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7’ dispensa

Metamorfosi dell’anima
OO 58
Sentieri di esperienza per l’anima

Seconda conferenza:
La missione della collera
“Il Prometeo incatenato”

Trasformazione dell’anima senziente

… e così la scienza dello spirito è convinta che i limiti della conoscenza umana possano essere solo relativi e
possano essere ampliati, che nella nostra anima si celino facoltà che possiamo estrarre da essa, e che come
per il nato cieco dopo l’operazione luce e colore promanano dal buio e dall’oscurità, così per l’uomo che
rivesta le facoltà animico-spirituali nascoste al proprio interno, del mondo che prima era solo quello
veicolato dei sensi esteriori inizia a promanare l’elemento spirituale, da cui siamo sempre circondati e che
non possiamo percepire senza gli organi spirituali.
… il ricercatore scientifico-spirituale non dispone di uno strumento costituito da lenti o da altre componenti:
è la sua anima stessa che egli deve trasformare in uno strumento.
Allora sperimenta a un grado più elevato quel possente istante del risveglio dell’anima, poiché riesce a
inoltrarsi con lo sguardo in un mondo spirituale, come il cieco operato vede un mondo fisico che prima non
percepiva.
Abbiamo più volte sottolineato anche il fatto che non tutti devono necessariamente diventare ricercatori
spirituali per riconoscere ciò che il risvegliato di oggi comunica al mondo.
In base alla nostra concezione, l'uomo è un essere molto più complesso di quanto ritenga la scienza esteriore.
Quello che l’osservazione física esteriore conosce dell'uomo, per la scienza del spirito è solo una parte
dell’essere umano: il corpo fisico esteriore, che l'uomo ha in comune con tutti gli elementi minerali presenti
nel nostro ambiente.
Nel corpo fisico vigono le stesse leggi e agiscono le medesime sostanze del mondo fisico-minerale esterno.
Ma oltre a questo, nella scienza dello spirito riconosciamo, non solo per deduzione logica, bensì per
osservazione, l'esistenza di un secondo elemento dell'essere umano, da noi chiamato corpo eterico o vitale.
Oggi possiamo soltanto accennare a grandi linee a questa struttura della natura umana, poiché il compito
della giornata odierna è un
altro, ma la conoscenza di questa struttura della natura umana ci deve servire come base per le nostre
considerazioni.
L'uomo non ha il corpo eterico o vitale in comune con tutto ciò che di fisico-minerale lo circonda, ma con
tutto ciò che è vivo.
Ho detto che chi è diventato un ricercatore dello spirito e ha trasformato la propria anima in uno strumento
con cui guardare nei mondi spirituali conosce questo corpo eterico o vitale per osservazione diretta.
Ma questo corpo può essere riconosciuto anche da un imparziale senso della verità che non sia offuscato dai
pregiudizi odierni. Prendiamo infatti il corpo fisico: ha in sé le stesse leggi chimiche e fisiche del mondo
fisico-minerale esterno.
Quando ci si mostrano queste leggi fisiche? Quando l'uomo ci sta davanti privo di vita. Dopo che ha varcato
la porta della morte, vediamo quali sono le leggi intrinseche al corpo fisico: sono le leggi che dissolvono il
corpo, che lo governano in modo completamente diverso da quello in vigore fra nascita e morte.
Queste stesse leggi sono anche sempre presenti nel corpo fisico umano, che tuttavia non le segue per via del
fatto che nel periodo compreso fra nascita e morte c'è un elemento che lotta contro la disgregazione del corpo
fisico, per l'appunto il corpo eterico o vitale.
Distinguiamo poi un terzo elemento costitutivo dell'essere umano: il portatore di piacere e dispiacere, gioia e
dolore, degli istinti, dei desideri e delle passioni, di tutto quello che in pratica designiamo come elemento
animico, ma che non è l'anima stessa, bensì il suo veicolo.
L'uomo ha questo corpo in comune con tutti gli esseri dotati di una certa forma di coscienza, ovvero gli
animali.
Questo terzo elemento dell'essere umano lo chiamiamo corpo astrale o corpo della coscienza.
E con ciò abbiamo esaurito la spiegazione di quella che definiamo corporeità dell'uomo.
Questa corporeità umana è costituita da tre arti: corpo fisico, corpo eterico o vitale, e corpo astrale o corpo
della coscienza. All'interno di queste tre componenti riconosciamo nell'uomo l'elemento che lo rende il
coronamento della creazione terrestre, quello che non ha in comune con nessun altro essere.
Abbiamo già fatto notare più volte come la nostra lingua possieda un'unica parolina che può condurci a
questa interiorità dell'uomo che fa di lui il coronamento della creazione terrestre.
