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Filologia italiana 18.02.

2022

Abbiamo detto che con il primo manoscritto “P” siamo nella Biblioteca Nazionale Centrale
di Firenze
Banco rari 217, già Palatino 418 (segnatura).
Se andiamo sul sito della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (teca digitale BNCF) se da
questo menù si lascia attivo il flag ricerca e gli diamo attiva si apre una mascherina di
ricerca, se si dà anche una parte della segnatura (ad es. 217) e gli si dà ricerca, trova anche
il banco rari 217 perché è stato registrato online ed è disponibile.
Se si clicca sull’icone si apre la riproduzione fotografica, è riprodotta anche la rilegatura, la
copertina, le immagini si possono zoommare.
C’è un cartiglio con la nuova e con la vecchia segnatura ed è possibile sfogliare il
manoscritto.
Ci sono le carte di guardia che hanno la funzione di proteggere le parti interne scritte del
manoscritto.
Si vedono i colori più sgargianti delle miniature. Sul verso della carta precedente alla
miniatura di amore in trono c’è un’annotazione che si chiama nota di possesso, non è il
copista che si firma, ma è un possessore attivo. Spesso nei manoscritti se ne possono
trovare più di una stratificate nel tempo, spesso un manoscritto passa da un possessore a
un altro e ognuno pone la sua sottoscrizione nel codice.
Qui c’è scritto “questo libro si è di Bartolomeo di Benedetto Bianchi”, è qualcuno che dice
“questo libro è mio”, evidentemente è un antico possessore, poi sotto una mano più
moderna ha scritto a sua volta una nota di possesso.
Nella carta 1 verso e 2 recto è molto visibile la rilegatura delle carte, dicevamo che un
copista prima di cominciare la sua operazione di trascrizione, di copiatura, si preparava la
sua risma di carta e di pergamena rigando e squadrando il foglio, come nei quaderni e nei
fogli in cui siamo abituati a scrivere. Era il copista che provvedeva ad allestire la carta.
Il primo componimento è di Guittone scritto con il nesso “ct” per la doppia “t” (Guictone) e
D’Arezzo scritto senza apostrofo e tutto attaccato con la “ç” invece che con la “z” (Dareço).
Quindi avevamo detto che questo manoscritto è riccamente miniato, è un manufatto di
pregio e inizia proprio con Guittone che è l’autore più importante prima di Dante.
Altra cosa che salta subito all’occhio è che questo è un libro che raccoglie solo poesie,
quindi testi in versi, componimenti poetici e noi quando leggiamo una poesia questa è
scritta in versi, in verticale:
1. nel mezzo del cammin di nostra vita
2. mi ritrovai per una selva oscura
3. che la diritta via era smarrita
4. ….
Versi brevi, uno sotto all’altro. Questi versi seguono determinate regole, non sono scritti a
caso, ma si vedrà più nel dettaglio.
Guardando il manoscritto a colpo d’occhio tutto sempre meno che si tratti di poesie, infatti
è scritto a mo’ di prosa, è scritta tutta di seguito, non si va a capo a fine verso. In realtà
un’indicazione che dice che il verso è finito c’è e sono i punti che si trovano ogni tanto e si
chiama punto metrico, dà un’indicazione che non è di interpunzione, ma di metrica, dice
che dove c’è quel punto, finisce il verso.
Si procede con la sezione dedicata a Guittone, a colpo d’occhio sembra sempre un testo in
prosa.
Quando finisce Guittone inizia un componimento che grazie alla rubrica scritta in rosso
sappiamo sia di not (con segno abbreviativo, titulus, sopra la “t”, che si scioglie con “aro”)
Jacomo; quindi, notaro Jacomo che sarà appunto Giacomo da Lentini.
Ma perché si scioglie notaro anziché notaio? Perché sfogliando il manoscritto, andando un
po’ avanti, carta 13 verso il copista non ha usato il sistema abbreviativo, ma ha scritto la
rubrica per intero, si trova la parola “notaro” per esteso. Quindi quando si legge il
manoscritto, si vede che il copista scrive per intero una parola con una certa forma, quando
si trova abbreviata bisogna renderla comunque con la forma che il copista è abituato a
scioglierla per intero.
Quindi con i siciliani inizia l’ordine alfabetico per incipit e infatti questo componimento del
notaro Jacomo inizia con un capolettera, ossia la lettera iniziale, riccamente miniata, è una
lettera “a” e dice l’incipit “amando lungamente”.
Qui la fine del verso metrico è indicata con due punti e non con il punto; alla fine del primo
verso che finisce con il rigo non c’è niente.
Abbiamo detto che inizia con Guittone, procede con i siciliani ordinati per incipit, però a
livello di macrostruttura c’è un altro criterio organizzativo che sottostà a questo codice.
Appunto quando parlavamo di ordinamento dicevamo per noi l’ordinamento va subito ai
criteri cronologici, mentre per chi allestiva questi manufatti nel Medioevo ci potevano
essere vari altri criteri. Questo manoscritto di fatto ne mette in atto ben 3: 1. importanza di
un autore come Guittone che viene collocato in testa; 2. quello alfabetico, a imitazione dei
canzonieri provenzali, che vuole ordinare i componimenti alfabeticamente per incipit (in
base al primo verso); 3. in base al metro dei componimenti trascritti, si comincia con le
canzoni (la canzone viene messa prima perché è il metro più prestigioso, criterio sempre di
importanza, viene prima il metro più importante, più difficile, più complicato), poi segue un
blocco di ballate (genere considerato sub alterno alle canzoni, un po’ meno importante) e
infine un blocco di sonetti.
In questo manoscritto gli autori sono mischiati e non ordinati per blocchi come a volte
accade.
Se si consulta il volume della SISMEL c’è, oltre alla riproduzione fotografica accompagnata
da studi critici che motivano ad es. la datazione del manoscritto o sulla lingua, anche la
tavola del codice cioè lo spoglio, l’indicizzazione integrale del contenuto di quel codice.
Non ci vengono trascritti tutti i testi, ma viene riportata la rubrica, l’incipit e il foglio in cui si
trova il componimento. Viene detto “in questa carta c’è questo incipit di questo autore”.
In questo manoscritto è facile capire dove inizia un componimento grazie alla rubrica, alle
prime lettere miniate; per alcuni manoscritti non è così semplice, a volte è difficile anche
capire dove inizia e dove finisce un componimento, a volte non è così ben segnalato, a
volte si può trovare un componimento interrotto a mezzo e il seguito si ritrova in un’altra
carta più avanti, va sempre studiato per bene, ci può sempre essere l’imprevisto, spesso si
possono avere delle sorprese che da un libro a stampa contemporaneo non ci aspetteremo
mai.
Qualcuno in epoca antica aveva già sentito la necessità di allegare una sorta indice finale al
manoscritto “P”.

