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1 = combinazioni di parole
Il lessico di una lingua è formato da parole singole e da unità lessicali complesse, nate dalla
tendenza delle parole a formare delle co-occorenze1 che tendono a lessicalizzarsi nel corso del
tempo con un diverso grado di idiomaticità e variabilità stabilito anche dal contesto in cui tali
espressioni ricorrono.
Le combinazioni di parole possono essere di quattro tipi:
1. combinazioni a distribuzione libera (hanno un grado elevato di variabilità di co-
occorrenza fra le parole);
2. combinazioni a distribuzione ristretta (hanno un grado ridotto di variabilità di co-
occorrenza tra le parole);
3. combinazioni a distribuzione fissa (hanno un grado nullo o quasi nullo di variabilità di co-
occorrenza tra le parole);
4. proverbi (senza alcuna variabilità di co-occorrenza tra le parole).
Queste classi possono essere interpretate all’interno di un continuum. Ad es. possiamo avere:
1. (Max, Liliana, Ferdinando..) guarda (un libro, il fiume, Simona..): struttura verbale-combinazione
a distribuzione libera
2. (Max, Liliana, Ferdinando) stende (i panni, il bucato): struttura verbale-combinazione a
distribuzione ristretta
3. (Max, Liliana, Ferdinando) alza il gomito: struttura verbale-combinazione a distribuzione fissa
4. Chi rompe paga: proverbio
La terza e la quarta classe di combinazione di parole possono subire delle interpretazioni “idiomatiche”,
cioè non sono frutto di un calcolo composizionale del significato dei singoli elementi. Queste combinazioni
fisse e idiomatiche sono, molto probabilmente, il residuo di operazioni metaforiche-metonimiche ormai
cristallizzate, morte.
Le espressioni idiomatiche hanno inoltre diversi gradi di opacità semantica, la quale le differenzia
dalle espressioni letterali che sono semanticamente trasparenti.
Vi sono espressioni:
parzialmente opache sotto sopra, presto detto;
totalmente opache essere al verde, essere in gamba;
Alcune espressioni, come già detto, hanno un maggior grado di flessibilità, come ad esempio:
(1) correre un pericolo
(2) fumatore incallito
Possiamo ad esempio accettare (3) correre un rischio senza che il senso dell’enunciato muti
notevolmente.
Inoltre, è accettabile nella (1) correre un grandissimo pericolo. Si può anche dire fumatore
veramente incallito.
Altre espressioni non permettono tali modifiche, come nel caso di:
(4) tagliare la corda
(5) alzare il gomito
Se ad esempio nella frase (4) sostituiamo corda con spago, tale espressione non può essere
utilizzata nella sfera dell’idiomaticità. Non si può pronunciare (6) tagliare la robusta corda
sperando che il significato idiomatico si mantenga.
Tali espressioni non ammettono dunque alcuna intersezione.
Riassumendo, un’espressione idiomatica viene definita come una frase il cui significato non è
dato dalla somma dei significati delle parole che la compongono. Espressioni come “essere al
verde” o “essere in gamba” non significherebbero nulla se considerate sulla base dei
significati dei loro componenti, mentre invece rimandano ad un significato traslato condiviso
all’intero della comunità linguistica italiana. Nel lessico di una lingua, tuttavia, come abbiamo
visto, esistono diverse tipologie di espressioni con un diverso grado di idiomaticità.
Le collocazioni:definizioni e tassonomia.
Definizione dalla Treccani
In linguistica, il termine collocazione indica la combinazione (tecnicamente co-occorrenza) di due o più parole, che tendono a presentarsi insieme
(contigue o a distanza) più spesso di quanto si potrebbe prevedere (Krishnamurthy 20062) o, per dirla con Jezek (2005: 178), «una combinazione di
parole soggetta a una restrizione lessicale, per cui la scelta di una specifica parola (il collocato) per esprimere un determinato significato, è
condizionata da una seconda parola (la base) alla quale questo significato è riferito». Sono dunque collocazioni bandire un concorso, perdere tempo,
prendere una medicina così come amara sorpresa, irreparabile perdita, atroce sciagura, vecchio porco, ecc. Queste caratteristiche rendono le
collocazioni – il cui funzionamento non è sempre chiaramente spiegabile – un fenomeno lessicale che si trova a un livello intermedio (difficilmente
precisabile) tra le espressioni idiomatiche (➔ modi di dire), di cui di solito non condividono la rigidità sintagmatica, e le combinazioni libere (cfr.
sotto), rispetto alle quali presentano maggiori restrizioni.
DEFINIZIONE
Una collocazione è un’espressione formata da due o più parole che corrisponde ad una certa
maniera convenzionale di dire le cose.
Tradizionalmente vengono identificate come una classe lessicale situata tra le espressioni
idiomatiche e le combinazioni libere di parole.
Differenza con le combinazioni libere: nelle combinazioni libere ogni parola può essere sostituita
con un’altra semanticamente affine, senza compromettere il significato dell’unità.
Ciò che distingue le collocazioni dalle combinazioni libere è soprattutto la caratteristica per cui le
due o più parole che co-occorrono nella collocazione, mostrano una certa predisposizione a
combinarsi tra di loro, per questo sono consolidate nell’uso(e quindi lessicalizzate).
Caratteristiche
Tuttavia, non è facile fornire una definizione di collocazione che sia universalmente accettata. I
linguisti sembrano però essere d’accordo sul riconoscere loro alcune caratteristiche peculiari:
non-composizionalità: il significato della collocazione non scaturisce dalla somma dei
significati delle singole parti. Il significato può essere traslato o c’è una connotazione o
elemento semantico aggiunto che non può essere dedotto dalle parti. Ad es: vino
bianco, capelli bianchi si riferiscono a colori leggermente diversi tra loro;
non-sostituibilità: non si può sostituire una parola della collocazione con un sinonimo,
senza rischiare di creare una combinazione strana. Per es. non si può dire vino giallo anche
se il vino è giallognolo;
non-modificabilità: molte collocazioni non possono essere modificate con materiale
aggiunto o con trasformazioni grammaticali.(Questa è una caratteristica tipica delle
espressioni idiomatiche). Un buon metodo per verificare se si tratta di una collocazione è
quello di tradurla in un’altra lingua. Se non può essere tradotta parola per parola, è una
prova del fatto che si tratta di una collocazione. Le collocazioni, infatti, riflettono la nostra
percezione del mondo esterno, che può essere uguale o diversa. Ad es. in italiano diciamo
prendere una decisione, in inglese make a decision, in italiano è qualcosa che si prende
come un treno di passaggio, in inglese è un qualcosa che noi facciamo.
