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Con la parola grammatica si indica l’insieme di regole che governano l’espressione linguistica in
una data epoca. Queste regole sono quindi meccanismi di funzionamento del sistema (lingua) che
prescindono da altri fattori e che esistono e sono attive prima di essere esplicitate.
A cosa serve l’esplicitazione delle regole grammaticali? Serve a sviluppare la riflessione
grammaticale, metalinguistica, cioè serve ad educare a riflettere sulla lingua per far sviluppare
determinate capacità di astrazione (generalizzazione, categorizzazione, ragionamento logico).
Per valutare un’espressione linguistica possiamo ricorrere a criteri diversi:
• Criterio preliminare: la valutazione della grammaticalità/agrammaticalità di un'espressione
linguistica; “a che gioco stai giocando?”, “*a gioco stai giocando quale?”. La prima frase è formata
secondo le normali regole di funzionamento dell’italiano (è quindi grammaticale), la seconda no (è
quindi agrammaticale: la frase agrammaticale viene segnalata facendola precedere da un asterisco).
• Criterio della accettabilità sociale, valutato sulla base del binomio giusto/sbagliato: “se avessi
tempo, verrei a lezione” , “se avrei tempo, verrei a lezione”; in questo caso si ragiona sulla base della
norma linguistica così come è riconosciuta dai parlanti colti di una determinata epoca.
• Criterio della opportunità contestuale, valutato sulla base dell’appropriatezza dell’espressione
linguistica al contesto in cui viene utilizzata e quindi della sua formalità o informalità: “Se arrivavo
prima, non perdevo la lezione” (contesto informale), “Se fossi arrivato prima, non avrei perso la
lezione” (contesto formale).
Ai diversi tipi di criteri corrispondono delle azioni didattiche distinte.
Nella seconda lezione abbiamo approfondito alcuni concetti presenti nel primo capitolo del libro di
Adorno.
Poi, ciascuna parola può avere più significati; i significati per ogni voce sono indicati nel
vocabolario con i numeri arabi:
• Calcio1 dal lat. calx, -is, ‘tallone’
1. Ant. (anticamente) “calcagno”; evoluzione diretta del significato di tallone.
2. Estens. (estensivo o figurato: proiezione/estensione di un significato proprio ad altri
referenti, riguarda l’applicazione del significato primario di una parola a referenti
non propri):
a: lett. (letterario) “piede della pianta”
b: ant. “falda, piede d’un monte”
c: “estremità, parte inferiore della lancia”
d: “parte inferiore della cassa del fucile e impugnatura della pistola”
Nei significati 2c e 2d la parola si usa in riferimento ad una parte specifica di un
oggetto che è cambiato nel tempo; quel significato è stato trasferito ai vari oggetti
sulla base dell’epoca storica.
3. Un pezzo meccanico presente negli scambi ferroviari (in questo caso, il termine
calcio è usato per slittamento metaforico: uso di un termine attribuito ad uno
specifico oggetto su un altro oggetto; es: collo di bottiglia).
2
• Calcio der. di calciare
Con “der.” si indica una derivazione; la derivazione riguarda parole che hanno la stessa
radice a cui si aggiunge qualcosa, suffissi o prefissi. Ad esempio, considerando la parola
operare, si prende il morfema lessicale oper e si aggiunge un suffisso, per esempio -azione.
Nel caso di calcio, per derivarlo da calciare non si toglie nulla perché la “o” è il morfema
grammaticale che ci indica maschile singolare; in questo caso si parla di derivato a suffisso
zero. Può succedere che i bambini usino termini come calciamento o calciazione perché
applicano la regola di derivazione che forma un nome di azione, che si crea col suffisso -
zione o -mento; anche se è errato ne capiamo il senso. La derivazione, quindi, è la creazione
di una nuova parola a partire da una parola già esistente, aggiungendo qualcosa che può
essere anche niente. Le evoluzioni dal latino sono di tipo verticale (dal latino, lingua mafdre,
all’italiano, lingua figlia), mentre la derivazione di una parola da un’altra è di tipo
orizzontale (dall’italiano all’italiano).
1. Colpo dato col piede
2. Calcio alla luna (locuzione); un tipo di calcio specifico
3. a: gioco di origine inglese
b: calcio d’inizio, calcio d’angolo… (locuzione); diverse fasi del gioco
4. colpo nel gioco del biliardo
Il fatto che calcio2 abbia diversi significati ne fa una parola polisemica: è il contesto a selezionare il
significato pertinente.
• Calcio3 dal latino scient. calcium, der. del lat. calx, calcis. Indica l’elemento chimico
Calcio.
La terza parola calcio ha un suo proprio etimo. La definizione che ne dà il Treccani è molto lunga e
tecnica, tanto che possiamo definirla enciclopedica (definisce la cosa e non invece l’uso della
parola). Si osservi che nel linguaggio tecnico-scientifico c’è un rapporto biunivoco fra la cosa e il
modo con cui la si designa; questo non avviene nel linguaggio naturale in cui le parole sono, come
abbiamo visto, polisemiche.
Nella seconda parte della lezione è stato svolto in classe l’esercizio a pagina 3 del libro
La grammatica italiana di C. Adorno, che chiedeva di individuare il numero di parole
nelle frasi proposte. Ci siamo soffermati su Parliamogliene e, dopo una prima
discussione in classe, l’ipotesi è stata quella che si trattasse di una sola parola, poiché
non vi fosse nessuno spazio a dividerla, secondo un criterio grafico.
Ma, per individuare il numero di parole, è stato prima necessario comprendere il
significato di essa; ovvero trovare e riflettere sulla definizione di PAROLA.
Parliamogliene è stato trasformato in gliene parliamo, evidenziando che gliene da solo
non avesse un significato referenziale, ma bensì un significato grammaticale (‘a
lui/loro/lei di questo’).
Analizzando ancora la parola dell’esercizio, ci siamo soffermati sull’accento tonico,
la cui posizione è distintiva nella lingua italiana; ad esempio àncora e ancòra,
ricordando anche che solo le vocali hanno accento. In parliàmogliene si trova nella
quart’ultima sillaba.
Ritornando al significato di parola è stato fatto l’esempio di: la casa, che dal punto di
vista fonetico è possibile scrivere tutto attaccato, poiché parlando non scandiamo
precisamente gli elementi, facendo pause lunghe tra di loro, ma eravamo comunque
tutti concordi che si trattasse di due parole (LA e CASA). È stato osservata che la può
essere sostituito con una, bella… e casa può essere sostituita da dimora, ad esempio.
