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LA SIMBOLOGIA DEI NUMERI

• La struttura del poema ripete il numero 3 e i suoi multipli (9), sia nel contenuto sia nella forma metrica
(terzina) + numero 10 (numero perfetto) e i suoi multipli (100)
• 3 sono i regni ultraterreni (cantiche): 1. INFERNO  9 cerchi + 1 antinferno = 10 2. PURGATORIO  9
cornici + 1 Paradiso Terreste = 10 3. PARADISO  9 cieli + 1 Empireo = 10
• 33 i canti di ogni cantica; Inferno 33+1=34  tot. 100
• 3 sono i versi di ogni strofa.
• 3 le guide di Dante,
• 3 le belve che sbarrano il passo,
• 3 le categorie dei peccati puniti nell’Inferno, nove i cerchi infernali, 9 le partizione del Purgatorio, 9 i cieli del
Paradiso.
• L’insistenza del numero tre si spiega col fatto che gli uomini del Medioevo erano affascinati dai numeri, che
secondo loro possedevano significati magici e misteriosi. Il numero prediletto era proprio il tre, perché era
considerato il simbolo della Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.
• Le tre cantiche terminano con la parola “stelle”, che si ripete quindi 3 volte.
• 6° canto di ogni cantica  argomento politico (Firenze – Italia – Impero)
ALLEGORIA
• Il contenuto letterale, cioè esplicito ed evidente, del poema è il viaggio ultraterreno.
• La Divina Commedia ha però soprattutto un significato allegorico, cioè simbolico.
• Essa può essere letta come il percorso che gli uomini devono compiere per salvare la propria anima, seguendo
la lunga e difficile via che conduce dal male e dal peccato al bene eterno.
• I personaggi, i luoghi e le situazioni immaginati da dante vanno quindi letti sia a livello letterale, sia per quello
che significano a livello allegorico.
L’ISLAM NELLA COMMEDIA
Dante conosceva la letteratura araba, diffusa già dall’ VIII- IX secolo soprattutto nel Meridione d’Italia a causa
della conquista della Sicilia, del ruolo di tramite commerciale che Venezia aveva assunto col mondo orientale e
dei viaggi che viaggiatori arabi avevano compiuto anche nel nord Italia, portando con loro codici che
probabilmente avevano trovato posto nelle biblioteche italiane.

Le glorie scientifiche e letterarie musulmane si erano diffuse largamente (specie durante il regno della dinastia
abbaside) nei Paesi che si affacciavano sul Mediterraneo. Prova ne è, tra le altre, la presenza suggestiva
nella Comedìa di riferimenti a luoghi, personaggi e parole di origine araba ormai assorbite dal volgare italiano.
Ce lo dice Maria Corti, che sostiene come una delle fonti più evidenti della Comedìa sia proprio Il Libro della
Scala di Maometto (Liber Scalae Machometi in latino o Kitāb al-miʿrāj in lingua araba), tradotto in un
ambiente assai favorevole alla circolazione di testi ed idee: la corte di Alfonso X detto El Sabio (il saggio), re di
Castiglia, che fece tradurre dal medico Abraham in lingua castigliana l’opera originariamente in arabo.
PURGATORIO
Alla fine del XXXIV^ canto dell’Inferno Dante e Virgilio si trovano nella Natural Burella, sul vertice del cono
rovesciato, zona riservata al mostro a tre teste Lucifero, Dite, che rosicchia i crani dei tre traditori per
eccellenza: Bruto, Cassio e Giuda. Passano in una grotta scavata da un fiume e arrivano ai piedi di una
montagna, il Purgatorio.

