo? A parere di Vlastos, opportuno
respingere innanzitutto linterpretazione secondo cui le idee si ri-
ducono effettivamente alia causa efficiente del mondo emprico,
soprattutto perch si finirebbe per attribuire alie idee eterne e im
mu tab ili, di per s collocate al di fuori dello spazio e del tempo, un
ruolo attivo e diretto nella generazione delle cose sensibili, delle
loro caratteristiche e relazioni, provocandone cos inevitabilmente
il coinvolgimento nella vicenda spazio-temporale della realt in di-
venire22. Piuttosto, Vlastos propone un esempio: a chi chieda per
ch questa figura un quadrato?, possibile rispondere: perch ha
quattro lati e quattro angoli uguali5, il che, nei termini utilizzati da
Platone, si traduce come segue: In virt di cosa questa figura pu
essere legtimamente definita quadrato ? - In virt del fatto che
ha quattro lati e quattro angoli uguali. La definizione corretta di
un oggetto, applicata per analoga a tutu gli oggetti smil al primo,
la causa lgica della classificazione di unintera classe di oggetti.

22 Cfr. G. V l a s t o s , Reasons an d causes in the Phaedo cit., 88-90: And how could
Plato have so particularized his Forms as causal agents in the world of space and time
without fouling up the most fundamental o f his metaphysical principles?. In realti,
Vlastos ricorre anche agli argomenti aristotelici di G C B, 335b9-24, secondo cui
Iattribuzione alle idee dei ruolo di causa efficiente delle cose empiriche deve essere
respinta per almeno due ragioni: in primo luogo perch, se le cose empiriche
sottoposte alia generazione e alia corruzione possiedono solo temporneamente certe
caratteristiche in virt delle idee, difficile credere che le idee eterne possano avere su
di esse unefficacia solo intermittente; in secondo luogo perch le cause visibiii degli
eventi non sono idee, ma agenti individuali: per esempio, non idea della salute, ma
il medico, la causa efficiente del ricovero di un maiato. Vlastos sviuppa soprattutto
il primo di questi argomenti, mostrando come, a rigor di lgica, se le idee estranee alio
spazio e ai tempo riescono ad agir in quaiche modo sulle cose empiriche spazio-
temporali, bsogner ammettere che tutte le idee agiscano contemporneamente e con
efFetti opposti su tutte le cose empiriche. A una simile, assurda conseguenza si sfugge
riconoscendo che la relazione fra le cose e le idee b rigorosamente selettiva e che,
nonostante iopinone di Vlastos, soltanto alcune cose empiriche partecipano dellidea
del bello e sono perci belle, come pure soltanto alcune cose empiriche partecipano
deiFidea del grande e sono perci grandi. Se una simile concezione del rapporto
partecipativo comporti dawero la difficolta segnalata sopra del paradossale contatto
fra le realta eterne e la sfera spazio-temporale, quesrione che andra verificata in
seguito (cfr. 1 5 di questo cap. V III; i capp. XI-X II ela Conclusionedi questaricerca).
IL DILEMMA DELLA PARTECIPAZIONE 209

Ed ecco in che senso le idee sono a l T i a i delle cose empiriche: la


definizione che descrive essenzialmente e perfettamente le idee si
adatta anche, accidentalmente e imperfettamente, a tutte le cose
empiriche che alie idee assomigliano. Alie idee apparriene quindi
una causalita metafsica e lgica a un tempo rispetto alie cose: me
tafsica, perch esciusivamente delle idee, in ragione del loro statu-
to ontologico di supreme realt eterne e immutabili, si pu formu-
lare una definizione vera23; lgica, perch la condizione di universa
le defniendum propria delle idee permette loro di adempiere a una
funzione esplicativa e paradigmatica (explanatory work) rispetto
alie cose empiriche.
In sostanza, in quanto le idee rappresentano secondo Vlastos il
principium individuationis logico-metafsico delle cose empiriche,
la partecipazione consister precisamente in questa concreta opera-
zione di individuazione, vale a dire nellinferenza analtica attra-
verso la quale una definizione viene estesa dagli oggetti cui appar-
tiene originariamente ed essenzialmente - le idee - agli oggetti che,
assomigliando ai primi, corrispondono approssimativamente alia
loro definizione - le cose empiriche. Sostenere che una cosa empi-
rica bella in virt della partecipazione allidea del bello significhe-
rebbe perci riconoscere che la definizione che apparriene propria
mente ed essenzialmente solo allidea del bello descrive altresi, ap
prossimativamente e imperfettamente, tutte le cose empiriche in
possesso delle caratteristiche corrispondenti alia definizione dellidea
del bello o, viceversa, che tutte le cose empiriche belle soddisfano le
condizioni logico-metafisiche della bellezza: non spetterebbe dun-
que allidea del bello trasmettere effettivamente la bellezza alie cose
empiriche belle; al contrario, le cose empiriche belle sarebbero gia
tali da sempre e il riferimento allidea del bello servirebbe a stabilire
universalmente la ragione o la condizione della bellezza, sul pia
no metafsico (poich esiste un bello in se eterno e immutabile) e
logico (poich a questo ente soltanto si addice la definizione reale
ed essenziale della bellezza). Analogamente, Faffermazione che il

23 Cfr. G. VLASTOS, Reasons an d causes in the Phaedo cit., 92. Ho g discusso k


posizione di Platone rispetto alia questione della definizione, dela natura del mtodo
definitorio e dello statuco ontologico dei loro oggetti nel 2 del cap. II.
210 FRANCESCO FR O N T ER O TTA

freddo, a una certa temperatura, causa il congelamento dellacqua


non implicherebbe in alcun modo lintervento dell5idea del freddo
e deliidea dellacqua, ma la semplice constatazione di una causalita
interna alia natura, di una legge fisica operativa di per se, della qua
le Tidea del freddo e Tidea dellacqua con le loro relazioni sancisco-
no lassoluta necessita logico-metafisica24.
Linterpretazione di Vlastos, che induce a concepire le idee come
ragioni logico-metafisiche della realta sensibile e non come sue cause
efficienti, dissolve il paradosso del difficile contatto fra le cose
empiriche partecipanti e i generi supremi partecipatf e rende su-
perflua la loro presenza effettiva nel mondo spazio-temporale, scio-
gliendo cosi brillantemente alcune delle gravi ambiguita rilevate
nella dottrina platonica della partecipazione25. Rimane pero da va-
lutare adesso se una simile interpretazione riesca a spiegare dawero
il significato della partecipazione e la sua concreta attuazione come
viene descritta nei dialoghi ed e la questione che prendero subito in
esame.

24 Cfr, G. V l a s t o s , Reasons a n d causes in the Phaedo cit., 102-109: ...if we raise


the temperature beyond a certain point snow must change to water. This must is a
causal one. And since in Platos theory it is grounded in relations of entailment
between Forms, it would have to be a fantastically strong must: it would have to
express -zphysicalXzw that has logical necessity. Since Plato claims that the snow of our
experience is cold because the Form, Snow, entails the Form, Cold, and since all Forms
those of physical stuffs and processes, no less than those of logic and mathematics
are eternal and sustain only immutable relations to each other, he is implying that
the laws of nature, could we but know them, would have the same necessity as do the
truths of arithmetic and logic. Linterpretazione di Vlastos rimane naturalmente
valida, oltre che nel caso delia partecipazione di una o piu cose empiriche a un idea,
anche nel caso della partecipazione di una o piu cose empiriche a unidea che partecipa
di unaltra idea: se infatti una cosa empirica a c y in quanto partecipa delFidea X
in se che partecipa a sua volta dellidea Y in se, cio implica che ad a puo essere estesa
la definizione che si adatta allidea X in se (in quanto partecipa dellidea Y in se ) e
allidea Y in se (che e, originariamente e primariamente, y), perche essa possiede,
accidentalmente e imperfettamente, le caratteristiche proprie dellidea X in se (in
quanto partecipa dellidea Y in se) e delFidea Y in se (in virtu della propria natura).
Si tratta insomma di un meccanismo logico di classificazione di diversi elementi, o
piuttosto di inclusione di diversi elementi in una o piu classi, la cui efficacia e
indipendente dal numero di elementi inclusi e dal numero delle classi includenti.
25 M i riferisco precisamente alle difficolta sollevate da Parmenide in Prm. 131 a4-
e6, per le quali cfr. il 1 di questo cap. VIII. Da tale punto di vista, in quanto non
presuppone leffettiva presenza delle idee nelle cose partecipanti e non implica una
concreta trasmissione di caratteristiche o qualita dalle idee alle cose partecipanti,
L DILEMMA DELLA PARTECIPAZIONE 211

5. Lapartecipazione delle cose empiriche alie idee

II dibattito sul problema della partecipazione delle cose empiri-


che alie idee svela senza dubbio il dilemma pii oscuro e acuto della
riflessione di Platone e della storia del platonismo e tale deve essere
stata gi lopinione dei primi Accademici26. Non a caso Aristotele27
osservava, peraltro non senza una certa esagerazione, che

T S X y a v Trapa6eiy(i.aTa aTa [sciL r a s iS a ] etv ai Kal [le r x e iv am ov


tSXXa KevoXoyv aTl Kal |aeTac|)ops> Xyeiv TTOiTjTiKs1.
Affermare che le idee sono modelli di cui le aitre cose partecipano significa par
lare a vuoto e usare immagini poetiche.

E ancora:

... Tf]V 8 oixjtav oLp.eyoi X y a v aTcjv rp as- [xv o iala? a v a l <f>a|i.ev,


ttjs' S K v a i TOTtv o aai, S t Kei^s- X y o p ev r yp j.eTxeiv, ojcrrrep
Kal TipTepov etTropev, otBr' e o n v .
... e credendo di individuare la sostanza dei fenomeni, noi sosteniamo che esisto-
no altre sostanze, in modo che queste siano sostanze di quelle, e parliamo a
vuoto: infatti, come abbiamo detto prima, partecipazione non vuol dire nulla.

N possibile sfuggire alla difficolt evitando semplicemente di


affrontarla e sostenendo che lipotesi della partecipazione non rap-
presenta altro che una metafora delfambigua e tuttavia necessaria
relazione fra le cose empiriche e le idee, una metafora che Platone
non sarebbe mai riusdto a definire in modo soddisfacente28: infat-

Iinterpretazione della dottrina della partecipazione suggerita da Vlastos pu essere


assimilata a quelle, considrate sopra (cfr. i 2-3 di questo cap. VIII), di Allen e
soprattutto di Bluck.
16 Si veda soltanto, in proposito, leccellente resoconto storico-filosofico di L.
B r i s s o n , Le mme et l a utre dam la structure ontologique du Time de Platon cit.,
139-164.
27 Cfr. Metaph. A, 991a20-22; 992a26-29; e YAppendice III, 1 e 3-
28 Questa , per esempio, a paradossale conclusione di W .D . Ross, op.cit., 292-
299. Inrealt, la posizione di Ross nonsembradel tutto chiarae lineare: dapprimaegli
afferma infatti che nellambito della riflessione di Platone si assiste a un progressivo
passaggio da una concezione immanentistica a una concezione trascendentalistica
delle idee; poi riconosce che, al contrario, in tutti i dialoghi si sovrappongono senza
particolari distinzioni un linguaggio deUimmanenza e un linguaggio della trascendenza
riferici alie idee, ci che Ross cerca di spiegare formulando lipotesi che Platone non
212 FKANCE5CO FR O N T ER O TTA

ti, bisogner pur cercare di capire com e questa relazione aw enga, e


dei resto lo vedremo im m ediatam ente 1ipotesi stessa delia
partecipazione fra i due m ondi, e non solo le modalit dei suo svol-
gim ento, a sollevare di per s una seria contraddizione. M a proce-
diamo con ordine.
Innanzitutto, nonostante le perplessit sollevate dagli studiosi29,
che la partecipazione sia intesa com e presenza effettiva delle idee
nelle cose partecipanti, lungi dal rappresentare una posizione
eterodossa o una variante minore delia teoria platnica introdotta
ad arte nel Parm enide per m etterne in luce Tinconsistenza, a piii
riprese esplicitamente attestato nei dialoghi. N KIppia maggiore, il
bello in s ci in virtii di cui tutte le altre cose ... appaiono belle,
quando sia aggiunta loro quella forma (airr t KaXv, & Kal
TaXXa rrvTa . . . k aX tyaiverai, iTeiSv Trpoayvr|Tai k^ivo t
elSo?, 2 8 9 d 2 -8 ) o, ancora, ci che, a qualunque cosa sia dggiimto,
fa si che sia bella, si tratti di una pietra, di un pezzo d legno, di un
uom o, di un dio, di ogni azione e disciplina (t raXv atjx ...
<S av TTpo(jyvr|TGLL, iTrpxci eivai KaXto eiv ai, ra l \i0a) Kal
>Xcp Kal vpcTTL Kal 0e Kal TTcrg rrp^ei Kal taim p.a0f|}icm,
2 9 2 c 9 -d 3 ) o, infine, un qualcosa che rende belle due cose fra loro
diverse ed presente in entrambe insieme e in ciascuna sngolar-
mente (tl t arr ttol aTs' KaX eTvat ... o Kal
p.^oTpaLs* aTais* eTrecm kolit) Kal raTpa ISa, 3 0 0 a 9 -b 2 ).
Analogam ente, nelf Eutifrone, il santo in s, Tidea dei santo, si rive-
la sempre idntico a s stesso in ogni azione santa (Tarrv o riv
kv Tcnr] TrpeL t ocaov aT atrrw, 5 d l-2 ). M a la testimonian-
za piii diretta ed esplicita certam ente quella di Phd. 1 0 0 d 4 -6 , gi
in precedenza citata30, in cui Socrate spiega cosi Tarticolazione dei
rapporto partecipativo: le cose empiriche belle sono tali in virti
delia partecipazione allidea dei bello, ossia per la presenza o la
com unicazione o qualche altra form a di congiunzione5 dellidea
dei bello (Kdvou toO KaXoO e ir e Trapouaa ere KOLVwla e lr e
ttt) 8q Kal ttco TTpocryeyop. vou).

fosse in ultima analisi soddisfatto n delluno n dellaltrc) e tendesse perci, di volta


in volta, a utilizzarli entrambi.
29 Cfr. il 1 di questo cap. VIII.
30 Cfr. in pardcolare il 2 dei cap. V. Cfr. an che Phd. 104b6-cl; 104e7-105a5.
IL DILEM M A DELLA PARTF.CIPAZIONE 213

E un passo del Filebo (15b 1-8) conferma questa prospettiva e ne


sancisce in ultim a analisi la legittimit e l^autenticit3 testuale e
filosfica:

TTpwrov [i v e riva Sei ro ia T a s - et v a i [x o v d S a ? UTroXa|i.dvei.v Xr)0<Ss


o cra s e l T a tt s - a u T a r a , p lav K crrr| V o cra v el tt)v airrf|v K al p .r | T e

yvecriv [a rjT e XeQpoi/ TrpoCTexofJiuri^, o je o s - eiv ai e a io r a T a [ila v ra T T | V ;

| j .e T Se t o u t tv t o y iy v o fi iA X au K a l T re lp o i? e T e Siea-rraa[j.vT|i/ K al

TToXX y e y o v u ia v 0 e T o v , e l0 ' Xriv auirju a rrfjs' x^P^S-, 8 q vvriv


c tS u y a r c T a T o v ^ a lv o L r v, ra T v K al e i/ d jia kv kvL re Kal ttoXXos1
y y v e c r a i.

II p rim o p u n to d a v alu tare se bisogna ritenere che tali u n it esistano d a w e ro ; e


in ch e m o d o poi ciascu n a di esse, ch e sem pre una, idn tica ed esente da gene-
razione e co rru z io n e , p u essere d a w e ro saldam ente una? II secon do p u n to se
b isogn a co n sid erare <ogni unit> presente nelle infinite cose in divenire divisa in
fra m m en ti, e p erci resa m oteplice, o invece intera, e perci separata da s stes-
sa, ci ch e sem b ra del tu tto im p o ssib le, che essa si trovi in u na e in m oite cose
p ur rim an en d o una e id n tica.31

U na volca ammessa lesistenza delle idee, la loro unit ed eterna


auto-identit, il problema fondamentale proprio quello di capire
se ciascuna di esse sia presente nelle cose empiriche divisa in parti
diverse, e pertanto molteplice, oppure nella sua totalit, e cosi sepa
rata da s stessa32. N on vi sono insomma elementi sufficient per

31 C h e il rapporto fra unt e mofteplicit cui fa riferim ento questo passo del Filebo
alluda precisam ente alla relazione fra le idee e le cose em piriche, risulta chiaro da
quanto Socrate ha detto poco prima ( 1 5 a l- 7 ): quando infatti si pone com e uno ci
che esente da generazione e corruzione (TTrai' t ei' (if] t v yiyi>opiAi)v Te al
TToXXujJ.mp1n s 1 TiGi^Tai), quandosi pone co m e uno Iuom o, il bue, il b ello oilb u o n o
va yptiToi' ...m l ow 'va Kal t KaXv ev Kal t yaQu i/j, allorasivaincon tro
a un problem a fiiosofico fondam entale, quello di capire se simili unit esistano
d aw ero e com e possano essere contem poraneam ente present neila m olteplicit delle
cose in divenire. evidente che le unit esenti da generazione e corruzione sono
proprio le idee eterne com e Tuom o in s, il bue in s, il bello in s o il bene in se
m en tre la m olteplicit delle cose in divenire - com e linfm ita schiera degli uom ini e
dei buoi em pirci o delle cose em piriche belle e buone ritivia senza dubbio alla sfera
em prica nel suo compiesso. i;
32 A nche nel Sofista o Straniero di Elea, che guida la discussione, ribadisce che
nulla rende giuste le anim e se non la presenza dlia giustizia (SiraioCTi/ris' ...
-n-apouoL, 2 4 7 a 5 - 6 ). Poco oltre, in 2 4 8 d 6 -2 4 9 a 2 , il riconoscim ento che ci che
veram ente ( t TrarTeXs' ov) partecipa del m ovim ento, della vita, delianim a e
dellintelligenza spiegato com e presenza nelPessere ( TrayTeX oi'tl ... rapeluai.)
214 FRANCESCO FR O N TERO TTA

giudicare la dottrina della partecipazione esposta nel Parmenide come


una versione materialista in contraddizione con la presunta orto-
dossia platnica. Anzi, il dilemma della partecipazione si pone nel-
la riflessione di Platone in generale esattamente nei termini sugge-
riti dal Parmenide: se la partecipazione consiste nella presenza del
partecipato nel partecipante, tale presenza pu essere spiegata (1)
nella forma della pura e immediata inerenza delle idee alie cose
empiriche, senza ulteriori precisazioni33; oppure (2) come presenza
nella molteplicit delle cose empiriche di ununit ideale, nella sua
interezza o divisa in parti diverse34. Inoltre, la presenza delle idee
nelle cose empiriche associata normalmente alia necessit di una
congiunzione o di una relazione casale fra i partecipanti35.
D al tro canto pero, la cosiddetta copy-model theory sembra pre-
supporre una concezione assai diversa del rapporto partecipativo,
secondo Ja quale esso si riduce semplicemente a una pallida somi-
glianza delle cose empiriche alie idee, alia maniera di un immagine
o di una copia imperfetta di fronte al modello originale perfetta-
mente compiuto in s stesso36. Pur con le sue ambiguit, questa
sarebbe quindi, almeno in apparenza, la descrizione meno proble
mtica della [iQe^ig fra i livelli del reale, una descrizione che si
presta senza dubbio a un interpretazione debole e soltanto
metafrica della partecipazione, capace di escludere ogni specie di
causalit diretta e attiva dele idee rispetto alie cose empiriche. Tut-
tavia, a tale proposito, ho gia avuto modo di esporre in precedenza

di queste realt, come presenza, dunque, del 'partecipato' ne partecipante, precisa-


mente nella forma che abbiamo osservato nel Parmenide (131a4-e). In effetti, nel
Sofista il meccanismo delia partecipazione introdotto nel contesto delle relazionifra
idee e idee e non fra cose e idee, come invece awiene nel Parmenide. Tuttavia,
lindicazione che si trae dal passo citato del Sofista mi sembra in ogni caso valida perch
riguarda le modalita del rapporto partecipativo in s, indipendentemente dalla natura
dei partecipanti.
33 Cfr. peresempio/^j.Ms!. 289d2-8; 292c9-d3; 300a9-b2;Euthphr. 5d l-2; Phd.
100d4-6; 104b6-cl; 104e7-105a5.
34 Cfr. il 1 di questo cap. V III; Prm. 131a4-5 e Pblb. 15bl-8.
35 Cfr. in proposito Hp.Ma. 289d2~8; 292c9-d3; 300a9-b2; e soprattutto Phd.
100d4-6.
3S Cfr. Euthphr. 6e3-6; Phd. 76d7-e4; R. X 597a 1-5; Phdr. 250a6-b5; 2 5 0 e l-
251a7; Prm. 132d l-4. Ma si vedano in particolare, rispetto a tale concezione della
pSe^Ls1, il 2 del cap. V e il 3 di questo cap. VIII.
II. DILEMMA DELLA FARTECIPAZIONE 215

alcune difficolt specifiche della copy-model theory nella formula-


zione adottata da Alien37; ma soprattutto, indipendentemente dal
la tesi di Allen, una simile concezione della relazione fra le cose e le
idee non costituisce a ben vedere una valida alternativa allipotesi
della presenza effettiva delle idee nelle cose empiriche.
In primo luogo, come le cose partecipano delle idee rendendosi
simili ad esse, simmetricamente le idee saranno partecipate dalle
cose e ad esse assomigliate : se ci vero, la reciproca somiglianza
fra le idee e le cose rappresenter inevitabilmente un evidente viola-
zione delloriginaria e assoluta differenza ontologica fra i due mon-
di. Inoltre, la condizione di reciproca somiglianza fra le cose e le
idee e la stessa copy-model theory nel suo complesso riesce forse
a giustificare lo stato finale, il risultato del rapporto partecipativo,
ma non certamente la sua concreta attuazione: non a caso, nel
Parmenide (132d l-4), Socrate tenta a un tratto di spiegare il mec-
canismo della partecipazione ricorrendo, pi che alTargomento della
somiglianza in quanto tale, allipotesi di un processo dinmico di
assimilazione delle cose alie idee (q [lQe^is1 avrr\... o i j k aXXq rig
f] elKaaGfjvai a'urots' [scil.\ toX? eSecri]). Si torna cosi allaporia
iniziale: come possono le cose empiriche diventare simili alie idee
(o viceversa: come possono le idee diventare simili alie cose empiri-

37 Cfr. il 3 di questo cap. VIII. Ch.H . K a h n , o p . c i t 350-352; 357-358, ha


recentemente sostenuto che la concezione immanentistica della partecipazione come
presenza delle idee nelle cose partecipanti appartiene esclusivamente alia riflessione
giovanile d Platone e fino al Fedone, per essere sostituita in seguito, nei dialoghi della
maturit e della vecchiaia (con Tunica eccezione del Parmenide), dalla copy-model
theory e, pertanto, da una concezione puramente metafrica del rapporto partecipativo
inteso come somiglianza delle cose empiriche alie idee, per cui le cose non sono alero
che le copie imperfette o le immagini sfocate dei modelli ideai. Sulla base di quanto
ho cercato di mostrare in questo paragrafo, pero, non mi sembra verosimile ipotizzare
una cos netta distinzione cronologica fra le due versioni del rapporto partecipativo
(soprattutto tenendo prsentele testimonianze tarde1del Parmenide, che collocasullo
stesso piano le due diverse concezon della partecipazione, e di Phlb. 15b 1-8, che
ripropone fedel mente il dilemma della partecipazione come e presen tato nel Parmen id).
Ma soprattutto ritengo, e vi tornero sbito, che le due Versioni del rapporto
partecipativo rappresentino delle semplici variazioni dello stesso, fondamentale
dilemma filosofico: in altre parole, le contraddizioni susctate dalFipotesi della
partecipazione derivano a mi awiso, prima ancora che dalle modaita concrete della
sua attuazione, dallammissione stessa della possibilita d una relazione fra i livelli del
reale, in qualunque modo questa relazione venga po concepita.
216 FRANCESCO FR O N TERO TTA

che) e secondo quali modalit dovrebbe awenire il processo di as-


similazione delle cose empiriche alie idee, se non affidando alie
idee il potere causativo di produrre tale effetto?38
Defmiti i termini generali della questione e ricondotto allunit
il dilemma plato ni co dela partecipazione - di cui la copy-model
theory non fornisce, come abbiamo appena constatato, una solu-
zione efficace e autonom a- occorre ancora cercare di esprimere un
giudizio sulle interpretazioni di Bluck e di Vlastos per capire in
cosa consista, al di la delle sue modalit, la partecipazione delle
cose empiriche alie idee e quale ruolo debba essere attribuito ai
generi ideali. In particolare, mi pare decisivo stabilire se nel conte
sto del rapporto partecipativo, comunque venga concepito, le cose
empiriche ricevano effettivamente dalle idee determnate caratteri-
stiche e quaiit (di cui erano prive prima della concreta attuazione
della [lSe^is1) oppure no, se, in altre parole, le idee trasmettano
dawero determinate caratteristiche e quaiit alie cose partedpanti.
Infatti, se questo ci che secondo Platone si verifica, sar impossi-
bile ridurre la partecipazione a una mera operazione mentale di
classificazione concettuale o a una semplxce inferenza analtica39 e
bisogner invece supporre lesistenza di una relazione casale diret-
ta fra e idee e le cose empiriche in virt della quale le idee assumo-
no il ruolo di cause efficientf del mondo sensibile.
Ora, questa proprio limpressione generale che si trae dai dialo-
ghi giovanili e da alcuni passi gi citati de Fe done, in cui emerge
con chiarezza il solido legame casale che vincola le cose empiriche

3S Questo e, nella sua definizione pi chiara e precisa, lacuto problema dellattua


zione concreta della partecipazione, indpendentemente dai fatto che essa sia conce
pita come somiglianza dei partecipanti al partecipaco o come presenza del partea-
pato1 nei partecipanti. A meno che, naturalmente, non si voglia ricorrere allipotesi
a-razionale (o irrazionale) di un divino artefice (cfr. R. X 597b5-d8) o di un demiurgo
eos mico artgiano delluniverso, come viene suggerto nel Timeo-, in tal caso, seppure
a di fuor dellargomentazione filosfica in senso proprio, diviene certo possibie
affidare a una simle figura mitolgica il potere di formare i mondo sensibile
prendendo a modelio la perfezione della sfera ideale e portando cosi a compimento il
processo di assimiiazione dele cose empiriche alie idee senza violare loriginaria e
assoluta differenza ontolgica. Si veda in proposito YAppendice II, 2.
39 Precisamente a tale conclusione giungono, anche se in forme diverse, gli
argomenti di Bluck e di Vlastos introdotti e brevemente discussi nei 2 e 4 di questo
cap. VIII.
IL DILEM M A DELLA PARTECIPAZIONE 217

alle idee e ne sancisce la rigorosa subordinazione40. E nel Simposio


(21 lb2-5) Platone afferma che, sebbene le cose empiriche mutevo-
li e corruttibili partecipino delfidea del bello, il bello in s rimane
tuttavia incorrotto e intoccato (r Se aXXa Trvra KaX Kevou
p e T x o v T a TpTToy T i v t o l o t o v , olov yiyyopvwv re t j v

aXXtov Kal TroXXupvwv ^r|8v Keivo pr|Te tl irXov |xr]Tc


eXaTTov y[yvea0aL jiXjS TTOLcrxav |ir]8v). Una simile, owia pre-
cisazione si rende necessaria solo a patto che, sussistendo una reale
congiunzione fra la sfera sensibile e il mondo ideale e ricevendo le
cose empiriche belie la propria bellezza direitamente dal bello in s,
le idee si trovino esposte al rischio di una contaminazione da parte
delle cose empiriche: se cosi non fosse, perch Platone sentirebbe il
bisogno di ribadire la natura eterna e auto-identica dellidea del
bello? Ancora, nel Parmenide (129a3-6), in polemica con Zenone,
Socrate introduce la sua teoria delle idee pronunciandosi in ma-
niera esplicita sul sgnificato che egi attribuisce al meccanismo
della partecipazione: se esistono le idee della somiglianza e delia
dissomiglianza, legittimo sostenere che ci che partecipa dellidea
della somiglianza per questo diviene simile, nella misura in cui ne
partecipa ( t& jiv rf\ |j.oltt|Tos' jicTaXa|i(3vovTa qioia yyvecrOai
T a n Q t e Kal K a T t o g o t o v crov v pcTaXap.(3vr|) e ugual-

mente per quanto riguarda la dissomiglianza e tutti gli altri generi.


Pare insomma che le idee non solo permettano al soggetto cono
scente di identificare mentalmente e concettualmente 1essenza e le
propriet fisiche in possesso delle cose partecipanti, ma si configu-
rino piuttosto come Forigine stessa e il principio metafsico delles-
senza e delle propriet fisiche in possesso delle cose partecipanti.
Infine, se tali indicazioni rimangono in qualche modo discutibili
e soltanto allusive, una testimonianza univoca e non ambgua
offerta invece dal Fedone. In 100e5-6 e in 101c2-9, Socrate descri-
ve larticolazione della [lOe^is1prima da un punto di vista statco,
poi da un punto di vista dinmico. Ci che , per esempio, gran
de, lo certamente in virt della (partecipazione alia) grandezza in
s (peyGet T peyXa peyXa); ma ci che, mutando il proprio

40 Cfr. in particolare Hp.M a. 289d2-8; 292c9-d3; 300a9-b2; Euthphr. 5d l-5;


6d9-e6; Pbd. 100d4-6; 104b6-cl; 104e7-105a5. Dee indicazioni fornite da questi
passi mi sono occupato nel 2 del cap. V e nel corso dei presente paragrafo.
218 FRANCESCO FR O N T ER O TTA

stato, entra in possesso di una qualunque caratteristica, viene apar-


tecipare dellidea corrispondente a quella caratteristica: infatti, il
divenire due non dipende che dalla partecipazione alia dualit in
s e ci che diviene due o 'uno deve partecipare della dualit in s
o delfunit in s (o k x ^ S 1 XXt]v r i v a a i T a v t o 6 o yevcrBcu
XX f| t t |V T fjs Sudos1 J.eTCTXfcrLy, a i 8 e t y t o t o u p e T a c r x e t v
r lXkovTa o eaeoOcu, Kal povSos1 v pXXt] ev crea0aL).
Prestiamo attenzione al momento dinmico della spiegazione di
Socrate: se per entrare in possesso d una qualunque caratteristica o
per mutare il proprio stato le cose empiriche devono partecipare
delle idee corrispondenti a quella caratteristica o a quello stato,
allora necessrio dedurne che le idee trasmettono ejfettivamente
qualcosa che determina una differenza essenziale nelle cose empiri
che e produce in esse una sostanziale modifcazione. Prima di par
tecipare della grandezza in s, un albero emprico non grande e
non pu essere definito grande; se diviene grande, ci significa
necessariamente che lalbero viene a partecipare della grandezza in
s (o viceversa: se viene a partecipare della grandezza in s, lalbero
emprico diverr necessariamente grande). Analogamente, se un ente
emprico uomo in virt dellidea di uomo, prima di partecipare
dellidea di uomo esso pura materia informe e non pu essere
definito uomo; attraverso la partecipazione, questa materia infor
me riceve dallidea di uomo la struttura e la costituzione fsica che
rispecchiano in forma materiale e sensibile Fessenza metafsica del
lidea di uomo e acquista conseguentemente il nome e la definizio-
ne di uomo. Nellambito del rapporto partecipativo non si realiz-
zano perci semplicemente una classificazione concettuale o unin-
ferenza analitica che, a partir da alcune premesse logico-metafisi-
che, conducono al riconos cimento di una certa caratteristica o d
uno stato fsico, ma si compiono ejfettivamente la trasmissione o la
comunicazione reale e concreta di quella caratteristica o di quello
stato fsico dalle idee alie cose empiriche.
Inoltre, al di la delle testimonianze dirette, oppormno conside
rare un argomento filosofico di fondo. Ammettiamo pur per ipo-
tesi che alie idee competa esclusivamente il potere di consentir al
soggetto conoscente d riconoscere e di individuare le caratteristi-
che che le cose empiriche gih possiedono o lo stato fsico in cui esse
L DILEMMA DELLA PARTECIPAZIONE 219

gi si trovano: in questo caso, la partecipazione consisterebbe evi


dentemente in taie operazione mentale di riconoscimento e di in-
dividuazione. Ma come potrebbero le cose empiriche possedere di
per s determinate caratteristiche o trovarsi di per s in uno stato
fsico ben definito? Secondo Platone, le cose empiriche, considera-
te di per s, so no e non sono alio stesso tempo ( < T aia0r|T>
oTCo x^i ws elva tc K a l fif] el vai), sempre apparent! e prive
di determinazioni, perennemente mutevoli e diverse da s (|j.r|8TTOTe
K a r a T a i r r ) , ed pertanto impossibile che possiedano una certa

caratteristica o si trovino in un certo stato fsico, se non istantane-


amente e per caso e divenendo subito altre e daltra specie41. Invece,
per possedere dawero una certa caratteristica o trovarsi stabilmente
in un certo stato fsico42, occorre che esse partecipino delle idee e
ne ricevano le determinazioni per Tintera durata della relazione di
partecipazione. Infatti, appena cessano di partecipare delle idee, le
cose ricadono nella condizione loro propria e, immediatamente mu-
tando e corrompendosi, perdono ogni caratterizzazione specifica.
E dunque in virt deila partecipazione ale idee che le cose empiri
che entrano in possesso, bench in forma parziale e imperfetta, del
le caratteristiche che alie idee appartengono in forma compiuta e
perfetta.
Le idee sono quindi concepite, almeno fino al Parmenide, come
le cause efficienti del mondo sensibie43: bisogner credere alora

41 Cfr. in parti colare 1 1 del cap. V.


42 Naturalmente, ie cose empiriche possono possedere daw ero certe caratteristi
che o trovarsi stabilmente in un certo stato fsico entro i limiti imposti dalla loro
condizione ontologicamente parziale e imperfetta e soltanto per la durata della
relazione di partecipazione ale idee corrispondenti a quelle caratteristiche o a quello
stato fsico; alie idee appartengono invece compiutam ente e per Feterni ta le carattersdche
e lo stato metafsico1 loro propri essenzialmente.
43 Parlando delle idee come cause effcienti (e non semplicemente come cause
formali) del mondo empirico, utilizzo a ragion veduta il linguaggio caracterstico
della dottrina aristotlica delle cause, facendo riferimento in particolare a Metapb. A,
1013a24-32: Si d icecausa'... la forma e il modello ( t el Sos tcotit rap8eiy|ia),
ossialadefinizione dellessenza e i generidi questa (come causa delfottava il rapporto
di due a uno e, insomma, il numero) e le parti inerenti alla definizione. Inoltre, causa
ci da cui il principio del mutamento o della quiete (f] pxf) Tq? p.eTaf}oXfjs- f) TTpwTTj
f| rfjs- fipep.f|CTe-), come causa chi da un ordine o come l padre causa del figlio
o come, in generale, lagire causa deazione e chi provoca un mutamento causa di
220 FRANCESCO FR O N TERO TTA

che esse siano effettivamente e materialmente presenti nel mondo


sensibile?
In realt, anche se indubbio che Patone non ha inteso la rela-
zione fra le cose e le idee in chiave esplicitamente materialista, per
lottima ragione che le idee sono enti puramente formali privi di
qualunque Veste materiale, lipotesi stessa della partecipazione fra

ci che muta ( t t t o io w ^
t o Kai
tto lo u p e T a | 3 T ] T i K i .'
i o u t O p . e T a p X X o v ' r o s ) .
t o

A quanto risulta dallanalisisvolta fin qui, proprio nel senso aristotlico di causa come
ci da cui il principio del mutamento o della quiete... o come, in generale, lagire
& causa dellazione e chi provoca un mutamento causa di ci che muta che le idee
platoniche sono apparse, in senso prop rio, come le cause efficienti, e non soltanto
formali, del mondo sensibile. Per una simile conclusione, che contraddice decusa
mente fanalisi di G. Vlastos presentara nel 4 di questo cap. VIII, cfr. anche R.
H a c k f o r t h , Plato j- Phaedo, translated with introduction and commentary, Cambridge
Univ. Press, Cambridge 1955, 144-145; e soprattutto, in ultimo, D. SEDLEY, Platonic
causes, in Phronesis, XLIII, 1998/2,114-132, che, in polmica con le interpretazioni
che riducono il ruolo delle idee allafunzione puramente esplicativadi una condizione
(necessaria o sufficiente) delle caratteristiche o delle qualita attribuite alie cose
empiriche partecipanti, stabiiisce alcuni principi fondamentali della teoria platnica
della causalita (basandosi specialmente sullanaiisi del Fedone e del Parmenid)'. (1)
ogni causa e, secondo Platone, una cosa, un ente ontologicamente determinato; (2)
ogni causa, per poter suscitare certi effetti, deve essa stessa, per cosi di re, possedere tali
efetti per definizione (su questo punto cfr. 6.2 e 7 del cap. X); (3) ogni atto di
causazione (causation) rappresenta perci una trasmissione secondo somiglianza
(transmission theory of causation ... is a matter of like causing like). In modo del
tutto analogo argomenta R.J. H a n k i n s o n , Cause an d explanation in ancient Greek
thought, Clarendon Press, Oxford 1998, 84-108: se (1) lo stesso effetto non pu essere
prodotto da cause opposte, allora (2) la stessa causa non pu piodurre effetti opposti;
pertanto, la causa X , responsabile delleffetto V , non potra (3) essere essa stessa non-
x> ma dovra invece (4) essere V . t stupefacente osservare pero come, una volta
stabilite premesse cosl stringenti e impegnative, Hankinson e Sedley tornino poi a
mitigare fortemente il loro gudizio, il primo suggerendo iipotesi che la causalita
riconosciuta da Platone aile idee si riduca in realta alia semplice funzione di
spiegazione {explanation) dei fenomeni empirici, della loro origine e delle loro
motivazioni razionali; 1 secondo confinando il ruolo e 1influenza delle idee sulla sfera
sensibile nellambito di una causalita puramente frmale5: in entrambi i casi, quindi,
ripiegando su una conciusione filosficamente non dissimile da quella di Vlastos
esaminata in precedenza, che, escludendo qualunque intervento diretto e attivo delle
idee sulle cose empiriche, intende i generi supremi come principi della definizione e
della conoscenza degli oggetti sensibili principi metafisici veramente esistenti sul
piano ontologico, certo, ma che adempiono a una funzione essenzialmente lgica ed
epistemolgica. H.F. C h e r n is s , Aristotles criticism o f Plato an d the Academy cit.,
sembra invece difen dere una posizione piuttosto ambigua: infatti, egli afferma
dapprima (218; 373-375) che le idee sono senza dubbio le cause delle cose empiriche
particolari e del loro essere, aggiungendo successivamente (452 sgg., soprattutto n.
397), senza fomire chiarimenti o precisazioni di sorta, che non si tratta pero di una
!l, DILEMMA DELLA PARTECIPAZIONE 221

la sfera sensibile e la sfera intellegibile, fra i generi ideali e gli oggetti


empirici, implica neces sari amen te una commistione dei due livelli
separati del reale. Se le cose possiedono certe qualit, una definizio-
ne e un nome in virtu della partecipazione alie idee, se le idee
cause efficienti del mondo sensibile - costituiscono lessenza delle
cose, il ioro V i originario, ci non pu awenire senza che si verifi-
chi un contatto fra idee e cose, senza che, pure se in misura mini
ma, le idee intellegibiii separate siano toccate dalle cose sensibili.
In altri termini, il meccanismo della partecipazione, che pone in
reiazione enti fra loro differenti (perch, se non fossero differenti,
costituirebbero ununit indistinta), non sembra articolato attra-
verso un eiaborazione rigorosa della categora dellalterita, in un
contesto, cio, nel quale enti diversi possano comunicare conser
vando la reciproca diversita, ma solo attraverso un parziale annulla-
ment delle differenze dei partecipanti, una progressiva assimila-
zione dei diversi. Idee e cose, realta massimamente differenti e sepa-
rate da un radicale divario ontologico, riescono a stabilire una reia
zione solo a patto di ridurre a identit le proprie differenze, ci che
rmane daltra parte impossibile per roriginaria e irriducibile con-
trapposizione delle due sfere del reale44.
Se questo vero, se lipotesi deila partecipazione delle cose empi-
riche alie idee viziata da una simile, ineludibile aporia, diviene
perflno insensato soilevare lulteriore problema delie modalit del
rapporto partedpativo45. Non a caso, la grave ambiguita rivelata

causalit efficiente e diretta. Nel Timeo, come vedremo nellAppendice II, 2, verra
elaborara da Platone una soluzione mitolgica che, affidando al demiurgo cosmico
il potere di dare forma al mondo sensibile a somiglianza del modello ideale, libera le
idee da questo difficile compito. Per uno status quaestionis relativo al dibattito critico
intorno alia definizione della dottrina platnica della partecipazione, si veda il mo
articolo IIp roblem a della A proposito di un lungo dibattito platonico, in
Elenchos, XX, 1999/2, 397-415.
44 Sulla contraddizione fra lipotesi della partecipazione delle cose empitiche alie
idee e Passunto della radicale separazione fra i due mondi, quiappenaaccennata, rinvio
soprattutto ai 5-6 del cap, XI.
45 In altre parole, il dilemma della partecipazione neilaforma in cui introdotto
inizialmente da Parmenide (cfr. Prtn. 131a4-e6 e il 1 di questo cap. V III), cio
rispetto alie modalit della relazione fra le cose e e idee, risulta, per cos dire, svuotato
daulteriore e ancor pi grave diemma che awolge la stessa possibilit del rapporto
partecipativo: se 1interrogativo relativo alia partecipazione intesa come presenza (in
222 FRANCESCO FR O N TE R O T 'A

nella natura dei generi - realt universali e intellegibili separate dalle


cose empiriche e, a un tempo, comunicanti con le cose empiriche e
in esse presenti - che, nel Parmenide, imped isce a So crate di defini-
re i modi del rapporto partecipativo, riemerge nuovamente nel
momento in cui la discussione prende in esame a possibilita stessa
della partecipazione. Mentre in un primo tempo Parmenide ha cer-
cato di mettere in luce come si configuri la relazione fra le cose e le
idee, ora Fanalisi pone direttamente in causa Yesistenza di questa
relazione. Uindagine tocca cosi il nucleo dellontologia platnica,
con i rilievi epistemoiogici che essa prevede. La critica di Parmenide,
inizialmente concentrata su alcuni aspetti specifici della teoria delle
idee, si dirige adesso alia stessa natura dei generi e rivolge una sfida
filosofica radicale alia concezione della realt proposta da Platone.
Infatti, il dialogo introduce a questo punto lobiezione piu for-
midabile contro la dottrina dei generi, largomento del terzo uomo,
con la paradossale conseguenza del regresso infinito.

tutto o in parte?) delle idee nelle cose empiriche rinvia per necessita aUindagine sulla
possibilita della partecipazione, e se tale indagine rimane irrimediabilmente oscura e
senza esito, senza esito rimarr anche linterrogativo iniziale. E proprio questo si
verificato nel corso dellanalisi: dal problema della partecipazione concepita come
presenza delle idee nelle cose partecipanti, siamo giunti infatti a considerare il
significato e la possibilita della partecipazione in generale, constatando che, concepita
come effettiva presenza delle idee nel mondo sensibile o come somiglianza delle cose
empiriche alie idee, la partecipazione suscita comunque gravi contraddizioni, perch
attribuisce alie idee un ruolo - quello di cause efficienu del mondo sensibile che
le coinvolge, seppur solo in minima parte, nella vicenda spazio-temporale del divenire
della sfera empirica. Su questo aspetto, cfr. ancora i 5-6 del cap. XI.
IX.