Anche in parliamogliene, -gliene può essere sostituito da -tene (parliamotene) e
parliamo può essere sostituito da discutiamo, diciamo, ecc.
Siamo arrivati quindi alla conclusione che le parti commutabili, che si possono
sostituire quindi, sono individuabili come parola, la cui definizione prototipica è: la
parola è una sequenza che non può essere interrotta, non posso commutarne gli
elementi, ed è dotata di significato (che può essere grammaticale o referenziale). Ad
esempio ferro da stiro è una sola parola, una locuzione più precisamente; ha
significato unitario, non è interrompibile e i suoi elementi non sono commutabili. Se
io dicessi *acciaio da stiro non avrebbe senso e così il *ferro mio da stiro, dico
invece il mio ferro da stiro.
Per concludere abbiamo parlato di funzione deittica e funzione anaforica del
pronome. Dicendo: è stato lui, indichiamo qualcuno di preciso e introduciamo un
nuovo elemento nel discorso (funzione deittica), mentre utilizziamo egli per
riprendere qualcosa di precedentemente detto (funzione anaforica).
3. lezione 10.10.2022, ore 10:15-11:45 (Irene Poletti)
Le Indicazioni Nazionali del 2012 stabiliscono traguardi di lungo periodo ambiziosi e innovativi
rispetto alla pratica tradizionale e al tempo stesso lasciano agli insegnanti un margine di manovra
ampio sul percorso da intraprendere per il loro raggiungimento. Si tratta di un aspetto sicuramente
positivo, che tuttavia pone maggiori difficoltà rispetto ai programmi più prescrittivi e rigidi.
Le Indicazioni Nazionali sono uscite nel 2012 ma hanno una storia alle spalle. In particolare, il
punto di svolta si può fissare al 1975, quando escono le 10 tesi del GISCEL (Gruppo di intervento e
studio nel campo dell’educazione linguistica). Il decennio in questione si caratterizza come un
periodo di rinnovamento e svecchiamento socio-economico della nazione in cui vennero a
maturazione riflessioni portate avanti dagli anni Cinquanta sulla necessità di un educazione di massa
che includesse le fasce sociali fino a quel momento rimaste ai margini del sistema scolastico e
produttivo. Il GISCEL nasce all’inizio degli anni Settanta come una associazione di studiosi,
professori, insegnanti di diverse discipline e si pone come obiettivo quello di rendere adatto il sistema
scolastico alla nuova realtà sociale e ai nuovi bisogni della società.
Questo gruppo di insegnanti di vari ordini e gradi produsse un manifesto programmatico che fece
un notevole scalpore: le Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica. L’educazione
linguistica democratica ha come scopo principale l’inclusione di fasce economico-sociali fino ad
allora trascurate dalla scuola e lasciate ai margini dal sistema produttivo. Il presupposto che permette
di perseguire questo scopo è quello della valorizzazione del patrimonio linguistico di ciascuno. Il
patrimonio personale esiste e deve essere preso come punto di partenza per aspirare ad un italiano
ricco e capace di adattarsi alle diverse circostanze comunicative.
La prima applicazione dello spirito delle Dieci tesi sono stati i Programmi per le scuole elementari
del 1985, i quali recepivano in pieno uno dei principi maturati con la didattica che nasceva dal
GISCEL: lo sviluppo delle quattro abilità (ascoltare, parlare, leggere e scrivere). La grammatica nei
programmi del 1985 ricopriva un posto marginale, si diceva che non doveva essere regolistica e
astratta ma non si approfondiva ulteriormente il discorso. In realtà come reazione al decennio di
profondo rinnovamento della didattica (1975-1985) che metteva da parte la grammatica tradizionale,
c’era stato un grande ritorno ad un insegnamento di questo tipo. Gli anni Duemila sono poi stati
caratterizzati da continue modificazioni e aggiustamenti ministeriali.
Si arriva all’assetto per infanzia, primaria e secondaria di prima grado nel 2012, con con la
pubblicazione delle Indicazioni Nazionali.
Se ci soffermiamo sui sottoparagrafi della parte dedicata all’italiano vediamo che sono intitolati
“oralità”, “scrittura” e “lettura”. Considerando che “oralità” comprende entrambi gli aspetti del
parlato e dell’ascolto, le Indicazioni riprendono le quattro abilità del GISCEL. Il primo impianto che
viene dato all’insegnamento dell’italiano è dunque quello che ha origine nelle dieci tesi.
Nella parte delle Indicazioni Nazionali dedicata all’italiano troviamo anche l’espressione
“alfabetizzazione funzionale”, cioè la capacità di utilizzare la lingua nei diversi contesti per
rispondere alle necessità della vita. Con analfabetismo funzionale si intende dunque il fatto che nella
società si rilevi l’esistenza di una parte della popolazione che sa leggere e scrivere dal punto di vista
tecnico, ma non capisce, o non sa come usare la lingua esprimendosi adeguatamente nelle diverse
situazioni e nei diversi contesti.
Definizione tradizionale e nozionale di soggetto: colui che compie l’azione. Ma nelle frasi
“Alice si è addormentata alla conferenza” o “Maria ha mal di testa” non esiste alcuna azione
(se con “azione” si intende un’operazione intenzionale): in questi casi il soggetto, quindi, NON
è colui che fa o subisce un’azione. Nella frase “A Mario piace la pizza”, la pizza (soggetto
grammaticale) non fa certo nessuna azione. Quindi le definizioni nozionali sembrano andar
bene ma in realtà hanno bisogno di una precisazione; è difficile dare una definizione nozionale
che copra tutta la casistica. Invece ciò che spiega tutti i casi è la definizione formale-funzionale,
che dice: il soggetto è l’elemento che si accorda con la parte finita del verbo.
Un esempio in cui sia il soggetto che il complemento oggetto concordano con il verbo è:
• il cane morde il postino
• Il postino morde il cane
In questo caso per determinare il soggetto bisogna ricorrere all’ordine delle parole, che in
italiano è portatore di significato. Quindi devo vedere l’ordine delle parole, soprattutto nel caso
in cui io non conosca il significato lessicale dei termini; per esempio, nella frase “travino morde
il gutaccio”, devo vedere l’ordine per trovare il soggetto. Invece, nell’ esempio del postino ci
si può basare anche sul significato e la conoscenza del mondo.
La grammatica tradizionale parte dall’informazione di tipo nozionale, che dovrebbe essere
l’ultimo aspetto da usare, perché più sfuggente, più difficile da maneggiare, mentre l’informa-
zione funzionale è più visibile e su di essa quindi si può fare riflessione metalinguistica.