Secondo Liang le caratteristiche che permettono di distinguere una collocazione da
una combinazione libera e da un’espressione idiomatica sono 4:
1) Autonomia delle parole: le parole che formano la collocazione mantengono le proprie
funzioni grammaticali. Infatti ad es. possiamo dire riportare una vittoria ma anche la
vittoria riportata(quindi invertire l’ordine- forma passiva), riportare una vittoria
decisiva(inserire altri elementi). Non tutte le collocazioni, tuttavia, permettono questa
flessibilità e queste modifiche.
2) Inalterabilità semantica delle parole: le parole mantengono il loro senso, proprio o figurato,
e nella collocazione costituiscono il senso di essa. Infatti un interlocutore o lettore, anche
straniero, può indovinarlo ad una prima occhiata o dopo una breve riflessione. Es. ottenere
un successo, soffocare una risata.
3) Possibile sostituibilità del collocativo: Il collocativo di una base può essere sostituito da un
altro semanticamente analogo. Si può dire ad es. gettare/fondare/creare le basi
4) Limiti lessicali: Le tre caratteristiche precedenti distinguono le collocazioni dalle
espressioni idiomatiche. Invece questa caratteristica rende differente le collocazioni dalle
combinazioni libere. Infatti la collocazione presenta dei limiti lessicali ovvero una
restrizione lessicale creata dall’uso. Ad es. si può dire cogliere il momento, cogliere
l’attimo ma non *cogliere il tempo, nonostante la struttura sia la stessa e che il senso della
base sia quasi sinonimico(momento, attimo, tempo).
Tra i quattro criteri sopraccitati Liang sostiene che l’autonomia delle parole e la restrizione
lessicale siano i più importanti: sono i tratti distintivi di una collocazione. Quanto alle altre
caratteristiche, sono peculiari anche di altre espressioni.
Tassonomia
Come sono fatte le collocazioni?
Le collocazioni presentano restrizioni combinatorie stabilite dall’uso, generalmente queste sono di base
semantica: il collocato semanticamente autonomo(base) determina la scelta del collocativo e seleziona in
esso un’accezione speciale spesso di carattere astratto o figurato.
Come si classificano le collocazioni?
La tassonomia è illustrata, quindi, a seconda della categoria grammaticale e del legame sintattico che c’è tra i
collocati. Questa tassonomia, sulla scia delle proposte di Benson, Hausmann e Bahns, è adattata all’italiano
ed è valida anche per l’inglese, il tedesco, le lingue romanze e slave. Comprende 6 tipi:
1) Sostantivo(soggetto)+verbo : Es. scoppiare una guerra. In questo tipo di collocazione il verbo denota
un’azione caratteristica della persona o cosa designata dal sostantivo. Questo tipo di collocazione
corrisponde alla FUNZIONE LESSICALE Funci(verbo semanticamente vuoto) e Facti(realizzarsi,
avvenire). Es. Func(vento)= soffiare; Func(sospetto)=insinuarsi
2) Verbo+sostantivo(oggetto): Es. stabilire un record. I verbi di queste collocazioni sono di vario tipo. Nel
primo tipo ritroviamo collocazioni che hanno base e collocato appartenenti allo stesso campo
semantico,
ad es. svolgere(un incarico, una mansione, una funzione). All’estremo opposto ritroviamo collocazioni
le cui basi hanno un repertorio collocazionale limitato, ad es. conciliare il sonno(non si può dire *attrarre
il sonno), accarezzare un’idea(non si può dire *toccare un’idea). Poi ci sono i casi intermedi, per es.
assestare un colpo, assumere una responsabilità, che è formato da collocazioni composte da un verbo
delessicalizzato(come “dare”, “prendere”, “fare”, “mettere”) e un sostantivo(generalmente deverbale)
che apporta la carica semantica fondamentale. Quindi possiamo avere ad es. prendere una decisione(al
posto di decidere), in cui prendere è un verbo delessicalizzato, e decisione è un sostantivo deverbale.
Sono frequenti questo tipo di collocazioni perché i sostantivi , piuttosto che i verbi, hanno maggiori
possibilità di modificazione, ad es. si può dire prendere una decisione AFFRETTATA. Questo tipo di
collocazione corrisponde alle FUNZIONI LESSICALI Reali, Operi. Ad es. Operi(attenzione)=prestare;
Reali(incarico)=svolgere.
3) Aggettivo+sostantivo/sostantivo+aggettivo: Es. errore madornale, punto cruciale, mercato nero,
personaggio chiave. In queste collocazioni l’aggettivo intensifica la sua base. Una delle FUNZIONI
LESSICALI tipiche per queste collocazioni è Magn(molto, intenso). Ad es. Magn(errore)=madornale.
Wills ha definito questo tipo di collocazioni come “mattoni testuali” ossia elementi fondamentali e
irrinunciabili con cui si costruisce un testo o un discorso. Infatti le collocazioni aggettivo+sostantivo
sono configurate sono più o meno stabilmente presenti nella consapevolezza del parlante che sa
utilizzarle in vari contesti aggiornandole continuamente. Infatti è interessante sapere che l’essere umano
è abitudinario e nella lingua applica il principio del minor sforzo, attraverso l’uso continuo di
collocazioni, inizialmente legate al contesto d’origine e poi applicandole in altri contesti. E qui risale
l’aspetto creativo delle collocazioni, il quale è comunque limitato e possibile solo se la comunità dei
parlanti accetta l’espressione e la usa frequentemente(avviandola così alla lessicalizzazione).
La critica maggiore rivolta a Palmer riguarda l’inclusione nella sua raccolta di collocazioni
tradizionalmente riconosciute come idioms. Cowie replica in sua difesa, sostenendo che la
riluttanza di quest’ultimo nell’adottare il termine idioms per i chunks deriva dal fatto che le
espressioni idiomatiche fossero una categoria troppo ampia e generica e vi si includesse unità
anche più estese del semplice sintagma; viceversa il termine collocation non aveva ancora lo
statuto di termine tecnico e risultava dunque più adeguato per designare una nuova classe di
combinazioni fisse nel linguaggio.
