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quelle più frequenti, l’ordine è : soggetto, verbo, complemento oggetto, con il “Pro drop” cioè la possibilità
di omettere il soggetto. Questa possibilità del pro-drop non è invece ammessa in lingue come il francese e
l’inglese, che obbligano all’espressione del soggetto pronominale. Una frase ruota intorno al predicato, cioè
al verbo e il soggetto, l’oggetto, i complementi, sono come i satelliti che ruotano intorno al verbo; quindi
diciamo che il verbo è il fulcro della frase intorno al quale ruotano quelli che si chiamano gli “argomenti”. A
seconda d quanto argomenti può reggere un verbo, noi parliamo di valenza, per esempio: se dico “Valerio
mangia la pasta”, “mangio” ha due argomenti (Valerio e pasta), cioè il sogg. e il compl ogg., e quindi è
biargomentale. A seconda di quanto argomenti può reggere un verbo, si parla di “valenza verbale”. Ci sono
anche verbi triargomentali, esempio: Alessandro compra un regalo a Giovanni (soggetto, complemento
oggetto e complemento di termine); quindi in questa frase il verbo ha tre argomenti, quindi è triargomentale.
Ci sono verbi che possono anche avere zero argomenti, per esempio i verbi psicologici o metereologici: piove,
nevica ecc. Non hanno soggetto e non reggono nessun argomento.
Qui che una parentesi da fare; quelle lingue non pro-drop anche con questi verbi zero valenti hanno
un’espressione che indica il soggetto (italiano=piove vs. Francese= il pleut). A questo punto uno potrebbe
dire “se prendiamo il confronto tra italiano e francese, diremo che “piove in italiano è zero valente e in
francese quel “il pleut” è monovalente, cioè c’è un argomento”, ma in realtà quello non è un argomento,
perché “il” di “il pleut” non è soggetto, non fa la funzione classica del soggetto, quel “il” riempie
semplicemente una posizione, perché la sintassi del francese richiede l’espressione obbligata del soggetto,
cioè vuol dire che la posizione del soggetto deve essere occupata. Allora in questo caso “pleut”, come
nell’italiano “piove” è zero valente, perché quello non è un soggetto, cioè non è un argomento, ma un falso
argomento. Questi vengono chiamati “dummy subjects”, cioè letteralmente “soggetti fantocci, fittizi”, per
dire che non sono dei veri e propri soggetti, non svolgono la funzione semantica del soggetto. Quindi in
conclusione “pleut” è zero valente come l’italiano “piove”. Le valenze del verbo sono gli argomenti che un
verbo può reggere. Gli ordini possibili di soggetto, verbo e oggetto nelle lingue del mondo sono 6: i più
frequenti sono 3: SOV, SVO, VSO in totale formano il (97%).
Il più diffuso è il primo, SOV. L’italiano, per esempio, si colloca nel secondo gruppo, con il 42%. Ci sono anche
altri ordini possibili, perché teoricamente le combinazioni possibili sono 6, però sono più rari. (Anni fa sulla
più importante rivista di linguistica tipologica, uscì un numero monografico dedicato alla lingua
dell’Amazzonia, che è una elle pochissime lingue del mondo che ha l’ordine OSV (1% lingue del mondo). Se il
97% delle lingue parlate nel mondo presenta questi 3 ordini sintattici, una ragione c’è. Cos’è che hanno in
comune questi 3 ordini sintattici: che il soggetto precede sempre il complemento oggetto. E questo risponde
a un ordine che potremmo definire naturale, perché un’azione generale è normalmente iniziata da un
soggetto e conclusa dal complemento oggetto. Il soggetto è in generale l’agente dell’azione, colui che la inizia
e che ha il potere di decidere (volitivo), mentre l’oggetto è l’entità che subisce l’azione, (paziente) che non
esercita un grado di controllo (non volitivo). Nell’ esempio di prima di “Piero porta il dolce”, “Piero” dal punto
di vista del ruolo semantico, è l’agente, esercita un grado di controllo potendo decidere se portale il dolce o
no e quindi è un agente volitivo, mentre il dolce è paziente, cioè subisce l’azione non potendo controllarla.
