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Purgatorio Canto VI

DOVE: ANTIPURGATORIO SECONDO BALZO


QUANDO: pomeriggio di domenica 10 aprile del 1300, alle 15,00.
CHI: MORTI DI MORTE VIOLENTA che si pentirono in fin di vita.
PENA: Rimangono nell'antipurgatorio tanto tempo quando vissero.
PERSONAGGI: Dante, Virgilio, Benincasa da Laterina, Guccio dei
Tarlati, Federico Novello, Giano degli Scornigiani, Orso degli Alberti,
Pierre de la Brosse, SORDELLO.

Il canto politico
Il canto VI del Purgatorio, cosi come quello delle altre cantiche (Ciacco e
Giustiniano rispettivamente nell'Inferno e nel Paradiso), tratta il tema
politico che è incentrato sull'Italia.
Non si può parlare in questo momento storico dell’Italia come nazione;
eppure questa è un’idea che proprio nelle parole di Dante sembra
profilarsi per la prima volta.
Nei versi di Purgatorio VI si avverte qualcosa di più di una concezione
meramente geografica e linguistica dell’Italia. Se il VI canto dell’Inferno
era incentrato sulla situazione di Firenze, il VI del Purgatorio allarga lo
sguardo alla situazione italiana nel suo complesso, chiamando anche in
causa le due autorità che Dante ritiene, per motivi diversi, direttamente
responsabili del degrado della situazione politica e civile: l’Impero e il
Papato.
Il poeta qui denuncia il disinteresse degli imperatori della casata
d’Asburgo, Alberto I d’Austria e il padre Rodolfo, per l’Italia, «giardino
dell’impero» abbandonato a se stesso e all’inevitabile deriva cui va
incontro la «nave sanza nocchiere».
Un'Italia straziata da guerre interne, dalle ingiustizie, dal disinteresse
dell'Impero che hanno portato al temporalismo della Chiesa
(un’eccessiva attenzione da parte degli ecclesiastici verso il campo
politico, non a loro competente). Condanna tutto ciò e alla società
contemporanea auspica una punizione divina o da parte dell'imperatore
(sempre tramite Dio). Quindi Dante ribadisce che il potere spirituale
della Chiesa e quello temporale dell'Impero non devono andare in
contrasto o sovrapporsi perché altrimenti come in questo caso danno
origine a tutti i mali del mondo.

I morti per forza si affollano intorno a Dante


Dante spiega che quando finisce il gioco della zara, il perdente resta
solo e impara a sue spese come comportarsi nella prossima partita,
mentre tutti si affollano intorno al vincitore, attirando la sua attenzione;
quello non si ferma, ma si difende dalla calca dando retta a tutti e
porgendo la mano all'uno e all'altro. Lo stesso fa il poeta attorniato dalle
anime dei morti di morte violenta rivolgendosi ora a questo ora a quello,
e si allontana promettendo.

Zara: Il gioco della zara era diffusissimo nel Trecento. Si giocava


gettando tre dadi e tentando di indovinare i numeri risultanti dalle loro
possibili combinazioni.

La dottrina del suffragio


Non appena Dante riesce a liberarsi dalle anime che lo pressano, si
rivolge a Virgilio. Nei canti precedenti i penitenti chiedevano a Dante di
informare, o per meglio dire ricordare, ai loro familiari e amicizie terrene
di pregare per loro in modo da poter accorciare il tempo di espiazione
delle anime. In questo canto viene spiegata la questione in termini di
dottrina.
Come è possibile che le preghiere dei viventi possano abbreviare le
pene delle anime del purgatorio, modificando così quanto Dio ha
stabilito?
Nell'Eneide Virgilio afferma il contrario. Da un lato c'è l'affermazione dei
teologi e dall'altra le parole di Virgilio.
Virgilio spiega al poeta fiorentino che le preghiere, pronunciate con
ardore di carità, possono abbreviare il tempo della pena ma non
cambiano la sentenza di Dio e che la preghiere a cui si riferiva era
quella fatta dal pagano Palinuro alla Sibilla perché gli facesse
attraversare l'Acheronte nonostante il suo corpo fosse rimasto insepolto.
La preghiera era quindi disgiunta dalla grazie di Dio. Virgilio esorta
Dante a non tenersi il dubbio e ad attendere più profonde spiegazioni da
parte di Beatrice, che illuminerà la sua mente e lo aspetta sorridente
sulla cima del monte.

