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FILOLOGIA ROMANZA

LEZIONE 01/02
- Critica testuale
- Cenni di linguistica romanza
- Lingua e tradizione della Commedia di Dante Alighieri

Libri:
Per linguistica romanza:
Linguistica romanza di Charmaine Lee (capitolo 5,6,7)
oppure
Manuale di linguistica e filologia romanza di Lorenzo Renzi, Alvise Andreose (capitoli 6,7,8)

Per critica testuale: suddivisa in due sezioni


A) Appunti e materiali delle lezioni
B) 3 saggi di: Fondamenti di critica testuale di Alfredo Stussi

Per lingua e tradizioni della Commedia di Dante Alighieri:


Appunti e materiali delle lezioni

Parte integrativa per chi non ha dato l’esame in triennale:


Linguistica romanza di Charmaine Lee (capitoli 1,2,3,4)
Letteratura romanza: Furio Brugnolo, Roberta Capelli: Profilo delle letterature romanze medievali
(capitolo 1 e un capitolo a scelta tra 2,3, e 4)

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Strozzi 152:

Riproduzione di una carta o foglio di un manoscritto medievale. Nel greco non si parla di “pagine”
ma di carte di un manoscritto medievale. È un manoscritto di pregio per alcuni elementi
paratestuali. Ci sono degli elementi decorativi che descrivono questa carta. Di curato c’è la
presenza di uno stemma; come va a capo; c’è anche l’impaginazione su due colonne; segnano
l’inizio delle terzine -> c’è la cura di impaginazione.
Di elementi paratestuali abbiamo dei fregi decorativi (fiori, uno stemma in basso e la mignatura ->
questa mignatura pubblicata all’interno di una lettera). La prima lettera della commedia è una N ->
si chiama tecnicamente capo lettera: la prima lettera di un componimento poteva essere
evidenziata nella dimensione e solitamente nel colore.
Sopra il capo lettera, c’è una rubrica: mancano le maiuscole. La scrittura antica e medievale non
aveva le stesse dinamiche, era una scrittura irregolare. Dante è scritto in minuscolo, “Alleghieri”
anche in minuscolo come anche Firenze. La maiuscola era utilizzata per enfatizzare alcuni termini.
Questa rubrica si può trovare in altri punti come titoli o sottotitoli. Si chiama rubrica perché scritta in
caratteri rossi -> scrivere in rosso la lista dei titoli. Dal termine “ruber” rosso -> la rubrica. Erano
quelle parti del manoscritto vergate in rosse che venivano riunite all’iniezione come una sorta di
indice. Queste parti di decorazione non necessariamente erano vergate dalla stessa mano che poi
vergavano il testo. Qui la rubrica è analoga al testo quindi questa parte è stata scritta dalla stessa
mano che ha copiato il testo. In qualche caso la rubrica veniva lasciati da altri come anche la
mignatura. Qualche volta in corrispondenza del capo lettera si ritrovava la N in questo caso ->
letterina di richiamo: nel comporre uno stesso manoscritto potevano partecipare più persone.
Possiamo affermare che questa copia è una copia di pregio.
È una copia curata dal punto di vista formale e che è costata. All’epoca allestire un manoscritto era
un investimento economico di un certo rilievo -> era un lavoro tutto artigianale. Diffidiamo dalle
copie di pregio: una copia anche formalmente copiata può essere piena di errori.
Dal punto di vista del contenuto: ci troviamo di fronte a un testo fragile. Un testo che contiene degli
errori. Nella scrittura medievale non si distingueva la “v” da la “ui”.
Nei primi tre versi della divina commedia troviamo degli errori: “mezzo” scritto in “meco” — da
dante mi aspetto la doppia da fiorentino: c’è un errore di chi sta copiando, sbaglio del copista.
Errore non dell’autore ma del copista. Qui è un errore di copista che può darci un indizio sulla sua
provenienza -> era settentrionale: nella pronuncia settentrionale si tende allo scempiamento delle
doppie.
Un secondo errore che riguarda la parola “cammino” invece di cammin: entriamo in un’ottima
filologica. Cammino diventa un errore perché fa saltare l’endecasillabo. Tecnicamente parliamo di
ipermetro quando supera la misura di riferimento: con cammino è un verso di 12 sillabe. È
impossibile pensare che Dante abbia sbagliato: sicuramente non è un errore di autore ma del
copista. Apocope: caduta di una sillaba al finale -> “cammin” è una forma apocope di cammino.
Il copista ignorante sbaglia senza che se ne accorga, ma di solito sono errori evidenti. È più
insidioso il copista colto perché tende a compiere degli errori “volontari”: tende a cambiare il testo,
tende a elaborarlo un po’.
L’elemento linguistico è l’elemento primario nell’analisi del testo.
“Obscura”: è una forma classica, latineggiante. In altri manoscritti troviamo altre alternative come
“oscura”. È un tratto tipico del copista? Se vado avanti nell’analisi trovo questo elemento: nel verso
successivo si trova “diricta”: altra forma latineggiante. Si parla di nessi consonantici: sono
accostamenti di consonante diversi. Diricta: nesso consonantica regressiva: “ct” diventa “tt”.

Tra i vari testimoni della divina commedia abbiamo altri manoscritti: questo è meno pregiato.
Mancano soprattutto gli elementi di pregio decorativi: c’è un capolettera “N” scritta in rosso ma non
ci sono elementi floreali. C’è una rubrica anche in questo manoscritto: “lonferno di dante
fiorentino”. Nei manoscritti medievali mancano i segni diacritici, non troviamo ne apostrofi accenti.
C’è un elemento che prima non abbiamo visto: in alto a destra c’è il numero della carta -> il
numero 4. La numerazione dei manoscritti: nell’uso moderno numeriamo ogni facciata -> un
volume di 500 facciate è composto da 250 pagine. Nelle carte il numero 4 -> se giriamo questa
carta non troviamo il 5 ma nessun numero perché hanno indicato qui il 4. Il 5 si trova sulla carta
successiva. Rispetto ai volumi odierni erano più precisi perché si numeravano solo le carte. La
numerazione che troviamo qui è una numerazione progressiva delle carte non delle pagine. 4 recto
-> la facciata di destra. 4v -> la facciata di sinistra. Se è divisa in colonna: abbiamo 4r e avremo
colonna A e colonna B.
Si trova a Firenze presso la biblioteca nazionale centrale. Nella rubrica “lo nferno di dante poeta
fiorentino c i (canto primo)”.
Qui la doppia di “mezzo” è conservata. Anche nella trascrizione chi ha trascritto ha letto “caramin”:
altro tipo di errore — è una forma inventate, inesistente. Forse il copista aveva già un modello
danneggiato non ha capito e ha scritto “caramin”. Questa forma è un errore di copista che io
filologo andrò a correggere.
Non funziona l’uso delle doppie: l’ipercorrettismo: inserire le doppie dove non ci vogliono. Questo
copista introduce le doppie dove non ci vogliono “mi ritrouuvay” “dirritta”. Anche questa è una
prova di matrice settentrionale.
L’aggettivo “scura” non troviamo “obscura”.
Il testo di Dante nella dinamica di copia subisce delle trasformazioni. Il lavoro di critica testuale è
quello di restituire al testo la sua forma originaria, o quanto meno, approssimarsi alla forma più
originale del testo. Dobbiamo lavorare sulle copie — critica testuale. Fare critica testuale significa
ricostruire il testo originale di una copia. Il filologo lavora come un restauratore del testo. Questo
lavoro non è semplice: la riproduzione dei testi medievali ogni copia è diversa dall’altra. Il compito
del filologo è quello di confrontare queste differenze e risalire alla versione originale. Le scelte fatte
dai filologi possono variare, magari in dettagli ma anche in elementi sostanziali.
Quando ci spostiamo nelle edizioni moderne non troviamo esattamente lo stesso testo — ciascun
filologo può dare esito a un testo con qualche elemento di differenza rispetto ricostruito da altri.

Le due edizioni di PETROCCHI e INGLESE: i testi che abbiamo davanti riproducono non più il
singolo manoscritto ma vorrebbero entrambe pubblicare l’originale della commedia o quanto meno
una ricostruzione dell’originale della commedia. Dovrebbero proporre al lettore un testo molto
vicino a quello uscito dalla penna di Dante. Sono due edizioni simili ma non identiche. C’è di
diverso:
- La punteggiatura: elemento di difficoltà perché manca nel manoscritto medievale: è una
punteggiatura più impressionistica. Mancano spesso e volentieri i segni di punteggiatura
nei testi medievali: c’è qualche segnale di pausa però non c’è tutto quel sistema di
punteggiatura regolare. Quindi, l’introduzione della punteggiatura è a cura del filologo. Se
scorriamo le tre terzine — nell’edizione Petrocchi nella seconda terzina c’è una pausa forte
(c’è un punto esclamativo che blocco lo sviluppo logico del discorso dantesco);
nell’edizione Inglese troviamo i due punti al posto del punto esclamativo: che introducono i
versi della terza terzina. Inglese colloca il punto esclamativo nel primo verso della terza
terzina — è una scelta operata dai filologi. Sta la sensibilità del filologo scegliere la
gestione della punteggiatura.
- I segni diacritici non compaiono nei manoscritti — Petrocchi decide di mettere l’accento nel
“chè” — determina l’interpretazione di questo testo. Interpreto quel chè come un “perché”.
Petrocchi senza dubbio alcuno interpreta quel che come una congiunzione causale. Se mi
sposto nel testo di Inglese non trovo l’accento — quel “che” si presta ad altri tipi di
interpretazioni.
Ché – perché – congiunzione subordinata causale
Che senza accento si aprono due possibili interpretazioni:
1) Restiamo nel campo della congiunzione: potrebbe essere un che tra un modale causale
“di modo che” “tanto che”. Se non metto l’accento una prima interpretazione sarà una
congiunzione di passaggio. Lo usiamo nel linguaggio comune. È un “che” polivalente e
può avere un senso modale causale.
2) Il “che” come pronome relativo utilizzato al posto di “in cui”, “nella quale”. Inglese ha
esaminato altri testi dell’epoca. Pensa che Dante intendesse quel “che” come un
pronome relativo di luogo. Basta un piccolo accento a cambiare il significato della
commedia

Introduzione di critica testuale:


- Definizione: la critica testuale è uno studio comparativo — si confrontano i manoscritti, i
testimoni di un dato testo al fine di fornire un'edizione quanto più possibile vicino
all’originale. Comparazione tra un manoscritto o a stampa. Proporre delle soluzioni
sperabilmente vicina all’originale — è un lavoro di approssimazione. Al posto di “critica
testuale” si può parlare di “ecdotica”.
- Concetti generali: tradizioni, edizioni, errori, varianti, varianti d’autore, autenticità,
attribuzione e datazione (vedere slide).

Il concetto di tradizione: la filologia lavora sui documenti sopravvissuti del testo che nel loro
insieme costituiscono la sua tradizione. Ognuno di questi documenti ne è un testimone — ho un
prodotto, qualcosa di esistente, che testimonia l’esistenza del testo. La tradizione i testimoni oggi
esistenti, magari storicamente ce ne sono stati altri ma non lo sapremo.
Possiamo distinguere la tradizione in due categorie:
- Tradizione diretta: insieme di testimoni che vogliono testimoniare quel testo. Direttamente
legata a quel testo
- Tradizione indiretta: raccoglie delle altre testimonianze interessanti: come, ad esempio,
citazioni (passi di un testo riportati all’interno di un altro testo); altro elemento interessante
sono le traduzioni, parafrasi, parodia.
- Altre tipologie di tradizioni: si può distinguere tra tradizione plurima quando di un'opera si
conservano due o più manoscritti; tradizione unitestimoniale: dell’opera si conserva solo
un manoscritto. Se abbiamo un solo testimone non abbiamo dei modi per far un confronto
testuale — faccio più fatica a intervenire, a correggere.
- Altre tipologie di tradizione: tradizione manoscritta: solo manoscritti; tradizione a
stampa: solo copie a stampa; tradizione mista: manoscritti e stampe.

LEZIONE 02/02
Due diverse tipologie di filologia: filologia di tradizione o di filologia d’autore.
- La filologia di tradizione è quella che facciamo per i testi medievali: per i testi medievali
l’originali è andato perduto. Entra in gioco la dinamica della copia, è rarissimo poter mettere
mani su un testo medievale originale. I filologi non possono pubblicare è direttamente
l’originale perché manco e lavorano sulle copie. Il filologo prende le copie e le confronta per
avvicinarsi quanto più possibile all’origine: procedimento induttivo. Il risultato resta
ipotetico: è una proposta di originale. È un lavoro di restauro che porta ad avvicinarsi alla
veste originale del testo. È un metodo valido sia su testi medievali che su stampa.
- La filologia d’autore: il filologo possiede l’originale ma anche tutta la documentazione
d’autore conservata (originale; redazioni non definite, bozze, stampe, appunti). Il lavoro
filologico sta a monte dell’originale: si concentra sui materiali sui materiali preparatori.
Anche qui si ricostruisce un percorso genetico: il filologo gente a capire come l’autore è
arrivato alla stesura del testo. L’interesse filologico sta nel visualizzare le dinamiche di
elaborazione, correzione, revisione che hanno portato Leopardi dalla prima stesura
all’ultima. Condizioni: conservazione dell’originale ma conservazione anche dei materiali
preparatori: se non ho questi elementi non posso fare filologia d’autore. Soddisfare queste
due condizioni in ambito medievale è molto raro. Ne esiste uno: Petrarca con Il
Canzoniere — non solo abbiamo la bella copia, l’originale, ma anche gli abbozzi del
Canzoniere: in questo caso possiamo fare filologia d’autore. Oggi questo lavoro è in crisi: la
scrittura informatica e la conservazione informatico riduce l’archivio.

CONCETTO DI EDIZIONE: l’edizione (dal latino “edere” ‘dare fuori’) implica fin dall’età classica
l’intenzione dell’autore (o dell’editore) di divulgare, di pubblicare una determinata opera. È il
passaggio di uno scritto da un ambito privato a uno pubblico. È solitamente una scelta d’autore ma
anche dell’editore che sceglie cosa pubblicare. È un'operazione distinta dalla scrittura: l’edizione
implica la scelta di renderlo pubblico, di divulgarlo. In epoca manoscritta questa operazione
corrisponde al momento in cui l’autore decide di farlo uscire dal proprio scrittorio. All’epoca si
faceva fare una copia: allora qui si metteva a rischio il proprio testo. Nei passaggi successivi le
altre copie venivano fatte dalla prima copia che veniva ricavata dall’originale. Le copie successive
sono completamente fuori dal controllo dell’autore: l’autore non può più seguire il processo: non è
un processo meccanico. Ciascun copista cambiava il testo: il testo che si allontana sempre più da
una copia all’altra.
L’edizione con la stampa: produzione per il mercato di un numero elevato di copie tendenzialmente
identiche. Con la stampa la moltiplicazione di copie è estremamente rapida. Oggi esiste una figura
in più che è quella dell’editore: in ambito commerciale l’editore è colui che fa da intermediario tra
l’autore e il lettore. Ma in ambito filologico quando parliamo di “edizione critica a cura di” facciamo
riferimento al filologo, a colui che ha curato la ricostruzione del testo. L’editore è colui che cura
l’edizione di un testo.
Livelli di edizione:
- EDIZIONE DIPLOMATICA/MECCANICA/ELETTRONICA: si chiama così perché è stata
applicata sui testi giuridici: riproduzione dei diplomata (documenti medievali). Dal XVII
secolo vengono trascritti i testi giuridici medievali: testi giuridici che vengono trascritti con la
massima fedeltà. Edizione del testo molto accurata e fedele al suo aspetto esteriore. La
fedeltà è assoluta anche dal punto di vista grafico (es. uoi per voi; divisione di parole
secondo la fisionomia del ms.; mantenimento dei segni di abbreviazione). Oggi l’edizione
diplomatica viene sostituita con l’edizione meccanica: riproduzione fotografica tradizionale
su carta. Queste edizioni diplomatiche vengono sostituite dall’edizione elettronica:
riproduzione digitale -> il manoscritto non viene fotografato ma scansionato. Sono
disponibile anche online. Una buona edizione digitale permette di lavorare bene sul testo.
Esistono ancora delle edizioni meccaniche ma oggi l’edizione diplomatica vengono
sostituite dall’edizione meccanica ed elettronica. Ma hanno tutti lo stesso obiettivo:
riprodurre un testo
- EDIZIONE INTERPRETATIVA: è una sorte di fase intermedia di edizione diplomatica e
critica. Il testo subisce un minimo di decodifica: il testo viene presentato al lettore non
soltanto riprodotto. Tuttavia, per l’edizione interpretativa entrano in gioco gli interessi
linguistici: non deve alterare quella del manoscritto di partenza.
Scritture pratiche
Criteri di intervento predeterminati
Divisione delle parole, maiuscole, minuscole, punteggiatura secondo l’uso moderno
Distinzione tra u e v secondo l’uso moderno
Accenti e apostrofi secondo l’uso moderno
L’edizione interpretativa si ferma agli interventi minimi e non va oltre. Spesso l’edizione
interpretativa coinvolge i testi pratici (testamenti, ecc): che sono molto utili sul versante
linguistico. L’analisi linguistica di questi testi è estremamente significativa. Le condizioni
indispensabili per una buona edizione interpretativa: non travisamento della realtà fonetica
sottostante ai fatti grafici; enunciazione esplicita dei criteri adottati (maiuscole, minuscole:
devo dirlo)
- EDIZIONE CRITICA: è la vera e propria operazione di restauro: ipotesi esplicita sullo stato
dell’originale. Implica un'analisi completa del testo, del modulo scrive di dell’autore, delle
caratteristiche del genere di riferimento per arrivare al testo critico: ‘testo di un’edizione
critica’ oppure ‘testo nella forma definitiva corredata che varianti precedenti’ (filologia
d’autore): troviamo il percorso che ha portato a quella versione. Nell’edizione critica
intervengo di più sul testo: l’obiettivo non è la riproduzione ma la ricostruzione della volontà
dell’autore — una versione più vicina uscita alla penna dell’autore. Nell’edizione critica
sfrutto diversi testimoni per avvicinarmi all’originale. Il filologo interviene sul testo: uso dei
segni grafici come “[ ]” o per dire che questa sillaba non sta nelle copie ma la propongo io
per completare il verso perché mi accorgo che manca qualcosa; altrove solo segnalazione
della lacuna: per segnalare la lacuna si usa “[…]”. Il filologo ha un atteggiamento
tendenzialmente più conservativo con codex unicus che con codices plurimi: ancora più di
fronte all’originale. Se nella fase di scrittura l’autore ha commesso degli errori di penna io
come filologo sono autorizzato a correggerli. Che cosa compone un'edizione critica— il
testo è solitamente preceduto:
- Da una nota al testo in cui c’è la descrizione dei testimoni; in cui si esplicitano i criteri della
scelta delle varianti e nella correzione degli errori; criteri grafici
- Accanto alla nota al testo c’è un apparato critico: non sono le note di parafrasi; è ciò che
contraddistingue un testo critico. L’apparato critico è una serie di note in cui si ritrovano le
lezioni di scelte e rifiutate; ragioni delle scelte; ragioni delle correzioni; ipotesi alternative.
L’apparato critico è una fascia sottostante al testo che accompagna il testo scelto.
- Note di commento (facoltative)

Giovanni Boccaccio, Decameron, I, 1, edizione diplomatica dal codice Berlino,


Staatsbibliothek, Hamilton 90
L’hamilton 90: si tratta di una copia d’autore. È una copia fatta dallo stesso Boccaccio: non è un
originale ma Boccaccio sta copiando la sua copia. Mentre redige questa copia si dimostra un
copista distratto.
Inizia spostato a destra perché Boccaccio lo scrive a destra quindi nell’edizione diplomatica faccio
così.

Esisteva una s alta: nella riproduzione meccanica uso questa S alta: come la s in “falsa”.
Il puntino in alto indica una pausa: nel manoscritto evidentemente c’è un puntino alto: quindi
nell’edizione diplomatica lo riproduco.
Nel manoscritto trovo un capolettera che occupa due righe: così lo riproduco nell’edizione
meccanica.

Giovanni Boccaccio, Decameron, I, 1, edizione semi-interpretativa: non mancano le


differenze.

[1] -> indica pericope.


La rubrica: ser cepparello […] ciappelletto
Differenza con l’edizione meccanica: viene allineato a sinistra e non più a destra. Si offre un
impaginato moderno.
“Cepparello”: è scritto unito.
Nel “con” c’è la n: si parla di scioglimento delle abbreviazioni, che vengono sciolte nell’edizione
interpretativa. Quando si sciolgono le abbreviazioni è bene avvertire il lettore: usando il corsivo o il
non corsivo.
La “s” viene adeguata con la s moderna.
Invece del punto in alto c’è il punto e virgola: adeguazione alla punteggiatura moderna.
Viene introdotta la punteggiatura in “è, morto,”

Giovanni Boccaccio, Decameron, I, 1, edizione comune


Differenza con l’edizione meccanica e interpretativa: l’adeguamento della maiuscola porta
Cepparello da minuscola a maiuscola. Da “sancto” a santo: semplificazione della forma
latineggiante: è una scelta un po’ da editore, da filologo.
Da “et essendo” diventa un “ed essendo”: l’editore ha deciso di sciogliere il segno di abbreviazione
adeguando la grafia della congiunzione all’uso moderno.
La “h” di uomo sparisce: la h viene eliminata secondo l’uso moderno.
Nella versione comune sparisce il capolettera; la o non è più grande ma è piccola.
Il testo ha una natura un po’ singolare rispetto alle nostre abitudine: si tratta di un erbario
medievale. Gli erbari medievali costituivano una delle diverse categorie legate alla natura.
Anche negli erbari troviamo delle descrizioni delle piante e gli elenchi delle sue proprietà. Nel caso
specifico si tratta di un erbario provenzale: scritto in lingua d’oc, lingua della Francia. È un testo
d’uso il cui pregio sta nella miniatura. Il testo non ha un valore stilistico, letterario: ha un interesso
sulle conoscenze scientifiche del tempo.
Quadrante in alto a destra:si tratta della descrizione di una pianta: delle aloe.

La teoria medica è là teoria dei 4 umori: la flemma prodotta dal cervello, bile gialla e nera, . questi
4 umori determinato lo stato fisico di una persona. Si collegano alle 4 stagioni.
Qui le piante vengono esaminate sulla base di queste distinzioni.
Nella prima riga ci viene offerta una gradazione della aole:
“aloes lignum es (verbo essere) ca et sec al II de grad es albre qu’es (que’s) troba en babilonia al
fluvi de paradis terrestre etc es cordial (benefico per il cuore) conforta l’estomac (o anche
lestomac) et le cap (o anche ,le cap) et vista etc”.

Si può fare una edizione critica di questo testo? Si tratta di capire la scrittura

CONCETTO DI ORIGINALE: è un concetto solo in apparenza facile, immediato. Intendiamo quel


testo autentico che esprime la volontà ultima e libera dell’autore. L’aggettivo ultima: non è sempre
facile mettere in ordine gli interventi dell’autore. La volontà libera: attenzione a interventi imposti
dell’autore (censura): devo essere una volontà dell’autore ma una scelta libera non dalla censura.
Rispetto ai monoscritti io mi trovo davanti a due possibili condizioni: parlo di originale in due casi:
- Un originale autografo: vergato, composto, dalla mano dell’autore.
- Un originale autografo non originale.
- Un originale idrografo: originale scritto sotto dettatura. Scritto da un'altra persona sotto la
sorveglianza dell’autore. Il Canzoniere è un testo originale si non autografo ma idrografo.
L’originale è quella che si manda in stampa: edizione controllata e approvata dall’autore.

LEZIONE 15/02
Errore separativo: dobbiamo ragionare il contrario rispetto all’errore congiuntivo.
Possiamo ragionare sulle modalità di copia. Se A ha copiato B vuol dire che A si porta tutti gli errori
di B. L’errore separativo è tale quando passa in osservato quando non stimola la correzione. Un
errore è separativo quando non si nota, quando passa in osservato e non sollecita la correzione.
Definizione: l’errore separativo è quello presente in un codice e assente in un altro, l’errore
separativo permette di escludere che il secondo sia copia del primo’ (salvo contaminazioni). Se B
sbaglia e A fa giusto A non può essere copia B. Se troviamo in A un errore che non è presente in B
siamo sicuro che B non ha copiato da A; se A sbaglia e B è giusto vuol dire che A non ha copiato
da B.

Materiale 6: errori separativo – tra i 3 casi c’è un finto errore separativo.


Testo “Segreto dei segreti”: Aristotele avrebbe mandato questo testo a Alessandro Magno. Il latino
aiuta a capire chi sta sbagliando.

MATERIALE 6 CASO 1: È una sorte di catena ci viene dette “e non c’è la potenza (la forza) se non
per la salute. E non c’è la salute se non per l’eguaglianza della complessione (gli stati fisici) e non
c’è l’eguaglianza delle complessioni se non per la temperanza degli umori (i 4 umori corporei)”.
Altra edizione latina non cambia pressoché nulla.

“Non c’è la potenza se non per la sanità. È non c’è la sanità se non per l’eguaglianza. È non c’è
eguaglianza delle complessioni se non per temperanza degli umori”: alcuni manoscritti italiani
riportano “et non è equalità di conperatione”
Nell’apparato mi accorgo che PC1 non ha riportato il “conperatione”: questo errore mi serve per
capire i rapporti tra PC1 e un altro manoscritto che è siglato RN1 – questo ce ne accorgiamo nei
materiali n 21: il manoscritto PC1 è fratello del manoscritto RN1: che cosa è accaduto nell’analisi
della tradizione di questo testo? PC1 era già conosciuto da tempo.
Se trovo un errore soltanto in PC1 quell’errore mi dice che RN1 non ha copiato da PC1 perché
altrimenti si sarebbe portato dietro quell’errore.
Materiale 6: il testo numero 1 non è copia del secondo.

MATERIALE 6 CASO 2: “alcune cose ingrassano il corpo e alcune invece lo macerano cioè
smagriscono, e poi alcune lo rendono umido e alcune invece lo rendono seccano. Alcune
restituiscono vigore e pulcritudine”
In tutti i manoscritti italiani manca l’”humectant”: è un errore originale di prima tradizione. Ci
interessa invece: nell’apparato: in questo elenco RN1 omette di trascrivere e di copiare “che ’l
disecchano, et alquante”. Chi sbaglia? Sbaglia RN1 perché guardo il testo latino. Qui PC1 non
sbaglia. RN1 sbaglia e PC1 sbaglia: mi dice che PC1 non è copia di RN1.
ERRORE SEPARATIVO DI RN1: tutti e due derivano da un terzo (alfa 8) manoscritto.
RN1 compie un saut au de meme.
Come faccio a giustifica gli errori congiuntivi? AD ALFA OTTAVO, il loro modello. Alfa ottavo
sbaglia e loro riportano gli errori.

CASO 3: errore falso separativo.


Il testo latino ci dice che “il/quel re è lodevole ed amare che è assimilato (che può essere
paragonato) all’aquila, all’aquila che domina tra gli uccelli e non invece quel re che è assimilato a
uno degli uccelli sottomessi”: il re deve assomigliare all’aquila e non invece a uno degli uccelli
sottomessi.
Cosa accade nel testo italiano: non ha capito quel “subjectarum” e propone “in far justitia”.
APPARATO: trovo un errore di RN1: è sempre RN1 che sbaglia perché si dimentica di scrivere
all’aquila. Sta sbagliando RN1: sono sicuro perché nel testo latino c’è “aquile”. RN1 che sbaglia e
PC1 che non sbaglia. Siamo come nel caso 2: apparentemente è un errore separativo PC1 non ha
copiato da RN1. In realtà non è un errore separativo perché questo errore si nota facilmente.
Quest’errore che trovo in RN1 potenzialmente mi dice che pc1 NON HA COPIATO DA RN1 – in
realtà non ha valore separativo perché sulla base di questo errore non possiamo escludere che
pc1 stia copiando da rn1: in termine astratti, in un ipotesi di lavoro, non posso escludere che pc1
non stia copiando da rn1, pc1 può darsi che si sia accorto l’errore e che l’abbia corretto.