Il purgatorio è il secondo regno designato da Dante nella sua opera. L’idea di Purgatorio non è un’idea originata
dal Cristianesimo, perché all’origine gli stadi a cui l’uomo era destinato una volta morto, era due: Inferno e
Paradiso, rispettamene rappresentanti il Bene e il Male. Perciò diciamo che il Purgatorio è un creazione tutta
umana. Come secondo regno vero e proprio, costruito per la purgazione e per la purificazione dei peccati, si
afferma nel 1274 con il Concilio di Lione.
Il purgatorio è un dogma medievale; in questa maniera si stabilisce un secondo regno in cui tutti i peccatori si
purificano dai loro peccati. Dante lo rappresenta come una vera e propria montagna, che è contemporaneamente
un’ isola, l’ isola che intravide Ulisse nel suo viaggio, perché si trova nell’emisfero australe, quello delle Acque.
La forma di questa montagna non è cilindrica ma conica: più si sale, più si ha più spazio, perché ci sono dei
terrazzamenti, dette cornici, che hanno come parete interna, la parete rocciosa della montagna, ma non hanno
parete esterna perché davanti è aperto.
La materia di questa montagna è la stessa dell’Inferno, è la terra, la roccia: quando Dio cacciò Lucifero,
l’angelo più bello del Paradiso dal suo regno, perché peccò di vanità e si credette più intelligente di Dio stesso,
lo scaraventò verso il centro della Terra. Si formò una voragine sotto la città di Gerusalemme poichè la Terra
per ribrezzo si ritrasse fino a formare un “buco” di forma conica, cioè l’Inferno. Tutto il materiale che in questa
caduta si spostò, si unì per formare una montagna, anch’essa conica, il Purgatorio.
La struttura di questo regno è molto simile a quella infernale, solo che è invertita.
Essa è divisa in 3 zone, in base alle categorie di peccato che raggruppa:

1- PRIMA ZONA: detta Antipurgatorio, che non rappresenta altro che una fattispecie di sala d’attesa
per le anime;
2- SECONDA ZONA: in cui vengono raggruppate ben 7 cornici di peccatori;
3- TERZA ZONA: il Paradiso Terrestre, zona in cui Dante incontrerà Beatrice e lascerà Virgilio;

Con la seconda zona si apre il vero e proprio purgatorio poiché proprio in questa parte del regno vengono puniti
i peccatori.
Ogni peccatore subisce una pena, vincolata dalla legge del contrappasso, cioè una pena uguale e contraria al
peccato commesso in vita.
- Antipurgatorio (prima zona): Nell’antipurgatorio soggiornano le anime:

a. Pigri;
b. Scomunicati;
c. Morti per violenza oppure di morte violenta;
d. E poi c’è una zona a parte, una valle in cui ci sono i principi negligenti (Valletta dei Principi
Negligenti);

Nel purgatorio ci sono quelle anime che pur essendo dannate, in quanto in vita peccarono, comunque sia nel
corso della loro vita si sono pentiti di quello che hanno fatto, chi prima e chi dopo. Per loro non esiste l’Inferno
e si trovano nel Purgatorio per purificarsi dai loro peccati. L’attenuante è il pentimento durante la vita; se non si
fossero pentiti, sarebbero andati nell’Inferno. Costoro non possono retrocedere, al massimo possono salire nel
regno dei Cieli ed è per questo che sono contenti della loro condizione perché sapranno che prima o poi
saliranno nel Paradiso. La loro è una questione di tempo, devono solo aspettare.

Pigri: I pigri sono coloro che “hanno messo tempo” nel pentimento, cioè si sono pentiti solo sul punto di morte
ed è per questo che devono attendere nell’ Antipurgatorio un tempo pari alla loro vita.

Se hanno vissuto per 50 anni, sono destinati a restare 50 anni nell’ Antipurgatorio.

Una volta scaduto questo tempo, potranno salire sulle cornici del Purgatorio, nelle zone inerenti al loro peccato.

Se sono stati superbi, salgono nella cornice dei superbi.

Scomunicati: Gli scomunicati sono coloro che in vita furono scomunicati dalla Chiesa perché andarono contro
il dogma della religione o comunque contro le regole dell’ordinamento della Chiesa.
Questi sono coloro che in vita si pentirono della loro disubbidienza oppure che furono riabilitati dalla Chiesa.
Chi è scomunicato, ma si pente, viene aiutato da Dio solo se il suo pentimento è un pentimento sincero. In
questo caso Dio è un Dio misericordioso, nel Purgatorio Dio è misericordioso.
Per Dante Dio ha due volti: Dio rappresenta il Bene, ma nell’Inferno è un Dio severo, giusto, mentre nel
Purgatorio è un Dio misericordioso, che tenta di aiutare coloro che veramente si sono pentiti di una vita
peccatrice.
Costoro dovranno stare nel Purgatorio un tempo pari a 30 anni per ogni anno di scomunica, cioè se un anima è
stata scomunicata ben 10 anni allora dovrà restare 300 anni nell’Antipurgatorio (ogni anno vale 30 anni).