Quindi sarebbe normale che un’azione inizia con l’agente e termina con il paziente, cioè inizia con chi esercita
un controllo e finisce con chi questo controllo non ce l’ha e subisce l’azione. Inoltre, tendenzialmente, nel
flusso dell’informazione che diamo al nostro interlocutore, la frase inizia con ciò che è già noto, e termina
con ciò che è nuovo. Quindi do in generale un’informazione prima di ciò che è dato, comune, mentre nel
resto della frase trasmetto l’informazione nuova. Quindi l’ordine tendenzialmente è quello del topic o Tema
(ciò che è dato) contro il comment o Rema (ciò che è nuovo). Se io riprendo questa frase “lo sai che Piero
porta il dolce?”, si da per scontato in una frase del genere che chi la ascolta sappia chi è Piero, altrimenti
l’avrei introdotta in maniera diversa, mentre chi mi ascolta non sa che Piero porta il dolce (l’informazione
nuova alla fine). Potrei anche dare solo un’informazione del tutto nuova e queste sono le cosiddette frasi
tetiche, se dico: “Piero porta il dolce” questa potrebbe essere tutta un’informazione nuova se chi mi sta
ascoltando mi chiede “ma che è successo?”. Nel flusso dell’informazione tendenzialmente quindi il soggetto
è anche “topic” e il complemento oggetto è il “comment”.
La ragione per cui le lingue del mondo usano questi 3 tipi sintattici è dovuta a ragioni di naturalezza
informativa, ciò che ha un grado di controllo sull’azione precede ciò che questo controllo non lo può
esercitare.
Se questo è vero, noi ci aspetteremo che la frase transitiva “perfetta” è quella costituita da un oggetto
inanimato, perché se l’oggetto non è volitivo, se non esercita un controllo sull’azione, tendenzialmente
dovrebbe essere un oggetto inanimato. Nella frase “Piero porta il dolce”, “Piero” che è l’agente è animato e
il “dolce” che è paziente e non può esercitare nessun controllo è inanimato; quindi, in un flusso di
informazione ideale il complemento oggetto prototipico (che risponde a tutte le caratteristiche dell’oggetto
perfetto) è un oggetto inanimato. Però ovviamente, esistono frasi in tute le lingue del mondo in cui il
complemento oggetto è animato (Piero ama Marta), non ci sono regole sintattiche che vietino l’uso di un
complemento oggetto animato, però esistono delle strategie nelle lingue del mondo per marcare un oggetto
non prototipico, (cioè un oggetto animato che ha potenzialmente i tratti di controllo sull’azione)in cui viene
marcato con una strategia sintattica, chiamata DOM (differential object marking= marcatura differenziale
dell’oggetto). In termini pratici, in alcune lingue se l’oggetto è animato, riceve una particolare marca che non
ha quando è inanimato, questa marca prende il nome appunto di DOM. Mettiamo il case che una lingua abbia
un morfema X, questo morfema si mette sugli oggetti animati, evidentemente per evidenziare il fatto che
questo oggetto non è un oggetto prototipico, quindi animato (Marta è l’oggetto prototipico). L’italiano non
differenzia l’oggetto animato da quello non animato, ma i dialetti meridionali si, per esempio la frase “Piero
ama Marta” nel dialetto meridionale diventa “Piero ama a Marta”, dove la “a” non indica il complemento di
termine, ma è un DOM, cioè una marcatura differenziale. Nelle lingue romanze, il DOM è rappresentato dalla
preposizione “a” che coincide con la preposizione del complemento di termine, ma esprime un altro caso.
Quasi tutti i parlanti meridionali dicono “chiamo a Maria”, perché Maria è un oggetto animato e quindi viene
contrassegnato dal DOM; siccome il DOM nelle lingue romanze è una preposizione, questo particolare DOM
viene conosciuto col nome di accusativo preposizionale.
Uno degli aspetti più interessanti di questa marcatura differenziale dell’oggetto è quali sono gli oggetti
coinvolti nella marcatura e quali non: uno studioso di lingue aborigene australiane elaborò una scala
(gerarchia di animatezza) che misura il tasso di animatezza di un oggetto: più un nome si colloca nei gradi alti
della scala più chance ha di ricevere il dom, più si colloca ai gradi bassi meno chances ha di ricevere il dom.
Quindi più è animato più riceverà il dom, meno è animato meno lo riceve. I gradi più alti della scala di
animatezza sono rappresentati dai primi 3 pronomi, seguiti dai nomi propri di persona, seguiti dai nomi
comuni umani, seguiti dai nomi comuni animati ma non umani (animali), seguiti dai nomi comuni inanimati.
Quindi più saliamo, più un nome avrà chance maggiori di ricevere un Dom.