Nell’esempio “oggi mangiano tutti?”, il soggetto è tutti, che viene dopo il verbo; ciò dipende
dal fatto che, in questo caso, il soggetto non è noto (infatti è ciò che viene chiesto): il soggetto
che non è ancora noto e di cui si vuole la conferma si trova dopo il verbo, mentre quello già
noto sta prima. Che differenza c’è tra le frasi “tutti mangiano?” e “mangiano tutti?”? Nel
primo caso si sa che tutti faranno qualcosa e si chiede se quel qualcosa è mangiare, mentre nella
seconda frase si parte dall’elemento noto mangiare e si chiede se tutti lo faranno. Nelle due
frasi vi è una diversa distribuzione tra ciò che è noto e ciò che viene richiesto; perciò, con questo
esempio si è dimostrato che in italiano l’ordine delle parole è portatore di significato.
L’elemento noto si chiama tema, che si dà per scontato e da cui si parte. Nell’esempio mangiano
tutti il tema è mangiano, in tutti mangiano invece è tutti. L’elemento nuovo, invece, si chiama
rema o focus (il focus è qualcosa di nuovissimo).
Dal punto di vista della distribuzione degli elementi all’interno di una frase, i soggetti possono
essere di due tipi: tematici, se sono anteposti al verbo (e rappresentano il tema, l’elemento
noto), o rematici se sono posposti (e rappresentano quindi il rema o focus, cioè l’elemento
nuovo). La posizione del tema, del rema e del focus si chiama distribuzione dell’informazione
ed è fissa in italiano; è fisso lo schema secondo il quale prima si enuncia il tema e poi il rema
(e poi eventualmente il focus). In realtà possibile anticipare elemento nuovo (rema) usando la
cosiddetta frase scissa, per esempio in “è Luigi [rema] che ha spaccato il vetro” come risposta
alla domanda “Chi ha spaccato il vetro con una pallonata?”.
Prendiamo la frase il cane morde il postino, a questa frase aggiungiamo:
• tutti i giorni
• sulla gabbia
• con forza
• in giardino
• da solo
Ora aggiungiamo questi elementi alla frase principale, per vedere se hanno una posizione fissa
oppure no. Le espressioni “tutti i giorni”, “in giardino” si possono inserire in tutti punti della
frase (all’inizio, tra il soggetto e il verbo, tra il verbo ed il complemento oggetto, in fondo alla
frase), perché indicano il tempo e lo spazio in cui si svolge l’intera scena indicata da il cane
morde il postino. Il tempo e lo spazio sono i due elementi che definiscono la circostanza in cui
si svolge tutta la scena del cane che morde il postino, quindi contestualizzano la scena nel suo
complesso. “Sulla gamba” può essere inserito dopo il verbo (morde) o dopo l’oggetto (il
postino). Lo stesso accade con l’espressione “con forza”, ma posso dirlo anche all’inizio della
frase, però mettendoci la virgola. Infine, l’espressione “da solo” cambia il significato in base a
dove viene messo. Ad esempio, il cane morde da solo il postino, vuol dire che l’animale lo fa
di sua volontà, senza che nessuno lo inciti, mentre nella frase il cane morde il postino da solo,
si capisce il postino era da solo.
Le espressioni “con forza” e “sulla gamba” possono essere inserite all’interno della frase solo
in due punti, o dopo il verbo (e in tal caso modificano solo quello: morde con forza e morde
sulla gamba) o dopo il complemento oggetto (e in tal caso modificano il gruppo formato da
verbo+complemento oggetto: morde il postino con forza e morde il postino sulla gamba): non
danno informazioni sull’intero blocco, ma solo su morde o morde il postino. Si osservi che,
nell’analisi logica, sia “sulla gamba” sia “in giardino” verrebbero classificati come
complemento di luogo, ma in realtà sono due cose diverse perché si comportano sintatticamente
in modo diverso.
SPECIFICATORI
Riflettiamo sul possessivo: in italiano si comporta come uno specificatore?
● Con i nomi di parentela (= per definirli così usiamo il criterio nozionale) si comporta
come uno specificatore: es. mio padre, mio fratello, mia madre, ecc.
Questo vale nell’italiano standard, ma non nel toscano parlato: es. la mi mamma,
ecc.
● Con il resto dei nomi, invece, non funziona da specificatore (es. *mio tavolo).
● In inglese il possessivo è sempre uno specificatore (es. my table).
Ci sono altri elementi che funzionano come gli aggettivi possessivi?
→ Gli aggettivi qualificativi (es. un bel tavolo).
Come possiamo vedere, la funzione e la distribuzione ci permettono di individuare classi
diverse di cose.
Cosa hanno in comune gli aggettivi qualificativi con i possessivi dal punto di
vista formale?
→ Codificano le informazioni di genere e numero.
E dal punto di vista distribuzionale?
→ Si accordano con il nome che qualificano, ma non specificano (quella è la funzione degli
specificatori).
Dopodiché siamo passati al secondo argomento, ovvero gli specificatori, i quali hanno una
posizione FISSA.
Sempre nelle lezioni precedenti è emerso che quelli per eccellenza sono gli articoli, ma ci
sono anche altre parole che hanno, con gli articoli, somiglianze di tipo distribuzionale
(sempre in posizione prenome) e analogie funzionali (servono sempre a specificare se si sta
parlando di un individuo all’interno della classe).
Nella grammatica tradizionale troviamo raccolti gli specificatori sotto categorie diverse:
- gli articoli (determinativi e indeterminativi);
- aggettivi dimostrativi (“quello, questo, codesto”);
- aggettivi indefiniti (“ogni, qualche, ciascuno, qualsivoglia").
La cosa interessante, per stimolare la riflessione metalinguistica, è far notare che tutti hanno
lo stesso comportamento distribuzionale, perchè stanno in una posizione prenominale, e
stesso comportamento formale, perché c’è un accordo tra genere e numero (fanno eccezione
“ogni” e “qualche”).
Che differenza c’è tra queste categorie?
● gli articoli→ devono essere sempre accompagnati da un nome, non hanno funzione deittica;
non sono autonomi e quindi non possono essere usati in isolamento;
● gli aggettivi dimostrativi→ si possono utilizzare anche come pronomi isolati in risposta a
qualcosa, senza un nome posposto;
● gli aggettivi indefiniti→ “tutti” e “alcuni” funzionano in isolamento come risposta; mentre
gli altri no.
Possiamo vedere che ciò che in realtà conta è la contestualizzazione: lo stesso elemento, in
contesti diversi, mostra delle caratteristiche diverse che, in un caso lo accomunano ad alcune
cose, in un altro caso lo accomunano ad altre.
