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“Dal peccato all’eucarestia:

voci e percezioni del dono del cibo”

di Caterina Di Pasquale

1. INTRODUZIONE: il materiale, il metodo

Da quando la mano e la mente umana hanno plasmato la natura, in ogni dove ed in ogni tempo, il
cibo ha assunto valori simbolici, divenendo mediatore di significati sociali, culturali e religiosi.
La sua natura effimera e alienabile, la sua funzione di assicurare la crescita agli esseri viventi
tramite ingestione, ne motivano l’avvenuta sacralizzazione; il nostro corpo è concretamente fatto
da ciò che mangiamo, così come il nostro io, per questo scegliere, preparare gli alimenti per i
propri cari, consumarli, si traduce in un atto di amore e dedizione, un dono e un augurio di
salute.
Proprio in un mondo come l’odierno, caratterizzato dalla globalizzazione dei consumi, quindi
dalla varietà quantitativa e qualitativa delle merci a disposizione, analizzare le preferenze e le
scelte in campo nutrizionistico aiuta la comprensione di quali siano le diverse strategie legate
alla cura e alla crescita della propria famiglia, le percezioni e le relazioni con il benessere del
proprio corpo e con quello dei propri cari.
Il consumo critico e responsabile si rivela come una delle infinite possibilità che si schiudono
oggi alle collettività.
Le motivazioni dei “consumatori responsabili”, dei fruitori del commercio equo e solidale,
possono spiegare molto del sistema di valori della nostra cultura occidentale; perché è nel nostro
mondo che si è avvertito il bisogno di un consumo alternativo, che riuscisse a contrastare
proprio il sistema economico dal quale la nostra stessa società trae stabilità e ricchezza.
Quando si scelgono per sé e per gli altri questi prodotti, a scapito del risparmio economico e di
una facile accessibilità e circolazione delle altre merci, quale salute e quale salvezza si vuole
perseguire?
Qual è la bontà assicurata al proprio io dal consumo di questi cibi?

1.1: il materiale
La domanda che pongo nasce da una curiosità, sviluppatasi con la lettura della frase “Buono per
il consumatore, buono per il produttore”, che accompagna ogni merce venduta nelle “Botteghe
del mondo”; i piccoli negozi organizzati e retti sul lavoro volontario di chi crede e persegue un
consumo responsabile.
Proprio l’idea di una bontà insita in ogni prodotto, capace di creare un movimento reciproco di
trasmissione del benessere, per chi produce e per chi acquista, ha funzionalmente agito da
stimolo per approfondire le motivazioni dei consumatori critici, per comprendere il loro
movimento, che ha una dimensione e una ricaduta mondiale, retto su un’organizzazione
strutturata, con leggi, pratiche e principi ben precisi; per riflettere dunque su quale sia il sistema
di valori che ordina l’AltroMercato”.
D’altra parte le basi “documentarie” per lavorare sul legame simbolico che unisce l’individuo e
la collettività al cibo, al consumo, e quindi al processo di produzione e distribuzione dei beni
primari, le ho ricevute partecipando a due distinti momenti collettivi di dibattito e analisi.
La prima occasione si è creata relazionandomi con un sottogruppo del più amplio “Laboratorio
per la Democrazia”, che si riunisce periodicamente nel quartiere Isolotto di Firenze, e che
promuove iniziative, ricerche e dibattiti su tematiche di volta in volta differenti, testimoni di un
radicato interesse nei confronti della collettività, dei suoi diritti e doveri, e dello stretto rapporto
con il territorio cittadino.

1
In questa circostanza il gruppo discuteva del consumo di cibo e aveva come scopo la
realizzazione di una ricerca, scegliendo particolari luoghi d’indagine, quali supermercati, negozi
al dettaglio, mercati.
Responsabili scientifici dei lavori sono stati il professore Paul Ginsborg, il professore Pietro
Clemente e il professore Fabio Dei1, i quali hanno scelto di sostituire ad una metodologia
quantitativa, di tipo sociologico, una qualitativa che evidenziasse tramite le storie di vita, non
solo l’organizzazione familiare, l’economia domestica, i luoghi e i tempi del consumo, ma anche
le percezioni, le strategie individuali e familiari, in rapporto al quotidiano lavoro del fare la
spesa.
Ogni partecipante ha risposto alle domande poste in una griglia d’intervista creata per
l’occasione dal professor Dei. Griglia che non doveva essere interpretata come un rigido
questionario cui rispondere, bensì come un punto di partenza, che evidenziasse dei nuclei
tematici e problematici, intorno ai quali raccontare la propria storia individuale e familiare.
Il lavoro compiuto sul proprio nucleo familiare doveva poi allargarsi, applicando la stessa
metodologia, alla cerchia di parenti e amici di ogni partecipante al gruppo.
La scelta metodologica è motivata dalla capacità di questo modello conoscitivo a trasmettere non
solo il dato informativo, come per esempio la periodicità della spesa, ma anche le
rappresentazioni, le percezioni e le interpretazioni dello shopping.
La seconda occasione di riflessione e dibattito si è presentata all’interno di un breve seminario,
tenutosi presso il Dipartimento di Arte e Spettacolo dell’Università degli studi di Firenze,
coordinato dal professor Clemente, e organizzato dalla LUA (Libera Università
dell’Autobiografia, che ha sede ad Anghiari).
Il tema di discussione è stato “Il Menù della Vita”, quindi il racconto di se stessi, della propria
famiglia, costruito dai ricordi di cibi e di momenti collettivi familiari legati all’alimentazione 2.
Sulla scia delle riflessioni fatte con il gruppo dell’Isolotto, è stato proposto ai partecipanti un
lavoro d’analisi e di racconto del loro modo di fare la spesa.
Il metodo prescelto è stato sempre di tipo qualitativo. La griglia tematica consegnata al gruppo,
come base dalla quale partire per una riflessione autobiografica, è centrata sul discorso
dell’approvvigionamento e delle pratiche di fruizione di beni primari e secondari, entro il
racconto di memorie personali e familiari di cibo e di consumo.
L’aspetto autobiografico è stato raccontato dai partecipanti soprattutto nei personali “Menù della
Vita”, consegnati al professor Clemente, mentre le storie di consumatori pervenutemi,
coincidono per la maggior parte con descrizioni etnografiche del personale modo di fare la spesa.
Complessivamente i documenti autobiografici prodotti sono 19 3, i primi 9 sono il risultato
dell’indagine svolta con il “Laboratorio per la Democrazia”, esperienza che non può ancora dirsi
conclusa4, i restanti 10 invece fanno parte dei lavori scritti dai partecipanti al breve ciclo
seminariale sui “Menù della Vita”5.

1
Il professor Paul Ginsborg insegna storia contemporanea presso l’Università degli studi di Firenze, il professor Pietro
Clemente è docente di antropologia culturale e di storia delle tradizioni popolari presso la stessa università, il prof.
Fabio Dei invece insegna storia delle tradizioni popolari presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
2
In questa circostanza il mio ruolo è stato quello di raccontare un’esperienza di ricerca compiuta, che aveva avuto come
ipotesi conoscitiva e nucleo tematico da elaborare, la ricostruzione di una storia di vita tramite le memorie di cibo. La
ricerca della durata di 6 mesi circa è stata svolta in funzione della discussione della mia tesi di laurea, avvenuta nel
luglio 2001 presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi “La Sapienza” di Roma. Il luogo della mia
indagine è stato Armungia, un paese sardo del Gerrei-Sarrabus.
3
I documenti prodotti sono raccolti tutti in questo dossier. Per rispetto della privacy sono in forma anonima.
I primi 9 provengono dal gruppo di lavoro dell’Isolotto, i restanti 10 dai partecipanti del seminario LUA sui
“Menù della Vita”. Le griglie utilizzate per la produzione delle due diverse tipologie di fonti autobiografiche sono
inserite in allegato, al fine di favorire la comprensione dei testi stessi.
4
Gli incontri di discussione sul consumo sono iniziati nell’autunno 2002, momentaneamente i lavori sono stati
interrotti.
5
Il seminario si è svolto nel Marzo 2003, complessivamente gli incontri sono stati 3, della durata di tre ore ciascuno.

2
1.2: il metodo
Alla luce del materiale introdotto, l’analisi che qui propongo, è un tentativo di interpretazione del
significato che il movimento dei consumatori critici attribuisce alla frase “Bontà per il produttore
e bontà per il consumatore”.
Da una parte verrà esaminato l’orizzonte ideologico entro il quale il movimento dei consumatori
responsabili è rappresentato, nella fattispecie “criticando” il “Manuale per un consumo
responsabile”di Francesco Gesualdi e la “Guida al consumo critico”, a cura del Centro Nuovo
Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa), di cui il Gesualdi è responsabile, e dal quale è partito e
si è sviluppato in Italia il dibattito sul consumo critico.
Dall’altra verranno analizzati i documenti autobiografici qui raccolti; considerati come voci e
testimonianze, delle interpretazioni e delle strategie individuali, di pratica performativa del
consumo responsabile, nella quotidianità. Si tenterà di evidenziare le complesse dinamiche tra
cura del corpo e della salute familiare, tra soddisfazione emotiva di desideri e risparmio
economico, che costituiscono le pratiche sociali e individuali legate alla quotidianità della spesa.

2. INTERPRETAZIONI, APPROCCI E TEORIE: una sintesi

La disciplina antropologica ha affrontato la tematica del cibo sotto varie forme e aspetti, nel
rispetto della multifunzionalità svolta dal cibo all’interno di ogni società:
l’analisi dei sistemi economici, quindi di produzione e distribuzione dei beni, l’analisi delle
forme organizzative familiari e sociali, le riflessioni sui sistemi religiosi, quindi sulle forme
rituali e sacrificali, e lo studio del rapporto che lega l’uomo all’ambiente in cui vive.
A partire dalla monografie classiche, molti studiosi hanno cominciato a riflettere sul cibo come
bene, come merce di scambio, come offerta alle divinità, prodotto e plasmato dalle culture
materiali di ogni comunità osservata.
Dagli studi di tipo prettamente etnologico fino a quelli sui saperi folklorici e tradizionali, il cibo
ha rappresentato uno dei campi d’indagine privilegiati nelle rilevazioni etnografiche, perché in
grado di testimoniare pratiche e rappresentazioni sociali sul ciclo della vita, sull’organizzazione
economica, e sui sistemi religiosi, come sugli orizzonti simbolici culturali.
La sua natura polisemica lo rende di notevole interesse; il cibo è il prodotto della mano
dell’uomo che plasma la natura tramite i saperi esperiti e trasmessi, il cibo rappresenta la vita e la
continuità di ogni collettività, in questo è la sua natura universale.
La produzione, la distribuzione e il commercio, il dono più o meno reciproco, sono fattori che
evidenziano una grammatica alimentare ben precisa, che parte dal dato universale, cibo come
vita ed esigenza elementarmente umana, e si costruisce su sistemi, ruoli e gerarchie, via via
diverse e relative ad ogni contesto etnografico.
Per questo partendo dall’assioma dell’universalità semiotica e consapevolmente della relatività
semantica del cibo, si è aggiunto lo studio, basato sul comparativismo e sulla generalizzazione
metodologica, del nutrimento come simbolo, come linguaggio interno ad ogni comunità, come
comunicazione culturalmente prodotta .

Oltre al background teorico rappresentato dalla storia degli studi antropologici, altri tre libri
appaiono fondamentali in questo percorso riflessivo.
Le interpretazioni di ognuno di essi sono contestualizzate alla società dei consumi, dominata
dalla tecnologia e caratterizzata dalla globalizzazione dei mercati. Per questo sono
evidentemente inerenti al tema affrontato, tali da da meritare ognuno un discorso autonomo.
Mi riferisco alla “Religione dei consumi” di George Ritzer, alla “Teoria dello shopping” di
Daniel Miller, e a “Nature and society”, a cura di Philippe Descola e di Gìsli Pàlsson.

2.1 “La religione dei consumi”

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Il libro di Ritzer è lo studio dei luoghi “postmoderni” del consumo, che l’autore definisce come
“cattedrali”, per il potere di fascinazione e attrazione che hanno sul consumatore stesso.
Sono gli strumenti per il funzionamento dell’economia dominante, a noi contemporanea,
caratterizzata da una produzione in eccesso rispetto alla domanda. Strumenti funzionali ad
evitare il collasso, perché guidano e indirizzano il consumatore all’acquisto superiore alle
concrete possibilità finanziarie.
Il sociologo statunitense li elenca uno ad uno e li descrive secondo le loro peculiarità.
Dai fast food agli ipermagazzini, dai casinò ai ristoranti a tema, tutti ambienti caratterizzati oggi
dalla commistione di servizi offerti, che Ritzer interpreta come implosione-comunione tra spazi
dello svago e spazi della spesa.
Le strategie amministrative di questi strumenti del consumo tendono a voler affascinare
l’individuo attirandolo in un mondo altro, connotato dall’assenza di confini spazio-temporali, e
dalla presenza dell’oggetto come attrazione in sé; la cui forza simbolica catalizza lo sguardo del
consumatore, stimolandone il desiderio di possesso, fino a trasformarlo in necessità.
La magia collegata a questi luoghi si avvale della simulazione di spazi e tempi altri, del passato e
del futuro, esotici, o totalmente estranei, dai quali però ogni elemento trasgressivo, dai rifiuti fino
alle condotte irrispettose di una morale dominante, viene occultato.
Entrare in una cattedrale del consumo significa passare dalla realtà al sogno, varcare la soglia di
una dimensione incantatrice ed evocatrice di libertà assoluta nella scelta, di realizzazione di
desideri.
Un incanto che l’autore descrive come il risultato del processo di razionalizzazione, riprendendo
uno degli idealtipi teorizzati da Weber per interpretare le pratiche sociali.
Il processo razionalizzatore coincide con l’analisi sistematica dei processi e mezzi che
conducono all’ottenimento di uno scopo, qualsiasi esso sia, escludendo di prendere in
considerazione la ricaduta possibile sulla società. Si basa su cinque movimenti pianificatori:
l’efficienza, la prevedibilità, la calcolabilità, il controllo attraverso la sostituzione della
tecnologia umana con quella delle macchine, l’irrazionalità della razionalità.
Momenti che nella pratica sono indistinti, che sfruttano l’avanzamento tecnologico e si basano su
indagini sociologiche per prevedere e calcolare le reazioni umane, al fine di indirizzarne i
desideri ed i comportamenti, e pianificando di conseguenza la disposizione della merce,
l’ottimizzazione dei processi di smistamento e ridistribuzione, la strategia delle offerte, l’utilizzo
della tecnologia per controllare visivamente l’atteggiamento dei compratori.
La razionalizzazione del funzionamento delle cattedrali del consumo causano, secondo l’autore,
due reazioni diverse:
1) da una parte l’incanto e il rinnovato perdersi nelle cattedrali, pervasi dall’ “effetto zombie”,
che colpisce il consumatore quando perde il contatto con la realtà per farsi trascinare dall’estasi
creata dalla moltitudine dei beni e dei divertimenti offerti.
2) oppure il disincanto, frutto della scoperta dell’esistenza del calcolo e della pianificazione, che
toglie mistero e sorpresa, e svela le “magie simulate”.
Quindi usufruire dello stesso servizio, con le stesse caratteristiche, in quasi ogni luogo turistico,
prendiamo come esempio un fast food, può creare due reazioni opposte: la noia della banalità,
della piatta prevedibilità, oppure il fascino di essere in un luogo indistinto, senza coordinate
precise, a casa come agli antipodi.
Per evitare il collasso del sistema si deve procedere ad un reincanto continuo, per questo,
sostiene Ritzer, si è passati da una “società spettacolare” ad una “dello spettacolo”.
Da un mondo in cui lo spettacolo, come rappresentazione drammatica, faceva parte integrante
della vita quotidiana, e permetteva la trasgressione carnevalesca, si è giunti a quello della “messa
intenzionale in scena”, in cui sono creati spazi limitati per il divertimento, puliti da ogni
trasgressione alla morale comune, da ogni riferimento alle negatività, narcotici che occultano ai
consumatori-fruitori il reale funzionamento dell’attuale società.

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Le conseguenze sulle collettività, scrive il sociologo, sono state ben intuite da Weber con la sua
definizione di “gabbia d’acciaio”, da Foucault con la teorizzazione dell’esistenza di “minigabbie
in un arcipelago carcerario”, e da Goffman con le “istituzioni totali”.
Sono realtà in cui l’individuo, illuso con il sogno della libertà assoluta, come quella di comprare
o consumare a qualsiasi ora, come quella di essere, senza viaggiare fisicamente, in un qualsiasi
luogo reale o immaginario, è totalmente guidato e comandato dal Panoptikon, un occhio che
tutto controlla e vede.
Quella attuale è, secondo Ritzer, “l’epoca della simulazione” , come l’intendeva Baudrillard, in
cui la distinzione tra presente, passato e futuro, tra sogno e realtà sono andate perse.
E’ l’epoca postmoderna che sostituisce alla differenziazione, caratteristica del mondo moderno,
nato con la rivoluzione industriale, l’implosione di tutti i confini, fino a pervenire nel
baudrillardiano “inferno dell’uguale” e nel “buco nero” del consumo.
Privato e pubblico, reale e irreale, sogno ed incubo, tempo e spazio, non sono più distinti nella
religione dei consumi.
L’individuo-consumatore perde l’orientamento, e viene guidato dalla macchina iperconsumista
che continua a creare e razionalizzare strumenti agevolanti al proseguimento e alla crescita:
come le carte di credito che permettono l’investimento dei guadagni futuri, cancellando quel
senso del risparmio, che ha sempre caratterizzato sia “la società tradizionale”, sia l’ascesa della
borghesia a “classe egemone”.
L’implosione dei confini agisce indifferentemente anche sulle distinzioni di ceto e razza. Infatti,
diversificando le cattedrali del consumo in base ad ogni esigenza, facendo circolare carte di
credito coperte, viene democratizzato l’accesso al consumo, nel senso di permettere alla
collettività intera l’entrata nel sistema, non per assicurare un uguale ridistribuzione di possibilità,
bensì per evitare il temuto collasso economico.
Le conclusioni cui Ritzer perviene non sono ottimiste.
Nonostante l’esistenza di quei consumisti pentiti e consumatori disincantati, a suo parere, dopo il
crollo del modello comunista sovietico, non esiste la possibilità concreta di un cambiamento
radicale o di una valida alternativa all’economia dominante.
Il sociologo statunitense trasmette con un vocabolario esplicitamente religioso la sua visione di
un iperconsumismo totale e totalizzante e la scoperta dei suoi meccanismi.
La macchina consumistica gestisce il consumatore illudendolo con una libertà assoluta, e
costruendo immagini che definiscono la profonda conoscenza della psicologia degli attori
sociali.
Per esempio la simulazione di luoghi e tempi altri, esotici o risalenti a tradizioni perse e lontane,
vanno a colpire l’immaginario dell’individuo occidentale, che continua ad aspirare ad una
naturalezza persa, e alla fuga dalla società.
Sono tutte strategie comunicative razionalizzate nel loro trasmettere ed esaudire i valori che
tipicizzano una precisa classe sociale di un preciso orizzonte culturale, la classe media
occidentale o occidentalizzata: l’effetto di trance subita dal soggetto che oltrepassa la porta delle
cattedrali, posseduto nel suo viaggio dal dio oggetto;
i messaggi pubblicitari che invitano a consumare prodotti tradizionali, genuini, che rispondono
alla sete di purezza del nostro mondo contemporaneo;
le immagini legate alla famiglia, al senso di protezione di una casa, da intendersi come radice;
l’azione purificatrice attuata dalla macchina del consumo, per far sì che i propri strumenti
possano evocare sicurezza e ordine morale.
Le minigabbie in cui Ritzer immette i consumatori globali sono in grado di gestire,
conoscendolo, l’individuo, plasmando e giocando con i suoi principi, con il suo immaginario e la
sua mentalità dunque.
Ma in un mercato globalizzato, l’immaginario, la mentalità, i valori da plasmare sono gli stessi
per tutti? La percezione-ricezione del consumo è universale?

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Il sociologo analizza le conseguenze della religione dei consumi sulla società, e descrive i
cambiamenti avvenuti nelle relazioni umane.
Concentra la sua attenzione sull’osservazione della gestione dell’economia familiare, sullo
stravolgimento di un ambito intimo e privato come la casa, o dei tempi quotidiani come di quelli
festivi, in cui implode il consumismo, indifferente al rispetto del riposo, e della festa.
Ma non viene presa in considerazione la possibilità che ogni collettività
possa reagire e manipolare tale meccanismo con differenti strategie e processi, interpretando la
religione dei consumi altrettanto differentemente?

2.2 “Teoria dello shopping”


Il libro di Daniel Miller è uno studio delle modalità di consumare in un particolare quartiere
popolare londinese, una realtà vissuta da individui dalle differenti provenienze geografiche e
culturali, connotata da diversi modelli familiari, singles, nuclei estesi e non, e da una complessa
stratificazione sociale, in cui l’unità di misura è la comune residenza in uno spazio.
La ricerca di Miller ha come scopo l’osservazione partecipante dello shopping, inteso come
quotidiana pratica del fare la spesa, come atto abitudinario.
Le realtà individuate sono diverse, la spesa degli anziani soli, delle madri di famiglia, degli
uomini, delle coppie di fidanzati, come delle ragazze madri, in un contesto postfemminista in cui
la consapevolezza dell’uguaglianza di genere è un dato di fatto e non un obiettivo da
raggiungere.
Non è la divisione dei ruoli nell’economia domestica ad interessare l’antropologo britannico,
bensì l’esistenza di un’interpretazione dell’atto del consumo, la percezione che ne hanno i
soggetti che lo attuano.
Durante la sua osservazione, Miller distingue un discorso sullo shopping, che accomuna tutti gli
informatori, e sembra coincidere con quello della comunicazione pubblicitaria e giornalistica.
Un discorso che racconta e giudica lo shopping come atto consumistico teso a soddisfare
l’individualismo e l’edonismo, in un circuito continuo e senza fine di dissipazione dei risparmi.
Lo shopping è descritto dagli informatori come un gesto e una pratica di gratificazione dell’io-
comprante, soggiogato dalla logica del capitalismo, succube delle strategie di marketing, schiavo
della forza simbolica legata al possesso dell’oggetto e al significato che tale possesso assume
nella società.
Un discorso che parla di una realtà utilitarista, in cui l’uomo oblia, aliena e reifica se stesso, un
discorso che sembra provare l’evidenza dell’analisi che Ritzer fa della religione dei consumi.
A differenza del sociologo statunitense però, l’etnografia compiuta da Miller lo porta a
distinguere nella pratica, nella routine del fare la spesa per la famiglia, un sistema di valori
differente.
Dai gesti, dalle scelte degli informatori nel fare le provviste per la casa, traspare una realtà
diversa costruita sulla dedizione e sulla responsabilità, sulla cura dei familiari, che riesce a
trasformare la spesa, da obbligo e dovere, in atto di amore agapico, cioè di amore tale che il
soggetto si annulla ed implode nell’amato.
Nel quartiere londinese, oggetto della ricerca di Miller, sono le madri di famiglia, le mogli, che
gestiscono l’economia domestica e mostrano, tramite l’osservazione delle loro pratiche, una
complessa strategia per la quale il consumo, inteso come atto teso a procurare le risorse e farle
proprie, nel senso totale e completo di cibarsene e nutrirsene, è un compromesso tra l’attenzione
e la cura della salute dei propri cari, il desiderio di farli felici e appagati, e la preoccupazione
della parsimonia e del risparmio.
Il risparmio è un valore in sé, che trascende dal raggiungimento di un obiettivo materiale, per
significare attenzione e dedizione, il dono della sicurezza e della stabilità alla discendenza.
Il pensiero costante verso i cari e verso gli altri, l’evidenza dunque dello shopping come atto di
amore non è, come si potrebbe dedurre, una peculiarità dei nuclei estesi, ma caratterizza anche i
singles, gli anziani soli, e le giovani donne osservate dall’antropologo.

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L’eccezione è rappresentata da chi si astrae dal consumo o da chi ne abusa, una situazione che,
nel caso di persone adulte, evidenzia una diversa percezione della solitudine del proprio io, e, nel
caso degli adolescenti, testimonia il complesso formarsi e diversificarsi della personalità rispetto
agli altri.
I tre momenti della teoria milleriana coincidono con il discorso sullo shopping prima, con
l’attenzione al risparmio dopo e infine con l’atto di amore agapico.
Tre momenti che vengono a delineare per l’antropologo britannico le tre fasi del sacrificio dello
shopping, da lui stesso formalizzato.
Miller critica Bataille che per primo ha paragonato il sacrificio, come atto di dissipazione dei
beni accumulati, al consumo, come spesa del denaro guadagnato con la vendita della propria
forza-lavoro.
Infatti, secondo l’antropologo britannico, l’intellettuale francese, allo scopo di risolvere la
problematica che lo tormentava, cioè il rapporto alienante e alienato che lega l’uomo
contemporaneo alla merce, ha isolato una sola fase del sacrificio come pratica, cioè la prima, lo
spreco dei beni o della vittima da donare alla o alle divinità.
Bataille ha utilizzato la comparazione tra consumo e sacrificio per dileguare il malessere
esistenziale legato al feticismo degli oggetti, al potere che hanno sull’uomo, sciogliendolo in un
atto di dissipazione gratuita, e servendosi come esempio del classico boasiano potlacht.
Secondo Miller invece il sacrificio non può essere studiato isolandone le fasi come fossero
autonome l’una dall’altra. Riprendendo Hubert e Mauss, infatti, sostiene che la comprensione
dell’atto sacrificale sia migliorata dall’analisi di ogni fase che lo costituisce, ma non deve
prescindere dalla sua complessità totale, come atto e pratica in e per sè.
Così l’analogia tra sacrificio e shopping si compie, accostando e comparando le tre fasi di
ognuno:
- l’immagine di eccesso, quindi lo spreco e la dissipazione della vittima, come dei beni offerti
alla divinità nel caso del sacrificio, e lo spreco di denaro nel caso della shopping;
- la comunicazione creata con la divinità tramite l’ascensione del fumo, che nel caso dello
shopping si trasforma in una spesa fatta inseguendo il valore della parsimonia per sé, da
intendersi come attenzione e sacrificio alla discendenza futura;
- il pasto sacrificale o la mensa familiare, come atti che ridistribuiscono i beni, definendo
contemporaneamente le gerarchie e i ruoli all’interno della collettività, unita nel e dal rito
sacrificale.
L’antropologo britannico non vuole compiere solo un accostamento formale tra fasi del sacrificio
e fasi dello shopping, ma con la sua teoria vuole (di)mostrare come dietro l’atto abitudinario
della spesa si nasconda una cosmologia.
Un ordine che definisce un preciso sistema di valori, che significano le relazioni familiari, ed i
cui significanti-mediatori sono la produzione, la distribuzione e il consumo di beni.
Ripercorrendo i diversi studi sul sacrificio, quelli sul rapporto e sulla percezione umana della
merce, sul mana degli oggetti inalienabili, espone infine la sua ipotesi conclusiva.
Nella società dei consumi, come la nostra attuale, è proprio l’alienabilità dell’oggetto, e il
relativo possesso dell’individuo per mezzo del consumo, a costituire e rappresentare
simbolicamente il sacro, o il mana, che viene dunque acquisito tramite l’ingestione o la fruizione.
Gli oggetti di devozione da quelli inalienabili, divengono per Miller, quelli alienabili, che
proprio per la loro natura effimera di cose consumate, assumono un valore ed una forza
simbolica maggiore.
Lo shopping diventa un atto devoto, un dono d’amore gratuito, romantico, in cui l’attore annulla
il suo sé a favore dell’altro, non è più considerato come un semplice obbligo da compiere in
seguito ad una tradizionale divisione dei ruoli.
Il processo per cui il sacrificio per una o più divinità vede mutare i soggetti di devozione viene
descritto e spiegato dall’autore come una conseguenza della secolarizzazione della religione
cristiana. Un processo che vede costituirsi una dimensione intimistica e familiare,

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contemporaneamente all’ascesa della borghesia, una classe che storicamente è stata caratterizzata
e si è rappresentata con i valori della sobrietà e del risparmio, in opposizione alla dissipazione e
allo spreco che tipicizza il ceto nobiliare.
La divinità viene sostituita dal padre-famiglia, e, successivamente, nell’epoca postfemminista,
dal figlio, verso il quale la madre è devota, legata dal un amore agapico, un sentimento estatico,
eredità della concezione romantica dell’amare.
La metodologia con cui l’antropologo britannico utilizza l’analogia con il sacrificio, con cui
compara religioni altre dalle grandi secolari e monoteistiche, per spiegare e ipotizzare la sua
teoria dello shopping, implica una generalizzazione consapevole delle categorie antropologiche.
Generalizzazione e formalizzazione sintetica delle categorie, che sono contestualizzate e calate in
un periodo storico preciso, caratterizzato via via dall’ascesa della borghesia, e dalla
secolarizzazione del cristianesimo, ed applicate ad una realtà specifica quale è il quartiere di
Londra da lui stesso osservato.
La sua teoria insomma tiene ben in mente l’assenza di etnografie simili, applicate ad altre realtà
sociali e culturali, e quindi ammette la sua parzialità relativa.

2.3 “Nature and Society”


“Nature and Society” è un’antologia di saggi, costruita intorno alla riflessione sulla funzione
euristica del dualismo tra NATURA e CULTURA, negli studi antropologici.
A partire da un ripensamento concettuale comune, fondato sulla decostruzione delle
stratificazioni storico-semantiche delle due categorie antropologiche sopracitate, i coautori
costruiscono il testo per rispondere ad alcuni interrogativi in particolare:

1- Le percezioni umane relative alla NATURA sono generalizzabili e universalmente


riconosciute?
2- La dicotomia NATURA-SOCIETA’, che significa un dominio della seconda sulla prima e
una valutazione gerarchico-evolutiva insita nella distinzione SELVAGGIO-CIVILIZZATO, è un
universale?
3- La conoscenza relativa alle rappresentazioni della natura delle culture non-occidentali può
essere un punto di partenza per un ripensamento del rapporto uomo-natura funzionale alla
definizione di livelli di vita sostenibili?
4- La decostruzione del dualismo oppositivo uomo-natura può condurre alla ridefinizione di
un’antropologia ecosistemica o transecologica?

Le teorie che hanno dominato il rapporto nomo-natura possono essere sintetizzate, secondo gli
autori, in due approcci:
il primo, rappresentato dall’ecologia culturale, dalla sociobiologia e dal materialismo, considera
ogni cultura come un adattamento condizionato all’ecosistema contestuale di nascita;
il secondo, invece, rappresentato dal simbolismo e dallo strutturalismo, interpreta le percezioni
umane della natura entro orizzonti riconducibili a segni, relativi ai sistemi culturali di
provenienza.
Il materialismo, che parte dall’assioma universale secondo il quale è l’ambiente a dettare lo
sviluppo delle società, si è rivelato paradossalmente un paradigma relativista: ogni civiltà è una
realtà diversificata dall’ecosistema contestuale di nascita, è un movimento di adattamento a
fenomeni dati; lo studio di queste realtà ha portato a costituire un repertorio di casi
circostanziali, che esemplificano l’assioma teorico-interpretativo di partenza, ma rimangono
incomparabili per altri parametri, perché l’ambiente, in quanto elemento universale
condizionante, rimane comunque una realtà connotata relativamente.
Il simbolismo, che invece si basa sull’affermazione di orizzonti relativi, di rappresentazioni
culturali, comunicanti entro precisi sistemi, ha condotto d’altra parte alla generalizzazione, per

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cui ogni simbolo è un prodotto sociale, basato sull’universale opposizione binaria natura-cultura,
intorno alla quale vengono costruite le cosmologie culturali.
Secondo gli autori, queste teorie, che finora hanno dominato l’interpretazione del rapporto
uomo-ambiente, sono tacciabili di etnocentrismo interpretativo, perché la natura, intesa come
realtà quantificabile e oggettificabile, è reputata un dato universale irriducibile.
L’ingenuità metodologica, in entrambi i casi, consiste nel fondare dei paradigmi conoscitivi
generalizzati, su una rappresentazione che invece è contestuale alla cultura occidentale, e che
non deve essere utilizzata come strumento di comprensione e interpretazione di sistemi sociali
altri.

“The reification of nature and society as anthitetical ontological domains results from a process
of epistemological purification which disguises the fact that the modern science has never been
able in practice to meet the standards of the dualist paradigm” (pg.8; op.cit.)

Il presupposto sul quale si basano i testi che costruiscono questa antologia è dunque una critica ai
paradigmi utilizzati nell’analisi del rapporto NATURA-CULTURA, nel tentativo di proporre e
pensare approcci alternativi alla conoscenza.
La natura non è percepita ovunque come un astratto inventario di cose, da analizzare e dominare
con la tecnica, la disciplina antropologica deve costruire dei modelli analitici tali da
rappresentare i diversi orizzonti di comprensione del rapporto uomo-ambiente.
La ricerca etnografica è in grado di descrivere e trasmettere, grazie all’osservazione partecipante,
non solo la rielaborazione culturale, collettivamente condivisa, della relazione uomo- natura, ma
anche di testimoniare le strategie individuali di interpretazione degli orizzonti simbolici sociali,
entro pratiche quotidiane di rapporto con l’ambiente circostante.
Un’antropologia ecosistemica deve dunque partire proprio dall’etnografia per elaborare modelli
di analisi relazionali, decostruendo il pregiudizio occidentale di una natura reificata, per aprirsi
ai possibili modelli altri di rappresentazione, di conoscenza, di pratiche.
Il rapporto uomo-natura non comprende solo i saperi tecnici e di approvvigionamento, ma anche
gli orizzonti ideologici e cosmologici, tessendo infatti tutti gli aspetti del vivere sociale:

“Rather person and environment embrace an irreducible system; the person is part of the
environment and likewise the environment is part of the person(...)”

Il libro “Nature and Society” viene costruito dunque su questi presupposti metodologici,
sviluppati con prospettive e criteri differenti per ogni saggio presentato.
Il testo è suddiviso in tre parti, che cercano di approfondire ognuna tre aspetti dell’analisi del
dualismo Natura-Cultura.
La prima parte, “Contested domains and boundaries”, composta di cinque saggi, è una riflessione
critica delle teorie dominanti e dei limiti interpretativi che le caratterizzano.
La domanda cui gli autori vogliono rispondere è:
se la natura è un prodotto culturale, quali sono i paradigmi con cui analizzarla; l’approccio
relativista, quello comparativista o una posizione intermedia?
Tim Ingold nel suo intervento, “The optimal forager and economic man”, critica i diversi modelli
analitici con cui le forme economiche occidentali e quelle non occidentali sono state teorizzate
per induzione.
L’homo economicus viene descritto secondo i paradigmi dell’economia formalista, per cui la
ragione e il calcolo dominano la pianificazione delle pratiche, per il raggiungimento
dell’optimum, all’interno di sistemi sociali definiti.
Mentre i cacciatori-raccoglitori vengono analizzati in termini di selezione naturale e adattamento
alle risorse disponibili, secondo la teoria della raccolta ottimale, per cui alla base delle scelte

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esiste un calcolo tra energie sprecate e ottenute durante l’approvvigionamento, dettato dal
condizionamento materiale della forma di vita ambientale contestuale.
L’economia occidentale entra in un orizzonte sociale e culturale permeato dalla tecnologia,
mentre le economie minori vengono incluse in un sistema di dominio della natura.
Le pratiche culturali di caccia e raccolta sono insomma condizionate e valutate entro paradigmi
darwiniani di evoluzione e selezione naturale.
Ingold, nel tentativo di criticare queste impostazioni interpretative, afferma che, se la
trasmissione dei saperi e l’apprendimento delle pratiche culturali di approvvigionamento
dipendessero dall’evoluzione naturale, allora in ogni sistema non esisterebbero differenze di
abilità e capacità da individuo a individuo, e la trasmissione generazionale delle pratiche e dei
saperi, ottenuta tramite l’osservazione e l’esperienza partecipante, non avrebbero alcuna
importanza.
La conclusione cui l’autore perviene è l’impossibilità di analizzare la realtà e le pratiche sociali
con modelli indotti e interpretati come universali del comportamento e dell’azione individuale;
un paradigma interpretativo funzionale alla comprensione deve essere relazionale, e la ragione e
la natura devono essere valutati entro un orizzonte reciproco di scambio.
Alf Hornborg nel suo “Ecology as semiotics; outlines of a contextualist paradigm for human
ecology”, costruisce il suo testo sulla descrizione dell’approccio epistemologico monista e
dualista, e sulla valutazione delle economie preindustriali come portatrici di saperi sullo
sviluppo sostenibile.
Alla base del suo intervento ci sono le teorie di Rappaport, Bateson e Friedman.
Se le teorie di Rappaport si basano su un approccio monista e contestualizzato, Friedman invece
parte dal presupposto di una divisione dualista tra sistemi economici moderni e preindustriali.
Se Rappaport, e così Bateson, sostengono l’autoregolamentazione delle culture altre e la loro
auto-sostenibilità, Friedman invece valuta, come regolamentate, solo le forme economiche
moderne, perché basate su una pianificazione trasparente e razionale per l’ottenimento di uno
scopo.
Alla luce della rottura epistemologica creata dal poststrutturalismo e dal postmodernismo,
Hornborg sostiene, come Bateson e Rappaport avevano precedentemente affermato, la necessità
di un approccio contestualmente olistico, che veda il rapporto uomo-natura, non solo come
dominio dell’uno sull’altro per finalità economiche, ma come un tutt’uno significato da orizzonti
simbolici rituali, estetici, religiosi.
L’antropologia deve rispettare le località dei saperi, decentralizzando le epistemologie e
analizzando le rappresentazioni della natura entro conoscenze performative, che comprendano la
teoria come la pratica sociale, nella consapevolezza che ogni forma culturale si costruisca
intorno alla relazione reciproca tra una formalizzazione ideale e ideologica dei sistemi di vita, e
l’interpretazione individuale di tali sistemi entro strategie performative.
In “Human -environmental relations- orientalism, paternalism, and communalism”, Gìsli
Pàlsson descrive il percorso storico per il quale, dalle cosmologie medioevali, in cui la natura e
l’uomo erano rappresentati in un tutt’uno reciproco, si è passati nella società occidentale al
dominio della ragione e della logica. All’opposizione tra cultura e natura, secondo uno schema di
superiorità dell’umanità sull’ambiente, inteso come realtà altra e obiettiva, trasformabile e
dominabile grazie alla conoscenza della ratio.
L’autore, alla luce delle critiche elaborate all’etnocentrismo dominante nei paradigmi precedenti,
elabora dei modelli analitici di comprensione delle varie modalità relazionali tra uomo e natura:
“orientalism”, “paternalism” e “communalism”, descritti e confrontati secondo le categorie del
dominio e della protezione.
-“Orientalism” rappresenta le società in cui l’ambiente circostante è oggettificato e considerato
in termini di predazione, sfruttamento e dominio;
-“Paternalism” rappresenta quelle culture in cui la natura è dominata dall’umanità, ma
considerata comunque un bene da proteggere, percepito come valore perduto;

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-“Communalism” invece significa un rapporto inter-pares e reciproco tra individuo ed
ecosistema contestuale.
A differenza dei modelli teorici passati, Pàlsson, non reputa distinti e lontani questi tre
paradigmi, ma ne sottolinea la potenziale compresenza all’interno dei sistemi di pratiche socio-
culturali.
In “Constructing natures, symbolic ecology and social practice” invece Philippe Descola afferma
che la comprensione del rapporto uomo-ambiente deve prescindere dall’opposizione binaria
natura-cultura, per considerare rappresentazioni, orizzonti simbolici, percezioni individuali e
strategie performative. I paradigmi epistemologici devono basarsi sulla consapevolezza che non
esistano universali comportamentali, ma solo modelli analitici instabili di comprensione della
diversità. L’antropologia ecosistemica deve, sostiene Descola, basarsi su un costituito schema
combinatorio di modelli di identificazione, di relazione e di classificazione.
I modelli di identificazione sono divisibili in:
- animismo, caratterizzato dalla reciprocità e dall’empatia, per cui la natura è umanità;
- totemismo, per cui le specie naturali rappresentano le unità sociali;
- naturalismo, dove ogni fenomeno è spiegabile scientificamente.
I modelli di relazione d’altra parte sono suddivisi in “predation”, “reciprocity”, “protection”,
ugualmente presenti e relazionabili tra loro.
I modelli di classificazione si basano:
- da una parte su schemi metaforici, costruiti su rapporti e spiegazioni analogiche, morfologiche
e contrastive;
- dall’altra su schemi metonimici, caratterizzati da rapporti causali, e utilitaristi, pianificati su
coordinate spazio-temporali definite.
Le forme culturali secondo l’autore possono essere comprese entro combinazioni relazionali tra
modelli di identificazione, di relazione e di classificazione.
Un’antropologia ecosistemica deve essere trasformazionale e multidimensionale, nella
consapevolezza che l’unico universale possibile è il rapporto uomo-natura, entro il quale
comprendere le differenze di espressione e rappresentazione.
L’ultimo saggio di questa prima parte dell’antologia, è di Roy F. Ellen, “The cognitive geometry
of nature a contextual approach”. Partendo dal presupposto che ogni rappresentazione della
natura è culturalmente data, l’autore elabora un modello geometrico su tre assi, entro il quale
rappresentare le possibilità combinatorie del rapporto uomo-natura:
- la rappresentazione della natura come inventario di cose;
- la rappresentazione della natura come spazio;
- la rappresentazione della natura come essenza.
Ogni sistema sociale agisce performativamente combinando e negoziando queste tre diverse
rappresentazioni.
Secondo l’autore dunque, l’unico modo per comprendere e analizzare il rapporto tra natura e
cultura è la creazione di una grammatica socializzata, in cui la lingua, come veicolo delle
rappresentazioni e degli orizzonti simbolici, e la pratica, come strategia performativa individuale,
di interpretazione delle rappresentazioni simboliche, siano ugualmente rappresentate e analizzate
nel loro movimento relazionale.