Le lingue romanze tagliano questa scala di animatezza in maniera molto diversa le une dalle altre, ci sono
delle lingue che sono molto severe, cioè che selezionano il dom solo con i pronomi o con nomi propri, per
esempio il portoghese brasiliano; ci sono delle lingue come dialetti per esempio dell’Italia meridionale, che
arrivano molto in basso in questa scala fino addirittura a comprendere i nomi di animali, specialmente quelli
domestici, perché vengono assimilati metaforicamente all’essere umano e quindi tutta lascala di animatezza
è compresa nel DOM tranne i nomi comuni inanimati.
Restrizioni sul DOM nelle lingue romanze
Vediamo qualche esempio delle lingue romanze; il corso, una delle tante lingue romanze fortemente
influenzato dal toscano:
CÒRSO
1. a terra inganna à te
‘La terra ti inganna’
Nella prima frase “à” è il DOM, l’accusa tipo preposizionale e “te” essendo un pronome e quindi alto nella
scala di animatezza, riceve il DOM.
Nella seconda frase “Penelope” ha il DOM perché è un nome proprio di persona e i nomi propri di persona
sono altissimi nella scala di animatezza e addirittura nell’esempio 3 ci potrebbero essere delle obiezioni da
parte nostra perché dice “il fumo copre la città di Portovecchio” e c’è il DOM e allora noi potremmo dire che
Pontevecchio è un paziente inanimato, quindi più basso nella scala di animatezza, succede che in alcune
lingue i nomi di città vengono trattati come i nomi propri di persona (probabilmente perché entrambi sono
nomi propri- associazione metaforica). Questo vuole dire che i “tagli” che avvengono in questa scala nelle
lingue romanze, sono molto arbitrari e presentano una fortissima variazione diatopica, cioè nello spazio;
lingue come il Corso fanno un ampio uso del DOM, altre lingue con i nomi di città, con i nomi di luogo non
avrebbero mai il DOM, perché è inanimato quest’ultimo. Qua ci sono esempi di varietà a noi più familiari,
come il dialetto di San Luca, dove non si dice “ho visto mia sorella”, ma “vitti a sorma” perché i nomi di
parentela sono altissimi, non stanno esplicitati nella scala, ma sono subito dopo i nomi propri di persona.
(“A” marca il DOM”).
L’italiano non marca invece il DOM, non fa differenza tra oggetti animati e inanimati.
Il napoletano è uno dei dialetti che fa più di tutti uso del DOM. Come si può vedere nei primi esempi: quella
“a” tra parentesi vuol dire che nelle inchieste che sono state fatte per lo studio del DOM, con i nomi comuni
animati il DOM è oscillante, cioè alcuni parlanti marcano la “a” e altri non la dicono.
NAPOLETANO
1. hannǝ cugliutǝ (a) ll’ambasciatorǝ
‘Hanno ricevuto l’ambasciatore’
Perché c’è questa incertezza? Perché i nomi comuni, pur essendo animati, non stanno proprio ai primissimi
posti della scala, stanno più o meno nel mezzo, ed è esattamente qua che avviene il vero taglio nelle lingue
romanze; quindi con i nomi comuni animati umani, c’è enorme oscillazione anche all’interno dello stesso
dialetto, perché questo probabilmente è il vero confine che segna il limite tra i nomi con DOM fisso e i nomi
con DOM oscillante.
Detto questo, è possibile cambiare l’ordine degli elementi S, V,O? Si è possibile, se voglio mettere in evidenza
un elemento della frase lo sposto. (Quindi solo per ragioni pragmatiche)
Per vedere come avvengono questi cambiamenti dobbiamo riprendere il discorso di “tema” e “rema”:
abbiamo detto che in generale l’azione inizia con il tema, ciò che è già noto e finisce con il rema, ciò che è
nuovo. Però questo non è del tutto scontato perché come già detto potrebbe essere nuova anche tutta
l’informazione (frase tetica = che contiene solo “rema”). Ma fuori da questo contesto una frase normalmente
si analizza come “tema” + “rema”.
Prendiamo adesso esempi in cui il compl.ogg (tendenzialmente rema) viene messo in una posizione diversa:
se dico “oggi lavo la macchina” è una frase SVO, se dico “la macchina la lavo oggi”, “la macchina” che è compl.
Ogg. viene messo in prima posizione, quindi diventa OSV.
Quindi è possibile mettere in prima posizione il compl. Ogg., ma l’ho fatto perché questo corrisponde a
un’informazione particolare che io voglio dare; posso dire ad esempio “la macchina la lavo oggi e domani
faccio un’altra cosa” oppure posso dire “la macchina la lavo io, tu vai a fare la spesa”, c’è un’informazione di
tipo contrastivo, qualcosa di qualunque tipo, ma è un’informazione marcata, cioè io voglio mettere in risalto
la macchina. E allora per metterla in risalto la sposto dalla posizione canonica e ottengo delle frasi che si
chiamano marcate, cioè che deviano dall’ordine canonico SVO dell’italiano.
