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e lessicografia italiana
2020/2021 Mattarucco
Lessicologia
Università per stranieri di Siena
32 pag.
2
SV= sub voce ovvero sotto alla voce. Serve a rinviare a un lemma.
Per le citazioni di un libro o di un articolo a stampa è indispensabile indicare i numeri delle
pagine o il numero della pagina. Infatti per trovare qualcosa su un volume o su un periodico
dobbiamo sapere dove questo è.
Per i dizionari basta rinviare alle voci se queste sono in ordine alfabetico (come quasi
sempre accade) e il numero di pagine diventa superfluo. Semmai i dizionari a stampa hanno
dei segni al margine dei fogli che evidenziano le lettere con cui iniziano i lemmi, un po’ come
nelle rubriche telefoniche. Quando consultiamo un’edizione online la questione dell’ordine
alfabetico balza meno all’occhio perché cerchiamo direttamente il lemma che ci interessa.
Nel dizionario Sabatini-Coletti online in basso c’è scritto dizionario di italiano dalla A alla Z e
sotto c’è l’elenco delle lettere, se clicchiamo su una lettera escono i lemmi registrati che
iniziano con quella lettera. L’insieme dei lemmi registrati si chiama lemmario.
Tra il dizionario Sabatini-Coletti online e a stampa c’è qualche differenza: nel dizionario
online non ci sono tutti i lemmi che ci sono nell’edizione a stampa (es.zabro,nome di un
insetto, non c’è nell’edizione online ma si nell’edizione a stampa del 2007). Inoltre nel
dizionario online non c’è l’etimologia dei lemmi ma c’è solo la datazione(=data della prima
attestazione nota del lemma). Per voci antiche la prima attestazione non è databile con una
data precisa quindi viene datata per secolo (es.zabaione:secolo XV). Invece per le voci più
recenti quasi sempre c’è un anno ben preciso (es. onomatopea Zac:1961). La datazione è
riportata in tutti i dizionari della lingua italiana, a volte quando un lemma ha più
significati/accezioni queste risalgono a momenti diversi e distanti allora si può trovare anche
la datazione del singolo significato/singola accezione.
Sono molte le informazioni sulle parole fornite da dizionari come il Sabatini-Coletti e altri
dello stesso tipo a cominciare la divisione in sillabe. Spesso in un colpo solo troviamo la
sillabazione e alcune informazioni sulla pronuncia o quanto meno informazioni riguardanti i
punti critici cioè quei punti per cui in italiano non c’è corrispondenza biunivoca tra grafia e
pronuncia. Possiamo trovare anche la trascrizione fonetica completa per esempio per le
parole straniere non adattate.
Inoltre nei dizionari della lingua italiana in questione ci sono informazioni di tipo
grammaticale. È sempre indicata la categoria grammaticale, la parte del discorso (articolo,
nome, pronome…). Per convenzione a lemma per nomi e aggettivi si mette il maschile
singolare(salvo eccezioni).
Sui dizionari italiani non è detto che si possa trovare la parola “poetessa” menzionata da
Valeria Della valle, anzi si trova solo su dizionari più ampi e specialistici, sui dizionari normali
troviamo solo il maschile poeta.
Per i verbi è lemmatizzato l’infinito presente e non più la prima persona del presente
indicativo come si usava nei dizionari più antiche del latino o dell’italiano stesso.
Nei dizionari della lingua italiana che stiamo esaminando ci possono essere anche
informazioni grammaticali come le forme irregolari. Il Sabatini-Coletti ha una peculiarità:
segue il modello della grammatica valenziale Lucien Tesnière. Perciò il dizionario Sabatini-
Coletti dei verbi non dice solo se sono transitivi o intransitivi, ma dice più precisamente come
3 Tullio de Mauro fu un celebre linguista nato nel 1932 a Torre Annunziata. Egli insegnò in
varie università: Napoli, Chieti, Palermo, Salerno e Roma, dove si era trasferito da giovane
ed era poi tornato e vissuto fino alla morte il 5 gennaio 2017. Tullio de Mauro è stato anche
ministro della pubblica istruzione dal 2000 al 2001 nel governo Amato. A Tullio de Mauro si
devono libri di grande rilievo come “La storia linguistica dell’italia unita”, la cui prima edizione
risale al 1963 o come la “Prima lezione sul linguaggio” del 2002. De Mauro ha svolto un
Le marche d’uso sono molto particolareggiate perché introducono distinzioni piuttosto sottili
individuando ed evidenziando voci di alto uso, disponibilità, comuni ecc.
All’interno dei dizionari de Mauro si trovano marche d’uso diverse a seconda dei vari
significati di uno stesso lemma. Queste distinzioni sono frutto di una serie di ricerche
compiute da De Mauro con altri studiosi nel corso di molti anni. Imprescindibile è la guida
all’uso delle parole di De Mauro la cui prima edizione è stata pubblicata nel 1980 per gli
Editori Riuniti di Roma. L’ultima edizione risale al 2019 ed è una collana curata da Giuseppe
Antonelli per il Corriere della Sera. Come spiega De Mauro nella guida, in italiano così come
in tante altre lingue, esistono parole fondamentali (parole più usate) con le quali noi
costruiamo qualsiasi tipo di testo o discorso. Tra di esse vi sono le parole grammaticali
Ci sono state varie edizioni della Guida all’uso delle parole a partire dal 1980 fino a quella di
quest’anno. Esso ha avuto diverse applicazioni: non solo nella scuola ma anche nella
pubblica amministrazione per cercare di intervenire sul linguaggio burocratico spesso
incomprensibile; si veda il “codice di stile delle comunicazioni dell’amministrazione pubblica
del 1993” con una proposta e materiale di studio della presidenza del consiglio dei ministri,
dipartimento per la funzione pubblica; questo codice di stile che tiene conto del vocabolario
di base degli studi di De Mauro è stato voluto da Sabino Cassese, allora ministro della
funzione pubblica. Nel frattempo de Mauro aveva pubblicato più di un dizionario: Il Gradit
(vari volumi, prima edizione 1999, seconda nel 2007), Il dizionario della lingua italiana del
2000 (in un solo volume) e altri dizionari ancora. Dopo queste esperienze e per il fatto
stesso che la lingua e il lessico cambiano nel tempo, de Mauro ha sentito il bisogno di
rivedere il vocabolario di base e così nel 2016 è arrivato un nuovo vocabolario di base in
sigla NVDB. Nel sito c’è una data, 3 dicembre 2016, de Mauro sarebbe morto di lì a poco, il
5 gennaio 2017, quindi si tratta di uno dei suoi ultimi lavori; un lavoro condotto insieme a
Isabella Chiari e Francesca Ferrucci. I tre ordini di parole sono resi con caratteri tipografici
diversi: le parole fondamentali sono trascritte in grassetto, le parole di alto uso sono in tondo
e le parole di alta disponibilità in corsivo. La forma quindi è rimasta simile nella versione del
1980 e nella versione del 2016. Nella sostanza però ci sono stati cambiamenti: nel nuovo
vocabolario di base del 2016 ci sono differenze proprio nelle parole rispetto a quello del
1980 (guarda pdf). Nella versione del 2016 viene messo in evidenza il fatto che tra le parole
4 Nei dizionari di De Mauro, come in altri dizionari, ci sono molte altre voci rispetto a quelle
analizzate fino ad ora. Sul sito di “Internazionale” nelle avvertenze per la consultazione del
dizionario al paragrafo 8 “marca d’uso” ci sono una serie di etichette che identificano e
classificano parole e polirematiche, o anche singole accezioni di voci registrate nel dizionario
stesso. Le prime tre categorie sono FO (es. ascoltate quello che dico-> tutte parole
fondamentali), AU (es. universitario), AD (batuffolo, carrozzeria, dogana). La marca d’uso
CO (comune) identifica tutti quei vocaboli comunemente comprensibili, ovvero i vocaboli
usati e compresi indipendentemente dalla professione o collocazione regionale; essi sono
noti a chiunque abbia un livello medio-superiore di istruzione (es. segnalibro, poliziesco,
avvincente). Le parole comuni sono circa 50.000, ma il nuovo de Mauro contiene circa
160.000 lemmi quindi ci sono altre voci rispetto a quelle già citate. Un’altra sigla è BU, i
lemmi di basso uso, che comprende i vocaboli rari (es. risciacquamento). Inoltre ci sono
anche termini di lessico tecnico-specialistico (TS), vocaboli citati a particolari attività,
tecnologie e scienze, per tali termini viene citato ogni volta a quale ambito appartengono (es.