Partendo dalla consapevolezza dell’importanza dell’etnografia, e della contestualizzazione


analitica, ai fini della comprensione delle diversità e degli universali, nella relazione uomo-
ambiente, le ultime due parti dell’antologia vengono costruite da una serie di interventi che
riferiscono i risultati di ricerche limitate e particolari.
La seconda serie di saggi è etichettata come “Sociologies of nature”, e consiste in cinque
interventi di descrizioni etnografiche, relative al rapporto uomo-natura, con tagli prospettici ogni
volta diversi in base alle realtà osservate.

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Dai Chewong della Malesia, gli Huaorani e i Makuna dell’Amazzonia, gli indigeni delle isole
Salomone, fino ai cacciatori europei, le analisi del rapporto natura-società vengono esemplicate
nella loro complessità da case studies precisi.
L’etnografia, intesa come osservazione partecipante e tentativo di comprensione delle teorie e
delle pratiche culturali, mostra il suo valore conoscitivo, testimonia i diversi modi di percepire e
di costruire simbolicamente l’ambiente, contrastando il dominio etnocentrico di una natura intesa
come oggetto.
Dimostra il valore simbolico e cosmologico anche in seno alla nostra stessa cultura occidentale.

La terza parte dell’antologia, “Nature, Society and artefact”, sposta invece l’attenzione sui nuovi
significati attribuiti alla categoria di natura, relativamente ai cambiamenti apportati dalla scienza
contemporanea, e dalla mercatizzazione e commercializzazione dell’ambiente.
Le dicotomie tra selvaggio e socializzato e le consequenziali percezioni della naturalità e della
purezza diventano veicoli e contenitori di significati via via nuovi, fino a considerare, per
esempio, un organo, ricostruito artificialmente, naturale rispetto ad uno donato da un essere
umano deceduto.
Le percezioni e le rappresentazioni culturali della Natura e della Cultura divengono quindi
contenitori significanti che mutano di significato in base al contesto di riferimento, creando un
sistema simbolico costruito socialmente di volta in volta.
La biotecnologia, la fisica molecolare, entrambe discipline costruite sulla massima astrazione, e
sulla fede nel progresso scientifico come livello massimo di evoluzione, e come portatore di
benefici indubbi per l’umanità, sono oggi la testimonianza che, la categoria della naturalità sia
una merce di scambio elaborata culturalmente.
La natura viene ricostruita e migliorata in laboratorio. I suoi prodotti, dominati con la scienza e
la tecnologia, entrano a far parte, una volta commercializzati, del sistema economico dominante.
L’imposizione ideologica della bontà di questi ibridi si serve della manipolazione di quei simboli
linguistici, legati storicamente alla spontaneità e alla purezza, che, nell’immaginario collettivo
occidentale, evocano lo stato di natura perduto, ma continuamente desiderato.
Entro questi contenitori simbolici, quali le categorie sociali relative alla percezione della natura,
non è evidentemente possibile fossilizzare dei contenuti stabili e dettati storicamente, perché le
categorie, in quanto prodotti culturalmente artefatti, si diversificano e si relazionano
reciprocamente con il mutare dei contesti situazionali, divenendo i mezzi entro i quali
testimoniare orizzonti percettivi, elaborati collettivamente e agiti individualmente nella
quotidianità.

3. L’IDEOLOGIA DEL CONSUMO CRITICO: dal “Manuale per un consumo


responsabile” alla “Guida al consumo critico”6

La società attuale presenta una complessità, etichettata con il nome di globalizzazione, che vuole
significare tra le altre accezioni, anche la libera circolazione di merci e quindi il rischio
dell’omologazione dei mercati; un processo favorito dall’innovazione tecnologica nel campo
produttivo, in quello della conservazione, dei trasporti, e della comunicazione.
Il fenomeno della globalizzazione è oggetto di discussione e dibattito interdisciplinare, è causa di
movimenti locali di reazione e opposizione, da parte di collettività provenienti sia dai paesi
definiti “ricchi” che da quelli “poveri”.

6
Le mie riflessioni critiche non vogliono e non devono essere considerate valutative e qualitative. Sono bensì un
tentativo di scoprire le retoriche rappresentative del movimento, al fine di comprendere successivamente come tali
retoriche vengano percepite e strategicamente agite dagli attori sociali nelle pratiche quotidiane.

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Dal punto di vista economico il rischio è quello di impoverire ulteriormente i paesi deboli del
mondo, di imporre definitivamente loro il sistema economico dominante, senza analizzare le
realtà contestuali sulle quali si viene a interferire.
Per opporsi a questi fenomeni è nata l’alternativa del commercio equo e solidale, che crea una
rete tra produttori delle realtà “terzomondiste” e distributori “occidentali”, assicurando prezzi
equi nell’acquisto della merce, sistemi di produzione che non danneggiano l’ambiente e
rispettano i lavoratori, ed un’organizzazione tale che permette alle comunità produttrici la
costruzione di infrastrutture sanitarie e scolastiche, quindi il miglioramento delle loro condizioni
di vita.
Il movimento dei consumatori responsabili non si identifica esclusivamente nella fruizione dei
prodotti dell’equo e solidale, perché la merce che circola entro questa particolare rete
commerciale non copre tutta la domanda, ma riguarda solo alcune tipologie di merci, come il
caffè, lo zucchero, le marmellate, le spezie, alcuni tipi di frutta, dolci, pasta, e prodotti
artigianali.
I consumatori critici si rappresentano entro un preciso orizzonte di valori che si traduce in uno
stile di vita e quindi in una pratica sociale quotidiana.

3.1: “Manuale per un consumo responsabile”


Il “Manuale per un consumo responsabile” di Gesualdi è il libro sacro del movimento, che
contiene le leggi e le pratiche rituali che lo identificano, da interpretarsi come un’ipotetica
risposta performativa, data al sistema economico odierno, da una parte di quei consumatori
disincantati, che, secondo il sociologo statunitense George Ritzer, rappresenterebbero solo una
nicchia, una minoranza, troppo poco potenti per costituire una reale alternativa.
Il manuale sintetizza e schiude una delle altre facce della società, quella di chi non si fa
narcotizzare dalle minigabbie iperconsumiste, e studia e analizza il modo di produzione
dominante, scoprendo quella negatività occultata dalle cattedrali del consumo, ma concepita dal
sistema stesso con una continua violazione dei diritti umani e ambientali.
Gesualdi scrive dunque un testo guida, in cui il movimento di consumo responsabile acquisisce
una storia di fondazione, che coincide con la nascita del “Council on Economic Priorities”
statunitense, nel 1969, e comprende le associazioni dei consumatori, le botteghe della solidarietà,
quindi il commercio equo e solidale, realtà che oggi ne costituiscono l’apparato organizzatore.
Le attività realizzate, con le vittorie e le sconfitte, vengono raccontate nei particolari ed
evidenziate come vittorie dal basso, assumendo nel testo un ruolo aneddotico ed esemplare: sono
le parabole dei boicottaggi contro Del Monte, la Nike, La Chicco, la Nestlè, Mc Donald’s.
Come fossero teorie dell’azione, frutto di una razionalizzazione del comportamento umano per il
perseguimento di un valore, le pratiche del movimento vengono evidenziate nella loro struttura.
L’autore elenca le regole formali per la riuscita di un boicottaggio, e quelle per realizzare un
commercio alternativo al dominante, descrivendone passaggi e momenti.
Proprio come un “testo sacro”, il manuale di Gesualdi informa su quei principi etici che un
consumo responsabile e critico professa, sulla rappresentazione che il movimento vuole
trasmettere di se stesso, sintetizzata dal “dovere della sobrietà”.
Il messaggio invita al recupero della sufficienza, come scelta di qualità e quantità, al recupero
della sensazione di sazietà:

“Oggi viviamo in un sistema che ci invita a consumare sempre di più e a forza di ingozzarci
abbiamo forzato, fino a romperli i meccanismi che danno il senso della sazietà. In altre parole
ci pare di avere sempre fame e consumiamo in maniera scandalosa contro ogni logica igienica
del buon senso comune. Dunque se vogliamo riportare i nostri consumi entro i limiti della
ragionevolezza, dobbiamo ripristinare i meccanismi che ci fanno capire quando abbiamo

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consumato abbastanza da averli soddisfatti. Il concetto di sufficienza allude proprio a questo”
(Gesualdi, 1999 pg.153)

Il movimento per un consumo responsabile si pone come obiettivo il conseguimento del valore
della sobrietà dunque, e razionalizza un piano di azione per raggiungerlo: la riduzione dell’80%
dei consumi di prodotti inquinanti, il recupero del rispetto dell’uomo come della natura, un’altra
idea di efficienza, che non sia quella del possesso di denaro, bensì quella di garantire il
miglioramento dei servizi, con il minimo impiego di risorse e con la minore produzione di rifiuti,
passare dalla mentalità del possesso a quella dell’utilizzo collettivo, cambiare le modalità di
produzione, allo scopo di convertire le imprese al riciclo, e non alla sostituzione di ogni prodotto
nel minor tempo possibile.
Il responsabile del Centro Nuovo Modello di Sviluppo delinea l’esistenza di una collettività
definita, con le sue leggi, il suo statuto, con le sue pratiche ed il suo sistema organizzativo; un
movimento che vuole funzionare come un’alternativa reale e praticabile all’americanizzazione
dei consumi.
Gesualdi si fa portavoce di una delle reazioni possibili all’incanto continuo, gestito dalla
macchina iperconsumista, e manifesta l’esistenza di una percezione e concettualizzazione del
rapporto individuo-oggetto-consumo, altra rispetto al mero utilitarismo apparentemente
dominante.
Il “Manuale per un consumo responsabile”è costruito con un vocabolario religioso, ed evoca un
sistema di valori tipicamente occidentale.
I soprusi del sistema produttivo da combattere sono quelli che vanno a violare i diritti umani,
considerati universali, (non universalmente riconosciuti e non solo dalle multinazionali).
I diritti dei lavoratori, frutto di lotte sindacali che hanno caratterizzato la nostra società
industriale, considerati oggi come “naturalmente” giusti.
Infine quelli che nuocciono all’ambiente, ma l’attenzione ecologista e animalista è una realtà
che, al di fuori di ogni giudizio di valore, ancora una volta caratterizza prevalentemente la nostra
società, frutto della nostra storia economica, delle nostre correnti di pensiero, in particolar modo
della nostra idea, culturalmente segnata , di natura.
I principi che reggono il commercio equo e solidale, questa rete che mette in comunicazione una
nicchia di distributori-consumatori occidentali con gruppi di produttori dalle provenienze
geografiche disparate, accomunate però dalla povertà e dai soprusi subiti dalla società capitalista,
sono dunque quelli di una religiosità laica o di una cristianità delle origini.
Il ricorso al dovere della sobrietà, del risparmio, come del riciclo, evocano tanto una borghesia
alla nascita, distinta dalla nobiltà per la sua oculatezza, come una società contadina italiana
prima del boom economico.
Mentre il disgusto per il potere della merce appare la conseguenza di un senso di colpa: la colpa
di aver permesso la reificazione dell’essere umano, la colpa di essersi obliati e annullati nel
possesso e nell'accumulazione, dimentichi dell’altra faccia del capitalismo, quella della povertà e
dello sfruttamento. Un tema che da Marx in poi è stato oggetto di riflessione e di disagio
intellettuale in Occidente.

3.2: “Guida al consumo critico”


La “Guida al consumo critico”, curata dal Centro Nuovo Modello di Vecchiano è un altro testo
fondamentale per rispettare le leggi e i principi che identificano il gruppo.
Ristampata e aggiornata ogni anno a partire dal 1996 le guida viene definita fin dal frontespizio
per il suo contenuto, costituito dalle “informazioni sul comportamento delle imprese per un
consumo consapevole”.

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Nella prima parte del libro vengono sintetizzati i principi e i valori del movimento, i pericoli
della globalizzazione dal punto di vista economico vi sono descritti in termini allarmistici.
Il consumo è definito “inquinante, insostenibile e opprimente”, mentre le pratiche del consumare,
acquisendo una portata e un valore planetario, sono interpretate come una possibile strategia del
cambiamento, “per non essere più complici”.
Le prime vittime del consumo “siamo noi del Nord”, “sommersi dai rifiuti, ci ritroviamo
addosso le malattie da sovralimentazione, siamo affetti da centomila nevrosi a causa delle
insoddisfazioni e della vita frenetica che conduciamo. Dunque avremmo mille motivi per
ricercare una vita più sobria, che non significa ritorno alla candela o alla morte per tetano. La
sobrietà è uno stile di vita che sa distinguere tra i bisogni reali e quelli imposti(…)”(op.cit. 2003,
pg.15)
Il consumo critico dunque salva dalla connivenza al sistema dominante, che contamina
negativamente le vittime e gli stessi fruitori, per esserne immuni basta seguire le regole definite
“delle quattro R”, cioè: ridurre, recuperare attraverso il riciclaggio, recuperare attraverso il
riutilizzo, riparare.
E se la sobrietà dovesse far paura, gli ideologi del movimento propongono una soluzione: “Basta
affrontare la vita con un altro spirito, e ridare agli oggetti il loro giusto valore (...) Proviamo a
dare più spazio al dialogo, all’amicizia, alla partecipazione, alla riflessione, alla meditazione,
perché è dimostrato che il consumo è diventato una forma di compensazione della nostra
insicurezza e della nostra insoddisfazione affettiva, umana, sociale e spirituale”(op.cit. 2003,
pg.19)
I mali della società iperconsumista, quelli raccontati dai mass media, generalizzati dagli
opinionisti con toni apocalittici, quelli che sono diventati luoghi comuni dei discorsi in
metropolitana o al mercato, vengono usati come “spaventapasseri”. Come retoriche funzionali a
far cambiare rotta di comportamento, evocando gli ideali del dialogo, e della amicizia, quei
valori cui si guarda con nostalgia, quando si generalizza sulla nostra società utilitarista ed
egoista, obliata nel possesso inutile dell’oggetto.
Dopo aver sintetizzato sofisticamente l’ideologia discorsiva del pensiero, entro il quale il
movimento viene rappresentato, la guida compie il passo verso la definizione della cosmologia
dei consumatori responsabili, intesa come organizzazione compiuta, non solo dei valori da
perseguire, ma anche delle pratiche da agire performativamente.
Contrastando il potere delle cattedrali del consumo, che rendono, secondo il pensiero di Gorge
Ritzer, l’individuo vittima posseduta e spersonalizzata dal dio-oggetto, gli ideologi del
movimento, restituiscono centralità e soggettività alle decisioni di chi vuole entrare a fare parte
del gruppo dei “consumatori responsabili”; le armi con cui perpetrarlo sono il boicottaggio e la
critica ai singoli prodotti in vendita al supermercato, e alle imprese che li producono.
Il boicottaggio è lo strumento estremo di protesta, eccezionale, mentre lo sguardo critico e
analitico è la pratica quotidiana di azione.
Per favorirla , in un continuo lavoro di ricerca e studio, che non si ritiene mai compiuto, bensì in
continuo farsi e consequenziale ai movimenti dell’economia, gli ideologi hanno smascherato i
processi di produzione.
Hanno elaborato delle schede sulle imprese e sui prodotti, analizzandoli in base a criteri spiegati
e giustificati, costruendo per gli adepti una guida al discernimento, al libero arbitrio, al cartesiano
“cogito ergo sum”.
Le merci sono suddivise in aree:
- alimentari, pasta e riso, latticini, carni e pesce, biscotti, dolci, merendine, cacao, caffè, tè,
bevande, frutta e verdura conservate, frutta tropicale, gelati e surgelati, maionese, salse, sale
e aceto, marmellata, miele, zucchero, oli e margarine, orzo e infusi, pane, snacks salati,
crackers;
- prodotti per la casa;
- prodotti cartacei;

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- prodotti per l’igiene personale;
- prodotti per l’infanzia.
Ognuno di essi è valutato secondo criteri di inutilità e utilità per il consumatore, secondo
l’impatto ambientale nella produzione e nello smaltimento successivo al consumo, e secondo il
retroscena sociale, che significa non solo il sistema di produzione ma anche il sistema
pubblicitario e quindi la ricaduta nell’immaginario collettivo.
I luoghi della spesa, come supermercati, discount, centri commerciali, sono raggruppati secondo
l’impresa, secondo la nazionalità, le insegne, e le attività, in modo da favorire il fruitore della
guida, nella scelta.
Ogni impresa viene giudicata secondo dei criteri analitici, che vengono enunciati e spiegati dagli
ideologi del movimento, che sono gli stessi utilizzati per la descrizione delle singole merci:
- la trasparenza, come disponibilità delle imprese a fornire informazioni veritiere sul loro
sistema di produzione;
- l’abuso di potere, come iniziative assunte, sfruttando il proprio potere economico, per
condizionare opinione pubblica e governi;
- Terzo Mondo, come modalità di gestione delle attività produttive e commerciali nel sud del
mondo;
- Ambiente, inteso come smaltimento dei rifiuti, utilizzo delle risorse energetiche, rispetto
delle regolamentazioni;
- Armi ed esercito, quindi la produzione di armi o la vendita agli eserciti di qualsiasi tipologia
di merce;
- Vendite irresponsabili, come prodotti pericolosi o dagli effetti collaterali;
- Organismi Geneticamente Modificati, di cui, non solo sono sconosciuti gli effetti sulla salute
e sull’ambiente, ma sono noti i sistemi di vendita di tali sementi, resi sterili e protetti dai
brevetti, per costringere i contadini a comprarne di nuovi annualmente e a indebitarsi con le
multinazionali;
- Sicurezza e diritti dei lavoratori, intesa come salvaguardia e rispetto;
- Regimi oppressivi, che si riferisce al possesso di attività economiche in paesi governati da
regimi oppressivi e non democratici;
- Illeciti e frodi, come beni contraffatti, inganni commerciali, corruzione;
- Animali, inteso come condizioni di allevamento o sperimentazione;
- Etichette e pubblicità, quindi messaggi veritieri o meno, e loro ricaduta sull’immaginario
collettivo;
- Paradisi fiscali, quindi l’utilizzo non solo di regimi fiscali convenienti, ma anche
dell’assoluta segretezza;
- Boicottaggio, come presenza o meno di campagne o azioni eccezionali di protesta.
Le categorie di valutazione, così come i criteri, vengono dichiarati apertamente, e spiegati. Ad
ogni voce corrisponde un voto, che dalla critica severa, passa per la neutralità e per
l’apprezzamento.
I rappresentanti del movimento agevolano i loro adepti costruendo la lista nera delle imprese e
delle merci-tabù, in base a categorie miste che vanno dalla salute del proprio corpo e
dell’ambiente, alla lotta per i diritti umani, per la democrazia e per la pace e contro la corruzione.
Categorie di valori, che, è forse banale affermare, hanno plasmato nel bene e nel male la storia
della società occidentale.
Che riconducono all’immaginario morale ed etico, sia laico che religioso, che ha costituito e
costituisce il nostro orizzonte simbolico, e che non trova sempre riscontro nelle pratiche generali
dei nostri governi, come della nostra economia.
Gli ideologi del movimento sono i portatori di una nostra generalizzata concezione del bene
ideale, contro la nostra reciproca concezione del male, oggettificata nel comportamento delle
imprese e dei governi, condizionati e corrotti dal potere economico, di cui l’individuo è vittima.

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Il perseguimento del bene è d’altronde oggettificato nella criticità del consumo, inteso come
“fatto totale”o “gesto planetario”, e nell’acquisto di merce, intesa di conseguenza, come “dono
totale” di “bontà per sé e per gli altri”, dai consumatori ai produttori.
La pratica della spesa quotidiana, come della vita quotidiana, viene canonizzata e ritualizzata,
nella scelta dei luoghi e dei prodotti, tramite l’analisi delle etichette, tramite l’attenzione ai rifiuti
e al riciclo, tramite la lotta contro lo spreco delle risorse energetiche. L’orizzonte ideale ultimo è
rappresentato dalla condivisione dei beni, opposta all’individualismo utilitarista, lamentato nei
discorsi sulla nostra società, da teorici e opinionisti.

In testi che parlano del consumo come fenomeno globalizzato, che analizzano le conseguenze di
questo processo, valutandolo come non gestibile e definitivo, nel suo movimento omologante, e
che progettano una “rivolta” più o meno pacifica, la percezione che della nostra società
consumista, come delle attività delle associazioni non governative, dei centri come quello del
nuovo modello di sviluppo, hanno le collettività sociali e culturali non viene descritta, ma solo
generalizzata.
Viene a mancare l’analisi di quali siano le strategie scelte per manipolare e interpretare “gli
insegnamenti, i doni, le realtà” della globalizzazione.
Di quale sia il discorso, la pratica di gestione e comprensione degli attori sociali, che non devono
essere necessariamente negative, apocalittiche, e che non devono necessariamente coincidere con
un rifiuto o con un’inculturazione dall’alto.
Mancano insomma l’osservazione o lo studio della realtà delle pratiche individuali; le
interpretazioni che il singolo ha del bene e del male, e il modo di perpetrarlo o di combatterlo
strategicamente, di tradurlo in pratica e in performance quotidiana.
Un’assenza paradossale, se si pensa che gli ideologi del movimento tendono a rappresentarlo e a
qualificarlo come “consapevole, critico e responsabile”, puntando il loro discorso su una
centralità soggettiva di discernimento, che vuole combattere l’omologazione e la massificazione
spersonalizzata della società iper-consumista.
Appare paradossale invocare il libero arbitrio, quando si definiscono tabù e leggi
comportamentali da rispettare, valori e ideali da perseguire, per poter conseguentemente sentirsi
parte del movimento.

4. IL MATERIALE: un’analisi

L’interpretazione che mi guida nell’analisi del materiale, è quella dello shopping, nel senso di
approvvigionamento dei beni primari e secondari, come dono e messaggio d’amore nei confronti
dei destinatari dei prodotti acquistati, che vede il soggetto comprante, come un individuo che
dona qualcosa ai propri cari, i quali consumando questo dono, nella fattispecie cibo, vengono
arricchiti, non solo dal punto di vista calorico, bensì dal punto di vista simbolico.
Qual è dunque l’apporto simbolico donato ai consumatori dei prodotti dell’equo e solidale, ai
sostenitori del consumo responsabile?

Nell’analizzare i documenti autobiografici procederò per categorie di volta in volta differenti,


cominciando dallo stile formale dei testi, arrivando alle informazioni etnografiche trasmesse,
sulla tipologia familiare, sull’organizzazione e l’economia domestica, sul rapporto con il cibo
in particolare e con il consumo in generale.

4.1: lo stile
Dal punto di vista formale e stilistico i documenti sono eterogenei.
Non sempre c’è una diretta corrispondenza tra il tipo di griglia tematica presentata ai due
diversi gruppi di lavoro e la successiva elaborazione dei dati; anzi, il materiale testimonia
dell’interpretazione soggettiva e personale che ogni autore ha dato della griglia stessa.

17
Alcuni testi seguono pedissequamente per punti i nuclei tematici del documento orientativo
(v. allegato 1 e 2), riportandone in alcuni casi le domande ed inserendo di seguito le risposte,
oppure collegandosi ai simboli alfabetici o numerici di riferimento.
Altri testimoniano una rielaborazione personale e autobiografica delle informazioni richieste,
che vengono inserite in un contesto narrativo preciso, costruendo una storia, fatta di episodi e
di piccoli ritratti di vita familiare, dell’infanzia passata o della maturità presente.
Al contrario di quello che si potrebbe pensare non c’è una diretta corrispondenza tra i
seminaristi della Libera Università dell’Autobiografia, e i testi formalmente resi come storie
di vita di consumatori, cosa che impulsivamente potrebbe esser considerata necessaria e
consequenziale.
Anche perché, come già accennavo nell’introduzione, i seminaristi della L.U.A., hanno
elaborato oltre al qui presente, un testo, definito “Menù della Vita”, caratterizzato proprio dal
racconto di sé costruito su memorie di cibo.
La vocazione autobiografica appare quindi come puramente soggettiva, e non distingue un
gruppo di lavoro rispetto all’altro, si potrebbe pensare dipenda dal tempo libero che ognuno
ha avuto a disposizione per dedicarsi alla scrittura e all’elaborazione, oppure alla capacità
soggettiva, all’abitudine di ciascun autore a riflettere sul proprio io e sulla propria famiglia.
Infatti, come sostengono vari studiosi che si sono occupati di storie di vita, di autobiografie, o
di biofonie7, la capacità di dire di sé entro un paesaggio narrativo definito, e scandito da
personaggi, nuclei tematici e aneddoti, evidenzia l’abitudine a interpretare la propria storia
come un racconto da formalizzare e da trasmettere.
Non è d’altro canto possibile affermare se la vocazione autobiografica da una parte, e quella
schematica dall’altra, appartengano alla sfera femminile piuttosto che alla maschile, o
viceversa.
I 18 documenti presentano una varietà formale tale da non poterli suddividere in classi o
sottoclassi generali, testimoniano una profonda individualità di interpretazione, di rapporto
con la scrittura, di riflessione sul proprio io, da costituire, dal punto di vista stilistico,
ognuno un discorso autonomo.
Non si percepiscono critiche nei confronti del lavoro proposto, anzi una disponibilità a
riflettere, variabile a secondo della determinante tempo libero, o della maggiore o minore
importanza attribuita al compito da svolgere rispetto ad altre priorità.
Solo in un caso alcune risposte testimoniano una certa diffidenza o incomprensione nei
confronti delle tipologie di domande poste e del loro significato e scopo:

“Non saprei, o non ho riti, o non capisco la domanda”


oppure,
“Non capisco cosa c’entri la scuola con l’acquisto consumo”
“Non ho mai capito il problema del consumo dell’acqua: in che modo miei eventuali
sprechi influenzano i consumi in Sicilia???”
“Non definirei il risparmio un obiettivo, quanto uno dei parametri che regola i nostri
acquisti, ma certamente non l’unico” (testo n.8)

I documenti informano dunque di una maggiore o minore predisposizione al racconto e al


ricordo introspettivo, cosa che in alcuni casi evidenzia il piacere come il dolore della
memoria, i nodi irrisolti del personale passato individuale e familiare, che conducono, in
determinati testi, l’autore a valutare esplicitamente la portata simbolica del cibo nella
costruzione di identità individuali e familiari:

“Rileggendo mi sono resa conto di una cosa su cui non avevo finora riflettuto: il cibo
segna davvero le tappe della nostra vita.” (testo n.10)
7
In particolare v. Philippe Lejeune, Pietro Clemente e Duccio Demetrio, et al.

18
“Sono tanti gli alimenti che sano darmi un senso di gioia, di allegria, di festa. Ognuno
crea un suo linguaggio alimentare privato personale. Io ho modificato il mio
linguaggio più volte sia col passare del tempo ma anche a seconda del mio vissuto. Il
cibo non solo definisce, prepara l’identità personale e culturale di ciascuno di noi, ma
spesso diventa veicolo per conoscere e apprezzare i gusti, le abitudini e le tradizioni di
chi ci sta accanto. L’arte della cucina è un modo per conversare, incontrarsi, farsi
conoscere, comprendere le diversità dell’altro e valorizzare le nostre scelte” (testo
n.12)

Una consapevolezza che sembra predominare nei testi dei seminaristi L.U.A., forse perché le
tematiche di riflessione delle lezioni erano centrate proprio sulla funzione simbolica del cibo,
nella formazione dei ricordi e nella costituzione soggettiva del sé.

4.2: le etnografie familiari


La voce predominante è femminile, 15 su 19 sono elaborati di donne, la cui classe d’età è
difficile da definire, quasi tutte madri di famiglia, nate sul finire della seconda guerra
mondiale, agli inizi del dopoguerra e alcune più giovani tra gli anni ’60 e ’70.
I nuclei familiari si diversificano, donne single o separate, coppie senza figli, o con figli
oramai autonomi e indipendenti; oppure piccoli nuclei, dai tre ai cinque individui di età
diversa, bambini, adolescenti, universitari o lavoratori.
Le voci maschili, in tutto quattro, sono l’una diversa dall’altra, due padri di famiglia, di cui
uno cuoco di mestiere, uno studente universitario, un lavoratore giovane che ancora vive con i
genitori.
Testimoniano differenti rapporti con il consumo: da uno shopping agito, come quello che
caratterizza i due padri di famiglia, che condividono con la moglie le responsabilità
dell’organizzazione domestica, a quello del giovane universitario, affascinato dal mondo della
tecnologia, che subisce il consumo alimentare mentre agisce su quello culturale, film, fumetti
e libri.
Il caso del lavoratore adulto è differente, la madre compare come attrice principale della
gestione dell’economia casalinga, benchè l’autore stesso partecipi e agisca autonomamente
per quanto riguarda i bisogni secondari personali, e collabori alle strategie familiari di
risparmio delle risorse primarie, come cibo, acqua ed elettricità.

4.2 a, le eredità familiari:


Le origini familiari di cui veniamo informati sono varie, dal punto di vista geografico c’è una
predominanza toscana nelle origini ed in parte meridionale, una sola francese.
Le storie di emigrazioni presenti comprendono spostamenti in Sardegna, Sicilia o in Svizzera,
ed un rientro successivo in Toscana.
L’attenzione al passato generazionale della famiglia evidenzia, in tutti i casi che ne parlano, il
passaggio da una vita in campagna, fatta di lavori nei campi, ad una in città fatta di
occupazioni prevalentemente nel terziario o di studi universitari.
A seconda dell’età degli informatori sono i genitori o i nonni a testimoniare un mondo
agricolo, evocato con i profumi dell’orto e con un’attenzione al risparmio e al riciclo dei cibi
avanzati.
Compaiono menù a base dei prodotti della terra, o dell’allevamento e della cacciagione.
Momenti collettivi di preparazione del pane, dei dolci, degli insaccati, o dei prodotti
stagionali, seccati e conservati sottolio o sottaceto.
L’approvvigionamento avviene in mercati rionali, in negozi al dettaglio che vendono la pasta
ancora a peso, oppure direttamente dal produttore come nel caso del latte o dei formaggi.

19
Si schiudono momenti di scambi reciproci di favori, come nella raccolta delle olive, o nella
preparazione di pietanze particolari per le feste.
Viene testimoniato il tramonto di alcuni mestieri, scomparsi, come nel caso delle lavandaie,
una volta sostituiti dalla tecnologia.
Le tradizioni alimentari del passato descrivono, per quel che riguarda la gestione domestica,
una divisione dei compiti tra uomini e donne, adulti e giovani. Raccontano di gerarchie,
evidenti e rispettate nella distribuzione delle pietanze, in cui il primo ad esser servito era
sempre il capofamiglia. Di forme strutturate dello stare a tavola e del preparare la mensa
familiare: a tavola non si beve, non ci si alza prima della conclusione di un pasto, ognuno ha
un suo posto preciso, etc.,.
Il calendario alimentare festivo è nettamente distinto da quello quotidiano, la pasta fatta in
casa, i dolci e la carne, costituiscono l’eccezionalità.
Tutte queste abitudini andate perse con il passare degli anni, con l’innovazione tecnologica,
l’urbanizzazione, il benessere, e le note conseguenze che questi fenomeni hanno portato nelle
vite e nei rapporti familiari e sociali, sono ricordate con nostalgia, proprio come con nostalgia
si ricordano i profumi dei cibi.

“Oggi i sapori dell’infanzia li ritrovo raramente, a parte alcuni dolci speciali fatti come
una volta, nelle grandi feste. Gli ingredienti non sono più gli stessi e anche il sapore è
cambiato”(testo n.1)

Per quanto riguarda le tecnologie, le testimonianze del passato raccontano dell’avvento delle
televisioni e delle lavatrici, come delle automobili o dei frigoriferi.
I primi programmi televisivi erano guardati con curiosità dai bambini e dagli adulti, senza
attribuire troppa importanza alla comunicazione pubblicitaria, ma solo al divertimento dei
diversi caroselli, come il pulcino Calimero per esempio8.
Alcuni programmi televisivi erano occasione di riunione collettiva, di svago e festa, per i
bambini come per gli adulti, affascinati dalla novità.
Momenti di condivisione e di reciprocità del bene che caratterizzavano la società contadina
dell’epoca, evocati dai ricordi, per il loro valore simbolico di occasioni felici, in cui le persone
più ricche offrivano e ridistribuivano alla loro cerchia parentale o amicale, il loro bene
tramite la fruizione.
I programmi dell’infanzia vengono giudicati e connotati positivamente rispetto a quelli attuali,
soprattutto per il loro valore culturale, come le lezioni di lettura a scrittura agli analfabeti per
esempio, o le opere teatrali di Eduardo De Filippo.
Le abitudini familiari raccontano tutte dell’oculatezza nelle spese, della parsimonia e
dell’attenzione nel conservare ogni bene; i vestiti e i giocattoli erano doni per occasioni
speciali, e oggetto di trasmissione ereditaria tra fratelli o cugini.

“I vestiti venivano comprati, in parte confezionati, in parte venivano fatti fare dalla
sarta, mia madre ci faceva i maglioni. I vestiti venivano fatti fare in occasione di
festività, quali natale, pasqua. C’erano vestiti per tutti i giorni e quelli della festa o
della domenica. Tra noi cugini, 12 in tutto, i vestiti venivano passati dai più grandi ai
più piccoli, uso tuttora rimasto per i nostri figli” (testo n.1)

Anche in questo caso il ricordo di tali abitudini viene evocato e connotato


funzionalmente ad un giudizio negativo sulle realtà presenti. Lo spreco e l’acquisto
indiscriminato di giochi o vestiti, dovuto al condizionamento pubblicitario, e alle

8
La figura di Calimero ritorna oggi nella pubblicità del detersivo, con le caratteristiche del passato, per colpire
l’immaginario con un’icona che rimanda all’infanzia, per significare una tradizionale cura dell’igiene e della pulizia che
acquisisce iconograficamente una storia di fondazione.

20
strategie di mercato, che producono oggetti per la scuola, vestiti, scarpe, e qualsiasi altra
cosa, fino alla nascita di un “total look”evocante gli eroi della televisione, è tale da far
perdere ai figli e ai giovani la percezione del valore delle cose. E’ tale da farli diventare
e rientrare nell’orizzonte di quelli che i mass media definiscono come“fashion victims”.

4.2b, le attualità familiari


Passando dal racconto del passato a quello dell’attualità assistiamo ad un netto cambiamento
di abitudini, di gestione del sistema familiare e di spazi.
I nuclei familiari vedono entrambi i genitori lavoratori, con figli ancora piccoli, o grandi, ma
non autonomi, o totalmente autonomi.
La classe sociale di riferimento è quella di una media borghesia che sente ancora forte il
legame con la tradizione familiare contadina.
Tra moglie e marito non c’è una rigida divisione dei ruoli, bensì una collaborazione dettata
dalla minore o maggiore disponibilità di tempo libero.
Anche se gli uomini si autodescrivono o vengono descritti come più facili ad acquisti
“irresponsabili”, soprattutto nell’ambito della tecnologia, delle compere via internet o via
telefono; abitudini estranee alle donne, che dichiarano di non fidarsi di ciò che non possono
vedere, né toccare.

Cambiano le abitudini a tavola.


Il pranzo è un pasto spesso saltato, il figlio mangia solo, per l’assenza dei genitori impegnati
nel lavoro, o rimane a scuola o all’università.
Oppure è la madre, che trovandosi sola in casa, spizzica direttamente dal frigorifero, almeno
che il nucleo non sia composto anche da bambini piccoli.
Si assiste al mutamento della percezione di festa.
La diversità e l’eccezionalità alimentare è rappresentata dall’ospitalità; sono le occasioni di
commensalità, a prescindere dai calendari religiosi o del ciclo della vita, a distinguere i menù.

“Cucinare per gli altri è regalare qualcosa di buono che ci faccia stare insieme in
piacevoli momenti di comunicazione” (testo n.18)

Al ristorante si preferiscono piccole trattorie o pizzerie, ma in linea di massima si predilige


organizzare scampagnate o pic-nic, strategie che evocano l’infanzia, fatta di rare volte in
trattorie, e di una maggior abitudine alle gite all’aria aperta e alle mense bucoliche.

Il sistema di approvvigionamento cambia totalmente.


I luoghi sono i supermercati, come la COOP e l’Esselunga, che assicurano al consumatore
prodotti certificati, nel rispetto dei criteri guida del consumo critico. Contemporaneamente, la
merce con il marchio dello stesso supermercato è ritenuta un buon compromesso tra qualità,
risparmio e criticità dell’acquisto.
I due supermercati sono connotati positivamente per la possibilità di ampi parcheggi per le
automobili, e soprattutto per la vasta scelta che asseconda ogni strategia: dalla merce
biologica, a quella che certifica un utilizzo controllato dei pesticidi, i prodotti dell’equo e
solidale, offerte e promozioni particolari, e un pagamento rateizzabile, tramite le carte di
credito della catena distributrice stessa.
Lo shopping, inteso come acquisto dei beni primari, avviene ogni due giorni circa, perché si
preferisce e si insegue il valore della freschezza e della varietà a tavola.
Il congelatore è previsto solo per prodotti genuini, che vengono dalle campagne, o per
conservare pietanze cucinate una volta alla settimana da una madre lavoratrice, che , in sua
assenza, vuole comunque assicurare alla famiglia un buon pasto.

