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Fasi dell’acquisizione di L1

Tutte le lingue si acquisiscono negli stessi tempi e sono ugualmente facili da acquisire. Ad acquisire la
lingua orale tutti i bambini ci mettono gli stessi tempi. Nonostante la scrittura della lingua cinese sia
più difficile, a livello orale un bambino cinese e uno italiano impiegheranno lo stesso tempo per
iniziare a parlare e passeranno attraverso le stesse fasi.

1. Fase prelinguistica

Per lingua intendiamo un sistema di comunicazione, questa fase è prelinguistica in quanto il bambino
non sta ancora comunicando un significato, fa delle prove.
Si può dividere in due momenti:
- Il balbettio è la prima fase e va dagli 0 a circa 6 mesi di vita. Si ha una prova dello strumento
vocale. Il bambino produce suoni inarticolati. Produce anche suoni che non faranno nemmeno
parte della sua lingua obiettivo. Questa fase pare sia presente anche nei bambini sordi in
quanto scollegata da ciò che il bambino sente, dall’input.
- Il balbettio si specializza verso i sei, otto mesi, in quella che viene chiamata la lallazione =
collane di sillabe. Il bambino fa cose tipo la la la. Ancora non sta comunicando un significato. Si
formano sillabe, che sono un principio universale. La sillaba primaria presente in tutte le lingue
è la sillaba consonante-vocale. In questa fase sono tutte uguali, circa tre o quattro. Non sono
più suoni a caso scartati dalla lingua obiettivo, ma i suoni più semplici da articolare. Siccome
l’apparato fonatorio, salvo patologie, è uguale per tutti gli esseri umani, ci sono suoni più facili
da pronunciare a prescindere da quale sarà la lingua obiettivo. E questi suoni più facili sono i
primi che i bambini producono, formando queste collane di sillabe. In questi casi c’è quasi solo
la vocale –a, la più aperta. Le consonanti più frequenti sono le nasali –m e –n; le occlusive
bilabiali –b e –p; le occlusive dentali –t e –d; la –l. Suoni presenti in tutte le lingue del mondo.
Pare che esista una forma di lallazione manuale per i sordi.