Alcuni dei poeti siciliani li conosciamo grazie a “P”, alcuni stessi testi sono anche in
quest’altro canzoniere.
Per il secondo manoscritto che studieremo non c’è nessun tipo di riproduzione online.
Secondo volume dei canzonieri della lingua italiana delle origini
Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana
Fondo redi (manoscritti che appartenevano a Francesco Redi)  Redi 9, siglato “L” (da
Laurenziana)
Anche questo manoscritto è sempre duecentesco, però mentre il P abbiamo detto che
risale al 1280, questo è stato datato agli anni 1290.
Se i componimenti dei siciliani sono collocabili tra il 1220 e il 1250, qui si inizia ad essere
50-70 anni dopo quell’esperienza.
Abbiamo visto che con P eravamo in area toscana, il copista era pistoiese, anche con L
siamo in territorio toscano, i copisti (intervengono più mani) sono pisano-lucchesi. Quindi
sempre zona della toscana occidentale.
Oltre a queste mani pisano-lucchesi, interviene anche qualche mano fiorentina con delle
aggiunte.
Al solito dopo la legatura, la copertina, ci sono delle carte bianche, le carte di guardia
anteriori che proteggono dall’aria e dall’umidità il manoscritto. Ogni tanto si vedono i
timbri della biblioteca.
Carta 1 recto la rubrica è sempre in rosso, però è praticamente illeggibile, c’è
un’impaginazione su due colonne, mentre il Palatino era scritto su un’unica colonna, e
questo manoscritto si apre anch’esso con Guittone D’Arezzo, però queste non sono poesie
come su P.
Guittone non è autore solo di testi poetici, sono giunte fino a noi anche sue lettere e
questo manoscritto si apre proprio con le lettere di Guittone D’Arezzo, rimarca
l’importanza che questo autore aveva a fine ‘200.
Oltre alla numerazione antica nel margine alto a destra, c’è anche un’altra numerazione più
moderna è una cosa piuttosto ricorrente, spesso in un manoscritto ci può essere una o più
numerazioni, spesso coincidono altre volte no, a volte c’è una numerazione antica e poi
una moderna, dalla numerazione antica spesso si evince che sono cadute delle carte,
mentre altre volte numerazione antica e moderna coincidono e vanno di pari passo, però
non è detto che coincidano.
Quindi la prima carta del manoscritto contiene una lettera di Guittone, poi nelle carte
successive seguono altre lettere sempre dello stesso autore.
Carta 41 recto e finalmente iniziano i componimenti poetici scritti sempre su due colonne,
non si capisce bene nemmeno qui a colpo d’occhio dove finisce il verso e dove comincia il
successivo perché è scritto a mo’ di prosa, di nuovo c’è il punto metrico che indica la fine
del verso.
A colpo d’occhio è molto ben impaginato, ci sono i capo lettera ornati di rosso e di azzurro,
altre letterine che indicano quando finisce una stanza di una canzone e la lettera maiuscola
in rosso indica che inizia la stanza successiva della stessa canzone.
La sezione delle poesie inizia con la rubrica rossa: frate Guitto (titulus che si scioglie con
“ne”) daresso (senza apostrofo, la /z/ che diventa /s/ è un tratto caratteristico del dialetto
toscano occidentale).
Se scorriamo, nell’ultimo verso di questa carta, il copista scrive “onne cachione e
condissione” si trova il fenomeno per cui /z/ passa a /s/.
Anche di questo codice viene riprodotta la legatura in assi di legno, rivestito un po’ di
pergamena nel dorso.
Sempre in questo codice dopo le poesie di frate Guittone, al terzo posto si prosegue
sempre con Guittone, nelle rubriche però dopo si trova solo Guittone e non più frate.
Si è capito che per i copisti di “L”, Guittone è uno scrittore importantissimo, quindi prima
mettono le sue lettere, poi i componimenti di frate Guittone e poi i componimenti di
Guittone, che è sempre la stessa persona però una volta è denominato frate e un’altra volta
solo Guittone. Questo perché anche in questo codice il nostro ordine cronologico va a farsi
benedire e anche in questo caso il criterio ordinativo è un criterio d’importanza. Guittone è
un poeta, uno scrittore, compone sia lettere che testi poetici, a un certo punto della sua
vita si converte all’ordine dei frati gaudenti. Quindi a un certo punto della sua vita, Guittone
poeta d'amore, entra a far parte dell'ordine dei frati gaudenti che si contraddistinguevano
per un orientamento ultra guelfo, dunque obbedienza totale, radicale al Papa. Questi frati
non solo erano guelfi, ma erano ancora più radicali, erano ultra conservatori. Anche
Guittone quindi a livello personale rinnega la sua produzione precedente di poeta d’amore.
L’allestitore del Laurenziano mette dunque come sempre prima quello che è più
importante, cioè prima mette il frate Guittone, quello moraleggiante e poi mette tutta la
produzione amorosa precedente che è stata sconfessata.
Quindi anche qui c’è un criterio di importanza, come in P non c’è un ordinamento
cronologico, ma gerarchico.
Poi dopo i testi di Guittone iniziano i testi dei siciliani, spesso frammisti ad autori toscani.
L’ordine alfabetico salta, vige l’ordine del metro, prima le canzoni poi a chiudere i sonetti.