IL TERZO UOMO E IL REGRESSO INFINITO DELLE IDEE

1. Uintroduzione deirargomento del terzo uomo

Parmenide invita Socrate a considerare una nuova difficoit


(131e7-132b2):

T t S 8f|; TTpo TSe ttws- x f L ; - T o tto o v ; -O l|j.aL cre K to to io 8 c


eKaarov elS os- oeaOaL e l v a r Tai' t t W T T a p.eyd \a 6 r) a o i e li/a i, p l a
ti lctw? Sokcl I S a fj a u r q e v a i rrl T rv ra iS im , 0eu 'v r o p y a fiyri
etv aL . - A\r]0fj Xyeis, < y a i.- T i 8 a ir r t | iya a i t W a T a ^ .ey X a, v
cbaaTojs' ttI ^ X i TTL TrvTa r|S\ ox'1 TL M-ya ^ av elT o u , (L ra T a
TTi'Ta v y icr p.eydXa (f)aveCT0ai; - " E o i k c v . - AXXo apa e t 805- [eyGous-
ava^avriCTCTai, u a p aT r e t fiyeBos- y e y o v o s a l r p .e T x o v ra a ir ro r
icai m to to ls " a u iractlv e ir p o v , <L r a tiT a rr v T a fie y X a e l v a r Kal oKri

Sfj 'v mCTTy aoL t<3v e lS v le T a i, X X /n eip a t TTXfjOos1.


E che? Che rispond a questo? Acosa? - lo pens che in base a questo tu guardi
ogni genere come ununit: quando ti paie che vi siano moite cose grandi, ritieni
che esista, per chi le consideri, ununica idea in s al di l di tutre le cose, che
secondo te lunica idea di grandezza. ~ E vero, disse. - E se volgi lo sguardo con
lanima su tutte queste cose, le cose grandi e lidea di grandezza insieme, non ti
appare una nuova e nica idea di grandezza, in virtii dlia quale tutte queste cose
sono grandi? - Sembra di si. - Allora, apparir una seconda idea di grandezza, al
di l dlia grandezza in s e delle cose che ne partecipano, diversa da tutte queste
e in virt dlia quale tutte queste cose sono grandi: e cosl non sar pi. uno
ciascun genere, ma infinito in pluralit.

Questa la prima versione dellargomento del terzo uomo che


compare nel dialogo e conduce al paradosso del regresso infinito: se
le cose grandi sono tali in virt dlia partecipazione ail5idea di gran
dezza e si raccolgono nella sua unit, analogamente le cose grandi e
Fi dea di grandezza, concepite come un insieme unitario, dovranno
224 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

partecipare di una seconda idea di grandezza, ragione e causa della


grandezza delle cose grandi e della prima idea di grandezza. La gran-
dezza in s non sar pi nica, perch il rapporto partedpativo, per
il solo suo darsi, pare imporre Finfinita moltiplicazione di ciascun
genere, insinuando unincontrovertibile aporia nella teora delle idee.
Socrate formula allora una diversa ipotesi (132b3-cl 1): le idee
sono forse pensieri che hanno dimora nelFanima (vormara ... kv
dotad di unita, immateriali e non soggetti alie contraddi-
zioni fin qui sollevate. Occorre pero non fraintendere questa pro-
spettiva, di per s estremamente ambigua: si potrebbe infatti crede
re che Socrate suggerisca una forma di soggettivismo radicale per
cui le idee, non pi concepite come enti realmente esistenti, diven-
gono soltanto, in quanto contenuto di pensiero, il risultato delFat-
tivita delFanima, il prodotto' arbitrario della mente, o, ancor pi
confusamente, latto stesso di questa produzione intellettuale1. In-
vece, ci che Socrate intende dire piuttosto che le idee, pur carat-
terizzate da un esistenza autonoma e indipendente, non esistono
tuttavia se non nella mente e nellanima umana, dunque come con
cetti universali, categorie generali del pensiero. La ragione di una
simile ipotesi evidente: se le cose e le idee sono poste in relazione
esclusivamente nel pensiero, le idee riescono a conservare intatte la
propria assoluta unit e immaterialit e Ximpasse della partecipazio-
ne immediatamente superara. Lidea di uomo o Fidea di grandezza
sarebbero infatti quei pensieri o, meglio, quei concetti, che si mani-
festano nelf anima alia vista di un uomo o di una cosa grande.
Ma Parmenide rivela rpidamente Finconsistenza di questa pos-
sibilit: se ogni pensiero pensiero di qualcosa e non di nulla (yorpa

1 In effetti l termine vrma, piuttosto raro in Platone (compare in tre occorren


poco significative in Men. 95e5; Snip. 197e5; Pit, 260d8; e due volte in Sph. 237a9;
258d3> ma nel corso della citazione del fr. 7.1-2 DK di Parmenide), ha un duplice
significato in greco come in italiano e nelle altre lingue moderne: pensiero infatti
tanto latto del pensare, quanto il risultato di questo atto, dunque 'ci che pensato,
il concetto. E possibile che Socrate giochi inizialmente su tale ambiguit, ma, come
sbito vedremo, immediatamente rcondotto da Parmenide allaspetto realista e
oggettivista del dilemma. Un importante precedente della concezione realista
delfidentiti del pensiero con il sao contenuto sostenuta da Platone costituito da
Parmenide, per il quale si vedano i frr. 3; 6.1; 8.34-36 DK e il mio Essere, tempo e
pensiero: Parmenide e l origine deWontologia, in ASNP, XXIV, 1994/4, 835-871,
soprattutto 866-870.
!L t E-RZO U O M O E IL R E G R E S SO IN F IN IT O D ELLE ID EE 225

... ti vs), se, ancora, pensiero di qualcosa che (tivs ... vtosO,
ne consegue che il pensiero nuovamente messo in relazione con la
realt, con ci di cui pensiero2; in questo caso, bisogner ricono-
scere che ogni idea, che pensiero, sar presente nelle cose parteci-
panti, che, a loro vota, parteciperanno inevitabilmente di pensie
ro. In altri termini, se le cose empiriche partecipano delle idee e se
le idee sono pensieri, tutto consta necessariamente di pensiero. Di
qui, una dplice assurdit: o il tutto, in quanto partecipe di pensie
ro, pensa (ttccvtoi vocTv), oppure, pur essendo presente nel tutto, l
pensiero non pensato (vofjjiaTa vtcc vT|Ta). Con un esempio
concreto, affermare che un albero (empirico) partecipa dellidea di
grandezza significherebbe in realt sostenere che partecipa dei pen
siero delia grandezza e che, quindi, possiede il pensiero: in tal caso,
o lalbero, in quanto possiede il pensiero, pensa; oppure, pur posse-
dendo l pensiero, non pensa e vi sarebbe perd, contraddittoria-
mente, un pensiero che non pensato3. In ultima analisi e comun-
que stiano le cose, se impossibile ammettere che possieda il pen
siero, 1albero dovr rimanere escluso dalla partecipazione alia gran
dezza. Questa eventualit per inammissibile4.

2 N onostante A l l e n , Plato s Parmenides cit., 1 4 9 - 1 5 1 , attribuisco al genitivo in


questione (pensiero di qualcosa che , rripa ... tli/ ... l'to) un valore oggettivo
e intendo Targomentazione di Parm enide nel senso che non pu esistere pensiero che
non sia d i qualcosa, che non abbia cio un con ten uto oggettivo o, meglio, che n on sia
una copia o una riproduzione di un oggetto realm ente esistente. Alia possibile
obiezione di chi afferma che questa interpretazione non riesce a spiegare, per esempio,
1esistenza dei pensiero dei centauro o del cerchio quadrato (che non esistono neila
realt) o delle qualit moraii (che non sono un oggetto vero e proprio), si risponde,
m i pare, ricordando che, secondo Platone, il pensiero dei centauro o dei cerchio
quadrato non d aw ero pensiero, m a solo una confusa form a di immaginazione (cfr.
il 3 del cap. Ill), e che d altro canto, bench imm ateriali, le qualit morali o estetiche
esistono realm ente e, di conseguenza, possono costituire (anzi, costituiscono certa
mente) il contenuto dei pensiero.
3 II prim o versante dellaporia consiste nelTattribuzione dei pensiero e delia
facolt di pensare a oggetti inanim ati; il secondo, nvece, nelleventualitache esistano
pensieri non pensati, ci che si rivela una pura contraddizione in term ini solo
osservando la formulazione dei testo greco (I'O'qpaTa ... poryr), che forse riecheggia
1incontrovertibile diniego opposto dal Parm enide storico ai non essere e alia seconda
via di ricerca (a via del non essere definita nel fr. 8 .1 7 D K vrpov
1impensato o 1impensabile infatti propriam ente ci che non , il non essere.
4 SuUinrera questione dellipotesi socratica delle idee-pensiero, respinta da
Parm enide attraverso una formidabile confutazione dei concettualism o epistemolo-
226 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

Incapace di ogni ulteriore difesa, Socrate avanza un nuovo argo-


mento (132cl2-d4): i generi sono presenti (earvai) nelle cose come
modeili (Trapay|iaTa) rispetto alie copie (poioj|iaTa), come pa-
radigmi, e la partecipazione consiste precisamente in questa somi-
glianza (eLKacrfjvai,). Ma Parmenide replica ancora una volta
(132d5-133a3):

Ei ow tl, ecf)T|, loiKev t a S e i , oiv r e iceivo t e l Sos- M-t M-OLoy elvaL


e lK a a O v T i, K a oaov aT (3 a. qba j [j. o i tj0r| ; f| c c ttl t l? [xrixai'Tl T fio io v [if]

6[xow ^olov e l v a i ; - O k a ri. -T S jioio v t |xoc p o |aey\T]


vyvzr\ vs' to u a ro [eSous1] (-le re x f iv ; - AvyKT). - O u 8 av r o jio ia
| ie r x o y r a (io ia r), ok Kvo e a T a i a r t e IS o ? ; - TTavTuaaL [v ouv.
Ok a p a o t v r t i tc o e S e i p.oiov e lv a i, o t e l o ? XXar ei 8 |if|,

T rap t e lS o ? e l aAXo va<>avr)(jTai elSog, m i &v kKeiv r a [io lo v r ,

re p o v a , xal oSroTe T T a aerai el km voy e l8 0 9 yLyvivov, v t


e l8 0 9 t au ro erxovTi o\oiov yyvr)Tai. -krfioTaTa Xyei.
Se qualcosa assomiglia a un genere, possibile che il genere non sia a sua volta
simile a ci che gli assomiglia, in quanto gli assomiglia? C un modo in cui il
simile non sia simile al suo simile? No. Non forse assolutamente necessario
che i simili partecipino di un nico genere? Certo. E non sara lo stesso genere
ci di cui i simili partecpano per essere simili? - Senzaltro. Non possibile
allora che qualcosa sia simile a un genere n che un genere sia simile a qualcosa:
akrimenci, al di l del genere apparir sempre un secondo genere e, se questo
simile a qualcosa, un terzo, e mai cessera di nascerne sempre un atro, se il genere
simile a ci che ne partecipa. - Verissimo.

Questa la seconda versione delfargomento del terzo uomo, a


sua volta connessa alfaporia del regresso infinito: se la partecipa
zione delle cose empiriche alie idee concepita nella forma di una
somiglianza delle cose partecipanti alie idee partecipate, e se a
somiglianza un rapporto simmetrico, le idee partecipate dovran-
no a loro volta assomigliare alie cose empiriche partecipanti. Se,
per esempio, un uomo emprico simile alfidea di uomo, lidea di
uomo dovra essere dal canto suo simile alFuomo emprico. E asso-
migliando i simili fra loro, bisogner porre una seconda idea di
uomo, in virti della quale sia stabilita la somiglianza fra luomo

gico, cfr. lesauriente ed efficace analisi di R.E. LLEN, P latos Parmenides cit., 147-
158; e di L. B r i s s o n , Platn, Parmenide, traduction indite, introduction et notes par
L . B r is s o n , Paris, GF-Flammarion 1994, 39-41.
IL t e R Z O U O M O E I I R E G R E S SO IN F IN IT O D ELLE ID E E 227

empirico e 1idea di uomo. E ancora, se 1idea di uomo e 1uomo


emprico assomigliano alia seconda idea di uomo, e questa a quelli,
occorrer porre una terza idea di uomo ehe garantisca la somiglian-
za deiridea di uomo e deliuomo empirico alia seconda idea di uomo,
e cosi allinfmito.
Prima di procedere a unanalisi dettagliata dellargomento del
terzo uomo, con lampio dibattito critico che ha suscitato, mi sem-
bra opportuno ripercorrerne molto brevemente la storia, visto ehe
gi da Aristotee e dai discepoli di Platone era classificato fra le
difficolt pi gravi delia teoria delle idee, difficolt ehe metterebbe-
ro in discussione la stessa ipotesi dei generi e la loro relazione con le
cose sensibili.

2. Largomento d e l 'terzo uomoalcune testimonianze antiche

Dellargomento del terzo uomo sono attestate nellantichita ver-


sioni diverse che risalgono alcune alia sofistica, altre a Platone o ai
platonici e ad Aristotee.
Alessandro di Afrodisia, nel suo commento alia Metafsica
aristotelica (84, 7-16), attribuisce genericamente ai sofisti questa
forma delPargomento: se si dice Tuomo passeggia, non si intende
affermare ehe 1idea di uomo passeggia, perch unidea non pu
muoversi, n che passeggia un determinato individuo, perch non
si sa quale sia singolo uomo ehe passeggia. Deve trattarsi dunque
di un terzo uomo, ehe non coincide n con 1idea di uomo n con
un uomo empirico specifico. Poco oltre (84, 16-21), Alessandro
ricorda una forma defargomento, analoga alia precedente, ehe il
sofista Polisseno avrebbe utzzato: se 1uomo uomo in quanto
partecipa dellidea di uomo, deve esserci un uomo che trae il pro
prio essere dallidea di uomo. Non pu essere tuttavia n 1idea di
uomo ehe gi 1idea di uomo n un determ inato uomo empirico
ehe separato dalla realt delle idee: sar dunque un terzo uomo,
altro dalfidea di uomo e dai singoli uomimempirici. Come si vede,
queste versioni dellargomento, la cui matrice sofistica sembra in-
discutibile, non coincidono con la presentazione dei Parmenide:
soprattutto, nessuna delle due conduce allaporia del regresso infi-
228 FRA N C ESC O F R O N T E R O T T A

nito, dal momento che entrambe si limitano a imporre la postula-


zione di un terzo ente, altro dalle idee e dalle cose empiriche parte-
cipanti e fra esse intermedio.
Ma il resoconto pi preciso e completo naturalmente quello
aristotlico, nella Metafsica, e specialmente nel De ideis*. II De ideis
riporta diverse modalit di riduzione al terzo uomo di origine pa-
tonico-accademica, con le considerazioni svolte in proposito da
Aristotele. Ecco in sintesi gli argomenti dei platonici:

(1 )
se i predicad dele cose esistono separatamente dalle cose di cui sono predicad,
come idee in s e per s, da questa premessa segue necessarimente il terzo uomo;
( 2)
se i simili sono tali per la comune partecipazione a qualcosa di nico, idntico e
separato, a unidea, anche per questa via si incorre neliaporia del terzo uomo.

Queste forme deHargomento corrispondono sostanzalmente alie


due versioni esposte nel Parmenide. Lanalisi di Aristotele e molto
precisa e pertinente (cf. De ideis 84, 27-85, 3): se il predicato uomo5
si predica sia degli uom ini empirici sia deiridea di uomo
(Kanri'yope'LTaL 8e Kara re xtov tca0 6icaaTa fcal Kara rf\g
ISas- dvOpcoTTOs*)6, ma rimane diverso da ci di cui si predica e
sussiste di per s (XXos* KaTriyapouiicvos1 Karr|yopeiTaL K al
r a r LSav ^ecrT)?), questo predicato 'uomo5si rivelera essere un
terzo uomo (carca n g rpTo? a.vQpamos'), che non coincide n
con Tidea di uomo n con gli uomini empirici (trapd re tv Ka0
eicaaTa Kal ttjv LSav). E se uomo5 si predica anche di questo
predicato, bisogner porre un quarto uom o, accanto allidea di

5 Cfr. soprattutto Metaph. A, 9 9 0 b l5 sgg.; Z, 1038b30 sgg.; De ideis, 83, 34-84,


7; 84 ,21-85, 3; masi vedano anche5'178b37-179al0;APfl. A, 84a7-28; 85a31 sgg.;
e I1Appendice III, 2-3. Sul D e ideis rinvio pure a] recente On ideas. Aristotle s criticism
o f P latos theory o f forms, ed. and transl. by G. F in e , Oxford, Clarendon Press 1995.
6 Sottolineo Fimportanza di questo passo del D e ideis, dal quale si evince, fra
Faitro, Fopinione di Aristotele secondo cui le idee sarebbero auto-predicabili (lidea
di uomo si predica di se stessa e, quindi, Fuomo in se e uomo, come gli uomini
empirici sono uomini in virtu della partecipazione alluomo in se). La questione, che
assume particolare rilievo nei dibattito critico attuale sulFinterpretazione dellargo-
mento del terzo uomo, sara esposta e discussa dettagliatamente nel cap. X.
IL t ER X O U O M O IL R E G R E S SO IN F IN IT O D ELLE ID EE 229

uomo, agii uomini empirici e al primo predica to uorno e cos al-


Finfinito. Ammettere che i predicad delle cose, le ioro qualit, esi-
stono come enti separati daile cose di cui sono predicad e che la
predicazione possibile in virt dlia partecipazione delle cose a
quegli enti, ci introduce senzaltro, secondo Aristotele, 1aporia
del terzo uomo (cf. Metaph. Z, 1038b30 sgg.; Cat, Ia20 sgg.): ns-
suna sostanza individuale, come Socrate o questo cavallo specifi-
co\ puo infatti essere predicata di alcunch, n i predicad, come
uomo o 'cavallo, sono mai sostanze individual!, ma termini uni-
versali che non hanno un esistenza reale e separata dal soggetto del
la predicazione.
Questo spiega in che senso il terzo uomo incida direttamente
sulla stessa possibilit del rapporto partecipativo e costituisca una
sfida rigorosa allontologia platnica nel suo complesso: come
Aristotele osserva, postulare F esistenza separata delle idee, che sono
poi i predicad o le caratteristiche generali delle cose, e stabilit a un
tempo la partecipazione delle cose alle idee solleva inevitabilmente
la difficolt dei regresso infinito7. E cosl si spiega anche perch, fra
la prima e la seconda versione delFargomento nel Parmenide (132b3-
c l 1), Socrate provi a ipotizzare che le idee non sono altro che pen-
sieri presenti neilanima: una simile prospettiva, che infatti in
mediatamente respinta da Parmenide, scioglierebbe ogni contrad-
dizione, privando le idee-pensiero di esistenza esterna alla mente
umana e riducendo il rapporto partecipativo a un processo mentale
di associazione di concetti.

3. Largomento del 'terzo uomo: l'interpretazione di G. Vlastos

E il caso di tomare ora alPanalisi delFargomento del terzo uomo


che, nelle due versioni presentate da Parmenide (131e7-132b2;
132d5-133a3), ha ridotto Socrate al silenzio. Il dibattito sulla que
stione, come abbiamo appena visto assai vivace, g nelFantichit,
ha conosciuto recentemente una nuova attualit, rilanciato da al-

7 Per un resoconto piu dettagliato della storia dellargomento del terzo uomo, cfr.
F.M. CORNFORD, Plato a n d Parmenides cit., 87-95; W . L e s z l , I l De ideis di Aristotele
cit., 239-277.
230 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

cuni celebri interventi di Gregory Vlastos, che si occupato a lun-


go di ricostruire la struttura logica delfargomento8. Riproduco le
linee essenziali del testo dlia prima versione del terzo uomo (131e7-
132b2):

... Quando ti pare che vi siano moite cose grandi, ritieni che esista, per chi le
consideri, ununica idea in s al di l di tutte le cose, che secondo te lunica idea
di grandezza. ... E se voigi lo sguardo con lanima su tutte queste cose, le cose
grandi e lidea di grandezza insieme, non ti appare una nuova e unica idea di
grandezza, in virt dlia quale tutte queste cose sono grandi? ... Allora, apparir
una seconda idea di grandezza, al di l dlia grandezza in s e delle cose che ne
partecipano, diversa da tutte queste e in virt dlia quale tutte queste cose sono
grandi: e cosi non sar pi uno ciascun genere, ma infinito in pluralit.

Vlastos dentifica innanzitutto una premessa ineludibile deirar


gomento, che coincide del resto con il principio fondamentale dl
ia teoria delle idee9: se una o pi cose empiriche a, b e V possie-
dono un determinato carattere V e sono cosi x , cio possibile solo
in virt deirunica idea X in s'. Inoltre, ed il secondo passaggio
delFargomento, se consideriamo V, b\ c e X in s come linsie-
me unitario degli enti che sono x , bisogner porre una seconda
idea X in s in virt dlia quale a, V , C c e X in s sono x\ E
nuovamente: se a, b, c, X in s e X in sj1 costituiscono un
insieme unitario di enti x\ avremo di necessit un aitra idea X in
s2, in virt dlia quale a , b\ c, CX in s e X in s 5 sono x. E
cosi aUinfinito.
Ma per giungere a queste conclusion!, occorre rendere esplicite
ancora due premesse, che, secondo Vlastos, Platone stesso non avreb-
be riconosciuto con Topportuna chiarezza. Infatti, ammesso che a,

s Cito sokanto per il momento G. V l a s t o s , The third man argument in the


Parmenides, in PhR, LXIII, 1954, 319-349 (riedito in Studies in Plato's metaphysics
cit., 231-263). Questo articolo ha susckato profonde e diverse reazioni, fra le quali
ricordo quelle di W. SELLARS, Vlastos an d the 'third man \in PhR, LXIV, 1955, 405-
437, e di P. G EACH, The third man again cit. Vlastos ha in seguito replicato ancora con
il suo Postscript to the third man: a replay to Mr. Geach, in PhR, LXV, 1956, 83-94
(riedito in Studies in P latos metaphysics cit., 279-291) e con P latos third m an
argument (Farm. 132al-b2): text andlogic, inPhilosQ,XIX, 1969, 289-301 (riedito
in G. V l a s t o s , Platonic studies cit., 342-365).
9 Si tratta di quello che Socrate definisce, in R. V 507b2-9; X 596a5-8, come
suo metodo abituale (Tfjs- el^Quias* p.efl6Sou). Cfr. in proposito il 2 del cap. IV.
il . t e r z o u o m o k il r e g r e s s o in f in it o d e u . f: i d e e 231

b e V (empirici) sono V in virt deifidea CX in se, cosa induce a


considerare a , cb, c e X in s come un insieme unitrio? A questo
interrogativo ris ponde Tassunto che stabilisce Tauto-predicazione
delle idee: ogni idea pu essere predicata di s stessa; quindi X in s
, essa stessa per prima, x\ In tal modo, X in s finisce per costitu-
ire, insieme con a , b5e V , Tinsieme unitrio degli enti che sono V.
Ci non conduce ancora, per, al regresso infinito, perch, mentre
V , b e V sono V in virt di X in s, nulla impedisce che X in s?
sia V semplicemente in virt di s stessa e delia prpria natura e
non invece in virt di X in s^. A imporre la postulazione di X in
s 5 in effetti 1assunto di non-identit, 1ultimo presupposto collo-
cato da Vlastos alia radice deirargomento dei terzo uomo: qualun-
que ente che possieda un determinato carattere diverso dafidea in
virt delia quale lo possiede; quindi, per esempio, tutto ci che V
deve essere diverso da X in s\ Questo assunto discende necessaria
mente dalla condizione di assoluta superiorit ontologica delle idee
rispetto alie cose empiriche che ne partecipano: se a\ b e c sono
x in virt di C
X in s e, perci, in quanto x, condividono con X in
s' la x-ita , rimangono daltra parte su un piano di realt assoluta-
mente differente da X in s10. Ecco cosi la struttura logica deirar
gomento dei terzo uomo, secondo la ricostruzione di Vlastos:

(1 )
V , b e V sono V in virtu deliidea 'X in s;
(2)
X i n sc V (assunto di auto-predicazione delle idee);
(3)
ogni ente V diverso dalPidea X in se (assunto di non-identit);
(4)
V, b, c e X in s, che sono x, devono quindi essere diversi da X in se e sar
necessrio postulare una nuova idea X in s in virt delia quale a, b, V e X
in s siano x.

10 Lassunto di non-identit traduce quindi sul piano logico i principio dei


XWpL.ap.s' delle idee, che stabilisce la loro assoluta separazione ontologica dalle cose
empiriche. D altra parte, esso pure necessrio, nelTambito delle relazioni fra le idee,
non per preservare a superiorit ontologica e la separazione delle idee rispetto alie cose
empiriche o rispetto alie altre idee, ma soltanto per garandre Pidendt con s di ogni
idea e la sua diversit da tutte le altre idee: se unidea X in s y* *n virt delia
parfecipazione aliidea Y in s, essa deve rimanere turtavia diversa (ma non separata)
dalFidea Y in se partecipando delia quale diviene y .
232 F R A N C ESC O FRO N TERO 'TTr\

E proseguenclo:

(5)
X in s 1 V (assunto di auto-predicazione delle idee);
(6)
ogni ente V diverso dallidea X in s (assunto di non-identita);
(7)
a, V , V , X in s' e X in s che sono V , devono essere diversi da X in s e
sara necessario postulare una nuova idea X in s/; in virti dela quale a, b, c ,
X in s e X in s siano x .

E c o s via in un regresso infinito. Analoga, secondo Vlastos, la


struttura dlia seconda versione dellargomento, di cui ripropongo
il testo (132d5-133a3):

Se qualcosa assomiglia a un genere, possibile che ii genere non sia a sua volta
simile a ci che gli assomiglia, in quanto gli assomiglia? ... Non forse assoluta-
mente necessario che i simili partecipino di un nico genere?... Enonsarlostesso
genere ci di cui i simili partecipano per essere sim ili?... Non possibile ailora che
qualcosa sia simile a un genere n che un genere sia simile a qualcosa; aitrimenti,
al di l del genere apparira sempre un secondo genere e, se questo simile a
qualcosa, un terzo, e mai cessera di nascerne sempre un altro, se il genere simile
a ci che ne partecipa.

In questo caso, la premessa deirargomento la seguente: se a5, V


e V (empirici) possiedono un carattere x - e sono quindi fra loro
simili rispetto alla x-it ci possibile solo in virti della somi-
glianza ailunica idea X in s, visto ebe la partecipazione ora con
cepita come somiglianza delle cose partecipanti alie idee. Ma la so-
miglianza un rapporto simmetrico: X in s deve dunque, a sua
volta, assomigliare ad a, b>e c\ D altro canto, se X in s, a\ V e
c sono simili, costituiranno Tinsieme unitario di enti V , tutti fra
loro simili rispetto alla x-it. Bisogner quindi ricorrere a un idea X
in s/, in virtx della quale a\ b5, c e X in s siano simili. E, ancora,
se a, b, c e X in s sono simili allidea X in s/, e questa a quelli,
avremo ancora unidea X in s/, in virti della quale stabilita la
somiglianza fra a, b\ c , X in s e X in s/, e cosi via ainfmito11.

11 Diversamente interpretano R.E. A l l e n , Platos Parmenides cit., 162-163, e


B r is s o n , Platon, Parmenide cit., 41-42: se la partecipazione delle cose alle idee b
IL T E K Z O U O M O E IL R E G R E S SO IN F IN IT O D ELLE ID EE 233

Ed ecco, riprendendo la formalizzazione di Vlastos, la struttura lgi


ca delia seconda versione delfargomento dei terzo uomo:

(1)
a, b e c\ che sono V , si rivclano fra ioro simii rispetto alia 'x-it, in virt delia
somiglianza allidea X in s;

(2)
X inse assomiglia ad a, b e V rispetto alia x-it, in quanto , essa stessa, V
(assunto di auto-predicazione delle idee);
(3)
ogni ente V diverso dallidea X in s (assunto di non-identit);
(4)
V , b , c e X in s, che sono x, devono quindi essere diversi da X in s e sar
necessrio postulare una nuova idea X in s^, assomigliando allaquale a, b , c
e X in s siano V .

E proseguendo:

(5)
X in s simile ad V , V , V e X in s rispetto alia x-it, in quanto , anchessa,
x (assunto di auto-predicazione delle idee);

{6)
ogni ente V diverso dallidea X in s (assunto di non-identit);
(7)
a, b , V , X in s e X in s che sono x\ devono essere diversi da X in s e
sar necessrio postulare una nuova idea X in s2\ assomigliando alia quale a, b ,
c , X in s e X in s^ siano x\

E cosi via in un regresso infinito. Secondo la ricostruzione di


Vlastos, 1argomento dei terzo uomo, con la paradossale conseguenza
dei regresso infinito, deriva dunque dalfintrinseca inconsistenza
delia teoria delle idee che si esplicita nella contraddizione fra gli
assunti di auto-predicazione delle idee (ogni idea pu essere predi-

concepita corne somiglianza del partecipante al partecipato e se la somiglianza un


rapporto simmetrico, la partecipazione sar possibile solo in virt dellidea dlia
somiglianza, lidea che rende tali i simili. E se i simili, partecipante e partecipato,
assomigano a loro volta alidea dlia somiglianza, e questa a quelli, occorrer porre
una seconda idea di somiglianza, che garantisca la somiglianza fra i simili e la prima
idea di somiglianza, e cosl via aUinfinito. Il regresso infnito, nella seconda versione
dellargomento del terzo uomo, si applicherebbe quindi alla sola idea dlia somiglian
za, il che, anche se senza dubbio possibile, mi pare francamente improbabile.
234 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

cata di s stessa) e di non-identit (tutto ci che possiede un deter-


minato carattere diverso dailidea in virt di cui lo possiede), una
contraddizione che, se formalizzata, si rivela in modo evidente e
ncontrovertibile. D altra parte, prosegue Vlastos, Platone non avreb-
be identificato neanche in mnima parte la radice lgica e filosfica
di questa plese aporia: in tai senso, le pagine dei Parmenide che
contengono lesposizione deliargo ment del terzo uomo rappre-
senterebbero a record o f honest perplexity, manifestando limba-
razzata perpiessit del filosofo che riconosce una profonda ambi-
guita nella propria stessa riflessione, senza peraltro riuscire a indi-
carne la ragione essenziale e a porvi rimedo12.
Questa interpretazione stata tuttavia sottoposta a numerse
critiche, sia da parte di quanti ne contestano Fimpostazione gene-
rale, sia da parte di coloro i quali non considerano il terzo uomo
come unobiezione valida contro la teora delle idee33. Mi pare qundi
opportuno tornare sugli assunti di auto-predicazione delle idee e di
non-identita ipotizzati da Vlastos, per valutarne Feffettiva connes-
sione con i principi deontologia platnica e Tncidenza reale sul
paradosso del regresso infinito.

12II riferimeato e ancora a G. VLASTOS, The third man argument in the Parmenides
cit., 240-241; 248-255; I d ., Plato's third m an argument (Parm. 132al-b2): text an d
logic cit., 342-352.
53 Quanti non considerano valido Fargomento del terzo uomo fanno dipendere
il regresso infinito da un volontario fraintendimento, da parte di Parmenide, della
teoria delle idee. Platone se ne servirebbe in sostanza come di una sorta di artificio
retorico per dimostrare indirettamente la necessita dellipotesi dei generi. Cito
soltanto in proposito A. L. P e c k , Plato versus Parmenides, in PhR, LXXI, 1 962,159-
184, e K.M. SAYRE, P latos late ontology cit., 27-34. Fra quelli invece die, pur
considerando valido fargomento del terzo uomo, non condividono complessivamen-
te Pinterpretazione di Vlastos, ricordo W . SELLARS, Vlastos an d the third m an cit.; P.
G e a c h , The third man again cit.; C. S t r a n g , PLxto an d the third man, in PAS, Supp.
XXXV II, 1963, 147-164 (riedito in Plato I: Metaphysics an d epistemology cit., 184-
200); J . M . E . MoRAVCSIK, The third man argument an d P latos theory o f forms, in
Plironesis, V III, 1963, 50-62. La critica piu efficace e completa della posizione di
Vlastos e pero queila di M. M lG N UC C I, Plato s t hird man arguments in the Parmenides,
in AGPh, LXXII, 1990, 143-181. Infine, di quanti non condividono Pinterpreta-
zione di Vlastos, ma ne accolgono comunque Fimpostazione generale (e si tratta della
maggior parte degli studiosi), discutero piii approfonditamente nei capp. X-XI.
X.

E AUTO-PREDICAZIONE DELLE IDEE1

1. Predicazione e auto-predicazione de lie idee

Secondo Vlastos (e in base ai principi fondamentali delia teoria


platnica delle idee che ho in precedenza schematizzato)2, se una o
pi cose empiriche ca, b e c possiedono un carattere V , ci awie-
ne in virt della partecipazione di a, b e c allidea X in s. Al
meccanismo ontologico della partecipazione delle cose alie idee
corrisponde infatti, sul piano logico, la predicazione, che, nel suo
pi ampio e generico significato, consiste neUattribuzione di un
qualunque predicato a un qualunque soggetto. Finch il soggetto
della predicazione una cosa empirica a, cb\ o V , la predicazione
non pone, in questo contesto, alcun problema:

a V = V partecipa di X in s;

oppure:

a y = a partecipa di Y in s.

1In questo capitolo, riprendo e approfondisco alcuni degli argomenti discussi nel
mo Auto-predicazione e auto-pdrtecipazione delle idee in Platone, in Elenchos, XVII,
1996, 21-36. Contro la posizione di chi nega a p riori la possibilit di parlare di una
teoria platnica della predicazione muovendo dalla constatazione che neanche esiste
un termine greco tiei dialoghi platonici per indicare tale relazione logico-linguistica
( per esempio il caso di R.E. Alien, cfr. il 3 di questo cap. X) cerchero di definire
nel presente capitolo in quale forma ed entro qual limiti ci sia invece, a mi awiso,
legitdmo e necessario.
2 Cfr. in particolare i capp. V e VII-V7II.
236 F RA N C ESC O F R O N T E R O T T A

E tuttavia possibile che il soggetto della predicazione sia non una


cosa empirica, ma un idea C X in s o Y in s. In questo caso:

X in s y = X in s partecipa di Y in s;

oppure:

Y in s V = Y in s partecipa di X in s.