Come faccio una frase marcata? Il primo modo per farla è quella che si chiama la dislocazione che può essere
a sinistra o a destra.
Dislocazione= sposto l’oggetto e lo metto nella posizione del tema.
In realtà lo sposto fuori dalla frase vera e propria, perché me ne accorgo dal fatto che tra. L’oggetto spostato,
per esempio “la macchina”, e il resto della frase, c’è una pausa (nella grafia segnata dalla virgola).
Quindi se sposto l’oggetto e lo metto fuori dal confine della frase vera e propria, lo riprendo nella frase con
“la”, cioè con il pronome clitico (che non ha un accento proprio), e questo è il cosiddetto “clitico di ripresa”.
Se riprendo una cosa dislocata a sinistra, “la” ha valenza anaforica, cioè riprendo una cosa che è già detta
(anafora), ma posso anche dire “la lavo io, la macchina” e in questo caso la dislocazione è a destra, e “la” non
è più anafora ma è catafora (anticipa quello che viene dopo). Negli esempi seguenti il pronome clitico, cioè il
“clitico di ripresa” è evidenziato (“pensaci”, “l’ho”, “lo”, “la”).
DISLOCAZIONE A SINISTRA
• L’Oggetto o altro argomento, in sé rematici, vengono “dislocati” nella posizione di tema e ripresi
attraverso un pronome anaforico, mentre il soggetto è messo in rema.
• La dislocazione a sinistra serve a evidenziare il tema: l’elemento dislocato si riferisce sempre a
qualcosa di già noto.
La macchina, la lavo io; ai piatti, pensaci tu; Roberto, l’ho incontrato ieri; lo stereo, portaglielo domani; la
spesa, me la portano a casa.
La dislocazione a destra è stata molto studiata per capire a cosa serve, e una delle cose che si è detto è che a
volte la dislocazione a destra ha una funzione di spiegare meglio che cosa si vuole dire, è una specie di glossa
esplicativa (auto-correzione, ripenso a quello che ho detto, voglio correggerlo o precisare), quindi è una sorta
di aggiunta a posteriori a differenza della dislocazione a sinistra. Se io dico: “diglielo chiaramente, a Marta,
che hai sbagliato”, qui c’è una sorta di aggiunta, cioè dal contesto può essere chiaro che mi stia riferendo a
Marta, ma lo voglio precisare.
Un altro modo per fare la frase marcata, quindi diversa dal tipo canonico SVO, è quello che in latino si chiama
nominativus pendens ed è conosciuto come “tema sospeso”. Il tema sospeso è molto facile da individuare,
perché l’elemento anteposto non è collegato al resto della frase da nessun elemento sintattico, detto in
termini pratici manca la preposizione di collegamento. Se dico per esempio “nessuno si sente di contraddire
Giovanni”, Giovanni è sospeso, “nessuno se la sente di contraddirlo”, è come se fosse bloccato lì all’inizio
della Frase senza alcun elemento sintattico che lo collega al resto. “Avevano chiesto un prestito, a Maria”,
(“a Maria” qui non è DOM, è complemento di termine); “Maria, le avevano chiesto un prestito”: in quest’
ultima frase manca la preposizione “a”, ecco perché si chiama “nominativus pendens”, perché è come se
fosse sospeso sintatticamente senza l’elemento che lo collega al resto della frase.
FRASE SCISSA
• Scopo di una frase scissa è quello di evidenziare il focus della frase, ovvero il punto di maggior salienza
comunicativa (è X che…).
• La seconda parte ha tipicamente valore di presupposizione.
• È Giovanni che vuole avere sempre ragione
• Sono i guai che non vengono mai da soli
• E’ stata la pioggia, a causare questi disastri
È da quando ha iniziato a piangere che non lo sopporto
Questo elemento ha sempre valore tematico, è sempre tema, quindi è un elemento noto. Anche questo è un
fenomeno della lingua parlata. L’ultimo di questi costrutti che andiamo a vedere è la cosiddetta frase scissa.
