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Propedeutica al Latino

universitario

Lezione 4

Morfologia
Radice, tema e
desinenza
12/11/2021                                 
Andrea Bramanti
La morfologia studia la forma delle parole. Per lungo
tempo, però, dal punto di vista morfologico, la parola è
stata considerata l’unità minima indivisibile. Poi nel ‘900,
come accadde per l’atomo, anche per la parola si sono
individuati delle particelle ancora più piccole, i morfemi:
radice, tema e desinenza.
Per capire la differenza di analisi fonetica e morfologica,
guardiamo questi esempi

books ha foneticamente una sola sillaba MA morfologicamente è


composto da book + s

libri ha foneticamente due sillabe li-bri MA morfologicamente si


scompone in libr + i, perché il confine morfologico non coincide
sempre con quello di sillaba

E così anche il latino canis ha due sillabe ca + nis, ma il confine


morfologico è diverso: [can + i] + s
Quest’ultimo esempio chiarisce come le parole siano composte
da una radice (can) che contiene il significato del verbo, una
vocale tematica (-i-) che ne definisce la categoria morfologica
(nomi uscenti in -i) e la desinenza (-s) che comunica le
informazioni morfologiche (genere, numero etc.). Per il fatto che
però più parole possono condividere una stessa radice, che un
tema può coincidere con la radice oppure essere accompagnato
da una vocale tematica e che il confine tra tema e desinenza è
stato oscurato da una serie di mutamenti fonetici, quella che a
scuola viene di solito definita desinenza è in realtà una
terminazione, termine convenzionale e storicamente
approssimativo. Due esempi:

Gen. sing. fem. I decl.

puell- (radice) + a (tema) + i (desinenza) = puellai > puellae:


questo è la descrizione dello sviluppo storico reale

puell- (tema) + ae (terminazione) = puellae: questa è la


descrizione convenzionale semplificata

3° pers. sing. ind. pres. I coniug.

laud- (radice) + a (vocale tematica) + t (desinenza) = laudat:


questa è la descrizione dello sviluppo storico

laud- (tema) + at (terminazione) = laudat: questa è la


descrizione convenzionale semplificata
Nel caso di puella, il nominativo singolare secondo la
descrizione semplificata vede puell- (tema) + a
(terminazione), ma in realtà quella a è la vocale
tematica, che indica la classe dei nomi, ossia quelli
terminanti in -a, che sono in gran parte femminili della
prima declinazione. Dunque il nominativo singolare non
ha una vera desinenza.
Per il verbo laudat, anche se noi parleremmo di -at come
terminazione, in realtà la a è la vocale tematica che ci dice
che è un verbo della I coniugazione che accoglie i verbi in
-a. Vocale che però per es. nella 1° pers. sing. pres. ind.
non è presente: laudo è laud- (tema) + o (terminazione):
ma in tal caso si tratta più semplicemente del puro tema
laud- che senza vocale tematica si lega con la desinenza
o.

Radice, tema e desinenza


Radice, tema e desinenza
Radice, tema e desinenza
La desinenza è la parte mobile della
parola quella sottoposta alla flessione
ossia a una sua mutazione in base alle
informazioni grammaticali che deve
veicolare. Questo permette di distinguere
due gruppi all’interno delle 8 classi di
parole della lingua latina
Le classi variabili
(parte fissa + parte mobile)
• Nomi
• Pronomi
• Aggettivi
• Verbi
Il participio, pur variabile, non costituisce una vera e
propria classe, in quanto opera come un verbo ma si
declina come un aggettivo: potremmo dire in modo assai
approssimativo che ha uno statuto ibrido.
Le classi invariabili
(solo parte fissa)
• Preposizioni
• Avverbi
• Congiunzioni
• Interiezioni
Per gli avverbi, a parte quelli corrispondenti a forme
casuali, ossia di origine nominali, più che di desinenze si
parla più opportunamente di suffissi
Occupiamoci innanzitutto delle parti variabili,
dove le desinenze la fanno da padrone. È vero,
in effetti, che il latino ha un sistema flessivo
molto ricco tanto per il nome quanto per il
verbo, ma una parte di esso, soprattutto nella
morfologia verbale, è stato ereditato anche
dall’italiano (ma si pensi anche al francese).
Così, anche se non ci si fa caso, vi sono alcune
somiglianze.
Per es. lodavate = laudabatis:
loda- (tema) + -va- (suffisso temporale impf.) +
-te (desinenza 2° plur.)
lauda- (tema) + -ba- (suffisso temporale impf.)
+ -tis (desinenza 2° plur.)
Oppure acerbe = acerbae
acerb- (tema) + -e (fem. plur.)
acerb- (tema) + -ae (fem. plur.)
Così se nei verbi le desinenze, in unione o meno
con i suffissi, ci informano della persona, del
numero del modo e del tempo. Nei nomi invece
esse ci danno informazioni sul numero
(singolare o plurale), sul genere (maschile,
femminile o neutro) e sul caso (nominativo,
genitivo, dativo, accusativo, vocativo e ablativo)

