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DANTE E LA MITOLOGIA CLASSICA

Nell’Inferno di Dante troviamo spesso riferimenti e personaggi della mitologia


classica. Ma qual è la sua fonte di ispirazione, la sua “guida”, la spinta nello
studio dei classici e nella sua successiva rielaborazione?
Virgilio, per Dante, è un punto di riferimento letterario nella composizione
della Divina Commedia. Egli, oltre che essere la guida di Dante “viator” lungo
tutto il viaggio nell’Inferno e nel Purgatorio, è la sua guida, il suo “maestro”,
l’autore più studiato dal Dante “autor”.
Il Poeta incontra Virgilio nel I canto dell’Inferno, e già dalle prime parole rivolte
dall’autore al poeta si svela l’atteggiamento nei suoi confronti. Dante implora
subito aiuto dicendo “Miserere di me” (canto I, v. 65).
Un consiglio in più

Perché Dante sceglie Virgilio?


Virgilio rappresenta l’allegoria della ragione umana che conduce per una
retta via e salva l’uomo dal peccato. Segue quindi una presentazione da parte di
Virgilio, e da questa Dante riconosce il suo maestro. Sono importanti i vv. 79-80,
dove è chiaro il ruolo che gioca Virgilio nella produzione dantesca: “Or se’ tu quel
Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?”. Dante ammira Virgilio e
le sue opere, soprattutto “L’Eneide” che sarà un importante modello di
ispirazione sia per i personaggi che per l’idea stessa del viaggio alla scoperta
dell’oltretomba, che Virgilio aveva trattato nell’Eneide con il viaggio di Ulisse
nell’aldilà. Dante, infatti, dice “O de li altri poeti onore e lume, vagliami ‘l lungo
studio e ‘l grande amore che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
” (canto I, vv. 82-84).
Immagine di Virgilio — Fonte: Getty-Images

Ciò che appare ambiguo è il fatto che Dante inserisca Virgilio, poeta classico
dell’età augustea, in un ambiente cristiano e lo scelga addirittura come sua
guida. Questo ruolo che Dante attribuisce al poeta è dettata da una
interpretazione delle sue opere tipica del Medioevo. Nella quarta egloga delle
“Bucoliche” Virgilio annuncia la nascita di un bambino, figlio di un suo amico.
Questo brano era stato interpretato come il racconto della nascita di Cristo e per
questo motivo, nel Medioevo, Virgilio diventa il profeta dei tempi classici.
Dunque Dante sceglie Virgilio come guida per il suo viaggio attraverso
Inferno e Purgatorio perché lo ritiene un poeta illustrissimo, un “maestro”;
pur collocandolo nel limbo, e quindi sapendo che non è un cristiano, lo considera
un profeta. Virgilio è fonte di ispirazione e nella Commedia fa numerosi
riferimenti al viaggio di Ulisse nell’aldilà e, in generale, a molti luoghi e
personaggi dell’Eneide. Dante pensa che se Virgilio ha scritto dell’aldilà può
essere considerato una buona guida per l’Inferno e il Purgatorio. Virgilio sarà
sempre molto presente per tutto il viaggio e Dante si dimostrerà molto
riconoscente chiedendo chiarimenti e spiegazioni e appoggiandosi a lui nei
momenti di sconforto. Virgilio rappresenta un personaggio chiave che consente
di comprendere molti altri personaggi dell’Inferno dantesco.

I PERSONAGGI MITOLOGICI DELLA DIVINA COMMEDIA

Il primo è Caronte, III canto. E’ il traghettatore delle anime lungo il fiume


Acheronte. La descrizione che ne fa Dante e le caratteristiche principali del
personaggio sono molto simili al Caronte descritto da Virgilio nell’Eneide,
anch’egli traghettatore delle anime dell’aldilà incontrato da Ulisse.
Caronte
Confrontando i due passi della Divina Commedia e quello dell’Eneide, si
riscontrano molti tratti comuni, anche se Dante inserisce importanti modifiche
sostanziali al suo personaggio.
 Divina Commedia – Dante:“Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio,
bianco per antico pelo” (canto III, vv. 82-84); “Quinci fuor quete le lanose
gote al nocchier de la livida palude, ch’ntorno a li occhi avea di iamme
rote” (canto III, vv. 97-99).
 Eneide – Virgilio:“Portitor has horrendus aquas et fulmina servat terribili
squallore Charon, cui plurima mento Canities inculta iacet, stant lumina
lamma, sordidus ex umeris nodo dependet amictus. ” (Traghettatore
orrendo, guarda quest’acque ed il iume Caronte, irto, pauroso: a lui lunga
dal mento, bianca scende la barba incolta, sbarra occhi di iamma; sordido
dalle spalle gli pende, annodato, il mantello).
I tratti simili sono nella descrizione fisica del personaggio (barba bianca, occhi
infuocati, guance lanose) e nell’ambientazione tetra e spaventosa.