Palmer ha avuto sicuramente un’intuizione corretta, poiché esistono combinazioni che i parlanti
nativi percepiscono e riproducono nel discorso come unità, e che invece, i non nativi acquisiscono
per ultimo e solo attraverso lo stretto contatto con una comunità linguistica.
Bally invece, evidenzia un tipo di combinazioni per molti aspetti analoghe a quelle raccolte da
Palmer, i cosiddetti “groupements usuels”, ovvero raggruppamenti “temporali” percepiti come
abituali; è possibile che nel tempo tali raggruppamenti si consolidino fino a diventare indissolubili
facendo perdere ai singoli elementi la propria autonomia sintattica e semantica, come accade
proprio con gli idioms. Tali groupements usuels, a metà tra sintagmi liberi e fissi, sono
memorizzabili, secondo Bally, tramite l’associazione di parole e il “sentimento”, ovvero la
componente affettiva del linguaggio.
Un altro aspetto della sua teoria è la distinzione tra livello sintattico e livello lessicale; egli
sottolinea l’importanza dell’ordine collocazionale rispetto a quello contestuale e
Es.caffè carico (carico non accezione fisica), umore nero (non come colore ma pessimo);
per Firth il significato lessicale di una parole viene determinato dall’uso linguistico della
medesima (in relazione alle sue combinazioni). La mutualità, che secondo lui caratterizza il
rapporto tra gli elementi di una collocazione, si attiva esclusivamente in virtù del rapporto
sintagmatico tra i due componenti.
Negli anni 70 compaiono gli studi di un altro allievo di Firth, John Sinclair, il quale ha
fortemente contribuito allo sviluppo della linguistica computazionale.
L’assunzione più forte è che la grammatica non arriva a spiegare l’esistenza di certe
combinazioni di carattere collocazionale, mentre la statistica riesce almeno a isolarle
all’interno dei corpora testuali.
Si parla di “collocational set”, per indicare appunto il paradigma di espressioni con cui un
termine si colloca più frequentemente. Firth in particolare si era occupato della lingua dei
Limericks, ovvero un tipo di strofa di 5 versi con un’organizzazione interna rigidamente
definita; in esse x es. man è generalmente associato a old e lady a young.
2.3.2 Cowie
Il suo obiettivo era realizzare strumenti grazie ai quali gli apprendenti dell’inglese come 2°
lingua possano formulare non solo enunciati grammaticalmente corretti ma anche adeguati
da un p.d.v. pratico-comunicativo. I dizionari di Cowie sono dunque strutturati per dare
accesso immediato a informazioni sul significato ma anche sui contesti più usuali nei quali
una parola occorre.
Egli si interessa in particolar modo ai fenomeni delle collocazioni e degli idioms.
Le collocazioni libere sono composte da due lessemi che tendono ad ammettere una
gamma piuttosto ampia di combinazioni alternative anche per esprimere lo stesso concetto.
Le restricted collocations sono collocazioni semifisse in cui il collocato ha quasi
completamente perso la sua forza analogica e assume un senso tecnico o figurato.
Idioms in due sezioni:
1. pure idioms: espressioni completamente opache dal pdv semantico e quindi
necessariamente fissate nel lessico anche da un pdv strutturale.
2. Figurative idioms: costituiscono formule meno rigide che ammettono alcune
variazioni, soprattutto se includono elementi pronominali.
lessicale compare nei testi costitutivi di un corpus. Il risultato porta a lunghe liste di
combinazioni di tutte le parole o i gruppi di parole con cui l’elemento prescelto-node,
riprendendo la terminologia di Sinclair appare combinato.
3. La fraseologia
I primi studi fraseologici si sono concentrati su proverbi, motti e clichés, modi di dire e frasi fatte poiché sono più legati
all’esperienza quotidiana. Le prime riflessioni teoriche sulla fraseologia provengono dalla Russia e risalgono al
diciottesimo secolo. Tuttavia la fraseologia come disciplina linguistica(a cavallo fra lessicografia e sintassi) ha origini
piuttosto recenti: Bally(1951) propone il termine “fraseologia” proprio per denominare una nuova disciplina che ha
come oggetto di studio le unità pluriverbali fisse nel linguaggio di ciascuna comunità linguistica. Bally indica come
tratto distintivo di queste unitàla fissità, che è il risultato dell’uso ripetuto di una stessa combinazione di parole. Per
cui la co-occorrenza di queste parole è connessa alla percezione che ha il parlante nativo che queste combinazioni
appaiano già formate, pronte per essere riprodotte in modo quasi automatico.
La fraseologia come disciplina deve molto a un gruppo di studiosi dell’ex-Unione Sovietica, i quali avevano compiuto
una prima distinzione all’interno delle unità fraseologiche. Avevano , infatti, distinto:
-SENTENCE-LIKE(come se fossero delle “frasi”) COMBINATIONS: espressioni che costituiscono mini-testi. Es.
Marco corre la cavallina= Marco conduce una vita dissoluta, sfrenata ecc
-WORD-LIKE(come se fossero delle “parole” o “sintagmi”) COMBINATIONS: combinazioni limitate alla misura del
sintagma. Es. soldi facili. Quest’insieme viene ulteriormente suddiviso secondo il grado di idiomaticità in:
combinazioni libere, collocazioni ristrette, figurative idiom e pure idiom.
-PURE IDIOMS: ovvero gli idioms in senso stretto. Non hanno una base storica, ma sono comunque cristallizzati, nel
senso che il significato o lo si conosce, o non lo si può ricavare dai propri componenti. Ad esempio vuotare il
sacco=dire la verità.
-FIGURATIVE IDIOMS: ovvero “metafore morte”. Infatti questi includono catacresi o metafore fossilizzate(alcuni
esempi in italiano sono collo di bottiglia, rompere il ghiaccio). Sono quelle espressioni che oggi usiamo in modo
figurativo, ma che in passato avevano un significato reale. Ad esempio rompere il ghiaccio. Il suo significato
idiomatico deriva dal fatto che sulle navi bloccate dal ghiaccio i marinai scendevano per romperlo, per uscire da una
situazione difficile, bloccata. Oggi tale espressione viene utilizzata per indicare l’uscita da una situazione di imbarazzo.
