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segnali discorsivi

1. Definizione

I segnali discorsivi (detti anche marcatori di discorso) sono elementi


linguistici (parole, espressioni, frasi), di natura tipicamente
pragmatica, diffusi in specie nella ➔lingua parlata, che, a partire dal
significato originario, assumono ulteriori funzioni nel discorso a
seconda del contesto: sottolineano la strutturazione del testo,
connettono elementi nella frase e tra le frasi, esplicitano la posizione
dell’enunciato nella dimensione interpersonale, evidenziano processi
cognitivi in atto (➔pragmatica).

Date le diverse prospettive secondo cui questo fenomeno si delimita,


va precisato che la definizione qui proposta è una delle possibili, e
non l’unica attualmente adottata, anche se tiene conto di aspetti
messi in evidenza anche in altre proposte (cfr., fra i molti, Berretta
1984; Schiffrin 1987; Bazzanella 1995; Fischer 2006).

2. Caratteristiche generali

I segnali discorsivi costituiscono una classe non morfologica o


lessicale ma funzionale. Appartengono infatti a varie categorie:
congiunzioni (per es., ma), avverbi (per es., praticamente), forme
verbali (per es., diciamo, dai), clausole intere (per es., per così dire).

Quelli che seguono sono esempi reali, tratti da conversazioni


quotidiane (1 e 2) e da Internet (3 e 4):
(1) ma non dire stupidaggini!

(2) praticamente sei un drago

(3) un filo invadente, diciamo

(4) l’occhio è per così dire l’evoluzione biologica di una lagrima

Caratteristica cruciale dei segnali discorsivi è la multifunzionalità, che


si presenta in due forme.

(a) Paradigmatica. Lo stesso segnale discorsivo può assumere


funzioni diverse, se non opposte, anche in base alla posizione,
all’intonazione, al volume di voce con cui è prodotto, e altri elementi
del cotesto e del ➔contesto. Per es., diciamo in (5) (Bazzanella 1995:
250-251) segnala incertezza e ➔mitigazione, mentre in (6), lo stesso
elemento, caratterizzato da volume alto, posizione finale e pronome
anaforico aggiunto (-lo), segnala rafforzamento:

(5) si possono eh diciamo avere molte varianti

(6) ahah ti va riconosciuto questo merito ahah non è no diciamolo

(b) Sintagmatica. Uno specifico segnale discorsivo può, in un


enunciato parlato o scritto, portare più valori.

Gli studiosi hanno raggiunto un certo accordo, oltre che sulla


polifunzionalità dei segnali discorsivi, anche su altri tratti principali.
(a) I segnali discorsivi non contribuiscono in modo determinante al
valore informativo di quanto viene detto (cioè al contenuto
proposizionale). Talvolta essi possono essere cancellati, come
avviene nelle traduzioni, e come sarebbe in parte possibile negli
esempi (1-4), ma ciò sarebbe a scapito del valore pragmatico
complessivo. Infatti, dato che hanno un ruolo fondamentale dal
punto di vista pragmatico, cancellandoli si modificherebbe il valore
complessivo dell’enunciato: per es., si rafforzerebbe il contrasto in
(1) e lo si attenuerebbe in (3) e (4).

(b) Sono strettamente correlati alla situazione enunciativa, cioè al


momento in cui ci si trova nella ➔conversazione; ciò vale
soprattutto per i segnali discorsivi usati nel parlato (i più frequenti).
Tale caratteristica risulta evidente dall’uso del presente dei verbi usati
come segnali discorsivi anche in enunciati riferiti a eventi passati,
come capisci in (7) in contrapposizione con il verbo che descrive
l’evento (potevo):

(7) capisci, non ne potevo più

(c) Spesso servono a indicare valori modali (➔modalità) e a rivelare


atteggiamenti o stati psicologici dell’emittente (come stanchezza o
tensione), come in (8), tratto da un’intervista televisiva a un
sequestrato appena rilasciato (da Bazzanella 1995: 235):