La conclusione che possiamo trarre è che le classificazioni sono sempre parziali, quindi non
è del tutto insensato tenere la classe degli articoli distinta dal resto, ma bisogna tenere
presente che in realtà, esistono altri elementi, in altri contesti, che condividono le stesse
caratteristiche della classe degli articoli (ad esempio le preposizioni per quanto riguarda la
funzione e la distribuzione).
Nella didattica dobbiamo insistere più sul processo e sul ragionamento, piuttosto che
ragionare sulle generalizzazioni stesse.
6. 07.11.2022, ore 10.15-12.00 (Lisa Lucchesi)
1
Fondamentale è ricordare che tutte queste regole sono importanti pre ragioni comunicative:
aiutano a rendere la comunicazione più chiara e trasparente.
Una classe di elementi interessante è quella dei pronomi, distinti in pronomi tonici e pronomi
atoni: nel primo caso hanno un accento proprio, come ad esempio io, tu, loro, contrariamente
ai pronomi atoni o clitici. Questi ultimi non hanno un accento proprio, ma si appoggiano al
verbo di cui ne sfruttano l’accento, quindi non sono autonomi. Pronomi atoni e clitici non
2
coincidono totalmente: tra i clitici sono compresi anche i locativi vi e ci (che non sono veri
pronomi) e il partitivo ne. Infine i clitici possono essere proclitici (quando occupano la
posizione preverbale, come nel caso di ti amerei) o enclitici (quando occupano la posizione
postverbale, ad esempio amandoti). La prima possibilità riguarda i verbi di modo finito,
mentre con i verbi di modo non finito vengono utilizzati gli enclitici.
Paragrafo 2.6.2 “Funzione dei verbi” del capitolo 2 di La grammatica italiana di Cecilia
Andorno
La funzione dei verbi è importante perché sotto il profilo funzionale questi servono a
identificare un’azione; ma esiste anche una funzione predicativa, tipica del verbo essere, che
esprime una condizione/azione/stato: quella di dire qualcosa di qualcuno.
● Frase (55) “esclusi” è il participio passato del verbo escludere, però di fatto in questo
contesto funziona come un aggettivo. Non è una funzione attributiva, che è la funzione
tipica dell’aggettivo.
● Frase (56) "viaggiare" non ha una funzione predicativa, ma funziona come se fosse
un nome, di cui prende le caratteristiche, come l’articolo e la funzione di esprimere una
referenzialità (= di significare una cosa).
● Frase (57) “correndo” è un gerundio, ma funziona come un modificatore del verbo,
funzione svolta solitamente dagli avverbi, può essere sostituito da di corsa, che è una
locuzione avverbiale.
Sono sempre verbi dal punto di vista formale, ma assumono la funzione tipica di altre classi.
La funzione attributiva (frase 55), può essere cambiata con “i candidati perdenti” participio
presente che ha anche questo la stessa funzione.
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Solo il gerundio può funzionare da avverbio (funzione avverbiale); mentre in quella
referenziale funziona solo l’infinito. La funzione principale del verbo è quella predicativa, i modi
non finiti possono esprimere altre funzioni:
● Participio presente/passato→ attributiva
● Infinito→ referenziale
● Gerundio→ avverbiale
La distinzione tra verbi di modo finito e di modo non finito è importante: infatti solo i primi
esprimono tutte le persone (singolari e plurali), contengono quindi maggiori informazioni.
L’azione verbale (o azionalità) indica le fasi interne di cui si compone l’azione espressa dal
verbo, ci dice che caratteristiche hanno le azioni/condizioni espresse dal verbo. È un aspetto
che spesso viene trascurato nell’insegnamento.
Per analizzare l’azione verbale si usano 3 parametri:
● Durata
● Dinamicità→ Cambiamento di stato
● Telicità→ il fine
Le diverse azioni espresse dai verbi possiamo scomporre secondo questi tre parametri. Questi
parametri valgono sia per i verbi, che per i nomi derivati dai verbi (camminata, scoppio).
Esempi:
Verbi DURATA DINAMICITÀ TELICITÀ
Possedere SI NO NO
Camminare SI NO (?)*
Crescere SI SI (?)**
Svuotare SI SI SI
Scoppiare NO SI SI
*la telicità di “camminare” dipende dalla frase, per esempio: cammino fino a casa è telico,
mentre cammino ogni giorno per 10 minuti non è telico, non c’è un fine.
**la telicità di “crescere” dipende dalla frase, per esempio: inteso come ‘diventare adulto’ è
telico, mentre nel senso di ‘accrescersi in statura, peso, età’, non è telico.
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7. 14.11.2022, ore 12.00-13.30 (Sara Cinquini)
Articoli determinativi:
Una prima osservazione concerne il fatto che per il maschile abbiamo a disposizione due
forme di articolo determinativo il e lo, mentre per il femminile solamente la: ciò è dovuto a
una diversa evoluzione dei dimostrativi latini illum (per il maschile) ed illa (per il femminile).
Gli articoli determinativi il e lo vengono anche detti rispettivamente forma debole e forma
forte. I nomi dipendono dal fatto che in italiano antico, prima del ‘500, l’articolo dominante
fosse lo, il quale poteva essere usato in tutti i casi, senza limitazioni, mentre il si poteva usare
solo dopo parola terminante in vocale: a differenza che in italiano moderno, la sua distribuzione
era guidata dalla lettera che lo precedeva e non, come invece accade oggi, dal suono che segue.
Per l’articolo determinativo femminile, invece, esiste ed è sempre esistita solo la forma forte.
Es.
→ il più e il meno.
→ Per lo più.
Il primo caso, in epoca moderna, risulta essere grammaticalmente corretto. Ma allora perché si
dice per lo più e non *per il più?
Per lo più è la forma fossilizzata di una regola grammaticale antica e funziona proprio come
una locuzione: il parlante l’ha appresa come un “fossile” della lingua italiana. Per cui la regola
di distribuzione nel tempo è cambiata, ma non la forma di questa locuzione.
IL / I Si utilizzano:
● davanti a consonanti semplici;
● casi particolari di
“consonante + R” in cui quest’ultima
lettera ha valore di vocale
Elisione: fenomeno, presente solo nella scrittura, per il quale nell’incontro tra due vocali (la
finale dell’articolo e l’iniziale della parola successiva) cade la prima. L’eliminazione della
lettera viene indicata dell’apostrofo. Nella grammatica normativa i plurali non si elidono, anche
se è probabile trovare scritto gl’ in testi poetici toscani. È da sottolineare infatti il rapporto
naturale che i toscani hanno con la lingua italiana: il loro è un atteggiamento spontaneo tale
che fonetica e scrittura della parola stessa rischiano di coincidere.