Vale la pena di evidenziare la forte presenza della METAFORA nelle espressioni idiomatiche, che ha permesso a molti
linguisti di abbandonare l’idea che molte fraseologie siano prive di motivazione.
Sempre in ambito russo Igor Mel’cuk (pronuncia Melsùk, anno 1980) distingue le espressioni linguistiche in 4
categorie: N.B DA RIPRENDERE!
1. Fisse e idiomatiche
2. Fisse e non idiomatiche
3. Non fisse e idiomatiche
4. Non fisse e non idiomatiche
4.1 combinazioni libere
4.2 combinazioni non libere
La tassonomia di Mel’cuk si fonda su una concezione di idiomaticità e fissità intese come distinte e indipendenti le une
dalle altre, a differenza di altri linguisti.
Nell’ambito della scuola strutturalista europea si diffonde il modello di “centro-periferia” in cui è possibile distinguere
un fulcro dove si concentrano le espressioni altamente idiomatiche, fisse e della misura del sintagma, e una periferia
dove si trovano le forme più estese, trasparenti e flessibili. In questo modello le collocazioni occupano un posto appena
fuori dal centro.
Ancora, abbiamo un gruppo di linguisti che rifiutano questo carattere strutturale(cioè le categorizzazioni classiche
discrete), adottando una prospettiva più affine alla teoria cognitiva: questo gruppo è formato da Wotjak, Mendìvil,
Penadés e Ruiz. Loro infatti fanno emergere un modello della fraseologia visto come insieme di unità complesse che
formano un continuum.
Ruiz In Spagna, Ruiz chiarisce concetti fondamentali della fraseologia, quali: la fissità, l’idiomaticità e la
fraseologizzazione.
La fissità riguarda la stabilità della forma, da ciò deriva l’impossibilità di commutazione, di permutazione e di
estrazione di alcun componente facente parte dell’espressione.
L’idiomaticità presuppone che la frase o locuzione abbia un valore figurato complessivo non corrispondente
alla somma degli elementi che la compongono, da ciò deriva la mancanza di composizionalità o l’utilizzo
della metafora e della metonimia nella sua costruzione.
La fraseologizzazione, infine, si tratta di un processo attraverso il quale si creano unità fraseologiche, ovvero
combinazioni tra parole che hanno come caratteristiche la fissità e l’idiomaticità, che possono essere totali o
parziali, a seconda del tipo di espressioni che si creano.
Wotjak e Mendìvil Concepiscono la fraseologia in senso ampio. Infatti includono nella fraseologia:
L’opacità semantica: Le espressioni idiomatiche possono risultare poco o molto opache, ma di certo non
saranno trasparenti quanto le espressioni letterali. Quindi un’espressione è trasparente quando è portatrice di
un significato letterale, e non di un significato idiomatico.
Determinate collocazioni hanno preferenza per determinati tipi di testo o registro. Ad es. collocazioni come
rovesci sparsi, venti deboli e nuvolosità variabile possiamo trovarle nelle previsioni meteorologiche dei giornali e
dei programmi tv. Per cui alcune collocazioni appaiono quasi esclusivamente in un determinato registro nelle
cosiddette lingue speciali. Per es. aprire un file o creare una cartella sono collocazioni proprie del linguaggio
informatico; fare ricorso o presentare una domanda sono proprie del linguaggio giuridico; levare l’ancora e
spiegare le vele appartengono al linguaggio nautico. A metà strada tra parole e termini tecnici ritroviamo i
“tecnicismi collaterali”( termini tipici di un certo settore non legati a necessità comunicative ma preferite per la
loro connotazione tecnica, ad es. espletare anzicché svolgere nel linguaggio giuridico), e i tecnicismi specifici che
sono propri di ciascun settore e hanno un significato univoco. Nelle lingue speciali le collocazioni, per
distinguerle da quelle della lingua comune, vengono designate anche come appunto “tecnicismi collaterali”, in
ogni settore: medico, giuridico, tecnico etc. Non sono necessarie alla comunicazione, ma sono preferite per la
connotazione tecnica. Esempi: il malato accusa dolore(linguaggio medico) vs il malato sente dolore(lingua
comune). Secondo Mortara Garavelli, questi tecnicismi collaterali sono un ostacolo insormontabile nella
comprensione di testi giuridici da parte dei non addetti, siano essi semplici utenti o traduttori. Per quanto riguarda
i traduttori, la conoscenza dei tecnicismi collaterali è imprescindibile per evitare che il testo prodotto risulti
carente all’esperto di settore, nonostante la correttezza dei termini impiegati e del contenuto.
Igor Mel’cuk spiega le collocazioni attraverso la sua teoria Senso-Testo , dando un contributo importante e
originale. Mel’cuk prende le mosse dalla sua teoria Senso-Testo, che pone l’accento sulla necessità di descrivere il
lessico nella sua globalità, considerandone gli aspetti semantici ma anche quelli sintattici e lessico-
combinatori1 da questa concezione del lessico è nato il grande dizionario DEC (Dictionnaire Explicatif et
Combinatoir). Questo dizionario è concepito come un lessico teorico, e infatti ogni articolo lessicografico
comprende tre sezioni: una semantica(con la definizione del lemma), una sintattica(che mostra il regime
sintattico), e una lessico-combinatorio(che è quella che ci interessa maggiormente poiché fornisce le proprietà
combinatorie della voce lessicale in esame). Per Mel’cuk la limitatezza combinatoria di molti lessemi è
strettamente connessa al senso che si intende veicolare.
Con la Teoria Senso-Testo, Mel’cuk e i suoi collaboratori hanno sviluppato la nozione di FUNZIONE
LESSICALE(FL) Questa funzione è chiamata così perché ammette come input solo unità lessicali e produce
come output insieme di unità, e serve per descrivere la co-occorrenza ristretta di parole e i fenomeni di
derivazione. (scelte lessicali e co-occorrenza lessicale).
La combinatoria lessicale ristretta costituisce un nodo problematico per ogni tentativo di descrizione lessicografica
e linguistica.