Infatti, anche il rapporto di partecipazione fra idee e idee am-


messo dalla teoria platnica e non presenta difficolt di principio3.
Si tratta, in entrambi casi, di una predicazione ordinaria che sta-
bilisce lappartenenza di un individuo (emprico o ideale) a una
classe (la classe degli individui in possesso di uno stesso carattere o
qualit)4.
Ma cosa accade invece quando il predicato coincide con l sog
getto delia predicazione, quando, dunque, il soggetto delia predi
cazione viene predicato di s stesso? Occorre premettere che, in tal
caso, il soggetto delia predicazione non pu essere una cosa empir-
ca: se le cose empiriche traggono le loro qualit e le loro caratteri-
stiche esclusivamente dalla partecipazione alie idee, ci implica che
ogni qualit o caratteristica delle cose, ogni predicato delle cose,
corrisponde a unidea e che, di conseguenza, tutti i predicati sono
idee. Ora, nellipotesi dellauto-predicazione, il soggetto della pre
dicazione coincide con il predicato ed quindi, anchesso, necessa
riamente unidea. Avremo cosi questa formulazione, che riproduce
esattamente quella deliassunto di auto-predicazione delle idee den-

3Cito solo, per brevit, icasi di Sph. 254b7-c5 (... abbiamo convenuto che alcuni
dei generi possono comunicare fra loro e altri no, alcuni con pochi, altri con molti, altri
infine cui nulla impedisce che comunichino con tutti...) e 256b6-7 (Se il movimen
to partecipasse delia quiete, non sarebbe afFatto strano dire che il movimento e in
quiete). Ho brevemente presentato la questione delia partecipazione ira le idee nel
3 del cap. IV.
4 Per questa definizione, seguo G. V l a s t o s , An ambiguity in the Sophist, in G.
V l a s t o s , Platonic studies cit., 270-322, in particolare 270 sgg., e L. B r is s o n ,
Participation et prdication chez Platon, in RPhilos, CLXXXI, 1991, 557-569,
soprattutto 558 (questo arricolo compare ora, rivisto, inL. B r is s o n , Platon, Parmnide
cit., Annexe II: Les interprtations analytiques du Parmnide de Platon. Participation
et prdication chez Platon, 293-306),
1, a U T O -P R E D IC A Z IO iM E D ELLE ID E E 237

tificato da Vlastos come indispensabile premessa delTargomento


del terzo uomo:

X in se e x .

Peranalogiacon i casi di predicazioneordinaria, dovremmo tra


duire come segue:

X in s V = X in sc partecipa di X in s e .

D altra parte pero, Fambigua forma di auto-partecipazione delle


idee da cui parrebbe dipendere Fauto-predicazione suscita, gi a
prima vista, non poche contraddizioni. Innanzitutto, Platone non
sembra aver mai affermato la possibiiit delFauto-partecipazione di
unidea e nessun testo puo essere chiamato a sostegno evidente di
questa tesi5. Lipotesi della partecipazione del rsto introdotta con
due precise finalit: colmare il divario ontologico fra le cose empi-
riche e le idee, postulando una relazione fra i due livelli distinti del
reale che renda conto del significato e della natura dei sensibili (la
partecipazione delle cose empiriche all idee)6; salvaguardare lesi-
stenza della molteplicit degli enti ideali che, non identici eppure
tutti ugualmente essenti, possono articolare la propria diversit
esclusivamente nel contesto partecipativo (la partecipazione fra idee
e idee)7. Non assunta n esplicitamente n implicitamente da Pla
tone, Fauto-partecipazione delle idee si presta inoltre a numerose
obiezioni filosofiche. Cosa significa infatti affermare che unidea
partecipa di s stessa? E soprattutto: come unidea potrebbe parte-
cipare dise stessa? Nel Parmenide (131 a4-e6; 131e7-132a4; 132cl2-
d4), lo abbiamo visto8, Platone tratteggia diversi modi possibili di
concepire il rapporto partecipativo fra le cose empiriche e le idee.

5 Di opinione contraria G. VLASTOS, Self-predication an d self-participation in


P latos later period, in PhR, LXXVI11, 1969, 74-78 (riedito in G. V l a s t o s , Platonic
studies cit., 335-341, cfr. soprattutto 339)- Questa ipotesi di Vlastos stata validamen-
te confutata da J. BRUNSCHWIG, Le problm e de la s elfparticipation chez Platon, in L a rt
de confins. Melanges offerts M. de Gandillac, dd. A. C a ZENAVE et J.-F. LYOTARD,
Paris, PUF 1985, 121-135, specialmente 128-133-
Cfr. in proposito 2 del cap. V.
7 Cfr. il 3 del cap. IV e YAppendice I, 5.
8 Cfr. il 1 del cap. VIII e il 1 del cap. IX.
238 F RA N C ESC O F R O N T E R O T T A

(1)
Se una o pi cose empiricbe partecipano di unidea, ci equivale a dire che lidea,
in tuteo o in parte, presente nelie cose empiriche che ne partecipano (t elSos-
kv m a T a ) evai ... tv ttoXXCv).

(2)
Se una o piu cose empiriche partecipano di un idea, bisogna intendere questa
idea come la realt nica e unitaria comune a tutte le cose empiriche che ne
partecipano {[a t l s - crios- S o m i S a < t o u p.ey0ous-> q a/rf] elvai m irvTa
...t) rau ra Trvra jxeyXa ecrrai).
(3)
Se una o piu cose empiriche partecipano di unidea, necessrio concepire que
sta idea come un modello a] quale le cose empiriche assomigliano come copie
rispetto a un orignale: la partecipazione non altro che somiglianza a un
rrapSei-y^a universale Ta [ikv d S r r a m a aTiep TTapaSeyii.aTa karvai kv
T fj ^ l a e L , r S XXa t o ito ls - oucvat Kal elv a i poiLpara Kai f) pe^is-
... o k fiXXq t l s - f| eL K a cr9 q v a L an-ois-).

Ho gi esposto ie difficolt solievate da Parmenide contro questi


argomenti9; proviamo invece a considerare ciascuno di essi nelTot-
tica dellauto'partecipazione di unidea.

(1)
Se unideapartecipadi s stessa, ci equivale a dire c h e lidea, in tutto o in parte,
presente in s stessa. Occorrer quindi dedurne che vi sono due idee identiche:
lidea che, in quanto partecipante di s, accoglie s stessa; e lidea che, in quanto
partecipata da s, presente in s stessa.

(2)
Se unidea partecipa di s stessa, ci equivale a dire che lidea la caratteristica
unitaria in ragione della quale essa s stessa. Lidea in quanto partecipante di s
sar infatti s stessa in virt di s stessa in quanto idea partecipata da s.

(3)
Se un idea partecipa di s stessa, ci equivale a dire che lidea assomiglia a s
stessa, come una copia al suo modello orignale. Avremo cosi nuovamente due
idee: lidea che, in quanto partecipante di s, assomiglia a s stessa (essendo pero,
come copia rispetto a un modello orignale, non idntica a s stessa); e lidea che,
in quanto partecipata da s, modello di s stessa (essendo pero, come modello
orignale rispetto a una copia, non idntica a s stessa).

9 Cfr. ancora il 1 del cap. V III e il 1 del cap. IX.


L A U T O -P R E D IC A Z IO N E D E L L E ID E E 239

Ma queste tre possibilita sono evidentemente assurde e Fauto-


partecipazione delle idee si rivela dunque impossibile. Corne spie-
gare allora Fauto-predicazione di un idea? La teoria delle idee,
stato pi volte ribadito, prevede che, se una cosa empirica a pos-
siede un determinato carattere Y , lo possieda in virt dlia parteci-
pazione a un idea X in s. Diverso tuttavia il caso delle idee:
un idea X in s che Tente universale e intellegibile la cui essen-
za consiste propriamente nella Y-it e al qule, per questa ragione,
attribuiamo la denominazione X in s - Y e manifesta la x-it\
non in virt di un ulteriore partecipazione a s stessa o ad altro, ma
solo in virt dlia propria natura, perch precisamente ci che
essenzialmente Y e possiede originariamente la x-it. in base a
questa considerazione che diviene possibile affermare che a, 4b o
V (empirici) sono Y in virt dlia partecipazione a X in s: le cose
empiriche traggono infatti le loro caratteristiche, in forma parziale
e transitoria, dalle idee - le idee che sono quelle caratteristiche e
che, quindi, le possiedono essenzialmente e originariamente. Biso-
gna concluderne che X in s, 'Y in s, Z in s, e analogamente le
altre idee, sono senzaltro, in virt dlia propria natura, Y , y, Y e
cosi via. Tutte le idee possono allora essere predicate di s stesse e,
consecuentemente, delle cose empiriche che ne partecipano.
D altro canto, opportuno tenere presente il paradosso implici
te in una simile prospettiva. Se tutte le idee sono auto-predicabili,
alla generale auto-predicazione non sfuggiranno neanche le idee
negative o che esprimono qualit morali: lidea delia molteplicit
sar cos molteplice e non una, Fidea della dissomiglianza dissimile
e non auto-identica, Fidea del movimento in moto e non eterna
mente permanente in s stessa e, eventualmente, lidea dellirrealt
irreale, con la pi radicale contraddizione dello statuto ontologico
degli enti supremi. Ancora, Fidea della giustizia dovr essere detta
giusta o Fidea del bene buona, ci che pare dawero privo di senso.
Questo argomento, considerato come una formidabile obiezione
contro la possibilita delFauto-predicazione delle; idee, ha indotto
non pochi interpreti, come subito vedremo, a fqrmulare una diver
sa ipotesi sulla questione.
240 F R A N C ESC O FR O N T E R O T T A

2 . 1sensi di 'esser Videntith e lapredicazione: la tesi di H.F. Cherniss

Harold F. Cherniss ha sottolineato come proposizioni del tipo


X in s V e a (empirico) Y, apparentemente simili, celino
in effetti una profonda differenza: mentre a (empirico) V nel
senso che possiede il carattere Y in virtu della partecipazione al-
Fidea X in s, invece Fidea X in se e il carattere Y , ma non lo
possiede10. Una distinzione, questa, che discende direttamente dalla
molteplicit dei significan che il verbo essere puo assumere nella
proposizione.
Quando si dice che CX in s Y , il verbo essere esprimerebbe
es elusivamente Fidentit delFidea con s stessa (X in s Y = CX in
se e idntico a V ), senza acun valore predicativo (o auto-predicati-
vo), dal momento che non implica Fattribuzione di un predicato a
un soggetto, ma sol tan to, appunto, Fespressione delFauto-identita
delFidea. Invece, se si afferma che a (empirico) Y , in questo caso
il verbo essere designerebbe la partecipazione di a alFidea X in se
(a Y = a partecipa di X in s) e, di conseguenza, il possesso, per
a\ del carattere Y . I diversi sensi di essere segnalerebbero percio
due diverse funzioni logiche e ontologiche del verbo: un espressio-
ne di identit, quando il soggetto della proposizione un idea - 'X
in s V, in cui Y non ha il ruolo di predicato, ma costituisce il
secondo termine della tautologia che preserva e garantisce Fimmu-
tabile auto-identit dellidea e una funzione predicativa, quando
il soggetto della proposizione una cosa emprica V V, in cui
Y il predicato che di V si predica in virtu della partecipazione a

1UCfr. H.F. C h ern iss , The relation o f the Timaeus to P latos later dialogues, in
AJPh, LXXVIII, 1957, 225-266 (riedito in H.F. CHERNISS, Selected Papers, ed. by
L. T a r n , Leiden, Brill 1977, 298-339, cfr. specialmente 329-335). Parlando del
possesso di una certa caratteristica o di un certo predicato da parte di un soggetto
(empirico o ideale), con unespressione forse impropria dal punto di vista strertamente
linguistico, mi riferisco naturalmente, qui e di seguito, a un'appartenenza di natura a
un tempo lgica e ontologica: secondo Platone, infatti, se il soggetto X y , nel senso
che il predicato y si predica del soggetto X sul piano logico, ci implica necessaria
mente che Tente X possieda carattere y1in virt della partecipazione alTente i'T sul
piano ontologico. La parziale impropriet linguistica dipende insomma dalla partico-
lare concezione platnica del nesso fra lgica e ontologia, che riduce lintera sfera del
linguaggio a una riproduzione sul piano discorsivo delloggettiva realt degli enti e
delle loro relazioni (cfr. in proposito il 3 del cap. II, n. 25).
i.A U T O P R E D IC A Z IO N E D E L L E ID EE 241

'X in s. I due significati del verbo essere sarebbe.ro inoltre rigoro


samente alternativi: nella proposizione X in s V, X in s
manifesta esciusivamente Xidentitk con x\ senza possedere la x-it
come propriopredicato\ nella proposizione a x, a pu esclusi-
vamente possedere il predicato Y per la partecipazione a X in s,
senza stabilire alcuna identit con la x-it.
Questa ipotesi, che a Cherniss pare confermata, fra Faltro, da un
passo del Parmenide (157e4-158a5), diviene ora piu chiara: affer-
mare che anche X in s possiede il carattere V , come le cose empi-
riche a , b e V , significherebbe, da un lato, ammettere che X in
s lo possiede, proprio come a, b e V , in virti della partecipazio-
ne ad altro (e questo fraintendimento sarebbe precisamente la cau
sa del paradosso del terzo uomo e del regresso infinito); e, daltro
canto, indurrebbe a collocare contraddittoriamente le cose e le idee
su un piano di simmetria e di equivalenza ontologiche. Dunque
the idea is that which its particular participants have as a
character11, e con ci nessuna forma di auto-predicazione dele
idee si rivela possibile.
Tuttavia, la questione non sembra cosi dawero risolta. In primo
luogo infatti, respinta Feventualit delFauto-partecipazione delle
idee, rimane valida la possibilita, suggerita in precedenza, che undea
'X in s sia Y e possiechi la x-it, non attraverso la partecipazione
ad altro, ma semplicemente in virtii di s stessa e della propria na
tura. Inoltre, ci non induce affatto a collocare le cose e le idee su
un piano d completa analogia o di equivalenza ontologiche, per
ch sostenendo che

X in se possiede i carattere V in virt della propria natura;

e che

a, V e V (empirici) possiedono il carattere V in virt di X in s,

si intende solo che tanto lidea X in s, quantb le cose a, b e V


possiedono 1idntico carattere x e costituiscoho pertanto, da que
sto punto di vista, Finsieme degli enti Y ; non si intende invece in

11 Ivi, 333.
242 FRA N C ESO T FRO N T E R O T FA

aicun modo stabilire lidentit o lanalogia o luguaglianza


ontologiche di X in se e di a, b e V , e questo per una ragione
evidente: laddove le cose empiriche sono Y e possiedono la x-ita
in forma parziale e transitoria e comunque in virt dlia partecipa-
zione allidea X in se, C X in se Y e possiede la x-it in forma
compiuta e immutabile ed esclusivamente in virt dlia propria
natura. E ci sufficiente a preservare la radicale differenza
ontologica delle idee separate dalle cose partecipanti.
Del resto, la stessa formulazione utilizzata da Cherniss per rias-
sumere la sua posizione - the idea is that which its particular
participants hve as a character - non esente da gravi ambiguit.
Che le cose empiriche possiedano determinati caratteri in virt dlia
partecipazione aile idee corrispondenti, di immediata compren-
sione: dire di a, b o c (empirici) che sono Y , significa che, per la
partecipazione a X in se , possiedono, in qualche forma imperfet-
ta, la Y it . Pi complessa per la questione rispetto alie idee. In
effetti, se Y , X in se deve necessariamente coincidere con la Y
it*, ci che indubbio, visto che proprio alfente la cui natura
consiste nella x-it attribuiamo la denominazione X in s. In tal
senso, la proposizione X in se Y esprime in primo luogo, come
vuole Cherniss, lauto-identit d 'X in se. Ma un passo ulteriore si
impone subito: se X in se coincide con la x-it e se la x-it5 , in
quanto natura di X in s, lessere Y , non vedo come si possa nega
re che X in s, in virt dlia propria natura (quindi in virt della
Y it ) , possieda il carattere Y che definisce la x-it: a cosa si ridur-
rebbe infatti Tessere Y di C X in s7, se non al possesso delle determi-
nazioni ontologiche della x-it? Come potrebbe un ente essere la
propria natura, senza avere le caratterisriche essenziali della pro
pria natura? Con un esempio concreto: lidea del bello certamen-
te idntica a s stessa e alia pro pria natura, ossia ai bello in s; ma
cosa il bello in s, se non lessere bello, che consiste nel possesso
della bellezza?12

12 Tornero su tale aspetto, con gli opportuni riferimenti testuali, nei 6-7
questo cap. X.
L A U T O -P R K D IC A Z IO N E D ELLE ID E E 243

Infine, occorre sottolineare che il passo del Parmenide (157e4-


158a5) citato da Cherniss a sostegno dlia propria interpretazione
non sembra costituire una prova convincente e decisiva13. Desen
vendo il rapporto fia il tutto e le sue parti, Platone ricorda che, se
qualcosa ha delle parti, ciascuna di esse partecipa delfuno (dvctyKri
p .e T x e i v t o v s ) e, in quanto ne partecipa, deve essere diversa
dauno, perch, se non lo fosse, sarebbe luno stesso (o yp av
pL6Texev- aT r v): ma impossibile per qualsiasi
cosa, salvo che per Tuno, essere Tuno. Ora, piuttosto evidente
che Platone distingue qui fra luno in s, che uno nel senso pii
proprio ed idntico a s stesso, e le parti di un tutto, che possiedo-
no, ciascuna, il carattere delfunita solo in virtii della partecipazio-
ne alluno in s. Questa distinzione - osserva correttamente Cherniss
dipende dal diverso valore che si attribuisce al verbo essere, a
seconda che si tratti di una semplice espressione di identit (Tuno
in s uno, cio: Tuno in s idntico alTunha) o di una funzione
predicativa (cla parte di un tutto una, cio: la parte di un tutto
possiede il predicato dellunit, in quanto partecipa delluno in se).
II passo del Parmenide non suggerisce affatto, pero, che i due sensi
di essere siano fia loro radicalmente alternativi: se vero che, della
parte di un tutto (che una), si pu solo dire che possiede il predica
to dellunit, perch non in nessun caso idntica alluno in s,
invece Tuno in s uno sia nel senso che idntico a s stesso sia nel
senso che possiede il predicato dellunit (infatti, Tuno in s idn
tico allunit ed una singla idea).
Per concludere su questo punto insomma, mi pare che le obie-
zioni di Cherniss contro lauto-predicazione delle idee, bench sot-
tili e ingegnose, manchino di un riscontro testuale chiaro e defini
tivo e siano in ultima analisi in contraddizione con la lgica interna
della teoria delle idee.

13 Cherniss {T he relation o f the Timaeus to Platos later dialogues cit., 331-333)


rimanda anche, a conferma della propria tesi, a R. X 597c, confutato pero assai
efficacemente da G. V l a s t o s , Self-predication an d self-participation in Platos later
period cit., 335-339, e da J. B r u n s c h w i g , L e problm e de la self-participation chez
Platon cit., 125-126.
244 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

3. Predicazione e designazione: la tesi di R.E. Alien

Pi rtico lata e complessa largomentazione svolta da Reginald


E. Allen in un articolo sulla dottrina platnica della partecipazione
e della predicazione pi volte citato fin qui14.
Lanalisi di Alien muove da una premessa indispensabile: il
Parmenide (130e4-131al) stabilisce, come criterio di riferimento
valido per lintera sfera logico-linguistica, che le cose traggono dalle
idee il loro nome (rots' eTTcovufiias' ... laxeiv) e la loro definizio-
ne, e che, pertanto, ogni discorso costruito sulia connessione di un
soggetto e di un predicato non fa che riprodurre, per omonimia, le
relazioni fra le idee o fra le cose e le idee. In questa ottica, la teoria
platnica della predicazione si riduce in effetti a una forma di desi
gnazione attraverso i nomi: in virt della partecipazione alfidea X
in s, la cosa empirica a acquisisce la designazione x15. Occorre
allora distinguere fra una designazione primaria (primary
designation), prerogativa esclusiva delle idee, che attribuisce a un
ente il nome che gli proprio essenzialmente, e una designazione
derivativa (derivative designation), caratteristica delle cose empiri-
che, che attribuisce a un ente il nome che gli si riconosce indiretta-
mente, per relazione di omonimia con le idee, ma che non gli
proprio essenzialmente. Per esempio, nella proposizione X in s
V, un caso di designazione primaria, V sarebbe solo il nome di
X in s o, anzi, un sinonimo di esso, e costituirebbe semplicemen-
te, in quanto sinonimo, un segno di identita. Nella proposizione

MCfr. R.E. A l l e n , Participation andpredication in Plato s middle dialogues cit. A


questo articolo, di fondamentale importanza, ho fatto riferimento soprattutto nel
3 del cap. V e nel 3 del cap. VIII. Come sbito vedremo, rispetto alia questione della
predicazione e dellauto-predicazione delle idee considerata qui, Allen riprende in
parte la tesi di Cherniss, precisandone pero alcuni aspetti e traendone le estreme
conseguenze.
15 Questa premessa indispensabile dellanalisi di Alien discende innanzitutto dalla
constatazione che non esiste nessun termine greco nel linguaggio di Platone che
corrisponda propriamente al termine predicazione1. Ecco perch, secondo Alien,
conviene parlare, piuttosto che di predicazione, di una teoria platnica della designa
zione3 secondo ptomj^La (le cose empiriche sono ptt'upa [= hanno lo stesso nome]
delie idee) o secondo nwu|ia (le cose empiriche traggono la loro TTwvu|ilou' [nome
o designazione1] dalle idee). La questione &stata brevemente introdotta e illustrata, con
gli opportuni riferimenti testuali, nel 2 del cap. V e nel 1 del cap. VII.
l 'a U T O -P R E D IC A Z IO N E D ELLE ID EE 245

a V, un caso di designazione derivativa, Y sarebbe invece il


nome che pu essere attribuito ad a in virt dlia partecipazione a
X in s, con la quale a acquista il carattere Y . La designazione
primaria (X in s Y ) non ha quindi, in ns sun caso, un valore
predicativo, perch esibisce un puro sinonimo del soggetto; la desi
gnazione derivativa (a x) ha sempre, in ogni caso, un valore
relazionale, perch esibisce, attraverso il nome, un carattere che il
soggetto trae dalla relazione (di partecipazione) con un idea.
Le conseguenze di questa distinzione sono immediate ed eviden-
ti: il nome x non designa unvocamente 1dea X in s e la cosa
empirica a\ perch, a seconda che sia attribuito a X in s o ad a\
manifesta un diverso significato e adempie a una diversa funzione.
Se ci vero, continua Allen, il linguaggio predicativo e auto-pre-
dicativo di Platone si rivela comprensibile e innocuo: ogni caso di
apparente auto-predicazione (X in s x ; Y in s y ecc.) con
siste in realt in una tautologia fra termini snonimi (x sinonimo
di X in s; y sinonimo di Y in s ecc.) che si limita ad affermare
lauto-identit del soggetto (X in s idntico al proprio sinoni
mo x e quindi a s stesso; Y in s idntico al proprio sinonimo
y e quindi a s stesso ecc.); ogni caso di quella che ho definito
predicazione ordinaria (a, b\ Y empirici sono x) deve essere
piuttosto interpretato come una proposizione relazionale, nella quale
una cosa empirica a trae il proprio nome e la propria definizione
dalla relazione con lidea di cui partecipa.
Questa analisi dlia struttura logico-nguistica dlia proposizio
ne dipende da una precisa ricostruzione dlia prospettiva ontologica
elaborata da Platone e, in particolare, dlia dottrina dlia parteci
pazione delle cose empiriche alie idee. Come ho gi avuto occasio-
ne di spiegare16, Allen ritiene che, se i generi intellegibili radical
mente separati dalla sfera sensibile si rivelano in qualche modo par-
tedpati dalle cose empiriche, bisogna allora concepire la parteci
pazione come una sorta di debole e asimmetrica somiglianza: le
cose assomigliano alie idee come copie (piJioLwpaTa) a un modello
(TapeiYiia) o come ombre confuse rispetto alla realt di cui sono
le ombre, ma le idee non assomigliano in alcun modo alie cose

16 Cfr. s o p r a ttu tto il 3 del cap . VIII.


246 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

empiriche partecipanti17. Ridotta al rango di una semplice metafo


ra teorica, la partecipazione non potra presupporre Ieffettiva e con-
creta trasmissione di certe caratteristiche dalle idee alle cose parte-
cipanti e le cose e le idee non condivideranno percio nessun carat-
tere ne nessuna determinazione comune: di conseguenza, sul piano
logico, le idee non saranno neanche predicate delle cose parteci-
panti. Rigorosamente separate e non partecipate, non predicabili
di se ne delle cose, le idee sono ed esibiscono il nome che appartiene
loro di diritto; le cose, invece, ultimo riflesso del reaie, appctiono
soltanto ed esibiscono il nome che deriva loro dallindiretta somi-
glianza alle idee corrispondenti. E se cosi non fosse, conclude Allen,
se la partecipazione e la predicazione venissero ammesse, le idee si
riveierebbero contemporaneamente separate dalle cose e in contat-
to con esse, dan do luogo alia piu acuta contraddizione18.
Ora, non e il caso di ripercorrere nuovamente nel dettaglio lar-
gomentazione svolta da Allen con le diverse obiezioni che le ho
rivolto in precedenza19. M i limito pero a ricordare che, anche con-
siderando la partecipazione come una relazione di debole e pallida

17 Si veda ancora il 3 del cap. VIII. Se la somiglianza delle cose alle idee fo
concepita come una relazione simmetrica (le cose assomigliano alle idee tan to quanto
le idee assomigliano alle cose), si cadrebbe infatti nuovamente nel paradosso del terzo
uomo e nel regresso infinito. Cfr. per questo i 1 e 3 del cap. IX e Prm. 132cl2-
133a6.
iS Per una simile conclusione, cfr. i 5-6 del cap. XI. Con gli argomenti di Allen
concordano a diverso titolo J.M .E. MoRAVCSIK, The third man argument an d Platos
theory o f form s cit. (che insiste sul diverso valore del predicato x\ a seconda che sia
predicato dellidea X in se o delle cose empiriche V , b e V ); Th. B e s t o r , Common
properties andeponymy in Plato, in PhilosQ, XXVIII, 1978, 189-207, e Id,, Platos
semantic a n d Plato s Parmenides, in Phronesis, XXV, 1980, 38-75 (che concorda
con Allen soprattutto rispetto alia distinzione fra designazione 'primaria e designazio-
ne 'derivativa); R. PATTERSON, Image an d reality in P latos metaphysics, Indianapolis,
Hackett 1985 (che approfondisce la questione dei diversi livelli del reale: se cose e idee
sono dawero separate e se le cose sono solo simulacri inconsistenti delle idee, allora
nessun contatto e possibile fra la sfera sensibile e la sfera intellegibile, ne sul piano
ontologico, con la partecipazione, ne sul piano logico, con la predicazione). A meta
strada fra Cherniss e Allen, ma daccordo con entrambi nel respingere la possibilita
deHauto-predicazione delle idee, sembracollocarsi A.L. PECK, Plato versus Parmenides
cit., 171-174. Una confutazione dettaghata e puntigliosa della posizione di Allen h
invece quella di J. MALCOLM, Semantics an d self-predication in Plato, in Phronesis,
XXVI, 1981, 286-294; I d ., Plato on the se lf predication o f forms. Early a n d middle
dialogues, Oxford, Clarendon Press 1991, soprattutto 64-69 e 92-94.
15 Cfr. ancora i 3 e 5 del cap. VTII.
i.'a u t o - p r e d i c a z i o n e d e u .e id e e 247

somigiianza, tuttavia necessrio intendere questa relazione in for


ma reciproca e perfettamente simmetrica: se le cose empiriche as-
somigliano alle idee per certi aspetti, le idee devono a loro volca
assomigliare alle cose per gli stessi aspetti. Ne segue che le cose e le
idee condividono senza dubbio alcuni caratteri o alcune determi-
nazioni comuni - proprio quelli rispetto ai quali, dal punto di vista
ontoiogico, esse manifestano la reciproca somigiianza che rappre-
sentano, dal punto di vista logico, i loro predicad comuni.
Posto in questi termini 1 rapporto fra le cose e le idee siamo
sbito ricollocati, sul piano logico, in un contesto predicativo (e
auto-predicativo): nelle proposizioni X in s V e a x, x
, per un verso, il carattere che di a si predica in virtu della somi
giianza a X in s; per Taltro, oltre a essere il sinonimo che esprime
auto-identit di X in s, x anche l carattere che di X in se si
predica (o meglio: si auto-predica) in virt della sua propria natu
ra. In altre parole, ammesso che la partecipazione implica una rela
zione oggettiva e concreta per la quale le cose traggono dalle idee
determinate caratteristiche, occorrer riconoscere che le idee e le
cose possiedono entrambe, anche se a un diverso livello, quelle ca
ratteristiche che sono del resto i loro predicati comuni. E tali predi
cad comuni si predicheranno, delle cose empiriche, per predicazio-
ne 'ordinaria, ma, delle idee, per auto-predicazione.
Non sembra insomma legittimo sfuggire alia difficolt dellauto-
predicazione delle idee, come Alien vorrebbe, riducendo la dottri-
na platnica della predicazione a un semplice processo di designa-
zione attraverso nomi ed essenzialmente perch questo processo
incapace di rendere conto sul piano logico del complesso meccani-
smo! ontologico della partecipazione fra le cose empiriche e le idee20.

20 In sostanza, Alien cerca di dimostrare che la doctrina platnica del linguaggio


non prevede alcuna forma di predicazione (e dunque di auto-predicazione) delle idee,
ma esclusivamente un meccanismo di designazione delle idee e delle cose empiriche
attraverso i nomi: conseguentemente, non esistendo predica.ti in senso proprio, ma
sokanto nomi, lapparente auto-predicazione di unidea (X in s e Y ) rimarrebbe
in reak unespressione di sinonimia (m quanto V non che il sinonimo di X in s).
E se, secondo Platone, la sfera logico-linguistica dipende interamente dallontologia,
tale meccanismo di designazione discender da una certa concezione della parteci
pazione delle cose empiriche alle idee che, riducendo la relazione fra i due livelli del
reale in una forma puramente indiretta e metafrica, eselude che le cose e le idee
condividano veramente alcune determinazioni comuni. Tuttavia, se la partecipazione
248 F R A N C ESC O FR O N T K R O T T A

4. Lauto-predicazione e la paulinepredication: la tesi di G. Vlastos

Gregory Vlas tos, primo a identificare fra le premesse dellaporia


del terzo uomo Tassunto di auto-predicazione delle idee21, ha in
seguito modificato profondamente la sua posizione.
In un importante articolo sulla questione dellunit delle virt
nel Protagora21, egli ha osservato che, nel corso del lungo brano
(329c2-334c6) in cui So crate e Protagora dibattono della natura
della virt, compaiono alcuni casi di auto-predicazione assai
problematici come, per esempio, la giustizia giusta (c Prt. 330c7-
8: euTiv ... toiotov q LKaLoavri otov SUcaov eivai) o la
santit santa {ibid. 330d8-el: avTr ye q criTqs' criov). Nulla
di cui stupirsi il ragionamento di Socrate (330cl-e2): cosa altro
potrebbe essere detto giusto o santo, se non la giustizia in s o la
santit in s? E tuttavia, data per scontata ed evidente, Tauto-predi-
cazione di idee come la giustizia o la santit conduce inevitabil-
mente a esiti paradossali, poich non si capisce che significato ab-
bia lattribuzione di qualit morali a un ente metafsico collocato al
di l della realt sensibile. Infatti:

se il bello in s bello, il bello in s possiede labeilezza, che lo definisce e lo descrive;


se Tuno in s uno, 1uno in s possiede Tunit, che lo definisce e lo descrive.

deve essere intesa al contrario come una relazione concreta e oggettiva in virt dela
quale le cose e le idee condividono effettivamente alcune determinazion comuni,
allora, sul piano logico, queste determinazion comuni rappresenteranno non dei
semplici nomi, ma comuni predicad delle idee e delle cose, riproponendo cos un
contesto predicativo (e auto-predi cativo). E interessante segnalare che Alen tornato
di recente a uninterpretazione pi moderata, che, pur respingendo la possibilita
dellauto-predi cazione delle idee, ammette tuttavia Tesis tenza di una teora platnica
dellapredicazione e non soltanto di un primitivo meccanismo logco di designazione
attraverso i nomi. In tal senso, in Plato's Parmenides cit., 142-144, Allen accetta la
conclusione di Cherniss (per la quale cfr. 1 2 di questo cap. X): le idee sono in s le
caratteristiche che le cose empiriche partecipantipossiedono accidentalmente e tempo
rneamente.
21 Cfr. il 3 del cap. IX.
22 Cfr. G . VLASTOS, The unity o f the virtues in the Protagoras cit.; Id. , An ambiguity
in the Sophist cit.; I d ., A note on Pauline predication in Plato, in Phronesis, XIX,
1974, 95-101 (riedito in G. V l a s t o s , Platonic studies cit., 404-409). Per ii significato
e lo scopo delTargomento socrtico nel Protagora, cfr. il 2.5 del cap. I.
l 'a u t o -pred ic a z io n e d e l l e id e e 249

Ma analogamente:

se il giusto in s c giusto, il giusto in s possiedc la giustizia, che lo definisce e lo


descrive.

Se ne deve concludere che lidea del bello effettivamente bella e


che lidea delluno effettivamente una, ci che corrisponde a veri-
ta. Diverso pero il caso delidea della giustizia: la giustizia un
valore, una qualka morale che stabilisce un criterio di valutazione
per il pensiero, lazione, i comportamenti. Ma Tidea della giustizia,
ente universale, intellegibile e metafsico, non si comporta, non
agisce, non pensa n sembra poter costituire loggetto di un giudi-
zio morale, cos come, per esempio, il numero tre, che non n
giusto n ingiusto, perch, semplicemente, insensato giudicarlo
dal punto di vista morale. Lauto-predicazione delle idee che espri-
mono quaiit morali si rivea dunque contraddittoria, come pure
del resto la predicazione ordinaria fra idee di questo tipo (la giu
stizia santa o la santit giusta) che pone Tidentico problema.
Vlastos ha quindi suggerito una diversa possibilit interpretati
va23: i casi di predicazione in cui il soggetto non una cosa empiri-
ca, ma unidea per esempio X in s y non possono rientra-
re in quella che ho definito predicazione ordinaria, per la quale
Tidea X in s, come individuo, appartiene alia classe Y. Si tratte-
rebbe invece di un tipo di predicazione che stabilisce Tinclusione
estensiva24 di una classe di individui in unaltra. La proposizione
X in s y dovrebbe perc essere tradotta come segue: tutti
gli individui appartenenti alia classe X appar tengo no anche alia
classe Y . Ispirandosi a un passo di San Paolo {Lettera ai Corinzi I
13, 4-8), Vlastos ha attribuito a questo genere di predicazione il
nome dipaulinepredication. San Paolo afferma infatti: ...la carita
magnanima, la carita pia, servizievole, non invidiosa..., inten-

23 Cfr. G. VLASTOS, The unity o f the virtues in the Protagoras cit., soprattutto
252-265.
24 Con inclusione estensiva di una classe X in una classe Y, intendo 1inclusione
che comprende ostensivamente tutti gli elementi della classe X nella classe Y ,
secondo questo principio: necessariamente, per ogni 'a, se a un elemento della
classe X\ allora a un elemento della classe Y\
250 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

dendo dire che coloro i quali sono caritatevoli sono allo stesso tem
po magnanimi, pii, servizievoli, non invidiosi e che, dunque, tutti
gli individui appartenenti alla classe carit appartengono anche
aile classi magnanimita , piet e cosl via. La palese inconsistenza
di affermazionx quali la giustizia santa o la carit buona sareb-
be spiegata con Fammissione dlia pauline prdication: affermare
che la giustizia santa equivarrebbe a dire infatti che chi giusto
santo\ ossia che tutti i singoli individui appartenenti alla classe
giustizia appartengono anche alla classe santit, ma non certa-
mente che la classe 'giustizia (Fidea dlia giustizia) , essa stessa,
santa. E con cio si escluderebbe a un tempo qualunque forma di
auto-predicazione delle idee, perch la proposizione la giustizia
giusta dovrebbe essere interpretata come una semplice tautologia:
chi giusto giusto, cio tutti i singoli individui appartenenti alla
classe giustizia sono giusti in quanto appartengono alla classe giu
stizia, sciogliendo cosi ogni contraddizione.
D altro canto per, lingegnosa ipotesi di Vlastos incontra
( uninsormontabile difficolt. La pauline prdication induce infatti a
concepire lidea C X in s, quando soggetto dlia proposizione X
in s y , come una classe comprensiva di una pluralit di ele-
menti, precisamente quelli che, partecipando di X in s\ sono x e
fanno parte dlia classe X . Ora, in primo luogo, secondo la teoria
platonica delle idee, altro sono le idee universali e intellegibili, tra-
scendenti e separate dalla sfera del divenire, altro sono le cose em-
piriche che partecipano delle idee e di cui le idee sono predicate:
lidea X in s non corrisponde affatto alla somma o alFinsieme
delle cose empiriche x che ne partecipano, perch i due livelli dlia
realt non possono essere confusi e sovrapposti a nessuna condizio-
ne. Inoltre, se una proposizione del tipo X in s y, secondo la
pauline prdication, significa che tutti gli elementi appartenenti alla
classe X appartengono alla classe Y , cio implica che, per giudica-
re dlia verit o dlia falsit di questa proposizione, dovremmo pre-
minarmente indagare se tutti gli elementi dlia classe X appar-
tengano o no alla classe Y . Per esprimersi sulle relazioni che le idee
intrattengono reciprocamente, occorrerebbe prima conoscere le re-
iazioni fra le cose sensibili, perch le relazioni fra le idee dipende-
rebbero dalle relazioni fra le cose che di quelle idee partecipano.
l 'a u t o - p r k d ic a z j o n e d e l l e id e e 251

Ma questo assurdo da un duplice punto di vista: sul piano


ontologico, infatti, sono le cose empiriche che, partecipando delle
idee e riproducendone le relazioni reciproche, acquistano dalle idee
le caratteristiche che vengono loro normalmente attribuite, e non
viceversa25; analogamente, sul piano epistemolgico e logico-lin-
guistico, dalla conoscenza e dalla definizione delle idee che di-
scende la possibilit di conoscere e definire la realta sensibile vinco-
lata al divenire, alia generazione e alia corruzione, mentre di certo
non vero il contrario26.
Se la mia analisi e le conclusioni che ne ho tratto sono corrette,
neanche lapaulinepredication suggerita da Vlastos dissolve in modo
soddisfacente le ambiguita dellauto-predicazione delie idee27,

5. Lauto-predicazione e la natura delle idee: la tesi di L. Brisson

E opportuno considerare infine lipotesi formulara da Luc Brisson,


che ha proposto uninterpretazione del paradosso dellauto-predi-
cazione delle idee alia luce di alcune indicazioni di Aristotele23.
In un passo del Sofista (255e3-6), Platone afferma che il genere
del diverso si estende a tutti gli altri generi (Si TvTcov ye arrqv
[scil: tt)V Oorrpou ^nxjiv] arrwv [sei.:t (v yeycov] Ivoa 8ie\qAu0wav)
che si rivelano fra loro diversi, non in virtu di s stessi, ma per la
partecipazione al genere del diverso (8i t [aeTx^y rfjs- ISas
Tris* Ocrrpou); il diverso, invece, diverso soltanto in virtu della
propria natura (Si. tt|V arro (frcriv). Ma cosa implica questa

25 Cfr. il 2 del cap. V ; il 1 del cap. V II e il 5 del cap. VIII.


26 Cfr. soprattutto, in proposito, il 2 del cap. III; il 2 del cap. V; e il 1 del
cap. VII.
27Lpotesi di Vlastos dellapaulinepredication hasuscitato (e continua a suscitare)
un ampio dibattito fra gl studiosi: si vedano soltanto D .T. DEVEREUX, Pauline
predication in Pinto, in Apeiron, XI, 1977, 1-4; J. M aLCO LM , Vlastos on Pauline
predication, in Phronesis, XXX, 1985,79-91; L. B r i s s o n , Participation etpredication
chez Platn cit., 558-563; e ancora J. M aLC O LM , Plato on the self-predication offorms.
Early an d middle dialogues cit., specialmente 24-30; 88-91.
28 Cfr. L. B r is s o n , Participation etprdication chez Platn cit., 566-569. Come
iautoredichiaraespressamente (557, n. 1), questo artjcolo dipende in parte dalla lucida
e acuta analisi di J. BRUNSCHWIG, L eproblem e de la self-participation chez Platn cit.
252 F R A N C ESC O FR O N T ER O T T A

distinzione? Nei Topici (E, 137b 3-13 sgg.), Ai'istotele definisce di


verse tipologie delie caratteristiche e delle qualit che possibile
attribuire alie idee. A ogni idea, infatti, in quanto per sua natura
generica un idea come le altre, competo no certe caratteristiche che
essa condivide con tutte le altre idee; ma a ogni idea compete pure
in forma esclusiva, in quanto per sua natura specifica unidea ben
determinata, nica e diversa da tutte le altre, la caratteristica di cui
lidea. Unidea X in s, CY in s o Z in s sardunque in posses
so, in quanto idea, di alcuni predicad comuni a tutte le idee, quali
Funit, lidentit con s, la diversit dalle altre idee, limmutabilit
e cosi via, ma sar anche in possesso delia x-it, delia y-it o delia
z-it, che le appartengono in quanto idea X in se, Y in s o Z in
s5 e che la individuano differenziandola dalle altre idee,
Applicando questo schma allidea del diverso, bisogner con-
cluderne che il diverso, al pari delle altre idee, diverso, non per
auto-predicazione (e, sul piano ontologico, per auto-partecipazio-
ne), ma perch, in quanto idea del diverso, partecipa dellidea del
diverso in quanto idea del diverso29. Al diverso come idea ap part ie
ne quindi, secondo Brisson, una sorta di pre-par tecipazio ne alla
diversit. Infatti, tutte le caratteristiche che definiscono la comune
identit ontologica delle idee si rivelano proprie di ogni idea non
per predicazione ordinaria, per pauline prdication o per auto-
predicazione, ma in ragione dello statuto ontologico delle realt
ideali. Inoltre, ogni idea la caratteristica specifica di cui Tidea,
ancora una volta, non per auto-predicazione, ma in virti della sua
specifica identit ontologica30. Propongo alcuni esempi.

