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Ci esprimiamo necessariamente con le parole, e pensiamo per lo più nello spazio. In altri termini, il
linguaggio esige che tra le nostre idee stabiliamo quelle stesse distinzioni nette e precise, quella stessa
discontinuità che stabiliamo tra gli oggetti materiali. Questa assimilazione è utile nella vita pratica, e
necessaria nella maggior parte delle scienze. Ma ci si potrebbe chiedere se le insormontabili difficoltà
che certi problemi filosofici sollevano non derivino dal fatto che ci si ostina a giustapporre nello spazio i
fenomeni che occupano affatto spazio, e se, talvolta, non si possa porre termine facendo astrazione dalle
immagini grossolane intorno a cui si svolge la disputa. Una volta che una traduzione della qualità in
quantità, abbia installato la contraddizione nel cuore stesso del problema posto, è forse sorprendente che
la contraddizione si ritrovi nelle soluzioni che se ne danno?
Tra i problemi abbiamo scelto quello comune alla metafisica e alla psicologia, il problema della libertà.
Noi cerchiamo di dimostrare come ogni discussione tra deterministi e i loro avversari implichi una
confusione preliminare tra durata e l'estensione, tra la successione e la simultaneità, la qualità e la
quantità: dissipata questa confusione, forse si vedrebbero dissolversi obiezioni sollevate contro la libertà.
Questa dimostrazione costituisce l'oggetto della terza parte del nostro lavoro: i primi due capitoli, in cui
vengono studiate le nozioni d'intensità e di durata, sono stati scritti come introduzioni al terzo.
CAPITOLO PRIMO
Sull'intensità degli stati psicologici
Comunemente si ammette che gli stati di coscienza, le sensazioni, i sentimenti, le passioni, gli sforzi,
possono crescere e diminuire; alcuni assicurano anche che una sensazione può essere definita due, tre,
quattro volte più intensa di un'altra della stessa natura. Quest'ultima tesi è quella degli psicofisici: il
senso comune si pronuncia su ciò senza la minima esitazione; diciamo che abbiamo più o meno caldo,
che siamo più o meno tristi. E tuttavia qui c'è un punto molto oscuro e un problema molto più grave di
quanto non si pensi solitamente. Quando si afferma che un numero è più grande di un altro numero o un
corpo di un altro corpo, si sa molto bene di cosa si sta parlando. Infatti, in entrambi i casi, si tratta di
spazi diseguali, e si definisce più grande lo spazio che contiene l'altro. Ma in quale modo una sensazione
più intensa potrà contenere una sensazione di minore intensità? Distinguere, come si fa d'abitudine, due
specie di quantità, la prima estensiva e misurabile, la seconda inestensiva, che non comporta la misura
ma di cui si può tuttavia dire che è più grande o più piccola di un'altra intensità, significa schivare la
difficoltà. Bisogna quindi ammettere che traduciamo l'inestensivo in estensivo, e che il raffronto fra due
intensità si fa, o almeno si esprime, attraverso l'intuizione confusa di un rapporto tra due estensioni. E'
incontestabile che la sensazione più intensa di luce sia quella che si è ottenuta o che si otterrebbe grazie a
un maggior numero di fonti luminose. Ma nell'immensa maggioranza dei casi, ci pronunciamo
sull'intensità dell'effetto senza neppure conoscere la natura della causa, e, a maggior ragione, la sua
grandezza: ed è proprio l'intensità di un effetto senza neppure conoscere la natura della causa, e, a
maggior ragione, la sua grandezza: ed è proprio l'intensità dell'effetto che spesso ci induce ad azzardare
CAPITOLO SECONDO
Sulla molteplicità degli stati di coscienza. L'idea di durata
L'idea di numero implica l'intuizione semplice di una molteplicità di parti o di unità, del tutto simili le
une alle altre.
Le pecore del gregge devono distinguersi in qualche punto poiché non si confondono in una sola.
Supponiamo tutte le pecore del gregge identiche fra loro; esse differiscono almeno per la parte di spazio
che occupano, perchè altrimenti non formerebbero affatto un gregge. Ma lasciamo da parte le cinquanta
pecore reali e manteniamone solo l'idea. O le comprendiamo tutte nella stessa immagine, e, di
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CAPITOLO TERZO
Sull'organizzazione degli stati di coscienza. La libertà
Non è difficile capire per quale motivo il problema della libertà metta in contrasto fra loro questi due
opposti sistemi della natura: il meccanicismo e il dinamismo. Il dinamismo parte dall'idea di attività
volontaria, fornita dalla coscienza, e, svuotando un po' alla volta questa idea, giunge alla
rappresentazione dell'inerzia: concepisce quindi senza difficoltà, da una parte una forza equilibrata, e
dall'altra una materia governata da leggi. Il meccanicismo segue il cammino invero. Suppone che i
materiali di cui opera la sintesi siano retti da leggi necessarie, e sebbene arrivi a combinazioni sempre
più ricche, sempre più difficili da prevedere, e in apparenza sempre più contingenti, non esce dal cerchio
stretto della necessità, in cui si era chiuso fin dall'inizio. Quanto più allarga il suo sguardo, tanto più il
sostenitore del dinamismo credere di scorgere fatti che si sottraggono alla morda delle leggi: innalza
dunque il fatto a realtà assoluta, e la legge a espressione più o meno simbolica di questa realtà. Il
meccanicismo, al contrario, distingue nel fatto particolare un certo numero di leggi di cui il fatto stesso
costituirebbe il punto di intersezione; in quest'ipotesi, proprio la legge diventerebbe la realtà
fondamentale. E se ora si cercasse di capire per quale motivo gli uni attribuiscano una realtà superiore al
fatto, mentre gli altri alla legge, scopriremmo a nostro avviso, che il meccanicismo e il dinamismo usano
la parola semplicità in due sensi molto diversi. Per il primo è semplice ogni principio i cui effetti
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