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Coesione

La coesione, altro requisito fondamentale del testo assieme alla coerenza, è l’insieme delle
connessioni grammaticali e semantiche che si stabiliscono all’interno di un testo e, in
particolare, connessioni tra un certo elemento linguistico (detto “punto di attacco”, “antecedente”
o “capocatena”) e un altro elemento che nel corso del testo lo riprende una o più volte (detto
“coesivo”, “ripresa” oppure “proforma”). Il punto di attacco, più in particolare, sarà proprio il
referente, ovvero quell’oggetto, quell’elemento extratestuale che vogliamo designare e a cui ci
riferiamo mentre parliamo.
Le connessioni, in particolare, possono essere sia di tipo morfosintattico (come nel caso della
concordanza di numero e genere tra soggetto e verbo e così via), che di tipo interpuntive (infatti,
la punteggiatura evidenzia le relazioni logico-sintattiche tra le componenti interne della frase,
cosicché il suo intento non riprodurre le tonalità e le cadenze del parlato); possono essere, inoltre,
anche ti natura lessicale-semantica.
Tra i coesivi, cioè gli elementi che, nel testo, richiamano il punto di attacco, distinguiamo tra:

 coesivo lessicale (se l’elemento ha un contenuto semantico ricco, come i sostantivi, gli
aggettivi, i verbi e le riformulazioni);
 coesivo non lessicale (se tale elemento ha un contenuto semantico povero, come i
pronomi; esempio: Gli occhiali dove li hai presi? – occhiali è semanticamente ricco e può
funzionare anche da solo, mentre li è un coesivo non lessicale, semanticamente povero e
preso in assoluto non dà un significato vero e proprio);
Abbiamo, inoltre, la differenza tra:

 coesivo nominale (se il punto di attacco, ovvero l’elemento linguistico che il coesivo
richiama, è un sostantivo o un sintagma nominale);
 coesivo testuale (se l’elemento a cui il coesivo rinvia è una frase semplice, un intero
periodo o una porzione del testo).
Infine, a seconda della sua posizione rispetto all’antecedente, un coesivo può essere:

 anaforico, quando viene dopo (maggior parte dei casi);


 cataforico, quando viene prima (casi rari). In questo caso, pertanto, il punto di attacco va
ricercato nel cotesto successivo e, quindi, il sostituto precede (invece di seguire) il
referente testuale: ciò significa che il rinvio cataforico comporta la sospensione
dell’interpretazione del testo.
In caso vi sia una successione di più coesivi che dovessero fare riferimento allo stesso punto di
attacco, tale successione sarà detta catena anaforica (oppure cataforica), che si apre con un
antecedente e che prosegue con coesivi differenti. Prendiamo l’esempio della frase: Il mio gatto è
molto affettuoso. Quando lo chiamo, salta sulla scrivania. In questo caso, sulla base di quanto
detto, il mio gatto sarà il referente del testo e lo andrà ad essere riferito ad esso; quindi, in questo
caso, il mio gatto sarà il punto di attacco e lo un coesivo non lessicale, nominale e, soprattutto,
anaforico, poiché segue l’antecedente. Diversamente sarebbe se la frase fosse scritta come: Il mio
gatto è molto affettuoso. Quando lo chiamo, Felice salta sulla scrivania. In questo caso, il referente
sarà Felice, ovvero il nome del gatto, mentre il mio gatto sarà un coesivo lessicale nominale e
cataforico, così come lo, a differenza del fatto che quest’ultimo sarà non lessicale.
In particolare, tutti gli elementi che si riferiscono allo stesso referente testuale si chiamano
coreferenti. Si parla di riferimento, in particolare, quando si instaura un legame semantico tra
un elemento del testo e il referente stesso, un legame di rinvio per ogni relazione di rimando tra
due elementi di uno stesso testo. Proviamo ad analizzare i coesivi e i referenti di un testo:
Testo 4____ La Bibbia: una biblioteca scritta da migranti. Così qualche mese fa un
gesuita tedesco, Dominik Markl, intitolava un suo articolo sulla rivista “Civiltà cattolica”
(n. 4018). Effettivamente si può concordare con lui che questo testo sacro […] “è una
piccola biblioteca da portare nel bagaglio a mano, scritta da e per migranti”. Non per
nulla essa si apre con una migrazione drammatica.
In questo testo, vi sono elementi che vengono richiamati di continuo e permettono al testo di
mantenere una sua coesione. Tali referenti, ovvero i punti di attacco, sono, quindi, Bibbia,
biblioteca, migranti e Dominik Markl e tutti i coesivi sono anaforici rispetto ad essi (tranne
gesuita tedesco, il quale è cataforico rispetto a Dominik Markl). Infatti, Bibbia è richiamata dai
coesivi lessicali questo testo sacro e da essa; biblioteca, invece viene rinviata per ripetizione da
biblioteca; migranti, oltre che dalla ripetizione migranti, viene richiamato anche dal sintagma di
significato affine migrazione drammatica; per ultimo, Dominik Markl viene ripreso dal coesivo lui e
gesuita tedesco. Tra questi antecedenti, ve ne uno, la Bibbia, che rappresenta il tema del testo,
ovvero l’argomento principale, conosciuto e condiviso tra gli interlocutori, su cui poi si dipana il
resto del testo. A tal proposito, si potrebbe anche affermare che i coreferenti, come una biblioteca,
sono coesivi anaforici rispetto alla Bibbia, sebbene comunque aggiungano informazioni
nuove, rendendo possibile la cosiddetta “progressione tematica del discorso”, cioè il passaggio
da un argomento ad un altro.
In particolare, vi sono diversi tipi di rinvii anaforici. In primo luogo, vi è il rinvio endoforico (dove
“endo” è un prefissoide che indica “dentro”), che richiama ad un antecedente interno al testo:
esempi di esso sono i rinvii anaforici (e in questo caso si dice che il coesivo è “orientato a
sinistra”, in quanto il punto di attacco si troverà prima, e quindi “a sinistra” nella frase, rispetto al
coesivo stesso) e i rinvii cataforici (in questo caso si dice “orientato a destra”, poiché il referente
si troverà a destra rispetto al coesivo). Più comune nel parlato spontaneo, invece, è il rinvio
esoforico (cioè extratestuale); ricordando il significato dei deittici come elementi che ancorano il
testo al contesto, diremo che un rinvio è deittico quando ha bisogno di un ancoraggio esterno,
cioè quando il punto di attacco è extratestuale (esempio: Sono meravigliose, dove le hai prese?
dove le è un coesivo deittico).
Per gestire tutte queste relazioni (cioè rinvii) anaforiche si possono avere due tipi di modi: la
ripetizione e la sostituzione. In particolare, la ripetizione può essere totale o parziale, a
seconda di come venga riprodotto il punto di attacco; nella frase Il serpente corallo comune è
diffuso negli Stati Uniti. Questo serpente presenta una colorazione vistosa. Il morso del serpente
corallo causa la morte, l’antecedente serpente corallo comune viene ripreso sia con una ripetizione
parziale (questo serpente) che con una ripetizione totale di esso. Diversamente, per sostituzione
l’antecedente può essere cambiato nei rinvii con: pronomi (ovvero coesivi non lessicali), cioè con
sostitutivi vuoti che si riempiono di volta in volta del significato dell’antecedente a cui rinviano
(come in Il mio gatto viene quando lo chiamo); proforme (cioè coesivi lessicali), che sono termini
dal significato generale usati come se fossero dei pronomi (ad esempio Marco va a correre tutti
i giorni. La cosa non mi stupisce – in questo caso il sostantivo cosa diventa un pronome del fatto
che Marco vado a correre).
È curioso notare come, in italiano, il termine “antecedente” presenti molti sinonimi: costituente,
elemento o referente testuale, punto di attacco e capocatena. Questo è dovuto al fatto che la
linguistica italiana abbia avuto sempre un approccio maggiormente diacronico, cioè storico,
invece che sincronico: in altri termini, lo studio dell’italiano contemporaneo è relativamente
recente, in quanto l’analisi della lingua italiana è stata sempre trattata da un punto di vista storico.
L’italiano in sé, quindi, è una lingua giovane (basti pensare che prima della Seconda guerra
mondiale compatrioti di diverse regioni a stento si comprendevano), per cui, trovare molti
significanti diversi per uno stesso significato è un qualcosa di comune, proprio per via di tutti gli
arcaismi derivanti dallo studio storico della lingua.
Ad ogni modo, l’antecedente può essere anche un sintagma nominale (Il giovane attaccante subì
un fallo. L’avversario lo aveva atterrato con un calcio), un sintagma verbale (Marco superò
l’avversario con una finta, Giovanni lo fece con un pallonetto), un sintagma aggettivale (Il calcio è
un gioco adatto ai bambini, altri giochi non lo sono), un sintagma preposizionale (La nostra
squadra indossa pantaloncini con le righe laterali: quelli degli avversari sono uguali) oppure
un’intera preposizione.
Vi sono, poi, dei tipi di anafora detti “ellissi del soggetto” e “anafora zero”. Infatti, in italiano,
l’ellissi del soggetto è molto comune, in quanto, se il soggetto del periodo rimane invariato,
esso può essere omesso. Più chiaramente, nella frase Il mio gatto ha sempre fame. Quando sente
il rumore della scatola di croccantini, viene in cucina per mangiarli, il richiamo anaforico è
sottinteso (cioè non è esplicitamente ripetuto il pronome lui) grazie alla marca morfologica (cioè
il genere e il numero) del verbo, come nel caso di viene e di sente, che sono riferiti alla terza
persona del gatto, esplicitata precedentemente. Diversamente, la parte di frase per mangiarli non
richiama in modo diretto nessun soggetto, per cui saremo in caso di anafora zero, cioè un
richiamo anaforico che non rende l’antecedente identificabile. In questi casi, quindi, per
comprendere chi sia il referente, dovremmo ricorrere ad una regola dell’italiano, secondo cui il
soggetto di una subordinata implicita è lo stesso della reggente. Quindi, in conclusione, quando i
richiami anaforici sono impliciti, se i verbi della preposizione sono espliciti, cioè presentano una
marca morfologica, si parla di ellissi del soggetto; se sono impliciti, cioè non si riferiscono a
nessun soggetto, si parla di anafora zero (entrambi sono indicati col simbolo ø).
Questi espedienti dell’anafora zero e dell’ellissi del soggetto rientrano nell’ambito dei rinvii anaforici
per sostituzione pronominale. La sostituzione lessicale (cioè con coesivi lessicali), avviene,
invece, attraverso ripetizioni totali o parziali, oppure per mezzo di sinonimi (sebbene non dal
significato prossimo), iperonimi (cioè un nome di classe generale di cui fa parte il nome da
sostituire; ad esempio, l’iperonimo di rosa è fiore), iponimi (cioè l’inverso degli iperonimi; ad
esempio, l’iponimo di fiore è rosa) ed infine per perifrasi sinonimiche.
Cerchiamo di riconoscere, quindi, antecedente, coesivi e catena anaforica in un testo:

Testo 5____ Quando torniamo in Italia ci iscriviamo Gigi e io all’università, a Bologna.


Affittiamo una stanza con uso cucina da una signora anziana che occupa un’altra
camera sul lato opposto dell’appartamento, fuori Porta Saragozza. Lo stabile è dello
IACIPÌ e la nonna, a rigore, non potrebbe subaffittare visto che la casa l’ha gratis, così
siamo costretti a contrabbandarci per nipotini suoi.
Il primo antecedente, nel testo, nonché anche tema principale, è Gigi e io, ovvero un noi.
Attraverso le marche morfologiche “-iamo” nel verbo torniamo e iscriviamo avremmo ellissi del
soggetto, ovvero richiami cataforici (poiché precedono il soggetto). Sono, invece, coesivi
anaforici per ellissi del soggetto i successivi affittiamo, siamo e contrabbandarci, mentre nipotini è
una sostituzione. Il secondo antecedente è la parola stanza, che nel corso del discorso viene
sostituito da forme iperonimiche, cioè di classe sempre più generale, come stabile, casa e così
via. Inoltre, al secondo antecedente si riferisce anche il coesivo non lessicale la (troncato nel
testo). Terzo referente, invece, è il sintagma signora anziana, la quale viene ripresa per
sostituzione dal sinonimo nonna e dal possessivo suoi. Nel caso di potrebbe e di ha, invece, vi è
ellissi del soggetto.
Coesivi testuali
Vediamo, ora, i coesivi testuali, osservando le loro forme, cioè la loro configurazione linguistica
(ovvero a quali categorie grammaticali appartengono e come si combinano con le altre parti del
discorso) e le loro funzioni.
Occorre introdurre il concetto di incapsulatore, ovvero un elemento linguistico che rinvia a una
porzione di testo più o meno ampia, composta da una o più frasi, per cui è un coesivo testuale.
Esso può essere sia lessicale (sostantivo, aggettivo, sintagma nominale) che non lessicale
(pronome, avverbio). Vediamo, dunque, alcuni esempi in cui ricavare i referenti e gli incapsulatori:

Testo 6____
 I modelli hanno esaminato come le popolazioni potrebbero spostarsi in futuro se le
emissioni di gas serra diminuissero e hanno confrontato questo scenario con
quello che potrebbe accadere se le emissioni continuassero sulla loro traiettoria
attuale.
 Alcune persone dovranno migrare qualunque siano le misure che verranno prese ,
ma questo non deve diventare una crisi.
 Perché un contratto bancario sia valido è sempre necessaria sia la sottoscrizione
che quella del funzionario della banca. Così ha affermato il giudice di prime cure cui
era stata affidata la vicenda.
 Haydée, la bella figlia di un pirata, si innamora di Don Giovanni: ma il padre li
sorprende e fa prigioniero il giovane, imbarcandolo su una delle sue navi. Haydée
ne muore di dolore.
Nell’ultima frase, il referente Hydée viene rispesa dal sintagma la bella figlia, dalla marca
morfologica “-ra” in innamora, per ripetizione totale e, infine, dalla marca morfologica “-re” in
muore. Il secondo referente, cioè pirata, viene ripreso dal coesivo lessicale padre, dalla marca
morfologica del verbo fa e dal possessivo sue. Infine, l’ultimo antecedente è Don Giovanni,
ripreso per sostituzione sinonimica da prigioniero e giovane ed infine dalla marca morfologica
“-lo” in imbarcandolo. In ultima analisi, il ne rappresenterà l’incapsulatore, ovvero il coesivo
testuale che richiama alla parte precedente del testo.
In questi esempi, gli incapsulatori sono anaforici, ma ovviamente tale elemento può essere anche
cataforico, come dimostrato dal seguente testo:

Testo 7____ “A casa di mio fratello c’è anche mia madre”, aveva spiegato Graziano
Mesina. Per la verità̀ , l’anziana madre di “Grazianeddu”, in questi giorni, non si è mai
mossa da Orgosolo. Ed ecco la prima stranezza [incapsulatore anaforico] in questa vicenda.
Ma ne arriva subito una seconda [incapsulatore cataforico]. Proprio giovedì̀ scorso, quando è
stato trasferito a Vercelli, Graziano Mesina avrebbe dovuto presentarsi in un’aula di
Tribunale a Nuoro per deporre come testimone.
Per quanto riguarda la sua funzione, l’incapsulazione contribuisce in modo rilevante alla
strutturazione del testo perlomeno da quattro punti di vista: informativo, sintattico, semantico e
logico-testuale.
Da un punto di vista informativo, l’incapsulatore lessicale, condensando un concetto in una nuova
parola, introduce nel testo un referente testuale nuovo, semanticamente ricco. Inoltre, esso serve
anche a tematizzare il rema della frase precedente e a predisporre l’ingresso di un nuovo rema.
In particolare, il “tema” è l’informazione nota, condivisa da entrambi gli interlocutori, mentre il
“rema” è l’informazione nuova, inedita o a entrambi gli interlocutori o solo ad uno di essi;
nell’esempio C’era una volta un principe. Il principe si chiamava… “il principe” sarà, nella prima
frase, il rema, ovvero un elemento nuovo nel testo, dato che non sapevamo ci fosse prima di
allora, mentre, nella seconda parte del testo, esso sarà tema, poiché oramai è una conoscenza
nota da parte dell’interlocutore. Pertanto, si può evincere che ogni volta che si parla si alterna
sempre, nei propri discorsi, fra rema e tema. Quindi, la funzione di passaggio tra un rema e un
tema può essere svolta anche dalle locuzioni preposizionali come al riguardo/al proposito che,
ovviamente, andranno ad essere degli incapsulatori anaforici.
Da un punto di vista sintattico, l’incapsulatore assume spesso un ruolo sintattico alto, potendo
diventare soggetto (anche se non necessariamente: infatti, può anche diventare un
complemento, continuando, tuttavia, ad avere un ruolo sintattico alto) delle frasi successive a
quella di riferimento, come nell’esempio: due auto si sono scontrate frontalmente sulla statale 460.
Lo schianto è avvenuto intorno all’una, dove lo schianto, che incapsula la frase precedente, sarà il
soggetto della quasi successiva.
Da un punto di vista semantico, invece, l’incapsulatore, quando lessicale, introduce un nuovo
referente testuale, portatore di nuovi valori semantici, che possono essere: neutri e denotativi,
con il ricorso a parole dal significato generico o dal valore referenziale come cosa, idea, situazione
e così via; valutativi e connotativi, se ricorrono aggettivi o sostantivi che esprimono una forma di
giudizio o una particolare sfumatura di significato. Pertanto, l’incapsulazione connotativa è molto
frequente nella conversazione quotidiana, così come nella saggistica e nella scrittura giornalistica,
sia per orientare l’opinione del lettore, sia per sintetizzare più facilmente le informazioni.
Da un punto di vista logico-testuale, all’interno di un testo, le connessioni logico-semantiche
che correlano le sue parti sono espresse dai connettivi, alcuni dei quali presentano, al loro
interno, degli incapsulatori. Degli esempi possono essere i connettivi di valore: causale (che
possono essere lessicali e non lessicali: per questo, per quello, a causa di); concessivo (perlopiù
non lessicali: ciò nonostante, nonostante ciò); conclusivo (perlopiù non lessicale: con ciò, con
questo, pertanto, perciò); condizionale (sia lessicali che non: ammesso ciò, nell’ipotesi che, a
condizione/patto che); consecutivo (sia lessicali che non: così che, motivo per cui); finale
(perlopiù lessicali: al fine di, allo scopo di, con l’intenzione di). Tali incapsulatori-connettivi sono,
pertanto, risorse che consentono alla relazione logico-semantica di emergere in modo più esplicito.
Inoltre, incapsulatori-connettivi come quelli citati possono contribuire alla coesione del testo anche
tramite la tematizzazione di un determinato rema, come nel testo:

Testo 8____ Però occorre che sulle rotaie, fra i due deviatori, si stabilisca il contatto:
basta una leggerissima patina di ghiaccio e il dispositivo non funziona. È per questo
[incapsulatore-connettivo causale] che liberare semplicemente dalla neve gli scambi non basta.
Coesivi nominali
Quando l’elemento richiamato non consiste in una o più frasi, o segmenti più ampi, di un testo,
ma, bensì, in un sostantivo o in un sintagma nominale (così come anche un pronome, un
aggettivo o avverbio) abbiamo un coesivo nominale.
In particolare, dato, ad esempio, l’antecedente medicinale, potremmo richiamare questo punto di
attacco tramite i seguenti coesivi nominali lessicali: medicinale (una semplice “ripetizione”);
rimedio (termine semanticamente più ampio rispetto a medicinale, cioè “iperonimo”); antipiretico
(significa “farmaco contro la febbre” ed è, pertanto, “iponimo”, ovvero semanticamente più ristretto
di medicinale); farmaco (semanticamente coincide con medicinale ed è, pertanto, “sinonimo”);
sostanza dotata di virtù terapeutiche (espressione semanticamente più ricca di medicinale e,
pertanto, una “riformulazione”).
Oltre a queste, sono possibili relazioni semantiche anche di tipo diverso, fondate
sull’opposizione più o meno graduabile tra i significati (detta “antonimia”), sulla relazione
parte-tutto (detta “meronimia”) oppure sulla metonimia (cioè fondate sulla sostituzione di un
termine con un altro che ha con il primo una relazione di vicinanza). Un esempio di quest’ultima
possono essere i verbi assumere, ingerire o somministrare, i quali si riferiscono all’antecedente
medicinale grazie ad un rapporto logico di associazione (in questo caso si parla di “anafora
associativa”).
Tuttavia, sebbene i coesivi lessicali giochino un ruolo assolutamente decisivo ai fini della coesione
di un testo, sono pressoché irrinunciabili anche i coesivi non lessicali, quali i pronomi, gli
aggettivi e l’ellissi. Ma coesivi lessicali e non lessicali, nel corso del testo, si alternano fra di loro, a
seconda delle diverse loro funzioni informative, sintattiche, semantiche e testuali. Esaminiamo,
pertanto, un testo dal punto di vista dei coesivi, segnalando anche antecedenti e catene foriche
e specificando, per ogni forma di ripresa, il tipo di coesivo:

Testo 9____ Torna alla ribalta l’interferone [1], la “magica” medicina [1a] che qualche
anno fa sollevò speranze [2] miracolistiche, poi duramente ridimensionate. Ne [1b]
parlano da ieri oltre duecento scienziati [3] provenienti da tutto il mondo, Giappone e
Stati Uniti compresi, riuniti presso l’Istituto superiore di sanità in un convegno, promosso
dalla Società internazionale per le ricerche sull’interferone, che durerà fino a sabato
prossimo. Nomi famosi, illustri biochimici e clinici e ricercatori [3a] che da dieci o venti anni
lavorano nei loro laboratori [3b] ø per scoprire i segreti di questa minuscola proteina [1c] a
cui, secondo molti, sarebbe affidato il futuro della nostra salute. La scienza [3c] non ama i
miracoli e perciò ha ridimensionato le speranze [2a] accese un po’ prematuramente
dall’interferone [1d], che si pensava potesse curare tutto. Dopo i risultati negativi dei primi
approcci, si era diffuso nel mondo scientifico [3d] un certo scetticismo sulle possibilità
terapeutiche di questo farmaco [1e]: ma a mano a mano che sulle proprietà dell’interferone
[1f] si va facendo luce[...], sembra sempre più sicuro che proprio lui [1g] sarà un
protagonista del nostro futuro sanitario [4]: lo [4a] dimostra se non altro il fatto che
grandi industrie farmaceutiche [5] stanno accentuando il loro interesse sulle ricerche in
corso, e che proprio nei giorni scorsi una casa produttrice italiana [5a] ha lanciato il primo
interferone “tutto italiano” [1h], destinato a sconfiggere l’herpes. L’interferone [1i] non è un
prodotto di sintesi [1l]: lo [1m] produciamo anche noi, quando le cellule del nostro
organismo vengono attaccate da un virus. [...] Da ciò le speranze [2b] originarie, che
fecero pensare per qualche tempo che l’interferone [1n] fosse una panacea contro ogni
male [6]: anche, anzi in primo luogo, contro i tumori [6a]. Si pensava infatti che
intervenendo nei meccanismi di riproduzione delle cellule tralignanti [6b], lo [6c] si ø
potesse bloccare. Speranze [2c] che purtroppo, per ora, sembrano ancora lontane dal
realizzarsi. [...] Sabato prossimo verranno presentati alcuni promettenti risultati [2d], che
consentirebbero finalmente a questa preziosa proteina [1o] di ø divenire veramente il
“farmaco del futuro” [1p].
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I catena forica <-> Referente: INTERFERONE
1. la “magica” medicina = lessicale, riformulazione, connotativo;
2. ne = non lessicale, pronome;
3. questa minuscola proteina = lessicale, sostituzione iperonimica (iponimica rispetto a medicina),
connotativo;
4. interferone = lessicale, ripetizione totale;
5. questo farmaco = lessicale, sostituzione iperonimica (sinonimica rispetto a medicina);
6. interferone = lessicale, ripetizione totale;
7. lui = non lessicale, pronome;
8. interferone “tutto italiano” = lessicale, ripetizione totale con aggiunta di aggettivi connotativi;
9. interferone = lessicale, ripetizione totale;
10. prodotto di sintesi = lessicale, riformulazione;
11. lo = non lessicale, pronome;
12. interferone = lessicale, ripetizione totale;
13. questa preziosa proteina = lessicale, riformulazione con sostituzione iperonimica, connotativo;
14. “farmaco del futuro” = lessicale, riformulazione con sostituzione iperonimica, connotativo (per via
delle virgolette).

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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II catena forica <-> Referente: speranze
1. speranze = lessicale, ripetizione totale;
2. speranze = lessicale, ripetizione totale;
3. Speranze = lessicale, ripetizione totale;
4. promettenti risultati = lessicale, riformulazione.

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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III catena forica <-> Referente: convegno
Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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IV catena forica <-> Referente: duecento scienziati


1. Nomi famosi, illustri biochimici e clinici e ricercatori = lessicale, sostituzione iponimica;
2. loro = non lessicale, pronome;
3. La scienza = lessicale, anafora associativa;
4. metodo scientifico = lessicale, anafora associativa;

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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V catena forica <-> Referente: nostro futuro sanitario
1. lo = non lessicale, pronome incapsulatore.

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VI catena forica <-> Referente: grandi industrie farmaceutiche


1. casa produttrice italiana = lessicale, sostituzione iponima.

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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VII catena forica <-> Referente: ogni male


1. tumori = lessicale, sostituzione iponima;
2. cellule tralignanti = lessicale, sostituzione iponima (riformulazione rispetto a tumori);
3. lo = non lessicale, pronome.

Marche morfologiche espresse con sottolineature e anafore zero riferite all’antecedente con simbolo ø.

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Inoltre, si può notare come, nel testo, alcune catene anaforiche e alcune espressioni proseguono
per alcune righe, per poi interrompersi e avvicendarsi con altre e che, alcune di queste,
introdotte all’inizio, possono tacere per diverso spazio e ricomparire alla fine, soprattutto se si
tratta di elementi connotativi; del resto, l’inizio e la fine di un articolo di giornale sono i momenti
testuali che più da vicino chiamano in causa il lettore, sollecitandolo anche emotivamente, più o
meno come avviene in una lettera, con formule allocutive in apertura e quelle di congedo in
chiusura.
Ad ogni modo, varrà la pena di ricordare anche usi particolari e caratteristici di alcune varietà
dell’italiano che riguardano tali coesivi nominali. Ad esempio, nell’italiano letterario, gli avverbi di
luogo quivi, indi, ivi non hanno valore deittico (come qui e lì), ma bensì anaforico, perché
rimandano a luoghi citati in precedenza nel testo. Inoltre, anche nella prassi della scrittura
accademica (come in tesi di dottorato e di laura), per i riferimenti bibliografici usati nelle note o
nel corpo del testo, sono usate espressioni abbreviate che rinviano al testo medesimo, come le
formule infra (per rimandare ad una nota che segue) o ivi (per riferirsi all’ultima opera bibliografica
citata nel contesto precedente).
Per quanto concerne le funzioni dei coesivi nominali, analogamente a quanto spiegato per gli
incapsulatori, anche essi contribuiscono alla strutturazione del testo, almeno in alcuni dei punti di
vista precedentemente osservati per i coesivi testuali.
Infatti, da un punto di vista informativo, un coesivo nominale lessicale è una risorsa molto utile
per tematizzare il rema precedente, eventualmente con un’espressione connotata, come può
essere nell’esempio Torna alla ribalta l’interferone, la “magica” medicina…, dove l’interferone
rappresenterà il rema, cioè l’informazione nuova ed espressa denotativamente, mentre “magica”
medicina il tema, riformulando il rema connotativamente. Da un punto di vista sintattico, invece,
la scelta del coesivo nominale può determinare la chiarezza comunicativa del testo, giacché esso
può ricoprire il ruolo di soggetto quando, ad esempio, l’antecedente è un complemento indiretto
o si trova all’interno di un sintagma nominale complesso.
Coesivi e relazioni semantiche
Da quanto abbiamo visto finora, i coesivi stabiliscono tra le parole e le frasi, all’interno di un testo,
importanti relazioni semantiche, cioè di significato, che contribuiscono in modo molto importante
a determinare il senso di un singolo passo o, anche, dell’intero testo. Per far ciò, essi agiscono in
almeno quattro modi diversi:

 creando relazioni tra le frasi: infatti, le relazioni logico-sintattiche possono agire non
tanto a livello lessicale, cioè tra le parole, quanto a livello frasale, risultando meno “visibili”,
ma avendo comunque un ruolo attivo sui rapporti semantici del testo;
 assumendo valore di denotazione o connotazione: infatti, mentre i coesivi non lessicali
sono, di norma, solo denotativi (in quanto instaurano un legale solo grammaticale e non
anche semantico col resto del testo), i coesivi lessicali possono essere, invece, sia
denotativi che connotativi ed introdurre, in quest’ultimo caso, una sfumatura
particolare, che nei vocabolari dell’uso troviamo tipicamente segnalata come colloquiale,
enfatica, da evitare, eufemistica e così via. Pertanto, se la scelta delle parole va compiuta
sempre con grande prudenza e oculatezza, ciò vale anche per quelle parole che fungono
da coesivo, in quanto, riprendendo il già detto, possono reinterpretarlo secondo una
nuova luce. Quest’ultimo concetto vale, soprattutto, per quella parte di lessico suscettibile
di sinonimia, giacché la perfetta intercambialità tra parole è garantita solo molto
raramente: ad esempio, si può vedere come ammonizione, appunto, critica, osservazione e
altre ancora, sussistano sì su aree semantiche contigue ma che non sono, però,
perfettamente coincidenti né denotativamente né connotativamente (tant’è che si parla, a
tal proposito, di “sinonimia relativa” o di “quasi sinonimia”). Questa imperfetta
sovrapponibilità può valere, del resto, anche per termini meramente denotativi, oltre che
per tutti i tipi di coesivi lessicali, come l’iperonimia o la sinonimia, comprendendo persino la
ripetizione che, in determinati contesti (specialmente quelli dialogati), può dotarsi di
sfumature particolari.
Infine, vediamo che anche i coesivi non lessicali sono passabili, delle volte, di valori
connotativi, come nell’esempio sembra sempre più che proprio lui sarà un protagonista
del nostro futuro sanitario, dove il pronome lui si riferisce a interferone. In questo caso, la
scelta del rinvio, sebbene non lessicale, non è neutra, ma stilisticamente marcata, perché
lui viene usato per personificare l’inanimato interferone, proiettandolo nella dimensione
mitica di molta divulgazione scientifica.
 Constatato, quindi, che coesivi lessicali perfettamente intercambiabili l’un l’altro non
esistono, ci si può condurre ad un’altra considerazione, ancora relativa alla
sovrapponibilità tra antecedente e coesivo. In particolare, nell’esempio Carlo ha dieci
anni. È un bambino molto ubbidiente, il capocatena sarà Carlo. Tuttavia, la parola bambino,
oltre che ad essere una forma sostitutiva di Carlo, è anche coreferente, in quanto tale
coesivo lessicale va a richiamarsi direttamente al referente reale di Carlo. In tal senso,
quindi, la coreferenza si riferisce solo ai coesivi lessicali. Infatti, nella frase Lo prendo
spesso in braccio: il mio gatto è proprio simpatico, l’antecedente sarà il mio gatto, ma la
frase non presenterà un coreferente, cioè un coesivo che richiami direttamente il referente
reale. Pertanto, per i coesivi non lessicali parliamo di non coreferenza. Oltre a questi, è
possibile parlare anche di coreferenza parziale, che si ha quando l’elemento linguistico di
ripresa rinvia a una parte dell’insieme che l’antecedente esprime.
 In ultima analisi, bisogna considerare che i coesivi portano avanti anche la continuità
semantica; in particolare, ciò che porta avanti il testo, cioè che conduce da un tema ad un
altro, sono proprio i legami non coreferenti, come possono essere le anafore associative.
È importante, tra le relazioni semantiche, ricordare il vincolo di solidarietà che si instaura fra i
diversi coesivi: le parole, in un testo coerente e coeso, tendono a solidarizzare. Infatti, negli
esempi Luigi ha vinto il concorso. Era stato ammesso un anno fa e Luigi ha vinto il concorso. Era
stato bandito un anno fa. noi comprendiamo che, nel primo caso, il soggetto della seconda frase
non può che essere Luigi, giacché il verbo ammesso può riferirsi solo a lui e non ad altri elementi;
nel secondo periodo, invece, bandito non può che riferirsi a concorso, rendendolo il soggetto della
seconda frase. Pertanto, potremmo dire che il vincolo di solidarietà tra le parole determina un
sistema di attese nel ricevente che, ascoltato il primo elemento della collocazione, si aspetta che
sia seguito da un solo termine.
Questa solidarietà tra le parole può anche chiamarsi collocazione: più nello specifico, esse sono
sequenze di parole che si presentano stabilmente in combinazione tra loro (ad esempio, si dice
sempre discutere animatamente, non discutere fortemente o rumorosamente e così via). Pertanto,
le collocazioni sono parole che, per convenzione, necessitano di presentarsi assieme,
formando un vero e proprio costrutto rigido. Tra esse, inoltre, possiamo ritrovare collocazioni
lessicali, cioè formate da due parole semanticamente piene (come in battere un record, bandire
un concorso, ecc.), oppure grammaticali, cioè formati da una parola semanticamente piena ed
una vuota (come in innamorarsi di, sicuro di, ecc.).
Coesivi forti e coesivi deboli
Per comprendere, di volta in volta, quale sia il coesivo migliore da inserire nel testo, bisogna
osservare le condizioni sintattiche, testuali, semantiche e informative che caratterizzano il
particolare contesto che ospiterà il coesivo.
In linea di massima, un coesivo è debole (cioè semanticamente “povero”, come i pronomi),
quando l’antecedente presenta un ruolo alto dal punto di vista sintattico (cioè se è un
soggetto), dal punto di vista semantico (cioè se è “umano” o comunque “animato””) e dal punto
di vista informativo (cioè se esso è già dato e non è nuovo). Più ci si allontana da queste
condizioni e ci si avvicina a quelle opposte (cioè se l’antecedente è un complemento, inanimato e
nuovo), più si tenderà a preferire l’uso di coesivi forti, cioè semanticamente “ricchi”.
Partendo dai coesivi più deboli, vi è in primo luogo l’ellissi. In particolare, quando il soggetto della
frase subordinata è coreferente con il soggetto della frase reggente (cioè si rinvia al soggetto della
reggente), l’ellissi è obbligata, se la frase subordinata è implicita, cioè ha verbi impliciti, mentre è
facoltativa, ma tendenzialmente preferita, se la frase subordinata è esplicita (in quest’ultimo
caso, la coreferenza dei due soggetti è segnalata dall’accordo verbale di numero e genere). Come
l’ellissi, hanno la funzione di semplici marche grammaticali, cioè che non veicolano altre
informazioni, anche i pronomi relativi e i pronomi personali complemento mi, ti, ci, vi, lo, la e
così via.
Inoltre, a sostituzione dei pronomi personali si possono avere i dimostrativi costui, costei e
costoro, in funzione sia di soggetto che di complemento. Un uso analogo a costui ha poi questi,
però solo se riferito ad un soggetto maschile “umano”, come nell’esempio Mazzini stesso non era
restio a concedere il proprio appoggio a Carlo Alberto, purché questi si dichiarasse apertamente
contro l’Austria. Per il resto, invece, i dimostrativi questo, questa e questi si prestano poco a
sostituire un referente “umano”, mentre sono del tutto abituali con referente “non umano”.
Sempre tra i pronomi dimostrativi, può venire in aiuto anche quest’ultimo, il quale può essere
preferito, oltre che per ragioni sintattiche, anche per ragione di stile, al posto di questo/questa,
poiché perlopiù inadatti se riferiti a persone, o anche al posto di costui/costei, in quanto
tendenzialmente formali. D’altro canto, quest’ultimo può avere anche un valore disambiguante.
A metà tra coesivi deboli e forti vi sono poi i pronomi personali soggetto; infatti, il referente
“umano” presenta ben tre modalità di ripresa: egli, lui, esso. Dal punto di vista testuale, egli (solo
di rado, in contesti altamente formali, ella) presenta valore quasi sempre anaforico ed è possibile
trovarlo anche con un antecedente astratto o indefinito, come in Ciascuno ha il dovere di
considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto, dove egli stesso rinvia a ciascuno, il
referente. Tra questi pronomi non sono, tuttavia, molto usate le forme al singolare esso ed essa, in
quanto sono preferibili altre soluzioni, mentre invece è corrente il plurale essi, sia in funzione di
soggetto che di complemento.
Molto vicini ai coesivi forti sono i sintagmi nominali definiti, ovvero sintagmi nominali che
possono corredarsi di aggettivi e comparire come rinvii con valore di sinonimo, iperonimo,
iponimo o di riformulazione. Alcuni esempi possono essere: Il Giappone mostra maggiore
comprensione per le inquietudini di Washington: questa sua premura lo sottrae delle incalzanti
pressioni (in questo caso il sintagma nominale questa sua premura è un dimostrativo unito ad un
possessivo); L’azienda californiana attraversa un periodo assai difficile. La società ha corso molto
in borsa (il coesivo società è un sinonimo dell’antecedente). Ma questa scelta del vocabolo o
dell’espressione sostitutiva dipende spesso dalla varantio, ovvero dal desiderio di trovare
soluzioni espressive diversificate per esprimere lo stesso referente, come avviene tipicamente