Per cui il concetto di Funzione Lessicale si basa sull’ipotesi per cui i casi di co-occorrenza lessicale del tipo
sopraccitato(cioè ristretta) hanno, la maggior parte delle volte, un numero molto ridotto di significati
specifici(molto astratti e generali).
Per cui la Funzione Lessicale è un OPERATORE SEMANTICO che rivela o tenta di RIVELARE IL TIPO DI
LEGAME CHE INTERCORRE TRA I DUE ELEMENTI COLLOCATI.. E qui riportiamo alcuni esempi di
funzione lessicale.
1
L’obiettivo primario della Teoria Senso-Testo è quello di costruire un modello funzionale che rappresenti il legame
tra il significato di ciò che si vuole esprimere e la sua realizzazione testuale
Esempi:
Per cui il senso di intensificazione si esprime vicino ad un lessema x attraverso uno o più lessemi y e questo in
maniera irregolare, ma sempre in funzione di x. Per cui l’espressione lessicale di questo senso può essere descritta
attraverso una FUNZIONE ʄ che associa a qualsiasi x, affinché questo senso possa essere espresso, tutti gli y
possibili: ne risulta la formula f(x)=y. Il lessema x, per il quale si cercano le co-occorrenze che esprimano il suo
senso, è detto l’argomento di f, e l’insieme delle co-occorrenze è il suo valore.
Ad es. se il senso in questione viene chiamato Magn ( dal latino magnus-grande) si può utilizzare la FORMULA
DELLA FUNZIONE: Magn(x)=y Magn(dormire)= profondamente, come un sasso, come un ghiro, e questa la
possiamo utilizzare per le collocazioni N-A. Attraverso la funzione Magn possiamo descrivere le combinazioni
errore madornale, momento cruciale, crassa ignoranza.
Per le collocazioni V-N la funzione lessicale più comune è Oper,il cui senso è “fare, operare”. Verrà utilizzata, ad
esempio, per dire: fare una passeggiata.
MAGN(odio)=mortale
OPER(pericolo)=correre
MULT(cani)=branco
Dunque, le funzioni come Magn sono funzioni lessicali [=FL] perché i loro argomenti e i loro valori sono
esclusivamente dei lessemi. Le funzioni lessicali si suddividono in:
Per distinguere le funzioni standard da quelle non-standard, Mel’cuk cita un esempio: caffè nero indica il caffè senza
aggiunta di latte e questo significato(nero“senza aggiunta di latte) è possibile solo in combinazione con il lessema
“caffè”(per cui si tratta di una funzione non-standard). Diversamente, le funzioni standard sono applicabili a tutte le
lingue, sono quelle più “universali”. (Basta vedere se è possibile la traduzione, SE NON SBAGLIO DEVI
CONTROLLARE). Un’ulteriore distinzione è anche quella fra funzioni sintagmatiche e funzioni paradigmatiche: le
funzioni paradigmatiche si riferiscono ad un principio di selezione, mentre le funzioni sintagmatiche si riferiscono ad un
principio di combinazione.
I legami strutturali tra le ipotesi semantiche e quelle co-occorrenziali del modello di Mel’cuk, vengono illustrati con
l’esempio:
a. Sono *molto* <*fortemente> certo che Pietro sia venuto ~Sono assolutamente <completamente> certo che Pietro
sia venuto
b. Dubito fortemente che Pietro sia venuto ~Dubito *assolutamente <*completamente> che Pietro sia venuto
Perché “certo” e “dubitare” hanno delle caratteristiche combinatorie opposte rispetto agli intensificatori?(=i valori della
FL Magn). Scomponendo le unità a. e b. è facile capire il perché. La componente semantica centrale di “certo” è non
essere disposto a e non si può intensificare una negazione , perché una negazione non è un principio graduale: *molto e
*fortemente sono quindi inaccettabili. Con “dubitare” la componente centrale è essere disposto a e questo presuppone
anche una graduazione: in effetti si può essere più o meno disposti a , da ciò deriva la collocabilità degli intensificatori
molto e fortemente. In questo caso la scelta di due tipi diversi di valori della FL Magn è semanticamente giusticata.
Il grande pregio della Teoria Senso-Testo e delle funzioni lessicali consiste nella loro universalità. Infatti le tecniche
descritte da Mel’cuk si applicano a tutte le lingue. Le funzioni lessicali permettono, così, di descrivere la co-occorrenza
lessicale di qualsiasi lingua servendosi degli stessi criteri e facilitando- di conseguenza- un paragone tra lingua diverse
che facilita anche la traduzione.
Come già detto la teoria Senso-Testo prevede anche un dizionario: il DEC. Un articolo del DEC comprende, oltre alla
definizione del lessema L e del suo regime grammaticale, una lista di FL di L con i loro valori, cosicché il DEC copre
tutte le collocazioni di L.(Contiene frasemi, idiomi, collocazioni..). Le principali proprietà formali di un DEC sono
state messe in evidenza dallo stesso Mel’cuk:
È un dizionario teorico perché è elaborato sulla base di una teoria linguistica che comprende l’aspetto
semantico, sintattico e morfologico della lingua;
È un dizionario attivo perché progettato per la produzione linguistica
È un dizionario semantico perché basato sulla descrizione semantica di tutte le espressioni che contiene, e
avendo come parte centrale di ogni lemma la sua definizione
È un dizionario combinatorio perché centrato sulla co-occorrenza ristretta sia lessicale che sintattica
È un DATABASE LESSICALE.
Lo scopo principale di un DEC è quello di trattare in maniera esaustiva tutti i lessemi e frasemi. È, di conseguenza,
un mezzo efficace ed esaustivo di rappresentazione del linguaggio.
Un’ultima precisazione sul contributo di Mel’cuk riguarda l’aspetto semantico delle collocazioni. Rispetto alle
locuzioni e alle espressioni idiomatiche, le collocazioni appaiono assolutamente trasparenti, nel senso che ogni
costituente lessicale rappresenta anche un costituente semantico. In che senso, allora, si distinguono dalle combinazioni
libere? In realtà le collocazioni appaiono solo parzialmente composizionali(si parla infatti anche semi-idiomaticità).