Sordello da Goito
La presenza del personaggio di Sordello da Goito sembra un'espediente
di Dante per introdurre il motivo dell'amor di patria e in seguito l'invettiva
politica. Invece la sua figura è più importante di quel che sembra.
Sordello da Goito fu un trovatore provenzale di origine italiana, nato a
Goito, presso Mantova, da una famiglia della piccola nobiltà, attorno al
1200. In seguito allo scandalo in cui sedusse, rapì ed in seguito
abbandonò la moglie del conte di San Bonifacio, Sordello scappò dal
Veneto per cercare salvezza in Provenza. Qui acquisì grande fama
presso i nobili della regione, ricevendo onori e benefici prima da Carlo I
d'Angiò. Nel 1266 seguì il conte di Provenza nella sua discesa in Italia e
qui gli furono donati alcuni feudi in Abruzzo, dove trovò la morte poco
dopo.
Nel canto viene descritto come un uomo dignitoso e inflessibile; quando
Virgilio nomina Mantua, Sordello perde quell'atteggiamento severo e
distaccato e si rende conto di avere di fronte un concittadino di Mantova:
si abbracciano per la commozione.

Invettiva contro l'Italia


Dante a questo punto prorompe in una violenta invettiva contro l'Italia,
definita sede del dolore e nave senza timoniere in una tempesta, non
più signora delle province dell'Impero romano ma bordello.

L'invettiva contro Firenze


Nella parte finale del canto, Firenze diventa il punto focale della
riflessione dantesca.
Utilizzando un velo di sarcasmo Dante infatti espone la grave
decadenza in cui Firenze si trova in quel periodo denunciandone
l'ambizione, l'avidità, l'inciviltà, la fragilità della sua politica e della sua
gente corrotta.
FIGURE RETORICHE PRINCIPALI NEL TESTO:

Tal era io in quella turba spessa, volgendo a loro, e qua e là, la


faccia, e promettendo mi sciogliea da essa =similitudine (vv. 10-12).
Cioè: "Così facevo io in mezzo a quella folla di anime, volgendo il viso a
loro qua e là, e promettendo mi separavo dalla calca". Dante si
paragona al vincitore del gioco della zara.

Le braccia / fiere = enjambement (vv. 12-13).

E l’anima divisa / dal corpo suo= enjambement (vv. 19-20).

Dal corpo suo = anastrofe (v. 20). Cioè: "dal suo corpo".

Libero fui = anastrofe (v. 25). Cioè: "fui libero".

Da tutte quante / quell’ombre= enjambement (vv. 25-26).

O luce mia = perifrasi (v. 29). Per indicare la sua guida, il suo maestro
Virgilio.

Se quella nol ti dice che lume fia tra ‘l vero e lo ‘ntelletto = perifrasi
(vv. 44-45). Cioè: "finché non te lo chiarirà colei che sarà luce tra la
verità e il tuo intelletto". Per indicare Beatrice.

In su la vetta / di questo monte= enjambement (v. 48).

L’ombra getta = anastrofe (v. 51). Cioè: "proietta l'ombra".

Posta / sola soletta= enjambement (vv. 58-59).

Ma lasciavane gir, solo sguardando a guisa di leon quando si posa


= similitudine(v. 66). Cioè: "ma ci lasciava avvicinare, limitandosi a
guardare come un leone quando sta in riposo".

Ahi serva Italia = apostrofe (v. 76).

Di quei ch’un muro e una fossa serra = perifrasi (v. 84). Cioè: "quelli
che abitano rinchiusi da un unico muro e un unico fossato", per indicare
gli abitanti di una stessa città.
Da le prode le tue marine= enjambement (vv. 85-86).

Ahi gente che dovresti esser devota= apostrofe (v. 91). Riferito alla
gente di Chiesa.

E lasciar seder cesare in la sella= metafora(v. 92).

Per non esser corretta da li sproni= metafora(v. 95). Cioè: "perché


non è governata dagli sproni dell’imperatore".

Poi che ponesti mano a la predella= metafora(v. 96). Cioè: "dopo che
tu prendesti le redini".