lessicografia-> appartenente alla linguistica, chiaroscuro-> appartenente all’ambito artistico,
musicale, teatrale). Nei dizionari dell’uso non troviamo però solo vocaboli adoperati oggi, vi
troviamo anche molte voci appartenente alla tradizione letteraria (LE). Nelle avvertenze si
parla di testi e autori canonici dal trecento al primo novecento, da Dante a D’Annunzio, ma in
realtà nel dizionario De Mauro si possono trovare altri autori come Montale al verbo arrosarsi
(Arsenio, ossi di seppia), o Ungaretti in gomitolo (Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di
strade). Certi vocaboli sono però caduti in disuso (OB, obsoleto) come robustoso. A volte in
disuso non è caduta tutta la parola ma solo una sua accezione come aceto, ormai obsoleto
nel senso figurato di spirito mordace.
Altre marche d’uso sono legate alla variazione geografica: ci sono i regionalismi (RE) come
strullo (toscano per stupido), sciocco (toscano per insipido) pizzato (truccato al sud), gerbido
(piemontese, presente in un’opera di Italo Calvino). I regionalismi potrebbero non essere
usati in una regione intera o addirittura in più di una.
Non sempre le etichette dei dizionari sono precisissime soprattutto per quanto riguarda
queste differenze geografiche. Ci sono poi i termini dialettali (DI) come guaglione
(dialettalismo napoletano) o cantarella (cicala un pisano). Ci sono poi gli esotismi (ES), i
lemmi stranieri avvertiti come tali e non adattati come abat-jour o bungalow.
Tutti i dizionari danno indicazioni su varietà e registri d’uso settoriali dei lemmi, nonché sulle
origini delle voci (lingue straniere, dialetti ecc), però per quanto riguarda il livello di diffusione
delle parole, solo nei dizionari di De Mauro c’è una distinzione così particolareggiata che
tenta di individuare ben 3 ordini all’interno del vocabolario di base. Questa classificazione
però ha subito anche qualche critica; negli altri dizionari dell’uso si è preferito dividere i
lemmi in solo 2 blocchi: un nucleo (parole di uso quotidiano) e tutto il resto delle parole.
Nel sabatini-coletti nell’edizione Sansone del 2007 sono evidenziate con un fondino rosa
circa 9000 parole, le parole più disponibili ovvero quelle più conosciute dalla maggioranza
delle persone, le altre 81.000 parole non fanno parte del nucleo. In altre edizioni c’erano
circa 10.000 parole nucleo su 110.000 quindi le parole fondamentali costituiscono circa un
decimo del lemmario. Anche nel Devoto Oli le parole basilari sono circa 10.000 e sono
segnalate in maniera da distinguerle dalle altre voci, che sono 10 volte tanto. Nel devoto oli
2007 le parole fondamentali erano scritte in azzurro. Nello Zingarelli soltanto 5500 parole
sono considerate come fondamentali e sono contrassegnate da un piccolo rombo.
Sostanzialmente perciò in questi 3 dizionari c’è una dicotomia, una divisione in 2 blocchi:
parole indispensabili e tutto il resto del lemmario. Tutti adoperano abbreviazione per
segnalare le differenti varietà del lessico: su un dizionario dell’uso troviamo vocaboli che
appartengono a diversi momenti; troviamo arcaismi (arc), parole antiche (ant) o anche
antiquate. Inoltre c’è l’indicazione del registro dell’uso che si fa di una voce o di una sua
accezione e quindi c’è gergale (gerg), familiare (fam), volgare (volg). Viene anche
specificato se si tratta di un termine di uso burocratico o speciale-specialistico come
architettura (arc), botanica (bot), chimica (chi). In tutti i dizionari dell’uso sono indicati anche
regionalismi, dialettalismi e forestierismi.
Si trovano anche voci letterarie.
5 La parola tavola nel GRADIT presenta la trascrizione fonetica subito dopo il lemma
trascritta tra due barre. La trascrizione fonetica è composta da fonemi, che insieme
costituiscono il significante. Ferdinand de Saussure considerava il significante (sequenza di
suoni e fonemi) come immagine acustica o visiva del segno linguistico; al significante
corrisponde un significato, un senso, l’elemento concettuale. Non sono molti però i casi in
cui a un significante corrisponde un unico significato; questo può accadere nella
terminologia scientifica. Per esempio il significante Bosone dal cognome di un fisico indiano
ha solo un significato: particella elementare atomica o subatomica dotata di spin intero che
La parola tavola nel senso di mobile viene definita dal Sabatini coletti come: mobile formato
da un piano di varia forma in legno o altro materiale sostenuto da un supporto per lo più a
quattro gambe. Questa definizione contiene vari semi (al singolare sema): mobile, dotato di
4 gambe, ha un piano ecc.
Le parole gambe o piedi propriamente riferite al corpo umano vengono utilizzate anche in
altri ambiti per un fenomeno chiamato catacresi. Anche la parola sedia ha vari significati e
semi. Per la spiegazione del significato si fa proprio un’analisi dei semi. Nell’analisi semica si
privilegia il prototipo (un elemento statisticamente rappresentativo) come in tavolo in cui si
specifica mobile in legno a 4 gambe, anche se in realtà esistono molti tipi di tavoli fatti
diversamente. L’unità del lessico è il lessema. L’unità semantica espressa da un lessema è
un semema.
Può capitare che un dizionario individui più significati per un solo lemma ma un altro
dizionario invece fa corrispondere ai due significati due lemmi distinti. La parola tempo sul
nuovo De Mauro online ha 17 significati, nel Treccani ci sono 10 accezioni ulteriormente
articolate in vari punti, nel Sabatini Coletti ci sono due lemmi (tempo 1 e tempo 2) perché al
significante italiano tempo corrispondono più significati tra loro profondamente diversi (il
tempo cronologico, il tempo verbale, il tempo meteorologico). Nel Sabatini coletti quindi con
tempo 1 si indica il tempo storico, cronologico e quindi anche grammaticale, sportivo,
musicale e teatrale, distinto da tempo 2 che indica le condizioni metereologiche. La parola
italiana tempo è una sola etimologicamente e deriva dal latino tempus e col passare degli
anni ha assunto vari significati (polisemia). Si ha invece omonimia quando due parole
hanno lo stesso suono e la stessa grafia ma sono due forme distinte, ciascuno con un
diverso etimo oltre che diversi significati. È più facile riconoscere due omonimi quando
appartengono a due categorie diverse: amare (verbo) vs. amare (aggettivo), sale
(sostantivo) vs. sale (verbo). L’omonimia può essere anche grammaticale: esistono omonimi
appartenenti alla stessa categoria grammaticale come diligenza (1. dal latino diligentiam ->
modo di agire diligentemente, accuratezza, ma 2. dal francese, un tipo di carrozza trainata
da cavalli, questo termine deriva comunque dal latino prima di cambiare significato).
