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Marco Chiariglione

PER UN’INTERPRETAZIONE
DEGLI ANGELI DEL CATTIVO CORO: INF, 37-42
TIPOLOGIA: Inf III, 22-69

Nelle terzine di Inf III, 22-69 vengono descritte le figure degli an-
geli del «cattivo coro»: direttamente e sinteticamente attraverso le
indicazioni riguardanti esclusivamente la schiera angelica – Inf III,
37-42 –, indirettamente invece, come vedremo, attraverso quelle
fornite passim – Inf III, 22 sgg. e 43 sgg. – da riferirsi sia agli an-
geli del «cattivo coro» sia alle anime dei pusillanimi.
Dunque direttamente viene presentata la malvagia1 schiera di
angeli che non furono ribelli né fedeli a Dio, ma furono «per sé»,
mischiata alle anime dei pusillanimi:

Ed elli a me: «Questo misero modo


tengon l’anime triste di coloro
che visser senza ‘nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.2

Quindi si precisa che i cieli cacciano tali angeli, per non smi-
nuire la propria bellezza, e neppure il «profondo inferno» li rice-
ve, perché i malvagi potrebbero ottenere una qualche gloria dalla
loro presenza:

1 Ma forse anche “prigioniera” piuttosto che “malvagia”, cfr. Iud, 6 e II Petr


2, 4, e più avanti in questo studio.
2 Inf III, 34-39. Le citazioni dalla Commedia riportate in questo studio fanno
riferimento al testo critico stabilito da G. Petrocchi nell’edizione nazionale:
La Commedia secondo l’antica vulgata, Milano, Mondadori, 1966-1967.

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MARCO CHIARIGLIONE

Caccianli i ciel per non esser men belli,


né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli».3

Anche se fuori dal «profondo inferno», questi angeli si trovano


comunque all’interno di esso, in quanto collocati aldilà della sua
porta4, e prima della «trista riviera d’Acheronte» (Inf III, 78), im-
mersi nell’oscurità5.
D’altra parte prima e dopo tali passi si tratta indistintamente di
anime e angeli6, come si inferisce dal contesto ma soprattutto dal-
le terzine di Inf III, 34-39 in cui – abbiamo visto – si afferma che
siano mescolate appunto le anime dei pusillanimi e gli angeli del
«cattivo coro»; pertanto le descrizioni e attributi riferiti a entram-
bi i gruppi potranno plausibilmente ascriversi agli angeli del «cat-
tivo coro», permettendo così la definizione di una ulteriore carat-
terizzazione e quindi di una tipologia di detta schiera angelica7.
In tale prospettiva le terzine di Inf III, 22-30 mostreranno dun-
que che gli angeli del «cattivo coro» sospirano, piangono e urlano
di dolore, e ancora emettono strane favelle, esclamazioni d’ira,
suoni inarticolati e rumore di palmi di mani percossi tra loro, per
schiacciare nel tipico gesto i mosconi e le vespe che verranno de-
scritti più avanti8. Così come viene di seguito presentata quella
«gente» che è mostrata stravolta dal dolore e si trova in una con-
dizione miserevole («misero modo»)9, e i suoni che essa emette e

3 Inf III, 40-42.


4 Inf III, 1 sgg.
5 Inf III, 70 sgg.
6 Inf III, 22 sgg. e 43 sgg.
7 Infatti l’unico passo in Inf III, 22-69 nel quale non si tratta indistintamente
di anime e angeli insieme è proprio Inf III, 32-42, in cui sono distinti, de-
scritti e caratterizzati i due diversi gruppi.
Inoltre, a confermare i comuni riferimenti rispetto a anime e angeli, si noti
l’utilizzo del termine «gente», che ricorre in Inf III, 33 e 56 (e anche dappri-
ma, ma in un contesto più generale, in Inf III, 17), e della serie di sostantivi,
pronomi, attributi e locuzioni che indicano sia le anime dei pusillanimi sia
angeli del «cattivo coro»: «lor»: Inf III, 44; «questi»: Inf III, 46; «loro», ma so-
lo come aggettivo: Inf III, 47; «di loro»: Inf III, 49; «di lor»: Inf III, 51; «n’»,
riferito a «gente» del precedente verso: Inf III, 57; «alcun»: Inf III, 58; «setta
d’i cattivi»: Inf III, 62; «questi sciagurati, che»: Inf III, 64; «lor»: Inf III, 67; «lo-
ro», ma solo come aggettivo: Inf III, 68.
8 Inf III, 64-69.
9 Inf III, 34-39. Il «misero modo» è riferito direttamente alle anime triste dei