21
La spesa è un atto abitudinario e di routine, gli informatori si recano negli stessi luoghi e
seguono lo stesso percorso.
La lista non è uno strumento utilizzato sempre, la si compila per segnare i desideri e i bisogni
di tutti i componenti familiari, non per evitare spese inutili, ha una funzione puramente
mnemonica.
Mentre il cesto viene scelto al posto del carrello, perché le limitate dimensioni e la scomodità
nel trasportarlo costituiscono un ostacolo concreto al consumo irresponsabile.
Vengono acquistati i prodotti precedentemente provati, o approvati dopo un’analisi accurata
dell’etichetta, per conoscerne la provenienza e la tipologia di preparazione e di conservazione.
C’è diffidenza nei confronti degli organismi geneticamente modificati, come di carni
straniere, soprattutto dopo l’allarme “pollo alla diossina” e “mucca pazza”, “pesce al
mercurio”.
Si ha paura delle conseguenze che l’ingestione di determinati prodotti possa avere sulla salute
dei familiari e di se stessi, per questo vengono prediletti quei cibi che assicurano mangimi
naturali e un allevamento non su scala industriale.

Il rapporto con il consumo è mediato da un’attenzione al risparmio ereditata dalla famiglia


originaria, di tradizione prevalentemente contadina, e legata ad un sistema economico
precedente e diverso dall’attuale.
Ma anche da un disgusto nei confronti dello spreco consumistico;

“Sono a volte disturbata dalla quantità di dolci confezionati e dalle bibite gassate che
vedo in molte borse di altri compratori” (testo n.19)

“Sono molto curiosa e osservo con attenzione il comportamento della gente e i carrelli
al supermercato. Ascolto le banalità, osservo l’inutilità di certi prodotti e penso: quanti
troiai compra la gente mentre da altre parti del mondo c’è gente che muore di fame”
(testo n.4)

“Credo di non aver mai comprato tante inutilità in vita mia! Il consumismo era
nauseante, difficile uscirne indenni.” (testo n.1)

Il risparmio è il valore perseguito, che non significa necessariamente minor denaro speso,
come impulsivamente può credersi, ma è un felice compromesso tra qualità, quantità,
realizzazione dei desideri e dei bisogni familiari, senso morale, tradotto praticamente
nell’evitare gli sprechi, nel criticare e nell’opporsi al potere della pubblicità, nel boicottaggio
delle merci di quelle multinazionali, che sono tristemente diventate famose per lo
sfruttamento dell’ambiente, dei lavoratori e dei minori, come Nestlè, Chicco, etc.,.
Il risparmio si configura dunque come un valore complesso, che unisce in sé la cura per la
continuità familiare, un disegno politico e civile, e si traduce nel rispetto dell’ambiente
naturale e umano, attraverso il riciclo, la scelta di prodotti biologici o del commercio equo e
solidale, e l’utilizzo oculato delle risorse energetiche.

L’aspetto irrazionale ed emotivo, rappresentato dalla gratificazione del proprio io o dalla


soddisfazione dei desideri dei familiari, o dei propri cari, è un dato presente, anche tra quegli
attori sociali che si rappresentano entro l’orizzonte dei consumatori critici.
Per quanto riguarda la gratificazione del sé non sempre si cede alle tentazioni, mentre per
quanto riguarda l’amore da comunicare agli altri allora non è la spesa, né il consumo
responsabile a limitare le attenzioni. Ogni informatore esplicita, come ho già precedentemente
dimostrato, delle piccole strategie in cui il valore più importante rimane appunto la dedizione
e la cura dei propri cari.

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L’affetto da dimostrare tramite il dono di cibo è il fondamento dei rapporto che lega
l’individuo al personale modo di fare la spesa, solo successivamente vengono la
responsabilità degli acquisti e le strategie di gestione economica.

“Atti d’amore: certo, sennò che senso ha? Questa primavera, presa dalla necessità, ho
addirittura comprato da un piccolo lattaio vicino alla Cure, un barattolino di gelato di
panna Nestlè, per portarla ai nipoti e mangiarla con le fragoline del giardino. Ma il
bello è che il negoziante, al quale spiegavo la mia esitazione col fatto che non avrei
voluto comprare un prodotto Nestlè, capiva benissimo senza bisogno di spiegazioni”
(testo n.5)

L’ideale nel dono del cibo, come atto di devozione e dedizione che assicura la vita, si attua
quando ad esser regalato è proprio un prodotto biologico o dell’equo e solidale.
Un dato che si riflette nell’aumento delle vendite, presso le Botteghe del Mondo, durante le
festività.
Il bene donato in questo caso non comunica solo l’amore per i destinatari, non è solo un
augurio di salute e benessere, ma assume una dimensione totale perché è amore comunicato
alla natura e all’umanità.
L’atto di dare, consumare, fruire di un dono simile, accresce di spessore semantico l’atto del
dono in sè, perché significa trasmettere e far proprio un insegnamento civile e morale, “la
bontà per il produttore, la bontà per il consumatore”.
Il “genitore nutrice” con un gesto simile raggiunge la percezione della perfezione e della
completezza totale del suo atto, perché nutre il figlio, o i cari, contribuendo alla costituzione
di un soggetto, formato non solo dall’amore familiare, ma dall’amore e dal rispetto in
assoluto. Lo fa divenire e crescere come un portatore fisico e reale di quei valori che ritiene
fondamentali, trasmettendogli performativamente un orizzonte simbolico in cui ha fede ed in
cui si sente riconosciuto .

5. CONCLUSIONI: “dal peccato all’eucarestia, la parabola del figliol prodigo”

I documenti autobiografici presentati e analizzati testimoniano di un’attenzione reale al


consumo responsabile , e di un’esplicita critica alla religione dei consumi.
Non sono solo le parole scritte a dirlo, ma è la stessa partecipazione degli informatori ai due
gruppi di lavoro, l’interesse a dibattere, a dialogare e a riflettere sul consumismo, come sulla
portata simbolica assunta dal cibo, nel costituire la identità individuale, familiare e sociale.
Il rapporto con la criticità dello shopping, dei partecipanti a questi due momenti collettivi, è il
frutto di una strategia complessa di risparmio, dettata da una cosmologia del consumo, nella
quale il posto più importante è assunto dall’atto d’amore e cura nei confronti degli affetti,
dalla qualità dei prodotti scelti, dal rispetto dell’ambiente, come dalla solidarietà umana.
Ogni acquisto è un compromesso con questi valori, che di volta in volta assumono un rilievo
diverso a seconda del contesto di scelta.
Anche il risparmio inteso come minor spesa di denaro è comunque un atteggiamento critico,
che contrasta l’affermazione di George Ritzer, secondo il quale la tendenza generale è quella
di investire non solo i risparmi passati, ma anche i guadagni futuri, agevolati da strumenti
quali le carte di credito per esempio.
Confrontando i documenti analizzati, con il messaggio degli ideologi del movimento dei
consumatori responsabili, possiamo ricavarne che non c’è un’unica interpretazione del
consumo critico. La centralità del soggetto invocata ideologicamente viene attuata dalle
strategie pratiche individuali, che si diversificano in base alle preferenze familiari, alle
concrete possibilità e alle priorità di ognuno.

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Le leggi, l’organizzazione e le pratiche del movimento rappresentato dal Gesualdi sono di
volta in volta riviste, interiorizzate e applicate in modo diverso dagli stessi consumatori
critici, che in questo senso realizzano a pieno la consapevolezza e responsabilità della scelta,
invocata retoricamente dagli ideologi.
In questo preciso contesto l’atteggiamento critico sembra unire un’eredità familiare, di tipo
contadino, caratterizzata dall’oculatezza e dalla parsimonia, dalla predilezione per i prodotti
naturali, con il disgusto per la società attuale, fatta di sprechi e di predominio dell’oggetto.
Gli attori sociali diventano portatori di un senso di colpa globale, che significa il cedimento
alla società iperconsumista, vissuto come un peccato esistenziale, cioè quello di essersi
reificati nel possesso dell’oggetto, dimenticando l’umanità, e il rispetto per l’ambiente,
scordando quei messaggi, insiti nel cristianesimo primordiale, di povertà, condivisione e
amore.
Un peccato globale dunque che è quello raccontato e manipolato dagli stessi ideologi del
movimento, che non a caso si rifanno, per espiarlo, agli messaggi cristiani, della sobrietà, del
dialogo, della meditazione e della condivisione e ridistribuzione dei beni.
Contemporaneamente è vivo nei consumatori responsabili il peccato di aver volutamente
interrotto la trasmissione intergenerazionale della parsimonia, rifiutando l’eredità degli
antenati. Dopo aver cancellato il ricordo della loro infanzia, che oggi viene descritta con toni
idilliaci e nostalgici, vogliono riacquisire il loro passato.
Un comportamento critico significa allora ricreare un nuovo dialogo, ricostruire la memoria,
arricchendola, di nuovi significati, morali e politici.
Così donare e ingerire il cibo, scelto e selezionato responsabilmente, si traduce in un atto di
comunione simbolica, per mezzo del consumo; una comunione che ricrea un legame con il
passato e costruisce una speranza per il futuro.
Il cibo, inteso come pasto eucaristico, diventa il veicolo della trasmissione di memorie
precedentemente interrotte, tramite il quale la discendenza e la continuità vengono ristabilite,
e contemporaneamente rappresenta il simbolo di salvezza per l’umanità intera, secondo
l’originario messaggio cristiano.

Proprio la generazione che ha rifiutato l’eredità parsimoniosa degli antenati, perché tentata
dallo spreco, oggi si fa attrice di una nuova trasmissione dei saperi, derivata dalla tradizione e
arricchita dall’esperienza del pentimento, per questo il consumo critico, performativamente
agito dagli attori sociali, può essere metaforicamente inteso come una nuova parabola del
figliol prodigo.

24
STORIE DI CONSUMATORI:
I documenti autobiografici vengono presentati in forma anonima per il rispetto della privacy
degli autori stessi.
Non è stata apportata nessun tipo di correzione, i testi vengono raccolti esattamente come mi
sono stati consegnati.
La numerazione con i quali vengono presentati ha valore esclusivamente distintivo.

1.
α) Alimentazione assolutamente naturale con cibi freschi preparati giorno per
giorno. Ciclo settimanale alimentare tipo: mercoledì legumi, sabato brodo, martedì
pasta al sugo di pomodoro ecc.
Differenza tra pasti feriali e festivi: questi ultimi con piatti più
elaborati, pasta fatta in casa, e cose destinate ai giorni di festa come
per es.la frutta secca.
Ciclo stagionale di preparazione e consumo degli alimenti: in inverno
preparazione del salame, la carne si lavorava e insaccava a mano con la
partecipazione di tutta la famiglia allargata, era una festa, la quantità
doveva durare tutto l'anno. In estate si preparava e imbottigliava la salsa
di pomodoro, anche questa per tutto l'anno, anche questa con la
partecipazione di tutta la famiglia.
Alcuni cibi erano tipici delle feste e venivano preparati e consumati solo
in occasione di queste, come le frittelle di natale, una pasta speciale di
pasqua oppure le torte fatte solo in occasione dei compleanni, diverse per
ogni membro della famiglia. La torta di compleanno da me era particolarmente
attesa.
A scuola non c'era l'uso delle merende durante la pausa. Prima di andare a
scuola facevo colazione a casa con latte e pane spezzettato dentro.
Ritornavo a casa per pranzo.
In linea di massima non mi forzavano a finire tutto, mi invogliavano a
mangiare perchè non sempre lo facevo volentieri.
Oggi i sapori dell'infanzia li ritrovo raramente, a parte alcune dolci
speciali fatti come una volta, nelle grandi feste. Gli ingredienti non sono
più gli stessi e anche il sapore è cambiato.
La spesa veniva fatta da mia madre ed era un rito quotidiano. Frutta,
verdura e pesce venivano comprati al mercato, il resto in un negozio di
alimentari vicino casa. Tutto veniva acquistato a peso, compresa la pasta. Le
confezioni sono arrivate più tardi. Per il latte si andava in latteria, di
sera , quando il contadino portava il latte dalla campagna. Bisognava
portare una bottiglia da casa che la lattaia riempiva. Spesso ci andavo io
ed trovavo affascinante vedere i contenitori e i misurini sul banco e la
lattaia che li usava come fosse un giocoliere. Una volta a casa il latte
andava bollito e non poteva essere conservato. Anche i tetrapak sono
arrivati dopo. Il pomeriggio a volte andavo a comprare ciò che mancava e
compravo per me 5 lire di pesciolini o rotelline di liquirizia , oppure una
tavoletta di surrogato di cioccolato. C'era poi in paese un negozietto che
vendeva tante piccole cose per bambini: oltre alla suddetta liquirizia,
c'erano gelati di zucchero, gomme da masticare rosa e quadrate, bustine

25
sorpresa piccole, il tutto a 5 o 10 lire.
In estate potevo comprare al bar, la domenica, un gelato da 15 o 20 lire.
Poter comprare queste piccole cose mi davano molta gioia.
Alla spesa, cucina e rigoverno della casa ci pensava mia madre. Non usavamo
andare al ristorante, a volte si facevano picnic, in occasione di feste
paesane, con cibo preparato in casa.
I vestiti venivano comprati in parte confezionati, in parte venivano fatti
fare dalla sarta, mia madre ci faceva i maglioni ( oggi li fa mia figlia) .
I vestiti venivano comprati o fatti fare in occasione di festività quali
natale, pasqua . C'erano i vestiti per tutti i giorni e quelli della festa o
della domenica. Tra noi cugini, 12 in tutto, i vestiti venivano passati dai
più grandi ai più piccoli, uso tuttora rimasto per i nostri figli.
Dei giocattoli ho pochi ricordi. Li portava la Befana ( non c'era l'uso a
natale), venivano regalati al compleanno. Lo stesso per i libri.
Avevamo una grossa enciclopedia.
C'era l'uso del " corredo": per le bambine venivano comprati o fatti a mano,
nel corso degli anni biancheria da letto, bagno e cucina che veniva data in
dote per il matrimonio. La dote costituiva un notevole risparmio per i
futuri sposi.
Avevamo il frigorifero, ma ricordo ancora la lavandaia: circa 1 volta a
settimana veniva in casa una lavandaia che lavava a mano il bucato grosso (
lenzuola..) Poi comprammo anche la lavatrice.
Quando avevo 6 anni arrivò il televisore. C'erano 1 o 2 canali, i programmi
solo serali e pomeridiani. Potevo vedere la TV dei ragazzi con Zorro e i
quiz, la sera dovevo andare a letto dopo il mitico carosello che era l'unico
momento di pubblicità che io ricordi. Erano scheck divertenti e io facevo
poca attenzione ai prodotti. Piano piano si cominciò a compare i prodotti
della pubblicità, ricordo i formaggini susanna o la mucca carolina. I
detersivi Ava con calimero. La pubblicità non veniva mandata in mezzo ai
programmi.
Non avevo un rapporto diretto con il denaro. Non avevo la paghetta. Chiedevo
i soldi man mano che mi serviva qualcosa, e comunque si trattava di
piccolezze come trucchi o simili.
Le ragazze iniziavano a portare i pantaloni e le minigonne, a mia madre
quella moda piaceva, a mio padre meno , ma dopo qualche discussione in
famiglia l'ho spuntata io, anche perchè era una moda ormai diffusa.
A 18 anni sono andata a Roma per studiare e ho cominciato a gestirmi i soldi
e acquisti da sola.
Come tanti studenti mangiavo a mensa e compravo solo l'indispensabile,
facendo attenzione molto ai prezzi. Credo di aver comprato pochissime cose
inutili e quando succedeva era un po' farsi un regalo.
I soldi che riuscivo a mettere da parte li spendevo in piccoli viaggi.
Nel 1985 mi sono sposata e trasferita in Svizzera, dove ho vissuto 15 anni.
Qui qualcosa cambia. Mi colpiscono gli enormi supermercati e grandi
magazzini strapieni di tutto: prodotti e oggetti più vari, dai più utili ai
quelli assolutamente inutili.
Credo di non aver mai comprato tante inutilità in vita mia!
Il consumismo era nauseante, difficile uscirne indenni.
Per quanto mi riguarda non era tanto la pubblicità a influenzare gli acquisti
quanto la quantità e varietà di merce esposta negli scaffali. Trovo i
supermercati svizzeri organizzati in maniera efficiente: è facile vedere,

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trovare e quindi comprare i prodotti, e tutto sembra terribilmente
indispensabile. Il bisogno del prodotto o dell'oggetto nasce nel momento in
cui lo vedi!!
Molto importante è stato un trasloco. Svuotando la soffitta ho trovato una
quantità incredibile di roba inutilizzata di cui ho dovuto disfarmi. Da
allora il mio atteggiamento verso gli acquisti è totalmente cambiato.Ora
compro raramente cose che non mi servono.
D'altra parte in Svizzera ho imparato a : separare i rifiuti , carta, vetro(
verde, marrone, bianco), plastica, pile, compostaggio; uso razionale
dell'acqua ( cosa alla quale gli svizzeri sono molto sensibili) ; spegnere
il motore della macchina ai semafori; non consumare e non far consumare a
mia figlia dolciumi o merendine: i bambini a scuola nella pausa mangiano un
panino (solo pane) o una mela che la scuola vende a un prezzo modico.
Anche lo svezzamento è diverso che in Italia, ho allattato mia figlia fino a
5 mesi e dopo le ho dato pappe preparate da me e non quelle in scatola.
Credo di preferire un'alimentazione naturale ma sicuramente anche l'ambiente
ha influito sulle scelte.
Anche il rapporto con la tecnologia è contraddittorio, ho un computer, una
segreteria telefonica, un fax , ma ho comprato un cellulare molto dopo
rispetto agli italiani.
Nell'estate 2000 io e mia figlia ci trasferiamo a Siena. Le abitudini
cambiano ancora., per es. non spengo più il motore della macchina ai
semafori! Uso molto di più il cellulare.
Vado a fare la spesa in media 2 volte a settimana al supermercato, ci vado in
macchina perchè è lontano da dove abito. Compilo una lista in base a ciò
che mi serve, compro senza perdere tempo e vado via, evito accuratamente le
ore in cui c'è affollamento. Non amo sostare nei supermercati e neanche nei
grandi magazzini . Sono attenta al rapporto prezzo/qualità. Essendo in due
non sempre le offerte speciali sono convenienti: è inutile comprare 3 al
prezzo di 2 se il terzo non mi serve e lo butto via.
Scelgo i prodotti sperimentati e che incontrano i nostri gusti.
In generale non amo fare shopping e mi piace usare la carta di credito.
Negli ultimi tempi sono attenta ai prodotti che compro tenendo conto della
provenienza, marchio ecc. Non sempre è facile rinunciare a prodotti
sperimentati che sono però da boicottare.
Per me risparmiare vuol dire soprattutto non sprecare. Mi capita di comprare
per mia figlia cose non indispensabili ma che le fanno piacere ( regali
compleanno o natale ).

2.
Il mio ricordo legato al consumo alimentare dell’infanzia è quello di mia nonna che quando
veniva a trovarci mi portava cioccolata e del prosciutto con il quale mi facevo il panino per la
colazione a scuola. Siccome sono sempre stata “robusta” mia mamma non teneva in casa
alimenti particolarmente calorici e la cioccolata che portava la nonna era una prelibatezza a
me proibita e spesso mi trovavo a mangiarla di nascosto.
Questo è il primo ricordo legato all’alimentazione (tutt’ora mi condiziona – se mangio dei
dolci è quasi sempre di nascosto)
L’altro ricordo è nell’abbigliamento. Mia mamma era sarta, perciò cuciva lei i miei vestiti.
A me non piacevano mai, ho sempre preferito capi pratici, mentre lei desiderava più abiti
vezzosi.

27
Appena ne ho avuto la possibilità mi sono infilata i jeans e non me li sono tolti più per tutta
l’adolescenza scrivendoci sopra poesie, e indossandoli con eschimo e scarpe a tennis . Per il
‘68-‘72
era un abbigliamento abbastanza sconveniente e rivoluzionario nella mia città (con la grande
disperazione di mamma)
Ricordo ancora la nostra prima TV alla quale ero molto assidua, ma il tenore dei programmi
era ben altro- Ho impresso le lezioni del maestro Manzi che faceva per gli adulti ancora
analfabeti nel nostro paese- Ricordo gli sceneggiati televisivi tratti da classici della nostra
letteratura ,
come “La cittadella”, il teatro di Eduardo de Filippo. Forse oggi i nostri ragazzi di 12-13 anni
non
sarebbero in grado di seguire tali programmi perché non sufficientemente stimolanti, mentre
all’ora era la curiosità per la TV a renderci attenti.
Ritornando ai consumi alimentari, nella mia famiglia era sempre mia madre che cucinava e
non permetteva a nessuno di prendere iniziative culinarie. Era un compito suo e tale doveva
restare – tutt’ora è così quando andiamo a trovarla –
Devo dire che era ed è ancora adesso un’ottima cuoca perciò in casa c’era sempre un buon
cibo appetitoso e mai monotono, forse addirittura anche troppo ricco.
Difficilmente gli avanzi venivano riciclati, e comunque non piacevano.
Tutto questo però io non l’ho ereditato, non so da chi, ma mi sono trovata addosso la cultura
del “ non si deve sciupare niente” perciò spesso sperimento nuovi modi di “riciclo degli
alimenti” .
Devo dire che nella mia famiglia non hanno esigenze particolari e accettano quasi tutti i miei
“ esperimenti “, dirò di più, spesso si cimentano anche i miei figli in nuovi piatti.
Mia madre non lavorava fuori casa perciò era abituata a fare la spesa tutti i giorni e nei negozi
vicini. Quando io sono venuta a Firenze a 19 anni ho scoperto i grandi supermercati ed ho
sempre fatto la spesa lì, tranne che piccoli acquisti dell’ultimo momento nei negozi sotto casa.
Ovviamente, lavorando, la frequenza della spesa alimentare è settimanale. Sempre per la
scarsità di tempo cucino più accuratamente 1 o 2 giorni della settimana per poi surgelare le
porzioni per il rimanente dei giorni. Un altro ausilio al risparmio di tempo è la cottura dei cibi
con il forno a microonde, scoperto recentemente e molto utilizzato.
Confesso che ho una mentalità notevolmente differente da quella di mia madre o mia nonna:
mentre loro erano dedite alla cucina come scopo essenziale della loro vita , compreso la spesa,
la preparazione della tavola e la pulizia e igiene della casa; io ho sempre rifiutato questi
obblighi.
Adempio in prima persona alla spesa, alla cucina e alla pulizia della casa, ma non lo sento
affatto come unico scopo della mia vita, anzi lo sento come un peso che cerco (senza molto
successo) di dividere con i miei figli e marito. Rinunciamo ad un buon pasto per mangiare dei
panini durante la bella stagione per godere di gite e passeggiate all’aperto o per stare al mare.
Per quanto concerne la “carriera di consumatori”partendo dai ricordi più lontani ho in mente
mia nonna che vivendo in una borgata di Piombino molto popolare, la COOP per piccola
fosse, era la prescelta soprattutto per ideologia politica. Mia madre invece ha sempre preferito
i negozi sotto casa cercando gli alimenti più genuini e prelibati senza molto badare ai prezzi.
Io credo di ricalcare più l’esempio di mia nonna, non tanto per ideologia politica, quanto per
priorità di valori.
Altro capitolo sono i giocattoli . Conservo ancora la mia prima bambola regalatami a due anni
di nome Sofia ed ho un ricordo ben chiaro di altri giocattoli ricevuti perché erano a lungo
desiderati e non in quantità eccessive : uno a Natale e uno per il compleanno (e non sempre).
Diversa storia è stata per mia sorella che è nata 14 anni dopo di me.
C’era una gara a fare giocattoli ad ogni minima ricorrenza e non credo che lei abbia gli stessi
ricordi che ho io dei miei. Non parliamo dei miei figli. Credo che questa corsa al regalo più

28
bello (che spesso è solo il più costoso) prima ancora che nasca il desiderio di esso nel
bambino sia veramente all’origine dell’insoddisfazione e della scarsa pazienza nei nostri
ragazzi.
Dei miei primi ricordi sulla TV ho già parlato.Ho un particolare ricordo della pubblicità della
mia infanzia : Carosello Era divertentissimo, ma non mi sentivo particolarmente coinvolta ad
acquistare e prodotti reclamizzati (non era di mia spettanza) mi divertivano soprattutto le
scenette. Diversa cosa invece la pubblicità seguita dai miei figli durante la programmazione
dei ragazzi. Cercavano sempre di convincermi all’acquisto di questo o quel prodotto per avere
il regalo omaggio o altre diavolerie promesse dalle reclami.
Io non ho mai fatto gli acquisti alimentari con mia nonna o mia mamma. Mentre invece sono
sempre andata con i miei figli quando erano piccoli con continui compromessi:
“se ti compro quello che vuoi, poi tu mangi le verdure….” Oppure “ se fai i compiti bene poi
ti compro ….” .
Riguardo ai miei primi acquisti fatti da sola ricordo solamente abbigliamento che comperavo
insieme a delle mie amiche. Il conflitto più evidente che c’era con i miei genitori era sempre
quello dell’abbigliamento, come ho detto all’inizio. Certi capi di vestiario erano un simbolo di
appartenenza ad una certa categoria di persone ( ancora oggi mi sembra che questo sia in atto)
ed i miei genitori non capivano ciò .
Come ho già detto, quando sono venuta a Firenze mi sono trovata subito a contatto con i
consumi per il fabbisogno quotidiano. I miei acquisti si svolgevano principalmente nei
supermercati anche se certi piccoli acquisti quotidiani li facevo nei negozi sotto casa. La
pubblicità di certi prodotti mi incuriosiva e devo ammettere che a volte li acquistavo per
provarli. Invece non mi incuriosiva affatto la vendita a domicilio, né quella per
corrispondenza, che ho sempre rifiutato, mentre mio marito spesso la sperimentava e si
lasciava convincere con mio grande disappunto
Devo dire che per i primi anni fare la spesa era un divertimento, come lo era il cucinare cose
nuove e sperimentare, poi la quotidianità ha spezzato il divertimento e adesso è un obbligo al
quale adempiere in modo schematico tenendo presente le esigenze di tutta la famiglia, il
risparmio, la salute, il tempo e ultimamente anche la criticità verso certi prodotti e la
solidarietà verso altri. Ovviamente la carta di credito ed altre carte varie sono sempre state
ben accolte in casa mia, da me per praticità, da mio marito per il piacere della tecnologia.
Ci sono ancora dei momenti in cui ho piacere nell’acquisto, ma dipende dal mio momento
personale e da cosa voglio acquistare, se non trovo quello che avevo immaginato facilmente
mi innervosisco e non compro niente. Viceversa a volte esco per una passeggiata o una
commissione specifica, vedo qualcosa che ritengo utile o che mi piace particolamente e lì
intervengono due momenti distinti: o la compero soddisfatta, o mi lascio cogliere da
ripensamenti del tipo “ posso farne a meno?” e lascio perdere. Devo dire che per tutto quello
che non è alimentare mi lascio molto condizionare dal risparmio, non sono affatto propensa
alle grandi marche.
Nella mia famiglia siamo abbastanza attenti allo smaltimento dei rifiuti, ma soprattutto da
quando la Fiorentinambiente ci ha dotato di cassonetti specifici nelle nostre vicinanze.
Non siamo molto propensi all’uso di farmaci e comunque sempre sotto controllo del medico
tranne che banali analgesici. Mio marito ha dotato tutta la casa di lampade a risparmio
energetico, ma non me la sento di dire che siamo attenti, perché utilizziamo spesso forno,
lavatrice, lavastoviglie e tanti altri elettrodomestici.
A queste domande cercherò di rispondere in modo più schematico.
A fare la spesa vado nei supermercati dei quartiere con preferenza di due in particolare:
COOP ed Esselunga, ovviamente facendo la spesa settimanale vado con l’auto anche se il
percorso è poco. A volte vengo accompagnata da mio marito, quasi mai dai figli adesso che
sono grandi, mentre quando erano piccoli erano con me.

29
Prima di uscire redigo una lista ben dettagliata domandando alle altre persone della famiglia
se hanno esigenze particolari. Entrando nel supermercato seguo gli acquisti secondo la
disposizione dei corridoi, ma dirò di più, frequentando sempre gli stessi supermercati, già la
mia lista segue la disposizione prevista nel supermercato così da ottimizzare il mio tempo.
Ovviamente mi soffermo ad esaminare le offerte speciali dando mai per scontato il risparmio,
ma controllando con altre marche. A volte sono tentata da prodotti e marchi nuovi soprattutto
quelli tipici regionali, cambiando prodotto leggo le etichette, come pure quelle della carne da
quando siamo a conoscenza della “mucca pazza” Spesso incontro persone conosciute
all’interno del supermercato e questo mi fa molto piacere perché mi da modo di socializzare e
di interrompere un momento la monotonia dell’acquisto.
Qualche volta capita anche l’acquisto nel piccolo negozio, ma essendo sporadico non ho
molta socializzazione con il negoziante.
Certamente sono influenzata dal commercio equo e solidale, anche se i prodotti non sono
molti.
Quella dello sfizio da acquistare come compenso della fatica della spesa devo dire che quasi
sempre mi tenta, come pure quello di comperare quei biscotti che piacciono ai miei figli, o la
birra speciale per mio marito . Non è una scelta razionale, è un impulso.
Sulla gratificazione alla fine della spesa non ho molto da dire, anzi quando arrivo a casa devo
provvedere al sistemare gli alimenti al loro posto o prepararli per una consumazione a
posteriori, perciò mi attende un altro lavoro a me poco simpatico.
Direi che il giorno dedicato alla spesa settimanale è un giorno noioso e pesante.
Fare la spesa con mio marito potrebbe alleggerire il lavoro, ma non è così.
Spesso lui si sofferma a curiosare su nuovi prodotti, mentre magari io ho fretta o non ho
interesse. In genere ci dividiamo la lista degli acquisti all’interno del supermercato, ma ciò
nonostante impiego più tempo di quando sono da sola.
Non ho mai avuto interesse agli acquisti degli altri clienti.

3.
Dove faccio la spesa e perché?
Di solito all’Esselunga di Via Pisana/P.za Pier Vettori.
Pur essendo un supermercato, è piuttosto piccolo, il che mi conforta perché so esattamente
dove trovare i prodotti che voglio senza perdere tempo a cercarli.. Posso fare i rifornimenti
settimanali, trovando tutti i prodotti alimentari e casalinghi senza dover fare il giro di tanti
piccoli negozi di zona (dove spenderei di più e troverei una scelta meno varia). Evito i grandi
centri commerciali tipo la Coop di Lastra a Signa o la Esselunga di Via Canova, che sono
troppo grandi, troppo dispersivi e mi confondono con la troppa scelta (e poi non ho altro
mezzo di trasporto che non sia la bicicletta ).
Di solito arrivo a fare la spesa con qualche prodotto mancante già in mente, ma poi mi
vengono le idee per ‘i piatti della settimana’ via via che giro i corridoi. Diverso se devo fare
una cena particolare: allora, arrivo con una lista ben dettagliata.
Che cosa compro/quali criteri mi guidano negli acquisti?
In generale non mi piacciono le confezioni multiple (4 rotoli di carta asciugatutto, 3 x2, ecc.)
sia perché devo trasportare la spesa in bici, sia perché non ho dove conservare le scorte.
I criteri che determinano la scelta cambiano secondo il prodotto.
Se sono frutti e verdure, preferisco quelli coltivati in Italia, possibilmente quelli provenienti
dalla Sicilia (in base a un mio pregiudizio, i prodotti siciliani o comunque del meridione sono
migliori).. Raramente confronto i prezzi e raramente prendo i prodotti bio perché costano di
più.
Riconosco che la frutta e verdura acquistati nei negozi di quartiere sono migliori.
Per il pesce, cerco quello non di allevamento, evitando quelli più costosi. .

30
Se vado alla Coop sono più propensa a comprare il pesce perché c’è una scelta migliore e ha
l’aria di pescheria (non quella ‘imballata’ dell’Esselunga)
Carne, soprattutto tacchino e pollo (meglio se ruspanti o comunque allevati a mangimi
vegetali) ogni tanto salsiccia o maiale, più raramente carni rosse

l’olio—leggo attentamente l’etichetta per vedere se è prodotto esclusivamente di ulivi italiani,


e quando mi sento in vena di spendere di più, di uliveti toscani.
tonno in scatola—guardo la provenienza e scelgo quello prodotto tra Palermo e Trapani,
disposto a pagarlo più caro di quello spagnolo
pasta—anche qui ho i miei pregiudizi: scelgo sempre e comunque Voiello, Del Verde o
Amato
pane e simili (grissini, salatini, ecc.), leggo tutte le etichette e scelgo: il pane col sale
grissini, crackers, ecc. quelli senza grassi aggiunti o col contenuto calorico più basso
senza guardare i prezzi
affettati e formaggi—non ne faccio uso
detersivi—leggo le etichette per controllare la biodegradabilità
vini – di solito scelgo tra le offerte del giorno a prezzo ribassato, soprattutto toscani (se
rossi), siciliani o sardi (se bianchi). Guardo il prezzo e mai pago più di €4 o €5 a bottiglia
(fino a poco tempo fa non superavo le €3)
surgelati—li evito, tranne qualche volte i legumi da aggiungere al minestrone o i frutti di
bosco per la preparazione di qualche dolce particolare o magari le vongole per fare la pasta,
comunque mai i piatti già preparati
[Acquisto sempre con bancomat al supermercato e con contanti nei negozi di quartiere. Non
acquisterei mai né on-line né per telefono. Voglio vedere quello che prendo]
I negozi ed i mercati di quartiere (S. Frediano qualche volta il mercato di S. Lorenzo)
La frutta e la verdura la prendo spesso dai fruttivendoli o nei mercatini di quartiere (S.
Spirito); mi sembra più buona di quella del supermercato, e talvolta trovo qualche prodotto
locale; forse spendo di più, ma non ci faccio caso; dipende dal tempo che ho a disposizione.
Il latte fresco—lo compro dalla latteria più vicina a giorni alterni
per le piccole necessità di emergenza (uova, burro, cacao), quando mi accingo a fare un dolce,
di solito la domenica, mi rivolgo all’unico alimentare della zona che rimane aperto anche i
giorni festivi
pane—i vari panifici di quartiere, preferendo quelli che rimangono aperti oltre l’orario
normali o nei giorni festivi quando sono più libera di fare la spesa.
Qualche volta mi concedo qualche prelibatezza dall’alimentare specializzato (Grana Market)
in B.go S. Frediano, ma poi mi accorgo di aver speso troppo e quindi lo evito, anche se ha
prodotti di qualità

[sono ben cosciente del fatto che i negozi rionali fanno un servizio utile e cerco di sostenerli,
anche al costo di spendere di più, ma non ho sempre il tempo per fare il giro di diversi negozi
quando sono impegnata col lavoro e quindi mi ripiego su un’unica spesa al Supermercato.]
Acquisti e consumi non-alimentari
Per quanto riguarda i consumi in generali sono piuttosto parca, attenta a non sprecare niente.
Questo vale per gli alimentari (tutto quello non consumato viene surgelato, riciclato in
qualche maniera, o viene dato ai figli da portare a casa loro). Così pure per la luce, l’acqua e il
gas. Soprattutto per il riscaldamento, che controllo assiduamente. Metto un maglione in più,
ma quando il termostato arriva a 20° spengo la caldaia. La temperatura media di inverno si
aggira su 18/19° in casa e mi vanto di non aver superato una spesa di €450 annue di gas negli
ultimi cinque anni. Questa attenzione ai consumi è determinato solo in parte dalla voglia di
risparmio personale. C’entra anche il mio particolare odio per lo spreco della società

31
consumistica e il desiderio di non usare più di quanto è necessario per non inquinare e per non
consumare le nostre risorse.
Seguo poco la moda, compro il vestiario soprattutto negli sconti di fine stagione, ma nei
negozi fidati. Tengo di più alla qualità che all’ultima moda. Molto raramente mi lascio andare
a qualche sfizio, se non qualche profumo particolare o un golf che mi dia particolare
soddisfazione.
Sono più propensa a spendere qualche cosa in più per fare regali ai figli, o spendere il surplus
per viaggiare. Viaggio ogni volta che posso (fine-settimana in qualche città italiana, o una
vacanza all’estero in qualche luogo sconosciuto), ma sempre in economia (tariffe aeree
scontate, ostelli della gioventù o pensioni due stelle quando non trovo alloggio in casa di
amici). Sono quasi sempre viaggi fai-da-te; in un solo occasione ho fatto un viaggio
organizzato, per me di lusso, più spesso sono viaggi per convegni professionali.
Gli altri consumi cosiddetti ‘culturali’ comprendono l’opera (con biglietto di posti di ascolto),
cinema (riduzione pomeridiana anziani), qualche raro concerto, e acquisto libri (o la
circolazione di libri già letti tra le amiche). Raramente una cena fuori in pizzeria, un paio di
volte all’anno un ristorante con i figli per festeggiare qualche occasione particolare.
IL PASSATO
Se oggi vivo da single (i miei due figli sono fuori casa da circa sette anni), in passato ho
dovuto fare il conto con maggiori ristrettezze di tempo e di denaro. Allora avevo anche la
macchina e vivevo a Coverciano per cui non era difficile fare i rifornimenti bi-settimanali
all’Esselunga o alla Coop. Anche gli acquisti erano un po’ diversi in quanto cercavo di
soddisfare le preferenze dei figli per le merendine, le carni, i formaggi, bastoncini di pesce,
ecc., tutte cose che ora sono scomparse dalla mia tavola.
Anche se non mi sono mai fatta condizionare dalla pubblicità alimentare (non la guardo
nemmeno), probabilmente i figli mi condizionavano in base a quello che vedevano alla
televisione. Però, in generale, i nostri pasti erano sempre ben bilanciati e stavo attenta ad
un’alimentazione sana e varia (impegnandomi a non preparare lo stesso piatto più di due volte
al mese), quasi sempre piatti preparati da me e non pre-confezionati.
Quando invece i figli erano più piccoli e vivevo a Palermo (anni 1974-1986), gli abitudini
dello shopping erano del tutto diverso. Facevo la spesa sempre ai negozi vicini a casa, spesa
che mi veniva recapitato in portineria dal ragazzo del negozio. Il traffico era tale che
spostarmi in macchina per fare la spesa era troppo snervante e impegnativo come tempo.
Forse spendevo di più in questa maniera, ma non badavo allora alla spesa, solo all’efficienza
familiare.
E mi fermo qui.
4.
Biografia. L’infanzia.
Nasco 38 anni fa in un paese della provincia di Crotone (Petilia Policastro) e i miei primi
ricordi alimentari risalgono dall’età di 3-4 anni. Sono cresciuta a casa dei nonni materni per il
semplice motivo che mio padre lavorava all’estero e mia madre preferiva stare a casa dei suoi
genitori con noi figli. I miei nonni erano contadini, coltivavano tanti ortaggi e tante verdure,
allevavano il maiale, nutrendolo con tutti gli avanzi di cibo, con le ghiande e le castagne
raccolte nei boschi, le galline, nutrendole di mais e piccoli avanzi, i conigli, che mangiavano
l’erba mietuta fresca o il fieno e l’asino, che mio nonno usava come mezzo di trasporto per
andare in campagna e per portare a casa cassette piene di ortaggi, verdura e frutta. Ero felice
quando mio nonno tornava a casa, rovistavo le cassette alla ricerca di ghiottonerie. Adoravo, e
adoro, la frutta, gli ortaggi e le verdure estive. Facevo scorpacciate di fichi, pesche,
albicocche, prugne , pere, fragole, cetrioli, pomodori e tante cose buone. Andavo spesso in
campagna coi miei nonni per aiutarli a raccogliere qualcosa o irrigare i campi. Ero felice
quando potevo mangiare la frutta direttamente dall’albero e gli ortaggi direttamente dalla
pianta.

