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VARIAZIONE DELLA LINGUA

1.1 VARIAZIONE (SOCIOLINGUISTICA)


Ogni lingua è allo stesso tempo centomila lingue, poiché costituita al suo interno di usi linguistici scelti
dai parlanti per comunicare in diversi contesti. Sono varie articolazioni delle lingue.

Le 6 frasi riportate di seguito appartengono alla stessa lingua ma si differenziano per le parole scelte e
per le strutture utilizzate, anche se esprimono lo stesso contenuto, ovvero una stessa realtà
extralinguistica (realtà che al di fuori della lingua è la stessa nonostante il tipo di comunicazione). Le
sei frasi si distinguono, ad esempio, per la formalità usata. Le differenziazioni di questo tipo nella lingua
italiana si chiamano varietà sociolinguistiche.

a. L’esemplare di Felis Catus insegue l’esemplare di Mus Musculus


- esprime alta formalità e linguaggio specifico e specialistico (termici tecnici latini)
- comunicazione formale che punta alla massima precisione
- varietà accademico-scientifica: usata in contesti comunicativi accademici di
comunicazione tra specialisti di un determinato settore

b. Il felino domestico insegue il piccolo roditore


- formale, ma non quanto la prima
- sono presenti due perifrasi per indicare i due referenti della frase, il gatto ed il topo
- varietà formale-analitica: controllata ed usata in contesti letterari

c. Il gatto rincorre il topo


- varietà standard → norma di riferimento dell’italiano e può essere usata in quasi tutti i
contesti

d. Il gato ci core dietro al topo / La gatta rincorre al sorcio


- esempio più informale, poco controllato, poco sorvegliato, poco “corretto” anche se è
meglio parlare di “adeguatezza” (comunicativa e pragmatica) invece che di correttezza:
ci sono scambi comunicativi tra parlanti che prevedono magari un certo livello di
istruzione o una certa provenienza geografica, dove questa formulazione è la più adatta,
adeguata ed efficace a livello comunicativo
- presente lo scempiamento delle parole “gato” e “core” → varietà settentrionale
dell’italiano
- scelta del femminile “gatta” che identifica tutta la specie e “sorcio” piuttosto che “topo” →
varietà meridionale
- varietà popolare → presenta tratti regionali

e. Il micio corre dietro al topolino


- informale, no aspetti regionali o di basso controllo o accuratezza della lingua
- “micio” e “topolino” denota la realtà sociolinguistica + valutazione personale dei parlanti
rispetto ai referenti
- termini più affettuosi → accezione positiva
- varietà colloquiale-informale → usata tra parlanti che sono in confidenza tra loro

f. Il baffone tampina il topastro


- 3 parole connotative che esprimono accezione negativa
- valutazione espressa esplicitamente

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- elementi gergali → scelti dal parlante per cercare
di nascondere un messaggio a qualcuno
- varietà gergale → tipiche di malavitosi, persone
che non vogliono che tutti capiscano determinati
termini (messaggio segreto, cifrato)

varietà
Insieme di forme linguistiche, morfologiche e sintattiche, ai vari
livelli di analisi, che abbiano la stessa o analoga distribuzione
sociale, cioè che cooccorrano (tendono a presentarsi insieme) in
concomitanza con certe caratteristiche della società, dei suoi membri e delle situazioni in cui si trovano
ad agire.

varianti linguistiche
Forme che variano da una varietà all’altra per riferirsi allo stesso referente extralinguistico.
ex: L’esemplare di Felis Catus…
Il baffone…
Le varianti si distinguono dalla varietà poiché comprendono le singole strutture, parole, morfemi o
articolazioni fonetiche particolari che determinano la variazione tra una varietà e l’altra / cambiano tra
una lingua e l’altra.
- Felis Catus
- felino domestico
- gatto sono varianti socio-linguistiche per riferirsi ad uno stesso
- micio referente extralinguistico → lo stesso può avvenire anche con
- baffone verbi ed azioni, non solo con i referenti, oggetti o entità

variabile
Indica il fattore che determina la varietà e il grado di formalità che caratterizza il contesto comunicativo
(legato alla confidenza tra interlocutori, allo scopo e al contenuto dello scambio comunicativo).
La variabile è il fattore o parametro extralinguistico che cambia da una
situazione all’altra e che determina la variazione della lingua.
- variabile legata ai parlanti e alle loro caratteristiche demografiche
e socio-culturali
- il canale della comunicazione → fonico-acustico per il parlato e
grafico-visivo per lo scritto
- lo spazio → area geografica di provenienza dei parlanti
- il tempo → epoca storica in cui vivono i parlanti

variazione
Distinzione tra diverse forme di comunicazione all’interno della
stessa lingua. Differenziazione di una lingua in differenti situazioni
comunicative al variare delle variabili extralinguistiche.
- è graduale: non c’è distinzione tra diverse netta tra le
varietà
- l’asse di variazione è un continuum tra poli orientati

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variabile extralinguistica
Le variabili extralinguistiche sono fattori non linguistici definiti come:
- variabile diastratica o diastratia, differenzia lo stato sociale dei partecipanti/parlanti e la loro
cultura
- variabile diafasica o diafasia, contesto comunicativo (più o meno formale, più o meno confidenza
tra gli interlocutori)
- variabile diamesica o diamesia, distingue le comunicazioni prodotte con un diverso canale
- variabile diatopica o diatopica, legata alla variabile spazio e quindi alla provenienza dei parlanti
- variazione diacronica o diacronia, dipende dalla variabile tempo

1.2 VARIAZIONE DIAMESICA


Ovvero la variazione che intercorre tra varietà realizzate con canale fonico-acustico (parlato) e varietà
realizzate con il canale grafico-visivo (scritto).

diamesia
Variazione legata al canale di comunicazione e alle differenze di elaborazione e produzione/ricezione del
messaggio linguistico (tempo e modalità di elaborazione, sincronia e asincronia tra gli interlocutori,
condivisione del contesto).

Tra scritto e parlato ci sono differenze macroscopiche: ma lo stereotipo del parlato sempre informale e lo
scritto sempre formale è vero? No, esistono differenti forme di scritto e di parlato, formali ed informali in
entrambi i casi.

varietà parlata e varietà scritta


varianti delle varietà parlata
Frequenti pause, frequenti riempitivi (um, emh…), frequenti prolungamenti della vocale finale della
parola, scarsa coesione verbale (salti temporali dal presente all’imperfetto e tra altri tempi verbali, che
non rendono il discorso coeso).

varianti della varietà scritta


Punteggiatura, assenza di pause/riempitivi/prolungamenti, varianti lessicali più formali, maggiore
coesione verbale (mantenimento dello stesso tempo verbale all’interno della narrazione).

cause principali delle differenze tra le varietà scritta e parlata


La modalità di produzione e comprensione del messaggio, è sincrona nel parlato (la produzione del
parlante istantanea + destinatario che ascolta e comprende) e asincrona nello scritto (prima lo scrittore
scrive e poi il lettore può fruire del messaggio). Ciò ha conseguenze nell’elaborazione sia di chi produce
sia di chi riceve, che deve realizzarsi in uno scambio sincrono con la stessa pressione temporale.
- l’elaborazione in produzione e in comprensione sono online, ossia in tempo reale rispetto alla
produzione e alla comprensione (nel parlato), tempo più serrato
- l’elaborazione nello scritto è offline poiché ci sono tempi di elaborazione più distesi, sia per chi
produce sia per chi riceve. I tempi sono più rilassati nella comprensione del messaggio e ciò
permette una fase più estesa della pianificazione e della realizzazione del testo
Le differenze extralinguistiche portano a delle differenze linguistiche (correlati funzionali, varianti legate
al buon funzionamento dello scambio comunicativo parlato o scritto, Voghera 2017) attraverso: la
modalità di comunicazione sincrona o asincrona, la modalità di elaborazione online vs offline, tempi di
elaborazione più serrati o più distesi, la condivisione del contesto situazionale tra chi produce e chi
comprende il messaggio.

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Le modalità online ed offline di elaborazione di un messaggio sia da parte di chi produce sia da parte di
chi comprende, producono differenze linguistiche:
- varietà scritta: termini più ricercati, sintassi più complessa e a lunga gittata, presenza di
ipotassi (subordinazione), testi più corti, maggiore densità semantica, maggior uso di sinonimi
e pronomi: il lettore può rileggere il testo per individuare l’antecedente e comprendere la
referenza; mancanza di riferimenti alla situazione comunicativa tra gli interlocutori (spazio e
tempo), assenza di deittici
- varietà parlata: minore complessità sintattica e verbale (strategia aggregativa), minore
complessità morfologica fatta di forme più comuni, testi più lunghi, minore densità semantica
(si diluiscono le informazioni), frequenti ripetizioni, frequenti riferimenti anaforici pieni (nomi
ripetuti più che pronomi), per aiutare la produzione e la comprensione online, frequenza di
deittici (espressioni che riguardano i partecipanti, il tempo e lo spazio: io e te, qui…),
frequenza di impliciti e sottintesi che rimandano alla situazione comunicativa tra gli
interlocutori, canali di comunicazione non verbali (comunicazione cinesica: gestualità ed
espressività; comunicazione prossemica: uso della spazialità).

Nella varietà scritta, essendoci più tempo di ragionamento, si


possono racchiudere più parole in una sola: ex. “se lo portarono in
prigione” = “lo arrestarono”.
Nella varietà parlata non c’è il tempo di creare troppe relazioni
nome-pronome, quindi si tende a ripetere maggiormente il
sostantivo o il nome proprio. Così, nel parlato, è più facile seguire il
discorso e sapere chi sia il soggetto della frase.

Sull'asse cartesiano troviamo ai due poli opposti la varietà scritta e


la varietà parlata, e tra i due poli sono collocati diversi elementi:
- documenti ufficiali: scritti monologici e formali, che prevedono asincronia tra interlocutori,
tempi di elaborazione distesi, pianificazione del discorso offline
- temi scolastici: meno ufficiali dei documenti ufficiali, asincronia tra interlocutori, tempi di
elaborazione più o meno rapidi, pianificazione offline
- post, forum, blog: meno formali e molto più dialogici e attenti al rivolgersi al destinatario
- email: testo epistolare esplicitamente rivolto al destinatario, asincronia tra interlocutori, tempi
di elaborazione più o meno rapidi, pianificazione offline
- chat: comunicazione epistolare in tempi molto ristretti dove si apostrofa direttamente il
destinatario con attesa di risposta in tempi brevi, sempre più vicina al parlato dialogico,
sincronia tra interlocutori, tempi di elaborazione serrati, pianificazione online
- parlato letto o recitato: sincronia tra interlocutori, tempi estesi di elaborazione, pianificazione
offline
- parlato trasmesso: come in tv o in radio, sincronia tra interlocutori, tempi di elaborazione più
o meno rapidi, pianificazione in parte offline e in parte online
- parlato parlato: sincronia tra interlocutori, tempi di elaborazione serrati e pianificazione online

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1.3 VARIAZIONE DIASTRATICA
diastratia
Variazione legata a fattori di tipo sociale, come lo status socio-economico-culturale del parlante o dato
demografici (sesso o età) nei loro risvolit sociali.

Le varietà che si collocano ai poli dell’asse cartesiano abbiamo:


- varietà colta → usata da una classe socio-culturalmente elevata, ovvero il ceto intellettuale
(alto grado di istruzione e con professioni altamente intellettuali). Si servono della varietà
aulica, accademico-scientifica, burocratica. L’alta familiarità con la lingua determina una
grande padronanza di tutte le strutture linguistiche, che quindi porta questa varietà ad essere
molto complessa (alta elaborazione); c’è un altro controllo della varietà prodotta rispetto alla
norma linguistica di riferimento.
- varietà popolare → viene associata generalmente al ceto semi-colto, ovvero coloro che
hanno un basso livello di istruzione, e la varietà da loro usata sarà di bassa elaborazione e
basso controllo; presenza di forme pronominale (ex. c’ho fame) tipiche delle varietà informali e
colloquiali; relative substandard (ex. la penna che io scrivo è nera).
ex: mancanza di preposizioni e congiunzioni, scelta non corretta delle forme verbali,
punteggiatura scarna e non sempre corretta

Tra i due poli (tra la varietà colta e quella popolare) si trova una varietà intermedia:
- varietà giovanile → è la varietà che fa riferimento alla classe
demografica dei giovani con delle caratterizzazione
linguistiche che sono abbastanza peculiari e pertinenti alle
altre classi sociali demografiche.
La varietà giovanile si compone di diverse varianti lessicali, come le
neoformazioni lessicali, ovvero parole formate ad hoc: boomer,
persone non giovani nate negli anni del boom economico; qué talca?, al
posto di “que tal?” in spagnolo. Le neoformazioni lessicali sono spesso
temporanee, passeggere, e non rientrano poi in altre varietà, come ad
esempio nella varietà colloquiale.
Sono presenti anche i prestiti linguistici, ovvero parole che da una lingua vengono adottate da un’altra
lingua portandogli delle modifiche (alloglotte). Dalle lingue straniere (soprattutto dall’inglese, connesso a
internet e cellulari, selfie); dai dialetti (ciospa “ragazza brutta” <dialetti settentrionali rospa); da altre
varietà dell’italiano con connotazione ironica e parodistica (sapiens/fossile “genitori o persona anziana”
<varietà accademico-scientifica). Ci sono variazioni provenienti dall’uso di termini gergali e volgari della
lingua, con intento comunicativo di una forte espressività.

Sono presenti anche varianti morfologiche, ovvero innovazioni morfologiche che concernono nuove
regole per formare le parole (più rare delle innovazioni lessicali). Ad esempio il Verlan (<l’envers) ovvero
una variante giovanile del francese, dove le parole sono formate tramite l’inversione della struttura
sillabica delle parole della varietà standard di francese. Esiste anche l’Alverre (<al revés) proveniente
dalla varietà giovanile del Cile, dove la regola di formazione delle parole prevede l’inversione dell’ordine
delle sillva delle varianti standard.
In italiano la variante morfologica nella varietà giovanile è molto rara. Ad esempio il modismo
passeggere della sovraestensione del suffisso -ao nei sostantivi maschili <Cacao meravigliao; il
farfallino, varietà dei giovanissimi e dei bambini, che prevedere la formazione delle parole con l’aggiunta
di sillabe composte dalla consonante f, (ex. tavolo = ta-fa-vo-fo-lo-fo).

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A livello pragmatico (dell’uso concreto della lingua nella comunicazione sociale) sono presenti: varianti
informali per salutare (ciao) e l’allocuzione (rivolgersi all’interlocutore con tu vs lei).

Come ulteriore varietà diastratica, esiste la varietà di genere, che non è determinata da fattori fisiologici
(maschio vs femmina), ma da definizione sociale assegnata a ruoli reciproci (genere mashile vs genere
femminile). Sono varietà che vengono studiate e distinte in modo orientativo il tipo di lingua che i parlanti
(uomini o donne) utilizzano.
- uomini: tendenza ad usare maggiormente il dialetto
- donne: tendenza ad essere più conformi alla varietà standard, al modello di prestigio, più
elaborazione e controllo, meno disfemismi (parole volgari).
Berretta (1983), secondo cui le donne tendono a usare più elementi connotativi, che veicolano
opinioni ed emozioni del parlante (diminutivi e aggettivi valutativi) e più forme di attenuazione e
mitigazione (vorrei, mi piacerebbe…).

Sessismo linguistico → codifica linguistica dei ruoli maschili e femminili, che in alcune lingue come la
lingua italiana portano ad una visione negativa e ad una codifica privilegiata delle parole che si
riferiscono all’ambito maschile. Nella lingua italiana è presente il sessismo linguistico, perché rispecchia
la società che la parla. Dibattito delle professioni al femminile non esistenti (ex. ministro, student(essa),
presidente).

1.4 VARIAZIONE DIAFASICA


diafasia
Variazione legata al contesto comunicativo e al suo grado di formalità (legato alla confidenza tra
interlocutori, allo scopo e al contenuto dello scambio comunicativo).

Ai poli della varietà diafasica sono posti:


- varietà accademico-scientifica → utilizzata da esperti di uno stesso settore che condividono
conoscenze, competenze specialistiche per cui possono utilizzare termini molto tecnici e
precisi, dando per scontato che l’interlocutore ne capisca il significato. Lo scopo della
comunicazione è uno scopo professionale. Gli argomenti sono tecnici.
A livello di varianti (peculiarità linguistica) presenta alta elaborazione ed alto controllo, sintassi
complessa, presenza di ipotassi a più livelli (subordinazione), nominalizzazione ovvero nomi
deverbali piuttosto che verbi (ex. richiede una buona capacità).
Una strategia linguistica morfologica della varietà accademico-scientifico è la
deagentivizzazione del messaggio, ossia l’attenzione in un testo specialistico è posta al
processo e al risultato rispetto alla ricerca stessa, mettendo in secondo piano il soggetto che la
conduce. Tipiche di questa strategia sono le forme verbali impersonali (ex. va sottolineato che
l’uso del Lei come allocutivo determina l’accordo), le forme passive (ex. quelli che vengono
ritenuti i livelli minimi), le nominalizzazioni (ex. utilizzazione).
La varietà accademico-scientifica è contraddistinta da varianti lessicali di tipo tecnico, definite
come monoreferenzialità del lessico, cioè ogni termine utilizzato ha un solo significato,
fornisce il massimo numero di informazioni in modo obiettivo e non ambiguo. le varianti
accademico-scientifiche sono varianti denotative, ovvero che fanno riferimento in modo
informativo ed impersonali al referente, non sono termini connotativi, ma più tecnici e che
possono essere utilizzati solo verso un unico referente. E’ presente anche rigidità
nell’applicazione di regole morfologiche (come l’utilizzo di suffissi ex.-ico, -ato nella varietà
delle chimica e -ite in medicina).

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La parola raffreddore riassume in sé un insieme di altri termini che riferiscono alla stessa
malattia: il termine monoreferenziale indica la sede dell'infezione e accelera la diagnosi della
cura e permette una comunicazione più efficace e chiara.

- varietà gergale → si trova al polo opposto ed è caratterizzata da alta genericità, spontaneità,


espressività e informalità. Ci sono varianti gergali a livello lessicale, morfologico, sintattico con
l’intento dei parlanti di escludere coloro che non fanno parte del gruppo di appartenenza
(finalità criptolalica), ed è funzionale allo scopo della comunicazione tra malavitosi o
tossicodipendenti, tra persone che hanno interesse comuni ed in modo rapido.

Tra i due poli della variazione diafasica ci sono delle varietà


intermedie, che si differenziano per i registri, al variare delle
formalità:
- varietà colloquiale → più formale rispetto alla varietà gergale,
varietà in cui non c’è finalità criptolalica ed è usata da persone che
hanno confidenza tra di loro, che hanno un livello di istruzione
intermedio ma non solo. A livello articolatorio si caratterizza per Il
ritmo dell’eloquio più veloce per maggiore iporticolazione fonetica e
riduzione sillabica (fenomeni fonetici e prosodici che denotano una certa trascuratezza nel
veicolare il messaggio, come i troncamenti: ex. ‘sto; varianti lessicali informali: ex. casino
invece di confusione, sberla invece di schiaffo; forme di allocuzione informale: ex. tu invece
che lei o voi). Questo delinea delle somiglianze con la varietà gergale e giovanile.
- varietà burocratica

Le diverse varietà accademico-scientifiche legate a settori differenti sono definibili anche sottocodici,
che si distinguono al variare dei contenuti settoriali della varietà accademico-scientifica:
- microlingua della linguistica
- microlingua della matematica
- …

varietà standard → nel piano cartesiano si colloca al centro, ma orientata verso i poli colto, formale,
scritto

1.5 VARIAZIONE DIACRONICA


e il mutamento linguistico
diacronia e sincronia
Le lingue del mondo si possono studiare e classificare secondo una prospettiva diacronica
(considerandone il mutamento nel corso del tempo) o sincronica (senza far ricorso alla variabile tempo,
studio della lingua senza considerare il loro mutamento nel tempo).

Il piano cartesiano visto fino ad ora descrive la lingua italiana secondo un punto di vista sincronico.

il mutamento linguistico
E’ un fenomeno studiato da un punto di vista diacronico, che descrive le modifiche che una lingua
subisce nella sua evoluzione. Lungo l’asse della variazione diacronica vengono descritti i mutamenti
linguistici, che possono essere classificati in due grandi categorie:
- processo di grammaticalizzazione → il mutamento che dalla grammatica porta alla formazione
di nuove parole, ad esempio i verbi di maniera (-mente) derivano da un costrutto morfosintattico

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del latino che viene poi reso più coerente nell’uso della lingua italiana. Dal lessico di una lingua si
arriva ad una vera a propria forma grammaticale. Dal lessico alla grammatica.
ex. lenta mente > lentamente, velocemente
amare habeo > amerò
- processo di lessicalizzazione → è il processo opposto rispetto a quello di
grammaticalizzazione, ovvero di creazione di nuove parole ed entrate lessicali da una struttura
grammaticale. Dalla grammatica al lessico.
ex. tiramisù, nontiscordardimè

Il mutamento linguistico è un fenomeno naturale.


ex. tipo → varie accezioni semantiche nel dizionario
- funzione referenziale (hai visto il nuovo tipo di stivali della Camper?)
- funzione descrittiva (sei la donna tipo)
- funzione esplicativa (mi piacciono i libri gialli tipo detective story)
- funzione interrogativa (-ho dei problemi a partecipare. -tipo?)
- funzione interazionale (-non riesco a capire che problemi ti fai per stasera -tipo, tipo tipo… che
non so cosa mettermi)
Questo è un esempio di risemantizzazione (che muta la semantica della parole, il suo significato) e
ricategorizzazione (la categoria cambia, non è più solo parte dei nomi ma può essere anche utilizzato
come aggettivo, avverbio o segnale discorsivo).
C’è differenza nei dizionari più recenti e non perché proprio ora siamo ancora immersi nel mutamento
linguistico della parola tipo, che può acquisire anche la funzione di congiunzione o/e avverbio
interrogativo.

il mutamento semantico
Il mutamento semantico è il mutamento della lingua a livello del significato delle parole e questo può
seguire diverse direzioni.
- allargamento del significato di un lessema (parola) da un referente specifico di una categoria a un
referente generico della categoria. Ciò si chiama generalizzazione semantica (da particolare a
generale).
ex. < lat. domina “signora, padrona di casa” > it. donna “ogni essere umano di sesso
femminile”
- restringimento del significato di un lessema da un referente generico di una categoria a un
referente specifico della categoria. Ciò si chiama specializzazione semantica (da generale a
particolare).
ex. < lat. domus “casa” > it. duomo “casa del signore”

mutamento semantico della parola latina caput (lat. “testa”)


- metafora → capo come primo elemento di un insieme (caposala, capocantiere)
con la generalizzazione semantica, la parole capo è passata a significare anche un
elemento di un insieme (capo di bestiame, capo di abbigliamento)

- metafora → capo come estremità superiore (capodanno, andare a capo)


con la generalizzazione semantica, la parola capo prende il significato generale di
un’estremità (i due capi della tavola)

analogia
L’analogia è il processo di creazione di nuovi elementi linguistici estendendo una regola morfologica
frequente a elementi linguistici in cui la regola più frequente non è appropriata. L’analogia è un
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mutamento linguistico che porta a regolarizzare la lingua, riducendo le eccezioni aumentando la
simmetria (sistematicità, regolarità) degli elementi linguistici all’interno della lingua. E’ un fenomeno tipico
dell’apprendimento, ed è frequente nell’interlingua (lingua in fase di apprendimento): avviene finché
l’apprendente non acquisisce le eccezioni alle regole ed evita di espandere una regola ai contesti in cui
la regola non è appropriata.
- il plurale di pomodoro → pomidoro pelati perché la parola è composta da pomo, il cui plurale è
pomi, e d’oro che rimane uguale. Il plurale dei nomi composti si applica alla testa della parola. Poi
è stato creato pomodori come plurale analogico sulla base della maggioranza delle parole
italiane.
- il superlativo di aspro → invece di asperrimo usiamo l’aggettivo regolarizzato asprissimo (sul
modello analogico di bello - bellissimo).
L’oscillazione nei dizionari testimonia che il mutamento linguistico di asperrimo è tutt’ora in corso, infatti i
parlanti ne hanno consapevolezza e oscillano nell’uso, a differenza del mutamento linguistico di
pomidori > pomodori, che si è concluso e di cui i parlanti non hanno più consapevolezza, è un
mutamento completato.

rianalisi
La rianalisi è un processo di creazione di nuove forme tramite la “reinterpertazione” di una parola o un
costrutto complessi (può essere determinata da innovazioni arbitrarie, fattori analogici e da etimologie
fantasiose legate anche alla bassa istruzione dei parlanti).

Un caso di rianalisi è la formazione del passato prossimo nelle lingue romanze (è un caso di
grammaticalizzazione, regola per esprimere la forma verbale): avviene da una rianalisi del valore
semantico e del comportamento sintattico del verbo latino habeo
habeo epistulam scriptam = possiedo una lettera che è stata scritta
. habeo = valore semantico pieno (possedere, avere in mano)
. scriptam = modificare dell’oggetto, con cui è accordato (scriptam epistulam) e non del verbo (ho gli
occhi aperti vs ho aperto gli occhi)

ho scritto una lettera


. ho = perde il suo valore semantico pieno e viene rianalizzato come forma grammaticale, come parte
del verbo
. scritto = inglobato nel verbo, non è più un aggettivo, infatti scompare l’accordo con l’oggetto
(scritto-lettera)
Questo è un caso di rianalisi, di reinterpretazione da parte dei parlanti dei valori semantici e dei valori
sintattici funzionali degli elementi di certe frasi e cosrtutti.

mutamenti nei campi semantici


RIstrutturazione di un campo semantico (insieme di lessemi che rientrano in uno specifico spazio
semantico, ex. famiglia) tramite l’espansione o la riduzione dei tratti semantici rilevanti per le parole
appartenenti a quello spazio semantico.

ex. campo semantico dei colori


< lat. italiano → riduzione, mutamento, semplificazione
ater = nero opaco nero = sia opaco che brillante
niger = nero brillante
albus = bianco opaco bianco = sia opaco che brillante
candidus = bianco brillante

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ex. campo semantico dei verba rogandi (che esprimono richiesta)
→ anche qui c’è riduzione del campo semantico in italiano: chiedere per sapere e chiedere per ottenere
vengono ridotti in chiedere e basta; mentre in spagnolo c’è ancora questa distinzione (preguntar vs
pedir), è una evoluzione lessicale ma non semantico.

parentimologia, o etimologia popolare o malapropismo


E’ la risemantizzazione di una parola per renderla più trasparente tramite l’avvicinamento ad una parola
più nota.
ex. difendere a spatatrac vs difendere a spada tratta → variante popolare formata tramite
l’etimologia comune percepita come più facile, più comune e più frequente
sprofondare di complimenti vs profondersi in complimenti
andare via defilato vs andare via difilato
ancellare vs ancillare
i tricicli alti vs i trigliceridi alti
il polistirolo basso vs il colesterolo basso
deformazione dei nomi propri → Cavazzone = Cagazzone

tabuizzazione
Sostituzione di una parola che indica un referente extralinguistico sgradito, che costituisce un tabù nella
cultura di riferimento, con un eufemismo, una parola che indica il referente in modo indiretto e mitigato,
più vago e allusivo, per attenuare un possibile effetto negativo sull’interlocutore.
ex. ultimo viaggio, dipartita, scomparsa… vs morte → la tabuizzazione rende più difficile
comprendere una parola, la si rende più sfumata ed impreciso il collegamento parola - referente perché
il parlante vuole prendere le distanze dal referente

mutamenti pragmatici
Ristrutturazione del sistema dell’allocuzione di seconda singolare.
<lat. italiano → ridimensionamento semantico
tu = neutro tu = confidenziale
vos = formalità voi = cortesia e poi è diventato oggigiorno una variante meridionale
lei = formalità

1.6 VARIAZIONE DIATOPICA


diatopia
Legata alla provenienza geografica dei parlanti. Si articola in varietà diatopiche, dette anche varietà
regionali e sono l’esito del contatto linguistico tra l’italiano e i dialetti locali. Sono, inoltre, forme/varietà
interne all’italiano molto influenzati dai dialetti e cambiano in base alla zona dell’italia.
Si possono distinguere le varietà regionali dal dialetto: poiché i dialetti sono lingue esterne all’italiano e
sono autonome, mentre le varietà regionali sono sempre parte della lingua italiana. Pertanto i dialetti
sono anche meno facilmente comprensibili a tutti i gli italiani.

varianti regionali
Varianti diatopicamente marcate, ovvero condizionate dalla variabile spazio.
- varianti fonetiche → varianti a livello di articolazione di suoni e pronuncia, come la gorgia
toscana, che prevede l’aspirazione delle consonanti occlusive sorde. Oppure, nella varietà
barese è presente la chiusura della vocali.