0)
L idea dellidentico certamente una, idntica a s stessa, diversa dalle altre idee,
immutabile, eterna e cos via. Queste caratteristiche, ivi compresa lidentit con
s, non appartengono tuttavia allidea deiridentico per predicazione ordinaria,
per p a u lin e prdication o, nel caso delFidentit con s, per auto-predicazione, ma

29 Ivi, 568: La Forme de lautre, en tant que Form e de lautre, participe de la


Forme de lautre, en tant que Forme de Vautre. Cfr. anche, in proposito, J.
B r u n s c h w i g , Le problme de la self-participation chez Platon cit., 135, n. 39.
30 In questa forma, 1nterpretazone di Brisson riconduce al suo fondamento
ontologico la tesi di Cherniss relativa alia distinzione logico-semantica dei sensi del
verbo esscre (per la quale cfr. il 2 di questo cap. X).
l 'a U T O P R E D IC A Z IO N E D E L L E ID EE 253

esclusivamente in virt della sua definizione generica di idea. Perianto, Iidea


deiridendco partecipa (o pre-partecipa) dellunit, della diversit, della quiete,
delTeternit e, inevitabilmente, di s stessa, anche se indirettamente e accidental
mente, per analogia con tutte le altre idee.
(2)
Diversamente, lidea del grande, che anchessa alio stesso titolo una, auto-
identica, diversa dalle altre idee, immutabile, eterna e cos via, inoltre, in virt
della sua definizione spedfica di idea del g ra n d ee non per auto-predicazione -
grande.

E in termini formali:

( 1)
se lidea X in s V , y e Y (dove Y , y e Y sono caratteristiche comuni a tutte
le idee), allora X in s* Y , y e Y in virt della propria natura generica di idea
e non per auto-predicazione, per predicazione ordinaria o perpaulinepredication-,
( 2)
se lidea X in s Y , y e Y (dove solo y e Y sono questa volta caratteristiche
comuni a tutte le idee), allora X in s (= idntica a) la caratteristica Y di cui
lidea in virt della propria natura speciftca di idea X in s e non per auto-
predicazione; ma X in s anche y e Y in virt della propria natura generica di
idea e non per predicazione ordinaria o per p au lin e predication.

In questo modo, la conclusione di Brisson, nei dialoghi di Pla-


tone si darebbero casi di partecipazione delle cose sensibili alie idee
e delle idee fra loro, ma non di auto-partecipazione delle idee; casi
di predicazione delle idee rispetto alie cose sensibili o delle idee
rispetto ad altre idee, e mai di auto-predicazione delle idee31.
Due obiezioni possono essere pero avanzate, a mi parere, con
tro questa nterpretazione. Per quanto riguarda lesempio (1), an
che se rambigua e oscura pre-partecipazione dellidentico alliden-
tita (con s) non coincide con unauto-partecipazione in senso pro-
pro, non vedo comunque come si resca a sfuggire alie gravi con-

31 Cfr. L. BRJSSON, Participation et prdication chez Platon cit., 569: Bref, dans
le corpus platonicien, ninterviendraient que deux types de paiticipation: participation
des choses sensibles aux Formes intellegibles et participation des Formes intellegibles
entre elles. Et deux types de prdication suffiraient en rendre compte: la prdication
interprte comme appartenance une classe et la prdication interprte comme
inclusion comprhensive dune classe dans une autre.
254 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

traddizioni rilevate sopra32: se infatti 1idea deilidentico, in quanto


idea generica, partecipa (o pre-par tecipa) dellidea dell idntico, si
assister inevitabilmente a uno sdoppiamento progressivo delle
realt ideali. Da un lato, Pidntico come partecipante (o pre-par-
tecipante), dalPaltro, Pidentico come partecipato (o pre-parteci-
pato), con il necessrio riconoscimento delPesistenza di due idee
differenti (lidentico in quanto partecipante e Pidentico in quanto
partecipato) in una33.
Per quanto riguarda invece Pesempio (2), pur ammettendo che
tutte le idee pre-partecipino di una serie di caratteristiche che fan-
no parte della definizione del comune statuto ontologico delle real
t ideali Punit, Fidentit con s, la diversit dallaltro da s,
Pimmutabiit, Peternit e cosi via - come spiegare il caso delle
caratteristiciie che non esprimono la comune identit ontologca
delle idee, ma Pidentit specifica di ogrii singola idea? In altre paro
le, dawero possibile (e sufficiente) sostenere che il giusto in s e il
bello in s siano, rispettivamente, giusto e bello soltanto rispetto
alia propria specifica identit? E quale significato pu avere una
simile affermazione?34 Ecco ia questione da affrontare adesso.

32 Cfr. il 1 di questo cap. X.


33 La distinzione (aristotlica) fra le caratteristiche proprie idnticamente di tutte
le idee in quanto idee e le caratteristiche proprie di ogni idea in quanto singla idea
specifica rimane a mio awiso, nella formulazione di Brisson, piuttosto ambigua:
infatti, anche ammettendo che la definizione del comune statuto ontologico delle idee
preveda una sorta di pre-partecipazione alle idee delle caratteristiche che, appunto,
definiscono tale statuto ontologico, perch non ritenere tuttavia che queste idee
possiedano la caratteristica di cui sono lidea non per pre-partecipazione a s stesse
o per unindiretta e accidntale auto-partecipazione, ma invece, come Piatone dice
esplicitamente (cfr. Sph. 255e3-6), in virtu della propria natura? II genere del diverso
non diverso in quanto genere che pre-partecipa della diversk o che partecipa di s
stesso: mi sembra pi semplice credere che esso sia diverso in quanto genere del diverso,
cioe in virtu deila propria natura, e, sul piano logico, per auto-predicazione.
34 Come ho mostrato nel 2 di questo cap. X, Cherniss attribuisce al verbo essere
nella proposizioneX in se e V un significato di identitae non un valore predicativo
(o auto-predicativo). Seguendo Cherniss, Brisson ritiene che la proposizione il giusto
in s giusto implichi la semplice affermazione dell'auto-identita dellidea della
giustizia, ma non la reale attribuzione della caratteristica giustizia e del predicato
giusto al giusto in s. Vedremo pero nei 6-7 di questo cap. X che la questione non
puo dirsi cosi effettivamente risolta.
I.' a L T O -P R E D IC A Z IO N E D E L L E ID EE 255

6 . L k ilto-predicazw ne de lie idee: alcuni riscontri testuali

Riassumo sinteticamente i risultati delTanalisi. Ho mostrato fin


qui corne gii argomenti proposti non costituiscano unefficace con-
futazione dlia tesi deUauto-predicazione delle idee, perch o si
scontrano con Tevidenza testuale o contraddicono alcuni degli as-
sunti fondamentali delia teoria delle idee. Ma vi sono naturalmen
te altri elementi che bisogna considerare per giungere a una valuta-
zione complessiva delia questione. Innanzitutto i dialoghi, che 06-
frono un ampia e indiscutibile testimonianza.
Nel Protagora (330cl-e2), Socrate ribadisce pii volte, e con for-
za, che se esiste qualcosa che si chiama giustizia o qualcosa che si
chiama santit, la giustizia e la santit sono necessariamente giusta
e santa. Non solo: nessun altra cosa potrebbe essere considerata a
buon diritto giusta o santa, se non lo fossero la giustizia in s e la
santit in s (crxoXfj [ i c v t c v t l XXo oaiov eiq, el pq arnr| 7e f]
aiTr)? criov orai). Ed ecco il ragionamento che conduce a una
simile conclusione: una volta ammesso il principio secondo cui tutte
le cose empiriche possiedono certe caratteristiche (per esempio la
giustizia o la santit) in virt delia partecipazione alie idee corri-
spondenti (in questo caso la giustizia in s o la santit in s), occor-
re riconoscere che quelle idee per prime possiedono le caratteristi
che che trasmettono alle cose partecipanti.
Nel Fedone (102d6-7), Socrate spiega come nessunidea possa
trovarsi in alcun modo in contatto con lidea a s opposta. Lesem-
pio citato quello dellidea del grande, che mai vuole essere gran
de e piccola insieme (arr t iiyeos oSrroT Xeiv [ia
pya K a i a p tK p v eivai): allawicinarsi dellidea del piccolo, in-
fatti, essa fugge via o perisce (q fyevyeiv ... f) GnroXtoXvai)35. Il
significato immediato ed evidente di queste parole che unidea

35 Non sar naturalmente lidea del grande a fuggir via o a perire allawicinarsi
dellidea del piccolo, giacch sarebbe assurdo credere che unidea eterna, immobile e
sempre auto-idntica, riesca a fuggir via o a perire: si tratter invece dlia grandezza
presente nelle cose empiriche in virt dlia partecipazione alla grandezza in s.
Largomento di Socrate (per il quale si veda il 3 del cap. IV) mira a dimostrare in
ultima analisi che le idee fra loro contrarie non possono a nessuna condizione
partecipare luna dellaltra (cfr. Phd. 104b7-S; r vavTa aXXr|/\a oii Sex[iva).
256 FR A N C ESC O F R O N T E R O T T A

possiede realmente la caratteristica di cui lidea, ma non la carat-


teristica contraria: ogni idea perci auto-predicabile36.
Nel Sim posio (210e4-21 l b5) , al culmine del processo di
iniziazione ai misteri di Eros, la sacerdotessa Diotima svela a Socrate
la natura della bellezza in s, meravigliosa per sua natura
(Oaujiaorv cJjktlv ) , che non aumenta n diminuisce ( o r r e

avav\ievov ovre (pQvov), priva di fattezze materiali (o8 av


c|>avTacF0r|creTa.L . ..t koAv olov TrpoaoQTTov t i o8e oS
XXo ouSev w <j(\ia jj.eTxei), >n s, per s e con s, eternamente
univoca (auT Ka0 airo p e0 clvtov iJ-oyoeiSes1). Che Platone
intenda dire qui che Yidea del bello effettivamente bella, fuor di
dubbio: non a caso, viene sottolineato come, diversamente dalle
cose terrene, la bellezza in s non possa apparire ora bella ora brutta
(oS t o t jl v K ctX v , t o t c 8 o), o bella per alcuni aspetti e
brutta per altri (o8 irps1 \xev t kclXv, up? Se t alaxpv),
o ancora bella o brutta in base al punto di vista di chi la contempla
(n a l pv ov KaXv, tlctl 8e aLcrxpi'). Questa piuttosto la
mutevole e opinabile condizione delle cose empiriche che parteci-
pano deiridea del bello, senza peraltro modifcame in alcun modo
lessenza (rrdvTa KaX icevou [erxo^ ra ... jar8v avo ...
naxciv |iT|8v).
Nel Parmenide (133d6-134a2), infine, per spiegare Tassoluta dif-
ferenza fra la sfera delle idee e le cose sensibili, Parmenide ricorre a
un esempio: mentre uno schiavo, individuo empirico, schiavo di
un padrone empirico, ma non certo delTidea di padrone (oik arrou
SecmTOu Srprou), al contrario, lidea di schiavo esplica s stessa ed
ci che in relazione allidea di padrone (orlv o cm ... corr]
SouXela aiTfjs SeairoTeas'), ma non certo in relazione al padrone
empirico. E piuttosto chiaro, in questo contesto, che 5idea di schiavo

36 Cfr. anche P h d 74a9-c6, in cui Socrate contrappone luguale in s ( cu it


cjoi'), che e uguale in senso pieno, alie cose empiriche uguali, che sono ora uguali ora
disuguali. U significaco di questa distinzione evidente: tanto le cose empiriche uguali
quanto luguale in s possiedono, seppure a un diverso grado, iuguaglianza. Se ne deve
quindi dedurre che lidea delluguale auto-predicabile. Ricordo inotre il caso di
Hp.M a. 292e6-7, dove si afferma che il bello in s, lidea del bello, precisamente ci
che deve esseie. sempre bello ( e l yp ttou t ye icaXi/ KaXw), nelpassato, nel presente
e nel futuro, o, piuttosto, indipendentemente da qualunque distinzione temporale.
l ' a T O -P R E D JC A Z IO N E D E L L E ID E E 257

manifesta le proprie caratteristiche rispetto aidea di padrone e


che, conseguentemente, Tidea di schiavo , se si pu dire cosi, schia-
va dellidea di padrone come lidea di padrone padrona dellidea
di schiavo. Anche il passo del Parmenide sembra quindi presuppor-
re lauto-predicazione delle idee.
Disponiamo inoltre di una precisa e inequivocabile testimonian-
za di Aristotele che, nel De ideis (84, 27-85, 3), indica la radice del
paradosso del terzo uomo nella concezione stessa della natura delle
idee, da un lato separate dalle cose e sussistenti di per s, dallaltro
auto-predicabili e predicabili delle cose. Aristotele assai esplicito:
<I1 term ino uomo si predica sia degli <uomini> particolari sia
dellidea <di uomo> (Korrri'yopelTai S Kara re tgjv kol0 eKacrra
K a l K c rr Tf\g I8a? dvGpca'rros')37.
Le informazioni in nostro possesso confermano insomma la pro-
spettiva che si andata delineando nel corso di questo capitolo. Le
idee sono auto-predicabili, senza eccezione: X in s V , Y in s?
y, Z in s z e cos via. E tuttavia, al di la dellevidenza testuale,
come bisogna interpretare tale conclusione da un punto di vista
teorico e filosofico? Passiamo in rassegna alcune delle ipotesi pro-
spettate dagli studiosi.

6.1 La tesi di A. Nehamas


Lanalisi di Alexander Nehamas prende le mosse dai casi di auto-
predicazione present nei dialoghi platonici giovanili, strettamente
connessi alia caratteristica ricerca definitoria socratica (cosa [ti
aTi] X?) prima ancora che alia postulazione e alia concreta artico-
lazione della teoria delle idee38. Come pi volte ricordato, infatti,
per non citare che alcuni esempi, nelYIppia maggiore Ippia concor
da con Socrate che il bello in s - il genere della bellezza come tale
deve essere necessariamente bello, mentre ne.IVEutifrone la forma

37 Per la testimonianza di Aristotele sullargomemo del terzo uomo e sullauto-


predicazione delle idee si veda il 2 del cap. IX.
3a Cfr. A. N e h a m a s , Predication andform s o f opposites in the Phaedo, in RMeta,
XXVI, 1973, 461 -491; m l soprattutto Id. , S e lf predication an d Platos theory o f forms,
in APhQ, XVI, 1979, 93-103, da cui sono tratti i riferimenti testuali e gli argomenti
esposti in questo paragrafo. Per quanto riguarda i diaioghi giovanili di Platone e il
mtodo socrtico della ricerca delle definizioni, si vedano in particolare i 1-4 del
cap. I.
258 F RA N C ESC O F R O N T E R O T T A

o lidea della santit viene giudicata santa e nel Protagora, infine, la


giustizia e la santit sono considerate, rispettivamente, giusta e san
ta39. Non si tratta, secondo Nehamas, della semplice ripetizione da
parte di Platone di una tesi paradossale e lgicamente problemti
ca, ma delfessenziale presupposto filosofico che governa il mtodo
socrtico della definizione.
La confutazione rivolta da Socrate contro le molteplici definizio-
ni delloggetto X proposte dai suoi interlocutori nel corso dellin-
dagine condotta nei dialoghi giovanili dipende normalmente dalla
dimostrazione della loro non universalit, che discende a sua volta
dalla constatazione che tali defmizioni risultano efficaci e realmen
te soddisfacenti solo a determinate condizioni e in ben precise cir-
costanze, ma non sempre e in assoluto. Per esempio, quando Lachete,
nel dialogo omonimo, defins ce il coraggio come la capacita di ri-
manere al proprio posto senza fuggire in ritirata di fronte al nemi-
co, Socrate gli fa notare come, talvolta, possa risultare assai pi
coraggioso chi combatte avanzando e indietreggiando strategica-
mente piuttosto che colui il quale rimane fermo e immobile al pro
prio posto; analogamente, nel momento in cui Ippia afferma,
nt\YIppia maggiore, che la beliezza in s coincide con una bella fan
ciulla, Socrate lo costringe ad ammettere che una fanciulla, per
quanto bella, appare talora brutta agli occhi di qualcuno o, comn-
que, rispetto a unaltra fanciulla pi bella: in tal caso, se la forma
stessa della beliezza si riducesse dawero a una bella fanciulla, essa
finirebbe per essere affetta dalla beliezza e dalla bruttezza alio stesso
tempo e non si mostrerebbe invece assolutamente e invariabilmen-
te bella; ancora, neWEutifrone, al suggerimento di Eutifrone secon
do il quale il santo in s consiste propriamente in ci che gradito
e apprezzato dagli dei, Socrate obietta che, se, come vogliono i po-
eti, gli dei si trovano spesso in disaccordo gli uni dagl altri, la stessa
cosa potra essere contemporneamente apprezzata da alcuni di loro
e disprezzata da altri, rivelandosi di conseguenza contempornea
mente santa e non santa, ci che pare in effetti impossibile, giacch
il santo in s non pu apparire santo e non santo insieme o santo e

39 Cfr. Hp.Ma. 291 d i-3 ; Euthphr. 6e3-6; Prt. 330cl-e2; i 2.3-2.5 del cap.
e il 6 di questo cap X.
L A U T O -P R E D IC A Z IO N E D ELLE ID EE 259

non santo in reiazione alle circostanze particolari, ai punti di vista


individuali o alie condizioni proprie del soggetto giudicante40.
II criterio fondamentale deiia ricerca socratica sembra insomnia
quello di ammettere a priori che il definiendum CX e precisamente
do che, per auto-predicazione, deve essere x (what it is to be x)
sempre e ad ogni condizione, per stabilire successivamente a quale
oggetto possa applicarsi una simile descrizione e individuare cosi
cosa sia (tl e o n ) dawero X\ Ed ecco che, infatti, iindagine faili-
sce ogniqualvolta la definizione proposta si riveli compatibile con
oggetti che possiedono e non possiedono alio stesso tempo la carat-
teristica x e che, per tan to, alio stesso tempo so no e non so no x\
Nei dialoghi platonici giovanili, dunque, il meccanismo logico
deirauto-predicazione fornirebbe, da un lato, la premessa indispen-
sabile del metodo definitorio e, dallaitro, il principio elencdco in
base al quale viene stabilita la confutazione di ciascuna delle defmi-
zioni suggerite dagli interlocutori di Socrate41.
Alio stesso modo, nel contesto della teoria delle idee nei dialoghi
della maturita, Nehamas ritiene che lassunto deirauto-predicazio
ne rappresenti la condizione necessaria di unadeguata definizione
delle idee, intese come realta piene, immutabili e realmente essenti:
infatti, quale che sia la sua natura specifica e concreta e comunque
possa essere conosciuta e appropriatamente descritta, ogni idea deve
essere innanzitutto cio di cui e lidea. In altre parole, Iunico predi-
cato che e possibile attribuire con certezza a un idea X in se e la
caratteristica V che X in se possiede, eternamente e in forma asso-
luta, proprio in quanto essa si rivela, per definizione, cio che deve
essere x . E daltro canto, simmetricamente, lunico ente a cui sia
possibile attribuire la caratteristica x , eternamente e in forma asso-
luta, e Tidea X in se ossia, ancora una volta, cio che deve essere x\
sempre e ad ogni condizione.
Questo presupposto logico influisce profondamente, secondo
Nehamas, sulla concezione platonica dello statuto ontologico delle

40 Cfr. La. 190e4-191b3 ; Hp.Ma. 287b4-2895 ; Euthphr. 5d 7-8al2 ; e A.


N Self-predication a n d Platos theory o f forms cjt., 93-95. Si vedano inolcre,
eh am a s,

rispetto allindagine svoita in questi dialoghi, i 2.2-2.4 del cap. I.


41 Cfr. A. N eham as , S e lf predication an d P latos theory o f forms cit., 95.
260 FRA N C ESC O F R O N T E R O T T A

idee: se infatti le cose empiriche ricevono dalle idee le caratteristi-


che loro riconosciute nelPesperienza comune solo parzialmente e
temporaneamente, un idea e invece, a pieno titolo e senza alcuna
limitazione temporale, la caratteristica di cui e lidea. Pertanto,
mentre a (empirico) e x e non-x alio stesso tempo in quanto
partecipa soltanto della x-ita\ senza coincidere effettivamente con
essa, lidea X in se\ in quanto e la x-ita e con essa coincide, possie-
de la x-ita ed e x , risultando cosi auto-predicabile in virtu della
sua stessa definizione42,

6.2 La tesi di H. Telob


Una divers a ipotesi per giustificare la tesi di una concezione
onniestensiva dellauto-predicazione deile idee e stata avanzata da
Henry Teloh in alcuni saggi dedicati alFinterpretazione dellargo-
mento del terzo uomo e della prospettiva ontologica di Platone43.
Alla radice della sua analisi Teloh introduce il cosiddetto princi-
pio di causa (causal principle) che, nella sua formulazione piu am-
pia, stabilisce che ogni causa deve possedere essa stessa la qualita o
la caratteristica che produce nei suoi effetti44. Piu nel dettaglio, il

42 Cfr. A. N e HAMAS, Self-predication an d P latos theory o f form s dt., 96-97, il 1


del cap. IV e il 1 del cap. V. An che se al di fuori del contesto specifico deila questione
dellauto-predicazione, ma in quello piu generale della definizione della natura delle
idee e della funzione loro attribuita di cause del mondo empirico (per la quale cfr. il
5 del cap. V III), D. S e d l e y , a r t . c i t 123, sembra condividere lassunto di Nehamas
secondo il quale unidea X in se e propriamente rib che deve essere x (what it is to be
'x): If, then, Plato is looking for something which was all along such as to produce
the effect F-ness, it may be hard for him to see what it could ever be about the thing
that pointed towards that outcome, if not the things being itself in its own nature F.
43 Cfr. H. T e l o h , The development o f Platos metaphysics, University Park,
Pennsylvania State Univ. Press 1981; ma si veda anche H. T e l o h & D. L o u z e c k y ,
Platos third man argument, in Phronesis, XVII, 1972, 80-94.
44 Cfr. H. T e l o h , The development o f Platos metaphysics cit., 4 sgg.: The Causal
Principle states that a cause must itself possess the quality it produces in its effects.
Una formulazione piu articolata (ma in ultima analisi essenzialmente coincidente con
quella di Teloh) del principio di causa e stata suggerita da D. S e d l e y , art.cit., 121,
attraverso le sue tre leggi di causalita (Laws o f Causation): se X suscita leffetto x in
qualunque oggetto, ailora (1) X non deve essere non-x'; (2) lopposto di X (non-
X 5) non deve suscitare Teffetto V in nessun oggetto; (3) X non deve suscitare leffetto
non-x in nessun oggetto. Anche secondo questa lettura, dunque, il concetto
platonico di causalita implica che ogni causa puo causare soltanto gli effetti di cui
e gia, per cosi dire, in possesso.
l ' a L T Q -P R E D IC A Z IO N E D E L L E ID EE 26]

modello interpretativo proposto si articola come segue : se a, b e


Cc (empirici) sono Y in virt (= a causa) deflidea X in s', allora
lidea X in s non puo non essere a sua volta Y , dal momento che,
corne causa dlia qualit Y attribuita ad a, b e V (o, ugualmente,
corne causa delF essere Y di a\ b e V ), deve possedere essa pure la
qualit Y per il principio di causa ed essere perci Y per auto-
predicazione. E ancora una volta, con un esempio concreto : come
il calore riesce a riscaldare le cose con cui entra in contatto in quan
to caldo e diffonde quindi calore, cosi anche le idee sono in grado
di trasmettere le proprie caratteristiche aile cose empiriche parteci-
panti nella misura in cui esse stesse ne sono in possesso. Cosl con-
cepito, il principio di causa risulta pienamente operativo, secondo
Teloh, in tutti i dialoghi platonici poich manifesta Tessenziale fun-
zione paradigmatica attribuita aile idee rispetto al mondo empirico,
il loro ruolo fondamentale di cause efficienti delle cose sensibili e
delle caratteristiche che ad esse appartengono.
Dei numerosi riferimenti testuali citati e discussi da Teloh a so-
stegno dlia sua tesi - alcuni dei quali attesterebbero lesistenza del
principio di causa in forma esplicita, altri in forma implicita - mi
limitera a richiamare qui i pi significativi. Nel Protagora (330cl-
e2), Socrate afferma che la giustizia e la santit sono necessaria
mente giusta e santa, giacch niente altro potrebbe essere legittima-
mente considerato giusto o santo, se non lo fossero la giustizia e la
santit in s: ora, appare piuttosto evidente che il ragionamento
svolto da Socrate poggia sullineludibile presupposto che la giusti
zia e la santit in s possono rendere giuste e sant le cose empiriche
corrispondenti solo in quanto sono esse stesse giusta e santa. In altri
termini, se la giustizia e la santit in s sono dawero le cause dlia
giustizia e dlia santit proprie delle cose sensibili giuste e sant,
esse devono a loro volta possedere le caratteristiche che si rivelano
capaci di trasmettere nel mondo empirico. Analogamente, nel Sim-
posio (21 lb 1-5), si afferma a un tratto che le cose belle ricevono la
loro bellezza daUidea del bello ossia da quel bello eterno e perfetto
che, pur essendo soggetto alla partecipazione da parte di molteplici
enti sensibili, non subisce tuttavia n cresci ta n diminuzione dlia
sua bellezza; e nello stesso contesto teorico, nel Fedone (100d4-8),
Socrate dichiara nuovamente la propria convinzione che lidea del
262 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

bello, cui compete una beliezza piena e immutabile, rappresenta la


vera causa della beliezza emprica che appartiene alie cose sensibilL
Emerge dunque con forza un nesso causale diretto fra la beliezza
dellidea del bello e la beliezza delle cose empiriche belle : infatti,
(1) lidea del bello bella di una beliezza piena e non manchevole,
mentre (2) le cose empiriche belle traggono la loro beliezza solo
parziale daidea dei bello ; ma allora (3) la causa della beliezza
parziaie di quaicosa non pu che identificarsi con Tente che possie-
de la beliezza in forma piena e compiuta vale a dire con il bello in
s. Ii principio di causa costituisce insomma, secondo Teloh, la
generalizzazione di una posizione saldamente attestata nei dialoghi
platonici: ci che suscita o causa in un qualunque ente empirico
una caratteristica V , pure transitoriamente e imperfettamente, deve
possedere la stessa caratteristica V eternamente e perfettamente.
Ne segue evidentemente che lidea X in s e con essa tutte le
altre idee - cui attribuito da Platone questo essenziale ruolo ca
sale, x e possiede senza dubbio eternamente e perfettamente la
caratteristica V che trasmette alie cose empiriche Y in forma tran
sitoria e imperfetta45.
Determinara dallassunzione del principio di causa, lauto-predi-
cazione si rivela cosi, agli occhi di Teloh, come un immediato rifles-
so sul piano logico-predicativo della postulazione delle idee, un im-
plicazione necessaria della loro natura e della loro funzione
ontologica.

6.3 La tesi di J. Malcolm


Occorre considerare infine linterpretazione di John Malcolm,
che ha suggerito un ip o tes i particolarmente originale sulla questio
ne dellauto-predicazione delle idee nei quadro di uno studio assai
dettagliato e approfondito del problema platonico delia predica-
zione, di cui sar possibile evocare qui solo le conclusioni46.

45 Cfr. H. T e LOH, The development o f P latos metaphysics cit., soprattutto 42-48.


Per quanto riguarda i passi citati qui, gi pi volte sottoposti ad analisi ncl corso della
presente ricerca, si vedano solo ii 5 del cap. VII e il 6 di questo cap. X.
46 Cfr. J. MALCOLM, Plato on the self-predication o f forms. Early an d middle dialogues
cit. Le tesi dellautore, che richiamo qui soltanto in forma sinttica e schematica, sono
esposte e ampiamente argomentate soprattutto nei capp. 2, 7 e 10.
L A U T O -P R E D IC A Z IO N E D ELLE ID E E 263

Malcolm distingue due fasi nel pensiero di Platone. Inizialmen-


te, nei dialoghi giovanili e intermedi, almeno fino al Protagora, le
idee sarebbero concepite come caratteristiche generali o termini
universali esenti dalfauto-predicazione, ma soggette a una sempli
ce auto-esemplificazione lgica (.self-exemplification) : per esempio,
nella proposizione X in s V, il termine V non rappresente-
rebbe in nessun modo il predicato che di X in s si predica, una
qualita effettivamente attribuita a X in s, ma esclusivamente urul-
teriore esemplificazone (instance) di X in s, un termine sinni
mo, dunque, che ribadisce lauto-identita di X in s. Laffermazio-
ne che la bellezza in s bella risulterebbe pertanto equivalente a
quella la belleza in s il bello universale - una cosa bella, rica-
dendo cosi neUambito di unimmediata tautologa, priva di qua-
lunque ambiguit e spogliata di ogni valore predicativo (o auto-
predicativo)47.
Rispetto a questa interpretazione, tuttavia, fanno eccezione i casi
delle idee della santita e della giustizia che, in Prt. 330cl-e2, sono
esplicitamente dette santa e giusta48. Ma, ancora una volta, non si
tratterebbe secondo Malcolm di esempi di auto-predicazione in
senso proprio. Egli ricorre infatti a una spiegazione di carattere, per
cos dire, linguistico-religioso: se ci che santo (criov) si rivela,
in base a una communis opinio riecheggiata nelf Eutifrone platonico
(6 e l0 -7 a l), amato dagli dei (Tots' coTs1 Trpocr^iXs'), allora, in tal
senso - e non per auto-predicazione la stessa idea del santo, la
santit in s, in quanto amata dagli dei, deve essere giudicata san
ta. Anlogamente, giusto (Smiov) , secondo un concetto tpica
mente greco49, ci che manifesta un proprio ordine perfettamente
armonico e compiuto e rispetta i limiti che gli sono imposti dalla

47 Malcolm si colloca perci almeno parzialmente, rispetto ai casi di auto-


predicazione present nei diaogh giovanili e intermedi, nel contesto teorico dellin-
terpretazione elaborata da H.F. Cherniss, e ripresa in forme diverse da R.E. Alien e da
L. Brisson, che distingue, nellimpiego del verbo essere da parte di Platone, un
signifcate predicativo ( a e Y = a possiede il carattere Y ) e un signifcate di identita
(X in s Y = X in s e idntico a Y ) . Si vedano in proposito i 2-3 e 5 di questo
cap. X.
48 Per i passi citad del Protagora, cfr. i) 6 di questo cap. X.
45 C f r . J . MALCOLM, Plato on the self-predication o f forms. Early an d middle dialogues
cit., 38.
264 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

sua natura: in tal senso e, nuovamente, non per auto-predicazio-


ne o perpaulinepredication la stessa idea del giusto, la giustizia in
se, e tutte le altre idee, in quanto sono perfettamente ordinate e
compiute in se stesse, devono essere a buon diritto giudicate giu-
ste\ Questa ingegnosa lettura comporta daltra parte, specie nei
caso della giustizia, un evidente paradosso: se tutte le idee, in quan
to idee, sono perfettamente ordinate e compiute in se stesse, e
devono percio essere giudicate giuste, anche le idee delfingiusto,
delPempio, del male e cosi via si riveleranno contraddittoriamente
giuste. Tale difficolta, di cui Malcolm e del resto pienamente con-
sapevole, introduce una grave ambiguita logica, ontologica ed etica
nella teoria delle idee e priva a mio awiso una simile interpretazio-
ne di ogni verosimiglianza50.
Passando allanalisi dei dialoghi della maturita, invece, Malcolm
adotta una tesi di segno contrario alia precedente e accoglie una
concezione onniestensiva delFauto-predicazione delle idee. Infat-
ti, soprattutto a partire dal Fedone e daila Repubblica, le idee sareb-
bero concepite a un tempo come termini universal! e come para-
digmi, owero, in altre parole, come enti supremi separati dalle cose
empiriche e come modelli con le cose empiriche comunicanti, rive-
landosi cosi necessariamente auto-predicabxli: come modelli per-
fetti delle cose empiriche, le idee possiedono perfettamente le quali-
ta che le cose empiriche partecipanti possiedono solo imperfetta-
mente. In tal caso, se a , b e V (empiric!) sono x in virtu della
partecipazione a un idea X in se\ allora Fidea X in se sara precisa-
mente Fente che, al massimo grado, possiede la qualita V (sul pia
no ontologico) ed e x5 (sul piano logico) per auto-predicazione51.
Diversamente dai primi dialoghi, Platone avrebbe dunque am-
messo nelle opere mature lassunto dellauto-predicazione per ogni
idea e senza alcuna eccezione.

50 Ivi, 37-46. Escludendo tout courtly possibilita dellauto-predicazione delle idee


nei dialoghi platonici giovanili e intermedi, Malcolm e costretto a respingere in primo
luogo gliargomenddiNehamas (cfr. 16-20; 23; 75-88; 106-110; 118-121) ediTeloh
(cfr. 11-16; 23-24; 152-158; 170-175) presentad nei 6.1-6.2 diquesto cap. X, che
difendono invece una concezione onniestensiva e generalizzata dellauto-predicazio
ne delle idee in tutd i dialoghi platonici.
51 Ivi, 159-166. Riprendero questa conclusione, qui appena accennata, per
svilupparne ulteriormcnte le conseguenze nei 5 del cap. XI.
l 'a U T O - P R E D IC A Z IO N E D ELLE ID E E 265

7. Partecipazione, predicazione e auto-predicazione delle idee

Lindagine testuale e 1analisi svolta fin qui inducono ad accoglie-


re una prospettiva di generaie auto-predicazione delle idee: X in se
e V , Y in se e y , 2 in se e z e cosi via. Ho inoltre brevemente
presentato gli argomenti proposti dagli interpreti per spiegare una
simile prospettiva dal punto di vista ontologico e dal punto di vista
logico, tanto rispetto alia concezione della natura delle idee plato-
niche, quanto rispetto al loro comportamento predicativo. Cer-
chiamo a questo punto di trarre alcune conclusioni.
Ogni idea CX in se e x, apriori e rispetto alloriginaria defmizio-
ne del suo statuto ontologico e della sua stessa natura: mi pare in-
fatti inevitabile che X in se, in quanto coincide con la x-ita (doe
con Xesserepropriamente x ) 3 possieda il carattere x e sia x. D altro
canto, mentre una cosa empirica a e V in virtu dellidea X in se,
ed e evidente che essa possiede in qualche modo indirettamente il
carattere x senza per questo identificarsi con la x-ita, invece, lidea
X in se, essendo la x-ita , possiede il carattere cx perche nelpossesso
del carattere x consiste la sua natura essenziale di idea X in se
(doe la x-ita). In primo luogo, dunque, e per necessita, Tauto-
predicazione deriva dalla semplice definizione delle realta ideali52.
Ma soprattutto, se le cose empiriche ricevono le proprie caratte-
ristiche attraverso la partecipazione alle idee, cio implica, sul piano
logico, che le idee divengono i predicati delle cose. Ora, la parteci-

52 Condivido percio, da tale punto di vista, Pinterpretazione suggerita da A.


Nehamas (cfr. il 6.1 di questo cap. X), in base alia quale la stessa definizione dello
statuto ontologico delle idee, con le esigenze filosoflche che ne impongono la
posculazione, determina di per se, sul piano logico-predicativo, linevitabile conse-
guenza dellauto-predicazione. In effetti, Platone concepisce unidea X in se come cio
che e x 'alp iu altogrado rispetto alle cose empiriche a, b e c che possono essere V
solo parzialmente e imperfettamente. Una simile concezione ontologica comporta a
mio parere che X in se possieda al piu alto grado il carattere V di cui e lidea, mentre
ie cose empiriche a, V e c potranno possedere il carattere V solo parzialmente e
imperfettamente. Se questo e vero, la semplice affermazione deilauto-identita di X
in se (X in se1e V) esplica gia 1auto-predicazione implicita nella definizione di X
in se. Per quanto riguarda invece laltra tesi di Nehamas, secondo cui 1auto-
predicazione si rivelerebbe pure necessaria come premessa del metodo defmitorio
socratico e come presupposto della ricerca deile definizioni condotta nei dialoghi
platonici giovanili, si tratta di una questione assai complessa su cui mi sembra
impossible intervenire in questa sede.
266 FRA N CESCO FRO N TER O TTA

pazione, pur con le ambiguit cui d luogo e comunque la si inten


da53, una relazione reciproca: se ie cose partecipano deile idee, le
idee sono par teci pate dalle cose. Perch unidea possa trasmettere
alie cose come un modello alie sue copie determinati caratteri,
costituendo cosi il predicato delle cose, bisogna che siano soddi-
sfatte almeno due condizioni: Tidea deve (1) lasciarsi partecipare
dalle cose e (2) possedere essa stessa, per auto-predicazione, le ca-
ratteristiche che trasmette alie cose partecipanti e che dunque con-
divide con le cose partecipanti. La prima di queste condizioni, espli-
citamente attestata da Platone, parte integrante delia teoria delle
idee54; la seconda si deduce, ira Faltro, dal passo dei Protagora (330c 1-
e2) citato pi volte sopra: le cose empiriche possono essere giuste o
sante, soio se Fidea delia giustizia e Tidea delia santit di cui parte
cipano sono esse stesse giusta e santa; se cosi non fosse, infatti, come
potrebbero le cose trarre dalle idee quelle caratteristiche di cui le
idee sono invece prive?55 Per concludere su questo punto con un
esempio, insomma, se Alcibiade bello in virt delia partecipazio-
ne alfidea dei belo, allora 1idea dei bello (1) si lascia partecipare da
Alcibiade e (2) possiede la bellezza che trasmette ad Alcibiade e con
Alcibiade condivide. O, in termini formali, se a (empirico) V in
virt delia partecipazione a X in s, allora X in s (1) si lascia
partecipare da V e (2) possiede il carattere x che trasmette ad a e
con a condivide. In tale otrica, quindi, 1auto-predcazione discen-
de logicamente dalla funzione attribuita alie idee di cause e modelli
dei mondo sensibile e non, come nel caso precedente, dalla sempli-
ce definizione del loro statuto ontologico56.

