INTRODUZIONE
Filologia deriva tramite il latino dal greco e significa ‘amore per la parola’, ‘amore per il discorso’ e si
riferisce alla parola scritta, testi brevi o lunghi conservati nell’Europa occidentale medievale e moderna su
pergamena o su carta.
Critica del testo (detta ecdotica): metodi e tecniche volti all’edizione di testi soprattutto letterari: impresa
che richiede competenze specifiche.
Originale: termine col quale si designa il testo autentico corrispondente alla volontà dell’autore, che può
essere scritto dall’autore stesso (autografo), sotto sua sorveglianza (idiografo) o un’edizione a stampa da
lui controllata e approvata.
Testimoni: sono copie al cui allestimento l’autore è rimasto estraneo, l’originale non c’è più. Costatando
l’attendibilità di questi testimoni si riesce a produrre un’edizione critica che significa formulare un’ipotesi
criticamente fondata (deve obbedire a regole ben definite ed esplicite e deve essere articolata distinguendo
al suo interno eventuali diversi gradi di probabilità) su com’era l’originale perduto.
Nell’arco di più di un secolo e mezzo si è venuto perfezionando il metodo di Lachmann dai tempi di Karl
Lachmann che per la fase attuale si parla di neolachmannismo. Altre edizioni critiche di tipo diverso sono
necessarie anche quando l’originale è giunto fino a noi, per riprodurre fedelmente dobbiamo adottare
norme rigide e uniformi ma in parte anche flessibili ovvero adattabili alle caratteristiche individuali di
ciascun testo.
Edizione genetica (o storico critica): comprende l’originale, sia varianti e stesure precedenti attribuibili
all’autore come quelle conservate in manoscritti autografi.
Esistono varianti d’autore a stampa, frutto di interventi dell’autore durante la composizione tipografica
della sua stessa opera come, per esempio, i Promessi Sposi del 1840-42. Non basta riprodurre con fedeltà
un esemplare qualsiasi, tra esemplari ci possono essere differenze di ortografia, punteggiatura e di lessico,
dovute al fatto che Manzoni intervenne durante la tiratura (ristampa) del romanzo: fece introdurre
modifiche nei piombi di fogli in parte già stampati, causando che fogli vecchi e fogli nuovi rilegati
mescolandoli in modo casuale, produssero esemplari non identici. Per sistemare la cosa, occorre
confrontare quanti più esemplari e trovare il modo di stabilire la cronologia relativa delle varianti, arrivando
così a costruire il testo corrispondente nei minimi dettagli grafici e linguistici all’ultima volontà di Manzoni.
Filologo: ha il compito di salvaguardare ed eventualmente di restaurare i testi nella loro integrità anche
formale.
CAPITOLO 1: MANOSCRITTI E STAMPE
VOLUME: in latino volumen, da volvere “avvolgere”, designava il rotolo di papiro avvolto mantenendo
all’interno la parte scritta in protezione.
LIBRO: con il diffondersi del materiale duttile scrittorio, la pergamena, si passò in età romana al libro nella
sua forma moderna.
CODICE (cod o codd plurale): nel linguaggio filologico è sinonimo di libro antico manoscritto.
Prima dell’invenzione della stampa a caratteri mobili, non c’era ragione di specificare che un libro era
scritto a mano, la distinzione diventa poi necessaria e manoscritto finisce con il significare, in contrario a
stampa il libro manoscritto (ms, mss). I manoscritti in tale senso ristretto diventano rari nell’Età Moderna,
mentre i manoscritti in senso generico continuano ancora ad esistere e noi stessi li continuiamo a
produrne.
La stampa a caratteri mobili era capace di produrre infinite combinazioni e fu inventata da Johannes
Gutenberg, inaugurata stampando una Bibbia con i caratteri metallici detti piombi. Prelevati da appositi
cassettini, si formavano le parole, le righe e le pagine del libro di cui si era programmata l’edizione. Le
pagine tenute insieme da un telaio metallico bloccato con cunei di legno costituivano la forma tipografica
che veniva inchiostrata e impressa con il torchio sul primo lato che era chiamato recto di un foglio di carta,
dopo che si asciugava l’inchiostro si andava sul secondo lato che era chiamato verso dove veniva impressa
un’altra forma. La disposizione era studiata in modo che piegando e tagliando i fogli per formare un
fascicolo, la successione delle pagine fosse quella giusta.
I tedeschi furono i primi tipografi, quest’arte si diffuse e alla fine del Quattrocento già trovò maestri
eccezionali. Prima di questa grande rivoluzione sul piano economico e sociale, un amanuense produceva
copie imperfette per colpa della stanchezza e una stessa persona produceva più copie diverse dalle altre
ereditando errori. Invece, grazie la stampa a caratteri mobili metallici diventò possibile produrre milioni di
copie identiche. Però anche questo metodo poteva avere degli sbandi, era possibile anche qui che qualche
diversità si produca tra esemplari a stampa della stressa opera, dettati da due punti:
1) Qualora venga turbato il lineare processo tipografico, rottura accidentale di una o più forme o al
fine di introdurre modifiche volute dall’autore.
2) Il punto di partenza cioè la forma tipografica che altro non è che una copia eseguita a partire da un
manoscritto o da una precedente edizione a stampa.
Alcuni esempi di errori: il compositore che preleva un carattere dal cassettino sbagliato, il carattere che
viene inserito capovolto per cui una parola come bere diventa pere.
La pergamena è costosa, resiste all’abrasione e al lavaggio e può essere riusata producendo il palinsesto.
PALINSESTO: dal greco raschiato di nuovo, che con particolari tecniche si arriva a leggere la scrittura
originaria che sta sotto (scriptio inferior).
FRAMMENTI o MACULATURE: per proteggere i libri veniva usava la pergamena ed era frequente l’utilizzo
di pezzi già scritti non considerati più interessanti, ma dobbiamo stare attenti perché questi frammenti
adesso potrebbero essere per noi interessantissimi.
CARTA: latino charta, designava in modo generico la superficie sottile sulla quale si scriveva a prescindere
dal materiale, ancora oggi si contano le carte di un codice anche se si tratta di pergamena. Il termine passa
poi a designare la carta nel senso moderno della parola inventata dai Cinesi e diffusa in occidente dagli
Arabi nel dodicesimo secolo.