Tara viene da una voce araba che significa detrazione, e nella lingua italiana è attestata dal
15 secolo. Tara ha un altro significato: difetto o malattia per lo più ereditaria e deriva dal
francese, attestato dal 19 secolo. Il termine francese deriva però dall’arabo ed è per questo
che nel GRADIT c’è solo un lemma e non due. I confini tra la polisemia e l’omonimia non
sono sempre così definiti: c’è però una regola per stabilire se un lemma può essere diviso o
6 Le parole non sono qualcosa di isolato ed è importante considerare i rapporti tra di esse;
quando un lessicografo decide di registrare due lemmi distinti è perché li considera come
forme distinte, e non come un caso di polisemia o evoluzione di una stessa forma. Esistono i
rapporti formali (tra i significanti) e i rapporti semantici (tra i significati), ma anche
rapporti etimologici (entrambi). I rapporti formali comprendono parole apparentemente
simili ma con significati diversissimi (cane, pane, lane, mane ecc). Le parole che si
differenziano solo per un fonema sono chiamate coppie minime. I rapporti formali sono
fondamentali per la poesia perché permettono di creare assonanze e consonanze ma anche
allitterazioni o rime.
Esiste anche un dizionario inverso italiano opera di Mario Alinei, pubblicato a L’Aia nel
1962. È costituito da un elenco di lemmi scritti in ordine alfabetico all’inverso: dall’ultima
lettera alla prima di ogni parola, dà quindi rilievo a come le parole finiscono. Questo
dizionario poteva essere utile per chi scrive in rima. I rapporti formali sono anche alla base di
alcuni giochi enigmistici come il gioco chiamato “zeppa” che consiste nell’inserire in una
parola una lettera o una sillaba in modo da ottenere un’altra parola di senso compiuto (casa,
cassa, casta); il gioco di segno opposto è “scarto”, il gioco in cui si toglie una lettera o una
sillaba per ottenere un’altra parola di senso compiuto (catene, cane). Il tipo cane-pane in
enigmistica rientra tra i “cambi”, il gioco in cui si ottiene una parola da un’altra sostituendo
una lettera o una sillaba. Un altro gioco enigmistico che lavora sui significanti è la ricerca dei
palindromi o parole bifronti, una parola che se letta al contrario rimane identica (oro, osso,
otto, anilina, yamamay, anna, ada, i topi non avevano nipoti ma anche con sillabe come
comico, o parole che lette al contrario hanno un altro significato come enoteca, bus, Roma).
Anche gli anagrammi sono giochi che lavorano sui significanti delle parole (es. giravolta-
travaglio, bibliotecario-beato coi libri).
I rapporti semantici possono essere di vario tipo; una relazione possibile è la concorrenza o
equivalenza anche detta sinonimia, che si verifica tra parole o locuzioni dotate dello
stesso significato o di un significato simile e quindi sostituibili una all’altra. È difficile trovare
equivalenti perfetti: spesso ci sono leggere differenze. Spesso accade anche però che due
significanti siano intercambiabili solo per una delle loro accezioni. La parola colore in una
delle sue accezioni più comuni equivale a tinta o tonalità. Di una persona o del suo viso si
può utilizzare colorito o cera. Nell’arte si può utilizzare tintura, vernice o colorante.
La parola buono ha moltissimi sinonimi: di una persona si intende benevola o tranquilla, di
un cibo “gustoso”, di una soluzione “valida o vantaggiosa”. Anche qualora coincida il
significato denotativo, può essere molto diversa la connotazione: madre e mamma indicano
entrambe lo stesso referente, ma la connotazione a livello emotivo e stilistico è diverso. I
casi di sinonimia perfetta sono eccezionali: un esempio sono le parole tra e fra, e le
congiunzioni o ed oppure. O però è più breve e in alcune locuzioni non può essere sostituito
“o la va o la spacca” soprattutto se posto all’inizio della frase. Altri due sinonimi pressoché
perfetti sono qui e qua (sono così intercambiabili che si possono usare entrambi in locuzioni
come qui/qua gatta ci cova). Anche lì e là sono quasi identici ma non intercambiabili in
espressioni come chi va là, alto là, al di là.
Quando invece due parole hanno senso opposto esse vengono definite “contrari” o
“antonimi” (antonimia, rapporto semantico). Spesso in italiano l’antonimo deriva dalla
7 La ricerca di un sinonimo sarà condizionata oltre che dalla polisemia, da gradazioni più o
meno sofisticate. Sinonimi di bello possono essere meraviglioso o incantevole, anche se di
gradazione più forte. Viceversa dire che qualcosa è abominevole e schifoso è peggiore di
brutto. Si crea quindi una scala, una gradazione possibile di significati. Visivamente
possiamo collocare i rapporti di sinonimia, gradazione e antonimia su un asse orizzontale. I
giudizi infatti, possono essere espressi spesso attraverso numeri, voti, stelle, ecc. oltre che
utilizzando parole come discreto, buono, ottimo ecc.
I rapporti di inclusione sono il tipo di relazione che interviene quando un termine di
significato generico include il significato di altri termini più specifici. Animale comprende
cane, gatto, cavallo, ecc. Il vocabolo sovraordinato o superordinato come animale è detto
iperonimo, il vocabolo sottordinato come cane è detto iponimo. La coppia di termini
iperonimo e iponimo è stata introdotta in italiano negli anni 70 attraverso la traduzione “La
linguistica teorica” di John Lions, che aveva coniato i termini corrispondenti inglesi a partire
dal greco. Gli iponimi di uno stesso iperonimo sono detti anche co-iponimi. Un termine può
Per conoscere i sinonimi o i vari campi semantici, non è necessario utilizzare grandi
dizionari, ma si può fare riferimento ai dizionari analogici (in passato tesoro, dal latino
thesaurus o vocabolario nomenclatore). In un dizionario di questo tipo ogni voce contiene un
campo semantico: al lemma corrisponde una voce guida e altre parole collegate allo stesso
lemma (sinonimi, meronimi, iponimi ecc.) Il lemma fiore in un vocabolario prevede la
spiegazione del lemma ma in un dizionario analogico troviamo tutt’altro. Il Dizionario
Analogico della Lingua Italiana, curato da Donata Feroldi e Elena dal Pra nel 2011 per i
tipi della Zanichelli, alla voce fiore illustra inizialmente sinonimi o alterati e poi molti altri
elenchi di parole. All’inizio ci sono caratteristiche e aggettivi che si riferiscono a parole, poi
analizza le parti del fiore passando per termini specifici.
Segue poi un paragrafo “relativo a” che elenca parole relative al fiore (es. impollinazione,
ticchiolatura). C’è poi una sezione chiamata Azioni (che si divide in 1 e 2) che comprende
parole come seccarsi. Un altro paragrafetto è per le persone che con i fiori hanno a che fare
(fioraio, vivaista) e un altro ancora per i luoghi (serra, giardino). Un accenno è fatto anche
alle discipline che si occupano dei fiori come la botanica.
Esiste poi un altro paragrafo intitolato “relativo a” con una serie di termini che comprendono
vaso, bouquet, interflora. C’è poi un elenco di modi di dire che comprendono la parola fiore
come “essere come un fiore di serra”, per una persona delicata. La voce fiore si conclude
con qualche curiosità come il fatto che Firenze è detta la città del fiore o la città del giglio.
Infine c’è un rinvio ad altre tre voci collegate a fiore: albero, pianta ed erba.
La voce fiori al plurale è presente in questo tipo di dizionario, diversamente dai dizionari
dell’uso. Questa scelta è stata fatta perché in questa voce vengono elencati tantissimi tipi di
fiori.
Un dizionario analogico come quello Zanichelli serve anche a trovare una parola di cui non
si ricorda il nome a partire da una categoria generale. Questo tipo di dizionario si chiama
analogico perché benché le parole siano disposte in ordine alfabetico, i termini ad esse
collegati sono disposti in maniera analogica. Questi dizionari vengono anche definiti
concettuali.