Differenze tra il Caronte di Virgilio e il Caronte dantesco


Le differenze le troviamo nel modo in cui Caronte si pone nei confronti delle
anime:

 Il Caronte dantesco è autorevole ed esercita un gran potere sulle anime.


Si rivolge a queste dicendo: “Guai a voi, anime prave, non isperate mai veder
lo cielo: i’ vegno per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n
gelo” (canto III, vv. 84-87). Dalla reazione di queste è chiaro il tentativo di
Dante di creare un personaggio che fa molta paura, molto più del Caronte
di Virgilio: “Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i
denti, ratto ch’nteser le parole crude” (canto III, vv. 100-102).

 Il Caronte di Dante è una igura drammatica che si esprime con parole


violente, che dà ordini precisi alle anime dei dannati e in questo modo
partecipando attivamente allo sviluppo del racconto e interagendo con
Dante e Virgilio. Caronte predice a Dante che non dovrà passare
l’Acheronte perché una volta morto andrà in purgatorio (“Per altra via, per
altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare: più lieve legno convien che
ti porti”; canto III, vv. 91-93). Ma anche l’autorità di Caronte si piega di
fronte al volere divino: viene infatti zittito da Virgilio che rappresenta la
volontà divina: “Caron non t crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che
si vuole e più non dimandare” (canto III, vv. 94-96).

 Il Caronte di Virgilio è una igura passiva e poco autorevole. Virgilio


utilizza molti aggettivi dispregiativi che Dante invece non usa per non
sminuierlo: il suo Caronte è sporco, trasandato, vecchio. Ma Dante,
soprattutto, apporta una novità molto importante al personaggio di
Virgilio: lo trasforma in un demone, un personaggio mitologico iglio di
Erebo e Notte.

Minosse
Il secondo personaggio mitologico in cui si imbattono Dante e Virgilio
è Minosse nel canto V. Si tratta del giudice di dio, colui che decide e informa
ciascuna anima in merito alla sua collocazione attraverso il numero di giri di
coda. Le anime vanno da lui, si confessano, ed egli le indirizza attorcigliando la
coda. Già Virgilio, nell’Eneide, aveva usato questa figura mitologica, figlio di
Giove ed Europa, mitico re e legislatore di Creta come giudice dell’Ade. Dante
nella Divina Commedia conserva per lui lo stesso ruolo che aveva nell’opera di
Virgilio, lo trasforma in un demone e ministro di Dio. Dante lo descrive come un
essere orribile e ringhioso, goffo e irriverente: “Stavvi Minòs orribilmente, e
ringhia: esamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia” (canto
V, vv. 4-6). Anche Minosse, come Caronte, interagisce con Dante, ammonendolo
di non fidarsi di nessuno, nemmeno di Virgilio. Viene però subito zittito, con le
stesse parole con cui era stato messo a tacere il “nocchier della livida palude”:
“Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più
non dimandare” (canto V, vv.
22-24).
Cerbero
Cerbero è il guardiano del girone dei lussuriosi (VI canto). Anche Cerbero è un
personaggio mitologico, figlio di Echidna e Tifeo, che troviamo nell’Eneide di
Virgilio. Egli, accovacciato in un angolo, controlla che le anime non fuggano
dall’Ade. Confrontando i due passi della Divina Commedia e dell’Eneide si può
notare che le caratteristiche comuni sono numerose.
 Cerbero della Divina Commedia – Dante: “Carbero, iera crudele e
diversa, con tre gole carinamente latra sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e ‘l ventre largo, e unghiate le
mani; graf ia li spirti ed iscia ed squarta” (canto VI, vv. 13-18).

 Cerbero dell’Eneide – Virgilio: “Cerberus haec ingens latratu regna


trifauci personat, adverso recubans immanis in antro. ” (Cerbero qui,
gigantesco, con tre gole latrando, rintrona quei regni, steso ferocemente
nell’antro).
In entrambe le descrizioni ci troviamo davanti un mostro che latra, con tre
teste di cane, sporco. Dante aggiunge la barba unta e nera, gli occhi rossi e una
grossa pancia (come i golosi), e al posto delle unghie ha degli artigli con cui
graffia i dannati. Il mostro ha una fame insaziabile ed entrambi i poeti
rappresentano questa sua caratteristica attraverso due passi molto simili tra
loro.
Divina commedia – Dante: “E ‘l duca mio distese le sua spanne, prese la terra, e con
piene le pugna la gittò dentro a le bramose canne” (canto VI, vv. 25-27)
Eneide – Virgilio: “cui cates correre videns iam colla colubris melle soporatam et
medicatis frugibus offam obicit. Ille fame rapida tria guttura pandens corripit
obiectam atque immania terga resolvit fusus humi totoque ingens extenditur antro.
” (A lui la Sibilla, vedendo già i serpi drizzarsi sui colli, gettò una focaccia
sonnifera, di miele e drogata di farina.
Con fame rabbiosa tre gole aprendo, l’afferra quello a volo: ed ecco il corpo pauroso
crollò, sdraiato in terra, immenso per tutto l’antro si stese).
Cerbero nell'Inferno: Virgilio sfama il mostro
— Fonte: Getty-Images