Chiunque può chiamare “mazzo di fiori” il mazzo di fiori, “orologio” l’orologio, “scrivania” la scrivania,
“sedia” la sedia, “fiamma” la fiamma.
Esiste tuttavia un’unica parola che non può mai risuonare al nostro orecchio dall’esterno come nome che
indica noi stessi, una parola che non può che scaturire dalla nostra interiorità se devi indicare la nostra
persona.
È quello che viene espresso con la parolina “io“.
La scienza dello spirito prende sul serio il termine “evoluzione“ soprattutto in rapporto all’uomo, gli fa
notare che, trattandosi di un essere autocosciente dotato di un’attività interiore che scaturisce dal suo centro,
egli non deve limitarsi a comprendere l’evoluzione guardando fuori nel mondo e dicendo che li l’imperfetto
si evolve fino a diventare perfetto, ma per il fatto di essere inserito nel mondo come essere attivo, egli stesso
deve compiere l’evoluzione.
Che cos’è dunque che lavora di vita in vita, che ha avuto inizio in vite terrene precedenti e procede
attraverso tutte le esistenze terrene?
È l’io umano, quel nome che la nostra lingua ci permette di pronunciare solo se lo riferiamo a noi stessi.
L’io dell’uomo passa di vita in vita, e così facendo compie la propria evoluzione.
Come avviene questa evoluzione?
Attraverso l’elaborazione di tre elementi costitutivi inferiori da parte dell’io abbiamo il corpo astrale, il
portatore di piacere e dispiacere, gioia e dolore, istinti, desideri e passioni.
Vediamo quindi l'io lavorare dall'interno sugli involucri dell'uomo, dapprima sull'involucro astrale,
l'involucro della coscienza.
Possiamo pertanto dire: in ogni essere umano che ci sta davanti è possibile distinguere ciò di cui è stato
dotato nell'esistenza senza il proprio intervento - quella parte di corpo astrale su cui l'io non ha ancora
lavorato - e la parte che l'io ha già modificato coscientemente.
Chiamiamo Sé Spirituale o Manas quella parte del corpo astrale che l'io ha già trasformato.
Allora l'io può diventare sempre più forte e trasformare anche il corpo eterico o vitale.
E la parte del corpo eterico o vitale trasformata dall'io la chiamiamo Spirito Vitale.
E quando l'io acquisisce sempre più forza e arriva al punto di poter agire sul corpo fisico trasformandolo,
definiamo l’Uomo-Spirito
quella parte di corpo fisico che è stata trasformata ma non può essere vista con gli occhi normali poiché è
sovrasensibile.
Vediamo cosi come avviene I’evoluzione.
L’io trasforma le componenti esteriori dell’uomo quelle da lui ricevute senza il suo intervento.
Finora abbiamo parlato della trasformazione cosciente del corpo astrale, ma prima di acquisire la capacità di
lavorare in modo consapevole, già da epoche assai remote l’io aveva lavorato in maniera inconscia - o
meglio subconscia - sui suoi tre arti esteriori, dapprima sul corpo astrale, il veicolo di piacere e dispiacere,
gioia dolore, impulsi, desideri e passioni.
E quella parte del corpo astrale che lo ha riplasmato inconsciamente, e che oggi portiamo già in noi come
corpo astrale trasformato, viene da noi definita la prima componente animica dell'uomo, l'anima senziente.
L'io vive quindi nell'interiorità umana e ha già creato nel corpo astrale l'anima sen-ziente, prima ancora che
l'uomo sia diventato talmente consapevole da poter trasformare in maniera cosciente i propri istinti, desideri
e quant'altro.
Nel corpo eterico o vitale, in uno stato preconscio, senza poter lavorare coscientemente, l'io ha creato quella
che definiamo anima razionale o affettiva.
E infine, nel corpo fisico l'io si è formato l'organo di un arto animico interiore che chiamiamo anima
cosciente.
Nell'uomo dobbiamo dunque distinguere tre elementi animici all'interno dei quali agisce l'io: l'anima
senziente, l'anima razionale o affettiva e l'anima cosciente.
Per la scienza dello spirito, quest'anima umana non è qualcosa di vago e nebuloso, ma un elemento
costitutivo interiore dell'essere umano, formato da anima senziente, anima razionale o affettiva e anima
cosciente.
Ora, poiché tutte queste considerazioni si riferiscono a questi tre elementi costitutivi animici e al lavoro che
l’io effettua su di essi, vogliamo cercare di formarci un concetto della loro natura del modo in cui ci si
presentano.
L'investigatore spirituale li conosce per visione diretta, ma possiamo farcene un'idea anche con il raciocinio.
Per farlo ci basta per esempio pensare che davanti noi ci sia una rosa.