NEL PRIMO CASO: PC1 sbaglia RN1 no: l’errore passa inosservato: errore con valore separativo
NEL SECONDO CASO: RN1 non sbaglia PC no: l’errore passa inosservata: errore con valore
separativo
NEL TERZO CASO: PC1 potrebbe essersi accorto dell’errore e averlo corretto – falso errore
separativo perché è un errore troppo marchiano e ha sollecitato la correzione

Riassumendo, l’errore separativo è tale da passare inosservato, non è correggibile ex ingenio (ma
attenzione alle contaminazioni), di conseguenza dimostra che i codici che non hanno quell’errore
non possono derivare dal codice che ce l’ha.

Trovo un errore congiuntivo in A e B:


1) A ha copiato da B
2) B ha copiato da A
3) O entrambi hanno un antecedente: codici fratelli che derivano da un antecedente comune
In assenza di date precise: prendo in considerazione gli errori separativi.
Quando in A trovo un errore separativo che manca in B. Basta un errore separativo per dirmi che B
non ha copiato da A.

ERRORE COMUNE: prendo in considerazione 3 manoscritto A, B e C: trovo un errore. In A e B


trovo lo stesso errore che non trovo in C. Quali ipotesi possiamo fare?
- C potrebbe essere più furbo degli altri: potrebbe aver corretto l’errore
- C potrebbe appartener e un altro ramo della tradizione

DUE IPOTESI

L’errore soltanto congiuntivo mi dà informazione su chi ce l’ha ma non mi dice nulla su chi non ce
l’ha. L’errore più importante è L’ERRORE COMUNE: errore congiuntivo presente tra due o più
manoscritti e al tempo stesso separativo rispetto a un terzo o più manoscritti. Il metodo di
classificazione dei manoscritti dovrebbe fondarsi esclusivamente sugli errori comuni: mi dicono chi
sta insieme contro gli altri. Gli errori congiuntivi mi dicono chi sta insieme ma resto in dubbio sugli
altri. L’errore comune espelle dalla famiglia chi non ha quell’errore. L’errore congiuntivo mi lascia
con il dubbio. Dati i codici A, B e C, un errore comune tra A e B assente in C congiunge A e B
contro C, escludendo contemporaneamente che l’errore manchi in C per correzione di copista.
CONCETTO DI VARIANTI: la variante, è in filosofia, è generale ogni divergenza di lezione
presentata da un testimone rispetto a uno o più altri testimoni’. Termine un po’ tecnico. L’errore
stesso è una variante: è particolare ma è una differenza tra un manoscritto e un altro.
La variante tiene insieme tutto. L’errore guasto lo identifico subito, la variante faccio un po’ fatica.
Tra tutte le varianti ci concentriamo sulla variante adiafora: dal greco α privativa + διάφορος
‘differente’, è la variante indifferente, quella che in alternativa ad altra o altre risulta equivalente.
Tutte le varianti propriamente adiafore sono dotate di pari autorità (stemmatica o documentaria) >
scelta difficile.

MATERIALI 7: varianti adiafore.


Poliptoto: figura retorica. È l’utilizzo dello stesso termine però con variazione grammaticale. Si
applica meglio ai verbi cioè utilizzano lo stesso verbo con variazione della persona, del tempo e
del modo. Qui abbiamo un “dirò” e un “dice”: modo lo stesso ma variazione di tempo e persona.
C’è un altro elemento che fa a deporre a sostegno di questa figura retorica: stanno nelle due
posizioni più forti del verso: apertura con “dirò” e chiusura con “dire: motivano la scelta del
poliptoto. Funziona più come POLIPTOTO, come figura retorica, che come ripetizione.
Dal punto di vista semantico prevale “farò”: ma prima si valuta la lingua, poi gli aspetti stilistici e poi
si arriva alla semantica. Questo aspetto di ripetizione a distanza diciamo che risulta un elemento
forte rispetto al “farò”.
Effettivamente tra “dirò” e “farò” è difficile scegliere per tanto possiamo parlare di 2 “VARIANTE
ADIAFORE”.

Secondo esempio: Bertran de Born, Can vei lo temps renovelar (‘Dal momento che vedo il tempo
rinnovarsi’), verso 43: 2 versioni. Dal punto di vista metrico, rima e lessicale non cambia nulla. In
questi casi in assenza di elementi posso parlare di varianti adiafore, con lo stesso speso specifico.

Alcuni criteri di scelta per lo iudicium del filologo:


➢ Lectio difficilior: la più importante. Significa la lezione più difficile. Vuol dire che tra 2
varianti scelgo la più difficile. tra due lezioni di cui una ricercata (difficilior) e l’altra
banale (facilior), si preferisce la prima incolpando della banalizzazione il copista
(salvo eccezioni: testi popolari e copista colto). Tra due varianti dovremmo scegliere
quella più facile però si tratta di un caso eccezionale cioè di testi popolari che
vengono nobilitati dai copisti colti. Nel caso di “dirò” e “farò” non posso applicare
questo criterio
MATERIALI 8 – abbiamo un passo tratto dal I canto dell’Inferno (V.46-48). Nel
momento in cui si presenta il leone. Il testo si presenta in questa forma: ovvero
“questi (il leone) appariva che venisse contro di me con la testa alta e con fame
rabbiosa (il leone è il simbolo del peccato di superbia) in modo tale che sembrava
che l’aria ne tremasse” –> testo secondo Petrocchi. In corrispondenza di tremesse
(v.48) un numero rilevanti di codice ha “temesse”. Un solo codice “Lo” usa
“tremisse”. Lo regolarizza la rima. In realtà non c’era alcun bisogno perché nella
metrica del tempo veniva accettata la rima tipica dei congiuntivi perfetti. Lo si
preoccupa troppo dal punto di vista della rima. Il confronto è tra due varianti: da un
parte “tremesse” e dall’altra “temesse” – nessuna delle due rappresenta un guasto
perché dal punto metrico non cambia nulla (entrambi trisillabi piani); dal punto di
vista ritmico non cambia nulla; si tratta di variante adiafora? Non proprio, in questo
caso posso applicare un criterio di scelta ovvero possono applicare il criterio della
lectio difficilior. Qui possiamo seguire le indicazioni di Petrocchi che sceglie
“tremesse”: applicando il criterio della lectio difficilior. Il verbo latino originario di
“tremare” già nei tempi antichi aveva subito un metaplasma in tremare > tremasse,
mentre temesse è forma banale, facilior. Dante sta scegliendo un latinismo, una
forma obsoleto, sta scegliendo una forma difficile e la sceglie per esigenze di rima.
Nell’ esigenza di rima sceglie la forma latiniggiante TREMERE. “tremesse” è una
forma più difficile rispetto a temesse. Funziona meglio la più difficile:
1. Perché innalza lo stile del testo
2. Soltanto la difficilior giustifica la facilitor.
SECONDO ESEMPIO: Giovanni Boccaccio, Commedia delle ninfe fiorentine
(Ameto), XII, 7: Ameto sta osservando delle ninfe e continua ad ascoltare le ninfe e
si accorge dell’arrivo di una ninfa in particolare. In chiusura troviamo un termine un
po’ strano per noi “cianciosa”: che vuol dire chiacchierare – accezione negativa. In
questo manoscritto accezione positiva vuol dire “vezzosa, leggiadra”. In
corrispondenza di “cianciosa” Cl, Sans mettono “graziosa”. Non è un errore guasto;
cianciosa e graziosa sono entrambi trisillabi piani. Quindi non è un errore guasto.
Non è una variante propriamente adiafora. Ma possiamo applicare il criterio della
lectio difficilior. La lectio difficilior “cianciosa” giustifica l’errore.

➢ Altro criterio: Usus scribendi (alla lettera ‘consuetudine scrittoria’) è il codice


linguistico, stilistico e letterario, personale e pubblico, entro il quale si iscrive la
nostra opera. Si preferisce la variante che appare più consona allo stile dell’autore
(in quella e in altre opere) - La difficoltà: molto spesso non sappiamo l’autore (molti
manoscritti medievali hanno come autori persone anonime). Si può prendere in
considerazione l’opera e affidarci a quello. Nello scegliere una variante scelgo
meglio quella che si adegua al contesto.
MATERIALI 9 – abbiamo due casi di adeguamento al contesto: una delle due
varianti funziona meglio, quella che si incastra meglio tra le due.

LEZIONE 16/02
MATERIALI 9: Primo caso è un passo di Dante del Pergutario: verso la fine del purgatorio siamo
già nel paradiso terrestro. Virgilio non era cristiano quindi non può accendere al paradiso terrestre.
Per l’ultima cantica Dante avrà un'altra guida: Beatrice – Beatrice è apparsa e dopo la sua
apparizione sparisce Virgilio. In questo passo Dante esplicita questo abbandono e lo fa con
emozione. “Ma Virgilio ci aveva lasciati privi di sé. Virgilio dolcissimo padre. Virgilio al quale mi
affidai per la mia salute (salute dell’anima: salvezza) né tutto ciò che l’antica madre (Eva) perse, fu
in grado alle guance pulite con la rugiada che piangendo non ritornasse scure, sporche, segnate
dalle lacrime”. Enjambement molto orte tra scemi e di sé.
3 LEZIONI: in realtà ragioniamo su 3 lezioni perché si tratta di un giro di rima – patre, matre, atre
sono in rima.
Nell’apparato troviamo le 3 forme (patre, matre e atre) in corrispondenza di questi 3 termini: un
alto numero di codici (17 e 16 nell’ultimo) – padre, madre, adre. Qui i termini sono diversi: cambia
la veste fonetica, cambia una lettera, le parole sono le stesse ma cambia la forma di queste parole.
Abbiamo la serie con la “d” e con la “t”: la “t” è una consonante occlusiva dentale sorda, la “d” è la
corrispondente occlusiva dentale sonora. Qui l’alternativa riguarda la consonante occlusiva: se
preferire la sorda con “t” o la sonora con “d”. Passaggio dalla sorda alla sonora: sonorizzazione – è
un processo di indebolimento che consiste nel passaggio di una consonante occlusiva sorda a
quella sonora. Quando sono in posizione o intervocalica o Inter-sonantica. In questo caso è inter-
sonantica (tra due consonanti padre: questa consonante può sonorizzare. La sonorizzazione
avviene nel gruppo gallo romanzo ma anche nell’Italia settentrionale. Il toscano di per sé non
sonorizza. Sarebbero toscane e toscani le forme sorde – come prato. Le forme sonore sarebbero
influenze della parlata settentrionale.
Codice urbinate: è il miglior testimonio della Commedia. È quello qualitativamente migliore. Il
grosso limite di Urb è che un codice settentrionale, non è un codice toscano. Dante avrà scritto la
commedia in toscano fiorentino. Il codice Urb sul piano formale linguistico ha questo difetto: è un
codice di provenienza centro settentrionale ma è un codice non toscane quindi inevitabilmente il
copista di Urb sovrappone il proprio sistema centro settentrionale sul sistema dell’autore (toscano-
fiorentino). Dal punto di vista formale si fa molta fatica e allora viene preferito un altro codice che è
il codice Triv: sul piano dei contenuti non è ottimale ma è assunto come codice formale per
l’assetto formale dell’opera. Quasi tutti hanno preferito utilizzare Triv tranne Sanguineti che ha
tenuto come codice di riferimento Urb. Quindi non si sa se i tratti settentrionali di Urb siano dovuti
ai copisti o sia uscito dalla penna di Dante. In questa situazione ci troviamo di fronte a
un'alternanza forte che riguarda un giro di rima con t sorda e t sonora. Lectio difficilior non
funziona. Funziona il criterio dell’adeguamento al contesto. SCELTE EDITORIALI
patre : matre : atre Vandelli Casella Petrocchi Sapegno Liccardi Lanza Inglese; padre : madre :
adre Sanguineti. Sanguineti segue Urb. Fa bene o sbaglia? Quale delle due varianti sta meglio nel
testo e perché? Dante piange nel ricordo di Virgilio: Virgilio usava il latino – qui stanno meglio nel
contesto le forme con sorda “patre, matre, atre” sono forme latineggianti e si inseriscono meglio
nel passo nel ricordo di Virgilio. L’idea è quella di citare di Virgilio con “patre”: si adegua al contesto
del protagonista ovvero Virgilio. Al verso 52 troviamo il sintagma “anticua matre”: è un'espressione
virgiliana, qui dante rende omaggio Virgilio citando l’Eneide. Un passo in cui il protagonista
assoluto è Virgilio nel dubbio si inseriscono meglio le forme latineggiante che rispettano la lingua di
partenza, la lingua di Virgilio.

SECONDO ESEMPIO: “le savi” è un testo provenzale ma non trobatorico. Nello stemma del Savi
si oppongono due famiglie, una rappresentata dal solo P e l’altra dai mss. M e V. Al v. 6 la lezione
promossa a testo dall’editore (Le savi. Testo paremiologico in antico provenzale, a cura di Alfonso
D’Agostino, Roma, Bulzoni, 1984) è quella di P; la variante di M e V è altrettanto corretta, ma la
lezione di P sembra preferibile perché amb ela (‘con lei’) del v. 6 meglio contrasta con ses leis
(‘senza di lei’) del v. 5 e perché in tal modo non si registra variazione di soggetto nel distico.
que amb ela ho a tot dictat – in apparato troviamo M V que toto o ha ela dictat [‘perché lei (la
Sapienza) ha stabilito tutto ciò’]
Adeguamento al contesto: che cosa ci dice questo testo? “Dio non ha operato nulla senza di lei (La
Sapienza) perché con lei ha stabilito tutto ciò (tutto il mondo, come si ricava dai versi precedenti)”
M e V propongono “que toto o ha ela dictat [‘perché lei (la Sapienza) ha stabilito tutto ciò]: cambia
la struttura; la metrica non aiuta perché è identica e nemmeno la rima. Si può far un ragionamento
di tipo strutturale della frase, corrispondenza all’interno della frase. la lezione promossa a testo
dall’editore (Le savi. Testo paremiologico in antico provenzale, a cura di Alfonso D’Agostino, Roma,
Bulzoni, 1984) è quella di P; la variante di M e V è altrettanto corretta, ma la lezione di P sembra
preferibile perché amb ela (‘con lei’) del v. 6 meglio contrasta con ses leis (‘senza di lei’) del v. 5 e
perché in tal modo non si registra variazione di soggetto nel distico.
Dovendo scegliere pare preferibile la soluzione di P: il criterio dell’adeguamento del testo è un
criterio abbastanza ampio.

DIFFRAZIONE DI VARIANTI: moltiplicazioni di varianti, possiamo parlare anche di “esplosioni di


varianti”. La diffrazione è il fenomeno per cui una lezione per ragioni relative alla sua struttura
morfologica o semantica (es. lectio difficilior) o per motivi di tipo paleografico provoca in un testo di
tradizione plurima un’infiltrazione di vari errori da parte di numerosi copisti, indipendentemente
l’uno dall’altro’. Cioè abbiamo una difficoltà iniziale rispetto alla quale ciascun manoscritto reagisce
a suo modo. Se ho un solo manoscritto non c’è una diffrazione. Secondo elemento affinché si
verifiche la diffrazione di varianti devo avere una difficoltà testuale: nel quale il mio testo presenta
degli elementi difficili (ad esempio un copista colma una lacuna).
In altri termini, la diffrazione o dispersione di varianti è quel fenomeno per cui in un determinato
luogo i mss. presentano molte varianti concorrenti
La vera diffrazione è quella originata da un antigrafo che presenta una lezione per qualche verso
problematica, il che dà luogo a reazioni differenti da parte dei suoi discendenti.

Due tipi di diffrazione di varianti:


- Diffrazione in presenza, quando almeno una copia ha conservato o ha indovinato,
recuperato, la forma corretta. MATERIALI 10b – PARADISO XXIV, V 19-21<carezza]
chiarezza Ash Eg Fi Ham Lau Rb Tz Urb [TOT 8], cierteçça Co, belleçça Ga Gv La Laur Lo
Mad Pa Parm Po Pr Ricc Vat [TOT 12] chiarezza] belleça Ash, Urb. SCELTE EDITORIALI
carezza Vandelli Petrocchi Liccardi Lanza; bellezza Casella Sapegno; chiarezza (: carezza)
Sanguineti. Bellezza non funziona perché è troppo distanze. I copisti hanno cercato una
voce simile. Carezza potrebbe stare a testo. “Da quel cerchio di anime che io notai di
maggior carezza io vidi uscire un fuoco così felice che non ve ne lasciò nessuno di
maggiore chiarezza”. La carezza qui è la preziosità, dall’aggettivo carus nel senso di
prezioso. Evidentemente alcuni copisti hanno fatto fatica a capire quel “carezza” e quindi
l’hanno sostituito. Gli altri hanno cercato un termine più semplice, simile alla grafia “carezza
sostituito con “chiarezza”, altri si sono abbandonati a una banalizzazione “carezza”
sostituito con “bellezza”. In corrispondenza di “chiarezza” Ash mette chiarezza e al verso 21
mette “bellezza” per non ripeter. Urb in corrispondenza di carezza (v.19) mette chiarezza.
Ma arrivato al verso 21 Urb ha la forma “careçça”. La diffrazione avviene nel v.19: o Dante
al verso 19 ha scritto chiarezza e Urb ha riportato la stessa forma mentre tutti gli altri no. Si
tratta di un errore comune. Al verso 19 sta meglio chiarezza. Quel “notai” ci porta in un
ambito semantico che è quello sensoriale (senso della vista) e questo meglio emerge con il
concetto di “chiarezza” rispetto a carezza.
- Diffrazione in assenza, quando tra le varianti portate dalla tradizione nessuna sia ritenuta
quella genuina, che potrà essere ricostruita oppure no. MATERIALI 11: Proverbia pseudo-
jacoponici, v. 148 è una letteratura popolare. Ci dice “non ritorna all’arcolaio la matassa
dopo che è stata filata”: corrisponde al proverbio “piangere sul latte versato”. Perge ‘torna’,
dal latino PĔRGĔRE ‘volgere in una data direzione, andare’, composto di PER ‘attraverso’
e REGĔRE ‘dirigere’; mancinula ‘strumento per sfibrare la canapa’; acça ‘matassa di filo
greggio’, dal latino ACĬA(M) ‘gugliata, pezzo di filo che si infila nella cruna dell’ago per
cucire’, derivato di ACUS ‘ago’; cfr. il moderno “chiudere la stalla dopo che i buoi sono
scappati”. Questo proverbio è stato trasmesso da 3 codici: C, B e M. Ciascuno però
presenta una lezione differente per la prima parte del proverbio. “Non perge a la mancinula”
in C troviamo: derompere a la mancinula; in in B: non pervene a la macella; in M: che non
pere ad macçola. Nessuna di queste varianti degna di stare al testo e quindi ha ricostruito
una forma “perge”: come una forma verbale composta da “per” (attraverso) e “dirigere”:
ritornare: è una forma ipotizzata dall’editore, non attestata. Il percorso logico: si trova di
fronte a queste 3 varianti: valuta questo caso come una diffrazione variante in assenza.
Cerca di ricostruire una forma servendosi delle testimonianze ma anche mettendo qualcosa
di suoi: propone una forma che sta bene a testa e deve giustificare anche la diffrazione di
variante. Delle 3 potrebbe stare meglio a testo B: non pervene – quel non pervene è troppo
facile. Questi 3 codici hanno in comune: il -per; la negazione (in derompere la negazione si
trova in “rom”, non capendo ha tirato fuori questo verbo che contiene degli elementi similari
a delle altri perché contiene il per e il non che possiamo riconoscere in “rom”); in 2 su 3
troviamo qualcosa prima di “non”. Se confronto C e M mi accorgo che hanno uguale non
solo per ma il blocco “pere”. Quale lezione potremmo recuperare? La M e in C. Il verbo
“pere”: perire – in latine è un verbo composto, per + ire – per + eo, per + it: la t cade e la i si
trasforma in “e”: pere. La soluzione sta già nel manoscritto in special modo in M che
conserva quel non pere. B non la mette a testo perché è troppo facile. M lo mette a testo.
FORSE DIFFRAZIONE IN PRESENZA in B.

VARIANTI D’AUTORE: non sempre gli autori rivedono il loro testo ma capita spesso che l’autore
torni sull’opera e che la modifichi. La condizione più semplice per lo studio filologico è una serie di
revisioni sostituite del testo: la nuova versione sostituisce quella precedente.
Es. Ludovico Ariosto, Orlando Furioso:
➢ Prima edizione 1516
➢ Seconda edizione 1521
➢ Edizione definitiva 1532
Si tratta di vere e proprie edizioni e non di manoscritti, di redazioni diverse. Ma in 3 momenti
diversi Ariosto ha deciso di farlo uscire dal suo scrittoio e quindi renderlo pubblico. Abbiamo delle
edizioni ben definite. Nell’ottica dell’autore, che coincide con quella nostra, la nuova edizione
sostituisce la precedente. Ha modificato al suo testo: dal 16 al 21 c’è una rielaborazione dei
contenuti della struttura dell’opera. Tra il 21 e il 31 è stato pubblicato un altro testo “le prose della
volgar lingua” di Bembo (1525) che propongono un modello linguistico ben definito: Petrarca,
Dante e Boccaccio: fiorentino 300 come modello linguistico. Ariosto riscrive l’Irlanda furioso
adattando le regole linguistiche proposte da Bembo: anche cambiamenti linguistici. Ariosto ha
riscritto il furioso sulla base delle regole bembesche e dando al furioso una forma molto vicina
delle 3 corone proposte da Bembo.

Es. Alessandro Manzoni, I promessi sposi:


➢ 1821-1823 Fermo e Lucia
➢ Edizione 1827 I promessi sposi
➢ Edizione 1840-1842 I promessi sposi
Manzoni ha cercato una lingua diversa già dal passaggio di Fermo e Lucia e i promessi sposi di cui
però ha usato il vocabolario toscano milanese. Ma non lo convince e vuole avvicinarsi a una lingua
d’uso. Imiterà il fiorentino dell’alta borghesia ma vuole comunque avvicinarsi a una lingua più viva,
d’uso. Manzoni è stato un innovatore. Questo tipo di interventi sono interventi lineari perché
sostituitivi.
Sappiamo qual è l’ultima volontà dell’autore: nei testi medievali è un po’ più difficile.
Esistono delle edizioni critiche che ci fanno leggere le varianti delle edizioni precedenti. Per
Manzoni esiste una edizione interlineare: a testo sul rigo troviamo la quarantena, in interlinea
troviamo le varianti delle edizioni precedenti: così nella stessa pagina abbiamo l’edizione del 40 e
quella de 27.

MATERIALI 23
Ludovico Ariosto, Orlando Furioso secondo l’edizione del 1532, con le varianti delle edizioni del
1516 e del 1521, a c. di Santorre Debenedetti e Cesare Segre, Bologna, Commissione per i Testi
di Lingua, 1960). Rispetto a una normale edizione scolastica c’è in più l’apparato che sostanzia il
lavoro critico. In apparato troviamo le varianti di A e B. In una stessa pagina facendo dialogare
testo e apparato possiamo prelevare il lavoro creativo dell’autore. Questo tipo di edizione si
chiama “edizione critica genetica”: come l’opera ha preso forma nel corso. Sono varianti originali
perché appartengono all’autore.
A è del 1516 e B è del 1521.
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori – chiasmo: dalla lettera greca “ki” deriva la denominazione di
questa figura retorica ovvero una corrispondenza incrociata: donne-amore; cavallier-armi
In apparato mi accorgo che prima non esisteva. Ariosto ci arriva solo nel 1532.
Nel verso 4: nocier (1521) – nocquer (1532).
MATERIALE 12
Manzoni innovatore linguistico perché nel rivedere il tetso Manzoni cerca una lingua più vicina
all’uso. Recupera le dislocazioni (a destra, a sinistra). Questo tipo di espressioni sono più tipiche
del linguaggio parlato. Manzoni nel rivedere il testo (ventisette e quarantana) cerca una lingua più
viva e tra le varie soluzioni adotta anche delle dislocazioni a sinistra: rompe l’ordine regolare della
frase (SVO) e c’è una forma tematizzata attraverso la dislocazione a sinistra.
Ventisettana: “Ella” riferito alla perpetua (domestica di don abbondio) lascerà entrare Tonio e suo
fratello”: ha una struttura neutra, regolarissima.
Quarantana: troviamo una situazione tematizzata attraverso una dislocazione a sinistra - forma
tipica del parlato. Prende Tonio e suo Fratello (dal fondo li porta all’inizio) poi aggiunge una virgola,
ella diventa soggetto sottointeso, e poi inserisce il pronome cataforico “li”. Rende il soggetto
sottointeso.

LEZIONE 22/02
In ambito medievale anche quando i filologi si rendono conto che l’autore è ritornato a rielaborare il
testo la situazione è più complicata: si può parlare di intreccio di varianti: una situazione in cui
l’autore è tornato sul testo ma facciamo fatica a mettere ordine, a stabilire un ordine cronologico
sicuro. Es: Juan Ruiz, Libro de Buen Amor [MATERIALI 13a-> è un libro probabilmente è
autobiografica. Racconta la conquista del buen amor (l’amore divino) il nostro protagonista passa
una serie di loco amore (amore carnale, eroico) un opera complessa. Questa complessità si trova
anche in fase di stesure e di rielaborazione del testo: O1 e O1 (O: originale) dell’opera esistono
due fasi l’originale 1 e l’originale 2.
Es. Simone de’ Prodenzani, Sollazzo, conclusione [MATERIALI 13b] Distico o sonetto con
acrostico del nome dell’autore?
MATERIALE 13 B: Difficoltà nello stabilire l’ordine cronologico. Alla fine del testo troviamo un
distico “Questo aggio detto per follia di prima,
Oramai verrò io ad altra Rima.” - “questo è raccontato per la follia di prima. Adesso io passerò ad
un’altra opera”: dopo il sollazzo troviamo un'altra opera di Prodenzani “Il saporetto”. Al termine del
sollazzo non troviamo questo distico ma un sonetto, un sonetto più elaborato – sonetto caudato
(sonetto formato da 2 quartine e 2 terzine se aggiungiamo un pezzo si chiama sonetto caudato,
ovvero con la coda). Siamo di fronte a varianti d’autore. Gli studi degli anni passati hanno stabilito
che di questo testo esistevano 3 redazioni: x1, x2 e x3. Santoro De Benedetti aveva stabilito
questo ordine: x la più antica; x1 l’intermedia e x2 la più recente. Ma De benedetti non conosceva
V e V1 – questo ritrovamento di questi manoscritti ha scombinato le carte. V rappresenterebbe
l’ultimo stadio dell’opera, il più recente. Secondo gli studi più recenti l’ordine non sarebbe più xx, x1
e x2 perché x occuperebbe l’ultima posizione, ovvero l’ultima redazione. Non abbiamo delle date e
non sappiamo bene se collocare x come l’inizio della redazione o come finale.
X ha un semplice distico (solo due versi); x1 e x2 hanno invece un sonetto. Il distico sta prima dei
due sonetti o dopo? Sembra difficile che un autore nella revisione del testo decide di sostituire un
elaborato sonetto con un distico: da un distico un po’ povero preferisca passare a un sonetto. C’è
un elemento in più che è la coda del sonetto: la coda del sonetto di x2 ci dice “ma se vuol pure
desiderare di sapere chi fu colui che fece il libretto (il sollazzo) guarda ai capoversi di questo
sonetto”. I capoversi sono le lettere iniziali, le sillabe iniziali – SIMONE DEGOLINO (MI FECE) è
un sonetto acrostico. Una sorta di gioco enigmistico per cui l’autore ha nascosto il proprio nome
nelle lettere delle sillabe iniziale nei versi di questo sonetto. La chiave di lettura è offerta dalla
coda.
Prima scrive il distico e poi il sonetto acrostico: questo darebbe ragione alla soluzione cronologica:
x più antico.