Il suo successo fu contrastato sia per giudizi religiosi ma pareva anche troppo fragile per contenere
documenti pubblici. Alla fine del Duecento però il suo successo fu assicurato e in Italia nacquero i più attivi
centri di produzione.
La pasta per la carta è ottenuta fino al tardo Settecento (quando si comincia a usare la cellulosa del legno)
da stracci macerati, viene stesa su un telaio con fili di ottone: vergelle e filoni che lasciano filtrare l’acqua.
Poi asciugata, pressata e levigata la carta entra in commercio e della fabbrica di provenienza reca un
simbolo caratteristico (in forme diverse come croce o stella) impresso con un filo metallico sulla pasta
ancora molle: la filigrana.
Per scrivere su carta si passa dal calamus (cannuccia aguzza) alla penna di volatile, sostituita poi da
strumenti metallici. L’inchiostro nero conteneva sali minerali che persistono sulla carta anche quando il
colore scompare perché riflettono la luce ultravioletta quindi illuminandole con l’apposita lampada è
possibile recuperare una scrittura apparentemente svanita.
L’inchiostro di altri colori invece si usava per dare spicco a lettere iniziali ovvero la capilettera, titoli di
capitoli e parti del testo che vengono chiamate rubriche (rubricare, rubricatore dal latino ruber ‘rosso’).
L’amanuense lascia uno spazio vuoto per l’intervento del rubricatore, indicando con la letterina guida
l’iniziale che dovrà essere rubricata o miniata (decorata).
Tutto questo però non sempre veniva eseguito, lo spazio restava vuoto e ad esempio in un testo poetico la
O vocativo iniziale omessa per colpa del rubricatore dà luogo a un verso con una sillaba in meno.
Si parte dal foglio rettangolare e di uguale misura, piegati a metà e inseriti l’uno nell’altro, costituiscono fascicoli
di varia consistenza. (quaderno come misura standard oltre al quaternione si usa anche nel senso generale di
fascicolo).
Moltiplicando il singolo foglio piegato (bifolio), si ha il duerno di due fogli piegati, ternione di tre, quaternione di
quattro, quinterno di cinque e così via.
Un codice è formato da fascicoli tutti di carta o tutti da pergamena ma nel caso che siano stati messi insieme
fascicoli di materiali diversi si ha un codice misto.
Le dimensioni dei fascicoli si misurano in centimetri o in millimetri, per la consistenza l’unità di misura è la carta.
Noi oggi numeriamo la carta con la paginazione, l’uso antico fino alle prime stampe è di numerare per
cartulazione. Es= un libro di 20 fogli corrispondente a 40 carte sarà in termini moderni 80 pagine.
SPECCHIO: spazio entro il quale doveva essere contenuta la scrittura, veniva delimitato e rigato a secco oppure
con una punta di piombo.
La scrittura procedeva per ciascun fascicolo a fogli separati: a partire dal foglio esterno si riempiva solo la metà
sinistra sul recto e sul verso fino al foglio interno centrale col quale iniziava il completamento della metà destra,
in progressione inversa fino al foglio esterno.
Gli amanuensi sul verso dell’ultima carta di un fascicolo usavano scrivere come richiamo la parola iniziale del
fascicolo successivo così l’ordine poteva essere controllato e ripristinato nel caso di spostamenti.
Una volta finito, l’insieme dei fascicoli venivano protetti di carte guardia bianche, cioè rilegato, che ora
purtroppo molto spesso vengono sostituite per altre più recenti per motivi di gusto, abolendo in alcuni alcune
note.
PIATTI: copertine rigide unite dal dorso che talvolta contenevano note di possesso o scritture di vario genere.
RACCOGLITICCIO: codice formato mediante aggregazione di carte sciolte, frammenti sforbiciati e incollati. Es.
autografi di Leonardo da Vinci
4) AMANUENSI, COPISTI
Due tipi di copisti: per lavoro, per passione. Il primo motivato per ragioni economiche, il secondo per interesse
che può correggerlo e migliorarlo.
COPIA DI SERVIZIO: l’autore stesso che copia una sua opera per donarla a un amico o per uso privato.
CONTAMINAZIONE: quando l’amanuense integra, migliora e corregge un codice. Il committente potrà essere
soddisfatto ma non il filologo che incontrerà seri ostacoli nel risalire dalle copie al testo originale voluto
dall’autore.
COLLETTORE DI VARIANTI: annotazioni a margine di altri codici che una volta trascritte e integrate nel testo
generano contaminazione.
5) LE SCRITTURE ANTICHE
Parlando di scritture antiche, dobbiamo pensare a un’esigua minoranza sia di produttori e sia di
consumatori per l’alto tasso di analfabetismo.
Nel mondo di oggi ognuno di noi ha una calligrafia diversa mentre durante il Medioevo quelli che in un dato
periodo e in territorio erano capaci di scrivere lo facevano con omogeneità, al massimo, potevano nascere
diversificazioni tra gruppi professionali in rapporto all’uso funzionalmente diverso che della scrittura
facevano, ad esempio: amanuensi per mestiere, mercanti o notai di cancelleria.
ALFABETO MAIUSCOLO E MINUSCOLO: maiuscolo è quando le lettere occupano lo spazio intermedio tra
due righe orizzontali parallele. (A,B,C,D) invece minuscolo è quando le lettere rientrano in uno schema a
quattro righe occupando la fascia centrale e giungendo solo con aste e occhielli a toccare l’una o l’altra riga
esterna. (a,b,c,d)
Di tipo maiuscolo era l’alfabeto latino classico usato nelle epigrafi con caratteri molto simili ai nostri
(A,B,C,D) che furono dette capitali perché l’uso si restrinse a singole iniziali di capita (capitoli), paragrafi e
sezioni.
SCRITTURA CAROLINA: Ci fu una disgregazione dell’Impero Romano e lo sfaldamento della scrittura latina
ma quando Carlo Magno appoggiò il restauro della lingua, dell’ortografia e delle forme grafiche latine si
diede luogo a una nuova scrittura chiamata carolina. Era una scrittura minuscola e simile ai nostri attuali
libri di stampa. La ‘u’ con valore sia consonantico che vocalico è un uso antico usato sino al Seicento. Nei
libri la carolina comprendeva una varietà più accurata mentre nei documenti una varietà corsiva.