Questa parziale trasparenza caratteristica delle collocazioni emerge in Mel’cuk quando le descrive come espressioni
binarie che soddisfano i seguenti requisiti: 1) il significato della combinazione contiene il significato di almeno uno
dei componenti; 2) uno dei componenti è stato scelto dal parlante in modo regolare e non limitato, 3) la scelta del
secondo componente è stata operata in funzione del primo e del significato che si vuole esprimere(selezione
ristretta). Uno degli elementi (la BASE) mantiene il proprio significato, mentre il COLLOCATO subisce, in una
collocazione, una specificazione semantica. Per formare la collocazione caffè nero il parlante sceglie liberamente il
lessema “caffè”(BASE) e, al fine di veicolare il significato “senza latte”, vi associa l’aggettivo “nero”(COLLOCATO),
che in questa combinazione acquisisce un significato distinto da quello di qualità cromatica che generalmente vi
assegnamo. In definitiva la Teoria Senso-Testo di Mel’cuk ha permesso di codificare - attraverso un numero limitato
di funzioni lessicali- i legami semantici che descrivono il rapporto fra la base e il collocato di innumerevoli
collocazioni. Il punto debole di questo approccio consiste nel suo carattere puramente descrittivo: Mel’cuk non
chiarisce mai quale sia la vera natura delle collocazioni, osserva solo i legami semantici che intercorrono fra le parti che
la costituiscono. Il paradigma di Mel’cuk appare, dunque, uno strumento insufficiente.
A partire da lavori come quello di Corpas Pastor, Castillo etc. è possibile osservare come, spesso, i concetti di
“solidarietà” e di “collocabilità” vengano confusi. Cercheremo di comprendere in che modo e per quale ragione le due
nozioni spesso vengano confuse e sovrapposte, e perché sia, invece, molto importante distinguerle.
Nonostante il termine “collocazione” si sia affermato in area romanza più tardi , la nozione era in parte già presente
nella teoria semantica di Eugenio Coseriu(1981-1977), più precisamente nelle cosiddette solidarietà lessicali.
“Una solidarietà lessicale può essere definita come una deteminazione semantica di una parola attraverso una classe,
un arcilessema o un lessema che funzionano come caratteristica distintiva della parola considerata.”
Per classe si intende l’insieme dei lessemi che sono accomunati da un tratto distintivo in comune. I lessemi che
appartengono alla stessa classe si comportano in maniera analoga da un punto di vista grammaticale o lessicale:
possono assumere funzioni grammaticali analoghe e appaiono in combinazioni grammaticali e/o lessicali analoghe. In
una lingua possono esistere, per esempio, classi sostantive come “esseri viventi” ed “esseri inanimati”, aggettivi
“positivi” e “negativi”, verbi “transitivi” e “intransitivi”.
È un lessema ogni unità che compare in una lingua sotto forma di parola.
Un arcilessema è un’unità semantica che equivale al contenuto unitario di tutto un campo lessicale, ossia di un
paradigma lessicale che raccoglie varie unità(parole) che si oppongono l’una all’altra per tratti distintivi minimi. Ad es.
al campo lessicale che raccoglie i sostantivi leone, pecora, gatto, cane, etc. corrisponde l’arcilessema animale.
Tornando alla definizione di solidarietà lessicale, non si tratta quindi di una relazione tra solo due parole: aquilino, per
esempio, si dice solo del naso, ma al naso possono applicarsi molte altre parole oltre ad aquilino.
La solidarietà lessicale, inoltre, è una solidarietà orientata in un’unica direzione, non è reciproca. Per cui, un’altra
caratteristica della solidarietà lessicale è la non reciprocità. Ad es. basti pensare al rapporto fra dente e mordere: il
significato di dente è contenuto in mordere, ma il significato di mordere non è automaticamente contenuto in dente.
Le solidarietà lessicali sono fenomeni sintagmatici condizionati paradigmaticamente, si basano sul fatto che l’unità di
un paradigma funziona in un altro paradigma come tratto distintivo. Ad es. la parola cavallo, che appartiene al
paradigma “animale”, funziona come tratto distintivo nel paradigma dei “nomi dei colori”, ottenendo baio, sauro, etc.
Le solidarietà lessicali sono formate da un lessema determinante(il lessema il cui contenuto è implicato come tratto
distintivo in un altro lessema) e un lessema determinato (il lessema che riceve questi tratti distintivi). Ad es. nella
solidarietà lessicale cavallo baio, cavallo è il lessema determinante e baio è il lessema determinato. Il lessema
determinato implica il lessema determinante ma non viceversa, cosicché, per esempio, baio implica cavallo, ma cavallo
non implica baio. Coseriu, in base a questa spiegazione da lui fornitaci, distingue due tipi di solidarietà lessicali:
1. Le solidarietà unilaterali : sono caratterizzate da determinazione interna, perché la caratteristica del lessema
determinante incluso nel lessema determinato non ha valore oppositivo nell’asse paradigmatico. Ad es. nella
coppia mordere/dente, mordere contiene come tratto distintivo il lessema dente(con i denti), ma non si può dire
che il significato di mordere si esprima in altro modo se, al posto di con i denti, ci fosse un altro tratto
distintivo. Questo significato si veicola solo in relazione con i denti.
2. Le solidarietà multilaterali : sono caratterizzate da determinazione esterna, perché il tratto distintivo del
lessema determinante si aggiunge al contenuto del lessema determinato, rendendo possibile l’opposizione
con altri lessemi sull’asse paradigmatico. Ad es. nella coppia cane/abbaiare , abbaiare contiene il tratto
distintivo “per cani, detto di cani” e questo tratto può essere sostituito con “per cavalli, detto di cavalli”,
oppure “per leoni, detto di leoni” ottenendo le coppie di opposizione paradigmatica: cavallo/nitrire,
leone/ruggire.
Le solidarietà del primo tipo funzionano solo sintagmaticamente, mentre quelle del secondo tipo costituiscono dei
paradigmi: se in un sintagma di questo tipo di sostituisce un lessema, bisogna sostituire pure l’altro.
Inoltre, nelle solidarietà unilaterali il lessema determinante è –di solito– assente. Es. mordere con i denti è
un’espressione tautologica(tautologia: ridondanza). Nel caso delle solidarietà multilaterali il lessema determinante è
di solito espresso, anche se la sua presenza non è necessaria per capire di cosa si sta parlando. Es: il cane abbaia,
cavallo baio, etc.