32
a) L’alimentazione della famiglia era basata prevalentemente sui prodotti della terra, ossia
minestroni, insalate, zuppe, riso, pasta, carne bianca e rossa, pesce e frutta.
Gli acquisti erano mirati e senza sperpero di denaro: in casa non mancava quasi nulla. Ricordo
si comprava lo zucchero, il caffè, la pasta sfusi e l’unità di misura era la libra: tutto costava
così poco.
La preparazione del cibo cominciava sin dal mattino con cura e dedizione. Tutto si
tramandava di generazioni, niente veniva alterato. Ad esempio uno spezzatino di carne si
preparava sempre con gli stessi ingredienti e se in casa mancava qualcuno di essi si chiedeva
alla vicina.
Il consumo del cibo avveniva durante i pasti principali da parte degli adulti mentre noi
bambini mangiavamo in continuazione e di nascosto altrimenti ci sgridavano. Per fortuna
eravamo magri perché giocavamo tantissimo all’aria aperta e bruciavamo tante energie.
Gli usi e i rituali a tavola erano i soliti: ognuno aveva il suo posto a tavola, bisognava fare
silenzio e mangiare con la bocca chiusa, non si poteva bere mentre si mangiava (non ho mai
capito perché), non potevamo alzarci prima della fine del pranzo o della cena, eravamo
obbligati a mangiare ciò che avevamo nel piatto (no problem, eravamo delle buone forchette),
non eravamo obbligati a mangiare ciò che non ci piaceva.
I pasti feriali consistevano in cose semplici: pasta col pomodoro o minestrone di verdure con
pasta o riso o brodo di carne con la pasta, mentre quelli festivi erano attesi con gioia. La
tavola era imbandita di tante cose ghiotte: dalla pasta fresca fatta in casa col sugo di
pomodoro con la carne alla pasta al forno.
L’attesa del Natale era particolare per la quantità di dolci che la nonna, la mamma e le zie
preparavano. La bontà delle “Pitte con l’uva passa” a base di farina di grano duro, di olio di
oliva, vino rosso, zucchero, cannella, polvere d’arancio, uva passa e noci tritate. Se ne
preparavano in quantità industriali, venivano riposte in delle grandi teglie e portate dal fornaio
per infornarle. Ancora calde mia mamma metteva del miele: vere bombe! Si preparavano
ancora i “Crustuli e i Tardelli”, dolci fritti che venivano conditi con il mosto cotto di uva o di
fichi. Ancora oggi la tradizione continua ma non ha lo stesso sapore di una volta.
L’alimentazione scolastica consisteva in un panino con la frittata o con dell’affettato o una
merendina “Ferrero brioss” o in un frutto.
b) Ideologia e discorsi su cibo e consumo in famiglia.
La spesa veniva fatta una volta alla settimana per quanto riguardava e grandi
approvvigionamenti come la pasta, il caffè, il latte e i vari detersivi per i piatti e il bucato; una
volta al mese si faceva rifornimento di zucchero e sale; quotidianamente si comprava il pane,
gli affettati e qualche cosa che mancava all’ultimo momento. Tutto si comprava nei piccoli
negozi vicino a casa o nel negozio di mia zia dove potevamo fare credito e pagarla
mensilmente, consuetudine usata da molte persone.
I prodotti tradizionali acquistati direttamente dal produttore erano: i formaggi e le ricotte, il
latte fresco di mucca per i miei fratelli piccoli (non si trovava ancora nei negozi), il vino
quando finiva quello di nostra produzione.
L’acquisizione della prima tecnologia è stato il frigo per la comodità di conservare più a lungo
i cibi, il congelatore farà la sua comparsa molti anni dopo.
Il rito periodico a casa dei nonni era il pane. La nonna preparava la sera prima il lievito
naturale o pasta acida che serviva l’indomani per la preparazione del pane. Si alzava la
mattina all’alba e insieme alla zia o la mamma cominciavano a riempire la madia di farina,
l’acqua, il sale e il lievito. Impastavano il tutto per ore, poi lasciavano in posa l’impasto
coperto con coperte di lana per favorire rapidamente la lievitazione. A una certa ora mio
nonno accendeva il forno e ne curava tutti i particolari. Nel frattempo avevano preparato delle
lunghe tavole coperte con tovaglie o canovacci per deporvi il pane e portarlo fuori per
infornarlo. Sento la nostalgia di quei profumi e di quei sapori che non torneranno più.

33
La divisione dei compiti era così suddivisa: le donne facevano tutto dalla spesa a cucinare e
lavare i piatti, qualche volta gli uomini facevano la spesa o cucinavano.
Non era uso nella mia famiglia andare al ristorante o al bar qualche volta durante l’anno un
picnic in montagna.
Si acquistavano cibi a prezzi bassi come le arance e i mandarini d’inverno e i pomodori per la
conserva d’estate.
Da alcuni parenti che avevano la fattoria acquistavamo: il maiale, per la provvista invernale
(salsicce, sopressate, pancetta, lardi, ciccioli, sanguinaccio, prosciutto, ecc.), l’agnello o il
capretto,il formaggio e la ricotta.
Durante la raccolta delle olive, delle castagne o della vendemmia ci scambiavamo i favori con
i parenti e gli amici: era divertente e allegro. Ricordo con nostalgia i tempi dell’infanzia e
dell’adolescenza quando andavo in campagna ad aiutare la mia famiglia a raccogliere le olive
o le castagne. Era bello il momento del pranzo. Mia madre preparava minuziosamente il tutto
la mattina presto. Tagliava a mò di scodella un pane da 1 Kg e metteva dentro la frittata o il
baccalà fritto o broccoli, bietole e il pane assorbiva tutto il condimento dei cibi caldi che noi
divoravamo con voracità e gusto. Parecchie volte c’era il lardo da arrostire con le frasche
d’ulivo e lo spiedo ricavato da queste. Si tagliava il pane in tondo a metà e si faceva
gocciolare il lardo. Un’altra golosità erano le insalate di novembre con i pomodori colti dalla
pianta e mangiate ai margini di un ruscello, dove attingevamo l’acqua da bere, e davanti a un
fuoco in montagna durante la raccolta delle castagne. Basta, ho fame!
Il rapporto con il paese non era male e con i parenti si cercava di andare d’accordo per quanto
era possibile.
c) Ricostruzione della carriera di consumatori.
La ricostruzione della carriera di consumatori dei miei nonni è stata descritta abbastanza.
Erano parecchio parsimoniosi e per nulla sciuponi. Nati durante la prima guerra mondiale e
vissuto la loro gioventù sotto il nazi-fascismo prima e la seconda guerra mondiale dopo che il
lusso e la ricchezza non li hanno mai sfiorati. Non hanno mai provato la fame e la miseria ma
vivevano una vita semplice e piena di valori.
I miei genitori hanno perseverato la strada dei nonni. Si sono sposati negli anni 60” e
cominciarono subito a costruire la casa. Mio padre emigrato in Svizzera e mia madre a
stringere i cordoni della borsa, non si sono mai permessi grandi lussi.
Siamo sette figli e la carriera di consumatori è molto eterogenea. I primi tre ci siamo
accontentati di ciò che passava il convento., non eravamo viziati e ci accontentavamo di poco.
I gemelli, che stanno nel mezzo, hanno avuto un’infanzia migliore meno restrittiva i con
qualche giocattolo in più. Gli ultimi due hanno vissuto un’infanzia migliore con tanta invidia
da parte nostra. Un po’ viziati e un po’ vagabondi: sono i figli degli anni 80”, dello spreco e
del consumismo.
d) Consumi non alimentari.
Mia madre pensava ad alimentarci e anche a vestirci. Ci faceva cucire i vestiti dalla sarta e io
sceglievo i modelli alla Vestro o alla Postal Market. Mia mamma ha sempre avuto un buon
gusto nello scegliere i tessuti, i colori e i modelli ( quando non li sceglievo io). Ricordo un
vestitino rosso estivo con i bottoni davanti a pois bianchi e rossi e con la stessa sfumatura il
colletto e due fiocchetti che reggevano due pence in vita; un completino di misto lana con
pantaloni e giacchina doppiopetto, rosso per me e blu per mia sorella (mia madre adorava
vestirci uguali); un paio di pantaloni a zampa d’elefante che mi facevano figa a 6-7 anni, ero
vanitosa e lo sono ancora.
I vestiti venivano riutilizzati dagli altri fratelli e qualche volta gli zii ci davano i vestiti dei
cugini più grandi.
I miei genitori non ci compravano molti giocattoli. Trascorrevo le giornate a casa dei nonni in
una specie di paradiso terrestre. Dietro la casa scorreva un canaletto per irrigare i campi,
tutt’intorno la campagna con una moltitudine di alberi , dall’ulivo al fico, dal noce al

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nocciolo, dal pesco all’albicocca, ecc., sui muragli raccoglievo le violette in primavera e altri
fiori nell’estate, i rovi erano carichi di more facevamo incetta così di tutta la frutta. I giocattoli
li costruivamo noi, per esempio si cercavano chiodi e tavole e costruivamo tavoli e sedie,
cercavamo delle pietre più allungate che sostituivamo con le bambole, andavamo alla ricerca
di barattoli di latta adibiti a pentole i contenitori di ogni genere. Ci divertivamo per ore a
scimmiottare la vita degli adulti, era il nostro gioco preferito ed avevamo molta fantasia.
Giocavamo con l’acqua del ruscello, raccoglievamo le olive per fare finta di avere cibo per
giocare, eravamo un po’ monelli.
Per Natale e il compleanno non era uso a casa mia fare regali solo qualche soldino raccattato
qua e la tra i nonni o i miei genitori. Di solito ce li regalavano durante l’anno quando meno te
l’aspettavi. I primi anni delle elementari ricevevo in regalo quaderni, matite, penne, colori,
gomme dalla scuola , ero molto felice.
Non sono mai stata attratta dal collezionismo.
e) Altre tecnologie domestiche.
Dopo il frigo la lavatrice la fa da padrona. Vicino a casa scorreva un torrente e mia madre
andava a lavare i panni o altrimenti in casa consumando un acquedotto d’acqua. La famiglia
cominciava ad ingrandirsi e mia mamma non poteva più lavare i panni a mano così
comprarono la lavatrice.
I miei genitori non sono mai stati amanti delle tecnologie e hanno impiegato anni prima che
potessero entrare in casa.
Avevo circa 7 anni quando comprarono la tv prima la guardavo dai vicini.
I programmi che ricordo di più sono : Rin-ti-tin- Zorro – Furia cavallo del west –
Canzonissima ed i quiz di Mike Buongiorno oltre che il mitico Carosello, d’altra parte c’erano
solo due canali: Rai 1 e Rai 2.
I miei genitori guardavano di più i telegiornali o i films. In casa abbiamo sempre avuto una
sola tv e i tempi di visione erano molto ridotti. La pubblicità non ha mai influenzato le nostre
scelte; gli unici spot che ricordo è quello del dentifricio colgate ( che faceva spuntare i fiori in
bocca) e quello del sapone Nordica dove lei faceva il bagno in una
tinozza all’aria aperta .
All’età di 13 anni mio padre comprò la radio con grande gioia di tutti. Sempre presente sin
dall’infanzia l’ascoltavo
Dai nonni e a tutt’oggi preferita alla TV.
La nostra prima automobile fu la mitica 500 che mio padre guidava malissimo perché aveva
preso la patente da adulto e non era portato per la guida mentre i miei fratelli hanno imparato
a guidarla sin da bambini e senza che nessuno insegnasse loro niente.
2) Biografia- adolescenza
a) I miei primi acquisti da adolescente sono stati libri che parlavano di calcio perché da
bambina giocavo a figurine con i maschi facendo la raccolta degli album insieme a mio
fratello.
b) In un determinato periodo dell’adolescenza mi è capitato di non voler più mangiare la pasta
con l’idea che mi facesse ingrassare,
i miei genitori non mi hanno né forzato a mangiarla né preparato altre pietanze, perciò dopo
poco tempo ho riveduto le mie idee.
Non mi sono mai identificata in un gruppo particolare. Ero e sono una ribelle testarda e non
mi sono mai fatta coinvolgere in azioni alle quali non credevo anche solo per spirito di
contraddizione. Avevo desiderio di distinguermi dagli altri e per questo non ho mai seguito i
comportamenti omogenei del branco.
3) Esperienze di consumo nell’età adulta
a) A 23 anni mi sono iscritta all’università e sono venuta a vivere a Firenze dividendo la casa
con altre tre ragazze, di cui due straniere.
Vivevo con pochi soldi e di riflesso anche i miei consumi erano ridotti e oculati.

35
Consumavo i pasti alla mensa per i primi mesi, poi ho cominciato a cucinare insieme alla
ragazza con cui dividevo la camera.
All’inizio ero molto tradizionalista nella cucina, poi il contatto con le ragazze straniere mi ha
aperto al mondo. Ricordo i cibi particolari e “strani” mangiati dalle mie amiche es. panino
arabo con lo yogurt e la carne, i fagioli dolci giapponesi .
Al consumo critico mi sono avvicinata da sola e per amore dell’ambiente.
Ho cominciato a riciclare i rifiuti, a diminuire gli sprechi e ad interessarmi all’eticità dei
prodotti.
L’accostamento al supermercato è avvenuto nel momento in cui ho cambiato città. Non ho un
supermercato di preferenza, ma ne frequento diversi dall’Esselunga alla COOP alla CONAD,
inoltre faccio acquisti nei piccoli negozi e nei mercati di frutta, verdura, nonché nei negozi
specializzati ecobiologici acquisto pane senza lievito, prodotti senza zucchero, il latte di soia e
tutte le creme e gli oli per il corpo .
Rarissimamente faccio spese nei grandi centri commerciali perché detesto la confusione e lo
sperpero di denaro al quale sei spinta. Faccio largo una di carta di credito e bancomat perché
non desidero avere i contanti dietro per paura di furti o perdite. Detesto acquistare per
corrispondenza o on-line perché non ho fiducia e ritengo che siano delle grandi fregature.
Idem per la vendita porta a porta .
La pubblicità non influenza le mie scelte di acquisto.
b) Sono molto pratica nel fare shopping perché detesto la confusione e la perdita di tempo.
Adoro comprare scarpe, vestiti ed ho dei negozi di fiducia dove rivolgermi. I negozi che mi
danno gioia sono le erboristerie ed affini, dai quali non verrei mai via e non ho parsimonia
negli acquisti. Non ho particolari acquisti che faccio malvolentieri.
Non sono attratta dalle nuove tecnologie ,uso computer e cellulare solo per lo stretto
necessario. Ho comprato il micro onde per risparmiare tempo nel riscaldare cibi e bevande e
nel lavare pentole e piatti. Nell’orientamento verso il consumo di medicinali sono indirizzata
verso i prodotti omeopatici, nonostante cerchi di prevenire invece che curare disturbi.
Per quanto riguarda l’uso di risorse quali acqua, gas e corrente elettrica sono molto attenta a
risparmio e allo spreco.
vivendo da sola nessuno condiziona le mie scelte di acquisto.
Il risparmio non condiziona le mie scelte né di consumo né di acquisto, anche perché non ho
particolari esigenze.
Sono fortunata perché ho molti amici e conoscenti che mi regalano vestiti e quant’altro.
4) Etnografia della spesa quotidiana.
a) Una volta alla settimana mi reco al supermercato per gli acquisti più grossi e in autobus.
Fare la spesa nel quartiere fuori quartiere e ad orari diversi è dettato dall’organizzazione delle
mie giornate di lavori e impegni. A fare la spesa mi reco da sola.
b)La scelta degli acquisti viene determinata in casa redigendo la lista per il supermercato,
mentre per altri negozi preferisco guardarmi intorno. Non faccio previsioni di spesa.
c) Il percorso che seguo nel supermercato è quasi sempre lo stesso perché conosco i vari
reparti. Qualche volta mi servo dei reparti gastronomia, macelleria e forneria, ma non
sempre.
All’interno del supermercato mi oriento con molta facilità. Raramente mi capita di discutere
con altri clienti o di incontrare persone che conosco.
Mi capita di girare tra gli scaffali per curiosare e per conoscere prodotti nuovi solamente
quando ho più tempo a disposizione, cosa che capita raramente.
Il movimento all’interno del supermercato è veloce anche perché non ho la possibilità di
soffermarmi a leggere le etichette e fare comparazioni con altri prodotti per un mio problema
agli occhi.
La strategia che adotto nel supermercato è la seguente:

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Cestino invece del carrello perché mi muovo più veloce. Dopo un po’ mi affaccio alle casse,
scelgo una fila, lascio il cestino e finisco gli acquisti.
Cerco di comperare l’essenziale, ma qualche volta può capitare di fare scorte più consistenti.
Uso sempre la carta di credito del supermercato.
d) Gli aspetti positivi della piccola distribuzione sono: la diversità e la qualità dei prodotti,
relazioni umane più dirette che si instaurano tra cliente e gestore o tra clienti.
L’aspetto negativo è il prezzo, troppo cari.
Frequento lo stesso negozio per certi prodotti e per il rapporto di fiducia con chi gestisce e per
altri prodotti acquisto in altri negozi. Mi piace discutere con loro la scelta di prodotti da
comprare e il confronto di prodotti con altri negozi. Le conversazioni che intrattengo con i
clienti sono di carattere informativo sui prodotti e il loro contenuto, il benessere che
procurano certi tipi di piante nei vari cicli stagionali e scambi informativi su medici
omeopatici e le malattie che essi curano.
e) La scelta del prodotto è determinata soprattutto dalla conoscenza del contenuto cioè gli
ingredienti al loro interno, la marca e l’averlo già sperimentato. Mi faccio leggere le etichette
di un prodotto che non conosco e su consiglio del negoziante.
Il consumo critico influenza le mie scelte in parte mentre dall’altra è sempre esistita la
consapevolezza e l’attenzione sia per i consumi che per l’ambiente.
Acquisto indifferentemente prodotti sfusi e confezionati, marche note e sottomarche e per i
prodotti che conosco anche marchi dei supermercati.
Vivendo da sola non presto attenzione alle varie offerte 3x2 e via discorrendo.
Per gli imballaggi preferisco la carta. Urlo ogni qualvolta faccio la spesa al mercato perché
ognuno vorrebbe rifilarmi un sacchetto di plastica. La spesa la trasporto con lo zaino e una
borsa apposita mentre faccio uso delle buste di plastica quando mi dimentico o sono di
passaggio al supermercato .
f) Aspetti emotivi nel fare la spesa.
La mia soddisfazione consiste in ciò che ho scelto e desiderato. A volte può capitare di
comprare cose non previste e non pensate sulle quali cade l’occhio e non vedi l’ora di
ritornare a casa per assaggiarle, per provarle o per vederne il funzionamento a secondo di ciò
che compri.
Qualche volta capita di mettere nel cestino un oggetto o un prodotto inutile. Ho imparato a
non pentirmi ma a prestare attenzione per le prossime volte.
Cerco di soddisfare quasi sempre i miei bisogni perché ho imparato ad amarmi e mi gratifico
con ciò che mi piace per esempio
mi compro dei fiori o una ghiottoneria.
g) Non vado mai in compagnia a fare la spesa quindi decido io in tranquillità.
h) La spesa degli altri.
Sono molto curiosa e osservo con attenzione il comportamento della gente e i carrelli al
supermercato. Ascolto le banalità, osservo l’inutilità di certi prodotti e penso :” Quanti troiai
compra la gente mentre da altre parti nel mondo c’è gente che muore di fame”. Mentre nei
negozi cosiddetti eco-bio le scelte sono più mirate per le persone informate e che conoscono i
prodotti, per certe altre è una moda, fare la spesa in questi negozi è più chic.

5.
1. Biografia. L'infanzia.
Sono nata il 3 maggio del '43.
Mio padre era di antica nobiltà, ma con pochi soldi: si vantava, e si lamentava, di essere il
primo conte B.F. che avesse mai lavorato. Dai 5 ai 10 anni ho vissuto in un antico, piccolo
castello, con fattoria, a 15 km da Firenze, su un colle aguzzo. Aperto a tutti i venti, privo di
riscaldamento (a parte una cucina economica, un caminetto in salotto, uno scaldabagno a
legna e, quando in funzione, la stufa nel frantoio per l'olio).

37
Vi abitava anche un fattore, una "fattoressa"(cuoca ecc.) una cameriera - bambinaia, e in
seguito una addetta a mia nonna non autosufficiente.
a) La merenda più prelibata per me era il "cantuccino", la parte finale di un filone di pane a
cui si levava la mollica, si farciva con un paio di filetti di acciuga accomodati sul fondo e
conditi con l'olio buono, e poi si riempiva con la sua mollica.
Cibo principe per me, comunque, è sempre stato il formaggio. Il pecorino di un pastore
eccezionale, a 10 anni mi fece pensare che così doveva essere il paradiso.
Al piccolo paese vicino c'era un'unica bottega che vendeva un po' di tutto, a cominciar dal
pane e dalle acciughe salate. Noi ragazzini ci si compravano i "duri di menta", bastoncini
dolci. Qualche volta la magnesia, che dava un pizzicorino sulla lingua.
b) Non avevo problemi a mangiare di tutto. Infatti, non si buttava via nulla. Non c'era niente
che si potesse "sciupare": se avanzava si riciclava. Non c'erano menu particolari, a meno che
uno non fosse malato: quello che era in tavola si doveva mangiare. Ricordo le lotte con mio
fratello, ostile alle verdure.
Il giorno del compleanno, avevamo il diritto di chiedere una pietanza particolare; la mia erano
gli gnocchi di semolino al burro e formaggio gratinati in forno.
Nel 1953 si comprò un frigorifero, e si venne ad abitare, almeno d'inverno, a Firenze, per i
miei studi medi. Il frigorifero traslocava con noi (non c'entra col tema, ma pochi se ne
ricordano: si doveva pagare il dazio, alla Nave a Rovezzano, ogni volta che il frigorifero
veniva trasportato in un senso o nell'altro). A Firenze mia madre cucinava e faceva la spesa
nei negozi vicini. Divenne molto abile nella gestione degli avanzi. (Del resto molte famose
ricette classiche derivano da questa necessità). Come aiuto domestico avevamo, ma solo per
un anno o due, la cameriera-bambinaia.
In seguito('59) ci trasferimmo in un appartamento in una posizione magnifica ma piccolissimo
e assai poco moderno. Erano nate le rosticcerie, (col pollo arrosto) i cibi semi o pre
confezionati (sofficini, bastoncini di pesce). Sperimentavamo tutto o quasi con avida e allegra
curiosità. Mangiar fuori era assai apprezzato, ma il pasto al ristorante era raro e soprattutto
non per tutta la famiglia. Piuttosto frequentate invece le piccole trattorie (chissà se qualcuno
ricorda Cesarino in via dei Pepi negli anni Sessanta...)
c) Questa è un po' complessa. Per schematizzare, l'ideologia dell'evitare lo spreco è rimasta a
me, a mia madre ed anche a mio fratello, il quale però, essendo sposato e con due figli
adolescenti, si è lasciato trasportare più o meno inavvertitamente verso abitudini assai più
consumiste, comunque non butta via gli avanzi né il pane secco.
Rispetto agli anni cinquanta - sessanta siamo diventati assai più esigenti in fatto di qualità
(forse non solo perché invecchiando siamo disposti a dedicarvi più tempo...)
I nipoti adolescenti di mio fratello mangiano ed apprezzano abbastanza di tutto (i vari "che
schifo" non vanno presi sempre troppo seriamente) nonostante le abbuffate di nutella. Assai
minore invece la loro disposizione al non spreco.
d) I vestiti: li comprava mia madre. Talvolta li faceva fare, per sé da una sarta di Firenze, per
me un paio di volte da una sarta del paesino: Una volta con una stoffa di cotone fatto venire
da Mussolente (paese del Nord) molto buona (Ho poi disfatto il vestito ma la stoffa l'ho
ancora; ogni tanto penso a cosa farne).
Ho avuto molti capi di vestiario delle mie cugine, di qualche anno maggiori di me (In seguito,
quando mia madre, da ex-fumatrice, ha cominciato ad ingrassare, ho sempre avuto ed ho
tuttora vestiti di mia madre, ed anche di mia nonna).
I giocattoli li sceglievano i miei genitori; evitavano di dare armi come pistole o fucili a mio
fratello, e bambole a me (mia madre diceva che a me non piacevano: mi fido, anche se non
me ne ricordo, e comunque ne ho viste poche). Si ricevevano per Natale e per il compleanno,
con grande eccitazione. Comunque giocavo prima di tutto con me stessa (inventando storie,
interpretando personaggi...) poi con materiali qualsiasi (pezzi di legno, tappini a corona,

38
biglie, spaghi... Prezioso un mucchio di rena che mio padre ci mise a disposizione) oppure
con le carte (solitari).
Libri: leggevo tutto quello che mi capitava a tiro. Verso i 9 anni cominciai ad amare Leopardi
(Le Operette Morali, I Canti) e Il Libro della Giungla, poi passai alla Capanna dello zio Tom
e alle Piccole Donne: Comunque me li trovavo in casa, non andavo in libreria.
Alla bottega invece compravo i quaderni con la copertina nera, e le penne con i pennini da
intingere nell'inchiostro (quelli con cui una certa manualità devi svilupparla per forza).
Comunque in città non c'erano più.
La collezione di francobolli l'ho fatta anch'io. Si toglievano i francobolli alle lettere e alle
cartoline: erano francobolli rigorosamente usati e timbrati, anche quelli scambiati. Non mi
appassionava più che tanto, ma ricordo che i francobolli dell'Angola, con uccelli e fiori dai
colori bellissimi, mi affascinavano.
e) In campagna il bucato si faceva col ranno (lisciva fatta con la cenere: il mio computer non
conosce la parola "lisciva") o con i saponi.
La lavatrice: dapprima era a gettone, negli appositi negozi. Poi negli anni '60 acquistammo la
prima: durò quasi trent'anni.
L'automobile: dapprima i miei avevano una Topolino, con la quale giravano l'Europa,
prevalentemente in campeggio (Costa Azzurra, Austria, dove, a Salisburgo, destarono
l'interesse dei giornali locali perché uscivano in vestito da sera dalla tenda per andare al
Festival) poi una Fiat 1100, con la quale fecero con noi bambini delle indimenticabili vacanze
con la tenda (campeggio rigorosamente libero) in posti allora "incontaminati": a punta Ala,
con le visite del cinghiale, e a Capo Palinuro, in un capo di ulivi sul mare.
Quando compii 18 anni e presi la patente mi comprarono una Lambretta 150 (pesantissima) di
seconda mano; d'estate ci caricai sopra la tenda e il mio ragazzo e lo portai all'Elba.
Quando ebbi 21 anni o 22 ebbi una Fiat 500, in comune con mia madre (in teoria).
La televisione: non l'avevamo. I miei erano contrari (credo soprattutto mio padre) e noi figli
non abbiamo mai protestato per questo. Qualche volta siamo andati a vedere qualche
programma, come allora s'usava, a casa di mia zia (Lascia o raddoppia, qualche sceneggiato);
a scuola sentivo parlare di Walter Chiari, Gino Bramieri o altri, ma non ero turbata dalla
mancanza. Si andava al cinema (I sette samurai, L'arpa birmana, Le vacanze di Monsieur
Hulot...) e se ne parlava, si ascoltava la radio - una vecchia radio a valvole dalla quale negli
anni '60 ho sentito e "visto" un'indimenticabile "Traviata" commentata da mio padre... Si
ascoltavano dischi, di musica classica e di jazz - poi da adolescente il rock. Ricordo quando
una parente tedesca ci portò un grammofono portatile ma particolarmente buono, della
Deutsches Grammophon, che regnò nel nostro salotto per molti anni.
Adolescenza
a) Non ho precisi ricordi. L'autonomia è stata graduale. Del resto di autonomia in generale ne
ho sempre avuta molta, più delle mie coetanee ).
b) La scuola, e più le amiche, erano importanti nel dettare la "moda". Ma erano comunque
acquisti "durevoli". Ben presto mi orientai a sinistra, dove l'adeguarsi al gruppo non era certo
costoso.
c) Alle medie inferiori mi sentivo troppo discriminata (perché imbranata, ingenua, poco
smaliziata) perché pensassi che qualche gadget potesse essermi d'aiuto. Poi la sicurezza in me
stessa mi arrivò abbastanza presto, dall'esser corteggiata da qualche ragazzino ben considerato
nel gruppo. Fra i 17 e i 18 anni cominciai a fumare, come tante, nei gabinetti della scuola.
Età adulta
Via via gli oggetti, le merci, sono diventati sempre di più e sempre più accessibili. La lotta
maggiore è stata e continua ad essere quella contro le cose nate per essere buttate via subito, e
che invece in casa mia (vivo con mia madre di 82 anni) si accumulano "perché possono
servire" finché ogni qualche anno le butto via tutte insieme, con un gran senso di liberazione.
La possibilità di "consumare criticamente" è venuta incontro ad una mia esigenza precedente.

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b) Con l'aiuto del freezer e dell'orto in campagna alcune modalità di acquisto sono cambiate.
Il ricorso al piccolo negozio vicino a casa è ormai raro, perché più costoso, più scomodo e più
lungo; a meno che un negozio non sia particolarmente raccomandabile: allora ci vado anche
se è lontano per acquisti particolari. Sono socia Coop ed ho anche la tessera dell'Esselunga.
Preferisco ovviamente la prima ma non disdegno la seconda, e per certi prodotti, come il vino,
la trovo più interessante; spesso però ci vado soprattutto per la facilità di parcheggio. I grandi
centri commerciali li frequento il meno possibile, cioè di solito mai. Per corrispondenza ho
comprato qualcosa in passato, per curiosità, per divertimento, ma poi è da molti anni che non
lo faccio.
c) Andare a fare shopping mi piace quando sono nello stato d'animo adatto; per esempio sotto
le feste, cercare regalini adatti ad un bel numero di persone che incontreremo a pranzo di qui e
di là. Ci sono tanti negozi di oggetti carini o divertenti, soprattutto esotici, che è piacevole
avere un pretesto per comprare: se poi non so a chi regalare qualcosa, me la tengo per me. Ma,
poiché non butto mai via nulla, la mia casa è ormai un po' piena...
Acquisti preferiti: tappeti (ma ormai non ho più posto) e rospi per la mia collezione di rospi.
Ne ho di pregevoli, e costosi. Vi indulgo solo ogni tanto, perché i più belli sono un po' troppo
costosi, e poi mi sento un po' in colpa.
Non amo andare a comprare vestiti perché è piuttosto frustrante (provarseli, trovarvi difetti -
dei vestiti e miei...) e per la stessa ragione di cui sopra (armadi pieni). Sulle scarpe non bado a
spese: le voglio comode e in accordo con i miei gusti.
Medicinali: il meno possibile. Se posso dimezzo le dosi prescritte.
Acqua: rispetto a molte persone che conosco, sono molto parsimoniosa: non posso vedere chi
tiene il rubinetto aperto in continuazione per futili motivi; ho un mio modo per risparmiare
l'acqua degli sciacquoni... Dove "scialacquo", è il caso di dirlo, è nei risciacqui dei capi di
vestiario lavati a mano. Talvolta faccio anche fare dei risciacqui supplementari alla lavatrice.
Per la corrente elettrica sono moderata (lampade a basso consumo ecc.) ma quando ho ospiti a
cena non bado ai risparmi.
d) Risposta poco rilevante nel mio caso: mi sono spesso trovata a spendere di più "per amore"
familiare, ma è anche vero che in due ci si possono permettere più "lussi" che in quattro o più.
e) Nonostante ciò, o forse proprio per poter continuare a permetterci dei "premi", le scelte
sono generalmente orientate dal risparmio, ove ce n'è l'occasione: benzina self-service, vino in
promozione al Supermarket, pesce azzurro (però mi piace anche), trippa ecc.
Spesa quotidiana
b) La scelta di cosa comprare viene fatta in precedenza, segnando ciò che manca. Di solito si
finisce per comprare molto di più.
c) Al supermercato il percorso è abbastanza obbligato, a meno che non si abbia troppa fretta. I
reparti specializzati variano con i supermercati, ma in generale sono piuttosto buoni perché c'è
molta concorrenza. Ormai mi ci oriento facilmente nei due che frequento. Controllo sempre
alcune offerte speciali (p.es. vino) altre le ignoro. Non mi verrebbe mai in mente di entrarci
senza un motivo. La lettura delle etichette è spesso complessa, perché raramente sono
equiparabili fra loro. Uno dei principali criteri guida nell'acquisto è il luogo di provenienza:
immaginare l'aglio che viene dall'Argentina o la mela dall'Australia mi fa venire i brividi. Ciò
che può venire a sud degli Appennini è meglio, se non è proprio speciale.
d) Di solito ho fretta, e sono anche un po' riservata, se non proprio timida.
e) Un po' l'ho detto prima. Ora non ho proprio più tempo.
f) Normalmente, tendo a risparmiare (moderatamente: mi posso permettere un livello
generalmente buono) . Eccezionalmente, son capace di spendere 150.000 lire per un tartufo
per una sera con tre amici, o 90.000 per del vero caviale da accompagnare con certi piccoli
fagioli del mio orto. Atti d'amore: certo, se no che senso ha? Questa primavera, presa dalla
necessità, ho addirittura comprato da un piccolo lattaio vicino alla Cure un barattolino di
gelato di panna Nestlé, per portarla ai nipoti e mangiarla con le fragoline del giardino . Ma il

40
bello è che il negoziante, al quale spiegavo la mia esitazione col fatto che non avrei voluto
comprare un prodotto Nestlé, capiva benissimo senza bisogno di spiegazioni.
g,h) Non ne posso più. Scusate.

6.
La storia dei consumi alimentari della mia famiglia è molto particolare: io, mio padre ed i
miei nonni siamo francesi ,quindi quello che mangiavo da piccola era molto diverso da quello
che mangiavano i miei coetanei. Andavamo spesso in Francia durante l’anno e tutte le volte
prima di rientrare in Italia ci fermavamo in uno di quegli enormi supermercati a fare “la
spesa”, compravamo formaggi, fois gras, pane, pesce dell’atlantico,insomma tutto quello che
non potevamo trovare in Italia.
Alla mensa della scuola non mangiavo quasi niente ma i miei genitori che capivano i miei
gusti non mi hanno mai forzato a farlo , tanto più che a casa non facevo particolari capricci.
La frutta e la verdura ce la portava mio nonno che aveva un orto abbastanza grande da
rifornire noi ed i nostri amici.
Abitiamo in centro vicino alla piazza della Sala, luogo deputato a Pistoia da circo 1000 anni
solo alla vendita al dettaglio di alimentari e mia madre vi si recava tutti i giorni a fare la spesa;
comprava solo il necessario per la giornata, nulla andava sprecato.Il sabato andavamo insieme
al supermercato a comprare scatolame, detersivi e cibi confezionati.
Ai compleanni dei componenti della famiglia, oppure quando prendevo dei bei voti venivano
preparati i miei piatti preferiti, la domenica invece mangiavamo come al solito.
Quando ero piccola, diciamo fino a che non ho avuto 10/12 anni, la domenica andavamo
spesso in montagna ed in estate facevamo delle enormi grigliate con gli amici.
I miei nonni erano molto diversi fra loro così come lo sono sempre state le loro abitudini.
I nonni materni hanno sempre abitato in campagna e quindi si producevano la frutta, verdura,
uova, vino e olio, il formaggio ed i salumi li prendevano dai vicini, quello che non veniva
consumato subito veniva surgelato e mangiato nel corso dell’anno.Avevano anche la
“bottega” del paese, cioè uno di quei negozi dove si vendeva di tutto, quindi non è mai
mancato loro niente, neanche in tempo di guerra.Non uscivano mai con gli amici, non
facevano vacanze non avevano l’abitudine di comprare giornali, riviste o libri ma venivano in
città abbastanza spesso per comprarsi dei vestiti.
I nonni paterni venivano invece da Parigi e abitavano in centro e quindi andavano
quotidianamente a fare la spesa, comprando sempre solo il necessario per la giornata.
Mia nonna andava spesso in Francia e quando tornava aveva sempre con se qualcosa che non
trovava in Italia,cibo, profumi,vestiti, riviste di moda e giochi per me. Avevano l’abitudine di
uscire la sera con gli amici, andavano al cinema ed hanno sempre comprato molti libri.
Io non ho ne fratelli ne cugini quindi non ho mai utilizzato ne vestiti ne giocattoli di altri, tutto
mi veniva comprato nuovo, generalmente per le feste o quando ero particolarmente brava a
scuola, avevo però una spiccata predilezione per i giocattoli di mio padre, quando andavo dai
miei nonni giocavo sempre con quelli!I vestitini mi arrivavano da Parigi o me li confezionava
mia nonna, ero una bambina molto elegante!!
Per quanto riguarda libri, riviste oppure oggetti che aiutassero ad esprimere la mia creatività
non mi è mai stato negato niente, tutti speravano che diventassi un artista!!!
Colleziono ed ho sempre collezionato mignon di profumo, ho cominciato da piccola,
sinceramente non ricordo neanche quando.
La macchina in famiglia l’abbiamo sempre avuta, mio padre andava spesso via per lavoro
quindi ci era indispensabile, così come la radio.Il televisore invece, è arrivato quando io avevo
già circa cinque anni insieme alla lavatrice.Per molti anni abbiamo avuto solo un televisore,
mi veniva concesso di vederlo solo dalle 18 alle 22; mi ricordo con piacere di molti
programmi, telefilm e cartoni animati, ho sempre odiato invece i programmi sportivi ed i
telequiz.

41
Le pubblicità non hanno mai condizionato i nostri acquisti, ricordo qualche slogan ma molto
confusamente.Quello che da noi non è mai mancato sono le radio, quasi una in ogni stanza, i
dischi i libri e le riviste di ogni genere.
Non sono mai stata un’adolescente molto conformista, magari volevo i jeans di marca come
gli altri ma non seguivo tutte le mode come i miei compagni di classe. I miei si sono sempre
rifiutati di comprarmi quello che “avevano tutti gli altri” vedevano, infatti, i miei compagni
come tante pecore vestite tutte uguali, per me invece era importante avere qualcosa che fosse
di moda , allora raggiungemmo un accordo: avrei avuto una paghetta settimanale per un
acquisto superfluo non avevo che da risparmiare. Il mio “gruppo dei pari” però non era
quello di scuola( ho sempre frequentato poco i miei compagni) ma quello degli scout; ci
vedevamo ogni giorno anche i fine settimana e durante le vacanze; quindi i miei modelli
erano molto diversi da quelli proposti dalla televisione. Ho sempre pensato però che ad
uniformare tutti gli adolescenti siano molto più gli insegnanti che la televisione, ricordo molto
bene che in classe la ragazzina non vestita alla moda era emarginata prima da loro che dagli
altri compagni, in un certo senso lo sono stata anch’io perché essendo una scout avevo dei
valori, dei modelli ed un gruppo di riferimento diverso da quello degli altri.
Il motorino mi fu comprato subito perché i miei lavoravano e non potevano farmi da autisti
,mi serviva per essere indipendente. E’ in questo periodo che ho cominciato a fare la spesa da
sola.
Mia madre è tornata a lavorare quando aveva circa dieci anni; tornava da lavoro verso le 15 e
mio padre la sera quindi mangiavamo insieme solo a cena; io uscivo da scuola mi fermavo a
comprare qualcosa per il pranzo, scegliendo in base alla voglia del momento ed andavo a
casa.
Sono circa sei anni che vivo sola, adesso devo pensare alla casa, a fare la spesa, alle pulizie e
a tutto il resto. Sono vegetariana, mangio frutta e verdura biologiche e compro sempre
prodotti di aziende non multinazionali. Cerco sempre di comprare quello di cui ho bisogno in
ogni campo, non compro quasi mai cose che non mangerò o userò, l’unica concessione che mi
faccio è l’acquisto di qualche vestito quando ho qualcosa da festeggiare, stando però sempre
attenta a non spendere troppo. Generalmente faccio la spesa una volta la settimana e al
supermercato, preferisco l’Esselunga perché trovo che abbia un buon rapporto qualità-prezzo
e ha una vasta scelta di prodotti biologici ad un prezzo accettabile. Quando ho tempo o voglio
qualche primizia mi reco “sulla Sala” a fare la spesa da una amica fruttivendola così faccio
anche due chiacchiere. Il pane lo prendo sempre dal fornaio sotto casa. Caffè, cioccolato,
zucchero,the ed altri prodotti del commercio equo li compro nella bottega del mondo. Vado
sempre al supermercato in macchina , la sera quando esco da lavoro, non eccedo nelle
quantità in modo da non buttare via niente. Generalmente non prendo mai prodotti in offerta,
ho sempre con me una lista di quello che manca e mi attengo a quella.
Conosco bene il punto vendita e faccio lo stesso percorso ogni volta ed il più in fretta
possibile in modo da perdere poco tempo; prendo sempre gli stessi prodotti, quando non ne
trovo uno mi leggo bene le etichette prima di prenderne un altro.Il prezzo influenza
abbastanza la mia scelta anche se prima guardo sempre alla qualità .Facendo la spesa sto
anche attenta agli imballaggi, preferisco quelli riciclabili come cartone o vetro, i prodotti per
la casa li prendo alla spina da una azienda che produce detersivi biodegradabili al 100% e li
vende tutti i mesi alla Fierucola.
Ho sempre in macchina le sporte per fare la spesa in modo da usare il meno possibile i
sacchetti di plastica.Separo e riciclo ogni giorno tutti i rifiuti: umido, secco, carta, vetro,
alluminio, plastica e pane secco per il canile, tanto che ci sono dei giorni che non ci si può
neanche entrare!!

