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Le relazioni logico-sintattiche

ISBN 978-88-548-7805-1
DOI 10.4399/97888548780519
pag. 181–207 (dicembre 2014)

Cresci, cresci, cresci. . .


La reduplicazione espressiva come strumento
di espressione di relazioni transfrastiche∗

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Oggetto di questo lavoro è l’analisi di costruzioni in cui la reduplicazione


espressiva, procedimento di natura iconica tipicamente usato a scopo di
intensificazione (Simone : -), diventa strumento di espressione
di relazioni transfrastiche, e in particolare della relazione consecutiva,
intesa come «causa intensificata» o «arricchita» (Prandi : ). La
reduplicazione riguarda in questo caso il verbo della frase principale,
all’imperativo, che diventa l’antecedente di una subordinata consecutiva
non correlata. La ripetizione del verbo, agendo sul suo aspetto (Bertinetto
; /) e intensificando il suo significato, crea le premesse per
l’instaurarsi di una relazione transfrastica in assenza di collegamento
grammaticale. Si tratta di costruzioni tipiche della lingua orale e dello
stile fiabesco, che non si trovano citate né nelle grammatiche né negli
studi sulla subordinazione avverbiale, ma alle quali si fa cenno in alcuni
studi sulle costruzioni lessicali (Thornton a, b).


Questo lavoro nasce dalle riflessioni sui valori della reduplicazione espressiva avviate
in De Santis (). Una versione preliminare del lavoro è stata presentata in occasione della
Giornata di studio sulle frasi consecutive, organizzata il  febbraio  presso il SITLeC
(Dipartimento di Studi Interdisciplinari su Traduzione, Lingue e Culture dell’Università
di Bologna, Polo Scientifico-Didattico di Forlì). Desidero ringraziare gli altri relatori e
partecipanti per i suggerimenti emersi dalla discussione. Un ringraziamento particolare va
a François Bouchard, Francesca Masini, Marco Mazzoleni e Riccardo Tesi per i consigli
bibliografici, e a Michele Prandi che ha discusso con me molti punti. Le imprecisioni restanti
sono da attribuire unicamente a me.


 C. De Santis

. La reduplicazione espressiva tra morfologia e sintassi

La reduplicazione espressiva consiste nella ripetizione – solitamente


totale e a contatto – di un’unità lessicale. In italiano è considerata un
fenomeno morfologico che interessa varie parti del discorso (aggettivi,
avverbi, nomi, verbi) e che agisce principalmente come intensificatore
del significato dell’unità ripetuta (è il caso di ripetizioni occasionali
di aggettivi e avverbi, come bello bello o piano piano, con valore equi-
valente a quello del superlativo) e, in misura più circoscritta, come
procedimento di formazione delle parole (è il caso di unità lessicali
complesse come così così, lecca lecca ecc.). Cfr. De Santis ().
Meno studiata è la ricaduta sintattica della reduplicazione, che
sembra coinvolgere in particolare le forme verbali all’imperativo.
Wierzbicka (), nel suo studio sulla reduplicazione in italiano, ha
sottolineato la frequenza nell’italiano parlato (ma anche nella prosa di
Manzoni, e in particolare nei dialoghi dei Promessi Sposi) della ripetizione in
sequenza di interi enunciati, separati da una pausa, contenenti un imperativo
(es. Senti, senti!; Guarda, guarda!): si tratterebbe di una strategia pragmatica
per esprimere, a seconda dei contesti, un senso di urgenza, di fastidio,
di stupore ecc.. In questo caso l’imperativo mantiene sia il suo valore
tipicamente esortativo, sia la sua caratteristica sintattica principale: quella di
comparire all’interno di (o addirittura di costituire) una frase indipendente.
Un caso diverso di ripetizione dell’imperativo, dalla portata sintat-
tica più ampia, è quello indagato recentemente da Thornton (a,
b) sulla scia dei noti studi di Spitzer sull’imperativo nelle lingue
romanze (, -): si tratta degli usi «metaforici» dell’imperati-
vo ripetuto, che sarebbero alla base anche della formazione di nomi
d’azione del tipo fuggifuggi, tipicamente indicanti un’azione ripetuta e
compiuta da agenti multipli (Thornton , ).
Lo studioso tedesco aveva già notato la frequenza della ripetizio-
ne del verbo nei due usi «metaforici» dell’imperativo da lui distinti:
da un lato l’imperativo «descrittivo», usato con valore temporale –
alla stregua dell’indicativo – per presentare in modo drammatico gli
eventi all’interno di una narrazione (esempio , in cui l’imperativo è

. Una rassegna dei valori di questo modulo nella novellistica quattro-cinquecentesca è


presente in Testa (: -), che lo definisce «ripetizione enfatica» funzionale a ricreare l’effetto
della voce che si innalza verso la tonalità del grido.
Cresci, cresci, cresci. . . 

parafrasabile come ‘rise’); dall’altro l’imperativo «gerundiale», usato


con significato ipotetico-causale-concessivo (alla stregua del gerundio)
per introdurre un risultato espresso dalla principale (esempio , in cui
l’imperativo è parafrasabile come ‘girando/per quanto si giri. . . ’).
() La predica comincia a ridere, e ridi ridi tanto che per buona pezza né
il detto maestro poteva dire né altri ascoltare (Sacchetti, cit. in Spitzer
: )

() Gira e rigira siamo sempre allo stesso punto (ivi: ).

Si tratterebbe di usi modali dell’imperativo, utilizzato non letteral-


mente (per impartire un ordine), bensì metaforicamente in contesti
nei quali ci aspetteremmo un indicativo o un gerundio (o addirit-
tura una subordinata avverbiale). Del resto, come ha notato Graffi
(: ) – che distingue la categoria sintattica di imperativo da quella
nozionale (associata al comando) – «un comando si può esprimere
anche senza fare uso del modo imperativo, [. . . ] viceversa, il modo
imperativo può esprimere nozioni diverse da quelle del comando» .
Studi successivi hanno messo in luce che la reduplicazione (o addi-
rittura la ripetizione tripla) dell’imperativo è in italiano contempora-
neo una condizione necessaria ai fini dell’uso metaforico
(Huber-Sauter ; Mencacci ; Thornton a, b).
D’altra parte, è stata sottolineata la problematicità di una netta di-
stinzione tra i due usi metaforici individuati da Spitzer, che rappresen-
terebbero piuttosto i poli di un continuum di possibili usi metaforici
(Thornton b: ).
Secondo Thornton (a: ) sarebbe possibile ipotizzare a li-
vello diacronico uno sviluppo dell’imperativo gerundiale a partire da
imperativi descrittivi usati in contesti narrativi , come dimostrerebbe-
ro i seguenti esempi, tratti rispettivamente dalla commedia di Goldoni
. I casi citati sono, oltre a quelli relativi alla preghiera e al permesso, riconosciuti
anche nelle grammatiche tradizionali, quello della condizione (Di’ questo e ti vergognerai,
parafrasabile con Se dirai questo, ti vergognerai).
. A differenza di Spitzer (: ), secondo il quale l’imperativo gerundiale derive-
rebbe da sentenze di carattere gnomico. In accordo con Spitzer, l’imperativo descrittivo
deriverebbe a sua volta da imperativi veri e propri, usati in testi narrativi all’interno del
discorso diretto (Thornton b: -). Anche i nomi d’azione del tipo fuggifuggi si sareb-
bero formati secondo Thornton (: ) come «lessicalizzazioni di citazioni in discorso
diretto» usate in origine come imperativi descrittivi.
 C. De Santis