53 La questione stata lungamente discussa nel cap. VIII. Cfr. inoltre Prm. 131 a4-
133a6.
54 Sulla necessita delia partecipazione delle cose empiriche alie idee e, dunque, sul
ruolo delle idee come modello e critrio di riferimento universale delle cose empiriche,
cfr. il 2 del cap. V; il 1 del cap. V II e il cap. VIII.
55 Cfr. il 6 di questo cap. X. Ma si veda anche Prm. 132cl2-133a6, in cui
Parmenide espone la seconda versione delFargomento dei terzo uomo: se una cosa
empirica a possiede il carattere V in virt delia somiglianza allidea X in s e se, come
sembra evidente, la somiglianza una relazione reciproca, allora, come a assomiglia
a X in s1 rispetto a x\ cosi X in s assomiglia ad a rispetto a x. Per poter
assomigliare ad 'a rispetto a x\ X in s deve quindi, per auto-predicazione, essere V .
>s La formulazione delia condizione (2) non dissimile dal principio di causa
ipotizzato da H. Teloh (cfr. il 6.2 di questo cap. X, dove ho inoltre riportato alcuni
l ' a u t o - p r e d i c a z i o n e d e l l e id e e 267

Rimane pero da affrontare una difficolt. In una prospettiva del


genere, occorrer spiegare il paradosso implcito nellauto-predica-
zione delle idee di qualit morali, come la giustizia o la santit, e d
particolari caratteristiche, come la molteplicit o la dissomiglianza.
Infatti, se lauto-predicazione accolta in una forma generalizzata e
onniestensiva, idea della molteplicit risulter allora molteplice e
non una, lidea della dissomiglianza dissimile e non auto-idntica;
per altro verso, lidea dela giustiza dovr essere detta giusta o f idea
del santo santa, ci che pare dawero privo di senso57.
Ora, su questo problema ci viene in aiuto la descrizione dellidea
del bello nel Simposio (21 Ia5-b5). La bellezza eterna e incorruttibi-
le dellidea del bello, dice Platone, non si manifesta con un volto
n con mani n con altre propriet materiali ... n come apparte-
nente a un essere vvente, in cielo o in trra (oS ... oov TTpacoTrv
t i oj S oS aXXo o8v atipa p e T x e i ...o8e ...otov
kv Cako rj v yrj T) kv oupavco), ma piuttosto pura, in s e per s
ed estranea alia generazione e alia corruzione. Come le idee sono
semplici essenze, realt esclusivamente formali prive di determina-
zioni sensibili, cosi pur gli attributi, le caratteristiche o i predicad
delle idee non possono che essere puramente formaii, privi di con-
cretezza materiale o di qualunque Veste sensibile. Le cose empiri-
che invece, che sono parte della sfera sensibile, possiedono mate
rialmente e concretamente le caratteristiche che acquistano dalla
partecipazione alie idee. Di conseguenza, mentre affermare che un
uomo giusto e santo significa che egli agisce o si comporta secon-

dei riferimentitestualicitatidaTelohasostegno della sua tes i) e adempie evidentemen


te alia medesima funzione casale: se un idea ha il potere di trasmettere una certa
caratteristica ale cose empiriche che ne partecipano, deve essa stessa per prima
possedere, anche se a un diverso hvello, quella caratteristica. Concordo dunque con
Teloh nellaffermare che lauto-predicazione dipende in questo caso dal riconoscimen-
to del ruolo paradigmatico attribuito ale idee rispetto al mondo emprico che si esplica
sul piano ontologico nel rapporto partecpativo. Anche D. SEDltY, art.cit., 121-123,
sembra accogliere la duplce spiegazione proposta qui del meccanismo logico deHau-
to'predcazione delle idee: ogni idea'Xins Y per definizone, n quanto rappresenta
precisamente cid che deve essere x (come vuole Nehamas, cfr. il 6.1 di questo cap. X);
maogni idea Xdns x anche rispetto alia suafunzionecausale-ontolgica, in quanto
trasmette alie cose empiriche partecpanti la qualit Y di cui, pertanto, non pu essere
priva (come vuole Teloh, cfr. ancora 1 6.2 di questo cap. X).
57 Cfr. i 1 e 4 di questo cap. X.
268 F R A N C E S C O F R O N T E R O IT A

do giustizia e santita, sostenere che la giustizia in se e giusta e che


la santita in se e santa non implica nessuna valutazione morale del
comportamento concreto deliidea della giustizia e delTidea della
santita, che senza dubbio non agiscono ne si comportano in alcun
modo, ma significa soltanto che lidea della giustizia e Tidea della
santita sono formalmente giusta e santa ed esprimono percio Iessen-
za della giustizia e della santita. Analogamente, Tidea della molte
plicita e delia dissomiglianza non sono certo, per auto-predicazio-
ne, concretamente molteplice e dissimile, ma solo formalmente : esse
esprimono Vessenza della molteplicita e della dissomiglianza, pur
restando, come tutte le altre idee, uniche e auto-identiche. Se le
cose empiriche, di natura materiale e sensibile, partecipano della
molteplicita in se, possiedono materialmente e concretamente la
molteplicita che Tidea, pura essenza, possiede formalmente: le cose
empiriche molteplici sono pertanto molte e non una; lidea della
molteplicita rimane invece una, ed e molteplice solo in senso for-
male. E cio senza contraddizione: infatti, tutte le idee indistinta-
mente possiedono alcune caratteristiche che competono loro in
quanto idee, come Tunxta, Tauto-identita, Teterna permanenza in
se al di fuori dello spazio e del tempo e cosi via; ma inoltre, ogni
singola idea possiede anche, in esclusiva, la specifica caratteristica
di cui e Tidea. Lidea della molteplicita sara quindi una, in quanto
idea, e solo formalmente molteplice, in quanto idea della moltepli
cita; Tidea della disuguaglianza sara identica a se stessa, in quanto
idea, e solo form alm ente dissim ile, in quanto idea della
dissomiglianza58.

7,8 Mentre Brisson introduce tale distinzione fra ie caratteristiche che alle idee
appartengono per escludere la possibility deirauto-predicazione delle idee (cfr, il 5
di questo cap. X), invece, a mio parere, essa riesce a spiegare efficacemente Tauto-
predicazione di alcune particolari idee considerate qui: per esempio, non vi e alcuna
contraddizione neiraffermazione che la molteplicita in se e molteplice, giacche pur
essendo, in quanto idea, una (in virtu del suo statnto ontologico), lidea della
molteplicita esprime altresi Fessenza della molteplicita ed e dunque, in quanto idea
della molteplicita, form alm ente molteplice (per auto-predicazione). Si potrebbe certo
chiedere in cosa consista, per Iidea della molteplicita, l'essere form alm ente (e non
concretamente) molteplice o, per iidea della giustizia, 1essere form alm ente (e non
concretamente) giusta. Questo interrogativo, pero, non riguardasolo le caratteristiche
che le idee possiedono per auto-predicazione o per la predicazione di altre idee, ma
l ' a U T O -P R E D IC A Z IO N E D ELLE ID E E 269

Ricondotta alla sua radice ontologica, la questione delPauto-pre-


dicazione delle idee, lungi dal rappresentare un inutile e cavilloso
sofisma logico-linguistico, sveia invece un aspetto fondamentale dlia
teoria platnica delle idee. Eauto-predicazione, precisamente nella
forma che Vlastos ha collocato alla radice deUargomento del terzo
uomo come sua indispensabile premessa59, necessaria perch le
idee, possedendo certe caratteristiche, possano trasmetterle alie cose
empiriche partecipanti e con esse condividerle, adempiendo cosi
realmente alla funzione di modello universale e di criterio di riferi-
mento assoluto dlia sfera delle realt in divenire. E in questo modo,
partecipabilf dalle cose, auto-predicabili e percio predicabili delle
cose, le idee esplicano la loro presenza nel mondo sensibile.

1ntera sfera dei gener e ciascun genere come tale: cosa sono infatti, concretamente, il
giusto in s o 1 molteplice in s? E come dimostrare in termini concreti lesistenza di
unaform a del giusto o di unaform a d eI molteplice? Si cratta di domande, perfectamen
te legittime, che pongono radicalmente in discussione la dottrina platnica delle idee
nel suo fondamento teorico e filosofico ed escono pertanto dallmbito di questa
indagine.
59 Cfr. il 3 de cap. IX.
XI.

LASSUNTO DI NON-IDENTITA E LA DIFFICOLTA


PIU GRANDE: COSA E UNIDEA PLATONICA?

1. II xwpio'iios- delle idee e Vassunto di non-identita

Benche partecipate dalle cose empiriche e di queste predicate,


le idee sono tuttavia, alio stesso tempo, i generi universali, incorrotti
e incorruttibili, immutabili e percio separati dalla realta sensibile.
La separazione (xw piap .0 ? ) protegge le idee dalFindebita
commistione con le cose mutevoli e corruttibili e preserva cosi la
radicale differenza fra i due livelli del reale1. Dal x wPlogos
ontologico, prerogativa essenziale dello statuto dei generi, discende
del resto Fassunto di non-identita, la seconda premessa delFaporia
del terzo uomo, che, nella formulazione di Viastos, stabilisce preci-
samente che ogni ente in possesso di certe caratteristiche deve esse-
re diverso dalFidea in virtu della quale le possiede: se cosi non fosse,
le idee partecipate e le cose partecipanti sarebbero inevitabilmente
confuse in un insieme indistinto2.

1 PerTintroduzione del xwpLCTjj.os1ontologico delle idee, cfr. soprattutto il 1 del


cap. IV e il 1 del cap. V II. Suirimpiego del termine in relazione
allassunto della separatezza delle idee, si vedano il 1 del cap. II, n. 2, e il 1 del cap.
V II, n. 9.
2 Cfr. il 3 del cap. IX. DaHafFermazione della separatezza delle idee, determinata
dalla loro assoluta differenza ontologica rispetto alle cose empiriche, deve essere
consequenzialmente dedotta la rigorosa non identica logica fra le idee stesse, concepire
come predicati universali, e tutto ci6 di cui sono predicate; Pertanto, anche se non
propriamente coincident^ il principio ontologico dei x^pLcrpoj delle idee e iassunto
logico ds non-identita mi sembrano tuttavia strettamente connessi o, meglio, dipen-
dentirunodallaltro. W. L es ZL, //De ideis diAristotelecit., 252-257, ha osservato che,
a ben vedere, Iass unto di non-identita andrebbe in effetti corretto come segue: non
272 F R A N C E S C O FR O N T H R O 'T A

Platone afferma esplicitamente e con insistenza, nel Parmenide


e altrove, la necessita della separazione delle idee, indicandone in
modo chiaro la ragione: nel Fedone (66d7-67b2), Socrate spiega
come la perfetta contemplazione delle essenze ideali divenga possi-
bile soltanto dopo la separazione dellanima dal corpo, con la mor-
te, dal momento che, mentre in vita il corpo e tutto cio che e sen-
sibile non fanno che ostacolare la vera conoscenza e contaminare la
purezza delFanima, la morte ristabilisce invece Tordine universale,
secondo il quale non e lecito a cio che e impuro avere contatti
con ci6 che e puro (j.T| KaQapto yap Ka0apou e(j)dTTTeCT0ai p.f| ou
SefiLToy fj). Se ne deduce che, se le cose empiriche impure non
fossero separate e si mescolassero ai generi ideali, la purezza delle
idee ne sarebbe irrimediabilmente compromessa. Ancora, nel Sim-
posio (21 lb l-5 ), la condizione dellidea del bello e tale che, seppure
partecipata dalle cose empiriche che nascono e muoiono, essa
non aumenta ne diminuisce ne soffre alcunche (firiSev eicetvo \ii\re

tutti gli enti che possiedono un certo carattere sono diversi dallidea in virtu della
quale lo possiedono, ma tutti gli enti empirici che possiedono un certo carattere sono
diversi dalPidea in virtu della quale lo possiedono, visto che la non identita
(ontologica e logica) si pone fra cose e idee, ma non fra idee e idee. Questa precisazione,
che toglie limmediata contraddizione fralassunto di non-idenritae lassunto di auto-
predicazione delle idee, non esclude daltra parte la paradossale conseguenza del
regresso infinito: infatti. henchi originariamente collocato fra idee e cose, il principio
di non-identita finisce per coinvolgere ie stesse realta ideali nel momento in cui,
partecipate dalle cose empiriche, auto-predicabih e predicate delie cose empiriche, ie
idee si lasciano confondere con le cose in un insieme unitario e indistinto (si veda in
proposito il 5 di questo cap. XI). Pur accettando nel suo complesso ia ricostruzione
dellargomento del terzo uomo proposta da VIastos, anche D. SEDLEY, a r t . c i t 127-
132 (cfr. il 5 del cap. VIII, n. 43), ha suggerito una diversa formulazione deilassunto
di non-identita che, aell'ottica della sua analisi della teoria platonica della causalita ,
ha forse il vantaggio di un piu immediato impatto filosofico. Ammesso che le idee
sono le cause delle cose empiriche e delle loro caratterisriche e quaiita, e possibile
tradurrela non identita logica in termini causali: nessuna causa e identica agli effetti
che determina e, conseguentemente, nessuna idea X in se pu6 coincidere con gii enti
(empirici o ideali) nei quali causa la caratteristica V ; ma se 1idea X in se e essa stessa
V , occorrera postulare una nuova idea X in se^ diversa da tutti gii enti che sono V ;
se poi lidea X in se^ e a sua volta x , bisognera introdurre ancora unidea X in sd,
e cosi via allinfinito. Come si vede, la formulazione adottata da Sedley tende almeno
in parte a trasferire dal piano logico al piano ontologico lesito devastante dellaporia
del terzo uomo (a mio parere del tutto giustamente, cfr. i 5-6 di questo cap. XI).
3 Cfr. soltanto Prm. 130b2-3; c l; d l; 133c8-134al; e inoltre il 1 dei cap. V
e la n. 9.
l 'a SS U N T O DI N O N -ID E N T IT A E LA D i m C O L T A I IU G R A N D E 273

tl rrXeov fiXjTe eXarTov yiyvecrQai |ir]8e TrdaxeLy pr|8ev): infatti,


in se e per se, lidea del bello e separata dalla sfera sensibile e rimane
percio pura, incorrotta, non mista (eiXiKpives1, fcaGapov,
d|ieiKToy)4.
D altra parte, una volta ammesso il x^pLOjiog ontologico delle
idee, si riproduce immediatamente la contraddizione logica fra gli
assunti di auto-predicazione e di non-identita con il paradosso del
terzo uomo e del regresso infinito, esattamente nei termini suggeri-
ti da Vlastos. Ho discusso sopra gli argomenti di coloro i quali, per
evitare questa conclusione, hanno cercato di respingere la possibili
ty delfauto-predicazione delle idee5. Vediamo ora invece le obie-
zioni che altri hanno rivolto, con analoga motivazione, contro il
principio di non-identita e contro il xwpiCTjios' del generi.

2. Le idee come
unith di misura delle cose empiriche: ancora sulla tesi
di R. S. Bluck

La tesi di Richard S. Bluck, gia in precedenza considerata rispetto


al problema della partecipazione delle cose empiriche alle idee e aL
Fambigua definizione delle idee come TTapa8eiy[iaTa delle cose6,
implica anche alcune serie conseguenze sullassunto di non-identita.
Se le idee sono dawero concepite come i modelli universali cui
le cose empiriche assomigliano in modo imperfetto, allora, secon-
do Bluck, laddove le cose, indissolubilmente vincolate alia dimen-
sione spazio-temporale, si trovano nella sfera sensibile, le idee ap-
partengono invece al mondo degli enti supremi. Infatti, ogni gene-
re, in quanto airro Ka0 aiiro7, esiste in se e per se, indipendente

4 Si veda pure, nel J'imeo, la precisa distinzione dei generi delle cose che sono
(ripetuta per ben cinque volte: 27d5-29d3; 48e2-49a6; 50c7-d2; 51e6-52b5; 52d3),
che presuppone evidentemente la radicaleseparazione fra le reaka eterne e immutabili,
esenti da generazione e corruzione, e le cose sensibili generate, soggette al divenire e
alia trasformazione. Cfr. in proposito YAppendice II, 2.
5 Cfr. i 2-5 del cap. X.
6 Cfr. R.S. BLUCK, The Parmenides an d the third man argument ext.-, Id., Forms as
standards cit.; e il 2 del cap. VIII,
7 Per 1espressione aiiTo Ka0 airro riferita alle idee, cfr. ii 1 del cap. IV; il 1
del cap. V II e la n. 9.
274 F RA N C ESC O F R O N T E R O T T A

dalla generazione, dalla corruzione e dal mutamento; al contrario,


le cose empiriche non es is tono di esistenza autonoma, ma soltanto
nella re azione con le idee, da cui traggono le proprie qualit e la
propria stessa essenza. Ora, sebbene in virt di questa relazione le
cose condividano con le idee determinate caratteristiche e qualit,
non lecito dedurne che si renda necessrio introdurre il principio
di non-identit, giacch la distinzione dei diversi livelli del reale
sarebbe di per s sufficiente a preservare Foriginaria differenza
ontologica fra le idee e le cose. Per meglio precisare la sua tesi, Bluck
ha paragonato la condizione delle idee-modelli a quella delle uni-
t di misura campione. Lunita di misura metro, per esempio, che
consente la misurazione delle dimensioni iineari di ogni oggetto,
non coincide tuttavia con ci di cui Funit di misura, ossia con gli
oggetti misurati (= con le loro dimensioni iineari), perch, se un
oggetto alto un metro assomiglia aunit di misura metro rispetto
alia misura della sua altezza, daltro canto, Foggetto alto un metro
rimane comunque un oggetto specifico, come pure Funit di misu
ra metro rimane ununit di misura campione, in nessun modo
identificabile con gli oggetti cui si appiica. In tal caso, in virt di
una simile concezione della partecipazione, principio di non-iden
tit si rivela in effetti suprfluo e viene cosi a mancare la causa sea-
tenante del regresso infinito nellargomento del terzo uomo8.
Come abbiamo visto, pero, il paragone fra le idee-modellf e le
unit di misura campione solleva alcune difcolta insormontabili9.
Innanzitutto, mentre le idee, attraverso la partecipazione, trasmet-
tono alie cose partecipanti certe caratteristiche in loro possesso, le
unita di misura campione non trasmettono alcuna qualit agli
oggetti misurati, ma costituiscono la quantit campione a partir
da cui possono essere misurate determinate qualit che tali oggetti
gih possiedono. Con un caso concreto, lidea dellaltezza trasmette
alie cose empiriche che ne partecipano la qualit altezza; il metro
campione, invece, fornisce Funit di misura che permette di mi-

K Se non necessrio postulare il principio di non-identit, si scioglie la


contraddizione fra questo principio e Fassunto di auto-predicazione delle idee, che,
secondo Vlastos, da origine al paradosso del terzo uomo (cfr. il 3 del cap. IX).
9 Cfr. i 2 e 5 del cap. VIII.
I,'A S SU N T O D l N O K - 1D E N T 1T E LA D IF F C O L T PJ G R A N D E 275

surare laltezza che loggetto misurato gia possiede. In secondo luo-


go, in quanto partecipata dalle cose empiriche, un idea diviene,
dal punto di vista logico, il predicato delie cose partecipanti, ci
che non accade con lunita di misura campione che non , a rigor
di termini, il predicato degli oggetti misurati10.
Occorre insomma ricordare ancora una volta che Tipotesi della
partecipazione irriducibile a un processo di semplice misurazio-
ne formulata da Platone per colmare lassoluta differenza
ontologica fra le idee e le cose empiriche, in modo che le idee
diversamente dalle unit di misura campione presenti nelie cose
e da queste partecipate, possano adempiere realmente alia propria
funzione di cause efficienti del mondo sensibile e, sul piano logi
co, di predicad delie cose partecipanti11. D altra parte, per evitare
che le idee, partecipate5dalle cose e di esse predcate, siano confuse
nel mondo sensibile compromettendo cos il proprio statuto di enti
supremi, si indotti a ribadire nuovamente la radicale separazione
dei due livelli del reale, reintroducendo implcitamente, insieme
con il x^piaiig dei generi, il principio logico di non-identit12.

10 Evidentemente, nella proposizioae a (emprico) 'alto in quanto partecipa


delidea dellaltezza, lidea dellaltezza, lalto in s, rappresenta propriamente il
termine che di a si predica, il predicato di a. Invece, nella proposizione a alto un
metro, metro non rappresenta il predicato d ia, masoltanto il termine che esprime
la misura o la quantita del predicato alto che si predica di a.
11 Per la concezione delie idee come cause efficienti (sul piano ontologico) e
come predicati (sul piano logico) delie cose empiriche che ne partecipano, si vedano
ancora il 5 del cap. VIII e i 1 e 7 del cap. X.
12 Per una simile, senza dubbio contraddittoria, conclusione, si vedano i 5-6
di questo cap. XI. Se il processo di misurazione delie cose empiriche - attraverso il
quale Bluck tenta di spiegare il meccanismo della partecipazione delie cose alie idee -
non coinvolge direttamente le idee nella vicenda del divenire, in quanto esse non
trasmettono alcuna caratteristica alie cose misurate, allora le idee non rappresentano
neanche i predicati deile cose: in tal caso, nessuna minaccia viene rivolta alia
separazione ontologica delie idee n ha senso postulare il principio di non-identit
lgica fra le idee e ci di cui sono predcate (proprio perch di nqlla sono predcate).
Se al contrario, come ho cercato di dimostrare nel 5 del cap. VIII e ripetuto
brevemente qu, la partecipazione implica una trasmissione di certe caratteristiche
dalle idee alie cose partecipanti in virt dela quale le idee divengono i predicati delie
cose empiriche, allora si riveler necessrio, da un lato, ribadire loriginariaseparatezza
dei generi, dallaltro, dedurne esplicitamente la rigorosa non identta lgica rispetto
alie cose di cui costituiscono i predicad.
276 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

3. Lasimmetria delx^picriis1: la. tesi di G. Vlastos

Anche Gregory Vlastos tornato di recente sulla questione del


XtpLcrjj.s- e, indirettamente, sulla postulazione del principio di non-
identit, attenuandone almeno in parte lincidenza sulfargomento
del terzo uomo13.
Egli muove daUanalisi di questi due assunti, fra loro sostanzial-
mente equivalenti: le idee esistono in s e per s (arr kgl0 arr)
e le idee esistono separatamente (xw ps*)- In entrambi i casi, il co-
mune presupposto che le idee esistono di esistenza autonoma e
indipendente da alcunch, poich sono esse stesse il principio del
proprio essere. Le cose empiriche, invece, esistono soltanto in virt
della partecipazone alie idee: conseguentemente, le cose empiri-
che non esistono in s e per s n esistono separatamente5 dalle
idee. II x^pLaiis1si porrebbe cosi es elusivamente rispetto alie idee,
ma non rispetto alie cose che, al di fuori della relazione con le idee,
non si troverebbero in possesso di nessuna caratterstica n dellesi-
stenza tout court. Lassunto della separazione delle idee dovrebbe
perci essere formulato in questa forma asimmetrica: non le idee
esistono separatamente dalle cose, ma soltanto le idee esistono se
paratamente, senza ulterior! precisazioni, dal momento che non
esisterebbe nessun altro ente rispetto al quale affermare la separa
zione delle idee. Limmediata e necessaria conseguenza di una simi-
le conclusione che il principio di non-identit s rivela superfluo,
perch la differenza ontologica fra i livelli del reale, privando origi
nariamente la sfera sensibile di ogni valore o autonoma, gia salva
guarda Tauto-identit lgica delle idee14.

13 Cfr. G. V l a s t o s , Separaron in Plato cit. (cu ho accennato nel 3 del cap. V ).


Larticolo di Vlastos, dedicato esplicitamente alfana) isi della questione del x^pLOfis'
delle idee attraverso le testimonianze di Platone e di Aristotele, non riguarda, se non
indirettamente, lassunto logico di non-identit e fargomento del terzo uomo. La
relazione fra separazione ontologica e non identit lgica dunque stabilita, credo
legtimamente, da me.
14II principio di non-identit stabilisce infatti la differenza o, appunto, la non-
identit lgica fra i termni in possesso di certi predicad e le idee in virt delle quali
li possedono: ma se le idee soltanto esistono dawero in s e per s e separatamente,
allora non vi sar alcun altro termine, rispetto al quaJe affermare Ja loro non-identit
lgica. Conseguentemente, daliaffermazione del xwpLapj ontologico delle idee in
l'A S S U N T O D] N O N -ID E N T IT E l.A D 1F FC O L T P1 G R A N D E 277

Lipotesi di Vlastos, che implica una concezione asimmetrica


dei xwpiCTii.$r, non mi pare tuttavia convincente. Nel Parmenide,
infatti, la separazione fra cose e idee descritta con estrema chia-
rezza (133c8-d4; 133e4-134al; 134d4-6): se i generi si trovano su
un piano diverso da quello delFesperienza sensibile, radicalmente
separati, sono per necessita esclusi da qualunque relazione con le
cose empiriche (ocrai tv ISev irp? aWriXa? elaiv a elaiv,
auTal TTps1 ainra? ttjv ocriav xou(JLy)j cosi come, simmetrica-
mente, le cose empiriche si pongono in relazione fra loro soltanto,
ma non con le idee ( j S TTap f||iiv ... aT au TTp arr
ariv XX o) Trps* Ta eiT|). Nessuna delle due sfere dei reale ha
potere sulfaltra, dal momento che ciascuna esiste di per s e rispet-
to a s stessa (aT. Tipo? auTa raTcpa)15. II significato di questo
passo dei Parmenide evidente. Se le idee sono effettivamente in s
e per s ed esistono separatamente dalle cose, daltro canto, a loro
volta, anche le cose esistono in qualche modo in s e per s: non
certo nella piena realt dellessere, che appartiene esclusivamente
alie idee, ma imprigionate nel perenne divenire e perci condan-
nate a un destino di transitoriet e mutevolezza che non coincide
per con il nulla assoluto16. II x^pLcrp- ontologico configura dun-

questa forma asimmetrica discende direttamente Finutilit delia postulazione dei


principio di non-identit.
13 Anche al trove Platone afferma la necessita delia reciprocit di ogni possibile
separazione fra due elementi o fra due classi di elementi. Per esempio, nel corso delia
dimostrazione delFimmortalit delFanima nel Fedone (64c4-8), Socrate defmisce la
morte come separazione (iraXXayr|v) delianima dal corpo: il momento in cui il
corpo, separato dallanima, si pone in s e per s (x^pW M-v t t rf|
iaX X ayi' ar Ka0a)T t o>\a), cosi come Fanima che a sua volta, separata dal
corpo, si pone anchessa in s e per s (x^pl? S tt)V (|uxV tt toj jjiaTo
TraXXayeiaav aTr)iv KaGaiTqv). La separazione delFanima e dei corpo dunque
evidentemente reciproca e simmetrica. E ancora, in Prm. 159B4-5: Non forse Funo
separato dagli altri (x^pis1 t(v aKhv) e gli altri dalFuno (x^pW to vs-)?.
Anche in questo caso, Platone intende certamente mostrare ia reciprocit delia
"separazione1 fra Funo e gli altri dalFuno: se il primo termine separato dal secondo,
il secondo risulta di necessita separato dal primo.
16 Tanto le cose quanto le idee sono, in una prospettiva di rigorosa separazione,
rispetto a s stesse' (arrai tTp arrs1). Lespressione aral TTps1 ards1 implica
naturalmente, quando riferita alie idee, la piena esistenza dei vero essere (che , come
vuole Vlastos, ar Ka ar), mentre rimanda, se riferita alie cose, alia sfera
mutevole e prowisoria dei divenire, comunque dotata di una propria parziale e
278 F R A N C ESC O F R O N T F .R O T T A

que, contrariamente a quanto Vlastos crede, una reiazione (o piut-


tosto un assenza di reiazione) simmetrica e reciproca: i due livelli
separati del reale devono rimanere intrinsecamente vincolati alia
propria dimensione (lessere e la piena esistenza per le idee; il dive-
ire spazio-temporale e a trasformazione per le cose empiriche),
refrattari, ciascuno, a qualunque forma di commistione con Tai-
tro. E tale separazione delle idee dalle cose (e delie cose dalle idee)
sar senza dubbio sancita, sul piano logico, dal principio di non-
identit17.
Se cos non fosse, partecipate e predcate delle cose empiri-
che, le idee si troverebbero inevitabilmente in contatto con esse,
paradossalmente coinvolte nel ciclo della generazione e della cor-
ruzione18.

4. La difficoltapi grande della teora delle idee

Una volta formulato nella sua versione pi radicale, xwpLop.s'


ontologico, oltre a provocare la contraddizione lgica fra il princi
pio di non-identt e Tassunto dellauto-predicazione delle idee
che alTorigine delTargomento del terzo uomo, solleva altre diffi-
colt di cui Platone non manca di awertire lucidamente la gravita.
Infatti, chiusa la sezione del dialogo che contiene Tesposizione del
terzo uomo, Parmenide mette ripetutamente in guardia Socrate
(133a7-8):

'O p a s - o w , u 2 k p ares\ oor r a tro p a l v t l s s - eSr) o v r a a u r a Ka0 a i r


SlOptCTlTaL;
Vedi dunque, Socrate, quanto grande la difficolta se si definiscono i generi
come enti in s e per s?

transitoria esistenza. Suquesta distinzione, di fondamentaleimportanza per compren


dere adeguatamente la prospettiva ontologica di Platone, cfr. il 3 del cap. V.
17 Infatti, se la separazione implica una reiazione (o piuttosto unassenza di
reiazione) reciproca e simmetrica, in modo che sia le idee sia le cose esistono in qualche
modo separatamente le une dalle altre, occorrera allora tradurre' ia separazione e
iassoluta differenza ontologica fra le idee e le cose anche sul piano logico, ricorrendo
al principio di non-identit.
18 Cfr. il 1 del cap. IV; il 1 del cap. VTI e il 1 di questo cap. XI.
l'a S S U .N T O Dl N O N -ID F .N T IT E LA D 1F FIC O L T PI GRA N D E 279

E subito dopo (I33al0-b 3):

Ei) t o l v w CT01 tl s - erros1 e irreiv oiStra) uTr) a iJ ir j? crr| ecrrlv ti aTTOpia,


ei 'v e lS o ? e i c a a T o v tcov vroav e t l GufjopiCoiievos- Queris1.
Sappi bene che ancora, per cos dire, non ti rendi conto di quanto grande la
difficolt, se poni sempre per ciascuna cosa un nico genere separato.

Delle tante difficolt, Parmenide presenta a un Socrate perplesso


la pi grande {jie y io T o v 8e TSe, 133a7-135b4): se qualcuno
sostenesse che le idee sono inconoscibili, solo un interlocutore di
straordnaria abilita dialettica potrebbe convincerlo del contrario19.
In effetti, lintroduzione di una rigorosa e insuperabile separazione
fra i due piani del reale impedisce alie idee, da un lato, e al mondo
sensibile, dalfaltro, di intrattenere qualunque relazione reciproca.
Di conseguenza, i generi si porranno esclusivamente rispetto a s
stessi e cos anche le cose e lintera realta empirica degli uomini, che
pure partecipano dei generi e da essi traggono proprio nome {&v
[sciU tv ISejv] r\\ig iieTxovTe? elvai CKaara Trovopxx[ic0a).
Lidea di padrone, per esempio, esplicher il proprio essere padro
ne rispetto allidea di schiavo e questa il proprio essere schiavo
rispetto alFidea di padrone (auTq S e SeairoTeta a-urfis' SouXetas*
crriv oTL, Kal 8ouXea coa?), mentre un padrone empirico
sara concretamente padrone di uno schiavo empirico e questo, a
sua volta, schiavo di un padrone empirico (ai'Gpamos1 W vQpoTrou
[ji4)Tepa r a v r orlv): nessuno degli enti empirici avra pero al-
cun valore o potere rispetto ai generi n i generi rispetto alie cose
che si trovano sul piano dellesperienza sensibile20. In questo caso,
bisognera riconoscere che, se esistono una scienza de generi e della
loro verita e unaltra che assume invece come proprio contenuto le
cose empiriche, gli uomini, immersi nella sfera sensibile, non po-
tranno attingere alia vera scienza n conoscere i generi: ad essi sara
quindi preclusa la conoscenza del bello in s, del bene e di tutte le
idee (a y v to a T o v a p a ... Kal aT t KaXov o e o n Kal ro y a 0 o v
Kal ir v r a a Sq cbs* IS a s a Tas' ouaa? m roXa[i(ivo|iev).

19 Parafraso cosi, adsensum, le linee I3 3 b4 -c2 (specialmente 133c 1-2), un passo


variamente tradotto, ma chiaro nel suo signficato dinsieme.
20 Cfr. Prm. 133d6-134a3-
280 HRAN C ES C O F R O N T E R O T T A

Anlogamente, sullaltro versante, chi eventualmente possieda la


suprema scienza dei generi - e non puo tr attar si che della divinit
non riuscir a esercitare la propria azione sulle cose umane n ad
averne cognizione (oirre Seaucrrai ttujllov eicriv oirre yiyvwaKouai
r a ctvOpaiTreia TTpdyp.aTa 0eol ovTeg).
Ecco perch, se un aw ersario affermasse che i generi separati
non esistono affatto o che, pur esistendo, sono tuttavia inconoscibili
({9 ouTe ecrTL r a m a , e r e o ti |adXiara eirj ... rf\ avGpcamvq
(jivaei ayvojora) e inutili21 per gli uomini, sarebbe straordinaria-
mente difficile opporgli un efficace confutazione: soitanto un indi
viduo ben esercitato e dotato di grandi capacita potrebbe forse di-
mo str are che vi un genere per ogni cosa e un essere in s e per s
(ecjTt yvos t l icaTou a ! ovcra arr] icaO avrr\v) e insegnare
una simiie dottrina, difendendola dalle molteplic e articolate obie-
zioni cui esposta22.

5- Cosa un idea platnica?

E il m om ento di trarre le conclusion! delfindagine condotta


sullaporia del terzo uom o e sulla difficoit pi grande della sepa-
razione delle idee. II Parmenide, concorde da questo punto di vista
con i dialoghi dela m aturit, introduce la teoria delle idee che

21 Linutilita delle idee, concepite come semplici doppi deUe cose empiriche,
una delle critiche pi frequenti di Aristotele a Platone e ai platonici (cfr. soltanto
Metaph. A, 990b 1 sgg.; il 1 del cap. VI e YAppendice III, soprattutto 2).
22 Cfr. Prm. 1 3 4 a 4 -1 3 5 b 4. U n articolata analisi della difficoit pi grande e
stata proposta da S. PETERSON, The greatest dffiadty fo r Platos theory o f Forms, the
unknowdbiltty argument o f P arm . 1 3 3 c -1 3 4 c , in AGPh, LXIII, 1981, 1-16, che
considera largom ento soprattutto dal punto di vista epistemoiogico del paradosso
della reciproca inconoscibilita fra i due piani del reale, giungendo, attraverso unin-
dagine testuale assai dettagliaca, a questa duplice condusione: se d aw ero sussiste una
radicale separazione fra il m on do delle idee e 1 m ondo sensibile degli uom ini che
implica a sua volta una netta distinzione fra due generi di conosccnza - luno rivolto
alie idee, laltro alie cose em piriche allora, amm esso che agli uom ini possa
appartenere la conoscenza diqualcosa, non si tratter evidentem ente della conoscenza
delle idee; daltro canto, sim m etricam ente, amm esso che esista una conoscenza delle
idee, non si tratter di una conoscenza che possa appartenere agli uom ini. U na
conclusione, questa, che illustra efficacemente le inequivocabili e dram m atiche
conseguenze del paradosso evocato da Parm enide.
1..'A SS U N T O Dl N O N -ID E N T 1T E LA D IF F IC O L T PI G R A N D E 281

postula 1esistenza di certi generi intellegibili, ponendoli a un tem


po come separati dal mondo sensibile e soggetti alia partecipazione
da parte delle cose empiriche23. Ma 1analisi di Parmenide solleva in
proposito due interrogativi, lasciati apparentemente in ombra nei
dialoghi precedenti24:

(D
se !e idee sono partecipate dalle cose empiriche, possono conservare il proprio
statuto di enti supremi o sono forse assimilate alie cose? II che equivale a chiedersi:
possibile stabiire la partecipazione delle cose empiriche alie idee senza violare
loriginaria separazione dei due livelli del reale?

E daltro canto, capovolgendo i termini deila questione:

(2)
se le idee sono radicalmente separate, possono essere partecipate dalle cose
empiriche?