2. Fase olofrastica

Detta anche fase della singola parola (12-18 mesi): olofrastica = una frase è composta da una sola
parola, il bambino per il momento non è in grado di mettere insieme le parole, quindi con una sola
parola intende un’intera frase  pappa = ho fame, portami da mangiare. Dal punto di vista fonologico
sono formate da due sillabe consonante-vocale (CVCV) dove la consonante intermedia può essere
interpretata come rafforzata (che noi chiameremmo doppia). Se nella fase precedente avevamo ma ma
ma ma, ora abbiamo –mamma. Inizialmente sono due sillabe uguali formate dagli stessi suoni, quelli
più facili da pronunciare. Dal punto di vista fonologico, siamo passati dalla collana di sillabe, in cui non
comunicavamo un significato, passiamo ad una parola bisillabica. Le prime parole sono tutte
bisillabiche, formate da sillabe uguali (CVCV) e inizialmente usiamo i suoni che erano già presenti nella
lallazione. Poi gradualmente si introducono variazioni, ad esempio a livello di consonante come in –
palla (due consonanti diverse), -babbo (due vocali diverse), poi si iniziano a introdurre anche altri
suoni, come le occlusive velari. Le parole del linguaggio bambinesco sono tutte parole bisillabiche con
questi suoni, dopo la vocale –a (vocale massimamente aperta) vengono introdotte –i e –u, ovvero le
due vocali massimamente chiuse. Poi i gradi intermedi, vari gradi di –e e di –o vengono acquisiti un
po’ più tardi.
Da un punto di vista morfologico, sono in massima parte nomi. Nomi concreti, nomi di persone o
animali o cose presenti nell’universo del bambino. Possono apparire anche qualche verbo (verbi di
azioni quotidiane, azioni visibili come –mangia o -dorme), qualche aggettivo (aggettivi di qualità
visibili come i colori), qualche avverbio (ad esempio –no o –più ) – N, V, A e Avv (il bambino si
concentra sulle parole più cariche di significato a livello semantico, tralascia le parole funzionali). No
articoli, no copule. Per quanto riguarda le forme dei verbi, ci sono forme che vengono apprese prima
delle altre. Una può essere l’infinito, anche se spesso si usa più in altre lingue, ma c’è una fase che non
dura molto anche in italiano che vede l’utilizzo dell’infinito come forma flessa (si può sentire un
bambino che dice –bere). Un’altra forma che compare presto è il participio passato, ovviamente senza
ausiliare, il bambino può dire – rotto o –finito, usato come fosse un aggettivo (considerato in
grammatica la forma aggettivale del verbo). Un’altra ancora è la terza persona singolare, che spesso
coincide con l’imperativo. Spesso i bambini producono queste forme ambigue come –mangia
(ambiguità tra una terza persona singolare e l’imperativo); l’imperativo ovviamente è una forma molto
presente nell’input del bambino, in quanto il genitore si rivolge al bambino con l’imperativo spesso (-
mangia, -vieni, -bevi, ecc.). in molti verbi, soprattutto in quelli della 1° coniugazione, il presente della
terza persona e l’imperativo sono uguali. Inoltre per varie ragioni, la terza persona è considerata la
forma più semplice da imparare.
Le parole che il bambino produce in questa fase sono le cosiddette parole lessicali (associabili ad un
significato). Dal punto di vista semantico invece, si hanno delle iperestensioni e delle ipoestensioni del
significato. Quando siamo in un paese straniero, del quale conosciamo qualcosina della lingua ma non
troppo bene, si tende a estendere quelle poche parole che conosciamo, quindi a fargli coprire più di
quello che sarebbe il loro significato. Il bambino ancora di parole ne conosce poche, quindi attua
un’iperestensione del significato. Spesso quello che il bambino intende con una certa parola non è
detto che sia esattamente quello che intenderemmo noi adulti con la stessa parola. Molto spesso il
bambino vuole intendere di più proprio perché conosce poche parole, quindi le estende. Esempio: un
bambino che chiama “mamma” tutte le persone, in quanto ha inquadrato che “mamma” rappresenta
una figura umana. Oppure un bambino che chiama Bubù il proprio cane (suono onomatopeico),
quando vede un gatto chiama Bubù anche il gatto. Un fenomeno più raro ma che esiste è la
ipoestensione, ovvero quando il bambino intende meno di quello che intenderemmo noi. Per esempio,
un bambino che pensa che Bubù sia il nome proprio del suo cane e quindi quando vede un altro cane
non lo chiama Bubù . Mentre noi magari con Bubù intenderemmo qualsiasi cane, il bambino intende
che si tratta solo del cane con cui ha familiarità. Utilizzare un nome comune come se fosse un nome
proprio. Se mettiamo che il bambino ha una palla che lui chiama palla, se gliene viene data un’altra
diversa, quest’ultima non la chiamerà palla. In questa fase, in cui il bambino usa una parola sola al
posto di una frase, in quanto ancora non è in grado si assemblare le parole, quello che il bambino vuole
significare spesso è diverso da quello che noi possiamo capire.