La percepiamo, e finché dura questa percezione, riceviamo un'impressione dall'esterno.
La chiamiamo la percezione della rosa.
Nell’istante in cui distogliamo lo sguardo dalla rosa, manteniamo un'immagine interiore del fiore: allora ci
rimane qualcosa che possiamo portarci appresso, un'immagine della rosa.
Dobbiamo distinguere questi due momenti: quello in cui siamo di fronte alla rosa e quello in cui, senza
averla davanti, possiamo portarci dietro l'immagine della rosa come rappresentazione, come possesso
interiore dell'anima.
È necessario sottolineare questa distinzione, poiché la filosofia del XIX secolo ha suscitato proprio in questo
campo le idee più incredibili.
Ci basti pensare alla filosofia di Schopenhauer, la cui prima affermazione è: "Il mondo è la mia
rappresentazione". Occorre farsi un chiaro concetto di cosa è percezione e cosa è rappresentazione.
La rappresentazione si differenzia dalla percezione: l'uomo pensante se ne rende conto se solo si rappresenta
un ferro bello caldo, un ferro terribilmente rovente, della temperatura di parecchi gradi Celsius.
C'è una differenza fra questo ferro presente solo nella nostra rappresentazione e quello che percepiamo.
Nel nostro caso, il ferro percepito brucia, mentre quello della nostra rappresentazione non brucia, per quanto
rovente ce lo immaginiamo.
La percezione presuppone il nostro entrare in rapporto con il mondo esterno, mentre la rappresentazione è
patrimonio dell'anima. Possiamo tracciare una netta linea di demarcazione fra il nostro vissuto interiore e il
mondo esterno.
Nell'istante in cui iniziamo a fare esperienze interiori, comincia a manifestarsi quella che chiamiamo anima
senziente rispetto al corpo senziente che, per esempio, ci trasmette la percezione e ci consente di percepire il
colore della rosa.
Nell'anima senziente sono quindi contenute le rappresentazioni, ma anche tutte quelle che possiamo definire
le nostre simpatie e antipatie, le nostre emozioni, le sensazioni che proviamo nei confronti delle cose.
Quando diciamo che la rosa è bella, questa esperienza interiore appartiene all'anima senziente.
Chi non vuole distinguere fra percezione e rappresentazione, il possesso interiore della rappresentazione
radicato nell'anima senziente, provi almeno a rendersi conto che un ferro rovente reale brucia, mentre uno
immaginato no.
Una volta che ho illustrato questo esempio mi è stato detto che ci si potrebbe autosuggestionare al punto da
sentire il sapore della limonata al solo pensarla, ragion per cui non è possibile operare una netta distinzione
fra vissuto interiore e mondo esterno.
Ho fatto notare a quella persona che di certo qualcuno può arrivare a immaginarsi il sapore della limonata
anche senza che la bevanda sia realmente presente, ma che la limonata immaginata sia anche in grado di
dissetarlo è un'altra questione.
È ben possibile indicare il confine fra ciò che esiste realmente fuori di noi e quello che viviamo
interiormente.
Proprio laddove inizia l'esperienza interiore comincia l'anima senziente rispetto al corpo senziente.
Una componente superiore, prodotta dal lavoro dell’io sul corpo eterico, è quella cui diamo il nome di anima
razionale o affettiva. Nella conferenza sulla "missione della verità” parleremo di quest'anima razionale o
affettiva, come oggi dobbiamo occuparci particolarmente dell'anima senziente. Attraverso l'anima razionale o
affettiva, l'uomo sperimenta qualcosa che non possiede semplicemente come stimolo dal mondo esterno che
poi continua a vivere in lui, ma fa esperienza dentro di sé di cose che forse vive sulla base del mondo
esterno, ma solo se in un certo senso prolunga quello stimolo esterno nella sua interiorità.
Se non ci limitiamo ad avere percezioni esteriori e a farle rivivere nella nostra anima senziente, ma ci
riflettiamo sopra, se ci abbandoniamo ad esse e continuiamo a sperimentare, allora quelle percezioni si
sviluppano, dando forma a pensieri e giudizi, all'intero contenuto del nostro animo.
Ciò che sperimentiamo interiormente solo per il fatto che la nostra anima continua a vivere gli stimoli del
mondo esterno è la cosiddetta anima razionale o affettiva.
C'è poi un terzo elemento costitutivo animico, dovuto al fatto che l’io si è creato nel corpo fisico gli organi
per uscire di nuovo da se stesso e ricongiungere con il mondo esterno quanto ha vissuto nell'animo in termini
di giudizi, concetti e idee.