La predella = sineddoche (v. 96). La parte per il tutto.

O Alberto tedesco= apostrofe (v. 97).

Ch’abbandoni / costei= enjambement (vv. 97-98).

E dovresti inforcar li suoi arcioni= metafora(v. 99). S'intende


"governare l'Italia".

Da le stelle caggia / sovra ‘l tuo sangue= enjambement (vv. 100-101).

Temenza n’aggia = anastrofe (v. 102). Cioè: "ne abbia timore".

Che ‘l giardin de lo ‘mperio sia diserto= metafora(v. 105).

Vieni/Vien = anafora (v.106, v.109, v.112, v.115).

La pressura / d’i tuoi gentili= enjambement (vv. 109-110).

O sommo Giove = perifrasi (v. 118). Per indicare Cristo.

L’abisso / del tuo consiglio= enjambement vv. 121-122).

Tutte piene / son di tiranni= enjambement (vv. 124-125).

Fiorenza mia= apostrofe (v. 127).

Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca= metafora(v. 130). Per


indicare la giustizia d’animo che viene manifestata.
Per non venir sanza consiglio a l’arco= metafora(v. 132).

Risponde sanza chiamare= enjambement (vv. 134-135).

Che fenno / l’antiche leggi= enjambement (v. 139).

Atene e Lacedemona = metonimia (v. 139). Per indicare i legislatori


delle due città greche, Licurgo e Solone.

Sottili / provedimenti= enjambement vv. 142-143).

Vedrai te somigliante a quella inferma che non può trovar posa in


su le piume, ma con dar volta suo dolore scherma =
similitudine (vv. 149-151). Cioè: "riconoscerai di esser simile a
quell'ammalata che non può trovare riposo nel letto, ma rigirandosi di
continuo cerca di trovare sollievo al suo dolore".

PRO MEMORIA FIGURE RETORICHE

ANAFORA
Consiste nel ripetere, in principio di verso o di proposizione, una o più parole
con cui ha inizio il verso o la proposizione precedente
(«Per me si va nella città dolente, /Per me si va nell'eterno dolore, /Per me si
va tra la perduta gente»)

ANASTROFE
E' l'inversione dell'ordine abituale di due parole di un gruppo
(tecum, mecum anziché cum te, cum me questa bella d'erbe famiglia e
d'animali -Foscolo).

APOSTROFE
Figura retorica che si ha quando un personaggio o la voce narrante si rivolge
a concetti personificati, a soggetti assenti o scomparsi, o anche al lettore.
(O natura, o natura,/perché non rendi poi/quel che prometti allor? - G.
Leopardi, A Silvia)

ENJAMBEMENT
E' un procedimento stilistico che consiste nello spezzare una breve frase o un
gruppo sintattico a cavallo di due versi consecutivi.
(Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie. - Ungaretti)

METAFORA
E' una figura retorica che consiste nel trasferimento di significato tra due
termini che hanno tra loro un rapporto di affinità o somiglianza (più vago e
distante che nella metonimia).
("…e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio…" ceppo vecchio è il capostipite -
Ariosto, Orlando furioso)

METONIMIA
E' una figura retorica che sostituisce una parola, all’interno di una frase, con
un’altra unita da un legame logico qualitativo. Ad esempio si usa l’effetto al
posto della causa, un elemento astratto con uno concreto.
(Talor lasciando le sudate carte…- G. Leopardi, A Silvia) Materia/oggetto

PERIFRASI
Il termine perifrasiviene dal greco, peri (intorno) + phrasis (frase), significa
letteralmente: frase intorno. E' giro di parole che si usa per spiegare meglio
un concetto o per evitare di esprimerlo direttamente.
(“tagliare la corda” per fuggire)

SIMILITUDINE
E' una figura retorica del significato che si basa sul confronto ed il paragone
esplicito fra due realtà, due immagini, due personaggi, due azioni che hanno
tra loro rapporti di affinità e somiglianza.
(…Tu simile a stella nel cielo... - Pascoli)

SINEDDOCHE
E' come la metonimia ma la sostituzione tra due parole avviene attraverso
una relazione quantitativa, ad esempio indico la parte per il tutto, il genere per
la specie.
(La fuga dei cervelli, ho l'occhio stanco)

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