In passato questo tipo di dizionari oltre a tesori e nomenclatori venivano anche detti
sistematici o metodici. Il dizionario di Palmiro Premoli è intitolato il Tesoro della lingua
italiana, vocabolario nomenclatore illustrato. Tra parentesi c’è scritto anche che spiega e
suggerisce parole, sinonimi e frasi. Esso è definito il capolavoro del suo genere. Il tesoro
venne pubblicato per la prima volta a Milano dalla casa editrice Aldo Manuzio in due volumi
usciti rispettivamente nel 1909 e 1912. L’opera ha poi avuto riedizioni e ristampe che si
trovano anche in rete. Palmiro Premoli era lombardo, nato a Agnadello, in provincia di
Cremona nel 1856 ed è morto a Milano nel 1917. Era un giornalista, critico e soprattutto
divulgatore. Ha diretto l’enciclopedia popolare Sonzogno dalla fine dell’800 fino alla sua
morte. L’opera principale di Premoli però è proprio Il Tesoro. L’edizione del 1920 è stata
editata da Premes. Nel primo volume è presente una premessa intitolata “al cortese lettore”
ed è firmata dagli editori. In essa si spiega che il vocabolario nomenclatore dopo spiegata la
parola, mette intorno ad essa sinonimi, frasi, locuzioni, proverbi ma anche una pleiade di
altre parole che hanno relazione con essa.
La parola casa comprende ad esempio anche molte illustrazioni in bianco e nero. Nel
secondo volume alla voce fiore è affiancata anche la voce fiori ed una tavola a colori. Sono
elencati nomi di fiori e distinti in fiori di montagna, bosco, da giardino, carnivori, eduli,
medicinale ecc. Viene anche indicata la simbologia dei fiori come ad esempio la speranza
per il biancospino.
Si parla anche di fiori finti e sono elencati anche arnesi relativi ai fiori.
Alla fine del vocabolario è presente una postfazione intitolata “il perché e il percome di
questo vocabolario” in cui spiega che questo dizionario può essere utile quando abbiamo
una parola “sulla punta della lingua” ma non la ricordiamo ed esso ci aiuta a ricordare le
parole perdute.
8 Nei vocabolari nomenclatori i lemmi sono come dei titoli di un capitolo contenente parole
che sono correlate al lemma. Gli elenchi sono di solito divisi in paragrafi e sottoparagrafi. Se
il lemma è il nome di qualcosa, possiamo trovare nella voce una sezione dedicata agli
aggettivi che si prestano a descrivere la cosa in questione, un’altra con i verbi e così via.
Anche se i lemmi si susseguono in ordine alfabetico, all’interno delle sezioni di ogni voce si
segue un ordine concettuale (vengono definiti anche così).
Il vocabolario di Premoli nella postfazione evidenzia il fatto che molti italiani sapessero
parlare principalmente in dialetto anche dopo l’unificazione. Nella prefazione gli editori
menzionano il vocabolario metodico di Carena anche se per dire che quello di Premoli è
diverso e migliore. Giacinto Carena era un erudito piemontese nato a Carmagnola nel 1778
e morto a Torino nel 1859. Era studioso e professore di fisica e scienze naturali. Come
lessicografo si è occupato in primo luogo della nomenclatura scientifica, pubblicando già nel
1831 un lavoro intitolato “Osservazioni intorno ai vocabolari della lingua italiana
specialmente per quella parte che ragguarda alle definizioni delle cose concernenti alle
scienze naturali”. Nel 1840 Carena pubblicò un volumetto di una ventina di pagine in cui
evidenziava l’importanza dei vocabolari di tipo metodico e offre un prospetto di ciò che essi
avrebbero dovuto contenere. Dopo di che realizzò un proprio vocabolario metodico in più
volumi intitolato Prontuario di vocaboli attinenti a parecchie arti, ad alcuni mestieri, a
cose domestiche e altre di uso comune. La parte prima contenente il vocabolario
La storia dei dizionari organizzati per campi semantici inizia ben prima del diciannovesimo
secolo. Un antecedente è rappresentato da La Fabrica del Mondo. Risale al sedicesimo
secolo, opera di Francesco del Bailo detto l’alunno. Anche Giacinto Carena nel suo opuscolo
del 1840 nomina La Fabrica del Mondo. Del Bailo era nato a Ferrara intorno al 1484 ed ha
poi vissuto soprattutto a Udine e Venezia. A lui si devono anche altri due repertori di parole,
alfabetici però, basati rispettivamente uno sul lessico di Petrarca e l’altro sul lessico di
Boccaccio. L’opera principale però è proprio La fabrica del mondo pubblicata a Venezia nel
1546-1548 dallo stampatore Nicolo de Bascarini bresciano. Nell’indicazione in fondo al
volume come data che corrisponde al “finito di stampare” è indicato 1546 (nella prima pagina
c’è scritto 1548). Forse il volume è stato finito di stampare nel 46 ma non è stato diffuso
Luigi Romani menziona repertori del passato come quelli di Comenio, che hanno avuto
edizioni bilingui o plurilingui. Ma anche tra i dizionari monolingui esistono dizionari illustrati.
Ne è un esempio Il tesoro della lingua italiana, vocabolario nomenclatore illustrato con tavole
in bianco e nero e a colori di Premoli. Anche oggi si usano dizionari illustrati, come quelli per
bambini detti anche “di ingresso”. Tullio de Mauro ha curato una serie di dizionari per
bambini e ragazzini differenziati per fasce d’età. Il primo della serie è un dizionario illustrato
per i bambini dei primi anni delle scuole elementari; Tullio de Mauro ne è co-autore insieme
a Elio D’Agnello e Gisella Moroni. Questo dizionario si intitola Prime parole - dizionario
illustrato di base della lingua italiana, pubblicato dall’editore Paravia di Torino nel 1997. C’è
anche un dizionario destinato ai ragazzini più grandi delle elementari (8-11 anni), curata da
Tullio de Mauro e Gian Giuseppe Moroni e si intitola Dizionario di base della lingua
italiana e di solito viene indicato con la sigla DIB, è uscito nel 96 per i tipi di Paravia. Anche
il DIB comprende delle illustrazioni in un volumetto a sé chiamato dizionario visuale in
collaborazione con Angela Cattaneo. È stato riedito nel 2000. Il terzo dizionario della serie
è il Dizionario Avanzato dell’italiano corrente (DAIC) uscito nel 1997 per Paravia e
pensato per i ragazzi tra 11-15 anni. Anche il DAIC è opera di De Mauro e Angela Cattaneo
ed è abbinato ad un dizionario visuale. Nel dizionario visuale si segue un ordine concettuale,
9 L’italiano è una lingua romanza, cioè una delle lingue nate dall’evoluzione del latino. Per
essere più decisi potremmo dire che il latino volgare parlato ha dato vita a molti dialetti
raggruppabili a seconda delle loro caratteristiche. Si sono così sviluppati dialetti spagnoli,
portoghesi, italiani eccetera. Tra i vari dialetti alcuni hanno avuto maggiore importanza e ciò
è avvenuto in modi diversi a seconda dei luoghi e dei Paesi. In Francia ad esempio il dialetto
dell’Ile de France comincia ad imporsi dall’undicesimo secolo. In spagna il castigliano dal
tredicesimo secolo. In Italia il dialetto fiorentino si afferma sugli altri dialetti dal trecento con i
capolavori di Dante, Petrarca e Boccaccio. Molte parole essenziali del vocabolario di base
derivano direttamente dal latino (madre, padre, fiore, pianta, tavola, buono...). Alcune parole
latine sono a loro volta derivate dal greco (melo, ciliegia, piazza, astro, delfino, tigre...). Tra
le voci di etimo latino si possono distinguere le voci di tradizione popolare e quelle di
tradizione dotta. Le forme di tradizione popolare (o ininterrotta) sono arrivate dal latino
all’italiano senza mai uscire dall’uso, attraverso il parlato e perciò hanno subito variazioni
fonetiche più o meno importanti. I latinismi di tradizione dotta invece potrebbero essere
stati presi dopo secoli di disuso e quindi sono rimasti perlopiù invariati. È capitato che dalla
stessa parola siano derivate due tradizioni: una dotta (es. angustia) ed una popolare
(es.angoscia) dal latino “angustia(m)” (allotropi). Un altro esempio è da “causa(m)” in cui si
è ereditato nella voce dotta “causa” e in quella popolare “cosa” (in latino originariamente res)
cambiando sia foneticamente che semanticamente. Un altro esempio è dal latino
clausura(m) che è diventato nella forma colta clausura e nella forma popolare chiusura. Un
ulteriore esempio è epiphania(m) a sua volta derivato dal greco, in cui abbiamo ereditato
nella forma dotta epifania e nella forma popolare befana. I doppioni di questo tipo sono molti:
circolo e cerchio, nitido e netto, plebe e pieve, razione e ragione, verecondia e vergogna,
vizio e vezzo (che è diventato per lo più positivo rispetto alla forma dotta).