Articoli indeterminativi:
Durante lo studio della casistica degli articoli indeterminativi, l’attenzione è ricaduta sul fatto
che il gruppo maschile non presenta l’elisione dell’articolo uno, mentre il femminile sì.
Perchè? Si tratta di una convenzione.
Aggettivi dimostrativi:
Salta subito all’occhio l’analogia sia di forma sia di comportamento sintattico degli aggettivi
dimostrativi con gli articoli, sia determinativi che indeterminativi.
Il fenomeno che fa sì che le forme del plurale siano gli, quegli (e non *li, *quelli) si chiama
palatalizzazione. Quest’ultima è ancora attiva e si dimostra nelle difficoltà di scrittura di parole
come:
familiare / famigliare
olio → oglio
niente → gnente
Dipende dalla tendenza di “i” seguita da vocale a diventare un suono consonantico, e a causare
la trasformazione della consonante che precede (“l” o “n” in “gl” e “gn” rispettivamente).
Per cui da un fenomeno fonetico è nata una struttura grammaticale, che però potrebbe causare
errori, questa volta gravi, come la confusione fra il pronome personale li e gli.
È possibile sentir dire (per es. nel toscano occidentale)
Li ho detto invece che Gli ho detto
Concetto di ipercorrettismo: il parlante può sapere di commettere errori su una certa parola
o struttura grammaticale, e può quindi cercare di correggersi. Ma se non ha ancora assimilato
il meccanismo giusto può sbagliare per eccesso, correggendosi troppo o correggendosi anche
quando non dovrebbe. L’ipercorrettismo è un errore utile per l’insegnante, la quale comprende
che il bambino è in fase di sviluppo linguistico ma che già è consapevole dei propri punti di
debolezza.
Per italiano regionale si intende la cadenza, la fonetica ed il lessico quotidiano tipico del
luogo d’origine del parlante. Per cui possiamo parlare di varietà interne dell'italiano. Questa
diversità legata al luogo geografico esiste in qualsiasi lingua: basti pensare alle diverse
pronunce inglesi (britannico, americano, australiano…).
L’italiano regionale si distingue dal dialetto in quanto quest’ultimo è un'evoluzione diretta
del latino e lo si capisce proprio perché è costruito con strutture grammaticali diverse dallo
stesso italiano.
All’interno delle Indicazioni Nazionali si sollecitano le insegnanti a mettere in risalto le
differenze diatopiche (cioè geografiche) proprio perché è un fenomeno che riguarda tutto il
paese.
8. 21.11.2022, ore 10.15-11.45 (Valentina Ferrini)
Nella prima parte della lezione abbiamo parlato di morfologia, sottolineando quanto essa sia
importante perché insegna a scomporre la parole in unità minime: operazione concettuale che
aiuta a riflettere sulla lingua, facendo emergere dei meccanismi interni che per il parlante sono
impliciti.
Per sottolineare questo aspetto ci siamo aiutati con un esempio: la -o alla fine di una parola ci
dice tante cose, può trattarsi di una prima persona singolare presente oppure di un sostantivo
maschile singolare.
Per capire se la parola presa in considerazione è un verbo o un sostantivo entra in gioco la
sintassi, ovvero l’insieme dei rapporti che il termine in questione istituisce con le altre parole.
In merito a ciò dobbiamo ricordare che la morfologia, che concerne la forma che assumono le
parole, e la sintassi sono due cose diverse ma estremamente interconnesse poiché la prima ha
valore solo alla luce dell’altra.
Grazie all’aiuto di questi esempi abbiamo compreso che s- può assumere vari significati ed è
il contesto, la conoscenza degli usi della parola e il confronto tra la parola derivata e quella di
base che ci dice quale valore assume.
Così come abbiamo fatto per s- abbiamo provato a individuare i significati di -ata, prendendo
in considerazione vari esempi:
- Mangiare - mangiata;
- Telefonare - telefonata;
- Dormire - dormita;
- Lavorare - lavorata.
Abbiamo notato che sono tutti sostantivi derivati da verbi, che prendono il nome di sostantivi
o nomi deverbali.
-Ata, -ita, -uta danno vita a un sostantivo che rappresenta l’azione compiuta fino in fondo,
espressa dal verbo da cui si parte. In alcuni casi questa azione compiuta ha anche una
connotazione quantitativa (mangiata, lavorata), in altri casi questa connotazione aggiuntiva di
quantità non c’è (telefonata).
A questo punto è sorta una domanda interessante: perché diciamo che queste parole derivano
da un verbo e non da un nome? Perché telefonata deriva da telefonare e non da telefono?
Ragionando sempre con gli esempi visti sopra, abbiamo notato che lavorata può
tranquillamente venire da lavoro ma dormita non può derivare da un nome *dormo (che non
esiste). Se supponiamo che tutti questi termini vengano dal verbo, non ci sono più eccezioni.
Si è detto che per riconoscere le parole derivate occorre provare a togliere il prefisso o il suffisso
e vedere se esiste la parola base: se la parola base esiste, allora si tratta davvero di un derivato.
Se proviamo ad applicare questa strategia con i verbi allattare, ingiallare, sfangare, imbellire
e invecchiare notiamo che, tolto l’ipotetico prefisso, le parole rimanenti non hanno senso. Se
li osserviamo ancora più attentamente ci accorgiamo che si tratta di verbi particolari che
derivano da nomi o aggettivi (in ordine: latte, giallo, fango, bello, vecchio) aggiungendo
contemporaneamente un prefisso ed un suffisso. Essi prendono il nome di VERBI
PARASINTETICI.
Infine, abbiamo visto come il prefisso in-, che indica una negazione, possa cambiare di forma
a seconda della consonante che lo segue per ragioni fonetiche, altrimenti in alcuni casi la parola
sarebbe difficile da pronunciare. Ne sono un esempio irreale e impossibile il cui prefisso è
appunto in-, ma che nel primo caso è diventato ir- e nel secondo im- in base alle consonati
successive. I suffissi invece non hanno bisogno di modificarsi perché si trovano in fondo alla
parola.
I COMPOSTI
Riprendendo il sostantivo deverbale spazzino che è stato ampiamente discusso nella prima
parte della lezione in riferimento a parole derivate con il suffisso -ino, è stata analizzata la
parola netturbino:
→o = morfema flessivo maschile singolare (informazione puramente grammaticale)
→ino = esprime “che fa”
→ Netturb = a differenza di spazzino (in cui è evidente la derivazione da spazzare), nel caso di
netturbino non si riconosce alcun verbo da cui questa parola possa derivare direttamente, infatti
*netturbare non esiste. Osservando e scomponendo ancora la parola, troviamo che essa è
formata da nett(are) (verbo sinonimo di pulire) + urb(e) (‘città’, dal latino).