Gli amanti timidi (), rappresentata per la prima volta nel , e dalle
Avventure di Pinocchio (), la cui prima edizione è del :

() Gira, rigira, non trovo né il padrone né la padrona (II, )

() [Pinocchio] restò a bocca aperta e, non volendo credere alle parole
del Pappagallo, cominciò con le mani e con le unghie a scavare il
terreno che aveva annaffiato. E, scava scava scava, fece una buca così
profonda, che ci sarebbe entrato per ritto un pagliaio. (XIX)

In questi esempi il verbo è inserito in un contesto che ammette


un’interpretazione letterale, come imperativo descrittivo con valore
temporale (il servitore Carlotto gira e rigira; Pinocchio scavò a lungo),
ma al tempo stesso è inserito in un contesto sintattico che ne agevola
una lettura metaforica: nel primo caso con valore concessivo (‘per
quanto giri e rigiri’), nel secondo caso con un valore che Spitzer chia-
ma «modale-causale» ma che, più propriamente, può essere definito
consecutivo (‘a forza di scavare. . . ’) .
Lo sviluppo del valore «gerundiale» sarebbe più avanzato per alcuni
verbi come girare (esempio ) o anche grattare (gratta gratta è utilizza-
bile solo in senso metaforico) e meno avanzato per altri verbi, come
scavare (esempio ) o anche camminare (esempio ), che nell’italiano
contemporaneo si presta ancora a un uso a metà tra il descrittivo e il
gerundiale (Thornton a: ):

() il governatore designato cercò di fuggire verso Pavia ma per superlati-


vo miracolo gli si voltò la strada davanti ai piedi e, cammina cammina,
il domani all’alba si ritrovò di bel nuovo alle porte di Milano (corpus
“La Repubblica”) .

Dobbiamo a Thornton anche un’esplicitazione dei possibili valo-


ri che l’imperativo raddoppiato di tipo gerundiale può assumere a
seconda dei contesti e del tipo di verbo: così gira e rigira avrebbe un
significato concessivo e sarebbe specializzato «per introdurre la consta-
. Si noti che, nell’esempio, l’imperativo triplicato è seguito da una principale che
contiene l’intensificatore così e regge una consecutiva propriamente detta (introdotta da
che). Ritorneremo più avanti (§ ) sulle condizioni dell’interpretazione consecutiva e sul
cumulo di elementi intensificatori, citando anche altri esempi tratti dal romanzo di Collodi.
. L’esempio proviene da un articolo brillante di cronaca sportiva firmato da Gianni
Brera (Metti un rude marcatore sul felice Platini, “La Repubblica”,  febbraio ).
Cresci, cresci, cresci. . . 

tazione che il risultato a cui si perviene è sempre lo stesso, o coincide


col punto di partenza» (Thornton a: ); gratta gratta e stringi
stringi avrebbero valore ipotetico; dai e ridai e batti e ribatti sarebbero
invece specializzati come «antecedenti di una consecutiva, che di solito
esprime un risultato valutato positivamente dal soggetto enunciatore,
il conseguimento di un obiettivo» (Thornton a: -) .
Considerazioni interessanti apre l’esame del tipo cammina cammina,
anch’esso annoverato tra le formule utilizzate nell’italiano contempo-
raneo per esprimere l’antecedente di una consecutiva, per lo più in
contesti in cui – a differenza che nell’esempio  – il verbo camminare
appare «del tutto svincolato dal suo valore referenziale di base ed è
utilizzato in diverse metafore concettuali» (Thornton a: ), con
riferimento a un procedere lungo un cammino ideale:

() E così, cammina cammina, il femminismo è arrivato a incidere sul


pensiero di Jurgen Habermas (corpus “La Repubblica”).

.. Le origini del tipo cammina, cammina. . .

Stando a fonti quali il GDLI e la LIZ, la prima attestazione in italiano


della formula con imperativo reduplicato cammina cammina, ampia-
mente utilizzata nella letteratura fiabesca italiana (o in traduzione),
sarebbe ravvisabile nell’ultima edizione (nota come quarantana) dei
Promessi Sposi di Manzoni, all’interno dei capitoli dedicati alla fuga
avventurosa di Renzo verso l’Adda. L’assenza della formula nella pre-
cedente edizione (la cosiddetta ventisettana) farebbe propendere per
un’origine dal toscano colloquiale (Thornton a: ):

() [Renzo] camminò un pezzo prima di voltarsi neppure indietro. Cam-


mina, cammina, trova cascine, trova villaggi, tira innanzi senza do-
mandarne il nome (XVI) [Va e va, . . . ]

() Verso Milano non vo di certo; dunque vo verso l’Adda. Cammina,


cammina, o presto o tardi ci arriverò (XVII) [Andare, andare. . . ]

. Questi imperativi ripetuti con inserimento della congiunzione coordinativa e del


prefisso nella seconda replica rientrano nella categoria dei «binomi coordinati» o «irrever-
sibili» (Masini , ). Per un’analisi delle lessicalizzazioni delle costruzioni VeV cfr.
Masini/Thornton ().
 C. De Santis

() Cammina, cammina: arrivò dove la campagna coltivata moriva in una


sodaglia di felci e di scope (XVII) [Innanzi e innanzi; giunse. . . ]

Se esaminiamo le varianti espunte (indicate in neretto entro pa-


rentesi quadre) notiamo che in realtà anche nella ventisettana erano
presenti costrutti con ripetizioni, che coinvolgevano però o un verbo
sinonimo (andare) in una forma diversa dall’imperativo (nell’esempio
 la terza persona singolare del presente indicativo, nell’esempio 
l’infinito) o un avverbio (esempio ). È possibile dunque ipotizzare
che Manzoni, nel suo intervento correttorio, guardasse a una forma di
ripetizione stilizzata, tipica della lingua fiabesca, più che a un generico
procedimento espressivo come la reduplicazione, già presente nel suo
repertorio di scrittore attento a ricreare movenze tipiche dell’oralità.
Del resto le ripetizioni enfatiche – di aggettivi e avverbi, ma anche
di verbi in un contesto di «sintassi esclamativa ed ellittica», che tende
cioè a risolvere in modo sintetico o a tralasciare del tutto i rapporti di
dipendenza tra le frasi – erano già ampiamente attestate come tecnica
di «simulazione del parlato» nella novellistica quattro-cinquecentesca,
e in particolare negli autori toscani (Testa : ) e si ritrovano
anche in testi «per natura mimetici del parlato» come le commedie di
Goldoni (Thornton a: ), di cui abbiamo visto l’esempio .
L’ipotesi della duplice matrice (fiaba e oralità toscana) della formula
cammina cammina sembrerebbe avvalorata dalla sua presenza nelle
citate Avventure di Pinocchio del toscano Collodi:

() Cammina, cammina, cammina, alla fine sul far della sera arrivarono
stanchi morti all’osteria del Gambero rosso. (XIII)

() E più andava avanti, e più il chiarore si faceva rilucente e distinto;


finché, cammina cammina, alla fine arrivò. (XXXV)

. Cito dall’edizione interlineare del romanzo curata da Lanfranco Caretti (I promessi


sposi nelle due edizioni del  e del - raffrontate tra loro, vol. II delle Opere di Alessandro
Manzoni, Torino, Einaudi, ); gli esempi sono rispettivamente alle pp. , , .
. Testa (: ) segnala, oltre agli imperativi esclamativi raddoppiati in isolamento
(del tipo Andiamo, andiamo), un tipo di costrutto in cui la ripetizione dell’imperativo si salda
alla subordinata per mezzo del che polivalente (qui con valore genericamente esplicativo):
Apri, apri, che sono tuo marito (Bandello). La formula apri, apri costituirebbe nella novellistica
un vero e proprio topos, collegato al ritorno a casa del marito o dell’amante.
Cresci, cresci, cresci. . . 

Prima ancora che in Pinocchio, la formula è attestata nella fiaba-


apologo del toscano Francesco Domenico Guerrazzi La serpicina
(), coeva al romanzo manzoniano:

() Cammina, cammina, ecco farsi incontra a loro un cane che veniva via
a scavezzacollo. . . (p. )

Questa formula durativa – parafrasabile come ‘dopo un lungo


cammino’ – è diffusissima nelle fiabe, in cui suggerisce una durata
indeterminata, coerente con la dimensione temporale del racconto
fiabesco , e al tempo stesso segnala la contrazione del tempo reale
all’interno del testo: un bambino, infatti, «si aspetta un ordine testuale
che sa omogeneo rispetto all’ordine reale, e si aspetta anche che la gra-
na dell’intervallo temporale tra un evento e l’altro sia sempre la stessa;
per capire che le cose non stanno così deve cogliere alcuni segnali
testuali» (Simone : ) come la ripetizione, appunto. Del resto, la
ripetizione per copia è frequentemente usata proprio nel linguaggio
infantile come strategia elementare per intensificare il significato a par-
tire dall’incremento quantitativo della forma (Simone : ), ed è
una delle caratteristiche tipiche del baby-talk o linguaggio bambinesco
(Ferguson ).
Pizzoli (: ), da parte sua, annovera la formula cammina cam-
mina tra gli stratagemmi usati da Collodi «per suscitare l’interesse e
la partecipazione dei bambini», in quanto aumenterebbe il senso di
attesa verso gli sviluppi del racconto. Non va infine dimenticato che,
all’interno del codice fiabesco, formule stereotipiche di questo tipo
hanno una funzione strutturale precisa: garantiscono il passaggio da
una sequenza narrativa a un’altra, agevolando «la costituzione del testo
. Struttura analoga, con la ripetizione del verbo seguita dal deittico ecco (che indica il
carattere fortuito e inatteso dell’evento introdotto), ha l’esempio che compare più avanti:
E cammina, cammina, eccoti un cavallo che pareva quello dell’Apocalisse. . . Cito da Racconti e
scritti minori, Milano, Istituto editoriale italiano, s.d. (La prima edizione della fiaba compare
negli Scritti, Firenze, Le Monnier, ). Ringrazio François Bouchard per avermi segnalato
gli esempi. Non si trovano attestazioni della formula in autori toscani più dipendenti dal
modello letterario, come Ida Baccini o Emma Perodi. Se ne trovano invece nelle novelle
popolari raccolte da Vittorio Imbriani: Cammina, cammina, cammina, cammina! era tanto
che camminava questo giovinetto (Il contadino che aveva tre figlioli, in La novellaja fiorentina,
).
. Si vedano, tra gli altri studi sul linguaggio della fiaba, Beccaria () e Lavinio (,
a e b, ).
 C. De Santis

nel suo farsi e disporsi lungo la catena discorsiva dell’oralità» (Lavinio


: ): si tratterebbe insomma di «modalizzatori della narrazione
orale» che ritornano in un contesto di oralità simulata (Lavinio :
).

.. I valori di cammina cammina. . .

Se analizziamo gli esempi collodiani e manzoniani sopra citati, no-


tiamo che in essi prevale il valore «descrittivo» del verbo camminare,
usato in senso proprio come verbo di movimento in un contesto nar-
rativo (, , , ), ma si affaccia già un uso più decisamente orientato
verso il valore metaforico di tipo «gerundiale» (cfr. l’esempio , che
ammette una parafrasi ipotetica: ‘se cammino. . . ’, o consecutiva: ‘a
forza di camminare. . . ’).
Si noti che, anche negli esempi in cui il verbo mantiene un signifi-
cato letterale, la forma ripetuta appare alla seconda persona singolare
dell’imperativo, laddove il verbo che segue – e che possiamo per il
momento considerare principale, se non altro dal punto di vista comu-
nicativo, perché esprime l’azione posta in primo piano – è alla terza
persona singolare (, , ) o plurale (); nell’esempio  il verbo è alla
prima persona singolare. Di fatto l’imperativo è privo di un soggetto
sintattico proprio e in quanto tale accetta che gli sia attribuito per ana-
fora lo stesso soggetto del verbo principale, che è spesso un soggetto
di terza persona.
Negli esempi ,  e , l’omofonia della seconda persona dell’impe-
rativo con la terza dell’indicativo potrebbe indurre a dubitare che il
verbo raddoppiato sia effettivamente un imperativo , anche se il rap-
porto tra i tempi verbali contribuisce a sciogliere l’ambiguità: la forma
raddoppiata è al presente anche in contesti in cui, per istituire una
relazione temporale coerente tra la prima frase e la seconda, sarebbe
richiesto l’uso di un tempo passato dell’indicativo . D’altra parte, l’uso
dell’imperativo può essere spiegato come una sorta di «incitamento al
protagonista» che ha l’effetto di animare l’azione (Rohlfs : ).

. Così interpreta Lavinio (a: ) il cammina cammina cammina di Pinocchio, che
manterrebbe «il tempo verbale più tipico delle fiabe, il presente». Cfr. anche Lavinio (b:
).
. Solo nell’esempio () il presente imperativo potrebbe essere assimilato alla terna di
presenti storici che seguono.
Cresci, cresci, cresci. . . 

È evidente, comunque, che si tratta di un uso cristallizzato dell’im-


perativo, che anche dal punto di vista morfologico acquista caratteri-
stiche simili a quelle di un modo infinito come il gerundio .
Pur essendo prive di un soggetto proprio, e pur presentando un
riferimento temporale spesso indeterminato, queste forme verbali
ripetute presentano però una caratteristica che le differenzia dalle
forme infinite del verbo: si tratta del valore aspettuale. La ripetizione
del verbo può essere considerata infatti una marca di aspetto continuo,
spesso utilizzata nello stile orale e nello stile della fiaba (Bertinetto
/: ). Gli esempi citati da Bertinetto coinvolgono forme
verbali all’indicativo:
() La fanciulla piangeva e piangeva.