Parola è un allotropo e trae origine dal latino tardo “parabola(m)”. Il latino parabola deriva dal
greco in cui significava similitudine o paragone. Di mezzo c’è la cultura religiosa del
cristianesimo con cui si indicava un esempio narrato da gesù per trasmettere un
insegnamento a chi lo ascoltava. Parabola poi ha significato anche la parola di gesù e
successivamente più in generale la parola di una persona qualsiasi. Il termine italiano parola
In italiano abbiamo spesso sostantivi di tradizione popolare a cui corrispondono aggettivi che
sono latinismi di tradizione dotta. Spesso i nomi sono più usati degli aggettivi corrispondenti.
Oro (parola FO) è un nome di tradizione popolare che si affianca a aureo che è di tradizione
dotta. Lo stesso vale per pioggia/pluviale e mese/mensile. In questi casi la forma colta risulta
riconoscibile anche a colpo d’occhio ma in altri esempi la differenza è ancora meno evidente
poiché l’italiano si è allontanato dal latino meno rispetto alle altre lingue romanze e la forma
popolare è rimasta molto vicina a quella dotta. In latino al nome aqua corrispondeva
l’aggettivo aquosus, da queste parole in italiano sono discese acqua e acquoso (acqua->
parola di tradizione popolare ininterrotta, acquoso-> colta). Il francese eau è molto lontano
dal latino ma l’aggettivo aqueix è rimasto invece più fedele. In spagnolo c’è agua e aguoso,
in portoghese agua e aquoso. Per esprimere alcuni significati, il latino classico disponeva di
due sinonimi. Solo una di queste due parole però è sopravvissuta al latino volgare ed è stata
trasmessa all’italiano. Un esempio è stella/sidus di cui solo la prima è sopravvissuta, oppure
Terra/tellus. Però anche il nome caduto in disuso ha lasciato una traccia di sé in aggettivi di
tradizione dotta come sidereo e tellurico. In altri casi invece il vocabolo usato normalmente
in latino classico per dire una cosa è stato soppiantato da un iponimo che però ha assunto
un significato più generico. In latino classico si diceva ecus, mentre il cavallus era uno
specifico cavallo da lavoro ma poi il secondo ha soppiantato il primo seppur ecus abbia dato
origine a parole come equestre. Lo stesso vale per domus e casa (rustica, capanna) in cui la
seconda ha assunto il significato della prima ed è stata trasmessa fino ai giorni nostri
(domus ha dato origine a domestico). Talvolta la parola del latino classico è stata
soppiantata da una forma alterata come fratello che è un diminutivo di frater, ma restano
parole come fraterno oppure orecchia che deriva da oricula, diminutivo di auris. Anche il
ginocchio ha una storia simile, proviene infatti da genuculus e non genus. Inoltre nel
passaggio dal latino all’italiano si sono creati mutamenti semantici considerevoli come il
caso di feriale (enantiosemia) e cattivo.
A volte le parole e le locuzioni straniere vengono tradotte usando parole già esistenti nella
lingua ricevente e in questi casi si parla di calchi. I calchi sono semantici quando una parola
che già esiste nella lingua ricevente (italiano) assume un nuovo significato sul modello della
lingua straniera. Un esempio è farmacia, che ha un etimo greco ed esiste in italiano dal ‘500
nel senso di scienza che si occupa dei farmaci ed è andata poi ad indicare il negozio (che
prima si chiamava spezieria) usando il calco dal francese. Un altro esempio è il verbo
agitare (deriva dal latino) attestato sin dal 300 nel senso tutt’ora valido di muovere, scuotere;
da questo primo significato esiste anche il senso figurato di non essere calmi. Solo nel
diciannovesimo secolo questo verbo ha assunto anche il significato politico di incitare alla
lotta in espressioni come agitare le masse. Quest’ultimo significato è un calco dall’inglese.
Un altro esempio ancora è realizzare che proviene dal francese a sua volta derivato dal
latino e significa rendere reale (dal 700). Solo nel 900 realizzare ha anche assunto il
significato di rendersi conto e questo è un calco dall’inglese. Rientrano tra i calchi anche
quei casi in cui sul modello di un’espressione straniera vengono create nuove locuzioni o
parole derivate o composte utilizzando pezzi che l’italiano già possiede (calchi formali o
traduzione o strutturali). I calchi strutturali sono quindi neoformazioni italiane costituite da
basi con altri elementi (affissi, suffissi ecc). Un esempio è autogoverno, calco dell’inglese
self-government. Sono calchi imperfetti quelli in cui la traduzione non è proprio letterale (es.
Klassenkampf -> lotta di classe, singolare). Un esempio è grattacielo (in inglese skyscraper).
Questo tipo di calco è detto anche di composizione. L’ordine degli elementi in italiano però è
invertito rispetto all’inglese. Anche pallacanestro è invertito rispetto a basketball. Un altro
esempio è fine settimana (calco di weekend, al maschile). Un semicalco è quello fatto con
una certa libertà come campanilismo (da esprit de clocher). Esiste anche il calco sintattico
quando si ricalca una parte di un'espressione straniera (franco tiratore dal francese) come
colpo di fulmine. Talvolta si parla anche di calco sinonimico, quando si utilizza una forma
equivalente di ciò che si aveva nella lingua modello. Esiste anche calco omonimico quando
le due forme suonano molto simili.
12 I prestiti sono parole ereditate da altre lingue. Il termine però nell’uso comune ha un
senso molto diverso, infatti si intende una concessione temporanea di qualcosa. Per questo
il termine prestito linguistico spesso non sembra molto accurato poiché esso non viene mai
“restituito” e l’altra lingua non rimane priva di tali parole. Esistono però anche prestiti effimeri;
nel 2006 si è parlato anche in Italia di contraire premiere emboj (cpe) cioè un contratto primo
impiego (un contratto politico previsto in Francia che però poi non ha avuto successo).