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PER UN’INTERPRETAZIONE DEGLI ANGELI DEL CATTIVO CORO

la condizione in cui si trova sono tanto terribili e impressionanti


che Dante piange10 ed è terrorizzato11.
Ancora, allo stesso modo, si interpreteranno le descrizioni di
Inf III, 43-69, riferite insieme ad anime e angeli: Dante dapprima
domanda cosa sia tanto doloroso da farli lamentare così forte e, at-
traverso la risposta di Virgilio, si scopre che «questi» non hanno
speranza di morte, che la loro oscura vita è tanto miserabile da in-
vidiare ogni altra sorte12, che il mondo non tollera che sussista
memoria di loro, che stanno al di fuori di misericordia e giustizia.
S’apprende inoltre che sono tantissimi che in fila inseguono affan-
nosamente un vessillo il quale corre senza posa girando su se stes-
so. Quindi, dopo aver individuato «[…] l’ombra di colui / che fe-
ce per viltade il gran rifiuto», vengono riconosciuti quali la schie-
ra dei «cattivi» – come «cattivo» è il coro degli angeli – che sono
spiacenti a Dio e ai suoi nemici – come sono cacciati dai cieli e
dal profondo inferno gli angeli del «cattivo coro» –:

Incontanente intesi e certo fui


che questa era la setta d’i cattivi,
a Dio spiacenti e a’ nemici sui.13

E ancora sono detti «sciagurati», esseri da nulla, che non furo-


no mai vivi14, intanto che continua la descrizione della pena di
contrappasso – iniziata in Inf III, 52-57 – mostrata in tutta la sua
ripugnanza: i supplizianti sono nudi e punti aspramente da mo-
sconi e vespe, e il sangue che esce dalle ferite riga loro il volto e
mescolato alle lacrime – come sono mischiate le anime dei pusil-

pusillanimi, ma è da intendersi esteso, come tutto ciò che lo precede, anche


agli angeli del «cattivo coro» a cui tali anime sono mescolate, come viene af-
fermato subito dopo (Inf III, 37 sgg.).
10 Inf III, 24.
11 Inf III, 31:
E io ch’avea d’orror la testa cinta.
Secondo la variante «orror» per «error» del testo di Petrocchi.
12 Inf III, 47-48. Costoro invidierebbero perciò anche la sorte dei dannati, in
una prospettiva analoga a quella di Inf III, 40-42 e Apoc 3, 15-16.
13 Inf III, 61-63.
14 Riecheggiando Apoc 3, 1:
[…] Scio opera tua quia nomen habes quod vivas et mor-
tuus es.

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lanimi agli angeli del «cattivo coro» – cola a terra dove è raccolto
da fastidiosi vermi15.
Allora, anche se non è possibile trarre una caratterizzazione fi-
sica precisa degli angeli del «cattivo coro», come invece dei demo-
ni infernali, degli angeli del Purgatorio e del Paradiso – prevalgono
infatti nella descrizione diretta i loro attributi spirituali (né fedeli
né ribelli a Dio ma «per sé») e il luogo e la compagnia in cui si
trovano (sono fuori dai cieli e dal profondo inferno, mescolati al-
le anime dei pusillanimi) –, tuttavia, attraverso le descrizioni indi-
rette di cui sopra, si osservano alcuni elementi che presuppongo-
no una loro certa corporeità: gli angeli del «cattivo coro» infatti
gridano, soffrono, corrono, sono nudi, piangono e sanguinano.