30×10=300
Principi Negligenti: I principi negligenti dimorano in una valle propria (valletta dei principi negligenti).
Costoro dovranno restare nell’Antipurgatorio un tempo pari a quello dei pigri e degli scomunicati.

In questa parte del Purgatorio non c’è uno spazio definito per le anime come nell’Inferno, dove le anime, in
base al loro peccato, dimorano in cerchi, gironi o bolgie. Qui le anime non sono divise in schiere, tranne i
principi ai quali è dedicata una zona a parte.

Dante sale per l’Antipurgatorio fino alla seconda zona, dove comincia il vero e proprio ragno. Qui, sulla porta
del Purgatorio, incontra un angelo, custode del regno, che sulla fronte gli disegna sette P. La p sta per peccato.
Ogni p si cancella ogni qualvolta Dante e Virgilio salgono una cornice. Quando arriva alla terza zona, tutte le p
sono cancellate.

Quando Dante e Virgilio salgono da una cornice inferiore ad una superiore, si sentono più leggeri:
allegoricamente vuol dire che si liberano dal peccato perché si avvicinano sempre più a Dio.

Di notte non si può camminare, perché la notte rappresenta il peccato, il male; si può però andare avanti, ma
mai indietro.

Come nell’ Inferno anche qui c’è un traghettare di anime: è Catone, un angelo che, partendo dalla foce del
Tevere,dove si raggruppano le anime che si devono purificare, parte per la montagna, guidando una “navicella
leggera”.

- 2^ zona: I peccati della seconda zona, che vengono raggruppati in sette cornici, possono essere suddivisi in tre
categorie (simili a quelle infernali):

1. ANIME CHE HANNO ESPRESSO AMORE VERSO IL MALE DEL PROSSIMO, nella quale
sono raggruppati i superbi, gli invidiosi, gli iracondi.
2. ANIME DI COLORO CHE HANNO POCO AMATO DIO, cioè coloro che non hanno mostrato
molto rigore nell’amore verso Dio e tra costoro ci sono gli accidiosi, che per Dante sono coloro che in
vita non hanno avuto nessuno stimolo a fare del Bene;
3. INCONTINENTI, cioè coloro che hanno avuto un amore esagerato verso le cose terrene;

Esaminando ognuna di queste categorie, notiamo che in linea massima ogni categoria rappresenta le categorie di
peccato dell’Inferno raggruppati nel seguente schema:

1. INCONTINENZA: l’incontinente è colui che non si contiene nell’amore delle cose terrene. Dante
condanna l’abuso delle cose terrene, ma non l’uso. Esse possono essere usate ma non se ne deve
abusare, perché sono donate direttamente da Dio.
2. VIOLENZA: Dante chiama la violenza, “matta bestialitade” e a lei dedica solo un cerchio, il settimo.
3. FRAUDOLENZA: ovvero il tradimento fatto con la ragione. Il traditore che tradisce con la ragione è
doppiamente traditore, perché architetta il piano con il ragionamento. Dante dedica ai fraudolenti su
cerchi: l’ottavo e il nono.

L’ottavo cerchio è diviso in dieci malebolgie: ruffiani e seduttori, adulatori, simoniaci, indovini maghi o
streghe, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti, seminatori di discordie, falsari.
Il nono cerchio è diviso in 4 zone: Caina, Antenora, Tolomea, Giudecca.
La fraudolenza può essere suddivisa in due tipi, secondo Dante: fraudolenza “verso chi si fida” e “verso
chi non si fida”. Ciò che differenzia le due tipologie sta nel legame che si ha con la persona che si
tradisce. Secondo Dante, tra tutti gli uomini esiste un legame naturale, formatasi quando si nasce.
Quando si tradisce una persona sconosciuta, quel legame si distrugge e si pecca di tradimento. Questo è
il tradimento “verso chi non si fida”. Se poi, esiste anche un legame di amicizia, patria, fratellanza,
amore ect…, questo legame si unisce a quello naturale. Se si tradisce qualcuno con cui hai anche un
legame di fratellanza, amicizia ect…, si tradisce doppiamente (tradimento “verso chi si fida”).