Questo tipo di contratto avrebbe prolungato i periodi di prova di lavoro a due anni e
permesso i giovani in prova in qualsiasi momento senza nessun motivo. Anche in Italia si è
parlato di questo contratto e di queste proteste ma poi questo termine è sparito dalla
circolazione. Un espressione straniera di questo tipo può essere definita xenismo,
occasionalismo o peregrinismo (circola solo per un periodo breve). Ghali e Liberato,
mescolando lingue e dialetti propongono esempi di occasionalismi. Se alcuni forestierismi
sono occasionali e rari, altri esempi come chic e budget vengono utilizzati regolarmente
In “le parole straniere” di Paolo Zolli è presente una panoramica dei vari prestiti della lingua
italiana. La lingua che più ha contribuito al lessico italiano è il francese. Nel territorio
francese il primo dialetto a prevalere è stato quello del sud, il provenzale antico, la lingua
d’oc o occitanica. Nel nord della francia si è sviluppata la lingua d’oil ovvero il francese
antico. I prestiti da queste due lingue sono dette gallicismi. Sono molti i gallicismi penetrati
nel volgare italiano delle origini come coraggio, viaggio (dal provenzale), omaggio, ostaggio
(dal francese antico), oltraggio (in entrambe le lingue). Questi sostantivi sono accomunati
dal suffisso “aggio” che in francese è age in francese e atge in provenzale. In italiano quindi
abbiamo importato anche il suffisso e utilizzato poi per altri vocaboli più moderni come
lavaggio e atterraggio (prima inteso per la marina). Lo stesso discorso vale per i gallicismi in
ie che hanno dato vita a cameriere, cavaliere, scudiere (dal provenzale) e cancelliere,
mestiere, giardiniere (d’oil). Anche qui è stato preso anche il suffisso ed è stato poi usato in
italiano per dare vita ai mestieri. Il francese antico si è imposto diventando lingua nazionale:
per tutti i prestiti dal francese antico al moderno si usa il termine francesismo (riferimenti:
L’influsso francese in Storia della lingua italiana, I gallicismi nei testi dell’italiano antico,
Francesismi in Enciclopedia dell’italiano e Francesismi in Le parole dell’italiano di Roberta
Cella). Tra i francesismi ci sono varie parole dell’ambito militare (maresciallo artiglieria) ma
anche nomi legati a scambi commerciali (quietanza e profitto). Altri francesismi riguardano la
gastronomia (burro, mostarda, ragù, purée, beignet, frappé, crêpe, flambé). Anche nella
moda c’è un grande repertorio di francesismi (abbigliamento, moda, felpa, scialle, stoffa,
foulard, chignon, flanella, pon pon) e colori (blu, bordeaux, lilla, beige, noisette). La francia è
stata al centro della cultura europea per secoli da vari punti di vista rappresentando spesso
un modello per altri paesi; nel 700 c’è stato un picco dei francesismi (responsabile,
rivoluzionario, federalista, burocrazia, franco tiratore, parola d’ordine, corte d’appello...). Dal
Ci sono anche vocaboli che l’italiano ha dato ad altre lingue come ciao, voce di origine
veneziana che è giunta ad altre lingue. Molti italianismi sono relativi alla cultura italiana, a
momenti ed ambiti in cui l’italia e la sua lingua hanno goduto di grande prestigio. Si pensi a
un termine come sonetto (in francese sonnèt, in inglese sonnet, in spagnolo soneto e in
tedesco sonnet). Anche nel campo delle arti figurative (abbozzo, affresco, tempera, pastello,
chiaro scuro) ci sono stati molti prestiti ma anche nell’architettura (capitello, zoccolo, soffitto).
Altri prestiti sono parole relative all’ambito della guerra (bastione, cittadella) o alla musica
(tuba, flauto, controfagotto, adagio, soprano, allegro) o film (dolcevita). Quanto all’economia
si usano molti anglismi ma l’inglese cash deriva probabilmente dall’italiano cassa. Prima
infatti erano altre lingue a importare parole italiane come bilancio, cambio, credito, debitore,
saldatore, saldo, sconto. La moneta di firenze fiorino, ha dato origine ad altre monete come
quello olandese e ungherese. I prestiti però prevalgono nell’ambito della gastronomia con
parole come pizza, espresso, cappuccino, mozzarella, pasta, risotto ecc. Esiste un
dizionario di italianismi in francese inglese e tedesco pubblicato a Firenze dall’Accademia
della Crusca nel 2008 (DIFIT). Ci sono molti prestiti di ritorno che sono stati passati ad
un’altra lingua e tornati poi in italiano; un esempio è màscara, variante antica di maschera,
arrivata in Inghilterra e diventata il nome di un cosmetico cambiando genere, accento e
significato. Analogamente Pantalone (maschera di carnevale), in Francia diviene il nome
comune dell’indumento che il personaggio indossava, trasmettendo anche all’italiano questo
significato. Invece il termine disegno arrivato all’inglese tramite il francese è diventato
design. La rivista dedicata alla lingua italiana nel portale treccani è definita magazine, con un
13 Per giungere dal latino all’italiano alcune voci sono giunte per tradizione popolare, altre
per tradizione dotta ma dal latino non è nato l’italiano di oggi, dal latino si sono formati i vari
dialetti italiani e tra questi l’importantissimo fiorentino. Gli altri dialetti hanno contribuito
all’italiano con prestiti interni (birichino, iella, ciao, smammare). L’italiano ha dato origine a
molte parole nelle lingue straniere ma ha a sua volta ereditato molte parole (prestiti adattati
e non). A volte ci sono stati molti passaggi come scoglio (viene dal ligure che viene dal latino
che viene dal greco) o arsenale (che discende da una voce veneziana derivata dalla voce
araba, dalla medesima voce araba è arrivato anche darsena giunto da pisa o da genova).
Se guardiamo al lessico italiano ci accorgiamo che la maggior parte delle parole italiane
deriva dall’italiano stesso. Molte nuove parole infatti si formano a partire da parole già
esistenti attraverso meccanismi di composizione e derivazione. Una parola italiana già
esistente può essere anche proveniente da un dialetto o una lingua che l’italiano ha fatto
propria (quale che fosse il suo etimo). Prendendo una parola piena (di autonomia
semantica) chiamata anche base si ottengono variazioni. Prendendo fiore otteniamo ad
esempio fioraio, fiorellino, infiorare, cavolfiore, portafiori ecc. Una possibilità di creazione di
nuove parole quindi è quella di aggiungere un suffisso (la nuova forma è detta suffissata e il
meccanismo suffissazione). A volte ci sono però degli aggiustamenti fonetici (fiorista e non
fioreista). Si può anche aggiungere però un prefisso e ottenere nuove parole (prefissato,
prefissazione); anche nella prefissazione si verifica qualche modifica (impossibile e non
inpossibile). A volte ad una base si aggiungono sia un prefisso che un suffisso come
infiorare o ingrandire (parasintesi). Esistono anche gli infissi o interfissi che erano molto
comuni nel latino. In Italiano possiamo considerati infissi ic come in cuoricino oppure o ol in
sassolino o topolino. Queste forme legate che da sole non stanno in piedi sono dette affissi
(affisazione o derivazione) e a seconda della posizione prendono nomi diversi (prefissi,
suffissi, infissi). Le forme ottenute aggiungendo ad un prefisso sono quasi sempre della
stessa categoria grammaticale (contento, scontento sono entrambi aggettivo) ma con i
suffissi spesso essa cambia. Un’eccezione sono i sostantivi colore, odore e sapore che con i
prefissi diventano aggettivi e i sostantivi preceduti da anti che diventano anch’essi aggettivi.
Una possibile classificazione dei derivati e degli affissi dipende quindi proprio dal rapporto
tra la categoria grammaticale della base e la categoria grammaticale della formazione
(derivati denominali, deaggettivali, deverbali, deavverbiali). Si parla invece di composizione
quando si combinano più parole piene dando vita a composti (es. rossoblu, pastasciutta,
cavolfiore). Anche nei composti spesso è necessario qualche aggiustamento fonologico. A
metà strada tra derivazione e composizione sono i confissi, che sono i prefissoidi (primi
elementi) o suffissoidi (secondi elementi). Sono perlopiù elementi di origine greca o latina
come auto (autobiografia) o grafia (lessicografia). Alcuni confissi possono essere sia
suffissoidi che prefissoidi come logo, cardio, glotto e filo. I confissi possono essere uniti tra
loro per formare una parola senza il bisogno di una parola piena (al contrario degli affissi).