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- varianti sintattiche → ordine delle parole, nella selezione delle classi del discorso. Un esempio
è l’accusativo preposizionale “a” per introdurre l’oggetto sintattico (chiamo a Maria). Nelle varietà
centro settentrionali c’è l’aggiunta dell’articolo determinativo per introdurre il nome proprio di
persona (chiamo la Maria). Nelle varietà settentrionali c’è l’omissione dell’articolo di
co-occorrenza con l’aggettivo “tutto” (tutta sera e non tutta la sera). Nella varietà emiliano c’è la
sovraestensione d’uso dell’articolo “il” con il nome “gnocco” (il gnocco e non lo gnocco). Esistono
delle varianti dette pan-meridionali, ovvero che riguardano tutto il meridione, dove è presente
l’uso transitivo di verbi di moto intransitivo (esco la carne dal frigo) + posposizione del verbo nei
predicati nominali (Montalbano sono) e nei predicati verbali (andato sono).
- varianti lessicali → fenomeno dei geosinonimi, ovvero sinonimi usati in diverse aree geografiche
(frequenti nel campo semantico degli oggetti domestici) e sono dunque parole diverse che
indicano, però, lo stesso referente e hanno lo stesso significato e sono distribuite in maniera
diversa sul territorio nazionale. I geosinonimi risentono del contatto con il dialetto, in particolar
modo in alcuni contesti comunicativi informali e quotidiani.
I geosinonimi sono quindi termini con diverso significante e stesso significato.
ex. ometto, omino, croce, stampella, appendino, gruccia, attaccapanni → sono modi diversi
per fare riferimento ad uno stesso oggetto, e il termine dipende dalla provenienza
geografica del parlante
ex. intrigoni, chiacchiere, frappe, lattughe, grostoli, cenci, galani, frittoli → dolci di carnevale
ex. paccare, bigiare, fare berna, fare plao, impiccare, balzare, bruciare, fare focaccia fare
cabo’, fare sega, foldare, fare fuoco, fare fuga, fare forca, tagliare, salare, fare gavetta, fare
salina, fare vela, fare filone, fare calia/caliarsela → per indicare di aver marinato la scuola
ex. ho un’auto / tengo un’auto
Un’altra variante oltre ai geosinonimi sono i regionalismi semantici, ovvero parole che in base alla
regione cambia di significato. I regionalismi semantici sono dunque termini con lo stesso
significante ma con diverso significato.
ex. In Romagna ci sono moltissimi bagni → “bagni” può indicare non solo la stanza della
casa, ma in varianti settentrionali può anche indicare lo stabilimento balneare, il lido.
ex. villa → in varietà settentrionali indica una casa lussuosa, in varietà meridionali può
anche indicare un giardino pubblico privo di costruzioni o case.
ex. cornicione → in varietà settentrionali è un elemento architettonico di un palazzo, in
varietà meridionali indica anche la crosta, il bordo della pizza
- varianti pragmatiche → concernono l’uso della lingua e gli effetti comunicativi che la lingua può
creare nel destinatario.
Nella variante alto-atesina è presente la sovraestensione d’uso dell'avverbio “ben” (ho ben
prenotato ieri). Nella variante Lunigiana c’è la sovraestensione funzionale del connettivo “anzi”
dalla funzione avversativa alla funzione rafforzativa con il significato di “proprio” (mangio anzi la
carne, andiamo anzi al cinema).

Differenze nell’uso degli elementi linguistici = preferenza per una delle varianti libere opzionali presenti
nella varietà standard a livello diatopicamente marcato in alcune varietà. Dipendono spesso
dall’abitudine linguistica del parlante.
ex. differenze nella frequenza d’uso di passato prossimo (più comune nelle varietà settentrionali)
o di passato remoto (più comune nelle varietà meridionali) negli stessi contesti.
ex. differenze nella frequenza d’uso delle preposizioni spaziali negli stessi contesti

la variazione diatopica
Come le varietà diamesiche, diafasiche, diastratiche possono essere collocate lungo un’asse di
variazione.
11
L’italiano varia diatopicamente in modo graduale lungo un continuum di variazione entro i confini
nazionali.
!!! Ci sono differenze tra l’italiano e l’italiano parlato in svizzera per quanto riguarda i geosinonimi ed i
regionalismi semantici.

Nella varietà argentina di Buenos Aires è


presente la variante morfologica chiamata
“vesre” (revés), che riguarda la formazione delle
parole tramite la loro struttura sillabica rispetto
alla varietà standard dello spagnolo.
ex. gotan = tango
troli de novi = litro de vino
Questa regola morfologica determina tra i geosinonimi del vesre e degli standard spagnoli una
distinzione nella assegnazione del genere delle parole.
ex. mionca (f.) = camion (m.)
E determinano anche conseguenze nella resa fonetica e grafica, quindi ortografica, delle parole. ù
ex. rioba = barrio (caduta di una consonante “r”).

termini e concetti
1. variazione → l’esistenza di diverse forme (varietà) della stessa lingua.
2. variabile → il fattore o parametro extralinguistico che varia da una situazione comunicativa all’altra e
che determina la variazione della lingua
3. variante → elemento linguistico che varia

ex. la variazione diatopica è determinata dalla variabile provenienza dei parlanti che è rappresentata in
varianti, come ad esempio la sonorizzazione della consonante fricativa dentale sorda [s] in posizione
interna alla parola non intervocalica (ex. ascens[z]ore).

1.7 LINGUA E DIALETTO


il dialetto
“Una lingua è un dialetto che possiede un esercito, una marina e un’aviazione” - Max Weinreich, 1945:
questa definizione quasi aforistica, ironica sottolinea la realtà linguistica che comprende la distinzione
tra lingua e dialetto, che non riguarda aspetti linguistici, ma riguarda aspetti politici, militari e sociali. Una
lingua è il codice linguistico di una nazione più forte e più capace di difendersi, mentre il dialetto è il
codice linguistico di un territorio meno forte e meno rilevante a livello politico. Questa distinzione politica
extralinguistica porta alla considerazione che i dialetti parlati in territorio italiano, ovvero italo-romanzi
(<latino) non rappresentano delle varietà diatopiche locali della lingua italiana, né deformazioni o
semplificazioni, ma sono esiti autonomi dell’evoluzione del latino, sono lingue “sorelle” rispetto
all’italiano. Così come il latino si è evoluto nelle varie lingue nazionali, si è anche evoluto in dialetti
parlati sia in territorio italiano che in altri territori di lingua romanza.
Dal latino ci sono state evoluzione (classico → tardo-medievale → volgare): i volgari erano nel
medioevo lingue coincidenti con degli esiti diacronici del latino classico, che venivano parlate in diverse
regioni di italia. Queste lingue volgari si sono poi evolute nei secoli successivi e hanno dato esito i
diversi dialetti parlati nel territorio naizonale.
Il volgare fiorentino non solo si è evoluto in un dialetto regionale, ma anche nella lingua italiana per
questioni politiche, sociali e culturali, si è scelto come modello linguistico di riferimento per la lingua

12
nazionale nel momento in cui si doveva trovare un’unica lingua per unificare il territorio. Da qui nasce
poi l’italiano.
latino → volgari → dialetti

La distinzione tra una lingua e un dialetto è di natura non linguistica, non strutturale e non costitutiva
della lingua ma sociolinguistica (extralinguistica, politica e sociale).

Differenze sociolinguistiche tra lingua e dialetto:


- lingua → ha un’ampia diffusione geografica che supera la diffusione in un’unica regione
(sovraregionale); ha un ampio raggio di ambiti d’uso in diversi contesti comunicativi in cui può
essere impiegata dai parlanti (colloquiali e informali, ma anche formali, scientifici e burocratici)
- dialetto → diffusione geografica limitata (meno che regionale) e quindi molto inferiore rispetto
alla diffusione della lingua; ha un limitato raggio di ambiti d’uso in contesti più informali, quotidiani
e colloquiali (ma per alcuni dialetti c’è eccezione di utilizzo in ambiti letterari)
Queste differenze sociolinguistiche comportano delle conseguenze linguistiche riassumibili
nell’identificazione di una maggiore elaborazione linguistica per quanto riguarda la lingua e della
presenza di più risorse lessicali come tecnicismi, forestierismi (parole che derivano da altre lingue),
neologismi (innovazioni linguistiche inventate dai parlanti), mentre nel dialetto c’è un elaborazione
limitata, con minori risorse lessicali (dialetto=lingua più chiusa e conservativa poco esposta al contatto
linguistico con altre lingue, e quindi poco inclini alla creazione di neologismi ad esempio) e con meno
forme linguistiche impiegate.

varietà regionale e dialetto


Le varietà regionali diatopiche sono varietà interne alla lingua
italiana, mentre i dialetti sono lingue autonome, esterne, indipendenti
dall’italiano.
Dialetto e varietà regionale sono in un rapporto diverso di vicinanza
rispetto all’italiano standard: la varietà regionale è più vicina essendo
interna alla variazione della lingua (esito del contatto linguistico tra
dialetto e italiano standard), il dialetto è invece più differenziato
rispetto alla lingua standard essendo esterno.

American English e British English: sono due varietà regionali o varietà diatopiche dell’inglese. Sono
due varietà distinte all’interno della lingua inglese e sono da inquadrare come varietà diatopiche, anche
se l’inglese chiama “dialect” sia le varietà diatopiche che i dialetti.

il repertorio linguistico
Il repertorio linguistico è il ventaglio di lingue, dialetti e varietà di lingua condivise da una comunità di
parlanti. Questo può essere comunitario o individuale, e possono essere definite in base a quante sono
le lingue, dialetti e varietà conosciute e che rientrano in quel repertorio (dal singolo individuo o dalla
comunità dei parlanti). Il repertorio linguistico può essere:
- monolingue → se composto da una lingua (caso molto eccezionale sia a livello individuale che
comunitario, poiché vi rientrano anche lingue, dialetti e varietà di cui si ha una conoscenza
approssimata)
- bilingue → se composto da due lingue
- multilingue → se composto da più di due lingue

13
Il repertorio linguistico comunitario dell’Italia contemporanea è formato da:
- italiano standard e le sue diverse varietà sociolinguistiche a livello diafasico, diamesico,
diastratico e diatopico
- i dialetti italo-romanzi
- le lingue di minoranza, ovvero i codici linguistici delle minoranze linguistiche (comunità più piccole
che risiedono in territorio italiano)
- le lingue di minoranza storiche grazie a comunità nel passato che hanno abitato il territorio
italiano (tedesco: Alto Adige; francese: Val d’Aosta; sloveno: Friuli; catalano: Alghero; arberëshe,
ossia una varietà dell’albanese: Calabria, Campania, Basilicata…). Sono lingue alloglotte, ovvero
che non fanno parte dell’italiano e che sono parlate in alcuni specifici territori confinanti
- le lingue di minoranza di recente immigrazione (cinese, arabo, albanese, wolof, swahili…)

Le lingue di minoranza e i loro codici linguistici, sono tutelati dalla legge 482 del 1999: diritto di
esprimersi nella propria lingua per le minoranze linguistiche. Questa legge protegge, tutela e riconosce
circa 12 lingue di minoranza del nostro territorio nazionale. Non le tutela tutte perché è legata
principalmente al criterio della stanzialità, dell'inserimento di una lingua in un repertorio linguistico
comunitario legato ad uno specifico territorio (ad esempio la lingua romanì non è riconosciuta perché
questa comunità è sparsa su tutto il territorio italiano e non localizzate in un territorio specifico).
- ladino (Trentino e Alto Adige)
- francoprovenzale patois (Val d’Aosta)
- sloveno (Trieste e Gorizia)
Sono talmente tanto protette che sono anche insegnate nella scuola italiana e ci sono delle classi di
concorso specifiche a livello ministeriale in cui si insegnano queste lingue nelle aree geografiche di
pertinenza. Sono riconosciute parte del repertorio linguistico comunitario di questi territori.

Esempi di repertorio linguistico comunitario:


- Trentino: italiano, varietà regionale delll’italiano, dialetto trentino, ladino, cimbro, mocheno
- Valle d’Aosta: italiano, varietà regionale dell'italiano, dialetto piemontese, francese, patoi (varietà
regionale del francoprovenzale)
- Sardegna: italiano, varietà regionale dell’italiano, lingua sarda e sue diverse varietà diatopiche
(campidanese, logudorese…), catalano (Alghero)
In territori come questi, bilingui o multilingui, dove il repertorio linguistico comunitario è bilingue o
trilingue, gli studiosi di linguistica hanno cercato di capire quale siano il rapporto e l’equilibrio che si
interpone tra le differenti lingue:
- bilinguismo → compresenza di due lingue, non differenziate funzionalmente (entrambe possono
essere usate in ogni contesto comunicativo e possono dunque essere scelte liberamente dai
14
parlanti). Plurilinguismo per più di due lingue nel repertorio linguistico comunitario. Un esempio
è il rapporto tra italiano e tedesco in Alto Adige.
- diglossia → compresenza di due lingue all’interno di uno stesso repertorio linguistico
comunitario, differenziate funzionalmente (una lingua è adoperata solo in contesti formali, l’altra
lingua è adoperata solo in contesti formali). Un esempio è il rapporto fra latino e volgare nel
Medioevo (dove il volgare era usato in situazioni informali e nella quotidianità, mentre il latino era
la lingua colta degli scambi formali) oppure l’odierna compresenza delle lingue coloniali
(esolingue, ovvero lingue esterne al repertorio linguistico comunitario originario di un certo
territorio) e delle lingue locali (autoctone) in Africa
- dilalia → compresenza di due lingue in uno stesso repertorio linguistico comunitario, differenziate
funzionalmente ma non in maniera simmetrica e netta come per la diglossia (una lingua è
adoperata in ogni contesto, l’altra è adoperata solo in contesti informali). Ad esempio il rapporto
tra italiano e dialetto nello scenario contemporaneo (uso dell’italiano in tutti i contesti sia formali
che informali, mentre il dialetto usato in contesti informali e quotidiani e quindi con un ambito
d’uso più limitato).

la commutazione di codici
Per quanto riguarda la compresenza di più lingue in uno stesso repertorio (comunitario o individuale), si
registrano dei fenomeni di alternanza e gestione delle lingue, come la commutazione di codici, ovvero
l’uso alternato dei codici linguistici conosciuti all’interno di uno stesso scambio comunicativo.
Questo fenomeno si distingue in:
- code switching → alternanza dei diversi codici in concomitanza, in maniera funzionale con
aspetti pragmatici e contestuali (cambio di intensità comunicativa, cambio di interlocutore…)
ex: Poi io non è che mi posso mettere a fare le telefonate per niente, ogni minuto / U
telefunu u pavu iu! → in questo scambio italiano-dialetto catanese, vediamo che il finale del
discorso è in dialetto per enfatizzare la forza espressiva rispetto alla prima parte del discorso, la
causa viene comunicata con il passaggio di codice dall’italiano al dialetto
- code-mixing → alternanza tra due codici è casuale nel discorso e determina enunciati mistilingui
(in cui sono mescolate più lingue) all’interno del discorso di uno stesso parlante
ex: Bueno, in other words el flight que sale de Chicago around three o’clock → in maniera
apparentemente casuale il parlante mescola le lingue da lui conosciute e dal suo
interlocutore probabilmente.
Questo fenomeno è caratteristico dei parlanti bilingui o multilingui, spesso per enfatizzare alcune
parti del discorso (come nel code switching) ma anche a causa della mescolanza dei due codici
linguistici che in un determinato momento (ex. per la stanchezza) non riescono a distinguere nel
proprio parlato.

interferenza
Altri fenomeni che sono determinati dalla compresenza di più lingue in uno stesso repertorio sono quelli
che rientrano nel fenomeno dell’interferenza (o transfer), ovvero il trasferimento di materiale linguistico
da una lingua all’altra, a qualsiasi livello linguistico (lessicale, fonetico, morfologico, sintattico,
pragmatico…)
- transfer lessicali → i cosiddetti “falsi amici”
ex. embarazada = it. incinta, non "imbarazzata"
- transfer sintattico → ex. venerdì su sabato < ted. “von Freitag auf Samstag” = la notte tra
venerdì e sabato (esempio di una interferenza linguistica tra italiano e tedesco in una produzione
di un immigrato italiano nella Svizzera tedesca, che quindi parla italiano ma su modello tedesco)

15
PROPRIETÁ DEL LINGUAGGIO VERBALE UMANO
2.1 DEFINIZIONE DI ARBITRARIETA’
la linguistica
La linguistica è lo studio scientifico della lingua, basato su raccolte dati di modelli teorici. E’ una disciplina
non normativa, non è una disciplina che dice ai parlanti cosa si dice e cosa non si dice, ma è una
disciplina descrittiva, ovvero che mira a spiegare come funziona una lingua del mondo ed ha uno scopo
conoscitivo ed esplicativo, ossia che spiega perché la lingua funzioni in uno specifico modo attraverso i
fattori cognitivi (elaborazione della lingua nel cervello umano), individuali (scelte soggettive e legittime
dei parlanti) e sociali (scelte condivise da una comunità di parlanti).

il linguaggio
Tra i diversi tipi di linguaggio (l. del corpo, l. dei numeri, l. degli animali …) la caratteristica comune è
l’essere dei sistemi di comunicazione, sono tutte delle forme per comunicare, per mandare dei
messaggi.

Il linguaggio verbale umano si distingue dagli altri sistemi comunicativi, perché è un sistema di
comunicazione specifico della specie homo sapiens sapiens ed è una facoltà specifica e peculiare innata
della specie umana, condizionata da fattori culturali-ambientali. Il linguaggio verbale umano possiede
numerose proprietà peculiari che lo contraddistinguono dagli altri sistemi di comunicazione. Il
linguaggio verbale umano ha tante realizzazioni concrete quante sono le lingue del mondo. E’ un
concetto più teorico e generale, mentre la lingua è una realizzazione specifica e concreta del linguaggio
verbale umano. .

funzione cognitiva della lingua


Tutte le lingue del mondo condividono le proprietà del linguaggio verbale umano perché ne sono una sua
espressione, ma hanno delle differenze. Queste differenze non riguardano i principi costitutivi delle
lingue, ma riguardano funzioni e struttura (lessico e grammatica) e la funzione cognitiva della lingua,
poiché la lingua oltre ad avere una funzione comunicativa ha anche una funzione cognitiva in quanto è
uno strumento del nostro cervello per categorizzare le informazioni che ci arrivano dal mondo esterno,
per codificare la realtà extralinguistica. Le lingue possono differenziarsi per quanto riguarda la funzione
cognitiva, almeno nella codifica di alcuni referenti nella realtà. Ad esempio, possono esserci diverse
codifiche lessicali o morfologiche di uno stesso elemento extralinguistico, com per quanto riguarda la
combinazione tra parola e significato in una lingua e nelle altre:
- it. neve → nella lingua inuit viene organizzata in più esperienze sensoriali e in più entrate
cognitive che si traducono in più entrate lessicali: aput (neve caduta), qana (neve che cade),
piqsirpoq (neve portata dal vento), quimuqsuq (neve che scende a valanga).
- it. mangiare → in tedesco ci sono delle distinzioni della classificazioni della realtà extralinguistica,
codifica unica e generale delle parole dell’italiano e una codifica più analitica per
sottoclassificazione. A questo verbo corrispondono due verbi: essen (da parte delle persone),
fressen (da parte di animali)
Tutte le lingue hanno risorse linguistiche per esprimere tutti i significati, ma tra le lingue può variare il tipo
di risorse (lessicali, morfologiche, sintattiche, pragmatiche).

la biplanarità del segno


Quello che tutte le lingue del mondo condividono è l'insieme delle proprietà peculiari del linguaggio
verbale umano, come la biplanarità. La biplanarità è la presenza nelle parole di due livelli: un livello di
forma, di espressione del contenuto chiamato significante ed è la parte fisicamente tangibile della

16
parole (del segno: c-a-n-e, insieme di 4 grafemi che formano la parola cane [canale grafico-visivo] o
l’insieme di 4 suoni che forma la parola cane [canale fonico-acustico]). Al significante si affianca il
significato, ovvero il contenuto, il piano della semantica e della identificazione di un certo referente che
viene veicolato dal significante. E’ un piano più profondo e riguarda il referente che la parola indica. La
biplanarità è una caratteristica tipica dei messaggi del linguaggio verbale umano e riguarda sia l e
parole, sia i cosiddetti “segni”. Un segno è un'associazione tra un significante e un significato, che è
esemplificato dalle parole di una lingua (infatti il codice linguistico è un insieme di segni), ma anche da
elementi più piccoli rispetto alle parole, come ad esempio i morfemi.

arbitrarietà
L’arbitrarietà è una seconda caratteristica, una seconda proprietà del linguaggio verbale umano che
interessa il rapporto tra significante e significato. E’ la natura arbitraria convenzionale dei segni,
dell’associazione tra significante e significato tra le parole o dei segni di una lingua.
Il rapporto tra significante e significato è un legame naturalmente motivato, connesso all’essenza delle
cose, derivabile per osservazione empirica o per ragionamento logico. Quindi se ci fosse una
motivazione extralinguistica per la quale la forma tangibile cane è riferita al referente animale domestico.
Non c’è un rapporto condizionato dalla natura extralinguistica per il quale un significante è associato ad
un determinato significato. Lingue diverse hanno significati diversi per esprimere lo stesso significato,
proprio perché non c’è una associazione extralinguistica tra significante e significato ma è una
associazione convenzionale-culturale linguistica.
L’associazione tra significante e significato è arbitraria e convenzionale e può variare inter
linguisticamente, il che vuol dire che l'associazione tra significante e significato può variare tra le lingue.
ex. diversi significanti per lo stesso significato
it. cane, ted. hund, ingl. dog, franc. chien, spag. perro
ex. diversi significati per significanti analoghi
it. bello “bello”, ingl. bell “campana”, lat. bellum “guerra”, tur. belli “evidente”

triangolo semiotico del rapporto arbitrario (significato, significante e


referente extralinguistico)
- significante (espressione linguistica)
- significato (concetto codificato dalla lingua, che categorizza la
realtà in un modo specifico, è la codifica linguistica del
referente che può cambiare da una lingua all’altra)
- referente (realtà extralinguistica, elemento extralinguistico che
viene indicata dalla lingua, o meglio dal segno linguistico
[parola], ma che esiste al di fuori della lingua, rimane lo stesso
perché esterno alle lingue)

L’arbitrarietà si può distinguere in 4 tipi in base alle combinazioni tra i tre elementi del triangolo
semiotico:
- 1° livello di arbitrarietà: rapporto tra segno e referente → quindi tra l’unità linguistica biplanare e
l’elemento extralinguistico del referente: il loro rapporto è arbitrario e convenzionale
segno = combinazione di significato e significante
it. cane “cane”, perché questo segno e non un altro? Non c’è un motivo condizionato dalla realtà
extralinguistica.
Possibile eccezione dell’arbitrarietà del linguaggio verbale umano: onomatopee = segni che riproducono
caratteri fisici del referente, riflettono il referente a cui si riferiscono. Dunque nelle onomatopee
sembrerebbe esserci un rapporto condizionato tra segno e referente, ma l’onomatopea cambiano
interlinguistica mente piuttosto che rimanere ancorate alla realtà extralinguistica a cui si riferiscono, che
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cambia da una lingua/cultura all’altra. Le onomatopee sono conferma del rapporto arbitrario tra segno e
referente.
ex. it. bau bau; ingl. woof, woof; ted. wau, wau
Ipotesi di spiegazione per l’associazione tra un segno ed un referente: ipotesi di iconismo, secondo la
quale il linguaggio verbale umano riproduce la realtà extralinguistica
ex. la codifica del plurale con l’aggiunta di materiale fonico (grafemi o fonemi)
ingl. child/childrEN, ted. kind/kindER, swahili mtoto/watoto, franc. enfant/enfantS
Controesempio che smentisce l’ipotesi di iconismo: in italiano la codifica del plurale non si forma con
l’aggiunta di materiale fonico, ma con la sostituzione dell’ultima fonema e dell’ultimo grafema della parola
ex. it. bambino/ bambinI

Ipotesi di spiegazione per l’associazione tra un segno e un referente: fonosimbolismo, per il quale
alcuni elementi linguistici hanno un legame intrinseco con alcuni significati
ex. fonema [i] = piccole dimensioni del referente perché si pronuncia a labbra strette riducendo
quindi le dimensioni dell’apertura della bocca così come sono ridotte le dimensioni del referente. Questo
vale per it. piccolo, minimo, -ino; ingl. little
Controesempio che smentisce l’ipotesi: it. infinito, illimitato, -issimo, iper-; ingl. big

- 2° livello di arbitrarietà: rapporto tra significato e significante (è interno alla lingua): è arbitrario
It. significante cane → significato cane : perché questo significante e non un altro (cano, fane, cone) è
associato al significato “cane”?
Si può risalire in modo diacronico alla protolingua (ex. italiano < latino < indoeuropeo) ma si rinvia la
questione dell’arbitrarietà tra significante e significato e alla fine rimane la domanda sulla motivazione
dell’associazione significato-significante nella protolingua.