Quando l'io sviluppa questo terzo elemento, parliamo di anima cosciente, poiché in questo caso l'anima non
ha solo esperienze sulla base degli stimoli provenienti dall'esterno, ma converte quello che sperimenta
interiormente in conoscenza del mondo esterno.
Se organizziamo i sentimenti che proviamo dentro di noi in modo che ci illuminino sul contenuto del mondo,
allora il nostro contenuto in termini di pensieri, giudizi e affetti diventa conoscenza del mondo esterno.
Parliamo di un'anima cosciente mediante la quale scandagliamo i segreti del mondo esterno, di un'anima
cosciente grazie alla quale siamo esseri umani che sanno e conoscono.
Ma è l'io a lavorare incessantemente in queste tre componenti dell'anima umana, nei tre elementi costitutivi
animici dell'uomo, ovvero l'anima senziente, l'anima razionale o affettiva e l'anima cosciente.
E quanto più l’io lavora, liberando le forze interiormente vincolate, quanto più affina le capacità di queste tre
componenti animiche, tanto più l'uomo progredisce nella sua evoluzione.
L’io è l'attore, l'entità attiva mediante la quale l'uomo può non solo conoscere ma anche evolvere e progredire
sempre più, facendo in modo che, mentre nelle sue incarnazioni precedenti queste tre componenti animiche
si mostravano interiormente imperfette, con ogni nuova incarnazione la vita e il contenuto dell'anima
senziente, dell'anima razionale o affettiva e dell'anima cosciente diventino sempre più ricche e complete.
L'evoluzione umana di vita in vita consiste nel lavoro dell'io, che si svolge dapprima sui tre elementi
costitutivi animici: anima senziente, anima razionale o affettiva e anima cosciente.
Dobbiamo renderci conto che, mentre esegue questo lavoro, l'io stesso costituisce una sorta di "spada a
doppio taglio".
Questo io da un lato è l'unico elemento dell'essere umano che gli consente di essere “uomo" nel vero senso
della parola.
Se non avessimo questo punto centrale, saremmo esseri per così dire passivamente fusi con il mondo esterno.
I nostri concetti e le nostre idee devono essere incastonati in questo punto centrale, un numero sempre
maggiore di concetti e idee devono sperimentarsi in questo io; e dal mondo esterno dobbiamo ricevere
contenuti affettivi e stimoli sempre più ricchi.
Siamo tanto più uomini quanto più questo nostro io diventa pieno, ricco e completo. Perciò questo io deve
arricchirsi sempre più attraverso le varie vite, deve diventare un centro per mezzo del quale l'uomo non solo
si inserisce nel mondo esterno, ma ne è animatore.
L'uomo è tanto più uomo quanto più sente che nel punto dell'io è racchiusa un'abbondante quantità di
impulsi.
Quanto più irradia dalla sua individualità e quanto più ha accolto in sé, tanto più è uomo.
Quanto più è ricco l'io, tanto più perfetto è l'uomo in quanto tale.
Questo è il lato dell’io che ci impone il dovere dell’evoluzione, che ci obbliga a fare di tutto per renderlo il
più ricco e versatile possibile.
Ma questo progresso dell’io verso un contenuto sempre più ricco e pieno ha anche il suo rovescio: quello che
chiamiamo egoismo.
Se l'uomo prendesse la parola egoismo solo come un luogo comune e dicesse che bisogna diventare altruisti,
sarebbe ovviamente qualcosa di negativo, come è un male ogni utilizzo di un luogo comune in quanto tale.
In realtà il compito dell'uomo è arricchirsi sempre di più; e questo non ha niente a che vedere con il diventare
egoisti quando l'arricchimento dell'io è collegato a un irrigidimento dell'io in se stesso, a un suo isolarsi con
la sua ricchezza.
Allora l'uomo diventerebbe sempre più ricco, ma nello stesso tempo perderebbe il legame con il mondo, e il
suo arricchimento lo renderebbe incapace di dare e ricevere alcunché dal mondo, e con l'andar del tempo lo
farebbe deperire poiché, nel tentativo di arricchire il proprio io, tratterrebbe tutta la ricchezza nell'io,
perdendo così il rapporto con il mondo. Nello stesso tempo, questa caricatura dell'evoluzione del suo io
comporterebbe un impoverimento dell'uomo.
L’egoismo impoverisce e inaridisce l'essere umano.
Così l'io è una spada a doppio taglio mentre opera sui tre elementi animici.
Da un lato deve lavorare in modo da diventare sempre più ricco, rendersi sempre più completo e trasformarsi
in un centro potente da cui irradiare molto; ma dall'altro deve stabilire un'armonia fra ciò che accoglie in sé e
ciò che vive nell'ambiente.
E nel contempo, nella stessa misura in cui evolve interiormente deve uscire da sé stesso e fondersi con
l'intera esistenza.