Coseriu distingue, inoltre, in base ai lessemi determinanti – che possono corrispondere ad una classe, un arcilessema o
un lessema – tra affinità, selezione e implicazione:
Affinità: La classe del lessema determinante funziona come tratto distintivo. Ad es. bere[(bere) essere
umano]/abbeverarsi[(bere) animale].
Selezione: L’arcilessema dei lessemi determinanti funziona come tratto distintivo. Ad es.
nave/viaggiare[con un mezzo di locomozione]: la solidarietà è data dall’arcilessema di nave, ossia da
un’unità che comprende anche treno, automobile, barca. Dato che la solidarità si bassa su un
arcilessema, essa si mantiene solo se “nave” si sostituisce con un lessema che appartiene allo stesso
arcilessema, ma non con altri lessemi. Se si sostituisce nave con aereo allora “viaggiare” deve essere
sostituito con volare [viaggiare in aereo].
Implicazione: Un lessema determinante funziona come determinazione del contenuto di un
lessema determinato. Ad es. baio significa “rosso applicato al manto dei cavalli”.
Tuttavia, il semplice fatto che alcune parole appaiano con una determinata classe, arcilessema o lessema, non implica
necessariamente l’esistenza di una solidarietà; non c’è solidarietà, infatti, se la relazione con una determinata unità
NON è ESCLUSIVA. Ad es. cavallo baio(solidarietà)/cavallo bianco(combinazione extralinguistica).
Interessanti sono le osservazioni di Coseriu sull’USO METAFORICO delle solidarietà. Nelle solidarietà si produce –
automaticamente– una metafora. Ad es. Non latrare! detto ad una persona la fa apparire come un cane, poiché in
latrare è presento automaticamente il contenuto cane.
Corpas Pastor assimila le solidarietà lessicali alle collocazioni, poiché, secondo il linguistica, tanto nelle solidarietà
come nelle collocazioni un componente determina la scelta di un secondo componente. TUTTAVIA! Il tipo di legame
tra i due membri delle solidarietà e delle collocazioni è distinto (pg.120). Inoltre la nozione di collocazione è più ampia
rispetto a quella della solidarietà. Le collocazioni e le solidarietà differiscono, inoltre, sul piano della frequenza, infatti
la frequenza è un tratto fondamentale dello studio sulle collocazione di Corpas. Per Coseriu, invece, la frequenza non ha
niente a che fare con le solidarietà lessicali e non è la prova della loro esistenza. Es. cavallo bianco è molto più
frequente di cavallo sauro ma cavallo bianco non è una solidarietà poiché bianco non implica cavallo, mentre sauro sì,
indipendentemente dal contesto e dalla frequenza con cui appare in esso. Inoltre, ciò che distingue crucialmente il
legame collocazionale dal rapporto solidale è la mancanza del legame di implicazione tra base e collocato : la base non
contiene alcun tratto distintivo che comporta la scelta del collocato o viceversa. Non esiste alcun rapporto di
implicazione tra base e collocato, e ciò spiega anche l’obbligatorietà della co-presenza di entrambi i componenti perché
il legame collocazionale sussista.
In conclusione, è interessante sapere come espressioni del tipo branco di maiali, brando di cani, sciame di api dove
l’elemento che denota l’insieme di determinate entità lessicalizza i tratti indicanti il tipo di entità raggruppate, per cui si
tratta di solidarietà multilaterali . Espressioni simili come spicchio d’aglio, invece, sono delle collocazioni, perché
spicchio non rimanda implicitamente al sostantivo “aglio”.
Josef Hausmann propone una definizione di collocazione molto più elegante rispetto a quella elaborata dai contestualisti
e, successivamente, dalla linguistica computazionale. L’autore fa emergere alcune caratteristiche essenziali delle
collocazioni sia dal punto di vista formale che semantico. L’obiettivo primario di Hausmann consiste nel sensibilizzare i
colleghi lessicologi e lessicografi rispetto al fenomeno delle collocazioni. Tale obiettivo conduce Hausmann, da un lato,
a chiarire concetti impliciti negli studi sovietici a cui si è fatto riferimento in precedenza, dall’altro a introdurre una
terminologia più precisa che verrà poi ripresa e condivisa dalla maggior parte dei linguisti. Inoltre Hausmann fornisce
anche una tassonomia delle collocazioni, quasi identica a quella di Benson.
Hausmann dà innanzitutto una definizione: la collocazione è composta da due parole piene. Si tratta di una
precisazione assolutamente non scontata dato che solo pochi autori si sono preoccupati di limitare a DUE il numero dei
componenti delle collocazioni; tuttoria infatti molti parlano di “combinazioni di due o più parole” (come Corpas). Per
cui ogni collocazione lessicale si compone, per Hausmann, esclusivamente di due elementi lessicali – non grammaticali
– eventualmente intercalati da elementi funzionali quali preposizioni o articoli. In questo modo Hausmann restringe il
dominio delle collocazioni, distinguendole da molti enunciati: le collocazioni hanno dunque la dimensione di un
sintagma ciò significa escludere tutte le espressioni, fisse o libere, che superino la dimensione del sintagma, come
proverbi, clichés, e moltissime locuzioni.
Secondo Hausmann il criterio di frequenza introdotto da Bally, poi ripreso da Firth e dai suoi successori, non porta a
identificare esclusivamente collocazioni. Dunque per Hausmann la frequenza non rappresenta certo una prova
dell’esistenza delle collocazioni.
Dal punto di vista strutturale Hausmann indica sei possibili combinazioni collocazionali, e ne propone degli esempi in
tre lingue: (Tassonomia delle collocazioni secondo Hausmann)
Il contributo maggiore di Hausmann alla teoria collocazionale è di tipo semantico: muovendo dalla constatazione
dell’insufficienza del criterio di frequenza per la descrizione delle collocazioni, Hausmann assume che i due
componenti di ogni collocazione formino un’unità fortemente coesa in virtù dell’asimmetria del loro status
semanticoinfatti secondo Hausmann i collocati non hanno lo stesso status, poiché uno di loro determina la scelta
dell’altro. La collocazione rappresenta, per il linguista, una combinazione orientata e ristretta.Perché orientata?