Gli alterati (alterazione) sono suddivisi in diverse categorie. I diminutivi o vezzeggiativi come
librino, gli accrescitivi come librone e i peggiorativi come libraccio. Il suffisso astro che è
spesso dispregiativo può anche avere valore scherzoso o affettuoso se a un bambino
diciamo topastro. Gli alterati mantengono le stesse categorie grammaticali delle parole di
partenza. Può capitare però che cambino genere, come nel caso di donna che diventa
Con campo semantico si intende un insieme di parole che ruota intorno ad un tema. I campi
semantici possono dunque includere parole che hanno un rapporto di significato ma che non
hanno alcun rapporto formale tra loro (etimi diversissimi). Con famiglia di parole o famiglia
lessicale si intende una serie di parole che hanno la stessa radice e la stessa base lessicale,
quindi legate etimologicamente (discendono dallo stesso capostipite) e quindi hanno anche
rapporti formali. Nella famiglia lessicale di colore c’è colorino, colorire, colorificio, coloritura
ecc. La famiglia lessicale di fiore include fiorellino, fiorino, fioretto, fiorire, fioraio. Un
dizionario organizzato per famiglie di parole risale al 1988 ed è il Dizionario di italiano
ragionato (DIR) di Angelo Gianni. Il suo dizionario rappresenta un dizionario molto
intelligente. La voce veste ad esempio raggruppa vestiario, vestaglia, vestito ecc. Per molto
tempo il DIR è stato un unicum nel panorama italiano. Gianni elenca le parole che hanno
origine comune e affinità semantica in ordine alfabetico escludendo quindi le voci che pur
derivate dallo stesso capostipite hanno assunto significati diverse. Di recente l’ASIL scuola
Alcune locuzioni sono calchi come ad esempio colpo di fulmine dal francese o guerra fredda
dall’inglese. Esistono anche locuzioni (o espressioni idiomatiche) peculiari di una lingua o di
un dialetto e quindi intraducibili alla lettera. Molte locuzioni traggono spunto dalla vita rurale
(darsi la zappa sui piedi, cercare un ago nel pagliaio). Menare il can per l’aia significa
tergiversare, allungare un discorso senza arrivare al punto. Si dice così perché prima si
conduceva un bue su e giù per l’aia per fare la trebbiatura, il bue con il calpestio dei suoi
zoccoli separava i chicchi di grano dalla paglia e dal resto. Viceversa far passare un cane
non sarebbe servito a nulla e quindi significa qualcosa di inconcludente. Altri esempi sono
prendere due piccioni con una fava o conoscere i propri polli. La locuzione dare spago a
qualcuno significa assecondare qualcuno: i pastori allungavano la corda per lasciare gli
animali al pascolo per più tempo. L’espressione menare per il naso deriva dalla tradizione di
mettere anelli di metallo alle narici dei tori o mucche per tirarli. L’espressione mettere il carro
davanti ai buoi significa fare le cose nell’ordine sbagliato. Chiudere la stalla quando i buoi
sono scappati significa fare qualcosa quando è troppo tardi. Prendere un granchio significa
sbagliare, era un abbaglio per un pescatore prendere un granchio pensando di aver preso
un pesce. Stare con il fucile spianato o in bocca al lupo derivano dal mondo dei cacciatori.
Dall’ambito dei tessitori vengono frasi come sbrogliare la matassa oppure tutti i nodi
vengono al pettine (elemento del telaio). Lo scrittore Primo Levi osserva che tutti i linguaggi
sono pieni di metafore la cui origine si va perdendo. Menziona in particolare la locuzione
mangiare a 4 palmenti che significa mangiare con ingordigia e riprende l’immagine dei mulini
tra le espressioni tipiche di una lingua o un dialetto sono fondamentali i proverbi, di carattere
sentenzioso. I proverbi sono in genere intere frasi a differenza delle locuzioni anche se
possono essere nominali. La disciplina che studia i proverbi si chiama paremiologia. Anche i
proverbi sono testimonianza di cultura e tradizioni. Parecchi proverbi riflettono misoginia o
comunque un’idea di subordinazione femminile (la donna bella è come la castagna bella
fuori e dentro ha la magagna, le donne ne sanno una più del diavolo, chi dice donna dice
danno, donna al volante pericolo costante, donne e buoi dei paesi tuoi). Non mancano le
contraddizioni: esistono proverbi che dicono una cosa e altri che dicono il senso opposto
(l’unione fa la forza, chi fa da sé fa per tre / la pazienza è la virtù dei forti, la pazienza è la
virtù degli asini). Gli animali sono molto presenti anche nei proverbi (lega l’asino dove vuole
il padrone, far come l’asino che porta il vino e beve l’acqua, in mancanza di cavalli trottano
gli asini, a caval donato non si guarda in bocca, tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo
zampino, il lupo perde il pelo ma non il vizio). Sui normali dizionari dell’uso è riportata anche
la fraseologia ma esistono anche dizionari appositi (dizionario dei modi di dire della lingua
italiana di Lapucci, dizionario dei proverbi italiani di Lapucci, dizionario dei modi di dire di
Lurati, dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali italiani latini francesi spagnoli
tedeschi greci antichi di Arthaber)
15 anche i dizionari dell’uso danno conto di etimologia e datazione delle parole ma possono
mancare alcune parti (in particolare online). Nel sito di Internazionale è presente tutto.
Queste informazioni sono però molto succinte nei dizionari dell’uso e per più dettagli è
necessario consultare i dizionari etimologici. Il dizionario di Giovanni Alessio e Carlo Battisti
è intitolato Dizionario Etimologico Italiano (DEI) pubblicato a Firenze tra il 1950 e il 1957 in 5
volumi. Carlo Battisti era un filologo e dialettologo esperto di toponomastica, professore di
glottologia e accademico della crusca. Era nato nel 1882 a Trento, in un territorio allora
austriaco. Si laureò a Vienna e durante la prima guerra mondiale venne fatto prigioniero e si
ritrovò in Russia al momento della rivoluzione d’ottobre. Rientrato in italia, rimise in piedi la
Nel 1979, stesso anno in cui è uscito il primo DELI, è uscito anche il primo fascicolo del
Lessico etimologico italiano (LEI), opera molto diversa dagli altri dizionari. Il LEI è stato
fondato da Max Pfister filologo e linguista svizzero. Nel DEI e nel DELI cerchiamo una parola
e ne troviamo l’etimologia e la storia; viceversa nel LEI il lemma è costituito dall’etimo e
quindi la voce esplora ciò che da quell’etimo è disceso. Nel LEI troviamo il lemma canis. Per
guidare nella ricerca delle parole ci sono degli indici che spiegano dove si trova il vocabolo
che ci interessa. È uscito in fascicoli via via raccolti in volumi. È un’opera molto vasta che
richiede lavoro da parecchie persone. Pfister diresse da solo il LEI inizialmente ma nel 2002
Wolfgang Schweickard si è affiancato a Pfister e quindi figurano i due nomi nelle ultime
edizioni. Dal 2015 Elton Prifti si occupa della digitalizzazione del LEI. Il LEI oggi è diretto da
Prifti e Schweikard. L’ultimo fascicolo del LEI uscito è il 136º del volume 16º come risulta dal
sito. La fine dei lavori è stata prevista per il 2033. L’opera è tedesca. Al LEI lavorano molti
studiosi italiani come Marcello Aprile. Anche l’università per stranieri di Siena collabora con il
LEI. La voce canis manca dal sito, ma è una voce lunghissima di oltre 60 pagine (divise in
due colonne). All’inizio della voce c’è un sommario che riassume com’è divisa la voce
stessa. Il LEI è incentrato sulla lingua italiana ma tiene d’occhio il contesto romanzo.