Da un lato deve diventare un'entità egoica e dall'altro diventare altruista.
Solo se l'io lavora in queste due direzioni, apparentemente contraddittorie, arricchendosi sempre più da un
lato e diventando altruista dall'altro, l'evoluzione dell'uomo potrà procedere sia per la sua soddisfazione
personale che per la salvezza e il progresso dell'esistenza.
È dunque necessario che l’io lavori su ciascuna delle sue tre componenti animiche tenendo conto di queste
due direzioni dell'evoluzione umana.
Ma mentre lavora sui tre arti animici, l'io stesso si risveglia progressivamente.
Tutta la vita è all'insegna dell'evoluzione, e vediamo che nell'uomo odierno le varie componenti dell'anima
umana sono sviluppate in grado diverso.
La più sviluppata è l'anima senziente, nella quale si trova tutto ciò che viene vissuto interiormente in termini
di piacere e dispiacere, gioia e dolore, desideri e passioni, stati d'animo ed emozioni, e che si desta nell'anima
in virtù di uno stimolo immediato del mondo delle percezioni.
A certi gradi inferiori di evoluzione, l'uomo sperimenta nella propria anima senziente tutto questo in modo
per così dire ottuso. Qui l'io non si è ancora svegliato alla piena esistenza.
Solo quando la vita animica continua in se stessa, quando l'uomo lavora su di sé, l'io diventa sempre più
chiaro ed evidente, sempre più cosciente di sé.
In realtà, per quanto l'anima senziente sia desta, l'io è qualcosa che cova in modo indefinito, e diventa sempre
più chiaro a se stesso via via che l'uomo ascende a una vita più ricca nell'anima razionale; mentre raggiunge
la massima chiarezza quando nell'anima cosciente si distingue dal mondo esterno, allorché l'uomo diventa un
essere dotato di conoscenza e, in quanto egoità, si differenzia dal mondo esterno, cosa che può fare solo nella
sua anima cosciente.
Così, nell'anima senziente abbiamo l'io che cova in modo sordo.
Li vi sono ondate di piacere e dispiacere, gioia e dolore, e l'io può essere a malapena percepito, poiché questo
flusso di emozioni, passioni e via dicendo lo travolge.
Solo quando l'io giunge a sviluppare ulteriormente l'anima razionale, portandola a idee e concetti ben
delineati, quando arriva a formulare giudizi chiari, solo allora diviene sempre più completo e chiaro in se
stesso, e il massimo grado di chiarezza lo consegue appunto solo nell'anima cosciente.
Dobbiamo pertanto dire che l'uomo deve educarsi per mezzo del proprio io, che grazie all'io deve avere la
possibilità di progredire; ma questo io si risveglia in uno stato in cui è ancora completamente in balia dei
flutti che imperversano nell'anima senziente sotto forma di piacere e dispiacere, gioia e dolore, istinti,
desideri e passioni.
Ma in quest'anima senziente, dove l'io stesso è ancora impacciato, c'è qualcosa che in un certo senso possa
fungere da educatore dell'essere umano?
Vedremo come nell'anima razionale si sviluppi qualcosa che mette l'io in condizione di prendere in mano la
propria educazione, qualcosa che non è ancora presente nell'anima senziente, dove l'io deve essere guidato da
ciò che vi si svolge senza il suo intervento.
Oggi metteremo in risalto una forza, un elemento dell'anima senziente e la osserveremo da due lati nella sua
importanza, nella sua missione per l'educazione dell'io.
Prenderemo in considerazione quella che chiamiamo collera, per quanto forse particolarmente in questo
contesto possa risultare un argomento scabroso.
La collera fa parte dei sentimenti che si accendono nell'anima senziente in cui l'io cova ancora in modo
sordo.
O siamo forse in rapporto autocosciente con un essere qualsiasi del mondo esterno il cui modo di agire ci fa
montare in collera? Proviamo a raffigurarci la differenza fra due individui, diciamo due educatori.
L'uno ha già fatto dentro di sé una chiarezza tale da poter formulare giudizi interiori illuminati: avendo
sviluppato la propria anima affettiva, è in grado di vedere con la massima equanimità i comportamenti
sbagliati del proprio alunno.
E anche la sua anima cosciente osserva con grande imperturbabilità gli errori del fanciullo e, se necessario,
sa trovare la punizione adeguata.
In modo del tutto spassionato, impartisce il castigo commisurato ai dettami del giudizio etico e pedagogico, e
appropriato alla trasgressione dell'alunno.
Diversa è la situazione dell'altro educatore, che non ha ancora sviluppato il proprio io al punto da mantenere
la calma, che non ha ancora raggiunto la chiarezza interiore e non sa riflettere sul da farsi rispetto alla
marachella del bambino, ma può ardere di rabbia davanti al suo comportamento scorretto.
