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LEZIONE 26

LA FLESSIONE

È un fenomeno morfologico con il ruolo di dover portare significati grammaticali attraverso l’utilizzo dei
morfemi flessivi che vengono attaccati ai lessemi. Questo dipende dalle lingue, perché in alcune esistono
‘morfemi liberi’ che portano significato esclusivamente grammaticale e sono a sé, non vanno unite ai
lessemi; la maggior parte delle lingue comunque è flessiva (es: italiano, inglese, tedesco, francese).

Anche all’interno delle lingue flessive è comunque possibile che la flessione venga resa da parole intere
anziché da morfemi in alcuni casi.
Ad esempio: parlerò  il morfema ‘ò’ dà l’informazione di: verbo, tempo verbale futuro, 1 persona
singolare.
MA
‘avessi parlato’  verbo, 1/3 persona singolare, tempo verbale congiuntivo imperfetto: questa
informazione è data dalla presenza e dalla coniugazione dell’ausiliare ‘avessi’. Questo perché se dico invece
‘abbia parlato’ posso capire che è un tempo verbale differente.

Inoltre, una stessa espressione può essere resa diversamente a seconda della lingua anche quando si
considerano tutte lingue flessive. Ad esempio:
italiano  parlerò: unico lessema, caratterizzato dal morfema ‘ò’
inglese  I will speak: l’informazione è portata da un lessema a parte, l’ausiliare ‘will’
tedesco  ich werde reden: l’informazione è portata dall’ausiliare ‘werde’

La differenza tra la flessione e la derivazione è che con i fenomeni flessivi si determinano delle
informazioni grammaticali utili a comprendere le caratteristiche del ‘soggetto’ a cui si riferiscono (es:
gatto uno, maschio, gatte tante, femmine) MA non ne cambiano il significato; la derivazione invece
genera nuovi lessemi con significato diverso a seconda dell’affisso che si aggiunge.

Ci sono delle categorie specifiche di lessemi più comunemente soggette a flessione (nomi e verbi rientrano
tra queste), proprio perché non è un fenomeno che coinvolge tutti i lessemi di una lingua e quali siano
queste categorie può variare tra lingue differenti.
I significati grammaticali che i morfemi flessivi portano sono classificabili in categorie flessive: numero,
genere, persona, tempo verbale, ecc.
Queste categorie incidono a livello cognitivo, sono categorie del pensiero che fanno però parte
dell’esperienza umana quotidiana.
Nonostante questo, il modo in cui le categorie flessive vengono utilizzate può variare a seconda della
lingua, perché non tutte le lingue comprendono tutte le categorie flessive e alcune lingue comprendono
delle categorie che altre non hanno. Ad esempio, in inglese è presente una categoria flessiva di genere ‘in
più’, ovvero quella neutra, che in altre lingue non c’è perché distinguono solo maschile/femminile.

CATEGORIE FLESSIVE LEGATE AL NOME


IL NUMERO
Mentre in italiano è possibile distinguere solo tra singolare e plurale, in altre lingue esistono ulteriori
categorie:
italiano  singolare/plurale
greco antico  singolare/plurale/ duale (due elementi)
warlpiri  singolare/plurale/duale/paucale (è un plurale più selettivo, che indica più di due elementi ma
con caratteristiche precise e non generali).

Le categorie flessive sono grammaticali ma NON rispecchiano sempre le categorie del pensiero.
In italiano si vede perché è possibile usare termini singolari pur volendo esprimere una totalità plurale.
Ad esempio: ‘il delfino è un mammifero’  non mi riferisco a un delfino specifico, ma a tutti. Eppure il
termine che uso per esprimere questa totalità è singolare.
MA posso dire anche: ‘il delfino ferito è stato curato’  in questo caso mi riferisco ad un delfino specifico.

IL GENERE
Anche in questo caso si vede come si tratti di un concetto arbitrario, che non rispecchia sempre il concetto
di genere biologico. Questo perché: in italiano è possibile distinguere in maschile o femminile anche gli
oggetti, pur sapendo che in quanto tali non possiedono un genere biologico di appartenenza; è anche
possibile esprimere con maschile o femminile il concetto di animale, senza rispettarne il genere biologico.
Ad esempio: il delfino  esistono sia delfini maschi che femmine, ma l’animale è espresso ‘maschile’ .
la penna  è espressa al femminile pur essendo un oggetto che non possiede un genere biologico proprio.

Questo denota la differenza con altri sistemi linguistici, come quello dell’inglese ad esempio, in cui esiste
un genere neutro per gli oggetti inanimati, mentre i generi maschile/femminile non sono distinti da
appositi morfemi, ma da lessemi che in modo insito contengono l’uno o l’altro significato.
Ad esempio: king  sappiamo che è maschile, queen  è il corrispondente femminile

Una distinzione più ‘esterna’ tramite morfemi è riservata solo ai pronomi, che cambiano a seconda del
genere  it/its/she/her/hers/he/his

LA PERSONA
Il concetto con cui la persona viene identificata è relativo a chi partecipa/non partecipa all’atto
comunicativo:
1 persona  partecipante: colui/ei che parla. Espressa dal pronome ‘io’
2 persona  partecipante colui/ei che riceve e ascolta. Espressa dal pronome ‘tu/voi’
3 persona  non partecipante. Può essere espressa sia dal pronome che da un nome comune/proprio.

In italiano la categoria persona, quella del numero e del genere sono associate, perché le informazioni
sono ‘insite’ l’una nell’altra, generalmente sono espresse contemporaneamente perché dichiarando la
persona che compie/riceve un’azione, ne dichiaro anche il numero e (in alcuni casi) il genere.

Esempio: essi  persona: 3; numero: plurale; genere: maschile.

IL CASO
Definisce un nome all’interno di una frase, prima di tutto mettendolo in relazione con il verbo: in base al
rapporto con il verbo può essere accusativo o nominativo (quindi: complemento oggetto o soggetto);
oppure in rapporto con il verbo può avere un diverso tipo di significato: esprimere possessione, utilizzo
strumentale o posizione specifica nello spazio, ecc.

In alcune lingue, come il latino o il tedesco, esistono dei CASI espressi da desinenze flessive che li
distinguono ed esprimono i concetti di soggetto/complemento, ecc.
Esempio:
latino  Agnus dormit (l’agnello dorme), dove ‘agnus’ = soggetto
MA
Lupus occidit agnum  Lupus= soggetto perché espresso con desinenza –us; agnum = complemento
oggetto perché espresso con desinenza –um.

Un sistema come questo significa di conseguenza che l’ordine delle parole all’interno della frase non è
determinante per la comprensione del significato, mentre è diverso per l’italiano dove è proprio l’ordine
delle parole a determinare il senso della frase.
È per questo che in lingue come l’italiano esistono i pronomi personali, che esprimono le differenziazioni
tra soggetti e complementi. Esempio:
io  pronome personale soggetto; me  pronome personale complemento oggetto (diretto);
mi  pronome personale oggetto indiretto (caso dativo in latino/tedesco).

Ancora diverso è per esempio l’inglese:


I  soggetto; me  complemento oggetto diretto ; non esiste un pronome che esprima l’oggetto indiretto,
serve una particella esterna: ‘a me’  to me.

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