Da questa analisi possiamo constatare che netturbino NON è un derivato semplice, ma passa
attraverso una fase di COMPOSIZIONE.
Cos’è la composizione?
La composizione è diversa dalla derivazione. Si tratta di un processo storicamente non molto
produttivo in italiano ma che si sta sviluppando negli ultimi decenni e che consiste nel prendere
due parole (lessemi) libere e autonome e unirle, creando così un’unica parola.
Una particolarità dei composti italiani è che hanno:
- in prima posizione, a sinistra, il determinato. Esso viene definito anche testa del composto,
infatti tra le due parole è quella che domina, determinando il genere grammaticale del
composto. Poiché al suo interno contiene il morfema flessivo, è anche la parola che può
cambiare di numero e formare il plurale;
- in seconda posizione, a destra, il determinante.
Es. capostazione = composto formato da capo (testa del composto) + stazione (determinante).
Infatti avremo: il capostazione e i capistazione.
Un’eccezione rispetto al comportamento dei composti normali è rappresentata da
pomodoro = pomo + d’oro
Non esistendo più pomo ‘frutto o vegetale di forma sferica’ come parola singola, il parlante
non è in grado di riconoscere pomodoro come un composto. Pomo è il determinato, infatti
attribuisce il genere maschile al composto e il plurale “normale” sarebbe pomidoro.
Tale composto è diventato opaco, il parlante la considera tutta insieme e la tratta come tutte le
altre parole dell’italiano mettendo il morfema grammaticale alla fine di essa. Infatti il parlante
al plurale dice pomodori.
L’accordo e la reggenza
L’accordo e la reggenza sono forme di dipendenza. In entrambi i casi è sempre presente un
controllore.
L’ACCORDO
L'accordo è il trasferimento delle informazioni di genere, numero, persona (se si tratta del
verbo) sugli elementi controllati. L’accordo è predicibile: a partire dal genere e numero (se si
tratta di nomi) e dalla persona (se si tratta di un verbo) del controllore si può stabilire il genere,
numero e persona degli elementi controllati. È inoltre visibile, perché si tratta di
un’informazione morfologica.
Il valore che è proprio del controllore viene trasferito ad altri elementi: se il controllore è
femminile anche l'accordo deve essere femminile (accordo di tipo grammaticale). La lingua,
però, è varia e dobbiamo tener in considerazione i diversi casi:
• il morfema flessivo in sé assume valori diversi a seconda delle interrelazioni sintattiche:
un nome che finisce con la -a può essere femminile singolare o maschile singolare (è il
caso di poeta e fantasma).
• L’accordo di tipo grammaticale spesso viene sostituito da quello semantico (detto
accordo a senso). Non si regolano gli accordi individuando il vero controllore
grammaticale ma si regolano individuando il controllore di tipo semantico.
Vediamo l’esempio a pagina 60, esercizio 10: la maggior parte dei delegati all'inizio
della conferenza avevano firmato il documento, ma all'ultimo momento si sono tirati
indietro.
In questo caso la maggior parte è il controllore grammaticale. Se facessimo un accordo
grammaticale la frase sarebbe: la maggior parte dei delegati all’inizio della conferenza
aveva firmato il documento, ma all’ultimo momento si è tirata indietro.
Nella prima frase prevale la semantica. La maggior parte è una cosa inanimata, ma per
il verbo firmare e per il verbo tirarsi indietro serve un soggetto animato. Quindi si
individua il controllore nei delegati, proprio perché rappresentano un soggetto animato.
È giusto o sbagliato? Nella scrittura si tende a preferire l'accordo grammaticale perché
ci permette di individuare il ruolo delle diverse parti della frase. Nell'orale facciamo,
invece, più attenzione al procedere del senso.
• Vediamo l’esempio a pagina 60, esercizio 10: lei cosa ne pensa? È soddisfatto?
Lei è un pronome allocutivo di rispetto. Quando utilizziamo lei per fare l'accordo
grammaticale dovremmo utilizzare il femminile. Quando utilizziamo il pronome
allocutivo di rispetto per riferirci ad un uomo è del tutto normale fare l'accordo con il
maschile.
LA REGGENZA
La reggenza, a differenza dell’accordo, non è predicibile a partire dal controllore in sé. Non
ci sono informazioni morfologiche che ci facciano capire quale sarà la forma di ciò che dipende
dal controllore. La reggenza è quindi più astratta dell’accordo: non c'è niente, nella parola
controllore, che mi suggerisce come sarà la reggenza.
Esempio:
• Credo che oggi sia una giornata umida.
Abbiamo una principale (credo) che regge una subordinata. Utilizziamo la congiunzione
che ed il congiuntivo sia perché siamo di fronte ad una reggenza.
Alcune conseguenze
• Per un madrelingua è difficile sbagliare gli accordi: sa che poeta è maschile e regolerà
l'accordo facendo riferimento ad un maschile singolare. Per un soggetto non
madrelingua è più difficile percepire questi accordi.
• Uno dei settori di maggiore difficoltà nell’italiano contemporaneo è la selezione delle
preposizioni nella reggenza.
Le reggenze con le preposizioni in alcuni casi non sono immediate.
Vediamo l’esempio: fare cenno. In questo caso abbiamo bisogno della preposizione a.
Questa informazione non ce la danno né fare né cenno.
Le preposizioni non hanno un contenuto semantico preciso: hanno una funzione
relazionale, grammaticale, di marcare le reggenze. Non c'è nessun motivo per cui
accanto a fare cenno ci voglia a.
Il parlante questa struttura perché la memorizza per intero.
→ Un consiglio: se si è indecisi consultare un dizionario.
Le preposizioni non hanno un contenuto semantico preciso. Quello delle preposizioni, infatti, è
uno dei settori più deboli, più esposti al cambiamento e quello in cui si trovano più errori.
Come conseguenza la società dei parlanti italiani tende a sostituire le preposizioni semplici con
nessi preposizionali che abbiano un valore semantico più concreto. Si sta enormemente
diffondendo l’uso di attraverso, tramite, per mezzo di, mediante, eccetera.
Attraverso è un’espressione molto concreta e sta sempre più sostituendo la preposizione per.