nei contesti narrativi, oppure anche per poter fornire al lettore una particolare interpretazione e
lettura di quanto enunciato. Ad ogni modo, anche la ripetizione può essere una soluzione adatta e
addirittura necessaria, nel caso di termini tecnico-specialistici, che, per loro natura, sono
monosemici, cioè non sostituibili con espressioni equivalenti. Infine, i più forti tra i coesivi sono i
sintagmi nominali indefiniti, ovvero elementi nuovi introdotti nel corso del corso, i quali sono
eventualmente ripresi da anafore successive.
Costrutti marcati
In italiano, la posizione degli elementi della frase ha meno restrizioni che in altre lingue. In
particolare, l’ordine cosiddetto “di base”, non marcato, è dato dalla sequenza SVO, ovvero
soggetto + verbo + oggetto (cioè complemento sia diretto che indiretto), come in Luca studia la
lezione o Anna risponde a Gianni.
Al contrario, il latino, che aveva un ordine SOV, possedeva maggiori possibilità di spostamento
degli elementi, data la presenza di desinenze con funzione sintattica, le quali esprimevano i
casi: ad esempio, la frase all’accusativo Claudius epistulam mittit (“Claudio invia una lettera”)
sarebbe riconoscibile anche se essa fosse ordinata diversamente, ovvero epistulam Claudius
mittit. Con la perdita dei casi, tuttavia, la posizione dei costituenti nella frase è diventata cruciale
per l’indicazione dei ruoli sintattici e, infatti, Mario vede Paolo e Paolo vede Mario sono due frasi
quasi simili, con il soggetto che occupa normalmente la prima posizione (o comunque una
posizione preverbale), ma hanno significato diverso tra loro.
Ad ogni modo, l’ordine SVO in italiano non è obbligatorio. Ricordiamo, allora, che per tema si
intende l’informazione data, ciò che è noto al lettore, mentre per rema ci si riferisce
all’informazione nuova, inedita, che viene data. Dunque, la sequenza SVO realizza una
successione logica che mette in primo piano l’elemento conosciuto, cioè il tema (detto anche
topic), a cui fa seguito ciò che si predica di nuovo, ovvero il rema (detto anche comment oppure
focus). Quindi, spostando un elemento dell’ordine basico SVO si produce un cambiamento non
solo sintattico, ma anche delle informazioni, ovvero del rapporto dato-nuovo, tema-rema; questi,
d’altronde, sono fondamentali per la successione di elementi noti e nuovi, in una distribuzione che
è anche detta come “progressione tematica”.
Pertanto, mentre nel parlato, per evidenziare (marcare) un elemento, è sufficiente ricorrere a
strategie prosodiche come l’alzare il tono di voce, nello scritto è necessario avvalersi di
strategie sintattiche di spostamento dell’ordine SVO dei costituenti: in questo senso, si dice
costrutto marcato una frase o un enunciato in cui la disposizione dei costituenti modifica
l’ordine basico delle parole, al fine di garantire una particolare sfumatura al testo. Vediamo,
dunque, quanti tipi di costrutti marcati possono esservi e che tipo di ruolo essi svolgono nella
concatenazione delle informazioni.
In primo luogo, vi è la dislocazione a destra o a sinistra, a seconda di dove si trova il tema,
ovvero l’elemento noto, nella frase. In particolare, nella dislocazione a sinistra un elemento della
frase (nella maggior parte dei casi il complemento), diverso dal soggetto, va ad occupare la
posizione iniziale, acquistando rilievo e fungendo da tema, cioè venendo tematizzato (mentre il
complemento normalmente è rema nell’ordine SVO). Esempi di dislocazione a sinistra possono
essere Il libro lo compro domani o anche A Maria le parlo più tardi. In questi casi, il rinvio
all’elemento dislocato avviene tramite i pronomi anaforici lo, la o anche le particelle pronominali
ci, ne e così via.
Nella dislocazione (o focalizzazione) a destra, invece, l’elemento noto (tema) è collocato a
destra, dalla parte opposta di una frase costruita con un ordine rema-tema. In questo caso,
quindi, il pronome che riprende l’elemento dislocato è cataforico, in quanto lo anticipa; d’altronde,
in questo tipo di costrutto il tema è ripetuto in una sorta di aggiunta di frase, spesso reso nello
scritto con una virgola, dando un’enfasi diversa al testo e prevedendo una pausa prima
dell’elemento tematizzato. Inoltre, c’è da dire che la dislocazione a destra si connota per la
maggiore informalità, nonché per essere più frequente nelle frasi interrogative. Esempi sono Lo
compro, il libro o anche Ce l’hai il biglietto?
Un altro tipo di costrutto marcato è quello della frase scissa. Infatti, la messa in evidenza di un
elemento attraverso la sua emarginazione dal resto della frase può arrivare fino alla scissione
della frase in due parti. In particolare, le frasi scisse sono costituite da due unità frasali, una
principale ed una subordinata, e focalizzano un costituente (cioè uno dei due elementi scissi)
attraverso un’operazione di messa in rilievo (appunto, di focalizzazione). Generalmente, in tale
scissione, la prima parte della frase, in cui viene affermata l’informazione nuova (cioè il rema), è
costituita da un’enunciazione contenente il verbo essere + l’elemento da risaltare, mentre la
seconda parte della frase, che esprime il tema, è costituita da una pseudorelativa introdotta da
che + verbo (in particolare, “pseudorelativa” si riferisce al fatto che il che è polivalente, cioè può
avere più valori). Grazie a questa strategia sintattica, quindi, si può dare un maggiore rilievo al
rema della frase, basti pensare alla differenza del messaggio veicolato dalla frase scissa Erano i
tuoi vicini che si lamentavano e della non scissa I tuoi vicini si lamentavano.
Anche il passivo è una forma di costrutto marcato, il quale permette di trasformare il rema di una
frase in tema di una frase successiva, tenendo fermo sempre lo stesso tema e aggiungendo di
volta in volta un rema diverso, nuovo. Un esempio può essere Il risultato di questa costruzione è
detto “modello standard”. Il modello standard, messo a punto negli anni Settanta, è stato
confermato da esperimenti. Tuttavia, il modello standard è ancora preso poco sul serio. In questo
caso, attraverso il passivo, il rema della prima frase viene tematizzato nelle successive, entrambe
al passivo. La forma attiva, d’altronde, avrebbe creato un disallineamento forte tra tema e rema,
sebbene però tale scrittura sia presente in molti testi scientifici.
Un altro costrutto marcato è dato dalla anteposizione anaforica: in essa, in particolare, vi è una
sequenza SVO invertita, formata da complemento oggetto, verbo e soggetto, per cui vi è una
anteposizione del complemento oggetto dovuta a ragioni di progressione tematica, ovvero di
passaggio dal tema (complemento oggetto), che viene collocato in apertura per riagganciarsi a
quanto precede, al rema, che viene, quindi, posticipato. In alternativa, questa funzione potrebbe
essere garantita anche dalla dislocazione a sinistra e dalla frase al passivo.
La coesione può essere mantenuta anche da una frase subordinata + verbo + soggetto, come
nell’esempio Ad accelerare le decisioni dei sovrani italiani avevano contribuito le notizie della
rivoluzione parigina. In questo caso, la frase subordinata Ad accelerare le decisioni, che dovrebbe
essere posta dopo, viene anticipata e si ritrova ad essere anche il complemento oggetto del
periodo. Quindi, l’ordine tipico della frase/periodo viene stravolto, come in tutti i costrutti marcati.
Vi sono, infine, come strumenti di coesione, anche le frasi copulative con soggetto nuovo
postverbale, ovvero frasi in cui il soggetto, rematico e nuovo, è posto dopo il verbo e segue un
elemento tematico e dato, come in Comune era la cultura di base che li aveva allevati, dove
cultura di base è il soggetto nuovo posto dopo il verbo essere e dopo anche l’elemento dato,
ovvero l’aggettivo Comune. Va notato, inoltre, anche il costrutto marcato del tema sospeso, in cui
il primo tema presentato viene “spezzato”, ovvero viene interrotto, dall’introduzione di un nuovo
tema che non presenta un legame col primo e al quale può essere riferito solo per via di relazioni
logico-semantiche.
In conclusione, è importante sottolineare che la scelta di un coesivo inadatto può avere
ripercussioni importanti sul testo, determinando non solo forti ricadute di stile ma anche
incertezze sulla sua comprensione; va detto, però, che queste sviste dipendono anche da una
bassa padronanza della lingua scritta o da un basso controllo della grammatica e dei rapporti
testuali all’interno del testo, che portano i legami sintattici ad allentarsi e affidano la coesione ai
solo rapporti semantici tra le parole.
Continuità e progressione tematica
Come abbiamo evidenziato più volte, ogni testo è una concatenazione di informazioni e di
concetti che si combinano tra di loro e che si susseguono l’un l’altro, introducendone via via di
nuovi, pur mantenendo sempre intatte e forti la coesione e la coerenza d’insieme del testo stesso.
Pertanto, va detto che il testo è un intreccio formato da temi che si ripetono e ritornano
(fornendo, in questo caso, continuità) e da temi che cambiano e si rinnovano (fornendo così
progressione). Tuttavia, la scelta tra i vari tipi di ripresa tematica, che possono essere sia
lessicali che non, dipenderà, di volta in volta, dalle esigenze della scrittura e sono:

 progressione tematica lineare: alternanza diretta tra rema (rosso) e tema (blu); il rema di
una frase diventa il tema della successiva e il rema di questa diventa il tema della frase
seguente e così via; ad esempio Ernesto vorrebbe giocare con suo fratello Bartolomeo.
Bartolomeo preferisce inseguire il gatto. Il gatto vorrebbe solo dormire.
 progressione a tema costante: in una sequenza di enunciati, il tema della prima frase
rimane tema anche per tutte le altre frasi, sebbene possa subire sostituzioni (oltre che
ripetizioni); ad esempio Caterina è una strana bambina. Lei ama i vestiti rosa e le scarpe
arancioni. Si ferma incantata davanti alle vetrine a guardarli quando è a passeggio.
 progressione a temi derivati da ipertema od iperrema: il tema (o rema) del primo
enunciato viene progressivamente scomposto nelle sue parti costitutive nei temi degli
enunciati successivi (in questo caso, il tema/rema principale sarà un ipertema/iperrema
degli altri temi/remi; il secondo tema sarà ipertema per il terzo e ipotema per il prima e
così via); ad esempio La città sembrava una città fantasma quella notte. I quartieri erano
immersi in un profondo silenzio. Le vie erano deserte.
 progressione con sviluppo di un tema o di un rema dissociato: il rema del primo
enunciato viene diviso in più elementi che diventano temi nelle frasi successive; ad
esempio Giovanna oggi andrà al cinema con Luca e Maria. Luca vorrebbe vedere una
commedia. Maria preferisce i film d’azione.
 progressione tematica a salti: ogni enunciato presenta un tema diverso, i quali non sono
connessi fra di loro; ad esempio, nel periodo Un cane attraversava lentamente il sentiero. I
rami degli alberi erano spogli. Il freddo aveva ghiacciato la superficie del laghetto tra i temi
degli enunciati non vi sono legami, ma il testo presenta comunque coerenza. Più
chiaramente, tra le parole vi è una coerenza semantica che è fondata sull’esperienza
comune del fatto descritto (infatti, tutti, sulla base delle nostre esperienze, sappiamo che
un paesaggio può essere composto in quel determinato modo quando vi è freddo). Da
questo tipo di progressione tematica, inoltre, comprendiamo che, sulla base della nostra
esperienza del mondo, cioè sulla nostra enciclopedia, un testo potrebbe essere anche
sgrammatico ma, finché esprime cose a noi note, esso sarà comunque comprensibile.
I connettivi
Un ultimo elemento che garantisce coerenza ad un testo è costituito dai connettivi. In particolare,
i connettivi sono avverbi, congiunzioni, preposizioni ed alcuni verbi (eventualmente tutti sotto forma
di locuzione) che esprimono le relazioni tra una frase e l’altra (in questo caso si parla di
“connettivi frasali”), oppure tra un periodo e l’altro, o tra segmenti testuali ancora più ampi (e in
questo caso si parla di “connettivi testuali”).
I connetti possono svolgere principalmente tre funzioni all’interno di un testo:

 una funzione logico-semantica, cioè di porre in una relazione logico-semantica i vari


segmenti del testo (in questo caso sono frequenti connettivi di valore temporale, causale,
concessivo, condizionale, finale e altri); questi connettivi logico-semantici possono
essere anche avverbi, congiunzioni, preposizioni e locuzioni, sia avverbiali che
preposizionali. In questo caso, quindi, il sostantivo connettivo fungerà da coesivo lessicale
(nominale o testuale) rispetto all’elemento introdotto e renderà, pertanto, esplicito il tipo di
relazione logico-semantica tra i due elementi che esso connette, come nel connettivo di
valore causa/effetto a causa di, per via di, da quello di valore di relazione a seconda di,
nei riguardi di e così via. In particolare, una prova del pieno valore semantico di questi
connettivi e, dunque, del loro contenuto interpretativo, risiede nella frase esempio Le
proteste sfociano nella mozione di sfiducia per colpa/grazie a uno scivolone del partito, in
cui l’autore, pur di non mostrare il suo punto di vista sull’accaduto sceglie di inserire
entrambi i connettivi connotativi, l’uno negativo e l’altro positivo;
 una funzione retorico-testuale, cioè che gestiscono la partizione interna del discorso,
per cui essi segnalano l’avvio di un tema (quanto a, a proposito di, ecc.), i passaggi
argomentativi (ora, dunque, a questo punto, ecc.), nonché i bilanciamenti interni (non
solo… ma anche, ecc.) e la conclusione (insomma, per concludere, ecc.). Tali connettivi
retorico-testuali possono anche segnalare dei richiami interni da una parte all’altra del
discorso (come abbiamo già visto, ecc.), per cui si possono ricordare, tra questi, alcuni
avverbi temporali che fungono da deittici testuali e che contribuiscono alla strutturazione
logica degli eventi rappresentati;
 una funzione pragmatica, ovvero di segnalare l’atteggiamento assunto dal locutore nei
riguardi dell’interlocutore, sia in modo diretto (cioè nello scambio interazionale), che in
modo indiretto (cioè nel contenuto proposizionale), da almeno tre punti di vista, cioè:
quello della fonte, ovvero il punto di vista del locutore, del contenuto comunicato stesso,
attraverso considerazioni metadiscorsive, ed infine del parlante stesso, ovvero il grado di
coinvolgimento che egli assume nel discorso. Tuttavia, per quanto riguarda le funzioni dei
connettivi pragmatici (detti anche “segnali discorsivi”) se ne possono individuare di
quattro tipi:
- interazionale: presa del turno di parola (ma, allora, scusa), controllo della
comprensione (capisco, capisci?), segnali di accordo o disaccordo (certamente,
chissà), di sorpresa (davvero?) o anche richiesta di riscontro e attenzione (no?);
- epistemica: specificazione della fonte delle informazioni (secondo, a detta di);
- metalinguistica, cioè che consente alla lingua di descrivere sé stessa: connettivi che
introducono glosse metalinguistiche per spiegare quanto appena detto (cioè, vale a
dire, in altre parole) o anche considerazioni con diverse sfumature logico-semantiche
(come quelle confermative-avversative, ad esempio d’altronde, del resto, oppure
confermative-aggiuntive come peraltro, tra l’altro e così via);
- modalizzatrice: espressioni di “mitigazione”, ovvero di attenuazione della forza
dell’enunciato (diciamo, per così dire, praticamente) o, al contrario, espressioni che
accentuano un elemento (come i focalizzatori e gli intensificatori davvero, addirittura,
persino) ed anche espressioni che esprimono partecipazione emotiva (purtroppo,
fortunatamente). Va evidenziato, però, che i connettivi sono solo alcune delle risorse
espressive del fenomeno della mitigazione e della modalizzazione, ovvero, appunto,
quelle forme attenuano o enfatizzano le affermazioni o le domande.
Da come si evince, dunque, la varietà e l’ampiezza delle funzioni dei connettivi fanno sì che essi
siano una “serie aperta”, cioè che appartengano a categorie grammaticali differenti e che siano
composti da un numero non precisabile di risorse espressive che, essendo largamente dipendenti
dal particolare contesto sociocomunicativo, variano in relazione alle peculiarità dei rapporti
intersoggettivi che si creano tra i parlanti, facendo sì che una particolare espressione possa avere
valori differenti a seconda del contesto.
Bisogna ricordare, inoltre, che i connettivi spesso assumono più funzioni. Infatti, basta osservare
le due frasi E’ una storia molto triste ma molto istruttiva e E’ una storia molto istruttiva ma molto
triste che esprimono le stesse informazioni e che segnalano entrambe il rapporto di contrasto che
lega le valutazioni, attraverso il ma; tuttavia, proprio il diverso ordine mostra la differente
posizione del locutore (infatti, l’informazione che segue il ma assume sempre un maggior rilievo
rispetto a quella che lo precede) per cui: nel primo caso, chi parla darà maggior importanza al fatto
che la storia è istruttiva, mentre nel secondo caso il rilievo maggiore sarà dato al fatto che la storia
sia triste. Da tutto ciò, pertanto, si evince che il connettivo usato non ha solo valore logico-
semantico, ma bensì anche pragmatico.
Infine, come per i coesivi, anche sviste nell’uso dei connettivi possono dar luogo a esiti poco felici
e ad incertezze di interpretazione, con gli errori più comuni che riguardano i connettivi infatti
(connettivo che lega due parti di un periodo, ovvero premessa e conclusione), ma (il cui ruolo è di
porre in contrasto ciò che segue, dandogli maggior rilievo, da ciò che precede) e per colpa di (che
presenta un forte valore connotativo e, pertanto, andrebbe evitato nelle espressioni che non
vogliono essere valutative).

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