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Ciò che appare ambiguo è il fatto che Dante inserisca Virgilio, poeta classico
dell’età augustea, in un ambiente cristiano e lo scelga addirittura come sua
guida. Questo ruolo che Dante attribuisce al poeta è dettata da una
interpretazione delle sue opere tipica del Medioevo. Nella quarta egloga delle
“Bucoliche” Virgilio annuncia la nascita di un bambino, figlio di un suo amico.
Questo brano era stato interpretato come il racconto della nascita di Cristo e per
questo motivo, nel Medioevo, Virgilio diventa il profeta dei tempi classici.
Dunque Dante sceglie Virgilio come guida per il suo viaggio attraverso
Inferno e Purgatorio perché lo ritiene un poeta illustrissimo, un “maestro”;
pur collocandolo nel limbo, e quindi sapendo che non è un cristiano, lo considera
un profeta. Virgilio è fonte di ispirazione e nella Commedia fa numerosi
riferimenti al viaggio di Ulisse nell’aldilà e, in generale, a molti luoghi e
personaggi dell’Eneide. Dante pensa che se Virgilio ha scritto dell’aldilà può
essere considerato una buona guida per l’Inferno e il Purgatorio. Virgilio sarà
sempre molto presente per tutto il viaggio e Dante si dimostrerà molto
riconoscente chiedendo chiarimenti e spiegazioni e appoggiandosi a lui nei
momenti di sconforto. Virgilio rappresenta un personaggio chiave che consente
di comprendere molti altri personaggi dell’Inferno dantesco.
Minosse
Il secondo personaggio mitologico in cui si imbattono Dante e Virgilio
è Minosse nel canto V. Si tratta del giudice di dio, colui che decide e informa
ciascuna anima in merito alla sua collocazione attraverso il numero di giri di
coda. Le anime vanno da lui, si confessano, ed egli le indirizza attorcigliando la
coda. Già Virgilio, nell’Eneide, aveva usato questa figura mitologica, figlio di
Giove ed Europa, mitico re e legislatore di Creta come giudice dell’Ade. Dante
nella Divina Commedia conserva per lui lo stesso ruolo che aveva nell’opera di
Virgilio, lo trasforma in un demone e ministro di Dio. Dante lo descrive come un
essere orribile e ringhioso, goffo e irriverente: “Stavvi Minòs orribilmente, e
ringhia: esamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia” (canto
V, vv. 4-6). Anche Minosse, come Caronte, interagisce con Dante, ammonendolo
di non fidarsi di nessuno, nemmeno di Virgilio. Viene però subito zittito, con le
stesse parole con cui era stato messo a tacere il “nocchier della livida palude”:
“Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più
non dimandare” (canto V, vv.
22-24).
Cerbero
Cerbero è il guardiano del girone dei lussuriosi (VI canto). Anche Cerbero è un
personaggio mitologico, figlio di Echidna e Tifeo, che troviamo nell’Eneide di
Virgilio. Egli, accovacciato in un angolo, controlla che le anime non fuggano
dall’Ade. Confrontando i due passi della Divina Commedia e dell’Eneide si può
notare che le caratteristiche comuni sono numerose.
Cerbero della Divina Commedia – Dante: “Carbero, iera crudele e
diversa, con tre gole carinamente latra sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e ‘l ventre largo, e unghiate le
mani; graf ia li spirti ed iscia ed squarta” (canto VI, vv. 13-18).
In questi due passi Virgilio e la Sibilla gettano qualcosa nelle gole di Cerbero, il
quale nell’inutile tentativo di soddisfare la sua fame, è disposto a ingoiare
perfino il fango che gli lancia Virgilio. Solo così la Sibilla e Virgilio, possono
proseguire il loro cammino, dandogli qualcosa da mangiare e così calmando il
mostro a tre teste. Dante dunque ne mantiene l’aspetto mostruoso, la
caratteristica fame insaziabile e la funzione del Cerbero di Virgilio, ma
trasforma questo personaggio in origine mitologico, in un demone. La figura di
Cerbero, lacerata e terrificante, è la rappresentazione dell’aspetto che assumono
i golosi che, durante il Medioevo, era diventata simbolo di odio e ingordigia.
Ulisse
Ulisse è Un personaggio che rappresenta il nesso tra Dante e la cultura classica.
Il poeta non fa riferimento al solo Ulisse di Virgilio ma anche e soprattutto a
quello omerico. Dante lo colloca nell’ VIII bolgia dove sono puniti i consiglieri
fraudolenti (canto XXVI). Lo troviamo in una doppia fiamma insieme a
Diomede, suo compagno nelle imprese fraudolente: il cavallo di Troia, lo
smascheramento di Achille nell’isola di Sciro e il furto del Palladio.
Attraverso Virgilio Dante chiede a Ulisse come è morto. In questa richiesta si
manifesta l’interesse di Dante per la storia di questo personaggio e quindi per la
cultura classica. Egli supplica il suo maestro: “S’ei posson dentro de quelle faville
parlar maestro, assai ten priego e ripiego, che ‘l priego vaglia mille, che non mi facci
de l’attender niego fin che la fiamma cornuta qua vegna; vedi che del disio ver’ lei mi
piego!” (canto XXVI, vv.
64-69).
Il fatto che Virgilio abbia il ruolo di tramite tra Dante e Ulisse non è
casuale: simboleggia il ponte che il poeta rappresentava tra Dante e la cultura
greca. Ulisse narra a Dante e a Virgilio una storia diversa da quella dell’Odissea di
Omero. Racconta che partito dall’isola di Circe non tornò in patria, ad Itaca, ma
intraprese con i suoi compagni un viaggio senza ritorno: dopo aver navigato per lungo
tempo giunge alle colonne d’Ercole e le supera, morendo. Questa versione del viaggio
di Ulisse evidenzia ed esalta, ma allo stesso tempo critica, il suo interesse a conoscere
il mondo. Dante dunque interpreta Ulisse in modo diverso rispetto Omero: Ulisse
è l’uomo da apprezzare per la sua curiosità e viene punito perché aveva sfidato
Dio. Il salto qualitativo dell’Ulisse dantesco, rispetto a quello omerico, sta nel fatto
che il suo ingegno non è sottomesso a Dio. Dante esprime questo concetto con
l’aggettivo “folle” riferito al “volo” (“e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi
facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino” ; canto XXVI, vv. 124-
125) assume il significato di temerario nel senso di sfida nei confronti di Dio e quindi
peccaminoso (ritroviamo quest’aggetivo anche al verso 35 del canto II).