3. Fase sintattica (o telegrafica)

Fase delle due parole, 20-24 mesi. In questa fase inizia ad emergere la sintassi. Sintassi: parte della
linguistica che si occupa di combinare le parole per formare delle frasi. Quando abbiamo parlato dei
principi della grammatica universale, abbiamo detto che i concetti di soggetto e predicato sono due
principi di GU. Il bambino inizia a mettere insieme due parole che stanno in rapporto di soggetto-
predicato. Dice qualcosa come “mamma bella” (predicato aggettivale) o “mamma dorme” (predicato
verbale). Della mamma si predica che è bella o che dorme. Non ci aspettiamo una produzione come “la
mamma”. Si tratta di un insieme di due parole, ma non stanno in rapporto soggetto-predicato, non
aggiunge nulla in più che dire semplicemente “mamma”. In questa sintassi primaria, in cui è in grado di
mettere insieme solo due parole alla volta, tralascia questi elementi. Anche qui, come nella fase
precedente, abbiamo solo parole lessicali (N, V, A e Avv) e non parole funzionali (articoli, preposizioni,
ausiliari e congiunzioni – Art, P, Aux, C). Il fatto che le parole funzionali siano tralasciate dal bambino è
il motivo per cui questa fase viene chiamata telegrafica. Il linguaggio telegrafico è quello che ricorda il
linguaggio usato in passato quando si scrivevano i telegrammi (per comunicare notizie in maniera
rapida). Si pagava una certa cifra per ciascuna parola, venivano eliminate le parole superflue “morta
zia, funerale domani”. Venivano eliminate quelle meno salienti dal punto di vista del significato. Anche
nel linguaggio pubblicitario è molto usato, negli slogan ad esempio, o nei titoli degli articoli di giornale.
Questa fase la chiamiamo sintattica perché si tratta della prima forma di sintassi che abbiamo, le
produzioni dei bambini non sono più singole parole ma delle vere e proprie frasi, i cui elementi sono
strutturati secondo un rapporto di soggetto-predicato (vengono utilizzate solo le parole lessicali).

I verbi compaiono abbastanza presto, è frequente che il predicato sia verbale. Siccome in italiano
abbiamo un numero elevatissimo di forme verbali, ci chiediamo quali forme il bambino impara per
prima. Ci sono forme che già avevamo trovato nella fase della parola singola.
- Infinito utilizzate per esprimere l’aspetto imperfettivo
- Presente 3° persona singolare
- Participio passato esprime l’aspetto perfettivo
Il bambino per ora non si pone il problema del tempo verbale, di passato ne ha poco, al futuro non ci
pensa, vive in un eterno presente, non pensa alla successione temporale delle azioni. Ciò che interessa
al bambino non è il tempo, ma l’aspetto verbale (principio universale). Aspetto: se un’azione è finita,
conclusa oppure no. Aspetto imperfettivo o perfettivo. Perfettivo: azione perfetta, conclusa, spesso
coincide con il passato, azione conclusa, non più in corso. Aspetto imperfettivo: azione ancora in corso,
non conclusa. Quando suonò il telefono, Mario studiava (è possibile che Mario stia ancora studiando,
non vediamo una fine). Per quanto riguarda il nostro bambino, che ha queste tre forme a disposizione,
a lui non interessa tanto che l’azione sia conclusa, quanto l’aspetto che l’azione ha sul presente. Se dice
“tazza rotta”, non gli interessa che la tazza sia stata rotta nel passato, gli interessa che nel presente
vede il risultato di un avvenimento passato, ovvero che la tazza è rotta. Quindi, l’infinito, il presente o
imperativo sono le forme che usa per esprimere l’aspetto imperfettivo, azione presente, non ancora
conclusa o futura. Mentre l’aspetto perfettivo identifica un’azione finita.
Sono utilizzati di più i verbi all’aspetto imperfettivo, all’aspetto perfettivo il bambino utilizza i verbi
risultativi, quei verbi la cui azione avvenuta nel passato porta un risultato nel presente (azioni
avvenute nel passato ma che hanno un risultato visibile nel presente). Il bambino dirà “tazza rotta”, ma
non “mamma dormita” perché dormire non è un verbo risultativo, quindi il bambino può dire “mamma
dorme” ma non userà il participio, a quel punto dirà “mamma sveglia”. Questo verbo lo utilizza alla
forma imperfettiva. Questi participi passati sciolti, usati come ausiliari, vengono usati come fossero
degli aggettivi (participio passato = forma aggettivale del verbo). Ricapitolando, il participio passato lo
usa per esprimere l’aspetto perfettivo, un’azione conclusa, e con i verbi risultativi. Infinito e presente li
usa per esprimere le azioni in corso, il presente. Il bambino usa quindi i verbi che gli permettono di
esprimere una differenza aspettuale tra aspetto perfettivo e imperfettivo.

Perché usa proprio queste forme morfologiche?