Tra il XI e il XII quest’opposizione si irrigidì: nella varietà libraria il tratto rotondeggiante divenne spigoloso
(taglio obliquo della penna) generando la LITTERA TEXTUALIS destinata ai testi, mentre nei documenti si
sviluppa la MINUSCOLA CANCELLERESCA che fu considerata barbara e definita gotica usata ancora oggi in
Francia e Germania. In Italia la gotica ebbe forme più rotondeggianti.
All’inizio del Quattrocento ci fu il desiderio di restaurare la cultura classica che portò all’imitazione della
scrittura usata nei codici antichi, dando nascita alla scrittura umanistica con due tipi:
Si diffuse negli ambienti dell’alta cultura letteraria italiana, diventando modello per i caratteri tipografici.
Ecco perché ancora oggi è sotto ai nostri occhi quando leggiamo un libro.
I testi antichi hanno criteri diversi dagli attuali di segni diacritici, lettere maiuscole, separazione delle parole
e nell’uso. Soprattutto usavano la forma abbreviata di alcune parole comuni sia per risparmiare spazio
riducendo i costi per la pergamena o per la carta, sia per scrivere più rapidamente. Es. parola come tanto si
poteva ridurre a tato.
PALEOGRAFIA LATINA: è una disciplina che studia dal punto di vista grafico le scritture antiche che usano
alfabeti di tipo latino: tali sono la gotica, minuscola cancelleresca e l’umanistica.
6) DAL MANOSCRITTO ALLA STAMPA
All’inizio il libro a stampa non ha sostituito il manoscritto, infatti, si incontravano manoscritti copiati da
stampe e queste ultime erano oggetto di disdegno. Gli amanuensi furono man mano assorbiti dall’industria
tipografica. Poco meno della metà dei libri stampati in Europa resta di argomento religioso.
INCUNABOLI: libri pubblicati entro l’anno 1500 compreso, dal latino incunabula, -orum ‘fasce dei neonati’ e
quindi infanzia, principio, origine.
Non è detto che le stampe siano meno importanti solo perché di solito sono più recenti.
EDITIONES PRINCIPES: prime stampe che riproducono manoscritti antichi che non si sono conservati.
RECENTIORES NON DETERIORES: testimoni più tardi che non sono in quanto tali peggiori di altri.
I tipografi intervenivano in corso d’opera, per correggere i loro errori e per ricomporre forme slegatesi a
seguito di una rottura del telaio, una forma ricomposta molto difficilmente riusciva in tutto identica alla
precedente.
Esistendo per una o più pagine, stati successivi del testo, si hanno esemplari d’una stessa edizione l’uno
differente dall’altro. Capitava che venisse modificato il frontespizio e cambiata la dedica, in modo da
mettere in vendita residui di magazzino spacciandoli per novità, non viene chiamata nuova edizione
dell’opera ma di nuova emissione della stessa edizione. Le diversità possono essere accidentali o
volontariamente introdotte durante le fasi della stampa.
Disponendo della fotocopia trasparente di un esemplare e sovrapponendola a ciascuno degli altri esemplari
è possibile individuare all’istante le varianti: ciò che è stato soppresso cancelladum e ciò che ha preso il suo
posto cancellans.
Textual bibliography: studio sistematico dei libri a stampa sviluppata soprattutto da studiosi anglosassoni.
7) ARCHIVI E BIBLIOTECHE
ARCHIVIO: raccoglie il sedimento scritto di archivi di famiglia, di Comuni, di Stati, di confraternite, imprese
commerciali che sono caratterizzati dall’assoluto predominio di pezzi unici, consistenti spesso in una carta
sé stante come testamenti, contratti e lettere o in registri che del libro hanno soltanto la forma esterna.
Esistono archivi di Stato, archivi pubblici nei siti internet e archivi privati ad esempio quelli ecclesiastici.
Sono importanti perché le prime testimonianze di scritture nei volgari italiani sono infatti spesso di
carattere documentario, legate al mondo degli affari.
BIBLIOTECA: libro vero e proprio, sedimento di opere letterarie, scientifiche, giuridiche, religiose prodotte
da un’attività creativa individuale autonoma e autosufficiente.
La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma e quella di Firenze sono le sole abilitate all’esercizio del diritto di
stampa, cioè a ricevere un esemplare di ogni pubblicazione effettuata entro il territorio italiano.
7) CITAZIONE E SIGLATURA
I manoscritti vengono citati con la sede dove si trovano adesso, il fondo particolare della biblioteca cui
appartengono, la loro segnatura numerica, alfabetica, mista e anche precedenti collocazioni. Esempio:
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Banco Rari 217, già Palatino 418.
Le sigle sono necessarie quando nel corso di studi preparatori e di edizioni si deve fare continuo riferimento
a manoscritti e stampe quali testimoni della tradizione.
Karl Bartsch introdusse con l’edizione di Peire Vidal del 1857 l’uso di lettere maiuscole per i manoscritti
pergamenacei e di minuscole per i cartacei.
La sigla deve essere in quanto tale breve ma non arbitraria, in modo tale che un occhio esperto possa
interpretarla senza difficoltà e senza dover ricorrere a tavole di corrispondenza.
APOGRAFO: prima copia derivata dall’originale che tende ormai a diventare sinonimo di copia generale.
ESEMPLARE: copia che serve da modello ma anche nel senso di copia in genere senza specificazioni.
I testimoni testimoniano com’era il testo prodotto dall’autore, nel loro insieme costituiscono la
TRADIZIONE dell’opera perché sono loro che l’hanno trasmessa fino al giorno d’oggi.
LEZIONE: passo del testo o tutto il testo come compare in un determinato testimone o nell’originale.
TRADIZIONE INDIRETTA: costituita da eventuali traduzioni o da citazioni all’interno di un’altra opera. Es. la
tradizione del Milione di Marco Polo è costituita in larga misura da traduzioni in volgari italiani.