Ci fu quindi un desiderio di rivalsa da parte dei fiorentini. Benedetto Varchi tentò di riportare
la questione della lingua a Firenze cercando di conciliare l’idea di Bembo con la centralità
del fiorentino valorizzando la lingua viva e parlata. Un allievo di Varchi era Lionardo Salviati;
a lui si deve una orazione in lode della lingua fiorentina pronunciata nel 1564 all’accademia
fiorentina con l’intento di risvegliare l’orgoglio dei fiorentini. Più avanti tra il 1576 e il 1577
elaborò delle regole della Toscana favella destinate ad un ambasciatore del duca di Ferrara
a Firenze. Si tratta di una grammatichetta manoscritta rimasta inedita fino a quanto Anna
Antonini Remiri non l’ha studiata. Salviati si occupa poi del Decameron, opera inserita tra i
libri proibiti (1573) quando l’inquisizione proibì anche la versione con la rassettatura del
sacro concilio di Trento. Salviati curò quindi una nuova edizione del Decameron che uscì nel
1582 in cui tagliò parti scandalose e apportò modifiche e commentò. Nello stesso anno
nacque l’accademia della crusca i cui fondatori sono Giovan Battista Veti, Anton Francesco
Grazzini, Bernardo Canigiani, Bernardo Zanchini e Bastiano de Rossi. Anche Lionardo
Salviati entrò a far parte quasi da subito ed ebbe un ruolo determinante nell'indirizzare
l’accademia verso questioni linguistiche e filologiche. Il nome stesso dell’accademia si
associa all’idea di separare dalla crusca il fior di farina e cioè la buona lingua. I nomi assunti
dagli accademici fanno riferimento alla farina, Salviati infatti si fa chiamare l’accademico
infarinato. Salviati elaborò Gli avvertimenti della lingua sopra il Decamerone, due volumi
pubblicati tra il 1584 e il 1586. Salviati valorizzava anche Dante che a Bembo piaceva
linguisticamente meno. Salviati criticava molto Tasso, colpevole di essersi allontanato troppo
dal fiorentino puro. Salviati tiene conto anche del fiorentino più moderno per la pronuncia e
per la grafia, oltreché il fiorentino letterario per il lessico. Nel 1589 Salviati morì ma
l’accademia della crusca prosegui il proprio lavoro e dal 1590 venne assunto come simbolo
dell’accademia il frullone o buratto, una specie di setaccio con cui si separava la farina dalla
crusca e come motto venne preso un verso di Petrarca un po’ adattato “il più bel fior ne
coglie”.
L’opera più importante degli accademici della crusca è il vocabolario della crusca. La prima
testimonianza esplicita relativa al vocabolario risale al 1591; si conserva infatti invernale dal
quale risulta che gli accademici discutevano su come preparare le voci dividendosi le
17 Nel 1861 escono a Torino i primi fascicoli del Dizionario della lingua italiana di Niccoló
Tommaseo e Bernardo Bellini. Viene completato nel 1879 ed è noto come Tommaseo-
Bellini. Il nome più famoso però è Tommaseo, letterato nato in Dalmazia e morto a Firenze
prima che il dizionario venisse completato. È noto come scrittore per il romanzo Fede e
bellezza del 1840 e anche come patriota e membro del governo provvisorio di Venezia
durante i moti del 48 dopo i quali andò in esilio. In precedenza aveva curato il Nuovo
dizionario dei sinonimi della lingua italiana del 1830. Bellini era un professore di materie
classiche originario di Como. Anche lui si era occupato di altri dizionari di italiano e latino.
Oggi quest’opera è in rete grazie a un accordo dell’accademia della Crusca e l’editore
Zanichelli che già aveva predisposto un cd di questo dizionario. Il Tommaseo-Bellini è nato
nel 1857 per volontà di un editore torinese Luigi Pomba che aveva in mente questo progetto
da molto tempo. Alcuni fascicoli di questo dizionario erano già pronti tra il 58 e il 59 quando
scoppiò la prima guerra di indipendenza quindi le prime dispense escono solo nel 1861. La
presentazione dell’opera firmata da Giuseppe Pomba è datata Torino, 15 giugno 1861. Dal
1865 fu l’unione tipografico editrice a pubblicare questo dizionario. Giuseppe Meini, filologo
grecista e traduttore fiorentino, aveva collaborato anche al dizionario dei sinonimi e ad altre
opere di Tommaseo e venne poi coinvolto nel dizionario della lingua italiana e ben presto ne
diviene il perno. Tommaseo infatti diventò cieco e nel 74 morì, due anni prima di Bellini. Sarà
proprio Meini quindi a continuare e terminare il dizionario della lingua italiana. Ci sono oltre
7000 pagine ed esce a dispense che vengono a formare 4 volumi divisi in 8 tomi. Il
tommaseo-bellini è un grande dizionario e dizionario storico, erede del dizionario della
crusca da cui sono presi molti esempi. Ci sono autori più moderni fino ad arrivare
all’ottocento stesso oltre che gli autori dalle tre corone. Ci sono molti esempi desunti da
trattati e quindi molti vocaboli tecnici-scientifici. Non si tratta comunque di un dizionario
specialistico. Nel Tommaseo-Bellini sono contemplati anche autori non toscani. Il titolo
completo è Dizionario della lingua italiana nuovamente compilato dai signori Niccoló
Tommaseo e cavalier professore Bernardo Bellini con oltre 100.000 giunte ai precedenti
dizionari raccolte da Niccoló Tommaseo, Giuseppe Campi, Giuseppe Meini, Pietro Fanfani e
da molti altri filologi scienziati, corredato da un discorso preliminare di Niccolò Tommaseo.
Tutte le voci e anche le singole parti delle voci sono firmate e siglate da ogni singolo autore:
T sta per Tommaseo e i suoi commenti sono molto personali, spesso anche polemici e
spiritosi. È considerato un punto di riferimento per molti dizionari del diciannovesimo e
ventesimo secolo e tuttora viene consultato e studiato.
Nel 1961 è uscito il primo volume di un altro importantissimo repertorio: il Grande dizionario
della lingua italiana di Salvatore Battaglia e poi da Giorgio Barberi Squarotti pubblicato a
Torino dalla UTET. UTET sta per unione tipografico editrice torinese, cioè un’unione fondata
nel settecento dai fratelli Pomba (gli stessi del Tommaseo-Bellini). Il primo progetto di
Battaglia era proprio quello di rivedere il dizionario di Tommaseo-Bellini. Il progetto di
Battaglia però poi è stato ampliato e si è arrivati al GDLI, un dizionario storico e al tempo
stesso un grande dizionario, un’opera per specialisti. È noto anche come il Battaglia. Egli fu
in importante filologo e storico della letteratura italiana delle origine e di quella francese
antica, studioso di Boccaccio. Era originario di Catania. Collaborò all’enciclopedia Italiana.
Ha insegnato all’università filologia romanza e letteratura italiana. Dal 1938 Salvatore
18 1612 data da ricordare per l’accademia della crusca. Il vocabolario della crusca rientra tra
i dizionari storici. La maggior parte dei dizionari su cui abbiamo lavorato sono generali
(zingarelli, sabatini coletti ecc.) cioè privilegiano la dimensione sincronica e quindi la lingua
odierna. I dizionari dell’uso registrano comunque anche alcuni termini antichi che fanno
parte della tradizione letteraria ma non sono specialistici, quindi la maggior parte degli
esempi sono esempi inventati (exempla ficta), non sono citazioni (salvo eccezioni come
nelle parole di origini e letteraria). Il GDLI invece è un dizionario storico (si compone di 21
volumi a partire dal 1961 fino al 2002 con due supplementi) e quindi gli esempi sono tratti da
testi letterari, giornalistici ecc e non sono mai exempla ficta. Anche il Tommaseo-Bellini è un
dizionario storico erede della Crusca e che precede il GDLI. Tutti e tre sono dizionari storici
ma con differenze abissali: nel caso della Crusca gli esempi erano citazioni prese da autori
ma con l’intento di fornire un modello di lingua, nel Tommaseo-Bellini ci sono esempi di
autori e quindi c’è un intento descrittivo ma ci sono anche dei giudizi sui vari autori e quindi
si trova a metà strada, nel GDLI invece non c’è nessun intento normativo-prescrittivo e serve
solo per lo studio della lingua. Anche i dizionari etimologici riguardano la storia ma si
focalizzano sull’etimo. Il Battaglia ha un supplemento del 2004 in quanto ha impiegato
moltissimo ad essere completato e nel frattempo la lingua è cambiata e sono state fatte
anche nuove scoperte. Il supplemento è curato da Edoardo Sanguineti, un poeta di Genova.
Ha curato anche il supplemento del 2009. Anche il GRADIT di De Mauro è stato aggiornato
tra il 2003 e il 2007 per aggiungere i neologismi. Le nuove parole però non sempre entrano