() L’eroe cerca, cerca, cerca, senza trovare nulla.

Nell’esempio  abbiamo una coppia di verbi coordinati all’imper-


fetto, tempo durativo per eccellenza; nell’esempio  abbiamo invece
una terna (non casuale in un contesto, come quello fiabesco, in cui
ricorrono le formule ternarie) di verbi al presente, usato con valore
inequivocabilmente imperfettivo. In entrambi i casi, la parafrasi più
adeguata è del tipo ‘continuava/continua a. . . ’.
Un altro studio che fa riferimento al valore aspettuale che la ripe-
tizione conferisce al verbo è Bonvino et Al. (). Le forme verbali
ripetute sono qui analizzate come uno dei tipi di intensifying list con-
struction («lista di intensificazione»): una lista di elementi identici tra
loro ripetuti a scopo di intensificazione nell’ambito di una «configura-
zione di discorso», ovvero di un segmento intermedio tra l’enunciato
e il testo . La ripetizione del verbo sotto forma di lista comporterebbe
una specializzazione del generico valore di intensificazione: divente-
. Sulla base di queste osservazioni, Thornton (a:  ss.) definisce gli imperativi
raddoppiati un tipo di «converbi», ovvero forme verbali non finite che funzionano come
indicatori di subordinazione (Haspelmath ), e si spinge fino a ipotizzare che in realtà la
forma raddoppiata non sia un vero e proprio imperativo, ma il tema verbale omofono.
. Cfr. Lüthi (: -). Sulle triplicazioni in Pinocchio cfr. Lavinio (b: -).
. Il concetto di «configurazione discorsiva» rimanda agli studi sul parlato condotti in
ambito francese da Claire Blanche-Benveniste e dal GARS (Groupe Aixois de Recherches
en Syntaxe) che hanno messo in evidenza come il discorso si organizzi in «configurazioni»
ricorrenti (che molto spesso coinvolgono liste e ripetizioni) che veicolano determinate
funzioni. (Blanche-Benveniste et Al. , Blanche-Benveniste ). Anche Sornicola
 C. De Santis

rebbe espressione di continuità o di iterazione dell’azione . Più in


particolare, conferirebbe un aspetto continuo a verbi durativi (esem-
pio , parafrasabile come ‘continuava a ridere’) e un aspetto iterativo
a verbi non durativi (esempio , ‘bussò più volte’):
() La guardava e rideva, rideva, rideva.

() Bussò, bussò, bussò, ma non c’era nessuno.

Anche in questo caso gli esempi sono all’indicativo, ma identiche


considerazioni si possono estendere alle coppie (o terne) di imperativi
raddoppiati (separati o meno da virgola) del tipo cammina cammi-
na, che compaiono negli esempi sopra citati (-) e che sembrano
funzionali a esprimere la durata di un’azione collocata sullo sfondo:
() Cammina, cammina: arrivò dove la campagna coltivata moriva in una
sodaglia di felci e di scope. . .

Alla doppietta dell’imperativo singolare di camminare – verbo che


può essere considerato durativo dal punto di vista del significato azio-
nale – segue un verbo non durativo ma istantaneo e culminativo
(tipicamente arrivare, o un suo sinonimo come giungere), accordato col
soggetto e alla forma del passato remoto (tempo perfettivo). Anche
la scelta del tipo di verbi, dunque, contribuisce a conferire un aspetto
continuativo all’azione che fa da sfondo. È la ripetizione del verbo,
comunque, a intensificarne il significato, creando le premesse per
l’instaurarsi di una relazione transfrastica anche in assenza di collega-
mento grammaticale (ovvero di preposizioni o congiunzioni): le due
frasi, incentrate rispettivamente sui verbi camminare e arrivare, pur
essendo semplicemente accostate, e separate al più da un segno di pun-
teggiatura (di solito la virgola, qui i due punti con valore esplicativo),
risultano chiaramente in relazione tra loro.
L’analogia di questa struttura con il gerundio proposizionale, già
notata da Spitzer, è evidente se confrontiamo gli esempi manzoniani
(: -) parla di schemi di figure di ripetizione come «procedimenti più o meno
lessicalizzati» ricorrenti nel parlato.
. Si tratta di due delle funzioni che la reduplicazione può avere nelle lingue del mondo,
così come state elencate da Moravcsik (): quantità, intensità, iterazione, continuazione
ecc.
Cresci, cresci, cresci. . . 

con attestazioni precedenti del verbo camminare, usato in contesti


narrativi analoghi:
() Ed essendo camminati parecchie miglia, disse l’uno all’altro: [. . . ]
(Sacchetti, da GDLI)

() Ed essendo già camminato un pezzo. . . si riscontrò con due caproni


(Firenzuola, da GDLI)

In questi esempi il verbo camminare, al gerundio (passato) e se-


guito da un quantificatore (parecchie miglia, un pezzo), ha un valore
chiaramente temporale e sostituisce una subordinata di modo finito
(‘dopo aver molto camminato. . . ’).
In altri esempi pre-manzoniani, la costruzione scelta per esprimere
un’analoga progressione narrativa è invece quella consecutiva:
() Colui se ne partì en mantenente, e tanto camminò, che gionse ad
Antioccia (Conti morali, XIII sec., da TLIO)

() La figliuola d’Amon. . . camminò tanto che venne una sera / ad uno
albergo (Ariosto, da GDLI)

In questi ultimi esempi, a differenza dei due precedenti, il verbo


camminare, al passato remoto dell’indicativo, compare nella proposi-
zione principale, preceduto o seguito da un avverbio che lo intensifica
(tanto); questo elemento si correla con la congiunzione che, incarica-
ta di introdurre la subordinata che esprime la conseguenza. Siamo
dunque in presenza della struttura «a dittico» tipica della relazione con-
secutiva: una principale contenente un elemento intensificatore crea
un’attesa soddisfatta da una subordinata «che, sul piano concettuale,
ha un rapporto particolarmente stretto con la propria reggente» (Cuz-
zolin : ) e si rivela altrettanto essenziale ai fini dell’instaurarsi
della relazione.
. In questi due esempi il verbo intransitivo camminare presenta l’ausiliare essere an-
ziché avere come in italiano moderno: si tratta di un uso inaccusativo biargomentale, con
specificazione della durata o dell’estensione spaziale del movimento, come accade per
correre ancora in italiano moderno (che accetta essere quando si specifica la destinazione del
movimento: ho corso / sono corso a casa): cfr. Salvi (: ). L’uso dell’ausiliare essere col
verbo camminare è registrato dal Tommaseo/Bellini (s.v. camminare); nello stesso dizionario
è attestato l’uso transitivo di camminare con valore di ‘percorrere’ (come nell’esempio
dantesco il ciel che tu cammine).
 C. De Santis

Se è vero che l’imperativo ha come «caratteristica sintattica fon-


damentale [. . . ] a differenza degli altri modi, quella di non poter
apparire mai in frasi subordinate» (Graffi : ), più che al ge-
rundio proposizionale dovremo guardare alla struttura consecutiva
per trovare una spiegazione convincente dell’architettura sintattica e
dell’interpretazione delle frasi contenenti imperativi ripetuti.