Parlando di manoscritti originale e autografo non sono sinonimi. Del Canzoniere di Petrarca abbiamo
l’originale ma esso è solo in parte autografo, perché lo ha scritto di più Giovanni Malpaghini. Però non c’è
nessun dubbio che si parli di originale perché Petrarca sorvegliava il lavoro di Malpaghini e il l’opera
rappresenta il volere dell’autore. Quindi è un originale in parte autografo e in parte idiografo.
ORIGINALE AUTOGRAFO VS ORIGINALE A STAMPA: il primo è mano dell’autore, il secondo per quanto
sorvegliato e autorizzato è un particolare tipo di copia che presenta difetti normali delle copie e spesso
vittima della leggerezza di molti tipografi-editori.
Alcuni testimoni rispetto all’originale perduto sono scritti molto tardamente e i filologi lavorano sulle copie
come, ad esempio, per la letteratura greca e latina, è IMPRUDENTE considerarli meno autorevoli perché un
testimone più antico potrebbe essere copia di copia di copia e avere ereditato alterazioni in quantità
maggiore rispetto a un testimone più giovane.
2) ERRORI E VARIANTI
Parole scritte in modo impreciso che possono commettere sia gli amanuensi che gli autori stessi:
APOGLAFIA: statale ridotto a stale, omissione, da parte del copista, di una parola o gruppo di lettere
immediatamente successive a una parola o gruppo uguale.
DITTOGRAFIA: sperare diventa sperperare, l'errata ripetizione di una parola o di un gruppo di lettere da
parte dell'amanuense.
Copiando si introducono alterazioni sul piano della forma modificando la veste grafica, fonetica o
morfologica di una parola ma anche sul piano della sostanza sostituendo una parola con un’altra.
VARIANTI: quando non è evidente dove stia l’errore. una lezione alternativa, che non pregiudica il senso e
la grammatica del testo (può avere efficacia sulla qualità stilistica). Sulle varianti va fatta una riflessione
critica che porti ad una scelta da parte dell’editore.
ERRORI PALEOGRAFICI: errori puramente ottici consistenti nella confusione tra segni diversi ma di forma
simile.
LETTURA SINTETICA: quando si leggono attentamente solo le prime lettere di una parola e per il resto si
tira ad indovinare.
OMEOARCHIA: scambio tra parole che iniziano allo stesso modo, tradizione diventa traduzione.
LECTIO DIFFICILIOR: nell’edizione critica di un testo , variante che , fra due tramandate , è più rara e difficile
e perciò probabilmente autentica.
OMOTELEUTO: salto dallo stesso allo stesso, può capitare che la stessa parola sia più avanti e che il copista
riprenda a scrivere da lì, saltando il testo e creando lacuna. E’ più raro il salto indietro che comporta una
ripetizione.
AUTODETTATURA: dal punto di vista fonetico crea un ibrido, ad esempio, i componimenti della Scuola
poetica siciliana sono arrivati a noi in varia misura toscanizzati.
3) TIPI DI ERRORE
CONCIERI: quando si aggiusta un errore, sono errori però anche questi e sono ben mimetizzati, si corre il
rischio di promuoverli a lezione originaria in buona fede ma si rischia di guastare la creazione primitiva del
testo.
ERRORE POLIGENETICO: quando due o più copisti cadano nell’errore in modo indipendente l’uno dall’altro.
(poligenesi)
Sono poligenetici l’omissione di segni abbreviativi, banali sviste, lacune di salto testo. Esistono anche errori
d’autore costatati negli originali e soprattutto poligenetici.
ERRORE MONOGENETICO: quando un errore prodotto una sola volta (monogenesi) viene ereditato da altri
per copiatura.
ERRORI POLARI: alterazioni che coinvolgono il senso di un verso. scrivere una parola di significato opposto.
Una scrittura ben nota e personalissima permette di risolvere rapidamente il problema dei falsi ma ad
esempio nel caso di Dante non è così perché il modo di scrivere è documentato poco.
DATAZIONE: la perizia paleografica interagisce con l’esame del colorito linguistico, la filigrana, rilegatura,
eventuali miniature. Spesso occorre accontentarsi di un modesto di approssimazione ad esempio (inizio
sec. XIV ecc.)
Studiare la storia della tradizione di un’opera letteraria significa identificare amanuensi, committenti,
proprietari, lettori così dando un contributo alla conoscenza delle vicende culturali in ambienti e periodi
determinati. La ricerca filologica diventa ricerca storica.
TRADIZIONE CARATTERIZZATA: si fa riferimento allo studio delle copie in quanto strumenti per la
ricostruzione criticamente fondata dell’originale perduto. (Vale a dire lo studio di una tradizione
manoscritta fine a sé stessa)
1) TESTIMONE UNICO
Molti nostri testi di letteratura sono conservati in copia da un unico e prezioso testimone manoscritto.
Di edizione critica si parla anche in presenza di testimone unico, una volta che non ci si limita a riprodurlo e
a interpretarlo ma si intervenga con CONGETTURE cioè ricostruendo la lezione originaria là dove ci sia
ragione di ritenere che il testimone se ne sia discostato.
EDIZIONE DIPLOMATICA: priva di adeguamenti dell’uso attuale, al posto dei segni di abbreviazione si
introducono segni corrispondenti tra parentesi tonde. Ad esempio, p(er) comporta che nel manoscritto si
trovi non per ma una p con asta intersecata da lineetta orizzontale. Riproduce con massima fedeltà
mettendo a disposizione la semplice lettura paleografica che è la prima tappa d’ogni lavoro editoriale. La
trascrizione diplomatica, quindi, può essere integrata da segni speciale e note descrittive e tende a fornire
un referto obiettivo su ciò che si vede separando lettura e interpretazione, evitando che l’interpretazione
influenzi la lettura suggerendo lezioni buone dal punto di vista semantico ma inesatte dal punto di vista
paleografico.
2) PLURALITA’ DI TESTIMONI
Alcune volte capita che ci siano giunti non originali ma una o diverse copie.
LAVORO DEL FILOLOGO AGEVOLE: agevole quando tutti e tre concordano e non c’è bisogno di dubitare se
sia fedele o meno all’originale indicato con O.
NON AGEVOLE: quando in qualche punto la concordia dei testimoni non c’è e quindi il filologo deve
sceglierne uno, difficile se A,B,C presentano nello stesso punto lezioni diverse ma nessuna erronea.