«PAURA» E «VILTÀ» IN FIGURIS

Oltre che attraverso l’indagine testuale mirata alla definizione di


una tipologia angelica di cui sopra, l’interpretazione degli angeli
del «cattivo coro» potrà forse chiarirsi attraverso un’ulteriore ana-
lisi circa la valenza figurale delle anime dei pusillanimi e del «cat-
tivo coro» degli angeli, partendo da una riflessione di Sanguineti.
Sanguineti, nel suo studio sui primi tre canti dell’Inferno, ipo-
tizza che le anime dei pusillanimi mischiate al «cattivo coro» de-
gli angeli siano proiezioni «in figuris […] della paura e della viltà
dantesca», tematiche ritenute i motivi psicologici dominanti dei
canti in questione16.

15 Inf III, 64-69.


16 E. Sanguineti, Dante, Inf. I-III, in Tre studi danteschi, Firenze, Le Monnier,
1961, pp. 1-23: pp. 22-23:
È per questo che a noi pare sostenibile proposta esegetica
quella che deduce […] dalla disposizione drammatica del
primo e del secondo canto della Commedia, la motivazione
segreta della modalità d’apertura della esplorazione dantesca,
quale il terzo canto viene illustrando: della «paura» e della
«viltà» dantesca è per noi infatti ‘in figuris’ la schiera delle
anime triste di coloro che vissero «sanza infamia e sanza lo-
do», alle quali si mescola il cattivo coro degli angeli «che non
furon ribelli – né fur fedeli a Dio». Coloro che si rifiutaro-
no parimente alle suggestioni del bene e a quelle del male,
coloro che cacciati dai cieli non sono ricevuti dal profondo

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PER UN’INTERPRETAZIONE DEGLI ANGELI DEL CATTIVO CORO

Effettivamente nei primi due canti dell’Inferno rintoccano so-


vente termini ed espressioni che rimandano a paura e viltà.
Nella seconda terzina della cantica infernale si dice del rinno-
varsi della «paura» di Dante autore al ricordo della «selva oscura»17.
La stessa «paura» che «quella valle» – cioè la «selva oscura» – ave-
va al Dante personaggio «il cor compunto»18, e che, poco oltre, si
acquieterà allorché questi si volgerà a guardarne l’oggetto: la «sel-
va oscura»19 appunto; e di quella «paura» ancora parlerà Beatrice a
Virgilio20. Nuovamente tuttavia la «paura» colpisce il pellegrino
alla vista delle tre fiere21, tanto che la «paura» della «bestia» – la lu-
pa – gli farà tremare «le vene e i polsi»22.
In riferimento alla viltà23 Dante manifesta a Virgilio il dubbio
circa la sufficienza delle proprie capacità per intraprendere un
viaggio nell’oltretomba: tale viaggio fu compiuto in precedenza
da Enea e da san Paolo per cause provvidenziali, egli non se ne
sente pertanto degno, temendo di compiere una folle impresa24.
Virgilio – appellato oppositivamente «magnanimo»25 – bolla indi-
rettamente il dubbio di Dante come dettato dalla viltà, dichiaran-
do che la sua anima è «da viltade offesa», e aggiungendo che la vil-
tà spesso distoglie l’uomo da un’onorata impresa26. E ancora, do-
po aver riportato il colloquio con Beatrice,Virgilio biasima la «vil-

inferno, sdegnati da «misericordia e giustizia», traducono ‘in


re’ il nesso metamorfico di quegli ‘status’ della coscienza che
stanno,‘a parte subjecti’, al cominciamento dell’Inferno dan-
tesco.
17 Inf I, 4-6.
18 Inf I, 13-15.
19 Inf I, 19-27.
20 Inf II, 61-63. Si noti in proposito che alla domanda di Virgilio sul perché el-
la non tema di scendere all’inferno, Beatrice risponde che ella non teme l’in-
ferno, perché lì non può subire alcun male, e dichiara indirettamente che
perciò non le è pauroso (Inf II, 82-90).
21 Inf I, 37-60: 44 e 53.
22 Inf I, 88-90.
23 Si veda, come suggerisce Sanguineti (Dante cit., pp. 12-13), anche Conv II,
X, 5-6, cioè il commento dei versi 44-45 della Canzone Prima:
Ha transmutata in tanto la tua vita,
che n’hai paura, si se’ fatta vile!
24 Inf II, 10-42.
25 Inf II, 44.
26 Inf II, 43-48.