Per quel che riguarda il primo di questi interroga tivi, ho presen-


tato e discusso la posizione degli interpreti che non giudicano il
rapporto partecipativo. come una minaccia alTimmutabile auto-iden-
tit dele idee n lo considerano in contraddizione con il xtopiaM-s'
ontologico25. A mi parere pero, la risposta che si deduce dal
Parmenide c assai diversa. Se la relazione fra cose e idee consiste
nella presenza delle idee nelle cose o in una sorta di congiunzione
che implica la reciproca somiglianza e la condivisione di determi
nate caratteristiche26, sembra allora fuor di dubbio che la parteci
pazione sia concepita precisamente come una specie di assimiiazio-
ne del partecipante al partecpato, con il fine esplicito di colmare
Tassoluta differenza ontologica sancita dalla separazione dei livelli
del reale, che di per s incompatibile con qualunque forma di
comuncazione fra cose e idee. Del resto, sempre nel Parmenide
(133c4-7), Parmenide si esprime molto chiaramente: ciascuna del-

23 Per la formulazione dela teora delle idee in gene rale, s vedano i 1-3 del cap.
IV e i 1, 2 e 4 del cap. V; e, rispetto al Parmenide in particolare, l 1 del cap. VTI.
24 Cfr. il 2 del cap. V.
25 Cfr. i 2-4 del cap. V III.
26 Si vedano soprattutto, in proposito, il 2 del cap. V; e i 1 e 5 del cap. VIII.
282 F R A N C ESC O f-R O N T E R O T T A

le idee, in quanto separata e in s e per s (arrjv Tiya Ka0 anrjv


... ootay), non pu contemporneamente essere in noi (iqSe|_iiay
a in w eivcu kv f|\fiy), nella realt sensibile,partecipata dalle cose
empiriclie: infatti, se fosse in noi, come potrebbe essere in s? E
ci risponde anche alia seconda do manda formulara sopra: posto
che le idee sono separate dalle cose empiriche, nessuna partecipa-
zione sar possibile perch la separazione, finch mantenuta rigo
rosamente, impedisce ogni relazione fra idee e cose. Si tratta pro-
prio della difficoit pi grande della dottrina dei generi27.
Per un verso, esclusivamente partecipate dalle cose, le idee sa-
rebbero presenti nel mondo sensibile, sacrificando la purezza e
limmutabilita della propria natura; per laltro, completamente se
parate dalle cose, le idee sarebbero prive di quaunque rapporto
con il mondo sensibile e dunque inconoscibili e inutili agli uomi-
ni. Ma entrambe le possibilit sono inaccettabili: occorre invece
che le idee siano separate (e quindi auto-identiche, permanent! e
incorrotte dal divenire e dalla trasformazione) e tuttavia partecipa-
te dalle cose (e pertanto in rapporto con la sfera emprica). Questa
paradossale conclusione rivela la contraddizione che sta alia radice
deargomento del terzo uomo. Si ricorder che lanalisi di Vlastos
attribuiva la causa del regresso infinito allincoerenza lgica del com-
portamento predicativo delle idee, da un lato auto-predicabil e
predicabili delle cose, dalialtro principio separato di ogni predica-
zione28. Tale inconsistenza lgica, che pure mi sembra correttamente
ricostruita, rimanda pero a una piu profonda difficoit ontologica
nsita nella stessa natura delle idee platoniche.
Unidea platnica infatti un individuo ontologico primo, non
ulteriormente riducibile o divis ibile in parti, auto-referenziale e idn
tico a s stesso, immutabile e auto-sufficente: in questo senso, gli
enti ideali sono realta metafisiche 'in s, modelli puri e intoccati

27 Ho discusso e respinto nei 2-3 di questo cap. XI le versioni pi represen


tative dellinterpretazione che non concepisce il x^pia^Ls- dei generi come un ostacolo
alia partecipazione delle cose empiriche alie idee.
28 Cfr. il 3 del cap. IX. Invirt dellassunto di auto-predicazione delle idee, lidea
X in s1 diviene membro della classe di enti Y insieme alie cose empiriche che di X
in s' partecipano; in virti deirassunto di non-identita, lidea X in s rimane separata
dalla classe di enti Y di cui costituisce il principio predicativo separato.
l 'a s s u n t o di n o n - id e n t t e la d if f ic o l t f i grande 283

dalle cose empilche e perci necessariamente separati dalla sfera


dei dvenire spazio-temporale, delia generazione e delia corruzione.
Ma un idea platnica anche, alio stesso tempo, ii paradigma imma
nente rispetto al quale si determina la costituzione del mondo sen-
sibile: in questo senso, gi enti idea sono, per cosi dire, in atro,
partecipati dalle cose empiriche e in qualche modo present in esse
o ad esse assimilati29.
Questa insanabile contraddizione ontologica si riflette immedia
tamente sul piano epistemolgico: un idea, come ente metafsico
individale e separato, conoscibile in s, in virti del pensiero in
tuitivo (you), ed oggetto di una visione intellettuae diretta, im
mediata e indubitabile; invece, come reait partedpata dalle cose
empiriche, si rende conoscibile a partir dalle relazioni che intrat-
tiene con le cose, in virti del pensiero discorsivo (tvoia) e se-
condo una dimostrazione razionale basata su ipotesi che, dalle cose
empiriche, permette di ascendere alie idee30.

25 Vorrei ricordare ancora una volta, giacch si tratta di un aspetto assai


controverso e dibattuto (cfr. i 2-5 del cap. VTII e, in ultimo, Ch.H. K a h n , op.cit.,
350-352; 357-358), che il significato fiiosofico del meccanismo della partecipazione
si rivelato indipendente dalle concrete modalita dello svolgimento dei rapporto
parteciparivo (che rimangono daltra parte imprecisate in tutti i dialoghi platonici, cfr.
l 2 del cap. V e i 1 e 5 del cap. VIII). Infatti, sia che si accolga una concezione
della partecipazione come presenza delle idee nelle cose partecipanti, sia che invece
si privilcgi la cosiddetta copy-model theory, la partecipazione implica un contatto o
un7assimiazione delle due sfere del reale che incompatibile con la loro originaria
difFerenza ontologica e con la loro radicale separazione. In altre parole, anche
respingendo uninterpretazione esplicitamente materialista della (le^Lj, la relazio-
ne fra le cose e le idee rimane comunque in contrasto con lassunto del x^pLcrps dei
gener.
30 Ci spiega da un altro punto d vista la distinzione fra pensiero intuitivo e
pensiero discorsivo che, nellambito della conoscenza intellegibile, Platone stabiliscc
con la teoria della linea ini?. VI 509d l-51 le5- Ricordo a questo proposito lesempio
suggerito nel 3 del cap. III rispetto al caso della bellezza: dopo un lungo esercizio di
riflessione, il pensiero intuitivo riesce a cogliere directamente e senza mediazioai la
realta pura e perfetra delidea del bello, nella sua pienezza e semplicit, nella sua unita
e singolarita, comprendendo diconseguenza epotendo determinare analiticamente
- l esatta estensione 'geogrfica' delle relazioni che il bello in s intrattiene con le cose
empiriche belle (cfr. Smp. 2I0e2-21 le4); if pensiero discorsivo, invece, cogliendo la
molteplice e multiforme bellezza delle cose empiriche belle, assume lesistenza
dellidea del bello come nica causa della bellezza sensibile e, a partir da questo
presupposto, ricostruisce ipoteticamente le relazioni che il bello in s intrattiene con
le cose empiriche belle (cfr. Phd. 100bl-c7)- Si tratta in entrambi i casi di forme di
284 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

E ancora, sul piano logico: un idea, come individuo ontologico


separato, non e auto-predicabile ne predicabile delle cose empiri
che, perche, senza stabilire alcuna relazione con Taltro da se, sem-
plicemente e, elemento singolo e monadico eternamente identico
a se stesso; ma daltro canto, come attributo comune o qualita ge-
nerale presen te nelle cose, deve essere auto-predicabile per risulta-
re quindi predicabile delle cose, costituendo cosi la classe com-
prensiva di tutti gli elementi di cui si predica31.
Da una parte insomma, lidea (ogni idea), in quanto e separata,
non e soggetta alia partecipazione ne e predicabile di se o delle
cose; dallaltra pero, e soggetta alia partecipazione ed e cosl
predicabile di se e delle cose. E tuttavia, in quanto partecipata
dalle cose empiriche, lidea (ogni idea) sara privata della sua
separatezza ontologica e occorrera postulare una seconda idea iden-
tica alia prima, separata e non predicabile di se ne delle cose. Ma a
sua volta, questa seconda idea dovra essere nuovamente soggetta
alia partecipazione e cosl pure alia predicazione di se e delle cose,
con Tinevitabile e aporetica conseguenza del terzo uomo e del re-
gresso infinito32.

conoscenza vera e di natura incellegibile (perche livolta alle idee), ma dotate di un


diverso valore e, evidentemente, di un diverso grado di Torza e di immedtatezza.
31 Cfr. il 7 del cap. X. Nella versione logica della contraddizione ontologica
insita nella natura delle idee riemerge la distinzione fra i sensi di essere ipotizzata da
Chetniss e accolta, fra glialtri, da Allen edaBrisson (cfr. i 2 ,3 e 5 del cap. X ): un idea
X in se, come individuo ontologico separato e non predicabile di se ne delle cose
empiriche, <?Y solo nel senso che e identicaalia caratteristica Y ; unidea X in se , come
ente partecipato dalle cose empiriche e percio predicato di se e delle cose empiriche
partecipanti, e x nel senso che possiede la caratteristica Y che trasmette alle cose
partecipanti e con le cose partecipanti condivide, costituendo cosl la classe X
com prensiva di tutti gli elementi che son o Y .
32 In altri termini, questa e la contraddizione che scaturisce, secondo Aristotele
(cfr. in proposito XAppendice III, soprattutto 3), dalla concezione platonica delle
idee, a un tempo sostanze (essenze individuah non predicabili di alcunche) e termini
universali (categorie general! predicabili di tutte le cose). Allinterpretazione che ho
qui suggerito, con le sue paradossali conclusion^ si awicina quella, piuttosto schema
taca, di C h u n g - H w a n C H E N , On the Parmenides o f Plato, in CQ, X XXV III, 1944,
101-114, in particolare 103: Chorismos must assume the juxtaposition of Ideas and
things. Ideas cannot fulfil their task o f being the ratio essendi of the properties of things,
if on their release they so transcend the real world that their relation to it is wholly
interrupted. Hence arises the notion oiM ethexis, designed by Socrates to re-establish
contact between the now separate Ideas and the things. The attempt to save the
phenomenon described is, in fact, constituted by three moments: the juxtaposition of
I .'A SS U N T O D l N O N -ID E N T IT E LA D IF F IC O L T PI G R A N D E 285

Se la mia analisi corretta, bisogna concluderne che le critiche di


Parmenide svelano nella dottrina dei generi un problema reale e
indiscutibiie di cui Platone appare del resto pienamente consape-
vole33. Non a caso, convinto delia necessit dellipotesi dei generi
nonostante Finflessibile requisitria condotta fin li, e per stretto
tra le sue difficolt, egfi pone drammaticamente, per bocca di
Parmenide, la domanda fondamentale (135c5-6):

TC ow TTOLT)CTLs' cfjiXoao^Las' T rp L ; urj T p tffri yvooiifj.vwi' t o t q jv ;

Che farai delia filosofia? D a che parte potrai rivolgerti, se ignori queste cose?

6. Le ideeplatoniche e la partecipazione delle cose empiriche

Prima di chiudere questo capitolo, qualche considerazione fina


le. Abbiamo constatato che le contraddizioni insite nella teoria dl
i idee discendono, nelfindagine dlia prima parte del Parmenide,
da una serrata verifica del meccanismo dlia partecipazione, ini-
zialmente rispetto aile modalit e in seguito rispetto alla stessa pos-
sibilit del rapporto partecipativo34.

Ideas and things, the separation of the first from the second, and the Methexis o f the
second in the first. Ma si vedano oggi soprattutto L. B r ISSON, Participation et
prdication chez Platon cit., 569, che insiste per esclusivamente sulle implicazioni
logiche della duplice natura delle idee, per un verso realt individuali semplici e
atomiche, perTaltro classi comprensive di pi elementi; e j. M a l c o l m , Plato on the
self-predication o f forms. Early an d middle dialogues cit., 54-63, 64-124, 167-169, che
dimostra, con unanalisi efficace e assai articolata, come le idee siano a un tempo,
secondo Platone, end trascendenti e paradigm! (partecipati e predicati) delle cose
(anche se per Malcolm una simile concezione delle idee fa la sua comparsa soltanto nei
dialoghi maturi, cfr. 6.3 del cap. X).
33 Di opinione contraria , come si ricorder, Gregory Vlastos (cfr. il 3 del cap.
IX). E possibile che Platone sia giunto solo nel Parmenide alia piena consapevolezza
della contraddizione implicita nella sua concezione delle idee, alia quale in effetti non
fa alcun cenno nei dialoghi precedent!. Mi pare invece assai arduo cercare di stabilit
se lanaiisi del Parmenide dipenda da unautonoma revisione critica di Platone o dalle
obiezioni rivolte alia teoria delle idee allinterno dellAccademia (per esempio da
Aristotele).
34 Si tratta precisamente del dilemma della partecipazione (cfr. il cap. VIII),
dellargomento del terzo uomo e della difficolt pi grande della teoria delle idee
(cfr. i capp. IX-XI).
286 F R A N C ESC O F R O N T E R T T A

Vorrei ora riproporre molto brevemente la questione in una pro-


spettiva interpretativa piu anipia e generale: come avviene la parte-
cipazione delle cose empiriche ai generi ideali? Secondo la descri-
zione del Parmenide, la partecipazione e il pro cess o attraverso il
quale i due livelli della realta, fra loro massimamente different!,
stabiliscono una relazione che permette agli enti empirici in dive
nire di assumere dalle idee in modo imperfetto certe caratteristi-
che: si tratta dunque di una mediazione ontologica da cui deriva-
no le cose e il mondo sensibile come sono conosciuti nellesperien-
za comune. Quindi, schematicamente, i termini del rapporto
partecipativo (il partecipato e il partecipante) sono, da un lato, le
idee, auto-identiche e compiute in se stesse, e, dallaltro, gli enti
empirici, apparenti e di per se indeterminati. II risultato di questo
processo e invece il mondo sensibile, che, pur rimanendo mutevole
e corruttibile, possiede pero determinate qualita, secondo un im-
magine parziale delle idee. Ma cio pone, naturalmente, non pochi
problemi: dove avviene la partecipazione degli enti empirici alle idee?
Non sul piano intellegibile, a cui gli enti empirici non hanno acces-
so per la minorita ontologica della loro natura; non sul piano sen
sibile, a cui i generi sono essenzialmente irriducibili: occorre allora
un luogo intermedio in cui possa attuarsi la partecipazione del sen
sibile allintellegibile. E ancora: chi o cosa porta a compimento la
partecipazione? Non le idee, se sono dawero autonome e separate;
non gli enti empirici, che restano intrinsecamente vincolati al dive
nire e alia trasformazione: sembra percio necessario lintervento di
un agente o di una causa esterna.
Infatti, e proprio in questa direzione che si svolge la riflessione di
Platone nei dialoghi posteriori al Parmenide, nel Filebo e soprattut-
to nel Timeo35. Ed e in questo senso che, per descrivere il concreto
attuarsi della partecipazione fra le cose e le idee, ho parlato di assi-
milazione dei diversi\ il rapporto partecipativo presuppone Tesistenza
di una dimensione intermedia nella quale i due livelli del reale,
riconducendo progressivamente a identita le proprie differenze,
possano stabilire la redproca relazione attraverso una mediazione

35 Cfr. XAppendice II, 1-2.


L A S S U N T O D[ N O N -ID E N T IT E L/\ D IF F IC O L T P-I G R A N D E 287

o una sintesi ontologica che daltro canto incompatibile con lori-


ginaria, radicale diversit36.
Ma un secondo aspetto stato successivamente toccato nel corso
delfindagine: possibile la partecipazione deile cose empiriche ai
generi ideali? Questo interrogativo ha accompagnato, esplicitamente
o implcitamente, lintera analisi dedicata allargomento del terzo
uomo e alia diffcolt pi grande, con una conclusione ben preci
sa: la partecipazione, almeno nella forma in cui concepita fino al
Parmenide, viola il x^pia^is' ontologico e coinvolge le idee, anche
se in misura minima, nel ciclo della generazione e della corruzione
e nel divenire del mondo sensibile; senza la partecipazione, pero, le
idee separate rimarrebbero inconoscibili agl uomini, inutile ripro-
duzione metafsica delle cose empiriche. Sostenere lipotesi della
partecipazione fra le cose empiriche e le idee separate introduce
perci uninsanabile contraddizione nella stessa natura dei generi.
Ma Platone, come sbito vedremo, insiste ancora sulla questio-
ne, per unulteriore verifica, nella seconda parte del Parmenide.

36 Cfr. il 5 ciel cap. V III e il 5 di questo cap. XI. Nel Sofista (257c5-259b6),
invece, la partecipazione, che pero riguarda sokanto i generi fra loro e non i generi
rispetto aile cose empiriche, non puo prescindere dalla rigorosa elaborazione del
genere del diverse: se per esempio il bello in s partecipa del grande in s, partecipa
tuttavia anche della parte del genere del diverso che si oppone al grande in s dunque
del non-grande conservando cosl, pur partecipandone, la propria diversit dal
grande in s. Rimando per questo alla lucida analisi di G. S asso , L essere e le differenze.
S u lSofista dt Platone, Bofogna, II Mulino 1991, soprattutto 135-198 (ma cfr. anche
il mio L tre et la participation de Vautre. Une nouvelle ontologie dans le Sophiste cit.,
341-345). Si veda inoltre YAppendice I, 7-9.
XII.

CHE FARAI, SOCRATE, DELLA FILOSOFIA?


LA SECONDA PARTE DEL PARMENIOE

1. Dalla prima alia seconda parte Parmenide: lepremesse delleser-


cizio dialettico

Nonostante le enormi difficolt sollevate nella prima parte del


dialogo, Parmenide ribadisce la necessita dellipotesi dei generi
(135b5-c4): chi infatti non ne ammettesse lesistenza e non pones-
se un genere separato per tutte le cose (|ir|8 t i pieTrai eiSos
vo? fKttciTou), negando cosi che vi sia per ciascuno degli enti
empirici un idea che rimane sempre idntica ([if] cov I8av i w
ovtv exorou miy arrnv ei elvai), non saprebbe dove volgere
il pensiero e distruggerebbe completamente la potenza della dialet-
tica ( t t )v t o O Siayeo'Bai 8va|iiv ... Sicu^Oepe)1. Ecco perch
Parmenide sottolinea lopportunit di un esercizio preparatorio,
preliminare alia ricerca della verit: Socrate ancora troppo giova-
ne2 e, per quanto ammirevole sia il suo slancio nella discussione e
nelFmdagme filosfica, non tuttavia sufficientemente addestrato
n awertito delle molteplici ambiguita che si incontrano nel tenta
tivo di definire le cose in s, come la bellezza, la giustizia, il bene e
gil altri generi. Lesercizio (yup.va.oia) proposto da Parmenide ri-
produce essenzialmente il mtodo ipotetico di cui Zenone ha for-
nito un esempio neila sua opera, discussa allinizio del dialogo, ma

! Sul significato epstemologico della teora delle idee, cfr. i 4-5 del cap. II; il
cap. III; i 1 e 3 del cap. VI; 1 1 del cap. VII.
2 Prm. 135d5: e n i'o el. Alia giovinezza di Socrate si fa gi riferimento in
127c4-5; 130el.
290 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

con aicune importanti precisazioni: occorre in primo luogo che


Panalisi si estenda, come Socrate aveva chiesto, dal piano sensibile
alla realt intellegibile ( n e p l K i v a fiXior t i s v Xyco
X[3oi K a l e iS r ] v ]yr|0mT 0 e l v a i ) e che, inoitre, non si limiti alia
verifica delle conseguenze di una certa ipotesi, ma prenda in consi-
derazione anche le conseguenze che derivano dal capovolgimento
dellipotesi iniziale3.
Nel caso delPipotesi zenoniana, se i molti sono (el ttoXX. c m ) 4,
bisogner dunque osservare cosa ne consegue per i molti, rispetto a
s stessi e rispetto alluno, e, ancora, cosa ne consegue per Puno,
rispetto a s stesso e rispetto ai molti (t XP^ o u fi^ a ive L V ... t o
ttoXXols- ups' avr Kal Trps1 t cv Kal tco vl irps Te aT
Kal TTps r TToXXd); in seguito, assumendo Pipotes! opposta, se i
molti non sono (ei. jjt| c m TroXX), si dovr mostrare cosa ne
consegue per Puno e per i molti, rispetto a s stessi e reciprocamen
te ( r l a u jip fio e T a i Kal v i Kal to I s ' ttoXXols' Kal irps1 aT
Kal Tps* X X q X a). Questo procedimento pu essere appUcato a
qualunque coppia di opposti quiete e moto, generazione e corru-
zione, essere e non essere e a qualunque ente, ponendolo ora
come esistente ora come non esistente, e verificando tutte le conse
guenze che ne discendono per Pelemento prescelto e per il resto dei
reale5. Solo dopo un simile addestramento, Socrate potr nuova-
mente rivolgersi alPindagine sulla verit (136a5-c5).
Perplesso per la vastit dei compito prescrittogli, Socrate domanda
a Parmenide di svolgere egli stesso Pesercizio e a questa richiesta si
associano subito Zenone e tutti gli altri. Di fronte alPinsistenza dei
presenti, PEleate accetta la prova, nonostante il timor che gli incu-

3 Ivi, 135d7'1363. Un esempo delia dialctica zenoniana, diretta alia confuta-


zione degli awersari di Parmenide sostentori delia moiteplicit dei reale, esposto in
127d6-128e3 e criticato da Socrate in 128e4-130a2. Cfr. 1 del cap. VII.
4 Sui problemi posti dalia formuiazione e daila traduzione dellipotesi zenoniana,
cfr. il 1 del cap. V II, n. 4.
5Lesercizio dialetticoqui esemplificato attraverso i ricorso allipotesi zenoniana
dlia moiteplicit, ma svolto neila seconda parte dei Parmenide a partir daJPipotesi
parmenidea delfunit (cfr. la nota scguente) dovr dunque esplorare le conseguenze
derivan ri dalP ipotesi relativa a un qualunque oggetto X , formula ta prima in forma
affermativa (seX ), poi in forma negativa (seXnon ), rispetto a X stesso e rispetto
a tutto ci che altro da X . La struttura dellesercizio sar percio la seguente:
C I-IE FARA), S O C R A T E , DELLA FILO SO K IA ? LA S E C O N D A PA R TE D E L PARM ENIDE 291

te, alla sua et, un cos'i grande mare di parole ( toctotov TrXfj0o
Xoywv). Ma quale ipotesi scegliere corne oggetto delTesercizio?
Parmenide suggerisce, giacch si convenuto di giocare a un gio-
co serio (TrpayjiaTCiwSr] naiStav TTaiCav), di muovere dalla pro
pria ipotesi filosofca, dalluno in s (t o vos- airro), posto prima
corne essente e poi corne non essente ( c t c <v cmv c i t c fif] e v ) 6.

Ipotesi in formaaffermativa Ipotesi in forma negativa


Se X 3 Se X non
I V
cosa consegue per X rispetto a s cosa consegue per X rispetto a s
II VI
cosa consegue per X rispetto agli cosa consegue per X rispetto agli
altri da X 5 altri da X
III VII
cosa consegue per gli ai tri da X cosa consegue per gli altri da X
rispetto a s rispetto a s
IV VIII
cosa consegue per gli altri da X cosa consegue per gli altri da X
rispetto a X rispetto a X
Corne vedremo tra breve, anche se lordine degli otto svolgimenti deduttivi subisce
alcune variazioni, ia structura delPesercizio dialettico rispecchia fedelmente il pro
gramma enunciato da Parmenide.
6 Le linee 137b 1-4 pongono un difficile problema di traduzione e di interpreta-
zione. Parmenide dichiara infatti di voler iniziare fesercizio dialettico muovendo dalla
propria stessa ipotesi, che normalmente sintetizzata da Platone nellassunto che il
tutto uno (v elvcu t 6 ttS.i>, cfr. il 1 del cap. VII, n. 3). Ora, con un passaggio
improwiso e non giustificato, Parmenide privilgia qui il secondo termine di taie
assunto lunit lasciando invece cadere il primo - il tutto: lesercizio verter infatti
sulluno in s ( t o v o s airro), c l t c 'v oriv e T e |if] 'v. La traduzione di questa
proposizione, per, varia a seconda che si consideri Tuno (Zv) come (1) soggetto o
come (2) predicato e che si attribuisca conseguentemente al verbo essere (<mv) un
significato (1) esistenziale o un valore (2) copulativo. Nel primo caso, dovremo
tradurre: Volete che si cominci daila mia ipotesi, dalluno in s, se l u n oese l uno non
?; nel secondo, avremo invece: Volete che si cominci dalla mia ipotesi, dalfuno in
s, se uno e se non lo ?, Bench entrambe le traduzioni siano possibili (giacch la
prima traduzione descriverebbe lo svolgimento dellintero esercizio, nel corso del
quale, infatti, 3e prime quattro serie di deduzioni si interrogano sulle conseguenze che
derivano dallesistenza del!1uno e le ultime quattro sulle conseguenze che derivano
dalla sua non esistenza; mentre la seconda traduzion descriverebbe soltanto lo
svolgimento delle prime due serie di deduzioni [I serie di deduzioni: se luno uno,
esso non moheplice, cfr. il 2.1 di questo cap. XII; II serie di deduzioni: se luno
, esso non uno, ma moltepiice, cfr. il 2.2 di questo cap. XII]), propendo qui per
la prima alternativa e intendo Tuno1 come soggetto e il verbo essere in senso
292 F RA N C ESC O fr o n ter o tta

Avremo allora, secondo il programma annunciato poco sopra


(136a5-bl), otto serie di deduzionf7: se Funo , quali sono le con-
seguenze per Funo, rispetto a s stesso (prima serie di deduzioni) e
rispetto alla molteplicit (seconda serie di deduzioni)? E ancora: se
Funo , quali sono le conseguenze per i molti, rispetto a s stessi
(quarta serie di deduzioni) e rispetto alFuno (terza serie di deduzio
ni)? Capovolgendo poi Fipotesi iniziale: se Funo non , quali sono
le conseguenze per Funo, rispetto a s stesso (sesta serie di deduzio
ni) e rispetto alla molteplicit (quinta serie di deduzioni)? E nuova-
mente: se Funo non , quali sono le conseguenze per i molti, rispet
to a s stessi (settima serie di deduzioni) e rispetto alFuno che non
(ottava serie di deduzioni)? Aristotele, il pi giovane fra gli inter-
locutori del dialogo e perci pi spontaneo e immediato nelle ri-
sposte, accompagner Parmenide nella sua analisi8.
Questo breve preambolo non chiarisce affatto, tuttavia, il senso
e le finalit dlia seconda parte del dialogo. Gli interpreti, fin dal-
Fantichit, si sono interrogati sul valore propedeutico dlia dialet-
tica delFuno e dei molti in relazione aile difficolt dlia teoria delle
idee sollevate nella prima parte del Parmenide quindi sulla conti-
nuit argomentativa e teorica fra la prima e la seconda parte e sul
reale significato che occorre attribuire alla coppia di opposti pre-
scelta, Funo e i molti. Presento rapidamente e in forma schematica
le diverse posizioni espresse nel dibattito contemporaneo.

esistenziale, basandomi soprattutto sulle parole che Parmenide ha pronunciato poco


sopra, in 135e6-136a3 e 136b6-c5: occorre che iesercizio valuti non solo le conse
guenze dellesistenza deiroggetto prescelto ( d e a n v e r a u T o v ) , quai un que esso sia, ma
anche quelle che derivano dalla non esistenza dello stesso oggetto (et ^f| etm to ar6
t o t o ) ; infatci, ogni elemento puo essere sottoposto aUindagine dialettica, purch sia

considerato prima come essente e poi come non essente ( w j v t o Kal 9 o i k i ^ t o ) .


Cfr. anche R.E. A l l e n , P latos Parmenides cit., 182-183; e il mio articolo Quelle est
[hypothse de Parmnide dans Platon, Parm. 137b 1-4?, in EPh, 1999/1, pp. 41-46.
7 Mutuo da Luc Brisson (Platon, Parmnide cit., 45-47) questa espressione per
designare i diversi svolgimenti deduttivi che conducono dalPipotesi iniziale (assunta
in forma affermativa o negativa) alla determinazione delle sue conseguenze.
8 Prm. 136c6-137c2. Sul ruolo di Aristotele (da non confondere con Fomonimo
filosofo discepolo di Platone nellAccademia a partire dal 367-66 a.C. circa) nella
seconda parte del dialogo, si veda L. BRISSON, Les rponses du jeune Aristote dans la
seconde partie du Parmnide de Platon, in RIS, XX, 1984, 59-79 (cfr. anche Sph.
217d4-7, in cui, sempre in ragione deet, lo Straniero di Elea che guida la
discussione sceglie come proprio interlocutore il giovane Teeteto).
C H E FARA I, S O C R A T E , D ELLA F IL O SO F fA ? LA SE C O N D A PA RTE D E L PARM ENID E 293

(1 )
Luno e i mold coincidono con le idee (platoniche) delluno e dlia molteplicit:
Parmenide afferma infatti lopportunit di estendere lindagine dagli enti empirici
aile idee (135e2-3) e annuncia che la sua dimostrazione verter sull uno in s
( tou a T o O , 137b3), espressione che sembrerebbe effettivamente designare

lidea delluno3. Dopo aver posto a tema il problema della partecipazione delle
cose sensibili ai generi ideali, il dialogo affronterebbe ora queilo dlia partecipa
zione reciproca fra i generi, questione ri presa e meglio definita nel Sofista10. Due
considerazioni mi inducono per a respingere questa possibilita: se luno e i molti
coincidono con le idee (platoniche) delluno e dlia molteplicit, non ha alcun
senso il riferimento, frequente nei corso deUesercizio (cfr. solo 138b7-139b3;
1 4 0 e l- l4 le 5 ; I4 5 b 5 -e5 ; 151e3-155d 4), allo spazio, al tempo e al divenire, che
rimangono, nella prospettiva platnica, prerogativa esclusiva delle cose sensibili
e non certo dei generi, aspaziali, atemporali ed esenti dal divenire. In secondo
luogo, dal momento che lesercizio dialettico rappresenta il necessrio addestra-
mento per la soluzione delle contraddizioni emerse nella prima parte del

5 Cfr. il 1 del cap. V II e la n. 9.


10Cfr. Sph. 251a5-258c5. Linterpretazionesecondolaquale Pesercizio dialettico
de] Parmenide sarebbe consacrato allanalisi delle relazioni fra le idee ha origini assai
antiche. Plotino, Amelio, Porfirio e soprattutto Damascio trovarono nella seconda
parte dei dialogo una precisa anticipazione della dottrina neoplatonica delle ipostasi
che derivano per emanazione dalluno e procedono ftno alla materia e a mondo
sensibiie, ultime ombre delLessere: i diversi svolgimenti dedutcivi delfesercizio
dialettico rappresenterebbero cosi una vera e propria processione di principi
dallassoluto e dalle idee fino alla realt empirica e, in questo senso, una sorta di
articolaco trattato di metafsica. Per una presentazione pi dettagliata dellesegesi
neoplatonica del Parmenide, cfr. la mia Guida alla lettura /Parmenide di Platone cit.,
106-110. Ancora oggi, pur al di fuori dei contesto filosofico neoplatonico, tale
interpretazione rimane assai diffusa. F.M. CORNFORD, Plato an d Parmenides cit., 112
sgg., affermava che la seconda parte dei dialogo esplora i diversi significati che si
possono attribuire alluno e ailessere (= aile idee e ai concetti delluno e deessere) e
a loro opposti, la molteplicit e il non essere, in un incerto equilibrio fra lambito
logico e la sfera ontologica che Platone non avrebbe nettamente distinto. Si vedano
inoltre R.S. BRUMBAUGH, Plato on the one. The hypotheses in the Parmenides, Port
Washington, Kennicat Press 1961; L. B rISSON, Le mme et l'autre dans la structure
ontologique du Time de Platon cit., 116-125 (ma per laposizione di Brisson cfr. anche
infra, n. 12); R.E. A l l e n , P latos Parmenides cit., 181-290; J.M .E. M o r a v c s i K, Plato
an d platonism cit., 142-167. Questa interpretazione sarebbe inoltre confermata da
alcuni passi del Parmenide (129b 1-2; 129d6-130a2), in cui Socrate afferma che
troverebbe motivo di grande stupore e meravigia se qualcuno riuscisse a dimostrare
non che le cose sensibili sono uno e molti, simili e dissimili e cosi via, ma che luno
in s molti e la molteplicit in s uno, o che il simile in s dissimile e il dissimile
in s simile, dunque applicando il metodo di Zenone alla realt intellegibiie delle
idee. Sembrerebbe, secondo gli interpreti citati sopra, fespressione di un desiderio
esaudito nella seconda parte dei dialogo.
294 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

Parmenide, non se nc comprenderebbe lutilit, se fosse interamente dedicato


allanalisi dei rapporti fra le idee e non ponesse in nessun modo in causa la rea-
zione delle idee con la sfcra scnsibile.
(2 )
Luno e la molteplicit appartengono cntrambi al piano sensibile e la seconda
parte del dialogo, come Parmenide stesso annuncia11, sottopone a una serrata
verifica la dottrina eleatica delf unit del tutto. Tale ipotesi presuppone uninter-
pretazione fsico-naturalista della sentenza parmenidea il tutto e uno e assegna
allesercizio diaiettico iJ compito della reductio adabsurdum di un simile monismo
sensibile, con la conseguente, indiretta conferma della teora platnica delle idee
intellegibili separate dalla realta emprica, nonostante le numerse aporie cui
essa ha dato luogo nella prima parte del Parmenide*2. Anche questa iettura mi
pare tuttavia inaccettabile, soprattutto perch non tiene conto dellintento espli-
citamente formulato da Parmenide di estendere lindagine di ale t tica agii enti
che si colgono con il ragionamento e che possono essere considerati generi
(135e2-3), per meglio preparare Socrate ad afFrontarne le difficolt.
(3)
Luno e i molti coincidono con i concetti di unit e molteplicit o con i corri-
spondenti termini linguistici. Infacti, n seguito alie insuperabili critche mosse
da Parmenide alia dottrina dei generi, emergerebbe nella seconda parte del
Parm enide un nuovo orientamento filosofico: ie idee, non p considerate come
enti realmente esistenti e caratterizzati da un preciso statuto ontologico, sarebbe-
ro invece concepite come semplici paradigmi del linguaggio, strumenti a priori
per la definizione del significato delle parole. Lesercizio diaiettico avrebbe in tal
caso un obiettivo esclusivamente logico e semntico che consiste nellelaborazio-
ne di una teoria dei tipi linguistici capace di distinguere fra le diverse categorie
generali dei predicad e dei concetti, con il comportamento logico1 (logical
behaviour) che a ciascuna conviene13.

(4)
Luno e i molti non hanno nula a che vedere n con le idee (platoniche) delluno
e della molteplicit n con la dottrina parmenidea dellunit del tutto. Questa

11 Prm. 137b2-3: Volete ... che si cominci da me stesso e dalla mia ipotesi (dir
cp.ai)ToO ... rai tt]? ejj.auToO imoOeaeus), dalluno in sc
12 Questa e Tinterpretazione avanzata oggi da L . BlUSSON, Platon, Parmenide cit.,
20-23; 43-73. Sullinterpretazione di Brisson e, pi in generale, sulla natura sensibile o
intellegibile del turto-uno parmemdco , cfr. imiei articoli Fra Parmenide e Platone. Una
nuova edizione jrancese del Parmenide, in GCFI, XV, 1995/3, 382-390; e L a dottrina
eleatica dellunita del tutto': Parmenide, //Parmenide platonico e Aristotele cit., 1-2.
13 Mi riferisco qui a G. R y l e , Plato's Parmenides cit., padre riconosciuto
dellinterpretazione logico-analitica del Parmenide, che ha riscosso grande successo
fra gli studiosi contemporanei, specie nel mondo anglo-sassone. Si veda in proposito
la mia Guida alla lettura de! Parmenide d i Platone ck., pp. 116-122.
CHH FARAi, S O C R A T E , D EL LA F IL O SO F IA ? LA SE C O N D A PA RTE D E L P ARM EN ID E 295

interpretazione non riconosce alcun rapporto fra la prima e ia seconda parte del
dialogo e nega tout court Funit argomentativa e teorica del Parm enide'A.

2. L esercizio dialettico

Consideriamo nuovamente gli element! a nostra disposizione.


Lesercizio dialettico contenuto nella seconda parte del Parmenide
costituisce, secondo Parmenide, unadeguata preparazione per de-
finire lo statuto ontologico dei generi (pi^ecrBai ... v Kacrrov
t v e i jy ) e sciogliere cosi ie contraddizioni che affliggono la teo

ria delle idee (135c5-d5). Ammessa questa premessa, mi sembra


owio e necessrio supporre che la yufivaoia abbia a che fare con le
difficolt sollevate nella prima parte del dialogo rispetto al rappor
to fra le idee e le cose: cosa accade aile idee e aile cose empiriche, se
le idee sono contemporaneamente separate dalle cose empiriche e
da esse partecipate? E ancora: cosa obiettare a chi negasse lesisten-
za delle idee separate o affermasse che la separazione impedisce
qualunque relazione fra le idee e le cose empiriche?15 Non a caso,
Fesercizio dialettico, che coincide proprio con il metodo che Zenone
applicava allanalisi dlia realt sensibile, viene ora esteso alla sfera
intellegibile, come Socrate aveva fin dal principio consgliato
(135d7-e3). D altra parte, bench in qualche modo connessa aile
aporie dei generi e dlia partecipazione, la dimostrazione di
Parmenide esplicitamente consacrata alla tesi eleatica delf unit
del tutto e dlia negazione dlia molteplicit (137b 1-4)l6. Come
spiegare questa ambivalenza?