(varianti)
Anche se una variante, ad esempio, di A e B è maggioritaria rispetto a C non dobbiamo preferirla, dobbiamo
rivolgerci al STEMMA CODICUM: rappresentazione grafica, in forma ramificata, del percorso che
dall'archetipo porta ai testimoni di un testo. Ovvero, bisogna costruire una genealogia.
METODO DI LACHMANN
d) eliminatio codicum descriptorum (eliminazione dei testimoni copiati [descripti] da altri conservati)
l'archetipo in base alla legge della maggioranza→ b) se non abbiamo un stemma codicum congetturare la
lezione originaria dell’archetipo
Serve per scegliere in modo meccanico tra le varianti attraverso lo stemma codicum la lezione genuina
→ Se la maggioranza dei testimoni diretti dall’archetipo reca una medesima lezione essa rappresenta con
ogni probabilità quella presente nell’originale
stemmi bipartiti
qualora tutte le lezioni dei discendenti diretti dall’archetipo differiscano
La prima tappa consiste nella recensione dei testimoni (recensio): se ne fa il censimento e si procede al loro
confronto a definire i rapporti reciproci. Vengono fuori delle prove: se uno copia l’altro, datazione,
inversioni di fascicoli ecc.
Poi la collazione, cioè il confronto testuale mostra fra i testimoni identità e differenze. Le identità ampie
consentono ipotesi compatibile con dati esterni, tra cui la cronologia relativa dei testimoni.
ERRORI GUIDA: capaci di guidare il filologo nel separare o nel congiungere testimoni.
Possono essere separativi o congiuntivi. Ad esempio, se c’è una lacuna in A e non in B serve ad escludere
che B sia copia di A, essendo improbabile che un copista riuscisse a indovinare come sanarla nel modo
giusto.
ELIMINATIO CODICUM DESCRIPTORUM: eliminare il testimone indiziato di essere copia di un altro
testimone conservato. Descriptus=copiato
Facendosi guidare dal proprio giudizio, l’editore deciderà sulla base della maggiore o minore
corrispondenza all’usus scribendi, cioè alla lingua e allo stile dell’autore, del genere letterario e dell’epoca
cui l’opera appartiene.
CONTAMINAZIONE: trasmissione non verticale ma orizzontale o trasversale, essa viene indicata con una
linea tratteggiata: - - - - - - - - - - (trasmissione di errori)
Un’ipotesi genealogica, anche se parziale, è utile in quanto consente almeno di identificare codici descripti
e di eliminare innovazioni isolate (eliminatio lectionum singularium) che altrimenti potrebbero venir
scambiate per lezioni autentiche.
Tali operazioni hanno rappresentato un grande passo avanti rispetto alle edizioni basate sulla vulgata, o su
un solo testimone emendato ope ingenii (per congettura) o ope codicum cioè col ricorso, senza criterio, da
altri testimoni.
VULGATA: testo nella forma corrente, derivata dalla prima stampa perché più facile da riprodurre rispetto
ai manoscritti. Il testo di un'opera nella versione più conosciuta e tramandata dalla tradizione.
Gli errori grafici non meritano di essere conservati quindi è lecito uniformare con l’uso moderno delle
parole: fuoco e non fuocho. Questo criterio va usato nei testi moderni ma nei manoscritti, ad esempio, del
Duecento che attirano l’attenzione di specialisti si richiede un atteggiamento conservativo anche sul piano
grafico.
Dopo aver risolto tutti i problemi dalla forma alla sostanza fino ad arrivare al numero dei testimoni,
l’edizione critica viene pubblicata. L’editore deve spiegare nell’introduzione che criteri ha seguito e una
serie di annotazioni puntuali relative alle scelte che ha deciso di usare.
APPARATO CRITICO: vengono forniti i dati utili per confrontare la lezione accolta con quelle scartate per
sapere quali rami della tradizione ne sono portatori e quant’altro serve a corredare di analitica
giustificazione i criteri esposti nelle pagine introduttive.
POSITIVO: è preferibile, registra la lezione accolta nel testo indicando in sigla i testimoni che ne sono
portatori e delimitandola con la parentesi quadra chiusa ], seguono le lezioni respinte accompagnate
anch’esse dalle sigle dei rispettivi testimoni.
NEGATIVO: non sono indicati i testimoni della lezione accolta nel testo e si risparmia lo spazio ma talvolta si
rende la consultazione faticosa, omette testimoni che hanno delle varianti e lascia quelli che concordano.
Per le varianti rifiutate può essere dedicato un diverso apparato o una sintetica nota introduttiva.
Poi se è necessario:
Quando ci troviamo davanti a varianti di ottima qualità ci sorgono alcuni dubbi e dobbiamo fare attenzione
tra:
VARIANTE DI D’AUTORE: scritta dall’autore stesso o fatta ricopiare che abbia introdotto modifiche
nell’esemplare da lui posseduto.
REDAZIONI DIVERSE quando l’autore provvede a un ripensamento dei caratteri generali dell’opera come
contenuti, struttura, narrativa e lingua. Così remote che ha senso solo confrontarle globalmente.
STESURE DIVERSE quando l’autore produce in un momento unitario un nuovo esemplare dell’opera, es.
una copia manoscritta, si possono confrontare punto per punto.
Oppure, se è una variazione d’autore limitata, piccola si parlerà di un’unica opera con varianti.
FILOLOGIA D’AUTORE: coniata da Dante Isella, si parla di ciò a proposito dei problemi editoriali posti dalla
multiforme tipologia degli originali tipica dei testi d’epoca postmedievale, dato che in quel periodo
aumenta la quantità di originali conservati ed è frequente trovare alla redazione definitiva: abbozzi, minute
e infine bozze corrette.
AVANTESTO: Gli studiosi francesi chiamano avantesto l'insieme dei materiali preparatori raccolti, decifrati,
classificati: da semplici liste di parole ad appunti e disegni, dai primi abbozzi, fino a vere e proprie stesure.
L’opera nelle sue varie tappe testimoniate da abbozzi, stesure manoscritte, bozze, pubblicazione a stampa, ristampe
con varianti, essa è oggetto dell’edizione genetica, cioè storico-critica.
VARIANTI NON REALIZZATE (annotate senza cancellare il corrispondente segmento): si designano come
varianti alternative.