- 3° livello di arbitrarietà: rapporto tra forma del significato e sostanza del significato: è
arbitrario
forma del significato = struttura ed organizzazione interna
sostanza del significato = rappresentazione della realtà extralinguistica, insieme ai concetti
Ogni lingua ritaglia secondo propri criteri un certo spazio di significato, distinguendo e rendendo
pertinenti una o più caratteristiche del referente (uno o più tratti semantici).
→ triangolo semiotico: significante (a-n-d-a-r-e), significato (spostarsi), doppio referente (due
movimenti: a piedi o in macchina)
N.B. significato e significante fanno parte della lingua, mentre il referente è al di fuori della lingua
ex. tedesco: significante (g-e-h-e-n), significato (spostarsi a piedi), un unico referente
significante (f-a-h-r-e-n), significato (spostarsi in auto), un unico referente
ex. cinese: “andare” italiano corrisponde a “andare a piedi” o “andare con un mezzo di trasporto
dove stare seduti”
ex. spagnolo: italiano “nipote” può essere nieto “figlio del figlio/a” o sobrino “figlio del
fratello/sorella”
ex. hindi: italiano “zio” corrisponde a cinque parole in hindi: “fratello minore del padre”, “fratello
maggiore del padre”, “fratello della madre”, “marito della sorella del padre”, “marito della sorella della
madre” → tra hindi e italiano c’è una differenza tra forma e sostanza del significato che conferma
l’arbitrarietà di questo rapporto
ex. it. portare “portare” ≠ spagn. traer, ingl. to bring (portare avvicinandomi); spagn. llevar, ingl. to
carry (portare allontanandomi)
it. portare “portare” → franc.: porter (portare addosso), apporter (trasportare un oggetto
piccolo), emporter (trasportare un oggetto grande), amener (portare qualcuno in un posto e lasciarlo lì),
emmener (portare qualcuno in un posto e rimanere lì)
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ex. it parlare “parlare” ≠ svedese pratar (parlare), talar (saper parlare una lingua)
L’arbitrarietà tra forma del significato (struttura ed organizzazione interna) e sostanza del significato
(rappresentazione della realtà extralinguistica, insieme di concetti) dipende da una diversa selezione dei
tratti semantici rilevanti
ex. it. andare ≠ ted. gehen/fahren ex. it. bianco ≠ lat. albus/candidus

ex. scomposizione di forme verbale, parola in sé e morfemi che la compongono

Questo è un ulteriore esempio di come l’arbitrarietà tra forma e sostanza del significato esista e sia
confermata dalla variazione interlinguistica tra associazione tra forma e sostanza del significato di parole
di lingue diverse.

- 4° livello di arbitrarietà: rapporto tra forma del significante e sostanza del significante: è arbitrario
forma del significante = struttura ed organizzazione interna
sostanza del significante= insieme di concetti
Ogni lingua organizza secondo i propri criteri la scelta dei suoni pertinenti, distinguendo e rendendo
pertinenti determinate unità foniche
ex. it. pena ≠ penna (diversa durata della consonante distingue due parole)
it. casa ≠ caasa (diversa durata della vocale non distingue due parole, stessa parola
pronunciata con diversa durata della pronuncia della vocale per motivi pragmatici, x enfatizzare)
ex. lat. ănus “donna vecchia” ≠ annus “anno” (diversa durata della consonante distingue due
parole)
lat. ănus “donna vecchia” ≠ ānus “anello” (diversa durata della vocale distingue due parole)

2.2, 2.3 PROPRIETÀ LINGUAGGIO VERBALE UMANO


doppia articolazione
La doppia articolazione è l’articolazione di una qualsiasi lingua in unità di prima e di seconda
articolazione.
1. unità minima di prima articolazione, dotata di significato (morfemi: gatt-o), sono le più piccole
strutture linguistiche dove c’è la biplanarità (sia piano dell’espressione tangibile del contenuto
come significante, sia il piano del significato, semantica legata alla realtà a cui si fa riferimento). Il
morfema è un segno, perché dotato di biplanarità, perché per quanto il suo significato necessita
di essere composto da altri morfemi nella composizione di una parola. La parola “gatto” è formato
da due segni, ovvero due morfemi: gatt-, che indica a quale referente extralinguistico la parola fa
riferimento, e il morfema -o, che indica alcune caratteristiche semantiche del referente a cui la
parola fa riferimento (maschile, singolare).
2. unità minima di seconda articolazione, dotate di valore distintivo (fonemi: g-, a-, t-, t-, -o), le più
piccole strutture della lingua dotate di valore distintivo (formano i morfemi). La loro presenza in
una parola distingue quella parola da altre parole. I fonemi sono unità di seconda articolazione,
cioè subordinate ai morfemi (che sono di prima).
19
Il vantaggio di questa organizzazione in doppia articolazione è l’economicità del sistema linguistico del
linguaggio verbale umano: con un numero limitato di elementi di seconda articolazione (fonemi) si
possono creare tantissimi elementi di prima articolazione (morfemi) che possono creare tantissime
combinazioni dotate di significato (parole). Quindi, con un numero ristretto di elementi si possono
ottenere combinazioni potenzialmente infinite, e creare quindi nuove risorse linguistiche per il sistema.
Vantaggio di ottimizzare le risorse linguistiche e raggiungere il massimo risultato comunicativo ed
espressivo.
Nei casi in cui il morfema è composto da un unico suono, c’è una sovrapposizione tra morfema e
fonema: quindi la -o di “gatto” è sia morfema perché ha valore di significato semantico (maschile
singolare), ed ha valore distintivo.

trasportabilità del mezzo


Un atto linguistico può essere realizzato o trasmesso con due canali traducibili reciprocamente (anche
se non del tutto coincidenti, cfr. variazione diamesica e gli effetti comunicativi correlati).
- canale fonico-acustico → comunicazione parlata
- canale grafico-visivo → comunicazione scritta

Per quanto riguarda le due modalità di comunicazione e produzione, bisogna considerare la priorità del
parlato, ovvero il fatto che tutte le lingue che hanno varietà scritte hanno anche varietà parlate, mentre
non è vero il contrario (solo orali e non hanno convenzioni di scrittura). Questa è una priorità
antropologica del parlato rispetto allo scritto. esiste poi la priorità ontogenetica, secondo cui tutti gli
individui imparano prima a parlare e in seguito a scrivere. La priorità filogenetica, invece, secondo cui la
specie umana ha sviluppato prima la lingua parlata e poi la lingua scritta.
La priorità dello scritto è di tipo sociale, perché è un requisito indispensabile per una lingua evoluta, è
lo strumento di trasmissione della legge, sapere specialistico, cultura, istruzione, ha validità giuridica
(firma), (“dove sta scritto?”).

linearità
Nel linguaggio verbale umano il messaggio è prodotto e ricevuto in successione lineare nel tempo (per
la comunicazione parlata) e nello spazio (per la comunicazione scritta) e il ricevente può formarsi delle
previsioni sul messaggio prima che questo sia completamente prodotto.
La caratteristica della linearità distingue il linguaggio verbale umano da altri tipi di linguaggio: come il
linguaggio dei fiori, dove il messaggio è prodotto e ricevuto in modo globale, istantaneo e complessivo
(ex. significato di un mazzo di rose rosse).

discretezza
Un’altra proprietà del linguaggio verbale umano è la discretezza, ovvero l’essere composto da elementi
della lingua discreti, cioè non continui e che dunque hanno limiti ben definiti. Ad esempio i morfemi, i
fonemi e i sintagmi, che sono elementi non continui o graduali ma marcati in confini netti. Ciò per
utilizzare poche risorse per molte combinazioni riconoscendo subito gli elementi linguistici.
ex. [p] - [b] (patto-batto) → sono due parole riconoscibili perché hanno dei confini ben definiti
nonostante i morfemi successivi al primo segno siano gli stessi grazie alle consonanti non continue ma
distinguibili
bambin- -o vs bambin- -i → i morfemi sono riconoscibili ed utilizzabili nella loro autonomia e
discretezza dai parlanti della lingua per numerose combinazioni
bambin- -o vs tavol- -o

20
onnipotenza semantica
La proprietà dell’onnipotenza semantica (o polifunzionalità del linguaggio verbale umano) permette di
comunicare ed esprimere tutti i contenuti, significati e referenti possibili, o quasi. C’è quindi una grande
potenza espressiva e comunicativa del linguaggio verbale umano rispetto ad altri linguaggi (ex.
musicale, artistico, dei fiori), e questo permette di dare espressione ad un’enorme gamma di contenuti,
finalità:
- informativo → trasmette informazioni
- speculativo → esprimere il pensiero ed emozioni
- emotivo → esprimere le proprie emozioni, sensazioni e sentimenti
- sociale → instaurare relazioni interpersonali
E’ un sistema di comunicazione molto più complesso rispetto ad altri sistemi comunicativi.

le funzioni della lingua


Il sistema di comunicazione umano è un sistema che permette di fare più cose con la comunicazione,
non solo di mandare segnali ma anche di costruire relazioni, riflettere e dare forma al pensiero, e le
diverse funzionalità della lingua vengono definite funzioni pragmatiche della lingua. Questo tratto di
possedere diverse funzioni pragmatiche e comunicative che hanno diversi effetti sugli interlocutori è
stato definito dal linguista Jakobson nel 1966 con la teoria delle funzioni della lingua. Le componenti
necessarie per la comunicazione linguistica sono:
- canale della comunicazione → consiste nel creare un contatto tra interlocutori
- referente → cil a cui l’atto linguistico fa riferimento, il contenuto dell’atto linguistico, del
messaggio comunicativo
- mittente → parlante o scrivente, chi elabora il messaggio trasmettendolo al destinatario
- messaggio → forma linguistica e sue potenzialità, sfumature ed effetti
- destinatario → chi ascolta o legge, chi riceve il messaggio
- codice → insieme di regole che permettono di costruire un atto linguistico, di rendere il
messaggio comprensibile in base ai funzionamenti tra gli interlocutori

Le componenti dello scambio comunicativo della lezione di linguistica:


- canale → fonico/acustico, grafico/visivo
- referente → linguistica
- mittente → professoressa
- messaggio → enunciati prodotti dalla professoressa (lessico tecnico, morfologia e sintassi
complessa in varianti di varietà accademico-scientifica del sottocodice della linguistica…)
- destinatario → studenti
- codice → italiano. varietà orale accademico-scientifica

A ciascuna componente si collega una funzione, o una classe di funzioni:


- canale → funzione fatica (< lat. forfaris “parlare”), costruzione di legame tra interlocutori
ex. pronto, buongiorno, ci sei? → non veicola dei messaggi, ma dà il segnale
all'interlocutore di essere pronti ad instaurare un contatto
- referente → funzione referenziale (<lat. refero "riportare"), ovvero informativa, che indica delle
realtà extralinguistiche che vengono descritte o presentate
ex. testi informativi, lezioni accademiche
- mittente → funzione emotiva (<lat moveo “scuotere, agitare”), la finalità di esprimere i sentimenti
e i punti di vista del mittente
ex. mi dispiace, bello, casetta (parola connotativa, morfema che indica cosa il mittente provi
nei confronti del referente)
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- messaggio → funzione poetica (<greco “costruire, fare”), che riguarda la funzione della poesia e
di forme letterarie che danno particolare importanza a come il messaggio viene veicolato
ex. letteratura, poesia, testi di canzoni
- destinatario → funzione conativa (<lat. cono “cercare,
intraprendere”), tende a esortare il destinatario a far
qualcosa, cercando di ottenere qualcosa dal destinatario
ex. libretti di istruzioni, cartelli con divieti, leggi,
regolamenti istituzionali → chiamano in prima linea in
maniera esplicita il destinatario, chiedendogli di fare o
non fare qualcosa
- codice → funzione metalinguistica, ovvero atti linguistici
che parlano della lingua stessa. È una funzione
particolarmente complessa, acquisita intorno ai 6 anni Solo il
linguaggio verbale umano ha questo strumento
autoriflessivo per parlare di sé.
ex. regole grammaticali, riflessioni sul lessico, sul codice scelto per comunicare

riflessività
Questa proprietà è strettamente collegata alle funzioni pragmatiche della lingua di Jakobson. La
riflessività fa riferimento al fatto che con il linguaggio verbale umano si può parlare del linguaggio verbale
umano stesso (enunciati con funzione metalinguistica).
ex. In italiano esistono due forme di futuro: semplice ed anteriore.
A casa parlo il dialetto con i nonni.
Imparare la lingua cinese è difficile perché è molto diversa dall’italiano.

distanziamento e libertà dello stimolo


Questa proprietà distingue nettamente il linguaggio verbale umano dagli altri sistemi di comunicazione.
Infatti con il linguaggio verbale umano si può parlare di referenti lontani nel tempo e nello spazio, che
assenti dal contesto nel momento dell’enunciazione che vengono ricreati linguisticamente. Io posso, ad
esempio, parlare del Medioevo anche se non siamo più in quel periodo storico; posso parlare di una
terza persona non presente nel momento della comunicazione. Con gli altri sistemi di comunicazione
non si può far riferimento a determinate situazioni, come succede con il linguaggio verbale umano,
possono riferirsi esclusivamente alle realtà contingente (momento dell’enunciazione). E’ l’unico che può
ricreare linguisticamente degli elementi assenti al momento dell’enunciazione.
ex. abbaiare del cane = ho fame, voglio uscire… NO avevo fame ieri, vorrò uscire tra due ore…
messaggio linguistico = SIA ho fame, voglio uscire… SIA avevo fame ieri, vorrò uscire tra
due ore…

equivocità
Con il linguaggio verbale umano si possono creare plurime associazioni fra significato e significante. Un
significato può avere quindi tanti significanti.
ex. parte anteriore della testa = faccia, viso, volto
Anche un significante può avere tanti significati.
ex. carica = la carica politica, il cellulare non carica, la carica dei soldati, un’auto carica di pacchi
C’è un rapporto non binario tra significato e significanti.
Il vantaggio di questa proprietà è quella di una maggiore flessibilità e adattabilità a esprimere contenuti
sempre nuovi. Il possibile svantaggio di riscontrare fraintendimenti è evitato dalla presenza del contesto.

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produttività o creatività regolare
Indica la possibilità che il linguaggio verbale umano ha di creare infiniti messaggi grazie alle doppia
articolazione. Una regola si può applicare a più contesti, si può replicare, si parla di regole produttive
quando c’è la condivisione, tra i parlanti di una lingua, la conoscenza di una regola.
Il vantaggio è l’economia della lingua: con un numero limitato di elementi e di segni si possono creare
illimitate combinazioni.

ricorsività
Uno stesso procedimento è applicabile un numero teoricamente illimitato di volte come replica di sé
stesso, se sono mantenute le condizioni in cui questo si applica. Una procedura linguistica può essere
applicata al risultato della procedura stessa. Aggiunta di morfemi.
ex. atto → attuale → attualizzare → attualizzabile → attualizzabilità
bello → bellissimo → bellissimissimo (variante giovanile)
Si può applicare la procedura che porta alla formazione di nuove parole alle parole stesse, alle parole
che già sono state create con quella procedura, in un ciclo iterativo che permette alla lingua di
ottimizzare le risorse per esprimere quanti più significati possibili. (ricorsività morfologica: inserimento
progressivo e ripetuto di morfemi)

Abbiamo anche la ricorsività sintattica, che quindi non riguarda la formazione delle singole parole, ma
della costruzione della stessa frase.
ex. Gianni corre → struttura base sogg + verbo
Mario vede che Gianni corre → 2 strutture ordine sogg+ verbo
Luisa dice che Mario vede che Gianni corre → 3 strutture ordine sogg+ verbo
Tutti sanno che Luisa dice che Mario vede che Gianni corre → 4 strutture ordine sogg+ verbo

dipendenza della struttura


Le frasi non sono una semplice successione di elementi collegati agli elementi attigui, anche elementi
distanti tra loro possono essere collegati.
ex. Marco è alto → composta tra tre elementi collegati tra di loro, è il terzo elemento (alto) è
collegato e dipendente dal primo (Marco)
ex. Marco, il fratello di Luca, è alto → “alto” continua a riferirsi a Marco, anche se il nome più vicino
è Luca
→ C’è quindi possibilità di mantenere dipendenze tra elementi anche se questi elementi sono in
posizione lontane all’interno della frase e del testo, quindi anche in caso di discontinuità sintattica (non
attiguità degli elementi che si riferiscono l’uno all’altro) c’è dipendenza della struttura. Essendo questa
una proprietà costitutiva del linguaggio verbale umano, è presente in tutte le lingue.

complessità sintattica
Riguarda gli ordini degli elementi contigui: le posizioni lineari degli elementi attribuiscono agli elementi
una funzione.
ex. Gianni vede Luca vs Luca vede Gianni → queste frasi fanno riferimento a due eventi diversi,
in cui il protagonista è diverso, e questa diversità nelle realtà extralinguistiche riportate è specificata e
veicolata con un diverso ordine sintattico nelle due frasi, che attribuiscono a Luca o a Gianni la funzione
di soggetto in base alla posizione all’interno della frase.

Sono presenti poi anche le dipendenze a livello sintattico, per le quali: fra gli elementi della frase
intercorrono rapporti gerarchici, con dipendenze fra elementi contigui e non contigui.

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ex. Il libro di Chomsky sulle strutture sintattiche → “sulle strutture sintattiche” si riferisce al libro e
non a “Chomsky”

Ci sono anche le incassature sintattiche, che sono i casi in cui gli elementi si possono incassare
all’interno di elementi in dipendenza tra loro.
ex. Il cavallo che corre senza fantino sta vincendo

la lingua
Differenza tra linguaggio verbale umano (= capacità di comunicare con determinate caratteristiche) e
lingua (= realizzazione concreta che il linguaggio verbale umano assume in una specifica comunità di
parlanti). Esiste quindi UN linguaggio verbale umano MA TANTE lingue, quante sono le diverse
comunità di parlanti. Ciò che accomuna queste lingue sono le proprietà del linguaggio verbale umano
(biplanarità, discretezza, doppia articolazione, ricorsività, dipendenza della struttura…); mentre le diverse
lingue si distinguono per le regole per l’uso delle strutture linguistiche (ex. la struttura sintattica).

trasmissibilità culturale
Mentre il linguaggio degli animali è trasmesso geneticamente, il linguaggio verbale umano (tutte le lingue
che ne costituiscono la realizzazione concreta) ha sia una componente innata (la facoltà del linguaggio,
ovvero la predisposizione a comunicare con una lingua della specie homo sapiens sapiens) sia una
componente culturale-ambientale (che determina quale lingua impariamo). Quindi, tutti gli esseri
umani sono predisposti ad apprendere una lingua in base al luogo di nascita, all’ambiente e alla cultura.
La facoltà del linguaggio è specie-specifica: solo l’essere umano ha le caratteristiche neurofisiologiche
ed anatomiche necessarie per la complessa elaborazione linguistica e per la produzione linguistica
scritta e orale per la comunicazione sia a livello di produzione sia a livello di comprensione (come
l’articolazione dei suoni). Grazie a questa caratteristica, la lingua è appresa nel periodo della prepubertà
linguistica (primi 11-12 mesi di vita) e nella prima infanzia grazie all’esposizione all’input linguistico
(materiale linguistico, esempi e modelli linguistici), che permette al bambino di comprendere via via
regole e parole sempre più complesse di una lingua.

il funzionamento della lingua


- Ferdinand de Saussure (padre fondatore della linguistica nei primi del ‘900): la forma di
comunicazione della specie umana si divide in:
langue → sistema astratto di riferimento collettivo (sociale)
parole → esecuzione concreta realizzata da un parlante, un atto linguistico individuale (tra due
interlocutori in un determinato momento e in determinato spazio)
Questo concetto è stato poi ripreso da altri studiosi di linguistica:
- Eugenio Coseriu
sistema → insieme astratto di potenzialità della lingua
uso → atto concreto costruito con le unità fornite dal codice (atto comunicativo che si realizza in uno
specifico contesto di enunciazione, spazio-tempo)
- Noam Chomsky
competence (competenza) → ciò che il parlante sa esprimere, comporre, comprendere
performance (esecuzione) → ciò che il parlante fa, esecuzione concreta delle competenze linguistiche
del parlante con specifici interlocutori, spazio e tempo

rapporti paradigmatico e sintagmatico


- Ferdinand de Saussure
Rapporti paradigmatici e sintagmatici tra elementi linguistici (parole, morfemi, sintagmi).
rapporto paradigmatico
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Ogni attuazione di un elemento del sistema di segni in una certa posizione nel messaggio implica una
scelta di un paradigma (o insieme) di elementi selezionati in quella posizione, con cui è in rapporto
paradigmatico o associativo (in absentia).
ex. Il gatto rincorre il topo → gatto (e non cane, e non gallo…); topo (e non ranocchio, e non
coniglio…) → sono tutti elementi che si trovano in uno stesso paradigma (in uno stesso insieme) e sono
tutti elementi nominali che si possono selezionare nella stessa posizione. A livello sintattico e non
semantico, questi elementi hanno lo stesso significato e sono collegate tra loro da un rapporto di tipo
paradigmatico e sono collegate tra loro da un rapporto di in absentia (competizione) perché vengono
selezionate dal parlante in base a ciò che il parlante vuole esprimere. Lo stesso concetto si può
applicare anche al verbo della frase, selezionato dal parlante tra altri.

rapporto sintagmatico
Ogni attuazione di un elemento del sistema dei segni di una certa posizione nel messaggio è vincolata
dagli altri elementi che compongono il messaggio, compresenti e legati da rapporti sintagmatici (in
praesentia).
Al contrario degli elementi paradigmatici, che sono in alternativa, gli elementi legati da rapporti
sintagmatici sono compresenti e concorrenti all’interno di uno stesso contesto.
ex. Il gatto rincorre il topo → gatto (e non gatti, gatta, gatte); rincorre (e non rincorri, rincorrono,
rincorriamo)...
→ “il” è stato scelto in funzione di “gatto”, se no se avessimo selezionato “gatta” di conseguenza
avremmo usato “la”. Abbiamo dunque un'associazione sintagmatica di dipendenza tra “il” e “gatto”. Lo
stesso anche tra “gatto” e "rincorre". La selezione non è in alternativa o in competizione, ma in
compresenza tra alcuni elementi della frase ed altri.

Rapporti tra elementi linguistici sull’asse


paradigmatico riguardano le relazioni a
livello di sistema.
Rapporti tra elementi linguistici sull’asse
sintagmatico riguardano le attuazioni del
sistema.
La dimensione paradigmatica fornisce
insiemi (paradigmi) degli elementi di una
lingua (fonemi, morfemi, parole).
La dimensione sintagmatica fornisce le
regole di combinazione degli elementi di una
lingua, regolando la legittimità delle
combinazioni degli elementi presenti nello
stesso contesto linguistico.

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3.1 TESTUALITÀ
La testualità riguarda l’analisi dei fenomeni linguistici che intervengono oltre il livello della frase (della
sintassi = dell’organizzazione della frase), per la cui interpretazione è necessario prendere in esame un
contesto linguistico superiore a quello della frase: il testo. Il testo (scritto o orale) è l’insieme di frasi
prodotte all’interno di uno specifico contesto linguistico (o cotesto) e di uno specifico contesto
extralinguistico (o scambio comunicativo).

pronominalizzazione
E’ l’impiego e il comportamento dei pronomi, soprattutto dei pronomi personali. Nella testualità è
presente lo studio, l’analisi e la codifica dei pronomi.
ex. Il cane abbaia. Maria si affaccia alla finestra. Lo vede tutto infuriato (...)
il pronome “lo” è un pronome anaforico: anafora = riferimento ad un elemento co-referente (che indica
lo stesso referente extralinguistico) menzionato in precedenza (nella parte superiore del testo). Infatti
l’antecedente di “lo”, in questo caso, è “il cane”. Quindi “il cane” e “lo” sono co-referenti perché entrambi
si riferiscono alla realtà extralinguistica dell’animale domestico cane.
→ dunque i pronomi sono anaforici quando fanno riferimento ad un co-referente menzionato
precedentemente nel testo

ex. Lo sapevi? Come hai fatto a scoprirlo? L’appuntamento per domani alle 19 era per la festa a
sorpresa!
i pronomi “lo” sono pronomi cataforici: catafora = riferimento ad un elemento co-referente (che indica lo
stesso referente extralinguistico) menzionato successivamente (nella parte inferiore del testo). In questo
caso, entrambi i pronomi “lo” fanno riferimento a “l’appuntamento”, che viene dopo, quindi nella parte
successiva ed inferiore del testo.
→ è quindi un’anticipazione rispetto al co-referente più esplicito che spiego qual è il referente a cui sia il
pronome sia il co-referente fanno riferimento.

l’anafora
Riferimento di natura personale, temporale o spaziale ad elementi presenti nel testo, menzionati in
precedenza ed accessibili. Considerando l’anafora come sistema, essa è l’insieme di pronomi e
riferimenti avverbiali che fanno riferimento ad elementi menzionati in precedenza nel testo, desumibili dal
testo.
ex. Lunedì Luca ha parlato con suo fratello e si è deciso. Il giorno dopo ha lasciato la città e lo ha
raggiunto a Lione, dove si sono incontrati in stazione alle otto.
Gli elementi anaforici sono quelli in grassetto, ed ognuno di essi indica: suo, personale, poiché fa
riferimento a “Luca”, precedentemente menzionato; dopo, temporale, perché fa riferimento ad un’altra
sfera temporale rispetto a quella antecedentemente presentata nella frase, ovvero “lunedì”; dove,
spaziale, perché fa riferimento alla città riportata subito prima. Un altro riferimento anaforico personale
presente nell’enunciato è lo, che fa sempre riferimento a “Luca”.

la deissi
La deissi ancora il testo all’atto di enunciazione con riferimenti di natura personale, temporale o spaziale
ad elementi presenti dell’enunciazione, e pertanto accessibili agli interlocutori. I riferimenti di natura
personale, spaziale e temporale sono operati per elementi presenti nel contesto dell’enunciazione, quindi
condivisi e accessibili alla comprensione non perché già menzionati ma perchè presenti nel contesto
dell’enunciazione.
ex. riferimento deittico temporale (riferimento al momento dell’enunciazione) → prima, ora (solo
se collegati a quando vengono enunciati nel parlato o nello scritto)

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riferimento deittico spaziale (riferimento allo spazio dell’enunciazione) → qui, lì (decodificato
se i gli interlocutori condividono lo stesso spazio): deittici spaziali prossimali (vicino al mittente: questo,
qui); deittici spaziali distanziali (vicino al destinatario: quello, lì)
riferimento deittico personale (riferimento ai partecipanti all’enunciazione) → io, tu, noi, voi (la
terza persona non è invece un riferimento deittico): deissi sociale (sistema di allocuzione tu-lei).