14 Una simile posizione (per la quale cfr, ancora la mia Guida alla lettura del
Parmenide di Platone cit., pp. 114-116) induce a considerare la seconda parte del
dialogo come semplice parodia metodologica anti-zenoniana o corne esempio di
disputa eristico-sofistica o infine comtjeu d'esprit privo di quasiasi iateato fdosofico
positivo e dimostrativo.
15 La prima di queste difficolt, esposta in diverse versioai e da diversi punti di
vista in Prm. 130e4-133a3, conduce al paradosso del ter/o umo; la seconda, la
difficolt pi grande, illustrata in Prm. 133b4-135b2 (cfr. i capp. IX-XI).
16 Sulla formulazione dellipotesi di Parmenide, con le ambiguit cui d luogo,
rinvio ancora al mio articolo Quelle est l hypothse de Parmenide dans Platon, Parm.
137bl-4? cit.
296 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

Abbiamo visto che la confutazione della moltepicita degii end


sensibili era concepita da Zenone con Tnico scopo di fornire una
conferma della dottrina parmenidea delTunit del tutto: i molti,
di cui Parmenide (indirettamente) e Zenone (direttamente) nega-
no Tesistenza, si colocano sul piano sensibile e si riducono dunque
alia pluralit delle cose empiriche. Analogamente, per quanto ri-
guarda il tutto-uno di cui Parmenide (direttamente) e Zenone (in
direttamente) affermano Tesistenza, probabile che, nelTinterpre-
tazione di Piatone, coincida con Tuniverso spazio-temporale e ap-
par tenga quindi alia sfera sensibile, anche se i dialoghi non offro-
no, in proposito, una testimonianza certa e definitiva17. In ogni
caso, pur scegliendo di cominciare dalla propria ipotesi filosfica
(137b 1-4), Parmenide dice chiaramente che qualsiasi elemento puo
essere assunto come oggetto delTesercizio dialettico, purch, in ogni
caso, lo si consideri ora come essente ora come non essente e s
valutino le conseguenze della sua esistenza o non esistenza per s
stesso e per tutte le altre cose con cui intrattiene o non intrattiene
relazioni (136b4-c5). E legittimo dedurne che, quale che sia la cop-
pia di opposti prescelta, Tesercizio rimane comunque il solo effica-
ce strumento propedeutico alia soluzione dei paradossi dei generi:
la coppia eleatica uno - molti non dunque Tunica possible, an
che se, forse, la pi adatta.
Formulo allora questa ipotesi: se Tesercizio dialettico ha un valo
re metodologico che indipendente dalToggetto assegnatogli e se il
suo scopo dawero quello di preparare Socrate ad affrontare con
success o le aporie dei generi, si puo ritenere che, nel contesto della
seconda parte del dialogo, Tanalisi della relazione fra uno e molti
rinvii in realt al rapporto fra idee e cose. Gia nella prima parte del
Parmenide (1 3 la7-8; e3-4; 132al-7), Piatone esprime rapporto
fra le idee e le cose nella forma delTopposizione delTunit alia mol-
teplicit: ogni idea, indistintamente, una singla unit (ev)
intellegibile di fronte alia moltepicita delle cose sensibili (ra TroXXd)
che ne partecipano e che sono, a loro volta, altre dalle idee (r

u Rimando ai mo articoio L a dottrina eleatica delP'unith d el tutto Parmenide, il


Parmenide platnica e Aristotele cit., 1-2, per una discussione della presentazione
del pensiero di Parmenide e della resi eleatica del tutto-uno nel Parmenide e negli altri
dialoghi plato nici.
C H E PARAI, S O C R A T E , D ELLA F IL O SO F A ? LA SE C O N D A FA R T E DEL P A R M EN fD E 297

aXXa cTujv e8tov>), e tutto il problema precisamente quello di


capire come un nica unit ideale possa essere presente contem
poraneamente in pii cose empiriche. E nel Fedro (2 4 9 b 6 -cl),
Socrate insiste sulFopporumita di comprendere ci che si chiama
idea, passando dalla molteplicit delle sensazioni (k ttoXXv
v t aia0rCT6Lov), alFunit cota con il ragionamento (eis ev
XoyiCTiiw cruvcapo|aevov). Ma Findicazione decisiva si trae da un
passo del Filebo: in I4c7-15c3, Socrate richiama Fattenzione dei
suoi interlocutori sulla relazione fra uno e molti, non per rispetto
alFunit e alla moltepiicit che si trovano nelle cose sensibili (come
nel caso de corpo umano, che uno nel suo insieme e moltepice
rispetto alie sue parti), ma quando si pone come uno qualcosa che
non si genera e non si corrompe (TrTav ... t ev p,f) rwv
yiyvo|_ivwv r e ral TroXXLi[j.vtoy t i s TifjTai), un idea, e ci si
interroga innanzitutto sulFesistenza di simili enti (uptTov \iev el
Ttvas* e T o ia u T a e iv a i [lov Sas* iT roX ap ^ vav XqG o a a )
e in seguito sulle modalit secondo cui taii unit, pur rimanendo
uniche e auto-identiche, possano essere presenti nelFinfinita mol-
teplicit delle cose in divenire ([ict S to u t ev tol yiyvofjiiioLS'
au K a i Trpois1 ... atjrqy ... Berov)18.
La distinzione tracciata nel Filebo, che riduce i confronto fra
Funit e la molteplicit sul piano sensibile a un banale gioco da
ragazzi (TraLapicq, I4 d 7 )19 e attribuisce invece grande seriet
filosofica alla relazione Verticale fra Funit intellegibile e la molte
plicit sensibile, induce a supporre che, nella seconda parte del
Parmenide, Fuo (t ev) coincida con ciascuna idea indistinta-
mente, considerara come singla unit monadica, e rappresenti
percio la sfera intellegibile nel suo insieme; e che gli altri dalFuno
(Ta XAa toD evos1) i molti (Ta uoXAd) coincidano con Finfi
nita pluralit delle cose empiriche che delle idee partecipano. Del

18 Si ricordera che precisamente in questi termini si pone il dilemma della


partecipazione delle cose empiriche alie idee sollevato neila prima parte del Parmenide
(cfr. i 1 e 5 del cap. VIII).
ly Evidentemente, se il tutto-uno attribuito a Parmenide dawero di natura
sensibile (cfr. supra, n. 17), in questo caso anche la dottrina eleatica si riduce, secondo
Plato ne, a un banale confronto fra 1unit e la molteplicit sul piano sensibile, un gioco
da ragazzi, semplificazione ingenua e un po grossolana di un problema filosofico
fondamentale (cfr. anche Prm. 128e5-130a2).
298 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

resto, come le idee rispetto alie cose, cosi Tuno condizione del-
lesistenza, delia conoscibilit e delia dicibilit dei molti, dal mo
mento che, senza I5uno, i molti non sono, non sono conoscibili n
dicibili20. Ecco perch Parmenide introduce la sua ipotesi, relativa
alluno in s (irpi roD vo auTo, 137b3), con unespressione
che Platone riserva normalmente ai generi ideali21. Lesercizio svol-
to da Parmenide ripropone cosi gli interrogativi emersi nella prima
parte dei dialogo, non pi, pero, nella forma dellopposizione fra
idee e cose, ma nel confronto dialettico fra 1uno e i molti:

( 1 ) ,
se luno e se non (= se la sfera intellegibiie delle idee esiste e se non esiste), cosa
accade alluno stesso e ai molti (= alia molteplicita degli enti empirici che dee idee
partecipano)?

E inoltre:
(2 )
se luno separato e se non separato dai molti (= se la sfera intellegibiie dele idee
separata e se non separata dalla molteplicita degli enti empirici), cosa accade
alluno stesso e ai molti (= alia molteplicita degli enti empirici che delle idee
partecipano)?

Questa interpretazione trova unulteriore conferma, mi pare, nella


constatazione che il linguaggio utilizzato per descrivere le relazioni
(o Tassenza di relazioni) fra uno e molti corrisponde al Vocabol-
rio della partecipazione e della separazione fra le idee e le cose.
Infatti, se Tuno detto in s ( < c t l j t > K a 0 a i r r ) , separato ( x o o p ? ),
rispetto a s5o in relazione a se (irpo abro), allora non presen
te nei molti ( v t iroXk ol>k v e c m ) , non ne partecipa (oj
[ i C T x f t, o) Koivovel) n i molti partecipano deliuno; viceversa, se

20 Se i molti partecipano delluno, assumendo cosi un limite determinato alia loro


infinit, si rivelano in possesso di tutta una serie di caratteristiche, come somiglianza
e dissomiglianza, identit e differenza, quiete e moto: a queste condizioni, molti sono,
sono pensabili e dicibili (terza serie di deduziom: 157b5-159a9, cfr. il 2.3 di questo
cap. X II). Se i molti non partecipano delluno, e la loro contrad ditto ria infinita rimane
priva di ordine e di limite, non sono neanche molti, perche, per essere molti, ciascun
elemento della molteplicita dovrebbe, in quanto elemento uno, partecipare dellunit:
senza luno invece, i mold non sono, non sono pensabiii n dicibili (quarta serie di
deduzioni: 1 5 9 b l-l6 0 b l, cfr. il 2.4 di questo cap. XII).
21 Cfr. il 1 del cap. IV; e il 1 del cap. V II, soprattutto n. 9.
CH E PARAI, SO CRA TE, DELLA FILOSOFIA? LA SECONDA PARTE DEL PARM EN ID E 299

Tuno detto in altro (v tois aXXois*), 'non separato (o x^P1?)*


rispetto ad altro o in relazione ad altro (Tipo? Ta aXXa), allora
presente nei molti (v ros1 ttoXXo'ls evecm), ne partecipa (jieTxei,
Koivcavet) e i molti partecipano delluno22.
Le otto serie di deduzioni dovrebbero insomma aiutare a scopri-
re cosa accade alie idee e alie cose sensibili se, parafrasando una
celebre formula aristotlica particolarmente appropriata, ogni idea
contemporneamente t 6 ev v ttoXXoi (ununit <intellegibile>
nella molteplicit <sensibife>) e t o v m ttoXXols (ununit
<intellegibile> al di l dlia molteplicit <sensibile>23.

2.1 La prima serie di deduzioni (137c3-l42a6)


Se luno u n o ,... non pu essere molti (el v cm v , ... oik av
eir| TioXX t v)24. Pertanto, se dawero uno e non ha alcun

21 E viceversa: (1) se i molti sono detti separad o rispetto a s stessi, allora non
partecipano delluno n Tuno presente in essi; (2) se i molti sono detti non separad
o rispetto ailuno, allora partecipano delluno e F uno presente in essi. A titolo di
esempio, nella seconda parte del Parmenide, lespressione <ar> kol0 arr , compare
in 143a5-6; 158a2-3; in 159b4-5; 159c4-6; Tipos a)T o TTps- T" aXXa, in
I4b5; c3; l47b 4-5; 150el; 160b2-3; l64a2-3; 166c4; velfai o v... etu ai in I48d7-
8; l49c6-7; 151a7-8; i verbi peTxeif e Koitm'eip in l49c4-6; 157c2-3; 158a3;
158d3; 159d l; I66a2. Lo stesso linguaggio utilizzato da Platone per descrivere lo
statuto ontologico dele idee e la partecipazione (o lassenza di partecipazione) fra cose
e idee nella prima parte del dialogo, cfr. il 1 del cap. VTI e le n. 9 e 11.
23 Come noto, proprio in questi termini Aristotele presenta (e critica) la
posizione di Platone: ammettere lesistenza delle idee significa porre ununit al di l
dlia molteplicit (to v ettl TroWos-), cfr. D e ideis, 80, 8-15; Metaph. A, 990b7-8
sgg.; 991a2; Z, 1040b29 sgg. In proposito, si vedano solo YAppendice III, 2, e W.
Leszl, //De ideis d i Aristotele cit., 141-171. Mi limitera qui a esporre il contenuto
dellesercizio dialettico dlia seconda parte del Parm enide dal punto di vista dellipotesi
interpretativa appena formulata. Infatti, il dettagliatissimo svolgimento, da parte di
Parmenide, di ogni mnimo particolare delle otto serie di deduzioni sembra a tratti
perfino sovrabbondante: se la questione posta a tema si riduce essenzialmente al
dilemma dlia partecipazione e dlia separazione fra le unit ideali e intellegibili e la
molteplicit emprica e sensibile, perch soffermarsi cosi a lungo sulla descrizione
specifica delle diverse figure spazio-temporali delluno e dei molti? Una possibiie
risposta a questo interrogativo che Platone abbia composto la seconda parte del
Parmenide imitando, non senza una certa irona, il lmguaggio e la struttura del mtodo
zenoniano, che, a quanto risulta dalle testimonianze antiche, doveva distinguera per
una straordinaria precisione e minuziosit logico-argomentativa. Per unanalisi e un
commento pi puncuali e particolareggiati degli argomend d Parmenide si vedano le
mie note alla traduzione di PLATONE, Parmenide cit., 119-144.
24 Lawio di questa serie di deduzioni (se luno uno) potrebbe sembrare in
contraddizione con il programma annunciato da Parmenide, che assegnava alfa prima
300 FRANCESCO FR O N TERO TTA

rapporto con la molteplicit, Tuno sar privo di parti e non potra


costituire un tutto, perch, se avesse parti, ammetterebbe al pro-
prio interno la molteplicit25. Da questo presupposto negativo de-
rivano una serie di conseguenze relative alia configurazione spaziale
deUuno: se privo di parti, non potr avere principio n fine n
forma alcuna e sar quindi infinito e informe. Non potr muoversi
n rimanere fermo, non essendo composto di parti diverse che con
temporneamente risiedano nello stesso luogo o si dirigano verso
uno stesso luogo, n subir mutamenti, perch, mutando, non sa-
rebbe pi Tuno ma altro daHuno. Non sar neanche affetto da iden-
tit e diversit rispetto a s o ad altro: rispetto a s, perch, se fosse
diverso da s, non sarebbe pi luno, mentre, se fosse idntico a s,
occorrerebbe introdurre la natura deUidentico (che non idntica
alia natura delfuno) come seconda cosa esistente oltre luno; ri
spetto ad altro, perch, se fosse idntico ad altro, nuovamente, non
sarebbe pi Tuno, mentre, se fosse diverso dallaltro da s, occorre
rebbe ammettere la natura del diverso (che, anchessa, non coincide
con la natura delfuno) come seconda cosa esistente oltre Tuno.
Senza le categorie di identit e diversit, impossibile porre, per
Tuno, somiglianza e dissomiglianza, uguaglianza e disuguaglianza
o qualunque altra forma di relazione con s e con laltro da s. Ci
determina unulteriore, radicale conseguenza rispetto al tempo e
alia temporalit: se Tuno non ammette alcun tipo di relazione con
s e con laltro da s, in una simile indiscriminata esclusione saran-
no necessariamente coinvolte le relazioni temporali. Luno non potr

parte delFesercizio Findagine delle conseguenze deilipotesi se luno e. Si compren


der sbito invece che, essendo Fuo considerato qui esclusvamente rispetto a s
stesso e alia propria unit, dunque privo di qualunque rapporto con la molteplicit,
la formulazione se luno uno equivale a quella, pi precisa, se luno <separato dai
molti>:.
25 Cfr. Sph. 2 4 5 a l-c l0 , in cui la polmica contro il monismo eleatico e condotta
sulla base delFidentco argomento: se il tutto uno, luno e un tutto composto di parti
diverse o no? Infatti, il rapporto tutto-parti introduce contraddittoriamente la
molteplicit nelluno, ma dalcro canto, se Fuo non un tutto e non si compone di
parti diverse, mancher di qu elle parti che compongo no Htutto e chesonopidi una,
rivelandosi cosi in qualche modo privo di s stesso. Un primo risultato delFesercizio
dialettico del Parmenide e allora la rigorosa confutazione di ogni possibile monismo
sensibile o intellegibile, materiale o ideae, dunque anche di quello parmenideo. Cfr.
VAppendice I, 2.
CH E TARAI, SOCRATE, DELLA FILOSOFIA? LA SEC ON DA PARTE DEL PARM EN1DE 301

cos essere n divenire p giovane o pi vecchio o dela stessa


et di s o delaltro da s n potra, a queste condizioni, essere nel
tempo e parteciparne, poich la temporalit impone ai suoi ogget-
ti, nello svolgimento continuo dal passato al presente e al futuro, la
generazione e la corruzione, il divenire e la trasformazione, dunque
il farsi altro rispetto a s e allaltro da s. In ultima analsi, colloca-
to al di fuori del tempo, Tuno rimarr privo di determinazioni, non
sar e, non essendo, non sar neppure uno. Lassoluta assenza di
definizione propria di questo vuoto predicativo e ontologico im-
pedisce che delluno si dia nome, sensazione o scienza e che intor-
no alluno si formuli un discorso o perfino unopinione (ouS apa
o v o fia I o t i v a b r oS Xyos1 oiS tls* cTTicnruiT] o>8e alaOriCTis
oii8 8a).
La prima serie di deduzioni segue un ragionamento lineare e ri
goroso: assunto nela sua unit, che nega quasiasi rapporto, intrin-
seco o estrinseco, con la molteplicit, luno si rivela innanzitutto
irriducibile alio spazio e a tempo e quindi, inevitabilmente, alia
relazione con le realt spazio-temporaii. In quanto tale, luno sfug-
ge al linguaggio e al pensiero che operano esclusivamente neUam-
bito dele coordinate dello spazio, del tempo e delle relazioni spa-
zio-temporali o, almeno, a partir da queste. Ecco in che senso
Tuno detto informe e infinito, non essente e non uno: non per
ch, in s, luno sia dawero informe o infinito o non essente o non
uno ci che impossibile affermare, visto che, aspaziale e
atemporale, luno in s si pone al di la delia definizione e della co-
noscenza ma, al contrario, proprio perch, collocandosi al di fuo
ri della sfera spazio-temporale del linguaggio e del pensiero, risulta
impossibile e contraddittorio attribuirgli qualunque determinazio-
ne, fosse pur la stessa unita o fesstenza26.

2GAncora nel Sofista (251a8-252b6), sono espiorate le conseguenze dellassoluta


assenza d partecipazione fra le cose che sono: se nuila pattecipa di nulla, nessuna
caratterisrica o propriet potr essere attribuita ad alcunch e nessuna affermazione
sar vera di alcunch, perch il linguaggio e 1 pensiero operano di necessita attraverso
la connessionedee parole o dei concetti, che riproduce a sua volta la connessione degli
enti corrispondenti. Cfr. XAppendice I, 5.
302 FRANCESCO FRONTF.ROTTA

2.2 La seconda serie di deduzioni (l4 2 b l-1 5 5 e 2 ; 155e3-157b4)


Se Tuno , ... partecipa dellessere (ev el ecrnv, ... oim as1
fj.TxeL t 6 ev). Luno e fessere costituiscono allora due part di
stinte (altrimenti, dicendo Tuno, si direbbe anche lessere, e, dicen-
do fessere, si direbbe anche Tuno) di un tutto. Bisogna inoltre in-
trodurre nel tutto, come sua terza parte, la natura del diverso che
rende diversi Tuno e lessere senza coincidere tuttavia n con Tuno
n con lessere. In seno alTuno, che si rivela adesso come un tutto
composto di parti, compare cosi la molteplicit e, con essa, Tinfini-
ta serie dei numeri, pari e dispari27. Lammissione del rapporto fra
uno e i molti determina nuove e numerse conseguenze relative
alia configurazione spaziale delfuno: rispetto alie infinite parti di
cui composto, Tuno infinito e ilmitato; rispetto alia totalit
che costituisce, Tuno limitato e finito. In questo caso, avr princi
pio e fine e una figura particolare e determinata; sar immobile in
s stesso, in quanto presente nelle sue parti, e in movimento nelFal-
tro da s, in quanto presente come totalit in un luogo esterno che
lo contiene. La prospettiva di generale partecipazione fra Tuno e i
molti, in cui ogni cosa in relazione con ogni cosa (rrav ttou
npo? arrav Se exei), stabilisce immediatamente e di necessit le
categorie di identit e differenza: Tuno infatti, in quanto s trova in
s nelle parti che lo compongono, idntico a s stesso e diverso
dalfaltro da s; ma invece, in quanto si trova nelfaltro da s in un
luogo esterno che lo contiene, diverso da s e idntico alFaltro da
s28. E analogo ragionamento vale per la somiglianza e la dissomi-
glianza, Fuguaglianza e la disuguaglianza.

27 L uno posto in relazione con la molteplicit, e da questa partecipato, diviene


percio infinito in pluralit (I43a2: chreLpov ... t TX.fjGos'), come pur infinita in
pluralit (d-rreipa t 'X.f|0os-) si era rivelata ogni idea soggetta aliaporia del terzo
uomo e del regresso infinito a causa della partecipazione da parte delle cose sensibi
(132b 2). Ancora unindicazione che conferma, mi pare, linterpretazione suggerita:
Tuno dellesercizio dialettico rappresenta ogni singla idea e tutte le idee - nel suo
rapporto con la molteplicit delle cose empiriche partecipanti.
28 Parmcnide non presuppone qui naturalmente la dottrina della partecipazione
fra i generi come elaborata da Platone nel Sofista (254d4-258c5) e confonde, a mi
parere volontariamente, la reciproca contrariet di identit e diversit con la parteci
pazione delFuno alfidentit e alia diversit insieme, ci che di per s non da luogo ad
alcunacontraddizione. Cfr. in proposito YAppendiceI, 7; G. S a s s o , op.cit., 157-167;
e D. O 'Brien, op.cit., 13-15 e 57-64.
C H E FARAI, SO CRA TE, DELI.A R LO SO FIA ? LA SEC ON DA PARTE DEL PARM EN D E 303

Inoltre, Tuno che ed in relazone con la molteplicit non pu.6


che essere e divenire nel corso eterno della temporalit e, a seconda
che lo si consideri nel passato, nel presente o nel futuro, come un
tutto o rispetto alie parti che io costituiscono, potra essere detto di
volta in volta pi giovane, pi vecchio o della stessa eta di s e
delle altre cose. Del resto, implicando il tempo la generazione e la
corruzione, il venire allessere e il perire e ogni sorta di trasforma-
zione e di movimento, luno nel tempo sar essente e non essente,
ora in quiete ora in moto, per un verso uno e per altro verso molte-
plice, ci che dovr awenire sempre in tempi diversi, poich im
possibile che a un ente siano attribuite insieme opposte affezioni.
in un momento determinato, allora, luno o in quiete, mentre,
nel momento seguente, non o in moto: ma dove si verifica la
transzione dalla quiete al moto, dallessere al non essere? Non nel
tempo, perch in una sequenza temporale Tuno non pu passare
direttamente dalla quiete al moto o dallessere al non essere (non
essendo possibile che dalla quiete si generi il moto o dallessere il
non essere); neanche tuttavia fuori dal tempo, perch ogni forma
di divenire e di trasformazione awiene nel tempo. Occorre quindi
ipotizzare lesistenza di un luogo intermedio, che, interrompendo
il continuum temporale, permetta il reciproco mutarsi degli oppo-
sti: si tratta dellistante ( t ^a^i/r)?), frammento di tempo, ma
contemporneamente esente, come singolo frammento, dal movi
mento e dal divenire temporali. NeUistante, Tuno muta istantane-
mente (a4>vrs') e, mentre muta, non n essente n non essen
te, n in quiete n n moto29. Luno che , in quanto , costituisce

29II passaggio o la trasformazione di un ente da uno staco qualunque alio stato


opposto non pu awenire senza che si verifichi una soluzione di continuit. Infatti,
dalla quiete come tale o dallessere come tale non possono generarsi direttamente il
movimento o il non essere, perch inammissibile, secondo Platone, che la quiete in
s, se quiete, si metta in movimento, o che Pessere in s, se , cessi di essere. Occorre
quindi supporre che Tente che si trova in quiete (o che ), prima di porsi in movimento
(o di cessare dessere), attraversi uno stato neutro, n di quiete n di movimento (o
n di essere n di non essere). Tuttavia, ogni trasformazione di questo genere
rappresenta una forma di divenire e awiene dunque nel tempo, che, a sua volta, una
successione continua di momenti passati, presenti e futuri. Ecco la ragione dellipotesi
dellistante (a-<f>i/rS'): Pistante un frammento del tempo, ma, in quanto singolo
frammento isolato, interrompe la continuit del divenire temporale. In tal senso,
Pistante, in virt della sua duplice natura (temporale e non temporale insieme),
304 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

Toggetto della scienza e dellop ini one, della percezione e del lin-
guaggio (TTio"TTjp.ri Sf] dr] dv auro Kai Sa K a l aicr&rioxs' ...
Kai ovo]ia 8f] K a l A.oyos1)30.
In condusione, nella seconda serie di deduzioni, Funo non e se-
parato, si apre originariamente al rapporto con la molteplicit e si
colloca perci nello spazio, nel tempo e nelle relazioni spazio-tem-
porali. Ricadendo cosi interamente nella sfera del dicibiie e del
pensabile, del linguaggio e delia scienza, puo essere conosciuto e
nominate. D altra parte, luno e in tai modo coinvolto nelle infinite
contraddizioni della molteplicit, dello spazio e del tempo, parteci-
pa di ogni affezione e del suo opposto, rispetto a se e allaltro da se31.

rappresenta quello stato neutro nel quale possibile collocare la transizione fra due
opposte condizioni: neliistante infatti, lente in quiete abbandona la quiete, senza
ancora cominciare a muoversi; e lente che cessa di essere, senza ancora essere del tutto
non essente. Abbiamo visto (nel 3 del cap. Ill, soprattutto n. 41) che Platone si serve
al trove dellambigua nozione dell3istante per descrivere Fascesa dalla conoscenza delle
cose di questo mondo alia conremplazione delle idee, ascesa che presuppone anchessa
una brusca interruzione di continuit: come si dice in Smp. 2 1 0e2-21 la4, chi sia ben
progredito dalla percezione della bellezza sensibile alfapprensione della bellezza
propria delle scienze e dei concetti, istantaneamente (m^PTjS', 210e4) avr a
visione immediata e compiuta dellidea del bello, del bello in se. Cfr. inoitre, in
proposito, il 3 della Condusione di questa ricerca; L. BRISSON, L instant, le temps et
l ternit dans le Parmnide (155e-157b) de Platon cit.; e F . FRONTEROTTA, Essere e
tempo nel verso 5 delframmento 8 del Poema di Parmenide cit.
30Hoconsiderato ilpasso 15 5e3-157b4 come uno svolgimento dlia seconda serie
di deduzioni e non come una sezione autonoma (cfr. L. BRJSSON, La question du statut
de Parm. 155e4-l 57b5 dans la secondepartie du Parmnide de Platon examine l'aide
de l informatique et de la statistique lexicale, in A A .W ., Recherches sur la tradition
platonicienne [Platon, Aristote, Proclus, Damascius], Paris, Vrin 1977, 9-29; V. D c a r ie
& L. BRISSON, L e nombre des hypothses du Parmnide. La 'troisime fo is [155e4] de
quelle d euximefois?, in RhM, CXXX, 1987,248-253). Sebbene in 155e3 Parmenide
affermi: Diciamo ancora per la terzavolta... (en Si] ro TpTOK X^pey), non si tratta
evidentemente di una terza serie di deduzioni, ma di una terza possibilit da esaminare
nel rapporto fra Funo e il tempo sempre nelFambito dlia seconda serie di deduzioni:
luno ed nel tempo (155c3-5); Funo non e non nel tempo (155c5-6); Funo e
non ed en o n nel tempo (155e3 sgg.). Bisogner dunque capire come Funo possa,
nel tempo e fuori di esso, passare da una certa condizione a quelia opposta, ponendo
cio il probiema della natura del continuum temporale. 11 dibattito sulla questione
tuttavia assai aperto, cfr. R.. A l l e n , P latos Parmenides cit., 261.
31 Cfr. Sph. 252d 2-l 1, in cui la discussione mostra come Peventualit che ogn
cosa partecipi di ogni cosa conduca necessariamente allinsostenibile contraddizione
delFidentificazione degli opposci, come nel caso delFattribuzione de! movimento alla
quiete o dlia quiete al movimento. Cfr. YAppendice I, 5.
C H E EARA1, S O C R A T E , DELLA. F IL O SO F IA ? LA S E C O N D A PA R TE D E L P A R M EW D E 305

2.3 La terza serie di deduzioni (157b5-159a9)


Cosa accade agli altri dalFuno, se Funo ... e ne partecipano?
(tl 8 T XXoi Trp00T]K0L v u d a x e iv , ev el e c m v ... e r a !
toD e v TXXco p.erxeL;)- Gli altri dalFuno, i molti, sono un
insieme composto di diverse parti ehe costituiscono a loro volta
singole unit di una molteplicit. In questo senso, se alFinterno
della molteplicit compare Funit, bisogna affermare ehe i molti
non sono privi delluno, ma in qualche modo ne partecipano (o8
p.f)v a r p e T c ye ...to v s tSXXol, XX p.eTxei rrri). Parteci-
pandone, i molti assumono un limite finito (Trepa?) alia prpria
essenziale infmit (onreipiav) e saranno in possesso di tutte le carat-
teristiche e le propriet ehe erano state attribuite aliuno ehe (come
somiglianza e dissomiglianza, identit e differenza, quiete e moto).
Lesercizio dialettico esplora dunque, nella terza serie di deduzio
ni, le conseguenze delia postulazone deli1uno ehe per gli altri
dalFuno, supponendo ehe gli altri daliuno, i molti, partecipino
tuttavia delFuno. In tal caso, in virt dei rapporto partecipativo, i
molti acquistano dalFuno una lunga serie di determinazioni, anche
fra loro contraddittorie, precisamente quelle che la seconda serie di
deduzioni assegnava alFuno ehe .

2.4 La quarta serie di deduzioni (1 5 9 b l-1 6 0 b l)


Cosa accade agli altri dalFuno ..., se Funo ... ed separato?
(e v e e m , t l XPT| T dXXa t o kv Treirovvai,... x ^ p '1?
to v t w v dXXtov;). G altri dalFuno, i molti, in quanto sono

Faltro ( e T e p o v ) dalFuno, saranno separati dalFuno e Funo da essi


( x w p l s 1 j i v t o v tuSv aXXwv, x ^ P 1^ rXXa t o v ) e,
quindi, Funo non sar affatto presente nei molti ( o t dpa ... eurj
av t e v ev t o i aXXois1) n i molti parteciperanno delFuno
(oSevl apa TpTrw [ l e T e x o i av TaXXa t o vs). Lassoluta
separazione fia uno e molti, con Fassenza di partecipazione che ne
consegue, impedisce alFuno di possedere parti diverse e di costitu-
ire un tutto, ma impedisce soprattutto ai molti di essere i molti,
perch, senza Funo, impossibile ehe esista una molteplicit com
posta dalFinsieme di singole unit. Gli altri dalFuno, ehe non sono
cosi n uno n molti, non saranno perci affetti da somiglianza e
dissomiglianza, n da identit e differenza, n da quiete e moto, n
in generale da nessuna di simili qualit.
306 F RA N C ESC O F R O N T F. R O T I'A

Neiia quarta serie di deduzioni, che affronta ancora ie conse-


guenze delia postulazione delFuno per gli altri dalFuno, viene sta-
bilita la radicale separazione delFuno dai molti. Luno dovr allora
essere rigorosamente uno ed estraneo alia molteplicit (come awe-
niva nella prima serie di deduzioni) e i molti, non partecipando
delFuno, rimarranno privi di qualunque determinazione, non sa-
ranno e non saranno neanche molti.

2.5 La quinta serie di deduzioni (160b4-163b5)


Se luno non , ... diverso dagli altri dalFuno (et |ifi eori t
ev, ... fTcpov Tv XXov). Sebbene infatti, come evidente nella
prospettiva platnica, il non essere sia nconoscibile e impensabile,
in questo caso, il non preposto alF' non enuncia la non esistenza
delFuno, ma soltanto la sua diversit dallaltro da s (8t|Xl otl
CTcpov Xyei tv dXXojv t |if| ov). Conseguentemente, delluno
che non si d scienza e conoscenza, opinione e discorso, perch,
altrimenti, non sarebbe possibile dirne o pensarne alcunch32. Luno
che non , se il suo non essere coincide con ia diversit dallaltro
da s, sar diverso, disuguale e dissimile dai molti, ma anche simile,
uguale e identico a s stesso. Possedendo queste caratteristiche, do
vr partecipare in qualche modo dellessere (oiiatas1 ye Set aT
P -erx c L v Trrj), mentre, essendo Tuno che non , parteciper del
non essere (t o c l v a i ... p - T ea T i), mutando cosi di continuo la
propria condizione, muovendosi e divenendo nel tempo.
Il previsto capovolgimento delfipotesi iniziale induce a valutare,
nella quinta serie di deduzioni, le conseguenze delfassunto: se Funo
non . Ammesso pero che il non essere esibisce qui solo la diver
sit di cio che non , Funo che non stabilisce essenzialmente una
relazione (di diversit) con Faltro da s, con i molti. Da questo
punto di vista, alluno che non occorre attribuire Fesistenza e la
presenza nello spazio e nel tempo, oltre alForiginaria partecipazio-
ne allinfinita molteplicit.

32 Come emerge chiaramente ne! Sofista (257al-c4; 258 a 7 '2 5 9 a l), lelaborazio-
ne delia categoria del diverso rende in certa misura pensabile il non essere, inteso corne
divcrsic daliessere, proprio in virt del fatto che il non pu non implicare la
negazione assoluta di cio che negato, ma la sua diversit (a non b = a diverso
da b) dallaltro da s. Cfr. YAppendice I, 7.
C H E FARAf, S O C R A T E , D EI.LA F IL O SO F IA ? LA SE C O N DA PA RTE D E L PARMENIDh: 307

2 .6 La sesta serie di deduzioni (I63b 6-164b 3)


Se Tuno non , ... non partecipain nessun modo dellessere (ev
el fif] e o ri, ...ovS ttt] fieTx^i o im a ? ). In quanto non partecipa
affatto delFessere, Puno non , non era e non sar, mai venuto e
mai verr allessere. Non si trovera nel tempo e non subir alcuna
trasformazione, non sar in quiete n in moto, n idntico n di
verso n simie n dissimile ad alcunch e da acunch. Lassoluta
assenza di essere (oucras' Trouaav) inibisce ogni conoscenza e opi-
nione delFuno che non , ogni sensazione, discorso e nome (f|
mcnT||JLr| f| 8a f| aiaOqoLS' f| Xyos* fj ovopa).
Se Tuno non in nessun modo e a nessuna condizione, come si
suppone nela sesta serie di deduzioni, non ha aicun senso chiedersi
se sia separato dai molti o in essi presente, se sia pura unit o am-
metta al suo interno la molteplicit: non essente e perci oscuro
allindagine, necessario tacerlo e allontanarlo dal pensiero33.

2 .7 La settima serie di deduzioni (1 6 4 b 4 -l6 5 e l)


Se Tuno non , ... gli altri dalPuno sono altri solo ... fra loro (ev
el jj.fi eori, ... t ye Xka eTepd eoriv ... \\r]Xwv). Gli altri
dalPuno, i molti, in quanto altri da (dXXa), stabiliscono una rela-
zione di diversit rispetto a qualcosa. Non pero rispetto alluno, che
non e di cui pertanto non partecipano, ma esclusivamente rispetto
a s stessi e reciprocamente (XXf|Xcji'). La molteplicit sar cos com
posta di gruppi di elementi a loro volta sempre molteplici, perch,
se Tuno non , impossibile porre in qualche modo lunit. Ciascun
gruppo di elementi potr dunque solo sembrare uno, senza esserlo
realmente, visto che Puno non (ttoXAo yicoi eaovrai, el? eKaoros*
jmvjj.evos', <Sv Se ou, eiTrep ey [iq e a ra i)34. Considerad di per
s, i molti sembreranno pur finiti e infiniti, simili e dissimili, identici
e diversi, in moto e in quiete, essenti e non essenti e cosi via.

33 Cfr. ancora Sph. 237b7-239c7; 25Se6-9, ncui, di fronte allassoluto non essere
(r ^TiSapis- &v), del quale nulia si pu dire, pensare o opinare, lo Straniero di Elea
dichiara che Tnico atteggiamento corretto quello di abbandonarlo e lasciarlo
andar. Cfr. XAppcndice I, 9-
34 Nel Sofista (236d9-237a4), Tindagine si imbatte nelle nozioni di immagine e
di parvenza, nel sembrare senza essere (t yp fyalveaftai ral t SokTv, eivai 8e
pT]), che caratterizza larte sofistica. Ma come e possibile che qualcosa appaia in un
certo modo, senza esserlo? Una simile ipotesi osa contraddire la tesi del padre
308 FR A N C ESC O F R O N T E R O T T A

La settima serie di deduzioni esplora le conseguenze della non


esistenza delluno per gli altri dailuno. Se gii altri dalluno non
partecipano delluno - ehe non - saranno in rapporto fra ioro
soltanto. Lassenza ontologica delluno costringe tuttavia i molti
nella sfera dei fantasnu (^avTaopaTa) dellessere, della mera ap-
parenza vaga e indefmita.

2.8 Vottava serie di deduzioni (1 6 5 e 2 -l6 6 c2 )


Se luno non , ... gli altri dailuno non partecipano assoluta-
mente di nulla, in nessun modo e sotto nessun as petto (ev e l |if|
cm, ... rXXa rcv if) v tw v o tjS cv ouSa^ifj ouSap-ts" ouSepiav
KOLvwviav Infatti, se non , luno non pu essere presente nei
molti (if) vvTos1 v s1 ev t o i Xkoi) n i molti possono
partecipare deliuno. I molti non saranno allora n uno (perch 1uno
non ) n molti (perch, per essere molti, dovrebbero comporsi di
singole unit), n simili n dissimili, n identici n diversi ad alcunch
e da alcunch. E neanche sembreranno essere tali, dal momento
ehe, considerati non pi di per s (come nella settima serie di dedu
zioni), ma rispetto alfuno ehe non , rimarranno prigionieri della
sua totale negazione, inaccessibili al pensiero e al linguaggio.

3. Le conclusioni deWesercizio dialettico (160b 1-3; l6 6 c 3 -5 )

Parmenide elenca i primi risultati dellindagine gi al termine


della quarta serie di deduzioni35, ma li riassume in seguito nella
conclusione generale delFeserdzio dialettico e dei dialogo (166c3-5):

Parmenide, ponendo come in certa misura essend il non essere e ci che non . II
seguito dellanasi dei Sofista (257a l-c4; 258a7-259al) mostra che, se non si colloca
sul piano delPassoluta negazione dellessere, ma su quello delia diversit rispetto
all1essere, la sfera delle immagini e delle parvenze possiede una piena dignit
ontologica ed realmente (cfr. YAppendicel, 7-9). Invece, lapparenza propria della
molteplicit nella settima serie di deduzioni delTesercizio del Parmenide non dipende
da una diversit dalluno, ma dalla sua totale assenza e inesistenza: in tal caso, la
molteplicit priva delluno non genera unimmagine che copia del vero, ma un
fastasma (^di^raa^a) dellessere, una sorta di irreale visione onirica.
35Cfr. Prm. 160b 1-3: Cosi, se 1uno , 1uno tuttoe non neanche uno, rispetto
a s stesso e rispetto agli altri <dalluno> (oTt 8f} ev ei eo n v , navra r cm r
e i m l oS 'v c m k c u Trps- a u r K a l T ip T dXAa c ia a t iT t o s1).
C H E FAf_A., SO C RA TE, DELLA F IL O SO F IA ? LA SE C O N D A PA RTE DEL PARM ENIE 309

Eipf)(70W TOVW TOVT T KCti OTL, J OLKl>, 6V 61 t aTLU eiTf |iT|


c r riv , aT t K ai raXXa K ai irps" a T K ai TTp X\r|\a rrai-ra
TrdvTw c T i T e K ai ok c m K ai ^ a v e r a L Te Kai o c^ aveT ai.
Diciamo allora cosi e anche che, a quanto pare, se 1uno e se non , esso stesso
e gli altri <dalluno>, rispetto a s stessi e reciprocamente, sono tutto in ogni
modo e non lo sono, sembrano essere tutto e non lo sembrano.

Una conclusione assai rapida e densa, che risponde allinterroga-


tivo formulato in 137b3-4: se Fuo e se non , cosa accade a-
Funo e agli altri dalFuno - ai moti rispetto a s stessi e reciproca
mente? Schematicamente:

POTESI IN FORMA AFFERMATIVA Ip o t e s i in f o r m a n e g a t iv a

SE LUNO SE l UNO NON

I serie di deduzioni V serie di deduzioni


Uuno, considerato rispetto a s stesso, Luno, considrate rispetto agli
non e non uno. altri dalluno, tutto e non lo .

II serie di deduzioni V I serie di deduzioni


Luno, considrate rispetto agli Luno, considrate rispetto as
altri dalFuno, tutto e non lo . stesso, non nula.

III serie di deduzioni V II serie di deduzioni


Gli altri dalFuno, considerati rispetto Gli altri dalluno, considerati
alFuno, sono tutto e non lo sono. rispetto a s stessi, appaiono tutto
e non lo appaiono.

IV serie di deduzioni V III serie di deduzioni


Gli altri dalFuno, considerati rispetto Gli altri dalluno, considerati
a s stessi, non sono e non sono molti. rispetto alluno, non sono nulla
n lo appaiono.

In primo luogo, dunque, se Fuo , o (A) separato dagli altri


dalFuno - dai molti - oppure (B) non lo .