Le varianti si classificano in quattro tipi, a seconda che siano realizzate volta a volta mediante:
- AGGIUNTA
- SOSTITUZIONE
- PERMUTAZIONE (scambio)
- SOPPRESSIONE (eliminazione)
Ci sono autori che introducono modifiche immediate utilizzando non lo spazio ancora libero a destra, ma
quello soprastante il segmento cancellato.
VARIANTI NON IMMEDIATE o TARDIVE: quando si ritorna su un segmento di testo ormai concluso, non
essendoci più spazio disponibile a destra delle parole sulle quali si vuole intervenire si ricorre ad altre zone
vuote come l’interlinea e i margini.
La qualifica di immediata oppure tardiva dipende da un punto di vista estrinseco (esterno), cioè dai tempi di
esecuzione. Se noi invece assumiamo un punto di vista intrinseco (interno), tale classificazione è intersecata
da quella in varianti SOSTANZIALI e varianti FORMALI come abbiamo visto nel capitolo precedente per
l’assenza degli originali, qui nella filologia d’autore è fondamentale perché consente di alleggerire
l’apparato critico elencando in una nota al testo i mutamenti sistematici di carattere grafico e fonetico.
Questa strategia è la migliore.
STRATO: quando le varianti che interessano un determinato segmento fanno parte dello stesso insieme
organico.
INDIZI DEL LORO LEGAME: colore dell’inchiostro, cambiamenti nel modo di scrivere, la posizione sulla
pagina, dipendenza da un medesimo progetto, medesimo momento creativo, rapporti precisi con fatti
storici, vicende private e altro che rimandi un delimitato arco cronologico.
Il convergere di prove porta a identificare uno o più strati, rivela rapporti sistematici tra varianti e quindi il
programma che ha ispirato quelle che sono state chiamate campagne di correzioni.
Di solito uno scrittore stende la prima redazione di un’opera producendo uno scartafaccio ricco di
correzioni chiamato A, poi riprende in mano A pensando di trarne copia in pulito cioè un nuovo manoscritto
chiamato B e dà luogo così a una seconda redazione, non si limita a copiare ma introduce pure modifiche.
Questa trae in inganno gli editori e li induce a pubblicare come prima una redazione che contiene anche
varianti della seconda e ne risulta un’immagine falsata. (perché probabilmente si sono instaurate più tardi
in fase d revisione e magari al servizio d’un progetto diverso)
FASI ELABORATIVE: quando all’interno di un solo strato coesistono varie fasi accertabili prendendo in
esame le varianti tardive.
Se su un ben delimitato segmento testuale come sintagma, frase o verso si deposita una sola variante
tardiva, avremo una fase elaborativa di questo segmento seconda rispetto alla prima fase che ha prodotto
la lezione originaria. Se la variante viene poi cancellata e sostituita con un’altra avremo un’ulteriore fase
elaborativa. L’attribuzione di una variante a una certa fase piuttosto che a un’altra è spesso suggerita dal
posto che tale variante occupa sulla pagina.
Infatti, lo scrittore può rileggere più volte e intervenire in momenti diversi.
SINCRONIA COMPOSITIVA: quando due o più varianti sono state introdotte insieme in punti diversi dello
stesso segmento testuale.
A seconda che si accerti o no una sincronia compositiva, cambia infatti il numero delle fasi: se il segmento
XYZA è stato trasformato in BYCA con due modifiche (da X a B e da Z a C) avvenute in due tempi diversi,
abbiamo una seconda fase BYZA (oppure XYCA) e poi una terza fase BYCA, qualora invece le modifiche
sono sincrone, poiché a XYZA segue d’un colpo BYCA, abbiamo due fasi soltanto.
Si pone il problema pratico di come pubblicare in un libro i risultati del lavoro di selezione dei materiali e di
prodotti, ordinamento e valutazione compiuto studiando il materiale inerente all’autore relativo a un
sonetto, romanzo ecc.
1) SOLUZIONE ESTREMA: consiste nel fornire una trascrizione iperdiplomatica (fedele) di tutti gli
scartafacci, riproducendo a stampa le diverse posizioni, l’andamento dritto o tortuoso della
scrittura sulle pagine, nonché scarabocchi, disegni, cassature ecc. in modo che chiunque possa farsi
un’idea personale e diretta senza essere influenzato dall’editore.
2) RIPRODUZIONE FOTOGRAFICA: si potrebbe definire una fotografia tipografica, l’utente grazie ad
essa è liberato dal compito di decifrare la scrittura originale privandosi della percezione d’una serie
di elementi potenzialmente significativi come le variazioni di colore dell’inchiostro, i cambiamenti
nell’esecuzione della scrittura. Si tratta di una soluzione rinunciataria.
Occorre una strategia rappresentativa adatta che consenta al lettore di capire come stanno le cose col
minimo sforzo.
A ogni transizione corrisponde almeno una variante incastonata in un contesto che essendo immutato, o
non viene ripetuto affatto o viene ripetuto isolandolo mediante parentesi oppure mediante diverso corpo
tipografico, così si fa percepire con immediatezza quali mutamenti si sono eventualmente verificati.
Con i testi in prosa invece si usa la rappresentazione lineare che può essere di tipo integrale o parziale.
Aspetto positivo: il lettore acquisisce informazioni pertinenti senza spostare gli occhi dalla riga.
Aspetto negativo: rischio di perdere il filo dai tanti segni diacritici e impossibile visualizzare l’appartenenza
delle varianti a diverse fasi elaborative.
PARZIALE= utilizza il modello testo-apparato dell’edizione critica, nella stessa pagina in alto è collocata una
porzione del testo di riferimento, in basso vengono presentate le relative varianti. Qui si segnala il punto
preciso cui ciascuna variante si riferisce, premettendo la citazione completa della fase finale (tratta dal
testo di riferimento) delimitata a destra con una parentesi quadra chiusa, seguono le varianti distinte e
numerate all’esponente in base alla progressione delle fasi elaborative.
Oppure, il punto preciso del testo cui rapportare la variante viene segnalato con parola iniziale di riappicco
(attaccare, appiccicare) X.
Si può arricchire con segni diacritici capaci di distinguere le varianti immediate da quelle tardive, con sigle
appropriate si può render conto anche delle varianti provenienti da altre stesure.