X1: “Ed è fornita questa parva storia, Pregamo Dio che cie dea gloria.
E se volete sapere chi fé el libretto, Fello Buonore per suo dilecto”. In x2 ci dice guarda i capoversi
del sonetto; qui invece – Buonore è il personaggio dell’opera del “Saporetto”; dietro Buonore si
nasconde l’autore: alter-ego dell’autore. Questa coda ci dice che questo sonetto almeno nella
versione di X1 non soltanto può essere riferita al Sollazzo ma anche al “Saporetto”: si rimanda a
un personaggio del Saporetto.
Forse dobbiamo immaginare una sorta di bozza del lavoro da cui è stato ricavato X1 e X2 con le
varianti.

Dal punto di vista editoriale: gli studi mi dicono che x è la revisione finale ma se pubblico x alla fine
del sollazzo leggo il distico e non leggo più il sonetto con l’acrostico. In una situazione di questo
tipo una possibile soluzione è l’edizione sinottica: edizione che in sinossi vi offre più versioni dello
stesso testo. Non si sceglie x,x1 o x2 si offre al letto la redazione di ciascuna edizione. Questo
permette di raffrontare il testo senza esprimersi in modo esclusivo a favore di una redazione e a
discapito delle altre.
Le alternative: il primo editore ha pubblicato x2 perché era convinto che x2 arrivasse dopo x1 e x.
Ritrovando altri manoscritti è stato rivalutato il ruolo di x.

MATERIALI 14: in alcuni casi la prima domanda che dobbiamo farci è se una strofa, un paragrafo
sia una variante d’autore o se siano invece frutto di un intervento di un copista.
Siamo alla novella 15 con “Concupiscentia”.
X1(v1): IL PRIMO INTERROGATIVO DI QUESTA STROFA: se si tratta di una strofa originale o
inventata da un copista fantasioso.
Questa strofa è un'aggiunta a quello raccontato in precedenza: dobbiamo chiederci se questa è
una strofa originale o se sia un'aggiunta di un copista fantasiosa. Se ci sono elementi dissonanti è
probabile che si un’aggiunta del copista. 4 mesi si lega bene con la novella? Nel riassunto dice “la
mattina seguente”: nelle strofe precedenti si racconta che il tutto si conclude nell’arco di una notte.
Il fatto di durare 4 mesi è in contrasto: questo elemento in contrasto presuppone una parafrasi
diversa. È come se l’autore (se davvero si tratta di strofa dell’autore) avesse raccontato una strofa
e poi aggiunge una variante per l’autore (un finale diverso). Che cosa può aiutare? Può aiutare
l’altro dettaglio che è quello dei 2 figli belli come l’ora: questo dettaglio si torva in un’opera non di
Prodenzani ma nel DECAMERON (la terza giornata del decameron) di BOCCACCIO. «Giletta di
Nerbona guerisce il re di Francia d’una fistola; domanda per marito Beltramo di Rossiglione, il
quale, contra sua voglia sposatala, a Firenze se ne va per isdegno, dove vagheggiando una
giovane, in persona di lei Giletta giacque con lui ed ebbene due figliuoli; per che egli poi, avutola
cara, per moglie la tenne.» sicuramente l’opera di Prodenzali risente l’influenza di Boccaccio. Sono
sul campo due ipotesi:
- Errori del copista fantasioso: se il copista abbastanza colto conosceva la fonte di questa
novella ha voluto arricchire la narrazione con questa strofa in più: il parto gemellare.
- Forse è stato Prodenzali che nella fase x1 abbia scritto la novella imitando fino in fondo
Boccaccio e poi rivedendo il testo abbia eliminato questa strofa.
Qui aiuta il fatto che questa strofa si trova soltanto in x1 (redazione più debole). Sia x e x2 sono
privi di questa strofa.
Casi dubbi: variante d’autore o errore di copista?
Es. Simone de’ Prodenzani, Sollazzo, ballata 17 «Concupiscentia» [MATERIALI 14]
Autore o copista?
Contraddizioni con il resto della novella: «mesi quatro», ma vicenda conclusa nell’arco di
una mattinata; nascita di due gemelli
Cfr. Boccaccio, Decameron, III, 9: rapporto amoroso prolungato e gravidanza gemellare

Casi dubbi: variante d’autore o errore di copista?


Trovatori: Es. Jaufre Rudel, Quan lo rossinhols el folhs (‘Quando l’usignolo nel fogliame’)
Nei mss. C E R due strofe molto diverse e una in più: redazioni differenti o guasti della
tradizione? È stata opera dell’autore o errore di copista? Ci sono pareri discordanti tra gli studiosi.
Altro caso emblematico è quello che riguarda La tornada: parte finale del componimento che è una
dedica. I trovatori utilizzavano la stessa poesia ma cambiavano la tornada. Questa modalità era
una modalità anche d0’autore: in alcuni casi siamo sicuri che sia stato l’autore a cambiare la
tornada. In altri casi non era opera d’autore ma dei giullari: prendeva un componimento già scritto
da un altro e lo adattava in base alle occasioni, alle sue esigenze. Un esempio incerto è quello
della doppia tornada di Marcabruno, Al prim comens de l’ivernaill (‘Al primo iniziare dell’inverno’): lo
stesso componimento con due tornadas diverse ma non sappiamo se sia opera di Marcabruno o
se sia stato un giullare a scrivere la tornada differente: QUESTO PER SOTTOLINEARE
L’INCERTEZZA DEI TESTI MEDIEVALI.

AUTENTICITÀ, ATTRIBUZIONE E DATAZIONE


Il filologo si trova ad affrontare altre problematiche che possono riguardare elementi di autenticità,
attribuzione e datazione di un testo.
- Il caso del fiore dantesto: ci sono altri testi di attribuzioni incerta, come nel caso de “il fiore”
che secondo alcuni studiosi sarebbe da attribuire a Dante. Oggi in realtà hanno messo in
forte dubbio questa attribuzione, soprattutto nello studio della lingua. Il fiore non
rispetterebbe lo stile linguistico di dante. Oggi sembra prevalere la linea non dantesca, il
fiore sembra non rispettare le modalità linguistiche ed espressioni tipiche di Dante.
- Un elemento più sicuro può essere la scrittura: Es. attribuzione a Boccaccio dei commenti
agli Epigrammi di Marziale contenuti in manoscritto medievale della Biblioteca Ambrosiana
di Milano – Petoletti dal confronto della calligrafia ha capito questo. Ritrova in queste note
la mano di Boccaccio. Con Dante non si può fare nulla perché non abbiamo nulla dalla
mano di Dante. Lingua e scrittura sono gli elementi più forti quando siamo di fronte ad
elementi di attribuzione
- Metrica e stile: anche questi aiuti ma sono meno forti. Se identifichiamo la scrittura siamo
sicuri al 99%. Sulla base della metrica e stile no ma comunque aiuta. Sono elementi formali
non decisivi ma che aiutano molto.
Per la datazione sono particolarmente utili: LA FILIGRANA– immagini che emergono in
trasparenza nella carta. Questo si può trovare ad esempio nei manoscritti medievali, perché i
manoscritti cartacei possono contenere dei marchi di fabbrica- delle immagini di chi ha prodotto
quella carta.
Vengono in aiuto una serie di cataloghi: cercando di collocare nel tempo e nello spazio i diversi
modelli di filigrana. Il catalogo più importante di filigrana è il cosiddetto “Briquet” – Charles-Moïse
Briquet, Les filigranes. Dictionnaire historique des marques du papier des leur apparition vers 1282
jusqu’en 1600. MATERIALI 15: le filigrane sono ordinate in via tematica. Questo tipo di lavoro va
fatto con cura perché uno stesso manoscritto medievale può avere filigrane diverse: sfogliare tutte
le carte in controluce per fare emergere tutte le figure filigranate.
- Miniature, decorazioni: intrecciando questi elementi arriviamo a dare info un po’ precise.
Si studia anche ad esempio la rilegatura: come venivano cucite le copertine (con quale legno,
quale fregio): elementi che ci aiutano a dare informazioni su quella copia ma sono anche utili per
l’originale.

- Dichiarazioni: di aver redatto quell’opera. In qualche caso sono dichiarazioni ambigue “è


l’autore che l’ha scritta o il copista che l’ha copiato?” – Libro de Alexandre attribuito dal solo
ms. P (di Parigi) a Gonzalo de Berceo, “maestro” della cuaderna vía.
- C’è un passaggio tecnico: in quello di stampa: richieste di privilegio di stampa - Garanzia
rilasciata dalla pubblica autorità a tutela dell’autore (come poi il copyright) e dello
stampatore per un certo periodo di tempo e su un determinato territorio, contro la
concorrenza e le edizioni-pirata. Evidentemente questo privilegio di stampa è utile per la
datazione; è un atto giuridico che ci aiuta a datare i testi - precede o accompagna la
stampa dell’opera in questione.
Per l’epoca manoscritta: bisogna lavorare sul testo. È significa prendere in considerazioni diversi
elementi anche per quelli che sembrano secondari.
AI MATERIALI 16 troviamo elementi interessanti per la datazione del testo. Prologò e epilogo sono
stati scritti in 2 diversi momenti: POST QUEM (1230); ANTE QUEM (1252)
Altro esempio: FLAMENCA: romanzo provenzale che racconta le vicende di questa eroina.
Quest’opera è quasi senza autore, l’autore si nomina Bernadet. Ma riusciamo a dettare l’opera e
riusciamo a farlo attraverso un indizio apparentemente secondario – ai V. 6996-6998 si legge:
‘e tutti portavano la stessa insegna, / che era quella di Archimbaut, / dei fiori d’oro in campo
azzurro’: sulla base di queste info riusciamo a capire che è stata scritta dal 1272 in avanti.
Nel 1272 – a seguito del matrimonio tra Robert di Clermont, sesto figlio di Luigi IX, e l’erede della
casata di Bourbon – l’emblema dei signori di Bourbon raffigurante un leone circondato da otto
conchiglie fu sostituito da quello della casa reale di Francia, con gigli d’oro su campo azzurro.
Questo cambiamento di stemma avviene nel 1272. Quindi Bourbon abbandonano il loro stemma
del leone circondato da otto conchiglie e lo sostituiscono con quello con gigli d’oro su campo
azzurro. Quindi Flamenca è stata scritta dopo il 1272.
ULTIMO CASO: fiore di virtù: vengono citati citazioni di filosofi. Per quest’opera pur priva di data
possiamo proporre una forbice temporale molto ristretta. Possiamo rifarci a 2 elementi:
1- Il fatto che nell’opera si cita molto spesso il “de regimino rectoris”: siamo sicuri che è stato
scritto nel 1313. Quindi vuol dire che fiore di virtù è stata scritto dopo il 1313.
2- Altro dettaglio che sembra secondario ovvero l’appellativo che accompagna Tommaso
D’Aquino: è citato più volte come Fra Tommaso. “«Amore, benivolentia e delectatione si
èno quasi una cossa segondo che prova fra Thomaxo in la soa Somma» (il 1323 è l’anno di
canonizzazione alla santità di Tommaso d’Aquino). Eppure questa dicitura costituiscono un
elemento di datazione importante perché sappiamo che Fra Tommaso d’Aquino nel 1323
viene dichiarato santo. Se nell’opera Tommaso d’Aquino è nominato come frate e non
come santo vuol dire che l’opera che è stata scritta l’anno in cui Fra D’Aquino è è stato
nominato santo. Pur senza data riusciamo ad indicare una stesura compresa tra il 1313 e il
1323 perché Tommaso d’Aquino è ancora nominato frate e non ancora come santo.

LEZIONE 23/02
L’EDIZIONE DATO UN UNICO TESTIMONE
Distinzione tra un unico testimone e su più testimoni. Quando parliamo di un unico testimone
dobbiamo fare una distinzione:
- Testimone unico per scelta: quando anche a fronte di una tradizione pluritestimoniale alla
fine decido di prenderne in considerazione soltanto uno. È una metodologia tipicamente
francese – loro propongono l’edizione di un testo secondo il manoscritto x e y. Anche a
fronte di una tradizione di due o più testimoni li analizzano tutti ma scelgono il testimone
migliore e pubblicano il testo secondo quel testimone. Ha i suoi vantaggi – si pubblica un
tetso secondo un dato manoscritto.
- Testimone unico di fatto: In qualche caso siamo costretti a limitarci a un unico testimone
perché ne è rimasto solo. Il filologo lavora quindi con un'unica copia – testimone unico di
fatto. Es. Giacomo da Lentini, Donna, eo languisco e no qua· speranza, canzone
conservata dal solo ms. Vat. Lat. 3793: questa canzone si legge soltanto in quel codice.
Non posso altro che fare che editare quel codice: correggendo gli errori guasti ma è
sempre un testimone unico di fatto
Es. Cantar del mio Cid conservato dal solo ms. Madrid, Biblioteca Nacional de España,
Vitrina 7-17: qui la situa è strana – appare strano che si sia conservato in copia unica.
Forse ne sono state allestite altre e sono andate perdute. Ma forse probabilmente questa
opera ha avuto una tradizione fortemente orale e quindi forse è una vicenda tramandata più
oralmente che scritta. Si fa fatica nella scansione dei testi (ogni editore, filologo, sulla base
delle sue valutazioni fa finire il verso in un determinato punto).
Edizione diplomatica-meccanica / interpretativa / critica (cfr. supra): difronte al testimone
unico di fatto posso proporre un edizione diplomatica-meccanica o una edizione
interpretativa o proporre un’edizione critica: nonostante l’unico testimone di fatto cerco di
ricostruire l’originale: correggo gli errore più rilevanti, tolgo i guasti, cerco di avvicinarmi
quanto più vicina a una versione più vicina dell’originale.

L’EDIZIONE CRITICA DATI PIÙ TESTIMONI: ho più testimoni, li tengo presente quasi tutti e
lavoro per ricostruire l’originale: elimino gli errori guasti per ricostruire l’originale.
➢ Notazioni sui testi medievali: solitamente nei testi medievali manca l’originale. In assenza
dell’originale sopravvivono delle copie: ciascuna copia è diversa dalle altre. Ci accorgiamo
di questa inevitabile produzione di cambiamenti confrontando i manoscritti: quando
qualcuno dice qualcosa di diverso. Finché tutti dicono la stessa cosa possiamo pensare
che quella lezione corrisponda all’originale. Quando invece si desta la mia attenzione
quando uno o più manoscritti dice qualcosa diversi rispetto gli altri (devo capire chi sta
sbagliando per capire la lezione originale). Alcune di queste varianti possono essere
adiafore. C’è una formuletta magica in latino che ci dice: Recentiores non deteriores ovvero
che non sempre le copie più recenti sono deteriori, cioè sono peggiori a quelle antiche.
Questa massima è un invito alla prudenza. Aldilà della cronologia contano i passaggi di
copie: sono quelle che determinano l’errore. Quello che conta di più è il numero di
passaggi.
Solitamente manca l’originale, sopravvivono più copie di varia collocazione: attenzione ai
manoscritti troppo eleganti che sono frutto di un copista abile che si sente in diritto di
cambiare il testo che sta copiando: non si limita alla copia ma interviene modificando. Qui
subentrano gli errori volontari quelli scientemente compiuti dal copista.
Criterio fondamentale di scelta: criterio della maggioranza. Per poter applicare questo
criterio devo prima aver chiarito il rapporto tra i manoscritti. Esemplificazione: vino
rosso/vino bianco: abbiamo 10 testimoni di questi:
10 mss (testimoni): 8 vino rosso / 2 vino bianco: io ho un originale da cui derivano 10
copie, 8 hanno vino rosso e 2 hanno vino bianco. Non ho l’originale (caso di diafora) mi
affido quindi al criterio di maggioranza. Il problema è che talvolta può risultare fuorviante:
se io trovo tra gli 8r un errore comune, vuol dire che questi 8r stanno sotto l’antecedente x:
valgono semplicemente 1. In questo caso il criterio di maggioranza si rovescia, si trasforma
in una maggioranza di 2 contro q1. Quindi a testo metterò “vino bianco” perché se gli 8r
stanno sotto lo stesso antecedente valgono 1: a questo punto ho 2 (vino bianco) contro 1
(vino rosso). Se invece immaginiamo di trovare un altro errore comune: a questo punto
sono costretto a metterli insieme l’antecedente (y) e non avrò quindi più 2 ma 1: non posso
più applicare il criterio della maggioranza perché abbiamo un eguaglianza (1=1) – vedere
slide p.76-77 – a questo punto subentra il filologo: il giudizio, la capacità di giudizio del
filologo. Quello che viene meno è il criterio della maggioranza: stemmi dipartiti.
Stemma tripartito: uno avrà vino rosso, l’altro vino bianco e l’altro vino rosato: in questa
situazione anche qui è impossibile applicare il criterio della maggioranza (perché 1=1=1).
Lo stemma tripartito mette a riparo dall’impossibilità di applicare il criterio di maggioranza.
Lo stemma peggiore è quello dipartito (perché 50% e 50%).

METODOLOGIE:
- Metodo di Lachmann: dovrebbe essere definito “metodo degli errori comuni” (con lo
stesso stemma dovrebbe essere creato sulla base di errori comuni) o “metodo stemmatico”
(perché il risultato finale di questo ordinamento dei manoscritti in uno stemma codicum - è
un albero genealogico). Viene chiamata anche metodo di Lachmann (non è stato inventato
da lui) ma è stato messo a punto dal Lachmann. Nasce nel 1793 e muore nel 1852.
Lachmann mette apunto questa metodologia in occasione dell’edizione critica di un tetso
latino. Tedesco che lavora sul De rerum natura di Lucrezio: dove mette in pratica il metodo
degli errori comuni o stemmatico. Questo metodo mira a una ricostruzione meccanica fin
quando possibile del testo, avvicinandosi possibilmente all’originale. Si utilizza il criterio
della maggioranza. Gli errori mi servono a definire i rapporti con i manoscritti. Diventa
fuorviante il criterio di maggioranza se prima non si stabiliscono i rapporti tra i manoscritti.
Si è distinta la scuola italiana: scuola tedesca e italiana – metodo degli errori comuni. La
scuola italiana ha perfezionato gli errori comuni con i Neolachmanniani, soprattutto filologi
italiani: Giorgio Pasquali, Michele Barbi, Gianfranco Contini. Vengono definiti così perché
seguono i dettami degli errori comuni ma determinano alcuni aspetti.
- Metodo di Bédier del bon manuscrito: filologo di scuola francese. È successivo a
Lachmann. A distanza di un paio di anni da Lachmann Bédier offre una critica rilevante al
metodo di Lachmann. In realtà all’inizio Bédier lavora sugli errori comuni: si fa riferimento
all’edizione del Lai de l’ombre di Jean Renart: lai: racconti in versi. Questo Lai viene
pubblicato a cura di Bédier nel 1890 applicando inizialmente i dettami del metodo di
Lachmann. Questa edizione però viene criticata dal maestro di Bédier il quale critica lo
stemma codicum. Bédier riprende in mano la sua edizione, ristudia tutta la tradizione e dice
che potrebbe essere uno stemma tripartito (come affermava il suo maestro: Gastón Paris –
il quale favoriva uno stemma tripartito): pertanto alla fine rinnega questo metodo degli errori
e muove una critica sulla base di 2 elementi forti di critica che sono:
1. Allestimento di prodotto artificiale, storicamente non esistito, comunque non
corrispondente.
2. È un elemento di critica più profondo quasi psicologico: Bédier quando ha ripreso in
mano la sua edizione ha fatto una sorte di sondaggio e ha rilevato che secondo tutti o
quasi gli stemmi di queste edizioni (che si basavano sul metodo di Lachmann) erano
bifidi con scelta del filologo per i “piani alti”: ovvero dice che quasi tutti gli stemmi sonno
stemmi bifidi come se i filologi nella ricostruzione dei manoscritti abbiano voluto
lasciarsi strada per il giudizio personale. Non è vero che tutti gli stemmi sono bifidi ma è
comunque una situazione maggioritaria. Poi è stato anche cercato di spiegare perché
questi stemmi sono bifidi: la stessa copia medievale favoriva uno stemma bifido. Tra le
due critiche questa è la più profonda perché mette in crisi il criterio del metodo di
Lachmann e quindi del criterio di maggioranza.

Il metodo di Bédier alla fine si concentra sull’edizione del miglior manoscritto: viene definito
metodo del bon manuscript. Il metodo di Bédier prevede lo studio di tutti i testimoni finalizzato
per scegliere il manoscritto migliore. Si torna quindi a un testimone a scelta con uno studio
approfondito dell’intera tradizione. Selezione del testimone migliore e sua pubblicazione integrale:
a quel punto il teste viene pubblicato a secondo il testimone giudicato migliore degli altri. Se io lo
applico fino in fondo il metodo di Bédier io pubblico un’opera secondo un determinato manoscritti e
quindi pubblico anche gli errori guasti. Nel metodo Bédierano sto pubblicando un’opera secondo
una testimonianza; nel metodo Lachamann c’è il salto in più perché il tentativo è quello di risalire
all’originale. Nel lavoro filologico si usa molto il metodo di Lachmann in quanto lavoro di restauro.
Nel metodo bedierano si studia la tradizione e si sceglie il testimone migliore. Con il metodo di
Bédier si parla comunque di edizione critica perché se ben condotta c’è lo studio di tutta la
tradizione; gli errori guasti vengono corretti e se non corretti vengono segnalati.

Fasi del metodo di Lachmann:


• Recensio: il reperimento dei manoscritti: prima di partire devo essere sicuro di aver
individuato tutti i testimoni – si guardano i cataloghi delle biblioteche, per indice e per opera
e si cerca di capire se quel determinato testo è conservato in qualche libro di una
biblioteca. Vale la pena procedere alla sigla dei manoscritti. Non posso in apparato mettere
(Firenze, biblioteca nazionale ecc) allora utilizzo una sigla: B ad esempio sta per Berlino; P
deriva da Parigi perché conservato a Parigi; MN invece dal copista Mannelli. Ci sono varie
scelte nella siglatura. Sigle alfanumeriche FL1 (F richiama la città: Firenze; L biblioteca in
cui è stato conservato: laurenziana; 1 indica l’indice numerico: 1 perché è il primo
testimone che abbiamo trovato), FL2, FL3, ..., FL10; FR1, FR2, ...; FN1, FN2, ...; VM1, ...;
FoC1.
• Descriptio: è la descrizione di ciascun testimone. Per fortuna nei cataloghi c’è una
descrizione minima (datazione probabile, materiale di scrittura): in cui si descrivono i vari
testimoni. Il manoscritto bisogna anche misurarlo. Come si consulta un manoscritto dal
vivo: MATERIALE 17: argomento; città; biblioteca. ESAME ESTERNO:
- Segnatura: la collocazione in biblioteca
- Materia scrittoria: codice cartaceo; pergamena
- Età
- Dimensioni (altezza + larghezza)
- Foliazione: il numero di carte
- Composizione del codice
ESAME PALEOGRAFICO: si prendono considerazione le scritture. Guardare materiale 17.
• Collatio: fase decisiva. La collatio= metter insieme’. La collatio è la fase di confronto.
Prendo un manoscritto di riferimento e passo in rassegna agli altri su ogni punto del testo.
Ogni volta che dicono qualcosa di diverso segno le varie differenze rispetto a quel modello
di riferimento. Segno i punti di differenza: tutte le volte in cui trovo le differenze le segno.
Questo lavoro mi dà già delle indicazioni: mi accorgo del rapporto tra i manoscritti. Questo
lavoro si può fare cartaceo o anche al computer. È inevitabile un minimo di interpretativo
già in questa fase: rispetto a questo si segnano tutte le differenze: ci accorgiamo del
rapporto con gli altri. Per tradizioni complesse può essere utile allestire anche una tavola di
presenza riassuntiva cioè visualizzare la portanza della testimonianza dei diversi codici.
MATERIALI 18: da questa tavola possiamo trarre delle conclusioni importanti sulla
portanza. Da questa tabella comprendiamo che i manoscritti completi sono: A (si può
parlare di manoscritto acefolo; in A mancano i primi fogli che sono andate perdute; non è
stato errore del copista), V (presenta delle lacune, si sono persi dei fascicoli successivi; non
è stato il copista a non copiarli ma il fatto che si sono persi dei fascicoli interni) e V1 (è il
manoscritto migliore ma qualitativamente no). Manoscritti parziali: B D E. Un manoscritto
molto parziale o quasi frammentario: C. D e E hanno la stessa testimonianza: hanno
esattamente gli stessi testi. D ed E sono strettamente imparentati perché la coincidenza è
troppo forte (riportano gli stessi versi).
• Rapporti tra testimoni: la collatio mi aiuta a stabilire il rapporto tra i testimoni: con gli errori
comuni. E è UNA COPIA DI D: il primo passaggio da fare è quello di eliminare i codici
descritti (eliminare le copie di altre copie).
- Quando un codice è descritto quando è copia di un altro codice che già possiedo. Elimino
quello del codice descritto: Eliminatio codicum descriptorum [MATERIALI 19a-b]. Codex
descriptus contiene tutti gli errori del modello più suoi errori specifici, dunque è da
eliminare. Dimostro che si tratta di un codex descriptus ma non me ne faccio nulla. Se nel
testo modello c’è una lacuna vado a prendere chi ha copiato da quel testo, in questo il
codex descriptus può servire a colmare questa lacuna. GUARDARE MATERIALI 19 A.
- Errore congiuntivo:
• Contaminazione:
• Stemma codicum: lo stemma codicum è basato sugli errori comuni. Però poi gli errori li
scarto, quindi ricostruisco il testo attraverso il criterio della maggioranza.
• Ricostruzione del testo: ricostruire il testo attraverso il criterio della maggioranza
• Emendatio: lavoro di correzione finale.
• Testo e apparato critico: alla fine avrò il testo e apparato critico. In apparato troverò tutte
le varianti che ho scartato.

Quando le tradizioni sono complesse si possono fare:


- delle selezioni dei manoscritti: ad esempio della commedia si hanno 300 copie; Petrocchi
ne ha confrontato soltanto alcuni facendo così una selezione di manoscritti.
- Loci (luoghi) critici: alta variabilità tra i manoscritti. Questo è stato proposto da Michele
Barbi per studiare la commedia cioè invece di fare una soluzione come ha fatto Petrocchi,
barbi ne analizza tutti e 300 su alcuni punti particolarmente sensibili del testo: loci critici
barbiani.