I riferimenti deittici variano al variare dell’atto dell’enunciazione.

la deissi temporale
I riferimenti deittici temporali variano al variare del momento dell’enunciazione.
ex. Stasera (ieri, ndr) esce nelle sale il film in cui mi sono impegnato di più.
- La Stampa, 28-09-2012
la specificazione temporale → stasera è riferito non al 28-09-2012, ma alla sera prima del 27-09-2012 e
questa specificazione del regista (ndr = nota del redattore, ieri) è un chiaro esempio di come i deittici
siano ancorati al momento dell’enunciazione. ieri è un altro elemento deittico. C’è un forte ancoraggio
invariabile tra il significato di un deittico e il contesto dell’enunciazione (in questo caso il deittico
temporale e il momento dell’enunciazione). Il significato del deittico cambia in base a quando si sta
compiendo o comprendendo il messaggio.
Anche il tempo verbale esce è un deittico, perché si riferisce al giorno prima ma non al tempo passato.

la deissi spaziale
Indicano il luogo di un evento con riferimento allo spazio in cui si trovano gli interlocutori che stanno
parlando.
ex. La lezione si svolge qui.
“qui” assume significati diversi in base allo spazio in cui avviene lo scambio comunicativo.

la deissi personale
La prima e la seconda persona (mittente e destinatario del messaggio) si invertono l’uno con l’altro.
ex. - Ascolta, vado io.
- No, ascolta, vado io.
“io” è utilizzato da entrambi gli interlocutori in due momenti diversi a seconda di chi sta parlando e quindi
di chi sta intraprendendo l’azione di mittente del messaggio.

Per quanto riguarda la deissi sociale, c’è un ancoraggio della scelta dell’allocutivo al tipo di destinatario,
per cui:
ex. - Dopo di lei.
- No, dopo di te.
Il ragazzo si riferirà all’anziano con il “lei”, mentre il signore anziano sarà più informale dandogli del “tu”,
perché in questo caso il cambiamento del ruolo di destinatario comporta non solo il passaggio dalla
prima persona alla seconda persona singolare, ma anche un passaggio di codifica della seconda
personale in base ad un’esplicitazione di maggiore o minore rispetto veicolati dagli allocutivi “tu” o “lei”.

l’ellissi
È l’omissione di elementi nel testo che sarebbero indispensabili per una struttura frasale completa, ma
che sono accessibili al destinatario grazie al contesto linguistico (co-testo).
ex. - Dove vai?
- A casa. (sottinteso: vado) → manca il verbo nell’esplicitazione, perché è lo stesso verbo e
quindi, grazie al contesto linguistico, il parlante sa che può ometterlo perchè è desumibile.

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ex. Mangio a casa. vs Io mangio a casa
Non è un caso di ellissi del soggetto (espresso con un pronome personale), perchè l’italiano è una lingua
a soggetto nullo o PRO-drop, in cui l’esplicitazione del soggetto pronominale non è obbligatorio in
quanto l’informazione sul soggetto è accessibile sulla base dei morfemi flessionali che esprime la
categoria della persona. Soggetto sottinteso. Anzi l’esplicitazione del soggetto pronominale assume
particolari valori enfatici e contrastivi (ex. io mangio a casa, invece tu no), perché focalizza l’attenzione
sul soggetto e lo può mettere in contrasto con l’interlocutore o un altro soggetto che si comporta
diversamente.

i segnali discorsivi
Unità lessicali esterne alla struttura sintattica della frase che esplicitano l’articolazione della
conversazione, i collegamenti tra le frasi di un testo e di una conversazione hanno funzione discorsiva e
interazionale.
ex. - Dove vai?
- Allora… ehm… boh… andrò a casa. → la frase contiene la risposta alla domanda, ma è
preceduta da una serie di parole (o articolazioni non pienamente verbalizzate) che hanno funzione
riempitiva, funzione interazionale e funzione discorsiva non sintattica (perché sono all’esterno della
sintassi della frase che viene prodotta). Allora… ehm… boh… sono riempitivi (o filler), ovvero elementi
linguistici che impegnano il turno di parola mentre il parlante pianifica la continuazione del discorso.

ex. - Dove vai?


- Guarda, penso di andare subito a casa perché è molto tardi. → in questo caso “guarda” ha la
funzione di richiamare l’attenzione dell’interlocutore.

ex. - Vai a casa, no?


- Vado prima al mercato e poi a casa.
Il segnale discorsivo è inserito a chiusura del turno del primo parlante ed è una tag question, ovvero un
elemento linguistico che richiede implicitamente una conferma da parte dell’interlocutore.

coesione
La coesione di un testo è costruita con i meccanismi coesivi, ovvero gli elemtni linguistici che esplicitano
i collegamenti interni al testo.
- tempi verbali → allineamento delle forme verbali senza salti temporali, ex iniziare un testo con
il presente e continuare con il passato.
- riferimenti anaforici e cataforici → che riguarda entità coinvolte nel testo, come pronomi,
sintagmi nominali, sinonimi di nomi già menzionati,
- connettivi → in seguito, in conclusione, pertanto, ciononostante… : hanno funzione importante
per rendere il testo coeso
- segnali discorsivi → insomma, esatto, cioè, praticamente…: creano collegamenti tra le varie
parti del testo

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LESSICO
4.1 LESSICO, CONCETTO, PAROLA E FORESTIERISMI
lessico
È l’insieme delle parole di un sistema linguistico che possono essere studiate da due prospettive
complementari: lessicologia, ovvero l’uso linguistico delle parole all’interno di una lingua; e nella
prospettiva della lessicografia, che invece si interessa dei dizionari, strumenti di codifica di un sistema
linguistico.
ex. cane → può essere studiata sia dal punto di vista lessicologico, che lessicografico, poiché
presente nel dizionario (le parole codificate all’interno del dizionario si chiamano lemmi)
correre → è un lemma dell’italiano
corriamo → è una parola dell’italiano, ma non la troviamo sul dizionario
→ quindi, distinzione tra lemmi e parole: nel lessico mentale dei parlanti di una lingua e nei dizionari si
trovano i lessemi (lessico mentale) / lemmi (dizionario), ovvero le unità del lessico a cui si possono
ricondurre le forme flesse, non le diverse forme flesse del lessema (parola).
ex. correre ma non corri, correvi, …
cane è un lessema, come anche correre, ma corriamo è una parola (né lemma né lessema)

lessema
È una parola considerata nel suo significato privo di valori semantici codificati dalla morfologia di uno
specifico contesto.
ex. cane viene riportato sul dizionario per convenzione al maschile singolare come tutti i sostantivi
dell'italiano, ma viene codificato nel dizionario per il suo valore semantico di riferimento all’animale
domestico. Il genere e il numero non sono codificati nel concetto di lessema, perché il lessema è un
concetto che riguarda il riferimento semantico operato da una qualsiasi delle forme flesse legate ad un
determinato lessema. Quindi cane e cani condividono il riferimento all’animale domestico che viene
considerato quando si considera cane lessema, ovvero quando si studiano le parole in maniera
decontestualizzata, perché se calate in un contesto, questo determina delle scelte di codifiche
morfologiche e non sono più lessemi ma forme flesse di lessemi e vanno definite parole.

Un lessema è una parola non flessa?


cane = mammifero domestico, con testa allungata orizzontale, muso leggermente aguzo, dentatura
robusta, canini sporgenti, olfatto sviluppatissimo, corpo di media grandezza → caratteristiche del
referente cane che vengono codificate nel lessema cane
= mammifero domestico con … + maschile / + singolare → aggiunta della specificazione semantica di
genere e numero del lessema
- Il lessema è una delle forme flesse di una parola scelta come forma di citazione
decontestualizzata per convenzione (che viene proposta sotto forma di citazione nei dizionari).
È anche presente nel lessico mentale.

il concetto di parola
La parola è l’unione di una specifica combinazione di suoni e grafemi (ex. [‘a:mo]), con uno specifico
significante, con un significato specifico (“provo amore”) e uno specifico uso sintattico (io amo la libertà).

- Definizione su criteri ortografici = la parola è un elemento che in un testo compare tra due
separatori, come due spazi bianchi o due segni di interpunzione.
→ MA anche le lingue senza varietà scritte hanno le parole, quindi la definizione su criteri ortografici è
giusta fino ad un certo punto

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- Definizione su criteri fonologici = la parola è un elemento della catena parlata delimitato
dall’accento
→ MA esistono parole atone (senza accento). Quindi non ci soddisfano né la definizione su criteri
ortografici né sui criteri fonologici.

- Definizione su criteri morfologici = la parola è un elemento composto da una combinazione di


morfemi che soddisfa il criterio della coesione interna (molteplici)
criteri della coesione interna:
1. non interrompibilità della combinazione, della parola
ex. cane non può essere interrotta da altre parole al suo interno, può essere pronunciata solo
senza essere interrotta, può essere scritta solo se non interrotta e può essere prodotta e compresa
solo in forma non-interrotta.
2. posizione fissa dei singoli morfemi
ex. gatt-o può essere compresa e prodotta solo con questo ordine di morfemi (NO o-gatt)
3. posizione mobile all’interno della frase
ex. Marco telefona ogni sera può essere anche Ogni sera telefona Marco. Ci saranno differenze
pragmatiche (nell’effetto della comunicazione).
4. enunciabilità in isolamento
ex. Marco (Chi ha telefonato?) → Marco come parola prodotta da un parlante può essere in
risposta ad una domanda ricevuta. Marco è quindi una parola perché è autonoma e può essere
enunciata in isolamento, ed in alcuni casi linguistici può bastare per veicolare un determinato
messaggio.
5. pausa potenziale: i confini di parola possono coincidere con i confini di discorso
ex. Marco (Chi ha telefonato?) → Marco è una risposta completa
6. presenza di un unico ML (morfema lessicale) → ovvero morfema che indica il riferimento
al referente piuttosto che indicare tratti semantici come genere e numero
ex. corriamo è una parola perché al suo interno un solo ML
palazzetto è una parola perché al suo interno ha un un solo ML (palazz-)
deglobalizzazione è una parola perché al suo interno ha un solo MF (glob-)

La nozione di parola è scalare: alcune parole rispettano tutti i criteri di coesione interna, altre parole no e
sono parole meno tipiche.
ex. dormire = un solo accento [dor’mire], un solo ML (dorm-), posizione fissa dei morfemi, non
interrompibile, mobilità sintattica (voglio dormire, dormire è importante), enunciabile in isolamente (Cosa
vuoi fare? Dormire). → soddisfa tutti i criteri di coesione interna
ex. capotreno = 2 accenti [‘ka:po’tre:no], 2ML (cap-; tren-), posizione fissa dei morfemi, non
interrompibile, mobilità sintattica (il capotreno arriva/arriva il capotreno), enunciabile in isolamento (Che
lavoro fai? Capotreno).
ex. perché = un solo accento [per’ke], un solo ML (perchè), non interrompibile, mobilità sintattica
(voglio sapere il perché / il perché è fondamentale), enunciabile in isolamente (vado! Perchè?).
ex. dato che = 2 accenti [‘da:to ‘ke], 2ML (dat-, che), posizione fissa dei morfemi, interrompibile
(dato sempre che), non mobilità sintattica (dato che piove / dato piove che*), enunciabile in isolamento

Unità polirematiche / polilessematiche = parole complesse composte da più elementi che


rappresentano un costituente semantico unitario con un unico specifico riferimento ad un’entità
extralinguistica.

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forestierismi: prestiti e calchi
Le parole che derivano da altre lingue sono dette forestierismi, mentre le parole che utilizziamo che
appartengono ad altre lingue si chiamano alloglotte.
Il lessico è strutturato in più strati:
- uno strato più centrale e nativo = il lessico di base (numerali, dimostrativi, nomi di parentela…);
lessemi di alta frequenza (selezionati molto spesso dai parlanti); lessemi ad alta disponibilità
(riferiti a referenti extralinguistici largamente presenti nella vita quotidiana dei parlanti).
Il lessico di base dell’italiano = 7.000 lessemi
Il lessico posseduto da un parlante colto (competenza passiva) = 50.000 lessemi
Il lessico codificato sui dizionari = 90.000-130.000 lemmi
- vari strati meno nativi e più periferici (ex. lessico specialistico)
In questi strati sono presenti i forestierismi per l’interferenza tra i sistemi linguistici. I forestierismi
sono lessemi entrati nel lessico di una lingua, originati per riproduzione di un lessema di una lingua
di partenza in una lingua di arrivo. Originati per riproduzione di un lessema di un’altra lingua
(prestiti: riproduzioni lessicali) o su riproduzione della struttura morfologica o semantica di un
lessema alloglotto (calchi:l materiale interno viene rielaborato o ristrutturato a livello morfologico
su modello di una parola alloglotta).

prestiti
- prestiti non integrati, non adattati, non acclimatati, non uniformati alle regole grammaticali della
lingua di arrivo = parole che conservano la loro struttura alloglotta (ex. computer, hardware,
software, selfie…)
- prestiti integrati, adattati, acclimatati = parole di origine alloglotta che hanno subito un
adeguamento fonologico, morfologico, ortografico alle strutture della lingua ricevente (ex.
processore, formattare)
- prestiti in corso di integrazione
ex. oscillazione su assegnazione del genere (ex. mail = maschile o femminile? il o la mail?)
formazione del plurale (ex. file = plur. files/file)
ortografia (ex. goal o gol?; scioccato o shockato?)
fonetica (ex. metro o metrò? + masch. o femm.?)
Quando una parola finisce il suo processo di integrazione (prestito integrato) produce parole derivate
ex. formattare > formattazione
bar > barista
film > filmare, filmografia

Si possono distinguere i prestiti non solo in base alla morfologia, ma anche in base alla loro natura
intrinseca:
- di necessità = parole alloglotte che vengono importate nella lingua di arrivo quando è presente un
nuovo referente, nuovo significante per un significato nuovo
(ex. hardware, software)
- di lusso = prestiti in cui un nuovo significante viene introdotto nella lingua di arrivo per un
significato già noto e già espresso da un’altra parola della lingua di arrivo. Nasce quindi una
variante che spesso è marcata a livello diafasico come variante di prestigio
(ex. fare shopping vs fare spese → fare shopping è un prestito di lusso introdotto per questione di
moda)
- pseudoprestiti = parole che hanno una struttura alloglotta ma in realtà non sono presenti nella
lingua in cui ricalcano la struttura morfologica e lessicale
(ex. pseudo-anglicismi: ital. footing vs ingl. jogging; smoking “vestito formale” vs “vestito per fumare
fuori casa”; pseudo-francesismi: vitel tonné)
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- prestiti di prestiti = parole entrate in una lingua d’arrivo a partire da un’altra, che in realtà non è la
lingua originaria della parole, ma che è stata integrata in una fase precedente nella storia dello
sviluppo della lingua
(ex. it. computer < ingl. computer < lat. computo + morfema inglese -er)

calchi
- calco strutturale (morfologici) = riguarda una qualsiasi parola costruita sul modello di una parola
alloglotta. C’è quindi la formazione di un nuovo lessema.
ex: ferrovia < Eisenbahn → costruita sul modello della parola tedesca (non “via di ferro” ma
“ferro-via”, secondo la struttura morfologica del lessema tedesco)
- calco semantico = portano a formare un nuovo senso semantico per un lessema già esistente,
che magari diventa polisemico
ex. realizzare = “rendere reale” + “rendersi conto” < ingl. to realize (dal modello semantico del
verbo inglese)
stella = “astro celeste” + “divo” < ingl. star

4.2 LESSICO, RELAZIONI SINTAGMATICHE


l’organizzazione del lessico (mentale)
insiemi lessicali
All’interno del lessico mentale sono presenti degli insiemi lessicali, ovvero degli insiemi di lessemi che
possono avere delle configurazioni diverse. Nello specifico esistono 4 tipi di insiemi lessicali:
- campo semantico → insieme dei lessemi che copre una sezione di uno spazio semantico
(ex. il campo semantico dei colori comprende lessemi come bianco, nero, grigio perla, rosso…)
- sfera semantica → insieme dei lessemi che fanno riferimento ad un ambito o spazio semantico,
come ad ex. in un settore professione (lessemi della moda, dell'arredamento…) che può
comprendere più campi semantici
ex. sfera semantica della musica comprende: il campo semantico dei generi musicali jazz, pop,
rock, opera… + il campo semantico degli strumenti musicali pianoforte, violino… + altri campi
semantici
- famiglia semantica (o famiglia lessicale, o famiglia di parole) → insieme dei lessemi accomunati
dalla condivisione dello stesso morfema lessicale (tema, radice) con l’aggiunta di diversi morfemi
derivazionali
ex. socio, sociale, società, consociare, associazione…
casa, casalinga, casereccio, accasare, rincasare…
- gerarchia semantica → insieme dei lessemi che indicano le unità di misura di una stessa scala
ex. secondo, minuto, ora, giorno… (scala temporale)
millimetro, centimetro, decimetro, metro, kilometro (scala di misura lineare)

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significato
Nel lessico mentale facciamo distinzione tra i lessemi anche in base al loro significato disinto per:
- significato pieno, classi di lessemi contenuto → lessemi con un contenuto informatico, con un
significato lessicale o referenziale
ex. burro, ottimo, questo, assistere, tardi, silenzio, lentamente (composto da sostantivi, verbi,
aggettivi, articoli e avverbi)
- significato vuoto, classi di lessemi funzione → lessemi con un contenuto relazionale, di
collegamento tra lessemi, con un significato grammaticale o funzionale o strutturale
ex. anche, tuttavia, senza, non, da (composto da avverbi, congiunzioni, preposizione)

Queste due macroclassi (che al loro interno comprendono campi semantici…) sono diversamente
compatibili con nuove entrate lessicali, con neologismi:
- i lessemi contenuto sono classi aperte → possono accettare ed includere nuovi lessemi, come i
forestierismi
- i lessemi funzione sono classi chiuse → ci possono essere eccezioni, ma sono refrattarie al
contatto con altre lingue, varianti o varietà sociolinguistiche

le relazioni semantiche sintagmatiche tra lessemi


Il lessico mentale non è organizzato per liste di parole, ma è ordinata ed efficiente a una ottimizzazione
delle risorse cognitive per quanto riguarda l’immagazzinamento dei lessemi e per quanto riguarda la loro
elaborazione. E’ organizzato per relazioni di significato che intercorrono tra i diversi contenuti del lessico
mentale (lessemi). Questi rapporti di significato si distinguono in relazioni semantiche sintagmatiche
(intercorrono tra i lessemi chiamati a essere presenti negli stessi contesti) e relazioni semantiche
paradigmatiche (intercorrono tra lessemi non appartenenti agli stessi contesti linguistici, ma sono anzi
in competizione/alternativa tra loro).

solidarietà lessicale
La solidarietà lessicale, o solidarietà semantica, lega due lessemi di cui uno implica lessicalmente l’altro.
ex. capelli biondi vs *capelli gialli
il cane abbaia vs *il cane comunica
La cooccorrenza di un lessema con l’altro è altamente preferenziale o obbligatoria, e la possibilità di
combinazione con altri lessemi è fortemente ridotta.

collocazioni
Le collocazioni sono combinazioni di lessemi fondate su cooccorrenze regolari e frequenti.Sono
restrizioni combinatorie tra lessemi determinate da convenzioni, regolarità e frequenze. É un rapporto
meno obbligatorio rispetto alla solidarietà lessicale e le collocazioni possono differenziarsi
interlinguisticamente:
ex. saluti cordiali vs kind regards
ex. foto → fare > fare una foto (it.), ein Foto machen (ted.), hacer una foto (spag. europeo)
→ prendere > to take a picture (ingl.), prendre une photo (franc.), tomar una foto (spag.)
→ tirare > sacar una foto (spagn. sudamericano)
Ci sono variazione puramente lessicali e non semantiche legate a diverse regole combinatorie tra
lessemi che costituiscono diverse collocazioni in diverse lingue.

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espressioni idiomatiche
Le espressioni idiomatiche sono combinazioni di lessemi molto rigidi il cui significato non è
composizionale (non è dato dall’insieme dei significati dei singoli elementi della combinazione, ma è
globale) ma stabilito convenzionalmente (arbitraria).
ex. tagliare la corda, in bocca al lupo, essere al verde, parlare arabo, parlare al vento, fare una
papera, chiudere un occhio…

Anche le espressioni idiomatiche possono variare interlinguisticamente:


ex. it. chiudere un occhio = spagn. hacer la vista gorda
ingl. turn a blind eye

4.3 LESSICO, RELAZIONI PARADIGMATICHE


relazioni semantiche paradigmatiche
Le relazioni semantiche paradigmatiche sono rapporti di significato che intercorrono tra i lessemi che
non sono compresenti in uno stesso contesto ma sono selezionati in alternativa tra loro. Sono funzionali
ad un’organizzazione efficiente del lessico mentale per quanto riguarda l’archiviazione, il recupero e
l’elaborazione delle informazioni lessicali che hanno a disposizione i parlanti di una specifica lingua.

relazioni semantiche fra lessemi


Si dividono in tre categorie:
1. relazioni gerarchiche di inclusione tra lessemi
- iperonimia-iponimia → la relazione di iperonimia-iponimia lega due
lessemi di cui uno (iponimo, lessema più specifico) include il significato
dell’altro (iperonimo, lessema più generale) ed in più ha delle
caratteristiche più specifiche (maniera, strumento, intensità…).
ex. veicolo (iperonimo generico) → automobile, aereo, bicicletta,
imbarcazione (iponimi)
automobile (iperonimo a sua volta) → fuoristrada, taxi (iponimi)
imbarcazione (iperonimo a sua volta) → barca a vela, motoscafo (iponimi)
Abbiamo quindi delle catene di rapporti tra più lessemi concatenati ad rapporti di maggior o minor
specificità semantica e dunque rapporti di iperonimia-iponimia.
- iperonimo → minore intensione e maggiore estensione dell’iponimo
- iponimo → maggiore intensione e minore estensione dell’iperonimo
- intensione → insieme di tratti semantici codificati dal lessema (= proprietà del referente definite
dal lessema; il lessema è tanto più intensivo quanto specifica proprietà del referente)
- estensione → insieme dei referenti extralinguistici a cui il lessema può far riferimento (se il
lessema è molto intensivo specifica molte informazioni rispetto al referente e potrà riferirsi a
meno referenti extralinguistici, al contrario di un lessema molto estensivo)
Intensione ed estensione semantica sono inversamente proporzionali: più un lessema è intensivo meno
è estensivo e viceversa. Ci sono però alcune eccezioni, come ad esempio i nomi propri, che sono dei
lessemi che designano un singolo e specifico referente (quindi poco estensivi, non sono iperonimi), non
la sua classe di appartenenza. In questo caso si parla di antroponimi, ovvero che indicano i nomi di
essere umani.
ex. Marco NON uomo, ragazzo, studente…
Altri tipi di nomi propri sono quelli che indicano i nomi di città, regioni o nazioni, e prendono il nome di
toponimi.
ex. Milano NON città, metropoli…
Sia gli antroponimi che i toponimi (quindi i nomi propri) hanno:

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- estensione minima (numero molto ristretto di referenti)
ex. Marco = solo uomini che si chiamano Marco
- intensione minima (numero molto ristretto di tratti semantici specificati dal lessema)
ex. Marco = / + umano + maschile + singolare/
Il rapporto di iperonimia/iponimia vale per tutte le parti del discorso.
ex. verbo: muoversi (iperonimo) → camminare, andare in bicicletta,
volare (iponimi)
camminare (iperonimo a sua volta) → passeggiare, marciare,
fare trekking (iponimi)
I co-iponimi sono tutti i lessemi che sono iponimi dello stesso iperonimo
e che si trovano allo stesso livello di concatenazione
iperonimica-iponimica.
ex. nella catena del verbo muoversi, camminare, andare in
bicicletta e volare sono co-iponimi dell’iperonimo muoversi
Il rapporto vale anche tra aggettivi:
ex. giovane (iperonimo) → adolscente (iponimo + iper.) →
tredicenne, quattordicenne (iponimi)
All’interno della concatenazione si possono distinguere gli iponimi diretti,
che riguardano quindi due livelli consecutivi della catena; oppure gli
iponimi indiretti, che riguardano due lessemi che si trovano in livelli di
catena iponimica non contigui.

- olonimia-meronimia → la relazione di olonimia-meronimia collega due


lessemi dei quali uno (meronimo) indica una parte e l’altro il tutto
(olonimo).
ex. bicicletta (olonimo, indica un lessema più completo) →
pedale, sella, ruota (meronimi, indicano una componente del referente
indicato dal lessema bicicletta)
ruota (olonimo a sua volta) → cerchione, raggio (meronimi,
sottocomponenti di ruota)
Anche nel caso di olonimia.meronimia si crea una relazione di concatenazione tra lessemi.

2. relazioni di equivalenza semantica tra lessemi


- omonimia, polisemia ed enantiosemia
omonimia → relazione che intercorre tra due lessemi con lo stesso significante (stessa espressione
tangibile, stessa forma) e diverso significato non imparentati tra loro
ex. riso → “il riso abbonda sulla bocca degli stolti” vs “nel bar all’angolo si può mangiare un’ottima
insalata di riso” (riso nel significato dell’atto del ridere o il riso come cereale)

polisemia → un unico lessema con più significati contestuali (sensi diversi tra loro), collegati tra loro per
procedimento metaforico o metonimico.
ex. rete → “nella partita hanno segnato tre reti” vs “ogni estate qualche delfino rimane incastrato
nella rete dei pescatori” vs “il collegamento alla rete non funziona” (c’è sempre lo stesso lessema, ma fa
riferimento a referenti diversi perché a partire dal significato di base sono stati associati i significati di altri
referenti facendo così diventare la parola più estensiva, applicabile a più contesti).
La polisemia comporta che il lessema sia codificato nel dizionario come un unica voce a cui sono
attribuiti diversi significati contestuali.