(8) Più tardi, però, cioè, non so, il terzo giorno penso che qualche
mulo, mah anche lì, il mulo può andare bene non so per un’ora o
due al giorno, è impossibile poter andare, non so cinque o sei ore al
giorno

Quanto alle proprietà distribuzionali, i segnali discorsivi non hanno


una posizione fissa: possono trovarsi in posizione sia iniziale sia
mediana sia finale, modificando quindi a volte il proprio valore
pragmatico, come in (9) e (10), in cui guarda serve rispettivamente per
richiamare l’attenzione e per rinforzare l’enunciato (Bazzanella 1995:
230-231):

(9) guarda, non puoi sbagliare [dando un’indicazione stradale a un


amico]

(10) no, te lo meriti, guarda

Inoltre, i segnali discorsivi si ripetono spesso, non solo per via della
preferenza individuale per un elemento specifico (➔intercalari), ma
anche, nello stesso enunciato, in forme diverse. Le forme
riconosciute sono le seguenti:

(a) cumuli: sequenze di due o più segnali discorsivi, ognuno con


funzione differente, come in (11), tratto da un programma
radiofonico (Bazzanella 2006: 455), in cui ma serve come presa di
turno, e guardi come richiesta di attenzione (tab. 1, I):

(11) ma guardi, io eh quello che posso dire è questo


(b) catene: sequenze di due o più segnali discorsivi che svolgono la
stessa funzione, normalmente come riempitivi (I, 2 in tab. 1), come
in (12), tratto da un’interrogazione d’esame (ibid.):

(12)

A: Mi parli dei neogrammatici!

B: Sì (–) dunque allora i neogrammatici cioè [silenzio].

3. Dimensioni sociolinguistiche

I segnali discorsivi possono variare secondo diverse dimensioni


sociolinguistiche.

(a) Età. I giovani usano spesso segnali discorsivi diversi da quelli


usati da altre fasce di età, e più velocemente mutevoli nel tempo. In
generale, i segnali discorsivi in funzione interazionale si manifestano
e tramontano abbastanza rapidamente; per es., i voglio dire, frequenti
un tempo, sono stati sostituiti da niente, e successivamente da non
esiste, dai(quest’ultimo frequente nei giovani), caratterizzando usi
generazionali diversi.

(b) Singolo individuo. Molto spesso un segnale discorsivo, usato


come riempitivo dalla parte del parlante (tab. 1, I) caratterizza una
persona, tanto che si può parlare di tic verbale: c’è chi ripete in
continuazione appunto, o diciamo, o insomma, o altro (per es., non soin
8), senza neppure rendersene conto.
(c) Gruppo di appartenenza. Per es., capito? viene spesso usato dagli
insegnanti, sia come richiesta di attenzione che come segnale di
controllo della ricezione.

(d) Provenienza geografica. Per es., o basta là, evidenziato da


Umberto Eco:

(13) «Ma è in Inghilterra, è il cerchio magico di Stonehenge!! E che


altro?» «O basta là» disse Belbo. Solo un piemontese può capire
l’animo con cui si pronuncia questa espressione di educata
stupefazione. Nessuno dei suoi equivalenti in altra lingua o dialetto
(«non mi dica, dis donc, are you kidding?») può rendere il sovrano
senso di disinteresse, il fatalismo con cui essa riconferma
l’indefettibile persuasione che gli altri siano, e irrimediabilmente, figli
di una divinità maldestra (Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, Milano,
Bompiani, 1988, p. 120).

(e) Mezzo usato, tipi di testo e di interazione. Gli usi interazionali


sono più frequenti nel parlato dialogico, quelli metatestuali
caratterizzano maggiormente lo scritto (anche in italiano antico;
Bazzanella 2010).