Nel purgatorio queste categorie sono rovesciate: in linea massima, la prima categoria dell’Inferno corrisponde
all’ ultima del Purgatorio, la seconda rappresenta la seconda del Purgatorio, la terza, invece, la prima del
Purgatorio. E non per altro l’Inferno si apre con il cerchio dei Lussuriosi e il Purgatorio si chiude con la
medesima cornice.

- 3^zona: Dante e Virgilio arrivano alle soglie del Paradiso Terrestre dove vengono sopraggiunti da Beatrice.
Dante, superinnamorato, allestisce un carro allegorico per la rappresentazione di questo momento,
acclamandola secondo tutti i canoni dello Stilnovo. Sminuisce Virgilio, che intanto decide, all’insaputa di
Dante, di tornare nel Limbo, perciò non gli dà neanche il tempo di salutarlo. Quando Dante si accorge che
Virgilio era andato via, ci rimane male per non averlo potuto salutare.

Qualche studioso pensa che le anime nell’ Antipurgatorio (nella saletta d’attesa) una volta scaduto il loro tempo,
debbano passare prima tutte le cornici per passare al Paradiso. In realtà si pensa che le anime in attesa, una volta
il loro tempo, passano direttamente alla cornice del loro peccato.

Il purgatorio è un regno determinato che è destinato a finire quando arriverà il Giudizio Universale. Esso verrà
distrutto perché dopo il Giudizio Universale esisterà solo il Bene e il Male, il Paradiso e l’Inferno.

Con il Purgatorio c’è un recupero di:


- TEMPO;
- GIORNO E NOTTE;
- LUCE (l’ Inferno è immerso in una tenebra continua);
- SPAZIO;
- PAESAGGIO;
- COLORI;
- STAGIONI (Dante dirà che si è giunti alla primavera);

Le anime possono essere aiutate dalle persona ancora in vita sulla Terra attraverso la preghiera e il ricordo, ma
possono essere aiutate solo da coloro in grazia di Dio, quelli senza peccato (questa cosa è
chiamata SUFFRAGGIO). Attraverso il suffraggio, il loro tempo diminuisce.
Ed ecco il motivo per il quale Dante viene sopraggiunto da tante anime durante il suo cammino. Poiché è vivo,
tutte le anime gli chiedono, una volta tornato sulla Terra, di chiedere ai loro cari di ricordarli e pregare per loro.
Le anime pregano e ascoltano esempi di peccato punito misti ad esempi di virtù premiata (che queste anime non
hanno seguito). Attraverso questi esempi, l’anima si purifica.
In tutte le cornici tranne in quella dei superbi e dei golosi gli esempi non sono udibili, ma sono solo
rappresentati. Nella cornice dei superbi, gli esempi sono rappresentati in bassorilievi (quadri in rilievo) sul
pavimento oppure parete rocciosa interna della montagna.
Nella cornice dei golosi sono recitati da altri.

Il Purgatorio

La spiaggia in cui si ritrovano Virgilio e Dante fa parte di un’isola su cui si innalza la montagna del Purgatorio.
Quest’ultimo si contrappone all’Inferno in molti modi. Prima di tutto in senso fisico: alla cavità a imbuto
dell’Inferno corrisponde, nell’emisfero opposto, il monte del Purgatorio. Il secondo regno è dunque un calco
esatto del primo.

Nell’Inferno Dante scende verso il centro della Terra, verso i peccati peggiori fino a Lucifero. Nel Purgatorio
invece sale verso il cielo purgando peccati via via più lievi.

L’Inferno è il regno della dannazione e della disperazione, il Purgatorio è il regno della salvezza.

Nel Purgatorio gli spiriti purganti passano da una balza all’altra e si purificano delle tendenze peccaminose
attraverso un triplice meccanismo che comprende la pena, la preghiera, gli esempi di persone che si sono
distinte nella virtù contraria al peccato. Man mano che espiano le loro colpe, i penitenti risalgono la montagna,
fino a quando raggiungono la cima.
Più che espiare colpe si tratta d’invertire il cammino interiore: si eliminano i difetti, accendendo e accrescendo
le virtù. Si ha così un graduale passaggio dal male al bene.