Genere
Maschile Femminile
Plurale -i -e, -i
Maschile Femminile
Numero Singolare -o -a
Plurale -i -e
Maschile Femminile
Numero Singolare -e -e
Plurale -i -i
Maschile Femminile
Plurale -i
Il grado dell'aggettivo
Facciamo attenzione al caso di buono che al comparativo diventa migliore. Per i cibi spesso
utilizziamo l’espressione comparativa più buono ‘di sapore’, perché utilizzando il termine
migliore ‘di qualità’ cambierebbe il significato della frase.
Questo panino è migliore di quello che ho mangiato ieri: significa che la qualità del panino che
sto mangiando è migliore della qualità del panino che ho mangiato ieri.
Il numero
Mentre il genere nella maggior parte dei casi dipende dalla parola, il numero invece non è
convenzionale: il genere rispecchia la realtà. Si usa il singolare quando parliamo di una cosa
sola e il plurale quando parliamo di più di una. Il numero grammaticale ha un rapporto più
diretto con il numero naturale del referente. Vi sono alcune eccezioni: esistono dei nomi che
sono grammaticalmente plurali ma indicano un referente che è singolare. Alcuni esempi:
forbici, occhiali, nozze, pantaloni, calzoni.
I singolari di queste parole esistono, ma hanno un significato diverso dal termine plurale.
Ad esempio, la parola occhiali deriva dall'unione di due lenti; infatti, inizialmente, esisteva una
sola lente e questo oggetto veniva chiamato occhiale.
Aspetto verbale.
È il modo in cui il parlante vede l’azione che racconta.
È uno degli aspetti più trascurati nell’insegnamento, se non al liceo classico in riferimento al
greco, ma è anche ciò che potrebbe aiutare, ad esempio, a distinguere il simple past inglese dal
passato italiano e quindi sarebbe utile presentarlo a scuola.
Ci sono 2 aspetti verbali:
• Imperfettivo: il parlante vede l’azione dall’interno, nella sua durata, enfatizzando il suo
svolgersi senza considerare l’inizio o la fine. È codificato in italiano dall’indicativo
imperfetto.
• Perfettivo: il parlante vede l’azione dall’esterno, nel suo essere conclusa,
indipendentemente dalla sua durata, non perché l’azione non l’abbia ma perchè la cosa
che interessa il parlante è il suo essersi conclusa. È codificato dal passato remoto e dal
passato prossimo ma con delle differenze.
Entrambe le forme morfologiche del perfettivo (passato prossimo e remoto) indicano un’azione
conclusa ma vengono utilizzati in maniera distinta (la distinzione nasce dal passaggio dal latino
al volgare):
• il passato prossimo indica un’azione conclusa ma i cui effetti si ripercuotono sul
presente. Si dice perfettivo compiuto.
• il passato remoto indica un’azione conclusa, senza considerare eventuali effetti o
ripercussioni sul presente. Si dice perfettivo aoristico.
1. Ugo è nato nel 1987. (significa che è ancora vivo)
2. Ugo nacque nel 1987. (significa che è nato ma è di certo morto.
Per il perfettivo, riconoscere le distinzioni è più semplice perché ognuna ha una forma
morfologica precisa (passato prossimo vs passato remoto). L’imperfettivo invece ha solo
l’imperfetto per tutti i valori: ecco perché si sta diffondendo “stare + gerundio”, perché
esplicita che l’azione è in corso, rendendo trasparente il significato.
Nei libri di grammatica non c’è “stare + gerundio” mentre in inglese è una forma
grammaticalizzata. Sarebbe importante farlo anche in italiano perché aiuterebbe di capire e
imparare prima le forme continuate dell’inglese.
I confini degli altri due tipi di imperfettività sono più difficili da individuare: è il contesto
che ci dice di quale tipo si tratta, perché in molti casi entrambe le parafrasati avrebbero
senso:
• Giocavo a tennis da giovane.
Non facevo altro che giocare a tennis da giovane.
Ero solito giocare a tennis da giovane.
10. 05-12-2022, ore 10.15-11.00 (Bertoli Letizia)
Schemi valenziali
Per schemi valenziali si intende la struttura argomentale, ovvero gli elementi necessari al verbo per
far sì che questo raggiunga il proprio significato in un determinato contesto. Per esempio: Ugo beve,
significa ‘Ugo è alcolizzato’; per raggiungere il significato di ‘ingerire un liquido per idratarsi’,
bere ha bisogno di un soggetto e di un oggetto diretto.
A seconda del significato che deve raggiungere il verbo può avere bisogno di:
• zero argomenti, come nel caso dei verbi meteorologico (verbi zerovalenti);
• un argomento, che è il soggetto (verbi monovalenti);
• due argomenti (verbi bivalenti);
• tre argomenti (verbi trivalenti).
Attanti
I verbi che indicano un’azione hanno bisogno di un soggetto che la compia; in questo caso il
soggetto viene definito agente. Per esempio: Anna prepara una torta, il verbo preparare designa
un’azione vera e propria, per questo ha bisogno di qualcuno che la compia, ovvero il soggetto, il
quale è sempre individuato come il sintagma nominale che si accorda con la parte finita del verbo.
In questo caso cambia però il ruolo definito attanziale, ovvero il ruolo che quel soggetto ha rispetto
al verbo. Il ruolo attanziale è una cosa stabilita non su base formale, ma sulla base della nostra
conoscenza del mondo.
Nella frase Giulia ha mal di testa, Giulia (che è il soggetto) non compie l’azione, ma la subisce, per
questo il soggetto viene detto esperiente, ovvero che prova un’esperienza o uno stato d’animo; nel
caso in cui il soggetto non prova un’esperienza, si definisce paziente, come accade nella frase La
nave affonda.
Anche l’oggetto indiretto ha un ruolo attanziale, come accade nella frase Anna prepara una torta
per Angelo, dove Angelo è il beneficiario dell’azione di Anna.
Struttura informativa
L’enunciato è il contenuto della frase, cioè l’insieme dei dispositivi che permettono di far
progredire il discorso in modo coerente.
Tutti i testi, che siano scritto o orali, si organizzano dicendo o descrivendo qualcosa, ma sempre
disponendo in un modo progressivo e ordinato gli elementi noti, definiti tema o topic, gli elementi
nuovi che vengono aggiunti, chiamati rema o comment, e gli elementi massimamente nuovi,
costituenti il focus:
• topic (o tema): è un concetto che prescinde dalla sintassi e prescinde anche dalla nostra
conoscenza del mondo.
• comment (o rema): è la parte nuova dell’informazione, ma non il picco informativo;
• focus: si tratta del picco informativo, che è parte del comment. Il focus è rappresentato da
ciò che le persone risponderebbero in sintesi a una domanda.