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MARCO CHIARIGLIONE

tà» di Dante27 per allontanarlo dalla paura («tema»)28; questi allo-


ra, rinfrancatosi, conferma che in effetti la propria «virtude» era
«stanca»29. Fino all’incontro con «[…] l’ombra di colui / che per
viltade fece il gran rifiuto» nella schiera dei «cattivi» che sono
spiacenti a Dio e ai suoi nemici30.

È plausibile che proprio paura e viltà siano i primi ostacoli da


superare, le prime colpe, forse le più lievi, da estirpare nel viaggio
di purificazione verso la salvezza che è la Commedia, e in partico-
lare la viltà, cioè la pusillanimità, incapace di una retta scelta tra il
bene e il male. Inoltre l’essere «per sé» degli angeli del «cattivo co-
ro» sembrerebbe richiamare oppositivamente un’altra espressione
dantesca: «Averti fatta parte per te stesso» (Par XVII, 69), suffra-
gando in parte le nostre ipotesi. Infatti le scelte di Dante, tra cui
appunto quella di fare parte per se stesso, furono nette, dettate da
morale e ragione, coraggiose e sofferte, come la vicenda di esule
testimonia, pertanto paura e viltà, e quindi la scelta decisiva tra be-
ne e male, saranno stati gli ostacoli meno ardui da superare per
Dante, i fondamentali comunque per ogni cristiano sulla via di
purificazione verso la salvezza e per ogni lettore che intenda con-
tinuare la lettura del «Poema Sacro».
D’altra parte gli angeli del «cattivo coro» si potrebbero inter-
pretare non tanto come quelli che erano rimasti neutrali nella bat-
taglia tra Dio e Lucifero della quale si tratta nell’Apocalisse31 ma,
sulla base dell’identificazione con gli angeli detti «vigilanti» della
Genesi32 e delle tradizioni apocrife veterotestamentarie del Libro di

27 Inf II, 121-126.


28 Inf II, 49-120: 49:
Da questa tema acciò che tu ti solve
29 Inf II, 127-132.
30 Inf III, 58-63.
31 Si veda in particolare Apoc 12, 7-9, in cui in realtà lo scontro è tra Michele,
l’arcangelo, e Satana, il Dragone, insieme ai rispettivi angeli.
32 Gen 6, 1-4:
Cumque coepissent homines multiplicari super terram et
filias procreassent
videntes filii Dei filias eorum quod essent pulchrae
acceperunt uxores sibi ex omnibus quas elegerant.
[…]
gigantes autem erant super terram in diebus illis
postquam enim ingressi sunt filii Dei ad filias hominum il-

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PER UN’INTERPRETAZIONE DEGLI ANGELI DEL CATTIVO CORO

Enoc33 e del Libro dei Giubilei34, piuttosto come degli angeli che
non furono sì «ribelli» – cioè non i demoni propriamente detti,
che da Inf III, 41-42 sappiamo trovarsi nel «profondo inferno» –
né, soprattutto, furono «fedeli» a Dio, nel senso che avendo rivol-
to il loro amore verso le figlie degli uomini, cioè le donne, crea-
ture mortali, lo tradirono e divennero di fatto non «fedeli»35, ma