. La relazione consecutiva

La relazione consecutiva collega due processi (due frasi) presentando


il secondo dei due come la conseguenza o effetto del primo, che si
configura come causa scatenante. Si tratta di una relazione affine a
quella causale, dalla quale si distingue per il carattere più ricco: «im-
plica l’idea che l’effetto scatta nel momento in cui la causa raggiunge
una soglia critica» (Prandi : ); al tempo stesso «il prodursi
dell’effetto è presentato non come un semplice dato di fatto, ma come
qualcosa di necessario» (Prandi : ). L’arricchimento concettuale
impone dunque alla relazione «una caratteristica di necessità più che
di fattualità» (Prandi a: ).
Nell’espressione più tipica della relazione consecutiva, veicolata
dalla forma periodo, la causa è espressa dalla principale, l’effetto dalla
subordinata (esempio ). Pur condividendo con la relazione causale
la stessa ossatura concettuale, la relazione consecutiva se ne distingue
in primo luogo per la diversa distribuzione della causa e dell’effetto
all’interno del periodo: nella struttura causale, infatti, è la subordinata
a esprimere la causa, mentre la principale esprime l’effetto (esempio
a). La consecutiva, inoltre, è caratterizzata dalla rigidità della sequen-
za causa-effetto, laddove la causale permette sia di collocare l’effetto
prima della causa (a) sia di collocare la causa prima dell’effetto come
nella consecutiva (b), a seconda del tipo di connettivo scelto . In
secondo luogo, la relazione consecutiva è indissociabile dalla presenza
di mezzi di codifica specifici, e più in particolare di un elemento in-
tensificatore (nell’esempio  l’avverbio talmente) che, modificando la

. La subordinata causale, dunque, può trovarsi sia in posizione tematica (anteposta
alla principale) che in posizione rematica (posposta), mentre la subordinata consecutiva è
sempre rematica.
Cresci, cresci, cresci. . . 

causa (in questo caso l’intensità della pioggia), suggerisce che il rag-
giungimento di un certo grado di intensità provoca necessariamente
l’effetto (lo straripamento del fiume):

() Ha talmente piovuto che il fiume è straripato

() (a) Il fiume è straripato perché ha piovuto molto


(b) Siccome ha piovuto molto, il fiume è straripato

Il costrutto consecutivo tipico, pur rientrando nell’ambito della


subordinazione circostanziale o avverbiale, in quanto la presenza della
subordinata non è richiesta dalla natura del processo principale (come
accade invece nel caso delle completive), ha uno statuto anomalo: la
frase principale, infatti, non può dirsi indipendente dalla subordinata
perché contiene un elemento cataforico, l’intensificatore, che chiede
di essere saturato: a differenza di ha piovuto molto, una principale come
ha talmente piovuto deve essere completata da un’altra frase, proprio
per la natura insatura dell’intensificatore talmente, che lo distingue
da un avverbio come molto (Prandi a: ; Prandi ). Questo
completamento non avviene necessariamente nel quadro della subor-
dinazione: può anche risolversi tramite la giustapposizione dei due
processi (a):

(a) Il fiume è straripato talmente è piovuto.

Le subordinate consecutive propriamente dette () vengono chia-


mate anche «forti» o «con antecedente» o «correlate» per distinguerle
sia da quelle cosiddette «deboli» o «libere» (introdotte da locuzioni
univerbate come cosicché o sicché), sia dalle coordinate con valore conse-
cutivo (introdotte da quindi, dunque, perciò, allora, o dalla congiunzione
non specializzata e), sia dalle frasi giustapposte (o per asindeto) .

. Si noti che in questo caso la sequenza causa-effetto appare invertita: per questo
motivo si parla, sulla scia di Agostini (: ) di «consecutive inverse». Frenguelli (a:
 s.), sulla scia di Lombardi Vallauri (: ), considera questo tipo di frasi delle strutture
causali.
. Cfr. De Roberto () che riprende la distinzione tra «forti» e «deboli» da Herczeg
(), attraverso Serianni (), e la classificazione basata su «un continuum tra ipercodifica
e inferenza» da Frenguelli (b), il quale – sulla scia di Ferrari (, ) – annovera tra
le consecutive anche le coordinate introdotte da connettivi logici che esprimono una conse-
 C. De Santis

A differenza delle consecutive deboli – che non tutti gli studiosi so-
no concordi nel considerare come consecutive – le consecutive forti
presentano un grado alto di codifica: perché la relazione tra le due
frasi si instauri, è necessaria la presenza nella principale di un elemento
intensificatore (gli avverbi talmente, tanto e così e gli aggettivi tanto e
tale) che faccia da antecedente; a questo elemento si correla il connet-
tivo che introduce la subordinata consecutiva: la congiunzione che nel
caso della consecutiva esplicita, la preposizione da per l’implicita. Il
risultato è una struttura «a dittico» (Cuzzolin : ), con principale e
subordinata correlate e interdipendenti. La relazione tra i tempi verbali
della principale e della subordinata è legata alla possibilità di stabilire una
relazione temporale di successione (o al limite di contemporaneità) tra
reggente e subordinata (ivi:  ss.).
guenza (Piove molto, quindi non esco) e – in contrasto rispetto a Prandi () – interpreta
come consecutive anche le coordinate del tipo È piovuto molto e il fiume è straripato, nonché
la sequenza È piovuto molto; il fiume è straripato.
. Le frasi introdotte da congiunzioni coordinanti, o collegate per asindeto, sono con-
siderate da Prandi (: ) delle causali espresse tramite una sequenza, eventualmente
rinforzata con un avverbio conclusivo come quindi (elemento che le altre grammatiche eti-
chettano piuttosto come congiunzione coordinante conclusiva), nelle quali l’espressione
della causa segue quella dell’effetto come conclusione o spiegazione. Analoga la posizione di
Mazzoleni (). Di diverso parere Frenguelli (a: ) che pone come condizione per
l’interpretazione consecutiva, più che la presenza di un intensificatore di supporto, il fatto
che l’espressione della causa preceda sempre quella dell’effetto (per cui la conseguenza si
ridurrebbe al capovolgimento della sequenza effetto-causa). Secondo Frenguelli (), inoltre,
l’elemento intensificatore agirebbe più che altro come un «evidenziatore» della proprietà della
causa che provoca l’effetto; in un esempio come La sua casa è abbastanza grande da contenere
tutti gli ospiti, per esempio, si evidenzierebbe l’adeguatezza di una proprietà del soggetto della
principale. Sui confini tra causali e consecutive si veda anche il saggio di Frenguelli in questo
stesso volume, pp. -.
. In funzione di aggettivo, tanto andrebbe definito più propriamente un quantificatore
(cfr. Zennaro : ).
. Per questa ragione Prandi considera i costrutti consecutivi come il caso più tipico di
«ipercodifica» delle relazioni transfrastiche, dal momento che il contenuto della relazione
è indissociabile dalla presenza di mezzi di espressione specifici, e quindi inaccessibile alla
sola inferenza: «a differenza della relazione di causa, la relazione di conseguenza non è una
struttura concettuale naturale, ma una struttura concettuale elaborata linguisticamente – una
struttura specificamente semantica» (Prandi a: ; cfr. anche Prandi/Gross/De Santis
: ).
. De Roberto (: ) segnala casi in cui l’elemento intensificatore viene omesso,
ma l’intensificazione della causa è suggerita da fattori semantici (es. L’ha detto con un odio da
far gelare il sangue, con consecutiva obbligatoriamente di forma implicita). Il connettivo che
introduce la subordinata può mancare nel caso della giustapposizione (cfr. l’esempio citato
nella nota ).
Cresci, cresci, cresci. . . 