La scelta del testo di riferimento è sempre difficile, molti scelgono l’ultima volontà dell’autore ma non
sempre è la scelta opportuna.
Si distingue tra:
Apparato "genetico": che segnala le fasi anteriori al testo critico accolto, quelle della sua formazione.
Nel caso della filologia d’autore occorre più che mai adeguare i criteri generali alle esigenze specifiche.
Nel 1835 Leopardi pubblicò i Canti a Napoli (sigla N), che avrebbe dovuto essere il primo delle Opere subito
bloccato dalla censura, per questo di quel volume si sono salvati pochi esemplari, tra i quali la copia
personale sulla quale Leopardi di sua mano trasferì le correzioni dell’errata-corrige e ne aggiunge una
settantina, mentre una decina ne dettò all’amico Antonio Ranieri. Rappresenta dunque per 39 canti l’ultima
volontà del poeta.
Di molti Canti si conservano anche autografi che documentano vari stadi del lavoro compositivo, spicca fra
tutti l’autografo di A Silvia.
Nella riproduzione fotografica di A Silvia, si vede che il testo incolonnato a destra sembra la copia in pulito
di precedenti abbozzi che non sono conservati, fase avanzata ma non terminale dell’elaborazione.
Ora esaminiamo l’edizione genetica di Peruzzi 1998, testo critico dei versi 1-9 di A Silvia.
Peruzzi ci fornisce il testo definitivo dell’intero canto, seguito dall’elenco in ordine cronologico, con la
rispettiva sigla degli autografi e delle stampe approvate dall’autore.
AN= autografi napoletani. F= edizione di Firenze. N= edizione di Napoli. NC: fogli di stampa sciolti e con
correzioni non definitive di N.
Sono poi indicati nella loro evoluzione: la data, il numero d’ordine e il titolo del canto.
Nella foto leggiamo, nella parte superiore in caratteri piccoli il testo definitivo, poi in caratteri più grandi le
varie stesure di ciascun verso disposte seguendo l’ordine cronologico degli autografi e delle stampe
approvate. La riga subito a destra del numero d’ordine di ciascun verso contiene la redazione più antica, in
successione le redazioni posteriori sono riportate per intero o limitatamente alle parti modificate (a destra
le rispettive sigle).
Tra parentesi quadre sono racchiuse le parti di scrittura cancellate e poi troviamo dopo ciò che è stato
scritto dopo la cancellazione (per esempio al v.1 in Nc rammenti è stato cancellato e sostituito con
rimembri).
Con le lettere greche a destra si distinguono le varie fasi dell’elaborazione particolare di ciascun verso, al
v.3 per esempio la prima fase a è splendeva, la seconda b splendea, ottenuto con la cancellazione di v (in
carattere corsivo sono ripetute per chiarezza e comodità del lettore, parole o parti di parola che Leopardi
ha lascato intatte là dove è intervenuto).
Quando nella sequenza delle stesure mancano una o più sigle corrispondenti a fasi successive, vuol dire che
queste fasi non presentano modifiche, come nel caso dei vv.6-9 la cui forma definitiva è già quella di An.
Sotto il v.9 separate da una linea semplice sono riprodotte le varianti che nel manoscritto si trovano a
sinistra dei vv. 3bis e 4, separato da una linea doppia è l’apparato di note con le quali Peruzzi aggiunge
precisazioni e chiarimenti.
L’edizione di A Silvia è accompagnata dalla riproduzione fotografica degli autografi, essa appoggia la lettura.
Perciò con tutti i limiti della riproduzione fotografica, è possibile in questo e nei casi analoghi controllare la
validità dell’edizione.
Tre fasi:
- Fermo e Lucia
- I Promessi Sposi 1825-1827
- I Promessi Sposi 1840-1842
Si sta pubblicando una nuova edizione critica dove entrambi i volumi al titolo accompagnano PRIMA
MINUTA E SECONDA MINUTA che l’autore appose di suo pugno sulle camicie dei due manoscritti
autografi, classificandoli come semplici minute del romanzo dato alle stampe.
PRIMA MINUTA: è anepigrafa, intitolata Fermo e Lucia perché consta che così venisse chiamata da
alcuni amici di Manzoni.
Manzoni utilizzò fogli interi ciascuno dei quali piegato a metà formando due carte con quattro facciate
cioè pagine. Scrive sulla colonna di destra lasciando libera quella di sinistra per le correzioni. Comincia il
suo lavoro nel 1821 e finisce nel 1823 e lo sappiamo perché lo scrive all’inizio e alla fine.
Cominciata la revisione, comincia invece una vera e propria riscrittura eseguita su fogli della Prima
minuta per trasferirli nella Seconda (trasposti) per poi andare ai fogli nuovi dal capitolo 4.
L’edizione critica della prima Minuta è l’edizione del romanzo che Manzoni aveva considerato concluso,
si tratta quindi di una redazione del romanzo che richiede un’edizione autonoma perché è
confrontabile globalmente ma non punto per punto con i Promessi Sposi.
Quindi il lavoro dell’edizione critica in questo caso è consistito nel scorporare le modifiche posteriori da
quelle anteriori, perché l’autore aveva diverse motivazioni letterarie e linguistiche.
Nella seconda minuta notiamo che sul piano linguistico, intreccio, consistenza testuale cambia. La
documentazione relativa alle fasi elaborative ha una mole tale da non poter essere ospitata tutta
insieme nell'apparato genetico dell'edizione critica della Ventisettana.
Non sappiamo quale lezione corrisponde all’ultima volontà di Manzoni, né l’autore e né il tipografo se ne
preoccuparono.
L’intero problema filologico della Quarantana non è stato mai più ripreso sistematicamente, al massimo si è
riuscito ad identificare la cronologia delle lezioni alternative, quindi, quella finale ma è un percorso che
diventa per molti aspetti incerto.
Lo scrittore siciliano utilizzava il verso bianco di carte già scritte sul recto ma poi eliminate.
Come il caso del verso di sei carte d’un abbozzo del Mastro-don Gesualdo riusato per scrivervi le aggiunte
alla prima redazione di Pane nero.