La maggiore o minore formalità può influire sulla scelta di un segnale


discorsivo in un dato tipo di testo, così come la simmetria o
asimmetria di un’interazione: difficilmente uno studente
userà capito? rivolgendosi a un docente. È interessante che segnali
discorsivi come guarda, senti, svincolandosi dal contesto fisico di
enunciazione, si ritrovino anche nel parlato telefonico o nello scritto,
in particolare nelle forme proprie delle nuove tecnologie (➔posta
elettronica, lingua della), per es., nelle chat o nelle e-
mail (come ascolti in 14, esempio reale di un messaggio di posta
elettronica di uno studente alla docente):

(14) Salve ... ascolti ho dei problemi per effettuare il login.

4. Una classificazione funzionale

Le difficoltà di classificazione dei segnali discorsivi derivano da vari


fattori: la varietà (sopra accennata) delle categorie cui appartengono,
l’alta multifunzionalità, la sensibilità e dipendenza dal contesto,
l’intersezione con altri fenomeni dai confini sfumati (come
modulatori, mitigatori, intensificatori, focalizzatori), che vengono a
volte considerati come classi separate, non incluse nei segnali
discorsivi (➔intercalari, per alcuni usi specifici).

In una possibile classificazione dei segnali discorsivi si possono


distinguere tre loro macro-funzioni: interazionale, metatestuale,
cognitiva, ciascuna delle quali si articola in micro-funzioni (tab. 1).

Le funzioni interazionali sottolineano l’ancoraggio deittico (


➔deittici) dell’enunciato al luogo, al tempo, alle persone relative
all’enunciazione, in particolare rispetto al parlante e all’interlocutore,
sottolineando la dimensione interattiva della comunicazione e le sue
funzioni.
Una funzione tipica dalla parte del parlante sarà quindi la presa di
turno (v. il ma nell’es. 11); simmetricamente, per l’interlocutore sarà
tipico l’uso di un segnale discorsivo per interrompere (v., in tab. 1,
rispettivamente I, 1a dalla parte del parlante e I, 1b dalla parte
dell’interlocutore). Tra i meccanismi di interruzione, oltre allo
stesso ma, spesso plurifunzionale, ricorrono: allora, scusa, un
attimo, insomma, ecc.

In (15) (da Bazzanella 1994: 157) si interrompe prendendo il turno


con cioè, che svolge anche la funzione di segnalare una riformulazione
(v. II, 3.1, in tab. 1) motivata dal ruolo di B, il conduttore della
trasmissione, che ripresenta al pubblico in altre parole (peraltro
forzandone il senso) il pensiero dell’ospite, A:

(15)

A: e oggi quello che io trovo grave è che abbiamo della gente con le
stellette (–) mi va benissimo curare i soldati (–) ma non avere delle
stellette sulle spalle! questo per me è è [sic] un tradimento di grossi
valori

B: cioè lei è contro qualunque prelato o prete o sacerdote che abbia


le stellette!

Ai riempitivi del parlante (per es., non so in 8) rispondono i


cosiddetti back-channels (per es., sì, davvero; I, 2b, in tab. 1), che
servono anche come conferma di attenzione (I, 3b, in tab. 1),
frequenti soprattutto al telefono per mantenere il contatto in assenza
di contesto di enunciazione comune.

I fatismi, dalla parte sia del parlante che dell’interlocutore (I, 4a e I,


4b, in tab. 1), servono a sottolineare l’aspetto di coesione sociale
della comunicazione, evidenziando a volte (nel caso del parlante),
con sai, come sai, sapete, la conoscenza condivisa (o presunta tale),
come in (16), tratto da una conversazione familiare reale (Bazzanella
1994: 148):

(16) sai (–) non ne posso più di queste riunioni!

Tra le micro-funzioni interazionali sono frequenti, in particolare nel


parlato faccia a faccia, anche le richieste di accordo e/o conferma
(date più o meno come scontate) (I, 7a, in tab. 1), come eh? in (17),
tratto da una conversazione tra amici (cfr. Bazzanella 1994: 154), e di
accordo o conferma o rinforzo da parte dell’interlocutore (I, 7b,
in tab. 1), come esattoin (18) (molto diffuso tra i giovani, usato come
conferma neutra anche se di fatto comporta un elemento di
valutazione):

(17) non lasciatemi solo sulle nevi (–) eh?