La frase scissa è molto facile da individuare, perché corrisponde ad uno schema de tipo “X-che”, esempio “è
Giovanni, che ho visto”, quindi è “x che ho visto”. Che cosa vogliamo dire con la frase scissa? qua entriamo
in un altro campo che è quello del “focus”, cioè io voglio mettere in focus, in risalto, un elemento della frase,
spesso con valore contrastivo, cioè per metterlo in opposizione ad un altro elemento virtualmente presente
nell’universo del discorso. Se io dico “ho visto Giovanni”, vuol dire che ho visto Giovanni e basta, ma se dico
a qualcuno “è Giovanni, che ho visto”, vuol dire che qua stiamo dibattendo su chi ho visto, come se dicessi
“guarda non è Marco che ho visto, è Giovanni che ho visto”. La frase scissasi individua con molta facilità come
già detto, perché è in un costrutto fisso del tipo “x che”.
Questi tre: dislocazione a destra e sinistra, nominativus pendens e frase scissa, sono ordini che si chiamano
marcati e si differenziano dall’ordine canonico perché sono tutti finalizzati ad un preciso scopo comunicativo,
che è quello di messa in rilievo di un elemento che viene spostato dalla sua posizione abituale, proprio per
dargli un particolare risalto. Quindi in conclusione è possibile invertire l’ordine della frase, ma
tendenzialmente si fa per scopi pragmatici, cioè per una funzione di comunicazione precisa. Quindi quando
in italiano parliamo di SVO sottintendiamo l’ordine non marcato, tutti questi che invece abbiamo visto sono
costrutti marcati e dobbiamo sempre capirne la ragione.
TRASCRIZIONE FONETICA
19. L’avverbio latino MODO ‘solo, soltanto; ora, adesso’ in La risposta corretta è:
calabrese centro-meridionale diventa complementatore grammaticalizzazione. Questo è un
(mu, u, mi, i, ma) che introduce vari tipi di frasi elemento del lessico che diventa
subordinate, cfr. ad es. Stilo (Reggio Calabria) vularrìa u complemetatore, quindi grammaticale.
sacciu ki ffai ‘vorrei sapere che fai’ (u < MODO). Quale Tra l’altro la perdita dell’infinito (“vorrei
fenomeno illustra questo esempio). che so”, invece di “vorrei sapere”) è un
B. grammaticalizzazione balcanismo, cioè uno dei tipici fenomeni
della lega balcanica.
Una breve introduzione alla prossima domanda: diciamo che i creoli sono delle lingue miste, che nascono
soprattutto durante il periodo della colonizzazione e nella fascia equatoriale, quando le lingue dei grandi
paesi colonizzatori hanno occupato queste aree, che hanno una sorta di mistione tra la lingua indigena e la
lingua europea, detta lingua lessificatrice, perché è la lingua che regola il lessico. Nella prima fase di
formazione queste lingue sono molto limitate arealmente, sono lingue miste che nascono soprattutto per
bisogni di comunicazione immediata. Se il pidgin fa strada, diventa un creolo e diventa la madre lingua di
queste popolazioni.
22. Nel creolo della Guadalupe, la forma lisye deriva dal La risposta corretta è B: rianalisi.
francese les chiens ‘i cani’. Quale fenomeno illustra questo Perchè la forma che in francese è
esempio da un punto di vista morfologico? composta da articolo+nome è
B. rianalisi stata rianalizzata come un
continuum fonico, un’unica parola,
non più segmentata.
25. Quale costrutto sintattico è semplificato dalla frase La risposta corretta è D: frase scissa.
seguente? ‘Sei tu, che hai sempre torto’ “Sei tu (non io)”, c’è un valore di focus
D. frase scissa contrastivo.
26. Cosa hanno in comune questi tre diversi ordini sintattici? SVO, SOV, VSO.
B. il fatto che S precede sempre O
28. Quali dei seguenti gruppi è di tutte lingue del gruppo germanico occidentale?
D. inglese, alto tedesco, basso tedesco, afrikaans, olandese
13. Nel dialetto di Verbicaro (Cosenza) il lat. MEDIU ha dato La risposta corretta è D: un esempio di
[ˈmie̯ndzə] oppure [ˈmjendzə]. Cosa illustra questo metafonesi napoletana causata da “U”.
fenomeno? Abbiamo la “u” finale che nel
D. Un esempio di metafonesi napoletana causata da -[u] verbicarese è diventato “sva”, però
prima di diventare “sva” evidentemente
questa “u” ha dittongato la vocale breve
originaria e quindi l’ha trasformato in un
dittongo.
Invece se fosse stata metafonesi sabina,
avremmo avuto una vocale chiusa, cioè
un “e” chiusa.
15. Quanti morfemi derivazionali contiene la parola I morfemi derivazionali sono i morfemi
exfinanziamento? che servono per fare un derivato, quindi
La risposta corretta è 3 sono gli affissi: gli affissi sono “ex”, “ia”,
“ment”. Quindi la risposta corretta è 3.