Vediamo alcuni esempi di strutture consecutive tipiche tratti dalle


Avventure di Pinocchio :
() il povero Pinocchio cominciò a piangere e a berciare così forte, che lo
sentivano da cinque chilometri lontano (VII)

() Con quei suoi piedi di legno durissimo lavorava così bene, da tener
sempre i suoi nemici a rispettosa distanza. (XXVII)

() Il suo naso era cresciuto tanto, che non passava più dalla porta. (XVII)

() quell’idea di trovarsi solo solo solo in mezzo a quel gran paese disabi-
tato, gli messe addosso tanta malinconia, che stava lì lì per piangere
(XXIV)

L’elemento intensificatore, nelle strutture tipiche, rappresenta il


supporto sintattico fondamentale della relazione consecutiva propria-
mente detta: dalla sua presenza dipende infatti l’«effetto-soglia» che,
facendo apparire la causa come necessariamente proiettata verso una
conseguenza, orienta l’interpretazione in senso consecutivo anziché
in senso genericamente causale. Si noti che, rispetto a talmente o a
così, l’intensificatore tanto presenta un maggior grado di saturazione:
nelle frasi in cui compare (, ) la principale ha un maggior grado
di autonomia e potrebbe dirsi completa anche senza la consecutiva
correlata.
Per quanto riguarda l’altra restrizione che caratterizza le subordinate
consecutive tipiche, ovvero il fatto che si collochino obbligatoriamente
dopo la principale, sono state addotte motivazioni di ordine diverso. Da
un lato il fattore sintattico della «non scindibilità della struttura a dittico»
. Pizzoli (: ) sottolinea l’uso frequente, in Pinocchio, della subordinata consecu-
tiva «che assume spesso valore elativo e rientra tra i modi di enfatizzazione del discorso»: in
particolare, tipiche di Pinocchio sarebbero le consecutive in cui la conseguenza è enunciata
in modo iperbolico (ivi: ).
. Si noti in questo esempio la triplicazione di solo, usata come strategia morfologica
di intensificazione del significato dell’aggettivo, al pari del superlativo. Si noti anche il ruolo
della duplicazione dell’avverbio lì nella formazione della locuzione preposizionale lì lì per
(‘in procinto di’). La prosa di Collodi è del testo ricchissima di esempi di reduplicazioni
espressive, soprattutto di aggettivi e avverbi: comparvero due giandarmi di legno, lunghi
lunghi, secchi secchi. . . (XI); gliela strinse forte forte in segno di grande amicizia (XXIX), ecc.
Secondo Pizzoli (: ) rientrerebbero nella «generale propensione a descrivere realtà
amplificate, ridondanti, di cui si alterano espressionisticamente i contorni per coinvolgere
maggiormente il pubblico infantile».
 C. De Santis

(Cuzzolin : ), che vincola la consecutiva alla posizione di secon-


do elemento della correlazione. Dall’altro lato l’iconicità sintattica: «la
posposizione della consecutiva rifletterebbe iconicamente la posteriorità
cronologica della conseguenza» (De Roberto : ); del resto la
struttura concettuale della causa, di cui la consecutiva rappresenta uno
sviluppo, ingloba l’idea di successione temporale: la causa precede neces-
sariamente l’effetto (Prandi : ). Infine, sono state addotte ragioni
pragmatiche, legate alla prospettiva comunicativa del periodo: l’impossi-
bilità di anteporre la subordinata consecutiva deriverebbe dalla sua natura
di rema, cioè di parte privilegiata dal punto di vista comunicativo, che le
impedirebbe di comparire in prima posizione, cioè in posizione di tema
(Frenguelli ).
L’effetto di questo insieme di fattori sintattici e pragmatici è quello
di creare nella principale, collocata in primo piano, un senso di attesa
e tensione – rafforzato dalla presenza di un intensificatore – che esige
una risoluzione nella subordinata, collocata sullo sfondo del periodo.

. Gli imperativi raddoppiati come antecedenti di consecutiva

Torniamo all’esame delle nostre frasi con imperativo raddoppiato.


Le condizioni per l’interpretazione consecutiva sembrano entrambe
soddisfatte: l’effetto è preceduto dalla causa e questa risulta intensifi-
cata, sia pure grazie a uno strumento alternativo: anziché ricorrere
a un avverbio intensificatore come talmente, che richiederebbe un
elemento correlativo nella seconda frase, si ricorre alla ripetizione del
verbo e a una consecutiva non correlata alla principale.
Abbiamo già parlato della ripetizione come fenomeno di iconi-
cità sintattica: all’incremento quantitativo della forma corrisponde
un’intensificazione del significato che, nel nostro caso, agendo sul
. Un’altra restrizione dipendente dalla struttura a dittico è per Cuzzolin (:  s.)
l’impossibilità di ridurre la frase consecutiva a un sintagma nominale (come avviene invece per
le subordinate causali), nonché l’impossibilità di scindere la frase mediante la struttura è. . . che.
. Non diversamente Cuzzolin (: ), secondo cui nelle consecutive da lui chiamate
«esoforiche», che enunciano cioè la conseguenza di un processo enunciato precedentemente,
«il rapporto tra reggente e consecutiva è chiaramente iconico della causa fisica e dunque
della sequenza naturale del processo». Nelle consecutive «endoforiche», che enunciano la
conseguenza di una qualità (Mario è talmente bello che tutti lo ammirano), il rapporto sarebbe
invece di simultaneità. Le consecutive esoforiche possono essere considerate quelle prototipiche.
Cresci, cresci, cresci. . . 

verbo che esprime la causa, diventa la premessa per l’instaurarsi di una


relazione transfrastica di tipo consecutivo.
Riprendiamo l’esempio , che presenta una consecutiva tipica,
basata sulla correlazione tanto. . . che, e confrontiamolo con un altro
esempio (), sempre tratto dalle Avventure di Pinocchio:

() Il suo naso era cresciuto tanto, che non passava più dalla porta. (XVII)

() il naso, appena fatto, cominciò a crescere e, cresci cresci cresci, diventò
in pochi minuti un nasone che non finiva mai. (III)