(A)
Se separato, Fuo non partecipera in alcun modo dei molti n i molti delFuno.
D i conseguenza, nulla sar possibile dre, pensare o opinare delFuno che si pone
al di la dello spazio e del tempo, inattingibile dal pensiero e dal Unguaggio e perci
come non essente (primaserie di deduzioni), n dei molti, che, non partedpando
delFuno, non possiedono lunit e non sono quindi neppure m olti (quarta serie
di deduzioni).
310 FRA N CESCO FRO N TER O TTA

(B)
Se non e separato, luno potra stabilire unoriginaria relazione con lamolteplicit
e i molti parteciperanno delluno: in tal caso, in virtu del rapporto con i molti,
Tuno sar presente nello spazio e nel tempo, inevitabilmente coinvolto nelle
infinite contraddizioni della molteplicit (seconda serie di deduzioni) e i molti,
partecipando delluno, saranno aloro voltainpossesso dituttele qualit attribuite
alluno (terza serie di deduzioni).

Capovolgendo lipotesi iniziale dellesercizio, se Tuno non , o


(C) non in senso relativo oppure (D) non in senso assoluto.

( Q ,
S e luno non in senso relativo, il non essere delluno consiste esclusivamentenella
diversit dallaltro da s: a q ueste condizioni, Tuno che non e dovr in certa misura
essere ed essere conoscibile, amm etterla relazione (di diversit) con 1al tro da s,
con i molti, e si trovera nello spazio e nel tempo, con tutte le caratteristiche
derivanti dalla partecipazione alia molteplicit, come aweniva nelia seconda serie
di deduzioni (quinta serie di deduzioni).
(D)
Se Tuno non in senso assoluto, il non essere delluno si riduce alia totale
privazione dessere, di cui nulla e possibil e dire o pensare (sesta serie di deduzioni).
Se gli altri dalluno, i molti, non partecipano delluno che non affatto, ma sono
considerad di per s e rispetto a s stessi, si porranno in relazione fra loro soitanto,
dando luogo, senza lunit, a una sfera dellapparenza, vuota e indefinita (settima
serie di deduzioni). Se infine sono considerati rispetto alTuno che non e in
relazione ad esso, i molti saranno coinvolti nella meraassenza ontologica delfuno,
impensabili, inconoscibili e non essenti (ottava serie di deduzioni).

Ma come possibie, da un punto di vista logico, che le otto


serie di deduzioni, pur muovendo dalfunica e idntica ipotesi ini
ziale (in forma affermativa o negativa: se Tuno ; se Tuno non ),
seguano, ognuna, un diverso svolgimento e giungano a diverse e
opposte conclusioni? Ci dipende dalFambiguit semntica impl
cita nella dimostrazione di Parmenide che presuppone una costan
te sovrapposizione dei significati che si possono attribuire al verbo
essere. Infatti, il verbo essere

( 1)
assume una funzione (1 a) copulativa o (1 b) di identit, per escmpio nelia formu-
lazione dePipotesi nella prima e nella quinta serie di deduzioni:
C H E FA RAI, S O C R A T E , DELLA FIL O SO F IA ? I.A S E C O N D A PA R TE D E L PARM EN iD E 311

(la)

se luno e uno - se Tuno e affetto dallunita;


se Tuno non claltro da s> = se Tuno non e affetto <daHalterita da s>;
(Ib )
se luno uno = se luno idntico allunit;
se Tuno non e <l,altro da s> = se luno non e idntico ma diverso <dallaItro da
s?36;
(2 )
esprime low io significato esistenziale, per esempio nella formulazione dellipo-
tesi nella seconda e nella sesta serie di deduzioni:
se luno = se luno esiste;
se Tuno non e - se luno non esiste;
(3)
indica la partecipazione fra due o pi enti, per esempio nel corso della seconda e
della terza serie di deduzioni:
luno e molteplice = lun opctrtecipct della molteplicit;
i molti sano uno = i m oltipartecipano deUunita;
(4)
segnala lesistenza temporale, con la genrazione e la corruzione che caratterizza-
no gli enti che sono nel tempo, per esempio nel corso della prima e della seconda
serie di deduzioni:
luno non venuto a llessere ... e quindi non <? = luno non si generato ... e
quindi non nel tempo;
luno venuto a llessere ... e quindi = luno si e generato ... e quindi nel
tempo;
(5)
assume infme un senso veritativo, per cui dire cose che sono (oi^ra Xyf-^)
significa dire il vero (Xr|&fj Xyeiv), mentre dire cose che non sono (ja.fi ovra
X y e L v ) significa dire il falso ( o k \ r | 0 f i Xyeiv), nel corso della quinta serie di

deduzioni (I6 le 3 - 1 6 2 a l) :
cluno che non > deve essere ... giacch, se non fosse, non direm m o cose vere
dicendo che luno non e, mentre, se diciam o cose vere, chiaro che diciam o cose
che sono57.

36 La distinzione fra il senso copulativo e di identit del verbo essere evidente:


infatti, la proposizione X Y" significa, secondo il senso copulativo di \ che X
possiede la Y-t o, ed lo stesso, che Y7 si predica di X ; invece, se assume un
significato di identit, questa proposizione significa che X e Y1coincidono luno con
laltro e che sono di conseguenza identici luno allaltro. Smbra percio legittimo
concluderne che significaco di identit costituisce un radicale approfondimento
logico del senso copulativo del verbo essere.
37Dal senso veritativo del verbo essere discende unaparadossale concezione della
verit che esciude lapossibilita del discorso falso e deUerrore: infatti, se dire cose che
312 F R A N C E S C O F R O N T E R O T A

La distinzione dei sensi di essere svela pertanto il procedimento


argomentativo delFesercizio dialettico e le modalita logiche del suo
svolgimento38. Ma la coppia di opposti uno - moltF prescelta da
Parmende come oggetto della sua dimostrazione rimanda, secon-
do Fipotesi interpretativa sopra formulata39, ai rapporto fra le idee
e le cose, Fuo rappresentando la sfera intellegibile delle idee, con
siderate, ciascuna, nella sua unit, e i molti la pluralita contraddit-
toria e mutevole degli enti sensibili che delle idee partecipano. Alia
seconda parte del Parmenide h assegnato infatti il compito di af-
frontare ancora una volta le difficolt della teoria delle idee solleva-
te nella prima parte: cosa accade alie idee e alie cose empilche, se le
idee sono contemporaneamente separate dalle cose empiriche e da
esse partecipate? E cosa obiettare a chi negasse Fesistenza delle idee
separate o sostenesse che la separazione impedisce qualunque rela-
zione fra le idee e le cose empiriche? Occorre quindi valutare le
conclusioni delfesercizio dialettico soprattutto in questa prospetti-
va: se la sfera intellegibile delle idee esiste e se invece non esiste,
cosa accade alie idee e alie cose empiriche, rispetto a s stesse e
reciprocamente? Procediamo con ordine. Se la sfera intellegibile
delle idee esiste, o (A) separata dalla molteplcita delle cose empi
riche oppure (B) non lo .

sono (i-'Tct XyeLU) significa dire il vero (Xri&fj Xyeiv) e se dire falso (oi)K Xr|0fj
Xyat') significa dire cose che non sono ([if] i^ra XyeLt1), cio (non) dire milia
([iT]S^ Xyetv), ne segue che impossibile dire il falso e cadere in errore e che, inoltre,
tutto ci che detto detto veritieramente ed perci vero. Questa concezione della
verit (probabilmente di matrice sofistica, cfr. Euthd. 283e7-284c6; Cra. 385b2-10;
429d l-430a5; Tht. 167a6-d2; 189a6-b9) verra da Platone superata soltanto nel
Sofista (cfr, soprattutto 2 6lc6-264b 8): se il non essere in quai che modo , sar
possibile pensarlo e dirlo, riconoscendo coslla radice del falso e dellerrore nel pensiero
e nel discorso.
38 Uninterpretazione di questo genere rompe radicalmente con la tradizione
esegetica neoplatonica (per la quale cfr. la mia Guida alla lettura del Parmenide di
Platone cit., 106-110), che riconosce invece nelle varie serie di dediizioni un soggetto
sempre diverso, attribuendo di volta in volta ailuno delPipotesi iniziale (e non al verbo
essere) un differente significato. Sulla distinzione dei sensi di essere si veda leccellente
studio di Cm.H. KAHN, Some philosophical uses of'to be in Plato, in Phronesis, XXVI,
1981, 105-134; sulla questione dellambiguit semantica del verbo essere nella
seconda parte del Parmenide in particolare, cfr. L. B r is s o N, Platon, Parmnide cit., 52;
e soprattutto le mie note alla traduzione di PLATONE, Parmenide cit., 120-124; 139-141.
39 Cfr. il 2 di questo cap. XII.
C H E FARAI, SO C R A TE, D EL LA F IL O SO F IA ? LA SE C O N D A TA R TE D E L PARM ENID E 313

(A)
Se separata, la sfera intellegibile delle idee non avr alcun rapporto con le cosc
empiriche n le cose cmpiriche parteciperanno delle idee. Le idee ne! loro
complesso saranno cosi prive di qualunque rapporto con la molteplicit degli enti
spazio-temporali e perci escluse daUambito della conoscenza e del iinguaggio:
inconoscibili, impensabili e indicibili, si riveleranno inutili e come non essenti
dal punto di vista degli uomini, immersi nella sfera sensibile (prima serie di
deduzioni). Analogamente, le cose empiriche molteplici, non partecipando delle
idee e non potendo dunque trarre da esse la propria essenza, la propria definizione
e il proprio nome, non possiederanno nessuna caratteristica e non saranno
neanche un qualcosa determinato (quarta serie di deduzioni).
(B)
Sc non separata, la sfera intellegibile delle idee sar in relazione con le cose
empiriche e le cose empiriche parteciperanno delle idee. Subendo questa
partecipazione, le idee verranno coinvolte nella vicenda spazio-temporale del
divenire, dei movimento e della trasformazione, risulteranno pensabili, conoscibili
e dicibili, e per soggette aile infinite contraddizioni dlia molteplicit sensibile
(seconda serie di deduzioni). D altro canto, la molteplicit delle cose empiriche,
partecipando delle idee, entrera in possesso di numerose caratteristiche e costitui-
r un qualcosa determinato, conoscibile, pensabile e dicibile (terza serie di
deduzioni).

Passando ora alla seconda parte dellesercizio, se la sfera


intellegibile delle idee non esiste, o (C) non esiste in senso relativo
oppure (D) non esiste in senso assoluto.

(C)
Se non esiste n senso relativo, la sfera intellegibile delle idee manifestera la propria
diversit rispetto alla molteplicit sensibile, ma cio non impedisce che essa sia e
sia partecipata dalle cose empiriche. Se infatti il non essere delle idee si riduce alla
diversit dalle cose empiriche, le idee saranno, saranno pensabili e conoscibili, si
troveranno nello spazio e nel tempo in vrt dlia relazione (di diversit) che
intrattengono con la sfera sensibile e possiederanno infinite qualit, come
aweniva gi nella seconda serie di deduzioni (quinta serie di deduzioni).
(D)
Se non esiste in senso assoluto, la sfera intellegibile delle idee non sar affatto, non
si trover nello spazio e nel tempo, non avr alcun rapporto con la molteplicit
sensibile, non potr essere conosduta n pensata n detta (ssta serie di deduzio
ni). Dalla negazione assoluta dellesistenza delle idee derivano due possibili
conseguenze per gli enti sensibili: se questi si pongono come una realt autonoma
e auto-referenziale che prescinde dalla partecipazione aile idee, costituiranno
soltanto lambito delia pura apparenza, composto di immagini, di fantasmi e di
parvenze (settima serie di deduzioni); se invece il mondo empirico tende neces-
314 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

sariamente alla relazione con le idee impossibile relazione, visto che le idee non
sono affatto - rimarr a sua volta imprigionato nel Vuoto ontologico causato
dallassenza delle idee, non sar, non sar conoscibile n pensabile n dicibile
(ottava serie di deduzioni).

Secondo taie interpretazione, dunque, la seconda parte del


Parmenide ripropone, nella forma rigorosa delfargomentazione dia-
lettica, il dilemma dlia dottrina dei generi corne Parmenide lo ave-
va presentato a Socrate nella prima parte del dialogo40: se le idee
esistono e sono dawero separate, non intrattengono alcuna relazio
ne con le cose empiriche e si rivelano quindi inconoscibili e inuti-
li; se esistono e non sono separate, si lasciano partecipare dalle cose
empiriche di cui costituiscono il modello, restando per awolte
dalle irresolubili aporie dlia sfera sensibile spazio-temporale. En-
trambe le possibilit sembrano contraddittorie e inaccettabili: ma
del resto, se le idee non esistessero affatto, le cose empiriche e Tin
tera realt degli uomini sarebbero abbandonate a s stesse, nella
vaga apparenza delle visioni e dei sogni o nelfassoluto non essere.

40 Cfr. i 5-6 del cap. XI.


CONCLUSIONE

CONTINUIT E DISCONTINUT DEL REALE

1. Il significato filosofeo del platonismo e la teoria delle idee

Lelaborazione di unonto logia si inscrive, nella riflessione di Pla-


tone almeno fino al Parmenide, in una linea di sviluppo coerente e
rigorosa. La constatazione eraclitea del perenne divenire universa
le condanna la realt sensibe a un destino di totale indetermina-
zione. Se tutto muta, se ogni cosa soggetta al tempo, alio spazio e
agU infiniti paradossi della dimensione spazio-temporale, di nulla
sar legittimo dire che veramente n che veramente conoscibile1.
II dominio della differenza assoluta nega perci radicalmente, per
qualunque ente, la possibilit della permanenza nella propria con-
dizione e nellidentit con s e rende persino insensato il riferimen-
to a un ente o al semplice qualcosa, poich tutto ci che muta,
murando sempre, non rimane mai lo stesso. In altri termini, se les-
sere di un ente interamente ridotto alla sua esistenza spazio-tem-
porale, nulla sfuggir al verdetto di Eraclito e lessere stesso, identi-
ficandosi propriamente con lo spazio, con il tempo e con le catgo
rie spazio-temp o rali, finir per coincidere con un eterno e conti
nuo divenire altro da s, dunque con 1immediata negazione di s.
Lipotesi delle idee introdotta da Platone precisamente per im
pedir un simile esito: come awerte il Parmenide, se nulla permane
idnticamente nel proprio stato, se di nulla possibile pensare e

1 Sul significato attrbuieo da Platone alia constatazione eraclitea del perenne


divenire della sfera emprica, cfr. soprattutto il 5 del cap. II e il mi articolo PE0NTE2
KAI 2TAS1TAI. Hraclite et Parmnide chez Platon cit.
316 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

dire alcunch, tutto sar perduto per la filosofia2. Ecco perch le


idee devono essere collocate al di l del mondo empirico spazio-
temporale e da questo rigorosamente separate; ecco perch devono
essere immobili e immutabili, esenti dal divenire, dalla generazione
e dalla corruzione: in quanto compongono la sfera della pura auto-
identit, le idee si configurano come ureccezione alia legge di
Eraclito3. Ma daltro canto, proprio in virti della loro natura e del
loro statuto ontologico, esse provocano una profonda scissione dl
ia continuit del reale: la separazione (xcopicrjLs), vincolo insupe-
rabile posto a tutela della perfezione e dellincorruttibilita dei gene-
ri ideali, ne sancisce contemporaneamente la strutturale estraneit
alla vicenda del mondo sensibile e, di conseguenza, fevidente inu-
tilit, almeno dal punto di vista degli uomini che al mondo sensibi
le appartengono costitutivamente. Per capovolgere tale assurda con-
clusione, in modo che le idee si rivelino invece conoscibili e dicibili,
adempiendo cosi pienamente alla funzione cruciale loro attribuita
di criteri di riferimento del pensiero e del discorso, bisogna suppor-
re che loriginaria discontinuit del reale sia per lo meno in parte
colmata. Da questa esigenza fondamentale deriva il problema della
partecipazione delle cose empriche alie idee, il meccanismo* teori-
co che pone in relazione le due sfere separate e recupera la conti
nuit del tutto. Ma Taporia non esaurisce ancora i suoi effetri
dirompenti: la continuit del reale non potr e non dovr mai esse
re del tutto ristabilita, perch, se cosi fosse, la necessaria separazio
ne dei due mondi risulterebbe incontrovertibilmente violata.
II pensiero di Platone pare insomma svolgersi in un tentativo
costante di sovrapporre alforiginario e discontinuo bipolarismo
ontologico lesigenza dinamica della continuit, senza che in nes-
sun momento, tuttavia, la continuit riconquistata possa essere
intesa come assoluta e permanente, poich il suo signifcate e la
misura della sua estensione sono indissolubilmente legari al signif
cate e allestensione della discontinuit che essa va a colmare. In
breve, se la discontinuit del reale apparisse (come dovrebbe) dav-
vero radicale e insuperabile, lipotesi delle idee perderebbe qualun-

2 Cfr. il 1 del cap. X II e Prm. 135b5-c4.


3 Cfr. ancora il 5 del cap. II.
C O N C L U S IO N E 317

que interesse; ma se, al contrario, la continuit recuperara attraver-


so la partecipazione si rivelasse (come dovrebbe) compiuta e defini
tiva, le idee, non pi separate, rimarrebbero imprigionate nella re-
lazione appena stabilita con le cose empiriche e coinvolte a pieno
titolo nelle infinite contraddizioni dello spazio, del tempo e del
divenire4.
Questa conflittuale descrizione del reale, continuo e discontinuo
insieme, svela a mio parere il senso filosofico pi intimo ed auten
tico del platonismo nelTesigenza di una mediazione capace di argi-
nare lirresolubile dialettica dlia continuit e delia discontinuit,
che, non a caso, si riflette tanto sul piano ontologico quanto sul
piano epistemolgico.

2. Continuit e discontinuit ontolgica

Sul piano ontologico, lo abbiamo mostrato, per porre un limite


alia discontinuit originaria fia le idee e le cose empiriche Platone
avanza Fipotesi della partecipazione delle cose empiriche alie idee.
Ma la dottrina della partecipazione solleva innumerevoli difficolt,
sia rispetto alie modalit, sia rispetto alla possibilit stessa del rap-
porto partecipativo, e resta in ultima analisi intrinsecamente para-
dossale. Alia questione stata dedicata ampia parte delFindagine,
con la conclusione che Platone non sembra avere mai raggiunto
un efficace soluzione del dilemma5.
Occorrer allora credere che egli pensasse di poter mantenere,
nonostante tutto, Fipotesi della partecipazione? La risposta a questo
interrogativo senza dubbio composita e articolata. Certamente, Pla
tone giudic la teora delle idee come Fuico strumento filosofico
capace di salvaguardare la possibilit del pensiero, del linguaggio e

4 La duplice e contraddittoria natura dele idee platoniche -e n ti supremi separati


e, a un tempo, partecipati dalle cose empiriche - espressa qui nella forma delloppo-
sizione fra la continuit e la discontinuit del reale che ne la causa, stata oggetto di
dettagliata analisi nei 5-6 del cap. XI e nel 3 del cap. XII.
5 Sul dilemma della partecipazione nei dialoghi platonici fino al Parmenide, cfr.
il 5 del cap. VIII; i 5-6 del cap. X I e l 3 del cap. XII; rispetto ai dialoghi pii
tardi, al Filebo e al Timeo in parti colare, si veda XAppendice II.
318 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

della scienza, dei criteri dellazione e del giudizio morale; di conse-


guenza, se la teoria delle idee e veramente necessaria, pure neeessario
sara il suo corollario implicito: benche originariamente separate, le
idee dovranno quindi lasciarsi partecipare dalle cose empiriche. Del
resto, al di la di questa semplice constatazione di fatto, e probabile
che le contraddizioni ontologiche e logiche che scaturiscono dal di
lemma della partecipazione, per quanto evidenti, apparissero agli
occhi di Platone come inevitabili e in una certa misura perfino am-
missibili, poiche non dissimili da quelle, altrettanto ineludibili, insite
nella relazione fra lanima e il corpo umano - una relazione, anches-
sa, oscura, misteriosa e tuttavia necessaria. Si considerino infatti questi
passi del Fedone (64c2-9 ; 64e8-65a3 ; 66e6-67b2):

'HyotifieOd t l r 6 y ddvarou eXvai-,~Udvv ye, e<r) UTroXa(3tJi/ b Zip-fiLas1. - TApa


fif) aXXo t l f| tt| v r% c itto to u c r t o p .a T o s ' dTTaXXayf|y; Kal d y a i to O to

to T e 0 y a v a i, x ^ p l? pev airo r f js A x ils ' TraXXayey a iiT O Ka0 ainro to acojaa


yeyoyevaL, x ^ P 1? Se TT)y tto to u awpaTOS' aTraXXayetaav a u T f]v K a0

aiiTqy e lv a i; 3 .pa p-f] aXXo t l f| o Bavar os' ii to u to ; -O u k , aXXa to u to , ecjxr).

TA p o w ... Sf|X6s e c T iv o ^LX oao^os1 ttuXijloi' S tl (la X tcrra 1/juxrn1''


Tfjs- tou aw paTos- KOLVuvLas1 Si-a^ epoy ? tujv aXXuv dv0pciynw ; -<E>atveTaL.

T o r e y a p a u rf) Ka 0 airrr)y f) E(JTaL X ^ P 1? to u crtij|ia.Tos\ irpoTepov 8


ou. Kal ev to a y i<5 p ei', o u tw j , eo iK tv , e y y u r d T tj a o [ie 0 a t o u eLS evai,
eav 8 t l [id X icrra |ir|6ev 6fiLXip.ev r f i a to p o n pr)Se Koiyujya)|iey, o n (if) r r a a a
dvdyicri, fir|8e dyaTTL[iTTXa>|ie0a rfis - t o u t o u ^ uaetos1, aXXd Ka 0 apeuiopey d ir
aurou , ews1 a y o Oeos- au ras' diroXucn^ t p a s " Kal o u r a pey Ka0ap al duaXXaTTopeyoi
Tfj? t o u aciiiaTO ? a^poaui/ris', s ' t 6 elKO? p e x a to lo {ito )v t c ecr6 p.e0 a Kal
yv,tocr6 p.e0 a 8 l thilov auTcoy nay r6 eiXiKpiyes1, t o u t o 8 e o r !y low s1 t o
dXr)0 e s " P-t) Ka 0apw y a p Ka 0 apou ecjrarrreCTOat (if) ou OejiLTov f).

Riteniamo che la morte sia qualcosa? Senzaltro, rispose Simmia. E riteniamo


che sia akro o la separazione delTanima dal corpo? E pensiamo che il morire sia
questo, quando il corpo se ne sta in se e per se ormai separato dallanima e 1anima
pure dal canto suo se ne sta in se e per se separata dal corpo? O e qualcosaltro la
morte, e non questo? No, no, e proprio questo, disse.

Non e quindi chiaro che il filosofo, a differenza degli altri uomini, si sforza di
iiberare lanima, per quanto possibile, dalla comunicazione con il corpo? -
Sembra proprio di si.

Soltanto allora Tanima sara in se e per se, separata dal corpo, e n on prima. Ed e
naturale che per lintera durata della vita, tanto piii ci awicineremo allaconoscen-
za, quanto meno saremo in rapporto con il corpo e in comunicazione con esso,
C O N C L U S IO N E 319

se non per ci che impone 1assoluta necessita, e quanto meno ci lasceremo


contaminare dalla sua natura, e ci conserveremo invece puri dal suo contatto,
finch la divinit stessa non ce ne liberi. E cosi, puri e liberi dalla stoitezza dei
corpo, saremo verosimilmente in compagnia di cose altrettanto pure e conosce-
remo dasoli tutto ci ehe puro e semplice, ossia, credo, laverit stessa. N onlecito
infatti a ci ehe impuro avere contatti con ci ehe puro.

E ancora {Phd. 79a6-cl; 80al0-b7):

0 Q)fi.ev o>i' ouXei, ^r), 8o eir( t v vtiv, t |xv paTv, r 8 i S ; -


ijiev, - Kal t fiv i8k$ ei tcaT ra b r exov, t 8 pari^
[xtiS cttot kt. TaT; - K a i t o t o , cf>Ti, 0 wjj.eiA - $ p e Si^, .fj 8 os\ aXXo t l
T||jlv a i n w t a.v a>p. c m , t 8 -O i ) 8 v aXXo, cfjri. -TTorpcp obv
(ioiTepoi^ tw e 8 e i cf>a|iv v e lu a i Kai auy-yev arep ov' t aw p .a; -T T av T ,
<fnr|, t o i t y e SfiXov, t i t op art . - T S fj ^uxf|; p a r y f| i8 s ; - O i i x
vtt' vBpomojv ye, <S 'EKpaTe, efirj. - AXA (if|y f j p s - y e r p a T Kal r
jlt^ t t ) tojv vpojTTtv cfj-aei \ y o p .e v ti GtXXt) t l i '1 o i a ; - T r j tc jv i/ 0 pTiw.
- Tt ow -rrepl ifuxfi? X yofiey; p aT ov f| p a ro u d v a i; - Oux paTv. -
Ls' p a ; - N a . - 'O^oiTepov p a i|/uxr) aw paT s a r i v ti iS e , t 8
tw pare. -TlC Ta vyKT], <L SojKpaTes-.

S k tt l 8f), t:(f)T], 5 KpTj, e t k TrvTOJv tw v e tp ri[i. iw T8e fifiv au p - atvei,


t fiv Qi Kal d Q avrw Kal yoT|T} Kal fiovoeiSet Kal S ia X m o Kal e l
dCTaTto? K a r T a t r x oyTL a u T p.oiTaToi' d v a i i/juxt 1t 8 vQpwmvto
Kal 6i/r|Tj Kal TToXueiS Kal i/of)TO) Kal LaXu Kal [ir|8TT0Te K a r T a r r
x o v t i auTDJ fJioLTaTov a ) e u a i ai>p.a. xo|a.i^ t l ira p r a u T a aXXo X y eiv ,

(5 <f>t\e Keris1, fi ou x otw s- rxa : - O^k ^X0 ^ ^ -

Vuoi ehe poniamo, disse, due generi dei reale, il visibile e 1invisibile? Poniamoli,
rispose. E 1invisibile rimane sempre alio stesso modo, mentre il visibile muta
sempre? Ammettiamo anche questo, disse. Dim mi, continuo, non siamo noi
stessi in parte corpo, in parte anima? Niente altro. - A quale genere possiamo
dire che sia piu simile e piii congenere l corpo? Al visibile, rispose, evidente
per chiunque. E 1anma? E visibile o invisibile? - Certo invisibile agli uomini,
Socrate. - M a noi parlavamo proprio di ci ehe visibile o invisibile secondo la
natura umana. O pensi ad altro? N o, alia natura umana. Lanima, allora:
visibile o invisibile? Non visibile. Dunque invisibile? Si. - Perci 1anima
sar piu simile dei corpo alinvisibile, e il corpo al visibile. - Assolutamente
necessrio, Socrate.

Considera ora, Cebete, se da tutto quello ehe abbiarho detto non deriva la
conclusione che 1anima assomiglia moltissimo a ci ehe divino, immortale,
intellegibile, uniforme, incorruttibile e sempre permanente in s stesso; mentre il
corpo assomiglia invece moltissimo a ci ehe umano, mortale, multiforme,
320 FRANCESCO FR O N TERO TTA

sensibile, corruttibile e sempre in movimento. Abbiamo qualcosa da dir contro


una simile conclusione, caro Cebete, o no? N on 1abbiamo.

Se la morte consiste precisamente nella separazione (xwpiajis)


delfanima dal corpo, se il momento in cui il corpo e Fanima,
separandosi, si pongono ciascuno in s e per s (arr Ka0 arr),
diviene fcilmente comprensibile la ragione che induce il vero filo
sofo a desiderare la morte e a prepararvisi costantemente in vita:
egli aspira sempre, a differenza degli altri uomini, a sciogliere la
KOLVya di anima e corpo per liberare Fanima dalFimpaccio e dalla
corruzione della materia. Infatti, nel corso della vita umana, Fani
ma e il corpo rimangono indis so lubilmente legati Fuo allaltra e
chi scelga di consacrarsi alia ricerca della conoscenza e della verit,
per quanto si sforzi, come giusto, di evitare ogni rapporto con il
corpo e con le sue stoltezze e di non lasciarsi sviare nel proprio
cammino dalla violenza delle passoni e dai sensi, sar tuttavia co-
stretto daunassoluta necessit (iracra vyicri) a riconoscereead
accettare la relazione con il corpo. Solo al sopraggiungere della morte
Fanima si ritrover pura fra cose pur e potra volgersi a tutto ci
che puro e semplice: in una parola, alia verita stessa.
Tempornea, fragile e per molti aspetti misteriosa, la Koivma
delFanima e del corpo dunque regolata da unassoluta necessit,
da una legge universale e divina, ed es elusivamente alia divinit
spetta di diritto la decisione di scioglierla definitivamente. Ma cosa
implica e a cosa allude Foscura relazione fra anima e corpo? Socrate
lo dice esplicitamente poco dopo: se si ammette Fesistenza di due
generi del reale, Finvisibile e il visibile, Fuo eterno e sempre idn
tico (t |iv oiSes1 K ara T a r r exov) Faltro mutevole e variabile
(t S opaTv priSiTOTe KaTa TaTa), Fanima manifester certa-
mente la sua prossimit a ci che invisibile, immortale, intellegibile,
uniforme, incorruttibile e sempre auto-identico ( tw [ i e v Bav
Kal voT|T) KaL lovociScX Kal SiaXTt kolI el (cra? KaTa
TaTa exovTL aimi)): quindi, alie idee. II corpo sar invece assai
simile a ci che mortale, multiforme, sensibile, corruttibile e sem
pre diverso da s ( t u S 0vr|T2i tcal TroXueiSet Kal vof|TU) Kal
SiaXimo Kal [iT|8TT0Te KaTa T a r r ex0VTL auTcp): quindi, alie
cose empiriche. Nel microcosmo di ogni singolo individuo dotato
CO N C LU S! ONE 321

di anima e corpo allora rispecchiata lintera struttura del


macrocosmo che 1universo costituisce. Come le idee e le cose empiri-
che, anche lanima e il corpo appartengono a due ordini di realt
'diversi e originariamente separati: tuttavia, una ferrea necessita
impone loro la tempornea Koiytova dalla quale dipende la possi
bilita stessa della vita umana. E ci in virt del fatto che lanima
sembra in qualche modo caratterizzata da una duplice natura: la
somiglianza rispetto alie idee spiega la sua essenziale purezza idea
le e la sua radicale alterit dalla sfera materiale e sensibile; ma la
presenza nel mondo, determinara dalla tempornea, eppure intrn
seca, Koivjva con il corpo, suggerisce lipotesi di una compatibili-
t, per cos dire, ontologica dellanima con la dimensione emprica
degli enti materiali. In quanto alio stesso tempo in s (aurri Ka0
aTrjv ... x ^ P t e ) e nelfaltro da s, nel corpo (r\ ^ X 1! Tt T
acparos" K o iv to v la ), da un lato umana, dallaltro divina, per un
verso mortale, per laltro immortale, lanima occupa insomma una
posizione intermedia fra i due piani del reale e fra essi opera perci
quella fondamentale mediazione che si cooca allorigine della vita
individuale di ogni uomo.
Ora, se lo statuto dellanima e del corpo e i termini della loro
relazione non rappresentano che unesatta riproduzione microc
smica dello statuto ontologico delle idee e delle cose empiriche e
dei termini della loro relazione, verosimile ritenere che Platone
pensasse la partecipazione fra i livelli del reale come un naturale e
innegabile dato di necessit, sebbene paradossale e logicamente con-
traddittorio, proprio come un naturale e innegabile dato di necessi
ta., sebbene oscuro e misterioso, apparve ai suoi occhi la K o iv io v la
dellanima e del corpo, condicio sine qua non dellesistenza mortale6.

Una smile conclusione non ridimensona in alcun modo 1intensit della


contraddizione sollevata dalTpotes della partecipazione deile cose empiriche alie idee
separate, ma contribuisce forse aspiegarla, collocandolain una diversa prospettiva: se
infatti la necessara relazione fra le cose empiriche e le idee assomiglia allaltrettanto
necessrio vinco lo che lega 1anima al corpo, allora, in virtu di questa analogia, potr
essere ragionevolmente mantenuta nonostante le difficot cui d luogo.
322 F R A N C ESC O F R O N T E R O T T A

3. Continuita e discontmiiita epistemolgica

Laporia ontologica che discende dallambigua mediazione fra la


continuita e la discontinuit del reale si riflette sbito, naturalmen
te, sul piano epistemolgico. Se infatti le idee sono radicalmente
diverse e separate dalle cose empiriche e sensibili e perci estranee
alia realt umana, come potranno gli uomini acquistarne conoscenza
o anche soltanto volgersi ad esse?7 Si tratta di un serio problema
epistemolgico, che ho discusso in questa ricerca nei suoi due ver-
santi: (1) cosa induce gli uomini ad aspirare a una forma di cono
scenza diversa da quella sensibile che loro accessibile nelFespe-
rienza immediata? E ancora (2): come possibile realizzare tale co
noscenza, se i suoi oggetti le idee non costituiscono il contenu-
to della percezione e dei sensi e si rivelano noltre originariamente
different e separad dalla sfera empirica degli uomini?8
Per quanto riguarda il primo di questi interrogad vi, ho avuto
modo di mostrare come alie idee in generale sia attribuito da Plato-
ne il potere di manifestarsi, almeno parzialmente, nel mondo
emprico, esercitando una potente attrazione sulla riflessione e sul
ragionamento e suscitando nelF animo umano Pesigenza di oltre-
passare la condizione incerta e mutevole della conoscenza sensibile
per attingere alia scenza vera e immutabile delle realt che sono
eternamente. Lesempio citato pi di frequente a tale proposito nei
dialoghi platonici , come si sa, quello delfidea del bello: la bellez-
za divina e perfetta del bello in s traluce infatti nel mondo empirico
e riesce a lasciare una traccia di s e del proprio splendore anche
nelle cose sensibili, imperfette e corruttibili. Alia vista della bellezza
sensibile (di un volto, di un corpo, di unimmagine), gli uomini
che non siano del tutto accecati dai vizi e dalle passioni del corpo
awertono nelFanima Firresistibile desiderio di una superiore e uni-
versale bellezza. La causa e, per cos dire, il veicolo di un simile
desiderio sono individuad da Platone nella forza delPamore, a sua
volta identificato con la figura mitolgica di Eros. Temibile demo-

7 Questa precisamente la difficok pi grande della teoria delle idee, per la


quale cfr. il cap. XI (in partcolare il 4) e il 3 del cap. XII.
8 Alia discussione di questo duplice problema e alianalisi deile soluzioni indivi
date da Piatone e stato interamente dedicato il cap. III.
C O N C L U S IO N E 323

ne, Eros si colloca a met strada fra la sfera dei mortali e il mondo
immortale degii dei ecm QeoO Te Kal 0ut|To) e rappre-
senta, in virt della sua natura intermedia, il trait d'union fra la
realt empirica degli uomini e gli enti ideali, perch ispira f animo
umano alla ricerca della perfezione e deliuni versalita9.
Ho spiegato in seguito corne la dottrina dlia reminiscenza sia
stata elaborara da Platone per rispondere al secondo degli interro-
gativi solevati sopra. La reminiscenza consiste infatti neliimper-
fetto ricordo che lanima conserva dela sua vita precedente, quan
do, prima di incarnarsi nel corpo mortale, vagava pura e libera
neU,ciperuranio al seguito degii dei in contemplazione dei generi
supremi. Ora, se la conoscenza neila sua forma piii alta, quella
intellegibile, non dawero conoscenza, ma un semplice nconosci-
ment di ci che da sempre si conosce giacch non costituisce una
scoperta ex novo, ma dipende dalla definizione progressiva del ri
cordo delle idee che lanima conserva impresso in s stessa - allora,
sar lecito ritenere che, bench originariamente differenti e separa
te dal mondo sensibile, le idee appartengano altrettanto originaria
mente agli uomini che da sempre ne possiedono le 'coordinate.
Tuttavia, largomento della reminiscenza delle idee si basa sullin-
dispensabile premessa mitolgica della reincarnazione e della pre-
esistenza dellanima rispetto al corpo mortale, una premessa di cui,
da un lato, evidentemente impossibile rendere conto sul piano
razionale, e che, dallaltro, rinvia ancora una volta allipotesi di una
mediazione epistemolgica operata dallanima in virt della sua
natura duplice e intermedia: pura essenza divina, lanima ha ac-
compagnato gli dei nella visione delle idee e ne ha conosciuto la
suprema realt; incarnata nel corpo mortale e costretta in una pri-
gione materiale, essa ha perduto tale conoscenza che puo ricostru-
ire, solo a stento e incompiutamente, ripercorrendone a fatica le
tracce nella memoria10.

y Cfr. il 1 del cap. III e, rispetto al ruolo di Eros demone intermedio fra gli
dei e gli uomini come irresistibiie stimolo alia ricerca del bello universale, Smp.
201d l-204c6; 209e5-212a7; Phdr. 249d4-251b7.
10 Per lintroduzione della dottrina della reminiscenza cfr. il 2 del cap. III. Si
osservi per inciso come, anche in questo caso, la discussione e la dimostrazione
deliimmortalit delianima si collochino in un contesto propriamente epistemologi-
324 F R A N C ESC O K R O N T E R O T T A

E del resto, anche ammettendo che, in virt della reminiscenza


deir anima, gli uomini riescano a intraprendere la rice rea della veri-
t delle cose che sono, come potranno oltrepassare lincerta condi-
zione di una conoscenza puramente ipotetica e discorsiva per attin-
gere airimmediata visione intellettuale delle idee? La difficolt
ben nota: secn do Plato ne, Feserczio del pensiero discorsivo e
dimostrativo (Stavoia) propedeutico airimprowiso dispiegamento
del pensiero intuitivo (vos*)11. Ma il discorso e la dimostrazione,
pur suscettibili di essere progressivamente affinati e per quanto
riescano ad awicinars con unapprossimazione infinita alia perfet-
ta consapevolezza propria dellintuizione immediata della verit,
rimangono ad essa qualitativamente e costitutivamente inferiori. II
salto quaitativo necessario a superare la discontinuit epistemol
gica fra la conoscenza mondana in ogni sua forma e Pimmediata
intuizione delle idee esige invece, oltre alPesercizio di una facolt
intuitiva delPanima, lipotesi di un imprevedibile 0X^1/^ un
istante che da un lato, come momento della successione tempo-
rale, appartiene al tempo e alia sua eterna continuit lineare, ma
dallaltro, come singolo frammento isolato e finito, esente dal
divenire temporale e ne interrompe la continuit lineare. Tempora-
le e non temporale insieme (= continuo e discontinuo insieme),
P^a^VTis' ci a partir da cui qualcosa muta nelluna o nellaltra
di due condizioni opposte (t yetp aL<f)vr|S TOLvSe t l eoiK
crr|jj.aLveiv, ? ckclvou |o.eTa3\\ov el? KctTepov), un luogo
intermedio (jieTa^) fra due stati contrari12: in quanto tale, F^aufn/ris'
fornisce al pensiero, che procede secondo le categorie spazio-tem-
poral, l luogo neutrale nel quale esso pu abbandonare la propria
attitudine lineare e continua per saltare5 alVimprovviso (appunto,
acj>VTis) la discontinuit del reale, giungendo cos, a un tratto
(ancora, at cauris-), alia visione diretta delle idee aspaziali e

co: anima immortaie adempie essenzialm