7.

42
Genealogia (molto sintetica)
Mia madre è nata a La Briglia, frazione di Vaiano (Prato). Erano di famiglia contadina e
abitavano in una grande casa colonica. Poi il mezzadro andò in fallimento, e dovette vendere
tutto; non avendo i soldi per pagare i miei, cedette loro un lembo di terra poco più in là. I miei
nonni (Giorgio e Vernange) vi costruirono una casa con le loro mani, portando i sassi dal
Bisenzio e con l¹aiuto di fratelli e muratori. L¹abitano ancora.
Aldo, il mio nonno paterno, era originario di Forlì, ma si trasferì a Modena molto presto, dove
si sposò con Lina. Cambiò cento mestieri; dopo la guerra, non trovando lavoro a Modena, si
trasferì a Prato. Qui i miei genitori si conobbero al liceo, e dopo un lungo fidanzamento si
sposarono. Proseguirono gli studi, e divennero ricercatori universitari; si trasferirono a
Firenze.
Sono nato e cresciuto in Via Monteverdi, in un quartiere tranquillo. Ho vissuto in quella casa
fino a pochi anni fa. Ho un fratello minore (Andrea, nato quattro anni dopo), un buon
compagno di giochi (vale a dire che litighiamo spesso e volentieri).
Geografia
Agli estremi dell¹isolato in cui abitavamo ci sono due gastronomie, un Migrana e un¹altra. Nel
mezzo, sempre sul nostro lato, una cartoleria e una merceria. Sull¹altro lato, un negozio di
materassi, una enoteca, una maglieria (si dirà così?), adesso anche una tabaccheria /
ricevitoria. Nella via traversa, un fruttivendolo, una gelateria, una parrocchia. In molti di
questi luoghi non sono mai entrato, in parrocchia una volta (niente catechismo, i miei dissero
che avrei scelto da grande). Poi, sulla parallela, a p oche centinaia di metri da casa,
un¹istituzione: l¹Esselunga di Via Galliano. Non penso di esagerare se scrivo che la conosco
palmo a palmo, potrei essere chiuso dentro e trovare l¹uscita al buio. L¹Esselunga a casa non è
tenuta in considerazione quanto la Coop, ma questo è il luogo della nostra spesa. Coop vicine
non ne abbiamo mai avute.
Voi che non avete accompagnato la mamma in interminabili viaggi a fare la spesa al
supermercato perché ancora non esisteva, semplicemente non potete sentire gli aspetti
profondamente ludici di questa esperienza. Innanzitutto, il supermercato si accordava al mio
immaginario fantastico all¹epoca, fatto di astronavi e scoperte scientifiche che avrebbero
migliorato l¹umanità. Il supermercato è una gigantesca astronave, al servizio degli uomini. La
gente prima di entrare, si dota di un veicolo (beh, almeno all¹inizio era un veicolo, con quel
comodo seggiolino a scomparsa. Poi si cresce e tocca spingerlo), poi entra, attraverso due
porte automatiche (camera di decompressione ). Dentro, l¹atmosfera è artificiale, la
temperatura stabilizzata per mantenere la verdura fresca. All¹interno crescono i prodotti di cui
una persona ³ha bisogno² (sì, sì, lo so, le obiezioni a dopo). Alla fine della spesa, ed è il
massimo, c¹è pure il nastro trasportatore e il raggio laser che legge il prezzo!
Insomma, accompagnare la mamma a fare la spesa era divertente, nonché fonte di facili
guadagni. La ³gratificazione² di Miller è un termine che sa troppo di episodico perché possa
descriver e correttamente la mia esperienza. Una mamma con due figli a carico non può
permettersi di lasciarli a casa, soli, specie se il supermercato è vicino. Uscire senza almeno un
Kinder cereali era impossibile in quei casi, almeno per tenermi / ci buoni. Poi il ragazzino si
fa scaltro, scopre tutti i trucchi, arriva al ricatto ecc ecc. I supermercati si adeguarono presto e
divennero ancora migliori, con tanto di reparto giocattoli.
Detto questo, il supermercato possiede altri aspetti positivi: puoi toccare ciò che vedi, e non
hai bisogno di rivolgere la parola a nessuno. Appena un po¹ più grandicello a fare la spesa mi
mandavano da solo (sì, ovvio che intascavo i resti). Per un bambino non c¹è in realtà niente di
peggio della cosiddetta ³socializzazione² delle botteghe. Se accompagnavo la mamma (il
babbo non compra mai) al supermercato, tutta la cosa si svolgeva in modo rapido ed indolore;
ma se, malauguratamente, sulla via del ritorno saltava fuori che c¹era da comprare qualcosa in
gastronomia o in latteria (le solite cose che si presumono migliori in quei posti, prosciutto o
latte), era una catastrofe. La mamma si ferma, inizia uno scambio di moine e battibecchi, poi

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entra il vicino di pianerottolo, e giù altri aneddoti, signore che ti rivolgono la parola ³ma
quanto sei cresciuto!² e ti stropicciano le guance. Semplicemente infernale: in quei casi
l¹unica è mostrarsi zelante, prendere le buste della spesa e avviarsi da soli a casa, lasciando la
mamma a ciarlare (attività che, sia pure riconosciuto, evidentemente lei apprezza).
Per tornare alla geografia, va detto qui che i miei non hanno mai avuto una macchina. Mia
madre prese la patente, ma la usò per poco, e prima che io nascessi. Non c¹entra niente, ma
mio padre smise di fumare sigari prima della mia nascita: fa piacere vedere le brutte abitudini
via tutte in una volta! Scherzi a parte, capirete quanto questo abbia influenzato la nostra vita
(il non avere la macchina): innanzitutto in città ci si muove coi mezzi pubblici o a piedi, sin
dalla più tenera età. Per le vacanze c¹è il treno. I miei erano spesso all¹estero anche per motivi
di lavoro, e così ci hanno scarrozzato per mezza Europa (anche oltre il Muro), una bella
fortuna davvero!
Più scomodo era il discorso coi nonni: entrambi i miei nonni guidavano, ma il nonno Aldo
smise prestissimo (aveva una vecchia 500). Poi, nell¹85, per starci più vicino e dare una mano
a miei, Aldo e Lina decisero di traslocare da Prato a Firenze, in una casa comprata da noi. In
effetti, adesso che abitavano vicino alla mia scuola materna, Aldo mi accompagnava e mi
veniva a riprendere. Passavo i giorni a casa loro, giocavo o guardavo la tv, facevo i compiti
(beh, non facevo i compiti in realtà).
Anche con i nonni materni il contatto è sempre stato molto forte, ci andavamo con la mamma
usando la Cap o la Sita. La casa laggiù è enorme, coi nonni si gioca a briscola o a rubamazzo.
La campagna e il paese circostante comunque non sono un granché. In paese sarò sceso due o
tre volte, per sbrigare commissioni. La ³campagna². Beh, è quella dell¹industria tessile. La
vecchia casa colonica c¹è ancora, in rovina e circondata da casermoni, cemento e tubature
dappertutto. Il Bisenzio era una vera e propria discarica chimica a cielo aperto. Il tutto aveva
(e ha) un feeling da scenario postatomico che non mi dispiaceva da bambino
Basta con la geografia, solo qualche nota finale: mi oriento bene in città ma non associo mai
la strada o la piazza al suo nome. Quando mi appassionai ai fumetti facevo a piedi tutta
Novoli per l¹usuale ronda di perlustrazione delle edicole. Faccio una vita sedentaria da
sempre, mi sposto per andare a sedermi in casa di amici. Il vero aspetto geografico rilevante
degli ultimi tempi è Internet, che ormai è il mio canale primario di acquisto
Alimentazione
Sin da piccolo ho fatto le bizze per il cibo; o per meglio dire fin da quando mi ricordo. La
mamma mi assicura che un tempo ero un bambino ubbidiente che mangiava tutto ciò che gli
si metteva davanti, anche la sogliola. Aveva un sistema infallibile per farmi mangiare, ed
erano i cartoni animati: io li guardavo a bocca spalancata, e il gioco era fatto. Comunque, ad
un certo punto dev¹essere successo qualcosa, non so cosa di preciso, e iniziai a rifiutare
determinati alimenti. Probabilmente ero molto impressionabile, e quando collegai la mucca e
la gallina alla ciccia e al brodo, non ne volli più sapere. E non mi piaceva più neanche il
formaggio, anche se mangiavo lo yogurt; mangiavo la frittata, ma non le uova al tegamino o
strapazzate; i tortellini al ragù e la mortadella, ma non la bistecca. Forse era la consistenza
della fibra muscolare a darmi noia: non essendo tritata / speziata, la carne non fa nulla per
dissimulare ciò che è, un animale ucciso; in più, obbliga i tuoi denti a dilaniarla come farebbe
un lupo, e forse la mia dentatura non è adatta. Al pesce rinunciai completamente: in effetti,
ancor più che la carne, ha proprio un aspetto e un aroma alieni, sembrano usciti da uno
scenario di Giger.
Dove te capire che non c¹era alcun ideale ecologico / salutista di mezzo, figurarsi, a quell¹età;
a parte una generica avversione per cibi derivati da ³uccisioni², si trattava solamente dei
capricci di un bambino. Ad ogni modo, dev¹essere stata una bella rottura di scatole per i miei.
Eppure, non ricordo che mettessero in pratica alcuna pratica coercitiva: il pediatra li assicurò
che non c¹era alcun pericolo, perché mangiavo comunque carne e latticini in abbondanza, e
che era un piacere vedere un bambino che man giava ogni tipo di verdura, senza fare storie.

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Questo argomento deve aver convinto mia madre. In effetti c¹era di che andare orgogliosi, non
ho mai rifiutato alcunché di vegetale. Il nonno in campagna ha due orti, uno a ridosso della
casa, e uno in riva al Bisenzio, e io gli davo soddisfazioni in questo senso; eppure era anche
un cacciatore (si fa per dire: avrà preso una lepre in vent¹anni). Sono goloso di ogni tipo di
dolce ovviamente, e di tutte le porcherie del caso: patatine fritte, bibite, ovetti con sorpresa
(questi particolarmente graditi in virtù della sorpresa), merendine eccetera. Questi dolciumi
mi erano comprati regolarmente e con altrettanta facilità si trovavano per la casa (scovarli
quando la mamma li nascondeva, quello era il vero divertimento! Il mangiarli era accessorio,
me ne rendo conto). Queste costituivano anche l¹alimentazione scolastica, ogni tanto. Più
spesso la mamma mi preparava panini imbottiti. La scuola materna era a tempo pieno, e la
mensa era un incubo. Povere maestre, mi rifiutavo di mangiare praticamente ogni cosa. Penso
di essermi abituato male sin dall¹inizio: mia madre e mio padre hanno il pallino della cucina.
Ovviamente la mamma cucina di ruolo, quindi sente di più il peso della faccenda. Per mio
padre è più l¹occasione speciale, è un esibizionista con i suoi piatti. Sono entrambi molto
bravi, sul serio. Visto che siamo in argomento, a tavola non vi sono regole strette, ma per
molto tempo mi è stato rimproverato di biascicare. Non lasciare il cibo nei piatti? Ecco un
problema inesistente a casa mia. A pranzo e a cena la televisione era ed è sempre accesa, per
il telegiornale, che i miei commentano animatamente.
I maggiori cambiamenti nella sfera dell¹alimentazione sono dovuti al pendolarismo dei miei
(specie mia madre, che adesso insegna a Napoli). Inizialmente è stato un trauma per
un¹organizzazione familiare che, sia chiaro, si regge tutta sulle sue spalle. Per tre giorni alla
settimana mio padre è ai fornelli, ma in generale siamo un po¹ più autonomi e responsabili. Io
e mio fratello siamo in grado di cucinare da soli senza alcun problema (vorrei anche vedere, a
questa età), e poi c¹è la mensa universitaria. Naturalmente mia madre torna da Napoli
affaticata, ma si rimette alle redini della baracca.
Non aggiungo altro, sentire la responsabilità della situazione è già duro senza doverne
scrivere.
In questi mesi ho messo da parte molti dei miei vecchi tabù alimentari e ho iniziato una dieta.
La vita è già abbastanza complicata così; inoltre, il gusto per la buona tavola è uno di quei
caratteri nazionali che vorrei perdere o quantomeno assopire col tempo. Già è odiosa la
prosopopea con cui si esaltano i prodotti tipici, meglio non foraggiarla ulteriormente. La dieta
non è proprio come cicatrizzarsi le papille gustative, ma è un inizio.
Televisione & giocattoli
Mio padre ha giocato molto con me. Si vedeva che era stato ragazzo e aveva imparato a
divertirsi: mi ricordo di quando andavamo a caccia del polistirolo pe r imballaggi che la gente
abbandonava fra i rifiuti: un materiale formidabile, bastava un coltello appena passato sul
fuoco per modellarlo. Quel bianco accecante era l¹ideale per un fortino spagnolo o una
³vecchia missione² del far west. Una manciata (beh, facciamo un bel mucchio) di Playmobil e
il divertimento era assicurato. Sul serio, mio padre mi ha insegnato a giocare, adesso non può
lamentarsi troppo se sono un giocherellone perdigiorno. Inoltre, mio padre si interessa di
araldica. Anche se adesso il suo sapere è a livelli scientifici, quando ero piccolo significava
grande amore per i soldatini medievali; progettò e cucì i nostri costumi di carnevale da
cavalieri delle crociate.
Il nonno Aldo non era da meno: era stato anche falegname, da un qualsiasi pezzo di legno
ricavava ogni tipo di giocattolo. Suonava il pianoforte, e si era dotato di una strumentazione
altamente tecnologica per le sue registrazioni. Povero in canna, barattava sempre le sue
apparecchiature per comprarne altre, e ci lasciava giocare con i registratori e le musicassette.
Ad Andrea ha insegnato un po¹ di musica, mentre io sono negato.
Poi c¹era la televisione, che era un ottimo complemento al gioco, essenziale. Funzionava più o
meno così: in televisione passava una serie di cartoni animati. Questi erano interrotti da spot
pubblicitari che reclamizzavano merendine, astucci, zainetti, giocattoli. Ancora negli anni in

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cui crebbi c¹era una straripante offerta di cartoni, che costituivano buona parte del palinsesto
delle emittenti più piccole. C¹era del buono e del meno buono: la sovraesposizione
indiscriminata aumentò il mio senso critico al riguardo, ero di gusti esigenti. Sento di dover
almeno citare ³Conan, il ragazzo del futuro², serie animata televisiva prodotta in Giappone nel
1978, ormai divenuta ³di culto² (http://www.highharbor.net/,
http://www.nausicaa.net/miyazaki/conan/). E¹ sicuramente una delle opere più importanti
nella mia formazione. Ad ogni modo, le serie tv erano il principale argomento di discussione
fra noi bam bini alle elementari. Alcune erano prodotte col malcelato intento di venderci la
linea di giocattoli dedicata: che squallida operazione delle lobby capitalistiche internazionali!
Funzionò a meraviglia.
I miei odiavano questi sottoprodotti che incarnavano il vero spirito della tv spazzatura, del
mostro consumistico che spingeva I bambini a comprare. Ma almeno in casa mia le loro
proteste furono in gran parte inefficaci. C¹erano cartoni e i giocattoli per tutti i gusti e per
ogni momento della giornata.
Il re del giocattolo ovviamente era il Lego. Particolarmente benvisto anche dai genitori più di
sinistra (cioè i miei), il Lego aveva tutte le carte in regola: non era americano, non era
violento: poliziotti e astronauti erano forniti di radioline e metal detector, pistole neanche
l¹ombra. (naturalmente aggirammo subito il problema con i megafoni che, impugnati a
rovescio, erano ottime ³pistole laser²). I piccoli ometti gialli, tutti uguali, spesso in tutina blu
da operaio, erano industriosi e indaffarati nel costruire le città. Le costruzioni erano veri e
propri capolavori di ingegneria, con parti semoventi e ogni genere di meccanismo da montare
pezzo per pezzo. Anche meglio era non affidarsi alle istruzioni e inventare di sana pianta. La
storia del Lego è una parabola: raggiunse il suo apice negli ultimi anni ¹80, quando introdusse
tre fondamentali ³sotto-serie²: il Lego-Città (quella storica, ad ambientazione urbana), il Lego-
Spazio (la mia preferita, per i veri appassiona ti di fantascienza) e il Lego-Castello
(inconfessato retroterra culturale di tutti i medievisti in erba). Poi, anche se più lentamente del
solito, anche il Lego esaurì la sua vena. Io colleziono i cataloghi Lego dal 1986, e adesso il
panorama è desolante, ogni confezione è associata a un film famoso (Star Wars o Harry
Potter), i pezzi all¹interno sono pochi, il prezzo allucinante e qualità delle costruzioni proposte
è scaduta miserevolmente. Il vero spirito del Lego sopravvive su Internet, grazie ai siti de i
fan che espongono le proprie creazioni. (http://www.lugnet.com/pause/,
http://www.foundrydx.com/)
Anche se indiscutibilmente il migliore, sarebbe troppo facile, troppo ³politically correct² citare
solo il Lego. Impossibile non citare quindi l¹esempio opposto, He-Man (http://www.he-
man.org/). La Mattel aveva opzionato i diritti di Conan il Barbaro, il personaggio di R.E.
Howard, ma si era resa conto che era troppo violento per essere oggetto di una serie di
pupazzetti per ragazzini. Stemperò all ora un po¹ i toni e creò ex-novo He-Man. Per giunta, in
quella che si rivelò una mossa vincente, commissionò ad uno studio di animatori americani
una serie di cartoni animati. Noi guardavamo il cartone, le eroiche gesta di He-Man ci
appassionavano, poi scendevamo alla cartoleria o al supermercato sotto casa e compravamo i
pupazzetti, per continuare le avventure giocando. Naturalmente i benpensanti e la stampa in
generale si scagliarono contro He-Man, dopotutto era pur sempre un barbaro che impugnava
un¹ascia bipenne. Non dimenticherò mai quando, al telegiornale del pranzo, annunciarono che
la Mattel aveva perso una causa in tribunale e avrebbe dovuto cessare la vendita dei giocattoli.
I miei genitori proruppero in un grido di vittoria, e io li odiai sinceramente per questo.
He-Man occasione di consumo critico: nel 1989 la L¹Oreal (quella degli shampoo) rilevò gli
studi di animazione della Filmation in America, dove si realizzava il cartone di He-Man. Era
interessata solo ai diritti della serie, per trasmetterla in Europa, non aveva alcuna intenzione di
investire nella realizzazione del cartoon. In un giorno licenziò 230 animatori e chiuse gli studi
d¹animazione. Cerco di non comprare prodotti L¹Oreal da quando sono a conoscenza di
questo fatto. (tutta la storia è in questo interessante articolo:

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http://flyingmoose.org/heman/heman.htm)
Compro giocattoli e li colleziono. Ho un po¹ il piglio del filologo per tutto ciò che mi
interessa, mi diverto a studiarne le origini, cercare di comprendere cosa mi attraeva di questi
oggetti. Nel mondo del capitalismo, le cose sono prodotte e poi distrutte, al macero.
L¹acquisto è la più completa e sublime forma di conoscenza, ³tattile² conoscenza. Nella sfera
della cultura ufficiale non è così, esistono istituzioni atte alla conservazione del patrimonio
culturale. Ecco perché il libro non è oggetto di collezionismo mentre il giocattolo e il fumetto
sì: il primo si svincola dal suo involucro, e il testo rimane a futura memoria; i secondi sono
destinati all¹oblio, e il collezionista si oppone. Acquisto come memoria storica?
Chiudo necessariamente coi giocattoli, per brevità. Mai amati i soldatini (niente passione per
le armi, immune al fascino delle divise), anche se di natura epica o violenta le storie che
sceneggiavo per i miei pupazzi non prevedevano mai il soldato o l¹esercito, piuttosto il
³ribelle/pirata/cowboy² contro ³l¹Impero². A base fantascientifica, a conti fatti passavo i
pomeriggi ³mettendo in scena² Star Wars.
C¹è anche il cinema oltre la televisione, e i miei mi ci hanno portato spesso. Mio padre è un
gran appassionato di cinema, fortunatamente. Comunque, l¹incidenza del cinema è
sicuramente inferiore a quella della televisione, e soprattutto del videoregistratore.
Quest¹ultimo è entrato abbastanza presto in casa, contravvenendo le normali norme
sull¹avvicendamento tecnologico in uso in famiglia. Mio padre lo volle perché disprezza
totalmente la televisione commerciale, quiz e programmi vari, e i cartoni animati giapponesi
che hanno rovinato i suoi figli (subito registrati in vhs da me, ha ha!). Il vcr si è rivelato una
vera e propria ancora di salvezza: non ci aspettavamo il tracollo televisivo a venire, e
potemmo registrare Kubrick, Welles, Capra, Hitchcock, Pasolini, Fellini, e tanti altri finché li
trasmisero. La registrazione di un programma è una forma di possesso. Contrari per scelta alla
pay-tv, il consumo di televisione in famiglia si è in questi anni ridotto quasi a zero
(guardavamo solo Biagi e Santoro), così come le registrazioni.
Mio padre e mio fratello sono, ahimè, tifosi di calcio, mia madre è benevolmente indifferente,
io non lo sopporto.
Visto ciò che c¹era da vedere, il mio interesse per il cinema si è fortemente ridotto in questi
ultimi tempi, raramente le nuove produzioni mi emozionano. Spiace dirlo, ma uno va al
cinema con gli amici più per trascinare qualche rapporto umano che per il film. D¹altronde, mi
interesso principalmente di:
Letture (fumetti & altro)
La lettura che viene dopo la televisione vi sconvolge? Beh, se è vero che iniziai a leggere e
scrivere presto, è anche vero che guardavo la tv dal mio seggiolone. Ad ogni modo, mia
madre mi racconta sempre di quando mi leggeva prima di andare a dormire. L¹unica cosa che
mi ricordo è una riduzione per bambini dell¹Odissea, e altri miti greci assortiti. Poche favole.
Leggere era la cosa più bella del mondo, questo mi appariva evidente sin dall¹inizio, perché si
poteva vivere infinite avventure. Mi sembra gi usto parlare della scuola a questo punto. A
parte gli amici e il resto, la scuola (materna-elementare) è un posto fantastico dove si va per
apprendere. Tutti in famiglia mi hanno sempre ripetuto di studiare e nient¹altro, per scappare
dalla condizione di indigenza in cui loro (i nonni) erano vissuti. Studiare era anche facile e
divertente, ma (soprattutto?) era la migliore arma, la migliore in assoluto, contro ogni
principio dispotico in casa mia. I buoni voti erano la migliore delle credenziali per ottener e
qualsiasi cosa, giocattoli, fare le bizze sul cibo, guardare la televisione. Tutto è permesso. Le
uniche rotture della scuola erano quindi la matematica, e i compiti a casa (insopportabili).
A casa i libri abbondano, è l¹unica spesa non sottoposta a rimprovero. La narrativa è ben
fornita, ma sarebbe ozioso citare qui romanzi e autori preferiti (Stevenson, Conrad, Melville,
Asimov, Verne). La mamma mi portava spesso alla Marzocco, avevo una discreta collezione
di libri illustrati.
Come tutti, iniziai a leggere fumetti, Topolino, Paperino, vari almanacchi. Questi erano un

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eccellente esercizio alla lettura (beninteso, alla lettura di fumetti; si tratta di dialoghi e scambi
di battute) ma, soprattutto, offrivano un universo coerente e continuativo di personaggi e di
avventure. Mi appassionavo al meccanismo proprio della fiction, di continuare a seguire le
gesta dei propri eroi. I fumetti divennero così il momento della mia emancipazione
finanziaria: avrei ricevuto una paghetta per comprarli. Nei primi anni ¹90 ammontava a 8000
lire al mese, ma era dedicata già allora esclusivamente a questo interesse (cinema, gelati, ogni
altra cosa non erano contemplati).
Presto passai ai comics americani che seguo tuttora. Erano ancora immersi in uno squallido
contesto da guerra fredda, ma bastava saper scegliere i meno ripugnanti. Questi personaggi
violenti non erano benvisti a casa mia, dovetti lottare (anche in senso fisico) per difendere la
mia autonomia. Naturalmente agli inizi accumulai chili e chili di spazzatura, come sempre
avviene quando non si conosce a fondo un settore. Fortunatamente c¹erano anche riviste
specializzate con articoli d¹approfondimento. Ho sempre paura di arrivare a leggere più critica
e saggistica sull¹argomento che non fumetti.
Interesse perseguito con fare scientifico, il fumetto è il capostipite e il prototipo dei miei futuri
acquisti e interessi: manga, film d¹animazione, videogiochi. Sono mondi interconnessi spesso
realizzati dalle stesse pe rsone. Raramente sono legittimati dalla cultura ufficiale (cosa ormai
avvenuta col cinema), e per questo più interessanti. Nascono e prosperano all¹interno del
mercato, sfruttano i suoi canali di circolazione; oppure sono ³underground², alternativi. Non
richiedono spesso una netta posizione politica, ma una generica propensione all¹apertura verso
altre culture (nel mio caso vera esterofilia). Attingono ad immaginari comuni, mitologici, e li
attualizzano. Sperimentano forme inedite (e proprie) di narrazione attraverso la fusione di
testo, immagine, musica; sono interattivi. Sto parlando di materiale che si ordina dall¹estero o
tramite una libreria specializzata, of course. Niente a che vedere con la diffusione nelle
edicole, ancora sotto il pesante giogo Disney-Bonelliano. E¹ la stessa differenza che passa tra
prendere la tessera della mediateca per vedere Herzog, e noleggiare l¹ultimo thriller a
Blockbuster.
In sostanza, un circuito d¹elite. I prezzi salgono vertiginosamente. Gli oggetti si fanno ricerca
ti, subentra il tarlo del collezionismo (anche se mascherato da scrupoli di ricerca).
Lentamente si modifica il modo di consumare, ora molto meno casuale che in passato: rinunci
volentieri alla birra o alla serata in pizzeria.
Mi rendo conto di essere vittima di un sistema di distribuzione non ottimale. Purtroppo, certe
cose non hanno la diffusione che meriterebbero (non possono averla), e così si è costretti a
ricorrere al mercato di nicchia. Io, che protestavo per le botteghe qualche rigo sopra,
praticamente giro per librerie specializzate, antiquari del fumetto, robivecchi del giocattolo.
Così ho passato l¹adolescenza. Nell¹infanzia non avevo a disposizione denaro proprio se non
in piccole quantità, aspettavo i regali dei nonni (i miei genitori li intimavano di non spendere
troppo per noi) o le feste di Natale. Ricevevo regali più o meno casuali. Adesso sono un
collezionista, ho trascorsi di lavoretti estivi ma sono sostanzialmente a carico dei miei
(assieme a mio fratello), spendo cifre molto alte rispetto al passato, non ho l¹abitudine al
risparmio.
Non ho esperienze di vita autonoma e gli unici acquisti che faccio io (non mediati dalla
famiglia) sono di natura culturale. L¹approccio al consumo critico è recente (coincide con
l¹esperienza nel labdem), e incerto sulle modalità da percorrere.
Appendice su marchi, loghi e conclusioni
Ho cercato di chiamare le cose, gli oggetti col loro nome commerciale, anche se può
disorientare. Però è necessario, perché sarebbe ingiusto sottovalutare la potenza simbolica dei
marchi, dei nomi. Si fa sempre il caso dell¹Aspirina, che ha dato il suo nome ad un¹intera
classe di farmaci, ma nella vita è quasi tutto così. Non vai in gastronomia a comprare uno
yogurt, vai al Migrana e compri un Mukki o uno Yomo. Nel caso di fumetti, giocattoli,
videogiochi e cultura in genere, si potrebbe estremizzare: di fatto si compra il marchio, il resto

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è molto meno curato/differenziato. Mi guardo intorno e sono circondato da sigle (fin dalla
nascita).
Rileggo ciò che ho scritto e non lo trovo affatto veritiero, è pieno di forzature, penso che
dovrei riscriverlo. Per come lo scriva, è sempre un ritratto di Dorian Gray. Rimarrei
insoddisfatto di nuovo, quindi penso che lo invierò così com¹è. Ci ho già rimuginato anche
troppo, gli antropologi se ne renderanno subito conto dal linguaggio contorto. Non ho scritto
di getto, immagino che ciò detragga ³autenticitಠe attendibilità dal testo. Non ho seguito la
scaletta con eccessivo scrupolo, molti aspetti delle compere che si fanno in casa rimangono
oscuri.

8.
Biografia. L'infanzia.
Il modo di alimentarsi nella famiglia.
Normalissima dieta mediterranea.
Primi ricordi legati all'acquisto, alla preparazione e al consumo del cibo.
Da sempre l’Esselunga, tranne per il pane.
Piccoli usi e rituali della tavola.
La Tv e un superalcolico o un dolce dopo cena

Ciò che piace e ciò che non piace (si deve mangiare tutto? Si era forzati a mangiare ciò che
non piaceva?).
Si, mi hanno insegnato a mangiare tutto. L’unica cosa che non mi piace è la zucca. La mia
educazione alimentare è stata un misto tra durezza (si mangia tutto!) e inganno (minestroni
passati riducendoli a crema, per farmi mangiare le verdure)
Pasti feriali e pasti festivi.
Nessuna differenza sostanziale.
Il consumo "eccezionale": dolci, prelibatezze, cose attese.
Dolce dopo cena. (un gelato o un pezzo di cioccolata)
Alimentazione a scuola: merendine e colazioni, di che tipo.
Solo il latte della Mukki quando c’era.
Cibi particolari legati a un'epoca, odori e sapori che oggi evocano la memoria dell'infanzia
Sicuramente i dolci delle feste. La mia famiglia è di origine napoletana, e mia madre una gran
cuoca. Grazie a Dio la tradizione continua.
Ideologia e discorsi su cibo e consumo in famiglia.
Niente di particolare.
Cosa si può "sciupare" e cosa si deve conservare.
“Non si butta via nulla” dal punto di vista alimentare. La cucina della nostra famiglia prevede
il riuso degli avanzi. E sono tuttora convinto che siano le cose migliori.
Con che periodicità si faceva la spesa (quotidianamente, una volta la settimana etc.) e dove
(dettaglio, grande distribuzione).
Grande distribuzione (Esselunga), circa ogni due o tre giorni.
Modalità di accesso ad alimenti tradizionali al di fuori del circuito dei negozi (frutta e
verdura, altri prodotti agricoli acquistati direttamente alla produzione etc.).
Mercatino sotto casa, in particolare per la mozzarella. Fornaio per il pane.
Acquisizione di tecnologie di conservazione o preparazione cibi come frigo, congelatore,
frullatori e impastatori etc.
Negli anni le abbiamo avute tutte. A tutt’oggi usiamo frigo normale e impastatore per le
pizze. Ci è sembrato inutile dopo un po’ il microonde e l’abbiamo buttato. Anche il frullatore
oramai non usiamo più neanche il frullatore.
Riti periodici della preparazione di cibi.
Non saprei o non ho riti o non capisco la domanda.

49
Divisione dei ruoli all'interno della famiglia: chi fa la spesa, chi cucina, chi lava i piatti etc.:
padre-madre-nonni.
MAMMA’. Tranne sparecchiare, che lo facciamo noi, e lavare i piatti, ci pensa la
lavastoviglie.
Mangiare fuori: ristoranti, bar, picnic etc.
O una pizzeria o un cinese, buoni, ma niente di più dispendioso. E non troppo
frequentemente.
Acquisizione di cibi gratuito o a prezzi bassi o per 'baratto' di beni o prestazioni attraverso reti
di parentela, il rapporto con paese ed i parenti
Niente di tutto questo
Ricostruzione della "carriera di consumatori" delle generazioni precedenti e successive
all'interno della famiglia: nonni, genitori, figli
Il resto della mia famiglia usa sicuramente il mercato e la spesa al dettaglio. Vivono a Napoli

Sempre nell'infanzia: consumi non alimentari. Vestiti: chi li comprava o confezionava.
Per me li comprava mamma e li aggiustava lei
Riutilizzo di abiti per i fratelli più piccoli.
Figlio unico
Giocattoli: quali, chi li sceglieva, se i genitori usavano criteri particolari.
I miei genitori, i criteri credo fossero: 1) L’effettivo uso che ne avrei fatto 2) che non fossero
inutilmente costosi
Il momento del dono dei giocattoli: natale, compleanni etc.
Natale e compleanno
Desiderio e meraviglia nella visione e nel possesso dei giocattoli.
Adoravo i giochi che permettevano la creatività come i soldatini o le costruzioni (Meccano,
Lego)
Libri e altri sussidi educativi.
Soprattutto d’estate venivo incoraggiato alla lettura con i classici libri per ragazzi (London,
Dickens, Salgari, …)
Materiali da disegno, quaderni, oggetti scolastici
Ho sempre avuto quelli che mi servivano, né più né meno. Volentieri ho usato libri usati.
Piccole collezioni private (figurine, conchiglie, francobolli, bambole…). Attrazione o meno
per il collezionismo.
Avevo la collezione dei minerali, incoraggiata a volte da me, a volte dai miei
Altre tecnologie domestiche: lavatrice, radio, televisione, automobile.
Abbiamo tutti i classici confort moderni cioè tv, radio-stereo, lavatrice e lavastoviglie,
computer
Per quanto riguarda in particolare la televisione, modalità di visione familiare (con distinzione
fra generazioni), programmi più ricordati o evocativi della memoria dell'infanzia.
I miei genitori usano la tv dopo cena. A volte, se c’è tempo, 5 minuti dopo pranzo per
riposare. Spesso durante i pasti per vedere i telegiornali, se ci sono notizie importanti, ( come
ora la guerra).
Unico programma comune che ricordo fu una soap opera “Anche i ricchi piangono”, perché
era la prima, ci incuriosì e per un po’ la guardammo. Per il resto da bambino guardavo i
cartoni animati. Questo non crea una grossa memoria comune, perché i miei non li
guardavano. Non saprei dire programmi che guardavamo tutti insieme, semmai ricordo
insieme il cinema.
Eventi televisivi di particolare rilievo
Tg.