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enantiosemia → è un particolare tipo di polisemia, ovvero un lessema polisemico i cui significati
contestuali (sensi) sono tra di loro in rapporto di opposizione
ex. tirare → tirare la palla (=allontanarla) o tirare la porta (=avvicinarla) sono due significati opposti
ospite → in italiano indica sia chi ospita sia chi è ospitato (unica parola che veicola il doppio
significato opposto tra loro e che sono disambiguabili, comprensibili attraverso il contesto), mentre in
altre lingue come in inglese c’è distinzione (host e guest)

- sinonimia e quasi-sinonimia
sinonimia → la relazione di sinonimia lega due lessemi che hanno diverso significante ma uguale
significato
ex. tra / fra → varianti libere, sono lessemi con un significante diverso ma un uso sintattico
esattamente identico
Più frequente nelle lingue del mondo è la relazione di quasi-sinonimia → due lessemi con diverso
significante e significato simile ma non perfettamente coincidente e quindi non intercambiabili (come vale
per tra e fra).
ex. bello / affascinante → sono definibili quasi-sinonimi perché c’è una certa differenza semantica
tra i due termini. Infatti “bello” è legato all’estetica, mentre “affascinante” non si riferisce al soggetto solo
esteticamente.
ex. pieno / colmo → diverso grado di intensità
gatto / micio → hanno differenza nell’aspetto pragmatico dei due lessemi, gatto è denotativo e
micio è connotativo
raffreddore / rinite → varianti diafasiche (raffreddore è più generico e appartenente alla varietà
standard, mentre rinite è la variante accademico-scientifica del sottocodice della medicina)
chiacchiere / crostoli / frittole / frappe / intrigoni → geosinonimi, varianti connotate a livello
diatopico
fare / effettuare → varianti diafasiche appartenenti alla varietà standard (fare) e alla varietà più
formale (effettuare)
N.B. La relazione di quasi-sinonimia può istituirsi solo fra alcuni sensi (significati contestuali) di due
lessemi. Se i lessemi sono polisemici il rapporto di quasi sinonimia si può creare anche solo tra uno solo
dei sensi della parola polisemica, e il senso-significato di un’altra parola
ex. biglietto e banconota → un biglietto da dieci euro = una banconota da dieci euro
biglietto del treno ≠ banconota del treno

denotazione e connotazione
- lessema denotativo → identifica un referente extralinguistico; il significato è oggettivo; c’è un
rapporto referenziale tra il lessema e il referente
- lessema connotativo → presenta un referente dal punto di vista del mittente della comunicazione,
associa al referente le emozioni che questo suscita nel mittente e la valutazione del mittente sul
referente; il significato è soggettivo

3. relazione di opposizione semantica tra lessemi


- antonimia, complementarità, inversione
antonimia → l’opposizione che collega due lessemi di significante diverso e significato antitetico
ex. facile / difficile → sono antonimi, perché sono lessemi che designano i poli opposti di una scala,
fra cui ci sono gradi intermedi, e non si escludono a vicenda
Test per individuare i diversi rapporti di opposizione tra due lessemi: è possibile usare dei quantificatori
con entrambi i lessemi? Se si possono graduare i due lessemi sono antonimi.
ex. Luigi è poco alto, abbastanza basso…

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+ è possibile inserire i lessemi nell’espressione “non è né x né y”? Se si può fare, i lessemi sono
antonimi
ex. Luigi non è né alto né basso

complementarità → i lessemi si definiscono complementari se i lessemi che dividono lo spazio


semantico in due sezioni opposte, fra cui non ci sono gradi intermedi, e si escludono a vicenda
ex. parlare / tacere → non c’è una via di mezzo
Test quantificatori e “non è né x né y” non sono validi perché non esiste un grado intermedio.

inversione → i lessemi si definiscono inversi (o simmetrici) quando si riferiscono a referenti legati da


una relazione semantica vista da prospettive opposte. Non si escludono a vicenda ma si implicano.
ex. comprare / vendere → stessa azione vista dal punto di vista del cliente e da quello del
venditore + un lessema implica concettualmente l’altro perché l’evento di comprare si può realizzare
solo se qualcuno vende
ex. moglie implica marito → una donna si può
definire moglie solo se ha un marito

37
SEMANTICA
5.1 ANALISI SEMANTICA COMPONENZIALE E CATEGORIE PROTOTIPICHE
analisi semantica componenziale
Il significato di un segno (lessema o morfema) può essere scomposto in tratti semantici, o componenti
semantiche, attraverso un'analisi semantica componenziale (= scomposizione del segno nei suoi tratti
semantici).
- categoria semantica → specificata dal genere e dal numero, le proprietà che possono essere
possedute dal referente indicato dal segno
- tratto semantico → spiega il tipo di proprietà, come ad esempio rispetto alla categoria del genere
(maschile, femminile, neutro) e rispetto alla categoria del numero (singolare, duale, plurale)
- valore del tratto semantico → valore positivo o negativo: positivo quando il tratto è presente nella
semantica del segno, è negativo quando il tratto è assente nella semantica del segno
ex. -o di quaderno → questo morfema codifica la categoria del numero, il tratto semantico
del singolare con valore positivo perché indica un numero singolare

ex.
→ uomo e bambino si distinguono non per i tratti semantici, ma per il tratto semantico “adulto”
→ signora e signorina hanno codifica dell’analisi componenziale uguale a quella di donna per quanto
riguarda il tratto “umano”, il tratto “maschile” e il tratto “adulto”, ma si distinguono per il tratto “sposato”
perché donna non ha avrà alcun valore specifico rispetto a questo tratto, perché la donna può essere
sia sposta che non sposata, mentre signora esplicita rende pertinente in maniera positiva il tratto
“sposato” e signorina in modo negativo

- tratto sottospecificato → non specifica alcun valore né positivo né negativo rispetto ad un tratto
dell’analisi componenziale

L’analisi semantica componenziale è un sistema di sottocategorizzazione del significato dei lessemi,


che assume che il significato di un lessema sia scomponibile in unità più astratte (i tratti semantici),
andando quindi a considerare il significato di un lessema come un insieme di tratti semantici.
Un lessema è analizzabile in un fascio di tratti semantici
ex. uomo = /+ umano + maschile + adulto/
Il vantaggio di questo sistema di sottocategorizzazione del significato è l'economia del sistema
linguistico → con un numero limitato di tratti semantici si possono originare un numero teoricamente
illimitato di significati combinando i vari tratti semantici e i loro valori.
È stato poi definito che i rapporti tra i tratti semantici possano essere rapporti implicazionali.
ex. /+ umano/ > /+ animato/ > /+ vivente/ (> = implica)

I tratti semantici rappresentano le caratteristiche del referente pertinenti per indicarlo.


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In un senso metaforico può verificarsi la sostituzione del valore di un tratto semantico rispetto al senso
letterale del lessema.
ex. Sul monte si trovava un bosco di abeti → bosco è descrivibile come /- animato/
senso metaforico → d’inverno il bosco si addormentava → bosco è descrivibile come /+ animato/ →
quindi associato alla variazione di senso e di significato contestuale di bosco c’è anche una variazione
dell’analisi componenziale (descrizione dei significati contestuali dei segni)

- scomporre in tratti semantici i lessemi del campo semantico della famiglia (insieme dei co-iponimi
dell’iperonimo parente)

I lessemi che hanno tratto negativo per


/consanguineo/ non appartengono tanto quanto i
lessemi che lo hanno in positivo al campo semantico
“famiglia”.
Non tutti i lessemi quindi appartengono al campo
semantico nello stesso livello, ma ciò non è
rappresentabile nell’analisi semantica
componenziale, e dunque essa ha dei limiti.
Il lessema cane fa parte del campo semantico della
famiglia? → l’analisi componenziale ci dice che il
significato del lessema condivide una serie di tratti semantici con gli altri lessemi, ma esula dalla
scomposizione in tratti semantici la definizione di una appartenenza totale del lessema al campo
semantico considerato. Per cui l’appartenenza di un lessema ad una categoria non è sempre univoca,
oggettiva o definitiva.

le categorie prototipiche
Ci sono delle strutture interne alle categorie che
codificano e caratterizzano la realtà, in quanto la
nostra percezione del mondo avviene in
sotto-categorizzazioni non discrete e definite ma
prototipiche, ovvero delle categorie che hanno una
diversa appartenenza di alcuni elementi rispetto ad
altri.
Le categorie prototipiche, secondo gli studi più
recenti, sono lo strumento di classificazione della
realtà, e quindi dell’organizzazione della realtà
all’interno della lingua. Al contrario delle categorie
discrete, che sono un concetto ormai superato in
linguistica.
categorie discrete categorie prototipiche

- non strutturata, non gerarchizzate - con struttura interna, gerarchizzata e


articolata intorno al centro
- elementi tutti ugualmente rappresentativi - elementi con diversi status di
della categoria rappresentatività, di appartenenza alla cat.
- elementi con proprietà necessarie e - elementi con proprietà necessarie e con
sufficienti per essere definiti parte della proprietà graduali, opzionali, di similitudine
categoria scalare rispetto al prototipo
- confini netti, definiti e di appartenenza - confini sfumati dati dalla gradualità e scalarità

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dicotomica (o in una categoria o in un’altra) di appartenenza alla categoria

il prototipo
Le categorie prototipiche sono un concetto arrivato alla linguistica dagli studi di psicologia cognitiva sulla
percezione, condotti dalla studiosa Rosch nel 1973, che hanno mostrato che la definizione dei colori non
avviene in modo netto in tutti i parlanti, ma in termini scalari di maggiore o minore somiglianza ad un
prototipo, l’elemento esemplare, il punto focale della categoria, che rappresenta tutte le proprietà della
categoria al massimo grado.
ex. percezione del colore rosso +/- condivisa dai parlanti

40
6 FONETICA E FONOLOGIA
fonetica → studio dei suoni della lingua (suoni ≠ lettere)
Esistono almeno tre prospettive da cui studiare i suoni in quanto entità fisiche:
- fonetica articolatoria: l’articolazione dei suoni e i movimenti degli organi fonatori che compongono
l’apparato fonatorio
- fonetica acustica: la consistenza fisica e le modalità di trasmissione dei suoni in quanto onde
sonore
- fonetica uditiva → o percettiva, il funzionamento degli organi dell’apparato uditivo che entrano in
gioco nella percezione dei singoli suoni

L’APPARATO FONATORIO E L’ARTICOLAZIONE DEI SUONI


apparato fonatorio
Il suono viene prodotto a seguito di un’emissione d’aria, attraverso un flusso d’aria egressivo (che esce).
L’aria parte dai polmoni, passa ai bronchi, alla trachea, alla laringe (dietro pomo d’Adamo; nella
laringe l’aria incontra le corde vocali che vibrano al passaggio dell’aria grazie ai muscoli relativi. Lo
spazio che si forma tra le corde vocali si chiama glottide).
Nella respirazione silente le corde vocali (o pliche vocali)
sono rilassate. Nella fonazione possono contrarsi e
avvicinarsi, riducendo o ostacolando il passaggio dell’aria.
Se il passaggio dell’aria fa vibrare le corde vocali il suono
sarà sonoro (casa); se le corde vocali vibrano in modo
molto molto ridotto il suono sarà sordo (cassa). Durante la
produzione di suoni sonori si avverte una vibrazione nella
laringe (ex. /b/); mentre nella produzione dei suoni sordi non
si avverte nessuna vibrazione (ex. p//).
Tutti i suoni vocalici sono sonori (a/e/i/o/u), mentre i suoni
consonantici possono essere sia sordi che sonori (b/p, d/t).
Il sussurro si produce quando le corde vocali sono vicine
ma non vibrano perché si ha rimpicciolito la glottide.

Dopo la laringe l’aria passa per la faringe e infine nella cavità orale, dove svolgono un ruolo
fondamentale per la fonazione:
- lingua → radice, parte posteriore; dorso, parte centrale; la corona formata da apice (punta) e
lamina (parte anteriore).
- palato → palato molle (velo) apre e chiude il passaggio che mette in comunicazione la faringe con
la cavità nasale; palato duro, parte anteriore.
- alveoli → sono le gengive immediatamente retrostanti ai denti frontali e permettono di fare suoni
come /l/.
- Anche le labbra e i denti sono funzionali alla produzione di suoni.
Quando il velo e l’ugola sono rilassati il flusso d’aria può passare nella cavità nasale.

Se nella produzione del suono l’aria incontra un ostacolo (ostruzione che qualsiasi tipo, sia deviazione
che blocco), il suono prodotto si definisce suono consonantico. Mentre i suoni vocalici non
presentano alcun tipo di ostruzione (il velo non si muove per bloccare l’aria), ma non quando le vocali
sono sussurrate (le corde vocali si avvicinano ma non vibrano).

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frequenza fondamentale
La frequenza fondamentale è il numero dei cicli di chiusura ed apertura della raima vocale (vibrazioni)
che caratterizza l’onda sonora emessa nell’aria.
→ le voci maschili più basse hanno meno vibrazioni e mentre quelle femminili più acute hanno più
vibrazioni

classificazione ed identificazione dei suoni


parametri:
- luogo o punto in cui viene articolato un suono → ex. dentale, articolata sui denti
- modo di articolazione: dato dal contributo della mobilità di singoli organi all’articolazione dei suoni
→ si basano sull’egressione dei suoni (in alcune lingue sono presenti suoi ingressivi, prodotti con
inspirazione d’aria, come in casi rari come per il finlandese, norvegese); un altro esempio sono i
suoni avulsivi (o percussivi), ovvero suoni prodotti senza un flusso d’aria egressivo
indipendentemente dalla respirazione e quindi senza la partecipazione dei polmoni, come il click
della lingua delle lingue africane.

CONSONANTI
La produzione di suoni consonantici dipende dal fatto che l’aria, nel passaggio dai polmoni verso la
bocca e/o il naso, incontra un ostacolo che la blocca o ne rallenta il passaggio..
I vari tipi di consonanti si distinguono per il modo di articolazione (tipo di ostacolo che incontrano):
- consonanti occlusive → occlusione totale per contatto tra organi articolatori [p], [b], [t], [k], [d], [g]
- consonanti fricative → restringimento parziale senza contatto tra organi articolatori che provoca
una frizione [f], [v], [s], [z], [ʃ]
- sottogruppo delle fricative → le approssimanti (semiconsonanti): restringimento parziale
senza contatto tra organi senza frizione percepibile, dove la fuoriuscita dell’aria è più
ostruita di quando non avvenga per le vocali, ma lo è meno per le consonanti [j], [w]
- consonanti affricate → rapida occlusione che si trasforma in un restringimento del canale
(composte: inizio come un’occlusiva e fine come una fricativa → occlusione + restringimento) [ts],
[dz], [tʃ], [dʒ]
- consonanti nasali→ passaggio dell’aria anche nella cavità nasale [m], [ɱ], [n], [ɲ], [ŋ]
- consonanti laterali → passaggio dell’aria solo ai due lati della lingua, o ad uno solo di essi [l], [ʎ]
- consonanti vibranti → rapidi contatti tra lingua e un organo articolatorio [r]

punto di articolazione nell’apparato fonatorio


- consonanti bilabiali → fra le labbra [p], [b], [m]
- consonanti labiodentali → tra i denti superiori e il labbro inferiore [f], [v], [ɱ]
- consonanti dentali (o alveolare) → fra i denti [t], [d], [ts], [dz], [s], [z], [n], [l], [r]
- consonanti palatali → tra il palato duro e la lingua [tʃ], [dʒ], [ʃ], [ɲ], [ʎ]
- consonanti velari → fra il velo e la lingua [k], [g], [ɳ]
- consonanti uvulari → fra l’ugola e la parte posteriore della lingua [ʀ]
* retroflesse → flessione indietro della punta della lingua verso la parte anteriore del palato: DD in
bedda in siciliano, TR in tre

sonorità
Le consonanti nasali, laterali, vibranti sono tutte sonore.
Le consonanti occlusive, fricative, affricate sono sia sorde sia sonore.

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Sulla base di questi parametri (sonorità, modo e punto di articolazione) è possibile classificare la
maggioranza di tutti i suoni di tutte le lingue del mondo: IPA International Phonetic Alphabet = uso
degli stessi simboli per gli stessi suoni in tutte le lingue del mondo (ci permette di leggere i suoni).

definizione articolatoria
I foni vengono descritti da un fascio di tratti binari, i tratti distintivi, che ne permettono una definizione
articolatoria.
ex. [p] = consonante occlusiva bilabiale sorda

[p] occlusiva, bilabiale, sorda pane, epico, stop, tao


[b] occlusiva, bilabiale, sonora bene, ebanista, abbastanza, kebab
[t] occlusiva, dentale, sorda tana, eterno, otto, alt
[d] occlusiva, dentale, sonora dente, adorare, addentrarsi, yod
[k] occlusiva, velare, sorda caro, che, pacchi, accanto, tic tac, quadro
[g] occlusiva, velare, sonora gara, ghiro, alghe, traggo, smog
[m] nasale, bilabiale, (sonora) mano, amare, lemma, uhm
[ɱ] nasale, labiodentale (sonora) anfora, inferno, invidia, inverno
[n] nasale, alveolare (sonora) naso, lana, danno, non
[ɲ] nasale, palatale (sonora) gnocco, ignifugo, ogni
[ŋ] nasale, velare (sonora) ancora, anguria
[l] laterale, alveolare (sonora) lato, alato, palla, col
[ʎ] laterale, palatale (sonora) gli, aglio, imbroglio
[r] polivibrante, alveolare (sonora) rana, motore, carro, per

[ʀ] vibrante, uvulare


[f] fricativa, labiodentale, sorda fame, afa, ceffo
[v] fricativa, labiodentale, sonora vento, avviso, avaro, vov
[s] fricativa, alveolare, sorda sano, cassa, lapis
[z] fricativa, alveolare, sonora smodato, casa
[ ʃ ] fricativa, palato-alveolare, sorda scemo, ascesa, slash
[ts] affricata, alveolare, sorda stazione, pazzo
[dz] affricata, alveolare, sonora zero, azzimato
[tʃ ] affricata, palato-alveolare, sorda cenere, acido, accento
[dʒ] affricata, palato-alveolare, sonora gente, agire, aggiornare
[ j ] semiconsonante, palatale (sonora) ieri, piede
[w] semiconsonante, velare (sonora) uovo, duomo

VOCALI
In italiano tutte le vocali sono orali (in altre lingue, come in francese e in portoghese, possono essere
anche nasali). Sono egressive, ovvero che si producono con la fuoriuscita di aria dalla bocca.
Le differenze nella produzione dei diversi tipi di suoni vocalici dipendono da:
- avanzamento o arretramento della lingua (posizione della lingua)
- innalzamento o posizione di riposo della lingua (elevazione della lingua)
- arrotondamento o distensione delle labbra
(arrotondamento delle labbra)

Le diverse posizioni che la lingua può assumere nella


cavità orale vengono in genere stilizzate nella forma di un
trapezio.
43
trapezio vocalico → rappresenta le vocali dell’italiano (5 vocali, ma 7 suoni → le lettere non
corrispondono al suono)
- anteriori (palatali) → i, e, ɛ, a
- posteriori (velari) → u, o, ɔ
- centrale bassa → a
sillaba tonica = accentata → solo in italiano standard e solo in sillaba tonica c’è la distinzione tra vocale
medio-alta e medio-bassa

definizione delle vocali


[i] alta, anteriore (o palatale), non arrotondata italiano, vino, soli
[e] medio-alta, anteriore (o palatale), non arrotondata eroico, venti, sapore
[ɛ] medio-bassa, anteriore (o palatale), non arrotondata elle, venti (plurale di vento), lacchè
[a] bassa, centrale, non arrotondata amo, sano, scorta
[ɔ] medio-bassa, posteriore (o velare), arrotondata otto, botte (percosse), però
[o] medio-alta, posteriore (o velare), arrotondata obesità, botte (recipiente), amico
[u] alta, posteriore (o velare), arrotondata unico, luna, zebù

approssimanti
Se il dorso della lingua si avvicina al palato ne risulta
un suono né vocalico né consonantico, ma
approssimante (semivocale se il fruscio è meno
marcato, semiconsonante se il fruscio è più marcato)
- palato duro → approssimante anteriore (o
palatale) [j] = [‘jɛ:ri]
- palato molle → approssimante posteriore [w] =
[‘wɔ:mo]

dittongo
le approssimanti sono prodotte solo in combinazione con suoni vocalici. La combinazione di una vocale
e un’approssimante si definisce dittongo. I dittonghi possono essere:
- ascendenti → quando l’approssimante precede la vocale
- ex. fianco [‘fjaŋko]
- discendenti → quando l’approssimante segue la vocale
- ex. auto [‘aw:to]
Il dittongo è l’unione di due vocali che viene percepita da chi ascolta come un singolo fonema vocalico.
In altre parole una vocale unica, perché si produce in una sola sillaba e sotto un solo accento.

44
trittongo
La combinazione di una vocale e due approssimanti si definisce trittongo.
- [jɛj] → ex. miei = [‘mjɛj] (semivocale + vocale + semivocale)
- [jwɔ] → ex. aiuola = [a’jwɔ:la] (semivocale + semivocale + vocale)

iato
La combinazione di due vocali si definisce iato. Lo iato è un gruppo di due vocali consecutive
pronunciate in modo distinto e appartenenti a due sillabe diverse. Possiamo considerarlo il contrari del
dittongo (perché il dittongo si pronuncia in una stessa sillaba).
ex. - [ ua ] es. bua = [ ‘bu:a ] (2 sillabe)
- [ io ] es. dondolio = [ dondo’lio ] (4 sillabe)
- [ εo ] es. galateo = [ gala’tε:o ] (4 sillabe)
- [ ia ] es. filosofia = [ filozo’fia ] (5 sillabe)

differenze tra di/tri-ttongo e iato


L’accostamento di vocali nello iato si pronuncia in due emissioni di voce, mentre nel dittongo e nel
trittongo abbiamo una sola emissione.
Le vocali dello iato vanno a costruire due sillabe distinte mentre nel dittongo e nel trittongo le due vocali
danno luogo ad un’unica sillaba.

TRASCRIZIONE FONETICA
lettere ≠ suoni → suoni rappresentati da simboli che non corrispondono necessariamente alle lettere
Ad esempio, l’ortografia italiana si può definire fonografica, perché si pronuncia come si scrive, ma ci
sono delle particolarità per quanto riguarda alcune pronunce: ex. la lettera C foneticamente può
esprimersi con [k] o [tʃ].

La trascrizione fonetica è una riproduzione fedele della pronuncia dei singoli suoni e riporta i foni, la loro
lunghezza e l’accento primario di parola. Da rappresentare in trascrizione fonetica:
- parentesi quadre
- foni
- lunghezza del suono → la lunghezza della consonante si indica con il fono seguito da due punti
(ex. [k:]);
- in posizione intervocalica sono lunghi i 5 foni [ ʃ: ], [ ʎ: ], [ ɲ: ], [ t:s ], [ d:z ];
- la lunghezza della vocale si indica solo in sillaba tonica aperta non finale di parola (ex.
[‘ka:ne]/[‘pi:no]);
- nei suoni affricati si indica la lunghezza dopo il simbolo dell’occlusione [ t:s ], [ d:z ], [ t:ʃ ] , [ d:ʒ ]
45
- accento → si indica con con un apice prima della sillaba accentata/tonica (‘) nelle parole
plurisillabiche e monosillabiche (ex. giù = [ ‘ʤu ]; nonno = [ ‘nɔ:n:o ]);
- le vocali medio-basse [ɛ] [ɔ] si possono trovare solo in sillaba tonica

digrammi e trigrammi
I digrammi e i trigrammi dell’ortografia italiana corrispondono ai seguenti foni: (grafemi = < >, foni = [ ])
<ch> = [k]
<gh> = [g]
<ci> = [tʃ]
<gi> = [dʒ]
<cqu> = [k:w]
<gn> = [ɲ]
<gli> = [ʎ]
<sc>, <sci> = [ʃ]

nasali
A differenza delle convenzioni ortografiche, nella trascrizione fonetica si specifica il punto di articolazione
delle consonanti nasali:
- consonante nasale dentale sonora → <n> = [n], ex. nonno
- consonante nasale labiodentale sonora → <n> = [ɱ], ex. inverno
- consonante nasale velare sonora → <n> = [ŋ], ex. angolo
- consonante nasale palatale sonora → <gn> = [ɲ], ex. gnomo
- consonante nasale bilabiale sonora → <m> = [m], ex. mamma

sonorità
A differenza delle convenzioni ortografiche, nella trascrizione fonetica si specifica la sonorità della
consonante fricativa dentale e della consonante affricata dentale:
- consonante fricativa dentale sorda → <s> = [s], ex. sole
- consonante fricativa dentale sonora → <s> = [z], ex. rosa
- consonante affricata dentale sorda → <z> = [tz], ex. razza
- consonante affricata dentale sonora → <z> = [dz], ex. razza

lunghezza consonantica
Le consonanti possono essere sia lunghe sia brevi, in base alla concreta articolazione del suono
nell’articolazione della parola.
- < n > = [ n ] es. nono = [ ‘nɔ:no ]
< nn > = [ n: ] es. nonno = [ ‘nɔ:n:o ]
- < l > = [ l ] es. molo = [ ‘mɔ:lo ]
< ll > = [ l: ] es. mollo = [ ‘mɔ:l:o ]
- < c > = [ k ] es. ecologia = [ ekolo’ʤia ]
- < cc > = [ k: ] es. ecco = [ ‘ɛ:k:o ]
Le seguenti consonanti in posizione intervocalica (tra due vocali) sono sempre lunghe:
- Affricata dentale sorda → <z> = [ ts ], es. pizza = [ ‘pi:t:sa ] MA zio [ ‘tsjo ] posizione NON
intervocalica

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- Affricata dentale sonora → <z> =[ dz ], es. gazza = [ ‘ga:d:za ] MA zonzo = [ ‘ʣonʣo ]
posizione NON intervocalica
- Fricativa palatale sorda → <sc/sci> = [ ʃ ], es. coscia = [ ‘kɔ:ʃ:a ] MA sciame = [ ‘ʃa:me ]
posizione NON intervocalica
- Nasale palatale sonora → <gn> = [ ɲ ], es. ragno = [ ‘ra:ɲ:o ] MA gnocco = [ ‘ɲɔ:k:o]
posizione NON intervocalica
- Laterale palatale sonora → <gl> = [ ʎ ], es. aglio = [ ‘a:ʎ:o ] MA glielo = [ ’ʎe:lo ] posizione
NON intervocalica

lunghezza vocalica
La vocale è:
- lunga in sillaba tonica aperta (che termina in vocale)
ex. capo = [ ‘ka:po ]
- breve in sillaba non tonica (sia aperta che chiusa)
ex. consapevole = [ konsa’pe:vole ] vocali brevi = [ kon ], [ sa ], [ vo ], [ le ]
- breve in sillaba tonica chiusa (che termina in consonante)
ex. campo = [ ‘kampo ]
- breve in sillaba tonica aperta se la sillaba tonica è l’ultima sillaba della parola
ex. tabù=[ta’bu]
- breve nella parole monosillabiche
ex. giù=[‘ʤu]

vocali medio-basse e medio-alte


In sillaba non tonica si trovano solo le vocali medio-alte (chiuse); in sillaba tonica si possono trovare sia
vocali medio-basse (aperte) [ɛ], [ɔ], e sia vocali medio-alte (chiuse) [e], [o].
- menta = [ ‘mɛnta ] sillaba tonica con vocale anteriore medio-bassa
- sgomento = [ sgo‘mento ] sillaba tonica con vocale anteriore medio-alta
- forte = [ ‘fɔrte ] sillaba tonica con vocale posteriore medio-bassa
- apporre = [ a‘p:o:r:e ] sillaba tonica con vocale posteriore medio-alta

Il dittongo (vocale + semivocale / semivocale + vocale) è pronunciato con una sola emissione d’aria e
costituisce una sola sillaba.
ieri = [ ‘jɛ:ri ]
uomo = [ ‘wɔ:mo ]
Lo iato (due vocali) è pronunciato con due emissioni d’aria e costituisce due sillabe.
filosofie = [ filozo’fi:e ]
Il trittongo (semivocale + semivocale + vocale / semivocale + vocale + semivocale) è pronunciato con
una sola sillaba.
aiuola = [ a‘jwɔ:la ]

ESERCIZIO
cane [‘ka:ne] scioglievamo [ ʃoʎ:e’va:mo ]
genio [‘dʒɛ:njo] guadagnare [ gwada'ɲ:a:re ]
canto [‘kanto] → non è lunga perché la sillaba brogliaccio [ bro’ʎ:a:t:ʃo ]
ignominioso [ iɲ:omi'njo:zo ]
non è aperta
quercia ['kwɛrʧa]
giacimento [dʒatʃi’mento] tiroideo [ tiroi'dɛ:o ]
inguaribile [iɳgwa’ri:bile] qualunque [ kwa'luŋkwe ]
acquazzone [ak:wa’t:so:ne] sci [ ‘ʃi ]
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spogliatoio [spoʎ:a’to:jo] scelsi [ ‘ʃelsi ]
cianfrusaglie [tʃaɱfru’za:ʎ:e] lusinghiera [ luziŋ'gjɛ:ra ]
ignoranza [iɲ:o’rantsa] → la gn [ɲ] intervocalica scempio [ ‘ʃempjo ]
scroscio [‘skrɔ:ʃ:o]
è sempre lunga [ɲ:]
ingegnere [indʒe’ɲɛ:re]