L’esempio  presenta una struttura priva di connessione grammaticale,


in cui due frasi (incentrate rispettivamente sui verbi cresci e diventò) sono
semplicemente accostate ma chiaramente connesse a livello concettuale. In
entrambi gli esempi, ci troviamo di fronte a una prima frase che esprime
la causa (analoga nei due esempi e affidata allo stesso verbo, crescere, che
in  è all’indicativo, in  all’imperativo) e una seconda frase che esprime
la conseguenza. Nell’esempio  le condizioni dell’interpretazione conse-
cutiva sono date dalla successione temporale tra causa e conseguenza e
dalla presenza di un’intensificazione della causa (affidata all’avverbio tanto)
che codifica esplicitamente la causa come condizione necessaria, facendo
così scattare la conseguenza; nell’esempio  abbiamo la stessa sequenza
di processi e un’intensificazione che, anziché affidarsi a mezzi lessicali,
ricorre al raddoppiamento della forma verbale all’imperativo. Si noti anche
la differenza dei tempi verbali nelle frasi che esprimono la conseguenza:
l’esempio  fa seguire alla terna di imperativi atemporali (ma con valore
aspettuale continuativo), un tempo perfettivo (diventò), laddove l’esempio
, con la principale al trapassato prossimo, è compatibile con un tempo
imperfettivo (passava) che presenta la conseguenza come abituale.
Il raddoppiamento del verbo, rispetto all’avverbio intensificato-
re, sembra comportare un grado di codifica più basso, non sempre
sufficiente a far scattare l’interpretazione consecutiva. È interessan-
te notare che, quando ciò accade, non si ricade nell’interpretazione
causale, ma nell’interpretazione temporale:

() Aspetta aspetta, finalmente dopo mezz’ora si aprì una finestra del-
l’ultimo piano [. . . ]. (XXIX)

In questo esempio, sempre tratto da Pinocchio, i due eventi in se-


 C. De Santis

quenza vengono interpretati come uno successivo all’altro e la ripeti-


zione del verbo si limita ad agire sull’aspetto: il verbo intensificato si
riferisce all’azione durativa collocata sullo sfondo rispetto all’evento in
primo piano che segue (cronologicamente e linearmente all’interno
della frase). Si noti che il soggetto del secondo verbo (aprirsi) non è
agentivo e pertanto non può essere attribuito anaforicamente anche
all’imperativo raddoppiato, a differenza di quanto accade nell’esempio
. L’interpretazione temporale sembra rafforzata dalla presenza di
avverbiali di tempo (finalmente, dopo mezz’ora) .
Una struttura analoga, che dà l’idea della durata indeterminata dell’a-
zione, e insieme di un crescendo, concluso da finalmente, è quella in cui
gli imperativi verbali ripetuti sono intercalati da espressioni avverbiali di
luogo, come di qua e di là (elementi deittici tipici dell’oralità):
() Cerca di qua, cerca di là, finalmente lo vide nascosto sotto il portico di
una casa di contadini. (XXX)

Lo stesso effetto durativo si ritrova nell’esempio collodiano citato


al paragrafo precedente (in cui troviamo gli avverbiali di tempo alla
fine, sul far della sera):
() Cammina, cammina, cammina, alla fine sul far della sera arrivarono
stanchi morti all’osteria del Gambero rosso. (XIII)

All’interpretazione durativa, comunque, sembra contribuire (oltre


alla reduplicazione) anche il significato azionale del verbo: camminare
(esempio ) – come anche aspettare (esempio ) o cercare () – è
un verbo durativo ma non culminativo. L’interpretazione consecutiva
sembra invece favorita dall’uso di verbi durativi e culminativi, come
il crescere dell’esempio  o il tirare dell’esempio seguente, che si
prestano a introdurre una conseguenza inesorabile:
. Si veda, per confronto, il seguente esempio: E dopo una corsa disperata di quasi due
ore, finalmente tutto trafelato arrivò alla porta di quella casina e bussò. (XV)
. Altrove questa struttura ammette una lettura concessiva (‘nonostante avesse guarda-
to di qui e di là. . . ’): ma guarda di qui, guarda di là, non gli fu possibile di vedere la piccola casa
della bella Bambina dai capelli turchini (XXIII). Più avanti troviamo un esempio analogo, in
cui però il verbo appare coniugato al presente indicativo e accordato col soggetto: Appena
entrati dentro, guardarono di qua, guardarono di là, e non videro nessuno (XXVI). Mancano
invece in Pinocchio esempi di imperativi seguiti da una frase introdotta dal che, del tipo va
che ti va, attestato nella novellistica popolare (Rohlfs : ).
Cresci, cresci, cresci. . . 

() E cominciò a tirare fuori la fune con la quale lo aveva legato per
una gamba; e tira, tira, tira, alla fine vide apparire a fior d’acqua . . .
indovinate? (XXXIV)

In entrambi i casi la parafrasi più appropriata sembra ‘a forza/furia


di. . . (crescere/tirare. . . )’. A furia di. . . è del resto una struttura utiliz-
zata da Collodi come antecedente di una consecutiva:
() [Alidoro] a furia di correre e correre, l’aveva quasi raggiunto (XXVIII)

Si noti in questo esempio il raddoppiamento del verbo seguente,


all’infinito, che rinforza l’idea della durata dell’azione.
Più in generale, Collodi combina volentieri strategie diverse nella
costruzione della relazione consecutiva: subordinate consecutive tipi-
che, incentrate su una correlazione (tale. . . che; così. . . che), possono
essere rafforzate con terne di imperativi in posizione incidentale, con
l’effetto di aumentare l’enfasi e il senso di attesa della reggente :
() [Pinocchio] restò a bocca aperta e, non volendo credere alle parole
del Pappagallo, cominciò con le mani e con le unghie a scavare il
terreno che aveva annaffiato. E, scava scava scava, fece una buca così
profonda, che ci sarebbe entrato per ritto un pagliaio. (XIX)

() alla vista di quel burattino. . . il Serpente fu preso da una tal convul-
sione di risa, che, ridi ridi ridi, alla fine, dallo sforzo del troppo ridere,
gli si strappò una vena sul petto. (XX)

Si noti, in quest’ultimo esempio, la presenza di un ulteriore elemen-


to di rafforzamento: il sintagma preposizionale con interpretazione
causale, arricchito con un intensificatore (dal troppo ridere).
Interessanti anche due esempi in cui alla ripetizione del verbo (sta-
volta però all’indicativo) segue una subordinata consecutiva implicita
introdotta dalla preposizione da:
. Un effetto analogo viene riconosciuto da Pizzoli (a: ) a quelle subordinate
consecutive in cui «l’enfasi viene concentrata sulla reggente attraverso espressioni del tipo
tanto e poi tanto che. . . , tanto dissero e tanto fecero, che, così. . . e così. . . che».
. La reduplicazione del verbo all’indicativo in Pinocchio può essere usata anche al solo
scopo di intensificare il significato del verbo, senza dar luogo a un collegamento transfra-
stico: «ma quanto più si disperava, e più i suoi orecchi crescevano crescevano crescevano e
diventavano pelosi verso la cima» (XXXIV); «sentí qualche cosa sotto l’acqua che saliva,
saliva, saliva e lo portava per aria» (XXVIII).
 C. De Santis

() ma la gente che era per la via, vedendo questo burattino di legno che
correva come un barbero, si fermava incantata a guardarlo e rideva
rideva e rideva da non poterselo figurare (III)

() E risero risero risero da doversi reggere il corpo (XXXII)

Si potrebbe far rientrare questi esempi nella categoria delle consecutive


con elemento cataforico (talmente) omesso, che sono obligatoriamente al-
la forma implicita (De Roberto : ). Pur venendo meno l’elemento
cataforico, tuttavia, in questi esempi viene mantenuta l’intensificazione
della causa grazie alla ripetizione del verbo.
Un esempio avvicinabile a questi viene da un romanzo recente :

() sentii una tristezza dentro che, pur non definendosi, crebbe, creb-
be, crebbe fino al punto che non mi andava di uscire nemmeno la
domenica.