PARADISO TERRESTRE

In cima al monte, ad occuparne tutta la sommità, c’è il Paradiso Terrestre. Una “divina foresta” eternamente
fiorita di tutte le varietà di piante. Qui giungono le anime del Purgatorio prima di salire
in Paradiso. Qui scorrono due fiumi: il Letè, che fa dimenticare le colpe commesse, e l’Eunoè, che fa ricordare
il bene compiuto. Dopo essersi bagnate in questi due fiumi, le anime purificate possono finalmente entrare nel
Paradiso celeste.

IMPORTANZA DEL PURGATORIO

Il peccato può essere una via di redenzione e di presa di coscienza e così il Purgatorio dà un senso ai nostri
errori ed è necessario all’evoluzione.

Alla porta del Purgatorio un angelo incide con la spada sette P sulla fronte di Dante, simboleggianti i sette
peccati capitali da cui dovrà purificarsi durante il viaggio. L’ultima P sarà cancellata dall’Angelo della Castità
davanti alla scala per il Paradiso Terrestre.

Apparizione di Beatrice e scomparsa di Virgilio

Risalendo le sponde del Leté viene verso di loro una processione mistica composta da uomini, donne e animali
che avanza nella scia di sette candelabri dorati.

La processione si arresta davanti a Dante e ai suoi compagni. Appare Beatrice, che racconta ai presenti la storia
del traviamento del suo protetto. Questi si volta verso Virgilio, ma la sua guida è scomparsa.

Il Paradiso

Giungendo nel Paradiso celeste ci si discosta nettamente da tutto ciò che è terreno: le zone visitate sono
composte da luce e aria e l’unico legame che si ha con la Terra è l’influenza che esercitano i cieli sul mondo
sottostante. Tutto è eterno ed etereo.

Le parti che compongono il Paradiso non hanno una struttura fisica e concreta perché ogni elemento è
prettamente spirituale. Nell’Inferno e nel Purgatorio i dannati e le anime avevano una sede precisa in cui
restavano puniti in eterno o in cui si fermavano per espiare un particolare peccato commesso. Nel Paradiso le
anime beate non hanno restrizione e sono ammesse a godere di ogni luogo.

Tutte le anime del Paradiso sono nell’Empireo ma compaiono nei diversi stadi per segnalare i diversi gradi di
beatitudine. Tutte le anime beate sono felici perchè la loro volontà è uguale a quella di Dio.

La struttura del Paradiso

Riallacciandosi alla cosmologia tolemaica Dante immagina che, oltre una sfera detta “sfera del fuoco”, che
divide il mondo terrestre dal Regno del Cielo, intorno alla Terra ruotino nove cieli concentrici. Questi cieli sono
composti da una sostanza detta etere (qualcosa di simile all’aria) e muovendosi brillano, emettono suoni soavi, e
riescono ad influenzare gli avvenimenti che hanno luogo sulla Terra e le persone che la abitano. I
cieli concentrici ruotano attorno alla Terra con un movimento che aumenta di intensità dal primo all’ultimo.
I primi sette cieli corrispondono ciascuno a un pianeta del Sistema solare. Oltre questi primi sette cieli ne
troviamo un ottavo, quello delle “Stelle Fisse” dove si trovano le costellazioni visibili dalla Terra. Poi c’è il
nono cielo, detto “Primo Mobile” perché è il cielo che, muovendosi per primo, trasmette il suo movimento a
tutti gli altri.

Oltre i nove cieli entriamo in un regno eterno, sterminato, che abbraccia tutto quanto esiste al di sotto di esso:
l’Empireo. Qui ha sede Dio circondato dagli angeli e dalla Rosa dei beati. In questa “Candida Rosa” risiedono
le anime del Paradiso che sono appunto candide e sono fatte di pura luce.

Il grado di beatitudine delle anime sarà da Dante espresso con un intensificarsi della luminosità e della melodia,
oltre che con il movimento diretto da Dio, “colui che tutto muove”.