FONO E FONEMA
fonologia o fonematica
fono → realizzazione concreta di un qualunque suono della lingua = unità minime della fonetica
ex. antica = [an’ti:ka]
fonema → quando un fono ha un valore distintivo: non ha un significato in sé ma opera distinzioni fra le
parole = unità minime della fonologia /‘male/ vs. /‘mare/ → coppia minima: due parole distinte solo da
un suono, ovvero un fono, che acquista valore distintivo (fonema)
- /‘mare/ vs. /‘maRe/ → il fono: realizzazione di R è concretamente diversa da r ma non
assegna alla parola valore distintivo (si riferiscono alla stessa entità ma con pronuncia
diversa della r/R)

fonetica → studio della componente fisica/materiale della comunicazione verbale, le cui unità
minime sono i foni
fonologia → o fonematica, studio dell’organizzazione e del funzionamento dei suoni nel sistema
linguistica, le cui unità minime sono i fonemi
- studia quali sono i fonemi di una lingua: cioè se la differenza di suono corrisponde ad un significato
- studia come i suoni si combinano insieme, per esempio in italiano standard ci sono suoni come [ʃ],
[t] e [r], ma mentre alcune combinazioni di questi sono ammesse e altre non lo sono
- studia come si modificano in combinazione: ex. il prefisso negativo s- (=1 fonema) diventa sonoro
se seguito da un fonema sonoro: s+fortunato [s]fortunato ≠ s+regolato [z]regolato

allofoni → diverse realizzazioni concrete dello stesso fonema, ad esempio foni [r] e [R] rispetto al
fonema /r/ (ossia che comparato ad altri ha valore distintivo)
- /’mare/ vs /’maRe/
r (polivibrante alveolare) / R (polivibrante uvulare) possono comparire nella stessa posizione senza dar
luogo a parole diverse → la differenza di suono NON porta ad una differenza di significato
≠ coppia minima → due parole distinte solo da un suono, che acquista valore distintivo = la differenza
di suono porta ad una differenza di significato
- /‘male/ vs. /‘mare/

coppie minime (2 parole e il minimo: 1 suono)


Le coppie minime sono composte da due parole distinte da:
- la differenza di un unico fonema nella stessa posizione all’interno della parola
ex. /’kalo/ - /’karo/, /’pesca/- /’pεsca/
- la posizione dell’accento
ex. /’ankora/ - /an’kora, /’papa/- /pa’pa/
- la lunghezza consonantica (la lunghezza vocalica non ha valore distintivo e non va indicata
nella trascrizione fonematica)
ex. /’nona/ - /’non:a/, /’papa/ - /’pap:a/
Non sono coppie minime parole composte da un diverso numero di fonemi:
ex. /kjare/ (5 fonemi) - /kare/ (4 fonemi)

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le regole di Trubeckoj (Mosca 1890 - Vienna 1939)
Sono regole per stabilire se due foni abbiano valore distintivo, e siano quindi fonemi di una data lingua.
contesto → un suono ha una sua distribuzione, ossia alcuni tipi di contesti o di posizioni in cui può
comparire (ex. [r] in italiano standard).

distribuzione ex contesto

tra due vocali ora V_V

dopo [t] tra t_

dopo [p] prima p_

dopo [b] bravo b_

a inizio parola tra due vocali rana #_V

fine parola bar _#

1. Quando due suoni ricorrono nella medesima posizione/distribuzione e la commutazione


(scambio) fra i due fa mutare il significato delle parole, allora questi due suoni sono realizzazioni
fonetiche di due diversi fonemi.
ex. /’mare/ /’pare/ = /m/ vs /p/ → #_V
/’mare/ /’more/ = /a/ vs /o/ → m_
2. Quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e possono essere scambiati fra loro senza
far mutare il significato delle parole, allora questi due sioni sono soltanto varianti fonetiche (foni)
facoltative, o libere, di uno stesso fonema
ex. [‘re:mo] - [‘Re:mo] → /’re:mo/ - /re:mo/ → i due foni [r] (vibrante, alveolare) e [R]
(vibrante, uvulare) corrispondono allo stesso fonema
3. Quando due suoni, simili dal punto di vista articolatorio, non sono interscambiabili negli stessi
contesti fonologici (= non ricorrono mai alle stesse posizioni), allora questi due suoni sono varianti
fonetiche combinatorie (allofoni) di uno stesso fonema (determinate dalla combinazione con altri
suoni nel contesto fonologico).
ex. naso - ancora [‘nazo] - [‘aŋkora]
[n] alveolare di naso: non si trova mai davanti a consonante velare
[ŋ] velare di ancora: si trova solo prima di consonante velare

TRASCRIZIONE FONOLOGICA O FONEMATICA


La trascrizione fonematica (fonologica) trascura le particolarità e
differenze che non hanno valore distintivo. A differenza della
trascrizione fonetica, la trascrizione fonematica (fonologica) utilizza le
barre oblique //.
- antica = fonetica [an’ti:ka]; fonologica /an’tika/
- angolo =fonetica [‘aŋgolo]; fonologica /’angolo/
Nella trascrizione fonematica (fonologica) bisogna trascrivere solo i
foni che hanno valore distintivo (ex. non nasale velare, ma sì nasale
palatale perché la nasale palatale oppone parole come rana e ragna,
mentre la nasale velare non oppone nessuna coppia di parole).

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SILLABA
La sillaba è l’unità prosodica costituita da uno o più foni agglomerati intorno a un picco di intensità
(Albano Leoni e Maturi 1998).
ex. favole = fa-vo-le → 3 sillabe = 3 picchi di intensità (/a/, /o/, /e/)
La sillaba minima è costituita in italiano standard da una vocale (nucleo sillabico) + il nucleo può essere
preceduto da un attacco e una coda (nucleo + coda = rima)

Le sillabe con coda sono sillabe chiuse


Le sillabe senza coda sono sillabe aperte
Il picco di intensità cade sul nucleo, o apice, della sillaba (in
italiano solo le vocali). Il nucleo può essere costituito anche
da un dittongo (approssimante + vocale [‘awuto] / vocale +
approssimante [‘pjeno]). L’attacco può essere costituito da
una o più consonanti.
ex. V a.mo
CV pa.ne
VC al.tro
CVC can.to
CCV tre.no
CCVC tron.co
CCCV stra.no
CCCVC stram.bo

LA PROSODIA
La fonologia, che è basata sui segmenti, è di tipo segmentale. Vi sono però fenomeni fonologici che non
possono essere attribuiti ad un segmento o che lo oltrepassano, e che sono detti appunto
soprasegmentali: accento, tono, intonazione, lunghezza. La prosodia è basata sui fenomeni
soprasegmentali.

accento (proprietà delle sillabe e non dei singoli segmenti)


L’accento è la prominenza fonica di una sillaba (del suo nucleo: la vocale) rispetto alle altre sillabe di una
parola.
1. accento dinamico/intensivo → aumento della forza espiratoria durante la pronuncia, e conseguente
aumento del volume della voce e della durata della sillaba.
ex. lascio /’laʃ:o/
lasciò /la’ʃ:o/
- accento contrastivo (funzione distintiva)
In italiano l’accento è mobile e con valore distintivo. La sillaba accentata è detta tonica.

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Parole atone o clitiche → parole monosillabiche che non hanno accento autonomo e per essere
pronunciate si “appoggiano” al contesto che precede (chiamala, [‘kiamala]) o che segue (la chiamo
[la’kiamo])
- accento fisso e con valore demarcativo
francese → accento cade sull’ultima sillaba o sulla sillaba finale di un sintagma
turco → accento cade sull’ultima sillaba
polacco. swahili, quechua → accento cade sulla penultima lingua
svedese, ungherese, finlandese → accento cade sulla sillaba iniziale

tono
2. accento melodico/tonale → il tono, o altezza musicale (pitch) con cui le sillabe sono pronunciate e
la curva melodica a cui la loro successione dà luogo
tono → è l’altezza di pronuncia della sillaba, legata alla velocità e alla frequenza delle vibrazioni delle
corde vocali
alta frequenza delle vibrazioni delle corde vocali → aumento di volume e tono ascendente
bassa frequenza delle vibrazioni delle corde vocali → riduzione di volume e tono ascendente
Quindi una sillaba può essere pronunciata con altezze di tono diverse: la parola ma può essere
realizzata con una pronuncia molto bassa o con una pronuncia alta.
In italiano a queste due pronunce diverse non corrisponde un cambiamento di significato. Vi sono lingue
invece dove a differenza di altezza di pronuncia corrispondono variazioni di significato. Queste
lingue sono dette tonali, come il cinese mandarino, ma anche lingue amerindie, la maggior parte delle
lingue africane e quasi tutte le lingue tibetane.

intonazione
L’intonazione è l’andamento melodico con cui è pronunciato un enunciato. In italiano l’intonazione
distingue enunciati con funzioni pragmatiche diverse:
- enunciato interrogativo → contorno intonativo ascendente Gianni esce?
- enunciato dichiarativo → contorno intonato costante Gianni esce.
- enunciato esclamativo → contorno intonativo discendente Gianni esce!

lunghezza
La lunghezza (o durata, o quantità) è l’estensione temporale relativa con cui i foni sono prodotti.

In italiano la lunghezza vocalica non è distintiva: non vi sono due parole con significati diversi che si
differenziano solo per la presenza di una vocale lunga o breve.
ex. nederlandese maan - man (luna - uomo)
In italiano è invece la lunghezza consonantica ad essere distintiva.
ex. fato - fatto
caro - carro

51
7 MORFOLOGIA
La morfologia studia la forma/struttura interna della parola e le regole di formazione delle parole.
morfemi → sono le unità minime dotate di significato, elementi che formano le parole (il più
piccolo individuabile). Esistono vari tipi di morfemi, sulla base del loro significato e della loro funzione,
come esistono anche diversi tipi di parole. Come si individuano e come si combinano i morfemi per
formare la parola.

morfema
Un morfema è l’unità minima (la più piccola) di una lingua dotata di significato. il morfema è un segno
linguistico, ovvero composto da significante e significato.
- morfema lessicale → parte della parola che dà significato alla parola (contenuto informativo,
quindi a quale realtà extralinguistica si fa riferimento) ed è la parte invariabile della parola (ex.
giorn-); forme che hanno un significato lessicale che non dipende dal contesto; sono una classe
aperta, arricchibile di nuovi elementi in maniera non predicibile (fino all’infinito)
- morfema grammaticale flessivo o flessionale → è la parte della parola che si può flettere,
quindi cambiare; l’elemento grammaticale ha una funzione all’interno del significato del morfema
lessicale; strumento della flessione (procedimento morfologico di codifica di informazione relative a
numero, genere, modo) quindi danno luogo alle diverse forme di una parola; sono una classe
chiusa, non arricchibile e predicibili
- morfemi grammaticali derivativi o derivazionali → servono a derivare nuove parole, strumento
della derivazione: processo morfologico di formazione di nuove parole aggiungendo nuova
informazione rilevante, di tipo semantico (giorno/giornale) o categoriale (leggere v. / lettura n.);
derivano parole da altre parole

distinzione tra forme lessicali e grammaticali esempio


→ donna
- significato che deriva dalla sua collocazione nel lessico all’italiano
- si oppone a uomo per quanto riguarda il genere
- si oppone a bambina per quanto riguarda l’età
- si oppone a leonessa per quanto riguarda il tratto
- significato non cambia con il variare del contesto linguistico

→ di
- il significato è in gran parte legato al contesto: i vari significati che la preposizione di può assumere
in contesti linguistici: cambia la funzione a seconda del contesto
- Il cane di Clelia
- La farfalla di carta
- I reali di Francia

- parola monomorfematica o morfema libero → morfemi che non vanno insieme, che no
co-occorrono con altri morfemi, ma costituiscono parole autonome (parole invariabili composte da
un unico ML: per, ieri, ecco, di, perché…)

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- morfema legato → morfemi che obbligatoriamente co-occorrono con altri morfemi per formare
una parola

derivazione, flessione e composizione (processi morfologici)


Derivazione, flessione e composizioni sono i processi morfologici più comuni che portano alla
modificazione di parole semplici. Può essere fatta grazie alla derivazione: suffissazione e prefissazione.

La derivazione può modificare la parola per:


- prefissazione (prefissi), (s)fortunato
- suffissazione (suffissi), dolce(mente)
- infissazione (aggiunta di infissi). Nella
lingua italiana l’infissazione non esiste.

La flessione aggiunge alla parola di base informazioni relative a: + si trova a fine parola in ita.
- genere → maschile - femminile
- numero → singolare - plurale
- caso → nominativo - accusativo
- tempo → presente, imperfetto…
- modo → indicativo, gerundio…
- diatesi → attiva - passiva
- persona → 1ps, 2ps, 3ps, 1pp, 2pp, 3pp

La composizione forma nuove parole a partire da due già parole esistenti.


- capo, stazione = capostazione
- dolce, amaro = dolceamaro
- porta(re), cenere = portacenere

esercitazione
1. parlare - sparlare → derivazione (prefissazione)
2. parlare - parlano → flessione
3. chiaro - chiaramente → derivazione (suffissazione)
4. telefonare - telefonato → flessione
5. passeggiare - passeggiata → derivazione

prova di commutazione
Per individuare i morfemi di una parola occorre riflettere sull’apporto informativo che una sequenza di
fonemi fornisce al significato globale della parola.
Un procedimento pratico per scomporre una parola in morfemi: comparare la parola con altre parole
simili, dalla forma molto vicina in cui ci può essere la stessa sequenza di fonemi con la stessa funzione
e lo stesso significato (morfema lessicale, derivazionale o flessionale), ossia che contengano
presumibilmente uno per uno i morfemi da individuare.

53
Il morfema deve poter essere isolato con lo stesso significato e con la stessa funzione all’interno della
parola
- comparazione con parole simili
Queste comparazioni invece, non funzionano. In queste parole c’è la stessa sequenza di fonemi, non
non costituiscono morfemi di uno stesso tipo, non in tutte le parole le sequenze sono morfemi isolabili e
anche quando sono morfemi uguali per significante non lo sono per significato e per funzione (alcune
morfemi lessicali, altri morfemi flessionali, altri morfemi derivazionali).

Quindi: i morfemi derivazionali (MD) cambiano il significato della base a cui si applicano e possono
- aggiungere nuova informazione → ex. dormitorio: parola derivata da dormire a cui viene aggiunto
al significato della radice lessicale dormire il significato di “luogo in cui si fa la cosa designata dalla
radice lessicale”
- integrare significato
- modificare la classe di appartenenza della parola
- modificare la funzione semantica della parola
- sfumare il senso della parola → ex. dormicchiare, viene aggiunta al significato della stessa radice
lessicale la sfumatura di “fare la cosa in maniera parziale e discontinua”

famiglia di parole
- parola = è la minima combinazione di elementi minori dotati di significati (= i morfemi)
I morfemi derivazionali permettono, principalmente attraverso i suffissi e i prefissi, di formare un numero
teoricamente infinito di parole a partire da una certa base lessicale. A seconda dei moduli di derivazione,
si hanno diverse famiglie di parole (o famiglia lessicale): ovvero l’insieme delle parole derivate dallo
stesso morfema lessicale (o radice).

Le parole che condividono il morfema lessicale e sono derivate


dallo stesso morfema lessicale compongono una famiglia di
parole.

Forme flesse e forme composte non fanno parte della famiglia


di parole

vocale tematica
Nelle parole verbali e derivate da verbi è presente la vocale
tematica, ossia la vocale iniziale dell’infinito dei verbi (-are, -ere,
-ire). La vocale tematica indica l’appartenenza ad una classe di
forme (1, 2, 3 coniugazione → classe flessionale)

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fenomeni di riaggiustamento
Le combinazioni di morfemi possono richiedere riaggiustamenti fonologici:
- assimilazione → ex. in + pronunciabile = impronunciabile; in + legale = illegale
- elisione → ex. lungo + Arno = lungarno
- inserimento → gas + oso = gassoso (inserimento di geminata per rendere la durata della
consonante)
- sostituzione
- della consonante finale del morfema lessicale (non graficamente ma foneticamente):
sindaco/sindaci [ ‘sindako ] ma [ ‘sindatʃi]; belga/belgi [ ‘bɛlga ] ma [ ‘bɛlʤi]
- della vocale finale del morfema lessicale del primo elemento di un composto: dieta + logo =
dietologo; calore + fero = calorifero

ALLOMORFIA E SUPPLETIVISMO
morfo e morfema
- morfema → unità astratta della morfologia; il più piccolo pezzo di significante di una lingua
portatore di significato proprio, di un valore e di una funzione precisi ed individuabili, e riusabile
come tale
Il significato di una parola è dato dalla somma e combinazione dei significati dei singoli morfemi che la
compongono
- morfo (= allomorfo) → realizzazione concreta di un
morfema
La distinzione è parallela a quella vista in fonologia tra
fonema e allofono, quindi molto spesso il morfo
corrisponde al morfema
Generalmente un morfema è rappresentato da un solo allomorfo, quindi lavorando sui morfemi
significante e significato vanno sempre considerati insieme.
ex. il morfema del singolare -e è realizzato dal morfo -e

allomorfi → sono morfi riconducibili allo stesso morfema in quanto ne condividono non solo il significato
ma anche la stessa posizione all’interno della struttura morfemica della parola (ex. in-, im-, il-, ir- = sono
sempre dei prefissi → sono morfi legati e non possono star da soli + esistono i morfi liberi riconducibili
allo stesso morfema, come il/lo o i/gli)

Generalmente un morfema è rappresentato da un solo allomorfo, ma ci sono anche casi in cui un


morfema è rappresentato da più allomorfi: un allomorfo è quindi la variabile formale di un morfema, che
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realizza lo stesso significato di un altro morfo equifunzionale con cui è
in distribuzione complementare.
Per stabilire gli allomorfi (=varianti dello stesso morfema) dobbiamo
verificare che l’elemento individuato abbia sempre lo stesso significato
e si trovi nella medesima posizione nella struttura di parola.

Un allomorfo è quindi ciascuna delle forme delle forme diverse in cui si


può presentare uno stesso morfema, che sia suscettibile di comparire
sotto forme diverse.

L’allomorfia può riguardare sia i morfemi lessicali sia i


morfemi grammaticali:
- morfema lessicale
ex. allomorfi = ten-e-re, tien-i, teng-ono, ter-r-ò…
morfema (il morfo più frequente) = ten-
- morfema grammaticale
ex. allomorfi = in-giusto, il-lecit-o, ir-real-e, in-esatt-o…
morfema (morfema) = in-
L’allomorfia riguarda morfi che sono il risultato di esiti diversi dell’evoluzione diacronica (tenere, tieni) o
di riaggiustamenti fonotattici sincronici (impronunciabile, illogico) dello stesso morfema.

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suppletivismo
Il suppletivismo riguarda i morfemi lessicali equivalenti per significato e posizione MA diversi
foneticamente fra loro.
ex. vad-o, and-iamo
acqu-a, idr-ic-o → non sono due allomorfi ma due morfemi distinti
Hanno un evidente rapporto semantico, ma nessuna somiglianza formale.

Il suppletivismo comprende i due casi di due morfemi lessicali che:


- non condividono la stessa origine etimologica
ex. acqu- < lat. aqua; idr. < greco cl. hydor
cavallo (caballus) vs equino (equus)
- rappresentano esiti diacronici molto diversi della stessa origine etimologica: l’origine della base
lessicale è la stessa, ma per stratificazione storica storica si hanno morfi diversi. Uno ha
mantenuto la forma originaria, l’altro ha subito le modificazioni di sviluppo fonetico:
ex. Ivrea (città del Piemonte) → eporediesi (abitanti di Ivrea): entrambi < lat. eporedia, ebur
(avorio)

LA CLASSIFICAZIONE POSIZIONALE DEI MORFEMI


1. Classificazione funzionale dei morfemi
In base al tipo di contributo del morfema al significato della parola:
- riferimento ad un referente extralinguistico (morfema lessicale)
- aggiunta di informazioni semantiche o categoriali (morfema derivazionale)
- codifica delle categorie grammaticali (morfema flessionale)
2. Classificazione posizionale dei morfemi grammaticali (morfema derivazionale e flessionale)
In base alla posizione che il morfema occupa all’interno della parola rispetto al morfema lessicale, che
è la “testa” della parola e fa da perno per la sua costruzione

affissi
→ i processi morfologici più comuni che portano alla modificazione
di parole semplici
N.B. in italiano l’infissazione è rarissima

prefisso e suffisso
→ morfemi derivazionali e morfemi flessionali = affissi

infisso
Gli infissi sono affissi inseriti al’interno del morfema lessicali, cioè all’interno della radice
ex. <lat. vinco “vincere” (presente), vici (perfetto) → -n- infisso
<gr. lambano “prendere” (presente), élabon (aoristo) → -m- infisso
<tagalog (Filippine) samahan “accompagnare”, sinamahan (perfetto) “ha accompagnato” → -in- infisso

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circonfisso e transfisso
I morfemi circonfissi sono morfemi discontinui: affissi che sono formati da due parti: una che sta prima
della radice e una che sta dopo la radice. Quindi contengono al loro interno la radice. (tedesco)

I morfemi transfissi sono morfemi che si incastrano alternativamente dentro la radice, dando quindi luogo
a discontinuità sia all’affisso che alla radice. (arabo)

FLESSIONE E CATEGORIE GRAMMATICALI


i morfemi flessionali
I morfemi flessionali non modificano il significato del morfema lessicale, ma lo attualizzano nel contesto
di enunciazione, specificandone la concretizzazione in quel particolare contesto.
ex. libr-o = MF = un oggetto specifico presentato come entità singola
in-nov-a-mmo = MF = un evento specifico svolto attivamente da me e da altre persone in un
passato finito e reale

I morfemi flessionali sono le marche che codificano i valori delle categorie grammaticali.
Le categorie grammaticali esprimono i significati fondamentali e generali che ciascuna lingua codifica
obbligatoriamente sulle parole delle classi del discorso variabili (in it. nomi, verbi, articoli, aggettivi, in
parte pronomi).
Le informazioni grammaticali sono anche dette morfosintattiche perché danno “istruzioni” rilevanti sia
in morfologia che in sintassi e si distinguono tramite diverse categorie.
Le categorie morfosintattiche sono ad esempio il numero, il genere, il caso, il tempo, l’aspetto…
- naturalmente, i morfemi flessionali intervengono solo nelle parole che possono assumere tali
specificazioni, ossia operano sulle classi “variabili” di parole
ex. in italiano nomi, verbi, aggettivi…
- in genere, si distinguono le categorie flessionali in due grandi classi: quelle che operano sui nomi
(nominali) e quelle che operano sui verbi.

le categorie grammaticali del nome


La morfologia nominali codifica una serie di caratteristiche semantiche del referente a cui si riferisce, in
italiano: genere e numero.

genere
La categoria del genere indica il tratto semantico “maschile” o “femminile”, a cui si aggiunge in alcune
lingue “neutro”.
L’assegnazione del genere alle parole è arbitraria e può variare interlinguisticamente:
ex. it. Sole m./ted. Sole f.
it. Luna f./ ted. Luna m.
it. Mare m./ fr. Mer f.
variazione interlinguistica → in inglese in genere non è codificato dalla morfologia nominale. Nelle lingue
bantu, come il swahili, sono codificate circa 15 distinzioni di genere attraverso i classificatori nominali.
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- m- = /+ ANIMATO/ /+ SINGOLARE/
mtoto = bambino
- wa- = /+ ANIMATO/ /- SINGOLARE/
watoto = bambini
- ki- = /- ANIMATO/ /+ SINGOLARE/
kiti = sedia
- vi- = /- ANIMATO/ /- SINGOLARE/
viti = sedie

numero
La categoria del numero indica la quantità di referenti a cui fa riferimento la parola.
ex donna/donne
Il numero grammaticale ha un rapporto indiretto e convenzionale con la realtà extralinguistica, infatti può
variare interlinguisticamente.
ex.
It.: SINGOLARE/PLURALE
Greco ant., sanscrito, arabo: SINGOLARE/DUALE/PLURALE
In greco ant. e sanscrito il duale è codificato anche sui verbi
Alcune lingue dell’Oceania:SINGOLARE/DUALE/TRIALE/PLURALE
Arabo egiziano: SINGOLARE/PAUCALE/PLURALE

accordo
L’accordo prevede che tutti (o alcuni) gli elementi che possono essere flessi all’interno di un certo
costrutto prendano le marche (morfemi) delle categorie flessionali per le quali è marcato l’elemento a
cui si riferiscono o dipendono.
L’accordo morfosintattico consiste nell’allineamento delle marche delle parole all’interno di un sintagma
o di una frase (allineamento dei morfemi flessionali).

Flessione contestuale VS flessione inerente


- flessione contestuale → riguarda la marca della
parola, selezionata in modo sintagmatico (in relazione
alle altre parole del contesto linguistico)
- flessione inerente → riguarda la marca della
parola, selezionata in modo paradigmatico (in
relazione alla realtà extralinguistica)
Ossia la marca di una parola in isolamento, a
seconda della classe di appartenenza, selezionata dal
lessico
ex. in italiano (o in inglese) un nome viene attualizzato o come singolare o come plurale:
Gatto: sostantivo maschile singolare, plurale: gatti

la categoria del caso


Il caso codifica la funzione sintattica che la parola svolge
nella frase
ex. It.: il ragazzo ha dato una rosa a Maria
Lat.: puer rosam dedit Mariae
- Variazione interlinguistica:
Finlandese: 16 casi ; Russo: 8 casi,
Latino: 6 casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo,vocativo, ablativo) Greco: 5 casi (nominativo,
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genitivo, dativo, accusativo,vocativo) Tedesco: 4 casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo)
- Italiano?
Traccia della categoria del caso nel sistema dei pronomi tonici:
io/me (nom/acc); tu/te (nom/acc); lo/gli (acc/dat); la/le (acc/dat)

la reggenza
L’assegnazione di una marca di caso al nome parte del verbo e da parte della preposizione si chiama
reggenza.