Il numero non crea alcuna difficoltà. In latino


abbiamo solo sing. e plur. (mentre il duale, cioè
‘due persone o cose’, resta soltanto in ambo
‘entrambi’ e duo ‘due’). Tuttavia, ci sono alcuni
nomi che sono singularia o pluralia tantum,
possiedono cioè soltanto un numero (ma li
vedremo, trattando le differenti declinazioni).
Il genere si divide in maschile, femminile e
neutro (assente in italiano, ma non in inglese o
in tedesco) e per quanto in alcuni casi le parole
italiane conservano lo stesso genere delle parole
latine corrispondenti, non dobbiamo fidarci
troppo, ma è sempre meglio consultare il
vocabolario. La ragione è che il genere
grammaticale è convenzionale e non riflette la
natura biologica delle cose. In latino i nomi di
venti e fiumi è maschile, gli alberi, le piante, le
città, le isole sono femminili, i metalli e i frutti
sono neutri (provate con i corrispondenti termini
italiani e vedrete le differenze). Ma questo vale
anche nelle lingue moderne, la luna in tedesco è
maschile (der Mond) e il sole è femminile (die
Sonne).
La vera novità per voi è costituita dal caso (che
ad ogni modo è ancora presente in tedesco o
nelle lingue slave). Tuttavia, se ci pensate un
attimo, il caso non è del tutto assente neanche
in italiano. Cercherò di spiegarvi questo
concetto in un modo un po’ diverso dal solito,
per cercare di restituirvi qualcosa in più.

Viene detto che i casi in italiano non esistono. In


realtà non è proprio così, ma per capirlo bisogna
distinguere il caso astratto dal caso
morfologico.
Semplificando, il caso astratto è la funzione
sintattica che il verbo assegna a un elemento
della frase.
Il caso morfologico è la realizzazione formale,
ogni modificazione che una parola subisce per
esprimere il possesso del caso astratto.
Per es. Il ragazzo chiude la porta e the boy
closes the door. In queste due frasi il ragazzo e
the boy sono il soggetto della frase, ossia
possiedono un caso astratto, il nominativo.
Dunque se io volessi sostituirli dovrei usare Egli
oppure He ma non potrei usare *lo chiude la
porta o *him closes the door. Allo stesso modo,
la porta e the door sono complementi oggetti,
ossia possiedono un caso astratto, l’accusativo.
Così se li sostituissi con dei pronomi dovrei
utilizzare la o her ma non certo Ella o She.
Mentre i casi astratti vi sono in tutte le lingue,
sono universali, le modalità con cui sono
espressi, ossia i casi morfologici, variano da
lingua a lingua, sono particolari. In italiano,
come in inglese, gli unici residui di casi
morfologici simili al latino è quella dei pronomi
personali di terza persona: egli/ella/He/She
(nominativo, soggetto) lo/la/him/her
(accusativo, complemento oggetto) gli/le
(dativo, complemento di termine), ma per il
resto la funzione di esprimere il caso astratto è
demandata in italiano alle preposizioni.

