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XXV INFERNO

XXV INFERNO
XXV INFERNO vv. 67-78
Li altri due 'l riguardavano, e ciascuno
gridava: «Omè, Agnel, come ti muti!
Vedi che già non se' né due né uno».
Già eran li due capi un divenuti,
quando n'apparver due figure miste
in una faccia, ov' eran due perduti.
Fersi le braccia due di quattro liste;
le cosce con le gambe e 'l ventre e 'l casso
divenner membra che non fuor mai viste.
Ogne primaio aspetto ivi era casso:
due e nessun l'imagine perversa
parea; e tal sen gio con lento passo.
XXV INFERNO vv. 79-87
Come 'l ramarro sotto la gran fersa
dei dì canicular, cangiando sepe,
folgore par se la via attraversa,
sì pareva, venendo verso l'epe
de li altri due, un serpentello acceso,
livido e nero come gran di pepe;
e quella parte onde prima è preso
nostro alimento, a l'un di lor trafisse;
poi cadde giuso innanzi lui disteso.
XXV INFERNO vv. 88-93
Lo trafitto 'l mirò, ma nulla disse;
anzi, co' piè fermati, sbadigliava
pur come sonno o febbre l'assalisse.
Elli 'l serpente e quei lui riguardava;
l'un per la piaga e l'altro per la bocca
fummavan forte, e 'l fummo si scontrava.
XXV INFERNO vv. 94-105
Taccia Lucano ormai là dove tocca
del misero Sabello e di Nasidio,
e attenda a udir quel ch'or si scocca.
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio,
ché se quello in serpente e quella in fonte
converte poetando, io non lo 'nvidio;
ché due nature mai a fronte a fronte
non trasmutò sì ch'amendue le forme
a cambiar lor matera fosser pronte.
Insieme si rispuosero a tai norme,
che 'l serpente la coda in forca fesse,
e 'l feruto ristrinse insieme l'orme.
METAMORFOSI

• La compenetrazione della ninfa Salmacide con


Ermafrodito (Metam. IV.361-79) costituisce il
retroterra della metamorfosi di Cianfa e
Brunelleschi. (Metam. IV.378-79), (Metam.
IV.362) (Metam. IV.365; Inf. XXV.58-60).
• Possibile parodia Trinitaria.
• Lucano (Fars. IX 734 sgg.) narra la storia di
Sabello e di Nasidio, soldati dell’esercito
romano condotti da Catone nel deserto libico.
(Fars. IX 761-788), (Fars. IX 789-804).
METAMORFOSI