Orientata perché, come appena detto, ogni collocazione è costituita da due elementi dalla carica semantica distinta: la
base, semanticamente autonoma, e il collocato, il cui significato viene specificato nella collocazione tramite la base
stessa, e NON VICEVERSA.(il che equivale a dire che il rapporto tra base e collocato si risolve in una funzione
univoca). Perché ristretta? La relazione collocazionale è considerata ristretta perché per l’espressione di un
determinato senso la base mostra preferenze di combinabilità limitate a un numero estremamente ridotto di collocati.
Gli elementi che costituiscono una collocazione non sono, pertanto, in nessun modo casuali o facilmente sostituibili:
sono, infatti, elementi rigorosamente selezionati attraverso meccanismi semantico-concettuali che tratteremo nel
prossimo capitolo.
N.B!: è necessario distinguere la base dal collocato(Hausmann nella sua terminologia lo chiama “collocativo”, però si è
considerato più appropriato adottare le denominazioni base e collocato secondo la terminologia di Jezek). La base è la
parola che determina il significato del collocato, il quale è l’elemento o gli elementi determinati. Generalmente il
SOSTANTIVO è la base (salvo nelle collocazioni formate da verbo e avverbio o da avverbio e aggettivo, dove lo sono
rispettivamente il verbo e l’aggettivo). Questa è una novità fuori per le selezioni sintattiche e semantiche canoniche:
perché comunemente è il predicato che seleziona i suoi argomenti, mentre qui si suggerisce che sia la base(cioè il
sostantivo) a selezionare i collocati(rappresentati da verbi, aggettivi o avverbi). L’apporto fondamentale di Hausmann
alla teoria collocazionale riguarda, anzitutto, la dimostrazione della centralità del ruolo della base: il peso semantico
dell’intera espressione poggia principalmente sulla base. Ciò appare particolarmente evidente nelle collocazioni a verbo
supporto:
farsi un bagno
fare una
domanda
prendere in considerazione
fare riferimento
fare un commento
prendere posto
In queste espressioni la carica semantica verte sul sostantivo mentre il verbo assume un ruolo funzionale, da “supporto
grammaticale”, quasi come se fosse un ausiliare. Per molte di queste espressioni esistono infatti verbi denominali
corrispondenti: bagnarsi, domandare, considerare, riferirsi, commentare, sedersi. Inoltre Hausmann aggiunge che la
base è tipicamente rappresentata dal nome poiché sono i nomi che designano entità e fenomeni di cui i parlanti possono
predicare per mezzo di verbi e aggettivi. Verbi e aggettivi fanno da base solamente quando si collocano con avverbi.
Mentre in espressioni come fissare lo sguardo, muovere a compassione, rompere il silenzio, bevitore incallito, la base
corrisponde sempre al nome.
Hausmann introduce altre TASSONOMIE (oltre a quella delle collocazioni che abbiamo già visto ↑). Infatti Hausmann
approfondisce la sua ricerca collocazionale distinguendo tra:
1. Parole con una combinabilità poco limitata Co-creazioni. Le parole con combinabilità poco limitata si
uniscono con altre parole secondo delle regole semantiche minime e formano delle combinazioni libere. Il
parlante non ha l’impressione di servirsi di unità lessicali preesistenti, ma di combinare in maniera
creativa le parole tra di loro rispettando le norme base che regolano il sistema linguistico.
2. Parole con combinabilità limitata Collocazioni. Le parole che hanno una combinabilità limitata si
combinano sulla base di regole semantiche o secondo regole determinate dall’uso della lingua, ossia della loro
frequenza di co-occorrenza. Si tratta, quindi, di parole che hanno una certa affinità, una forza di attrazione
reciproca che l’uso ha trasformato in prodotti semilavorati della lingua, che il parlante non combina in maniera
creativa ma richiama alla memoria come unità pre-esistenti.
3. Parole con combinabilità limitata che si collocano con parole al di fuori del loro normale ambito
collocativo Contro-creazioni. Queste combinazioni assomigliano alle co-creazioni perché si combinano
liberamente, trasgredendo però le regole di collocabilità. Sono combinazioni rare e tipiche dello stile letterario.
Quindi Hausmann definisce queste tre categorie rispettivamente: co-creazioni, collocazioni e contro-crazioni.
Successivamente Hausmann amplia la sua tipologia distinguendo tra: parole semanticamente autonome(dette
autosemantiche), parole non autonome che hanno bisogno di un contesto per significare qualcosa e che dipendono, per
questo, da una parola autosemantica(dette sinsemantiche). Le prime non presentano alcuna difficoltà di apprendimento
e di utilizzo da parte dello studente della lingua straniera, esse costituiscono gran parte del lessico base, di cui il
principiante può servirsi liberamente senza il rischio di infrangere regole collocazionali e di usare combinazioni che un
madrelingua non userebbe. Nel caso delle parole sinsemantiche, invece, il parlante non può servirsene liberamente ma
deve conoscere e rispettare le regole collocazionali che caratterizzano quella determinata parola. Sulla base di ciò è
possibile ricavare la seguente tassonomia:
Autosemantica+autosemantica = si tratta di combinazioni libere di parole grazie alle quali anche il principiante
può formulare numerose espressioni corrette nella lingua straniera. Ad es. ama il denaro, guarda il mare.
Autosemantica+sinsemantica = non si tratta di combinazioni libere poiché la scelta della parola sinsemantica
è limitata. Uno straniero sarà tentato dallo scegliere tante altre parole che gli sembrano equivalenti ma che
non sono quelle che la lingua preferisce combinare con la parola data. Ad esempio: ritirare il denaro,
chiamare l’ascensore.
Al secondo gruppo appartengono le collocazioni, che sono la combinazione di una parola autosemantica e una
sinsemantica, ed è un fenomeno riconducibile alle norme di uso della lingua. Oltre ad essere unità binarie, due
collocazioni possono unirsi per formare una struttura tripla. Ad es. in italiano fare una critica spesso diventa fare
un’aspra critica, fornire aiutofornire un’aiuto concreto, fornire servizifornire servizi efficienti. E poi distingue le
cosiddette collocazioni metaforiche come gettare il velo dell’oblio su qualcosa, sollevare il velo del mistero, che si
avvicinano di più alle espressioni idiomatiche che al concetto classico di collocazione.