laeque genuerunt
isti sunt potentes a seculo viri famosi.
In tale passo si dichiara che i figli di Dio («filii Dei») – cioè gli angeli in que-
stione – videro che le figlie degli uomini («filias hominum») erano belle, e
presero per mogli quelle che avevano scelto. Dall’unione tra i figli di Dio e
le figlie degli uomini vennero generati i giganti, che sono detti gli eroi di
questo secolo: non si dice espressamente fu questa sia la causa della corru-
zione che determinerà il diluvio, ma lo si lascia pensare, poiché questo pas-
so si giustappone, precedendolo, a quello in cui Dio osserva l’insostenibile
malvagità degli uomini e decide per la distruzione (Gen 6, 5-7).
33 Nel Libro di Enoc la caduta angelica era una risposta al problema del Male da
parte della cultura giudaica precristiana del IV-V secolo a.C.: il Male deriva-
va dalla colpa di alcune creature spirituali, chiamate angeli vigilanti, che, tra-
sgredendo all’ordine naturale, si unirono alle donne, creature di carne oltre-
ché di spirito, originando una contaminazione che corruppe la natura. Da
questa unione contronatura nacquero i giganti, esseri mostruosi, che fecero
violenza a uomini e animali. Allora Dio fece sì che i giganti si sterminassero
tra di loro e segregò gli angeli vigilanti nell’oscurità. Si vedano: I Enoc 6-21;
90; 106, 13-16. Edizione utilizzata: Libro di Enoc in Apocrifi dell’Antico Testa-
mento, a cura di P. Sacchi,Torino, UTET, I, 1981, pp. 413-667.
34 Il Libro dei Giubilei riprende dal Libro di Enoc la tradizione degli angeli vigi-
lanti e la sviluppa approfondendo la dottrina degli spiriti maligni. Si vedano:
Giub 4-5; 7; 8, 3; 10-11; 48-50. Edizione utilizzata: Libro dei Giubilei in Apo-
crifi cit., pp. 179-411.
Anche nei Testamenti dei XII Patriarchi contengono diffusamente, oltre a due
precisi e circoscritti riferimenti agli angeli vigilanti, T Rub 5, 6-7 e T Neft 3,
5, un’avanzata dottrina sugli spiriti maligni. Edizione utilizzata: Testamenti dei
XII Patriarchi in Apocrifi cit., pp. 725-948.
35 Il termine «fedele» ritorna alcune volte nella Vita nuova per indicare la fedel-
tà d’Amore: Vn XII, 2; Vn XIII, 2 e 3; XIV, 14; e al plurale, «fedeli d’Amo-
re»: Vn III, 9;VII, 7;VIII, 7 e XXXII, 4. Riferito direttamente a Dante, «fe-
dele» di Beatrice, il termine ricorre con analoga accezione amorosa in Vn
XXIV, 1 e Purg XXXI, 133-135. Anche in Inf II, 97-99 Dante è detto «fe-
dele» di Lucia, ma in questo caso l’accezione pare devozionale, mentre una
sfumatura lirico-amorosa è riconoscibile in Par XXXI, 100-102 per Bernar-
do, «fedele» della Madonna. Si ricordi che il concetto di «fedeltà» rimanda
anche, d’altra parte, alla nozione di fede cristiana: Purg XXII, 58-60 e Par
XXVI, 60.

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MARCO CHIARIGLIONE

«per sé fuoro», siccome di scelta egoistica e individualista oltreché


irragionevole si tratterebbe. Così, ispirandosi poi alle suggestioni
delle Lettere di Pietro36 e della Lettera di Giuda37, che comunque a
tale tradizione fanno riferimento38, Dante avrebbe collocato nel-
l’oscurità, fuori dai cieli e dal «profondo inferno», questi angeli
decaduti che non furono né «fedeli» a Dio, poiché lo tradirono per
le figlie degli uomini, né «ribelli», poiché non si tratta dei demo-
ni, e quindi «per sé fuoro», avendo scelto per se stessi l’amore del-
le donne39.Tale scelta degli angeli non «fedeli» sarebbe comunque
stata profondamente irragionevole e troverebbe riscontro in Inf
III, 64, in cui sono riconosciuti «questi sciagurati» – anime e an-
geli insieme – «che mai non fur vivi», nel senso aristotelico secon-
do cui non esercitare la ragione equivale a essere morti40.