50
La progressiva trasformazione del ruolo domestico della televisione (una in tutta la casa o di
più? Quante ore di programmazione giornaliera? Quali reazioni all'arrivo dei serial e delle
soap-operas, o dei programmi a quiz, o delle dirette sportive etc.?).
La tv sta accesa circa tre ore al giorno in casa mia: film serale (due ore) e telegiornali durante
il giorno (un’ora).
Abbiamo due televisioni.
Riguardo alla soap opera abbiamo guardato la prima (vent’anni fa?!). Poi, tranne in attesa di
un film la sera, è difficile.
Particolarmente importante è il rapporto con la pubblicità e una riflessione sul suo ruolo nel
determinare le scelte di consumo. Si ricordano pubblicità particolari (slogan, videospot,
personaggi o prodotti…)?
Con gli anni siamo diventati più aperti alle pubblicità, e spesso ne citiamo alcune divertenti.
Altre forme di consumo culturale in famiglia: libri, dischi, etc.
Libri: ne entra almeno uno nuovo a settimana in casa. Le vie di circolazione sono varie.
Dischi: in questo i gusti sono molto diversi. Si incrociano talvolta, ma ognuno continua a
seguire i suoi canali. Diciamo che transitano una paio di dischi al mese in casa.

le emozioni e l'amore familiare attraverso il consumo. Ricordi del fare la spesa insieme a
genitori e nonni. I "regalini". Che cosa il bambino chiede e cosa gli adulti gli offrono come
"pegno d'amore".
Ricordo di aver fatto la spesa con i miei genitori, ma solitamente non chiedevo nulla di
particolare, tranne il pane ancora caldo, quando da bambino sono capitato talvolta dal fornazio
con mia madre.
Biografia. Adolescenza
il raggiungimento dell'autonomia nella scelta di alcuni prodotti e nel loro acquisto. Per quali
prodotti (alimenti, abiti, etc.)? Ricordi dei primi acquisti fatti da soli.
Alle superiori ho iniziato a comprare vestiti da solo, ma non ho ricordi particolari in
proposito.
Eventuali conflittualità nate all'interno della famiglia su questioni di consumo, alimentare e
non. Cose molto desiderate e non ottenute, o al contrario rifiuto di seguire certe regole
domestiche di consumo. Il potenziale conflitto fra tre codici diversi di guida al consumo:
quello familiare, quello prevalente nel gruppo dei coetanei, quello proveniente dai mezzi di
comunicazione di massa. La scuola è stata significativa nell'acquisizione di modelli di
acquisto consumo?
I consumi in casa mia sono stati sempre i soliti, semmai negli anni si è cercato di fare
attenzione alle quantità. Nessun modello esterno ha condizionato il nostro modello di
alimentazione che io ricordi, in quanto abbiamo una fortissima tradizione alimentare, per cui
possono entrare novità per divertimento, ma difficilmente divengono consuetudini.
Non capisco cosa c’entri la scuola con l’acquisto-consumo.
I consumi come codici di comunicazione nel gruppo dei pari. Abiti e mode. Consumi culturali
(viaggi, musica, cinema, fumetti etc.). Tabacco e alcool. Moto, cosmetici e altri consumi
legati alla costruzione di una identità di genere.
Seguo poco abiti e mode, se non per il fatto che compro nei negozi. Viaggi molti e belli
durante l’estate. Ho visitato sia molte capitali europee (Parigi, Londra, Budapest, Praga…)
che paesi intorno al mediterraneo (Turchia, Tunisia, Egitto) Ho fatto uso di alcol e tabacco e
ho avuto il motorino dai 18 anni fino ai 27, non escludo di ricomprarne in futuro.
Esperienze di consumo nell'età adulta.
Valgono qui le stesse rilevanze indicate a proposito dell'infanzia e dell'ambito familiare e
domestico del consumo, con una serie di possibili ulteriori sviluppi:

51
mutamenti nell'orientamento al consumo, legati a scelte di vita, all'influenza di altre persone e
di un nuovo ambiente familiare, a convinzioni di carattere etico-politico. E' importante in
questo quadro indicare le modalità di accostamento alla cultura del consumo critico
Non credo di aver mutato significativamente le mie abitudini di consumo, se non tramite i
cambiamenti del mercato. L’avvicinamento al consumo critico, avvenuto tramite amici,
letture e conferenze, mi ha portato semmai a dare alcune differenze nella scelta dei prodotti,
ma non ritengo abbia sostanzialmente mutato le mie abitudini.
percorso di progressiva "scoperta" di modalità nuove della distribuzione e del consumo. Ad
esempio, per chi è nato in un'epoca pre-supermercato, è interessante riflettere sul primo
accostamento alla grande distribuzione, su come questo abbia (eventualmente) cambiato
abitudini quotidiane erc.; e poi, il rapporto con altre modalità di acquisto-consumo quali gli
hard-discount, i grandi centri commerciali, l'uso della carta di credito, l'acquisto per
corrispondenza o on-line, l'atteggiamento verso la vendita porta-a-porta, verso la pubblicità e
così via.
Ritengo che l’unica sostanziale novità, per la mia quotidianità, sia l’uso del bancomat.
Consumi non alimentari. Il gusto di andare a fare shopping. I consumi o gli acquisti preferiti,
quelli che danno gioia e che si fanno volentieri, e quelli invece che si eviterebbero.
Tra gli acquisti preferiti e come forma di shopping, indicherei i libri e la frequentazione delle
librerie. Talvolta, vista la recente diffusione di mercati con alimenti “alternativi” alla nostra
tradizione, posso provare novità esotiche. Per il resto fare acquisti è una necessità di cui farei
volentieri a meno.
Attrazione per le nuove tecnologie.
Non ne sono attratto, ma devo usarle per la quotidianità. Mi riferisco in particolar modo al
computer con tutti i suoi accessori, che mi è indispensabile da anni, sia per studio che per
lavoro. Per quanto riguarda il tempo libero, Internet e il telefonino sono oramai due elementi
indispensabili della mia comunicazione e non solo “supportano” molte amicizie, ma
caratterizzano delle forme di relazione, che esistono quasi esclusivamente tramite questi
mezzi e non riesco ad immaginare altrimenti. Ricreano, a mio avviso, il clima di un piccolo
paese, in cui ci si conosce tutti, ognuno fa la sua vita, ma si scambiano informazioni rapide ed
essenziali, per sapere o far sapere quello che si fa, sfociando raramente in altre forme di
relazione, come cene o altro.
Orientamento verso il consumo di medicinali.
Solo in caso di necessità, su consiglio medico.
Orientamento verso l'uso di risorse quali acqua, corrente elettrica, gas e pratiche di
smaltimento dei rifiuti.
Non ho mai capito il problema del consumo dell’acqua: in che modo miei eventuali sprechi
(classica discussione tra bagno e doccia) influenzano i consumi della Sicilia??? Quindi il mio
principio regolatore in questi consumi è dato dalla necessità di non pagare bollette esagerate,
niente di morale, se non per il portafogli.
Per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, facciamo grande attenzione da anni. Prima che
venissero messi i bidoni a Firenze, ad esempio, buttavamo la carta in alcuni paesi limitrofi
dove già esisteva il riciclaggio. Lo smaltimento parte dalla casa: abbiamo una pattumiera con
tre diversi contenitori (Plastica, rifiuti organici, rifiuti inorganici) e un “angolo” per la carta.
Stile di consumo single e stile di consumo familiare. Quanto la "cura" degli altri condiziona i
nostri modi di organizzare il consumo e la nostra propensione a spendere.
Qualunque elemento della famiglia bada al risparmio per sé, ma non bada a spese se deve
comprare cose per altri.
Il risparmio. E' perseguito come obiettivo del nostro modo di acquistare e consumare? In che
misura orienta le nostre scelte?
Non definirei il risparmio un obbiettivo, quanto uno dei parametri che regola i nostri acquisti,
ma certamente non l’unico. Solitamente per un lusso (una bottiglia di buon vino per

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un’occasione particolare ad esempio) può essere un criterio orientativo fino ad un certo punto.
Anche per quanto riguarda il consumo alimentare, cercando di fare una “spesa” consapevole,
stiamo attenti al risparmio, ma questo si accompagna ad una scelta di prodotti più cari, cioè
quelli biologici o provenienti (si spera veramente) dal mercato equo e solidale.
Etnografia della spesa quotidiana.
Quando e dove si va a comprare, con quali mezzi (a piedi, auto…), restando nel quartiere o
uscendone etc. C'è variazione tra una spesa quotidiana e una settimanale o con periodicità più
ampia? Ci sono orari preferiti? Cosa spinge alla scelta di certi negozi o supermercati? Chi in
famiglia va a fare la spesa, e chi si occupa di altri tipi di acquisti? Si va da soli o
accompagnati?
Solitamente mia madre va al supermercato, in macchina, un paio di volte a settimana. Nella
scelta del supermercato, alterna quello del quartiere ad altri comunque non lontani, a seconda
delle esigenze. Cerca di andare nelle ore meno affollate. Per il resto ognuno provvede alle
proprie esigenze all’occasione, senza un criterio preciso di scelta tra dettaglio e supermercato.
come si determina ciò che occorre comprare? La scelta viene fatta sul posto, dentro il negozio,
o decisa in precedenza, redigendo elenchi etc.? Chi sceglie gli acquisti all'interno della
famiglia? Nel caso si facciano elenchi, in che misura vengono rispettati durante la spesa? Si
prevede in qualche modo la somma che si intende spendere?
L’abitudine, che funge da previsione (tranne ovviamente circostanze straordinarie, tipo un
invito a cena o altro), determina cosa comprare, quando e quanto spendere. L’abitudine
raramente necessita di elenchi. Anche perché l’offerta di un supermercato può cambiare,
quindi le variazioni sono eventuali e sul posto.
Spesa nel supermercato. Il percorso che si segue, sempre lo stesso oppure variabile (le cose
che si comprano per prime, quelle che si comprano per ultime). Uso dei reparti gastronomia,
forneria, macelleria con servizio diretto e prodotti sfusi. Lo spazio del supermercato: ci si
orienta facilmente, ci sono punti di riferimento stabili, o è percepito come un non-luogo,
disorientante, senza punti di riferimento, da cui si transita cercando solo di uscirne il prima
possibile? Capita di socializzare e discutere con altri clienti? O di incontrare persone
conosciute e di fermarsi a parlare? Capita di girare tra gli scaffali anche solo per curiosità, per
conoscere eventuali prodotti nuovi o controllare le offerte speciali? Capita di entrare nel
supermercato senza idea precisa di cosa comprare, e cercando "ispirazione" sul momento?
Stile di movimento nel supermercato: veloce, senza soffermarsi in una scelta attenta e
comparativa dei prodotti, o lento, con lunghe soste davanti agli scaffali, lettura delle etichette
e delle date di scadenza, comparazione della qualità e del presso dei prodotti? Strategie del
risparmio di tempo (come fare le file, come coordinare le attese ai diversi reparti etc.). Si
compra solo l'essenziale o si fanno scorte consistenti?
I supermercati sono tendenzialmente a struttura fissa, quindi anche il percorso. Non direi,
tranne al primo impatto, che il supermercato sia un luogo in cui è difficile orientarsi. È
concepito per non esserlo. Riguardo alla socializzazione, può capitare con gli altri clienti, sui
prodotti o sul modo di usarli sostanzialmente (ammetto che mai nessuno inizia una
conversazione su Kant, qualcuno al massimo, dopo la visione di un film americano, può
cercare di abbordarti).
Può capitarmi di girare tra gli scaffali in cerca di “ispirazione”, se devo fare una cena con
amici o altro (anche questo può essere motivo di socializzazione). Spesso, di fronte a prodotti
simili, cerco di scegliere, leggendo le etichette, oltre ai prezzi. Ma, altrettanto spesso so già
cosa voglio e faccio la spesa in cinque minuti. Non faccio scorte, il supermercato è sempre
aperto e molti prodotti vanno consumati freschi.
Spesa nei negozi di piccola distribuzione. Quali sono i loro aspetti positivi e quali quelli
negativi (rispetto alla grande distribuzione). Si frequenta sempre lo stesso negozio o si
cambia? Si frequenta una rete di negozi spazialmente compatta (p.es. fruttivendolo, panettiere,
etc. nella stessa strada)?: Che tipo di rapporto si intrattiene con i commessi o il gestore? Si

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discute con loro la scelta dei prodotti da comprare, o almeno della marca migliore o più
conveniente? Si chiedono informazioni su offerte speciali etc. Si chiedono prodotti particolari
(p.es. produzioni locali, cibi preparati e prodotti di gastronomia etc.). C'è un rapporto di
conoscenza e dialogo con gli altri clienti? Ci si scambiano consigli e ricette? Di quali
argomenti si parla aspettando all'interno del negozio? (sarebbe molto interessante riportare
brani di conversazione).
Quando usufruisco della piccola distribuzione è perché voglio una cosa precisa ed i negozi
sono più vicini del supermercato. Non sono un frequentatore abitudinario della piccola
distribuzione. Anzitutto per un motivo di risparmio; in secondo luogo, perché ogni volta mi
rendo conto che impiegherei lo stesso tempo in un supermercato; infine perché i prodotti del
supermercato sono solitamente migliori. A mio avviso, per quanto possa sembrare
apparentemente contraddittorio, è molto più semplice e agevole seguire una linea di consumo
critico in un supermercato che in una vendita al dettaglio.
La scelta dei prodotti. Cosa determina la scelta di un prodotto particolare, e soprattutto di una
marca particolare? Il prezzo, la conoscenza attraverso la pubblicità, l'averlo già sperimentato,
o al contrario la novità, etc.? Si leggono le etichette? Fino a che punto le conoscenze dei
principi del consumo critico e le informazioni che circolano in proposito influenzano la
scelta? Prodotti confezionati e sfusi. Marche note e sottomarche. Ricorso a prodotti con
marchio del supermercato (Coop, Esselunga etc.). Atteggiamento nei confronti di promozioni
(3x2, sconti o offerte temporanee, punti regalo etc.). Scelta degli imballaggi e mezzi di
trasporto (borse di plastica, ceste riutilizzabili etc.).
A determinare la scelta sono questi tre fattori in ordine di importanza: 1) l’abitudine 2) Le
etichette 3) il risparmio. Per quanto riguarda il consumo critico, cerco di seguirne le
indicazioni, senza eccessi.
Aspetti emotivi del fare la spesa. Che cosa ci rende soddisfatti o insoddisfatti all'uscita dal
negozio o supermercato? La qualità dei prodotti acquistati, la consapevolezza di avere scorte,
l'idea di aver risparmiato. Capita di comprare cose che consideriamo normalmente inutili, solo
per il piacere di farlo, o per una "irrazionale" attrazione verso un prodotto? Ci concediamo
qualche "sfizio" particolare, considerato un piccolo lusso, una "cosa per noi", una specie di
remunerazione per la fatica di andare a fare la spesa? Quando facciamo la spesa per la
famiglia,in che misura pensiamo a soddisfare gusti, aspettative e esigenze dei familiari?
Acquistiamo certe cose come "atti d'amore" o di devozione verso familiari o amici (p.es quel
caffè che costa il doppio ma piace moltissimo a lui, quel vino pregiato che lei una volta ha
mostrato di apprezzare, etc.)?
Soddisfatto è una parola eccessiva. Ma anche le altre considerazioni. Mi fa piacere, al
massimo aver provveduto, al meglio di quanto potessi, alle esigenze familiari, trovando,
talvolta, qualche sfizio, non per ricompensa alla mia fatica di fare la spesa (quando lavoro
allora?), quanto perché può essere piacevole un cioccolatino insieme al caffè dopo pranzo, o
un buon vino una tantum.
Fare la spesa in coppia o in compagnia. Nel supermercato si procede insieme o ci si dividono i
compiti su cosa acquistare? Chi decide gli acquisti? Ci sono consultazioni o discussioni su
cosa scegliere? Sono identificabili nella famiglia stili di acquisto diversi? P. es. stile lento o
stile veloce, maggiore attenzione ai prezzi oppure alla qualità, tendenza a comprare molto
oppure solo l'essenziale, tendenza a fare più "regali" (p.es. cose per i figli) contro un maggior
rigore, preferenza per prodotti sfusi o confezionati etc.
Se faccio la spesa in compagnia, di solito è per preparare qualche evento (tipo cena), quindi si
fa la spesa insieme, discorrendo su cosa sia meglio. Per necessità quotidiane si fa prima da
soli.
La spesa degli altri. Capita di osservare i comportamenti e le scelte degli altri clienti, sia in
supermercato che in negozio? Quali osservazioni si fanno usualmente in proposito?

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Alcune persone ti colpiscono, o ti colpiscono i loro prodotti. A volte, per caso, nascono delle
piccole conversazioni, altre volte, più spesso, si resta ad immaginare, collegando la figura ai
prodotti che compra, quale sia la sua vita e quali circostanze portino quella persona lì, in quel
momento, a comprare quelle cose. Ma sono fantasie che nascono in un supermercato, come un
cinema o in mezzo a una strada…

9.

1. Biografia. L'infanzia.
Per quanto riguarda l’infanzia, i miei ricordi sono pochi. Credo di essere stato abituato a mangiare
di tutto. Ricordo che c’erano cose che non mi piacevano (carciofi, finocchi), con il tempo ho
imparato ad apprezzare di tutto. Alcuni ricordi di cibo: semolino, banana schiacciata con
yogurt, mela grattata, uovo sbattuto con zucchero, minestrina in brodo. Ho dei ricordi di pasti
sul seggiolone con il bavaglino e relative imboccature.
a) Non so con che periodicità fosse fatta la spesa, né dove. Ricordo un bellissimo frigorifero
FIAT, che per resistere agli assalti di noi bambini, soprattutto di parmigiano, veniva a volte
chiuso a chiave. Spesa e cucina erano mansioni di mia madre. Mio padre poteva intervenire, ma
in momenti particolari (viaggi, malattie). Apparecchiature e sparecchiature erano compito
anche di noi ragazzi, forse c’erano dei turni, ma non sono sicuro. Mangiare fuori era raro e per
noi ragazzi era sempre una festa. Una cosa che ricordo molto chiaramente erano i discorsi di
mio padre sulla frutta che veniva trattata con veleni, perciò dovevamo non mangiare la buccia
che pure era la parte più ricca di vitamine.
b) Le mie nonne, sia materna che paterna, avevano stili di vita molto sobri, quasi austeri. Niente
veniva buttato via e ogni cosa, carta, buste, spaghi, veniva accuratamente conservato e prima o
poi riutilizzato. Ricordo che mia nonna materna, quando si trasferì negli Stati Uniti negli anni
settanta rimase scioccata dal livello di consumismo e raccoglieva dai cassonetti oggetti vari,
anche per l’arredamento della casa, praticamente nuovi.
c) I vestiti venivano comprati da mia madre, spesso ho ereditato i vestiti di mio fratello, più
grande di me di pochi anni. I giochi venivano comprati in occasioni particolari (compleannni,
natale) oppure in occasione di visite a parenti; si trattava di soldatini, lego, meccano,
macchinine, giochi da fare all’aria aperta. Ho fatto fin da piccolo varie collezioni, figurine di
calciatori, francobolli e persino una di cartine colorate che avvolgono gli agrumi.
d) Ricordo benissimo quando è arrivata la televisione in casa (1961 o 62). Inutile dire che la
regola era di andare a letto dopo Carosello. Di pubblicità ce ne era una quantità modesta e i
prodotti reclamizzati erano soprattutto per gli adulti, quindi direi che non ero molto interessato.
I ricordi più impressi sono del pulcino Calimero (detersivi) e la mucca Carolina (latticini).
e) Non ho ricordi particolari del fare la spesa insieme a mia madre nei negozi, ricordo invece la
gioia dell’andare al mercato, i colori delle bancarelle, i profumi, la confusione e le grida di
richiamo dei venditori.

2) Biografia. Adolescenza
a) Facevo la terza media quando ho scelto da solo il primo paio di pantaloni, una conquista
poter passare da quelli corti a quelli lunghi. Per il mangiare l’autonomia è arrivata con le
prime vacanze in campeggio con gli amici, dopo i sedici anni. Anche i campi degli scout
sono stati un’occasione di emancipazione e di conquista dell’autonomia, lì ho imparato a
cucinare, a lavare i piatti e i vestiti.
b) Direi che non c’erano particolari conflittualità in famiglia sui consumi; tutto funzionava in
modo armonico con reciproco rispetto tra i miei che ci hanno educato a considerare il
mangiare come una cosa di importanza relativa e, comunque, a consumi sobri, evitando
spese inutili o non necessarie.

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c) Da giovane studente, impegnato politicamente, gli abiti erano quasi una divisa (eskimo,
maglioni di lana grossa, pantaloni di velluto a righe, scarpe piuttosto grosse, sciarpe). In
generale, quasi tutti i miei consumi durante il periodo della scuola superiore sono stati
condizionati dalla militanza politica. Unica eccezione, lo sci continuato regolarmente ogni
anno. Le prime sigarette a 13 anni, ho smesso poi nei primi anni dell’università.

3) Esperienze di consumo nell'età adulta.

a) Molte delle mie scelte fatte in età adulta, sono state ispirate ad un’idea di sobrietà e
sostenibilità, in continuità con l’educazione familiare, con la scoperta delle idee
ambientaliste e degli studi universitari. L’idea del consumo critico è quindi una naturale
conseguenza di scelte preesistenti.
b) Ho sempre avuto molta curiosità per l’innovazione, anche quella tecnologica, quindi anche
per le nuove forme di acquisto (carte bancarie, internet). Verso i grandi centri commerciali
ho provato sensazioni contrastanti, di interesse per i prezzi, l’abbondanza e la varietà di
merci, la facilità di acquisto, ma anche di smarrimento, per le dimensioni e la
spersonalizzazione.
c) Per quanto riguarda acqua ed energia cerchiamo di farne un consumo oculato e intelligente,
anche se mi rendo conto che ci sarebbero ancora molti margini di miglioramento. Per quanto
riguarda i rifiuti facciamo scrupolosamente la separazione e facciamo compost dai rifiuti di
cucina e del giardino. Compost che usiamo nel piccolo orto di casa e per i fiori.
d) Siamo una famiglia composta di due genitori e tre figli; siamo sempre stati attenti a scegliere
per l’alimentazione prodotti sani (agricoltura biologica, frutta e verdura di stagione, prodotti
non preconfezionati, ecc.), senza però eccedere. Qualche piccola integrazione l’abbiamo
sempre avuta dall’orto di casa (insalate, bietola, pomodori, zucchine, olio, uva, fichi, ecc.).
Anche nelle vacanze abbiamo sempre cercato vacanze a contatto con la natura o viaggi in
vari paesi europei con formule tipo lo scambio casa con altre famiglie.
e) Le considerazioni economiche, sono un elemento importante nel fare la spesa. Ogni scelta è
sempre un compromesso tra la ricerca della qualità e il prezzo. Se si devono fare acquisti di
una certa entità c’è sempre una ricerca tra più possibili alternative, attraverso informazioni
da amici, riviste specializzate , siti internet, ecc.

4) Etnografia della spesa quotidiana.


α) Viene fatta una grossa spesa settimanale (in genere la fa mia moglie il sabato mattina),
andando in macchina (abitiamo in campagna). Quotidianamente vengono comprati pane e
latte fresco e eventuali integrazioni, in una bottega vicino la scuola della figlia. Il
supermercato è sempre lo stesso e quindi anche il percorso; le cose sono ovviamente diverse
se per un qualche motivo la spesa viene fatta in un altro supermercato. Utilizziamo poco il
reparto della gastronomia, compriamo regolarmente prodotti biologici e del commercio
equo.
β) La spesa settimanale viene fatta con una lista, che viene rispettata abbastanza fedelmente. La
somma è abbastanza costante e ovviamente cresce con il crescere dei prezzi.
χ) La spesa è veloce quando si tratta di prodotti già sperimentati, più lenta quando si comprano
prodotti nuovi che richiedono qualche piccolo esame comparativo (etichette, prezzi, ecc.).
Non facciamo grandi scorte. Capita di fermarsi a parlare quando si incontrano degli amici o
dei conoscenti, ma non della spesa. In genere usiamo il lettore del codice a barre (il
cosiddetto salvatempo) che consente di non passare per la fila delle casse.
δ) Nei piccoli negozi gli aspetti positivi sono: relazioni umane, i consigli del venditore; quelli
negativi: prezzi, freschezza dei prodotti, scelta. Frequento gli stessi negozi. Il dialogo con i

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negozianti e con gli altri clienti è in genere a base di rapide battute (avvenimenti sportivi,
episodi della vita della frazione, notizie, tempo, ecc).
ε) Compriamo molti prodotti a marchio del supermercato (coop). Le etichette vengono lette
quando si comprano prodotti nuovi. Le conoscenze dei principi del consumo critico
influenzano molto la scelta. La preferenza è per prodotti sfusi. Difficilmente compriamo
prodotti in promozione del tipo 2x3, mentre spesso acquistiamo le offerte per i soci. La
spesa non viene messa in sacchetti di plastica o buste, dal carrello la mettiamo direttamente
in scatole di cartone che sono riutilizzate ogni volta.
φ) Al termine della spesa la soddisfazione può nascere da diversi aspetti, avere fatto un
qualcosa per la famiglia, avere comprato delle cose buone e di qualità, avere speso il giusto.
Ovviamente può capitare di comprare cose che considero normalmente inutili, solo per il
piacere di farlo, tipo sfizi alimentari (dolciumi, bevande, snacks) da godere insieme a tutta la
famiglia.
γ) Quando capita di fare la spesa insieme ci si dividono i compiti, consultandosi. Direi che la
principale differenza è che io sono meno rigoroso di mia moglie e più facile a comprare cose
fuori lista.
η) Difficilmente mi capita di commentare la spesa degli altri, semmai possono servire da
ispirazione per avere dimenticato qualcosa o suggerimento per nuovi acquisti.

10.
Come si può vedere dal mio albero genealogico la mia famiglia è tutta toscana (per quanto ne
so).
I miei nonni paterni erano contadini, venivano da zone molto vicine del Valdarno: Loro
Ciuffenna e Pian di Scò. Come il mio cognome dimostra, il mio bisnonno o suo padre
provenivano dall’Ospedale degli Innocenti. Il mio babbo era nato nel 1900, era il sesto di 10
figli. Lasciando la miseria nera, da ragazzo venne a Firenze ad imparare il mestiere di cuoco.
I miei nonni materni abitavano addirittura nello stesso luogo, Cutigliano, sulla montagna
pistoiese, dove l’alimentazione era da sempre la castagna, più i prodotti dell’orto (insalate,
cavoli, fagioli, fagiolini, zucchini, patate) e quelli dell’aia (galline, conigli, piccioni).
Quando ero bambina mio padre mangiava in casa solo la domenica e lasciava sempre cucinare
a mia madre. Lui, cuoco che metteva alla tavola della migliore nobiltà italiana pietanze
elaborate e raffinate, aveva gusti estremamente frugali: fiorentina e insalata. Prediligeva piatti
a base di olio e aglio. Mia madre invece amava il burro e la cipolla per la base dei suoi piatti.
Comunque nel pranzo della domenica non mancavano mai i crostini che noi chiamavamo neri
(di fegatini) e bianchi (con burro e acciuga). Anche la spesa la faceva mia madre; ricordo però
che a volte il babbo tornava con qualche “specialità”, in genere un pezzo di torta. La spesa la
mamma la faceva al mercatino rionale dove venivano dei contadini dalla campagna.
I piatti che cucinava erano abbastanza variati, ma c’erano delle pietanze fisse: il baccalà lesso,
o arrosto, o alla livornese il venerdì; il giovedì trippa, che io ostinatamente non assaggiavo
nemmeno perché mi faceva senso il nome, e allora per me c’era l’uovo al tegamino, che
adoravo. La mia mamma è ancora viva e ancora si mangiano le cose di quei tempi come le
zuppe, la pasta spianata (maccheroni come chiama lei certa pasta tagliata a quadri grossi), i
ravioli, gli strozzapreti, le lasagne, l’arista, lo spezzatino, i carciofi ritti (ripieni di carne
secca), le crostate, il latte alla portoghese, la schiacciata alla fiorentina, i biscottini di pasta
frolla... Inoltre mia madre è celebre per i suoi fritti. Però la carne non è così buona e non si fa
più un piatto che io amavo: le bracioline in umido alla cacciatora con i carciofi. Ricordo anche
il tegame, largo ma con i bordi alti, che la mamma usava. Quando tornavo da scuola e vedevo
quel tegame sulla stufa economica ero contenta, perché avrei mangiato senz’altro una cosa
che mi piaceva.

57
All’ora del pranzo c’era la pastasciutta spesso al sugo di carne (che una volta fatto bastava per
giorni) o il riso e il secondo; la sera sempre una minestrina in brodo, o di verdura, o
stracciatella, o una zuppa, o un semolino (“Che ti accosta lo stomaco” come dice ancora mia
madre) e il secondo. La mamma ha sempre tenuto molto alla tavola: io l’aiutavo ad
apparecchiare e lei mi insegnava con pignoleria. Ha sempre mangiato con rapidità e io le
somiglio, mentre mio padre era molto lento. Oltre alla trippa, non mangiavo tutte le interiora,
fegato e cervello compresi, neppure le insalate e la verdura in genere. La mia vera passione
erano le patate, soprattutto fritte. Avrei vissuto solo di quelle. Nelle domeniche in cui mio
padre mangiava con noi, mia madre non le faceva mai e succedevano grandi liti familiari
causati dalle mie bizze; finiva che mio padre mi friggeva una patata. Io ho un ricordo molto
sfuocato di ciò; ma mia sorella che è più vecchia di me di 11 anni me lo rammenta ancora e
non si dà spiegazione di perché mamma “per il bon per la pace” non le facesse mai! Queste
leticate per lei erano un supplizio, era arrivata a sostenere che invece mia madre ci godesse e
che le stimolassero la digestione. Insomma, mentre il suo fegato ne risentiva, quello della
mamma funzionava meglio!
Dell’infanzia ricordo con fastidio le colazioni, o meglio, non le ricordo. Non mi è mai
piaciuto il latte e non mi pare che all’epoca mia madre facesse il tè; per sé lei consumava
grandi quantità di caffè, ma io ero troppo piccola e comunque non mi è mai piaciuto. Le fette
di pane e marmellata, o pane e olio, o pane vino e zucchero mi venivano date a merenda.
Insomma ricordo solo che a volte mangiavo uno zabaione, che mi piaceva da grandicella
prepararmi da sola.
Mio padre, certo per la sua provenienza contadina, aveva sistemato nel nostro giardino una
parte ad orto, seminando insalate, radicchi e ravanelli, quest’ultimi mi piacevano molto anche
per via del colore. Nel giardino c’erano diversi alberi da frutto, fra cui uno stupendo ciliegio e
un fico, su cui passavo ore intere quando la frutta maturava.
Dai parenti di mio padre, cioè dall’unico zio rimasto nel podere in Valdarno, prendevamo olio
e vino, che ci arrivava in autunno in damigiane. Mentre a Natale, le sorelle della mamma di
montagna, ci mandavano, oltre ad un gigantesco abete che profumava tutta la casa e che
veniva addobbato rigidamente la vigilia di Natale: noci e nocciole, mele odorose, funghi
secchi, castagne secche che non mi piacevano e farina di castagne che invece adoravo per il
castagnaccio o i cenci; ma anche per un altro piatto, che è andato completamente perduto
nella mia famiglia e che invece io ancora mi faccio: i megni. Si fa cuocere la farina
nell’acqua, e quando ha la consistenza di una farinata si mette in una scodella, si ricopre di
latte freddo e si mangia al cucchiaio. A volte questa era ed è ancor oggi la mia colazione. Ed è
anche l’unica occasione in cui mangio il latte.
Nelle estati del dopo guerra, il mio babbo lavorò per una diecina d’anni in un grande hotel di
Forte dei Marmi. Io e la mia mamma andavamo con lui, mia sorella già lavorava. Lì avevo a
disposizione ogni ben di dio... ma mi piacevano solo le patatine fritte e quelli che chiamavo
gli “anellini”, cioè i calamari fritti. Come si cambia di gusti nella vita! Allora cozze e
gamberoni non li guardavo neanche... e i pesci dovevano assomigliare il più possibile ad una
fettina di carne!
Questo mio “Menu della vita” è stato interrotto ed arricchito dall’arrivo in famiglia di mio
cognato, o meglio della sua mamma. Mia sorella, quando avevo 12 anni, si è sposata e ha
avuto due gemelle e poi quasi subito un’altra bambina. Benché lei fosse andata a vivere a
Prato, la vita della nostra piccola famiglia fu sconvolta da tutte queste nascite e finimmo tutti
a fare i baby-sitter. Ora mio padre lavorava anche d’estate da una famiglia fiorentina ed io
seguivo mia sorella dalla sua suocera di origini lucchesi e contadine, trasferitasi a Viareggio
da tantissimi anni. E’ lì che ho imparato ad amare il pesce (non ancora i brodetti). Passavano
per le strade i pesciaioli in bicicletta, lanciando i lori richiami “C’ho la sciabia viva. C’ho i
ciortoni arosto!” La mamma di mio cognato, che si chiamava Elide, secondo me “abbondava”
di più nel far da mangiare e faceva piatti più variati dei nostri. Mia madre, che da principio si

58
vedeva che ne era gelosa, la criticava sempre e non cambiò sostanzialmente le nostre
abitudini, ma qualcosa aggiunse, per esempio la pomarola (prima c’era solo il sugo di carne), i
cavoli ripieni, la scarpaccia, che è un dolce fatto di zucchine, le torte pasquali “agli erbi”...
Fin qui il mio “mangiare passivo”. E’ chiaro che devo fermarmi, più scrivo e più ci sarebbe da
scrivere: le cose escono da sole! Voglio solo aggiungere che non mi ricordo in tutti quegli
anni, siamo agli inizi degli anni ’60, di essere mai stata ad un ristorante, perché tutte le
cerimonie, come anche la mia comunione, furono fatte in casa; un “rinfreschino” tra parenti. Il
matrimonio di mia sorella, festeggiato invece al ristorante, segnò in tutti i sensi, anche
simbolici, il passaggio ad un’altra vita. I miei genitori rimasero sempre legati ad un grande
rigore oculato e parsimonioso; ma i tempi cambiano, nel 1964 entra in casa il frigorifero
(mentre mia madre ha avuto il freezer solo 4 anni fa). Prima era inconcepibile per noi anche
fermarsi ad un bar. Ricordo come premi eccezionali certi gelati nelle cialde, comprati al Ponte
Rosso, andando al Giardino dell’Orticoltura. Devo dire però che non ero una bambina golosa,
quasi mai desideravo qualcosa da mangiare in particolare. Solo delle caramelline piccolissime
di zucchero colorato, che mia madre mi mandava a comprare da sola in un negozio assurdo,
davanti casa: si dovevano scendere degli scalini molto ripidi e ci si trovava in uno scantinato
umido, pieno di sacchi in terra. Io avevo paura del proprietario, un ometto grassoccio, e
scappavo via di corsa con la mia cartatina. Quando fui un po’ più grande, chiedevo a volte di
comprarmi il pandiramerino e certi cioccolatini quadrati alle nocciole che si vendevano in
carta stagnola dorata.
Inizio ad avere uno stile di vita disordinato: spesso sono a casa di mia sorella, in preda ad
intemperanze adolescenziali, mentre cresce sempre di più la voglia di andarmene. Un periodo
in cui non riesco a ricordare di aver visto il cibo se non come fonte di sopravvivenza; sì,
certamente avevo i miei gusti, ma mangiavo per alimentarmi e se penso al cibo, mi viene in
mente solo il mangiare dell’Elide d’estate. Era una donna franca e buffa nell’esprimersi,
anche se non apparecchiava bene e portava le pentole direttamente in tavola. Anzi, forse
anche da lì passava la mia insofferenza per mia madre, che mi appariva criticona e maldicente
verso una donna che secondo me aveva resistito, con una terrigna “sanità” contadina, agli
adescamenti borghesi.
Iniziai l’università e insieme il lavoro, così potei andare a vivere per conto mio. Mangiare,
fare la spesa era molto casuale. Finché, incontrato un uomo, mi misi a fare la “mogliettina”,
cioè a preparare per la nostra vita di coppia dei cibi che gli piacessero. Inizia cioè la mia
“cucina agìta”. Io faccio la spesa, io cucino, io mi occupo delle faccende. Non ne sento il
peso, anzi è un piacere, è un gioco. Lavoro, non ho tempo, perciò non sempre mi cimento in
piatti difficili, poi non ho pazienza e tendo a fare cose veloci, però tengo un ricettario molto
corposo. Mi piace la tavola curata, più di tutto i bei bicchieri. Insomma mi faccio la fama di
una che ci sa fare. Anche se mi sembrava di essere lontana anni luce dalla mia famiglia, a
pensarci ora, continuo a far bella figura con i piatti che mangiavo a casa: lo sformato, la
finanziera. l’arista, il fagiano con le olive, i bolliti, le torte salate, i budini... Faccio spese
frettolose alla macelleria sotto casa, al mercato rionale, al supermercato; quando cucino
qualcosa di particolare mi piace aprire le bottiglie di vino, che compriamo alle feste di Greve,
Montespertoli...
A 29 anni vado a vivere in Sardegna, ad Alghero, e ci starò fino a 38 anni. Lì ho ovviamente
cambiato molto le mie abitudini. Facevo la spesa esclusivamente in piccole botteghe che mi
riportavano indietro negli anni e sono entrata in contatto con cibi sconosciuti, soprattutto
dolci. La carne non mi piaceva, era troppo dura, compravo quasi esclusivamente pollo. Non
mi piace né l’agnello né la pecora, ma le poche volte che dai pastori ho potuto mangiare il
capretto, l’ho molto gradito. Ho conosciuto tutti i pesci possibili, anche l’aragosta. La cucina
continuava ad essere gestita tutta da me, ma si andava spesso a mangiare al ristorante, a volte
in barca, o nelle campagne. Ma soprattutto la vita aveva preso un ritmo che ancora oggi
rimpiango, fatto di un tempo dilatato, di sole, di mare, di tanti amici e conoscenti.

59
Quando sono tornata in Toscana, ho vissuto in un primo lungo periodo in una casa colonica
vicino a Firenze, con molte altre persone; una specie di “comune” in forte ritardo rispetto a
quelle sessantottine. Ognuno, in teoria, faceva la spesa e il mangiare per conto proprio, ma
finivamo (sempre nei fine settimana, spesso anche durante la settimana) per mangiare tutti
insieme. Avevamo un grande frigorifero. Avevamo un orto immenso, che chiamavamo “La
Tegama Granda” e in cui, in teoria, dovevamo lavorare tutti. Poi mettemmo su anche un
pollaio, molto casuale, infatti le galline facevano le uova in giro per la campagna. Ogni tanto
spuntavano i pulcini... Sulla vita al Cerreto si potrebbe scrivere davvero un romanzo... Vi
sono state fatte tavolate memorabili e ben due matrimoni e un battesimo!
Adopro tutti i vecchi libri di cucina di mio padre. Provo addirittura a scriverne due (progetti
mai pubblicati). Il primo con una amica americana fatto così: sceglievo fiabe italiane (prese
dal Basile “Lo cunto de li cunti” e dalla raccolta di Calvino) in cui erano presenti dei
riferimenti al cibo; poi prendendo spunto da questo, scrivevamo una ricetta. Tutto illustrato
con bei disegni fatti da lei.
Il secondo libro invece doveva essere di Menu: sceglievo pranzi particolari, per esempio il
compleanno di una nonna, di un bambino, di un trentenne, oppure un pranzo di soli uomini,
o di sole donne, una cena in città ad agosto, un pranzo in campagna d’autunno... La novità
consisteva nel corredare la ricetta con i biglietti di invito, i segnaposti, il modo particolare di
apparecchiare... tutte queste cose erano disegnate su cartoncini, fustellati in maniera tale da
poterli staccare ed usare. Insomma un libro, sull’esempio di quelli per l’infanzia, da poter
ritagliare per personalizzare pranzi, cene, colazioni, merende... con suggerimenti anche di
addobbi vari.
Forse proprio nell’attività culinaria troppo intensa va ricercata la fine di quel mondo. Il nostro
era una specie di borgo diviso in tre case, ma spesso tutto gravitava sulla nostra ed io ero
l’unica donna con quattro uomini. Non ho proprio niente da lamentarmi per quanto riguarda il
mangiare o il rigovernare a cui tutti partecipavano; ma il resto era lasciato a me. Così, con il
mio compagno, sono andata ad abitare in un’altra casa in campagna, fino a tre anni fa, quando
abbiamo deciso di venire a stare nel centro di Firenze. La mia vita anche dal punto di vista
“cucina” si è “calmata”. Non abbiamo figli e forse questo rende sicuramente il momento del
mangiare abbastanza leggero. Né io, né Massimo abbiamo problemi, ci piace mangiare bene,
ma ci accontentiamo anche di una pastasciutta all’olio o di un po’ di formaggio o di
prosciutto. Se penso a come si mangia ancora a casa di mia madre e di mia sorella (due volte
al giorno, primo, secondo e contorno)... a casa nostra facciamo così solo se abbiamo invitati.
Oggi la differenza non è più fra i giorni lavorativi e le domeniche, ma fra certe festività
particolari o l’avere ospiti. Altrimenti mangiamo il primo o il secondo. Mi rendo conto,
mentre scrivo, di come via via che passano gli anni il mangiare mi interessi sempre meno.
Sono diventata molto frugale. Se sono sola (spesso alle una), non mi apparecchio nemmeno;
anzi per prendermi in giro Massimo dice che mi inginocchio davanti al frigorifero e mangio
quello che c’è. Naturalmente non è così, ma rende molto bene l’idea di come per me cucinare
sia sempre stato legato alla presenza di altre persone. Tengo però molto alla bontà di certi
prodotti, per esempio il pane (cotto a legna), il vino e l’olio di fattoria; ma apprezzo sempre di
più i piatti non elaborati, molto semplici. Tuttavia, appunto come dicevo, con l’età non ho più
voglia di fare da mangiare, né di andare al ristorante, dove in questi ultimi tempi ho quasi
sempre mangiato male e caro. Anche con gli amici preferisco incontrarmi per fare qualcosa,
andare al cinema, fare camminate, fare letture di gruppo...
A Massimo piace fare da mangiare, soprattutto i primi e a me non pare il vero, lo sto
apprezzando sempre di più. Così i nostri ruoli in cucina sono intercambiabili, ma rigidamente
divisi, vista l’esperienza delle leticate quando ci cerca di lavorare insieme! Lui si diverte a
sperimentare e stato socio di Arci gola slow food ed è abbonato a “Sale e pepe”. In casa
comunque abbiamo una quantità davvero grande di libri di cucina.