LEZIONE 29/02
Filologia digitale
È estremamente difficile definire le “digital humanities”: ad esempio, la traduzione assistita è un
tipo di applicazione alle digital humanities. Le digital humanities è l’utilizzo di computer per studi
umanistici, in altre parole, utilizzare le tecnologie per chiarire meglio gli studi umanistici. Anche
l’informatica beneficia gli studi umanistici. Le digital humanities è un approccio che vede le
tecnologie informatiche come studio di testi esistenti.
Che cos’è la filologia digitale? Sono strumenti applicati alla critica testuale.
Storia delle digital humanities: i primi interessi si hanno nel 1946 con Roberto Busa e l’indentro
Thomisticus. La traduzione automatica nasce nel 1476. Poi nasce la digital humanities che si
occupa di letteratura e linguistica: i primi ad occuparsi delle integrazioni informatiche. Analisi
quantitativa (basata su un grande campionato di dati). La filologia ma anche le digital humanities si
basano sulla analisi di una grande mole di dati. I primi sistemi che nascono:
- Filologia computazionale
- XML-TEI
- World Wildcats Web (SGML, HTML, XML)
- Dal CD-ROM all’operato access

L’edizione scientifica digitale: si intende qualsiasi tipo di edizione (diplomatica, interpretativa,


critica). Ma l’edizione scientifica digitale è l’edizione che segue uno standard e può essere
un'edizione qualsiasi. Requisiti dell’edizione scientifica digitale:
• Gestire una grande quantità di dati: facsimile, liste, glossari
• Deve rispondere al principio di relazionabilità: mettere in relazione questa grande quantità
di dati
• Principio di interoperabilità: deve essere indipendente dal supporto (per esempio HTML)
• Multimedialità e multimodalità: può contenere più elemento (un facsimile, una traduzione,
tracce d’audio)
• Riusabilità
Questi principi si trovano nei principi FAIR (findable, accessible, interoperable, reusable)
science e open acces
L’edizione critica digitale è un tipo di edizione scientifica digitale.
Come si fa un’edizione critica digitale: se voglio fare una edizione critica deve rifarmi
- a dei principi teorici di base di corrente filologica (neo-Lachmaniana, Bédierana, New
philology, filogenetica: metodo cladistico della bioinformatica ai testi – si inseriscono
sequenze di DNA e la macchina riesce ad individuare gruppi di individui. Molte edizione
sono di base filogenetica).
Strumenti digitali:
o Recensio:
- facsimile digitale (Biblissima, eCodices, BNF, Autografi dei letterati italiani)
- protocollo IIIF (International Image Interoperability Framework)
- standardizzazione grazie ai metadati
o Collatio:
- eScriptorium
- CollateX (collazione automatizzata)
- pesante e attenta attività di post-editing
o Stemma codicum:
-stemmalogia computazionale
- diffidenza generale
o Constitutio textus

Data-driven: ricerche guidate dai dati. Data-driven

Standard TEI (Text Encoding Initiative): TECNOLOGIA XML: si possono proporre diverse etichette.
È un linguaggio di marcatura (va a marcare alcuni aspetti) e non di programmazione. XML è un
linguaggio dichiarativo ovvero la descrizione del documento, non si preoccupa di aspetti grafici.
La TEI: ci sono dei moduli che contengono tutti le informazioni relative all’autore ecc;

Standard TEI: sui moduli comuni e specifici.

I metadati sono importanti per la standardizzazione dei dati online, diffusione, portabilità e
riusabilità.

L’apparato può essere esterno (in un altro punto del documento o in un altro documento) e interno
(inline).

L’elemento prologo esiste nella TEI ma si usa solo per i testi teatrali.
Taggare (@) le metafore.

Edizione haute couture: fogli di stile (è quel foglio che ci dice che nel nostro sito il titolo è rosso,
oppure a sinistra o a destra)
Edizione pret à porter

“Canto” equivale a “cantica”

LEZIONE 01/03
MATERIALI 19B: Il canzoniere provenzale D risulta essere una copia del canzoniere K. D copia K
e copia così tutti gli errori di K + i suoi.
Rileviamo in D un’errore in più che ci permette di dire che la lezione di D è peggiore di K. Nel
codice D c’è una conclusione molto frequente ma “sabor” viene cambiato in “saber” e la
sostituzione di “sos” a “ses”. “Ses vezers”: senza vederla: questo a livello di contenuto non sta in
piedi. “Saber” si tratta di un errore perché fa fuori rima rispetto a sabor. K dice giusto e D sbaglia. D
è una buona copia di K dal punto di vista filologico. D è un descriptus eliminandus descriptorum.
Fasi del metodo di Lachmann:
- Contaminazione: un fenomeno più volte citato e che incontreremo anche nella tradizione
della Commedia. È una sciagura del filologo: fa saltare i rapporti di parentela. Quando mi
accorgo che un copista prende un modello e in parte ad un altro e che questi appartengono
a due famiglie diverse non ottengo un testo ibrido: la contaminazione è quella tradizione
non meccanica, non verticale, ma orizzontale accade ogni volta in cui un copista guarda un
modello diverso da quello da cui sta ricavando l’opera. Il copista pesca da un’altra possibile
modello/codice/copia. Davanti a un errore evidente alla possibilità di consultare un altro
manoscritto lo pesca da lì: questo lo metto in crisi: contaminazione anche per correggere
errori. Nn ho un modello prive ligiato su cui vado a intervenire: ho disponibile 2 o 3 codice
della stessa opera, una volta pesco da uno e un’altra dall’altro. Dipende dalla fisionomia
dell’opera: la Commedia si presta molto alla contaminazione. Quando abbiamo opere
ampie, scansionate al loro interno, produce la contaminazione. Come lo rappresento nella
stemma? Con le linee tratteggiate: che vanno in orizzontale, che implica un processo di
contaminazione. Di fronte a troppe contaminazioni, si abbandona lo stemma e si cerca di
pescare quello migliore applicando la lectio difficilior e usus scribendi.
- Stemma codicum: albero genealogico, schema utile per visualizzare i rapporti genealogici
decisivi per valutare la testimonianza. Io pongo a stemma ciò che mi serve: parto dalle
copie conservate (le lettere che nello stemma si trovano in maiuscolo). Non è una
rappresentazione dettagliata della trasmissione ma traccio i rapporti di parentale tra queste
opere –> alfa e beta, ad esempio, mi servono ad esempio per giustificare i rapporti tra le
famiglie. Lo stemma si costruire sulla base degli errori comuni: scarto gli errori palesi ma
applico il criterio della maggioranza. Guardare MATERIALE 21. Solitamente nello stemma
c’è O. Sotto l’originale può esserci il così detto “archetipo” (solitamente x o ω) – nei
materiali 21 alfa1 è l’archetipo. L’archetipo è un codice intermediario fra l’originale e tutta
la tradizione; presenta almeno un errore congiuntivo presenti in tutta la tradizione: nella
dinamica della copia è giustificabile l’archetipo.
Errori d’archetipo? [MATERIALI 20]: se avesse tradotto “la stoltezza dello stolto” forse
difficilmente si sarebbe prodotto l’errore di “molti”: questo errore potrebbe essere stato
prodotto perché “stulti” è stato confuso con “multi”: errore di traduzione (ALFA). Questo
errore è più giustificato da alfa non da alfa 1. Sembra più un errore di traduzione
commesso da alfa che di un errore di tradizione di alfa 1. È un originale frutto di traduzione
e può contenere degli errori di traduzione.
Nel secondo caso: nei primi due abbiamo più o meno la stessa cosa. Nel testo italiano:
virorum: invece di dire la comunione dei soldati ci dice la comunione delle parole: grazie
alla fede avviene il linguaggio comune. È un testo errato ci dice chiaramente il confronto
con il latino. La sostituzione di virorum con “ de le pararle” si ritrova in tutti i testi italiani:
errore d’archetipo. Tuttavia, in questo caso, questo errore è più giustificabile come errore di
traduzione di alfa: l’errore sta nel passaggio dal latino all’italiano: il colpevole è alfa: un
errore in fase di passaggio dal testo latino al testo italiano.
Nel terzo e quarto caso: sempre casi di errore di traduzione da parte del nostro primo
traduttore originale (alfa). Nel quarto caso questo errore potrebbe essere nato da mutus
letto come moto. Qui un margine di dubbio resta.
L’esistenza di alfa 1 non è per nulla certa. Per certificare l’esistenza dell’ archetipo bisogna
trovare almeno un errore congiuntivo presenti in tutta la tradizione.

Subarchetipi: quei capostipiti che stanno sotto l’archetipo. Sono i capostipiti che
determinano i rami principali. Definiscono la natura degli stemmi. In modo in proprio si
utilizza questo termine anche i capostipiti delle sottofamiglie ma non sarebbe o proprio
corretto: alfa terzo, alfa quarto, alfa sesto, alfa settimo, alfa ottova: i veri archetipi sono
ALFA 1 E ALFA 2.
Si parla anche di code interpositus o intermedio: (α, β, γ, ... o x’, x’’, x’’’, ...)
Manoscritto (superstite o perduto) che si colloca fra due altri manoscritti (superstiti o
perduti)
Es. archetipo interpositus fra l’originale e i subarchetipi
Es. subarchetipo interpositus fra l’archetipo e i mss. che compongono la famiglia
Materiale 21: è uno stemma a due rami: le famiglie principali sono alfa II e alfa V, all’interno
abbiamo differenti ramificazioni. Alfa 8 è quello che ha meno passaggi per arrivare
all’originale. Quando siamo ai piani bassi posso uscire dalle sottofamiglie però guarda
come si comporta il gruppo riconducibile ad alfa 5.

- Ricostruzione del testo: due tipologie ricostruzioni del testo:


Recensione chiusa quando sono possibili scelte meccaniche: quando posso affidarmi al
criterio della maggioranza
Recensione aperta quando la lezione dell’archetipo non può essere ricavata in modo
meccanico: quindi avrò il 50% oppure se sono 3: 33,3%, 33,3%, 33,3%.
Stemmi bifidi
Ciascun ramo una variante diversa
Ricostruzione meccanica del testo: stemma costruito sugli errori, utile a recuperare le lezioni
corrette; scelgo in base al criterio della maggioranza all’interno di ciascun raggruppamento e
applico il Eliminatio lectionum singularium. Applico il criterio della maggioranza dopo aver stabilito i
rapporti tra i manoscritti.

Quando le scelte non sono meccaniche devo affidarmi ai criteri di scelta da parte dell’editore: è
più comoda quella meccanica, ma quando ho uno contro uno devo riflettere e devo scegliere.
Petrocchi nella Commedia giustifica le scelte. Lectio difficilior e usus scribendi dell’autore.

Per risalire all’originale l’ultima fase del metodo di Lachmann è l’emendatio: correzione
dell’archetipo ope ingenii: per opera dell’’ingegno – coerenza con il contesto; probabilità
paleografica: giustifico l’errore. L’emendatio è l’ultimo passaggio per arrivare all’originale: si arriva
a una pagina in cui interagiscono il testo e l’apparato [MATERIALI 22: le pericope devono avere
una lunghezza non troppo lunghe, non troppo corte. Il titolo è una sezione paratestuale molto
mobile: conviene isolarlo come pericope singola. Non deve essere troppo lunga perché in apparato
riprendiamo questi numeri; con una pericope lunga facciamo s a dialogare.
Dialogo tra testo e apparato: è un testo molto mobile cioè è un testo continua a cambiare. Questo
apparato tiene in considerazione soltanto le varianti sostanziali]

Apparato positivo e apparato negativo: in apparato positivo trovo anche la lezione giusta, ripete in
apparato ciò che sta nel testo. L’apparato negativo è un apparato in cui trovo soltanto le varianti,
non riscrivo quello che sta a testo ma riporto soltanto le variazioni che stanno a testo. Dipende
molto dalla situazione. Nei materiali 22: apparato misto ovvero in parte positivo che negativo.
Questo capitolo è un tratto dalla fisionomia: il re deve scegliere i suoi consigliere in base alla loro
fisionomia. Nella pericope 48: in apparato LB2α OB1 VM1 omettono Ancora; dell’omo. VM1 FN10
FL2 V1 PC1 luomo; FN10 FL2 V1 PC1 lo (FL2 V1): rimandano alla parte destra in baso di
materiali. 211 quindi ci troviamo nella parte di alfa sesto.

FILOLOGIA D’AUTORE
La filologia d’autore indica l’insieme di metodi e problemi relativi all’edizione di opere (spesso otto-
novecentesche) conservate da uno o più manoscritti autografi (o idiografi), oppure da stampe
sorvegliate dall’autore, e caratterizzate da varianti, stesure o redazioni plurime» (Stussi 2011). Gli
elementi forti di questa definizione:per fare filologia d’autore ho bisogno d 2 condizione:
dell’originale ma anche delle varianti, delle stesure, redazioni precedenti, delle bozze. Per poter
fare filologia d’autore devo possedere ai il testo definitivo che i materiali preparatori precedenti. Se
di un'opera conservo l’originale e punto non faccio filologia d’autore: faccio filologia d’autore sulle
edizioni precedenti, sui materiali precedenti, sulle bozze. Per poter realizzare la filologia d’autore
ho bisogno di soddisfare 2 condizioni: l’esistenza dell’originale e delle sue bozze.
Queste due condizioni vengono soddisfatte per le opere dell’800. Prima era difficile possedere
l’originale (non nel caso del canzioniere di Petrarca: caso eccezionale). In ambito medievale è
difficile soddisfare le due condizioni ma anche nel 600 e 700: mancano spesso le bozze,
l’architetta precedente perché non c’era questa concezione di conservare i materiali preparatori.
Dall’800 invece l’autore comincia a conservare i materiali preparatori che possono essere oggi
d’aiuto per lo studio della filologia d’autore. Dopo nel 900 la situazione si complica perché e
cambia il metodo di scrittura: con la videoscrittura, con i computer, perdo traccia delle correzioni
perché magari un unico file che a mano a mano aggiorno ma quella è la versione ultima che non
lascia tracce delle correzioni precedenti. Esiste ancora il manoscritto moderno: per autori e
contemporanei si può trovare la produzione tutta o in parte manoscritta. Sull’800 e 900 si scriveva
ancora a mano. Questo manoscritto viene poi stampato sotto diretta sorveglianza, ma anche una o
più redazioni antecedenti e seguenti manoscritte, prima stampa in rivista, manoscritto inviato in
tipografia, ristampe modificate. Tutti questi elementi sono comunque fortemente legati al testo. Ma
dell’archivio privato di un autore fanno parte anche anche ricco dossier con elementi di personaggi,
liste di parole, schemi, disegni, abbozzi di stesure, taccuini: sono scritti dalla mano del testo che
interessano il testo ma in qualche modo vanno a. Completare quell’archivio personale dell’autore
rispetto a una determinata opera.
In qualche caos l’autore diventa copista di sé stesso, come si è visto per Boccaccio: un autore
particolarmente geloso del proprio scritto non vuole mandarlo in tipografia prende il suo testo
originale e fa una copia da mandare in copisteria: nell’atto della copia infilerà degli errori. In realtà
manderà in tipografia una copia peggiorativa del testo originale ma può anche cambiare il testo:
dobbiamo sempre restare fedeli all’ultima volontà dell’autore. Il testo prima di arrivare in tipografia
viene costruito dall’autore: processo creativo che lascia le tracce nelle stesure, negli abbozzi di
un’opera dai primi appunti alla bella copia che va in copisteria. Tutto questo materiale diventa
testimonianza del percorso verso la stesura definitiva del testo. La carta costava molto per ragioni
di mercato essendo la carta un bene prezioso si scriveva direttamente la versione definitiva. È
allora la rielaborazione era un processo mentale e di memorizzazione – l’appunto doveva restare a
mente. Tendenzialmente si metteva a scritto, per ragioni economiche, la bella copia. Per questo è
difficile fare filologia d’autore sui testi medievali. Diversa è la situazione tra 8 e 900 in cui con una
maggiore disponibilità ritroviamo dei veri e propri archivi privati di autori.
Alla morte dell’autore troviamo degli archivi dispersi tra privati. Se non disperso vengono trasferiti
tendenzialmente in una pubblica istituzione (ad esempio in biblioteca). Bibliothèque Nationale de
France rappresenta il grande collettore. All’interno vale la pena distinguere tra materiali preparatori
e testi. Archivio destinato a studi specifici - anche con autore vivente (es. Eugenio Montale, L’opera
in versi, a c. di Rosanna Bettarini e Gianfranco Contini, Torino, Einaudi, 1980).
Centri di ricerca specializzati: in Italia a Pavia dal 1973 si trova il Centro di Ricerca sulla Tradizione
Manoscritta di autori contemporanei. Talvolta sono gli autori in vita stessi che inviano i loro archivi
a questi centri. Ormai gli archivi sono prossimi alla crescita zero, a causa del progressivo
diffondersi della scrittura informatica.
Le ragioni della filologia d’autore sono rilevanti per le opere inedite o incomplete (esempio Proust,
Kafka). Resta comunque interessante che gli abbozzi sono utili per l’indagine critica. Valutare gli
stadi precedenti fornisce delle indicazioni utili per l’indagine critica sulla versione definitiva – es.
Ariosto, Leopardi.
Solitamente l’indagine si stende anche alle scritture private: spesso testi fluidi, talvolta
contraddittori; es. Leopardi, Zibaldone. Possono essere anche interessanti i carteggi privati per
comprendere meglio le opere di autori o studiosi. Le analisi delle lettere degli immigrati: danno
informazione su una scrittura popolare; le lettere dal carcere: sono lettere private di persone
comuni per interesse linguistico (“italiano popolare”).

AVANTESTO: L’avant-text è un francesismo, calco del francese. Indica l’insieme dei materiali
preparatori che vengono raccolti, classificati, decifrati. È ciò che sta prima di un testo. Implica
l’attenzione per la scrittura non per lo scritto; implica l’attenzione per il processo non per il prodotto.
Il filologo prende in considerazione i materiali conservati non con la costruzione mentale
dell’autore.

LEZIONE 07/03
AVANTESTO
Tutto ciò che sta prima del testo. Ci troviamo di fronte alla consistenza di 2 tipi di avantesto ->
- alcuni di questi non sono strettamente legati a quell’opera di cui mi sto occupando -> fanno
parte dell’archivio d’autore ma non sono neanche la bozza. Possono essere ad esempio
delle liste di parole. Alcuni materiali non sono direttamente collegabile. A livello editoriale ->
se voglio pubblicarli li devo pubblicare a parte, non possono fare un apparato con le liste
delle parole -> la pubblico tutta come appendice del testo. I materiali non direttamente
legati al testo vengono pubblicati a parte.
- Diverse è la natura con i materiali direttamente collegabili con il testo -> sono degli stadi
dell’opera medesima. Possono essere state pubblicate, possono anche essere rimaste nel
cassetto dell’autore ma sono delle brutte copie della nostra copia. In questo caso a livello
editoriale ci sono 2 soluzioni:
➢ una che fa capo alla scuola francese-> pubblicazione a parte (tutti i promessi sposi del
1827 e poi tutti i promessi sposi del 1870) -> dei macro-volumi che contengono tutti i
materiali dell’avantesto -> una linea più documentaria, di testimonianza. La comodità. Nella
fruizione di questi tetsi è quello di avere una testimonianza completa di ciascun opera
➢ l’altra fa capo alla scuola italiana -> si tratta di edizioni editoriali sintetiche -> significa il
tentativo di far dialogare la versione definitiva di un testo con le sue versioni precedenti.
MATERIALI 23: EDIZIONE SINTETICA DELL’ORLANDO FURIOSO. Il vantaggio: il
confronto è proposto nella modalità stessa di edizione. Per un lavoro di documentazione va
bene quella francese, per un lavoro critico è forse meglio quella italiana.
1. Rapporto testo-apparato
2. Edizione interlineare dei promessi sposi-> abbiamo sulla linea del testo l’edizione
definita dei promessi sposi del 40; in interlinea si riportano a testo quelle del 27.
Nell’edizione all’italiano: una fase che fa dialogare le due parti del testo -> devono essere
rapportabile al testo.

L’edizione genetica “francese” consiste nell’edizione integrarle di tutto l’avantesto. È utile


quando il materiale dell’avantesto è abbondante ma anche eterogeneo.
L’edizione critica all’italiana -> ha un approccio diverso perché e si tende di far emergere le varianti
di un’opera rispetto all’edizione (sentire la registrazione). Questa tipologia trova un modello ritenuto
ancora esemplare nell’’orlando furioso -> materiali 23 -> è considerato modello di edizione critica
genetica ancora oggi. Dobbiamo far dialogare testo e apparato ma dopo si riesce a cogliere i
cambiamenti della prima edizione (1516), seconda edizione (1521) e dell’ultima (1532). A testo
nella pagina troviamo l’edizione definitiva quella del 1532 (C) in apparato troviamo le varianti di A e
B rispetto a C: ovvero le varianti dell’edizione precedente. Questa regolarità ci permette di regolare
un confronto.
MATERIALI 23-> le varianti genetiche si trovano in apparato -> sono le edizioni quelle che hanno
contribuito la genesi dell’opera nel suo assetto definitivo.
Quando in apparato troviamo qualcosa in tondo vuol dire che si sono inserirete delle parole che
cambieranno in C. I mutamenti da A e B sono marcati in corsivo.
Quando in apparato troviamo a sinistra il numero 1 -> si fa riferimento all’ottava 1 ovvero alla prima
ottava.
Gli altri numeri (1,4,5) indicano i versi.
Mancano i versi 2 e 3 perché vuol dire che Ariosto non ha cambiato nulla nell’edizione del 32.
Il testo di A lo ricavo tra l’apparato e il testo definitivo di C -> qui si colgono i cambiamenti.
Nell’edizione del 16 e del 21 nel primo verso della prima ottava: abbiamo solo tre elementi (donne,
con tre elementi non si può fare il chiasso -> bisogna avere 4 elementi. Ariosto introduce il chiasmo
soltanto nel 1532: questa inserzione porta alla presenza di quattro elementi -> donne, cavalier,
arme, amori -> corrispondenza incrociata -> CHIASMO.
Al verso quattro -> c’è una sorta di altalena nelle varianti. La variazione riguarda solo la parola
“Noceir” in B: è una variante formale -> nella prima edizione ha scritto “nocquer”: se A in apparato
non viene nominata e viene nominato solo B. Quindi recupera la prima forma.
Nel verso successivo nel 5 presenta elementi di rilievi: nel 16 e nel 23 aveva scritto “tratti da l’ire e
giovenil”: manca l’articolo “i” che si trova solo in C.

Parafrasi della prima ottava: io canto le donne, i cavalier, l’arme, gli amori quelle che avvennero al
tempo in cui i Mori passarono il mare d’Africa e portarono tanto danno in Francia seguendo l’ira e i
furori giovanili di re Agramante...
Troiano era il padre di Agramante che era stato ucciso da Orlando. Agramante decide di vendicarsi
e porta la guerra sul territorio di Francia.

Seconda ottava: sta citando in modo nascosto la donna di cui è innamorato.


In apparato -> nel primo verso troviamo “di” in B ma dirò in C -> A non viene indicato in apparato
perché nell’edizione del 16 aveva scritto “dirò” come nell’edizione del 32.
Nel sesto verso -> la differenza è la collocazione dell’apostrofo -> Ariosto nel 1516 e 21 ha
preferito pubblicare l’inizio del verso 6 con “ch’el”: ha eliso la e di che e aggiunto l’apostrofo. Nel 32
mantiene la e di che ma fa cadere la e di “le”: “che l’ “ -> preferisce passare da forma piena del
“che” con aferesi dell’articolo.
Verso 7 -> una situazione morfologica. Nel 16 e nel 21: “serà” nel 32:”sarà” -> è la forma moderna.
C’è un cambiamento morfologico. Nel 16 e 21 Ariosto adegua il testo a Bembo.
Verso 8-> sostituzione lessicale -> nel 32 preferisce la forma “a finir” che “compir”. La metrica
comunque non cambia. Sceglie una forma più standard, colloquiale del verbo. Effettivamente qui
sembra quasi voler alleggerire la forma lessicale -> una forma più semplice rispetto al “a compir”.

Il grosso vantaggio di questa edizione critica genetica: è quello di poter confrontare le edizioni del
furioso in una stessa pagina.

Nell’edizione critica genetica “italiana” l’avantesto non scompare ma si trova in una posizione
subordinata. In questa edizione l’avantesto ci fa vedere come un autore è arrivato a una stesura
definitiva. Non è uno studio documentale ma è un approccio critico, capire come si è avvicinato a
quel testo definitivo.
Se sono delle vere e proprio edizioni complete di un’opera vale la pena impostare un’edizione
critica-genetica.
L’esito di questo lavoro dell’edizione critica-genetica “italiana” -> proposta di strumenti di lavoro
maneggevoli e ricchi di informazioni. Impresa dunque rischiosa e impegnativa:
➢ Ipotesi su modi e tempi di elaborazione
➢ Molteplici revisioni
➢ Stesura e prima correzione
➢ Seconda rilettura globale
➢ Rilettura e modifiche a distanza di tempo
➢ Ricostruzione del movimento che ha prodotto il testo

Quando un autore interviene sul proprio testo -> cambia quel testo attraverso soppressioni. In
questi casi si parla di “varianti realizzate” -> sono quelle compiute, quando davvero un autore ha
cambiato il testo:
Variante di aggiunta -> modalità di aggiungere nel testo
Variante di sostituzione -> quando si cambia un termine al posto di un altro.
Variante di permutazione -> cambia l’ordine delle parole nel verso. Quando cambia la posizione
anche tra strofe diverse. Questo si trova anche nel Furioso.
Variante di soppressione-> quando cancelliamo qualcosa, senza però mettere qualcosa.
Nell’apparato di Ariosto abbiamo un caso di variante di aggiunta nella prima ottava nel verso 5 ->
l’articolo “i”.
Questi sono casi di varianti realizzate. Ma c’è un’altra categoria di variante -> varianti alternative -
> sono delle possibilità di scelta che un autore si dà per alcune determinate parole che poi non
vengono realizzare. L’autore si scrive delle opzioni di scelta che non sostituiscono la parola ma
sono varianti annotate senza cancellare il corrispondente segmento. Sono delle varianti di
aggiunta senza sopprimere ciò che sta nel testo.
C’è un'altra distinzione che riguarda il tempo di attuazione della variante:
- Varianti immediate -> sono quelle che si verificano nel processo di scrittura. Di solito la si
scrive di fianco, a destra. Una variante immediata si riconosce quando è collocata a destra.
- Varianti tardive -> non immediate, ovvero delle varianti che subentrano durante in una fase
secondaria durante il processo di lettura. Di solito si colloca sotto, nell’ interlinea o
comunque in uno spazio rimasto bianco. Questa posizione è indicativa di una variante
tardiva. Facciamo fatica a sapere il tempo intercorso tra il processo di scrittura e quella di
lettura.

Può essere sia una variante immediata ma anche tardiva.


Abbiamo anche le:
- Varianti sostanziali: quando cambia il nostro testo
- Varianti formali: sono delle varianti che riguardano la forma delle parole. Ad esempio
nell’orlando furioso “serà” “sarà” -> situazione morfologica; anche nocier e nocquer è un
esempio di variante formale.

STRATIFICAZIONE DI VARIANTE -> raramente si riesce a stabile con certezza la cronologia tra le
singole varianti. È necessario identificare almeno uno stesso strato (livello, fase) di intervento sul
testo. Indizi che ci possono aiutare:
• Indizi materiali: colore dell’inchiostro (tutte le varianti fatte con lo stesso colore vuol dire che
vanno insieme), tipo di scrittura (alcune in corsivo, altre in stampatello -> tutte quelle in
corsivo rappresentano uno stesso livello), posizione nella pagina (nel caso delle varianti
tardive la prima collocazione è nell’ interlinea ma se vogliamo correggere nuovamente
l’altra correzione dove la mettiamo? Se c’è ancora spazio nell’ interlinea la scriviamo sopra
ancora; se l’Interlinea è finito a margine).
• Considerazioni sul progetto creativo, sull’arco cronologico-> ma dipende molto dall’ordine
dell’autore che magari annota il momento in cui compie le correzioni.

Questi momenti in cui l’autore torna sul testo -> si parla di campagne di correzioni. Queste
diverse fasi in cui l’autore interviene a correggere un proprio testo vengono definite “campagne di
correzioni”.
Fasi elaborative:
➢ Nel caso più semplice, segmento testuale (prima fase elaborativa) su cui si deposita una
sola variante (seconda fase elaborativa)
➢ Se la variante è sostituita da un’altra, terza fase elaborativa (e così via)
Indicazioni topografiche (posto nella pagina):
Es. alla stratificazione dal basso verso l’alto nell’interlinea corrisponde una successione di fasi
elaborative dalla più antica alla più recente.
Ma alcuni scrittori sono molto irregolari nell’uso degli spazi.