36 II Petr 2, 4:
Si enim Deus angelis peccantibus non pepercit
sed rudentibus inferni detractos in tartarum tradidit in iud
cium cruciatos reservari.
I Petr 3, 19-20:
In quo et his qui in carcere erant spiritibus veniens praedi-
cavit
qui increduli fuerant aliquando
quando expectabat Dei patientia
in diebus Noe cum fabricaretur arca
in qua pauci id est octo animae salvae factae sunt per
aquam.
37 Iud, 6:
Angelos vero qui non servaverunt suum principatum
sed derelinquerunt suum domicilium
in iudicium magni diei vinculis aeternis sub caligine reser-
vavit.
38 Si vedano: Le lettere di Pietro. La lettera di Giuda, commento di K.H. Schelkle,
Brescia, Paideia, 1981, pp. pp. 180 sgg., 252-254, 327-328, e Le Lettere Catto-
liche, commento di H. Balz e W. Schrage, Brescia, Paideia, 1978, pp. 189 sgg.,
219-223, 246-248, pp. 396-397.
39 Si veda in proposito a tali fonti: M. Chiariglione, Gli angeli del «Cattivo coro»:
If III, 37-42, in «Critica Letteraria», a. XXXII, fasc. III, n. 124/2004, pp. 555-
578; Id., Il perdono atteso e mai concesso agli angeli caduti nelle fonti del «cattivo co-
ro» (Inf III, 37-42), in corso di pubblicazione; Id., La «Visio Pauli» e alcune leg-
gende medievali nell’«Inferno» dantesco, in «E ‘n guisa d’eco i detti e le parole». Stu-
di in onore di Giorgio Barberi Squarotti, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006,
pp. 523-545.
40 Si veda quanto viene affermato nella terza canzone del Convivio: «Tal ch’è
morto e va per terra», col commento in Conv IV,VII, 11-12.

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PER UN’INTERPRETAZIONE DEGLI ANGELI DEL CATTIVO CORO

Seguendo tale congettura, aldilà delle difficoltà oggettive che


essa comporta41, si tratterebbe sempre di una dimostrazione di pu-
sillanimità nell’irragionevole scelta di rivolgere il proprio amore
verso delle creature mortali – le donne – piuttosto che verso la di-
vinità, come del resto lo sarebbe ugualmente quella di rimanere
neutrali, ovvero imbelli, nello scontro tra Dio e Lucifero.

Allora, appena prima di varcare la porta dell’inferno, Virgilio


esorta Dante ad abbandonare ogni paura e viltà42, come a richia-
mare e quindi a superare quanto di tali motivi psicologici si fosse
detto finora. E, una volta oltrepassata la soglia infernale, le prime
figure che si incontrano sono proprio le anime dei pusillanimi mi-
ste al «cattivo coro» degli angeli43.
Accogliendo la teoria di Sanguineti di cui sopra si potranno
dunque considerare le anime degli ignavi figure della paura, men-
tre il «cattivo coro» degli angeli diverrà figura della viltà, cioè del-
la pusillanimità, e quindi dell’incapacità di rettamente scegliere tra
bene e male.A confermarlo anche la pena che investe anime e an-
geli dell’antinferno, che punisce per contrappasso chi per pusilla-
nimità non seppe appunto scegliere secondo ragione.
Si può pertanto affermare che gli angeli del «cattivo coro» – al-
dilà di quale potesse essere stata l’eventuale fonte dantesca – sono
la figura emblematica della viltà nella scelta più antica e dramma-
tica di tutti i luoghi e i tempi possibili: quella tra l’amore terreno
e quello divino, ovvero tra il bene e il male.

41 Tale ipotesi risulta complessa da giustificare all’interno del contesto del can-
to, ma anche all’interno della struttura infernale – dal momento che forse
questi angeli lussuriosi troverebbero forse più adeguata collocazione all’in-
terno del secondo cerchio – pertanto ipotesi e congettura rimane. D’altra
parte, tuttavia, in questo modo verrebbero descritte le uniche figure angeli-
che del testo biblico non presenti in altro luogo della Commedia.
42 Inf III, 13-14:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.
43 Inf III, 19-42.

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