60
Spesso sono io a fare la spesa perché il lavoro mi lascia più tempo; mi fermo a
Sant’Ambrogio o a San Lorenzo per frutta e verdure, allo Coop o all’Esselunga per il resto.
Ogni tanto, vado ai discount per saponi e scatolette per il cane e il gatto. Non faccio nessuna
raccolta di bollini, però ho la tessera sia dell’Esselunga e della Coop e sfrutto i punti
scalandoli dalla spesa. Pago in contanti, non ho tessere di credito di nessun genere (beh, non
ho neanche la banca, credo di essere unica! Ho un conto alla Coop, che trovo comodissimo).
Non mi piace stare nei supermercati, cerco di andare a colpo sicuro per perdere meno tempo
possibile. Le buste di plastica le riciclo per la spazzatura. Non faccio la raccolta differenziata.
Abbiamo un frigorifero piccolissimo, senza freezer e compriamo cose da cucinare subito,
quasi mai congelate. Siamo di quelli a cui piace mangiare le cose di stagione, anche se oggi le
stagioni sono state azzerate, compriamo pomodori, melanzane, zucchini e fagiolini d’estate.
Non siamo vegetariani, ma per una ragione o per un’altra non compriamo mai carne, qualche
volta maiale o macinato per fare polpette e polpettoni. Anche se abitiamo in una casa
minuscola, ci piace preparare certe cose come quando eravamo nei cucinoni di campagna:
scalogni, peperoncini, cavolfiore sott’aceto, carciofi sott’olio, aringhe marinate, marmellate,
limoncello.
Gli avanzi non si buttano mai, anzi ce ne fossero! Non mi pare il vero di avere per il giorno
dopo già pronto cosa mangiare.
Il vero problema è quanto costa la roba. Ultimamente mi sono trovata più di una volta a
posare qualcosa dopo aver visto il prezzo. Sempre più spesso compro le offerte del giorno,
non il 3x2 che per noi non ha molto senso. E così la mattina non so cosa mangeremo la sera,
dipende dall’offerta! E’ incredibile constatare che il salmone costa meno del prosciutto, o le
banane meno delle mele. E il costo del trasporto non incide più? Evidentemente anche questa
è la globalizzazione! E a questo proposito ho iniziato ad essere molto critica rispetto alle
marche che compro; per non sbagliare spesso uso marchi Coop o Esselunga. Ho sempre
guardato alla scadenza e alla composizione, insomma sono sempre stata attenta alla qualità
del cibo, ma oggi ancora di più, con mucche pazze e company... Non ho mai, o quasi mai,
comprato merendine, bibite, cibi precotti o di rosticceria.
Rileggendo, mi sono resa conto di una cosa su cui non avevo finora riflettuto: il cibo segna
davvero le tappe della nostra vita. Aspetto la prossima...

11.
a) In famiglia ( 3 adulti ) ci occupiamo tutti della spesa : di solito io compro i cibi quotidiani
( latte , pane , verdure fresche ) , al resto ci pensano mia figlia e mio marito. Mia figlia redige
una lista , è attenta alle offerte e raccoglie punti .
I luoghi della spesa sono i supermercati che , essendo vicinissimi a casa, ci permettono di
comprare a qualsiasi ora qualsiasi cosa e quando ci occorre ; non abbiamo il rito della spesa ,
cioè il giorno o un orario fisso .
Quando vado al supermercato con mia figlia mi diverto perché lei ha un percorso fisso , non
tralascia un corridoio , sa trovare i prodotti , si lascia attrarre da mille tentazioni , con lei il
carrello si riempie di tante cose diverse .
Io invece uso il cestino, compro sempre le stesse cose , seguo le offerte e leggo
diligentemente le etichette .
Il nostro frigorifero non è mai pieno , non facciamo uso di prodotti pronti surgelati, il
congelatore contiene qualche pezzo di carne acquistata in campagna da persone di fiducia o i
sughi pronti di mia suocera .
Nessuno di noi pranza a casa e spesso il fine settimana siamo in montagna con parenti e amici
.
Alla bottega “sotto casa “ ricorriamo per piccoli acquisti , quando non abbiamo voglia o
tempo di cucinare o , più spesso , quando il frigo è vuoto .

61
Abbiamo la fortuna di avere un fruttivendolo di fiducia che cucina in luogo cibi pronti
( primi , carne , verdure ) di ottima qualità anche se a prezzi alti , ma la comodità si paga . Io
personalmente detesto andarci , non per gli alimenti , ma perché ho sempre fretta e non mi va
di chiacchierare , tantomeno di spettegolare., a me sembra più un luogo per ritrovarsi e
intrecciare relazioni , il che va bene , ma non per me .
Nella scelta dei prodotti io seguo le mie abitudini , non sono mai attratta dalla pubblicità , ma
da quello che ho sperimentato essere il sapore giusto per me ( soffro se non ho in casa quella
marca di tarallini che uso quando ho fame al posto del pane o quei biscotti per la colazione
che mi fanno iniziare bene la giornata ) .
Mio marito , che è il cuoco di casa , acquista gli ingredienti base necessari per i suoi piatti , o
riesce a cucinare con ciò che c’è in frigo e in poco tempo , è un creativo .
E’ una dote che gli riconosco , ma che non gli invidio , visto che per me il tempo tra i fornelli
è tempo sprecato .
Mi piace però la domenica mattina svegliarmi ( tardissimo ) sentendolo fischiettare o cantare
accompagnato dal suono di acqua che scorre , pentole , piatti , posate che si scontrano o
incontrano , il tutto inebriato da profumi .
E ancor più mi piace sedermi a tavola e mangiare cibi nuovi che riescono sempre benissimo e
vedere la sua soddisfazione dato che poi lui assaggia soltanto , già sazio di quanto ha fatto .
Ancora una volta sono grata a chi cucina per me , dato che nella mia adolescenza non c’ è
stato chi l’ha fatto , tranne che in rare occasioni .In famiglia ( 3 adulti ) ci occupiamo tutti
della spesa : di solito io compro i cibi quotidiani ( latte , pane , verdure fresche ) , al resto ci
pensano mia figlia e mio marito. Mia figlia redige una lista , è attenta alle offerte e raccoglie
punti .
I luoghi della spesa sono i supermercati che , essendo vicinissimi a casa, ci permettono di
comprare a qualsiasi ora qualsiasi cosa e quando ci occorre ; non abbiamo il rito della spesa ,
cioè il giorno o un orario fisso .
Quando vado al supermercato con mia figlia mi diverto perché lei ha un percorso fisso , non
tralascia un corridoio , sa trovare i prodotti , si lascia attrarre da mille tentazioni , con lei il
carrello si riempie di tante cose diverse .
Io invece uso il cestino,compro sempre le stesse cose , seguo le offerte e leggo diligentemente
le etichette .
Il nostro frigorifero non è mai pieno , non facciamo uso di prodotti pronti surgelati, il
congelatore contiene qualche pezzo di carne acquistata in campagna da persone di fiducia o i
sughi pronti di mia suocera .
Nessuno di noi pranza a casa e spesso il fine settimana siamo in montagna con parenti e amici
.
Alla bottega “sotto casa “ ricorriamo per piccoli acquisti , quando non abbiamo voglia o
tempo di cucinare o , più spesso , quando il frigo è vuoto .
Abbiamo la fortuna di avere un fruttivendolo di fiducia che cucina in luogo cibi pronti
( primi , carne , verdure ) di ottima qualità anche se a prezzi alti , ma la comodità si paga . Io
personalmente detesto andarci , non per gli alimenti , ma perché ho sempre fretta e non mi va
di chiacchierare , tantomeno di spettegolare., a me sembra più un luogo per ritrovarsi e
intrecciare relazioni , il che va bene , ma non per me .
Nella scelta dei prodotti io seguo le mie abitudini , non sono mai attratta dalla pubblicità , ma
da quello che ho sperimentato essere il sapore giusto per me ( soffro se non ho in casa quella
marca di tarallini che uso quando ho fame al posto del pane o quei biscotti per la colazione
che mi fanno iniziare bene la giornata ) .
Mio marito , che è il cuoco di casa , acquista gli ingredienti base necessari per i suoi piatti , o
riesce a cucinare con ciò che c’è in frigo e in poco tempo , è un creativo .
E’ una dote che gli riconosco , ma che non gli invidio , visto che per me il tempo tra i fornelli
è tempo sprecato .

62
Mi piace però la domenica mattina svegliarmi ( tardissimo ) sentendolo fischiettare o cantare
accompagnato dal suono di acqua che scorre , pentole , piatti , posate che si scontrano o
incontrano , il tutto inebriato da profumi .
E ancor più mi piace sedermi a tavola e mangiare cibi nuovi che riescono sempre benissimo e
vedere la sua soddisfazione dato che poi lui assaggia soltanto , già sazio di quanto ha fatto .
Ancora una volta sono grata a chi cucina per me , dato che nella mia adolescenza non c’ è
stato chi l’ha fatto , tranne che in rare occasioni .
b) “Le rare occasioni”. Ho già scritto dl mio rapporto col cibo in famiglia nella mia infanzia e
adolescenza. Quella era la quotidianità ma, riflettendo. Ho riportato alla memoria le occasioni
speciali. Mia madre cucinava solo quando venivano i parenti e delle sue ricette, legate credo
alla sua origine toscana e precisamente casentinese, unita alla cucina romana, ricordo le
tagliatelle fatte in casa, gli gnocchi, i grandi tortelli di patate fritti e in forno, ciambellone
variegato al cioccolato. Tutte queste ricette le ha riproposte quando mia figlia è cresciuta e si è
resa conto che io non sapevo fare proprio niente, ma ormai era troppo tardi.
Altri ricordi sono legati, sempre durante le feste, agli inviti dei parenti in trattorie romane
dove gli odori erano veramente forti, i rumori fatti di chiacchiere in dialetto, musica e canti,
che si sovrapponevano alla caciara di noi bambini. Quali sapori? Naturalmente amatriciana,
abbacchio, trippa e fritto di tutti i tipi. Quindi il mio cibo quotidiano piuttosto scombinato e
povero contrastava con queste abbuffate ricche di allegria e di amici.

12.
Vivo a Firenze insieme a mio marito (Marco, nato a Milano) e ai nostri due figli: Silvia e
Claudio Anni fa mi sentivo più libera e più spregiudicata per quanto riguarda il cibo; ancora
non avevo figli.
Sono sempre stata una sregolata in fatto di cibo. Mi é sempre piaciuto mangiare, o meglio fare
cento assaggini al giorno e puntare anche sui dolci.
Oggi, come dicevo, la presenza di Silvia e Claudio mi influenza. Mi preoccupa la
responsabilità genitoriale in fatto di scelte alimentari (più me poiché mio marito é stato
"addestrato" da una famiglia molto attenta alle regole alimentari).
In casa nostra facciamo la spesa io e Marco almeno 2 volte a settimana (al sabato
sicuramente).
Non facciamo nessuna lista e spesso io mi lascio prendere da furori di acquisto; in questo caso
compro cose (gratificanti!!!!) che non servono o fanno male (cioccolata, dolci).
Non stiamo attenti a nessuna promozione anzi a dire la verità, io dal comportamento così poco
razionale, sto lontana dalle promozioni (credo sempre che la logica che sta dietro mi piace
poco!).
Generalmente andiamo al supermercato Esselunga che é vicino a casa e, quando la spesa la
faccio io seguo, in un primo momento, un percorso automatico che mi porta all' acquisto e
scelta di cibi standard (latte, uova, carne, pastaŠ), solo successivamente mi lascio andare agli
acquisti più emotivi, passionaliŠ
Sto attenta alle etichette: scadenze, ingredienti, conservanti, colorantiŠ.
Spesso agisco un comportamento irrazionale, emotivo, da adolescente nel fare la spesa.
Mi riempiono di felicità alcuni alimenti e già nel far la spesa pregusto, a livello di fantasia, il
piatto cucinato e anche la felicità dei miei familiari.
Mi piace molto cucinare! Ci spostiamo in macchina infatti quando la spesa é poca sono
quattro i sacchettoni (più le due confezioni di acqua minerale) questo rende impossibile lo
spostamento a piedi!
Generalmente sto molto attenta alle code alle varie casse. Quando annunciano che una nuova
cassa sta aprendo sono la prima che taglia il traguardo tanta é la fretta che ho sempre. Sempre.

Talvolta faccio la spesa in un negozio di alimentari in fondo alla strada ma molto di rado.

63
Ritengo di essermi abituata alla distanza per quanto riguarda le relazioni che intrattengo
quando faccio la spesa; per cui quando vado in bottega e il bottegaio mi fa domande troppo
personali, magari con la migliore delle intenzioni, mi infastidisco e provo un senso di
diffidenza.
Le mie ricette sono semplici, se si esludono i miei momenti di perversioni alimentari ed
eccessi, cose poco elaborate (faccio perfino le braciole fritte in forno per non usare olio di
semi).
Spesso mangiamo un piatto unico ma in questo caso devo trovare qualcosa che piaccia anche
ai bambini altrimenti resterebbero senza mangiare.
Cucino quasi sempre io anche se mio marito mi aiuta al cinquanta per cento nelle pulizie e
nella gestione della casa. Provo un piacere molto forte a preparare il cibo.
Ho un rapporto particolare (elettivo) con il cibo. Non é solo salute, non é solo alimentazione
Se setaccio i miei ricordi, ad esempio quelli che riguardano l' infanzia in fatto di cibo, posso
solo constatare che essi sono intrecciati ad affetti, relazioni, incontri, piaceri, dispiaceri.
Nella mia storia alimentare esiste un complesso gioco di sensazioni, emozioni, sentimenti
molto intensi e messaggi tra chi nel tempo, in casa mia, preparava i cibi e chi li consumava.
Il cibo ha per me un significato fatto di simboli, di segni, ciascuno ha una particolare
risonanza interiore: caldo per me é tenerezza, calore; dolce é affetto qualcosa che riempie, che
scalda, che rassicura.
Sono tanti gli alimenti che sanno darmi un senso di gioia, di allegria, di festa.
Ognuno crea un suo linguaggio alimentare privato personale. Io ho modificato il mio
linguaggio più volte sia col passare del tempo ma anche a seconda del mio vissuto.
Il cibo non solo definisce, prepara l' identità personale e culturale di ciascuno di noi, ma
spesso diventa veicolo per conoscere e apprezzare i gusti, le abitudini e le tradizioni di chi ci
sta accanto.
L'arte della cucina è un modo per conversare, incontrarsi, farsi conoscere, comprendere le
diversità dell' altro e valorizzare le nostre differenze.

13.
Quando vado a fare la spesa mi piace avere tempo.
Se so di avere poco tempo compro solo quello che mi manca e che considero urgente o
indispensabile. Solitamente le cose urgenti sono rappresentate da cibi o preparati per le mie
bimbe. Questi mutano nel tempo. Ora sono i succhi di frutta, possibilmente biologici, nel
brick con cannuccia, perché sono in grado di berne uno per uno senza doverglielo travasare
nel bibe. Mentre prima preferivo la confezione grande di vetro perché era più conveniente e
poi potevo scegliere volta volta la dose adatta.
Prima ero sempre a comprare pannolini e a cercare le offerte visto che inizialmente mi
andavano via in pannolini anche trecentomila lire al mese tra pannolini e salviettine. Ricordo
che ho due gemelline. Insomma le mie cose urgenti sono in rapporto a loro: latte, yogurt,
pastina, biscotti da sciogliere nel latte etc. Poi sarebbe urgente anche il pane e il vino, questo
soprattutto per mio marito che senza pane toscano si innervosisce subito, io mi accontento o
mi adatto anche al pane in cassetta o a altri tipi, lui no e quindi il pane non deve mai mancare.
Anche il vino dovrebbe essere uguale, ma comprandone sempre una piccola scorta, a volte mi
capita di dimenticarmene di controllare se sia finito e, a volte, il fatto che me ne dimenticassi
è stato anche fonte di discussione con lui, tanto che, quando gli capita di andare a lui a fare la
spesa ne compra sempre uno o due brick anche se io non glielo dico. Tanto sa che a casa
nostra il vino non abbonda mai.
Il vino quotidiano è quello da tavola puro, tipo Tavernello, Castellino e in brick che considero
più comodo per il trasporto. Questa scelta del vino non è casuale. A me piace solo il vino
buono di qualità, però di questo mi capita di berne circa due bicchieri a pasto e, non essendo
abituata, spesso ciò mi appesantisce la digestione e mi da sonnolenza, così compro vino

64
scadente per tutti i giorni che io non lo bevo quasi mai, e solo nelle cene con menù particolari
compro il vino che più ci piace, bianco o nero a seconda del menù solitamente chianti,
lambrusco (forse per le mie origini piemontesi) o vini sardi quando cucino il pesce.
Però devo ammettere che spesso in fatto di vini cerco prima tra quelli in offerta a metà prezzo.
Infatti all’Esselunga sempre ci sono vini in offerta e quindi finisco sempre per provare vini
nuovi e quasi mai della stessa marca. Il prezzo medio a metà prezzo in euro è di circa 3- 4
euro e raramente mi faccio tentare da vini di prezzo superiore. Questo discorso sul vino
facilmente si adatta al mio modo di fare la spesa. Solo poche marche per me sono
irrinunciabili e spesso appena posso rompo la dipendenza con queste.
Come per i pannolini rigorosamente Pampers per circa 3 anni, per motivi di allergia, quando
poi le mie bimbe hanno iniziato ad usarne meno mi sono permessa di cambiare marca
soprattutto quando non riuscivo a trovare la loro misura nella pampers o quando c’erano delle
promozioni.
Il latte per i primi anni è stato rigorosamente bio e di quella marca, gli yogurt anche… sempre
per motivi di prevenzione di allergie o comunque di reazioni alimentari strane.
Poi piano piano mi sono potuta permettere più libertà di scelta.
Però per fare la spesa mi occorre almeno un’ora. Entro ovviamente come tutti dal reparto
frutta e ne faccio solitamente una bella scorpacciata specialmente ora che ho il frigo nuovo e
che i miei problemi di conservazione sono risolti. Quindi almeno tre verdure da cuocere,
sempre inverno e estate e l’insalata, d’inverno mi piace l’aicberg perché è croccante, d’estate
più le insalatine fresce e morbide.
Poi frutta solitamente vado su quella di stagione, raramente esotica e poche banane causa
sempre allergie e dieta.
Poi formaggi, poi latte e scatolette pomodoro e fagioli…. Poi inizio a lasciare il carrello in
fondo ad una corsia, a percorrerla e a riportare al carrello quanto trovato. Infatti non
facendomi la lista della spesa cerco in questo modo di non dimenticarmi niente, cosa alquanto
rara. Poi c’è la gastronomia a volte compro diverse cose a volte niente a seconda della mia
organizzazione delle varie cene e del mio tempo. Infatti ricorro agli affettati solo quando non
posso cucinare. In questo caso non guardo molto alle promozioni e punto sulla qualità più per
la salute che non per il gusto.
Poi arrivo alla carne sempre difficile da comprare… alcuni tagli non saprei come cucinarli e
quindi mi scoraggio, come per il pesce del resto. Mi piacerebbe imparare a cucinare un po’ di
tutto per avere una dieta varia ma finisco per comprare sempre più o meno gli stessi tagli e
quindi fettine rosetta spezzatino di vitella a volte se ho voglia di qualcosa di particolare tipo
trippa o fegato di maiale cotto nella rete (una delle mie voglie anche quando ero in cinta) mi
capita di compralo e poi di passarlo ancora confezionato a mia madre per farglielo cucinare
per tutta la famiglia allargata. Occasione poi di cene insieme.
Anche le mie bimbe se volevano mangiare coniglio o agnello dovevano aspettare la loro
nonna Graziella che glielo comprasse e cucinasse perché soprattutto per l’agnello non mi
riusciva mai di decidermi su che pezzo fosse più adatto.
Ora lo mangiano raramente.
Come mangiano raramente legumi cosa che il prossimo inverno mi sono ripromessa di
inserire nuovamente nella loro e nostra dieta anche perché le zuppe le saprei cucinare, ma ora
lavorando diventa più difficile avere il tempo o la voglia di organizzarsi la sera per preparare
una bella zuppettina di farro o simili.
Poi che dire, raramente mi lascio tentare da cose dolci, da surgelati già pronti, anche se in un
periodo li ho provati, ma rimaneva sempre la sensazione di non aver mangiato cose sane e di
non aver cucinato in senso tradizionale cosa che mi dava l’idea di trascurare i miei cari e me
stessa e la mia dieta e anche un po’ il portafoglio vista la non totale convenienza di questi
prodotti. Ora tendo a comprare carne macinata in abbondanza e prepararmi polpette da
surgelare pronte per l’uso e quindi comode per risolvere cene veloci, Poi preparo sughi e ragù

65
per congelare pronti sempre per la pasta. Insomma nel mio piccolo e nella mia incapacità
cerco di tenere pronte delle pietanze come crepes agli spinaci, verdure cotte etc.
Il congelatore è sempre più pieno del frigo.
Che altro dire. Anche i biscotti li compro di quelli da latte così evito di mangiarne uno dopo
l’altro e mai compro quelli con cioccolato o altro.
Mio marito invece quando va a fare la spesa giornaliera mi torna a casa sempre con qualcosa
di sfizioso e inutile ma io cerco di evitare. Magari mi faccio tentare da un formaggio
particolare da una verdura ma non da dolci bevande gassate etc.
A conclusione vorrei aggiungere che leggo sempre tutte le etichette, evito cibi con mais
modificato o altro, evito i coloranti e l’offerta per me è appetibile solo se l’etichetta è
all’altezza. Per questo non vado nei discount anche se riconosco che si risparmi un po’ ma
secondo me a scapito della qualità. Infatti vi trovi prodotti a basso costo solo se di qualità
inferiore, per quanto riguarda quelli delle solite marche che trovi negli altri punti vendita
costano più o meno uguali, fatta eccezione per i dolci e i biscotti che nei discount si trovano di
buoni e particolari a prezzi ragionevoli.
Preferirei magiare bio, ma non sempre è possibile causa prezzi.
Quindi scelgo la via di mezzo che all’esselunga è rappresentata da NATURAMA e alla coop
dai prodotti coop.
Per quanto riguarda le offerte per fare le grandi scorte solitamente le evito perché non mi
piace questo induzione al consumismo obbligato, anche perché trovi sempre le cose in offerta
e quindi è inutile comprare tre bottiglie di bagnoSchiuma e tenerle lì tre mesi o più… niente
… mi piace comprare quello che mi serve quasi subito evitando scorte eccessive.
Insomma una gran fatica fare la spesa ed essere soddisfatta di ciò che uno compra.

14.
Rispetto alla domanda “La produzione del cibo in ambito domestico, ……….” vivo da sola di
conseguenza il ruolo è ricoperto esclusivamente da me.
Mentre per quando riguarda la domanda successiva “I luoghi e i tempi della spesa”
Raramente vado al supermercato e quando ci vado prediligo la Coop e l’Esselunga anche per
la vicinanza a casa mia. Il più delle volte vado al mercato e prediligo quindi la spesa al
dettaglio e la relazione con i commercianti.
Alcuni alimenti come il pane ed il latte li acquisto giornalmente, mentre la frutta, le verdure, i
formaggi o la carne ogni due o tre giorni. Questo dipende anche da quando sono a casa perché
la tipologia del mio lavoro mi porta a mancare, qualche volta, durante la settimana.
La mia attenzione è rivolta a quelle marche che mi garantiscono un minimo di serietà, spesso
acquisto generi che fanno parte della gamma equo-solidale, e consumo prodotti biologici, ma
non la carne perché il colore, purtroppo, influenza la mia scelta ed ogni volta che ho provato a
comprarla ho rimesso al suo posto la confezione.
La conservazione e la quantità
Oltre al frigo amo utilizzare il congelatore, per esempio se ho esagerato nella quantità (ogni
tanto mi capita, perché l’occhio ha più fame dello stomaco) allora conservo non mi piace
buttare via, lo considero poco rispettoso in genere.
Lo scambio ed il dono avvengono solitamente quando tra persone amiche ci si invita a cena
ed in queste occasioni ognuno porta qualcosa che sa che piace. Se cucino qualcosa per me e
so che piace particolarmente anche a qualche mia amica, allora eccedo nella quantità in modo
da poterne portare un po’ a chi è goloso/a come me, di quel tipo di alimento.
Mi ritengo attiva nella scelta in genere, forse perché essendo una buona forchetta mi piace
cucinare ed essere responsabile della mia alimentazione (questo nel bene e nel male, sono
golosa e prediligo il salato).

15.

66
Io provengo da una famiglia di contadini e così i miei genitori. Il mio bisnonno paterno era
“nocentino”, oltre a lui non posso sapere altro, sua moglie e così i miei bisnonni materni erano
nati in paesi del Mugello fiorentino.
Abbiamo fatto il mestiere di contadini fino al 1964 anno in cui , il mio bisnonno Gianni ela
mia nonna Rosa, i genitori di mio padre con i quali abbiamo convissuto fino al giorno della
loro morte, erano ormai vecchi per collaborare sia ai lavori della terra che a quelli domestici.
Così mio padre decise di passare alla vita di operaio alle dipendenze della fattoria. Nel 1971 ci
siamo trasferiti a Firenze, nel 1974 mi sono sposata e nel 1975 sono diventata madre di
Alessio.
Sono nata non molti anni dopo la guerra e i ricordi legati a questo infausto tempo aleggiavano
ancora tristemente nella nostra casa. Mio padre era stato un soldato della campagna di Russia
e, come racconta lui, durante la ritirata aveva fatto 1500 chilometri a piedi per poter tornare
dalla sua famiglia. Le sue gambe, ancora oggi, portano tutto il peso di quel lungo cammino
fatto nel gelo delle pianure russe comprese tra il fiume Don ed il Dnieper.
Per tutto il periodo della guerra i m9iei genitori, come molti altri compaesani del resto,
avevano mangiato tanta polenta, pane di patate, cipolle e poco altro.
Durante gli anni ’50 e fino a che non abbiamo lasciato la vita di contadini era la mia nonna
Rosa che pensava alla cucina e che pensava all’allevamento mio e di mio fratello, più grande
di me di cinque anni. La mia mamma aiutava mio padre nal lavoro dei campi, il mio nonno
accudiva il bestiame e coltivava l’orto.
Sulla nostra tavola c’erano sempre cibi legati ai campi e all’orto, agli alberi da frutto, agli
animali della stalla e dell’aia.
Attraverso i prodotti della terra avevamo garantito l’uso dei cereali (grano, orzo, granturco,
patate), dei legumi (soprattutto fagioli e piselli, sulla nostra tavola non comparivano ceci ne
lenticchie) e della verdura (zucchine, porri, cipolle, insalata, cavolo cappuccio e fiore,
carciofi, sedano, pomodori sammarsani e a “bubbolo”- ogni estate venivano raccolti in collane
e appesi come trofei raggianti al soffitto del granaio di casa pronti per insaporire i brodi di
carne nei lunghi inverni di allora - cetrioli, fagiolini verdi, cardi) . Dell’orto, in estate,
mangiavamo anche dei saporitissimi meloni ( che mio nonno chiamava poponi) e cocomeri.
Quando questi due frutti avevano un sapore veramente straordinario mio nonno nr conservava
i semi che metteva a seccare, accuratamente sistemati sopra un foglio di carta gialla, sul
davanzale della finestra di cucina: li il sole ci batteva bene e il processo di essiccazione
sarebbe stato dei migliori!
Dagli animali dell’aia ci venivano garantite le uova fresche – non c’è che dire! – e della
ottima carne bianca (conigli, galline,paperi, anatre mute, polli, tacchini e folaghe). Nella
piccionaia c’era sempre battito di ali e un gran tubare; sulla qualità dell’arrosto di piccioni
lascio le considerazioni a chi è amante di questi volatili!
La stalla ci forniva latte fresco ogni mattina ma di carne rossa ne mangiavamo poca era troppo
costosa per le nostre tasche di contadini. Di solito il lesso compariva sulla nostra tavola la
domenica e serviva per fare il brodo per i tagliolini che confezionava lal mia nonna con
l’avanzo della pasta fatta in casa, oppure si mangiava con la grandinino o con i capellini. Più
tardi, dopo gli anni ’60, avevamo l’occasione di mangiare la bistecca, quando, durante il fine
settimana, veniva a trovarci la sorella maggiore di mio padre che aveva migliorato le sue
risorse finanziarie sposandosi con un fiorentino proprietario di un’ impresa d’imbianchini.
Durante la stagione invernale ed autunnale sulla nostra tavola compariva la cacciagione
(soprattutto fagiani e lepri) perché mio padre era appassionato di caccia ed era molto bravo sia
come cacciatore che come allevatore di cani da punta.
Il nostro menù era arricchito dai formaggi che nonna Rosa confezionava con le sue abili mani
e con il latte delle mucche: ricotta, raveggiolo, caciotte fresche e stagionate. Non ci mancava
nemmeno il burro alla cui preparazione partecipavamo anche io e mio fratello. La nonna
prendeva la panna del latte appena munto e la trasferiva in una bottiglia di vetro. Si trattava

67
poi di scuotere la bottiglia fino a che la panna si addensava il una crema soffice che veniva
conservata nell’acqua dentro una “chicchera” di smalto sistemata al fresco della cantina.
La mia mamma pensava ai dolci: la pasta reale ripiena di crema, ricoperta di cioccolata e
guarnita con paline colorate e color argento ( di solito la mangiavamo a Natale), le pesche
(dolce tradizionale della Pasqua) che erano delle palline di pasta frolla riempite di crema e
cioccolata e poi passate nell’alchermis e nello zucchero – quando ancora oggile mie zie le
confezionano non posso smettere di mangiarle fino a che non sono finite – la ciambella ( un
semplice dolce che confezionava ogni volta che le galline erano state generose con le uova!) e
i biscotti di tutte le forme, a fiore, a cuore, a stella…, sui quali sistemava canditi rossi, verdi e
gialli, oppure noci o mandorle tritate.
I miei ricordi sul cibo dei primi dieci anni della mia vita mi legano a questi dolci e ai tortelli
di patate che cucinava la mia nonna. Non amo e non ho mai amato la cacciagione e alla carne,
bianca o rossa che sia, ormai preferisco le verdure e i legumi. Come si legge da queste righe
non sono stata abituata a mangiare pesce, mi sforzo di cucinarlo ma preferisco lasciarlo
mangiare ai miei familiari. Non riesco ad abbandonare i formaggi, anche se un’intolleranza ai
latticini me li vieterebbe, ho smesso invece di bere latte e lo ho fatto dopo che la mia mamma
è morta: oramai il legame primordiale con lei era stato tagliato dalla natura stessa così come
era stato avviato.
Con il passaggio dalla vita di contadini a quella di operai, la mia mamma cominciò a cucinare,
la ninnasi era ammalata e in casa faceva più poco. Continuò le sue tradizioni culinarie ma
arricchì il nostro menù giornaliero imparando nuove ricette dalla sorella maggiore che era una
bravissima cuoca. Comparvero sulla nostra tavola le lasagne, le crespelle, e i dolci più
raffinati. Continuarono le marmellate e una grande nostalgia mi invade quando ripenso a
quella di fichi! Con il trasferimento in città molti sapori tradizionali rimasero nella Valle del
Mugello.
Il calendario settimanale e la produzione di cibo in ambito domestico
Nella casa in campagna non c’è mai stato l’uso di un calendario settimanale: quello che ci
offrivano la terra e l’aia era quello che si mangiava. Si è venuto manifestando qualcosa di
simile con la vita di città. La mia mamma faceva la spesa, prima, al mercato di S. Lorenzo e
poi alla Coop una volta alla settimana. E credo che questo tipo di rifornimento la
condizionasse soprattutto in relazione alla conservazione dei prodotti acquistati e perciò alle
volte era un po ripetitiva.
Io ho cominciato a cucinare dopo che mi sono sposata: ero un disastro perché la mia mamma
non mi aveva insegnato. Mi aveva sempre chiesto la collaborazione nella pulizia della casa
ma intorno ai fornelli non mi aveva mai chiamato.
Mi sono arrangiata e col passare degli anni ho cercato di migliorare il mio modo di cucinare
anche se preparare il pranzo e la cena non è certo una cosa che faccio con piacere.
In altri momenti della nostra vita di coppia anche mio marito ha cucinato e da bravo
napoletano lo sformato di melanzane alla parmigiana e l’impepata di cozze sono il suo forte!
Con la frequenza all’università fuori della Toscana anche mio figlio aveva cominciato a
provvedere a se stesso e, con il rientro a casa dopo la laurea, anche a noi. Uno strano modo di
cucinare ama sicuramente creativo.
Non c’è un calendario settimanale in casa mia, anzi per non annoiarmi in cucina cerco di
variare: quello che compare sulla tavola è sempre una sorpresa a volte saporita e buona altre
volte…una schifezza!
La storia della mia famiglia è fatta di cicli in cui membri (io, mio marito e mio figlio) per
varie circostanze sono stati più o meno presenti in casa per cui anche le forme di
collaborazione si sono alternate e cambiate nel tempo. Per questo non ci sono ruoli ben
definiti anche se io ho rivestito, con più continuità, il ruolo principale e di coordinamento
delle varie azioni.

68
I luoghi e i tempi della spesa
Faccio la spesa ai supermercati che cambio spesso per farmi venire idee nuove e la faccio in
tutte le ore della giornata, devo dire che l’orario continuato e prolungato anche fino alle 21 per
me è una grande comodità. Quando gli orari del suo lavoro glielo permettevano, anche mio
marito faceva la spesa.
Compro quasi sempre cibi freschi, non ho il congelatore per cui se acquisto surgelati so che li
devo cucinare in giornata. Faccio attenzione alle date di confezionamento e di scadenza del
prodotto, alla provenienza, agli additivi.
Se faccio la spesa alla Coop scelgo anche prodotti con quel marchio, ho constatato che sono di
qualità.Acquisto ciò che ho voglia di cucinare. Purtroppo faccio poca attenzione ai prezzi!
Seguo pochissimo le offerte se non quando nella varietà ci sono cose che mi mancano o che
mi necessitano.
Cucino quotidianamente, non mi piace riciclare e mettere sulla tavola due volte di seguito la
stessa pietanza. Questo modo di fare mi porta, per il mio giudizio troppo spesso, a dover
buttare via gli alimenti avanzati.
Generalmente faccio una spesa, al massimo, per un paio di giorni perché il rischio è quello di
comprare alimenti che poi non ho voglia di cucinare! Il peso dei prodotti è sempre basso, ho
fatto questa scelta per evitare lo spreco. Se per caso arrivano a cena ospiti inaspettati
dobbiamo integrare con la “pizza express”. Insomma il nostro frigorifero non è mai pieno!

16.
Nel mio primo tentativo di un menù della mia vita mi sono sentita molto orfana di di una
storia culinaria e poi , cercando di ripercorrere la mia vita di consumatrice , mi sono trovata a
pensare tanto a Vanda, la mia grande insegnante di vita, una mamma scelta più che ritrovata,
una mamma trovata in cerca di mamme.
Vanda era era una vecchissima amica di mio padre, in tutti i sensi, lei era del 1908, lui del 9 e
quando lui morì nel ’73, ha vegliato a modo suo su di me fino alla sua morte, avvenuta nel
1999.
Compagna e musa del filosofo indiano Krishnamurti, è stata con lui allieva di un famoso
maestro di yoga indiano chiamato Iyengar che conobbe quando quest’ultimo venne inviato da
Yehudi Menhuin, in Svizzera, dove lei trascorreva le vacanze.
Nata in una famiglia di intellettuali e musicisti che ha fondato gli Amici della Musica a
Firenze, lei stessa musicista, è stata una grande insegnante di yoga, più conosciuta all’estero
che in Italia, come spesso succede.
Mi è stata molto vicina nella comprensione e accettazione della schizofrenia di un fratello
carissimo. Ne parlo perché non è fuoritema in questo contesto: c’è un gruppo di studiosi di
tutto rispetto che mi manda una newsletter con gli aggiornamenti sui risultati degli studi sul
rapporto tra il cibo e la schizofrenia, con ricette e consigli alimentari. Questo nesso tra cibo e
schizofrenia mi sembra rilevante soprattutto in questo drammatico momentino di schizofrenia
collettiva.
Soffro in modo molto più leggero le intolleranze alimentari,e , curandomi, ho imparato a dare
molta importanza alla provenienza, qualità e tipo di cibo di cui mi nutro. Vanda è stata la
prima a cercare di insegnarmi qualcosa sul cibo e l’ energia vitale. Purtroppo sono una sua
allieva molto indisciplinata e, proprio per questa incostanza, soffro ancora di intolleranze ai
latticini e ai pomodori, tra gli ingredienti fondamentali del suo menù.
Per una gran parte della mia vita di adulta sono stata una commensale prevista al pranzo della
domenica, nella piccola e austera casa colonica in mezzo agli ulivi sopra Fiesole. Ho goduto e
sprecato questo privilegio a seconda degli alti e bassi della mia vita e della mia irrequietezza.
Con l’andare degli anni mi accorgo che tutti i suoi insegnamenti riaffiorano sempre nei
momenti di difficoltà e quando perdo la strada lei è sempre un punto di riferimento da cui
ripartire.

69
Oggi stavo sfogliando un suo libricino straordinario, il suo testamento spirituale, intitolato “Il
risveglio della spina dorsale”, e accanto a una foto della statua della libertà imbrigliata da una
impalcatura a griglie fitte, ho letto una frase che mi ha riportato al nostro tema. “lo yoga…è
un processo vivente che muta di momento in momento. Dobbiamo mantenere il contatto
giorno e notte, sentirlo in ogni momento della nostra esistenza: facendo attenzione a quando
mangiamo,cosa mangiamo, quando camminiamo, come camminiamo, cosa diciamo, come lo
diciamo.”
Sono stata in dubbio se tradurla perché le sue parole, fuori contesto, possono sembrare banali
nella loro semplicità.
Questo pomeriggio mi sono anche messa a rileggere alcune delle sue ricette raccolte da sua
figlia in un libro pubblicato in inglese il cui titolo si può tradurre grossomodo “Cucinare con
un giardino italiano”. Quasi tutte provengono dalla tavola di Vanda e mi sono immersa nei
ricordi dei sapori e delle sensazioni di allora, nel sole di quei pomeriggi, nel calore del fuoco
del caminetto. Verso le facce indistinte e semidimenticate di intellettuali,medici, vegetariani,
steineriani, attori, architetti e persone che, come me, le volevano semplicemente bene.
E lei, minuta, che mi si avvicina all’improvviso e mi metteva in mano una noce sgusciata o mi
porgeva un gelato fatto in casa, con la frutta colta in giardino.
“Mangia, mangia, ecco, mettiti al sole” e, mentre mi spingeva verso una luminosa finestra
aperta “respira, ricordati di respirare”.
Nella stanza raccolta, accanto alla cucina, la domenica, c’era una grande tavola su cui erano
posati una abbondanza di piattoni pieni di ogni bendiddio. C’era sempre qualcosa in più per
l’ospite che si aggiungeva all’ultimo momento eppure, prima o poi, veniva mangiato tutto.
Vanda era vegetariana e mi ricordo una profusione di verdure, sempre quelle di stagione, che
provenivano dal suo orto sapiente e generoso.
Sul tavolo c’era sempre una bottiglia di olio d’oliva curato con grande attenzione verso
l’agricoltura biologica da suo figlio Alberto, grande amico di mio fratello, prima e dopo la
malattia, anche lui quasi fratello e anche lui ormai scomparso.
Il vino era scarso e semplice, per gli incalliti. Il caffè e le sigarette erano tacitamente proibite.
Io scappavo a fumare dietro un ulivo e Vanda mi perdonava.