MATERIALI 24: troviamo un esemplificazione del processo delle fasi di elaborazioni. È un esempio
mediamente complicato (modalità di correzione un po’ complicato) -> Luigi Capuana, la sua opera
è il marchese di Roccaverdina. Abbiamo la riproduzione di uno stralcio che corrisponde alla pagina
7. Su questo testo possiamo parlare di campagne di correzioni. Non è facile fare ordine e capire il
momento delle singole varianti, qualcosa nella successione si può ipotizzare. Nell’esame
dobbiamo ricostruire le fasi intermedie. Disse il marchese non c’è più -> soppressione; nella
stesura ha deciso di cancellare disse il marche, l’ha fatto in modo evidente, con questo
scarabocchio ha coperto “disse il marchese”. Il “potrà” è stato cancellato e “avrà”.
POSSIBILI FASI INTERMEDIE. VEDERE SUL FILE

Rappresentazioni in colonna: una rappresentazione sinottica (approccio sintetico) che consiste


nell’ incolonnare sulle pagine le fasi di un segmento testuale, dalla più antica alla più recente. Si
prende un verso di poesia, si trascrive nella sua prima stesura e sotto ogni parola scrivo gli
eventuali cambiamenti. Rappresentazione in colonna perché vado a scendere e si forma la
colonna. Questo tipo di rappresentazione in colonna funziona molto bene in poesie -> prendo il
verso e vedo quali cambiamenti ci sono in questo verso. Nei testi in prosa faccio un po’ più fatica.

Esempio fittizio di rappresentazione in colonna: da XAB iniziale che arriva a XYZ finale (XYB fase
intermedia): devo partire dalla prima fase XAB -> mi viene detto che la versione finale è XYZ e che
la fase intermedia è XYB
Sotto la x non scrivo niente perché non cambio nulla.
Sotto A metto Y
Nella fase intermedia B non è cambiato -> sotto B non metto nulla.
Scendo di un piano ogni volta che c’è una diversa fase di elaborazione. Parto dalla stesura
primitiva e vado a scendere.
È una rappresentazione in colonna economica perché si trascrive soltanto quello che cambia. In
questo tipo di rappresentazione come posso leggere la stesura definitiva? Vado sempre a pescare
la elaborazione del gradino bardo -> quindi XYZ.

Oppure per ragioni di chiarezza di può rappresentare segnalando tra parentesi le parti invariate
(vedere slide numero 125).

MATERIALI 25A: Leopardi, A Silvia -> edizione in colonna-> oggi leggiamo i canti di leopardi nella
versione NC -> Napoli Corretta (da leopardi). Prima di arrivare a N leopardi aveva scritto i propri
testi e li aveva scritti a mano. Quindi abbiamo gli autografi dei canti. Tra gli autografi Leopardi
aveva già pubblicato i canti -> tra AN e N non c’è nulla perché non ci sono cambiamenti, modifiche.
Se non li cito è perché non ha cambiato nulla nello stato precedente. Anche l’assenza è portatrice
di significato -> si citano soltanto quelli che presentano modifiche.
Nella prima edizione non scrive rimembri ma “sovvienti”-> nelle edizione di Napoli c’è un primo
cambiamento importante perché il verbo sovvienti viene sostituito con “rammenti” ->> variante di
sostituzione. Silvia sovvienti ancora quel tempo -> Silvia è un complemento vocativo; quel tempo è
soggetto. Con “rammenti” -> il soggetto qui è tu sottinteso. Non è il tempo che viene in mente a
Silvia ma è Silvia che ricorda il tempo. Sovvienti -> difficoltà di pronunciazione. Con rammenti
invece no.
Opera un’ulteriore correzione -> Nella Napoli corretta -> scrive “rimembri” ma a livello sintattico
non cambia nulla. Quali impressione può provocare? Cosa ha rimembri meglio di rammenti? La t
dentale dura di rammenti viene sostituito da un suono più dolce “rimembri”.
Altro elemento in più: le rimembranze fanno parte del lessico di Leopardi, è una terminologia vicina
alla sua scrittura. Da un punto di vista fonico “rimembri” ha un suono più dolce ma anche la
terminologia è vicino alla sua scrittura. Qui leopardi era alla ricerca del verbo corretto.

LEZIONE 08/03
MATERIALE 25A -> la prima carta che contiene uno scritto autografo del canto “A SILVIA” di
Leopardi. È un autografo (An -> n sta per napoletano). Questa stesura è anche datata -> in alto a
sinistra c’è l’indicazione del luogo e la data della stesura di questa versione manoscritta. Ovvero
Pisa 19 aprile 1828 -> questa data è riconducibile alla stesura. Non possiamo pronunciarci però
sulla data di correzione -> restiamo incerti. Possiamo dire che il 19 aprile 1828 è una sorta di
postquem -> Leopardi ha scritto questa pagina nell’aprile del 1828 da lì in poi l’ha ripresa in mano
per correggerla, non sappiamo se lo stesso giorno o un altro giorno. Ma questa è la data di stesura
su cui intervengono delle correzioni. È una bella copia -> Leopardi nel momento in cui scrive,
redige questa pagina, in realtà ha già dei materiali alle spalle e qui sta proponendo una
sistemazione -> c’è una scansione in versi molto chiara (va a capo quando finisce il verso, cosa
non immediata nella stesura di un componimento poetico); c’è anche una scansione delle strofe
(non sono chiaramente strofe ma gruppi di versi ma se ci facciamo caso ogni tanto c’è il paragrafo
rientrato -> quando c’è uno stacco, il paragrafo viene scritto un po’ a destra). Leopardi scrive
questa versione di “A Silvia) in bella copia conoscendo già sé stesso, consapevole del casino che
farà dopo -> nello scrivere “a Silvia” -> posizione a destra, lasciando a sinistra un margine ->
evidentemente sapeva di dover intervenire sul testo. Quindi questa fase del 1828 da una parte
presuppone delle brutte copie precedenti, dall’altra parte però nell’impostazione stessa data dal
poeta presupponeva già una futura revisione -> è come se Leopardi avesse voluto fare un po’
d’ordine su quello che aveva scritto prima consapevole però che poi sarebbe tornato sul testo ->
per questo si lascia il margine a sinistra per le varianti (dire poi di che tipo).
Nei primi versi troviamo una scrittura lineare anche ben leggibile su cui leopardi è intervenuto in
qualche punto del testo -> è evidentemente un autore ancora alla ricerca della forma per lui
perfetta.
Nei primi versi non gli convinceva molto -> i versi 3-4-5 -> il verbo “sovvienti” nel verso 1 non viene
messo in discussione. Invece troviamo una forte indecisione compositiva ai versi 3,4 (quella degli
occhi ridenti e fuggitivi).
Sul titolo “A Silvia” -> nessun intervento. Si trova al centro.
Nel primo verso non corregge nulla “Silvia, sovvienti ancora”
Nel verso 3 -> “quando beltà splendeva” -> ha cancellato d -> probabilmente ha riletto e poi ha
cancellato la “d”. È una variante formale, perché passa da “splendeva” a “spendea” -> la
parola è quella, non cambia il tempo del verbo (passato era ed è rimasto passato) -> Leopardi ha
fatto questo cambiamento perché “splendeva” ha una sonorità migliore (eufonia) e ha anche una
forte tradizione letteraria, poetica. È una variante di soppressione -> cancella la “d” senza
aggiungere nulla.
Nella rappresentazione in colonna (edizione di Peruzzi) si trovano i 2 stadi dello stesso autografo
napoletano -> nella rappresentazione in colonna scriveremo “splendeva” -> alfa sarà splendeva e
in un gradino più basso troviamo con beta splende[v]a -> Peruzzi scrive in corsivo quello che resta
e non cambia mentre tra le parentesi quadre cosa cambia.
Nei versi successivi inizia una difficoltà -> leopardi scrive un verso che poi decide di cancellare
tutto -> variante di soppressione -> questo verso (numero 4) in cui stava scritto “Ne la fronte e nel
sen tuo verginale” -> viene abolito del tutto, viene cancellato e affiancato da una variante di
settenaria (Nel volto verginale), registrata nella colonna interna (sinistra).
Al posto di questo verso cancellato troviamo a margine “nel volto verginale” che ha anche una
diversa misura, è un settenario che dovrebbe sostituire “ne la fronte e nel sen tuo verginale” ->
Leopardi non è convinto nell’immagine del seno, dall’altra parte tiene verginale e cambia fronte in
volto.
Nell’edizione questo verso non c’è: si passa direttamente negli occhi ridenti e fuggitivi.
Probabilmente questo verso cancellato e la proposta che è stata fatta con un verso più corto alla
fine è stato del tutto saltato da Leopardi. Nell’edizione in colonna questo verso lo troviamo tra
parentesi quadre nello stadio più basso di alfa, ovvero nello stadio beta. Le parentesi quadre
indicano che è stato cancellate. Peruzzi l’ha numerato 3bis -> quando abbiamo un verso in più e
cancellato non bisogna dare un numero ma piuttosto indicare quel verso con “3 bis, 4tris, etc…”
Sguardi incerti corretto in occhi tuoi ridenti, con recupero di occhi dalla variante E ne gli occhi tuoi
molli e [.] fuggitivi. dolci, vaghi (questi ultimi due aggettivi alternativi a molli) -> il verso 4 è un
passaggio complicato. In apertura del verso 4 leopardi aveva scritto “e” (congiunzione) prima di
“ne” -> e maiuscola ad inizio del verso, che viene soppressa con due tratti -> viene soppressa
perché si legava al verso precedente. Cancella “sguardi incerti” (variante tardiva) e nell’ interlinea
sopra scrive “occhi tuoi ridenti”. In realtà neanche la versione “negli tuoi ridenti e fuggitivi” lo
convince -> nel margine a sinistro -> in corrispondenza del verso 4, leopardi scrive “ E ne gli occhi
tuoi molli e [.] fuggitivi. dolci, vaghi (questi ultimi due aggettivi alternativi a molli) -> dopo fuggitivi
c’è un punto -> a margine quindi troviamo un verso alternativo. Leopardi sta cercando
un’alternativa -> sotto molli scrive dolci e vaghi ->non sono parole in più ma delle alternative che
leopardi si è dato per sostituire “molli”-> molli, dolci e vaghi -> sono tutti e tre bisillabi. Nella
dinamica delle scelte delle varianti in ambito della poesia-> non ci sono scelte libere ma scelte
metriche, la misura del verso. A margine troviamo l’alternativa del verso e l’ alternativa delle
alternative -> apre questo ventaglio di aggettivi qualificativi relativi agli occhi come alternativa di
“molli”.
Nel verso successivo -> non lo convince fino in fondo. All’inizio ha scritto “E tu, lieta e pudica
(vergognosa) -> ma dopo non lo convince forse foneticamente o forse l’immagine -> qui fa una
cosa strana; sostituisce in interlinea l’aggettivo con “pensosa” però non si limita a cancellare e a
scrivere sopra ma utilizza un'inserzione come se fosse una variante di aggiunta -> qui cancella
pudica e scriva sopra “pensosa” ma inserisce anche il segno di collocazione che di solito troviamo
per le inserzione, per le variante di aggiunta -> qui “pensosa” non è un aggiunta e quindi pensosa
è evidentemente una variante di sostituzione con questo segno di collocazione.
Dopo “pudica” sfrutta la virgola per scrivere il segno di intersezione -> a quel punto visto che ha
cancellato la virgola -> in interlinea scrive “pensosa” con la virgola perché quella virgola a testo è
saltata che è stata usata per fare la “v” rovesciata.
“Balconi” -> sostituito con “veroni” -> c’è una sostituzione terminologica ancora una volta usando il
segno di inserzione.
(Sentire dal minuto 28:00)
LEZIONE 14/03
LINGUISTA ROMANZA
La domanda sulla morfologia all’esame c’è sempre.

LA MORFOLOGIA
Con la parola morfologia si fa riferimento al morfema -> il morfema in modo improprio viene
associato alla “parola”. Il morfema è quell’unità minima in cui possono essere divise le parole
ancora dotate di “significato”, di una valenza. Il fonema, d’altro canto, è un riferimento al suono, di
realizzazione sonica ma non con una portata di significato grammaticale. Il morfema è qualcosa in
più del fonema perché ci dà delle informazioni su quella parola -> ci dà informazioni di tipo
grammaticale e semantico. Esempio -> la parola “canto” -> se vado sul piano fonetico dirò che
canto è una successione di fonemi e che non ci danno una informazione semantica e
grammaticale; se saliamo al livello di morfema all’interno della stessa parola “canto” troviamo 2
morfemi -> ciascuno dei quali dotato di una informazione, di una parte informativa -> abbiamo
“cant” e poi la desinenza “o” -> cant -> dà un informazione di tipo lessicale per questo si chiama
morfema lessicale; si può anche chiamare morfema lessema -> il morfema lessicale (o lessema)
è quella parola che mi dà informazione sull’etimo, il significato di una voce. Il morfema lessicale è
solitamente la parte iniziale di una parola.
“O” -> morfema grammaticale -> quella “o” di canto mi dici che si tratta di un indicativo presente
(mi dà quindi informazioni sul modo, tempo ma anche sulla persona). Morfema grammaticale ->
variabile grammaticale rispetto alla funzione della parola nella frase.
Quando pensiamo al “morfema” pensiamo alla parola tenendo presente solitamente questa
distinzione:
- Morfema lessicale
- Morfema grammaticale
Le lingue si possono distinguere su basi morfologiche. Prendendo in considerazione la morfologia
le lingue si distinguono in almeno tre tipi:
• Isolante o analitico -> lingue in cui prevalgono parole invariabili, ovvero fisse, con il
morfema grammaticale bloccato per così dire -> i rapporti grammaticali, quindi, saranno
espressi non da una variazione espresse in desinenze ma medianti l’ordine delle parole in
una frase -> sono morfemi fissi, invariabili, che cambiano di funzione e significato in base
alla loro posizione all’interno della frase. Esempio estremo di questa tipologia isolante o
analitico è dato dalle lingue cinese e vietnamita.
• Agglutinante -> l’agglutinazione è delle parole. Le lingue agglutinanti prevedono parole
costituite da una serie di unità o morfemi, ciascuno dotato di un solo significato
grammaticale. Sono lingue come il turco e il finlandese. È la tipologia un po’ distante da
noi.
• Flessivo o sintetico -> con le lingue flessive i rapporti grammaticali sono espressi con la
modifica della struttura della parola (specialmente della desinenza). “Canto” “canti” -> è già
un esempio flessivo perché cambia la desinenza e ho una diversa persona. Esempi di
lingue flessive o sintetiche sono le lingue classiche occidentali come il greco, il latino. Ma
anche l’arabo è un esempio di lingue flessiva o sintetica
• Da latino a lingue romanze -> un passaggio da lingua prevalentemente sintetica a lingue
prevalentemente analitiche -> mentre il latino è fortemente flessivo/sintetico, le lingue
romanze è vero che danno degli elementi analitici ma hanno ancora molto di lingue flessive
-> in italiano non abbiamo il sistema dei casi ma abbiamo le desinenze -> elementi di
flessione. Nel passaggio dalle lingue romanze da una lingua prevalentemente sintetica si
passa a lingue tendenzialmente analitiche.
Il latino non è una lingua totalmente sintetica -> il latino prevedeva anche l’uso delle
preposizioni (ad + accusativi per il moto a luogo) -> l’uso delle preposizioni è totalmente
analitico.
Ma anche le lingue romanze non sono lingue totalmente analitiche ma presentano elementi
sintetici come ad esempio l’uso nelle desinenze.
• Le lingue si possono distinguere anche su base sintattica -> facendo riferimento all’ordine
delle parole della frase. Le lingue come il latino, greco sono lingue dette OV; le lingue
romanze sono dette VO -> OV vuol dire oggetto-verbo (in latino il verbo è in posizione
finale); VO -> le lingue romanze spostano il verbo prima del complemento.

Principio dell’analogia -> principio valido in tutte le lingue. È un principio che forza un po’ le
regole -> noi impariamo delle regole evolutive e poi troviamo dei risultati diversi -> perché spesso e
volentieri le lingue si evolvono per analogia, ovvero per somiglianza ad altri termini, elementi.
Alcuni cambiamenti sono dovuti al principio dell’analogia -> per analogia si intende la somiglianza,
la regolarizzazione. Quindi da forme diverse si passa a forme analoghe cioè forme simili.
Esempio: il verbo latino potere avere un paradigma irregolare (che tra l’altro lo troviamo in italiano)
con possum, potes, potest, posse -> su queste irregolarità per analogia e somiglianza viene creato
un nuovo paradigma verbale più regolare -> *poteo, *potes, *potet, *potere -> l’infinito in italiano è
poter e non possere -> questo “potere” arriva per analogia.
Le forme con asterisco -> sono quelle ipotizzate sulla base della ricostruzione linguistica.

Sistema morfologico del latino -> all’interno del latino si distingue in:
➢ Sottosistema nominale: i sostantivi, aggettivi, pronomi, numerali (cardinali sono spesso
invariabili). Quando facciamo riferimento al sottosistema “nominale” parliamo di
declinazione:
- Desinenze per il numero (singolare o plurale)
- Desinenze per il genere (maschile, femminile o neutro)
- Desinenze per il caso (funzione della parola nella frase).
➢ Sottosistema verbale: le forme verbali. Quando facciamo riferimento al sottosistema verbali
si parla di coniugazioni.
➢ Parole invariabili: avverbi, preposizioni, congiunzioni, intersezioni

SISTEMA NOMINALE
Esistevano 5 declinazioni (oggi ne abbiamo solo 3 -> in italiano sono 3: i sostantivi che finiscono in
-a; la seconda declinazioni sono sostantivi maschili in -o; terza declinazione in -e). In latino
esistevano anche una quarta e quinta declinazione -> non ci sono più perché la tendenza nel
passare da latino a lingue romanze è stata una tendenza a riduzione. I sostantivi della quinta
declinazione latina passano alla prima; e i sostantivi della quarta passano alla seconda. PERCHÉ
QUESTE DECLINAZIONI SCOMPAIONO? La riduzione delle declinazioni prevede una riflessione
interna al mondo latino -> anche nel latino la quarta e quinta declinazione erano diventate
declinazioni improduttive -> le parole nuove non erano di quarta né di quinta. Non si creavano più
termini di quarta e quinta declinazioni -> declinazione ormai bloccate. In questa situazione
avvengono quei passaggi metaplasma di nominazione -> dalla quinta si passa alla prima -> es.
Faces (V) > facia (I); dalla quarta alla seconda -> portus (IV) > portus (II). Questo perché i
sostantivi di quinta erano prevalentemente femminili e allora vengono assimilati alla prima che
erano prevalentemente femminili. Ma ci sono anche la creazione di forme derivate di prima o di
seconda -> esempio SPES (V) > *SPERANTIA (I); GENUS (IV) > GENUCULUM (II). Passaggio da
quarta a seconda con un ampliamento attraverso suffissi diminuitivi.
Ma ci sono anche delle eccezioni -> a volte i sostantivi da quinta passano a terza -> esempio: fides
passa da quinta a terza > fidem (III). Avevamo detto che i sostantivi di quinta passano alla prima
quindi non dovremmo avere fidem ma feda -> in questo caso abbiamo “fede” perché i sostantivi di
quinta è passato non alla prima ma alla terza declinazione. Qualche volta c’è un oscillazione -> se
prendiamo i testi antichi troviamo forme alternative per indicare il “dì” (il giorno) -> si parte da un
sostantivo di quinta -> DIES -> ma possiamo trovare la forma con passaggio alla prima -> DIA.
C’è un ultima particolarità con la quale si sente il genere -> dobbiamo fare riferimento alle parole di
quarta declinazione -> le parole di quarta confluiscono nella seconda -> TUTTAVIA, in alcuni rari
casi in alcune parole femminili di quarta prevale il genere femminile -> il femminile rimanda alla
prima declinazione (-a) -> ed ecco perché alcune parole di quarta invece di passare alla seconda,
in quanto femminili, passano alla prima declinazione -> in latino “NURUS” (IV) significa NUORA ->
in quanto femminile è stato provvisto della vocale terminazione us -> e passa in NURA (prima
declinazione). ECCEZIONE!!! -> C’è un caso -> “MANUS” femminile di quarta ma passa alla
seconda declinazione e non alla prima mantenendo il genere femminile (la mano). In romeno:
mano si comporta NURUS (quindi passaggio dalla quarta alla prima declinazione).

Sostantivi -> cambio di genere -> TENDENZIALMENTE LE LINGUE ROMANZE preferiscono far
corrispondere la forma e il genere -> le lingue romanze preferiscono una certa regolarità -> quindi
forma in “O” > maschile; forma in “A” > femminile. Questa tendenza provoca un mutamento di
genere per una particolare categoria di sostantivi -> i nomi di piante -> i nomi di piante erano
particolari in latino perché tendenzialmente erano di seconda ma con genere femminile -> es ->
pinus è di seconda, ma è un femminile -> questa simmetria non è gradita nelle lingue romanze e
quindi i nomi di piante in quanto in —US passano al maschile. È quindi non diremo “il bel pino”
(tutto in maschile).
Lo stesso discorso vale per ARBOREM che anche esso in latino era femminile > italiano ALBERO
al maschile.
L’altro cambiamento di genere non riguarda tutte le lingue romanze ma speciali,mete il
galloromanzo, retoromanzo e talvolta il romeno -> i nomi astratti in -OR da maschile (in latino
erano in maschile) ma in queste lingue galloromanzo e talvolta romeno passano al femminile. Es:
DOLOREM (m): fr. -> douleur (f).
Altri cambiamenti di genere sono eccezionali di singole parole e di singole lingue -> esempio
FLOREM (m) > in italiano non cambia il genere; se guardo al francese e allo spagnolo si trovano al
femminile.
IL CAMBIAMENTO PIÙ SIGNIFICATIVO DEL GENERE SI TROVA NELLA PERDITA DEL
NEUTRO -> in latino, come anche il greco, distingueva in 3 generi perché sentiva la necessità di
collegare il genere a due entità esterne:
1- Un genere animato -> maschile e femminile per gli esseri animati, per tutto ciò che era
vivo e animato
2- Un genere inanimato -> elementi astratti -> per questi veniva utilizzato IL NEUTRO.
Il neutro, però, comincia a diventare improduttivo; questa distinzione animato/inanimato si avverte
sempre meno e quindi il neutro non soltanto non produce più parole nuove ma tende a scomparire
-> nel senso che emigra verso un altro genere e preferibilmente il neutro passa al maschile.
Queso anche per una certa somiglianza formale e quindi era facile metterli insieme. Naturalmente
anche in questo caso non mancano le eccezioni: ci sono delle oscillazioni nel passaggio alle lingue
romanze: partendo dal neutro alcune lingue hanno un esito maschile, altre preferiscono una forma
femminile. Es. LAC (n. di III) › *LACTEM › it. latte (m.), fr. lait (m.), ma sp. leche (f.); Es. MAR (n. di
III) › *MAREM › it. mare (m.), sp. mar (m.), ma fr. mer (f.)
Quindi la tendenza è da neutro a maschile -> MA ci possono essere delle oscillazioni.
Qualche volta in questo passaggio di genere c’è un cambiamento di declinazione -! Per
somiglianza formali i neutri di terza in -US passano a maschili di seconda -> non è un cambio
decisivo, neanche ce ne accorgiamo. Esempio:
CORPUS, CORPORIS (neutro di III) › it. corpo (m.), fr. corps (m.) sp. cuerpo (m.); Es.
TEMPUS, TEMPORIS (neutro di III) › it. tempo (m.), fr. temps (m.), sp. tiempo (m.)
Spagnolo Antico-> cuerpos, tiempos residuo del neutro.
Il neutro è scomparso del tutto? Non lo usiamo più però ci sono dei residui del neutro antico ->
anche in situazioni complesse, con la sopravvivenza degli antichi plurali neutri in -A. Il neutro in
latino al plurale aveva il nominato, l’accusativo e il vocativo in -A. Soltanto che questa -A poteva
generare confusione con la prima declinazione, in cui la -A è la desinenza del femminile singolare -
> quindi c’è una doppia sfasatura -> era un neutro plurale che poteva essere confuso con il
femminile singolare. Cosa accade? Alcuni neutri plurali in -A vengono allora reinterpretati come
femminili singolari. Un paio di casi:
Es. FOLIUM (neutro singolare)/FOLIA (neutro plurale) › in italiano ha avuto una doppia
reinterpretazione: da folium si trova in italiano con: foglio/foglia ->il femminile singolare in
italiano rappresenta un doppio cambiamento -> da neutro a femminile; ma c’è anche un
cambiamento di numero: da plurale a singolare. Se folium ha generato foglio e il plurale
folia è stato utilizzato per un altro singolare femminile; è rimasta vuota la casella del plurale
-> come faccio il plurale di questi due termini? Per ANALOGIA.
Es. LIGNUM (neutro singolare)/LIGNA (femminile singolare)› it. legno/legna, sp.
leño/leña. Legna è un nome collettivo, indica una quantità di elementi.
Nelle lingue occidentali qualche volta questa alternanza prevede degli esiti semantici
differenti:
Es. BRACHIUM/BRACHIA › fr. bras, sp. brazo ‘braccio’ / fr. brasse, sp. braza ‘braccio
unità di misura’
Es. VASCELLUM/VASCELLA › fr. vaisseau ‘vascello’ / fr. vaisselle ‘stoviglie’

LE LINGUE ORIENTALI, TRA CUI ANCHE L’ITALIANO, MOSTRANO UNA MAGGIORE


RESISTENZA ALL’ELIMINAZIONE DEL NEUTRO -> si pensi ad esempio a quei casi di doppio
plurale o addirittura di plurali in -A -> questo deriva dall’antico plurale neutro. Es. OVUM/OVA › it.
uovo/uova (plurale femminile in -A come residuo del neutro). È diverso da FOLIA perché OVA resta
plurale -> è un residuo dell’antico neutro plurale in -A come plurale femminile.
LA maggiore resistenza del neutro è esemplificata NEL ROMENO: IL NEUTRO è ancora una
categoria viva -> vuol dire che ci sono delle nuove parole di genere neutro e che questa categoria
è utilizzata come categoria distintiva. Ci possono essere anche in questo caso alternanze tra
maschile singolari e neutri plurali. Attenzione a neutro plurale neutro in. -URI -> è l’antico neutro
plurale latino -ORA. Es. TEMPUS/TEMPORA › rom. timp/timpuri.
Corpora -> è il plurale neutro di Corpus -> corpora lo troviamo in italiano antico -> è un cultismo,
latinismo.

SOSTANTIVI: RIDUZIONE DEI CASI

I casi in latino -> la funzione della parola era espressa attraverso i casi. I casi si distinguevano tra
di loro da specifiche desinenze. L’ablativo era l’unico caso che esprimeva più complementi (di
mezzo, di causa, ecc). Molti dei complementi indiretti, tolto il dativo, erano espressi con l’ablativo.
Nella sequenza del singolare-> nella nostra pronuncia sembrano uguali -> nel nominativo è una A
breve. In latino le vocali si distinguevano in lunghe e brevi (quelli brevi avevano il circoletto sopra);
la “a” dell’ablativo è una vocale lunga come se fosse lunga.