Questa collera è sempre inadeguata in rapporto agli avvenimenti del mondo esterno?
No, non sempre, ed è una cosa da tener presente.
In un certo senso, la saggezza della nostra evoluzione ha provveduto a farci sopraffare dal sentimento e
dall'emotività prima che il giudizio proveniente dall'anima razionale e dall'anima cosciente ci renda in grado
di trovare una risposta adeguata a un evento del mondo esterno.
Nella nostra anima senziente affiora qualcosa come conseguenza del fatto esteriore.
Non disponiamo ancora della maturità necessaria per trovare nel giudizio la reazione appropriata al mondo
esterno, ma a partire dall'insieme dei sentimenti presenti
nella nostra anima senziente, siamo capaci di reagire a ciò che ci muove incontro dal mondo esterno.
Di tutti i sentimenti provati dall'anima senziente, vogliamo mettere in risalto la collera, che precorre quello
che si avvererà in futuro.
Dapprima formuliamo un giudizio su un avvenimento esteriore sotto l'influsso della collera, poi, una volta
appreso inconsciamente - attraverso la collera - a essere in disaccordo con ciò che è ripro-vevole, proprio in
virtù di questo giudizio diventiamo sempre più maturi fino poter esprimere giudizi illuminati nell'anima
superiore.
Così, in un certo ambito, la collera è un'educatrice dell'essere umano.
Si manifesta come esperienza interiore prima che conseguiamo la maturità necessaria a pronunciare un
giudizio illuminato su ciò che è deplorevole.
E da questo punto di vista che dobbiamo considerare la collera da cui viene sopraffatto il giovane ancora
immaturo nel giudizio, non ancora in grado di formarsi un giudizio pacato, ma capace di avvampare di
collera quando nel proprio ambiente vede un'ingiustizia o un'azione stolta in contrasto con i suoi ideali.
A ragione parliamo allora di nobile indignazione, che corrisponde a un giudizio cupo formulato nell'anima
senziente prima che siamo maturi per pronunciarne uno in limpida chiarezza.
Sì, la collera ci educa a questa limpida chiarezza, poiché nessuno viene guidato meglio a un giudizio sicuro
in se stesso di chi, partendo da un'antica e nobile disposizione, si è sviluppato in modo da potersi infiammare
di nobile collera di fronte a ciò che è ignobile, immorale e stolto.
E la missione della collera consiste nell'elevare l'io dell'uomo alle sfere superiori.
Questa è la sua missione.
È una maestra che vive dentro di noi.
Prima che diventiamo capaci di guidarci da soli, prima che acquisiamo la facoltà di giudicare in luminosa
chiarezza, la collera ci guida nelle cose che siamo già in grado di fare.
Naturalmente, nell'uomo tutto deve potersi trasformare in modo da consentirgli di diventare un essere libero.
Per questo anche l'elemento che per lui può essere un educatore alla libertà e all'autonomia di giudizio è
suscettibile di trasformazione.
La collera può degenerare in furore, e soddisfare così il peggiore egoismo.
Ma è così che dev'essere se si vuole che l'uomo possa evolvere verso la libertà.
In questo processo non si deve disconoscere il fatto che, laddove si manifesti nel suo giusto significato, un
sentimento che può diventare negativo possa anche avere la missione di far progredire l'individuo.
Poiché l'uomo ha la facoltà di tramutare il bene in male, quella che si forma come qualità in senso buono può
diventare una proprietà del suo io.
La collera va quindi intesa come un primo accenno del sentimento che può condurre l'uomo all'equanimità.
Ma se da un lato la collera è un'educatrice dell’io, dall'altro ci si mostra curiosamente anche come qualcosa
che conferisce la propria impronta all'altra caratteristica dell'io, ovvero l'altruismo.
Che cosa promana infatti da questo io quando veniamo sopraffatti dalla collera di fronte a un'azione ingiusta
o stolta compiuta nelle nostre immediate vicinanze? Immaginiamo di essere travolti dalla collera.
In noi c'è qualcosa che parla in modo diverso da ciò che ci sta davanti.
La realtà della collera si esprime segnalando la presenza al nostro interno di qualcosa che si oppone al
mondo esterno; allora si presenta la collera, l'io vuole proteggersi da quanto gli muove incontro da fuori.
È il pieno contenuto dell'io che viene formato dentro di noi.
Se assistessimo a un'azione stolta o ingiusta senza avvampare di nobile collera, il mondo esterno ci
passerebbe accanto lasciandoci del tutto indifferenti; vale a dire che ci fonderemmo con il mondo esterno,
non sentiremmo il pungolo del nostro io, non ci accorgeremmo dello sviluppo del nostro io.