Anche in questo caso il verbo triplicato, che fa da intensificatore, è


all’indicativo e compare una subordinata la cui forma esplicita sarà da
giustificare con la presenza della locuzione al punto che , che indica
esplicitamente la soglia critica raggiunta dall’intensità del sentimento.
Tornando ai nostri esempi con imperativo raddoppiato e consecuti-
va seguente non correlata, è evidente che, in assenza di collegamento
grammaticale tra le due frasi, la presenza dell’intensificazione (ne-
cessaria per far scattare l’interpretazione consecutiva) non esclude il
ricorso all’inferenza (necessaria per convalidare, in un contesto favo-
revole, questo tipo di interpretazione anziché una lettura puramente
temporale o, come in altri casi accade, di tipo concessivo) .
L’assenza di collegamento grammaticale non autorizza però a in-
vertire la sequenza causa-effetto, come accade nella giustapposizione:

() Non riusciva a parlare, tanto era agitato.

. Elena Ferrante, L’amica geniale, Roma, edizioni e/o, , p. .
. Consecutive di questo tipo sono considerate da De Roberto (: ) a metà tra le
deboli e le forti: da un lato la locuzione è abbastanza cristallizzata da potersi considerare
appartenente in toto alla frase che introduce; dall’altro presenta l’intensificatore punto che
può essere considerato antecedente della subordinata.
. Cfr. gli esempi citati alla nota . Anche la concessione fa parte della famiglia
concettuale della causa: a differenza della consecuzione, che presenta una causa intensificata,
la concessione ci mette di fronte a una causa frustrata (Mazzoleni ; Prandi ).
Cresci, cresci, cresci. . . 

Questi fatti ci inducono a riflettere sullo statuto della frase in cui compa-
re un imperativo reduplicato: se la reduplicazione crea un’intensificazione
propizia allo stabilirsi di una relazione transfrastica, l’uso dell’imperati-
vo (modo utilizzato solo nelle frasi indipendenti) sembra bloccare for-
malmente la possibilità di una connessione grammaticale (che è invece
ammessa quando il verbo reduplicato è all’indicativo); al tempo stesso,
la disposizione iconica di causa ed effetto rimanda al quadro delle su-
bordinate consecutive, con la frase contenente l’imperativo reduplicato
equiparata a una principale intensificata, che fa da antecedente rispetto
alla consecutiva. Una principale sui generis, comunque, che accetta spesso
di essere racchiusa tra virgole come un’incidentale.
() il naso, appena fatto, cominciò a crescere e, cresci cresci cresci, diventò
in pochi minuti un nasone che non finiva mai. (III)

. Conclusioni

La reduplicazione del verbo con ricadute sintattiche è – come abbiamo


potuto constatare – un fenomeno complesso.
In primo luogo si presenta sotto forme diverse: il verbo è tipicamen-
te all’imperativo, ma in alcuni casi può trovarsi anche all’indicativo; la
ripetizione è di solito totale e a contatto (cammina cammina), con o senza
virgola interposta, ma in alcuni casi è ammessa l’interposizione di una
congiunzione coordinante (cammina e cammina) o di altri elementi (come
in guarda di qua, guarda di là); nella fiaba dà spesso luogo a triplette.
In secondo luogo, la reduplicazione preferisce certi verbi, caratterizzati
da un significato azionale di tipo durativo, ai quali conferisce un valore
aspettuale continuativo. Può essere considerata uno dei mezzi della con-
nessione transfrastica, e in particolare della relazione consecutiva (anche
se in alcuni contesti può veicolare un significato puramente temporale, e
in altri può avere valore concessivo o ipotetico), ma può anche limitarsi
ad agire entro i confini della frase, come strumento di intensificazione
del significato del verbo con molteplici valori pragmatici.
Nelle frasi in cui è ammessa l’interpretazione consecutiva, ci troviamo
di fronte a un caso per certi versi paradossale: da un lato la ripetizione del
. Secondo Thornton (a: ), gli imperativi raddoppiati costituirebbero delle frasi
subordinate.
 C. De Santis

verbo costituisce l’elemento di intensificazione, e quindi di ipercodifica,


necessario per l’instaurarsi di una relazione consecutiva; dall’altro, l’assen-
za (nella maggior parte dei casi) dell’elemento correlativo fa venir meno
la struttura a dittico tipica della consecutiva, obbligando a un’operazione
di inferenza sulla base dei dati contestuali, e in più in particolare degli stati
di cose descritti nelle due frasi accostate e della coerenza della sequenza
di frasi con l’ordine causa-conseguenza.
La combinazione della reduplicazione (procedimento per sua natu-
ra iconico, dal momento che affida l’intensificazione del significato a
un incremento quantitativo della forma) con la sequenzialità (per parte
sua iconica della successione naturale degli eventi) ci permettono di
descrivere questa struttura come doppiamente iconica.
Pur trattandosi di un fenomeno quantitativamente non significativo,
perché poco frequente nell’italiano contemporaneo , si tratta di una
struttura interessante che getta luce sia su una modalità di stilizzazione
del parlato in molti testi della nostra tradizione letteraria, sia su un
caso limite di interazione tra codifica e inferenza nell’espressione delle
relazioni transfrastiche.

Bibliografia

a) Dizionari e corpora

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Tommaseo-Bellini = Dizionario della lingua italiana, Torino, UTET, -
; Il Tommaseo. Dizionario della lingua italiana in CD-ROM, Bologna,
Zanichelli, .

. Si vedano i riscontri sul corpus di testi scritti “La Repubblica” fatti da Thornton
(a). Pochissime le attestazioni nei corpora di parlato italiano contemporaneo, forse
anche per le dimensioni esigue degli stessi.
Cresci, cresci, cresci. . . 

b) Studi

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cura di), Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,
Vol. VI: Appendice: -.
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Bertinetto, Pier Marco, , Tempo, aspetto e azione nel verbo italiano. Il
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Cristiana De Santis
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
(sede di Forlì)
STUDI LINGUISTICI
E DI STORIA DELLA LINGUA ITALIANA
SECONDA SERIE

COLLANA FONDATA DA MAURIZIO DARDANO

. Cristiana De Santis, Angela Ferrari, Gianluca Frenguelli, Francesca


Gatta, Letizia Lala, Marco Mazzoleni, Michele Prandi
Le relazioni logico–sintattiche. Teoria, sincronia, diacronia
 ----, formato  ×  cm,  pagine,  euro
Finito di stampare nel mese di dicembre del 
dalla «Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.»
 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 
per conto della «Aracne editrice S.r.l.» di Roma

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