Ascesa di Dante al Paradiso

Il Paradiso, che non può essere compreso attraverso la ragione ma attraverso la fede, richiede la presenza di
guide diverse da Virgilio, che appunto rappresenta la Ragione. Le nuove guide sono Beatrice e San Bernardo.

Ma come avviene l’ascesa di Dante al Paradiso Celeste?

Dante vede Beatrice volta sul fianco sinistro, verso oriente, con lo sguardo fisso nel sole. Così il poeta, che con
gli occhi ha seguito il gesto di Beatrice e lo ha impresso nella sua mente, lo ripete e alza lo sguardo verso il sole,
mantenendolo per un tempo maggiore di quanto un uomo normalmente possa sopportare.

L’immagine di Beatrice che fissa gli occhi nel disco solare ci fa capire, dunque, che siamo alle soglie di un
mondo e di un’esperienza dove nulla ormai funzionerà come siamo abituati noi a vedere sulla terra o anche
nell’Inferno e nel Purgatorio.

L’ASCESA DEL POETA AL PARADISO

Successivamente Dante ha la sensazione di una luce così intensa che un altro sole, per opera di Dio, pare essersi
aggiunto al primo. Il poeta si sta progressivamente avvicinando alla sfera della luce, sta oltrepassando la sfera
del fuoco verso il Paradiso celeste. L’immagine del progressivo crescere dello splendore e del fuoco, che
sembra nascere dai raggi del sole, segna l’ascesa del poeta dalla terra del Paradiso terrestre al cielo della Luna.
L’intensificarsi della luce segna cioè il passaggio attraverso la sfera del fuoco che delimita il confine tra il
mondo corruttibile e imperfetto e il mondo perfetto e incorruttibile della sfera celeste.

L’ascesa comporta l’atto di tenere lo sguardo fisso nel sole. Questa è una condizione che Dante non può
sostenere a lungo, benché sia riuscito a percepire l’intensità di tale luce in misura maggiore rispetto alle normali
potenzialità umane. Non potendo continuare a fissare la luce, Dante usa gli occhi di Beatrice come uno
specchio. Egli contempla la luce del Paradiso celeste attraverso gli occhi di Beatrice.

L’immagine evidenzia il ruolo di Beatrice nell’ultima parte del viaggio. In quanto rivelazione divina, essa
costituisce il tramite fondamentale tra Dio e l’uomo.

IL TRASUMANAR (O IL TRANSPERSONALE?)

Dante tenta di descrivere con le povere parole degli uomini una sorta di metamorfosi interiore la cui natura è
conoscibile fino in fondo solo ai beati, coloro che avranno la fortuna di sedere in Paradiso a contemplare la
grazia divina.
Questa metamorfosi spirituale e divina è indicata con il neologismo trasumanar, che letteralmente significa
“andare oltre l’umano”. Per descrivere un’esperienza così oltre l’umano, oltre la normalità, come quella del
Paradiso, non ci sono parole.

Dante non si accorge dello stacco da terra, non si accorge materialmente del volo graduale che sta compiendo
dal Paradiso terrestre alla sfera del fuoco e di qui al cielo della Luna. La sua metamorfosi, il suo cambiamento è
solo interiore. In termini psicosintetici c’è un progressivo aumento di coscienza che caratterizza la psicosintesi
transpersonale, che va oltre la “persona”.

La prima esperienza del Divino

La prima esperienza che Dante ha del Paradiso è duplice, è fatta di suono e di luce. In primo luogo percepisce
l’armonia divina, la musica delle sfere celesti, accordata e regolata da quel supremo direttore d’orchestra che è
Dio stesso. La seconda è la sensazione che il sole dilaghi improvvisamente per tutta l’estensione del cielo, come
un’alluvione di luce.

Beatrice guida il poeta fino al momento prima di vedere Dio, quando interverrà San Bernardo di Chiaravalle.
Mentre Beatrice è maestra di filosofia e teologia, San Bernardo si presenta a Dante come un padre amorevole, e
intercede per lui con la Vergine attraverso la preghiera.

La fede in questa guida comporta un abbandono totale alla visione della divinità: non c’è più riflessione
teologica o filosofica intorno al divino ma solo contemplazione e abbandono.