Dunque il caso morfologico che in italiano è


espresso dalle preposizioni ‘segnacaso’ in latino
è espresso dalle desinenze. Così il caso astratto
di un genitivo di specificazione in italiano è
espresso dalla preposizione di in latino per
esempio dalla -i
La madre di Marco = mater Marci
Come vi è facile immaginare una lingua che
racchiude le informazioni sui rapporti sintattici
tra le componenti della frase all’interno della
desinenze acquisisce una maggior mobilità degli
elementi che non è consentita a quelle lingue
come l’italiano che invece necessitano di
preposizioni. In latino scrivere Marci mater non
cambia il significato, ma lo stesso non può dirsi
in italiano *Madre la Marco di. In italiano è la
posizione dei nomi rispetto al verbo che
permette di distinguere i singoli casi astratti:
Il maestro (S.) loda lo scolaro (C.O.): è chiaro
quale sia il soggetto e quale l’oggetto
Ma se li inverto cambia la funzione che
svolgono: Lo scolaro (S.) loda il maestro (C.O.)
In latino non accade: magister (S.) laudat
discipulum (C. O.) = discipulum (C.O.) laudat
magister (S.). Semplicemente perché le due
desinenze -er e -um sono due incontrovertibili
casi morfologici che corrispondono a due precisi
casi astratti: il primo è l’uscita del nominativo e
dunque esprime il soggetto, il secondo è l’uscita
dell’accusativo e dunque esprime il
complemento oggetto.

Le desinenze indicano 6 tipologie di casi:


• Nominativo: esprime il soggetto, il
complemento predicativo del soggetto, e la parte
nominale
• Genitivo: esprime il complemento di
specificazione, il partitivo, il complemento di
qualità etc. Quando il nome che regge il
genitivo esprime un’azione si distingue tra
genitivo soggettivo e genitivo oggettivo.
L’inglese può aiutarci: il genitivo soggettivo è il genitivo
sassone ossia indica il soggetto dell’azione espressa dal
nome:

The enemy’s (gen. sogg.) destruction of the city (gen.


ogg.): ‘Il nemico distrugge la città’

In latino invece la distinzione tra i due genitivi non c’è,


tuttavia, a livello preliminare (ci torneremo quando
parleremo della sintassi dei casi) possiamo dire che il
genitivo soggettivo generalmente precede il nome quello
oggettivo lo segue. E così:
Adversariorum descriptio: ‘La descrizione fatta dai nemici’;

Descriptio adversariorum: ‘La descrizione dei nemici (che ha


per oggetto i nemici)’

3. Dativo: esprime il complemento di termine, il


complemento di interesse etc.
4. Accusativo: esprime il complemento oggetto
e il complemento predicativo dell’oggetto
5. Vocativo: esprime il complemento di
vocazione
6. Ablativo: esprime il complemento di modo,
di mezzo, di causa

Il nominativo, l’accusativo e il vocativo sono


detti casi diretti perché hanno un rapporto
intimo con il verbo, permettono l’espressione
minima di significato. Il genitivo, il dativo e
l’ablativo sono invece detti casi indiretti o
obliqui perché istituiscono un legame
secondario e alcune volte accessorio con il
verbo.
Per vostra sfortuna però non esiste un solo e
unico elenco di desinenze, ma al contrario le
parole latine si dividono in 5 gruppi proprio in
base alla condivisione di specifiche desinenze
che caratterizzano la loro flessione,
distinguendola dalle altre. E queste gruppi
flessionali con 5 differenti sistemi desinenziali
sono chiamate declinazioni.

Flessione nominale
Prima declinazione
La prima declinazione

Come avete notato esistono più di una forma


omografa che è distinta dalla quantità
dell’ultima sillaba come il caso del nominativo e
dell’ablativo singolari. Ma vi sono casi in cui vi
è anche una omofonia, come per esempio il
dativo e ablativo plurali o ancora per rendere
tutto più complesso il genitivo e dativo singolari
con il nominativo e vocativo plurali che escono
tutti in -ae. Tuttavia, la quantità dell’ultima
sillaba non è ma registrata nei testi latini e sarà
dunque soltanto il contesto che potrà risolvere i
vostri dubbi. Per es.
Puellae diligentiam laudant: puellae può essere
nom. plur. e allora sarà
‘le ragazze lodano la diligenza’
oppure potrà essere un gen. sing. perché magari
il soggetto è sottointeso e allora si tradurrà
‘(essi) lodano la diligenza della ragazza’
Ma certamente in puellae diligentiam laudat:
puellae non potrà essere nom. plur. né
tantomeno dat. sing. e dunque si potrà tradurre
‘(egli) loda la diligenza della ragazza’
La prima declinazione
Il genitivo singolare in -as
La prima declinazione

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