L’elaborazione del “Mastro Don…” è documentata da frammenti testuali che si recuperano su carte o ritagli
di carte riusati per scrivere altre minute, nella fattispecie di lettere a Matilde Serao ecc.
Si conferma che l’esame diretto degli autografi sarebbe nel caso di Verga indispensabile, però una parte dei
suoi manoscritti andò perduta all’epoca della consegna alla BIBLIOTECA UNIVERSITARIA DI CATANIA, quindi
occorre talvolta servirsi del microfilm a colori messo a disposizione per gli studiosi.
In Vita dei campi l’autore non concluse un coerente processo di sviluppo, ma snaturò la sua opera
intervenendo a distanza di anni in modo indeciso e contradittorio. L’autore infatti tentò di adattare Vita dei
campi alla nuova fase della sua arte con interventi che intaccano un organismo compiuto senza crearne uno
nuovo e vitale, documentano una crisi senza sbocchi e restano non a caso lettera morta.
Invece un’idea diversa la pensa Tellini che dice che le correzioni di Verga anche se apportate a distanza di
molti anni, rientrano in un ordine, ubbidiscono ad un sistema, che non è detto debba essere
necessariamente lineare o univoco nella molteplicità delle sue componenti.
Carla Riccardi: dei tardi interventi ne rende conto raccogliendoli in un apparato evolutivo rispetto al testo
base. Colloca in appendice di abbozzi.
Tellini: apparato agile, fedele ai mutamenti intervenuti nei passaggi da volume a volume contenente solo le
varianti del testo del 1880 rispetto al 1897.
Un esempio…
Grosso punto nero: serve a identificare la porzione d’un più esteso segmento cui si riferisce la didascalia
tra parentesi tonde.
A questi segni diacritici si aggiunge un certo numero di didascalie in corsivo con le quali viene descritto
il modo in cui sono state effettuate le correzioni e la loro posizione: oltre ai già visti
Su= ricalcato su
Spscr= soprascritto
Stscr= sottoscritto
Anche quando è stata adottata la disposizione tipografica più comoda per il lettore (cioè con l'apparato
a piè di pagina sotto il corrispondente segmento testuale), c'è sempre bisogno di una ginnastica oculare
e di impegno continuo, a lungo andare estenuante: tutte cose che si possono pretendere solo da
studiosi specialistici. Va da sé quindi che un'edizione genetica non possa essere travasata interamente
in un'edizione commerciale, e proprio per questo motivo la scelta del testo di riferimento è una scelta
doppiamente importante, dato che solo quel testo, se l'edizione godrà di credito, sarà riprodotto,
commentato, studiato dal punto di vista linguistico, diventerà insomma il testo. Tradizionalmente,
come già ricordato, viene spesso ritenuta preferibile la scelta del testo corrispondente all'ultima
volontà dell'autore, cioè quella che gli studiosi chiamano edizione di ultima mano. L'idea di rispettare
come cosa sacra l'ultima volontà di un defunto a tutta la forza di un sentimento comune così diffuso da
imporsi facilmente anche in campo editoriale. Normalmente uno scrittore introduce ulteriori modifiche
nella ristampa di una sua opera, realizzando solo allora compiutamente il suo progetto artistico. Ma
come già detto, succede anche che un'ultima revisione serva a cancellare diversità tra testi concepiti a
distanza di tempo e corrispondenti a progetti disomogenei sul piano letterario, linguistico, ideologico.
L'ultima volontà può essere dunque volta ad appiattire e a dare l'idea che mai niente è cambiato,
oppure a fissare a posteriori una periodizzazione che non corrisponde al reale svolgimento storico.
Secondo parecchi studiosi soprattutto italiani e tedeschi le varie relazioni o stesure che dir si voglia di
un'opera hanno, in linea di principio, uguale valore; il che vuol dire che l'editore, in linea di principio, è
libero di scegliere l'una o l'altra sulla base del singolo caso in esame. Ad esempio i tedeschi soprattutto
sono arrivati a proporre in generale, di privilegiare non l'ultima, ma la prima stampa, quella in cui una
certa opera ha assunto forma compiuta, sentita dall'autore in quel momento come definitiva. Tra gli
argomenti a favore di questa tesi c'è il fatto che posteriori rimaneggiamenti provocano uniformità
rispetto posizioni che l'autore ha raggiunto in seguito, e quindi, rappresentandone tutte le opere
dell'ultima redazione, lo si cristallizzerebbe in un'unica fase cancellando il processo storico del suo
sviluppo. Inoltre la prima stampa esercita nella maggior parte dei casi l'effetto più durevole, provoca le
recensioni più attente, suscita polemiche letterarie, insomma possiede una particolare importanza dal
punto di vista della ricezione. Su questo tema si è avuta anche in ambito anglo-americano una vivace
discussione che ha coinvolto esperti di problemi posti dall'edizione di opere a stampa. Punto di
partenza è la tesi di Greg: qualora il manoscritto originale non si sia conservate si abbia a che fare con
stampe non sorvegliate dall'autore, si sceglie come testo base la stampa più antica, essendo
normalmente quella che riproduce meglio l'originale perduto; a tale testo base ci si attiene
rigorosamente per la grafia, l'interpunzione, la divisione delle parole e simili. A differenza di Greg,
Bowers, avendo a disposizione il manoscritto dell'autore e la prima stampa derivatane, sceglie il
manoscritto perché essendo privo di eventuali alterazioni imputabili ai tipografi, corrisponde
interamente e sicuramente alla volontà finale dell'autore; di fronte alla stessa alternativa altri studiosi
scelgono invece la prima stampa perché essa contiene il testo così come l'autore voleva che fosse letto.
Le scelte sono diverse e si applicano a casi molto vari, ma la motivazione di fondo sostanzialmente non
cambia. In conclusione, quali che siano le strategie di presentazione e di ordinamento, ben chiaro deve
sempre essere che non si devono mescolare varianti elaborate in momenti diversi, altrimenti si rischia
di produrre un organismo che nel suo insieme non è mai esistito. Tanto più forte è questo rischio
quando ci si affida a criteri soggettivi per identificare varianti d'autore e varianti di tradizione, prima di
aver compiuto un'esauriente recensio. (Difetti del genere per esempio si sono manifestati nelle edizioni
della Gerusalemme Liberata di Tasso)