Dante, spiega Bernardo a Maria, è giunto all’Empireo dal profondo dell’Inferno e ha visto lo stato delle anime
dopo la morte, quindi la supplica di concedergli la virtù sufficiente per figgere lo sguardo nella mente di Dio. Il
santo prega Maria affinché gli venga concesso questo dono, che egli desidera per Dante più di quanto l’abbia
mai bramato per sé, e chiede alla Vergine di dissipare ogni velo che offusca gli occhi mortali del poeta. La
implora infine di conservare intatti i sensi di Dante dopo una tale visione e la invita ad accogliere la sua
preghiera alla quale si uniscono idealmente tutti i beati della rosa, inclusa Beatrice.

La visione del divino

Maria tiene il suo sguardo fisso in quello di san Bernardo, dimostrando così di accogliere la sua preghiera, poi
lo rivolge alla luce di Dio, nella quale solo lei può addentrarsi con tanta chiarezza.

Dante si avvicina al compimento di tutti i suoi desideri, cosicché consuma in sé tutto il proprio ardore, mentre
Bernardo con un cenno e un sorriso lo esorta a guardare in alto. La vista di Dante, diventando via via più chiara,
si inoltra nella luce divina e da quel momento in poi la visione del poeta è tale che il linguaggio è insufficiente a
esprimerla, così come anche la memoria non è in grado di ricordarla pienamente.

Il poeta è simile a colui che sogna e, al risveglio, non ricorda nulla pur conservando nell’animo una forte
impressione, in quanto egli ha dimenticato quasi tutta la sua visione e conserva in cuore la dolcezza infinita che
essa gli provocò.

Dante guarda nella mente divina

Gli elementi centrali della seconda parte del Canto sono da un lato il tentativo quasi vano da parte di Dante di
richiamare alla memoria ciò che ha visto e che eccede totalmente le capacità del suo intelletto dall’altro il
tentativo altrettanto arduo di tradurre in parole umane, coi poveri mezzi della sua arte poetica, la profondità
della visione.
Dante figge dunque lo sguardo nella mente di Dio. Il poeta acquista coraggio per sostenere quella straordinaria
visione e addentra così il suo sguardo nell’infinito, spingendo la vista alle sue possibilità estreme. Vede nella
mente divina tutto l’Universo legato in un volume, sostanze, accidenti e i loro rapporti uniti insieme. Dio è una
mente creativa che tutto crea e tutto armonizza in modo perfetto. Dio è un’intelligenza. Scorge l’essenza divina
che unifica in un tutto armonico le cose create. Questa “intuizione”gli ha procurato una gioia che mai più
dimenticherà. Maslow l’avrebbe chiamata un'”esperienza di vetta”.

Dante continua a tenere lo sguardo fisso nella luce divina, essendo impossibile volgere gli occhi altrove, poiché
tutto il bene possibile è racchiuso in essa e ciò che lì è perfetto al di fuori è difettoso. Ormai ciò che riferirà della
visione sarà meno di quanto potrebbe dire un bambino che sia ancora allattato dalla madre. E’ impossibile da
descrivere.

La gloria di colui che tutto move


per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nel ciel che più de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende;
perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire.
Veramente quant’io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro,
sarà ora materia del mio canto.

RIVELAZIONI DEI MISTERI

La viva luce che Dante osserva è sempre uguale a se stessa, tuttavia è Dante a cambiare dentro di sé man mano
che la sua vista si accresce. All’interno di essa egli intuisce tre cerchi, delle stesse dimensioni e di colori diversi
(la Trinità). Il secondo cerchio (il Figlio) sembra il riflesso del primo (il Padre), come un arcobaleno che ne crea
un altro. Il terzo (lo Spirito Santo) è come una fiamma che spira ugualmente dai primi due.

Il linguaggio di Dante è del tutto insufficiente a esprimere la propria visione, e questa, in rapporto all’essenza
della Trinità, è davvero un nulla: egli ha visto la luce eterna che trova fondamento in se stessa, si comprende da
sé e, compresa da se stessa, arde d’amore.