La collera invece lo rende vigile, lo fa uscire allo scoperto, affinché possa confrontarsi con il mondo esterno.
Ma la collera educa anche l'altro aspetto dell'io, l'altruismo.
Quando questa collera è tale da poter essere definita nobile, allora agisce in modo che l'uomo, mentre la
sperimenta, provi nel contempo un attutimento del senso dell'io.
Se non le permettiamo di degenerare nel furore, la collera suscita in noi una sorta di impotenza animica.
Quando pervadiamo la nostra anima con questa collera, si verifica una specie di impotenza animica e l'io
diventa sempre più apatico.
Mentre da un lato l'io emerge in contrapposizione al mondo esterno, dall'altro si spegne nuovamente.
Nello stesso tempo, reprimendo dentro di sé l'impeto della collera, l'uomo giunge a sviluppare l'altruismo.
La collera determina l'evoluzione di entrambi gli aspetti dell'io: la sua missione consiste infatti nel far
nascere in noi la nostra specificità individuale e nel trasformarla allo stesso tempo in altruismo e
abnegazione.
Chi sperimenta dentro di sé la collera fa esperienza di qualcosa che la fantasia popolare rappresenta in
maniera mirabile.
Tutti voi conoscete probabilmente l'espressione "invelenirsi".
La nostra fantasia popolare usa questo verbo quando vuole indicare il riempirsi di collera, poiché percepisce
magnificamente alcuni aspetti di questi insegnamenti che a volte gli eruditi non riescono a cogliere.
La collera che rode l'anima è un veleno, ovvero qualcosa che attutisce l'egoità dell'io.
Quando diciamo che qualcuno si invelenisce, facciamo riferimento a quest'altro metodo educativo della
collera, allo sviluppo dell'altruismo.
Così, in realtà la collera ha una missione rispetto a questi due aspetti dell'educazione umana, e la vediamo
preannunciare la nostra autonomia e il nostro altruismo fintanto che l'io stesso non interviene nella propria
educazione.
Se tutto quello che avviene intorno a noi ci lasciasse indifferenti e non fossimo ancora in grado di emettere
un giudizio sereno, ci dissolveremmo.
Non diventeremmo altruisti, bensì dipendenti nel peggior senso della parola, privi di egoità, se prima di aver
sviluppato il nostro io fino alla capacità di formulare un giudizio limpido e chiaro non ci rendessimo
autonomi mediante la collera ogniqualvolta il mondo esterno non corrisponde alla nostra interiorità.
E per il ricercatore spirituale questa collera rappresenta veramente gli albori di qualcosa di completamente
diverso.
Chi osservi la vita noterà come l'individuo incapace di ardere di nobile collera di fronte a un'ingiustizia o a
un'azione insensata sia anche impossibilitato a provare vera indulgenza e vero amore.
Se esaminate la vita, vedrete che, fino a quando ha bisogno di educarsi in modo da avvampare di nobile
sdegno di fronte a un'azione ingiusta o stolta, l'uomo sviluppa in sé nel senso più bello anche un cuore
infiammato d'amore che compie il bene in virtù di questo sentimento.
Amore e indulgenza sono l'altra faccia del nobile sdegno. Una volta superata e purificata, la collera si
tramuta in amore e indulgenza.
Di rado si troverà al mondo una mano amorevole che in determinati momenti non sia stata anche capace di
stringersi a pugno di fronte a un'ingiustizia o a un'azione stolta tali da suscitare una nobile collera.
Sono cose correlate fra loro.
In una teosofia retorica si potrebbe dire che l'uomo deve superare le proprie passioni, deve depurarle e
purificarle.
“Superare" non significa girare intorno a una cosa per scansarla con disinvoltura.
È un sacrificio singolare quello che alcuni vogliono compiere cercando di sbarazzarsi della loro parte
passionale girandole intorno e scansandola.
Si può sacrificare solo ciò che si possiede, e quello che non si possiede non può essere sacrificato.
La collera può essere superata solo da chi prima abbia potuto lasciarsene infiamma-re, poiché quello che
deve essere trasceso va prima posseduto.
Non dobbiamo sottrarci a queste caratteristiche, ma trasformarle dentro di noi.
Ma per poterlo fare le dobbiamo prima possedere.
Se trasformiamo la collera, se da quello che arde nell'anima senziente come nobile sdegno ci eleviamo fino
all'anima razionale e all'anima cosciente, allora dalla collera si svilupperanno amore, indulgenza e una mano
benedicente.
La collera trasformata è amore nella vita, ce lo dice la realtà.