La nozione di reggenza si estende anche al rapporto fra verbo e preposizione (il verbo assegna la
preposizione).

variazione interlinguistica
In giapponese si codificano le relazioni sociali con marche morfologiche specifiche del nome:
Lucasan = Sig. Luca (indica rispetto e distanza sociale)
Lucasama = Sig. Luca (indica deferenza)
Lucakun = il mio amico Luca (indica confidenza e forte amicizia)
In arabo si codifica la definitezza all’interno del nome con un morfema specifico:
almaktabatu “la libreria” vs. maktabatun “una libreria”
In turco, arabo, finlandese si codifica il tratto del possesso all’interno del nome con un morfema
specifico:
Turco: kaderşim “mio fratello” vs. kaderşin “tuo fratello”
Arabo: baytī “casa mia”
Finlandese: kotini “casa mia”

le categorie grammaticali dell’aggettivo


La morfologia aggettivale codifica l’intensità della proprietà a cui si fa riferimento (GRADI)
In italiano:
- Codifica morfologica del superlativo assoluto → Bellissimo
- Codifica con mezzi lessicali del superlativo relativo → Il più bello di tutti
- Codifica con mezzi lessicali del comparativo → più bello di te / meno bello di te / bello quanto te

In inglese:
- Codifica morfologica del superlativo assoluto → highest
Codifica morfologica del comparativo di maggioranza → higher

In ted. comp. Magg. Schöner, super. Ass. schönsten


In lat. Comp. Magg. Velocior, superl. Ass. velocissimus

la categoria della persona


La categoria della persona in italiano codifica il collegamento fra il verbo e il soggetto, distinguendo i casi
in cui il soggetto è:
- colui che parla (Prima persona)
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- colui che ascolta (Seconda persona)
- colui di cui si parla (Terza persona)
In italiano, la persona codifica anche il numero e, nelle forme verbali composte, il genere del soggetto.
arrivo, arriviamo → Prima persona singolare, Prima persona plurale
siete arrivati, siete arrivate → Seconda persona plurale maschile, Seconda persona plurale femminile

variazione interlinguistica
In inglese, non viene codificato il numero nella seconda persona (you = “tu, voi”).
In vietnamita, la persona codifica la distinzione fra “noi inclusivo” chúngta, che include chi ascolta, e “noi
esclusivo” chúngtôi, che esclude chi ascolta
In giapponese, la persona codifica la distinzione dei diversi rapporti sociali (rispetto, deferenza,
confidenza) tra gli interlocutori

la diatesi
La categoria della diatesi esprime il rapporto fra l’evento e i suoi partecipanti, principalmente il soggetto.
Diatesi attiva → Il soggetto esegue un’azione.
ex. Gigi cammina. / Luisa aspetta l’autobus.
Diatesi passiva → Il soggetto è coinvolto in un evento causato da un agente, che può essere espresso
oppure no.
ex. Gigi è stato nominato ieri da Giovanna. / D’estate si beve molta acqua → Si passivante -
impersonale (molta acqua è bevuta d’estate)
Diatesi riflessiva (o media) → Il soggetto esegue e contemporaneamente subisce l’azione, che
ricade sul soggetto
ex. Giuliano si lava (= Giuliano lava se stesso)

la categoria del modo


La categoria del modo esprime la modalità con cui il parlante si pone rispetto all’evento descritto dal
verbo.
- Modo indicativo: Asserzione (constatazione certa di un evento)
ex. Domani Paolo verrà a prendere i libri (non si discute).
- Modo congiuntivo: Desiderio/ ipotesi (presentazione incerta di un evento)
ex. (Se) Paolo prendesse i libri!
Penso che domani Paolo venga a prendere i libri.
- Modo condizionale: Desiderio/ Possibilità / irrealtà
ex. Paolo verrebbe a prendere i libri domani (se tu fossi in casa).
Paolo sarebbe venuto a prendere i libri domani (se tu fossi stato in casa)
- Modo imperativo: Comando
ex. Paolo, domani vieni a prendere i libri!

la categoria del tempo


La categoria del tempo definisce il rapporto di anteriorità, contemporaneità e posteriorità fra il momento
dell’avvenimento dell’evento descritto dal verbo (MA) e il momento dell’enunciazione (ME), in cui il
mittente produce l’enunciato.
- Tempo passato: MA anteriore a ME
ex. Due giorni fa ho comprato un libro di Camilleri. (ME = ora)
- Tempo presente: MA contemporaneo a ME
ex. Ora c’è la lezione di italiano. (ME = ora)
- Tempo futuro: MA posteriore a ME
ex. Stasera andrò al cinema. (ME = ora)
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La categoria del tempo definisce il rapporto di anteriorità, contemporaneità e posteriorità fra il momento
dell’avvenimento dell’evento descritto dal verbo (MA), il momento dell’enunciazione (ME), in cui il
mittente produce l’enunciato, e il momento preso a riferimento nel discorso (MR).

MA anteriore a MR anteriore a ME
ex. Quando mi hai regalato il libro di Camilleri, ne avevo già ordinata una copia.

MA contemporaneo a MR anteriore a ME
ex. Quando mi hai chiamato c’era la lezione di italiano.

MA posteriore a MR anteriore a ME
ex. Mi hai detto che saresti andato al cinema.

la categoria dell’aspetto
La categoria dell’aspetto esprime il modo in cui vengono presentati e osservati
l’azione/evento/processo espressi dal verbo in relazione al loro svolgimento.

Aspetto Perfettivo: azione compiuta e conclusa → Presentazione dell’evento nella sua interezza, dopo
la sua conclusione, che può essere indicata
ex. Mario ha vissuto/visse ad Arezzo.
Aspetto Imperfettivo: azione non conclusa, presentata nel corso del suo svolgimento → Presentazione
dell’evento nel corso del suo svolgimento e non si può indicarne la conclusione
ex. Mario viveva ad Arezzo.

variazione interlinguistica
In georgiano si codifica morfologicamente sul verbo il valore dell’evidenzialità che distingue fra eventi a
cui il mittente ha assistito in prima persona ed eventi riportati senza una testimonianza diretta da parte
del mittente:

In latino l’incoatività, che esprime la fase iniziale dell’evento o l’ingresso nello stato riportato dal verbo, si
codifica sul verbo con un morfema specifico

DERIVAZIONE
tipi morfologici di parole
- parole base o primitive (mano)
- parole derivate (maniglia)
- parole derivate suffissate (manesco)
- parole derivate prefissate e suffissate
(rimaneggiare)
- parole alterate (manina) → l’alterazione è un particolare
tipo di derivazione, in cui i MD aggiungono informazioni
semantiche valutative e connotative, associate a
particolari effetti pragmatici e contesti diafasici

conversione o derivazione zero

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Conversione o derivazione zero = nelle coppie di parole appartenenti alla stessa famiglia lessicale in
cui non è possibile individuare su base morfologica la parola base e la parola derivata per assenza di
MD.

In questi casi la parola base è di solito individuata su base categoriale e semantica


N e V = da V si forma N
Cambiare > cambio “l’atto del cambiare”
AGG e V = da AGG si forma V
fermo > fermare “far assumere lo stato di essere fermo”

COMPOSIZIONE
composizione → procedimento morfologico di formazione di nuove parole
unendo due parole.
Le due radici lessicali che coesistono nella stessa parola mantengono entrambe il
valore che avrebbero se utilizzate come parole autonome.

Nella composizione, le due parole che vengono combinate esprimono una relazione grammaticale che è
“nascosta”, non esplicitamente presente ma recuperabile:
- capostazione → capo (della) stazione
- pescespada → pesce (a forma di) spada
- divanoletto → divano (che è a forma di letto)
Le regole della composizione possono combinare diverse categorie lessicali, ma l’uscita di norma è un
nome.

eccezioni:
- quando sono coinvolti due aggettivi (agrodolce = A+A; grigioverde = A+A)
- caso in cui l’aggettivo sia un aggettivo di colore (rosso mattone, grigio perla = A+N)

composizione: la testa

Il composto ha la stessa categoria lessicale (N) di uno dei due costituenti,


il NOME cassa (che anch’esso è un N).
→ diremo che cassa è la testa del composto e che la categoria N del
composto deriva dalla testa. Il costituente della parola che funziona da
testa assegna al composto la propria classe di parola, conferendogli le proprie caratteristiche di
significato e di flessione.
- cassaforte è un N perche cassa è un N: è da cassa che la categoria NOME viene passata a tutto il
composto.

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Come la derivazione, anche la composizione porta alla formazione di parole nuove a partire da una
radice lessicale (prende il morfema lessicale)
ex. cassa → cassaforte, cassapanca…
derivazione ≠ composizione → nella parola derivata c’è una radice lessicale, mentre nella parola
composta ci sono più radici lessicali che possono anche essere anche parole autonome
Tranne composti “neoclassici”, come termometro, fonologia, telefono = classe intermedia tra parole
derivate e composte, essendo formati da due radici lessicali che non compaiono come parole autonome
- e provengono da lingue classiche).
Nella composizione le due parole (i due morfemi lessicali) che vengono combinate esprimono una
relazione grammaticale che è nascosta, non esplicitamente presente ma recuperabile.
Le regole della composizione possono combinare diverse categorie lessicali, ma l’uscita è di norma un
nome:
- capostazione N+N=N
- gentildonna A+N=N
- portabagagli V+N=N
- sottoscala P+N=N
- buttafuori V+P=N
- saliscendi V+V=N
Però ci sono casi in cui il composto è formato da N+N o V+V, quindi come si stabilisce se un composto
ha la testa e come si stabilisce quale sia la testa nel composto?
tre test per individuare la presenza di una testa all’interno di una parola composta.
1. test sintattico
La parola composta appartiene alla stessa classe del discorso di una delle parole che la costituiscono.

2. test semantico

3. La parola composta indica un referente che rappresenta un


particolare tipo di uno dei referenti indicati dalle parole che la
costituiscono?

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3. test morfologico
Una delle parole che costituiscono la parola composta si flette?

I composti con la testa si chiamano endocentrici (ex. capostazione, eurodeputato), mentre i composti
senza testa si chiamano esocentrici (ex. saliscendi, portapenne).

N.B. l’ordine delle parole che costituiscono la parola composta non è rilevante per individuare la testa
della parola composta, che si può trovare sia in prima sia in seconda posizione:
- pescespada → testa (modificando) - modificatore → ordine più frequente nelle parole composte
italiane
- ferrovia → modificatore - testa (modificando)

I composti con due teste si chiamano dvandva (ex. caffèlatte, tragicomico).

Per mutamento linguistico diacronico basato sull’analogia, le parole composte in cui il procedimento
morfologico della composizione non è più trasparente ai parlanti (che i parlanti non percepiscono più
come parole composte) flettono la parola finale anche se non funge da TESTA.
ex. pomodori (testa=pomo)
grattacieli (parola composta senza testa interna alla parola)

!!!! La discretezza → proprietà di dividere le parti del discorso

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unità polirematiche
Insieme di parole che si configura come una parola unica = il significato dell’unità polirematica non
corrisponde alla semplice somma dei significati della parole componenti, comportandosi quindi come
parola unica
ex. Gatto delle nevi = «mezzo cingolato per muoversi sulla neve»
Fare il bucato = «lavare»
Andare via = «andarsene» → Verbo sintagmatico
Usa e getta = «monouso» → Binomi coordinati
Unità lessicali bimembri = posizione intermedia fra parole composte e unità polirematiche perché il
grado di fusione fra le due parole è intermedio
ex. Parola chiave, ufficio concorsi, scuola guida, ....

sigle e parole macedonia


Altri meccanismi, marginali, di formazione di parole composte:
- Sigle = parole composte dalle iniziali delle parole che costituiscono un’unità polirematica
ex. NATO = North Atlantic Treaty Organization
SMS= Short Message Service/System
TFR = Trattamento di Fine Rapporto

- Parole macedonia = parole composte da una o più parole che occorrono con ML in forma elisa
(ridotta fonologicamente) (accorciamento)
ex. Cantautore = canta + autore < cantante + autore
Mapo= mandarino+pompelmo
Smog = sm + og < smoke + fog

fra derivazione e composizione

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8 SINTASSI
sintassi → struttura della frase, la funzione e la disposizione delle parole all’interno della frase e delle
frasi all’interno del periodo

unità di misura → la frase, l’unità comunicativa che veicola in modo autosufficiente un messaggio,
rappresentato da una predicazione (un’enunciazione sulla realtà)
ex. Gianni corre → la predicazione è espressa da un verbo
Buona questa torta → frase nominale: la predicazione è espressa non da un verbo, ma da un
predicato nominale (verbo sottinteso) → la lingua italiana non ha per forza bisogno di un pronome come
soggetto, l’omissione è concessa

frase = proposizione (o clausola) in cui c’è una o più predicazione


- frase semplice → frase che ha una sola predicazione con un tempo finito
- frase complessa → più frasi coordinate

il sintagma
analisi in costituenti → modello di descrizione dell’organizzazione (concatenazione e dipendenze)
delle parole e delle combinazioni di parole (sintagmi) che compongono una frase

sintagma → la minima combinazione di parole (anche solo


una) che costituisce un'unità della struttura della frase, dotata
di una specifica funzione nella struttura della frase e articolata
intorno a una testa, l’elemento prominente, che può costituire
da solo un sintagma e non può essere eliminato senza
eliminare l’informazione veicolata dall’intero sintagma.
La testa determina il tipo di sintagma. Se si elimina la testa, il gruppo di parole considerate perde la
natura del sintagma di quel tipo:
ex. SN: la copertina blu → se eliminiamo la o blu abbiamo ancora un SN, ma se eliminiamo
copertina rimane la blu che non è un SN → quindi un SN p un sintagma costruito intorno al nome
(=testa) ≠ SV → intorno a un verbo

il determinante / il modificatore
I modificatori appartengono alla categoria dei determinanti: parole funzione che hanno la stessa
distribuzione (precedono il nome) e la stessa funzione (identificano, caratterizzano e determinano il
nome)
ex. i cugini - due cugini - questi cugini - i miei cugini - alcuni cugini - quanti cugini?
→ articoli, numerali, agg. dimostrativi, agg. possessivi, agg. indefiniti, agg. interrogativi
rappresentazione grafica → grafico ad albero, o albero etichettato, o indicatore sintagmatico della frase

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test di costituenza → criteri per il riconoscimento del sintagma, è un mezzo per rendere esplicita la
nostra conoscenza strutturale implicita
- mobilità → un gruppo di parole costituisce un sintagma se si muove
congiuntamente all’interno di una frase (ex. mio cugino ha comprato
un’auto; ha comprato un’auto mio cugino)
- scissione → un gruppo di parole costituisce un sintagma se può
essere separato dal resto della frase costruendo una frase scissa
(ex. mio cugino ha comprato un’auto → è mio cugino che ha comprato un’auto; ho guardato dentro
gli scatoloni → è dentro gli scatoloni che ho guardato)
- coordinabilità → un gruppo di parole costituisce un sintagma se può essere coordinato ad altri
gruppi di parole dotati della stessa funzione (ex. mio cugino ha comprato un’auto → mio cugino e
mia cugina hanno comprato un’auto, mio cugino ha comprato e ha rivendicato un’auto, mio cugino
ha comprato un’auto e un garage)
- isolamento → un gruppo di parole costituisce un sintagma se può costruire da solo un enunciato
(ex. mio cugino ha comprato un’auto → chi ha comprato un’auto? mio cugino)
- enunciabilità in isolamento →
- proforma (se esiste il clitico corrispondente) → ex. un mio amico lo ha pulito (il pavimento) con lo
spazzolone

ANALISI IN COSTITUENTI

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reggenza
- relazione sintattica tra un elemento “reggente” ed uno che viene retto
- elementi reggenti (teste dei sintagmi) → categorie lessicali = N, P, V, (A)
- l’elemento reggente impone all’elemento retto di prendere una certa forma
→ in a me vediamo che la preposizione “a” richiede che il SN (il pronome) appaia nella forma
dell’OD e non nella forma SOGG (*a io)
→ il verbo dipendere richiede un complemento introdotto dalla preposizione da; *dipendere a,
*dipendere di

LA STRUTTURA ARGOMENTALE
teoria della valenza
Valenza è un termine mutuato dalla chimica. In chimica il termine valenza esprime il numero di elettroni
che un atomo guadagna, perde, o mette in comune quando forma legami con altri atomi. Metafora:
elettroni=argomenti

valenza verbale
Il verbo viene definito come il centro della frase. Tuttavia, esso non è in grado di formare una frase da
solo. I verbi sono, dunque, termini insaturi: cioé termini che hanno bisogno di essere completati, o
saturato, da un numero appropriato di espressioni (o argomenti).

Gli argomenti sono i partecipanti coinvolti nell’attività o stato espressi dal predicato.
ex. Il poliziotto catturò il ladro (v. bivalente, transitivo) → *Il poliziotto catturò
Gianni cammina (v. monovalente, intransitivo) → *Gianni cammina la strada
possibili variazioni nella valenza verbale → verbo mangiare (Carla mangia una pizza/Carla mangia poco)

*il poliziotto catturò


Quanti sono gli elementi necessari per completare il verbo? Dipende dallo schema valenziale o
argomentale del verbo.

Ogni verbo ha bisogno di un numero specifico di


informazioni per veicolare in modo completo l’evento.

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- argomento → elementi che forniscono
informaizoni necessarie per completare il
significato del verbo
- circostanziali → elementi che forniscono
informazioni aggiuntive, che possono
essere rese pertinenti dal discorso (ex.
Dove l’hai comprato? L’ho comprato nel
negozio in via Farini)
I circostanziali aggiungono informazioni sulle circostanze in cui si verifica un evento, sono facoltativi e
hanno una certa libertà di movimento sintattico o “mobilità posizionale”.
ex. A mezzanotte il poliziotto catturò il ladro
Il poliziotto catturò il ladro a mezzanotte

argomenti frasali
Anche le frasi possono essere argomenti del predicato
ex. Gianni ha annunciato la notizia
Gianni ha annunciato che il direttore era partito

Gianni domandò tre cose


Gianni domandò se qualcuno avesse visto il direttore

la struttura valenziale
La struttura argomentale di un verbo ne descrive il numero e il tipo
di argomenti.

- verbi zerovalenti (impersonali): piovere, nevicare


- verbi monovalenti (intransitivi): dormire, crescere → soggetto
- verbi bivalenti (transitivi (+ ogg. diretto) e “intransitivi a due posti”): mangiare, interessare → sogg,
ogg, + a chi (ogg indiretto)
- verbi trivalenti (ditransitivi): dare, spedire → sogg, ogg diretto, ogg indiretto
- verbi quadrivalenti: tradurre → sogg, ogg diretto, ogg indiretto (a cosa), ogg indiretto (da cosa)
- ex. mio fratello ha tradotto un libro dal cinese all’italiano

N.B elementi facoltativi, accessori→ circostanziali/aggiunti ; mentre gli argomenti sono necessari (a
saturare le valenze del verbo)
ex. Gianni rideva durante la lezione → accessori
Ogni giorno mi alzo di buon mattino → accessori

Una valenza può essere ellittica, o sottintesa, quando è recuperabile dal contesto
ex. Parto per la Francia → (io sottinteso) parto per la Francia

I verbi possono avere più di una struttura valenziale, quando assumono diversi significati in diversi
contesti linguistici.
ex. servire
Il cameriere del ristorante di Paolo serve con i cura i clienti

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9 PRAGMATICA

P: “Ciao sono Paolo, e tu?” In questi dialoghi non manca la comprensione


F: “Io no” del significato delle parole (semantica) e
nemmeno il modo in cui le parole di Paolo sono
P: “Scusa, sai dov’è piazza duomo?” combinate (sintassi). Il problema è come
F: “Certo che lo so” vengono usate (pragmatica).

P: “C’è un ladro in biblioteca”


F: “Ah sì? E che legge?”

P: “Ho già visto la tua faccia da qualche parte”


F: “Non credo, perché la porto sempre con me”

pragmatica → l’uso della lingua nell'interazione, vista come azione, atto concreto che compie
un'operazione e determina un risultato

unità di analisi → si studia l’enunciato (atto linguistico) considerato nel suo concreto impiego in una
situazione comunicativa, come segmento del discorso in atto
criterio di analisi → identificare che azione si realizza quando si dice qualcosa

LA STRUTTURA DELL’INFORMAZIONE
la frase
Prospettiva sintattica: la frase è una concatenazione di sintagmi governata da regole di dipendenza,
generate dallo schema valenziale del verbo, che attribuisce ai costituenti le funzioni sintattiche

Prospettiva semantica: la frase si configura globalmente come una sorta di scena in cui attori o entità
interpretano delle parti (ruoli semantici, o tematici, ruoli theta, θ-roles, casi profondi).

Prospettiva pragmatica: la frase è un’affermazione fatta intorno a qualcosa, composta dalla


presentazione dell’entità su cui si afferma qualcosa e dall’affermazione (predicazione, informazione)
propriamente fornita.

frase → affermazione fatta intorno a qualcosa, composta dalla presentazione dell’entità su cui si afferma
qualcosa e dell’affermazione (predicazione, informazione) propriamente fornita

tema / rema
Esistono lingue (ex. giapponese) che codificano il tema con una specifica particella. In italiano non
esistono mezzi morfologici per la codifica del tema e del rema, ma si utilizza:
- ruolo sintattico → di solito ma non sempre tema=sogg., rema=predicato
71
- ordine sintattico → di solito tema a sinistra quindi prima del rema; il tema rappresenta il punto di
partenza dell’affermazione compiuta dalla frase, secondo il principio di organizzazione naturale
dell'informazione
- intonazione → prominenza intonativa sul rema

dato / nuovo
- nuovo → elemento
dell’enunciato ritenuto dal
mittente non noto al
destinatario
-
- dato → elemento della frase
ritenuto noto agli interlocutori
perché precedentemente introdotto
nel discorso o parte delle
conoscenze condivise fra mittente
e destinatario

il focus
E’ il punto di maggior salienza comunicativa
dell’enunciato, l’elemento su cui si concentra
l’interesse del parlante e che fornisce la massima
quantità di informazione nuova
→ elemento di risposta a una domanda (focus
informativo)
Il focus è di solito parte del rema ed è enfatizzato a livello intonativo.
Il focus è l’elemento dell’enunciato che può essere:
- informazionale → l’informazione nuova nella risposta alla domanda
- contrastivo o correttivo (enfatizzato, saliente in contrasto con altri elementi) → ex. Laura va a
Milano, non a Roma; Marco ho invitato alla festa, non Laura
- focalizzato (con l’uso di focalizzatori) → avverbi e particelle che introducono il focus (ex. Laura va
solo/addirittura/perfino a Milano)
- esaustivo (enfatizzato, saliente con la frase scissa) → frase principale + subordinata
pseudorelativa (ex. è a Milano che va Laura)

72
STRATEGIE DI ENFASI: ORDINI SINTATTICI MARCATI
Sono strutture diverse dalla tipologia d’ordine di base dell’italiano (sogg + verbo + ogg.). Gli ordini
marcati vengono utilizzati per cambiare la trasmissione di una informazione.

costruzione focalizzante: messa in rilievo del focus


frasi segmentate
Frase scissa → perchè divide è marco che ho incontrato ieri
- è a marco che ho regalato una penna + *è a marco a cui ho regalato una penna
- è marco che ho incontrato ieri
- è quando si lamenta che non lo sopporto
Si segmenta in due l’enunciato e si isola un suo elemento focalizzandolo con l’introduzione del verbo
“essere” + una frase pseudorelativa: essere + focus + frase pseudorelativa (+perché il “che” di scissione
(pr. relativo) rimane invariato)

- è marco a chiedere sempre di te → se si focalizza il soggetto, la struttura è essere + focus +


frase infinitiva

Frase pseudoscissa
- quello che volevo dirti è che ti stimo molto! → si introduce l’enunciato con un segmento
preparatorio ed enfatizzante

frase tetica
Accanto a frasi divisibili in tema e rema, esistono frasi indivisibili che apportano solo informazione nuova.
Queste frasi sono dette frasi tetiche → solo rema = focus informazionale
- che succede? che cos’è successo?
- bisogna sistemare la camera → enunciato tetico, solo rema

frase presentativa
Introduce o presenta un'entità nel discorso, portandola all’attenzione dell’interlocutore, senza alcuna
funzione strettamente grammaticale. L’entità dell’esistenziale c’è serve come tema del successivo
discorso. Nella costruzione presentativa il c’è è utilizzato come elemento introduttivo (desemantizzato)
- c’è una camera che ha bisogno di essere sistemata
- c’è qualcuno che deve ancora rispondere

- è arrivata una lettera → enunciato verbo-soggetto

73
strategie di enfasi
Esistono strategie sintattiche per mettere in rilievo un costituente dell’enunciato.
ex. Luisa cuoce per tre ore con pazienza la torta nel suo forno
→ enfasi
- per tre ore Luisa cuoce con pazienza la torta nel suo forno
- con pazienza Luisa cuoce per tre ore la torta nel suo forno
- nel suo forno Luisa cuoce con pazienza per tre ore la torta
L’elemento enfatizzato viene presentato all’inizio dell’enunciato
Esistono strategie sintattiche per mettere in rilievo un costituente dell’enunciato, realizzate da ordini
sintattici marcati (non canonici, per l’italiano gli ordini sintattici non sogg-verbo-ogg).

nuovo / dato
- nuovo → elemento dell’enunciato ritenuto dal mittente non noto al destinatario
- dato → elemento della frase ritenuto noto agli interlocutori perché precedentemente introdotto nel
discorso o parte delle conoscenze condivise fra mittente e destinatario

ORDINI SINTATTICI MARCATI: LA TOPICALIZZAZIONE


topicalizzazione
Il topic è un elemento già menzionato nel discorso o già conosciuto/condiviso nella conoscenza dei
parlanti.
ex. D: Hai già letto quel libro?
R: Certo, quel libro, lo hanno letto tutti!

D: Cosa hai regalato a Maria?


R: A Maria (le) ho regalato una penna.

D: Cosa hai regalato alle tue sorelle?


R: A Maria ho regalato una penna, a Gianna ho regalato un cavallo.

dislocazione a sinistra → anticipazione di un elemento non tematico (O, OI) con un pronome di
ripresa (clitico = le, lo) che ne indica il ruolo sintattico. Con il complemento oggetto il clitico di
ripresa è obbligatorio
- quel libro, lo hanno letto tutti
- a maria, (le) ho regalato una penna

costruzione a tema sospeso → isolamento del tema rispetto alla predicazione


- Marco, gli son sempre piaciuti i film gialli!
(come «riguardo a Marco, gli son sempre piaciuti i film gialli!»)

- Son piaciuti -bivalente: complemento indiretto gli (a lui)+ soggetto i film gialli
Valenza del verbo saturata
- E Marco
NO legame grammaticale esplicito, quindi si dice SOSPESO

dislocazione a destra → messa in rilievo di un elemento non tematico (O, OI) che rimane al termina
dell'enunciato ma viene richiamato da un pronome di ripresa promosso in prima posizione, in apertura di
enunciato
- Ho regalato una penna a Marco
- Gli ho regalato una penna, a Marco.
74
Cf:
Ieri ho visto quel film. SVO
- L’ho visto ieri, quel film / Ieri l’ho visto, quel film
- Quel film, l’ho visto ieri /Quel film,
ieri l’ho visto

LA TEORIA PRAGMATICA DEGLI ATTI LINGUISTICI


aspetto pragmatico degli enunciati
Un aspetto importante del significato degli enunciati è appunto quello pragmatico che riguarda COSA SI
FA con la produzione di un enunciato, in un determinato contesto/situazione, e quindi chiama in causa
l’intenzionalità di un parlante.