Nell’ulteriore esclamazione estatica del poeta: “O Luce eterna che sola in te risiedi, sola ti comprendi e da te
sei compresa, e comprendendoti ti ami e arridi!” abbiamo un ribadire del concetto di Dio unico e trino, in
quanto Dio in se stesso solo risiede, e in quanto comprende è il Padre, in quanto è compreso è il Figlio, mentre
l’amore che spira da esso, da se stesso, è lo Spirito Santo.

IL MISTERO DELL’INCARNAZIONE

Dante si sofferma ad osservare il secondo cerchio (il Figlio), che sembra il riflesso del primo, e gli pare di
vedere al suo interno l’immagine umana, dello stesso colore del cerchio e, tuttavia, perfettamente visibile. Il
poeta si sente simile allo studioso di geometria, che cerca in ogni modo di risolver il problema della quadratura
del cerchio e non vi riesce perché gli manca un elemento fondamentale. Anche lui cerca di capire quale sia il
rapporto tra l’immagine e il cerchio, benché le sue sole forze siano insufficienti.

Egli cerca di penetrare nel mistero dell’incarnazione con lo strumento della ragione (di qui la similitudine con il
matematico che tenta di risolvere un problema di geometria) e capire come in Cristo possano essere compresenti
natura umana e natura divina (rappresentate dall’immagine del quadrato e dalla circonferenza in cui è inscritto).
Tuttavia questo non è possibile, per i limiti stessi della ragione umana. Vi è una tensione continua tra
l’abbandono mistico, proprio della fede, e lo sforzo razionale di comprendere il mistero di Dio.

FOLGORAZIONE E SUPREMO APPAGAMENTO DI DANTE

Dante riconosce la propria incapacità a comprendere il mistero dell’Incarnazione del divino nell’umano. Mentre
tenta invano di capirla, viene illuminato dalla Grazia di Dio che folgorandolo gli permette di comprendere
finalmente.

Questa sorta di folgorazione che investe il poeta è il mezzo attraverso cui l’oggetto del suo desiderio, cioè la
conoscenza di Dio, gli viene incontro. In seguito a questo improvviso bagliore, il desiderio di sapere viene
soddisfatto. Ma quest’ultimo punto è davvero totalmente indicibile, e il poema si chiude così con l’espressione
del poeta il cui desiderio di conoscenza è stato placato nell’armonia universale di Dio. L’illuminazione, in una
sorta di rapimento mistico, appaga il suo desiderio. Alla sua immaginazione ora mancano le forze, tuttavia
l’amore divino ha ormai placato la sua volontà di conoscere, muovendola come una ruota che si muove in modo
regolare e uniforme, nella perfetta armonia del Tutto.

La fine del viaggio

Dante si trova a essere in perfetta armonia intellettiva e affettiva con Dio (desiderio e volontà coincidono con
quelle di Dio). Infatti Dio, motore del cosmo, l’amor che move il sole e le altre stelle, armonizza il desiderio di
Dante, la sua sete intellettuale di conoscenza, con la sua Volontà, in un movimento circolare il cui moto è
uguale in ogni punto, come in una ruota.

In Dio, Amore, Luce e Volontà sono sintetizzati in una cosa sola.

Nella celebrazione di Dio come supremo amore e nel riconoscimento di essere parte dell’ordine da lui voluto, il
viaggio di Dante si può dire concluso.

Il poema può allora chiudersi con la solenne dichiarazione del compimento del desiderio di conoscenza da parte
del poeta, che trae origine non dall’acume del suo intelletto ma dall’atto di grazia che gli è stato concesso
dall’amore divino.

La psicosintesi transpersonale è stata compiuta. L’io personale ha incontrato il Sè, il cammino verso il Sè si è
concluso sia per il desiderio dell’Io di ascendere verso il Sè, sia per un atto d’amore del Sè di andare incontro
all’Io in una reciproca attrazione amorevole. La Volontà dell’Io si è fusa con la Volontà del Sé e questo ha
costituito la beatitudine dell’Io. In Dio Volontà e Potere sono tutt’uno. In Dio si realizza tutto ciò che è Voluto.
Dio è Amorevole Volontà e Potere, intelligenza che muove tutto l’Universo. La beatitudine è l’esperienza
dell’appartenenza al moto amorevole, armonioso ed eterno dell’Amorevole Volontà Divina.

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