L’infinito è una forma non flessa, non finita, forma semplice. Viene usato in questa fase anche come
verbo principale “bere tutto” (“lo voglio bere tutto”). L’infinito di solito dipende da altri verbi o da
preposizioni. L’imperativo è un modo verbale molto presente nell’input del bambino, ci rivolgiamo ai
bambini usando l’imperativo.
Perché invece viene usata la terza persona del presente? (3 ragioni)
- Questa forma è considerata la forma di default: meno marcata, forma di base. Non per nulla,
anche i verbi impersonali usano la terza singolare (es. piove). Viene chiamata anche “non
persona”. Mentre io e tu sono per forza delle persone, la terza singolare la possiamo usare
anche per le cose, per gli oggetti.
- La terza persona singolare spesso coincide con l’imperativo, quantomeno nei verbi della 1°
coniugazione. L’imperativo è una forma molto presente nell’input del bambino.
- La ragione più convincente di tutte però è che il bambino chiama tutti in terza persona, in
questa fase non usa i pronomi. Sono una classe chiusa (mentre i nomi sono infiniti, posso
inventarne di nuovi), sono elementi funzionali e sono difficili. Il bambino non dice io, dice
“Mimmo mangia”, o può usare un diminutivo del pronome. Una bambina di nome Margherita
potrebbe dire “Ita mangia”. Il bambino non dice tu, dice “Mamma viene”. La terza persona
singolare è completamente coerente con il soggetto che viene scelto.
Queste sono le ragioni per cui la terza persona singolare è la prima forma flessa che emerge. Per un
lungo periodo i bambini si destreggiano tra infinito, terza persona-imperativo e participio passato. Poi
emergeranno la prima persona, la seconda, e le forme verbali più tardi. I nomi anche all’inizio sono
prevalentemente singolari, i nomi plurali emergono dopo. I nomi plurali utilizzati sono gli oggetti che
vanno in coppia, come le scarpe. Margherita diceva anche “chicco dui”, dui viene da due, ma qui non
vuole dire due, ma semplicemente plurale, non vuol dire che ne vuole due, ma che ne vuole più di uno.

Al momento in cui il bambino è in grado di mettere insieme due parole, i parametri di ordine delle
parole sono già fissati. Il bambino dirà “palla verde”, non dirà mai “verde palla”. In italiano l’aggettivo
segue il nome prevalentemente, il parametro dice che il nome precede l’aggettivo, e il bambino questo
lo sa già. Dirà “mangia pappa” e non “pappa mangia”, perché in italiano l’oggetto segue il verbo, mentre
il soggetto lo precede (“mamma dorme”). Quello che non viene acquisito subito è il parametro del
soggetto nullo, il bambino dice frasi come “want milk” (produzione che il bambino non può aver
sentito nell’ambiente). La prima scelta è quella del soggetto nullo, le prime produzioni dei bambini
sono a soggetto nullo. Quando dobbiamo mettere insieme tre elementi (soggetto, verbo, oggetto), dal
momento che ancora il bambino non è in grado di metterne insieme tre, sceglie verbo e soggetto. La
scelta più ovvia per il bambino è quella di fare frasi a soggetto nullo. In seguito, il bambino italiano ad
esempio continuerà così perché capirà che si tratta di una produzione coerente con la sua lingua
obiettivo (si possono lasciare inespressi i soggetti, nella maggior parte dei casi avviene così). Il
bambino inglese capirà che queste frasi non sono coerenti con la grammatica adulta e risetterà il
parametro (fissazione del parametro, risettare il parametro). I parametri relativi all’ordine delle
parole invece sono già settati nella maniera corretta al momento in cui il bambino mette insieme più
parole.

Riassumendo, abbiamo visto le prime tre fasi, poi l’acquisizione continua naturalmente, si passerà a tre
parole e così via. “Latte no caldo”: frase telegrafica, il linguaggio dei bambini spesso è ambiguo per la
mancanza delle parole funzionali. Può voler dire “il latte non è caldo” oppure “non voglio il latte caldo”.

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