In questa prospettiva la lingua è studiata come MODO di AGIRE:


- Cosa si fa, che azione si compie quando si dice qualcosa?

la forza illocutoria → corrisponde a come noi proferiamo una frase (ex. affermazione, ordine, minaccia,
promessa, avvertimento)
- il gatto è sul letto → possiamo usare questa frase per fare una semplice asserzione, una pura e
disinteressata descrizione di uno stato di cose; ma possiamo servircene per compiere una
variegata quantità di altri atti linguistici (con le appropriate intonazioni):
→ Un invito: ‘entra in camera e gioca col gatto’
→ Un avvertimento: ‘non salire sul letto perché il gatto non apprezzerebbe’
→ Una minaccia: ‘se non te ne vai faccio un fischio, il gatto viene qui e ti sbrana’
→ Un’insinuazione: ‘lo hai lasciato salire tu’
→ Un ordine: ‘fallo scendere!’

È tardi → l'enunciato è tardi, ad una sola locuzione possono corrispondere diverse illocuzioni:
- La semplice intenzione di constatare qualcosa a titolo di informazione
- L'intenzione di invitare qualcuno a sbrigarsi
- L'intenzione di invitare qualcuno a non sforzarsi più.
- L'intenzione di comunicare che è giunto il momento di congedarsi.

gli atti linguistici


- mi scuso di essermi comportato così
atto locutivo → struttura del messaggio (produzione linguistica vera e propria, scritta o orale): 29 foni, 9
morfemi, 6 parole, 3 sintagmi, 2 frasi…
atto illocutivo → intenzione comunicativa (formulare scuse)
atto perlocutivo → effetto dell’atto linguistico che si vuole provocare sull’interlocutore (essere perdonato
dal destinatario)
75
- Gianni ha telefonato?
atto locutivo → struttura del messaggio (tipo di frase:frase interrogativa)
atto illocutivo → intenzione comunicativa (formulare una domanda)
atto perlocutivo → effetto dell’atto linguistico sull’interlocutore

- Gianni, telefona!
atto locutivo → struttura del messaggio (frase imperativa)
atto illocutivo → intenzione comunicativa (ordine)
atto perlocutivo → effetto dell’atto linguistico sull’interlocutore (fare in modo che Gianni telefoni)

atti illocutivi → asserzione, domanda, invito, richiesta, ordine, divieto, consiglio, desiderio, rifiuto,
accettazione, accordo, disaccordo, felicitazioni, complimenti, promessa, minaccia, confessione

I VERBI PERFORMATIVI
I verbi performativi sono verbi che quando sono usati alla PRIMA PERSONA SINGOLARE O PLURALE
DEL PRESENTE INDICATIVO annullano la distinzione tra contenuto referenziale (facente parte
dell’atto LOCUTIVO) e atto illocutivo compiuto.
La realizzazione dell’atto linguistico che essi designano coincide con il proferire quel verbo alla 1p.s/pl
del presente:

i verbi performativi sono:


- Prometto, giuro, assicuro, garantisco
- Dichiaro, affermo, ammetto, confesso esercizio:
- Accetto, acconsento/rifiuto, nego
- Ordino/proibisco, vieto
- Consiglio
- Confermo/smentisco
- Saluto
- Benedico/maledico
- Auguro
- Scommetto
- Mi scuso
- Ringrazio
- Chiarisco
- Informo
- Rettifico

76
esercitazione

richiesta ≠ domanda → domanda per sapere,


richiesta per ottenere

gli atti linguistici indiretti


Uno stesso atto illocutivo può essere realizzato da diversi atti locutivi:
ex. atto illocutivo: richiesta di chiudere la porta
- Frasi imperative
Chiudi la porta!
- Frasi interrogative
Chiudi la porta?
Puoi chiudere la porta? Potresti chiudere la porta?
- Frasi dichiarative
Fuori c’è rumore. Fuori c’è freddo

atti linguistici indiretti, o modulati o mitigati (Caffi 2007)→ atti illocutivi realizzati da atti locutivi
atipici, che sono tipici di altri atti illocutivi (ex. richiesta presentata come una domanda)
- Atto diretto
Montate gli albumi d’uovo a neve
- Atti indiretti
Montare gli albumi d’uovo a neve
Si montano gli albumi d’uovo a neve
Montiamo gli albumi d’uovo a neve

Gli atti indiretti sono manifestazione della politeness, o cortesia linguistica, secondo il principio “non ti
imporre all’interlocutore, lasciagli aperte alternative”
ex. Potresti chiudere la porta?
Ma atti troppo indiretti/cortesi tendono ad assumere valori ironici
ex. C’è da pensare che non sarebbe sgradito se si chiudesse la porta

Cosa permette agli interlocutori di comunicare in modo efficace anche attraverso atti linguistici indiretti
(quindi non letterali)? → La logica della conversazione e la presupposizione (Grice 1975)

LE MASSIME CONVERSAZIONALI E LA PRESUPPOSIZIONE


la logica della conversazione
Esistono regole della conversazione, mediante le quali si possono spiegare i meccanismi con cui i
parlanti attuano significati impliciti (es. guarda, non dico niente...) che sono essenziali nell’andamento
dell’interazione verbale.
Tali regole si basano sull’assunzione che fra i partecipanti a un’interazione comunicativa ci sia un
77
‘principio di cooperazione’.
Il principio di cooperazione (o intersoggettività), è il prodotto dello stato di accordo (accordo implicito
per l’instaurazione della conversazione) fra gli interlocutori sul significato della conversazione che stanno
svolgendo (quando si parla gli interlocutori cooperano per capire-capirsi).
L’intersoggettività si costruisce nell’interazione e dipende dalla condivisione della logica della
conversazione articolata in 4 regole, o massime, (Grice 1975)

le massime conversazionali
qualità - tenta di dare un contributo che sia vero
- non dire ciò che credi falso
- non dire ciò di cui non hai prove adeguate

quantità - dai un contributo tanto informativo quanto è richiesto


- non dare un contributo più informativo di quanto è richiesto

relazione - sii pertinente

modo - sii chiaro


- evita l’oscurità di espressione
- evita le ambiguità
- sii breve
- sii ordinato nell'esposizione

la presupposizione
Il rispetto delle massime conversazionali garantisce il
principio di cooperazione in base al quale gli interlocutori
riescono a comunicare.
ex. Mi aiuti a ripetere storia? Sì, no

Un tipo particolare di significato implicito è la


presupposizione.
ex. Non ha ancora finito gli esercizi di tedesco QUINDI NON PUO’ AIUTARMI

Il processo di presupposizione che gli enunciati prodotti siano interconnessi logicamente è definito
implicatura
ex. Come stai? Tutto bene.

La violazione di una o più massime genera, sulla base di un principio di implicazione, implicazioni
conversazionali che trasmettono comunque il messaggio voluto.

78
10 CLASSIFICAZIONE DELLE LINGUE DEL MONDO
le lingue del mondo
tipologia linguistica → si occupa della fenomenologia/della realizzazione delle diverse lingue del mondo
che sono concretamente esistenti

La classificazione delle lingue si basa su:


- criteri storico-comparativi (gradi di parentela, famiglie di lingue)
- criteri di importanza demografica, socioculturale ed economica
- criteri di somiglianza e differenze strutturali → morfologia, fonetica, sintassi (ordine delle parole
all’interno di una frase)

Quante sono le lingue del mondo? Risposta difficile, il conto può variare molto a seconda dei criteri,
inoltre molte di queste lingue non sono ancora state studiate (o scoperte), altre sono in via di estinzione,
altre sono pidgin e creole, altre heritage...
- Lingue con più di un miliardo di parlanti (inglese, Spagnolo, cinese
Mandarino)
- Lingue con poche centinaia di parlanti (matukar panau, Nuova Guinea, 600
parlanti)
- Lingue estinte (latino e greco antico)
→ www.ethnologue.it (Summer Institure of Linguistics USA) = più di 7100 lingue

questione delle lingue heritage? bilinguismo???

Altro problema: distinzione tra lingue e dialetti → molto importante in Italia


A parte l’italiano standard (la lingua nazionale), sul territorio italiano si parlano
circa 3000 varietà linguistiche, sia indigene (nate e cresciute in territorio italiano),
sia importate nei secoli.
L’italiano standard si è diffuso in tutta Italia grazie alla televisione: infatti la tv e la cinematografia
italiana hanno contribuito fortemente alla diffusione dell’italiano standard in Italia (insegnare l’italiano agli
italiani, perché parlavano varietà dialettali) e anche all’immagine dell’Italia all’estero. Durante il fascismo
tutte le produzioni cinematografiche italiane dovevano rispettare i criteri fascisti (italiano privo di
anglicismi e forestierismi).

lingue protette in Italia


Mancanza di tutela istituzionale per la maggior parte della varietà dialettali, al contrario di quanto
succede per le 12 lingue minoritarie d’Italia, protette in via ufficiale (Legge n.482/15 dicembre 1999, art.
2). Sono riconosciute come lingue minoritarie, importate in Italia e non sono varietà dialettali. Sono
lingue che si sono modificate con il fenomeno delle “lingue a contatto”.
- albanese: arbëreshë (sud Italia)
- catalano (Alghero, Sardegna)
- germanico: cimbro, mòcheno (nord Italia)
- greco: grèko (Calabria) e griko (Salento)
- croato (Molise)
- francese (Italia nordoccidentale)
- francoprovenzale (Val d’Aosta, Puglia)
- friulano (Friuli)
- ladino (Alto Adige)
- occitano (Piemonte, Calabria)

79
- sardo (Sardo: NB campidanese, logudorese, nuorese)
- sloveno: resiano, varietà dello sloveno (Friuli Venezia Giulia)

le varietà italoromanze: lingue o dialetti?


I “dialetti” italoromanzi sono i seguenti:
- gallo-italico → influenza del francese
- veneto
- toscano/corso
- mediani
- alto-meridionali
- meridionali estremi → Sicilia, Puglia e Calabria
- sardo / friulano / ladino → sono ufficialmente riconosciuti e sono
protetti

Da un punto di vista prettamente scientifico (della classificazione


linguistica), i “dialetti” italiani – e non dell’italiano! – formano gruppi
coerenti, sebbene non sempre omogenei al loro interno, di varietà
romanze parlate, le cui caratteristiche linguistiche specifiche
(fonologiche, morfologiche, sintattiche, lessicali) sono paragonabili a
quelle di qualsiasi altra lingua romanza(/naturale!) come lo spagnolo, il
catalano, il portoghese (ibero-romanzo), il rumeno (daco-romanzo), il
francese (gallo-romanzo), ecc.
→ si dicono dialetti italiani e non dell’italiano perché non sono
cambiamenti dell'italiano, ma hanno insieme l’ italiano e altre lingue.
I dialetti nascono dall’unione lingue autoctone, lingue volgari (latino parlato: volgare → mette le basi
dell’italiano) e lingue barbare. Le influenze al di là del latino sono molte, quindi i dialetti non si possono
definire omogenei e dell’italiano.

Tutti noi parliamo una varietà regionale, o meglio, l’italiano standard di cui conosciamo le regole
grammaticali, ma influenzato dalla propria varietà regionale.
- La conoscenza di una varietà dialettale di un dato gruppo linguistico non garantisce la
comprensione delle varietà di altri gruppi
→ basso livello di mutua intellegibilità, cfr. it. vs. port./rum.
- La conoscenza di una varietà dialettale di un dato gruppo linguistico non garantisce neanche la
totale comprensione di varietà dello stesso gruppo;
- Questo altissimo livello di frammentazione / microvariazione linguistica in un’area geografica
talmente limitata non trova paragoni nelle altre famiglie linguistiche europee.

η διάλεκτος > dialectus > dialetto


-«[...] dialetto (η διάλεκτος)“diàlectos”, voce greca utilizzata nella classicità per designare le diverse
varietà del greco nei loro impieghi nei diversi generi letterari (il dorico della lirica corale, l’eolico della
lirica monodica, ecc.), passata all’Umanesimo (lat. dialectus) e rimessa in circolo nell’Italia del pieno
Cinquecento» -(Loporcaro (2009:3-4)

-«Il termine dialetto è utilizzato per designare una varietà linguisticanon standardizzata, tendenzialmente
ristretta all'uso orale entro una comunità locale ed esclusa dagli impieghi formali ed istituzionali (scuola,
amministrazione ecc.), propri invece della lingua (intesa in senso storico).»
-(Loporcaro (2009:3-4)

80
- Italiano e “dialetti” sono lingue “sorelle” che derivano da diverse varietà di latino parlato, la “lingua
madre”;
- L’etichetta “dialetto” è socio-politica, non linguistica;
- i dialetti non sono varianti corrotte dell’italiano!

CLASSIFICAZIONE DELLE LINGUE DEL MONDO PER PARAMETRI EXTRA-LINGUISTICI


classificazione linguistica
- Classificazione demografica = numero di parlanti
- Classificazione geografica o areale = distribuzione geografica delle lingue

classificazione demografica
I dati più significativi della classificazione di Linguasphere riguardano gli ordini di grandezza:
- più di un miliardo di parlanti ( inglese...)
- più di cento milioni di parlanti ( spagnolo..) • più di 10 milioni di parlanti (italiano...)
- più di 1 milione di parlanti ( lettone...)
- più di 100 000 parlanti ( maru... )
- più di 10 000 parlanti ( paiwan...)
- più di 1000 parlanti ( lhomi...)
- più di 100 parlanti ( torau... )
- meno di 100 parlanti ( miwa..)
- lingue estinte ( pali...)

Problemi di affidabilità della classificazione demografica, legati alla molteplicità e alla quantità del
campione. Come contare dialetti e lingue di minoranza:
- Dialetti e lingue di minoranza?
- Lingue distinte a livello politico ma non strutturale (hindi, lingua ufficiale India, alfabeto devanagari
– urdu, lingua ufficiale Pakistan, alfabeto arabo)?
- Lingue distinte a livello strutturale ma non politico (le diverse lingue parlate in Cina)?
- Contare sia i parlanti nativi sia i parlanti non nativi (inglese, lingue europee nelle aree ex-coloniali)?
→ heritage languages
Nella classificazione di www.ethnologue.com si
riporta il numero (stimato) di parlanti anche oltre i
confini nazionali
Mioni (2005) numero di parlanti delle lingue del
mondo

criteri di importanza
- Numero di parlanti
- Numero di paesie nazioni in cui una lingua è ufficiale
- Impiego della lingua nei rapporti internazionali, nella scienza, nella tecnica, nel commercio
- Importanza politica ed economica dei paesi dove la lingua è parlata
- Tradizione letteraria e culturale e il relativo prestigio di cui gode la lingua
- Insegnamento della lingua come LA (lingua straniera, L2) → istituzioni di cultura
- Numero dei parlanti NON nativi (ex.inglese)

81
classificazione geografica
Un’altra classificazione sociopolitica è quella basata sulla distribuzione geografica delle lingue:
- lingue d’Europa (Box 6.1 p. 240-243), → le lingue d’europa contengono lingue indoeuropee di
origine celtiche + … → come classificare lingue d’europa, lingue d’africa..? = difficile
classificazione per le influenze
- lingue d’Africa,
Sono appartenenti ad una sola categoria le lingue d’Europa? NO! Notate il caso misterioso del basco
Il basco (EUSKERA) : non ha connessioni con nessuna altra lingua!
ex. 1 bat, 2 bi, 3 hiru, 4 lau, 5 bost, 6 sei, 7 zazpi, 8 zortzi, 9 bederatzi, 10 hamar → nuermi
ex. Ez dut ezer ulertzen horri buruz → non ci capisco assolutamente niente Kaixo= ciao
È più appropriato considerare criteri propriamente linguistici, basati sulle proprietà che le varie lingue
manifestano.

CLASSIFICAZIONE CON PARAMETRI LINGUISTICI


classificazione linguistica
- Classificazione genealogica = condivisione di una lingua originaria (archetipo), e di conseguenza
condivisione di elementi linguistici (lessicali, fonetici, morfologici, sintattici, pragmatici...)
- Classificazione tipologica = condivisione di regole linguistiche, non di elementi linguistici

classificazione geneaologica
Ricostruzione storico-comparativa: comparazione del lessico fondamentale (200 termini per le nozioni
comuni, ad es., numeri, parti del corpo, nomi parentela, azioni quotidiane, ...)

Famiglie linguistiche della tabella precedente:


- Famiglia indoeuropea (tedesco, romeno,
svedese, spagnolo, italiano, hindi, inglese,
russo, francese)
- Famiglia ugrofinnica (finnico, estone)
- Famiglia nigerkordofaniana (swahili)
- Lingua isolata (basco)

82
la famiglia indoeuropea
- Ramo romanzo: italiano, francese, spagnolo, portoghese, romeno, catalano, ...
- Ramo germanico: tedesco, svedese, danese, inglese?, nederlandese, ... Ramo slavo: russo,
polacco, ucraino, slovacco, …
- Ramo baltico: lituano, lettone
- Ramo celtico: bretone, gaelico, gallese Ramo indo-ario: hindi, bengali, punjabi, …
- Ramo iranico: farsi o persiano, curdo, …
- Tre lingue isolate: greco, albanese e armeno

Famiglia linguistica: lingue indoeuropee


Ramo linguistico: lingue romanze, celtiche, germaniche, baltiche, slave, indo-arie, iraniche, lingua
albanese, lingua armena, lingua greca
Gruppo linguistico: lingue romanze occidentali (italiano), lingue romanze orientali
Sottogruppo linguistico → Sottogruppi del gruppo romanzo occidentale:
– italo-romanzo (italiano, dialetti italo-romanzi, ...) – gallo-romanzo (francese, franco-provenzale, ...) –
ibero-romanzo (spagnolo, catalano, ...)

Lingue pidgin e lingue creole = frutto del contatto linguistico fra lingue non imparentate fra loro
(collocate di solito nella famiglia della lingua lessicalizzatrice, che ha fornito maggior parte del lessico)
Pidgin = lingua di contatto senza parlanti nativi (tok pisin in Papua Nuova Guinea; WAPE, West African
Pidgin English, in Nigeria, Camerun, Ghana; ....)
Creolo = evoluzione del pidgin, lingua con una comunità di parlanti nativi (krio in Sierra Leone,
giamaicano, creolo haitiano, ...)

83
CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA DELLE LINGUE DEL MONDO
classificazione tipologica
La tipologia linguistica analizza le analogie e differenze strutturali delle lingue ’possibili’ con analisi di tipo
sincronico-descrittivo (si analizzano le lingue in questo momento, in questo spazio = si occupa delle
lingue viventi e non le lingue morte)
Condizioni:
1) le lingue del mondo sono diverse tra di loro
2) tale variazione non avviene casualmente, ma rientra nei principi generali ricorrenti (universali
linguistici) che governano le lingue possibili
- Universali linguistici per es:
Tutte le lingue hanno vocali e consonanti
Tutte le lingue hanno parole, sintagmi, frasi
Tutte le lingue hanno una costruzione negativa
La tipologia linguistica analizza le analogie e differenze strutturali delle lingue ‘possibili’ con analisi di tipo
sincronico-descrittivo
Metodi:
​a) Esclusione della componente diacronica (non ne importa l’origine, la derivazione)
​b) Esclusione della famiglia di appartenenza e dell'epoca di attestazione (non ne importa la genealogia,
la lingua madre)
​c) Classificazione delle lingue in base ad analogie e divergenze sistematiche (somiglianze e differenze
che ricorrono nella lingua) a livello strutturale
d) Identificazione di tipi linguistici...

tipi linguistici
​- i tipi linguistici si basano sulle combinazioni di tratti strutturali logicamente indipendenti l’uno dall’altro,
ma reciprocamente correlati → una caratteristica ne chiama un’altra e si possono ricondurre una
all’altra
​- raggruppamenti di sistemi linguistici con molti tratti comuni → in base alle proprietà e non in base alla
genealogia…

​→ Tipi linguistici = costrutti astratti
Ogni sistema linguistico non corrisponde in toto ad un unico tipo linguistico, ma ha tratti prevalenti di un
determinato tipo linguistico mescolati ad altri tratti
- tratti morfologici (struttura delle parole)
- tratti sintattici (ordine delle parole)

CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA MORFOLOGICA


lingue isolanti
Lingue isolanti (analitiche/sintetiche): una parola = un morfema
Morfema = minima associazione fra significante e significato
ex. bambin- -o
corr- -o
Le informazioni grammaticali non sono codificate all’interno della parola ma utilizzando risorse lessicali
(più parole «isolate») o sintattiche.
L’italiano non è una lingua isolante perché in genere ad una parola corrispondono due morfemi.
Le lingue isolanti sono senza morfologia ??

84
Caratteristiche delle lingue isolanti:
- Ridotta morfologia flessionale
Frequenti parole monomorfematiche e monosillabiche
→ Lingue isolanti:
cinese, vietnamita, thailandese, hawaiano, yorúba, ....
Esempio: cinese
买.了
mai le = compr-ò
V + le (passato e compiuto)

- indice di sintesi
Indice di sintesi = il rapporto tra numero di morfemi:numero di parole (1:1)
Esempi
→ Cinese: Mai le
2 morfemi/2 parola = 1;1
→ Italiano: compr-ò
2 morfemi/1 parola = 2

- lingue analitiche (ad es., cinese) = basso indice di sintesi


- lingue sintetiche (ad es., italiano = con ricca morfologia) = alto indice di sintesi

lingue agglutinanti
Lingue agglutinanti (‘incollare insieme’): una parola = molti morfemi
Le informazioni grammaticali sono codificate all’interno della parola da morfemi che possono veicolare
solo un’informazione (non sono cumulativi) . -Una radice lessicale-
Esempio: turco
Kitaplarimi = i miei libri (oggetto sintattico)
Kitap- -lar- -ım- -i
libro PL Poss. I° sing. Acc
Alto indice di sintesi (più di 3:1)
Ad es. Kitaplarimi: 4 morfemi/1 parola = 4:1

Caratteristiche delle lingue agglutinanti:


- Lunghe catene di morfemi
- Morfologia trasparente e molto regolare

Sondurulememek ‘non poter essere spento /fatto spegnere’ (turco)


son spegnere
dur CAUS
ul PASS
eme NEG
mek INFINITO

→ Lingue agglutinanti:
turco, ungherese, finlandese, basco, giapponese, coreano, swahili, esperanto (lingua artificiale), ...

85
lingue flessive o fusive
Lingue flessive o fusive: una parola = molti morfemi
Le informazioni grammaticali sono codificate all’interno della parola da morfemi che possono esprimere
più di un’informazione, morfemi cumulativi che codificano più valori grammaticali fondendoli
Esempio: italiano
Legg- -o
V I° sing. + Pres. + Ind.
Indice medio di sintesi (intorno ai 2:1)
ad es. leggo: 2 morfemi/1 parola = 2

Caratteristiche delle lingue flessive o fusive:


- Catene di morfemi meno lunghe delle parole delle lingue agglutinanti
- Morfologia poco trasparente e meno regolare

→ Lingue flessive:
italiano, inglese, francese, spagnolo, tedesco, hindi, persiano, greco, arabo, ...

Lingue flessive o fusive: i morfemi possono essere collocati all’inizio, all’interno o al termine della parola
Esempio: italiano
Libro/libri, volo/volavo (morfemi al termine della parola)Faccio/feci (morfemi interni alla parola)
Esci/uscì (morfemi all’inizio di parola)

Sottotipo delle lingue flessive


Lingue introflessive: la regola di formazione di parola prevede i transfissi, ossia morfemi siano interni alla
parola
Esempio: arabo
Radice k-t-b = kataba «scrisse», kutiba «fu scritto»,
= kitâb «libro», kutub «libri»

lingue polisintetiche
Lingue polisintetiche o incorporanti: una parola = moltissimi morfemi, anche più di una radice lessicale
(quindi tendono a corrispondere a frasi)
Una parola incorpora un alto numero di informazioni grammaticali
Esempio: groenlandese
Angyaghllangyugtuq = Vuole acquistare una grande barca Angya -ghlla -ng -yug -tuq
Barca -ACCRESC –acquistare –DESIDERATIVO –3SING

Altissimo indice di sintesi


Ad es. angyaghllangyugtuq = 5 morfemi/1 parola = 5:1
Lingue polisintetiche = famiglia amerindiana (gruppo eschimese), famiglia paleosiberiana, ...

Sono caratterizzate dalla sistematicità con cui il complemento diretto è incorporato nella radice verbale
Esempio: tupinambá (America Meridionale)
Sistematica inserzione del complemento oggetto del verbo
all’interno del morfema verbale

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incoerenza tipologica
Una lingua appartenente ad un tipo morfologico (ad es. tipo flessivo) può comprendere anche parole
composte secondo regole di altri tipi morfologici (ad es. tipo isolante o tipo agglutinante)
ex. Tratti agglutinanti dell’italiano (parole composte con un alto numero di morfemi)
- Delocalizzazione
- Retrocederemmo
- Anticiperebbero

ex. Tratti isolanti dell’inglese (ridotta flessione verbale)


- I do, You do, He/she does, We do, You do, They do
- I did, You did, He/she did, We did, You did, They did

indice di sintesi
= il rapporto tra numero di morfemi: numero di parole

CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA SINTATTICA


ordine di costituenti
Ordine basico o canonico dei costituenti sintattici (S, V, O) nelle frasi dichiarative = Chiamo dopo Maria
(NO dopo Maria chiamo)
6 ordini possibili: SVO, SOV, VSO, VOS, OVS, OSV

incoerenza tipologica
Lingue con compresenza di diversi ordini dei costituenti
Esempio: tedesco
Das Mädchen liest das Buch
La ragazza S legge V il libro O
Ich sehe, dass das Mädchen das buch liest
Io vedo che la ragazza S il libro O legge V
SVO nelle frasi principali, SOV nelle frasi subordinate
→ Lingua verb-second: il V non si trova mai in posizione iniziale di frase

- Perché gli ordini predominanti sono SOV e SVO (e poi VSO)?


Perché spesso il soggetto della frase coincide con il TEMA seguito poi dal comment/rema
- A cosa è dovuta la differente frequenza degli ordini dei costituenti?
Sembrano agire due princìpi (in parte collegati con il concetto di tema-rema
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1. principio di precedenza
Fra i due costituenti nominali il soggetto precede l’oggetto, data la prominenza e priorità logica del
soggetto
2. principio di adiacenza
Verbo e oggetto devono essere sempre contigui, data la stretta relazione sintattico-semantica e la
dipendenza dell’oggetto dal verbo

SOV, SVO = rispettano entrambi i principi e sono gli ordini più


frequenti (circa i 2/3)
VSO = rispetta il principio di precedenza ma viola il principio di
adiacenza
VOS, OVS = rispettano il principio di adiacenza ma violano il
principio di precedenza
OSV = viola entrambi i principi ed è molto frequente

classificazione topologica

Attraverso lo studio di un ampio campione di lingue si


sono individuati due tipi sintattici fondamentali:
- Lingue VO = lingue postdeterminanti
TESTA A SINISTRA= testa + modificatore
NAgg, NG, NPoss, NRel, VAvv, AggAvv, AusV,
PrN

- Lingue OV = lingue predeterminanti


TESTA A DESTRA= modificatore + testa
AggN, GN, PossN, RelN, AvvV, AvvAgg, VAus,
NPo
(si parla di tendenze statistiche, difficile trovare lingue totalmente congruenti)

incoerenza topologica
Compresenza di tratti di tipi sintattici diversi (tipo VO, tipo OV)
Esempio: Italiano: Tipo VO (Testa a sinistra o postdeterminante)
Incoerenze tipologiche che seguono le regole delle lingue OV:

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