Nel passaggio dal latino alle lingue romanze questo sistema dei casi va in crisi e subisce una
progressiva riduzione. L’elemento evolutivo fondamentale è la riduzione dei casi. È un sistema in
partenza a 6 casi alla fine del processo di riduzione ne sopravvive soltanto uno: i sostantivi delle
lingue romanze derivano da un caso latino -> L’ACCUSATIVO. Ma il processo fondamentale è la
riduzione dei casi.
Questo sistema va in crisi per una serie di mutamenti fonetici:
• Perdita di -M finale: Identiche le forme di nominativo e accusativo di prima declinazione
Es. ROSA/ROSA(M)
Identiche le forme di accusativo e ablativo singolare di terza declinazione
Es. DUCE(M)/DUCE (sentire dal minuto 1:50:40)
• Perdita della quantità vocalica
Identiche le forme di nominativo e ablativo (e poi accusativo) di prima declinazione-> Es.
ROSĂ/ROSĀ › ROSA (ROSAM › ROSA)
• Ulteriori sovrapposizioni per perdita quantità e confusione timbro
Identiche le forme di accusativo-dativo/ablativo singolare e nominativo-accusativo plurale di
seconda declinazione. Es. LUPU(M)/LUPO e LUPUS/LUPOS
Identiche le forme di genitivo-(nominativo) singolare e nominativo-accusativo plurale di
terza declinazione -> Es. CIVIS e CIVES
• Ulteriori riduzioni per analogia
Nominativi di terza declinazione da imparisillabi a parisillabi, con conseguente confusione
con il genitivo singolare -> Es: PECTINIS (in luogo di PECTEN) e PECTINIS.
• Accusativo è caso conservato nelle lingue romanze
Per questo in etimologia si cita l’accusativo. Es -> NOCTEM (non NOX) › it. notte, fr. nuit,
sp. Noche.
Anche nei graffiti di Pompei predominanza dell’accusativo sull’ablativo
• Sistema bi-casuale in francese, occitano e retoromanzo:
Francese e occitano soltanto nella fase medievale
Caso retto per le forme soggetto, dal nominativo
Caso obliquo per tutte le altre funzioni, dall’accusativo
Presenza o assenza di -s finale tratto distintivo
• Sistema bi-casuale in francese, occitano e retoromanzo:
Solitamente sopravvive il caso obliquo. Es -> fr. mur; Qualche eccezione, es. fr. soeur.
• In romeno moderno sopravvivenza di una forma di genitivo/dativo:
Maggiore sopravvivenza del sistema casuale in romeno probabilmente per contatto con
lingue slave, fondate su un ricco sistema di casi.
• Forme fossilizzate degli antichi casi latini, privi della loro funzione originale:
Nomi francesi di origine celtica con -S finale dall’antico ablativo plurale in -IS, -IBUS (luogo
in cui abitava un’antica tribù). Es. PARISIIS › Paris
• Forme fossilizzate degli antichi casi latini, privi della loro funzione originale:
Nomi dei giorni della settimana derivati da forme genitive; Es. LUNAE DIEM ‘il giorno della
luna’ › it. Lunedì;
Anche con ordine inverso DIEM MARTIS ‘il giorno di Marte’ › cat. occ. Dimarts. O lasciando
cadere il giorno MARTIS › sp. Martes.
• Forme fossilizzate degli antichi casi latini, privi della loro funzione originale:
Forme del genitivo e del dativo rimaste nel sistema pronominale, anche se con funzione
diversa
Es. ILLORUM (gen. plur.) › it. loro, fr. leur, occ. lor Es. ILLUI (dat. sing.) › it. fr. occ. lui
Es. *ILLAEI (dat. sing.) › it. fr. occ. lei
Es. ECCE ILLUI (dat. sing.) › fr. celui

SISTEMA NOMINALE:
o Aggettivi
o Avverbi
o Numerali
o Pronomi

LEZIONE 15/03
SISTEMA VERBALE
Il verbo latino come anche i verbi romanzi subisce una coniugazione -> forma verbale del latino e
lingue romanze cambia. Siamo in un ambito flessivo. È vero che le forme romanze sono un po’
analitiche rispetto a quelle latino. Ma è anche vero che il sistema verbale nelle lingue romanze ha
una tendenza flessiva molto più forte. Apprendere certe forme verbali è abbastanza ostico ->
questo elemento stanno giocando a favore di quel modello che prevede l’estensione del passato
prossimo sul passato remoto. Questo modello vince perché è quello più semplice -> è più facile
coniugare il passato prossimo rispetto al passato prossimo. Questa tendenza analitica gioca a
favore di queste forme composte di fronte a forme flessive come il passato remoto. Nelle lingue
romanze abbiamo verbi irregolari, con mutamento tematico, cambia anche la parte iniziale.
Il sistema verbale latino -> troviamo più variabili nella sua flessione. Mentre distinguiamo persona,
modo, persona, attivo e passivo -> nel latino entrava in gioco diversi elementi come la persona,
numero, tempo, aspetto -> aspetto dell’azione e la forma de potente -> sono elementi che si sono
persi -> non sono avvertiti come determinanti nei sistemi romanzi. L’aspettò perfettivo -> l’azione
conclusa. L’azione imperfettivo -> l’azione in atto.
All’interno dello stesso passato si distingueva tra forme perfettive e imperfettive. Si guarda al verbo
da prospettive diverse rispetto a quelle attuale.
Nel mondo antico, greco, latino, si guardava molto alla modalità dell’azione -> il perfettivo e
l’imperfettivo in italiano lo troviamo nel passato (passato perfetto -> passato remote; passato
imperfetto -> imperfetto).
Per aspetto -> si intende i diversi modo di concepire lo svolgimento dell’azione. Spesso veniva
incrociato e confuso con il concetto “tempo”. Aspetto perfettivo spesso marcato dall’infisso u/v. Nel
passaggio alle lingue romanze, prevalenza del tempo sull’aspetto
Oggi come concezione dell’azione guardiamo al momento dello svolgimento. Un primo
cambiamento rilevante riguarda l’aspetto dell’azione -> esiste ancora, ma non è più un elemento di
flessione verbale.
DEPONENTE -> un’azione in forma deponente -> è una sorta tra l’attivo e il passivo; sono dei
verbi con forma passiva ma con significato attivo -> nel senso che sono verbi come muoior che in
latino avevano soltanto la forma passiva ma avevano un significato attivo. Nel sistema romanza
questa voce deponente tende a scomparire perché erano verbi con forma passiva e significato
attivo -> era un attivo un po’ particolare -> verbi attivi che interessano da vicino il soggetto.
Esempio: L’uso pronominale o riflessivo dell’italiano mi faccio il letto, si lava il viso -> quell’azione
interessa direttamente il soggetto. Oggi: perdono la forma passiva e acquisiscono una forma attiva.

Il verbo latino era distintivo in 4 coniugazione:


1. -ARE
2. -ERE-> e lunga
3. -ERE -> e breve
4. -IRE
Ciò che era chiaramente distinto in latino (vocale lunga e breve) finisce per sovrapporsi.
Verbo latino -> Tre temi
Imperfettivo:Presente, Imperfetto, Futuro
Perfettivo: Perfetto, Piuccheperfetto, Futuro anteriore
Supino: Participio passato, Infinito futuro, Participio futuro
In tutte le lingue romanze le due coniugazioni più forti corrispondono alla prima e quarta -> questa
situazione era già presente in latino e si trasmette alle lingue romanze.
Il verbo Cano in latino apparteneva alla terza coniugazione -> nel momento in cui cano viene
regolarizzato sulla base del supino -> dalla terza si sposta alla prima coniugazione.

I verbi in io come fugio, fugere passano dalla terza alla quarta coniugazione-> questa analogia del
presente e la forza della quarta coniugazione latina fa sì che passano da terza coniugazione a
quarta.
Passaggio di verbi con desinenza -EO da seconda coniugazione a quarta.
Floreo, florete -> florire -> it. fiorire

CAMBIO DI FUNZIONE
Un primo cambiamento è un cambiamento di funzione -> alcune forme verbali rimangono tali ma
assumano una nuova valenza, una nuova funzione. Questo interessa più che altro il congiuntivo
piùccheperfetto -> CANTAVISSEM: da cantavissem abbiamo il congiuntivo e l’imperfetto.
In romeno questa forma viene utilizzata per l’indicativo piùccheperfetto.
Resistenza favorita dal caratteristico infisso -SS-, non confuso con altre desinenze -> Come invece
per il congiuntivo imperfetto CATAREM,
Forma sintetica del congiuntivo piuccheperfetto ormai ridondante con la creazione dei nuovi tempi
passati perifrastici.

Indicativo piuccheperfetto (CANTAVEREM)


Solo in portoghese funzione originaria
› seconda forma di congiuntivo imperfetto in spagnolo
› futuro anteriore o condizionale in occitano e in alcuni dialetti dell’Italia meridionale
Anche in catalano per i verbi “essere” e “avere”

Indicativo futuro anteriore (CANTAVERO)


› congiuntivo futuro in portoghese
Anche in antico spagnolo
Altrove scomparso -> la forma sintetica dell’indicativo futuro anteriore scompare.

FORME ANALITICHE: CANTAVISSEM, CANTAVEREM, CANTAVERO.

Congiuntivo imperfetto (CANTAREM)


- Tendenzialmente scompare
- Viene mantenuto per l’infinito personalizzato in portoghese (CANTAREM › cantar,
interpretato come infinito e provvisto di desinenze dell’indicativo presente).

Nel passaggio dal latino alle lingue romanze scompaiono altre forme come:
• Congiuntivo imperfetto
• Indicativo piuccheperfetto
• Participio futuro
• Infinito perfetto
• Infinito passivo
• Verbi deponenti -> vengono regolarizzati con desinenze attive -> MORIOR – MORI ›
MORIO – MORIRE -› it. morire
Sostuiti da una forma nuova sulla base del supino, solitamente di I coniugazione UTOR USUS
UTI -› da usus del supino e si crea un verbo di prima coniugazione -> USARE -› it. usare.
Verbi deponenti, già in parte sostituiti in latini, scomparsi anche per la perdita generale delle
forme sintetiche del passivo.
• Futuro -> il futuro latino che fine ha fatto?
Si parte da una forma sintetica che scompare, viene sostituito da forme analitiche -> queste
forme analitiche in realtà si fondano in una nuova forma sintetica. Il futuro nella forma latina
presentava degli eletti di debolezza, di incertezza. In latino avevano 2 distinte forme di
futuro: una tipo della prima e seconda; e una tipica della terza e della quarta.

La situazione peggiora ulteriormente a causa del cambio fonetico ->


CANTAVI, CANTAVIT (perf.) e CANTABIT (fut.) › CANTAVI
VENDIT (pres.) e VENDET (fut.) › VENDE(T)
La “b” subisce un processo di lenizione a la b si trasforma in un consonante fricativa labiodentale
sonora -> V

Terzo elemento di debolezza: la possibilità di esprimere il concetto di futuro attraverso presente più
un avverbio di tempo.

Questo futuro tende a scomparire -> tranne per il futuro del verbo “essere” in antico francese e in
occitano. Ero -> ier -> c’è una dittongazione di “i”.

FORME NUOVE
Perdita di forme in parte compensata dalla creazione di forme nuove.
Anche neoformazioni sconosciute al latino. Solitamente costruzioni perifrastiche. Alcune fuse in
nuove forme flessive.
Nasce un nuovo tipo di futuro -> futuro “romanzo”:
• Presente accompagnato da un avverbio temporale
• Espressione perifrastica composta da un verbo che implica dovere o intenzione (cioè
azione futura) all’indicativo presente più all’infinito:
VOLO CANTARE ‘voglio cantare’
DEBEO CANTARE ‘devo cantare’
HABEO CANTARE ‘voglio cantare’ -> ho l’intenzione di cantare. In qualche lingua
romanza si mantiene questa sequenza ma si introducono delle preposizione tra habeo e
l’infinito:
Con la preposizione AD, impiegato in diverse modalità antiche con significato futuro e
idea di necessità; es. fiorentino ho a morire
Con la preposizione DE, in portoghese; es. hei-de cantar

HABEO CANTARE -> è utilizzata per la formazione del nuovo futuro romanzo. Inversione dei due
elementi non più habeo -> canterò (esito finale) -> attraverso una riduzione -> tutto habeo si
trasforma in ò ->

In francese c’è un altro elemento -> abbiamo in posizione iniziale “ch” -> perché in francese può
avvenire la palatizzazione davanti alle vocali.

HABEO CANTARE ‘voglio cantare’:


Fusione dei due elementi della perifrasi, con creazione di una nuova forma sintetica
Desinenze ricavate dall’indicativo presente di HABEO
In alcune aree elementi separabili, con possibile inserzione dei pronomi personali
Es. antico spagnolo pedir vos hé = os pediré ‘vi chiederò’
Separazione ancora possibile in portoghese con pronome personale, dimostrativo e i due
combinati; es. far-lho-emos ‘glielo faremo’
Forme nuove
CONDIZIONALE
- Abbiamo una forma del tutto nuova, perché il modo condizionale in latino non esisteva. Il
tempo passato di HABERE più diffuso per la formazione del condizionale, forma verbale
assente in latino.
- Infinito più HABERE al passato:
➢ In origine futuro anteriore
➢ Fin dal basso latino impiego della forma nelle proposizioni ipotetiche, con significato
condizionale, in sostituzione del congiuntivo.
In aree romanza non si utilizza la stessa forma di passato di HABERE. E in questo caso specifico
è l’italiano che si comporta in maniera diversa dall’ambito romanzo.
Il tempo passato di HABERE più diffuso per la formazione del condizionale è l’imperfetto
CANTARE HABEBAM › sp. Cantaría

L’italiano (il toscano) utilizza lo stesso meccanismo ma non utilizza l’imperfetto ma il perfetto ->
CANTARE HEBUI (hebui è il perfetto latino)-> canterei.

Ma in italiano antico e a livello dialettica le si trovano esempi di condizionali in -IA.

Si può trovare in alcune regioni italiani il condizionale attraverso il piuccheperfetto latino ->
CANTAVERAM -> cantara

In Italia meridionale estensione del congiuntivo imperfetto.

CONDIZIONALE -> in romeno condizionale perifrastico, come il futuro -> elemento ausiliare +
infinito.

Nuove sono anche le forme di passato perifrastico:


In tutte le lingue romanze c’è la tendenza a esprimere il passato attraverso perifrasi
Forma più diffusa passato prossimo o composto -> che utilizza l’ausiliare habere + participio
passato.
In latino CANTAVIT con duplice valore di perfettivo presente ‘ha cantato’ e di passato
remoto ‘cantò’ -> entrambe sono forme perfettive, danno l’idea di un’azione conclusa però con un
diverso rapporto con il presente. Il passato prossimo nasce per distinguere questa distinzione di
quello che era il perfetto latino -> si mantiene il perfetto per il passato remoto, base invece il
passato prossimo per coprire l’aspetto perfettivo legato al presente.
La vera distinzione era data dall’aspetto.
Passato perifrastico -> Probabile origine da espressioni del tipo HABEO EPISTULAM SCRIPTAM
‘ho una lettera scritta’
HABEO da ‘possiedo’ a semplice ausiliare, con la funzione di verbo assunta dal participio, che
regge il complemento oggetto, provocando infine un cambio nell’ordine della frase -› HABEO
SCRIPTAM EPISTULAM -> ho scritto una lettera -> Habeo è stato utilizzato come ausiliare a
formare le forme perifrastiche a partire dal passato prossimo. Con il verbo essere non c’è il
complemento oggetto -> è più difficile spiegare questo con i verbi transitivi ovvero di movimento.
Questa situazione non è facilmente spiegabile.

Un aspetto importante nel passato perifrastico: queste forme analitiche del passato rimangono
forme analitiche, diversamente da quanto accaduto con il futuro. Nel futuro le forme analitiche
sono arrivate ad una fusione. Qui invece no. Il verbo haber -> si è specializzato nella sua funzione
di ausiliare, sostituito da tener per il senso di “possedere”. In portoghese ter ‘tenere’ sostituisce
HABERE anche come ausiliare; es. tenho cantado ‘ho cantato’.
Passato perifrastico
Successo variabile nelle lingue romanze
In francese parlato ormai assente il passato semplice, derivato dal perfetto latino
Analoga evoluzione nell’Italia settentrionale
Al contrario, in Italia meridionale preferenza per il passato remoto, derivato dal perfetto latino

LEZIONE 21/03
Nel catalano -> nelle altre lingue romanze il perfetto è una forma del passato che ha mantenuto
una forma sintetica. In catalano per esprimere il perfetto, si utilizza una forma perifrastrico ->
formata da un tempo presente (andar) seguito dall’infinito del verbo -> vaig cantar -> equivale al
nostro “cantai”. Non sono certezze ma è stato chiamato in causa l’uso nella scrittura come
presente narrativo che ha un valore del passato. Da questo uso letterario si può spiegare come
una formazione che è tutto presente dà luogo a una forma al passato, imperfetto, quindi concluso
nel presente.
LE FORME DEL PASSIVO PERIFRASTRICO
In latino il passivo era espresso con delle forme sintetiche, die particolare suffissi per dare un
significato passivo all’azione. Forme del passivo scompaiono. Perché ancora una volta con le
cadute delle consonanti finale si sovrapponevano con le forme attive. Forme passive sintetiche
non si ritrovano più. Oggi per volgere un verbo alla forma passiva usiamo sempre delle forme
analitiche. Per fare il passato passivo aggiungo lo “stato” -> io fui stato lodato. Nelle lingue attuali
si usano per il passivo forme analitiche con uno slittamento del tempo verbale rispetto al latino.
In latino esisteva delle forme passive sintetiche ma anche delle forme analitiche che esprimevano
il passato. Cantatus est-> “fu cantato” in latino corrispondeva al passato remoto passivo. Su
analogia del passato prossimo alla fine l’ausiliare indica il tempo, cioè sempre partenendo da
canatus est la medesima forma non viene più considerata come il perfetto passivo ma come il
presente passivo -> perché l’ausiliare è al presente -> cantatus est -> allora diventa un “è cantato”,
in italiano diventa un presente.
Ausiliare “essere” per il passivo in tutte le lingue romanze, tranne il romeno.
Impiego del riflessivo con se
Forma alternativa soprattutto in spagnolo e in italiano
In francese soggetto impersonale on ‹ HOMO ‘uomo’; on dit ‘si dice, è detto’

VERBI IRREGOLARI
Verbi irregolari presenti in latino e nelle lingue romanze
Non necessariamente i verbi irregolari in latino sono irregolari nelle lingue romanze.
Es. indicativo presente di HABERE regolare in latino, tendenzialmente irregolare nelle lingue
romanze
Es. verbi irregolari latini “regolarizzati” per analogia
Poi di nuovo irregolari con il cambio fonetico
IL VERBO ANDARE (verbo irregolare)
- VERBO IRE IN LATINO-> un verbo debole perché era un verbo breve, corto. Una forma
poco corposa che fatica ad essere mantenuto. Tendenzialmente viene compensato dal
verbo “andare”.
- Utilizzo di forme di “VADERE” -> camminare (velocemente) e di un verbo sconosciuto forse
derivato da AMBULARE ‘camminare’
- In spagnolo e portoghese ire confuso per alcune forme con esse
- In romeno adozione del regolare a merge ‹ MERGERE ‘immergere’
Integrare la parte sulle parole indeclinabili; lessico; sintassi -> sul manuale LINGUISTICA
ROMANZA. Le parole non latine sono i prestiti -> parole o tecnicismi greci o molti derivano dal
greco cristiano. Distinzione tra germanismi (ci riportano alle invasioni barbariche -> ambito
medievale) e tedeschismi (prestiti del tedesco contemporanei).

LINGUE E TRADIZIONE DELLA COMMEDIA


Ci concentreremo su aspetti linguistici e tecniche testuali -> critica testuale e linguistica.
!!non dire divina commedia ma solo COMMEDIA!!!

Si potrebbe dire quando e anche come è stata composta la commedia. Le date di riferimento,
accertate dagli studi, compende un arco temporale ampio, una 15 anni, compreso tra il 1306 e il
1321 -> sono date importanti perché è stata scritta quando Dante era in esilio. Dante non farà più
ritorno a Firenze e tutta la composizione della commedia avviene fuori dal territorio fiorentino.
Questo dato è importante per primo per le sorti originale della commedia -> dante si sposta da un
posto all’altro, sono possibili cause di archivi danteschi -> assenza di originali danteschi. Ma è
anche importante per il piano linguistico -> le contaminazione -> dante scrive la commedia in
volgare fiorentino -> tuttavia, non è un fiorentino di una persona che sta a firenze ma di una
persona che è stato costretto di abbondare firenze. Di un autore aperto alla contaminazione -> i
suoi viaggi gli permettono di imparare anche gli altri volgari. E quindi alcuni dei fenomeni linguistici
della commedia arrivano anche da una composizione del testo distribuita nel temp ma anche nello
spazio.
L’irregolarità della lingua dantesca rispetto a petrarca -> nascono sicuramente da una personalità
aperta ma anche di condizione di vita diverse (viaggio e contatto con altri idiomi).
1306 -> coincide con il periodo in cui stata scrivendo “Convivio e del De Vulgari Eloquentia”. Tra il
1306-07 interrompe quest’opera per dedicarsi alla stesura della Commedia.

Alcuni studiosi hanno proposto una distribuzione delle cantiche -> ovvero ha pubblicato prima
l’inferno, poi il purgatorio e infine il paradiso. Altri studiosi sono convinti che ha pubblicato per
gruppi di canti -> Dante avrebbe fatto circolare i primi canti dell’inferno prima di arrivare alla fine
dell’inferno.
Petrocchi -> basandosi su elementi dell’opera immagina questa scansione nel tempo:
- Composizione dell’inferno tra il 1306-1307 e il 1309 -> Dante si trovava a Lucca
- Composizione del purgatorio tra il 1309 e il 1312
- Secondo Petrocchi c’è stata una fase di correzione, di rilettura dell’inferno e del purgatorio
che dante avrebbe fatto tra il 1312 e il 1316 quando Dante era a Verona
- Composizione del paradiso -> 1316 e il 1321 -> dante era a Ravenna

Scansione interna cronologica di Padoan -> sulla base delle testimonianze esterne:
- Composizione lunga dell’inferno tra il 1306 e il 1314
- Composizione de Purgatorio 1314-16
- Dal 1316 al 1320 -> Paradiso.

Sono due ipotesi di lavoro diverse. Le differenze:


- Nell’inferno -> in Padoan l’inferno avrebbe avuto una stesura più dilagata -> dobbiamo
immaginare una stesura molto lunga ma non necessariamente un ritardo lunga nella
pubblicazione. Si può immaginare una pubblicazione parziale dei canti.

Si può immaginare una circolazione per cantiche ma possiamo anche immaginare una circolazione
per gruppi di canti.

MATERIALI: CRONOLOGIA 1 (pag 6): Lettera a Cangrande -> dante si rivolge a Cangrande con
un sentimento di gratitudine -> “principi morali”.
Potrebbe avvalorare il discorso sulle cantiche per il purgatorio e il paradiso.
Questa lettera infondo ci dice -> lo invia a un signore presso cui era stato in esilio, un’altra corte
diversa a cui risiede verso la quale sente un legame molto forte. Questa lettera indirizzata a
Cangrande evidenzia il legame con quelle corti settentrionali (Verona in questo caso) che lo hanno
accolto in esilio.
Come segno di gratitudine dedica questa cantica a Cangrande.

LA LINGUA DELLA COMMEDIA


Considerazioni generali -> è difficile fare delle asserzioni sicurissime sulla lingua di Dante perché
mancano gli originale, non ci sono gli autografi danteschi. Questo determina ulteriore difficoltà per
determinare la fisionomia della lingua della Commedia -> è inevitabile che in una copia fatto a
mano che il copista metta del suo. In assenza di un originale dantesco e in presenza di questa
moltiplicazione di copie ci troviamo di fronte a una lingua variabile, a forme di lingue non costanti.
Questa condizione si innesta su una propensione dantesca che è quella del polilinguismo -> dante
è portato alla variazione formale, lessicale. Gli elementi di differenza, di variazione sono più forti
degli elementi di costanza, di irregolarità -> è per quello che risulta difficile pronunciarsi sulla lingua
della Commedia. Le copie sono soprattutto estranee al territorio di provenienza dell’autore. Alcune
copie saranno non fiorentine, saranno extra toscane. Ma non soltanto numerose copie -> quelle
non fiorentine sono proprio quelle più antiche -> perché dante muore a Ravenna non a Firenze.
La posizione di rima certifica la fisionomia di certe forme perché appunto devono stare in rima;
quindi, la loro fisionomia in quella posizione del verso è più costante -> MATERIALI LINGUA 1:
DANTE HA SCRITTO DIECE -> siamo sicuro di questo perché usa la forma “-ece” perché “eci”
sarebbe andato fuori rima. La posizione finale certifica la correttezza.
MATERIALI LINGUA 2-> in rima troviamo anche la varietà formale -> certifica le alternative.
Questa varietà formale deve essere ascritta all’autore -> se certificata dalla rima possiamo dire che
queste varietà sono state fatte dall’autore. In dante il principio dell’uniformità era fragile -> non si
faceva grossi problemi ad accogliere varietà.
Nei materiali lingua 2-> testimonianza di questa varietà formale, ascrivibile all’autore.
In questi materiali ci sono 3 casi: pag. 9 -> siamo nel purgatorio -> in dante troviamo alternative
“fiori” “fori” ascritti a dante perché in posizione in rima. Siamo nel paradiso terrestre con
l’apparizione di Beatrice. Troviamo la forma “fori” in rima con “fiori” e vapori -> questa posizione di
rima certifica l’uso di Dante di Fuori.
PAG. 11-> Nel purgatorio -> siamo nell’antipurgatorio -> dante sta enunciando i morti scomunicati
che in fin di vita si pentono.
Quasi tutte le edizioni dantesche utilizzano il codice Triv (Trivulziano) come codice di riferimento
linguistico, formale. L’edizione di Sanguinetti parte dal codice Urb (codice emiliano-romagnolo).
Il codice Triv è stato allestito, vergato, ed è il codice più vicino per spazio e tempo a Dante.
Per avvicinarci alla forma linguistica -> cercare il codice più vicino per spazio e tempo a Dante. E
per questo motivo ci si affida al codice Triv.
Triv -> copista Francesco di ser Nardo -> proveniente da Barberino in Val di Pesa, località molto
vicino a Firenze. Questa copia è stata trascritta nel 1337 abbastanza vicino alla stesura della
commedia. Non è il codice più antico ma è una delle antiche volgate. Studi linguistici sulla
commedia hanno provato che Dante utilizzi una lingua più tradizionale. Determina una distanza
ulteriore con la copia Triv. C’è anche un aspetto geografico: barberino è un paese di campagna
rispetto a Firenze -> si avvertiva una differenza tra il volgare fiorentino (della città) rispetto a quello
di campagna. Il secondo difetto di Triv è quello di essere stato scritto in fiorentino non cittadino ma
quello di campagna -> questo crea una distanza tra il copista e l’autore formale. Tra le copie della
commedia quasi tutti gli editori vanno su triv sull’assetto formale perché gli altri sono inferiori a triv
nel piano formale. Rispetto a Triv non è necessario prendere triv così com’è ma si può confrontare
su raffronti linguistici con il fiorentino di città con la fine del 200 -> per questa tendenza arcaizzante
di Dante. Da questo punto di vista vengono in soccorso 2 raccolte -> raccolte di testi documentali
provenienti dalla città di firenze e risalenti alla fine del 200 e inizio 300. Sono testi non
necessariamente letterari in cui emerge la fisionomia formale del fiorentino del tardo 200 e inizio
300.
C’è un eccezione rispetto all tendenza ad assumere triv come forma di riferimento: Sanguinetti che
sceglie fare riferimento a Urb -> perché urb (emilio-romagnolo) presenta una lontananza
geolinguistica significativa rispetto a dante. Urb è stato scritto nel 1342 -> l’elemento determinante
però è quello geografico. Nel momento in cui si toscanizza urb -> sanguinetti -> come faccio a
togliere i tratti non fiorentini di urb? Il problema sta non nella regolarità di Dante. In certi casi rischia
di toscanizzarlo eccessivamente.
Forse meglio, come ha fatto Petrocchi, ripartire dal codice Triv.

In questa situazione che non è semplice -> Queirazza ci dice che l’interrogazione della tradizione
manoscritta non ci dà una chiara ed esauriente risposta sicura al quesito formale:

FORME -> PARTE MORFOLOGICA


Dante scrive la commedia nel 300 ma guarda a delle forme ancora duecentesche e prime
trecentesche. Nella prima persona plurale dell’indicativo presente Dante preferiva le forme più
tradizionali, quelli in -emo -> queste forme al suo tempo si consideravano arcaiche. Questo
elemento ci dice che guarda la lingua da una prospettiva più arcaizzante.
Invece delle forme tronche, in dante troviamo “poteo” e “appario” con delle vocali con appoggio
finale per evitare la forma tronca.
Gli studi statistici hanno dimostrato che dante preferisce la forma più arcaizzante rispetto alle
tendenze innovative -> per questo si dice che la lingua che utilizza dante nella commedia è del
tardo Duecento o primo Trecento. VEDERE MATERIALI FORME 1.