• Cadmo è mutato in serpente con Armonia


(Metam., IV, 563-604). È soggetto ad una
simbolizzazione fortemente positiva: sapiens e
prudens in Giovanni di Garlandia.
• L’episodio ovidiano di Aretusa (Metam. V.572-
641) non presenta affinità col testo del canto;
Arteusa dall’esegesi allegorica di Fulgenzio
appare come «nobile» e «giusta».
• Possibile intento antifrastico di Dante
TEMA DEL VANTO POETICO
• Il motivo del vanto poetico iperbolico, è una figura retorica che appartiene al topos della
tradizione classica. Curtis nota come anche l’incipit (taceat) rientri nella formulazione
tipica di tale tradizione.
• I detrattori di Dante (Zoili, Momi) lo accusano di superbia e vanagloria. «dispiace tanto
comunemente a ciascuno, ch'ei si dice che la laude è nella propia bocca, ancor ch'ella sia
vera, cosa sordida e brutta; e tanto più, quando per lodar sè si avvilisce e abbassa gli altri,
come fa qui il Poeta, Lucano ed Ovidio» (G. B. Gelli).
• Dante ribadisce più volte la grandezza e l’audacia del suo ingegno: «L'acqua ch'io prendo
già mai non si corse» (Paradiso, II, 2).
• Dante imita Terenzio (impostazione teatrale) e Virgilio (il suo maestro).
TEMA DEL VANTO POETICO
• Dante indica la ragione della propria superiorità sul grande predecessore latino: il fatto
di aver trattato di una duplice metamorfosi, di aver cioè descritto un reciproco scambio
di materie: da uomo a serpente da una parte, da serpente ad uomo, dall'altra.
• B. Croce, vede nell'occasione la rivendicazione, da parte del poeta, della propria
bravura tecnica, della propria maestria letteraria
«L'interesse è trasportato dalla cosa, che per sé commuove poco l'anima del poeta, al
modo di dirla, all'abilità con cui sono descritte [...], alla bravura con cui sono
affrontate e vinte le difficoltà dell'assunto. Taccia Lucano..., esclama il poeta,
consapevole del pezzo di bravura che viene componendo. E questo è il sentimento che
informa la nuova creazione, la gioia della potenza artistica».
(La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1948, p. 91).
TEMA DEL VANTO POETICO
• Manifestazione di «orgoglio» per «aver saputo penetrare più addentro nella rivelazione
della sapienza divina». Dante «non invidia la potenza con cui i due grandi colleghi
antichi hanno descritto inconsueti prodigi, perché egli ha dovuto assistere (e ricevendone
di necessità maggiore meraviglia) a prodigi ancor più straordinari e istruttivi»
(E. Paratore, Nuove letture dantesche, II, Firenze, Le Monnier, 1970, p. 302n.).
• La teoria di Hawkins (in Dante Studies, pp. 1-18), sviluppata da Ellrich, prende le mosse
da un motivo presente nell'Inferno, ossia la parodia trinitaria.
• Il poeta, in quanto si pone in relazione al passato, è suscettibile di essere accusato di
furto, il che significherebbe una sterile riproduzione delle opere dei suoi predecessori.
Ma lui si dice ispirato dall'amore divino e dunque riconosce la propria collocazione
nell'ambito di un processo storico provvidenziale; un processo in cui egli è superiore ai
maestri del passato.
TEMA DEL VANTO POETICO
• A. Pagliaro definisce «letterario» il motivo dominante dei canti XXIV e XXV, trasparendo
dal linguaggio dantesco, pur realistico, una «intenzione di virtuosismo». (Ulisse, Messina-
Firenze, D'Anna, 1966, pp. 361-62).
• R. Terdiman nota che mai, nel corso del poema, ha luogo una completa interruzione dello
svolgimento narrativo, determinata dall'attenzione per le modalità dello scrivere. Virgilio
in questo frangente scompare, «è completamente assente dal momento, descritto poco
prima, in cui Dante, agendo in modo stranamente indipendente, lo invita al silenzio (vv.
44-45)». (“Problematical Virtuosity: Dante's Depiction of the Thieves”: Dante Studies,
1973, p. 37).
• L'orgoglioso artista è conscio di aver superato i suoi predecessori non riguardo al tipo di
rappresentazione poetica, ma riguardo al grado di maestria tecnica.
• Non riesce a bilanciare la forza creativa individuale con le istanze etiche e teologiche del
suo poema cristiano.
TEMA DEL VANTO POETICO
• Secondo Giorgio Bàrberi Squarotti, è dal carattere sacro del poema che proviene
“l'infinita superiorità del discorso poetico di Dante rispetto a quello di Lucano e di
Ovidio”.
«Ciò che Dante ha visto appartiene a un mondo di verità escatologica con cui non possono
competere, dal punto di vista dell'autenticità, i poeti classici, che non hanno conosciuto Cristo, ma
la complessità e l'originalità della rivelazione dell'oltretomba cristiano, per l'abilità poetica di
Dante, vengono anche da un punto di vista poetico a costituire l'oggetto di un'invenzione poetica
che vince di gran lunga le invenzioni dei poeti classici. Ovidio 'converte poetando' Cadmo e
Aretusa e tutti gli altri dei e semidei delle Metamorfosi: dietro all'invenzione di Dante non ci sono
soltanto i sogni di Parnaso, ma quella rivelazione che è il fondamento della sublimità della
Commedia. La natura del poema dantesco, che è sacro, costituisce la ragione della sua superiorità
anche nell'ambito della poesia e nel confronto con i sommi poeti classici: ma ciò vuole anche
significare che non è, nella Commedia, da vedere soltanto l'aspetto della verità escatologica
rivelata dalla visione, ma anche quella sublimità di poesia che fa del poema di Dante il culmine
assoluto di ogni possibile esperienza di scrittura»
(L'ombra di Argo, Torino, Genesi, 1988, pp. 29-30).

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