DAI MENU DI VANDA, LA MIA MAMMA ALIMENTARE E NON SOLO


(alcune ricette sono anche di Alberto)
PRIMI:
ravioli con spinaci
cannelloni alla napoletana
lasagne alla fiesolana e lasagne con le melanzane
pomodori ripieni di riso
gnocchi di farina o polenta al forno o di semolino alla romana
pasticcio verde alla mozzarella con spinaci
rotolo verde (pasta fatta in casa ripieni di spinaci e ricotta)
pasta con melanzane al forno
panzanella
pasta fredda col pomodoro
SECONDI:
sformati di verdure e formaggi
crostate di cipolle e di erbette (prezzemolo e basilico)
torte di bietola, di carciofi, di melanzane
polpettone di spinaci
MISTI (ne primi, ne secondi, ne contorni):
stufato di cipolle
cipolle al forno

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sformato di patate al formaggio
CONTORNI:
spinaci con salsa e formaggio gratinati
carciofi gratinati
fagiolini stufati
zucchini al forno
fiori fritti
insalatone, con patate e carciofi, di riso
DOLCI:
gelato di fragole, di pesche, di arance e di banane
torta di ricotta
zuppa inglese
schiacciata con gli zibibbi
crostata di pesche, di fichi e pinoli, d’uva

17.
1) L’organizzazione domestica per quanto riguarda la preparazione e la produzione è legata
al tempo libero disponibile. Il nucleo familiare è il seguente: Fabio – Giulietta – Marco, di
tredici anni. In questo periodo sono disoccupato, quindi mi occupo dei pranzi per me e Marco
(Giulietta è a scuola) mentre la sera siamo tutti insieme e ci dividiamo i compiti. A volte
quando manco io, Giulietta si occupa dei pranzi per Marco. A volte ancora, lasciamo a Marco
delle cose semplici da prepararsi (cucinarsi un pastasciutta) perché manchiamo entrambi.
2) Il quotidiano e il festivo: in genere non operiamo una grande distinzione, se non per la
preparazione di un piatto in occasioni particolari (come il Natale o altro): le lasagne, la
crostata di pere, la casetta di cioccolato.
3) Mutamenti nell’orientamento al consumo: siamo attenti al consumo dei cosiddetti prodotti
“biologici”, acquistiamo prodotti con il marchio “bio” o non geneticamente modificato
(OGM); ogni tanto ci rechiamo al supermercato del biologico, non compriamo prodotti di
multinazionali che non adottano un comportamento etico nella produzione e realizzazione dei
loro prodotti.
4) Analisi dei nuovi sistemi distributivi: in genere ci rechiamo al supermercato, ma
frequentiamo anche la bottega sotto casa, per i piccoli bisogni più che altro, dove si
scambiano volentieri quattro chiacchiere. Il contante è in genere la modalità di pagamento più
usata, qualche volta il bancomat.
5) Consumi non alimentari: dallo shopping, all’attrazione verso le nuove tecnologie. Io sono
molto attratto verso le nuove tecnologie, e faccio acquisti di tipo non alimentare (in genere hi-
fi, video, ecc.) su internet.
6) L’attenzione verso le risorse naturali: lo smaltimento dei rifiuti e la raccolta differenziata
mi trova molto attento ( raccolgo carta, plastica, vetro); c’è la giusta attenzione ai consumi
energetici.
7) Il risparmio non è il mio primo modo di acquistare e di consumare, anche perché per
esempio l’acquisto di prodotti “bio” comporta una spesa maggiore. Magari cerco una
compensazione di risparmio su prodotti non alimentari meno cari.
8) Etnografia della spesa
a) In genere la spesa la facciamo in coppia, a volte mi reco da solo perché ho più
tempo a disposizione. Della lista della spesa spesso la compilo io, e da parte mia c’è
attenzione verso le raccolte punti.
b) La frequenza è una volta ogni 2-3 giorni, con l’auto.
c) Il percorso che compio al supermercato è abbastanza razionale: comincio dal
reparto in cui mi trovo, anche se a volte dimentico qualcosa e allora faccio il classico vai e
vieni; l’usa del banco macelleria-gastronomia è quasi inesistente, mentre c’è un uso non

71
continuo del banco pesce. In genere il mio stile è abbastanza veloce, non mi soffermo sui
prodotti, perché in genere so ciò che devo comprare, o l’ho già comprato altre volte; acquisto
l’essenziale.
d) La spesa nei piccoli negozi è limitata all’acquisto (pane.verdura) di quei prodotti
che mancano momentaneamente in casa.
e) La scelta dei prodotti è motivata quasi esclusivamente dall’acquisto dei prodotti
“bio”, non a sconti o ad offerte, e in maniera molto limitata ai punti. L’uso delle borse di
plastica riutilizzabili è il mezzo più usato per la spesa.
f) A volte l’acquisto come “atto d’amore” o “sfizio” mi fa acquistare lo spumante o
un dolce per festeggiare, o qualche altro prodotto apprezzato in famiglia (marmellate bio,
cioccolata bio..)
g) In genere ci dividiamo i compiti, nella spesa quando abbiamo fretta.
h) Giulietta è più attenta di me all’acquisto dei prodotti “bio” e naturali, acquista
meno carne, a cui preferisce il pesce, più verdure e cereali, io acquisto più frutta.
i) Non ho mai prestato abbastanza attenzione alla spesa degli altri; ho notato che
molta gente non ama servirsi troppo di nuove tecnologie per la cassa veloce (l’auto lettura con
lo scanner)
Ci sono dei piatti che a casa nostra sono diventati degli “standard” o meglio delle vere e
proprie istituzioni, quando si tratta di fare una cena con gli amici e parenti, quali la crostata di
pere o la torta salata di verdure, ma ci sono anche “menu” costruiti ad hoc per occasioni
particolari: per un incontro con amici che non si possono vedere spesso, o anche con fratelli
lontani: ecco allora cene alla vecchia casa di campagna con l’uso del focolare, la bistecca alla
brace, bagnata da un buon chianti, i calamari in umido con i carciofi e polenta, con un buon
vino bianco, la torta salata con le verdure e la provola affumicata, il risotto col cavolo nero,
patate funghi e pancetta, i tris di dolci per il maestro di musica, le “bruciate” nella padella
bucata davanti al focolare, il misto pesce alla griglia, la giornate di scuola culinaria con un
gruppo di bambini e la lavorazione del marzapane, piccoli oggetti colorati con coloranti
naturali, così come la realizzazione di bignè alla crema, con degustazione e cena finale alla
presenza dei genitori.
La cosa che voglio trasmettere è il senso di accoglienza e di amicizia verso gli ospiti, il senso
di convivialità e di allegria,e da parte mia anche il bisogno di riconoscimento ( un po
narcisistico) nel ricevere i complimenti e nel vedere la soddisfazione nei volti dei miei ospiti.

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Il cibo per me è sempre stato un piacere…e si vede. Non ho mai dovuto lottare perché non
volessi mangiare semmai, dopo lo sviluppo, ho dovuto iniziare a fare i conti con la bilancia e
quindi mangiare non è stato più un “moto” senza riserve, una soddisfazione, ma sempre fonte
di conflitti e paure.
Io bimba di 11 anni, seppure non fossi affatto soprappeso, essendo sviluppata, sembravo più
grande delle mie compagne e anche cicciona e poi dopo lo sono anche a volte diventata.
Durante il periodo delle superiori era una sfida il poter mangiare come le mie compagne super
magre e i risultati non tardarono a farsi vedere. Era il Boom delle merendine, della pizza alla
Barriera, del panino al bar della scuola e di tante tante schifenze spesso comprate e mandate
giù per ingannare il tempo e non sentirsi diverse.
Poi diete rinunce….
Poi il matrimonio.
La nuova organizzazione come dite voi.
Chi va a fare la spesa?
Inizialmente ci andavamo insieme…poi quando sono stata abbastanza sicura anche dei suoi
gusti ho iniziato ad andarci da sola anche perché, andando con lui finivo sempre per

72
dimenticarmi qualcosa, la spesa era più una passeggiata e invece per me stava diventando una
cosa seria.
Volevo leggere le etichette decidere cosa e quanto comprare…Programmare il menù della
settimana ed evitare di fare sprechi che oltre essere antieconomici sono anche antimorali.
Invece i primi tempi, abituata a mia madre che, quando una volta ogni 10 15 giorni, andava a
fare la spesa riempiva il carrello, io per imitazione pensavo di dover più o meno fare uguale e
poi spesso mi ritrovavo a mangiare la stessa cosa per tre giorni oppure stanca a doverla
buttare.
Insomma ben presto divenne un mio lavoro fare la spesa e ovviamente cucinare…
Mangiare, anche quel poco che mi sarei potuta concedere senza rinunce, dovendomelo
preparare, è diventato un sacrificio per ben altro verso.
In casa mia non c’è tanto una tradizione di cibi in particolare.
Quando mi sposai…per definire un po’ le cose mi divertivo a esemplificare così:
Io cucino tutto meno gli uccellini che te li cucina tua madre e i pesciolini la mia.
Infatti l’unica cosa che mi sono sempre rifiutata di cucinare sono i tordi, che del resto vanno
fatti al girarrosto sulla brace del camino e i pesci più grossi di un chilo.
A dir la verità mi faceva schifo cucinare anche solo il pesce con le spine di tutte le
dimensioni e forme.
Una volta mi ricordo che avendo invitato i miei suoceri a casa mia per una cena avevo preso
le orate o le trote da fare al forno (volendoli stupire con effetti speciali perché loro non si
cucinano mai pesce), insomma riuscii a cucirle senza mai toccarle.
Mi spiego: al supermercato me le feci lavare e ovviamente imbustare e io presi solo il
fiocchetto in mano della busta.
Poi a casa io con forbici e coltelli indicavo a France dove e come mettere il condimento…poi
in forno e una volta cotti non è che mi facciano schifo.
Poi piani pian questa fobia mi è passata ma non ancora del tutto.
A volte mi ritrovo avanti al banco del pesce e tra che non mi vengono mai in ente modi nuovi
di cucinare e tra che molti dei pesci li esposti mi fanno una via di mezzo tra schifo e pena…
insomma finisco per comprare sempre più meno le stesse cose. Certo ogni anno miglioro,
compro delle riviste o cerco di carpire i segreti delle mie due insegnanti inconsapevoli…ma
poi i risultati sono più o meno gli stessi.
Negli ultimi tre anni per più versi le cose sono peggiorate e solo in parte migliorate.
Sono nate le mie bimbe e per 12 mesi, non avendo io latte, sono stata obbligata a far mangiare
loro una “zozza” puzzolente di acquetta grigio marrone quale è il latte artificiale.
Che schifo, con tante cose buone.
Poi dopo abbiamo iniziato lo svezzamento e li in parte sono cominciati piccoli guai. Loro
avevano la dermatite atopica e quindi, ancora una volta, le loro pappe erano insipide e sempre
uguali: niente pomodoro, niente parmigiano, niente formaggino e inoltre niente
semplificazioni tecnologiche come liofilizzati, omogeneizzati pappine varie, niente, perché a
4 mesi di vita quando iniziai lo svezzamento con i liofilizzati loro ebbero una manifestazione
anomala, che ha anche un nome che ora non ricordo, infatti crebbero loro le pappine e anche
qualche pelino che sarebbe dovuto crescere qualche anno più tardi. Quindi ecografie a utero e
ovaie, preoccupazioni e frullatore sempre a portata di mano per ridurre in poltiglia, pollo,
coniglio verdurine varie, ma no lattuga, e fruuuuu. Fruuuuu….e stai attenta agli ossicini e a
non dar loro niente di nuovo se psicologicamente non fossi pronta ad accettare reazioni
strane…e poi il pesce…la mitica fogliolina che mi vomitavano immancabilmente tanto che pi
il pesce lo hanno iniziato a mangiare solo a due anni.
Insomma una specie di incubo.
Non è che me ne facessi una malattia, ma certo non è stato un momento molto rilassato.
E io e Francesco in tutto questo?

73
Bè Francesco non diceva niente se se le mie cene spesso erano due cordon blue AIA o simili
buttati nella padellina antiaderente e via.
Io, dal mio canto, spesso a pranzo non avevo la forza di cucinarmi niente e quindi davo fondo
agli avanzi o al cibo usa e getta aprivo una scatoletta o davo un morso al parmigiano e le
calorie aumentano e la qualità della mia alimentazione era notevolmente compromessa.
Poi quando anche la bufera svezzamento iniziò a passare ho iniziato a riprendere in mano
anche la mia alimentazione e a cercare di curarmi un po’ di più anche sotto quell’aspetto.
Intanto già, vista la sensibilità delle mie bimbe a tutto ciò che è chimico e artefatto, avevo
iniziato da tempo a consumare preferibilmente alimenti biologici o allevati e coltivati con
metodi integrati.
Questo ha voluto dire soprattutto fare una selezione del punto vendita e anche se da casa mia
non è il supermercato più immediato, soprattutto per la spesa grossa cerco sempre di trovare
una scusa per andare ovviamente all’ESSELUNGA.
L’Esselunga oltre a fornire sempre l’’alternativa biologica di tutti i prodotti, garantisce anche
la linea Naturama che pur non essendo bio utilizza il minimo dei prodotti industriali consentiti
per legge e, a volte.
Poi all’esselunga c’è il tonno in scatola catturato senza ammazzare i delfini, sarà poi vero? Di
qualcuno però bisogna pur fidarsi e io mi fido dell’Esselunga che inoltre ha una politica di
promozione dei prodotti estremamente interessante.
30% 40% e su molti articoli anche il 50% certo periodicamente ma buttalo via.
Poi è arrivata la mucca pazza.
La mucca pazza fu proprio il periodo che io avrei dovuto iniziare a dare la carne rossa alle
mie bimbe e quindi anche l’inserimento di questo alimento fu tardivo.
Anche noi per un periodo, come tutti, abbiamo proprio smesso di consumarla ma poi mica si
può mangiare sempre e solo pollo che nel mentre, insieme a tutta la carne bianca , aveva
lievitato i suoi prezzi a dismisura.
Poi comprai un libro Mangiare sano, poi due o tre librettini di ricette per bambini, poi
iniziando ad avere più tempo ho iniziato a comprare quei giornalini usa e getta tipo: cucina
moderna,cucinare facile ma poi, anche in questo caso, una scelta di qualità si è imposta e mi
sono orientata su Sale e Pepe che è un classico dei giornali di cucina e resta sempre il migliore
anche se il, più caro.
Però devo dire che Francesco non apprezza gli esperimenti in cucina anche se dopo mangiato
deve riconoscere che era buono, ma lui torna a preferire la braciola in padella l’insalata e
possibilmente la pasta aglio olio e tanto peperoncino.
Io amo le melanzane, lui le odia. Odiava anche i peperoni ma poi come li cucino io gli
piacciono, per le melanzane si rifiuta anche di assaggiarle e quindi io a volte mi levo lo sfizio
e me le cucino solo per me.
La Benedetta accetta la verdura cotta la Martina rifiuta tutto ciò che è verde e bianco e
molliccio.
Entrambe però amano l’insalata e soprattutto il sale l’olio e l’aceto.
Poi è arrivato anche l’Euro e la spesa ha smesso di essere anche solo in parte un piacere…è
diventata un incubo…si spende sempre più del previsto e tutto è diventato caro e a volte
anche proibitivo e allora i conti devono quadrare sul piano del menù, sul piano della salute e
sul piano del borsellino insomma uno stress totale.
Ci sarebbero molte cose da dire…magari farò una seconda puntata.

19.
Il nostro nucleo familiare è composto da tre persone, 2 adulti e un ragazzo di 13 anni. La
scelta degli alimenti da comprare si basa su alcuni criteri fondamentali: la
qualità(possibilmente di provenienza biologica) e la varietà. Lo scopo è aver cura del nostro
corpo coltivando il piacere di stare insieme a tavola come momento di comunicazione.

74
Non esiste differenza tra menù quotidiani e festivi.
Acquisto qualche volta nei negozi sotto casa apprezzando il rapporto personale con il
negoziante. Per ragioni di tempo, risparmio ed ampiezza di scelta preferisco comprare in un
supermercato (COOP). Pago in contanti o con il bancomat.
Non sono attratta dallo shopping ne dalle tecnologie.
Acquisto acqua leggera con basso residuo fisso e partecipo alla raccolta della carta da
riciclare.
L’attenzione al risparmio è data dalla scelta di acquistare in un super-mercato ma all’interno
scelgo solo i prodotti di qualità (di solito biologici) non preoccupandomi degli eventuali
sconti.
In famiglia non ci sono ruoli prestabiliti. Facciamo la spesa insieme o a turno. Io odio ogni
coinvolgimento con questioni di punti, il mio compagno e mio figlio, al contrario lo cercano.
Gli acquisti avvengono con frequenza quotidiana al super-mercato raggiunto con l’auto a
mezzo chilometro da casa.
Il percorso al super-mercato è piuttosto abitudinario, con una prima sosta a verdure e frutta,
poi pane, pasta, poca carne e acqua. Il super-mercato è per me un grande luogo di
socializzazione in quanto incontro sempre amici che spesso non riesco a vedere in altri
momenti. Non compro molto nei negozi di piccola produzione perché non trovo molti prodotti
di qualità, tranne alcune sortite in negozi dove si vendono solo prodotti biologici.
La scelta dei prodotti avviene per conoscenza non tanto dei prodotti reclamizzati quanto per
esperienza diretta e in parte anche per conoscenza anche indiretta dei prodotti biologici.
Emotivamente sono soddisfatta se acquisto prodotti biologici che soddisfino però anche il mio
palato. Le scelte per la spesa vengono fatte in coppia, vengono poi suddivisi i compiti per
l’acquisto. Sono a volte disturbata dalla quantità di dolci confezionati e dalle bibite gassate
che vedo in molte borse di altri compratori. Cucinare per gli altri è regalare qualcosa di buono
che ci faccia stare insieme in piacevoli momenti di comunicazione.

ALLEGATI:
In allegato sono le due griglie utilizzate per l’elaborazione dei testi autobiografici raccolti nel
dossier. La prima è stata redatta dal professor Fabio Dei ed è indirizzata ai partecipanti del
“Laboratorio per la Democrazia” (testi 1-9), la seconda invece è stata fatta dalla sottoscritta in
occasione del seminario LUA sui “Menù della vita” (testi 10-19).
Entrambi gli allegati vengono presentati per favorire la comprensione dei documenti raccolti.

1) GRIGLIA PER I PARTECIPANTI AL GRUPPO DI LAVORO SUL CONSUMO CRITICO


DEL “LABORATORIO PER LA DEMOCRAZIA”
La griglia tematica che segue ha un semplice valore di guida e sollecitazione, e non deve essere
intesa in modo troppo rigido.

1. Biografia. L'infanzia.
Il modo di alimentarsi nella famiglia. Primi ricordi legati all'acquisto, alla preparazione e al
consumo del cibo. Piccoli usi e rituali della tavola. Ciò che piace e ciò che non piace (si deve
mangiare tutto? Si era forzati a mangiare ciò che non piaceva?). Pasti feriali e pasti festivi. Il
consumo "eccezionale": dolci, prelibatezze, cose attese. Alimentazione a scuola: merendine e
colazioni, di che tipo. Cibi particolari legati a un'epoca, odori e sapori che oggi evocano la
memoria dell'infanzia
f) Ideologia e discorsi su cibo e consumo in famiglia. Cosa si può "sciupare" e cosa si deve
conservare. Con che periodicità si faceva la spesa (quotidianamente, una volta la settimana etc.)
e dove (dettaglio, grande distribuzione). Modalità di accesso ad alimenti tradizionali al di fuori

75
del circuito dei negozi (frutta e verdura, altri prodotti agricoli acquistati direttamente alla
produzione etc.). Acquisizione di tecnologie di conservazione o preparazione cibi come frigo,
congelatore, frullatori e impastatori etc. Riti periodici della preparazione di cibi. Divisione dei
ruoli all'interno della famiglia: chi fa la spesa, chi cucina, chi lava i piatti etc.: padre-madre-
nonni. Mangiare fuori: ristoranti, bar, picnic etc.
Acquisizione di cibi gratutito o a prezzi bassi o per 'baratto' di beni o prestazioni attraverso reti di
parentela, il rapporto con paese ed i parenti
g) Ricostruzione della "carriera di consumatori" delle generazioni precedenti e successive
all'interno della famiglia: nonni, genitori, figli
h) Sempre nell'infanzia: consumi non alimentari. Vestiti: chi li comprava o confezionava.
Riutilizzo di abiti per i fratelli più piccoli. Giocattoli: quali, chi li sceglieva, se i genitori usavano
criteri particolari. Il momento del dono dei giocattoli: natale, compleanni etc. Desiderio e
meraviglia nella visione e nel possesso dei giocattoli. Libri e altri sussidi educativi. Materiali da
disegno, quaderni, oggetti scolastici. Piccole collezioni private (figurine, conchiglie, francobolli,
bambole…). Attrazione o meno per il collezionismo.
i) Altre tecnologie domestiche: lavatrice, radio, televisione, automobile. Per quanto riguarda in
particolare la televisione, modalità di visione familiare (con distinzione fra generazioni),
programmi più ricordati o evocativi della memoria dell'infanzia. Eventi televisivi di particolare
rilievo. La progressiva trasformazione del ruolo domestico della televisione (una in tutta la casa
o di più? Quante ore di programmazione giornaliera? Quali reazioni all'arrivo dei serial e delle
soap-operas, o dei programmi a quiz, o delle dirette sportive etc.?). Particoarmente importante è
il rapporto con la pubblicità e una riflessione sul suo ruolo nel determinare le scelte di consumo.
Si ricordano pubblicità particolari (slogan, videospot, personaggi o prodotti…)? Altre forme di
consumo culturale in famiglia: libri, dischi, etc.
j) le emozioni e l'amore familiare attraverso il consumo. Ricordi del fare la spesa insieme a
genitori e nonni. I "regalini". Che cosa il bambino chiede e cosa gli adulti gli offrono come
"pegno d'amore".

2) Biografia. Adolescenza
d) il raggiungimento dell'autonomia nella scelta di alcuni prodotti e nel loro acquisto. Per quali
prodotti (alimenti, abiti, etc.)? Ricordi dei primi acquisti fatti da soli.
e) Eventuali conflittualità nate all'interno della famiglia su questioni di consumo, alimentare e
non. Cose molto desiderate e non ottenute, o al contrario rifiuto di seguire certe regole
domestiche di consumo. Il potenziale conflitto fra tre codici diversi di guida al consumo: quello
familiare, quello prevalente nel gruppo dei coetanei, quello proveniente dai mezzi di
comunicazione di massa. La scuola è stata significativa nell'acquisizione di modelli di acquisto
consumo?
f) I consumi come codici di comunicazione nel gruppo dei pari. Abiti e mode. Consumi
culturali (viaggi, musica, cinema, fumetti etc.). Tabacco e alcool. Moto, cosmetici e altri
consumi legati alla costruzione di una identità di genere.

5) Esperienze di consumo nell'età adulta.


Valgono qui le stesse rilevanze indicate a proposito dell'infanzia e dell'ambito familiare e
domestico del consumo, con una serie di possibili ulteriori sviluppi:
f) mutamenti nell'orientamento al consumo, legati a scelte di vita, all'influenza di altre persone
e di un nuovo ambiente familiare, a convinzioni di carattere etico-politico. E' importante in
questo quadro indicare le modalità di accostamento alla cultura del consumo critico
g) percorso di progressiva "scoperta" di modalità nuove della distribuzione e del consumo. Ad
esempio, per chi è nato in un'epoca pre-supermercato, è interessante riflettere sul primo
accostamento alla grande distribuzione, su come questo abbia (eventualmente) cambiato
abitudini quotidiane erc.; e poi, il rapporto con altre modalità di acquisto-consumo quali gli hard-

76
discount, i grandi centri commerciali, l'uso della carta di credito, l'acquisto per corrispondenza o
on-line, l'atteggiamento verso la vendita porta-a-porta, verso la pubblicità e così via.
h) Consumi non alimentari. Il gusto di andare a fare shopping. I consumi o gli acquisti preferiti,
quelli che danno gioia e che si fanno volentieri, e quelli invece che si eviterebbero. Attrazione
per le nuove tecnologie. Orientamento verso il consumo di medicinali. Orientamento verso l'uso
di risorse quali acqua, corrente elettrica, gas e pratiche di smaltimento dei rifiuti.
i) Stile di consumo single e stile di consumo familiare. Quanto la "cura" degli altri condiziona
i nostri modi di organizzare il consumo e la nostra propensione a spendere.
j) Il risparmio. E' perseguito come obiettivo del nostro modo di acquistare e consumare? In che
misura orienta le nostre scelte?

6) Etnografia della spesa quotidiana.


ι) Quando e dove si va a comprare, con quali mezzi (a piedi, auto…), restando nel quartiere o
uscendone etc. C'è variazione tra una spesa quotidiana e una settimanale o con periodicità più
ampia? Ci sono orari preferiti? Cosa spinge alla scelta di certi negozi o supermercati? Chi in
famiglia va a fare la spesa, e chi si occupa di altri tipi di acquisti? Si va da soli o accompagnati?
ϕ) come si determina ciò che occorre comprare? La scelta viene fatta sul posto, dentro il
negozio, o decisa in precedenza, redigendo elenchi etc.? Chi sceglie gli acquisti all'interno della
famiglia? Nel caso si facciano elenchi, in che misura vengono rispettati durante la spesa? Si
prevede in qualche modo la somma che si intende spendere?
κ) Spesa nel supermercato. Il percorso che si segue, sempre lo stesso oppure variabile (le cose
che si comprano per prime, quelle che si comprano per ultime). Uso dei reparti gastronomia,
forneria, macelleria con servizio diretto e prodotti sfusi. Lo spazio del supermercato: ci si orienta
facilmente, ci sono punti di riferimento stabili, o è percepito come un non-luogo, disorientante,
senza punti di riferimento, da cui si transita cercando solo di uscirne il prima possibile? Capita
di socializzare e discutere con altri clienti? O di incontrare persone conosciute e di fermarsi a
parlare? Capita di girare tra gli scaffali anche solo per curiosità, per conoscere eventuali prodotti
nuovi o controllare le offerte speciali? Capita di entrare nel supermercato senza idea precisa di
cosa comprare, e cercando "ispirazione" sul momento? Stile di movimento nel supermercato:
veloce, senza soffermarsi in una scelta attenta e comparativa dei prodotti, o lento, con lunghe
soste davanti agli scaffali, lettura delle etichette e delle date di scadenza, comparazione della
qualità e del presso dei prodotti? Strategie del risparmio di tempo (come fare le file, come
coordinare le attese ai diversi reparti etc.). Si compra solo l'essenziale o si fanno scorte
consistenti?
λ) Spesa nei negozi di piccola distrubuzione. Quali sono i loro aspetti positivi e quali quelli
negativi (rispetto alla grande distribuzione). Si frequenta sempre lo stesso negozio o si cambia?
Si frequenta una rete di negozi spazialmente compatta (p.es. fruttivendolo, panettiere, etc. nella
stessa strada)?: Che tipo di rapporto si intrattiene con i commessi o il gestore? Si discute con loro
la scelta dei prodotti da comprare, o almeno della marca migliore o più conveniente? Si chiedono
informazioni su offerte speciali etc. Si chiedono prodotti particolari (p.es. produzioni locali, cibi
preparati e prodotti di gastronomia etc.). C'è un rapporto di conoscenza e dialogo con gli altri
clienti? Ci si scambiano consigli e ricette? Di quali argomenti si parla aspettando all'interno del
negozio? (sarebbe molto interessante riportare brani di conversazione).
µ) La scelta dei prodotti. Cosa determina la scelta di un prodotto particolare, e soprattutto di
una marca particolare? Il prezzo, la conoscenza attraverso la pubblicità, l'averlo già
sperimentato, o al contrario la novità, etc.? Si leggono le etichette? Fino a che punto le
conoscenze dei principi del consumo critico e le informazioni che circolano in proposito
influenzano la scelta? Prodotti confezionati e sfusi. Marche note e sottomarche. Ricorso a
prodotti con marchio del supermercato (Coop, Esselunga etc.). Atteggiamento nei confronti di
promozioni (3x2, sconti o offerte temporanee, punti regalo etc.). Scelta degli imballaggi e mezzi
di trasporto (borse di plastica, ceste riutilizzabili etc.).

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ν) Aspetti emotivi del fare la spesa. Che cosa ci rende soddisfatti o insoddisfatti all'uscita dal
negozio o supermercato? La qualità dei prodotti acquistati, la consapevolezza di avere scorte,
l'idea di aver risparmiato. Capita di comprare cose che consideriamo normalmente inutili, solo
per il piacere di farlo, o per una "irrazionale" attrazione verso un prodotto? Ci concediamo
qualche "sfizio" particolare, considerato un piccolo lusso, una "cosa per noi", una specie di
remunerazione per la fatica di andare a fare la spesa? Quando facciamo la spesa per la
famiglia,in che misura pensiamo a soddisfare gusti, aspettative e esigenze dei familiari?
Acquistiamo certe cose come "atti d'amore" o di devozione verso familiari o amici (p.es quel
caffè che costa il doppio ma piace moltissimo a lui, quel vino pregiato che lei una volta ha
mostrato di apprezzare, etc.)?
ο) Fare la spesa in coppia o in compagnia. Nel supermercato si procede insieme o ci si
dividono i compiti su cosa acquistare? Chi decide gli acquisti? Ci sono consultazioni o
discussioni su cosa scegliere? Sono identificabili nella famiglia stili di acquisto diversi? P. es.
stile lento o stile veloce, maggiore attenzione ai prezzi oppure alla qualità, tendenza a comprare
molto oppure solo l'essenziale, tendenza a fare più "regali" (p.es. cose per i figli) contro un
maggior rigore, preferenza per prodotti sfusi o confezionati etc.
π) La spesa degli altri. Capita di osservare i comportamenti e le scelte degli altri clienti, sia in
supermercato che in negozio? Quali osservazioni si fanno usualmente in proposito?

2) GRIGLIA TEMATICA PER I PARTECIPANTI AL SEMINARIO L.U.A. SUI “MENU’


DELLA VITA”
La griglia deve essere interpretata come il suggerimento di uno dei possibili modi di “pensare se
stessi e i propri cibi”, per costruire e raccontare successivamente la personale storia, che non
dovrà esserne condizionata, ma dovrà comunque seguire la catena narrativa, le connessioni e
l’andamento, che ognuno sente di dare al proprio racconto autobiografico e al proprio significato
di vita.

1. L'infanzia è il periodo della vita in cui il cibo è subito, sono gli adulti che scelgono,
acquistano o producono per i più piccoli, soddisfacendo non solo un’esigenza fisiologica, ma
comunicando contemporaneamente affetto o mancanza, creando le basi per una crescita
affettiva e interiore, non solo puramente fisica. I ricordi di cibo infantili sono legati al nucleo
familiare e alla costituzione degli affetti e dei rapporti futuri.

• L’organizzazione domestica rispetto alla produzione-distribuzione del cibo: ricordi legati


all'acquisto, alla preparazione e al consumo, la divisione dei ruoli in famiglia (con che
periodicità si faceva la spesa e dove; modalità di accesso ad alimenti tradizionali al di fuori
del circuito dei negozi come frutta e verdura, altri prodotti agricoli acquistati direttamente
dal produttore o autoprodotti; acquisizione di tecnologie di conservazione o preparazione
degli alimenti, frigorifero, congelatore, frullatori e impastatori, etc.; divisione dei ruoli
all'interno della famiglia, chi fa la spesa, chi cucina, chi lava i piatti etc.)

Usi e rituali della tavola: modalità di presentazione delle pietanze e della mensa, ordine nel servire.
Il calendario del cibo: pasti feriali e pasti festivi, il consumo "eccezionale" ( dolci, prelibatezze,
cose attese, quando e perché?, il ristorante, i pic-nic, le feste o le riunioni con parenti e amici)
Alimentazione a scuola: merendine e colazioni, di che tipo (la scelta della merenda è imposta dai
genitori o asseconda il desiderio dei figli, l’influenza della pubblicità o il paragone con i
compagni-amici).
Discorsi sul cibo e sul consumo: cosa si può "sciupare" e cosa si deve conservare, modalità di
riciclo, cosa si deve mangiare e cosa no, il premio o la punizione relativi al consumo di
particolari cibi, “se mangi tutto, allora…”, “se non finisci, allora…”.

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• Ricordi di cibo e di pasti come veicoli di sentimenti: l’affetto dimostrato e/o non con gli
alimenti; i momenti felici in relazione al consumo o alla produzione/acquisizione alimentare.
Ripensare all’infanzia e raccontare i piatti che l’hanno caratterizzata, i piatti con cui si è
cresciuti, descrivendo odori, sapori, emozioni.

2) L’adolescenza è il periodo in cui si comincia a formare il carattere dell’individuo, in cui si


manifestano gli antagonismi rispetto al nucleo familiare. Il cibo è ancora in parte subito, in linea
di massima l’organizzazione domestica nella produzione-acquisizione-preparazione alimentare è
la stessa dell’infanzia, ma l’individuo manifesta la sua indipendenza esprimendo e imponendo
preferenze, rifiutando le dinamiche premio-produzione, acquisendo autonomamente la merenda
o la colazione, emulando i compagni/amici, seguendo la comunicazione pubblicitaria.
L’adolescenza segna i primi pasti al ristorante al di fuori del nucleo familiare (fast-food,
pizzerie), le prime feste al di fuori del controllo dei genitori.
• Raccontare l’adolescenza seguendo i punti evidenziati per il racconto dell’infanzia: eventuale
nuovo ruolo acquisito nella produzione-acquisizione-preparazione alimentare.
• Il raggiungimento dell'autonomia nella scelta di alcuni prodotti e nel loro acquisto: quali i
prodotti, quali i ricordi dei primi acquisti fatti da soli?
• Eventuali conflittualità nate all'interno della famiglia su questioni di consumo, alimentare e
non (cose molto desiderate e non ottenute, o al contrario rifiuto di seguire certe regole
domestiche di consumo).
• Racconto e descrizioni dei potenziali conflitti fra tre codici diversi di guida al consumo:
quello familiare, quello prevalente nel gruppo dei coetanei, quello proveniente dai mezzi di
comunicazione di massa.
• Il ruolo della scuola nell'acquisizione di modelli di acquisto e consumo, nel modellare
l’immaginario e quindi i gusti e i desideri.
• Adolescenza e costruzione di un’identità: il gruppo di amici, il genere. L’individuo si afferma
rispetto al nucleo familiare, con il consumo di quali oggetti?
• Ricordi di cibi e di piatti, che hanno caratterizzato questa tranches de vie: le prime pietanze
cucinate per dimostrare e comunicare affetto ad un parente, ad un amico, o la partecipazione, la
condivisione di momenti di preparazione alimentare. I cibi dell’adolescenza mangiati e ricevuti,
preparati e donati.

7) L'età adulta, segna un cambiamento forte nelle modalità di rapporto con una cultura
dell’alimentazione. L’indipendenza e autonomia acquisita e l’eventuale costruzione di un nuovo
nucleo familiare evidenziano un mutamento di ruolo nella scelta e nell’acquisizione del cibo,
nella modalità di preparazione e di consumo. La cucina da subita diviene agita, più o meno
consapevolmente si diventa mittenti, e non solo più destinatari, di messaggi affettivi relativi alla
produzione e al dono di cibo. Si è fautori e artefici della costruzione e della crescita di altri
individui, che siano figli, come nipoti.
• La nuova organizzazione domestica in relazione alla produzione-acquisizione-preparazione-
presentazione e al consumo dei cibi: vita come single, come coppia, come genitori, come
lavoratori. Quanto la "cura" degli altri condiziona i nostri modi di organizzare il consumo e la
nostra propensione a spendere.
• Nuovi calendari dell’alimentazione: il quotidiano e il festivo
• Mutamenti nell'orientamento al consumo legati a scelte di vita, all'influenza di altre persone
e di un nuovo ambiente familiare, a convinzioni di carattere etico-politico: biologico e/o
consumo critico? Quali i criteri della scelta?
• Analisi dei nuovi sistemi distributivi: dal produttore, al negozio al dettaglio, il supermercato
e i grandi centri commerciali; l’approccio alle nuove modalità di distribuzione di consumo, come

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cambiano i rapporti col commerciante, con la merce, con il tempo; modalità di pagamento, dal
baratto o dono, al contante, carta di credito o bancomat.
• Consumi non alimentari: dallo shopping, all’attrazione verso le tecnologie.
• L’attenzione verso le risorse naturali: acqua, corrente elettrica, gas e pratiche di smaltimento
dei rifiuti.
• Il risparmio: attenzione ereditata, obiettivo del nostro modo di acquistare e consumare? In
che misura orienta le nostre scelte?
• Etnografia della spesa:

θ) Divisione in famiglia dei ruoli: chi fa la spesa, chi si occupa di altri tipi di acquisti, da soli o
accompagnati, chi decide cosa serve e nello specifico quale prodotto comprare, la lista della
spesa (viene redatta e seguita), chi amministra l’economia domestica (previsione spesa,
attenzione al risparmio e alle offerte, partecipazione a premi, collezione di punti, etc.)
ρ) I tempi e i luoghi della spesa: quando e dove si va a comprare, con quali mezzi (a piedi,
auto…), frequenza quotidiana, settimanale o periodica, orari preferiti e scelta dei luoghi.
σ) Spesa nel supermercato: descrizione del percorso, sempre lo stesso oppure variabile (le cose
che si comprano per prime, quelle che si comprano per ultime), uso dei reparti gastronomia,
forno, macelleria con servizio diretto e prodotti sfusi, disponibilità alla socializzazione, curiosità
e analisi dei prodotti offerti, stile di movimento nel supermercato (veloce, senza soffermarsi in
una scelta attenta e comparativa dei prodotti, o lento, con lunghe soste davanti agli scaffali,
lettura delle etichette e delle date di scadenza, comparazione della qualità e del presso dei
prodotti), strategie del risparmio di tempo (come fare le file, come coordinare le attese ai diversi
reparti etc.), acquisizione del prodotto essenziale o tendenza alla scorta consistente e
all’accumulo del superfluo.
τ) Spesa nei negozi di piccola distribuzione: quali le differenze dalla grande distribuzione,
negozio abituale o predilezione per il cambiamento, esistenza e frequentazione di una rete di
negozi spazialmente compatta (p.es. fruttivendolo, panettiere, etc. nella stessa strada), rapporto
con i commessi o il gestore, (si discute con loro la scelta dei prodotti da comprare, o almeno
della marca migliore o più conveniente, si chiedono informazioni su offerte speciali etc., si
chiedono prodotti particolari), rapporto con gli altri clienti ( si scambiano consigli e ricette, quali
gli argomenti discussi)
υ) La scelta dei prodotti: motivazioni ( prezzo, la conoscenza attraverso la pubblicità, l'averlo
già sperimentato, o al contrario la novità, etc), informazioni (lettura delle etichette, scadenze), le
conoscenze dei principi del consumo critico e le informazioni che circolano in proposito,
predilezione per il prodotto confezionato o sfuso, rapporto con la marca (predilezione per la
marca nota, indifferenza e attenzione al risparmio, qualità), le promozioni (3x2, sconti o offerte
temporanee, punti regalo etc.), imballaggi e mezzi di trasporto (borse di plastica, ceste
riutilizzabili etc.).
ϖ) Aspetti emotivi del fare la spesa: la soddisfazione (la qualità dei prodotti acquistati, la
consapevolezza di avere scorte, l'idea di aver risparmiato), l’acquisto del superfluo desiderato
solo per il piacere di farlo, o per una "irrazionale" attrazione verso un prodotto, (ci concediamo
qualche "sfizio" particolare, considerato un piccolo lusso, una "cosa per noi", una specie di
remunerazione per la fatica di andare a fare la spesa), scelta del prodotto per soddisfare gusti,
aspettative e esigenze dei familiari (acquistiamo certe cose come "atti d'amore" o di devozione
verso familiari o amici)
ω) La spesa in coppia o in compagnia: modalità (si procede insieme o ci si dividono i compiti
su cosa acquistare, chi decide gli acquisti, ci sono consultazioni o discussioni su cosa scegliere)
ξ) La spesa dei familiari: descrizione dei diversi stili di acquisto identificabili nella famiglia
ψ) La spesa degli altri: osservazione e valutazione dei comportamenti e delle scelte degli altri
clienti, sia in supermercato che in negozio

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• Il menù e/o ricettario dell’adultità: i piatti preparati e cucinati per gli altri e quelli per se
stessi, raccontare i motivi delle scelte, cosa significa cucinare una di queste pietanze, cosa si
vuole trasmettere?

4) Generazioni a confronto:
Nonni, genitori, figli: un confronto per la ricostruzione della "carriera di consumatori e dei menù
della vita" delle generazioni precedenti e successive all'interno del nucleo familiare di
provenienza e di quello acquisito.

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