LEZIONE 22/03
Materiali forme 1: “qui si monta” -> si sale da questa parte. Qui la certificazione dell’originalità di
fosse è dato dalla rima con -osse. Sulla scorta di questo passaggio vale anche il caso successivo
quello in cui la forma del fosse è interno al verso -> questo è un intervento di Dante non di un
copista.
Iacopo del cassero uomo d’armi e di stato, che fu tra l’altro podestà di Bologna (1296); in questo
ufficio si procurò l’odio del marchese Azzo VIII d’Este; partecipò alla campagna dei fiorentini e
delle altre città guelfe contro Arezzo – invèr la Mira: invece di restare sulla strada e fuggire verso la
Mira (località poco distante, in direzione di Padova, città guelfa, che Iacopo voleva raggiungere in
qualità di podestà di Milano), Iacopo cercò di nascondersi nella palude, e mal gliene incolse ma fu
raggiunto dalle truppe nemiche e venne ucciso.
Su questo “fosse” siamo sicuro che sia dantesco.
Dobbiamo rilevare la volontà di dante di sfruttare al massimo tutte le potenzialità del fiorentino
nelle sue varietà diacroniche e diastratiche. Ancora una volta è contrario a una regolarità
espressiva -> ci dice che Dante sfrutta un po’ tutti i livelli della lingua fiorentina -> usa forme alte e
forme basse. Questa notevole varietà -> qualche volta è una scelta di necessità (dobbiamo anche
dirci che in un’opera così lunga in una struttura complessa qualche scelta è un po’ condizionata);
per la misura del verso; anche motivazioni stilistiche -> dante è in grado di adattare la lingua e certi
usi alti e bassi dipendono dallo stile di dante per quel particolare passo.
Si alternano forme arcaiche (nell’uso dell’epoca si preferiva manteneva la preposizione articolata
staccata davanti a parole che iniziano per consonante-> ne la via, ne lo punto -> è una scelta di
stile; d’altra parte, non cambia nulla nella metrica del verso -> questa preferenza si ritrova in dante
ma si può trovare anche la forma raddoppiata) e forme moderne.
Si alternano anche cultismi (otta, allotta che significano ora e allora -> in dante troviamo entrambi;
mee e tee in luogo di me e te -> si tratta dei pronomi personali la differenza è che “mee” -> epitesi-
> se aggiungiamo una vocale epitesi diamo luogo a un bisillabo piano) e forme popolari.
AGGIUNTA:
Prostesi: iniziale
Epentesi: interna
Epitesi: finale
SCOMPARSA:
Aferesi: la caduta del suono iniziale
Sincope: caduta di una sillaba in posizione interna
Apocope: tutti i casi in cui la parola viene troncata. San Giovanni -> apocope. Non confondere
l’apocope con l’elisione.
camera(m) -> in francese -> chambre -> ho un doppio passaggio -> camera l’accento sta sulla
prima a, la e è debole e quindi cade (SINCOPE) -> a causa di questa sincope si è creato un nesso
consonantico di difficile pronuncia, quindi, avviene un fenomeno contrario alla sincope ovvero
un'epentesi -> epentesi della B -> a diventa una e muta -> poi c’è una palatalizzazione della
consonante occlusiva velare sorda -> C diventa CH -> processo di palatalizzazione -> ch è una
fricativa palatale sorda. Ch + a -> marchio di fabbrica francese.

Dante non si ferma a firenze, nella sua polidriecità morfologica accoglie anche delle forme toscane
non fiorentine:
- Dialetti occidentali (pisa e lucca): accoglie forme verbali come “ponno”, “terminonno”,
“dienno”; “ferza” -> sferza
- Dialetti orientali (Arezzo, contado fiorentino): “vonno” per vanno -> talvolte lo fa per
esigenze di rima in altri casi però sono forme mimetiche o forme alternative -> usate epr
determinati personaggi o semplicimente perché accoglie questa varietà formale.

Il lungo soggiorno di Dante al nord lo ha reso vicino a forme tipicamente settentrionali ->ci
muoviamo in un terreno insidioso -> sulle forme settentrionali possiamo avere il dubbio che non
siano di matrice dantesca ma esito di copisti. Quando si trovano delle forme settentrionali
dobbiamo valutare con estrema prudenza, chiedendoci se si tratta di forme originali oppure no.
Come posso orientarmi? Le rime aiutano senz’altro. Se siamo fuori rima cosa può aiutarci?
Quando si ritrova nei manoscritti toscani -> se ho una forma settentrionale attestata anche da un
manoscritto toscano come TRIV posso dire con certezza che quella forma settentrionale è stata
utilizzata da DANTE -> è una forma dantesca. Se lo trovo in un manoscritto settentrionale -> sorge
il dubbio.
MATERIALI FORME 2

Le forme meridionali non mancano -> ma sono di origine letteraria come le forme latineggianti,
francesi, provenzali, siciliano -> SONO LINGUE DI CULTURA-> la matrice della poesia lirica è la
matrice siciliana; quindi, si ritrova il siciliano come lingua di cultura.
Il francese all’epoca di dante -> in ambito medievale aveva una posizione di primato -> la
letteratura francese era quella che aveva una produzione più amplia rispetto agli altri -> roman de
la rose.
Il francese aveva una condizione di primato riconosciuto anche da dante -> quindi sono questi un
po’ i suoi riferimenti letterari.
Elemento provenzale -> dante esprime ammirazione sui trobatori -> Arnaut Daniel (si pronuncia
Arnaut) -> molto stimato da Dante.
Altro elemento di matrice letterario che è interno fiorentino ma che potrebbe avere uninfluenza
siciliana -> dante preferiva le forme monottongazione -> Dante preferisce delle forme prive di
dittongazioni -> è una questione di gusto ma forse potrebbe farsi sentire anche l’influenza del
siciliano che era restio alle forme dittongate -> dante per questo preferisce forme monottongate
rispetto alla dittongazione -> es -> fera, vene, core, novo.
FORME SICILIANE
➢ Forme del siciliano che dante accoglie nella propria lingua non per un processo di mimesi
ma per la via dotta letteraria (forme come canoscenza, ancidere, aggio)
➢ Forme di condizionali in -ia (avria, avrian, sarian)-> quel condizionale formato infinito +
imperfetto di habeo -> si trovano anche per esigenza di rima ma anche al di fuori troviamo
delle forme di condizionali con -ia-> sono condizionali non toscani che dante trovava nei
testi medievali siciliani che provenivano dalla scuola poetica siciliana.
➢ Imperfetti con -ia -> ma possono anche essere di matrice toscane
➢ Forme con uscite in -ie, -ieno.

FORME LATINE
➢ Alcune volte troviamo la forma latineggiante e altre volte le forme toscanizzate.
➢ Alternanze littera/lettera, licito/lecito, laude/lode -> ricorrono nel poema sia le forme
innovative sia le forme latiniggiante -> spesos per ragioni di rima ma altre volte per
contesto
➢ Alternanza di de-/di- ad inizio parole (devoto/divoto, defettivo/difettivo-> il fiorentino
tenderebbe ad accogliere quello con “di”.

FORME FRANCESI e PROVENZALE


➢ Mancata chiusura di e in i nei prefissi di de- e re- in despitto e respitto dall’antico francese
despit e respit
➢ Forme sonorizzate savere, nodrire.

SINTASSI
Nella sintassi troviamo una sorta di indagine statistica sugli usi sintattici più frequenti -> mostrano
una incidenza forte di subordinate relative e temporali -> si legano all’andamento narrativo. Più
interessante dal punto di vista stilistico -> l’evidenza di un uso abbastanza marcato di un altro tipo
di subordinate -> le subordinate concessive -> oggi utilizzate raramente -> sono interessanti dal
punto stilistico perché rappresentano una novità nell’ambito del linguaggio poetico dantesco ->
dante non era un amante delle concessive -> dante le introduce in numero rilevante nella
commedia rispetto a quanto aveva fatto nelle opere precedenti perché la concessiva esprime bene
un idea di un superamento di un ostacolo -> ostacolo di un elemento negativo nonostante il quale
progredisce nel suo cammino. La concessiva esprime bene questo sforzo di andare avanti
nonostante le difficoltà. Anche nel Convivio si ritrovano le concessive anche se per questioni
filosofiche. Una varietà di tipo superiori -> si fa riferimento alle congiunzioni concessive -> dante
sfrutta le varie modalità di introdurre le concessive (anche se, sebbene, benché, ecc.) ->
congiunzioni diversificate -> dante ha trovato in questa categoria sintattica un buono strumento per
esprimere il proprio concetto, di avanzamento nonostante le difficoltà.
Altro tratto tipico del tempo e rispetto da Dante: la legge Tobler-Mussafia -> dopo una pausa un
pronome atono viene messo in posizione enclitica -> inizio assoluto del periodo (anche aperto da
un vocativo); dopo la congiunzione e, ma; dopo una subordinata finale alla quale segue… -
>MATERIALE SINTASSI 1.

Dante è aperto all’uso del che polivalente -> è un uso improprio del che -> un che utilizzato in
sostituzione o di altri pronomi relativi o di altre congiunzioni più appropriate. Oggi classifichiami il
che polivalente come un fenomeno più tipico del parlato e di un italiano neostandard -> fenomeno
non grammaticale. Nella Commedia in realtà Dante utilizza senza particolare problemi anche il che
polivalente. Dante si apre anche a usi linguistici del parlato ma di un uso medio, non sempre
ultracorretto. Abbiamo tre casi di che polivalente -> il più interessante è il secondo->MATERIALE
SINTASSI 2A, 2B, 2C.
Altro caso di sintassi particolare: la paraipotassi -> collegamento di una preposizione
indipendente a una subordinata precedente mediante una congiunzione coordinativa, di solito e ->
MATERIALE SINTASSI 3.
MATERIALI SINTASSI 4-> testimonia l’uso latineggiante del verbo “temere” -> in latino si usava
seguito dalla negazione “timeo ne” -> era un costrutto linguistico per cui veniva seguito da un “ne”.
Dante usa il “non” -> è retaggio del “ne”. Lo ritroviamo in Dante perché il riflette il costrutto latino
“timeo ne”.

È una sintassi ben costruita -> una delle grandi qualità dantesche.

LESSICO
Il lessico è quello che connota la lingua dantesca. Nel de vulgari eloquentia -> norma fortemente
selettiva nella scelta delle parole. Nella Commedia si apre allo stile comico che riprende diversi
lemmi variegati. Con la commedia dante sta scrivendo una commedia si sta affidando a uno stile
comico -> non deve essere inteso come lo stile comico di oggi ma era uno stile variegato -> la
commedia teneva tutti gli elementi alti e bassi ->MATERIALI LESSICO 1 -> forte selezione della
scelta delle parole -> va tutto bene per lo stile tragico ma non applicato alla commedia. Non è un
incongruenza. Nella commedia troviamo la massima apertura di lemmi variegati -> lo stile comico
comporta la massima libertà espressiva, a differenza dello stile tragico (il de vulgari eloquentia).
Nella commedia troviamo dei vocaboli che sono condannati nel de vulgari eloquentia -> come
manicare e introque -> dante nel de vulgari eloquentia condanna queste parole ma lo ritroviamo
nella Commedia, nell’inferno.
Questa apertura comica porta a Dante ad accogliere con la massima spregiudicatezza anche
termini ed espressioni crudamente basse o oscene -> vocaboli bassi anche estremi che ritroviamo
nel lessico dantesco quasi sempre nell’inferno e che sono accolti in virtù dello stile comico, che
prevede uno spettro più ampio delle scelte lessicali ->MATERIALI LESSICO 2A E 2B.
Questi termini bassi contro termini alti -> ci sono questi due elementi estremi il bassissimo e
l’altissimo.
Analizzando il lessico dantesco troviamo un po’ di tutto -> troviamo termini riconducibili a diverse
sfere semantiche, tradizioni. Abbiamo anche espressioni, interi versi, scritti in latino -> non
mancano termini, vocaboli, scritti in latino.
Se non sono scritti in latino ci possono essere dei riferimenti a dei latinismi. MATERIALI LESSICO
3A

LEZIONE 04/04
Latinismi: - citazioni da fonte specifica
- Linguaggio scientifico e filosofico
- Valore stilistico per innalzare il tono -> dobbiamo sempre ragionare nell’ottica dantesca ->
dobbiamo ragionare rispetto al fiorentino trecentesco e cogliere quelle parole che all’epoca
erano avvertite come parole latineggianti.
MATERIALI 3: esempi variegati dei latinismi. Il primo 3A: citazione da fonte specifica
Il 3B -> linguaggio scientifico e filosofico -> “colletta”: da collectum (mettere insieme,
raccogliere) è un termine di tipo filosofico, tecnico, di matrice latineggiante. È un passo di tipo
filosofico -> “setta” (sectum, separare, dividere) e “colletta”
Il 3C-> esempio stilistico. Qui c’è una citazione presa qua e là. Passim -> parole pescate dal
canto sesto. In questo caso latinismi per ragioni stilistiche. È un canto alto, all’interno del
paradiso si parla della storia romana ->rileviamo non casualmente in questo canto un'alta
incidenza di latinismi che innalzano il tono di questo passo. Cirro, Iuba, tuba; rubro, tempio
Accanto ai latinismi si trovano altri elementi lessicali colti che sono i grecismi.
Dante non conosceva il greco -> i riferimenti li pesca da fonti latini o da riprese di autori latini di
pensieri filosofici greco. Da fonti variegate abbiamo esempi di grecismi -> che conosceva
attraverso il filtro di testi latini.
Nella Commedia ci sono anche tanti gallicismi
Termini di origine francese. Sono così numerosi -> influenza linguistica diretta, i rapporti tra la
francia e l’italia erano frequenti. Ma nello specifico erano talmente forti i rapporti tra la Francia e la
città di Firenze (rapporti finanziari). C’è un discorso anche culturale -> un primato francese in
ambito medievale. In questo contesto si inserisca la consueta finalità o capacità mimetica
manifestata da dante -> MATERIALI 4A E 4B -> in cui il francesismo entra in gioco perché si sta
parlando della francia o di elementi culturali francesi.
Materiale 4b: “mi impiccai a casa mia”: “giubetto” -> in francese “gibet” indica la forca,
l’impiccagione. Secondo qualche commentatore antico questo fiorentino si sarebbe ucciso a Parigi
-> Dante va a pescare questo termine che è un gallicismo forse come richiamo a Parigi il luogo
dove probabilmente questo fiorentino si sarebbe suicidato.
Nell’ambito dei gallicismi, comprendendo anche i provenzalismi, troviamo anche spesso e
volentieri termini di origini lirica -> soprattutto nel Paradiso -> vengono ripresi dei gallicismi di
tradizione lirico-poetica. MATERIALI 4C: troviamo una serie di termini derivati dal francese o dal
provenzale che Dante pesca per tradizione lirico-poetica. Molti dei gallicismi presenti nella
commedia risentono di questo tipo di origine, quello lirico-poetica quella francese in senso stretto o
provenzale. Es. gioia (dal francese joie, dal latino GAUDIA, plurale di GAUDIUM); noia (dal
provenzale enoja, derivato di enojar); augello (probabilmente dal provenzale auzel, dal latino tardo
AUCĔLLUM, var. di AVICELLUS, diminutivo di AVIS ‘uccello’); speglio ‘specchio’ (dal provenzale
antico espelh); veglio ‘vecchio’ (dal francese vieil); donneare ‘amoreggiare’ (dal provenzale
domneiar, derivato di domna ‘donna’); periglio ‘pericolo’ (dal provenzale antico perilh, dal lat.
PERICULUM); ploia ‘pioggia’ (dal provenzale antico ploia, dal lat. PLUVIA); vengiare ‘vendicare’
(dal francese venger, derivato del latino VINDICĀRE); gabbo ‘scherzo’ (dal francese antico gab, di
origine scandinava); miraglio ‘specchio’ (derivato di mirare con -aglio, cfr. provenzale antico
miralh).

Poi ci sono anche termini come dialettalismi -> ovvero termini connotati geograficamente, non
toscani, che provengono dai diversi volgari della penisola. Rispetto al fiorentino dante utilizza molto
spesso dei termini dialettali provenienti da altri idiomi -> termini siciliani (per via letteraria, della
scuola siciliana). Invece dialettalismi per conoscenza linguistica o per frequentazione di luoghi
limitrofi rimandano al territorio settentrionale. Nella commedia troviamo un numero significativo di
dialettalismi veneti. Dante ha vissuto a Verona, a Ravenna. Venezia -> mercato marittimo, infatti
quando Dante parla del commercio marittimo usa termini veneti (arzanà, rimpalmare) -> venezia
era il modello per questo tipo di attività e quindi Dante non trovando termini fiorentini adatti non si
preoccupa di inserire terminologia tecnica di origine veneta/veneziana.
Accanto al veneto -> la Lombardia -> l’italia centro settentrionale -> termini tipici longobardi che
dante inserisce nella commedia -> barba zio, veggia (la botte), istra (ora).
Quando sono sicuro che questi settentrionalismi sono danteschi o non frutto di un copista?
Quando li ritroviamo nei testimoni fiorentini, quando lo troviamo ad esempio in Triv.
MATERIALI LESSICO 5: Guido da Montefeltro si rivolge a Virgilio avendo riconosciuto in lui la
matrice lombarda, settentrionale perché virgilio avrebbe utilizzato questa espressione “Istra ten va,
più non t’adizzo”. Virgilio conosceva il lombardo perché è una lingua ancestrale, precedente al
latino.

Il lessico di Dante si distingue anche per la creazione di neologismi -> parole nuove, le ritroviamo
nel Paradiso perché aveva bisogno di termini che mancavano. Per rendere l’idea di questa
impossibilità alla descrizione, Dante ricorre soprattutto nel paradiso a dei neologismi, a delle forme
nuove.
Spesso utilizza parole parasintetiche (prefisso + base + suffisso) -> esempio indiarsi -> da dio,
dante costruisce un verbo ovvero partecipare alla gloria di dio. Sono neologismi alti. Altri termini
come intuarsi (penetrare in me stesso) -> prende tu pronome personale, su questo costruisce
personale; infuturarsi; appulcrare -> dall’aggettivo latino pulquer (rendere bello); arruncigliare ->
questo neologismo si trova nell’inferno, è l’unico termine basso.
Qualche volta in questa ricerca di neologismi, Dante va anche oltre e propone dei linguaggi di
fantasia -> ci sono alcuni giri di versi di parole diciamo senza senso o quasi senza senso cioè che
hanno una loro fonetica che trasmettono un messaggio che coinvolge anche un linguaggio di
fantasia. Sono due casi celebri: MATERIALI LESSICO 6A E 6B: esempio di linguaggio
d’invenzione

L’elemento interessante è che Nella Commedia Dante non utilizza uno stile basso ma è uno stile
variegato.

LA TRADIZIONE DELLA COMMEDIA


Fisionomia complessiva
Diffusione del poema per cantiche -> ci sono delle testimonianze certe di lettori della commedia
con dante ancora in vita. E se dante termina il paradiso poco prima di morire, significa che le
ultime cantiche del paradiso già circolavano. Questo ci dice che dante non ha atteso l’ultima
cantica del paradiso per mettere in circolo la commedia ma che già circolavano le prime due
cantiche, l’inferno e il purgatorio.
Testimonianza di Boccaccio -> il poema era diffuso non soltanto per cantiche ma per canti o gruppi
di canti. Dobbiamo immaginare un dante che scrive i primi canti dell’inferno e le pubblica. Ma non
c’è una conferma concreta.
In questa situazione complicata dobbiamo menzionare 2 centri diffusione privilegiati e il primato
cronologico deve essere assegnato all’Italia settentrionale -> le prime copie della commedia sono
circolate soprattutto nel centro settentrionale perché dante trascorre buona parte dell’esilio nelle
città settentrionali. Poco dopo arriva la toscana, non solo con Firenze. Ramo settentrionale Urb;
ramo toscano: Triv.
Un altro dato importante è la diffusione dell’opera in tutti gli strati sociali e culturali, anche popolari.
Possiamo la commedia dantesca era un testo pop, era un testo di diffusione popolare. Questo
diventa un elemento importante sul piano sociale e negativo dal punto di vista testuale? Quanto
più un testo viene ripreso, ripetuto, memorizzato, tanto più viene cambiato. Se un testo rimane
nella sua fissità di modello culturale, i cambiamenti all’atto della copia sono ridotti -> MATERIALE
FISIONOMIA 1.
C’è anche una grande varietà tipologica dei manoscritti: ci sono manoscritti di pregio ma anche di
uso, delle edizioni preziose e delle edizioni economiche. Anche questo elemento ci fa capire
questa stratificazione nella diffusione dell’opera. Supporto, decorazione, grafia.
Abbiamo anche la testimonianza di una produzione commerciale in “serie” delle botteghe scrittorie.
Tutti questi elementi testimoniano il successo della commedia ma la complicano anche.
Questa riproduzione in “serie” facilitava anche la contaminazione, una riproduzione di modelli
diversi.
Il successo dell’opera è testimoniato anche da un fattore non secondario -> già prima del 1337 c’è
stato un’intensa produzione di commento al testo -> trovarne 7, 8 antichi significa che l’opera
aveva avuto ampio e immediato successo.
In tutto questo successo purtroppo per noi l’originale è andato perduto. Non abbiamo neanche un
rigo che si può attribuire alla mano dantesca.
Le informazionI sull’autografo della commedia sono soltanto romanzesche, leggendarie. Una delle
più affascinante -> Boccaccio, trattarello in laude di Dante -> materiali fisionomia 2.
Perché non abbiamo l’originale della commedia? Perché dante si è spostato così tanto. Il fatto che
l’opera si diffondeva rapidamente probabilmente anche questo ha fatto perdere la conservazione
dell’originale.
Non soltanto l’originale è andato perduto -> sono andate perdute anche le primissime copie ->
cosa intendiamo per primissime copie -> quelle che rientrano nel periodo di dante ancora in vita o
comunque nel primo quindicennio della morte di dante (1321). Primo testimone conservato
manoscritto -> 1336 -> questo elemento avvalora il fatto che si sia perso non solo l’originale ma
anche le primissime copie, avvalora la dinamica di una continua ripresa.
A fronte dell’assenza dell’originale abbiamo più 800 copie, di cui 600 con almeno una cantica
intera. Circa 30 manoscritti compilati entro la metà del 300 -> è già tantissimo. Il numero diventa
impressionante nella fase successiva, ovvero 400 testimoni nel XV secolo.
In alcuni frangenti, per alcuni momenti si può parlare di “vulgate” -> è un concetto importante per la
commedia perché vive in questo numero grande di testimoni. Le vulgate sono delle forme del testo
sufficientemente omogenee. Sono gruppi di manoscritti abbastanza simili tra di loro.
CONTAMINAZIONE FENOMENO ENDEMICO -> prima motivazione -> può dipendere dalla
diffusione per cantiche; seconda motivazione -> nelle botteghe di scrittura c’erano più esemplari e
quindi si può dare vita a un testo contaminato.
Questo elemento di diffusione per cantiche trova una sua enfatizzazione nelle botteghe di scrittura,
avendo a disposizione più modelli, i copisti prendevano quello libero, e si produceva la
contaminazione.
Terza motivazione-> tradizione di memoria.
In questa modalità di copia -> rarità di errori evidenti -> i copisti comunque trascrivendo un testo
che più o meno conoscono inseriscono delle varianti accettabili. La tradizione della commedia
nnon è da errori gravi ma da tante piccole variazione -> nella tradizione della commedia ci si
confronta sempre con delle varianti che comunque non sono erronei.
La tradizione è infarcita di errori poligenetici. Ma queste continue variazioni non hanno valore
significativo per la significazione dei rapporti dei manoscritti.

Alla fin fine mancano die guasti gravi: ma il problema è che mancano dei guasti gravi ma ci sono
continue variazioni. Il sistema della terzina dantesca concatenata
Pochissimi errori guasti tanti rimozione del testo

Terzina incatenata:
ABA prima terzina
BCB seconda terzina
CDC terza terzina
E poi avremo DED

LEZIONE 5/04
MANOSCRITTI DELLA COMMEDIA
Nei materiali MANOSCRITTO 1: Abbiamo un elenco quanto proposto da Bellomo. Triv -> è il
manoscritto più vicino formale a Dante perché è stato riscritto nel 1337 da Francesco di ser Nardo,
ha impiegato una grafia di solito utilizzata per la cancelleria ovvero per i documenti notarili. Ha
preso questa cancelleria ed l’ha resa più leggibile. Manoscritto più vicino a dante (1337 e
Barberino, paese vicino Firenze). Era una scrittura più formale.
Ga -> si tratta di un'altra copia allestita da Francesco di ser Nardo, utilizza la stessa scrittura
cancelleresca. Questo manoscritto è meno utile del Triv -> rispetto al precedente arriva 10 anni, e
quindi è più lontano dal tempo di Firenze. Si preferisce quindi fare riferimento a Triv e non a Ga.
GRUPPO DEI CENTO: gruppo di manoscritti -> è interessante per la dinamica della stesura che
interessa la commedia. Abbiamo alcune decine di manoscritti che formano un gruppo compatto,
definito “gruppo di cento”, tutti questi manoscritti hanno come caratteristica comune l’utilizzo della
scrittura cancelleresca (come Francesco de ser Nardo, ma non è stato lui a copiare questi
manoscritti). Si riconosce una produzione in serie perché a livello di contenuto sono simili tra di
loro. Possimao immaginare che queste copie così numeroso sono state prodotte in una bottega ->
una bottega fiorentina che sistematicamente ha fatto copiare da due modelli analoghi questo testo.
All’interno dei 100 manoscritti della commedia, alcuni appartengono al gruppo dei cento o una
copia del gruppo dei cento -> per questo si può parlare di VULGATA. Sono manoscritit di valore?
Non sono i primi a essere in considerazione, arrivano nel 1350. Il testo che trasmetotno è
sufficiente compatto ma non ne la portata della testimonianza.
MART: è particolare. Non si tratta proprio di un manoscritto ma di un esemplare della stampa
veneziana dell’editore Aldo Manuzio del 1515. L’interesse di Luca Martini sta nell’opera del filologo
di Luca Martini il attorno alla metà del Cinquecento. Luca Martini postilla sulla stampa le varianti
derivate da una collazione con un manoscritto perduto datato 1330-1331, e che dunque è il più
antico conosciuto, di mano di Forese Donati, pievano di S. Stefano in Botena. Dobbiamo fidarci del
fatto che abbia trascritto correttamente le varianti derivate dal manoscritto perduto. Questo
manoscritto del 1330-1331 -> il manoscritto più antico conosciuto. Dobbiamo fidarci?
Tendenzialmente sì -> non possiamo dire di conoscere il manoscritto del 1330 ma conosciamo
soltanto le varianti che Luca Martini ha riportato nella stampa. È una testimonianza da prendere
con prudenza. Mart risale al 1330 ma attraverso la mediazione di Luca Martini
Ash: la datazione è incerta. Potrebbe risalire al 1334, è di origine pisana. Non sappiamo chi l’ha
vergato. La data è incerta perché non tutti i paleografi danno fede alla data “d’ogosto mcccxxxv”
(1335) -> ma la data è incerta perché all’epoca l’anno iniziava in giorni diversi in ogni città, rispetto
al calendario pisano questa indicazione corrisponderebbe al 1334 non al 1335.
È un buon codice, sempre ramo toscano.
Vat: Il manoscritto fu fatto allestire (non l’ha vergato lui, ha incaricato qualcuno di copiare) da
Giovanni Boccaccio como dono, verso la metà del Trecento, da mandare a Francesco Petrarca.
Ma questo codice, o una sua copia, rimase a disposizione di Boccaccio, che partendo da VAT
produsse, pur con diversi emendamenti, i tre manoscritti seguenti:
To: Toledo, Biblioteca del Cabildo, 104. 6
Ri: Firenze, Biblioteca Riccardiana, 1035
Chig: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticano, Chigiano L vi 213
Quando Boccaccio trascrisse questi 3 codici sono stati trascritti tra il quinto e il sesto decennio del
300; il primo (To) è anche un importante testimone delle Rime e della Vita Nova e la Commedia, in
Ri ci sono le Rime e la commedia; nel Chig trascrive solo la Commedia. Dal punto di vista di
Boccaccio è stato un lavoro critico. Il problema: Boccaccio non poteva lavorare su un metodo
scientifico -> è un un po’ impressionistico, Boccaccio cerca di ricostruire un testo critico o per
congettura oppure incrociando le testimonianze. Boccaccio fa un casino nel senso che mischia i
modelli della commedia. Da Boccaccio in poi diventa un po’ complicata la situazione -> la
contaminazione. Le copie da modelli contaminati sono a loro volta contaminati.
Questi manoscritti prodotti tra il 1350 e il 1360. L’antica vulgata di petrocchi è precedente.
La: proviene da Piacenza. Porta la data del 1336 -> tolto Mart, è il manoscritto più antico
conservato. È più vicino cronologicamente ma lontano geograficamente (il copiasta era Antonio e
proveniva da Fermo nelle Marche). È stato corretto più volte nel corso del tempo, qualcuno è
intervenuto nel codice cambiando le parole. In realtà, per fortuna, è stato possibile recuperare le
lezioni originali. In questo Landiano, ha il primato dell’antichità ma dal punto di vista del
contSCenuto e formale c’è di meglio.
Urb: conservato nel Vaticano, riporta la data del 1342, non è tra i più antichi. Fu trascritto da un
copista proveniente dalla Romagna. Urb è migliore dal punto di vista del contenuto rispetto a La
perché è il manoscritto che sbaglia di meno. Il problema sta nella forma. Urb -> come se urb fosse
stato ricavato da una copia strettamente legata all’originale. Come mai in Urb ci sono pochi errori?
Perché i passaggi sono stati pochi e quindi il testo trasmesso da Urb
Rb: è un codice unico, che è stato smembrato in 2 parti: a Firenze sono conservati l’Inferno e il
Purgatorio, mentre a Milano il Paradiso. Venne trascritto e decorato attorno al 1340 da un noto
copista di professione chiamato Maestro Galvano da Bologna. Contiene anche il commento di
Iacopo della Lana. Abbiamo copisti in serie o copisti di professione. Oltre a contenere la
Commedia contiene anche il commento prodotto da Iacopo della lana.
Mad: conservato oggi a Madrid, fu trascritto nel 1354 in Liguria. Non fa parte del ramo
settentrionale classico. Contiene anche la traduzione spagnola del poema di Enrique de Villena ->
questo testimonia il successo internazionale della Commedia.
LauSC: noto come il codice di “Santa Croce” -> dal nome del convento fiorentino dal quale
proviene. Fu trascritto verso la fine del 13 secolo da Filippo Villani, nipote di Giovanni (autore della
Nuova cronaca) e autore di un ampio commento al primo canto dell’Inferno. Qui abbiamo una
personalità che trascrive e commenta il testo dantesco.