Per esempio, se incontro la mia vicina sulle scale e mi chiede: «Che fai oggi?», e io le rispondo
«Oggi, come tutti i lunedì, vado a fare lezione», vediamo nella riposta:
- oggi, io, che rappresentano il tema, poiché li ha posti la mia interlocutrice;
- come ogni lunedì, che rappresenta il comment, poiché la mia interlocutrice sa che è lunedì,
dunque, come informazione non è per lei nuovissima, anche se non è presente nella
domanda posta;
- vado a fare lezione, che rappresenta il focus, in quanto è qualcosa di completamente nuovo.
Seminario di lettura con le esposizioni degli studenti. Kim Erica Blauvelt e Giulia Tognocchi:
Stanislas Dehaene, Imparare. Il talento del cervello, la sfida delle macchine, Milano, Raffaello
Cortina, 2019
La struttura informativa
La struttura informativa di una frase descrive come è organizzata l’informazione nella frase.
Anche i testi seguono lo stesso principio generale. La struttura si basa su tre unità:
- tema/topic, ció che si conosce e puó essere stato esplicitato precedentemente o resta implicito;
- rema, che unisce comment e focus, cioè gli elementi nuovi che dipendono dal contesto.
Vi è un ordine progressivo, che tendenzialmente segue quello sintattico della frase, del soggetto
tematico davanti al verbo e l’oggetto diretto in fondo (SVO). In questo caso troviamo il tema davanti
al rema.
Frasi con uguale contenuto semantico possono avere diverso valore informativo.
Abbiamo problemi di comunicazione per esempio quando si dà per scontato il tema e l'ascoltatore
non capisce, o quando il testo è malformato dal punto di vista sintattico. Ciò puó succedere con i
bambini che hanno un forte egocentrismo; quindi è necessario insegnare loro ad esporre il tema
all'inizio della conversazione.
Dalla combinazione di questi elementi, tema e rema, le frasi possono avere diverse strutture
informative. L’esercizio 5 di pag. 131 ci offre la possibilità di vedere alcune strutture informative
fondamentali come: la focalizzazione contrastiva, la frase scissa, la dislocazione a destra e a sinistra.
Dislocazione a destra
Con il termine dislocazione si intende un elemento della frase che viene spostato dalla sua posizione
canonica. Il fatto è segnalato dall’intonazione, che si spezza separando l’elemento dislocato dalla
frase vera e propria, e nella scrittura è segnalato dalla virgola.
Gli elementi noti perché già menzionati nelle frasi precedenti possono essere omessi o sostituiti da
un pronome.
Nell’es che segue l’oggetto diretto compare due volte: una prima volta come pronome anteposto (la)
con funzione cataforica (perché anticipa l’oggetto diretto che segue nella frase), una seconda volta
come sintagma nominale (la gonna grigia).
Es. 5
L' (la) - ho indossata - io - , - la gonna grigia
topic topic comment topic
Ogg diretto Verbo Sogg Ogg diretto
(pronome atono) virgola
domanda possibile: Chi ha indossato la gonna grigia?
Il Tema è all'inizio della frase in forma di pronome atono (la), si può anche omettere la gonna grigia,
ed il comment (io) è soggetto postposto al verbo; alla fine viene esplicitato l’oggetto diretto che era
già stato anticipato dal pronome. L'ordine consueto della progressione informativa è rispettato.
Dal punto di vista sintattico ci sono due elementi con la stessa funzione, due oggetti diretti: la gonna
grigia; il pronome atono la.
Il pronome qua ha funzione cataforica, poiché si trova in prima posizione e anticipa l'oggetto
diretto che si trova dopo, cioè a destra del pronome.
L'interpunzione con la virgola segue un criterio logico e comunicativo. La virgola isola nella frase
l'elemento dislocato e fa tornare il nucleo minimo della frase cioé oggetto (anteposto) verbo sogg
(postposto).
Dislocazione a sinistra
In questa forma il pronome clitico ha funzione anaforica e si trova postposto all’oggetto diretto a cui
si riferisce, creando un raddoppiamento.
In prima posizione c’è il tema, l’argomento di cui si sta parlando. La dislocazione a sinistra
dell’oggetto diretto è più comune nell’uso orale.
Nello scritto ma soprattutto nei testi scolastici si può trovare ancora la forma passiva con la stessa
funzione. Il passivo porta a soggetto l’oggetto diretto della forma attiva, ponendolo a inizio frase.
Es. 5
La gonna grigia, - l' (la) - ho indossata - IO
topic topic comment= focus
Ogg diretto Ogg diretto Verbo sogg
(pronome atono)
domanda possibile: Chi ha indossato la gonna grigia?
L'ordine consueto della progressione informativa topis-comment (o tema-rema) è rispettato.
Anche qui dal punto di vista sintattico ci sono due elementi con la stessa funzione, due oggetti diretti:
la gonna grigia; il pronome atono la.
Questa è una frase a dislocazione a sinistra: si riconosce perché il pronome è anaforico rispetto
all'oggetto diretto a cui si riferisce. Il pronome che riprende l' oggetto diretto che lo precede,
duplicandolo, ha funzione anaforica, cioè riprende un elemento già nominato in precedenza.
La frase è esplicita ed è forte il legame con la domanda.
Nell'80% dei casi troviamo il tema/soggetto all'inizio della frase (es. ho indossato la gonna grigia).
Se è necessario porre in prima posizione un topic che NON sia il soggetto (il 20% dei casi), in italiano
si ricorre a una disclocazione a sinistra. Questa struttura, che duplica l'oggetto, tiene in prima
posizione un tema che non è il soggetto della frase.
La gonna grigia può diventare soggetto solo trasformando la frase in forma passiva:
La gonna grigia - È STATA INDOSSATA - da me
Sogg. Verbo. Compl. d'agente
La forma passiva si trova ancora sui testi ma non si usa nel parlato e poco nello scritto.
Si usa quando si vuole evitare di esplicitare l’agente. Ad esempio sul bugiardino dei farmaci si legge:
il medicinale è stato testato nel rispetto delle normative.
Anche in questo modo si ottiene la progressione canonica della struttura informativa: tema/sogg e poi
focus.
Notiamo che per entrambe le frasi con dislocazione a sx e a dx la domanda in contesto resta la stessa.
Entrambe hanno il tema in prima posizione.
NOTA:
Per capire se siamo di fronte a una dislocazione a dx o sx si guarda la posizione del pronome:
Pronome anaforico= dislocazione a sx perché ha funzione di ripresa
Pronome cataforico = dislocazione a dx perché anticipa