In questi due passi Virgilio e la Sibilla gettano qualcosa nelle gole di Cerbero, il
quale nell’inutile tentativo di soddisfare la sua fame, è disposto a ingoiare
perfino il fango che gli lancia Virgilio. Solo così la Sibilla e Virgilio, possono
proseguire il loro cammino, dandogli qualcosa da mangiare e così calmando il
mostro a tre teste. Dante dunque ne mantiene l’aspetto mostruoso, la
caratteristica fame insaziabile e la funzione del Cerbero di Virgilio, ma
trasforma questo personaggio in origine mitologico, in un demone. La figura di
Cerbero, lacerata e terrificante, è la rappresentazione dell’aspetto che assumono
i golosi che, durante il Medioevo, era diventata simbolo di odio e ingordigia.
Ulisse
Ulisse è Un personaggio che rappresenta il nesso tra Dante e la cultura classica.
Il poeta non fa riferimento al solo Ulisse di Virgilio ma anche e soprattutto a
quello omerico. Dante lo colloca nell’ VIII bolgia dove sono puniti i consiglieri
fraudolenti (canto XXVI). Lo troviamo in una doppia fiamma insieme a
Diomede, suo compagno nelle imprese fraudolente: il cavallo di Troia, lo
smascheramento di Achille nell’isola di Sciro e il furto del Palladio.
Attraverso Virgilio Dante chiede a Ulisse come è morto. In questa richiesta si
manifesta l’interesse di Dante per la storia di questo personaggio e quindi per la
cultura classica. Egli supplica il suo maestro: “S’ei posson dentro de quelle faville
parlar maestro, assai ten priego e ripiego, che ‘l priego vaglia mille, che non mi facci
de l’attender niego fin che la fiamma cornuta qua vegna; vedi che del disio ver’ lei mi
piego!” (canto XXVI, vv.
64-69).
Il fatto che Virgilio abbia il ruolo di tramite tra Dante e Ulisse non è
casuale: simboleggia il ponte che il poeta rappresentava tra Dante e la cultura
greca. Ulisse narra a Dante e a Virgilio una storia diversa da quella dell’Odissea di
Omero. Racconta che partito dall’isola di Circe non tornò in patria, ad Itaca, ma
intraprese con i suoi compagni un viaggio senza ritorno: dopo aver navigato per lungo
tempo giunge alle colonne d’Ercole e le supera, morendo. Questa versione del viaggio
di Ulisse evidenzia ed esalta, ma allo stesso tempo critica, il suo interesse a conoscere
il mondo. Dante dunque interpreta Ulisse in modo diverso rispetto Omero: Ulisse
è l’uomo da apprezzare per la sua curiosità e viene punito perché aveva sfidato
Dio. Il salto qualitativo dell’Ulisse dantesco, rispetto a quello omerico, sta nel fatto
che il suo ingegno non è sottomesso a Dio. Dante esprime questo concetto con
l’aggettivo “folle” riferito al “volo” (“e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi
facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino” ; canto XXVI, vv. 124-
125) assume il significato di temerario nel senso di sfida nei confronti di Dio e quindi
peccaminoso (ritroviamo quest’aggetivo anche al verso 35 del canto II).

Dante riprende il personaggio di Omero ma ne cambia la storia, il giudizio nei


suoi confronti, il significato morale, cosa mai accaduta con i personaggi di opere
di Virgilio:

 L’intelletto dell’Ulisse omerico è al di sotto della “pietas”, di Dio;


 L’Ulisse dantesco non ha nessuna restrizione morale alla sete di
conoscenza e per questo arriva a trasgredire il limite divino (le colonne
d’Ercole).
Dante apprezza ma allo stesso tempo condanna le scelte e le azioni di Ulisse:
la sua approvazione sta nell’ardore di conoscenza (“vincer potevo dentro a me
l’ardore ch’io ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del dolore”; canto
XXVI, vv. 97-99), nella valorizzazione della dignità umana (“considerate la vostra
semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e conoscenza”;
canto XXVI, vv. 118-120), e in quella dimensione eroica di stampo classico (“non
vogliate negar l’esperienza, di restro al sol, del mondo senza gente”; canto XXVI, vv.
116-117);
Ma Dante ne condanna l’uso presuntuoso dell’ingegno (“de’ remi facemmo ali al
folle volo”; canto XXVI, v. 125), il suo orgoglio sfrenato (“misi me per l’alto mare
aperto”, canto XXVI, v. 100; “dov’Ercule segnò li suoi riguardi, acciò che l’uom più
oltre non si metta”, canto XXVI, vv. 108-109) e infine il suo uso malizioso della
parola (“li miei compagni fec’io sì aguti, con questa orazion picciola”, cannto
XXVI, vv. 121-122).
Conclusione
L’innovazione di Dante, dunque, non sta nell’inventare, nel produrre luoghi,
personaggi, o situazioni nuove, bensì nel prendere dei testi ed inserirli in un
contesto - quello sì - del tutto nuovo.

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