ANTICA VULGATA
- Ovvero quei codici che risalgono ai primi decenni alla morte di Dante, anni 30 e 40. Fanno
parte dell’antica vulgata 10 manoscritti di area toscana, tra cui triv, vat, gv, ash, ga.
- 4 manoscritti di area settentrionale -> urb e La Rb mad
- + Manoscritti più tardi di particolare rilievo -> Mart, e LauSC
Questo gruppo dell’antica Vulgata -> arriviamo a 16/17 manoscritti. Sono pochi partendo dagli 800
manoscritti -> Petrocchi fa una selezione delle copie prese in considerazione.
Si può parlare anche di VULGATA BOCCACCIANA:
- 3 codici danteschi allestiti da Boccaccio stesso dopo il 1350 a partire da un collaterale
(copia?) di Vat.

GRUPPO DEI CENTO: gruppo compatto, è una compattezza testuale che emerge già nei secoli
antichi.

Evidentemente nel corso dei secoli ci sono state diverse edizioni:


- la prima prova ci riporta al 1862 con Karl Witte: prima edizione critica; opera un confronto
su un alto numero (400) di manoscritti, ma un confronto parziale. Alla fine prende in
considerazione solo 4 manoscritti -> l’edizione critica di Witte è basata su Vat e LauSC
- Importanti studi sulla tradizione dello svizzero Karl Tauber e l’inglese Edward Moore ->
evidenti difficoltà di compiere una collazione completa e di ordinare le varianti per ricavare
uno stemma.
- Uno studio importante arriva con Michele Barbi -> un neo-lachmaniano, collabora con la
società dantesca italiana per allestire una nuova edizione della commedia. Non avremo
una edizione a cura di Michele barbi. Metodo loci critici -> Barbi studia la tradizione si
accorge che nell’insieme del testo, le 3 cantiche, ci sono alcuni punti particolarmente
interessante sul piano critico-testuale -> lui ne identifica 396, i cosiddetti loci critici, ovvero
396 passi di cruciale importanza -> la scelta metodologica operata da Barbi è quella di
confrontare tutti i manoscritti della commedia basandosi solo su quei punti critici, ovvero i
396 loci critici -> tutto ciò per capire i RAPPORTI TRA I MANOSCRITTI. Limita il confronto
a 396 punti del testo, che non sono pochissimi.
- Barbi non arriva a pubblicare un’edizione critica ma ci arriva Vandelli -> nel 1921 pubblica
Edizione del Centenario (in onore dei 100 anni della morte di dante). È un’ottima edizione
ma ha un paio di difetti. È priva di apparato quindi troviamo il testo ma non le varianti dei
manoscritti più antichi e manca anche lo stemma. È stata una scelta forte quella operata da
Vandelli -> passo per passo ha cercato di scegliere la lezione migliore che considerava
originale.
- Pochi anni dopo viene pubblicata un’altra edizione critica: quella di Casella del 1923: ha un
impostazione lachmaniana; collazione dei loci critici; primo tentativo di costruzione di uno
stemma -> due famiglie codicum risalenti a un archetipo esemplato in area settentrionale. È
una ricostruzione non convincente ma alcune parentele sono state confermate da studi.
Stemma casella: troviamo due rami, alfa da una parte e beta dall’altra. Qualcosa di buono
c’è -> ma questi due gruppi in realtà saranno sostituiti da due rami diversi (ramo toscano e
ramo settentrionale).
- Dopo casella, come edizione critica arriviamo alla celeberrima edizione Petrocchi -> da
Petrocchi in poi c’è un rifiuto del metodo di Barbi. Nella massa di materiali se devo
considerare i codici su tutto il testo devo operare un’altra selezione -> sui manoscritti.
Petrocchi limita il numero di testimoni da prendere in considerazione. Petrocchi limita
l’analisi ai manoscritti precedenti il 1355 -> è l’anno della stesura di To (il primo dei 3
manoscritti in cui Boccaccio contamina la tradizione della commedia). La sua scelta
selettiva è una scelta di tipo cronologico giustificata dall’intervento di Boccaccio perché dice
che possiamo confrontare la tradizione fino al 1355. Sulla base di questa selezione
Petrocchi prende in considerazione 27 manoscritti -> compreso Mart ma esclude LauSC
perché secondo Petrocchi probabilmente dipendente dalla tradizione di Boccaccio.
Ha selezionato i 27 manoscritti -> su questi 27 manoscritti opera un confronto integrale.
Secondo Petrocchi nei manoscritti successivi non c’è nessuna lezione originale, ci sono
nuovi errori -> quindi considera i manoscritti successivi, la tradizione recente descripta della
antica e dunque inutile per la ricostruzione del testo.
L’edizione di Petrocchi -> non è una perfetta corrispondente con il testo originale (i
manoscritti del primo quindicennio andati perduti) quindi l’edizione messa da petrocchi non
rimanda all’originale ma alla vulgata che si era diffuso subito dopo la morte del sommo
poeta, di Dante. Titolo dell’edizione critica: La commedia secondo l’antica vulgata (non La
Commedia).
Nell’edizione petrocchi abbiamo uno stemma -> non è uno stemma lachmaniano; stemma
di petrocchi come una sorta di strumento per razionalizzare i dati della tradizione; è un
modo per chiarire al lettore i criteri di ricostruzione del testo; le linee non indicano una
relazione di copia.
IN QUESTO STEMMA C’è DI PARTICOLARE:
O -> non è l’originale, ma l’antica vulgata
Sulla sinistra Petrocchi ha creato una scala temporale.
Il primo manoscritto è Mart e dobbiamo collegarlo alla scalata temporale
Il codice dei cento teoricamente è sotto Ga -> il gruppo dei cento avrebbe fatto riferimento
a Ga (secondo Petrocchi). Viene rilevato una contaminazione -> già prima di Boccaccio
c’era stata qualche contaminazione, ma era gestibile, da Boccaccio in poi no.
To, Ri, Chig -> vulgata boccacciana
Ci sono due rami: alfa e beta con Urb sul ramo beta (ramo settentrionale).

Considerazione di Petrocchi
I due grandi rami della tradizione sarebbero da identificare su base linguistica. Impropriamente
vaste toscana, anzi fiorentina, in alfa e veste settentrionale, anzi tra Romagna e la Lombardia
dantesca in beta.
Coincidendo i testimoni dell’antica tradizione fiorentina con quelli del sub-archetipo padano, la
relativa lezione deve sempre essere prescelta.
La situazione si complica quando ci sono delle varianti tra alfa e beta -> in questo caso quando in
caso di parità perfetta d’esito testuale, la lezione beta deve sempre essere preferita a quella di
alfa, tanto più se confortata dall’appoggio dell’intermedio La»
Se la lezione del secondo ramo non è in alcuna maniera accettabile, all’interno di α dovrà essere
utilizzat[o ...] in primis Triv o Mart Triv.
Quando non posso scegliere beta,guardo ad alfa ma è un ramo articolato (stemma petrocchi) -> e
quindi scelgo Triv. Specialmente se Triv è appoggiato da Mart.
Il rame migliore è quello settentrionale perché dante ha trascorso gli ultimi anni della sua vita in
Lombardia, Veneto.
Questo per quanto riguarda il contenuto del testo.
Il grosso difetto di URB è il fatto che sia settentrionale e quindi la loro veste linguistica è lontano
dal linguaggio dantesco.
Per l’aspetto formale, la grafia, Petrocchi fa riferimento a Triv perché è il più antico manoscritto
fiorentino. Quindi c’è questa situazione ambivalente per cui Petrocchi è consapevole della primazia
di Urb ma dall’altra parte non sul piano formale -> quindi riparte da triv.
Nell’apparato critico troviamo: le varianti di tutti i manoscritti presi in considerazione.
Per l’edizione Trovato ad oggi è uscito l’inferno, diversamente è uscita una nuova edizione
completa nel 2021 di Inglese -> è un’edizione critica che ripartiva da petrocchi con ulteriori studi
approfondimenti. Proprio per questo riuscirà a sostituirsi a petrocchi. Ha il pregio di fonrire degli
aspetti migliorativi senza essere troppo straniante. Sanguinetti ha suscitato una sorte di reazione,
un po’ perché anche noi abbiamo una vulgata.
I limiti dell’edizione di petrocchi: i rapporti tra i manoscritti per la fisionomia della tradizione si
basano solo su varianti e non su errori guasti. Alcune parentele in realtà sarebbero fondate su
errori, varianti poligenetiche che dovrebbero essere escluse. Quando Petrocchi proprone alcuni
legami di parentela lo fa basandosi su errori poligenetici, non assolutamente monogentici.
C’è questa incertezza dello stemma e conseguente libertà dell’editore, con scelte spesso
discutibili. Petrocchi spesso e volentiere scelgie su base delle sue convinzioni ma non su una
ricostruzione sistematica dell’originale dell’antica vulgata.

Dopo Petrocchi: studi recenti hanno individuato altri codici anteriori a Boccaccio; gli studi più
recenti hanno messo in discussione questo tratto descriptus complessivo.
Il ramo beta resta comunque limpido rispetto al l’inquinamento di Boccacio. Un manoscritto anche
del 1390 se appartenente al ramo Beta non ha nulla a che fare con Boccaccio e quindi può essere
considerato un buon manoscritto.
Edizione liccardi (1988) manoscritto unico, conservata a napoli, copiato da giovanni de gambi, di
Fidenza, nel 1411. Pubblicato come testimonianza di giovanni de gambi
Nel 1995 si è proposta come edizione critica: quella di Lanza -> non ha riscosso grande successo.
Si affida al metodo bederiano (metodo del bon manuscrit). È un edizione fedele a Triv, spesos
troppo fedele a triv -> quando triv sbaglia, lanza riproduce la lezione di triv.
Edizione Sanguineti -> nel 2001 pubblica una nuova edizione critica basta sul confronto di tutti i
testimoni che comprendono una cantica, recuperando il metodo di BARBI-> loci critici. Parte da
600 manoscritti ma ne rimangono soltanto 7: perché tutti gli altri sono considerati descripti -> sono
considerati copie di queste copie. Fa un lavoro di confronto su 600 per arrivare a 7 perché
considera tutti gli altri derivati da questi 7.
Nella ricostruzione tesuale di sanguineti -> stemma lachmaniano con archetipo, suddivisione dei
rami alfa e beta -> beta sarebbe rappresentato solo da Urb: gli altir settentrionali sarebbero copie
di Urb.
Stemma sanguineti -> c’è omega (l’archetipo) e poi la divisione in due rami: alfa e beta-> alfa è il
ramo toscano, beta ramo settentrionale. Cambia il numero dei testimoni. Sotto alfa e i vari
sottorami stanno LauSc, Mart, Triv, Ash, Ham, Rb. Quello che Sanguineti lascia intuire tra le righe
che Urb potrebbe essere stato copiato direttamente dall’archetipo. Alla fine Sanguineti fatti tutti
questi ragionamenti, pubblica la commedia secondo il codice Urb.
Considerazioni Sanguineti
«Non resta, a fini ecdotici, che ponderare l’evenienza di offrire il testo dell’Urbinate:
correggendone, alla luce dello stemma, gli errori di sostanza; espungendone i tratti antifiorentini
imputabili al copista» -> lui parte lachmaniano, stabilisce i rapporti tra i manoscritti. Visto il valore di
Urb si può anche pensare di pubblicare Urb -> metodo bederiano -> un metodo bederiano ma
Sanguineti corregge gli errori di Urb e soprattutto Sanguineti capisce l’imposisbilità di pubblicrae
una commedia in romagnolo. Si fa rifeirmento a Urb ma togliendone, dei tratti fiorentini imputabili al
copista. La decisione di affidarsi a Urb è un po’ ambigua.
«Sussistono pertanto le condizioni perché l’editio critica possa venire incontro a una duplice
esigenza, bédieriana e lachmanniana»
«L’Urbinate latino 366 è assunto come bon manuscrit»
Altro elemento di critica è stato che si è affidato a Urb -> si è scelto un copista emiliano-romagnolo.
Anche affidarsi a Urb nella forma impone una scelta: cerca di intervenire su Urb quando gli aspetti
romagnoli sono evidentissimi e quindi torna sulla veste toscana, nel tentativo di recuperare le
forme toscane.
Obiezioni rivolte a Sanguineti: il codicum descriptorium è ridotto. L’editore quasi mai giustifica le
scelte soprattutto quando decide conservare le lezione di Urb che non sembrano migliori. Ha il
pregio di riportare sempre le scelte operate, specialmente quelle difficili.
L’altra obiezione riguarda l’assetto formale -> si sente comunque una certa voce settentrionale
(alternanza di doppie scempe). È discutibile il metodo della correzione -> conservazione di poche
forme probabilmente originali.
Complessivamente è una proposta alternativa a Petrocchi, è stata attaccata quando è uscita. Negli
ultimi anni c’è stata una rivalutazione ma non è stato in grado di sostituire l’edizione Petrocchi.

LEZIONE 12/04
LEZIONE 19/04
MATERIALI PASSO 3C: se guardiamo le scelte editoriali non ha generato particolari dubbi – lo
prendiamo in esame perché per una volta una possibile incertezza sembra risolta grazie
all’apporto testimoniale. Siamo al canto 33esimo dell’infenro .-> qui dante incontra Alberigo
Parafrasi: per cui io (dante): se vuoi che io ti aiuti, dimmi chi sei e sei non ti tolgo dall’impaccio, mi
convenga andare fino infondo del ghiaccio (una sorte di maledizione, dante qui p un po’ astuto, sta
ingannando il suo interlocutore, in realtà lui poi non aiuterà l’anima condannata. L’0anima però si
sente rassicurata dalle parole di Dante perché gli ha promosso di finire infondo all’inferno se non lo
aiuterà, quindi si sente tranquillizzato nel chiarire la propria identità). Io sono quello della frutta che
viene da un cattivo orto (perché ha fatto sgozzare degli avversari politici) che qui prendo, mi tocca,
il dattero per fico (il dattero più prezioso del fico). -> l’anima ha chiesto a dante di liberarlo da
questo velo ghiacciato.
Frate Alberigo -> traditore dei parenti, finse di volersi riappacificare con loro -> li invita a un
banchetto nella sua villa di Cesate. “Ebbe la frutta di Frate Alberico”: è un detto.

Dal punto di vista editoriale le scelte sono unanime e vanno tutte nella direzione delle forme
sonorizzate -> effettivamente alcuni elementi ci sono perche quando parlo il personaggio lui si auto
definisce con il proprio nome con la forma canonica “Alberigo” con sonora. Qui sta parlando Dante
ma in toscana si alternavano sorde e sonore. Figo -> è un termine che è un po’ più forzato ma non
si tratta della unica eccezione sonorizzata -> si può contemplare nell’uso dantesco la forma
sonorizzata di “figo”. C’è una situazione interessante dal punto di vista dei manoscritti, dei
testimoni. Lo intravediamo già nell’apparato.
Petrocchi ci dice: di tenere a testo una rima un po’ forzata con alternanza di c e g -> le due forme
sia con -isco che -igo. Figo è dantesco perché ce lo dicono i manoscritti toscani. Per questo passo
Triv riporta le forme sonore. Se andiamo a recuperare l’apparato troviamo i manoscritti che hanno
la sorda ma tra questi non c’è Triv -> questo vuol dire che Triv porta le forme consonorizzate
(disbrigo, Alberigo, figo). Di fronte a situazioni di questo tipo siamo sufficentemente sicuri che le
forme con sonora fossero originali, fossero di Dante -> ma che siano state conservate anche dai
manoscritti toscani, in questo caso Triv.

MATERIALI PASSO 4:
carezza/chiarezza.
Urb-> sembra proporre un inversione (prima chiarezza e poi carezza), opposto all’edizione di
Petrocchi.
Se tutit gli altri derivano d aun unico antecedenti-> allora l’invenzione sarà capitata a quel livello. Il
colpevole dell’ inversione è Urb oppure alfa -> da una parte abbiamo urb che è l’unico ad avere
questo strano ordine, tutti gli altri hanno prima chiarezza e poi carezza. Però si proporre un'altra
soluzione che Urb abbia conservato l’ordine corretto e tutit gli altri hanno convertito (secondo lo
stemma Sanguinetti) - > ALFA potrebbe essere il colpevole. Nell’ipotesi Sanguinetti il discorso
regge anche d aun punto di vista critico-testuale -> infondo tutti gli altri sbagliano perché sarebbe
stato un errore congiuntivo o comune di alfa.
Quasi tutti i manoscritti, in corrispondenza del verso 17 -> non capiscono chiarezza -> serie di
varianti (certezza o bellezza). Urb è l’unico che pone chiarezza al verso 17 e al verso 21 recupera
“chiarezza”. Urb ha uno scambio tra 17 e 21 -> secondo Petrocchi è l’unico ad aver sbagliato.
Secondo Petrocchi è Urb che sbaglia perché rovescia i termini e questo rovesciamento non sta
bene a testo. In realtà però sta bene perché nel v.19 c’è “notai” e quindi sta bene carezza. Il testo
di Urb potrebbe essere originale. Forse starebbe anche meglio. Se diamo ragione a urb dobbiamo
presupporre che siano stati gli altri ad aver invertito. Se tutit gli altri hanno invertito forse lo hanno
fatto perché l’errore sarebbe stato generato da ALFA.

PASSO 5A
QUESTIONE DI RIME.
Evoluzione dei sistemi vocalici: 3 stadi:
- latino classico è a base quantitative ((vocali lunghe e breve), erano cinque coppie di vocali
distinte tra lunghe e brevi -> generava parole diverse. Aveva un valore distintivo. Questa
distinzione poi si perde a favore un altro tipo di distinzione-> qualitativa (le lunghe
diventano chiuse, le brevi aperte). Passaggio dal latino classico al latino vocale
- Latino volgare: cambiamento strutturale importante (le lunghe diventano chiuse, le brevi
aperte). Distinzione qualitativa. Prevale la centralità della vocale, non aveva grande
distinzione di pronuncia. Con questa eccezione da 10 arriviamo a 9
- Sistema romanzo: non cambia la natura del sistema (qualitativa) ma da 9 si riducono a 7. Il
sistema basico romanzo tonico è a 7 vocali. Questo tipo di sistema è la base per la maggior
parte delle lingue romanze.
Fanno eccezione dei sistemi vocalici: sardo -> sistema a 5 vocali
Sistema romeno -> 6 vocali
Sistema siciliano -> anche il sistema siciliana o è un sistema a 5 vocali ma l’evoluzione è
diversa da quello sardo. La caratteristica dle sistema siciliano: mancano le vocali
intermedie e chiuse (la “e” e la “o” chiusa). Le due a centrali confluiscono in un’unica a.
La differenza con il sistema toscano: sta nella i breve e nella “e” lunga
Nivem -> è una i breve. Nel percorso romanzo la i breve diventa e chiusa.
Si crea una discrepanza tra le forme siciliane (seguono quelle del sistema vocalico
siciliano) e quelle toscane (seguono il sistema vocalico romanzo).
La rima siciliana: è una rima perfettissima nel sistema vocalico siciliano che presenta delle
discrepanze nel sistema vocalico toscano.
IL PASSO 5A: PRESENTEREBBE UN ERRORE DI RIMA -> nome, come, lume -> sembrerebbe
una rima sbagliata ma in realtà è accettata perché una rima siciliana (la o breve diventa u nel
sistema vocalico siciliano). Accettate su base letteraria.
Inferno, 10° canto -> cavalcanti dalle parole di Dante si convince che il figlio sia morte.
Le scelte editoriali sono a favore di “lume”; URB -> “lome”.
Commento di Petrocchi: considera la variante di Urb come un errata adeguamento di rima.
POSSIAMO ACCETTARE QUESTA RIMA PERCHÉ FUNZIONA NEL SISTEMA SICILIANO.
Questa situazione permette all’italiano toscano di accogliere delle rime che rime non sono -> che
non lo sono nel sistema romanzo, toscano ma che erano rime perfette nel sistema siciliano.
Dante come molti autori, poteva contare su modelli precedenti -> questo giro di rime (nome, come,
lume) si ritrova in una canzone, donna me prega, di guido cavalcanti -> omaggio a guido
cavalcanti.
Testi scritti in siciliano, che vengono trascritti da copisti toscani con delle discrepanze. Questi tetsi
siciliani vengono adattati dal sistema vocalico toscano.
Inglese: «Rima “siciliana” nome : come : lume, prelevata da Donna me prega, vv. 16-19».

PASSO 5B: sempre giro di rime


Qui non è la rima siciliana -> ma si parla di rima guittoniana. Siamo nel purgatorio. Qui Dante
chiede un’indicazione stradale e le anime gli dicono di procedere verso destra. Qui la rima non
torna perché abbiamo due parole in -uri (duri, sicuri) e una in -ori (fori).
Urb per non sbagliare utilizza la rima tutta in -ori (dori, sicori, fori)
Qui effettivamente non aiuta il siciliano, si deve forse chiamare in causa il modello, la rima
guittoniana.
Le scelte editoriali qui sono variegate -> duri : sicuri : fori Petrocchi Sapegno Lanza (fòri) Inglese;
duri : sicuri : furi Vandelli Casella; duri : sicuri : fuori Liccardi; duri [lat. DŪRUM] : sicuri [lat.
SECŪRUM]: furi Sanguineti (per intervento dell’editore; in apparato ms. dori, sicori, fori).

PARAFRASI: scelti da dio, le cui sofferenze sia la giustizia che la speranza rendono meno dure,
indízate noi verso l’ascesa. Se voi venite sicuro dall’obbligo del fermarvi…

Commento Petrocchi -> cerca di giustificare la sua scelta di questa rima eccezionale. Dice che
quasi tutti i copisti hanno “fori”. Quei pochi che hanno “furi” hanno tentato di regolarizzare una
rima, una rima eccezionale, e che secondo Petrocchi può essere identificata nella rima guittoniana.
Petrocchi, Purgatorio: «fori [< lat. FŎRIS]: in rima con duri [< lat. DŪRUM] e sicuri [< lat.
SECŪRUM], secondo il criterio di rappresentazione della rima “umbra” (o forse meglio guittoniana,
ma senza il termine medio ó tra ò e u).
Sapegno, Purgatorio: «Fori è rima imperfetta, secondo le convenzioni dei rimatori siculo-toscani (v.
Inf., V, 95; X, 69 ecc.), opportunamente ripristinata dal Petrocchi; gli editori precedenti
correggevano furi».
Inglese: «Rima imperfetta (far rimare la ò (o aperta)con la u), cosiddetta “guittoniana”».-> ha
ragione inglese, non è una rima siciliana ma una rima eccezionale ancora più forzata accolta
dall’esempio di Guittone d’Arezzo.
Nel sistema siciliano sarebbe stata anche una rima sbagliata. Il modello di guittone-> rima molto
forzata che fa rimare la u di sicuri e duri non con una o chiusa ma con una o aperta. Questa
possibilità di far rimare la o aperta con una u era tipica di guittone.

PASSO 6
Se qui sta scritto “da te” vuol dire che Beatrice in tutta la commedia pronuncia “Dante”. Qui ci
sarebbe un’altra persona a nominare dante, che è Adamo il primo uomo -> si tratterebbe di una
sorte di passaggio di testimone.
Urb qui ha “da te”. Altri manoscritti -> hanno “DANTE”.

Riflessione conclusiva: la configurazione stemmatica, al ricostruzione di uno stemma codicum


della commedia, forse con Sanguineti e Trovato -> hanno costituito un superamento della
ricostruzione di Petrocchi. Sanguineti è andato un po’ pesantino nella sua semplificazione, pare
aver delineato uno stemma più solido rispetto Inglese. Purtroppo questo stemma (Inglese, Trovato)
per noi non è decisivo per due elementi:
- Per la contaminazione
- Stemma bifido è indice di debolezza perché questi due rami rappresentano ramo
settentrionale e ramo toscano, quindi, c’è anche una distanza di tipo geolinguistico. Non
sono due rami normali: abbiamo un ramo che raccoglie la tradizione toscana e l’altro ramo
che raccoglie quello settentrionale.
Questi elementi non ci permettono una costruzione meccanica. L’elemento linguistico può offrire in
molte occasioni degli elementi di valutazione di indizi interessanti. Sono quasi decisivi quando
trovo la forma sonorizzata tipica del nord Italia. Se anche non sono così decisivi aiutano.
Il modello dantesco è variegato -> la varietà linguistiche,a lèssi la,e fa parte della mdoalità
compositiva di Dante e quindi a fronte di certe particolarità non siamo sicuro se attribuirle a copisti
o considerarli originali. La pazienza filologica di voler prendere in considerazione i diversi casi,
sperabilmente di saperli interpretare.

PASSO 7:
Riprende una concezione dantesca che richiama il libro “libero arbitrio”.
“A voi sono concesse la luce della ragione per distinguere tra il bene e e il mare e la libertà del
volere”. La linea seguita da dante è quella dell’intellettualismo etico: il libero arbitrio trova infatti in
suo fondamento nella capacità di discernere il bene dal male.
La capacità di voler ragionare sul singolo passo.

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