[Fa vedere il sito www.mirabileweb.it, archivio digitale della cultura medievale. Ha varie
componenti, è un contenitore sterminato. In questo database si possono fare ricerche per
testi, per autore, per manoscritti.
Ci sono le descrizioni dei manoscritti: anno, luogo di copia, di cosa sono fatti i fogli, il
numero di fogli e il numero delle carte di guardia (che si indicano con i numeri romani).
Scorrendo il manoscritto c’è tutta la tavola.]

Bisogna tenere conto che il codice Laurenziano arriva dopo 70 anni dall’esperienza dei
poeti siciliani, i copisti sono tutti di area toscana e quindi bisogna tenere conto che si tratta
di tutti autori siciliani che noi leggiamo in una veste toscanizzata, in una veste formale e
linguistica in un dialetto toscano. I copisti avranno sicuramente toscanizzato la patina
linguistica che doveva essere originaria dei siciliani, che è anche difficile da ricostruire
perché oggi non conserviamo documenti originali dell’epoca che ci possono permettere di
ricostruirla.
Quindi noi non leggiamo la scuola poetica siciliana attraverso gli originali, ma attraverso
copie, gli originali saranno sicuramente esistiti, ma sono andati perduti però per fortuna
grazie a questi canzonieri noi possiamo leggere questi testi, se questi fossero andati
perduti a loro volta, noi non avremmo mai potuto leggere la scuola siciliana, non
conosceremmo niente di Giacomo da Lentini e degli altri autori siciliani.

Il terzo manoscritto è:
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana
Vaticano Latino 379  siglato “V”, è il più recente rispetto agli altri: fine ‘200 primi anni del
‘300. Siamo sempre in toscana, copista fiorentino.

DIGIVATLIB (Biblioteca Apostolica Vaticana), digitiamo la dicitura del manoscritto, c’è la


riproduzione fotografica del codice integrale e c’è la tavola, ma non è completa.

Tre codici P, L e V che nei migliori dei casi ci separano di 50-70 anni dall’esperienza poetica
dai poeti siciliani e sono tutti copisti toscani, quindi ci sono giunti in una versione
toscanizzata.

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