(18)

A: se tu ascolti noi sai già cosa succede stanotte!

B: esatto!
Si possono distinguere tre gruppi di segnali discorsivi in base alle
micro-funzioni:

(a) i demarcativi, che servono ad articolare e delimitare le parti del


testo, a strutturare il rapporto tra gli argomenti del discorso, a
segnalarne le transizioni (per es., e, ora, poi, allora), le digressioni (per
es., comunque, a proposito), i cambi di argomento (come in 19, esempio
reale, in cui senti funziona come segnale discorsivo di richiesta di
attenzione ma soprattutto di cambio di discorso), i rinvii interni, la
conclusione o chiusura del testo o dell’interazione (per
es., dunque, allora, insomma):

(19)

A: Avete fatto buone vacanze?

B: Sì, grazie, ottime, in montagna. E voi?

A: Anche noi, grazie. Senti, avrei bisogno di un favore

(b) i focalizzatori, con cui si intende sottolineare un elemento, per


es., con ecco, proprio, come in (20), tratto da una conversazione
familiare:

(20) è proprio indisponente!

(c) i vari indicatori di riformulazione, come cioè in (15), mentre in (8)


e (12) cioè viene usato come riempitivo.
Quanto alle macro-funzioni cognitive dei segnali discorsivi –
suddivisi anche qui in tre gruppi: indicatori procedurali, indicatori
epistemici e meccanismi di intensità – particolarmente rilevanti
sembrano gli indicatori procedurali. Spesso in questa micro-funzione
si ricorre ad allora, fortemente polifunzionale. Può infatti essere usato
a livello interazionale come presa di turno – frequente, anche se
biasimato dalla tradizione scolastica (es. 21, tratto da Albano Leoni &
Giordano 2005: 140) – e come riempitivo (es. 12); a livello
metatestuale, come demarcativo per indicare transizione o per
esplicitare un cambio di frame (es. 22, tratto dal corpus LIP 1993:
FD14), come rinvio anaforico temporale (es. 23, tratto da una
trasmissione radiofonica; Bazzanella 1994: 161) e come conclusione
(es. 24, ultimo di uno scambio di sms):

(21) p2#309: ‹inspiration› allora ‹sp› # ‹p1#310› ‹ehm›# ‹lp› ‹mh› ‹sp›
partendo da dove si incrocia la nuvola col bordo superiore ‹sp› della
figura, no?

(22) # bene fratelli allora oggi c’è un episodio che è quello della
cacciata dei mercanti dal tempio

(23) allora era il segretario della Cisnal (–) oggi è senatore del M.S.I.!

(24) alle 8 allora, ciao!

In (25) allora svolge una micro-funzione inferenziale: il parlante PRE,


proferendo allora in fine enunciato e con tono interrogativo, richiede
all’interlocutore CUS di compiere appunto un’inferenza circa la
pertinenza o meno della questione di cui si tratta:

(25) CUS [ . . . ] questa è una questione/che non c’entra ‹niente›

PRE ‹e adesso qui› c’è un altro mandato/allora?

5. Cenni diacronici

Lo studio dei segnali discorsivi ha un’essenziale dimensione


diacronica (per es., Sweetser 1990; Traugott & Dasher 2002; Cuenca
2007), dato che diversi valori semantici e pragmatici dei segnali
discorsivi si sono sviluppati nel tempo da un nucleo primario
centrale (cfr. § 1).

Si tratta in parte di un fenomeno di ➔grammaticalizzazione. Per es.,


per allora, a partire dal valore temporale e dalla funzione referenziale
originaria, si sono sviluppate funzioni interazionali e inferenziali
(quelle tipiche, ad es., della costruzione condizionale se … allora),
molto diffuse nell’italiano contemporaneo (come negli esempi 21, 22,
24, 25), accanto agli usi temporali (anaforico, nel caso dell’es. 23).

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