Per questo la collera che si manifesta con moderazione nella vita ha il compito di condurre l'uomo all'amore:
possiamo definirla il sentimento che educa all'amore. Non per niente, in contrasto con l"amore divino", si
parla di "collera divina" in riferimento a ciò che nel mondo si manifesta come qualcosa di indefinito che
scaturisce dalla saggezza cosmica per controbilanciare gli errori commessi.
Tuttavia, sappiamo anche che questi due aspetti sono strettamente collegati, che l'uno non può esistere senza
l'altro.
Nella vita queste due cose si condizionano e si determinano a vicenda.
Ora vediamo come l'arte e la poesia, quando raggiungono certe vette, ci mostrano la saggezza cosmica
primordiale. E come, parlando della missione della verità, potremo illustrare il modo in cui Goethe in
Pandora -* uno dei suoi componimenti poetici più grandi, sebbene esteriormente ci si presenti come un'opera
di piccole proporzioni - esprime il proprio pensiero riguardo alla missione della verità, così in un'altra
possente tragedia - il Prometeo incatenato di Eschilo -.
Probabilmente conoscete la trama del mito alla base della tragedia di Eschilo.
Prometeo è un discendente dell’antica stirpe dei titani, che succede alla prima progenie divina collocata dal
mito greco nell’evoluzione della terra e dell’umanità.
Urano e Gea appartengono alla prima generazione divina.
A Urano succede Crono o Saturno.
Poi i titani vengono a loro volta rovesciati dalla terza stirpe divina, che ha il proprio capo in Zeus.
Prometeo, pur essendo un titano, ha combattuto al fianco di Zeus nella battaglia contro i titani, ragion per cui
sotto un certo aspetto può essere definito amico di Zeus, ma in realtà gli è amico solo per metà.
Zeus voleva sterminare gli esseri umani e portare sulla terra una nuova stirpe, ma Prometeo decise di
permettere loro di progredire ulteriormente.
Portò agli uomini la facoltà del linguaggio, la conoscenza del mondo esterno, della scrittura e infine anche
del fuoco, consentendo al genere umano di risollevarsi dal proprio declino grazie all’uso della scrittura, del
linguaggio e del fuoco.
Prometeo ha potuto portare in dono agli uomini solo la facoltà di rendere l’io sempre più completo e ricco di
contenuto, perciò ha dovuto sfidare proprio quelle potenze che da tutta l’esistenza universale attutiscono l’io
nel modo giusto, affinché possa diventare altruista e sviluppare anche il suo altro lato.
Il mito prosegue narrando che Prometeo viene punito da Zeus per la sua azione, per aver fatto avanzare
intempestivamente l’umanità nella promozione dell’io.
Prometeo viene incatenato a una roccia e il poema di Eschilo ci fornisce una rappresentazione grandiosa di
patimenti di questo io dell’umanità avvinto alla roccia e della sua ribellione interiore.
E poi ci viene detto come Prometeo sappia che Zeus dovrà ammutolire con la sua collera quando verrà
rovesciato dal figlio di una mortale.
Allora Zeus sarà sostituito nel suo dominio da colui che nascerà da una mortale.
Come a un gradino inferiore l'io viene liberato dalla missione della collera, così dall'uomo mortale nascerà
l'io a un gradino superiore, l'io immortale.
A un livello più alto, dall'uomo mortale nascerà l'anima immortale.
E come Prometeo volge lo sguardo verso colui che subentrerà a Zeus, al dominio del dio che riversa la
propria collera sul Titano, ovvero sull'io umano per impedirgli di crescere smisuratamente oltre se stesso,
come Zeus verrà sostituito dal Cristo Gesù, così, dopo che la collera sarà stata trasfor-mata, il singolo io
incatenato dalla collera verrà trasformato nell'io amorevole, nell'amore in cui è stata trasmutata la nobile
collera.
…Nella prossima conferenza vedremo come nell’anima razionale o affettiva l’io afferrando la missione della
verità a un grado più alto, acquisisca la maturità per autoeducarsi.
…È proprio così: l'anima possiede un'essenza talmente profonda che non possiamo sondarla
immediatamente. Tuttavia, grazie all'occhio aperto del chiaroveggente, la scienza dello spirito ci introduce
nella sostanza dell'anima e, se la contempliamo con gli occhi dello scienziato spirituale, ci addentriamo
sempre più nell'esplorazione della misteriosa essenza della nostra anima.
In verità, da un lato possiamo dire che l'anima presenta profondità abissali, ma se prediamo sul serio questa
affermazione, possiamo obiettare che anche se i confini dell'anima sono tali da costringerci a percorrere tutte
le strade, possiamo però nutrire la speranza che, allargando questi confini e approfittando della loro vastità,
progrediremo sempre più nell'evoluzione della nostra anima.

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